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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLIV n. 250 (46.792)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
sabato 1 novembre 2014
.
Papa Francesco invita i carismatici a non temere le diversità e a cercare l’unità che è opera dello Spirito
Accordo tra Ucraina, Russia e Ue
Col ritmo del respiro
Scongiurata in Europa
l’emergenza gas
«Quando inspiriamo, nella preghiera, riceviamo l’aria nuova dello Spirito e nell’espirarlo annunciamo Gesù Cristo». Ha scelto un’immagine
suggestiva Papa Francesco per invitare i carismatici a «conoscere e accettare con gioia i diversi doni che
lo Spirito Santo dà ad ognuno e
metterli al servizio di tutti nella
Chiesa».
Incontrando nella mattina di venerdì 31 ottobre, nell’Aula Paolo VI,
un migliaio di membri della Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships
— giunti da tutto il mondo per partecipare alla XVI Conferenza internazionale sul tema «Lode e adorazione
per una nuova evangelizzazione» —
il vescovo di Roma ha raccomandato
anzitutto di ricercare l’unità e di non
temere le diversità, perché «unità
non è uniformità, non è fare obbligatoriamente tutto insieme, né pensare allo stesso modo». Al contrario,
significa «saper ascoltare, accettare
le differenze, avere la libertà di pensare diversamente e manifestarlo!
Con tutto il rispetto per l’altro che è
il mio fratello».
Successivamente il Pontefice ha
approfondito il tema della necessità
e dell’importanza della preghiera di
lode, particolarmente cara al Rinnovamento carismatico. «Quando si
parla di preghiera di lode nella
Chiesa — ha spiegato — vengono in
mente i carismatici», però essa «non
è solamente la preghiera dei carismatici, ma di tutta la Chiesa! È il riconoscimento della signoria di Dio su
di noi e sopra tutto il creato espresso
nella danza, nella musica e nel canto». E in proposito ha voluto manifestare un personale ringraziamento
al gruppo di giovani musicisti provenienti dal nord del Brasile che hanno suonato durante l’udienza.
Insieme alla preghiera di lode,
Francesco ha poi richiamato la preghiera di intercessione, la quale — ha
detto — «è oggi un grido al Padre
per i nostri fratelli cristiani perseguitati e assassinati e per la pace nel
nostro mondo sconvolto». Da qui la
consegna: «Lodate sempre il Signore, non smettete di farlo, lodatelo
sempre di più, incessantemente».
Negli appunti del segretario di Stato
di Pio XI lo specchio
di una difficile situazione
I fogli di Pacelli
SERGIO PAGANO
A PAGINA
5
Infine salutando il pastore evangelico Giovanni Traettino, il Papa ha
esortato a non dimenticare le origini
e la natura ecumenica del movimento. «Ecumenismo spirituale, pregare
insieme e annunziare insieme che
Gesù è il Signore e intervenire insieme in aiuto dei poveri, in tutte le lo-
ro povertà: questo si deve fare», ha
concluso, ripetendo che «oggi il sangue di Gesù, versato dai suoi molti
martiri cristiani in varie parti del
mondo, ci interpella e ci spinge
all’unità». Del resto, ha fatto notare,
«per i persecutori, noi non siamo divisi, non siamo luterani, ortodossi,
evangelici, cattolici… No! Siamo
uno! Per i persecutori siamo cristiani! Non interessa altro. Questo è
l’ecumenismo del sangue che oggi si
vive».
PAGINA 8
L’esercito dichiara decaduti Governo e Parlamento e il presidente si dimette
BRUXELLES, 31. Scongiurata l’emergenza gas per il prossimo inverno
non solo per l’Ucraina ma per l’intera Europa. L’accordo tra Kiev,
Mosca e l’Ue è stato raggiunto ieri
sera dopo due giorni di negoziati e
garantirà la fornitura fino a marzo
2015 grazie a un’intesa che prevede
parte del saldo del debito ucraino e
il pre-pagamento delle forniture
per la prossima stagione invernale.
L’intesa comprende un protocollo vincolante che assicura le forniture di gas a Kiev sino a marzo
2015 e un’aggiunta al contratto tra
Naftogaz e Gazprom. Testimoni
della firma il presidente della Commissione europea, José Manuel
Durão Barroso e il vicepresidente
Maroš Šefčovič. A porre la sigla i
ministri
per
l’Energia
russo,
Alexander Novak, e quello ucraino,
Iuri Prodan, gli amministratori delegati di Naftogaz e Gazprom e il
commissario
Ue
all’Energia,
Günther Oettinger, che ha reso noti alcuni passaggi dell’intesa.
L’accordo — è stato spiegato —
prevede una cifra di circa 4,6 miliardi di dollari tra il saldo del debito ucraino nei confronti di Mosca e le forniture di gas da ora a
marzo 2015. Il debito pregresso,
pari a 3,1 miliardi, sarà pagato in
due tranche: la prima da 1,45 miliardi che Kiev dovrà versare oggi e
i restanti 1,65 miliardi entro fine
anno. L’Ucraina garantisce i pagamenti grazie a un prestito del Fondo monetario internazionale per il
pregresso, mentre il pagamento
delle nuove forniture — è stato
spiegato nel corso di una conferenza stampa al termine dell’incontro
— viene garantito dai finanziamenti
già previsti dai programmi di assistenza finanziaria Fmi-Ue, a cui se
ne aggiungerà un terzo nell’anno
nuovo. Il prezzo è stato fissato in
385 dollari per mille metri cubi di
gas.
Si tratta di un accordo che «garantisce la sicurezza energetica
dell’Ucraina e dei nostri Paesi» cui
ora deve seguire, come priorità,
l’attuazione dell’accordo di Minsk,
ha sottolineato Barroso auspicando
che «l’intesa sul gas» raggiunta ieri
sera «faccia crescere la fiducia reciproca» tra Mosca e Kiev. Da parte
sua l’Unione europea «svolgerà
tutto il suo ruolo per facilitare l’attuazione dell’accordo raggiunto» a
Bruxelles. Lo hanno garantito il
presidente francese e il cancelliere
tedesco, François Hollande e Angela Merkel, i quali, secondo un
comunicato diffuso dall’Eliseo,
hanno avuto colloqui con il presidente russo, Vladimir Putin, e
quello ucraino, Petro Poroshenko.
I quattro leader hanno «accolto
con favore» la conclusione dei negoziati.
Dal canto suo, il portavoce di
Gazprom, Serghiei Kupryanov, ha
detto che «l’accordo è un passo
importante nel prevenire interruzioni delle forniture di gas in Europa questo inverno». Secondo Kupryanov, «Gazprom ha dimostrato
una notevole flessibilità per rendere
possibile quest’intesa». Il gruppo
«è e sarà un fornitore di gas affidabile per l’Europa», ha continuato il
rappresentante di Gazprom, auspicando che l’accordo sia «l’inizio di
un nuovo capitolo, più costruttivo
nei rapporti energetici tra Ue, Russia e Ucraina».
Degenera la crisi in Burkina Faso
OUAGAD OUGOU, 31. Degenera nel
Burkina Faso la crisi innescata
dall’iniziativa del presidente, Blaise
Compaoré, al potere dal 1987, di
modificare la Costituzione che gli
impedisce di concorrere l’anno
prossimo per un ulteriore mandato.
Oggi il Parlamento, controllato dal
partito di Compaoré, avrebbe dovuto appunto pronunciarsi su un disegno di legge governativo per tenere
in aprile un referendum per modificare la Costituzione. Ma ieri l’iniziativa di disubbidienza civile proclamata dall’opposizione, che già
due giorni fa aveva portato in piazza nella capitale Ouagadougou centinaia di migliaia di persone, è sfociata in un assalto al Parlamento
Le credenziali del nuovo ambasciatore
del Belgio
che è stato incendiato. Secondo
fonti concordi, negli scontri ci sarebbero stati una trentina di morti.
A quel punto, il capo delle forze
armate, il generale Honoré Nabere
Traoré, aveva annunciato lo scioglimento del Parlamento, la decadenza del Governo e l’avvio di una
transizione per un anno, fino alle
previste elezioni dell’ottobre 2015.
In tarda mattinata, il colonnello
Isaac Zida, comandante della guardia presidenziale, ha detto alle centinaia di migliaia di persone che ancora sono in piazza che Compaoré
si è dimesso. Il presidente, in nottata aveva dichiarato che non intendeva farlo, ma al tempo stesso aveva annunciato il ritiro del controverso progetto di revisione costituzionale, assicurando che sarebbe rimasto in carica solo per il periodo
di transizione stabilito dall’esercito,
confermando lo scioglimento del
Governo e del Parlamento.
Ancora questa mattina, migliaia
di manifestanti avevano posto una
sorta d’assedio alla sede dello Stato
maggiore delle forze armate, chie-
dendo le dimissioni del generale
Traoré, considerato troppo vicino al
presidente. Già durante la notte,
sfidando il coprifuoco imposto dai
militari, i manifestanti erano rimasti
in piazza, continuando a chiedere
le dimissioni di Compaoré. Sempre
stamani, con un comunicato trasmesso dall’emittente radiofonica
Omega, l’opposizione ha chiesto al
popolo del Burkina Faso di «mantenere l’occupazione sistematica
dello spazio pubblico» per chiedere
che Compaoré se ne vada, senza alcuna discussione.
Tra i primi commenti stranieri c’è
stato quello del ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, con
l’auspicio che «si vada verso un ritorno alla calma». Fabius ha assicurato che non c’è pericolo per i tremilacinquecento francesi, civili e
militari, presenti in Burkina Faso,
uno dei Paesi del Sahel dove la
Francia ha dispiegato truppe. Oggi
a Ouagadougou è atteso l’inviato
speciale dell’Onu per l’Africa occidentale, Mohamed Ibn Chambas.
Il numero di novembre
di «donne chiesa mondo»
In occasione della solennità di Tutti i Santi il nostro giornale
non uscirà. L’appuntamento mensile con
l’inserto «donne chiesa mondo» è perciò
rimandato alla ripresa
della
pubblicazione
dell’edizione quotidiana che avverrà con la
data 3-4 novembre. Il
tema affrontato questo mese è il contributo intellettuale delle
donne alla costruzione della tradizione
cattolica. Un contributo importante che
però — ricorda Lucetta Scaraffia nell’editoriale — «spesso è stato
dimenticato, o non riconosciuto».
Nancy Earle, «Circle of Friends» (1997)
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in
udienza le Loro Eccellenze Reverendissime i
Monsignori:
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— Luis Francisco Ladaria Ferrer, Arcivescovo titolare di Tibica, Segretario della
Congregazione per la Dottrina della Fede;
— Martin Krebs, Arcivescovo titolare di
Taborenta, Nunzio Apostolico in Nuova Zelanda, Fiji, Isole Cook, Kiribati, Palau, Samoa, Stati Federati di Micronesia, Vanuatu,
Tonga; Delegato Apostolico nell’Oceano Pacifico;
— Sérgio da Rocha, Arcivescovo di Brasília (Brasile).
Nella mattina di giovedì 31 Papa Francesco ha ricevuto in udienza
Sua Eccellenza il Signor Bruno Nève de Mévergnies, nuovo ambasciatore del Belgio,
per la presentazione delle lettere con cui viene accreditato presso la Santa Sede
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina
in udienza Sua Eccellenza il Signor Bruno
Nève de Mévergnies, Ambasciatore del Bel-
gio, per la presentazione delle Lettere Credenziali.
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo
di Yaoundé (Camerun) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Jean Mbarga, finora Vescovo di Ebolowa e Amministratore
Apostolico della medesima Arcidiocesi di
Yaoundé.
Il Santo Padre ha nominato Consultori
della Congregazione delle Cause dei Santi il
Reverendissimo Padre Bernard Ardura, O.
Praem., Presidente del Pontificio Comitato
di Scienze Storiche; i Reverendi Monsignor
Alejandro Cifres Giménez, Archivista della
Congregazione per la Dottrina della Fede;
Don Paolo Carlotti, S.D.B., Consigliere della
Penitenzieria Apostolica; Padre Tomislav
Mrkonjić, O.F.M. Conv., Scriptor dell'Archivio Segreto Vaticano; Padre Paul Murray,
O.P., Preside dell’Istituto di Spiritualità della
Pontificia Università San Tommaso d’Aquino; Padre Martin McKeever, C.SS.R., Preside
dell’Accademia Alfonsiana; Padre Jordi-Augustí Piqué Collado, O.S.B., Preside del Pontificio Istituto Liturgico del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo; Padre Rocco Ronzani,
O.S.A., Vice Preside dell’Istituto Patristico
“Augustinianum”; Padre Pablo Santiago
Zambruno, O.P., Docente presso la Pontificia
Università San Tommaso d’Aquino; Padre
Raffaele Di Muro, O.F.M. Conv., già Docente
alla Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura”; gli Illustrissimi Professor Gabriele
Zaccagnini, già Docente all’Università di Pisa; Professoressa Angela Ales Bello, Membro
Ordinario della Pontificia Accademia di
Teologia.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
sabato 1 novembre 2014
Juncker, a sinistra
con Durão Barroso (Reuters)
Intervento della Santa Sede all’O nu
Responsabilità di proteggere
dai cambiamenti climatici
Pubblichiamo la traduzione italiana
dell’intervento pronunciato il 16 ottobre
a New York dall’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della
Santa Sede presso le Nazioni Unite, al
secondo comitato dell’assemblea generale, sul tema: Sviluppo sostenibile, protezione del clima globale per le generazioni presenti e future.
Signor Presidente,
La Santa Sede condivide la visione
del Gruppo di lavoro aperto
sull’agenda di sviluppo post-2105,
identificando lo sradicamento della
povertà estrema e la necessità di assicurare la sostenibilità ambientale
come due tra le sfide più urgenti
che dobbiamo affrontare, ora e oltre
il 2015. Oggi desidero parlare brevemente della seconda.
Signor Presidente,
Se l’impatto del cambiamento climatico è sentito a livello globale, i
Paesi sviluppati e tecnologicamente
progrediti hanno una maggiore capacità di adattarsi e di mitigare gli
effetti avversi, mentre le nazioni in
via di sviluppo e povere continuano
Durão Barroso lascia a Juncker la guida della Commissione
Passaggio di consegne
ai vertici dell’Unione europea
BRUXELLES, 31. Passaggio di testimone fra José Manuel Durão
Barroso e Jean-Claude Juncker alla
guida della Commissione europea.
In una cerimonia al Berlaymont,
l’edificio di Bruxelles che ospita la
sede dell’Esecutivo comunitario,
Durão Barroso e Juncker hanno
scoperto una fotografia del presidente uscente della Commissione,
esposta assieme ai ritratti dei presidenti precedenti, raccolti nell’atrio
del palazzo.
Durão Barroso ha salutato commosso i dipendenti della Commissione. «Dopo dieci anni alla guida
dell’Esecutivo dell’Ue devo dire addio a chi ha lavorato con me. Sono
stati anni difficili, ma molto importanti sul piano politico. E nonostante le difficoltà siamo riusciti a rispondere a una crisi senza precedenti», ha dichiarato nel corso della
cerimonia.
