Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLIV n. 250 (46.792) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano sabato 1 novembre 2014 . Papa Francesco invita i carismatici a non temere le diversità e a cercare l’unità che è opera dello Spirito Accordo tra Ucraina, Russia e Ue Col ritmo del respiro Scongiurata in Europa l’emergenza gas «Quando inspiriamo, nella preghiera, riceviamo l’aria nuova dello Spirito e nell’espirarlo annunciamo Gesù Cristo». Ha scelto un’immagine suggestiva Papa Francesco per invitare i carismatici a «conoscere e accettare con gioia i diversi doni che lo Spirito Santo dà ad ognuno e metterli al servizio di tutti nella Chiesa». Incontrando nella mattina di venerdì 31 ottobre, nell’Aula Paolo VI, un migliaio di membri della Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships — giunti da tutto il mondo per partecipare alla XVI Conferenza internazionale sul tema «Lode e adorazione per una nuova evangelizzazione» — il vescovo di Roma ha raccomandato anzitutto di ricercare l’unità e di non temere le diversità, perché «unità non è uniformità, non è fare obbligatoriamente tutto insieme, né pensare allo stesso modo». Al contrario, significa «saper ascoltare, accettare le differenze, avere la libertà di pensare diversamente e manifestarlo! Con tutto il rispetto per l’altro che è il mio fratello». Successivamente il Pontefice ha approfondito il tema della necessità e dell’importanza della preghiera di lode, particolarmente cara al Rinnovamento carismatico. «Quando si parla di preghiera di lode nella Chiesa — ha spiegato — vengono in mente i carismatici», però essa «non è solamente la preghiera dei carismatici, ma di tutta la Chiesa! È il riconoscimento della signoria di Dio su di noi e sopra tutto il creato espresso nella danza, nella musica e nel canto». E in proposito ha voluto manifestare un personale ringraziamento al gruppo di giovani musicisti provenienti dal nord del Brasile che hanno suonato durante l’udienza. Insieme alla preghiera di lode, Francesco ha poi richiamato la preghiera di intercessione, la quale — ha detto — «è oggi un grido al Padre per i nostri fratelli cristiani perseguitati e assassinati e per la pace nel nostro mondo sconvolto». Da qui la consegna: «Lodate sempre il Signore, non smettete di farlo, lodatelo sempre di più, incessantemente». Negli appunti del segretario di Stato di Pio XI lo specchio di una difficile situazione I fogli di Pacelli SERGIO PAGANO A PAGINA 5 Infine salutando il pastore evangelico Giovanni Traettino, il Papa ha esortato a non dimenticare le origini e la natura ecumenica del movimento. «Ecumenismo spirituale, pregare insieme e annunziare insieme che Gesù è il Signore e intervenire insieme in aiuto dei poveri, in tutte le lo- ro povertà: questo si deve fare», ha concluso, ripetendo che «oggi il sangue di Gesù, versato dai suoi molti martiri cristiani in varie parti del mondo, ci interpella e ci spinge all’unità». Del resto, ha fatto notare, «per i persecutori, noi non siamo divisi, non siamo luterani, ortodossi, evangelici, cattolici… No! Siamo uno! Per i persecutori siamo cristiani! Non interessa altro. Questo è l’ecumenismo del sangue che oggi si vive». PAGINA 8 L’esercito dichiara decaduti Governo e Parlamento e il presidente si dimette BRUXELLES, 31. Scongiurata l’emergenza gas per il prossimo inverno non solo per l’Ucraina ma per l’intera Europa. L’accordo tra Kiev, Mosca e l’Ue è stato raggiunto ieri sera dopo due giorni di negoziati e garantirà la fornitura fino a marzo 2015 grazie a un’intesa che prevede parte del saldo del debito ucraino e il pre-pagamento delle forniture per la prossima stagione invernale. L’intesa comprende un protocollo vincolante che assicura le forniture di gas a Kiev sino a marzo 2015 e un’aggiunta al contratto tra Naftogaz e Gazprom. Testimoni della firma il presidente della Commissione europea, José Manuel Durão Barroso e il vicepresidente Maroš Šefčovič. A porre la sigla i ministri per l’Energia russo, Alexander Novak, e quello ucraino, Iuri Prodan, gli amministratori delegati di Naftogaz e Gazprom e il commissario Ue all’Energia, Günther Oettinger, che ha reso noti alcuni passaggi dell’intesa. L’accordo — è stato spiegato — prevede una cifra di circa 4,6 miliardi di dollari tra il saldo del debito ucraino nei confronti di Mosca e le forniture di gas da ora a marzo 2015. Il debito pregresso, pari a 3,1 miliardi, sarà pagato in due tranche: la prima da 1,45 miliardi che Kiev dovrà versare oggi e i restanti 1,65 miliardi entro fine anno. L’Ucraina garantisce i pagamenti grazie a un prestito del Fondo monetario internazionale per il pregresso, mentre il pagamento delle nuove forniture — è stato spiegato nel corso di una conferenza stampa al termine dell’incontro — viene garantito dai finanziamenti già previsti dai programmi di assistenza finanziaria Fmi-Ue, a cui se ne aggiungerà un terzo nell’anno nuovo. Il prezzo è stato fissato in 385 dollari per mille metri cubi di gas. Si tratta di un accordo che «garantisce la sicurezza energetica dell’Ucraina e dei nostri Paesi» cui ora deve seguire, come priorità, l’attuazione dell’accordo di Minsk, ha sottolineato Barroso auspicando che «l’intesa sul gas» raggiunta ieri sera «faccia crescere la fiducia reciproca» tra Mosca e Kiev. Da parte sua l’Unione europea «svolgerà tutto il suo ruolo per facilitare l’attuazione dell’accordo raggiunto» a Bruxelles. Lo hanno garantito il presidente francese e il cancelliere tedesco, François Hollande e Angela Merkel, i quali, secondo un comunicato diffuso dall’Eliseo, hanno avuto colloqui con il presidente russo, Vladimir Putin, e quello ucraino, Petro Poroshenko. I quattro leader hanno «accolto con favore» la conclusione dei negoziati. Dal canto suo, il portavoce di Gazprom, Serghiei Kupryanov, ha detto che «l’accordo è un passo importante nel prevenire interruzioni delle forniture di gas in Europa questo inverno». Secondo Kupryanov, «Gazprom ha dimostrato una notevole flessibilità per rendere possibile quest’intesa». Il gruppo «è e sarà un fornitore di gas affidabile per l’Europa», ha continuato il rappresentante di Gazprom, auspicando che l’accordo sia «l’inizio di un nuovo capitolo, più costruttivo nei rapporti energetici tra Ue, Russia e Ucraina». Degenera la crisi in Burkina Faso OUAGAD OUGOU, 31. Degenera nel Burkina Faso la crisi innescata dall’iniziativa del presidente, Blaise Compaoré, al potere dal 1987, di modificare la Costituzione che gli impedisce di concorrere l’anno prossimo per un ulteriore mandato. Oggi il Parlamento, controllato dal partito di Compaoré, avrebbe dovuto appunto pronunciarsi su un disegno di legge governativo per tenere in aprile un referendum per modificare la Costituzione. Ma ieri l’iniziativa di disubbidienza civile proclamata dall’opposizione, che già due giorni fa aveva portato in piazza nella capitale Ouagadougou centinaia di migliaia di persone, è sfociata in un assalto al Parlamento Le credenziali del nuovo ambasciatore del Belgio che è stato incendiato. Secondo fonti concordi, negli scontri ci sarebbero stati una trentina di morti. A quel punto, il capo delle forze armate, il generale Honoré Nabere Traoré, aveva annunciato lo scioglimento del Parlamento, la decadenza del Governo e l’avvio di una transizione per un anno, fino alle previste elezioni dell’ottobre 2015. In tarda mattinata, il colonnello Isaac Zida, comandante della guardia presidenziale, ha detto alle centinaia di migliaia di persone che ancora sono in piazza che Compaoré si è dimesso. Il presidente, in nottata aveva dichiarato che non intendeva farlo, ma al tempo stesso aveva annunciato il ritiro del controverso progetto di revisione costituzionale, assicurando che sarebbe rimasto in carica solo per il periodo di transizione stabilito dall’esercito, confermando lo scioglimento del Governo e del Parlamento. Ancora questa mattina, migliaia di manifestanti avevano posto una sorta d’assedio alla sede dello Stato maggiore delle forze armate, chie- dendo le dimissioni del generale Traoré, considerato troppo vicino al presidente. Già durante la notte, sfidando il coprifuoco imposto dai militari, i manifestanti erano rimasti in piazza, continuando a chiedere le dimissioni di Compaoré. Sempre stamani, con un comunicato trasmesso dall’emittente radiofonica Omega, l’opposizione ha chiesto al popolo del Burkina Faso di «mantenere l’occupazione sistematica dello spazio pubblico» per chiedere che Compaoré se ne vada, senza alcuna discussione. Tra i primi commenti stranieri c’è stato quello del ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, con l’auspicio che «si vada verso un ritorno alla calma». Fabius ha assicurato che non c’è pericolo per i tremilacinquecento francesi, civili e militari, presenti in Burkina Faso, uno dei Paesi del Sahel dove la Francia ha dispiegato truppe. Oggi a Ouagadougou è atteso l’inviato speciale dell’Onu per l’Africa occidentale, Mohamed Ibn Chambas. Il numero di novembre di «donne chiesa mondo» In occasione della solennità di Tutti i Santi il nostro giornale non uscirà. L’appuntamento mensile con l’inserto «donne chiesa mondo» è perciò rimandato alla ripresa della pubblicazione dell’edizione quotidiana che avverrà con la data 3-4 novembre. Il tema affrontato questo mese è il contributo intellettuale delle donne alla costruzione della tradizione cattolica. Un contributo importante che però — ricorda Lucetta Scaraffia nell’editoriale — «spesso è stato dimenticato, o non riconosciuto». Nancy Earle, «Circle of Friends» (1997) NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori: y(7HA3J1*QSSKKM( +&!=!#!z!#! — Luis Francisco Ladaria Ferrer, Arcivescovo titolare di Tibica, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede; — Martin Krebs, Arcivescovo titolare di Taborenta, Nunzio Apostolico in Nuova Zelanda, Fiji, Isole Cook, Kiribati, Palau, Samoa, Stati Federati di Micronesia, Vanuatu, Tonga; Delegato Apostolico nell’Oceano Pacifico; — Sérgio da Rocha, Arcivescovo di Brasília (Brasile). Nella mattina di giovedì 31 Papa Francesco ha ricevuto in udienza Sua Eccellenza il Signor Bruno Nève de Mévergnies, nuovo ambasciatore del Belgio, per la presentazione delle lettere con cui viene accreditato presso la Santa Sede Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Bruno Nève de Mévergnies, Ambasciatore del Bel- gio, per la presentazione delle Lettere Credenziali. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo di Yaoundé (Camerun) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Jean Mbarga, finora Vescovo di Ebolowa e Amministratore Apostolico della medesima Arcidiocesi di Yaoundé. Il Santo Padre ha nominato Consultori della Congregazione delle Cause dei Santi il Reverendissimo Padre Bernard Ardura, O. Praem., Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche; i Reverendi Monsignor Alejandro Cifres Giménez, Archivista della Congregazione per la Dottrina della Fede; Don Paolo Carlotti, S.D.B., Consigliere della Penitenzieria Apostolica; Padre Tomislav Mrkonjić, O.F.M. Conv., Scriptor dell'Archivio Segreto Vaticano; Padre Paul Murray, O.P., Preside dell’Istituto di Spiritualità della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino; Padre Martin McKeever, C.SS.R., Preside dell’Accademia Alfonsiana; Padre Jordi-Augustí Piqué Collado, O.S.B., Preside del Pontificio Istituto Liturgico del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo; Padre Rocco Ronzani, O.S.A., Vice Preside dell’Istituto Patristico “Augustinianum”; Padre Pablo Santiago Zambruno, O.P., Docente presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino; Padre Raffaele Di Muro, O.F.M. Conv., già Docente alla Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura”; gli Illustrissimi Professor Gabriele Zaccagnini, già Docente all’Università di Pisa; Professoressa Angela Ales Bello, Membro Ordinario della Pontificia Accademia di Teologia. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 sabato 1 novembre 2014 Juncker, a sinistra con Durão Barroso (Reuters) Intervento della Santa Sede all’O nu Responsabilità di proteggere dai cambiamenti climatici Pubblichiamo la traduzione italiana dell’intervento pronunciato il 16 ottobre a New York dall’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, al secondo comitato dell’assemblea generale, sul tema: Sviluppo sostenibile, protezione del clima globale per le generazioni presenti e future. Signor Presidente, La Santa Sede condivide la visione del Gruppo di lavoro aperto sull’agenda di sviluppo post-2105, identificando lo sradicamento della povertà estrema e la necessità di assicurare la sostenibilità ambientale come due tra le sfide più urgenti che dobbiamo affrontare, ora e oltre il 2015. Oggi desidero parlare brevemente della seconda. Signor Presidente, Se l’impatto del cambiamento climatico è sentito a livello globale, i Paesi sviluppati e tecnologicamente progrediti hanno una maggiore capacità di adattarsi e di mitigare gli effetti avversi, mentre le nazioni in via di sviluppo e povere continuano Durão Barroso lascia a Juncker la guida della Commissione Passaggio di consegne ai vertici dell’Unione europea BRUXELLES, 31. Passaggio di testimone fra José Manuel Durão Barroso e Jean-Claude Juncker alla guida della Commissione europea. In una cerimonia al Berlaymont, l’edificio di Bruxelles che ospita la sede dell’Esecutivo comunitario, Durão Barroso e Juncker hanno scoperto una fotografia del presidente uscente della Commissione, esposta assieme ai ritratti dei presidenti precedenti, raccolti nell’atrio del palazzo. Durão Barroso ha salutato commosso i dipendenti della Commissione. «Dopo dieci anni alla guida dell’Esecutivo dell’Ue devo dire addio a chi ha lavorato con me. Sono stati anni difficili, ma molto importanti sul piano politico. E nonostante le difficoltà siamo riusciti a rispondere a una crisi senza precedenti», ha dichiarato nel corso della cerimonia. La Commissione, ha continuato, «è un’istituzione insostituibile e indispensabile nell’Unione europea e non sarebbe potuta finire in mani migliori di quelle di Juncker, una personalità con grandi capacità e competenze e con un vero spirito europeista». Nel tracciare un bilancio dei suoi due mandati, il presidente uscente si è detto «molto preoccupato per l’enorme disconnessione dei cittadini e il facile richiamo dei populismi». «Ora — ha aggiunto — il nuovo Esecutivo dovrà esercitare la sua attenzione sull’aspetto sociale e sulla responsabilità democratica» delle decisioni prese a Bruxelles. Dopo avere difeso le scelte della Commissione in un periodo difficile come quello della crisi del debito sovrano, il cinquantottenne Durão Barroso ha detto di non avere ancora deciso se in futuro avrà nuovi incarichi nazionali o internazionali o che cosa farà: «Per ora — ha osservato — dopo trent’anni di politica in Portogallo e in Europa, credo di meritarmi una pausa». L’ex premier portoghese ha confermato che per Paolo Gentiloni nominato ministro degli Esteri italiano ROMA, 31. Sarà Paolo Gentiloni il nuovo ministro degli Esteri italiano. La notizia è stata diffusa nella tarda mattinata di oggi dall’agenzia Ansa che ha ripreso fonti della maggioranza. Il giuramento dovrebbe avvenire nel pomeriggio al Quirinale. Deputato del partito democratico, Gentiloni fa parte della commissione Esteri. Giornalista professionista, ha lavorato al comune di Roma, ricoprendo numerosi incarichi. Eletto in Parlamento dal 2001, è stato presidente della commissione di vigilanza Rai e ministro delle Comunicazioni nel biennio 2006-2008. Prende il posto lasciato vacante da Federica Mogherini, dimessasi ieri per assumere l’incarico di alto rappresentante della Politica estera e di Sicurezza comune nella nuova Commissione europea che entrerà in carica domani I novembre. