GIDM Appunti di storia 23, 85-90, 2003 1849: LA CHIMICA DEL “PARADOSSO DIABETICO” G. DALL’OLIO*, I. PIVA** riassunto Alla metà dell’Ottocento Giovanni Polli affronta un problema di fisiologia che da secoli viene rilevato nei malati di diabete e che non ha ancora trovato una soddisfacente spiegazione: il “paradosso diabetico”. Si tratta della marcata preponderanza dell’urina emessa rispetto ai liquidi ingeriti, sintomo spesso usato come segno clinico della malattia. Giovanni Polli (1812-1880), medico, si dedica prevalentemente agli studi di chimica applicata alla medicina, ed è proprio con la chimica che tenta una spiegazione del “paradosso”. In un suo lavoro del 1849, a riprova delle molte osservazioni di altri medici anche illustri, riporta un esperimento che egli stesso ha voluto seguire: una diabetica, ricoverata per 214 giorni, elimina 4983 libbre di urina mentre i liquidi ingeriti nello stesso periodo ammontano a 3178 libbre. L’eccesso di 1805 libbre di liquido eliminato è un evidente paradosso. Da dove proviene? Polli spiega questa esuberanza teorizzando l’esistenza di una doppia anomalia nei malati di diabete: una alterata respirazione che porta a introdurre nei polmoni più ossigeno delle persone sane e soprattutto la prevalente combinazione di quest’ultimo con l’idrogeno, proveniente dagli alimenti ingeriti, per formare acqua, a scapito della reazione con il carbonio che produce CO2. È l’acqua così prodotta nell’organismo a costituire l’eccesso di liquidi eliminati e che spiega il “paradosso diabetico”. Parole chiave. Diabete, storia, “paradosso diabetico”. summary *Laboratorio di Chimica Clinica ed Ematologia; **UO di Endocrinologia, Malattie Metaboliche e Servizio di Diabetologia, Ospedale “S. Bortolo”, Vicenza 1849: the chemistry of the “diabetic paradox”. At the middle of XIX century Giovanni Polli faced the “diabetic paradox”, a physiology dilemma observed for centuries in the diabetic patients and still unsatisfactorily explained. This term indicated the large disparity between the ingested liquids and the excreted urine, considered for a long time a clinical sign of diabetes mellitus. Giovanni Polli (1812-1880), a physician that devoted his life to chemistry applied to medicine, attempted to explain of the “paradox” by means of chemistry. In a paper published in 1849 he reported one of his experiments consistent with those of several important authors. A diabetic woman hospitalized for 214 days poured 4983 troy-pounds of urine and ingested 3178 troy-pounds of liquids in the same time span. From where did come the evident paradox of the 1805 troy-pounds surplus of excreted urine? According to Polli’s theory, diabetic patients suffer from two anomalies: an abnormal respiration causes the lungs to inspire more oxigen compared to healthy subjects; the oxigen binds a larger amount of the hydrogen present in the ingested foods yelding water and a lasser amount of carbon yeldin carbon dioxide. Therefore, more water is produced in the body explaining the axcess of liquids excreted and the “diabetic paradox”. Key words. Diabetes, history, “diabetic paradox”. 85 GIDM Appunti di storia 23, 85-90, 2003 Il “paradosso diabetico” “V’ha un paradosso di statica animale che da moltissimi anni si conserva nella nostra scienza, e che si tramanda dai medici come fatto curioso da verificarsi ogni qualvolta si presenta l’occasione di vedere un diabete, ma sul quale non s’è ancora portata una severa indagine. Prima che il diabete attirasse l’attenzione per la presenza di una materia zuccherina nell’orina, erano già meravigliose le storie di diabete pel sintomo di presentare una quantità d’orina superiore alla quantità delle bevande prese […]. Anzi lo squilibrio accennato fra l’ingestione e l’evacuazione si riguardava come il sintomo più caratteristico della malattia. Ma negli autori che più diligentemente osservarono, è riferita la storia di diabeti nei quali non la sola acqua dell’orina, ma il peso dell’orina emessa, supera di gran lunga il peso complessivo delle bevande e degli alimenti presi dall’ammalato. Il paradosso è evidente; si tratta niente meno che di una creazione dal nulla” (1). Già gli antichi medici avevano notato questa anomalia nei diabetici. Areteo di Cappadocia (ca. 81 - ca. 138 d.C.) descrive il diabete consuntivo come una “fusione di carne e di membrane in orina” per cui nel diabetico la quantità dell’urina emessa supera sempre i liquidi ingeriti. Gerolamo Cardano (1501-1576) riporta il caso di una giovane diabetica che assumeva 7 libbre di liquidi al giorno e ne eliminava 36 di urina. Successivamente Thomas Willis (1621-1675) nel suo Pharmaceutice rationalis del 1674 a proposito del diabete scrive: “Hoc effectu laborantes multo plus mingunt quam bibunt, aut alimenti liquidi assumunt […]”1. Françoise Boissier de Sauvage (1706-1767) nella sua Nosologie méthodique classifica questo tipo di diabete con abnorme emissione di liquidi come “diabete legittimo” o “diabete vero”. Anche William Cullen (1712-1780) nel 1776 riporta casi di pazienti con evidente differenza fra l’urina emessa e gli alimenti solidi e liquidi ingeriti (2, 3). Intorno alla metà dell’Ottocento il fenomeno è ancora dibattuto: “[…] Generalmente parlando l’escrezione è minore del fluido deglutito; ma in uno o due casi si trovò che il liquido evacuato eccedeva considerabilmente il totale dei solidi e liquidi inghiottiti. Questo fatto, benché negato da alcuni scrittori, è stato soddisfacentemente stabilito da Bardsley, il quale dimostrò che non si può rendere conto dell’eccesso del primo col supporre unicamente che derivi dal gene- 1 rale consumamento e diminuzione delle parti solide e fluide dell’organismo […]. ‘A qual legge o processo dell’economia animale – osserva il sullodato autore – è da attribuirsi l’incremento di questa soprabbondante quantità di orina? Deriva forse da assorbimento cuticolare o polmonare, o da colliquazione degli umori del corpo? Diversi autori insistettero su ciascuno di questi modi’. Noi accettiamo il fatto senza creare alcuna ipotesi per darne conto” (1853) (4). In quegli anni il medico-chimico Giovanni Polli volle affrontare questo problema che, così posto, ha effettivamente del paradossale, per arrivare finalmente a una spiegazione scientifica del fenomeno: “Importa dunque di stabilire dapprima, con rigore, il fatto, e quindi esaminare in qual modo possa essere svestito dal suo manto miracoloso, e ritornato alle ordinarie leggi della statica animale” (1). Giovanni Polli Giovanni Polli (Oggebbio 1812 - Milano 1880) si laurea in Medicina a Pavia nel 1837, ma si dedica prevalentemente alla chimica applicata alla medicina (fig. 1). Fig. 1. Giovanni Polli (1812-1880). Coloro che ne sono affetti urinano molto di più di quanto bevono, o di quanti alimenti liquidi assumono. 86 GIDM Appunti di storia 23, 85-90, 2003 A 20 anni, ancora studente, collabora con il farmacista Felice Ambrosioni (1790-1843) all’analisi chimica dei liquidi biologici e in particolare delle urine e del sangue dei diabetici (5). Nel 1834, a Pavia, quando l’Ambrosioni trova per la prima volta lo zucchero nel sangue di una diabetica della Clinica del professor Giuseppe Corneliani è assistito da Giovanni Polli: “indefesso ed amantissimo cultore della scienza chimica” (6). Polli ricorda l’avvenimento in un suo lavoro del 1839, rivendicando, dal tono della descrizione, qualcosa di più della semplice