La Commissione, ha continuato,
«è un’istituzione insostituibile e indispensabile nell’Unione europea e
non sarebbe potuta finire in mani
migliori di quelle di Juncker, una
personalità con grandi capacità e
competenze e con un vero spirito
europeista». Nel tracciare un bilancio dei suoi due mandati, il presidente uscente si è detto «molto
preoccupato per l’enorme disconnessione dei cittadini e il facile richiamo dei populismi». «Ora — ha
aggiunto — il nuovo Esecutivo dovrà esercitare la sua attenzione
sull’aspetto sociale e sulla responsabilità democratica» delle decisioni
prese a Bruxelles.
Dopo avere difeso le scelte della
Commissione in un periodo difficile
come quello della crisi del debito
sovrano, il cinquantottenne Durão
Barroso ha detto di non avere ancora deciso se in futuro avrà nuovi incarichi nazionali o internazionali o
che cosa farà: «Per ora — ha osservato — dopo trent’anni di politica in
Portogallo e in Europa, credo di
meritarmi una pausa». L’ex premier
portoghese ha confermato che per
Paolo Gentiloni
nominato
ministro degli Esteri
italiano
ROMA, 31. Sarà Paolo Gentiloni il
nuovo ministro degli Esteri italiano.
La notizia è stata diffusa nella tarda
mattinata di oggi dall’agenzia Ansa
che ha ripreso fonti della maggioranza. Il giuramento dovrebbe avvenire nel pomeriggio al Quirinale.
Deputato del partito democratico,
Gentiloni fa parte della commissione Esteri.
Giornalista professionista, ha lavorato al comune di Roma, ricoprendo numerosi incarichi. Eletto in
Parlamento dal 2001, è stato presidente della commissione di vigilanza Rai e ministro delle Comunicazioni nel biennio 2006-2008. Prende
il posto lasciato vacante da Federica
Mogherini, dimessasi ieri per assumere l’incarico di alto rappresentante della Politica estera e di Sicurezza comune nella nuova Commissione europea che entrerà in carica domani I novembre.
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ora terrà solo alcune conferenze e
lezioni, molte delle quali all’università di Bruxelles. Juncker e il nuovo
collegio dei commissari si insedieranno ufficialmente alla guida
dell’Esecutivo dell’Unione europea
domani, sabato, e rimarranno in carica per i prossimi cinque anni.
In lizza 14 candidati ma la sfida è tra il premier Victor Ponta e il liberale Klaus Iohannis
Alle urne
per le presidenziali in Romania
BUCAREST, 31. Ultime battute di
campagna elettorale in Romania —
terminerà domani mattina alle 7 —
dove domenica è in programma il
primo turno delle presidenziali, a
poco meno di cinque anni dalla
consultazione che diede il secondo
mandato al conservatore Traian
Băsescu. Questa volta però il capo
di Stato uscente resterà a guardare
da spettatore dal momento che la
Costituzione romena non prevede
più di due mandati consecutivi.
Il favorito alla successione di
Băsescu è il suo avversario e attuale primo ministro, Victor Ponta,
leader socialdemocratico. Sembra
tuttavia guadagnare terreno Klaus
Iohannis, numero uno del partito
liberale e sindaco di Sibiu. E comunque sembra certo, a meno di
clamorosi colpi di scena, che nessuno al primo turno supererà la soglia del 50 per cento e che con tutta probabilità Ponta e Iohannis si
giocheranno la presidenza nel ballottaggio del 16 novembre.
La campagna elettorale è stata
polarizzata sui due maggiori sfidanti che si sono affrontati sui temi
fiscali, sulla crescita del Paese (in
lieve ripresa con un 2,5 per cento
annuo secondo le previsioni), sulla
corruzione, ma anche su attacchi
personali.
Secondo
l’ultimo
sondaggio
pubblicato
dal
quotidiano
«Gandul», Victor Ponta potrebbe
ottenere dal 36 al 40 per cento dei
consensi, rispetto al 30 per cento di
cui è accreditato il candidato liberale. Osservatori e analisti ritengono che molto dipenderà anche
dall’affluenza alle urne. La sensazione però è che Iohannis possa ribaltare le previsioni della vigilia,
contando sull’appoggio degli altri
12 candidati i principali dei quali
appartengono al centrodestra.
Un operaio sistema un enorme manifesto elettorale a Bucarest (LaPresse/Ap)
a essere particolarmente vulnerabili.
Durante il vertice sul clima del 23
settembre e in molte altre occasioni,
abbiamo ascoltato gli appelli urgenti di piccoli Stati insulari per i quali
il cambiamento climatico costituisce
una minaccia esistenziale. Ciò è paradossale e ingiusto, dato che i fattori principali del cambiamento climatico, come i consumi elevati e
l’alta quantità di emissioni di gas
serra, caratterizzano le società altamente industrializzate.
Per questo la Santa Sede ritiene
che il cambiamento climatico non
sia solo una questione ambientale; è
anche una questione di giustizia e
un imperativo morale.
È una questione di giustizia aiutare le persone povere e vulnerabili
che più soffrono per cause che, in
gran parte, non sono dovute a loro
e che sono fuori dal loro controllo.
Un passo concreto sarebbe di permettere loro di accedere alla miglior
tecnologia per l’adattamento e il mitigamento. E ora tutti gli sguardi
sono già rivolti alla ventunesima
Conferenza delle parti della Convenzione quadro sui cambiamenti
climatici delle Nazioni Unite e
sull’undicesimo Incontro delle parti
del Protocollo di Kyoto, che si svolgerà a Parigi nel dicembre 2015. Lì,
i poveri e i ricchi — di fatto ognuno
di noi — ne usciranno vincitori se
riusciremo a raggiungere un accordo
su un regime internazionale post2020, in cui tutte le nazioni nel
mondo, comprese quelle con le più
alte emissioni di gas serra, si impegneranno in un trattato universale
sul clima.
È in questo senso che la mia Delegazione
vede
la
rilevanza
dell’espressione “responsabilità di
proteggere” non solo nelle aree del
diritto umanitario e dei diritti umani, ma anche nella questione del
cambiamento climatico. Tutti condividono la responsabilità di proteggere il nostro pianeta e la famiglia
umana. Papa Francesco ha ripetutamente sottolineato l’importanza di
proteggere il nostro ambiente, che
troppo spesso sfruttiamo avidamente, a mutuo detrimento, invece di
usarlo per il bene. Facciamo la scelta coscienziosa di astenerci da stili
di vita e comportamenti che possono aggravare lo stato del nostro pianeta, e promoviamo iniziative che lo
proteggano e lo guariscano! Il mondo è diventato un villaggio; pertanto, dobbiamo divenire sempre più
consapevoli di questa responsabilità
reciproca e comune. In particolare,
gli Stati hanno il serio dovere di decidere politiche e ideare strutture di
monitoraggio per assicurare che le
generazioni presenti e future vivano
in un ambiente sicuro e dignitoso.
Signor Presidente,
Mentre non occorre precisare che
la sfida della protezione del clima
globale esige un grande impegno
politico ed economico da parte della
comunità internazionale, non siamo
però sempre consapevoli del fatto
che occorrono anche prudenza e
onestà scientifica perché non cediamo all’orgoglio, agli eccessi e agli
errori. Essa ci invita all’umiltà e alla
comprensione reciproca, poiché non
tutti sono d’accordo su ogni dato e
su ogni analisi dello stato dell’ambiente del nostro mondo. Tuttavia,
una cosa è chiara: abbiamo un’“alleanza morale” con il nostro ambiente, a motivo della quale tutti i
paesi e le persone devono impegnarsi a lavorare insieme per renderlo un posto sano in cui vivere per le
generazioni presenti e future. Ci siamo dentro tutti. Adempiere questa
responsabilità comune è alla nostra
portata. Adesso.
Grazie, Signor Presidente.
Incendiata la residenza del governatore di Guerrero
Le famiglie degli studenti scomparsi ricevute dal capo dello Stato messicano
CITTÀ DEL MESSICO, 31. Il presidente messicano, Enrique Peña Nieto,
ha ricevuto le famiglie dei 43 studenti scomparsi nello Stato di Guerrero. Nel corso del colloquio che si
è protratto per diverse ore, le famiglie dei ragazzi hanno avanzato una
lista di dieci richieste. Peña Nieto
ha risposto promettendo un nuovo
“piano di ricerche” che assicuri anche che i responsabili siano portati
davanti alla giustizia.
Prima di incontrare il presidente
le famiglie degli studenti erano state
ricevute dal ministro dell’Interno,
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Carlo Di Cicco
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Miguel Ángel Osorio Chong, e dal
procuratore generale, Jesús Murillo
Karam. «Ci aspettavamo qualcosa.
Qualcosa che ci confermasse che
stiamo per ritrovare i ragazzi», ha
detto ai giornalisti Felipe Cruz, portavoce dei parenti dei giovani, aggiungendo che «dopo tanti giorni e
con tutta la forza dello Stato non si
riescono a trovare 43 ragazzi. Ci
sembra incredibile, ed è per questo
che non ci fidiamo».
Fino a ora 56 persone sono state
arrestate. Tra loro anche ufficiali di
polizia, mentre il sindaco di Iguala,
Servizio vaticano: [email protected]
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Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
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José Luis Abarca, considerato il
principale responsabile della sparizione dei giovani, è latitante dal 26
settembre. I ragazzi erano scomparsi
il 26 settembre proprio a Iguala, cittadina di 140.000 abitanti situata
circa 200 chilometri a sud di Città
del Messico.
Frequentavano la scuola di
Ayotzinapa, sempre nello Stato di
Guerrero, e partecipavano a una
manifestazione contro i narcos. Secondo quanto emerso finora, la polizia una volta proceduto al loro arresto, li avrebbe consegnati a espo-
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
nenti della gang di narcotrafficanti
Guerreros Unidos.
Intanto, ieri è ancora una volta
scoppiata la rabbia dei compagni
degli studenti scomparsi, con scontri
che hanno visto dare alle fiamme la
casa del governatore di Guerrero,
mentre il nuovo sindaco di Iguala
ha presentato le sue dimissioni solo
sette ore dopo aver assunto il suo
mandato. Le autorità hanno intanto
annunciato il ritrovamento di una
nuova fossa comune, con almeno 13
corpi, a Ocotitlán, 450 chilometri a
est di Iguala.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Il nuovo
ambasciatore
del Belgio
Sua Eccellenza il Signor Bruno
Nève de Mévergnies, nuovo ambasciatore del Belgio presso la
Santa Sede, è nato a Liegi il 12
luglio 1951. È sposato e ha quattro figli.
Laureato in diritto, ha successivamente conseguito una specializzazione in diritto internazionale, ha intrapreso la carriera diplomatica nel 1978 come funzionario
presso il ministero degli Affari
esteri e ha in seguito ricoperto i
seguenti incarichi: addetto d’Ambasciata a Bonn (febbraio 1979 –
giugno 1979); funzionario presso
il ministero degli Affari esteri (luglio 1979 – agosto 1980); addetto
d’ambasciata a Kinshasa (agosto
1980 – luglio 1984); primo segretario d’ambasciata a Washington
(settembre 1984 – agosto 1988);
primo segretario della rappresentanza permanente presso l’Unione europea a Bruxelles (settembre 1988 – agosto 1989); segretario della Regina Fabiola (settembre 1989 – agosto 1996); ministro
consigliere a Bonn (settembre
1996 – luglio 1999); in servizio
presso il ministero degli Affari
esteri (agosto 1999 – settembre
2002; agosto 2006 – ottobre
2009); ambasciatore a Varsavia
(settembre 2002 – agosto 2006);
ambasciatore al Cairo (ottobre
2009 – settembre 2012); vice capo
del Gabinetto del Re, consigliere
per la stampa del Palazzo reale
(2012-2013); in servizio presso il
ministero degli Affari esteri
(2012-2014).
A Sua Eccellenza il Signor
Bruno Nève de Mévergnies, nuovo ambasciatore del Belgio presso la Santa Sede, giungano, nel
momento in cui si accinge a ricoprire il suo alto incarico, le felicitazioni del nostro giornale.
Concessionaria di pubblicità
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Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
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Credito Valtellinese
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pagina 3
Il luogo di un attentato dinamitardo
a Homs (Reuters)
Lo promette Nidaa Tounes
Avanti sulla via
del dialogo
dopo il voto
in Tunisia
TUNISI, 31. Il partito laico di
Nidaa Tounes (Appello per la Tunisia), uscito vincitore dalle elezioni politiche di domenica scorsa,
ha promesso di «proseguire sulla
via del dialogo e della concordia
nazionale». Nonostante il risultato
che lo porta a essere il primo partito del Paese, il movimento laico
di Beji Caïd Essebsi ha fatto sapere in una nota che «resterà fedele
alla via del dialogo e della concordia nazionale necessaria per portare a termine la fase di transizione,
arrivando da una posizione di
precarietà a una di stabilità».
Per questo i dirigenti di Nidaa
Tounes chiedono a tutti gli altri
partiti «di assumere una posizione
analoga evitando toni accentuati
ed estremismi». D’altra parte, il
panorama politico tunisino che
esce dai risultati definitivi delle legislative di domenica vede confermato un sostanziale bipolarismo
imperniato sui due partiti maggiori con 85 seggi a Nidaa Tounes e
69 a Ennhadha. Sarà necessario
dunque formare alleanze per poter
governare il Paese, raggiungendo
in Parlamento la maggioranza di
almeno 109 deputati sui 217 totali.
In queste ore si fanno le congetture più varie sulle future compagini parlamentari, e si parla anche di grande coalizione tra i due
partiti rivali. Ma si tratta per ora
di supposizioni visto che gli stessi
protagonisti hanno posticipato
ogni decisione a dopo l’elezione
del presidente della Repubblica,
prevista per il 23 novembre.
Il leader di Ennhadha, Rachid
Ghannuchi, uscito sconfitto dal
voto, ieri ha dichiarato: «Noi siamo per un Governo di unità nazionale con ampia base popolare», precisando che al momento
Ennhadha «non ha avviato consultazioni con altri partiti politici». Quanto alla possibilità di allearsi con Nidaa Tounes, il leader
islamico ha precisato che il suo
partito «non pone alcun veto, siamo aperti a tutte le opzioni — ha
detto — sia che saremo al potere o
all’opposizione».
A fare la differenza, schierandosi da una parte o dall’altra, potrebbe essere l’Unione patriottica
libera (Upl) di Slim Rihahi, che a
sorpresa ha ottenuto 16 parlamentari. Nell’ultima campagna elettorale Rihahi ha però attaccato duramente i due maggiori partiti.
Un inedito
incontro
al vertice
nel Myanmar
Per consentire aiuti umanitari alle popolazioni
L’Onu chiede aree smilitarizzate in Siria
NEW YORK, 31. L’offensiva dello Stato islamico
(Is) ha reso, se possibile, ancora più drammatica
la condizione di popolazioni civili stremate da
anni e anni di conflitti, parcellizzati e latenti in
Iraq, manifesti in Siria. Alla luce di tale situazione, l’Onu propone la creazione, in particolare in
Siria, di aree smilitarizzate nelle quali trasferire
gli aiuti umanitari alle popolazioni. Nella sua prima relazione di fronte al Consiglio di sicurezza
da quando si insediò nell’incarico, l’inviato
dell’Onu in Siria, Staffan De Mistura, ha precisato che da parte sua sarebbe presuntuoso parlare
di piano di pace, ma nello stesso tempo ha sottolineato di essere al lavoro per un piano di azione
che prevede proprio la realizzazione di queste
aree. De Mistura ha spiegato che una dovrebbe
essere ad Aleppo, la cui popolazione vive una situazione tragica e dove anche ieri sono stati segnalati duri combattimenti tra forze governative,
appoggiate dai miliziani sciiti libanesi di Hezbollah, e ribelli di matrice fondamentalista islamica.