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt 00120 Città del Vaticano [email protected] http://www.osservatoreromano.va ora terrà solo alcune conferenze e lezioni, molte delle quali all’università di Bruxelles. Juncker e il nuovo collegio dei commissari si insedieranno ufficialmente alla guida dell’Esecutivo dell’Unione europea domani, sabato, e rimarranno in carica per i prossimi cinque anni. In lizza 14 candidati ma la sfida è tra il premier Victor Ponta e il liberale Klaus Iohannis Alle urne per le presidenziali in Romania BUCAREST, 31. Ultime battute di campagna elettorale in Romania — terminerà domani mattina alle 7 — dove domenica è in programma il primo turno delle presidenziali, a poco meno di cinque anni dalla consultazione che diede il secondo mandato al conservatore Traian Băsescu. Questa volta però il capo di Stato uscente resterà a guardare da spettatore dal momento che la Costituzione romena non prevede più di due mandati consecutivi. Il favorito alla successione di Băsescu è il suo avversario e attuale primo ministro, Victor Ponta, leader socialdemocratico. Sembra tuttavia guadagnare terreno Klaus Iohannis, numero uno del partito liberale e sindaco di Sibiu. E comunque sembra certo, a meno di clamorosi colpi di scena, che nessuno al primo turno supererà la soglia del 50 per cento e che con tutta probabilità Ponta e Iohannis si giocheranno la presidenza nel ballottaggio del 16 novembre. La campagna elettorale è stata polarizzata sui due maggiori sfidanti che si sono affrontati sui temi fiscali, sulla crescita del Paese (in lieve ripresa con un 2,5 per cento annuo secondo le previsioni), sulla corruzione, ma anche su attacchi personali. Secondo l’ultimo sondaggio pubblicato dal quotidiano «Gandul», Victor Ponta potrebbe ottenere dal 36 al 40 per cento dei consensi, rispetto al 30 per cento di cui è accreditato il candidato liberale. Osservatori e analisti ritengono che molto dipenderà anche dall’affluenza alle urne. La sensazione però è che Iohannis possa ribaltare le previsioni della vigilia, contando sull’appoggio degli altri 12 candidati i principali dei quali appartengono al centrodestra. Un operaio sistema un enorme manifesto elettorale a Bucarest (LaPresse/Ap) a essere particolarmente vulnerabili. Durante il vertice sul clima del 23 settembre e in molte altre occasioni, abbiamo ascoltato gli appelli urgenti di piccoli Stati insulari per i quali il cambiamento climatico costituisce una minaccia esistenziale. Ciò è paradossale e ingiusto, dato che i fattori principali del cambiamento climatico, come i consumi elevati e l’alta quantità di emissioni di gas serra, caratterizzano le società altamente industrializzate. Per questo la Santa Sede ritiene che il cambiamento climatico non sia solo una questione ambientale; è anche una questione di giustizia e un imperativo morale. È una questione di giustizia aiutare le persone povere e vulnerabili che più soffrono per cause che, in gran parte, non sono dovute a loro e che sono fuori dal loro controllo. Un passo concreto sarebbe di permettere loro di accedere alla miglior tecnologia per l’adattamento e il mitigamento. E ora tutti gli sguardi sono già rivolti alla ventunesima Conferenza delle parti della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite e sull’undicesimo Incontro delle parti del Protocollo di Kyoto, che si svolgerà a Parigi nel dicembre 2015. Lì, i poveri e i ricchi — di fatto ognuno di noi — ne usciranno vincitori se riusciremo a raggiungere un accordo su un regime internazionale post2020, in cui tutte le nazioni nel mondo, comprese quelle con le più alte emissioni di gas serra, si impegneranno in un trattato universale sul clima. È in questo senso che la mia Delegazione vede la rilevanza dell’espressione “responsabilità di proteggere” non solo nelle aree del diritto umanitario e dei diritti umani, ma anche nella questione del cambiamento climatico. Tutti condividono la responsabilità di proteggere il nostro pianeta e la famiglia umana. Papa Francesco ha ripetutamente sottolineato l’importanza di proteggere il nostro ambiente, che troppo spesso sfruttiamo avidamente, a mutuo detrimento, invece di usarlo per il bene. Facciamo la scelta coscienziosa di astenerci da stili di vita e comportamenti che possono aggravare lo stato del nostro pianeta, e promoviamo iniziative che lo proteggano e lo guariscano! Il mondo è diventato un villaggio; pertanto, dobbiamo divenire sempre più consapevoli di questa responsabilità reciproca e comune. In particolare, gli Stati hanno il serio dovere di decidere politiche e ideare strutture di monitoraggio per assicurare che le generazioni presenti e future vivano in un ambiente sicuro e dignitoso. Signor Presidente, Mentre non occorre precisare che la sfida della protezione del clima globale esige un grande impegno politico ed economico da parte della comunità internazionale, non siamo però sempre consapevoli del fatto che occorrono anche prudenza e onestà scientifica perché non cediamo all’orgoglio, agli eccessi e agli errori. Essa ci invita all’umiltà e alla comprensione reciproca, poiché non tutti sono d’accordo su ogni dato e su ogni analisi dello stato dell’ambiente del nostro mondo. Tuttavia, una cosa è chiara: abbiamo un’“alleanza morale” con il nostro ambiente, a motivo della quale tutti i paesi e le persone devono impegnarsi a lavorare insieme per renderlo un posto sano in cui vivere per le generazioni presenti e future. Ci siamo dentro tutti. Adempiere questa responsabilità comune è alla nostra portata. Adesso. Grazie, Signor Presidente. Incendiata la residenza del governatore di Guerrero Le famiglie degli studenti scomparsi ricevute dal capo dello Stato messicano CITTÀ DEL MESSICO, 31. Il presidente messicano, Enrique Peña Nieto, ha ricevuto le famiglie dei 43 studenti scomparsi nello Stato di Guerrero. Nel corso del colloquio che si è protratto per diverse ore, le famiglie dei ragazzi hanno avanzato una lista di dieci richieste. Peña Nieto ha risposto promettendo un nuovo “piano di ricerche” che assicuri anche che i responsabili siano portati davanti alla giustizia. Prima di incontrare il presidente le famiglie degli studenti erano state ricevute dal ministro dell’Interno, GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Carlo Di Cicco vicedirettore Piero Di Domenicantonio Miguel Ángel Osorio Chong, e dal procuratore generale, Jesús Murillo Karam. «Ci aspettavamo qualcosa. Qualcosa che ci confermasse che stiamo per ritrovare i ragazzi», ha detto ai giornalisti Felipe Cruz, portavoce dei parenti dei giovani, aggiungendo che «dopo tanti giorni e con tutta la forza dello Stato non si riescono a trovare 43 ragazzi. Ci sembra incredibile, ed è per questo che non ci fidiamo». Fino a ora 56 persone sono state arrestate. Tra loro anche ufficiali di polizia, mentre il sindaco di Iguala, Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va José Luis Abarca, considerato il principale responsabile della sparizione dei giovani, è latitante dal 26 settembre. I ragazzi erano scomparsi il 26 settembre proprio a Iguala, cittadina di 140.000 abitanti situata circa 200 chilometri a sud di Città del Messico. Frequentavano la scuola di Ayotzinapa, sempre nello Stato di Guerrero, e partecipavano a una manifestazione contro i narcos. Secondo quanto emerso finora, la polizia una volta proceduto al loro arresto, li avrebbe consegnati a espo- Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale nenti della gang di narcotrafficanti Guerreros Unidos. Intanto, ieri è ancora una volta scoppiata la rabbia dei compagni degli studenti scomparsi, con scontri che hanno visto dare alle fiamme la casa del governatore di Guerrero, mentre il nuovo sindaco di Iguala ha presentato le sue dimissioni solo sette ore dopo aver assunto il suo mandato. Le autorità hanno intanto annunciato il ritrovamento di una nuova fossa comune, con almeno 13 corpi, a Ocotitlán, 450 chilometri a est di Iguala. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Il nuovo ambasciatore del Belgio Sua Eccellenza il Signor Bruno Nève de Mévergnies, nuovo ambasciatore del Belgio presso la Santa Sede, è nato a Liegi il 12 luglio 1951. È sposato e ha quattro figli. Laureato in diritto, ha successivamente conseguito una specializzazione in diritto internazionale, ha intrapreso la carriera diplomatica nel 1978 come funzionario presso il ministero degli Affari esteri e ha in seguito ricoperto i seguenti incarichi: addetto d’Ambasciata a Bonn (febbraio 1979 – giugno 1979); funzionario presso il ministero degli Affari esteri (luglio 1979 – agosto 1980); addetto d’ambasciata a Kinshasa (agosto 1980 – luglio 1984); primo segretario d’ambasciata a Washington (settembre 1984 – agosto 1988); primo segretario della rappresentanza permanente presso l’Unione europea a Bruxelles (settembre 1988 – agosto 1989); segretario della Regina Fabiola (settembre 1989 – agosto 1996); ministro consigliere a Bonn (settembre 1996 – luglio 1999); in servizio presso il ministero degli Affari esteri (agosto 1999 – settembre 2002; agosto 2006 – ottobre 2009); ambasciatore a Varsavia (settembre 2002 – agosto 2006); ambasciatore al Cairo (ottobre 2009 – settembre 2012); vice capo del Gabinetto del Re, consigliere per la stampa del Palazzo reale (2012-2013); in servizio presso il ministero degli Affari esteri (2012-2014). A Sua Eccellenza il Signor Bruno Nève de Mévergnies, nuovo ambasciatore del Belgio presso la Santa Sede, giungano, nel momento in cui si accinge a ricoprire il suo alto incarico, le felicitazioni del nostro giornale. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO sabato 1 novembre 2014 pagina 3 Il luogo di un attentato dinamitardo a Homs (Reuters) Lo promette Nidaa Tounes Avanti sulla via del dialogo dopo il voto in Tunisia TUNISI, 31. Il partito laico di Nidaa Tounes (Appello per la Tunisia), uscito vincitore dalle elezioni politiche di domenica scorsa, ha promesso di «proseguire sulla via del dialogo e della concordia nazionale». Nonostante il risultato che lo porta a essere il primo partito del Paese, il movimento laico di Beji Caïd Essebsi ha fatto sapere in una nota che «resterà fedele alla via del dialogo e della concordia nazionale necessaria per portare a termine la fase di transizione, arrivando da una posizione di precarietà a una di stabilità». Per questo i dirigenti di Nidaa Tounes chiedono a tutti gli altri partiti «di assumere una posizione analoga evitando toni accentuati ed estremismi». D’altra parte, il panorama politico tunisino che esce dai risultati definitivi delle legislative di domenica vede confermato un sostanziale bipolarismo imperniato sui due partiti maggiori con 85 seggi a Nidaa Tounes e 69 a Ennhadha. Sarà necessario dunque formare alleanze per poter governare il Paese, raggiungendo in Parlamento la maggioranza di almeno 109 deputati sui 217 totali. In queste ore si fanno le congetture più varie sulle future compagini parlamentari, e si parla anche di grande coalizione tra i due partiti rivali. Ma si tratta per ora di supposizioni visto che gli stessi protagonisti hanno posticipato ogni decisione a dopo l’elezione del presidente della Repubblica, prevista per il 23 novembre. Il leader di Ennhadha, Rachid Ghannuchi, uscito sconfitto dal voto, ieri ha dichiarato: «Noi siamo per un Governo di unità nazionale con ampia base popolare», precisando che al momento Ennhadha «non ha avviato consultazioni con altri partiti politici». Quanto alla possibilità di allearsi con Nidaa Tounes, il leader islamico ha precisato che il suo partito «non pone alcun veto, siamo aperti a tutte le opzioni — ha detto — sia che saremo al potere o all’opposizione». A fare la differenza, schierandosi da una parte o dall’altra, potrebbe essere l’Unione patriottica libera (Upl) di Slim Rihahi, che a sorpresa ha ottenuto 16 parlamentari. Nell’ultima campagna elettorale Rihahi ha però attaccato duramente i due maggiori partiti. Un inedito incontro al vertice nel Myanmar Per consentire aiuti umanitari alle popolazioni L’Onu chiede aree smilitarizzate in Siria NEW YORK, 31. L’offensiva dello Stato islamico (Is) ha reso, se possibile, ancora più drammatica la condizione di popolazioni civili stremate da anni e anni di conflitti, parcellizzati e latenti in Iraq, manifesti in Siria. Alla luce di tale situazione, l’Onu propone la creazione, in particolare in Siria, di aree smilitarizzate nelle quali trasferire gli aiuti umanitari alle popolazioni. Nella sua prima relazione di fronte al Consiglio di sicurezza da quando si insediò nell’incarico, l’inviato dell’Onu in Siria, Staffan De Mistura, ha precisato che da parte sua sarebbe presuntuoso parlare di piano di pace, ma nello stesso