assistenza alla scoperta: “La esistenza dello zucchero nel sangue dei diabetici venne più volte ricercata da valenti chimici […] ma i loro risultati furono quasi sempre negativi. Io lo trovai per la prima volta nel 1835, esaminando insieme al signor Felice Ambrosioni di Pavia il sangue tratto dal braccio di una diabetica […]” (7, 8). Nel 1839 inizia la carriera di insegnante di chimica che proseguirà per tutta la vita e anche gli studi chimici sul sangue, in particolare sulla coagulazione e sul diabete, poiché era sua convinzione che “la vera anatomia patologica del sangue non è che la sua analisi, perché non è possibile sezionare diversamente un liquido che coi reagenti” (7, 8). La produzione scientifica del Polli supera le 100 pubblicazioni su vari argomenti: chimica biologica, tossicologia, patologia medica, fisiologia, igiene, ma “lo studio del diabete fu di quelli che egli predilesse” (5, 7, 8). Le sue analisi chimiche sul vomito dei diabetici lo portano a esprimere una teoria gastrointestinale sull’origine della malattia, una condizione morbosa degli organi digestivi conseguente a una “perturbazione della innervazione”. Consiglia anche una cura a base di tannino, che sperimenta nel 1839 su una diabetica ricoverata all’Ospedale Maggiore di Milano, pur riconoscendo che un vero farmaco per il diabete ancora non esiste. Studia un metodo chimico per la ricerca del glucosio nel sangue e nell’urina e per quest’ultima propone l’uso dell’areometro (semplice strumento per la misura della densità dei liquidi) per la determinazione giornaliera rapida, anche se approssimativa, della glicosuria. Nell’ambito di queste ricerche sul diabete tenta una spiegazione, attraverso la chimica, del “paradosso diabetico”. Nel 1845, Giovanni Polli assume la direzione del periodico scientifico fondato nel 1833 dal chimico milanese Antonio Cattaneo (1786-1845) che gli farà acquisire notevole prestigio fra gli studiosi di chimica e medicina dell’epoca. Si circonda di valenti collabo- Fig. 2. Frontespizio degli Annali del Polli del 1849. ratori e modifica la testata del periodico in Annali di Chimica applicata alla Medicina che presto sarà conosciuto da tutti come gli Annali del Polli (fig. 2). Dichiara subito lo scopo della rivista: “raccogliere tutti quei lavori che potranno dimostrare quanto la scienza e l’arte della medicina guadagnino dalla chimica”, privilegia i contributi originali di ricercatori italiani senza tralasciare la recensione delle più interessanti pubblicazioni straniere (5, 8). “Nel nostro giornale compariranno adunque gli argomenti medici, sempre trattati dal lato chimico […] e questo assunto darà il colore alla nostra pubblicazione, la quale senza arrogarsi la prerogativa di dar ragione di tutto colle leggi chimiche […] insisterà semplicemente a farle intervenire dove esse o non furono sospettate o non furono sufficientemente valutate” (5). Scorrendo le pagine degli “Annali” si possono seguire i progressi della chimica europea dell’Ottocento nelle sue applicazioni alla medicina. Giovanni Polli, nonostante i suoi interessi per la chimica e gli impegni di redazione e di insegnamento, continua a esercitare la medicina pratica ed è proprio 87 GIDM Appunti di storia 23, 85-90, 2003 la fama derivante da queste molteplici attività, oltre ai modi affabili con cui tratta i pazienti nei quali ispira grande fiducia, ad arricchire la sua clientela ed estenderla alle famiglie più in vista di Milano. Membro effettivo dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere fin dal 1854, ottiene numerose onorificenze per i suoi meriti scientifici (8). Spiegazione “chimica” del “paradosso diabetico” Polli inizia il suo articolo sul paradosso