È stato intanto diffuso dal Consiglio di sicurezza un rapporto dal quale risulta che tra le file
dell’Is ci sono almeno quindicimila combattenti
che non hanno cittadinanza siriana o irachena.
Provengono da ottanta Paesi e molti di loro non
hanno mai avuto nulla a che fare con il terrorismo di matrice fondamentalista islamica. La cifra
è superiore a quella finora stimata dall’intelligence statunitense.
Sul fronte di Kobane, la città siriana al confine
con la Turchia investita un mese e mezzo fa da
un’offensiva dell’Is e strenuamente difesa dai peshmerga curdi, nelle ultime ore si sono intensificati i raid aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti. Non ci sono stati invece combattimenti
terrestri, anche se in città continuano ad affluire
da oltre la frontiera turca i rinforzi da parte dei
curdi iracheni e dei combattenti dell’Esercito libero siriano, espressione dell’opposizione insorta tre
anni e mezzo fa contro il presidente Bashar Al
Assad.
La vicenda minaccia di acuire le divergenze internazionali. Il Governo di Damasco, che sotto
questo aspetto ha avuto finora pieno appoggio da
quello di Mosca, è tornato ad accusare la Turchia
di interferenza negli affari interni siriani per aver
fatto transitare i rinforzi diretti a Kobane.
Il candidato del Frelimo Ancora una strage di civili
presidente del Mozambico
nel Nord Kivu
KINSHASA, 31. Almeno 14 persone
sono state uccise a colpi di machete
nella tormentata regione orientale
congolese del Nord Kivu. È accaduto nella località di Kampi ya
Chui, settanta chilometri a nord-est
della città di Beni, in un attacco
compiuto nella notte tra mercoledì
e giovedì, quando tra l’altro si trovava in visita proprio a Beni il presidente congolese, Joseph Kabila.
Sempre mercoledì, erano stati trovati i corpi di nove persone uccise
nella vicina località di Mavivi. Nel
denunciare ieri l’accaduto, fonti locali hanno attribuito anche quest’ultima incursione all’Alleanza
Timori di ulteriori
violenze
a Gerusalemme
TEL AVIV, 31. I rapporti tra israeliani e palestinesi a Gerusalemme
si stanno avviando verso una pericolosa escalation. Lo ha detto ieri
sera il capo del dipartimento di
Stato americano, John Kerry, che
ha invitato Israele a riaprire la
spianata delle moschee ai fedeli
musulmani. «Le parti devono
esercitare moderazione — ha dichiarato Kerry — e tenersi lontane
da provocazioni per preservare lo
status quo» sulla spianata.
In precedenza, il presidente palestinese, Mahmud Abbas, aveva
condannato duramente la decisione del Governo israeliano di chiudere la spianata delle moschee (un
provvedimento che non veniva
adottato dal settembre del 2000),
dopo che ieri il rabbino Yehuda
Glick è stato ferito gravemente
mentre prendeva parte a una conferenza per chiedere che anche gli
ebrei possano pregare nella città
vecchia. Il presunto autore dell’attentato, rivendicato stamane dal
movimento della Jihad islamica
palestinese, è stato ucciso ieri dalla polizia israeliana.
Stamattina la spianata è stata
riaperta, ma con dure restrizioni.
E la tensione resta alta.
Con un intervento sul quotidiano «Dagens Nyheter», il ministro
degli Esteri svedese, Margot Wallström, ha confermato che ieri il
Governo di Stoccolma ha riconosciuto ufficialmente la Palestina.
Nel frattempo si susseguono le notizie di feroci
stragi perpetrate sui fronti iracheni dai combattenti dell’Is. Un rapporto diffuso ieri da Human
Rights Watch (Hrw) riferisce che lo scorso 10
giugno i miliziani jihadisti hanno ucciso circa seicento uomini, in maggioranza sciiti, ma anche yazidi e curdi, detenuti nel carcere di Badoush alla
periferia di Mosul, nel nord dell’Iraq. Sulla base
dei racconti di quindici testimoni sfuggiti al massacro, Hrw precisa che i miliziani dell’Is, dopo
avere occupato la città, sono penetrati nel carcere,
hanno separato i detenuti sunniti e cristiani da
quelli sciiti o appartenenti alle comunità yazida e
curda. I primi sono stati successivamente rilasciati. Gli altri, appunto circa seicento uomini, sono
stati portati vicino a un burrone a due chilometri
dal carcere e uccisi a raffiche di fucili d’assalto. I
loro corpi sono stati bruciati. I superstiti hanno
aggiunto che gran parte degli autori della strage
erano stranieri. «Gli orribili dettagli delle uccisioni di massa di detenuti da parte dell’Is rendono
impossibile negare la brutalità di questo gruppo
estremista», ha detto Letta Tayler, di Hrw, presentando il rapporto.
delle forze democratiche - Esercito
nazionale di liberazione dell’Uganda (Adf-Nalu), già responsabile
della morte di circa cento civili nelle ultime due settimane. L’Adf-Nalu è uno dei tanti gruppi armati, locali e stranieri, attivi da decenni
nell’est della Repubblica Democratica del Congo.
Il Governo di Kinshasa ha confermato il nuovo attacco, ma ha
detto che sulle sue conseguenze
non si hanno ancora notizie certe.
«C’è stato un attacco concluso con
vittime e l’arresto di un ribelle», si
è limitato a dichiarare il ministro
dell’Interno, Richard Muyej.
NAYPYIDAW, 31. Il presidente del
Myanmar, Thein Sein, ha convocato una riunione senza precedenti con le principali forze politiche
e i vertici militari del Paese asiatico, per parlare delle riforme democratiche, delle prossime elezioni e del processo di pace con le
minoranze etniche ribelli. Il summit, che si svolge nella remota capitale, Naypyidaw, è stato l’occasione di un raro incontro con il
leader dell’opposizione e premio
Nobel per la pace, Aung San Suu
Kyi. È la prima volta che il presidente organizza un vertice con
queste caratteristiche da quando a
sorpresa, nel 2011, l’ultima giunta
militare si è disciolta e ha consegnato il potere a un Governo civile affine. Il partito di Aung San
Suu Kyi, la Lega nazionale per la
democrazia, è dato nettamente favorito alle prossime elezioni legislative del 2015.
Prima donna
afghana
alla Corte
suprema
KABUL, 31. Una donna siederà per
la prima volta nella storia dell’Afghanistan tra i giudici della Corte
suprema. Lo ha annunciato il presidente Ashraf Ghani lasciando intendere che la nomina avverrà a
breve. L’annuncio, come si legge
sul giornale «Khaama Press», è
arrivato durante il discorso di
Ghani alla Xinhua University di
Pechino, dove il presidente termina oggi una visita ufficiale di
quattro giorni.
Anche se per ora è solo un annuncio si tratta già di una piccola
rivoluzione per un Paese in cui le
violenze commesse contro le donne restano spesso impunite e i loro diritti vengono spesso ignorati
o calpestati. Per Ghani «le donne
hanno diritto» di partecipare pienamente alla vita del Paese.
La Corte suprema afghana è
composta da nove membri scelti
dal presidente. Le nomine devono
poi essere confermate con un voto
del Parlamento di Kabul e successivamente il presidente è chiamato
a indicare il capo della Corte Suprema. Nei giorni scorsi si è dimesso il presidente della Corte,
Abdul Salam Azimi, e al suo posto Ghani ha promosso Abdul Rashid Rashid, uno dei nove giudici
della Corte che quindi attualmente conta otto membri.
Disposti dalla Banca mondiale per aiutare i Paesi colpiti dall’epidemia
Altri finanziamenti contro l’ebola
Filipe Jacinto Nyussi, nuovo capo dello Stato mozambicano (Afp)
MAPUTO, 31. Filipe Jacinto Nyussi
è il nuovo presidente del Mozambico. Candidato alle presidenziali di
due settimane fa dal Fronte di liberazione del Mozambico (Frelimo),
il partito al potere fin dall’indipendenza del Paese dal Portogallo nel
1975, Nyussi ha ottenuto il 57,3 per
cento dei consensi. Lo ha annunciato la Commissione elettorale, sciogliendo la riserva sul conteggio dei
voti. Il Frelimo ha conquistato nelle
contemporanee elezioni legislative
144 seggi sui 250 parlamentari. Ne
aveva 191 nella precedente legislatura, al cui inizio nel 2009 il suo lea-
der Armando Emilio Guebuza, era
stato eletto presidente con il 75 per
cento dei voti.
In crescita appare la principale
formazione di opposizione, la Resistenza nazionale mozambicana (Renamo), che passa da 51 a 89 seggi.
Nel voto per la presidenza, Afonso
Dhlakama, il leader della Renamo,
ha avuto il 36,6 per cento dei consensi. Il Movimento democratico
del Mozambico (Mdm) avrà su 17
deputati (erano 8) sulla base di circa il 6 per cento dei voti, più o meno quelli andati al suo candidato
alla presidenza, Daviz Simago.
WASHINGTON, 31. La Banca mondiale ha annunciato oggi un ulteriore finanziamento di cento milioni di
dollari per aiutare i Paesi coinvolti
dall’emergenza ebola in Africa occidentale a reclutare operatori sanitari
preparati ad affrontare il virus.
La decisione — si legge in una
nota pubblicata sul sito dell’organismo basato a Washington — porta
negli ultimi tre mesi il totale
dell’impegno economico dell’istituto
nella lotta contro l’epidemia, in
Guinea, Liberia e in Sierra Leone, a
più di cinquecento milioni di dollari. «La risposta del mondo alla crisi
ebola è aumentata notevolmente
nelle ultime settimane, ma — ha affermato Jim Yong Kim, presidente
della Banca mondiale — abbiamo
ancora un enorme divario da colmare. Soprattutto c’è la mancanza nei
Paesi con i più alti tassi d’infezione
di operatori sanitari addestrati
all’assistenza». La speranza — ha
concluso — «è che questi cento milioni di dollari possano aiutare a reclutare velocemente medici e infermieri nelle comunità che ne hanno
un gran bisogno».
Anche la Cina ha deciso di intervenire contro la malattia. Il Governo di Pechino, infatti, invierà una
task-force dell’esercito in Liberia per
aiutare il Paese nella lotta all’ebola.
Lo ha reso noto oggi il ministero
degli Esteri, rispondendo così
all’appello delle Nazioni Unite che
hanno chiesto un maggiore sforzo
globale. Il team dell’esercito, che
era già sceso in campo contro l’epidemia di Sars nel 2002, costruirà un
centro di cura con cento posti letto
in Liberia, il Paese dell’Africa occidentale più colpito dall’epidemia.
La struttura, pronta entro la fine di
novembre, sarà il primo centro — ha
fatto sapere il ministero cinese in
una nota ufficiale — costruito e gestito da un Paese straniero. L’esercito invierà anche 480 operatori sanitari.
Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Chuck Hagel, ha intanto
difeso la decisione del Pentagono di
isolare per ventuno giorni i militari
americani di rientro dai Paesi colpiti
dall’ebola.
«Porre in isolamento i soldati anche se non hanno i sintomi del virus
è stata una decisione intelligente,
saggia, prudente, disciplinata e guidata dalla scienza», ha dichiarato
Hagel. «Il motivo — ha aggiunto il
capo di stato maggiore interforze,
Martin Dempsey — sta nel fatto che
i militari trascorrono più tempo nella regione rispetto agli operatori sanitari».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
sabato 1 novembre 2014
Felice Carena
«Gli apostoli» (1926)
Arte sacra e architettura religiosa
Quel che i seminaristi
dovrebbero sapere
di DUNCAN STROIK
na delle raccomandazioni del
concilio Vaticano II era che i
sacerdoti fossero formati nelle arti: «I chierici, durante il
corso filosofico e teologico,
siano istruiti anche sulla storia e sullo sviluppo dell'arte sacra, come pure sui sani
principi su cui devono fondarsi le opere
dell’arte sacra, in modo che siano in grado
di stimare e conservare i venerabili monumenti della Chiesa e di offrire consigli appropriati agli artisti nella realizzazione delle loro opere» (Sacrosanctum concilium n.
129).
È una buona raccomandazione, considerando che i sacerdoti si prendono cura del
patrimonio artistico della Chiesa. Ogni pastore è verosimilmente il curatore di una
piccola galleria d’arte oltre che il responsabile di una vera e propria pianta bisognosa
di costante manutenzione, riparazioni e migliorie. Poi c’è qualche fortunato — o forse
non tanto fortunato — che ha la possibilità
di costruire qualcosa di nuovo.
Costruire una chiesa è un’impresa grandiosa. Significa dover prendere migliaia di
decisioni, da quella di ingaggiare l’architetto giusto a quelle di raccogliere milioni di
dollari, valutare con occhio critico la statua
della Beata Vergine, decidere se il metallo
della porta debba essere di bronzo o di ottone lucido. E tutto ciò, in aggiunta a un
lavoro a tempo pieno come quello di dirigere una parrocchia.
Dato che molti sacerdoti devono essere
pastori, curatori, responsabili di questa
pianta, presidenti dei programmi musicali
ed educativi e capi del progetto edilizio, si
può davvero chiedere loro di avere anche
un’istruzione nel campo dell’arte e dell’architettura? E se la si potesse inserire in un
piano di studi seminaristici già fittissimo,
quali modalità dovrebbe prevedere?
Un’introduzione all’arte e all’architettura
cattoliche dovrebbe coprire tre settori generali: storia dell’arte e architettura sacre, studio delle procedure relative al design architettonico e
del processo di costruzione. La sola storia dell’architettura sacra può
a malapena essere coperta in un
semestre (diciotto secoli di materiale che abbraccia interi continenti). Comprendere — come è necessario — anche l’arte rende il piano
di studi ancora più impervio.
Tuttavia, se i seminaristi studiassero anche soltanto alcuni dei
grandi monumenti della fede cattolica, ciò potrebbe bastare a ispirarli e ad aprire loro gli occhi.
Non tutti i sacerdoti possono essere esperti della filosofia di Tommaso o della teologia di Agostino,
ma certamente dovrebbero leggerli
e avere familiarità con tali giganti
della fede. Lo stesso dicasi per la
conoscenza dell’arte e dell’architettura sacre.
Che cosa dovranno sapere i futuri preti? Dovranno capire come
si distinguono i diversi periodi e
stili e cogliere allo stesso tempo
gli sviluppi e la continuità rispetto
al passato.
Vediamo questo nell’evoluzione
che dalla prima architettura cristiana porta al romanico e poi al
gotico. La pianta delle chiese e il
modulo a campata rinascimentali
sviluppano idee nate nel gotico.
Avere familiarità con alcuni dei
grandi mecenati e con i loro architetti, da Costantino, dal vescovo
Sugero, dai Medici e Papa Giulio
II fino agli arcivescovi Carroll,
Hughes e Ireland negli Stati Uniti. Queste personalità ci sono di
esempio ancora oggi e le loro opere continuano a ispirarci.