tempo ha sottolineato di essere al lavoro per un piano di azione che prevede proprio la realizzazione di queste aree. De Mistura ha spiegato che una dovrebbe essere ad Aleppo, la cui popolazione vive una situazione tragica e dove anche ieri sono stati segnalati duri combattimenti tra forze governative, appoggiate dai miliziani sciiti libanesi di Hezbollah, e ribelli di matrice fondamentalista islamica. È stato intanto diffuso dal Consiglio di sicurezza un rapporto dal quale risulta che tra le file dell’Is ci sono almeno quindicimila combattenti che non hanno cittadinanza siriana o irachena. Provengono da ottanta Paesi e molti di loro non hanno mai avuto nulla a che fare con il terrorismo di matrice fondamentalista islamica. La cifra è superiore a quella finora stimata dall’intelligence statunitense. Sul fronte di Kobane, la città siriana al confine con la Turchia investita un mese e mezzo fa da un’offensiva dell’Is e strenuamente difesa dai peshmerga curdi, nelle ultime ore si sono intensificati i raid aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti. Non ci sono stati invece combattimenti terrestri, anche se in città continuano ad affluire da oltre la frontiera turca i rinforzi da parte dei curdi iracheni e dei combattenti dell’Esercito libero siriano, espressione dell’opposizione insorta tre anni e mezzo fa contro il presidente Bashar Al Assad. La vicenda minaccia di acuire le divergenze internazionali. Il Governo di Damasco, che sotto questo aspetto ha avuto finora pieno appoggio da quello di Mosca, è tornato ad accusare la Turchia di interferenza negli affari interni siriani per aver fatto transitare i rinforzi diretti a Kobane. Il candidato del Frelimo Ancora una strage di civili presidente del Mozambico nel Nord Kivu KINSHASA, 31. Almeno 14 persone sono state uccise a colpi di machete nella tormentata regione orientale congolese del Nord Kivu. È accaduto nella località di Kampi ya Chui, settanta chilometri a nord-est della città di Beni, in un attacco compiuto nella notte tra mercoledì e giovedì, quando tra l’altro si trovava in visita proprio a Beni il presidente congolese, Joseph Kabila. Sempre mercoledì, erano stati trovati i corpi di nove persone uccise nella vicina località di Mavivi. Nel denunciare ieri l’accaduto, fonti locali hanno attribuito anche quest’ultima incursione all’Alleanza Timori di ulteriori violenze a Gerusalemme TEL AVIV, 31. I rapporti tra israeliani e palestinesi a Gerusalemme si stanno avviando verso una pericolosa escalation. Lo ha detto ieri sera il capo del dipartimento di Stato americano, John Kerry, che ha invitato Israele a riaprire la spianata delle moschee ai fedeli musulmani. «Le parti devono esercitare moderazione — ha dichiarato Kerry — e tenersi lontane da provocazioni per preservare lo status quo» sulla spianata. In precedenza, il presidente palestinese, Mahmud Abbas, aveva condannato duramente la decisione del Governo israeliano di chiudere la spianata delle moschee (un provvedimento che non veniva adottato dal settembre del 2000), dopo che ieri il rabbino Yehuda Glick è stato ferito gravemente mentre prendeva parte a una conferenza per chiedere che anche gli ebrei possano pregare nella città vecchia. Il presunto autore dell’attentato, rivendicato stamane dal movimento della Jihad islamica palestinese, è stato ucciso ieri dalla polizia israeliana. Stamattina la spianata è stata riaperta, ma con dure restrizioni. E la tensione resta alta. Con un intervento sul quotidiano «Dagens Nyheter», il ministro degli Esteri svedese, Margot Wallström, ha confermato che ieri il Governo di Stoccolma ha riconosciuto ufficialmente la Palestina. Nel frattempo si susseguono le notizie di feroci stragi perpetrate sui fronti iracheni dai combattenti dell’Is. Un rapporto diffuso ieri da Human Rights Watch (Hrw) riferisce che lo scorso 10 giugno i miliziani jihadisti hanno ucciso circa seicento uomini, in maggioranza sciiti, ma anche yazidi e curdi, detenuti nel carcere di Badoush alla periferia di Mosul, nel nord dell’Iraq. Sulla base dei racconti di quindici testimoni sfuggiti al massacro, Hrw precisa che i miliziani dell’Is, dopo avere occupato la città, sono penetrati nel carcere, hanno separato i detenuti sunniti e cristiani da quelli sciiti o appartenenti alle comunità yazida e curda. I primi sono stati successivamente rilasciati. Gli altri, appunto circa seicento uomini, sono stati portati vicino a un burrone a due chilometri dal carcere e uccisi a raffiche di fucili d’assalto. I loro corpi sono stati bruciati. I superstiti hanno aggiunto che gran parte degli autori della strage erano stranieri. «Gli orribili dettagli delle uccisioni di massa di detenuti da parte dell’Is rendono impossibile negare la brutalità di questo gruppo estremista», ha detto Letta Tayler, di Hrw, presentando il rapporto. delle forze democratiche - Esercito nazionale di liberazione dell’Uganda (Adf-Nalu), già responsabile della morte di circa cento civili nelle ultime due settimane. L’Adf-Nalu è uno dei tanti gruppi armati, locali e stranieri, attivi da decenni nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Il Governo di Kinshasa ha confermato il nuovo attacco, ma ha detto che sulle sue conseguenze non si hanno ancora notizie certe. «C’è stato un attacco concluso con vittime e l’arresto di un ribelle», si è limitato a dichiarare il ministro dell’Interno, Richard Muyej. NAYPYIDAW, 31. Il presidente del Myanmar, Thein Sein, ha convocato una riunione senza precedenti con le principali forze politiche e i vertici militari del Paese asiatico, per parlare delle riforme democratiche, delle prossime elezioni e del processo di pace con le minoranze etniche ribelli. Il summit, che si svolge nella remota capitale, Naypyidaw, è stato l’occasione di un raro incontro con il leader dell’opposizione e premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi. È la prima volta che il presidente organizza un vertice con queste caratteristiche da quando a sorpresa, nel 2011, l’ultima giunta militare si è disciolta e ha consegnato il potere a un Governo civile affine. Il partito di Aung San Suu Kyi, la Lega nazionale per la democrazia, è dato nettamente favorito alle prossime elezioni legislative del 2015. Prima donna afghana alla Corte suprema KABUL, 31. Una donna siederà per la prima volta nella storia dell’Afghanistan tra i giudici della Corte suprema. Lo ha annunciato il presidente Ashraf Ghani lasciando intendere che la nomina avverrà a breve. L’annuncio, come si legge sul giornale «Khaama Press», è arrivato durante il discorso di Ghani alla Xinhua University di Pechino, dove il presidente termina oggi una visita ufficiale di quattro giorni. Anche se per ora è solo un annuncio si tratta già di una piccola rivoluzione per un Paese in cui le violenze commesse contro le donne restano spesso impunite e i loro diritti vengono spesso ignorati o calpestati. Per Ghani «le donne hanno diritto» di partecipare pienamente alla vita del Paese. La Corte suprema afghana è composta da nove membri scelti dal presidente. Le nomine devono poi essere confermate con un voto del Parlamento di Kabul e successivamente il presidente è chiamato a indicare il capo della Corte Suprema. Nei giorni scorsi si è dimesso il presidente della Corte, Abdul Salam Azimi, e al suo posto Ghani ha promosso Abdul Rashid Rashid, uno dei nove giudici della Corte che quindi attualmente conta otto membri. Disposti dalla Banca mondiale per aiutare i Paesi colpiti dall’epidemia Altri finanziamenti contro l’ebola Filipe Jacinto Nyussi, nuovo capo dello Stato mozambicano (Afp) MAPUTO, 31. Filipe Jacinto Nyussi è il nuovo presidente del Mozambico. Candidato alle presidenziali di due settimane fa dal Fronte di liberazione del Mozambico (Frelimo), il partito al potere fin dall’indipendenza del Paese dal Portogallo nel 1975, Nyussi ha ottenuto il 57,3 per cento dei consensi. Lo ha annunciato la Commissione elettorale, sciogliendo la riserva sul conteggio dei voti. Il Frelimo ha conquistato nelle contemporanee elezioni legislative 144 seggi sui 250 parlamentari. Ne aveva 191 nella precedente legislatura, al cui inizio nel 2009 il suo lea- der Armando Emilio Guebuza, era stato eletto presidente con il 75 per cento dei voti. In crescita appare la principale formazione di opposizione, la Resistenza nazionale mozambicana (Renamo), che passa da 51 a 89 seggi. Nel voto per la presidenza, Afonso Dhlakama, il leader della Renamo, ha avuto il 36,6 per cento dei consensi. Il Movimento democratico del Mozambico (Mdm) avrà su 17 deputati (erano 8) sulla base di circa il 6 per cento dei voti, più o meno quelli andati al suo candidato alla presidenza, Daviz Simago. WASHINGTON, 31. La Banca mondiale ha annunciato oggi un ulteriore finanziamento di cento milioni di dollari per aiutare i Paesi coinvolti dall’emergenza ebola in Africa occidentale a reclutare operatori sanitari preparati ad affrontare il virus. La decisione — si legge in una nota pubblicata sul sito dell’organismo basato a Washington — porta negli ultimi tre mesi il totale dell’impegno economico dell’istituto nella lotta contro l’epidemia, in Guinea, Liberia e in Sierra Leone, a più di cinquecento milioni di dollari. «La risposta del mondo alla crisi ebola è aumentata notevolmente nelle ultime settimane, ma — ha affermato Jim Yong Kim, presidente della Banca mondiale — abbiamo ancora un enorme divario da colmare. Soprattutto c’è la mancanza nei Paesi con i più alti tassi d’infezione di operatori sanitari addestrati all’assistenza». La speranza — ha concluso — «è che questi cento milioni di dollari possano aiutare a reclutare velocemente medici e infermieri nelle comunità che ne hanno un gran bisogno». Anche la Cina ha deciso di intervenire contro la malattia. Il Governo di Pechino, infatti, invierà una task-force dell’esercito in Liberia per aiutare il Paese nella lotta all’ebola. Lo ha reso noto oggi il ministero degli Esteri, rispondendo così all’appello delle Nazioni Unite che hanno chiesto un maggiore sforzo globale. Il team dell’esercito, che era già sceso in campo contro l’epidemia di Sars nel 2002, costruirà un centro di cura con cento posti letto in Liberia, il Paese dell’Africa occidentale più colpito dall’epidemia. La struttura, pronta entro la fine di novembre, sarà il primo centro — ha fatto sapere il ministero cinese in una nota ufficiale — costruito e gestito da un Paese straniero. L’esercito invierà anche 480 operatori sanitari. Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Chuck Hagel, ha intanto difeso la decisione del Pentagono di isolare per ventuno giorni i militari americani di rientro dai Paesi colpiti dall’ebola. «Porre in isolamento i soldati anche se non hanno i sintomi del virus è stata una decisione intelligente, saggia, prudente, disciplinata e guidata dalla scienza», ha dichiarato Hagel. «Il motivo — ha aggiunto il capo di stato maggiore interforze, Martin Dempsey — sta nel fatto che i militari trascorrono più tempo nella regione rispetto agli operatori sanitari». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 sabato 1 novembre 2014 Felice Carena «Gli apostoli» (1926) Arte sacra e architettura religiosa Quel che i seminaristi dovrebbero sapere di DUNCAN STROIK na delle raccomandazioni del concilio Vaticano II era che i sacerdoti fossero formati nelle arti: «I chierici, durante il corso filosofico e teologico, siano istruiti anche sulla storia e sullo sviluppo dell'arte sacra, come pure sui sani principi su cui devono fondarsi le opere dell’arte sacra, in modo che siano in grado di stimare e conservare i venerabili monumenti della Chiesa e di offrire consigli appropriati agli artisti nella realizzazione delle loro opere» (Sacrosanctum concilium n. 129). È una buona raccomandazione, considerando che i sacerdoti si prendono cura del patrimonio artistico della Chiesa. Ogni pastore è verosimilmente il curatore di una piccola galleria d’arte oltre che il responsabile di una vera e propria pianta bisognosa di costante manutenzione, riparazioni e migliorie. Poi c’è qualche fortunato — o forse non tanto fortunato — che ha la possibilità di costruire qualcosa di nuovo. Costruire una chiesa è un’impresa grandiosa. Significa dover prendere migliaia di decisioni, da quella di ingaggiare l’architetto giusto a quelle di raccogliere milioni di dollari, valutare con occhio critico la statua della Beata Vergine, decidere se il metallo della porta debba essere di bronzo o di ottone lucido. E tutto ciò, in aggiunta a un lavoro a tempo pieno come quello di dirigere una parrocchia. Dato che molti sacerdoti devono essere pastori, curatori, responsabili di questa pianta, presidenti dei programmi musicali ed educativi e capi del progetto edilizio, si può davvero chiedere loro di avere anche un’istruzione nel campo dell’arte e dell’architettura? E se la si potesse inserire in un piano di studi seminaristici già fittissimo, quali modalità dovrebbe prevedere? Un’introduzione all’arte e all’architettura cattoliche dovrebbe coprire tre settori generali: storia dell’arte e architettura sacre, studio delle procedure relative al design architettonico e del processo di costruzione. La sola storia dell’architettura sacra può a malapena essere coperta in un semestre (diciotto secoli di materiale che abbraccia interi continenti). Comprendere — come è necessario — anche l’arte rende il piano di studi ancora più impervio. Tuttavia, se i seminaristi studiassero anche soltanto alcuni dei grandi monumenti della fede cattolica, ciò potrebbe bastare a ispirarli e ad aprire loro gli occhi. Non tutti i sacerdoti possono essere esperti della filosofia di Tommaso o della teologia di Agostino, ma certamente dovrebbero leggerli e avere familiarità con tali giganti della fede. Lo stesso dicasi per la conoscenza dell’arte e dell’architettura sacre. Che cosa dovranno sapere i futuri preti? Dovranno capire come si distinguono i diversi periodi e stili e cogliere allo stesso tempo gli sviluppi e la continuità rispetto al passato. Vediamo questo nell’evoluzione che dalla prima architettura cristiana porta al romanico e poi al gotico. La pianta delle chiese e il modulo a campata rinascimentali sviluppano idee nate nel gotico. Avere familiarità con alcuni dei