diabetico (1) citando “per erudizione” i casi rilevati dagli autori antichi. Ricorda anche due storie di diabete riportate dal professor Corneliani nel suo Opuscolo sul diabete del 1840. Nei due casi, ben documentati dal professore di Pavia e di poco precedenti al lavoro del Polli, viene riscontrata una eccedenza di urina, rispetto ai liquidi introdotti sotto forma di cibi o bevande, che in un caso ammonta a 42 libbre, nel secondo a 82 libbre 2. “Ma forse tutte le accennate storie io le avrei credute inesatte, e quindi incapaci di persuadermi del fatto strano tante volte ripetuto, se non l’avessi veduto e verificato io stesso” (1). Passa quindi alla descrizione di un caso, che egli stesso ha seguito da vicino, e per il quale ha potuto verificare l’attendibilità delle osservazioni. Si tratta di una giovane di 23 anni, affetta da pellagra, ricoverata per diabete all’Ospedale Maggiore di Milano nella primavera del 1847. Nei sette mesi di degenza dall’11 maggio al 10 dicembre “si fece sempre diligente annotazione della quantità di orina emessa, e della quantità di bevanda giornalmente somministrata, non che delle altre sostanze che, o come medicine o come cibi, l’ammalata prendeva” (1). “Le bevande consistono per la maggior parte di acqua pura, e per il resto di decotti di tamarindo, brodo, limonata nitrica3, e poco vino. Vengono con- tate le uova e calcolate ciascuna in 2 once, “il resto era misurato in peso di libbra milanese di 12 once, che equivale ad un terzo di chilogrammo” (1). La quantità di urina viene accuratamente rilevata: nei 214 giorni di osservazione la paziente ne elimina 4983 libbre. I cibi e i liquidi ingeriti nello stesso periodo ammontano a 3178 libbre. In 214 giorni quindi, l’ammalata avrebbe emesso 1805 libbre “di materiali in più di quelli ingesti” (1). La cifra, puntualizza l’autore, salirebbe ancora se si contassero le perdite dovute alla traspirazione polmonare e cutanea, alle frequenti diarree, ai salassi. Ipotizza anche un margine di errore di 2 o 3 libbre al giorno nel computo dei cibi e delle bevande assunte, “quantunque improbabile dopo le diligenze usate”. Restano comunque da spiegare “un migliajo di libbre di sostanza evacuata al di più di quella ingesta” (1). “Il paradosso dunque esiste: egli è stato confermato più d’una volta; io non posso più rifiutare di ammetterlo dopo il fatto ora addotto. Eppure in faccia a questo paradosso i medici si tacquero, o almeno si contentarono di spiegazioni così leggiere che fa meraviglia. Si può ben ammettere che nell’organismo animale lavorino forze arcane, e dieno prodotti di cui ci è imperscrutabile l’origine e la fabbricazione, ma ad ammettere che in esso avvengano creazioni, la mente nostra si rifiuta” (1). Polli si sofferma ancora sulla spiegazione del paradosso data dai medici antichi: l’aumentata quantità di urina è da attribuire all’assorbimento dell’umidità atmosferica attraverso la pelle e i polmoni, teoria che egli non condivide: “basta aver veduto un solo vero diabetico, e avere considerata la sua arida e stigosa pelle, per sentire la futilità di questa spiegazione” (1). “A risolvere il problema in discorso, o meglio a far rientrare il paradosso fra le leggi ordinarie della statica animale forse ci soccorre, meglio degli altri studii, la chimica” (1). La chimica, fa osservare il Polli, insegna che le sostanze possono essere introdotte nell’organismo non solo per le vie digerenti così come non esiste solo l’evacuazione attraverso le feci, le urine e la traspirazione 2 All’epoca della stesura del lavoro del Polli negli stati italiani sono in uso ancora le vecchie unità di misura di peso, fonte di tanti equivoci quando non siano correttamente specificate: libbre, once, grani, di valore diverso da città a città e da stato a stato (libbra medicinale di Milano, libbra di Venezia, libbra di Vienna ecc.). I ricercatori francesi invece usano già il nuovo sistema metrico decimale proposto fin dal 1670 dall’abate Mouton. In Francia le vecchie unità sono tollerate fino al 1840 e quindi definitivamente sostituite, in Italia si trovano anche dopo la metà dell’Ottocento. La trasformazione non è sempre agevole e può portare a incomprensioni e rendere talvolta difficili, se non impossibili, le correlazioni. Nel suo lavoro Polli usa sempre la libbra milanese, di 12 once, che corrisponde a 356 grammi (un’oncia sarà quindi circa 30 grammi)(4) riportandone a volte il corrispondente approssimato in grammi o chilogrammi mentre nei lavori degli studiosi francesi a cui fa riferimento sono sempre adoperate le nuove unità. Bevanda magistrale, rinfrescante, di sapore acidulo, costituita da acido nitrico, acqua e sciroppo di limone. 88 GIDM Appunti di storia 23, 85-90, 2003 cutanea, “ma anche per l’atrio polmonare ha luogo un assorbimento ed un’emissione ragguardevole di principii, i quali, sebbene invisibili, sono però ponderabili, e quindi possono trasformarsi in combinazioni solide e liquide che accompagnandosi alle altre secrezioni ed evacuazioni dell’organismo possono crescerne la massa” (1). Polli, che all’epoca può contare su tecniche analitiche grossolane e su poche e imperfette conoscenze di “biochimica”, propone una sua tesi per spiegare il paradosso: l’eccesso di urina eliminata, rispetto agli alimenti ingeriti, è dovuto all’acqua che si forma nell’organismo per reazione chimica fra l’ossigeno introdotto con la respirazione e l’idrogeno tratto dagli alimenti. Per la dimostrazione ricorre alle teorie di studiosi dell’epoca, i francesi Barral e Dulong, sulla quantità di ossigeno introdotta nelle 24 ore con gli alimenti, sulla parte che forma CO2 e quella che, combinandosi con l’idrogeno tratto anch’esso dagli alimenti, forma acqua. Fa notare che nei diabetici, a causa della loro polifagia e polidipsia, la quantità di alimenti e di acqua introdotta così come di ossigeno inspirato e di CO2 emessa potrà essere tripla o quadrupla di quella di una persona sana. Applicando le deduzioni e i calcoli dei ricercatori francesi alla diabetica che egli ha seguito, Polli arriva al risultato che la paziente, durante i 214 giorni di malattia, elimina circa 356 libbre di urina. Tale quantità è ben lontana dalle 1805 libbre di liquidi emessi in più che risultano dalla esperienza condotta, e quindi non dimostra la tesi assunta. Esamina ancora gli esperimenti di altri eminenti studiosi, Hannover, Berzelius, Liebig, sulla respirazione di pazienti affetti da varie malattie comparata con quella di persone sane (CO2 eliminata, ossigeno assorbito). Cita le osservazioni di Rollo del 1798: “Nel diabete tutti i sintomi accessorii indicano un aumento d’azione, simile a quella che si vede risultare da una ispirazione troppo prolungata del gas ossigeno” e quelle di Rutherford della stessa epoca, che spiegano “l’abbondanza delle orine diabetiche da un assorbimento eccessivo di ossigeno pei polmoni, per cui unendosi all’idrogeno, che in questa malattia è soprabbondante nel sangue, forma una grande quantità d’acqua” (1). Tutto ciò può spiegare un eccesso di urina di alcune libbre soltanto. “Per dare spiegazione della grande, e talvolta meravigliosa sovrabbondanza della massa materiale egesta colle orine nei diabetici, e soprattutto in quelli che prendono pochi alimenti o poche bevande, bisogna ricorrere ad una alterazione nella funzione respiratoria per la quale non solo si introduca molto più ossigeno nell’organismo che nello stato