Ai sacerdoti dovrebbe essere inculcato l’amore per la grande tradizione
dell’architettura sacra. Dovrebbero valorizzare non soltanto le chiese dei luoghi nei
quali sono cresciuti, ma anche la basilica
dei primi cristiani, il duomo bizantino, la
cattedrale gotica e l’esuberanza del barocco.
Non c’è uno stile cattolico unico, non
c’è una formula unica per creare una chiesa
bellissima. Ci sono piuttosto principi senza
tempo di architettura sacra quali la verticalità, la processione, l’analogia corporea, il
simbolismo e la costruzione durevole, che
possono trovarsi in tutti i secoli e in tutti
gli stili.
In termini di design, sarebbe utile offrire
dei fondamenti sul ruolo e sui benefici derivanti dall’ingaggiare un architetto profes-
U
L’eco novecentesca
di un Caravaggio distrutto
La Galleria di Arte Moderna di Palazzo Pitti a
Firenze celebra i suoi primi cento anni con
l’esposizione «Luci del Novecento», aperta
fino al prossimo 8 marzo. Fra i quadri in
mostra, la grande tela Gli apostoli, la prima
opera di Felice Carena a essere arrivata in
Galleria. Il dipinto raffigura la preghiera di
Cristo nel giardino degli Ulivi. L’immagine
degli apostoli addormentati, un soggetto
profondamente radicato nella tradizione, viene
affrontata in modo molto personale dal pittore
novecentesco che rielabora liberamente la
lezione dei maestri del passato. Secondo un
gusto per le citazioni tipico di Carena, l’opera
rievoca un dipinto oggi andato perduto di
Caravaggio (ma esposto a Palazzo Pitti nel
1922 in occasione della grande mostra del
Seicento e del Settecento organizzata da Ugo
Ojetti) e anche i capolavori dal medesimo
soggetto di Giovanni Bellini e di Tintoretto.
Nella tela di Carena — scrive Adele Marchitelli
nel catalogo della mostra (Livorno, Sillabe,
2014, pagine 366, euro 30) a cura di Simonella
Condemi ed Ettore Spalletti — l’elemento sacro
è molto interiorizzato e implicito, e l’attenzione
non è più focalizzata sul dramma di Cristo, ma
sul sonno «umano, troppo umano» dei suoi
amici.
Una Tebaide ritrovata al Museo Condé di Chantilly
Il puzzle del Beato Angelico
di SILVIA GUIDI
Uno dei gioielli in mostra, nell’esposizione «Fra Angelico, Botticelli.
Chefs-d'oeuvre retrouvés!» al Museo
Condé di Chantilly (in Francia) fino
al 4 gennaio prossimo, è un puzzle
parzialmente ricomposto, ancora incompleto ma dal valore inestimabile.
Per la prima volta, infatti, viene
esposta una Tebaide di Guido di Pietro, detto Beato Angelico (1395-1455)
di tavola che raffigura un Papa senza
tiara. La corda era in Francia, il paniere in America.
L’intuizione di Anne Leader ha
permesso di ricollocare il san Benedetto in preghiera conservato a Chantilly — liberato da sporco e ridipinture
tardive — sopra il quadro americano,
e di ricostruire la posizione anche degli altri frammenti conosciuti, conservati al Museo Thomas-Henry di
Cherbourg, nel nord della Francia, e
in Belgio, al Museo delle Belle Arti
di Anversa.
Una tessera dopo l’altra, grazie anche agli studi e alle intuizioni di Michel Laclotte, presidente onorario del
Louvre e curatore della mostra di
Chantilly insieme a Nathalie Volle, il
capolavoro ritrovato ha iniziato a
prendere forma: un panorama aperto
cielo blu punteggiato da meravigliose
nuvole». Già adesso le cinque tessere
del mosaico formano «una congiunzione astrale rarissima», possibile solo
a Chantilly, dove è conservata la collezione di Enrico d’Orléans, duca
d’Aumale (1822-1897). Nel suo testamento il duca lasciò all’Institut de
France il castello di Chantilly con
l’obbligo di trasformarlo in museo, e
di non permettere l’uscita di nessuna
opera dalla sua sede.
In senso orario: il frammento conservato a Chantilly, il dipinto di proprietà del Museum of Art di Philadelphia, le tavole conservate a Cherbourg e Anversa
che si pensava perduta, una tavola panoramica di cui sono stati recuperati e
assemblati cinque frammenti. Il sesto
ancora non c’è, ma già adesso l’effetto
è impressionante.
Merito — scrive Adrien Goetz su
«Le Figaro» del 23 ottobre scorso —
di una storica dell’arte americana, Anne Leader, che, studiando la rappresentazione dei santi eremiti del Rinascimento, si è accorta che un particolare di un quadro esposto a Chantilly
— una corda tenuta in mano da un
monaco, affacciato alla finestra di una
grotta — proseguiva in Pennsylvania.
E, per la precisione, al Museum of
Art di Philadelphia, in un frammento
sul mare, dipinto intorno al 1430, malauguratamente sezionato e smembrato in più frammenti che, nei secoli,
hanno preso ognuno una strada diversa. Fino al momento in cui le immagini di una corda e di un cesto sospeso
nel vuoto non hanno stabilito un
provvidenziale collegamento nella memoria di una studiosa, dando avvio
alla ricostituzione di una splendida tavola mutilata dal tempo.
«Il vero miracolo sarebbe trovare
anche l’ultimo pezzo mancante», continua Goetz. «Dovremmo cercare
un’isola o qualcosa di simile, con un
monaco o un santo in preghiera, una
linea dell’orizzonte molto netta, e un
Nella mostra a Chantilly accompagnano la tavola della Tebaide il San
Marco e il San Matteo del Beato Angelico; una delle tavole del pittore senese Stefano di Giovanni di Consolo
(1400 circa-1450), meglio noto come
Sassetta, realizzata per il complesso
d’altare di Borgo San Sepolcro, i pannelli da cassone da nozze realizzati da
Botticelli e Filippino Lippi con scene
di Ester e Assuero, la tavola Cinque
angeli danzano intorno al Sole (1436),
di Giovanni di Paolo (1398-1482); un
disegno di Michelangelo e il ritratto
di Simonetta Vespucci di Piero di Cosimo, restaurato per l’occasione dal
Museo Condé.
sionista, su come ingaggiarlo e sui diversi
servizi che questi può fornire. Essendo una
persona che “professa”, il ruolo dell’architetto è quello di assistere il pastore nel disegnare un’opera d’arte che sia durevole,
che sia funzionale alla liturgia e che possa
essere costruita in base a un determinato
budget.
Un progetto di successo richiede il coinvolgimento del prete come datore di lavoro, come capo del comitato parrocchiale
con ragionevoli aspettative riguardo al suo
architetto, come ingegnere e come imprenditore edile.
Infine, i futuri sacerdoti trarrebbero beneficio da un’introduzione alle procedure
di raccolta di fondi e al processo di costruzione. Proprio come nella procedura relati-
Ogni sacerdote è anche il curatore
di una piccola galleria di oggetti preziosi
come quadri, statue e paramenti sacri
Ogni chiesa è come una pianta
ha bisogno di cure costanti
va alla progettazione, il coinvolgimento del
pastore è qui insostituibile. È lui l’agente
del vescovo, il pastore che si prende cura
dei bisogni dei fedeli. Al contrario, un approccio “fai da te” implica molte potenziali
insidie; ingaggiare organizzatori di raccolte
di fondi professionisti e impresari edili
competenti è di fondamentale importanza
quanto avere un dentista competente per
curare i denti. Molti hanno imparato a loro
spese che più si spende e più si risparmia.
In ogni caso, costruire o rinnovare una
chiesa, come molte cose nella vita, richiede
molto duro lavoro
Si può fare tutto questo nell’ambito di
un’educazione seminaristica? Sarebbe me-
Il tempio espiatorio della Sagrada Família
visto dalla Pedrera
glio avere un corso che coprisse tutto
quanto sopra esposto, anche se ciò potrebbe veramente servire solo da introduzione.
Come minimo, credo che un corso sulla
storia dell’arte e dell’architettura sacre sarebbe un buon inizio per una vita di apprendimento, curatela e abbellimenti. Le
procedure di progettazione e di costruzione potrebbero fare parte di un corso su come si dirige una parrocchia. E questi stessi
argomenti potrebbero essere coperti in un
paio di seminari nel corso di una giornata
o di un fine settimana.
In questo modo, potremmo aiutare i nostri futuri pastori e vescovi nella loro opera
di apprezzamento, conservazione e miglioramento del ricco patrimonio ecclesiastico
di arte e architettura sacre.
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 1 novembre 2014
pagina 5
Il 1931 sembrava inaugurarsi
sotto gli auspici di un moderato ottimismo
I Patti lateranensi reggevano da quasi due anni
e i rapporti tra Santa Sede e governo italiano
non destavano particolari apprensioni
Pio XI avvia la dinamo della nuova centrale elettrica
(6 febbraio 1931)
di SERGIO PAGANO
anno 1930 si chiudeva, stando al bilancio che ne tracciava Pio XI nel suo messaggio natalizio, con «argomenti di consolazione e di
pena». Fra i primi vi erano la felice conclusione del Centenario francescano, i futuri Centenari di sant’Agostino, di
sant’Emerico, di sant’Antonio da Padova,
della Medaglia Miracolosa, del concilio di
Efeso; i frutti spirituali maturati nei Congressi eucaristici di Budapest, di Cartagine, di Loreto; le canonizzazioni di Roberto Bellarmino, di Teofilo da Corte, di Caterina Thomas, di Lucia Filippini, degli
otto martiri gesuiti del nord America.
Fra le dolenti note Papa Ratti rilevava
una situazione sociale dipinta con tinte fosche e realistiche, condizionata ancora pesantemente dalla crisi del 1929; situazione
che darà spunto al Pontefice il 15 maggio
1931 (ben oltre la mera ricorrenza della
Rerum novarum) all’enciclica sociale Quadragesimo anno: «Diciamo questo generale,
anzi universale disagio finanziario ed economico, il quale è così penosamente risentito nella loro stessa compagine dagli Stati
e dai Popoli, anche i più ricchi e i più forti, come dalle più piccole ed umili famiglie, da queste (s’intende) ben più dolorosamente. Diciamo questa così largamente
diffusa disoccupazione che toglie lavoro e
pane a tanti operai ed alle loro famiglie e
fa sentire sempre più vivamente il bisogno
di un migliore assetto sociale ed internazionale ispirato a maggiore giustizia e carità cristiana, e che senza sovvertire l’ordi-
L’
Pubblicati
i documenti
È stato appena pubblicato il secondo
volume de I Fogli di Udienza del
cardinale Eugenio Pacelli segretario di
Stato (1931), a cura di Giovanni Coco
Alejandro Mario Dieguez (Città del
Vaticano, Archivio Segreto Vaticano,
2014, Collectanea Archivi Vaticani 95,
pagine XVI+937, tav. 16
b.n.). Riprendiamo stralci dalla
presentazione del volume scritta dal
vescovo prefetto dell’archivio che ha
ideato la pubblicazione.
ne stabilito dalla Divina Provvidenza, renda possibile ed effettiva fra le diverse classi e fra i diversi popoli la collaborazione
fraterna, utile a tutti, invece della lotta e
della concorrenza dura e sfrenata, a tutti
nociva ed a più o meno breve andare disastrosa».
A essa si aggiungevano il dilagare del
malcostume, le «disastrose ideologie», gli
eventi tellurici in Italia, le sofferenze dei
cristiani «nelle Russie, nella Siberia», il
proselitismo protestante in Italia «contro
la religione cattolica, la sola religione dello Stato».
Eppure per il Papa e per la Santa Sede
il nuovo anno che si apriva — il 1931 —
sembrava inaugurarsi sotto gli auspici di
un moderato ottimismo: i Patti Lateranensi reggevano da quasi due anni e i rapporti con il governo italiano, nonostante i costanti, reciproci attriti e gli scatti umorali
di Pio XI e di Mussolini, non destavano
particolari apprensioni, o almeno timore
di sovversione.
Nel contempo la Città del Vaticano,
quel «tanto di territorio» che assicurava
l’inviolabilità del Sommo Pontefice, si andava strutturando, dotandosi degli elementi fondamentali per assicurare l’indipendenza della Sede Apostolica; sorgevano gli uffici postali, la centrale termo-elettrica e soprattutto la radio (poi Radio Vaticana) fortemente voluta da Pio XI, che
l’avrebbe inaugurata il 12 febbraio (alla
presenza di Guglielmo Marconi), pronunciando dai suoi microfoni il memorabile
discorso Qui arcano Dei consilio.
Presto però l’orizzonte si sarebbe offuscato: nel marzo si generava una pericolosa crisi nelle relazioni fra la Santa Sede e
l’Italia: il noto dissidio sull’Azione Cattolica, la «pupilla degli occhi del Papa», fatta oggetto di sospetto e dell’aggressione
violenta da parte del regime fascista, aveva
fatto provare al vescovo di Roma (sono
parole sue) «le amarezze più amare, amaritudo mea amarissima». La vertenza, cul-
Negli appunti del segretario di Stato di Pio
XI
lo specchio di una difficile situazione
I fogli
di Pacelli
minata in luglio con la promulgazione
dell’enciclica Non abbiamo bisogno, avrebbe
condotto Roma e il Vaticano addirittura
alle soglie della rottura delle relazioni diplomatiche, e conseguentemente dei Patti
Lateranensi; una eventualità, quest’ultima,
che ebbe un ruolo non marginale nell’indurre entrambe le parti a più moderati
consigli.
E se la questione dell’Azione Cattolica
fu la ribalta visibile e pubblica di un forte
attrito fra Italia e Vaticano, altri segnali
marginali, se si vuole, appaiono in questo
1931, come ad esempio la presa di distanze, compiuta sulle pagine de
«L’Osservatore Romano» per volere di Pio XI e su segnalazione
del cardinale Schuster, dalla «Rivista di Agricoltura», di impronta
fascista, che aveva osato esaltare
il «nuovo rito italiano», ovvero la
benedizione delle sementi, «pieno di poesia e di fede, e profondamente diverso nello spirito» —
si scriveva sul periodico — non
solo dal rito pagano, ma dallo
stesso rito cattolico. Tanto bastò
per far capire agli ispiratori di tae
le strano rito agreste di non miscere sacra profanis (questo il titolo
dell’articolo su «L’O sservatore
Romano»), strumentalizzando la
benedizione cristiana delle messi
con un «nuovo rito, dove le preghiere son messe a contributo
della propaganda, con il concerto
bandistico, coll’intervento delle
bandiere, con la distribuzione dei
premi, con il discorso di propaganda».
Avvisaglia più robusta di tale
clima fu il centenario della nascita del noto vescovo di Cremona Geremia
Bonomelli (1831-1931), famoso “conciliazionista”, che il suo successore, monsignor
Giovanni Cazzani, non avrebbe voluto celebrare pubblicamente (ovvero almeno sospendere) per “inopportunità politica”, temendo che l’occasione potesse venir sfruttata per “scopi tendenziosi”, come infatti
poi avverrà da parte del foglio locale «Il
Regime Fascista» di Roberto Farinacci. Il
personaggio era però troppo noto in Italia
e all’estero e troppo caro ai cremonesi, sicché, dopo diverse tergiversazioni, e dopo
aver avvertito sulla stampa cattolica che
«la Conciliazione vagheggiata dal Bono-
melli non è quella avvenuta, tanto che il
Santo Padre ha avuto cura di dire che la
conciliazione da lui fatta non è quella vagheggiata da altri», il centenario si celebrò
con dimessa solennità e il Papa fece inviare una lettera di elogio al vescovo celebrato, esaltandone però più le virtù di pastore, che quelle di tessitore “conciliazionista”. E molti altri esempi consimili si potrebbero moltiplicare, legati da un filo di
rapporti sempre teso e sorvegliato fra regime fascista e Santa Sede.