grandi mecenati e con i loro architetti, da Costantino, dal vescovo Sugero, dai Medici e Papa Giulio II fino agli arcivescovi Carroll, Hughes e Ireland negli Stati Uniti. Queste personalità ci sono di esempio ancora oggi e le loro opere continuano a ispirarci. Ai sacerdoti dovrebbe essere inculcato l’amore per la grande tradizione dell’architettura sacra. Dovrebbero valorizzare non soltanto le chiese dei luoghi nei quali sono cresciuti, ma anche la basilica dei primi cristiani, il duomo bizantino, la cattedrale gotica e l’esuberanza del barocco. Non c’è uno stile cattolico unico, non c’è una formula unica per creare una chiesa bellissima. Ci sono piuttosto principi senza tempo di architettura sacra quali la verticalità, la processione, l’analogia corporea, il simbolismo e la costruzione durevole, che possono trovarsi in tutti i secoli e in tutti gli stili. In termini di design, sarebbe utile offrire dei fondamenti sul ruolo e sui benefici derivanti dall’ingaggiare un architetto profes- U L’eco novecentesca di un Caravaggio distrutto La Galleria di Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze celebra i suoi primi cento anni con l’esposizione «Luci del Novecento», aperta fino al prossimo 8 marzo. Fra i quadri in mostra, la grande tela Gli apostoli, la prima opera di Felice Carena a essere arrivata in Galleria. Il dipinto raffigura la preghiera di Cristo nel giardino degli Ulivi. L’immagine degli apostoli addormentati, un soggetto profondamente radicato nella tradizione, viene affrontata in modo molto personale dal pittore novecentesco che rielabora liberamente la lezione dei maestri del passato. Secondo un gusto per le citazioni tipico di Carena, l’opera rievoca un dipinto oggi andato perduto di Caravaggio (ma esposto a Palazzo Pitti nel 1922 in occasione della grande mostra del Seicento e del Settecento organizzata da Ugo Ojetti) e anche i capolavori dal medesimo soggetto di Giovanni Bellini e di Tintoretto. Nella tela di Carena — scrive Adele Marchitelli nel catalogo della mostra (Livorno, Sillabe, 2014, pagine 366, euro 30) a cura di Simonella Condemi ed Ettore Spalletti — l’elemento sacro è molto interiorizzato e implicito, e l’attenzione non è più focalizzata sul dramma di Cristo, ma sul sonno «umano, troppo umano» dei suoi amici. Una Tebaide ritrovata al Museo Condé di Chantilly Il puzzle del Beato Angelico di SILVIA GUIDI Uno dei gioielli in mostra, nell’esposizione «Fra Angelico, Botticelli. Chefs-d'oeuvre retrouvés!» al Museo Condé di Chantilly (in Francia) fino al 4 gennaio prossimo, è un puzzle parzialmente ricomposto, ancora incompleto ma dal valore inestimabile. Per la prima volta, infatti, viene esposta una Tebaide di Guido di Pietro, detto Beato Angelico (1395-1455) di tavola che raffigura un Papa senza tiara. La corda era in Francia, il paniere in America. L’intuizione di Anne Leader ha permesso di ricollocare il san Benedetto in preghiera conservato a Chantilly — liberato da sporco e ridipinture tardive — sopra il quadro americano, e di ricostruire la posizione anche degli altri frammenti conosciuti, conservati al Museo Thomas-Henry di Cherbourg, nel nord della Francia, e in Belgio, al Museo delle Belle Arti di Anversa. Una tessera dopo l’altra, grazie anche agli studi e alle intuizioni di Michel Laclotte, presidente onorario del Louvre e curatore della mostra di Chantilly insieme a Nathalie Volle, il capolavoro ritrovato ha iniziato a prendere forma: un panorama aperto cielo blu punteggiato da meravigliose nuvole». Già adesso le cinque tessere del mosaico formano «una congiunzione astrale rarissima», possibile solo a Chantilly, dove è conservata la collezione di Enrico d’Orléans, duca d’Aumale (1822-1897). Nel suo testamento il duca lasciò all’Institut de France il castello di Chantilly con l’obbligo di trasformarlo in museo, e di non permettere l’uscita di nessuna opera dalla sua sede. In senso orario: il frammento conservato a Chantilly, il dipinto di proprietà del Museum of Art di Philadelphia, le tavole conservate a Cherbourg e Anversa che si pensava perduta, una tavola panoramica di cui sono stati recuperati e assemblati cinque frammenti. Il sesto ancora non c’è, ma già adesso l’effetto è impressionante. Merito — scrive Adrien Goetz su «Le Figaro» del 23 ottobre scorso — di una storica dell’arte americana, Anne Leader, che, studiando la rappresentazione dei santi eremiti del Rinascimento, si è accorta che un particolare di un quadro esposto a Chantilly — una corda tenuta in mano da un monaco, affacciato alla finestra di una grotta — proseguiva in Pennsylvania. E, per la precisione, al Museum of Art di Philadelphia, in un frammento sul mare, dipinto intorno al 1430, malauguratamente sezionato e smembrato in più frammenti che, nei secoli, hanno preso ognuno una strada diversa. Fino al momento in cui le immagini di una corda e di un cesto sospeso nel vuoto non hanno stabilito un provvidenziale collegamento nella memoria di una studiosa, dando avvio alla ricostituzione di una splendida tavola mutilata dal tempo. «Il vero miracolo sarebbe trovare anche l’ultimo pezzo mancante», continua Goetz. «Dovremmo cercare un’isola o qualcosa di simile, con un monaco o un santo in preghiera, una linea dell’orizzonte molto netta, e un Nella mostra a Chantilly accompagnano la tavola della Tebaide il San Marco e il San Matteo del Beato Angelico; una delle tavole del pittore senese Stefano di Giovanni di Consolo (1400 circa-1450), meglio noto come Sassetta, realizzata per il complesso d’altare di Borgo San Sepolcro, i pannelli da cassone da nozze realizzati da Botticelli e Filippino Lippi con scene di Ester e Assuero, la tavola Cinque angeli danzano intorno al Sole (1436), di Giovanni di Paolo (1398-1482); un disegno di Michelangelo e il ritratto di Simonetta Vespucci di Piero di Cosimo, restaurato per l’occasione dal Museo Condé. sionista, su come ingaggiarlo e sui diversi servizi che questi può fornire. Essendo una persona che “professa”, il ruolo dell’architetto è quello di assistere il pastore nel disegnare un’opera d’arte che sia durevole, che sia funzionale alla liturgia e che possa essere costruita in base a un determinato budget. Un progetto di successo richiede il coinvolgimento del prete come datore di lavoro, come capo del comitato parrocchiale con ragionevoli aspettative riguardo al suo architetto, come ingegnere e come imprenditore edile. Infine, i futuri sacerdoti trarrebbero beneficio da un’introduzione alle procedure di raccolta di fondi e al processo di costruzione. Proprio come nella procedura relati- Ogni sacerdote è anche il curatore di una piccola galleria di oggetti preziosi come quadri, statue e paramenti sacri Ogni chiesa è come una pianta ha bisogno di cure costanti va alla progettazione, il coinvolgimento del pastore è qui insostituibile. È lui l’agente del vescovo, il pastore che si prende cura dei bisogni dei fedeli. Al contrario, un approccio “fai da te” implica molte potenziali insidie; ingaggiare organizzatori di raccolte di fondi professionisti e impresari edili competenti è di fondamentale importanza quanto avere un dentista competente per curare i denti. Molti hanno imparato a loro spese che più si spende e più si risparmia. In ogni caso, costruire o rinnovare una chiesa, come molte cose nella vita, richiede molto duro lavoro Si può fare tutto questo nell’ambito di un’educazione seminaristica? Sarebbe me- Il tempio espiatorio della Sagrada Família visto dalla Pedrera glio avere un corso che coprisse tutto quanto sopra esposto, anche se ciò potrebbe veramente servire solo da introduzione. Come minimo, credo che un corso sulla storia dell’arte e dell’architettura sacre sarebbe un buon inizio per una vita di apprendimento, curatela e abbellimenti. Le procedure di progettazione e di costruzione potrebbero fare parte di un corso su come si dirige una parrocchia. E questi stessi argomenti potrebbero essere coperti in un paio di seminari nel corso di una giornata o di un fine settimana. In questo modo, potremmo aiutare i nostri futuri pastori e vescovi nella loro opera di apprezzamento, conservazione e miglioramento del ricco patrimonio ecclesiastico di arte e architettura sacre. L’OSSERVATORE ROMANO sabato 1 novembre 2014 pagina 5 Il 1931 sembrava inaugurarsi sotto gli auspici di un moderato ottimismo I Patti lateranensi reggevano da quasi due anni e i rapporti tra Santa Sede e governo italiano non destavano particolari apprensioni Pio XI avvia la dinamo della nuova centrale elettrica (6 febbraio 1931) di SERGIO PAGANO anno 1930 si chiudeva, stando al bilancio che ne tracciava Pio XI nel suo messaggio natalizio, con «argomenti di consolazione e di pena». Fra i primi vi erano la felice conclusione del Centenario francescano, i futuri Centenari di sant’Agostino, di sant’Emerico, di sant’Antonio da Padova, della Medaglia Miracolosa, del concilio di Efeso; i frutti spirituali maturati nei Congressi eucaristici di Budapest, di Cartagine, di Loreto; le canonizzazioni di Roberto Bellarmino, di Teofilo da Corte, di Caterina Thomas, di Lucia Filippini, degli otto martiri gesuiti del nord America. Fra le dolenti note Papa Ratti rilevava una situazione sociale dipinta con tinte fosche e realistiche, condizionata ancora pesantemente dalla crisi del 1929; situazione che darà spunto al Pontefice il 15 maggio 1931 (ben oltre la mera ricorrenza della Rerum novarum) all’enciclica sociale Quadragesimo anno: «Diciamo questo generale, anzi universale disagio finanziario ed economico, il quale è così penosamente risentito nella loro stessa compagine dagli Stati e dai Popoli, anche i più ricchi e i più forti, come dalle più piccole ed umili famiglie, da queste (s’intende) ben più dolorosamente. Diciamo questa così largamente diffusa disoccupazione che toglie lavoro e pane a tanti operai ed alle loro famiglie e fa sentire sempre più vivamente il bisogno di un migliore assetto sociale ed internazionale ispirato a maggiore giustizia e carità cristiana, e che senza sovvertire l’ordi- L’ Pubblicati i documenti È stato appena pubblicato il secondo volume de I Fogli di Udienza del cardinale Eugenio Pacelli segretario di Stato (1931), a cura di Giovanni Coco Alejandro Mario Dieguez (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2014, Collectanea Archivi Vaticani 95, pagine XVI+937, tav. 16 b.n.). Riprendiamo stralci dalla presentazione del volume scritta dal vescovo prefetto dell’archivio che ha ideato la pubblicazione. ne stabilito dalla Divina Provvidenza, renda possibile ed effettiva fra le diverse classi e fra i diversi popoli la collaborazione fraterna, utile a tutti, invece della lotta e della concorrenza dura e sfrenata, a tutti nociva ed a più o meno breve andare disastrosa». A essa si aggiungevano il dilagare del malcostume, le «disastrose ideologie», gli eventi tellurici in Italia, le sofferenze dei cristiani «nelle Russie, nella Siberia», il proselitismo protestante in Italia «contro la religione cattolica, la sola religione dello Stato». Eppure per il Papa e per la Santa Sede il nuovo anno che si apriva — il 1931 — sembrava inaugurarsi sotto gli auspici di un moderato ottimismo: i Patti Lateranensi reggevano da quasi due anni e i rapporti con il governo italiano, nonostante i costanti, reciproci attriti e gli scatti umorali di Pio XI e di Mussolini, non destavano particolari apprensioni, o almeno timore di sovversione. Nel contempo la Città del Vaticano, quel «tanto di territorio» che assicurava l’inviolabilità del Sommo Pontefice, si andava strutturando, dotandosi degli elementi fondamentali per assicurare l’indipendenza della Sede Apostolica; sorgevano gli uffici postali, la centrale termo-elettrica e soprattutto la radio (poi Radio Vaticana) fortemente voluta da Pio XI, che l’avrebbe inaugurata il 12 febbraio (alla presenza di Guglielmo Marconi), pronunciando dai suoi microfoni il memorabile discorso Qui arcano Dei consilio. Presto però l’orizzonte si sarebbe offuscato: nel marzo si generava una pericolosa crisi nelle relazioni fra la Santa Sede e l’Italia: il noto dissidio sull’Azione Cattolica, la «pupilla degli occhi del Papa», fatta oggetto di sospetto e dell’aggressione violenta da parte del regime fascista, aveva fatto provare al vescovo di Roma (sono parole sue) «le amarezze più amare, amaritudo mea amarissima». La vertenza, cul- Negli appunti del segretario di Stato di Pio XI lo specchio di una difficile situazione I fogli di Pacelli minata in luglio con la promulgazione dell’enciclica Non abbiamo bisogno, avrebbe condotto Roma e il Vaticano addirittura alle soglie della rottura delle relazioni diplomatiche, e conseguentemente dei Patti Lateranensi; una eventualità, quest’ultima, che ebbe un ruolo non marginale nell’indurre entrambe le parti a più moderati consigli. E se la questione dell’Azione Cattolica fu la ribalta visibile e pubblica di un forte attrito fra Italia e Vaticano, altri segnali marginali, se si vuole, appaiono in questo 1931, come ad esempio la presa di distanze, compiuta sulle pagine de «L’Osservatore Romano» per volere di Pio XI e su segnalazione del cardinale Schuster, dalla «Rivista di Agricoltura», di impronta fascista, che aveva osato esaltare il «nuovo rito italiano», ovvero la benedizione delle sementi, «pieno di poesia e di fede, e profondamente diverso nello spirito» — si scriveva sul periodico — non solo dal rito pagano, ma dallo stesso rito cattolico. Tanto bastò per far capire agli ispiratori di tae le strano rito agreste di non miscere sacra profanis (questo il titolo dell’articolo su «L’O sservatore Romano»), strumentalizzando la benedizione cristiana delle messi con un «nuovo rito, dove le preghiere son messe a contributo della propaganda, con il concerto bandistico, coll’intervento delle bandiere, con la distribuzione dei premi, con il discorso di propaganda». Avvisaglia più robusta di tale clima fu il centenario della nascita del noto vescovo di Cremona Geremia Bonomelli (1831-1931), famoso “conciliazionista”, che il suo successore, monsignor Giovanni Cazzani, non avrebbe voluto celebrare pubblicamente (ovvero almeno sospendere) per “inopportunità politica”, temendo che l’occasione potesse venir sfruttata per “scopi tendenziosi”, come infatti poi avverrà da parte del foglio