normale, ma la maggior parte di esso non vada a combinarsi col carbonio per formare acido carbonico, ma cogli altri principii degli elementi e del corpo, e principalmente col loro idrogeno per formare l’acqua”(1). A questo punto Polli deve modificare la sua tesi tenendo conto dei due citati fenomeni patologici che avvengono nei diabetici: un aumento dell’ossigeno introdotto attraverso un’alterata respirazione e soprattutto un modificato rapporto fra CO2 e H2O formati, in netto favore di quest’ultima. Su queste basi e su altre ipotesi del Barral sulla quantità di idrogeno contenuto negli alimenti e sul peso dell’acqua in essi contenuta, egli effettua nuovi calcoli sulla “sua” diabetica: in ossequio alle leggi della chimica (2H2 + O2 = 2H2O), l’idrogeno che deriva dalla quantità di cibi e bevande che ella ha assunto mediamente nelle 24 ore dovrà reagire con una quantità di ossigeno proveniente dalla respirazione tale da formare circa 11 libbre di acqua, alla quale ne aggiunge ulteriori 9 per conteggiare quella contenuta negli alimenti. “La sola acqua emessa con orina può dunque pesare facilmente 20 libbre, una buona metà del qual peso non proveniente né dai cibi, né dalle bevande, ma dall’ossigeno dell’aria” (1). Secondo questi calcoli un diabetico in un mese “evacuerebbe facilmente un peso di 300 libbre di materiali superiore al peso de’ materiali ingesti”. Ecco quindi abbondantemente spiegate le 1805 libbre di urina in più emesse dalla diabetica durante i 7 mesi di osservazione. Polli sottolinea però che non può avvalersi di lavori recenti e scientificamente condotti sulla respirazione dei diabetici e con questa osservazione sembra volersi porre al riparo da deduzioni errate o da spiegazioni poco convincenti: “gli esperimenti diretti sui diabetici mancano, giova ripeterlo; e finché essi non avranno pronunciato, ogni conclusione è precipitata” (1). In definitiva: “Se la spiegazione per me tentata non dà ragione in ogni caso di tutto il fenomeno che ho voluto chiarire, essa ha però forse il merito di avere il suo fondamento nelle irrecusabili verità che la chimica ha stabilito per la statica animale, di avere indicata una nuova via per raggiungere lo scopo, e su dati che si possono esattamente misurare e pesare, offre men pericolo di errore. L’esperimento chimico sulla respirazione de’ diabetici, a qualunque risultato riesca, stabilirà sempre un punto importante di patologia” (1). 89 GIDM Appunti di storia 23, 85-90, 2003 Bibliografia 1. Polli G: Del paradosso diabetico. Annali di Chimica applicata alla Medicina 8, 318- 323, 365-374, 1849 2. Bruni B, Barbero PL: Storia dell’urina dolce. Museo del Diabete della Associazione Centro di Diabetologia Karen Bruni Böcher, Torino, 1993 3. Peumery JJ: Storia illustrata del diabete. Editiemme, Milano, 1990 4. Levi MG: Dizionario economico delle Scienze Mediche. G. Antonelli, Venezia, 1853 5. Schivardi P: La vita e le opere del prof. Giovanni Polli. Annali di Chimica applicati alla Medicina 72, 57-62, 116-123, 181-188, 243-250, 305-315, 368-380, 1881 6. Ambrosioni F: Dello zucchero nelle urine e nel sangue dei diabetici. Annali Universali di Medicina 74, 160166, 1835 7. Strambio G: Il professore Giovanni Polli. Annali di Chimica Applicati alla Medicina 78, 45-60, 115-127, 178-191, 238-254, 300-315, 368-375, 1884 8. Dall’Olio G: Personaggi della Chimica Clinica italiana dell’Ottocento. Caleidoscopio letterario n. 26, Medical Systems, Genova, 2000 Corrispondenza a: Dott. Giuliano Dall’Olio, Laboratorio di Chimica Clinica ed Ematologia, Ospedale “S.Bortolo”, Viale Rodolfi 37, 36100 Vicenza - e-mail: [email protected] Pervenuto in Redazione il 19/2/2003 - Accettato per la pubblicazione il 5/3/2003 90