Tuttavia il dialogo fra Italia e Vaticano,
favorito dalla mediazione del gesuita Pietro Tacchi Venturi (figura che ripercorre
tutti i Fogli di Udienza), sarebbe stato ripreso con gli “Accordi di settembre” ed
avrebbero aperto una nuova fase di tregua
“armata” tra le due sponde del Tevere:
una pacificazione che sarebbe stata solennizzata solo l’anno seguente con la storica
visita di Benito Mussolini in Vaticano (11
febbraio 1932).
La crisi italo-vaticana aveva aperto un
altro fronte, tutto interno alla stessa Curia
romana: una larga parte del Sacro Collegio, che aveva mosso e continuava a muovere critiche all’azione di governo del
Pontefice, riverberando questo dissidio in
una sorda e mai sopita opposizione (più
di principio che di fatto) ai Patti Lateranensi, colse l’occasione del conflitto
sull’Azione Cattolica per dare sfogo alle
proprie rimostranze, mettendo in questione l’operato del cardinale Pacelli, segretario di Stato, e le scelte di questi approvate
dallo stesso Pio XI. Il contrasto tra il Pontefice e il Collegio cardinalizio — forse
uno dei più acuti della storia recente del
papato — sarebbe stato composto e assorbito nel Concistoro segreto del 23 luglio,
nel corso del quale il Papa letteralmente
ora clausit cardinalibus, affermando in maniera inequivocabile la propria autorità e
quella del suo segretario di Stato.
Ma nuove e dolorose preoccupazioni si
affacciavano ben oltre Roma e la Curia,
da altre parti dell’orbe cattolico. Nell’aprile il re Alfonso XIII di Borbone lasciava in
volontario esilio la Spagna, che si costituiva in Repubblica; il nuovo governo, nonostante gli sforzi di democratizzazione,
avrebbe inaugurato una fase di aspro confronto con la Chiesa cattolica, ritenuta
una delle colonne dell’antico regime monarchico, e mentre nelle piazze si susseguivano violente aggressioni a chiese e conventi, nelle cortes si discuteva una nuova legislazione costituzionale,
marcatamente anticlericale, che decretava la
separazione tra Chiesa e
Stato e poneva fuori
legge la Compagnia di
Gesù. Il momento più
acuto della crisi tra Madrid e il Vaticano si ebbe con l’esilio comminato al cardinale Pedro
Segura, arcivescovo di
Toledo e primate di
Spagna, la cui vicenda
— chiusa con le forzate
dimissioni del cardinale
dalla propria sede — divenne emblematica dell’intera «questione spagnola».
Se queste erano le ragioni che destavano allarme nell’Europa occidentale, a Oriente di
essa erano la Lituania e
la Polonia a tenere insonne l’attenzione della
Sede Apostolica. Il goFolla davanti alla Cassa di Risparmio di Berlino
verno di Kaunas, che
sempre aveva mantenuto rapporti contraddittori con la Chiesa romana, nel mese di
giugno di quell’anno espelleva il nunzio
apostolico, monsignor Riccardo Bartoloni,
sulla base di generiche accuse di indebita
ingerenza negli affari politici interni. Al
contempo nella vicina Polonia, la cui vita
politica permaneva sotto la salda egida del
maresciallo Piłsudski, pater et dominus patriae, una parte sempre più ampia dell’episcopato manifestava la propria insoddisfazione nei confronti del governo, causandone le risentite proteste a Roma. Allo stesso
modo forti rimanevano le distanze tra la
Santa Sede e il governo di Varsavia nel
merito della “questione orientale”, ovvero
dei conflittuali rapporti tra il governo e la
stessi diritti umani; la Santa Sede in questo 1931 giungeva ad una posizione che
può essere bene sintetizzata da quanto
scriverà il cardinale Pacelli per la riunione
del 20 dicembre agli Affari Ecclesiastici
Straordinari: «Trovar modo di dire che la
S. Sede non può che benedire e incoraggiare tutti quelli che difendono i diritti di
Dio e della religione; però nelle condizioni attuali non può né autorizzare né incoraggiare la resistenza armata. (…) Del resto unione, tutta l’unione possibile, nella
varietà delle condizioni, e coltivare molto
bene l’Azione Cattolica, (…) la quale invece di armare di spada e di moschetto,
arma delle armi dell’apostolato. (…) Se si
vuole un partito di cattolici, agirà con la
coscienza cattolica, ma non un partito cattolico, cioè identificare l’idea di partito
con quella di cattolici. Cattolici organizzati a partito, ma non partito cattolico».
Infine, ma non per ultima fra i gravi
problemi, la crisi economica internazionale, provocata dal crack di Wall Street nel
1929, che cominciava a farsi sentire più pesantemente in Europa con tutte le sue devastanti conseguenze. A pagarne le spese
sarebbero state soprattutto le nazioni uscite vinte dal precedente conflitto mondiale,
in primis la Germania di Weimar, che ancora stava cercando di consolidare le proprie istituzioni. Schiacciata dal debito dovuto alle riparazioni di guerra, la Germania avrebbe attraversato una fosca crisi
economica e istituzionale, dalla quale lentamente ma inesorabilmente sarebbe emersa una nuova forza politica, il nazionalsocialismo, le cui proposizioni erano state
prontamente condannate da alcuni vescovi
tedeschi; e proprio su mandato di Adolf
Hitler, nel maggio del 1931 Hermann Göring si sarebbe recato in Italia allo scopo
Vignetta pubblicata in prima pagina dal quotidiano «Il Lavoro Fascista» (22 maggio 1931)
Chiesa greco-cattolica, i cui fedeli — in
gran parte di lingua ucraina — coltivavano
la speranza di una futura indipendenza
nazionale.
Nella lontana America Latina continuava a preoccupare la situazione della Chiesa in Messico e i ripetuti esposti contro
Il dissidio sull’Azione Cattolica
fatta oggetto dell’aggressione violenta
da parte del regime fascista
aveva fatto provare al Pontefice
«le amarezze più amare»
l’atteggiamento del delegato apostolico
monsignor Leopoldo Ruíz y Flores, giudicato da taluni sacerdoti e da non pochi
vescovi troppo condiscendente con il governo. Protestarono i presuli di Durango
(José María Gonzáles y Valencia), di Veracruz-Xalapa (Rafael Guízar y Valencia), di
Antequera (José Othón Núñez y Zárate) e
soprattutto il vescovo di Huejutla (José de
Jesús Manríquez y Zárate), accanito oppositore (nella sua situazione di esule negli
Stati Uniti) del modus vivendi, giudicato
dal Papa severamente. Si poneva il grave
problema per i cattolici, o per meglio dire
di alcuni settori della Chiesa in Messico,
della opposizione armata ad un regime
che negava le libertà della Chiesa e gli
di rassicurare il regime mussoliniano, al fine di guadagnarne il fondamentale sostegno alla causa nazista, e per altro verso
per sollecitare (ma invano) dalla Santa Sede la revoca della scomunica fulminata
dall’episcopato agli aderenti al partito hitleriano. Questo, detto in estrema sintesi,
quanto ai grandi problemi
internazionali.
Venendo ora ai mille temi
ordinari e straordinari, di
maggiore o minore portata,
trattati nelle Udienze, notiamo anzitutto nei nostri Fogli
ancora gli strascichi della
condanna dell’Action Française (1926). Verso la fine di
gennaio padre Henri Le Floch, rettore del Seminario
Francese di Roma, destituito da Pio XI
per le sue simpatie verso il movimento,
protestava la sua fedeltà al romano Pontefice e chiedeva nuovamente perdono per
una sua lettera di discolpa, divulgata a sua
insaputa, e sottometteva al Pontefice il desiderio di pubblicare un recueil de conferénces et d’allocutions qui pourraient être par
leur objet un témoignage public de mon attachement au Siège Apostolique. La risposta,
di pugno di Papa Ratti, fu categorica:
«Perdono e benedizione sì, l’indicata pubblicazione no». A conferma di una linea
d’azione sempre vigile e fermissima del
Papa di Desio nei riguardi di Maurras e
del suo movimento.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
sabato 1 novembre 2014
Il Patriarca Bartolomeo sulla visita del Papa al Fanar
Cammino
che non si ferma
Monsignor Machado e il rapporto fra cristiani e indù
D ifferenze
che fanno crescere
NEW DELHI, 31. Cristiani e indù
«devono approfondire il rispetto e
l’amicizia reciprocamente. Questo
non vuol dire che si debbano ignorare le differenze essenziali che esistono fra le due tradizioni religiose,
ma al contrario che proprio queste
differenze vanno comprese, accettate e rispettate. La Chiesa cattolica
non impone mai la propria fede
agli altri, e da sempre è al servizio
dei poveri e degli emarginati. Possa il nostro rapporto migliorare,
per il benessere comune». È quanto ha dichiarato all’agenzia AsiaNews monsignor Felix Anthony
Machado, arcivescovo-vescovo di
Vasai e presidente dell’Ufficio per
il dialogo interreligioso e l’ecumenismo della Catholic Bishops’ Conference of India, riguardo il messaggio inviato nei giorni scorsi al
mondo indù dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, in
occasione della festa di Diwali.
Secondo il presule, che guida lo
stesso ufficio anche all’interno della
Federation of Asian Bishops’ Conferences, l’India «è una società pluralista e multireligiosa, dove lo spirito dell’inclusione è sempre stato
promosso dai cattolici. La Chiesa
incoraggia al dialogo e alla collaborazione con le altre fedi, per il
benessere comune. Dobbiamo affrontare insieme le tante sfide che
si presentano, perché insieme possiamo prosperare».
Il messaggio per la festa di Diwali, prosegue monsignor Machado, «riflette il pensiero di Papa
Francesco:
la
globalizzazione
dell’indifferenza crea una cultura
dell’esclusione in cui i poveri, i
vulnerabili e gli emarginati vedono
i propri diritti calpestati. Mentre
opportunità e risorse vengono destinate ad altri. Chi vive ai margini
viene usato e scartato, come fosse
un oggetto. E questo danneggia
tutti quanti». Al contrario, «la
Chiesa cattolica indiana lavora da
sempre per i poveri e gli emarginati, per i dalit e i tribali, per le don-
ne e le ragazze delle aree più remote del Paese, per gli infelici: e lo fa
— precisa l’arcivescovo — senza dare peso all’identità religiosa, con
un impegno che vuole sconfiggere
proprio
questa
globalizzazione
dell’indifferenza. Siamo impegnati
con forza nel dialogo interreligioso
e non discriminatorio, e continueremo a collaborare con lo Stato e
con la società per il bene comune.
Il dialogo fra indù e cristiani —
conclude — può diventare un modello per le altre religioni».
In questo contesto, si inserisce
però l’allarme lanciato dal Global
Council of Indian Christians (Gcic)
che ha denunciato nel distretto di
Jaunpur, nello Stato dell’Uttar Pradesh, la «riconversione» forzata di
oltre trecento cristiani all’induismo.
«La libertà religiosa — ha detto Sajan George, presidente del Gcic — è
un nostro diritto costituzionale. I
metodi subdoli usati per riconvertire innocenti cristiani all’induismo
sono pericolosi».
ISTANBUL, 31. «Un segno importante del reciproco attaccamento fra le
Chiese ortodossa e cattolica»: così il
patriarca ecumenico, Bartolomeo, ha
definito la visita che Papa Francesco
effettuerà a fine novembre a Istanbul in occasione della festa di
sant’Andrea. Parlando a un gruppo
di giornalisti austriaci ricevuti nei
giorni scorsi al Fanar, l’arcivescovo
di Costantinopoli — riferisce Radio
Vaticana — ha precisato che non ci
saranno «gesti spettacolari» ma la
«dichiarazione che sarà firmata durante l’incontro costituirà una tappa
importante nelle relazioni tra le due
Chiese». La quasi millenaria separazione «non può essere superata
dall’oggi al domani. Nemmeno sessant’anni fa ci si considerava come
nemici piuttosto che come fratelli.
Ma molte cose positive sono accadute negli ultimi decenni. Certo,
ora c’è bisogno di progressi sostanziali», ha osservato il patriarca ortodosso.
Bartolomeo si è soffermato poi
sui lavori della tredicesima sessione
plenaria della Commissione mista
internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa
ortodossa, svoltasi dal 15 al 23 settembre ad Amman, in Giordania,
non nascondendo che su alcuni
punti — in particolare sulla questione del primato (e quindi sul ruolo
del Vescovo di Roma nella Chiesa
universale) — permangono divergenze di opinioni al momento insuperabili, soprattutto all’interno del mondo ortodosso. Di contro l’arcivescovo di Costantinopoli ha ricordato
l’ottimo rapporto che lo lega a Papa
Francesco, fin dalla celebrazione
(nel marzo 2013) che segnò l’inizio
del ministero petrino: «Era la prima
volta dallo scisma del 1054 che un
patriarca ecumenico partecipava alla
cerimonia di inizio pontificato», ha
precisato. Un’amicizia rafforzata nel
maggio scorso, durante il pellegrinaggio del Papa in Terra Santa, e
poi l’8 giugno quando Bartolomeo
si è recato in Vaticano in occasione
dell’invocazione per la pace alla
presenza del presidente israeliano,
Shimon Peres, e del presidente palestinese, Mahmoud Abbas. «Non ho
esitato nemmeno un secondo», ha
affermato, parlando dell’invito.
Il patriarca ha quindi confermato
il programma del viaggio apostolico
di Francesco in Turchia, dal 28 al 30
novembre. In particolare sabato 29
il Papa visiterà a Istanbul il museo
di Santa Sofia e la moschea Sultan
Ahmet, celebrerà la messa nella cattedrale cattolica dello Spirito Santo
e con Bartolomeo guiderà la preghiera ecumenica nella chiesa patriarcale di San Giorgio, alla quale
seguirà un incontro privato tra
Francesco e il patriarca. Domenica
30, festa di sant’Andrea apostolo,
sono previste la divina liturgia nella
chiesa patriarcale di San Giorgio, la
benedizione ecumenica e la firma
della dichiarazione congiunta.
L’arcivescovo di Costantinopoli,
nell’incontro con i giornalisti austriaci riportato da Radio Vaticana,
ha sottolineato che dopo Paolo VI
(nel luglio 1967) anche Giovanni
Paolo II nel novembre 1979 e Benedetto XVI nel novembre 2006 sono
venuti sul Bosforo. «Gli ultimi due,
come ora Francesco, hanno compiuto queste visite poco dopo l’inizio
del loro pontificato. Un chiaro segno», ha sottolineato Bartolomeo
parlando della tradizionale celebrazione congiunta del 30 novembre,
delle buone relazioni tra la Chiesa
ortodossa e la Chiesa cattolica.