locale «Il Regime Fascista» di Roberto Farinacci. Il personaggio era però troppo noto in Italia e all’estero e troppo caro ai cremonesi, sicché, dopo diverse tergiversazioni, e dopo aver avvertito sulla stampa cattolica che «la Conciliazione vagheggiata dal Bono- melli non è quella avvenuta, tanto che il Santo Padre ha avuto cura di dire che la conciliazione da lui fatta non è quella vagheggiata da altri», il centenario si celebrò con dimessa solennità e il Papa fece inviare una lettera di elogio al vescovo celebrato, esaltandone però più le virtù di pastore, che quelle di tessitore “conciliazionista”. E molti altri esempi consimili si potrebbero moltiplicare, legati da un filo di rapporti sempre teso e sorvegliato fra regime fascista e Santa Sede. Tuttavia il dialogo fra Italia e Vaticano, favorito dalla mediazione del gesuita Pietro Tacchi Venturi (figura che ripercorre tutti i Fogli di Udienza), sarebbe stato ripreso con gli “Accordi di settembre” ed avrebbero aperto una nuova fase di tregua “armata” tra le due sponde del Tevere: una pacificazione che sarebbe stata solennizzata solo l’anno seguente con la storica visita di Benito Mussolini in Vaticano (11 febbraio 1932). La crisi italo-vaticana aveva aperto un altro fronte, tutto interno alla stessa Curia romana: una larga parte del Sacro Collegio, che aveva mosso e continuava a muovere critiche all’azione di governo del Pontefice, riverberando questo dissidio in una sorda e mai sopita opposizione (più di principio che di fatto) ai Patti Lateranensi, colse l’occasione del conflitto sull’Azione Cattolica per dare sfogo alle proprie rimostranze, mettendo in questione l’operato del cardinale Pacelli, segretario di Stato, e le scelte di questi approvate dallo stesso Pio XI. Il contrasto tra il Pontefice e il Collegio cardinalizio — forse uno dei più acuti della storia recente del papato — sarebbe stato composto e assorbito nel Concistoro segreto del 23 luglio, nel corso del quale il Papa letteralmente ora clausit cardinalibus, affermando in maniera inequivocabile la propria autorità e quella del suo segretario di Stato. Ma nuove e dolorose preoccupazioni si affacciavano ben oltre Roma e la Curia, da altre parti dell’orbe cattolico. Nell’aprile il re Alfonso XIII di Borbone lasciava in volontario esilio la Spagna, che si costituiva in Repubblica; il nuovo governo, nonostante gli sforzi di democratizzazione, avrebbe inaugurato una fase di aspro confronto con la Chiesa cattolica, ritenuta una delle colonne dell’antico regime monarchico, e mentre nelle piazze si susseguivano violente aggressioni a chiese e conventi, nelle cortes si discuteva una nuova legislazione costituzionale, marcatamente anticlericale, che decretava la separazione tra Chiesa e Stato e poneva fuori legge la Compagnia di Gesù. Il momento più acuto della crisi tra Madrid e il Vaticano si ebbe con l’esilio comminato al cardinale Pedro Segura, arcivescovo di Toledo e primate di Spagna, la cui vicenda — chiusa con le forzate dimissioni del cardinale dalla propria sede — divenne emblematica dell’intera «questione spagnola». Se queste erano le ragioni che destavano allarme nell’Europa occidentale, a Oriente di essa erano la Lituania e la Polonia a tenere insonne l’attenzione della Sede Apostolica. Il goFolla davanti alla Cassa di Risparmio di Berlino verno di Kaunas, che sempre aveva mantenuto rapporti contraddittori con la Chiesa romana, nel mese di giugno di quell’anno espelleva il nunzio apostolico, monsignor Riccardo Bartoloni, sulla base di generiche accuse di indebita ingerenza negli affari politici interni. Al contempo nella vicina Polonia, la cui vita politica permaneva sotto la salda egida del maresciallo Piłsudski, pater et dominus patriae, una parte sempre più ampia dell’episcopato manifestava la propria insoddisfazione nei confronti del governo, causandone le risentite proteste a Roma. Allo stesso modo forti rimanevano le distanze tra la Santa Sede e il governo di Varsavia nel merito della “questione orientale”, ovvero dei conflittuali rapporti tra il governo e la stessi diritti umani; la Santa Sede in questo 1931 giungeva ad una posizione che può essere bene sintetizzata da quanto scriverà il cardinale Pacelli per la riunione del 20 dicembre agli Affari Ecclesiastici Straordinari: «Trovar modo di dire che la S. Sede non può che benedire e incoraggiare tutti quelli che difendono i diritti di Dio e della religione; però nelle condizioni attuali non può né autorizzare né incoraggiare la resistenza armata. (…) Del resto unione, tutta l’unione possibile, nella varietà delle condizioni, e coltivare molto bene l’Azione Cattolica, (…) la quale invece di armare di spada e di moschetto, arma delle armi dell’apostolato. (…) Se si vuole un partito di cattolici, agirà con la coscienza cattolica, ma non un partito cattolico, cioè identificare l’idea di partito con quella di cattolici. Cattolici organizzati a partito, ma non partito cattolico». Infine, ma non per ultima fra i gravi problemi, la crisi economica internazionale, provocata dal crack di Wall Street nel 1929, che cominciava a farsi sentire più pesantemente in Europa con tutte le sue devastanti conseguenze. A pagarne le spese sarebbero state soprattutto le nazioni uscite vinte dal precedente conflitto mondiale, in primis la Germania di Weimar, che ancora stava cercando di consolidare le proprie istituzioni. Schiacciata dal debito dovuto alle riparazioni di guerra, la Germania avrebbe attraversato una fosca crisi economica e istituzionale, dalla quale lentamente ma inesorabilmente sarebbe emersa una nuova forza politica, il nazionalsocialismo, le cui proposizioni erano state prontamente condannate da alcuni vescovi tedeschi; e proprio su mandato di Adolf Hitler, nel maggio del 1931 Hermann Göring si sarebbe recato in Italia allo scopo Vignetta pubblicata in prima pagina dal quotidiano «Il Lavoro Fascista» (22 maggio 1931) Chiesa greco-cattolica, i cui fedeli — in gran parte di lingua ucraina — coltivavano la speranza di una futura indipendenza nazionale. Nella lontana America Latina continuava a preoccupare la situazione della Chiesa in Messico e i ripetuti esposti contro Il dissidio sull’Azione Cattolica fatta oggetto dell’aggressione violenta da parte del regime fascista aveva fatto provare al Pontefice «le amarezze più amare» l’atteggiamento del delegato apostolico monsignor Leopoldo Ruíz y Flores, giudicato da taluni sacerdoti e da non pochi vescovi troppo condiscendente con il governo. Protestarono i presuli di Durango (José María Gonzáles y Valencia), di Veracruz-Xalapa (Rafael Guízar y Valencia), di Antequera (José Othón Núñez y Zárate) e soprattutto il vescovo di Huejutla (José de Jesús Manríquez y Zárate), accanito oppositore (nella sua situazione di esule negli Stati Uniti) del modus vivendi, giudicato dal Papa severamente. Si poneva il grave problema per i cattolici, o per meglio dire di alcuni settori della Chiesa in Messico, della opposizione armata ad un regime che negava le libertà della Chiesa e gli di rassicurare il regime mussoliniano, al fine di guadagnarne il fondamentale sostegno alla causa nazista, e per altro verso per sollecitare (ma invano) dalla Santa Sede la revoca della scomunica fulminata dall’episcopato agli aderenti al partito hitleriano. Questo, detto in estrema sintesi, quanto ai grandi problemi internazionali. Venendo ora ai mille temi ordinari e straordinari, di maggiore o minore portata, trattati nelle Udienze, notiamo anzitutto nei nostri Fogli ancora gli strascichi della condanna dell’Action Française (1926). Verso la fine di gennaio padre Henri Le Floch, rettore del Seminario Francese di Roma, destituito da Pio XI per le sue simpatie verso il movimento, protestava la sua fedeltà al romano Pontefice e chiedeva nuovamente perdono per una sua lettera di discolpa, divulgata a sua insaputa, e sottometteva al Pontefice il desiderio di pubblicare un recueil de conferénces et d’allocutions qui pourraient être par leur objet un témoignage public de mon attachement au Siège Apostolique. La risposta, di pugno di Papa Ratti, fu categorica: «Perdono e benedizione sì, l’indicata pubblicazione no». A conferma di una linea d’azione sempre vigile e fermissima del Papa di Desio nei riguardi di Maurras e del suo movimento. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 sabato 1 novembre 2014 Il Patriarca Bartolomeo sulla visita del Papa al Fanar Cammino che non si ferma Monsignor Machado e il rapporto fra cristiani e indù D ifferenze che fanno crescere NEW DELHI, 31. Cristiani e indù «devono approfondire il rispetto e l’amicizia reciprocamente. Questo non vuol dire che si debbano ignorare le differenze essenziali che esistono fra le due tradizioni religiose, ma al contrario che proprio queste differenze vanno comprese, accettate e rispettate. La Chiesa cattolica non impone mai la propria fede agli altri, e da sempre è al servizio dei poveri e degli emarginati. Possa il nostro rapporto migliorare, per il benessere comune». È quanto ha dichiarato all’agenzia AsiaNews monsignor Felix Anthony Machado, arcivescovo-vescovo di Vasai e presidente dell’Ufficio per il dialogo interreligioso e l’ecumenismo della Catholic Bishops’ Conference of India, riguardo il messaggio inviato nei giorni scorsi al mondo indù dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, in occasione della festa di Diwali. Secondo il presule, che guida lo stesso ufficio anche all’interno della Federation of Asian Bishops’ Conferences, l’India «è una società pluralista e multireligiosa, dove lo spirito dell’inclusione è sempre stato promosso dai cattolici. La Chiesa incoraggia al dialogo e alla collaborazione con le altre fedi, per il benessere comune. Dobbiamo affrontare insieme le tante sfide che si presentano, perché insieme possiamo prosperare». Il messaggio per la festa di Diwali, prosegue monsignor Machado, «riflette il pensiero di Papa Francesco: la globalizzazione dell’indifferenza crea una cultura dell’esclusione in cui i poveri, i vulnerabili e gli emarginati vedono i propri diritti calpestati. Mentre opportunità e risorse vengono destinate ad altri. Chi vive ai margini viene usato e scartato, come fosse un oggetto. E questo danneggia tutti quanti». Al contrario, «la Chiesa cattolica indiana lavora da sempre per i poveri e gli emarginati, per i dalit e i tribali, per le don- ne e le ragazze delle aree più remote del Paese, per gli infelici: e lo fa — precisa l’arcivescovo — senza dare peso all’identità religiosa, con un impegno che vuole sconfiggere proprio questa globalizzazione dell’indifferenza. Siamo impegnati con forza nel dialogo interreligioso e non discriminatorio, e continueremo a collaborare con lo Stato e con la società per il bene comune. Il dialogo fra indù e cristiani — conclude — può diventare un modello per le altre religioni». In questo contesto, si inserisce però l’allarme lanciato dal Global Council of Indian Christians (Gcic) che ha denunciato nel distretto di Jaunpur, nello Stato dell’Uttar Pradesh, la «riconversione» forzata di oltre trecento cristiani all’induismo. «La libertà religiosa — ha detto Sajan George, presidente del Gcic — è un nostro diritto costituzionale. I metodi subdoli usati per riconvertire innocenti cristiani all’induismo sono pericolosi». ISTANBUL, 31. «Un segno importante del reciproco attaccamento fra le Chiese ortodossa e cattolica»: così il patriarca ecumenico, Bartolomeo, ha definito la visita che Papa Francesco effettuerà a fine novembre a Istanbul in occasione della festa di sant’Andrea. Parlando a un gruppo di giornalisti austriaci ricevuti nei giorni scorsi al Fanar, l’arcivescovo di Costantinopoli — riferisce Radio Vaticana — ha precisato che non ci saranno «gesti spettacolari» ma la «dichiarazione che sarà firmata durante l’incontro costituirà una tappa importante nelle relazioni tra le due Chiese». La quasi millenaria separazione «non può essere superata dall’oggi al domani. Nemmeno sessant’anni fa ci si considerava come nemici piuttosto che come fratelli. Ma molte cose positive sono accadute negli ultimi decenni. Certo, ora c’è bisogno di progressi sostanziali», ha osservato il patriarca ortodosso. Bartolomeo si è soffermato poi sui lavori della tredicesima sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, svoltasi dal 15 al 23 settembre ad Amman, in Giordania, non nascondendo che su alcuni punti — in particolare sulla questione del primato (e quindi sul ruolo del Vescovo di Roma nella Chiesa universale) — permangono divergenze di opinioni al momento insuperabili, soprattutto all’interno del mondo ortodosso. Di contro l’arcivescovo di Costantinopoli ha ricordato l’ottimo rapporto che lo lega a Papa Francesco, fin dalla celebrazione (nel marzo 2013) che segnò l’inizio del ministero petrino: «Era la prima volta dallo scisma del 1054 che un patriarca ecumenico partecipava alla cerimonia di inizio pontificato», ha precisato. Un’amicizia rafforzata nel maggio scorso, durante il pellegrinaggio del Papa in Terra Santa, e poi l’8 giugno quando Bartolomeo si è recato in Vaticano in occasione dell’invocazione per la pace alla presenza del presidente israeliano, Shimon Peres, e del presidente palestinese, Mahmoud Abbas. «Non ho esitato nemmeno un secondo», ha affermato, parlando dell’invito. Il patriarca ha quindi confermato il programma del viaggio apostolico di Francesco in Turchia, dal 28 al 30 novembre. In particolare sabato 29 il Papa visiterà a Istanbul il museo di Santa Sofia e la moschea Sultan Ahmet, celebrerà la messa nella cattedrale cattolica dello Spirito Santo e con Bartolomeo guiderà la preghiera ecumenica nella chiesa patriarcale di San Giorgio, alla quale seguirà un incontro privato tra Francesco e il patriarca. Domenica 30, festa di sant’Andrea apostolo, sono previste la divina liturgia nella chiesa patriarcale di San Giorgio, la benedizione ecumenica e la firma della dichiarazione congiunta. L’arcivescovo di Costantinopoli, nell’incontro con i giornalisti austriaci riportato da Radio Vaticana, ha sottolineato che dopo Paolo VI (nel luglio 1967) anche Giovanni Paolo II nel novembre 1979 e Benedetto XVI nel novembre 2006 sono venuti sul Bosforo. «Gli ultimi due, come ora Francesco, hanno compiuto queste visite poco dopo l’inizio del loro pontificato. Un chiaro segno», ha sottolineato Bartolomeo parlando della tradizionale celebrazione congiunta del 30 novembre, delle buone relazioni tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica. Le due Chiese — ha osservato — sono in dialogo, «un dialogo di amore e carità. Un dialogo che non è vago idealismo ma un cammino reale che, anche se alle volte irto di difficoltà, non si ferma, perché l’amore stesso ce lo comanda. Così anche le nostre relazioni interpersonali rappresentano una dimensione essenziale nel nostro approccio. Negli ultimi decenni, se il dialogo teologico procede lentamente, secondo i tempi voluti da Dio, i nostri incontri interpersonali corrono più spediti». E ora «la gioia è grande per il prossimo abbraccio che avremo qui, in questa storica sede del patriarcato ecumenico, con il nostro amato fratello, Sua Santità Papa Francesco, per la festa di sant’Andrea il prossimo 30 novembre». Centomila sfollati tra i rohingya a causa di violenze e persecuzioni In Myanmar a fuggire sono i musulmani NAYPYIDAW, 31. Una media di novecento persone al giorno, diecimila in meno di due settimane: sono i numeri del nuovo “esodo” di musulmani rohingya dal Myanmar. Sarebbero più di centomila quelli che hanno abbandonato il Paese negli ultimi due anni, dall’inizio cioè delle violenze con la maggioranza buddista. Alle spalle lasciano disperazione e miseria e vanno in cerca di una vita migliore. A denunciarlo — riferisce AsiaNews — sono gruppi birmani formati da attivisti che si battono per i diritti umani. Il numero dei boat people è in continuo aumento e dal 15 ottobre sarebbe cominciata una nuova fuga di massa, a bordo di imbarcazioni che partono dai territori dello Stato di Rakhine, nell’ovest. Chris Lewa, direttore dell’organizzazione non governativa Arakan Project (il Rakhine un tempo si chiamava Arakan), sottolinea appunto che ogni giorno circa novecento persone si ammassano a bordo di navi cargo in partenza dai porti dello Stato. Un totale di quasi diecimila persone in meno di due settimane, uno dei picchi più elevati dall’inizio dell’emergenza. Dal giugno del 2012 il Rakhine è teatro di violenti scontri fra buddisti birmani e rohingya che hanno causato almeno duecento morti e duecentocinquantamila sfollati. Secondo stime delle Nazioni Unite citate dall’agenzia, in Myanmar (nazione di cinquanta milioni di abitanti a maggioranza buddista, con significative presenze cristiane, musulmane, animiste e induiste) vi sono tuttora 1.300.000 appartenenti alla minoranza musulmana che il Governo considera immigrati irregolari e che per questo motivo sarebbero oggetto di abusi e persecuzioni. Attualmente vi sarebbero centoquarantamila sfollati rinchiusi nei centri profughi che, secondo quanto stabilito dalle autorità, devono accettare la classificazione di bengali, e ottenere la cittadinanza, oppure rimanere “a vita” nei campi. All’interno dei centri sono privati dei diritti di base, assistenza sanitaria, educazione, un lavoro. Contro l’emarginazione e l’abbandono in cui versa la minoranza musulmana è intervenuta a più riprese anche la Chiesa cattolica birmana. Secondo i gruppi attivisti, i rohingya in fuga fanno una prima tappa nella confinante Thailandia, dove vengono condotti in centri di accoglienza all’interno della giun- gla e sono vittime di maltrattamenti, estorsioni e altri tipi di violenze prima di essere rilasciati. In un secondo momento essi ripartono verso sud, alla volta della Malaysia o di altre nazioni, musulmane e non, dove peraltro non godono del diritto di cittadinanza. Anche qui, il loro futuro resta incerto. Nelle ultime settimane le autorità birmane avrebbero compiuto dozzine di arresti fra i membri della minoranza musulmana, per presunti legami con il gruppo militante Rohingya Solidarity Organisation. Durante gli arresti e la detenzione si sarebbero verificati maltrattamenti, torture e abusi. Secondo Arakan Project, almeno tre persone sarebbero morte a causa delle percosse subite e la campagna di arresti è «finalizzata ad accelerare le partenze» dal Paese. Ma per il portavoce governativo dello Stato di Rakhine, Win Myaing, «non è successo nulla» e «non vi è stato alcun arresto». Nel Rakhine fino a due anni fa vivevano ottocentomila rohingya su una popolazione di quattro milioni di persone. Molti di loro non hanno cittadinanza, non sono liberi né di spostarsi né di sposarsi e non hanno accesso a cure e istruzione. Indetto dalla Chiesa in Cambogia un Anno della carità Il peccato dell’indifferenza PHNOM PENH, 31. Il vicariato apostolico di Phnom-Penh, in Cambogia, ha annunciato l’apertura di uno speciale Anno della carità. Si tratta del primo frutto visibile del sinodo diocesano celebrato nel Paese asiatico. Ai lavori — riferisce l’agenzia Fides — hanno preso parte circa trecento delegati di parrocchie, comunità, associazioni e congregazioni religiose cambogiane. Il tema centrale dell’assemblea è stato proprio la carità, declinata nelle due dimensioni «carità di Dio» e «carità verso il prossimo». Se non diamo cibo ai poveri — ha dichiarato il vescovo Olivier Michel Marie Schmitthaeusler, vicario apostolico di PhnomPenh — «siamo degli assassini. Il più grande peccato nella società di oggi è l’indifferenza verso il prossimo, soprattutto verso chi soffre o è nel bisogno». Il vicario apostolico di PhnomPenh ha spiegato che «Dio è amore, ama ciascuno di noi e ci permette di servire gli altri, amarli e restituire loro la speranza. Dio — ha proseguito il presule — ci ha scelti come suoi strumenti, come messaggeri della redenzione e della salvezza, specie verso i più poveri». L’auspicio espresso da monsignor Schmitthaeusler è quello che nella società cambogiana si riduca la distanza tra i pochi “molto ricchi” e i tanti “molto poveri” e si vivano valori come «la solidarietà, la cooperazione e la fraternità». Il vescovo ha inoltre ricordato che la Chiesa cattolica locale è tradizionalmente impegnata in attività sociali e caritative e ha esortato i fedeli a vivere in pienezza l’Anno della carità, riscoprendo questo impegno. «Cristo ci ha insegnato a servi- re. Durante quest’anno — ha concluso Schmitthaeusler — Dio incoraggia la comunità ad avere rinnovato interesse e amorevole cura dei più indigenti». La Cambogia è uno dei Paesi più poveri dell’Asia: il 34 per cento della popolazione — secondo dati di ong che vi operano — vive con meno di un dollaro al giorno. Milioni di bambini sono ancora privi di diritti fondamentali come salute, istruzione e casa, e di ogni genere di tutela. Circa il 40 per cento della popolazione infantile vive in condizioni di povertà, mentre un ottavo muore prima di raggiungere il quinto anno di vita, in gran parte a causa di malattie evitabili. Le donne e i bambini sono le principali vittime di situazioni di abuso e maltrattamento. L’OSSERVATORE ROMANO sabato 1 novembre 2014 pagina 7 La dichiarazione finale dell’incontro mondiale dei movimenti popolari Per un dialogo permanente con la Chiesa Appello di Caritas Internationalis per gli orfani e la carenza di assistenza L’ebola in Africa è un dramma umanitario ROMA, 31. Occorre un’azione urgente e mirata per rispondere alla crisi umanitaria provocata dal virus ebola in Africa. È quanto ritiene necessario Caritas Internationalis che, il prossimo 4 novembre, ha promosso un incontro con alcuni esperti sanitari della Chiesa cattolica per affrontare al meglio il diffondersi dell’epidemia. Già da diversi mesi, l’ente caritativo è impegnato in prima linea nella distribuzione di kit sanitari alle famiglie e alle comunità locali. «In questo momento — ha dichiarato monsignor Robert J. Vitillo, consigliere per la sanità di Caritas Internationalis — non si tratta soltanto di prevenire l’ebola. Siamo anche chiamati a occuparci di quelle migliaia di persone sane, che erano già povere, che non hanno accesso alle cure mediche per curare altre malattie. È una vera e propria emergenza umanitaria — ha proseguito monsignor Vitillo — per questo motivo dobbiamo rafforzare la risposta della Caritas stringendo collaborazione con altre organizzazioni in seno alla Chiesa cattolica prima possibile». L’emergenza ebola in Africa, che sta colpendo in modo particolare Sierra Leone, Guinea Conakry e Liberia, vede coinvolti in prima linea molte congregazioni e ordini religiosi, tra cui i camilliani e i salesiani. Qualche giorno fa sono partiti padre John Toai per un sopralluogo in Liberia, e il consultore generale dei camilliani, padre Aris Miranda, per la diocesi di Makeni in Sierra Leone. Dalla diagnosi e dal confronto dei dati oggettivi raccolti in loco e dalle loro testimonianze è emerso un quadro drammatico. Secondo i religiosi — riferisce Fides — ebola è solo una terribile aggravante di una situazione più complessa fatta di lunghe guerre civili, di corruzione, di sfilacciature nella leadership civile, religiosa e politica. In tre mesi in Sierra Leone si sono alternati tre ministri della salute. Tutto questo ha comportato il collasso di un sistema sanitario già molto fragile e impreparato, mancante anche della strumentazione basilare per il primo screening diagnostico di contagio. La situazione è aggravata dal fatto che il virus sta colpendo duramente non le tradizionali zone rurali, ma i grandi centri urbani più densamente abitati. In questo contesto, raccontano i camilliani, si muore di ebola, ma contestualmente per l’ignoranza, per la malaria e di parto anche perché, per paura di ulteriori contagi e non avendo mezzi per una veloce diagnosi del contagio, i pochi ospedali presenti sono stati chiusi e i morti per malattie tropicali endemiche sono aumentati in modo esponenziale. L’accesso alle basilari terapie e vaccini, al costo di pochi dollari, rimane un miraggio per la maggior parte della popolazione. La gente muore di fame a causa della riduzione al minimo degli spostamenti per le possibilità del contagio. Gli scambi di merci sono rallentati e l’inflazione sta facendo lievitare vorticosamente i prezzi. L’impegno dei padri camilliani previsto nell’ospedale di Makeni prevede il supporto per la valutazione delle condizioni per la riapertura dell’ospedale diocesano Holy Spirit oltre al sostegno all’azione ecclesia- le, offrendo un supporto di natura pastorale e di counseling per una popolazione spaventata, per la quale la paura genera non solo angoscia, ma anche atteggiamenti imprudenti che rischiano di esporla a rischi ulteriori. Inoltre, i camilliani sono impegnati in azioni concrete di sostegno alla comunità locale per accogliere un numero sempre crescente di bambini orfani e per una maggiore sicurezza alimentare. Preoccupazione per la situazione in Sierra Leone è stata espressa anche dai salesiani. I religiosi sono impegnati ad aiutare migliaia di bambini i cui genitori sono morti a causa del virus. «Ci sono più di 1.560 bambini in quarantena — ha raccontato don Jeorge Crisafulli, superiore dell’Ispettoria dell’Africa occidentale anglofona — perché hanno perso i genitori o perché sono stati rifiutati dalle loro famiglie. Sono bambini che hanno subito un trauma come la perdita dei familiari, sono stati discriminati, separati dalle loro famiglie e, in alcuni casi, accusati di essere loro la causa del male. Non è per niente facile avviare il centro per bambini orfani a causa dell’ebola». In Liberia, i missionari salesiani riportano che «la situazione è brutta, nonostante l’arrivo di aiuti inter- nazionali e il fatto che il numero di posti letto sia aumentato». In questo Paese l’ebola ha causato oltre 2.700 vittime. I salesiani sono concentrati sulla prevenzione e la distribuzione di cibo e forniture mediche, che è l’aspetto più urgente. «Ma siamo preoccupati — prosegue il religioso — anche per la situazione di migliaia di bambini e giovani che stanno perdendo l’anno scolastico, e per la gente che non può coltivare. Per questo motivo si sta lavorando per lanciare presto un progetto per creare orti casalinghi e fare formazione a distanza». Anche in Guinea Conakry il virus ha già provocato 900 morti. «Nessuno qui — spiegano i salesiani — parla dell’ebola, è un tabù. E la sensibilizzazione deve essere fatta con attenzione, in quanto vi sono stati casi di volontari per l’informazione e la prevenzione che sono stati attaccati dalle comunità». Di fronte a tutto ciò la procura missionaria salesiana di Madrid rinnova il suo appello alla comunità internazionale per combattere l’epidemia. «Solo con l’aiuto internazionale saremo in grado di uscirne. Vi preghiamo d’inviare letti, laboratori, esperti, medici, infermieri in modo da evitare una epidemia globale». Una Lettera degli esclusi agli esclusi sarà diffusa tra i movimenti popolari dei cinque continenti insieme con il testo del discorso che Papa Francesco ha rivolto lo scorso 28 ottobre ai partecipanti all’incontro mondiale riuniti in Vaticano. È una delle iniziative annunciate nella dichiarazione finale stilata al termine della tre giorni convocata dal Pontificio Consiglio della giustizia e della pace e dalla Pontificia Accademia delle scienze. Nel documento i partecipanti all’incontro lanciano anche la proposta di creare uno spazio di dialogo permanente tra i movimenti popolari e la Chiesa. Riuniti dal 27 al 29 a Roma per confrontarsi sulle questioni legate alla terra, al lavoro e alla casa, gli oltre cento delegati hanno sintetizzato nella dichiarazione le analisi e le indicazioni emerse durante il dibattito. Caratterizzato — scrivono — da una speciale attenzione al «prezioso contributo» che la dottrina sociale della Chiesa offre alla riflessione sui temi della giustizia e della solidarietà. «Il nostro principale strumento di lavoro — assicurano — è stata la Evangelii gaudiium, esaminata tenendo conto del bisogno di recuperare modelli etici di condotta nella dimensione individuale, di gruppo e sociale della vita umana». Nel clima «di dibattito appassionato e di fraternità interculturale» che ha caratterizzato le giornate, i delegati definiscono un «evento storico» la presenza di Papa Francesco. Il quale — affermano — «ha sintetizzato nel suo discorso gran parte della nostra realtà, le nostre denunce e le nostre proposte». Proprio «la chiarezza e l’accuratezza delle sue parole non ammettono doppie interpretazioni