Le due Chiese — ha osservato —
sono in dialogo, «un dialogo di
amore e carità. Un dialogo che non
è vago idealismo ma un cammino
reale che, anche se alle volte irto di
difficoltà, non si ferma, perché
l’amore stesso ce lo comanda. Così
anche le nostre relazioni interpersonali rappresentano una dimensione
essenziale nel nostro approccio. Negli ultimi decenni, se il dialogo teologico procede lentamente, secondo
i tempi voluti da Dio, i nostri incontri interpersonali corrono più
spediti». E ora «la gioia è grande
per il prossimo abbraccio che avremo qui, in questa storica sede del
patriarcato ecumenico, con il nostro
amato fratello, Sua Santità Papa
Francesco, per la festa di sant’Andrea il prossimo 30 novembre».
Centomila sfollati tra i rohingya a causa di violenze e persecuzioni
In Myanmar a fuggire sono i musulmani
NAYPYIDAW, 31. Una media di novecento persone al giorno, diecimila in meno di due settimane: sono i
numeri del nuovo “esodo” di musulmani rohingya dal Myanmar. Sarebbero più di centomila quelli che
hanno abbandonato il Paese negli
ultimi due anni, dall’inizio cioè delle violenze con la maggioranza
buddista. Alle spalle lasciano disperazione e miseria e vanno in cerca
di una vita migliore. A denunciarlo
— riferisce AsiaNews — sono gruppi
birmani formati da attivisti che si
battono per i diritti umani. Il numero dei boat people è in continuo
aumento e dal 15 ottobre sarebbe
cominciata una nuova fuga di massa, a bordo di imbarcazioni che
partono dai territori dello Stato di
Rakhine, nell’ovest. Chris Lewa, direttore dell’organizzazione non governativa Arakan Project (il Rakhine un tempo si chiamava Arakan),
sottolinea appunto che ogni giorno
circa novecento persone si ammassano a bordo di navi cargo in partenza dai porti dello Stato. Un totale di quasi diecimila persone in
meno di due settimane, uno dei
picchi
più
elevati
dall’inizio
dell’emergenza.
Dal giugno del 2012 il Rakhine è
teatro di violenti scontri fra buddisti birmani e rohingya che hanno
causato almeno duecento morti e
duecentocinquantamila sfollati. Secondo stime delle Nazioni Unite
citate dall’agenzia, in Myanmar
(nazione di cinquanta milioni di
abitanti a maggioranza buddista,
con significative presenze cristiane,
musulmane, animiste e induiste) vi
sono tuttora 1.300.000 appartenenti
alla minoranza musulmana che il
Governo
considera
immigrati
irregolari e che per questo motivo
sarebbero oggetto di abusi e persecuzioni.
Attualmente vi sarebbero centoquarantamila sfollati rinchiusi nei
centri profughi che, secondo quanto stabilito dalle autorità, devono
accettare la classificazione di
bengali, e ottenere la cittadinanza,
oppure rimanere “a vita” nei campi.
All’interno dei centri sono privati
dei diritti di base, assistenza sanitaria, educazione, un lavoro.
Contro l’emarginazione e l’abbandono in cui versa la minoranza
musulmana è intervenuta a più riprese anche la Chiesa cattolica birmana.
Secondo i gruppi attivisti, i
rohingya in fuga fanno una prima
tappa nella confinante Thailandia,
dove vengono condotti in centri di
accoglienza all’interno della giun-
gla e sono vittime di maltrattamenti, estorsioni e altri tipi di violenze
prima di essere rilasciati. In un secondo momento essi ripartono verso sud, alla volta della Malaysia o
di altre nazioni, musulmane e non,
dove peraltro non godono del diritto di cittadinanza. Anche qui, il loro futuro resta incerto.
Nelle ultime settimane le autorità
birmane avrebbero compiuto dozzine di arresti fra i membri della minoranza musulmana, per presunti
legami con il gruppo militante
Rohingya Solidarity Organisation.
Durante gli arresti e la detenzione
si sarebbero verificati maltrattamenti, torture e abusi. Secondo Arakan
Project, almeno tre persone sarebbero morte a causa delle percosse
subite e la campagna di arresti è
«finalizzata ad accelerare le partenze» dal Paese. Ma per il portavoce
governativo dello Stato di Rakhine,
Win Myaing, «non è successo nulla» e «non vi è stato alcun
arresto».
Nel Rakhine fino a due anni fa
vivevano ottocentomila rohingya su
una popolazione di quattro milioni
di persone. Molti di loro non
hanno cittadinanza, non sono liberi
né di spostarsi né di sposarsi e non
hanno accesso a cure e istruzione.
Indetto dalla Chiesa in Cambogia un Anno della carità
Il peccato dell’indifferenza
PHNOM PENH, 31. Il vicariato apostolico di Phnom-Penh, in Cambogia, ha annunciato l’apertura di uno
speciale Anno della carità. Si tratta
del primo frutto visibile del sinodo
diocesano celebrato nel Paese asiatico. Ai lavori — riferisce l’agenzia Fides — hanno preso parte circa trecento delegati di parrocchie, comunità, associazioni e congregazioni
religiose cambogiane. Il tema centrale dell’assemblea è stato proprio
la carità, declinata nelle due dimensioni «carità di Dio» e «carità verso
il prossimo». Se non diamo cibo ai
poveri — ha dichiarato il vescovo
Olivier Michel Marie Schmitthaeusler, vicario apostolico di PhnomPenh — «siamo degli assassini. Il
più grande peccato nella società di
oggi è l’indifferenza verso il prossimo, soprattutto verso chi soffre o è
nel bisogno».
Il vicario apostolico di PhnomPenh ha spiegato che «Dio è
amore, ama ciascuno di noi e ci
permette di servire gli altri, amarli e
restituire loro la speranza. Dio — ha
proseguito il presule — ci ha scelti
come suoi strumenti, come messaggeri della redenzione e della salvezza, specie verso i più poveri». L’auspicio espresso da monsignor
Schmitthaeusler è quello che nella
società cambogiana si riduca la distanza tra i pochi “molto ricchi” e i
tanti “molto poveri” e si vivano valori come «la solidarietà, la cooperazione e la fraternità».
Il vescovo ha inoltre ricordato
che la Chiesa cattolica locale è tradizionalmente impegnata in attività
sociali e caritative e ha esortato i fedeli a vivere in pienezza l’Anno della carità, riscoprendo questo impegno. «Cristo ci ha insegnato a servi-
re. Durante quest’anno — ha concluso Schmitthaeusler — Dio incoraggia la comunità ad avere rinnovato interesse e amorevole cura dei
più indigenti».
La Cambogia è uno dei Paesi più
poveri dell’Asia: il 34 per cento della popolazione — secondo dati di
ong che vi operano — vive con meno di un dollaro al giorno. Milioni
di bambini sono ancora privi di diritti fondamentali come salute,
istruzione e casa, e di ogni genere
di tutela.
Circa il 40 per cento della popolazione infantile vive in condizioni
di povertà, mentre un ottavo muore
prima di raggiungere il quinto anno
di vita, in gran parte a causa di
malattie evitabili. Le donne e i
bambini sono le principali vittime
di situazioni di abuso e maltrattamento.
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 1 novembre 2014
pagina 7
La dichiarazione finale dell’incontro mondiale dei movimenti popolari
Per un dialogo permanente
con la Chiesa
Appello di Caritas Internationalis per gli orfani e la carenza di assistenza
L’ebola in Africa
è un dramma umanitario
ROMA, 31. Occorre un’azione urgente e mirata per rispondere alla crisi
umanitaria provocata dal virus ebola
in Africa. È quanto ritiene necessario Caritas Internationalis che, il
prossimo 4 novembre, ha promosso
un incontro con alcuni esperti sanitari della Chiesa cattolica per affrontare al meglio il diffondersi
dell’epidemia. Già da diversi mesi,
l’ente caritativo è impegnato in prima linea nella distribuzione di kit
sanitari alle famiglie e alle comunità
locali. «In questo momento — ha
dichiarato monsignor Robert J. Vitillo, consigliere per la sanità di Caritas Internationalis — non si tratta
soltanto di prevenire l’ebola. Siamo
anche chiamati a occuparci di quelle
migliaia di persone sane, che erano
già povere, che non hanno accesso
alle cure mediche per curare altre
malattie. È una vera e propria emergenza umanitaria — ha proseguito
monsignor Vitillo — per questo motivo dobbiamo rafforzare la risposta
della Caritas stringendo collaborazione con altre organizzazioni in seno alla Chiesa cattolica prima possibile».
L’emergenza ebola in Africa, che
sta colpendo in modo particolare
Sierra Leone, Guinea Conakry e Liberia, vede coinvolti in prima linea
molte congregazioni e ordini religiosi, tra cui i camilliani e i salesiani.
Qualche giorno fa sono partiti
padre John Toai per un sopralluogo
in Liberia, e il consultore generale
dei camilliani, padre Aris Miranda,
per la diocesi di Makeni in Sierra
Leone. Dalla diagnosi e dal confronto dei dati oggettivi raccolti in
loco e dalle loro testimonianze è
emerso un quadro drammatico. Secondo i religiosi — riferisce Fides —
ebola è solo una terribile aggravante
di una situazione più complessa fatta di lunghe guerre civili, di corruzione, di sfilacciature nella leadership civile, religiosa e politica. In
tre mesi in Sierra Leone si sono alternati tre ministri della salute. Tutto questo ha comportato il collasso
di un sistema sanitario già molto
fragile e impreparato, mancante anche della strumentazione basilare
per il primo screening diagnostico
di contagio. La situazione è aggravata dal fatto che il virus sta colpendo duramente non le tradizionali
zone rurali, ma i grandi centri urbani più densamente abitati.
In questo contesto, raccontano i
camilliani, si muore di ebola, ma
contestualmente per l’ignoranza, per
la malaria e di parto anche perché,
per paura di ulteriori contagi e non
avendo mezzi per una veloce diagnosi del contagio, i pochi ospedali
presenti sono stati chiusi e i morti
per malattie tropicali endemiche sono aumentati in modo esponenziale.
L’accesso alle basilari terapie e vaccini, al costo di pochi dollari, rimane un miraggio per la maggior parte
della popolazione. La gente muore
di fame a causa della riduzione al
minimo degli spostamenti per le
possibilità del contagio. Gli scambi
di merci sono rallentati e l’inflazione sta facendo lievitare vorticosamente i prezzi.
L’impegno dei padri camilliani
previsto nell’ospedale di Makeni
prevede il supporto per la valutazione delle condizioni per la riapertura
dell’ospedale diocesano Holy Spirit
oltre al sostegno all’azione ecclesia-
le, offrendo un supporto di natura
pastorale e di counseling per una
popolazione spaventata, per la quale la paura genera non solo angoscia, ma anche atteggiamenti imprudenti che rischiano di esporla a rischi ulteriori. Inoltre, i camilliani
sono impegnati in azioni concrete di
sostegno alla comunità locale per
accogliere un numero sempre crescente di bambini orfani e per una
maggiore sicurezza alimentare.
Preoccupazione per la situazione
in Sierra Leone è stata espressa anche dai salesiani. I religiosi sono impegnati ad aiutare migliaia di bambini i cui genitori sono morti a causa del virus. «Ci sono più di 1.560
bambini in quarantena — ha raccontato don Jeorge Crisafulli, superiore
dell’Ispettoria dell’Africa occidentale anglofona — perché hanno perso i
genitori o perché sono stati rifiutati
dalle loro famiglie. Sono bambini
che hanno subito un trauma come
la perdita dei familiari, sono stati
discriminati, separati dalle loro famiglie e, in alcuni casi, accusati di
essere loro la causa del male. Non è
per niente facile avviare il centro
per bambini orfani a causa dell’ebola».
In Liberia, i missionari salesiani
riportano che «la situazione è brutta, nonostante l’arrivo di aiuti inter-
nazionali e il fatto che il numero di
posti letto sia aumentato». In questo Paese l’ebola ha causato oltre
2.700 vittime. I salesiani sono concentrati sulla prevenzione e la distribuzione di cibo e forniture mediche,
che è l’aspetto più urgente. «Ma
siamo preoccupati — prosegue il religioso — anche per la situazione di
migliaia di bambini e giovani che
stanno perdendo l’anno scolastico, e
per la gente che non può coltivare.
Per questo motivo si sta lavorando
per lanciare presto un progetto per
creare orti casalinghi e fare formazione a distanza».
Anche in Guinea Conakry il virus
ha già provocato 900 morti. «Nessuno qui — spiegano i salesiani —
parla dell’ebola, è un tabù. E la sensibilizzazione deve essere fatta con
attenzione, in quanto vi sono stati
casi di volontari per l’informazione
e la prevenzione che sono stati attaccati dalle comunità».
Di fronte a tutto ciò la procura
missionaria salesiana di Madrid rinnova il suo appello alla comunità
internazionale per combattere l’epidemia. «Solo con l’aiuto internazionale saremo in grado di uscirne. Vi
preghiamo d’inviare letti, laboratori,
esperti, medici, infermieri in modo
da evitare una epidemia globale».
Una Lettera degli esclusi agli esclusi
sarà diffusa tra i movimenti popolari dei cinque continenti insieme
con il testo del discorso che Papa
Francesco ha rivolto lo scorso 28
ottobre ai partecipanti all’incontro
mondiale riuniti in Vaticano. È una
delle iniziative annunciate nella dichiarazione finale stilata al termine
della tre giorni convocata dal Pontificio Consiglio della giustizia e
della pace e dalla Pontificia Accademia delle scienze. Nel documento i partecipanti all’incontro lanciano anche la proposta di creare uno
spazio di dialogo permanente tra i
movimenti popolari e la Chiesa.
Riuniti dal 27 al 29 a Roma per
confrontarsi sulle questioni legate
alla terra, al lavoro e alla casa, gli
oltre cento delegati hanno sintetizzato nella dichiarazione le analisi e
le indicazioni emerse durante il dibattito. Caratterizzato — scrivono —
da una speciale attenzione al «prezioso contributo» che la dottrina
sociale della Chiesa offre alla riflessione sui temi della giustizia e della
solidarietà. «Il nostro principale
strumento di lavoro — assicurano —
è stata la Evangelii gaudiium, esaminata tenendo conto del bisogno di
recuperare modelli etici di condotta nella dimensione individuale, di
gruppo e sociale della vita
umana».
Nel clima «di dibattito appassionato e di fraternità interculturale»
che ha caratterizzato le giornate, i
delegati definiscono un «evento
storico» la presenza di Papa Francesco. Il quale — affermano — «ha
sintetizzato nel suo discorso gran
parte della nostra realtà, le nostre
denunce e le nostre proposte».
Proprio «la chiarezza e l’accuratezza delle sue parole non ammettono
doppie interpretazioni e ribadiscono che la preoccupazione per i poveri è al centro stesso del Vangelo». In più, «l’atteggiamento fraterno, paziente e caloroso di Francesco verso tutti e ognuno di noi,
soprattutto verso i perseguitati, ha
a sua volta espresso la sua solidarietà con la nostra lotta tante volte
sottovalutata e giudicata a priori, e
addirittura perseguitata, repressa o
criminalizzata».
Sabato in Spagna la beatificazione di don Pedro Asúa Mendía
Come il panno che asciuga le lacrime
di AITOR JIMÉNEZ ECHAVE*
El paño de lágrimas, colui che
asciugava le lacrime dei bisognosi:
è stata infatti la generosità uno
dei tratti caratterizzanti il ministero del sacerdote don Pedro Asúa
Mendía, che viene beatificato sabato pomeriggio, 1° novembre, a
Vitoria, in Spagna. Il rito è presieduto, in rappresentanza di Papa Francesco, dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi.