e ribadiscono che la preoccupazione per i poveri è al centro stesso del Vangelo». In più, «l’atteggiamento fraterno, paziente e caloroso di Francesco verso tutti e ognuno di noi, soprattutto verso i perseguitati, ha a sua volta espresso la sua solidarietà con la nostra lotta tante volte sottovalutata e giudicata a priori, e addirittura perseguitata, repressa o criminalizzata». Sabato in Spagna la beatificazione di don Pedro Asúa Mendía Come il panno che asciuga le lacrime di AITOR JIMÉNEZ ECHAVE* El paño de lágrimas, colui che asciugava le lacrime dei bisognosi: è stata infatti la generosità uno dei tratti caratterizzanti il ministero del sacerdote don Pedro Asúa Mendía, che viene beatificato sabato pomeriggio, 1° novembre, a Vitoria, in Spagna. Il rito è presieduto, in rappresentanza di Papa Francesco, dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Viene così elevato agli onori degli altari il prete basco martire della persecuzione religiosa spagnola del 1936, che è stato anche architetto, avendo costruito tra l’altro edifici come il teatro Coliseo Albia di Bilbao, il frontón JaiAlai a Madrid e le scuole Mendía nella sua Balmaseda. Qui nacque il 30 agosto 1890, quinto figlio di Isidro Luis Asúa e Francisca Mendía y Conde. A pochi giorni dalla nascita, fu battezzato nella chiesa parrocchiale di San Severino e a quattro anni entrò nella locale scuola delle Figlie della Croce. A dieci passò al collegio dei padri gesuiti di Orduña. Trasferitosi a Madrid, ottenne il titolo di architetto e iniziò la professione, senza tuttavia abbandonare gli esercizi di pietà e una intensa vita di fede, che a poco a poco diedero frutto: dapprima avviò a Balmaseda l’adorazione notturna e nel 1919 decise di entrare in seminario. Il 14 giugno 1924 fu ordinato prete. Svolse un’intensa attività apostolica e quando iniziò la persecu- zione fu sottoposto a vari interrogatori. Al termine di uno di essi commentò: «Dobbiamo stare pronti, se è necessario, a essere martiri». Continuò la sua missione nonostante gli arresti e le perquisizioni. Ma il 25 agosto, dopo aver celebrato la messa, che sarebbe stata l’ultima, fu costretto rifugiarsi nella vicina Sopuerta. E il 27 attraverso Bilbao si trasferì a Erandio. Il giorno seguente fu raggiunto da miliziani di Balmaseda. Senza giudizio, fu trasportato direttamente sul luogo del martirio, a Liendo, in Cantabria. Sottoposto a maltrattamenti, fu poi fucilato. Il corpo, abbandonato in una cava, fu ritrovato e riconosciuto solo in seguito. Il 31 luglio 1938 furono riesumati i resti, poi portati alla tomba di famiglia a Balmaseda. Anni dopo, la diocesi di Vitoria procedette alla tumulazione definitiva nel seminario che egli stesso aveva costruito. Motivo principale della sua uccisione fu l’odio alla fede e per il suo lavoro con la gente semplice. Alcuni degli esecutori hanno testimoniato che in punto di morte disse loro: «“Dio vi perdoni, come io vi perdono nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Gli sparammo due proiettili alla testa e uno alla spalla». Il processo canonico ha messo in luce in particolare il suo fervore religioso: don Pedro visse pienamente la vocazione sacerdotale, sostenendola con la preghiera frequente e intensa, e manifestando attenzione preferenziale all’Eucaristia. Questa realtà si rifletteva nelle sue parole, nei suoi atteggiamenti e gesti, nella devozione e nel raccoglimento con cui celebrava la messa. Fu inoltre umile — non volle mai distinguersi, mai ricercò privilegi, mai volle omaggi — e generoso nell’assistenza verso i bisognosi: non c’era povero che non soccorresse; gli infermi, i disoccupati, le persone in difficoltà andavano a chiedergli aiuto e non trovavano mai la porta chiusa. Infine si ricorda la sua dedizione apostolica. In definitiva attuò il motto del movimento sacerdotale di Vitoria: «Solo sacerdote, sempre sacerdote e in tutto sacerdote». *Postulatore Da questo articolato dibattito è emersa in definitiva la consapevolezza che «la guerra e la violenza, l’acutizzarsi dei conflitti etnici e l’uso della religione per legittimare la violenza, come pure la deforestazione, il cambiamento climatico e la perdita della biodiversità, hanno come motore principale la ricerca incessante del lucro», che provoca il saccheggio delle risorse umane e naturali soprattutto a scapito dei popoli più poveri. Per frenare questa deriva — affermano i delegati — «riteniamo che l’azione e le parole dei movimenti popolari e della Chiesa siano imprescindibili». In tale contesto, una «speciale attenzione» è stata riservata alla situazione delle donne, particolarmente colpite dalle conseguenze negative del sistema economico e sociale. «Riconosciamo l’urgente bisogno di un impegno profondo e serio in questa causa giusta e storica» si legge in proposito nella dichiarazione. I partecipanti all’incontro invocano anche la fine «dello scarto e dell’abbandono di bambini e giovani», ammonendo che «se i bambini non hanno una infanzia, se i giovani non hanno un progetto, la terra non ha un futuro». Il documento non manca di mettere in guardia i Pavel Egüez, «Grido per la pace» movimenti dalla (2004, dal murale «Il grido degli esclusi») tentazione di cullarsi «nell’autocommiagli ultimi) sono stati concordi serazione» e di limitarsi alla sterile nell’affermare che l’origine delle in- denuncia. I delegati riaffermano giustizie sociali e dei disastri am- perciò la necessità di un impegno bientali va ricercata nella natura di forte e concreto. E sottolineano che un sistema economico «che mette «in tale ottica sono state condivise il lucro al di sopra dell’essere uma- innumerevoli esperienze di lavoro, no», concentrando un «potere smi- di organizzazione e di lotta che surato» nelle mani di pochi e ali- hanno permesso la creazione di mimentando la tendenza a mercificare lioni di posti di lavoro dignitoso nel settore popolare dell’economia, e privatizzare tutto. Durante l’incontro «si è ribadito il recupero di milioni di ettari di che l’accesso pieno, stabile, sicuro e terra per l’agricoltura contadina e integrale alla terra, al lavoro e alla la costruzione, l’integrazione, il micasa costituisce un diritto umano glioramento o la difesa di milioni inalienabile, inerente alla persona e di case e di comunità urbane nel alla sua dignità, che deve essere ga- mondo». In questo senso «il ruolo rantito e rispettato». In particolare protagonistico» dei movimenti pola casa e il quartiere vanno consi- polari va considerato «indispensaderati come spazi vitali da tutelare bile per i cambiamenti di cui abe garantire; la terra come «un bene biamo bisogno». In conclusione i partecipanti comune che deve essere condiviso tra tutti coloro che la lavorano evi- all’incontro fanno appello in modo tando il suo accaparramento»; e il particolare a tutti gli operatori dei lavoro dignitoso come l’«asse strut- media, chiedendo loro di diffondere il discorso di Papa Francesco, turante di un progetto di vita». Anche la questione della violen- che — ribadiscono — «sintetizza za e della guerra è stata al centro gran parte della nostra esperienza, dell’attenzione dei delegati, a parti- i nostri pensieri e i nostri aneliti». re dell’affermazione di Papa Fran- E riecheggiando le parole del Poncesco, che più volte ha parlato di tefice ripetono: «Terra, casa e lavo«una terza guerra mondiale» com- ro sono diritti sacri! Nessun lavorabattuta «a pezzi». In proposito il tore senza diritti! Nessuna famiglia dibattito ha preso in esame temati- senza casa! Nessun contadino senche scottanti come la violenza sca- za terra! Nessun popolo senza tertenata dalle mafie del narcotraffico, ritorio!». Quanto alle prospettive scaturite dai lavori, la dichiarazione finale mette l’accento anzitutto sulle «cause strutturali della disuguaglianza e dell’esclusione, dal suo radicamento sistematico a livello globale alle sue espressioni locali». Cause che sono state prese in considerazione dai delegati nell’ottica specifica dei popoli poveri, in particolare dei contadini, dei lavoratori senza diritti e degli abitanti di quartieri popolari (villas, favelas, baraccopoli, slum). «Sono state condivise — si legge nel documento — le terribili cifre della disuguaglianza e della concentrazione della ricchezza» nelle mani di pochi. I diversi interventi (fra loro anche quelli di vescovi, sacerdoti e operatori pastorali impegnati accanto il traffico di armi e la tratta delle persone. Allo stesso modo si è parlato dei dislocamenti forzati, degli affari legati alle terre, dell’attività mineraria ed estrattiva inquinante, di tutte le forme di marginalizzazione nei confronti delle popolazioni locali, degli interventi delle grandi potenze nei Paesi più poveri. Anche la questione ambientale è stata al centro di un ricco scambio di opinioni, a partire dai dati più recenti sull’inquinamento e sul cambiamento climatico, che confermano come «il consumismo insaziabile» e l’«industrialismo irresponsabile» stiano conducendo il mondo sull’orlo di «una catastrofe ecologica». I delegati hanno ribadito la necessità di «combattere la cultura dello scarto» . E «sebbene le sue cause siano strutturali — scrivono — anche noi dobbiamo promuovere un cambiamento dal basso nelle abitudini e nelle condotte dei nostri popoli, dando la priorità agli scambi all’interno dell’economia popolare e al recupero di quello che il sistema scarta». Lutto nell’episcopato Monsignor Sofron Stefan Mudry, vescovo emerito di IvanoFrankivsk, Stanislaviv degli Ucraini, è morto nella notte tra il 30 e il 31 ottobre, all’età di novant’anni. Il compianto presule era nato il 27 novembre 1923 in Zoloczyw, arcieparchia di Lviv degli Ucraini, ed era stato ordinato sacerdote basiliano il 25 dicembre 1958. Il 24 novembre 1995 era stato eletto coadiutore dell’eparchia di Ivano-Frankivsk, Stanislaviv degli Ucraini, e il 12 maggio 1996 era stato ordinato vescovo. Succeduto per coadiuzione il 7 novembre 1997, il 2 giugno 2005 aveva rinunciato al governo pastorale della diocesi, che il 13 novembre 2011 è stata elevata ad arcieparchia. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 sabato 1 novembre 2014 Papa Francesco invita i carismatici a non temere le diversità e a cercare l’unità che è opera dello Spirito Col ritmo del respiro «Quando inspiriamo, nella preghiera, riceviamo l’aria nuova dello Spirito e nell’espirarlo annunciamo Gesù Cristo suscitato dallo stesso Spirito». Con questa immagine Papa Francesco ha invitato i membri della Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships, ricevuti in udienza nell’Aula Paolo VI nella mattina di venerdì 31 ottobre, a «conoscere e accettare con gioia i diversi doni che lo Spirito Santo dà ad ognuno e metterli al servizio di tutti nella Chiesa». Cari fratelli e sorelle, benvenuti. Vi ringrazio per la vostra accoglienza e saluto tutti con affetto. So che la Catholic Fraternity ha già tenuto l’incontro con l’esecutivo e il consiglio e che questo pomeriggio comincerete la XVI conferenza internazionale con il caro P. Raniero. Avete avuto la gentilezza di farmi pervenire il programma e vedo che ogni incontro inizia con il discorso che ho rivolto al Rinnovamento Carismatico in occasione dell’incontro allo Stadio Olimpico nello scorso mese di giugno. Voglio innanzitutto congratularmi con voi perché avete iniziato ciò che in quel momento era un desiderio. Da circa due mesi la Catholic Fraternity e l’ICCRS hanno già cominciato a lavorare condividendo lo stesso ufficio nel Palazzo San Calisto, dentro l’“Arca di Noè”. Sono consapevole che non dev’essere stato facile prendere questa decisione e vi ringrazio di cuore per questa testimonianza di unità, della corrente di Grazia, che state dando a tutto il mondo. Vorrei approfondire alcuni temi che ritengo importanti. Unità nella diversità. L’uniformità non è cattolica, non è cristiana. L’unità nella diversità. L’unità cattolica è diversa ma è una. È curioso! Lo stesso che fa la diversità è lo stesso che poi fa l’unità: lo Spirito Santo. Fa le due cose: unità nella diversità. L’unità non è uniformità, non è fare obbligatoriamente tutto insieme, né pensare allo stesso modo, neppure perdere l’identità. Unità nella diversità è precisamente il contrario, è riconoscere e accettare con gioia i diversi doni che lo Spirito Santo dà ad ognuno e metterli al servizio di tutti nella Chiesa. Oggi nel passo del Vangelo che abbiamo letto nella Messa, c’era questa uniformità di quegli uomini attaccati alla lettera: «Non si deve fare così...», a tal punto che il Signore ha dovuto domandare: «Ma, Missione di Cor Unum in Siria Dal 28 al 31 ottobre il segretario del Pontificio Consiglio Cor unum, monsignor Giampietro Dal Toso, ha compiuto una visita a Damasco, per partecipare alla riunione dell’assemblea dei vescovi cattolici in Siria. Lo rende noto un comunicato del dicastero, nel quale si evidenzia che il prelato ha anche incontrato diverse istituzioni, in particolare cattoliche, che in questo momento di crisi stanno realizzando attività di assistenza umanitaria nel Paese. Nei vari incontri si è particolarmente apprezzato l’impegno del Papa e della Santa Sede per sostenere le comunità cristiane e tutta la popolazione che soffre per le conseguenze del conflitto e per invitare le diverse parti al dialogo e alla riconciliazione. Si è anche sottolineato l’importante ruolo degli organismi cattolici di aiuto, di cui è beneficiaria tutta la popolazione siriana, anche grazie al generoso contributo della comunità internazionale. Di fronte alle crescenti necessità, però, tale aiuto dovrà intensificarsi. dimmi, si può fare del bene di sabato o non si può?». Questo è il pericolo dell’uniformità. L’unità è saper ascoltare, accettare le differenze, avere la libertà di pensare diversamente e manifestarlo! Con tutto il rispetto per l’altro che è il mio fratello. Non abbiate paura delle Differenze! Come ho detto nell’Esortazione Evangelii gaudium: «Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (236), ma fanno l’unità. Ho visto nell’opuscolo, dove ci sono i nomi delle Comunità, che la frase che avete scelto di mettere all’inizio è quella che dice: «...condividere con tutti nella Chiesa il Battesimo nello Spirito Santo». La Chiesa ha bisogno dello Spirito Santo, ci mancherebbe! Ogni cristiano, nella