Viene così elevato agli onori
degli altari il prete basco martire
della persecuzione religiosa spagnola del 1936, che è stato anche
architetto, avendo costruito tra
l’altro edifici come il teatro Coliseo Albia di Bilbao, il frontón JaiAlai a Madrid e le scuole Mendía
nella sua Balmaseda. Qui nacque
il 30 agosto 1890, quinto figlio di
Isidro Luis Asúa e Francisca
Mendía y Conde. A pochi giorni
dalla nascita, fu battezzato nella
chiesa parrocchiale di San Severino e a quattro anni entrò nella locale scuola delle Figlie della Croce. A dieci passò al collegio dei
padri gesuiti di Orduña. Trasferitosi a Madrid, ottenne il titolo di
architetto e iniziò la professione,
senza tuttavia abbandonare gli
esercizi di pietà e una intensa vita
di fede, che a poco a poco diedero frutto: dapprima avviò a Balmaseda l’adorazione notturna e
nel 1919 decise di entrare in seminario. Il 14 giugno 1924 fu ordinato prete.
Svolse un’intensa attività apostolica e quando iniziò la persecu-
zione fu sottoposto a vari interrogatori. Al termine di uno di essi
commentò:
«Dobbiamo
stare
pronti, se è necessario, a essere
martiri». Continuò la sua missione nonostante gli arresti e le perquisizioni. Ma il 25 agosto, dopo
aver celebrato la messa, che sarebbe stata l’ultima, fu costretto rifugiarsi nella vicina Sopuerta. E il
27 attraverso Bilbao si trasferì a
Erandio. Il giorno seguente fu
raggiunto da miliziani di Balmaseda. Senza giudizio, fu trasportato direttamente sul luogo del martirio, a Liendo, in Cantabria. Sottoposto a maltrattamenti, fu poi
fucilato. Il corpo, abbandonato in
una cava, fu ritrovato e riconosciuto solo in seguito. Il 31 luglio
1938 furono riesumati i resti, poi
portati alla tomba di famiglia a
Balmaseda. Anni dopo, la diocesi
di Vitoria procedette alla tumulazione definitiva nel seminario che
egli stesso aveva costruito.
Motivo principale della sua uccisione fu l’odio alla fede e per il
suo lavoro con la gente semplice.
Alcuni degli esecutori hanno testimoniato che in punto di morte
disse loro: «“Dio vi perdoni, come io vi perdono nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo”. Gli sparammo due proiettili alla testa e uno alla spalla».
Il processo canonico ha messo
in luce in particolare il suo fervore religioso: don Pedro visse pienamente la vocazione sacerdotale,
sostenendola con la preghiera frequente e intensa, e manifestando
attenzione preferenziale all’Eucaristia. Questa realtà si rifletteva
nelle sue parole, nei suoi atteggiamenti e gesti, nella devozione e
nel raccoglimento con cui celebrava la messa. Fu inoltre umile —
non volle mai distinguersi, mai ricercò privilegi, mai volle omaggi
— e generoso nell’assistenza verso
i bisognosi: non c’era povero che
non soccorresse; gli infermi, i disoccupati, le persone in difficoltà
andavano a chiedergli aiuto e non
trovavano mai la porta chiusa. Infine si ricorda la sua dedizione
apostolica. In definitiva attuò il
motto del movimento sacerdotale
di Vitoria: «Solo sacerdote, sempre sacerdote e in tutto sacerdote».
*Postulatore
Da questo articolato dibattito è
emersa in definitiva la consapevolezza che «la guerra e la violenza,
l’acutizzarsi dei conflitti etnici e
l’uso della religione per legittimare
la violenza, come pure la deforestazione, il cambiamento climatico e
la perdita della biodiversità, hanno
come motore principale la ricerca
incessante del lucro», che provoca
il saccheggio delle risorse umane e
naturali soprattutto a scapito dei
popoli più poveri. Per frenare questa deriva — affermano i delegati —
«riteniamo che l’azione e le parole
dei movimenti popolari e della
Chiesa siano imprescindibili».
In tale contesto, una «speciale
attenzione» è stata riservata alla situazione delle donne, particolarmente colpite dalle conseguenze
negative del sistema
economico e sociale. «Riconosciamo
l’urgente bisogno di
un impegno profondo e serio in questa
causa giusta e storica» si legge in proposito nella dichiarazione. I partecipanti
all’incontro
invocano anche la
fine «dello scarto e
dell’abbandono di
bambini e giovani»,
ammonendo
che
«se i bambini non
hanno una infanzia,
se i giovani non
hanno un progetto,
la terra non ha un
futuro».
Il
documento
non manca di mettere in guardia i
Pavel Egüez, «Grido per la pace»
movimenti
dalla
(2004, dal murale «Il grido degli esclusi»)
tentazione di cullarsi «nell’autocommiagli ultimi) sono stati concordi serazione» e di limitarsi alla sterile
nell’affermare che l’origine delle in- denuncia. I delegati riaffermano
giustizie sociali e dei disastri am- perciò la necessità di un impegno
bientali va ricercata nella natura di forte e concreto. E sottolineano che
un sistema economico «che mette «in tale ottica sono state condivise
il lucro al di sopra dell’essere uma- innumerevoli esperienze di lavoro,
no», concentrando un «potere smi- di organizzazione e di lotta che
surato» nelle mani di pochi e ali- hanno permesso la creazione di mimentando la tendenza a mercificare lioni di posti di lavoro dignitoso
nel settore popolare dell’economia,
e privatizzare tutto.
Durante l’incontro «si è ribadito il recupero di milioni di ettari di
che l’accesso pieno, stabile, sicuro e terra per l’agricoltura contadina e
integrale alla terra, al lavoro e alla la costruzione, l’integrazione, il micasa costituisce un diritto umano glioramento o la difesa di milioni
inalienabile, inerente alla persona e di case e di comunità urbane nel
alla sua dignità, che deve essere ga- mondo». In questo senso «il ruolo
rantito e rispettato». In particolare protagonistico» dei movimenti pola casa e il quartiere vanno consi- polari va considerato «indispensaderati come spazi vitali da tutelare bile per i cambiamenti di cui abe garantire; la terra come «un bene biamo bisogno».
In conclusione i partecipanti
comune che deve essere condiviso
tra tutti coloro che la lavorano evi- all’incontro fanno appello in modo
tando il suo accaparramento»; e il particolare a tutti gli operatori dei
lavoro dignitoso come l’«asse strut- media, chiedendo loro di diffondere il discorso di Papa Francesco,
turante di un progetto di vita».
Anche la questione della violen- che — ribadiscono — «sintetizza
za e della guerra è stata al centro gran parte della nostra esperienza,
dell’attenzione dei delegati, a parti- i nostri pensieri e i nostri aneliti».
re dell’affermazione di Papa Fran- E riecheggiando le parole del Poncesco, che più volte ha parlato di tefice ripetono: «Terra, casa e lavo«una terza guerra mondiale» com- ro sono diritti sacri! Nessun lavorabattuta «a pezzi». In proposito il tore senza diritti! Nessuna famiglia
dibattito ha preso in esame temati- senza casa! Nessun contadino senche scottanti come la violenza sca- za terra! Nessun popolo senza tertenata dalle mafie del narcotraffico, ritorio!».
Quanto alle prospettive scaturite
dai lavori, la dichiarazione finale
mette l’accento anzitutto sulle
«cause strutturali della disuguaglianza e dell’esclusione, dal suo
radicamento sistematico a livello
globale alle sue espressioni locali».
Cause che sono state prese in considerazione dai delegati nell’ottica
specifica dei popoli poveri, in particolare dei contadini, dei lavoratori senza diritti e degli abitanti di
quartieri popolari (villas, favelas,
baraccopoli, slum). «Sono state
condivise — si legge nel documento
— le terribili cifre della disuguaglianza e della concentrazione della
ricchezza» nelle mani di pochi. I
diversi interventi (fra loro anche
quelli di vescovi, sacerdoti e operatori pastorali impegnati accanto
il traffico di armi e la tratta delle
persone. Allo stesso modo si è parlato dei dislocamenti forzati, degli
affari legati alle terre, dell’attività
mineraria ed estrattiva inquinante,
di tutte le forme di marginalizzazione nei confronti delle popolazioni locali, degli interventi delle
grandi potenze nei Paesi più poveri.
Anche la questione ambientale è
stata al centro di un ricco scambio
di opinioni, a partire dai dati più
recenti sull’inquinamento e sul
cambiamento climatico, che confermano come «il consumismo insaziabile» e l’«industrialismo irresponsabile» stiano conducendo il
mondo sull’orlo di «una catastrofe
ecologica». I delegati hanno ribadito la necessità di «combattere la
cultura dello scarto» . E «sebbene
le sue cause siano strutturali — scrivono — anche noi dobbiamo promuovere un cambiamento dal basso nelle abitudini e nelle condotte
dei nostri popoli, dando la priorità
agli scambi all’interno dell’economia popolare e al recupero di quello che il sistema scarta».
Lutto nell’episcopato
Monsignor Sofron Stefan Mudry, vescovo emerito di IvanoFrankivsk,
Stanislaviv
degli
Ucraini, è morto nella notte tra
il 30 e il 31 ottobre, all’età di novant’anni.
Il compianto presule era nato
il 27 novembre 1923 in Zoloczyw, arcieparchia di Lviv degli
Ucraini, ed era stato ordinato
sacerdote basiliano il 25 dicembre 1958. Il 24 novembre 1995
era stato eletto coadiutore
dell’eparchia di Ivano-Frankivsk,
Stanislaviv degli Ucraini, e il 12
maggio 1996 era stato ordinato
vescovo. Succeduto per coadiuzione il 7 novembre 1997, il 2
giugno 2005 aveva rinunciato al
governo pastorale della diocesi,
che il 13 novembre 2011 è stata
elevata ad arcieparchia.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
sabato 1 novembre 2014
Papa Francesco invita i carismatici a non temere le diversità e a cercare l’unità che è opera dello Spirito
Col ritmo del respiro
«Quando inspiriamo, nella preghiera,
riceviamo l’aria nuova dello Spirito e
nell’espirarlo annunciamo Gesù Cristo
suscitato dallo stesso Spirito». Con
questa immagine Papa Francesco ha
invitato i membri della Catholic
Fraternity of Charismatic Covenant
Communities and Fellowships, ricevuti
in udienza nell’Aula Paolo VI nella
mattina di venerdì 31 ottobre, a
«conoscere e accettare con gioia i
diversi doni che lo Spirito Santo dà ad
ognuno e metterli al servizio di tutti
nella Chiesa».
Cari fratelli e sorelle, benvenuti.
Vi ringrazio per la vostra accoglienza e saluto tutti con affetto. So
che la Catholic Fraternity ha già tenuto l’incontro con l’esecutivo e il
consiglio e che questo pomeriggio
comincerete la XVI conferenza internazionale con il caro P. Raniero.
Avete avuto la gentilezza di farmi
pervenire il programma e vedo che
ogni incontro inizia con il discorso
che ho rivolto al Rinnovamento Carismatico in occasione dell’incontro
allo Stadio Olimpico nello scorso
mese di giugno.
Voglio innanzitutto congratularmi
con voi perché avete iniziato ciò che
in quel momento era un desiderio.
Da circa due mesi la
Catholic Fraternity e
l’ICCRS hanno già cominciato a lavorare
condividendo lo stesso
ufficio nel Palazzo San
Calisto, dentro l’“Arca
di Noè”. Sono consapevole che non dev’essere
stato facile prendere
questa decisione e vi
ringrazio di cuore per
questa testimonianza di
unità, della corrente di
Grazia, che state dando
a tutto il mondo.
Vorrei approfondire
alcuni temi che ritengo
importanti.
Unità nella diversità.
L’uniformità non è cattolica, non è
cristiana. L’unità nella diversità.
L’unità cattolica è diversa ma è una.
È curioso! Lo stesso che fa la diversità è lo stesso che poi fa l’unità: lo
Spirito Santo. Fa le due cose: unità
nella diversità. L’unità non è uniformità, non è fare obbligatoriamente
tutto insieme, né pensare allo stesso
modo, neppure perdere l’identità.
Unità nella diversità è precisamente
il contrario, è riconoscere e accettare
con gioia i diversi doni che lo Spirito Santo dà ad ognuno e metterli al
servizio di tutti nella Chiesa.
Oggi nel passo del Vangelo che
abbiamo letto nella Messa, c’era
questa uniformità di quegli uomini
attaccati alla lettera: «Non si deve
fare così...», a tal punto che il Signore ha dovuto domandare: «Ma,
Missione
di Cor Unum
in Siria
Dal 28 al 31 ottobre il segretario
del Pontificio Consiglio Cor
unum, monsignor Giampietro
Dal Toso, ha compiuto una visita
a Damasco, per partecipare alla
riunione dell’assemblea dei vescovi cattolici in Siria. Lo rende noto un comunicato del dicastero,
nel quale si evidenzia che il prelato ha anche incontrato diverse
istituzioni, in particolare cattoliche, che in questo momento di
crisi stanno realizzando attività di
assistenza umanitaria nel Paese.
Nei vari incontri si è particolarmente apprezzato l’impegno del
Papa e della Santa Sede per sostenere le comunità cristiane e
tutta la popolazione che soffre
per le conseguenze del conflitto e
per invitare le diverse parti al dialogo e alla riconciliazione. Si è
anche sottolineato l’importante
ruolo degli organismi cattolici di
aiuto, di cui è beneficiaria tutta la
popolazione siriana, anche grazie
al generoso contributo della comunità internazionale. Di fronte
alle crescenti necessità, però, tale
aiuto dovrà intensificarsi.
dimmi, si può fare del bene di sabato o non si può?». Questo è il pericolo dell’uniformità. L’unità è saper
ascoltare, accettare le differenze,
avere la libertà di pensare diversamente e manifestarlo! Con tutto il
rispetto per l’altro che è il mio fratello. Non abbiate paura delle Differenze! Come ho detto nell’Esortazione Evangelii gaudium: «Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è
equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro.
Il modello è il poliedro, che riflette
la confluenza di tutte le parzialità
che in esso mantengono la loro originalità» (236), ma fanno l’unità.
Ho visto nell’opuscolo, dove ci
sono i nomi delle Comunità, che la
frase che avete scelto di mettere
all’inizio è quella che dice: «...condividere con tutti nella Chiesa il
Battesimo nello Spirito Santo». La
Chiesa ha bisogno dello Spirito
Santo, ci mancherebbe! Ogni cristiano, nella sua vita, ha bisogno di
aprire il suo cuore all’azione santificante dello Spirito Santo. Lo Spirito, promesso dal Padre, è Colui che
ci rivela Gesù Cristo, che ci dà la
possibilità di dire: Gesù! Senza lo
Spirito non possiamo dirlo. Lui rive-
la Gesù Cristo, ci conduce all’incontro personale con Lui e così cambia
la nostra vita. Una domanda: Vivete
questa esperienza? Condividetela! E
per condividerla, bisogna viverla, essere testimoni di questo!
Il tema che avete scelto per il
Congresso è «Lode e Adorazione
per una nuova evangelizzazione».
Di questo parlerà P. Raniero, maestro di preghiera. La lode è l’inspirazione che ci dà vita, perché è l’intimità con Dio, che cresce con la lode
ogni giorno. Tempo fa ho ascoltato
questo esempio che mi sembra molto appropriato: la respirazione per
l’essere umano. La respirazione è costituita da due fasi: inspirare, cioè
mettere dentro l’aria, ed espirare, lasciarla uscire. La vita spirituale si
alimenta, si nutre nella preghiera e
si manifesta nella missione: inspirazione, la preghiera, ed espirazione.
Quando inspiriamo, nella preghiera,
riceviamo l’aria nuova dello Spirito
e nell’espirarlo annunciamo Gesù
Cristo suscitato dallo stesso Spirito.
Nessuno può vivere senza respirare. Lo stesso è per il cristiano: senza
la lode e senza la missione non vive
da cristiano. E con la lode, l’adorazione. Si parla di adorare, se ne parla
poco. «Che cosa si fa nella preghiera?» - «Chiedo delle cose a Dio,
ringrazio, si fa l’intercessione...»
L’adorazione, adorare Dio. Questo è
parte della respirazione: la lode e
l’adorazione.
È stato il Rinnovamento Carismatico che ha ricordato alla Chiesa la
necessità e l’importanza della preghiera di lode. Quando si parla di
preghiera di lode nella Chiesa vengono in mente i carismatici. Quando
ho parlato della preghiera di lode
durante una Messa a Santa Marta
ho detto che non è solamente la
preghiera dei carismatici ma di tutta
la Chiesa! È il riconoscimento della
signoria di Dio su di noi e sopra
tutto il creato espresso nella danza,
nella musica e nel canto.
Vorrei ora riprendere alcuni passaggi di quell’omelia: «La preghiera
di lode è una preghiera cristiana per
tutti noi. Nella Messa, tutti i giorni,
quando cantiamo ripetendo “Santo,
Santo, Santo...”, questa è una preghiera di lode, lodiamo Dio per la
sua grandezza perché è grande. E
gli diciamo cose belle, perché a noi
piace che sia così... La preghiera di
lode ci fa fecondi. Sara ballava nel
momento grande della
sua fecondità a novant’anni! La fecondità
dà lode al Signore.
L’uomo o la donna che
lodano il Signore, che
pregano lodando il Signore — e quando lo
fanno sono felici di dirlo — e si rallegrano
quando cantano il Sanctus nella Messa sono
un uomo o una donna
fecondi. Pensiamo che
bello è fare le preghiere
di lode. Questa dev’essere la nostra preghiera
di lode e, quando la
eleviamo al Signore,
dobbiamo dire al nostro cuore: “Alzati, cuore, perché stai davanti al re della
gloria”» (Messa a Santa Marta, 28
gennaio 2014).
Insieme alla preghiera di lode, la
preghiera di intercessione è oggi un
grido al Padre per i nostri fratelli
cristiani perseguitati e assassinati e
per la pace nel nostro mondo sconvolto.
Lodate sempre il Signore, non
smettete di farlo, lodatelo sempre di
più, incessantemente. Mi hanno detto di gruppi di preghiera del rinnovamento carismatico in cui si recita
insieme il Rosario. La preghiera alla
Madonna non deve mancare mai,
mai! Ma quando voi vi riunite, lodate il Signore!
Vedo tra di voi un caro amico, il
Pastore Giovanni Traettino, cui ho
fatto visita poco tempo fa. Catholic
Fraternity, non dimenticare le tue
origini, non dimenticare che il Rinnovamento Carismatico è per sua
stessa natura ecumenico. Su questo
tema il Beato Paolo VI, nella sua
magnifica e attualissima Esortazione
sull’evangelizzazione, dice: «...la forza dell’evangelizzazione risulterà
molto diminuita se coloro che an-
Messa a Santa Marta
La legge
e la carne
Ambrogio Fumagalli
«Veni Sancte Spiritus» (1974)
nunziano il vangelo sono divisi tra
di loro da tante specie di rotture.
Non starebbe forse qui uno dei
grandi malesseri dell’evangelizzazione oggi? Il testamento spirituale del
Signore ci dice che l’unità tra i suoi
seguaci non è soltanto la prova che
noi siamo suoi, ma anche che egli è
l’inviato del Padre, criterio di credibilità dei cristiani e del Cristo medesimo. Sì, la sorte dell’evangelizzazione è certamente legata alla testimonianza di unità data dalla Chiesa. È
questo un motivo di responsabilità
ma anche di conforto» (Evangelii
nuntiandi, 77). Fino a qui, il Beato
Paolo VI.
Ecumenismo spirituale, pregare
insieme e annunziare insieme che
Gesù è il Signore e intervenire insieme in aiuto dei poveri, in tutte le loro povertà. Questo si deve fare e
non dimenticare che oggi il sangue
di Gesù, versato dai suoi molti martiri cristiani in varie parti del mondo, ci interpella e ci spinge all’unità.
Per i persecutori, noi non siamo divisi, non siamo luterani, ortodossi,
evangelici, cattolici... No! Siamo
uno! Per i persecutori siamo cristiani! Non interessa altro. Questo è
l’Ecumenismo del sangue che oggi
si vive.
Ricordatevi: cercate l’unità che è
opera dello Spirito Santo e non temete le diversità. La respirazione del
cristiano che lascia entrare l’aria
sempre nuova dello Spirito Santo e
lo espira nel mondo. Preghiera di
lode e missione. Condividete il Battesimo nello Spirito Santo con
chiunque nella Chiesa. Ecumenismo
spirituale e ecumenismo del sangue.
L’unità del Corpo di Cristo. Preparare la Sposa per lo Sposo che
viene! Una sola Sposa! Tutti. (Ap
22, 17)
Infine, una menzione speciale, oltre al mio grazie, va a questi giovani
musicisti che vengono dal nord del
Brasile e che hanno suonato all’inizio, spero che continuino a suonare
un po’. Mi hanno ricevuto con tanto
affetto con il canto «Vive Gesù il Signore». So che hanno preparato
qualcosa di più e vi invito tutti ad
ascoltarli prima di salutarci. Grazie.
L’Osservatore Romano
saluta il vicedirettore Carlo Di Cicco
«Vi ringrazio per questi sette
anni passati insieme e vi auguro di continuare a contribuire al futuro di questo
giornale con responsabilità e
professionalità». Con queste
parole semplici e calorose
Carlo Di Cicco, vicedirettore
dell’Osservatore
Romano,
nella mattinata di oggi, 31 ottobre, si è congedato dal
giornale.
A salutare il vicedirettore
— che il 1° novembre, dopo
sette anni di servizio, lascia
L’Osservatore Romano per
limiti di età — si sono riunite
tutte le componenti del giornale. All’incontro erano presenti, in rappresentanza della
Segreteria di Stato, suor Toribia Rosa Flores Ruiz, suor Maria Grzesiuk
e monsignor Carlo Maria Polvani,
capo dell’Ufficio informazione e do-
cumentazione, e in rappresentanza
della Tipografia Vaticana Editrice
L’Osservatore Romano, il direttore
commerciale, don Marek Kaczmar-
czyk, e il direttore amministrativo, Antonio Pacella.
Il direttore dell’O sservatore Romano, nell’esprimere il
ringraziamento del giornale e
suo personale a Carlo Di
Cicco, ne ha sottolineato
l’apporto costante al rinnovamento della testata, e gli ha
poi consegnato l’onorificenza
conferita da Papa Francesco,
la commenda con placca
dell’Ordine di San Gregorio
Magno.
Un discorso breve e cordiale è stato quello del vicedirettore, che ai colleghi riuniti per salutarlo ha ricordato
una verità che lo ha guidato
in oltre quarant’anni di giornalismo: «Anche se nel nostro mestiere usiamo le parole come servizio, dobbiamo ricordarci che siamo
al servizio della Parola».
Ci sono «due strade». Ed è Gesù
stesso, con i suoi «gesti di vicinanza», a darci l’indicazione giusta su
quale prendere. Da una parte, infatti, c’è la strada degli «ipocriti», che
chiudono le porte a causa del loro
attaccamento alla «lettera della legge». Dall’altra, invece, c’è «la strada della carità», che passa
«dall’amore alla vera giustizia che è
dentro la legge». Lo ha detto Papa
Francesco alla messa celebrata venerdì mattina, 31 ottobre, nella cappella della Casa Santa Marta.
Per presentare questi due modi
di vivere, il Pontefice ha riproposto,
per commentarlo, il passo evangelico di Luca (14, 1-6). Un sabato, ha
ricordato, «Gesù era in casa di uno
dei capi dei farisei per pranzare con
loro; e loro lo osservavano per vedere cosa facesse». Soprattutto, ha
fatto notare il Papa, «cercavano di
prenderlo in un errore, anche facendogli delle trappole».
Ed ecco che irrompe nella scena
un uomo ammalato. A questo punto Gesù rivolge ai farisei questa domanda: «È lecito o no guarire di
sabato?». Come a dire: «È lecito
fare il bene il sabato? O non farlo?
E non fare il bene sempre, e fare il
male?». Quella di Gesù, ha aggiunto Francesco, è «una domanda semplice ma, come tutti gli ipocriti, loro tacquero, non dissero niente».
Del resto, ha notato, «tacevano
sempre quando Gesù li metteva davanti alla verità», restavano «a bocca chiusa»; anche se «poi sparlavano dietro» e «cercavano come far
cadere Gesù».
In pratica, ha affermato il Pontefice, «questa gente era tanto attaccata alla legge che aveva dimenticato la giustizia; tanto attaccata alla
legge che aveva dimenticato l’amore». Ma «non solo alla legge; erano
attaccati alle parole, alle lettere della legge». Per questo «Gesù li rimprovera», deplorando il loro atteggiamento: «Se voi, davanti ai bisogni dei vostri genitori anziani, dite:
“Carissimi genitori, io vi amo tanto
ma non posso aiutarvi perché ho
dato tutto in dono al tempio”, chi è
più importante? Il quarto comandamento o il tempio?».
Precisamente questo modo «di
vivere, attaccati alla legge, li allontanava dall’amore e dalla giustizia:
curavano la legge, trascuravano la
giustizia; curavano la legge, trascuravano l’amore». Eppure «erano i
modelli». Ma «Gesù per questa
gente trova soltanto una parola:
ipocriti!». Non si può, infatti, andare «in tutto il mondo cercando
proseliti» e poi chiudere «la porta». Per il Signore si trattava di
«uomini di chiusura, uomini tanto
attaccati alla legge, alla lettera della
legge: non alla legge», perché «la
legge è amore», ma «alla lettera
della legge». Erano uomini «che
sempre chiudevano le porte della
speranza, dell’amore, della salvezza,
uomini che soltanto sapevano chiudere».
A questo punto ci si deve chiedere «qual è il cammino per essere fedeli alla legge senza trascurare la
giustizia, senza trascurare l’amore».
La risposta «è proprio il cammino
che viene dall’opposto», ha suggerito Francesco, ripetendo le parole di
Paolo nella Lettera ai Filippesi (1, 111): «Perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza
e in pieno discernimento, perché
possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili».
È appunto «il cammino inverso:
dall’amore all’integrità; dall’amore
al discernimento; dall’amore alla
legge». Paolo, infatti, afferma di
pregare «perché la vostra carità, il
vostro amore, le vostre opere di carità vi portino alla conoscenza e al
pieno
discernimento».
Proprio
«questa è la strada che ci insegna
Gesù, totalmente opposta a quella
dei dottori della legge». E «questa
strada, dall’amore alla giustizia,
porta a Dio». Solo «la strada che
va dall’amore alla conoscenza e al
discernimento, al pieno compimento, porta alla santità, alla salvezza,
all’incontro con Gesù».
Invece «l’altra strada, quella di
essere attaccati soltanto alla legge,
alla lettera della legge, porta alla
chiusura, porta all’egoismo». E
conduce «alla superbia di sentirsi
giusti, a quella “santità” — fra virgolette — delle apparenze». Tanto
che «Gesù dice a questa gente: a
voi piace farvi vedere dalla gente
come uomini di preghiera, di digiuno». Si tratta solo di «farsi vedere». E «per questo Gesù dice alla
gente: fate quello che dicono, ma
non quello che fanno», perché
«quello non si deve fare».
Ecco dunque «le due strade» che
ci troviamo davanti. E con «piccoli
gesti» Gesù ci fa capire qual è la
strada che va «dall’amore alla piena
conoscenza e al discernimento».
Uno di questi gesti lo presenta Luca nel brano del Vangelo proposto
dalla liturgia: «Gesù aveva quest’uomo davanti, malato, e quando
i farisei non hanno risposto, cosa
ha fatto Gesù?». Scrive l’evangelista: «Lo prese per mano, lo guarì e
lo congedò». Dunque per prima
cosa «Gesù si avvicina: la vicinanza
è proprio la prova che noi andiamo
sulla vera strada». Perché è quella
«la strada che ha scelto Dio per
salvarci: la vicinanza. Si avvicinò a
noi, si è fatto uomo». E infatti «la
carne di Dio è il segno; la carne di
Dio è il segno della vera giustizia.
Dio che si è fatto uomo come uno
di noi e noi che dobbiamo farci come gli altri, come i bisognosi, come
quelli che hanno bisogno del nostro
aiuto».
Francesco ha fatto anche notare
quanto sia «bello» il «gesto di Gesù quando prende per mano» la
persona malata. Lo fa anche «con
quel ragazzo morto, figlio della vedova, a Naim»; così come «lo fa
con la ragazzina, la figlia di Giairo»; e ancora «lo fa con il ragazzino, quello che aveva tanti demoni,
quando lo prende e lo dà al suo papà». Sempre c’è «Gesù che prende
per mano, perché si avvicina». E
«la carne di Gesù, questa vicinanza,
è il ponte che ci avvicina a Dio».
Questa «non è la lettera della
legge». Solo «nella carne di Cristo», infatti, la legge «ha il pieno
compimento». Perché «la carne di
Cristo sa soffrire, ha dato la sua vita per noi». Mentre «la lettera è
fredda».
Ecco allora le «due strade». La
prima è quella di chi dice: «Sono
attaccato alla lettera della legge;
non si può guarire il sabato; non
posso aiutare; devo andare a casa e
non posso aiutare questo malato».
La seconda è di chi si impegna a
fare in modo, come scrive Paolo,
«che la vostra carità cresca sempre
più in conoscenza e in pieno discernimento»: è «la strada della carità,
dall’amore alla vera giustizia che è
dentro la legge». A esserci d’aiuto
sono proprio «questi esempi di vicinanza di Gesù», che ci mostra come passare «dall’amore alla pienezza della legge». Senza «mai scivolare nell’ipocrisia», perché «è tanto
brutto un cristiano ipocrita».
Il nuovo anno
accademico
dello Studio
rotale
«Il bonum familiae nel magistero
dei Papi alla Rota, da Papa
Montini a Papa Francesco»: questo il tema della prolusione con
cui il cardinale Lorenzo Baldisseri inaugurerà mercoledì pomeriggio, 5 novembre, l’anno accademico dello Studio rotale. Il segretario generale del Sinodo dei
vescovi interverrà alle ore 18 nella Sala Riaria del Palazzo della
Cancelleria.
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