sua vita, ha bisogno di aprire il suo cuore all’azione santificante dello Spirito Santo. Lo Spirito, promesso dal Padre, è Colui che ci rivela Gesù Cristo, che ci dà la possibilità di dire: Gesù! Senza lo Spirito non possiamo dirlo. Lui rive- la Gesù Cristo, ci conduce all’incontro personale con Lui e così cambia la nostra vita. Una domanda: Vivete questa esperienza? Condividetela! E per condividerla, bisogna viverla, essere testimoni di questo! Il tema che avete scelto per il Congresso è «Lode e Adorazione per una nuova evangelizzazione». Di questo parlerà P. Raniero, maestro di preghiera. La lode è l’inspirazione che ci dà vita, perché è l’intimità con Dio, che cresce con la lode ogni giorno. Tempo fa ho ascoltato questo esempio che mi sembra molto appropriato: la respirazione per l’essere umano. La respirazione è costituita da due fasi: inspirare, cioè mettere dentro l’aria, ed espirare, lasciarla uscire. La vita spirituale si alimenta, si nutre nella preghiera e si manifesta nella missione: inspirazione, la preghiera, ed espirazione. Quando inspiriamo, nella preghiera, riceviamo l’aria nuova dello Spirito e nell’espirarlo annunciamo Gesù Cristo suscitato dallo stesso Spirito. Nessuno può vivere senza respirare. Lo stesso è per il cristiano: senza la lode e senza la missione non vive da cristiano. E con la lode, l’adorazione. Si parla di adorare, se ne parla poco. «Che cosa si fa nella preghiera?» - «Chiedo delle cose a Dio, ringrazio, si fa l’intercessione...» L’adorazione, adorare Dio. Questo è parte della respirazione: la lode e l’adorazione. È stato il Rinnovamento Carismatico che ha ricordato alla Chiesa la necessità e l’importanza della preghiera di lode. Quando si parla di preghiera di lode nella Chiesa vengono in mente i carismatici. Quando ho parlato della preghiera di lode durante una Messa a Santa Marta ho detto che non è solamente la preghiera dei carismatici ma di tutta la Chiesa! È il riconoscimento della signoria di Dio su di noi e sopra tutto il creato espresso nella danza, nella musica e nel canto. Vorrei ora riprendere alcuni passaggi di quell’omelia: «La preghiera di lode è una preghiera cristiana per tutti noi. Nella Messa, tutti i giorni, quando cantiamo ripetendo “Santo, Santo, Santo...”, questa è una preghiera di lode, lodiamo Dio per la sua grandezza perché è grande. E gli diciamo cose belle, perché a noi piace che sia così... La preghiera di lode ci fa fecondi. Sara ballava nel momento grande della sua fecondità a novant’anni! La fecondità dà lode al Signore. L’uomo o la donna che lodano il Signore, che pregano lodando il Signore — e quando lo fanno sono felici di dirlo — e si rallegrano quando cantano il Sanctus nella Messa sono un uomo o una donna fecondi. Pensiamo che bello è fare le preghiere di lode. Questa dev’essere la nostra preghiera di lode e, quando la eleviamo al Signore, dobbiamo dire al nostro cuore: “Alzati, cuore, perché stai davanti al re della gloria”» (Messa a Santa Marta, 28 gennaio 2014). Insieme alla preghiera di lode, la preghiera di intercessione è oggi un grido al Padre per i nostri fratelli cristiani perseguitati e assassinati e per la pace nel nostro mondo sconvolto. Lodate sempre il Signore, non smettete di farlo, lodatelo sempre di più, incessantemente. Mi hanno detto di gruppi di preghiera del rinnovamento carismatico in cui si recita insieme il Rosario. La preghiera alla Madonna non deve mancare mai, mai! Ma quando voi vi riunite, lodate il Signore! Vedo tra di voi un caro amico, il Pastore Giovanni Traettino, cui ho fatto visita poco tempo fa. Catholic Fraternity, non dimenticare le tue origini, non dimenticare che il Rinnovamento Carismatico è per sua stessa natura ecumenico. Su questo tema il Beato Paolo VI, nella sua magnifica e attualissima Esortazione sull’evangelizzazione, dice: «...la forza dell’evangelizzazione risulterà molto diminuita se coloro che an- Messa a Santa Marta La legge e la carne Ambrogio Fumagalli «Veni Sancte Spiritus» (1974) nunziano il vangelo sono divisi tra di loro da tante specie di rotture. Non starebbe forse qui uno dei grandi malesseri dell’evangelizzazione oggi? Il testamento spirituale del Signore ci dice che l’unità tra i suoi seguaci non è soltanto la prova che noi siamo suoi, ma anche che egli è l’inviato del Padre, criterio di credibilità dei cristiani e del Cristo medesimo. Sì, la sorte dell’evangelizzazione è certamente legata alla testimonianza di unità data dalla Chiesa. È questo un motivo di responsabilità ma anche di conforto» (Evangelii nuntiandi, 77). Fino a qui, il Beato Paolo VI. Ecumenismo spirituale, pregare insieme e annunziare insieme che Gesù è il Signore e intervenire insieme in aiuto dei poveri, in tutte le loro povertà. Questo si deve fare e non dimenticare che oggi il sangue di Gesù, versato dai suoi molti martiri cristiani in varie parti del mondo, ci interpella e ci spinge all’unità. Per i persecutori, noi non siamo divisi, non siamo luterani, ortodossi, evangelici, cattolici... No! Siamo uno! Per i persecutori siamo cristiani! Non interessa altro. Questo è l’Ecumenismo del sangue che oggi si vive. Ricordatevi: cercate l’unità che è opera dello Spirito Santo e non temete le diversità. La respirazione del cristiano che lascia entrare l’aria sempre nuova dello Spirito Santo e lo espira nel mondo. Preghiera di lode e missione. Condividete il Battesimo nello Spirito Santo con chiunque nella Chiesa. Ecumenismo spirituale e ecumenismo del sangue. L’unità del Corpo di Cristo. Preparare la Sposa per lo Sposo che viene! Una sola Sposa! Tutti. (Ap 22, 17) Infine, una menzione speciale, oltre al mio grazie, va a questi giovani musicisti che vengono dal nord del Brasile e che hanno suonato all’inizio, spero che continuino a suonare un po’. Mi hanno ricevuto con tanto affetto con il canto «Vive Gesù il Signore». So che hanno preparato qualcosa di più e vi invito tutti ad ascoltarli prima di salutarci. Grazie. L’Osservatore Romano saluta il vicedirettore Carlo Di Cicco «Vi ringrazio per questi sette anni passati insieme e vi auguro di continuare a contribuire al futuro di questo giornale con responsabilità e professionalità». Con queste parole semplici e calorose Carlo Di Cicco, vicedirettore dell’Osservatore Romano, nella mattinata di oggi, 31 ottobre, si è congedato dal giornale. A salutare il vicedirettore — che il 1° novembre, dopo sette anni di servizio, lascia L’Osservatore Romano per limiti di età — si sono riunite tutte le componenti del giornale. All’incontro erano presenti, in rappresentanza della Segreteria di Stato, suor Toribia Rosa Flores Ruiz, suor Maria Grzesiuk e monsignor Carlo Maria Polvani, capo dell’Ufficio informazione e do- cumentazione, e in rappresentanza della Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano, il direttore commerciale, don Marek Kaczmar- czyk, e il direttore amministrativo, Antonio Pacella. Il direttore dell’O sservatore Romano, nell’esprimere il ringraziamento del giornale e suo personale a Carlo Di Cicco, ne ha sottolineato l’apporto costante al rinnovamento della testata, e gli ha poi consegnato l’onorificenza conferita da Papa Francesco, la commenda con placca dell’Ordine di San Gregorio Magno. Un discorso breve e cordiale è stato quello del vicedirettore, che ai colleghi riuniti per salutarlo ha ricordato una verità che lo ha guidato in oltre quarant’anni di giornalismo: «Anche se nel nostro mestiere usiamo le parole come servizio, dobbiamo ricordarci che siamo al servizio della Parola». Ci sono «due strade». Ed è Gesù stesso, con i suoi «gesti di vicinanza», a darci l’indicazione giusta su quale prendere. Da una parte, infatti, c’è la strada degli «ipocriti», che chiudono le porte a causa del loro attaccamento alla «lettera della legge». Dall’altra, invece, c’è «la strada della carità», che passa «dall’amore alla vera giustizia che è dentro la legge». Lo ha detto Papa Francesco alla messa celebrata venerdì mattina, 31 ottobre, nella cappella della Casa Santa Marta. Per presentare questi due modi di vivere, il Pontefice ha riproposto, per commentarlo, il passo evangelico di Luca (14, 1-6). Un sabato, ha ricordato, «Gesù era in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare con loro; e loro lo osservavano per vedere cosa facesse». Soprattutto, ha fatto notare il Papa, «cercavano di prenderlo in un errore, anche facendogli delle trappole». Ed ecco che irrompe nella scena un uomo ammalato. A questo punto Gesù rivolge ai farisei questa domanda: «È lecito o no guarire di sabato?». Come a dire: «È lecito fare il bene il sabato? O non farlo? E non fare il bene sempre, e fare il male?». Quella di Gesù, ha aggiunto Francesco, è «una domanda semplice ma, come tutti gli ipocriti, loro tacquero, non dissero niente». Del resto, ha notato, «tacevano sempre quando Gesù li metteva davanti alla verità», restavano «a bocca chiusa»; anche se «poi sparlavano dietro» e «cercavano come far cadere Gesù». In pratica, ha affermato il Pontefice, «questa gente era tanto attaccata alla legge che aveva dimenticato la giustizia; tanto attaccata alla legge che aveva dimenticato l’amore». Ma «non solo alla legge; erano attaccati alle parole, alle lettere della legge». Per questo «Gesù li rimprovera», deplorando il loro atteggiamento: «Se voi, davanti ai bisogni dei vostri genitori anziani, dite: “Carissimi genitori, io vi amo tanto ma non posso aiutarvi perché ho dato tutto in dono al tempio”, chi è più importante? Il quarto comandamento o il tempio?». Precisamente questo modo «di vivere, attaccati alla legge, li allontanava dall’amore e dalla giustizia: curavano la legge, trascuravano la giustizia; curavano la legge, trascuravano l’amore». Eppure «erano i modelli». Ma «Gesù per questa gente trova soltanto una parola: ipocriti!». Non si può, infatti, andare «in tutto il mondo cercando proseliti» e poi chiudere «la porta». Per il Signore si trattava di «uomini di chiusura, uomini tanto attaccati alla legge, alla lettera della legge: non alla legge», perché «la legge è amore», ma «alla lettera della legge». Erano uomini «che sempre chiudevano le porte della speranza, dell’amore, della salvezza, uomini che soltanto sapevano chiudere». A questo punto ci si deve chiedere «qual è il cammino per essere fedeli alla legge senza trascurare la giustizia, senza trascurare l’amore». La risposta «è proprio il cammino che viene dall’opposto», ha suggerito Francesco, ripetendo le parole di Paolo nella Lettera ai Filippesi (1, 111): «Perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili». È appunto «il cammino inverso: dall’amore all’integrità; dall’amore al discernimento; dall’amore alla legge». Paolo, infatti, afferma di pregare «perché la vostra carità, il vostro amore, le vostre opere di carità vi portino alla conoscenza e al pieno discernimento». Proprio «questa è la strada che ci insegna Gesù, totalmente opposta a quella dei dottori della legge». E «questa strada, dall’amore alla giustizia, porta a Dio». Solo «la strada che va dall’amore alla conoscenza e al discernimento, al pieno compimento, porta alla santità, alla salvezza, all’incontro con Gesù». Invece «l’altra strada, quella di essere attaccati soltanto alla legge, alla lettera della legge, porta alla chiusura, porta all’egoismo». E conduce «alla superbia di sentirsi giusti, a quella “santità” — fra virgolette — delle apparenze». Tanto che «Gesù dice a questa gente: a voi piace farvi vedere dalla gente come uomini di preghiera, di digiuno». Si tratta solo di «farsi vedere». E «per questo Gesù dice alla gente: fate quello che dicono, ma non quello che fanno», perché «quello non si deve fare». Ecco dunque «le due strade» che ci troviamo davanti. E con «piccoli gesti» Gesù ci fa capire qual è la strada che va «dall’amore alla piena conoscenza e al discernimento». Uno di questi gesti lo presenta Luca nel brano del Vangelo proposto dalla liturgia: «Gesù aveva quest’uomo davanti, malato, e quando i farisei non hanno risposto, cosa ha fatto Gesù?». Scrive l’evangelista: «Lo prese per mano, lo guarì e lo congedò». Dunque per prima cosa «Gesù si avvicina: la vicinanza è proprio la prova che noi andiamo sulla vera strada». Perché è quella «la strada che ha scelto Dio per salvarci: la vicinanza. Si avvicinò a noi, si è fatto uomo». E infatti «la carne di Dio è il segno; la carne di Dio è il segno della vera giustizia. Dio che si è fatto uomo come uno di noi e noi che dobbiamo farci come gli altri, come i bisognosi, come quelli che hanno bisogno del nostro aiuto». Francesco ha fatto anche notare quanto sia «bello» il «gesto di Gesù quando prende per mano» la persona malata. Lo fa anche «con quel ragazzo morto, figlio della vedova, a Naim»; così come «lo fa con la ragazzina, la figlia di Giairo»; e ancora «lo fa con il ragazzino, quello che aveva tanti demoni, quando lo prende e lo dà al suo papà». Sempre c’è «Gesù che prende per mano, perché si avvicina». E «la carne di Gesù, questa vicinanza, è il ponte che ci avvicina a Dio». Questa «non è la lettera della legge». Solo «nella carne di Cristo», infatti, la legge «ha il pieno compimento». Perché «la carne di Cristo sa soffrire, ha dato la sua vita per noi». Mentre «la lettera è fredda». Ecco allora le «due strade». La prima è quella di chi dice: «Sono attaccato alla lettera della legge; non si può guarire il sabato; non posso aiutare; devo andare a casa e non posso aiutare questo malato». La seconda è di chi si impegna a fare in modo, come scrive Paolo, «che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento»: è «la strada della carità, dall’amore alla vera giustizia che è dentro la legge». A esserci d’aiuto sono proprio «questi esempi di vicinanza di Gesù», che ci mostra come passare «dall’amore alla pienezza della legge». Senza «mai scivolare nell’ipocrisia», perché «è tanto brutto un cristiano ipocrita». Il nuovo anno accademico dello Studio rotale «Il bonum familiae nel magistero dei Papi alla Rota, da Papa Montini a Papa Francesco»: questo il tema della prolusione con cui il cardinale Lorenzo Baldisseri inaugurerà mercoledì pomeriggio, 5 novembre, l’anno accademico dello Studio rotale. Il segretario generale del Sinodo dei vescovi interverrà alle ore 18 nella Sala Riaria del Palazzo della Cancelleria.