“Se non avessimo il Papa, in quale confusione saremmo!”
L’amore di S. Alfonso verso il Papa
Se in questi giorni sant’Alfonso fosse in mezzo a noi, sarebbe tra i primi a soffrire immensamente per
il doloroso cammino della Chiesa verso l’unità e la comunione. Tutti i santi si sono distinti per il loro
amore alla Chiesa e al Vicario di Cristo ma sant’Alfonso, scrive il Berruti, fra tutti si è reso, in questa
virtù, singolare (cfr Lo Spirito di sant’Alfonso, Napoli 1857, p. 126).
Il Papa, segno di unità
Egli era fortemente convinto che la Chiesaavesse bisogno di un capo per conservare l’unità della
dottrina e della vita. Nelle sue conversazioni ripeteva con insistenza: “Poveri noi se non avessimo il
pontefice!”. Guidato da un’irresistibile fede e da uno zelo missionario irrefrenabile da per tutto
annunciava che il Papa è l’immediato e assoluto vicario di Gesù Cristo che deve essere venerato
come la Persona del Salvatore che lasciò al suo popolo “un capo visibile per fare le sue veci qui in
terra dopo essersi reso invisibile coll’ascendere al cielo” (id., p. 120).
La presenza del Papa nella Chiesa è ritenuta dal santo teologo necessaria “perché tutti i fedeli
ricorressero a lui nei loro dubbi e da Lui potessero ottenere la vera dottrina e conservare nella
Chiesa la stessa fede”. Egli ricorda con san Cipriano che tutti gli scismi sono nati, perché non si è
ubbidito al pontefice e non si è considerato che egli è l’unico giudice che in nome di Gesù Cristo
regge la Chiesa (Sant’Alfonso, Opera dogmatica, Marietti, Torino 1848, p. 713).
Attualizzando il contenuto di alcune parabole evangeliche il Santo scrive che come “nei vangeli
la Chiesaè paragonata ad un regno, dove uno è il re; ora ad un ovile, dove uno è il pastore; ora
ad un esercito dove uno è il comandante; ora ad una casa, dove uno è il capo; ed ora ad una
nave dove uno è il pilota…” così “S. Pietro fu eletto da Gesù Cristo per suo vicario ed a lui fu
dato il primato della Chiesa”.
Commentando poi Mt 16,18 scrive: “Con tali parole ben fu dichiarato che san Pietro restava in
terra per fondamento e sostegno di tutto l’edificio della Chiesa” (id., p. 714). L’autore si
sofferma poi a precisare che “la Chiesasi trova eretta sul fondamento primario che è Gesù
Cristo ma immediatamente ancora sopra quello di Pietro… coloro che escono fuori di questo
piano, non appartengono più alla Chiesa e restano da essa divisi” (id., p. 714).
La presenza di un capo uno ed unico e la sua legittima successione dall’apostolo Pietro
costituiscono per sant’Alfonso i criteri fondamentali per riconoscere la vera Chiesa. È talmente
convinto che tale è la volontà di Dio che modella il governo del suo Istituto al principio di un
capo solo… (Spicilegium Historicum, XVI, 1968, p. 378).
Un precursore del Vaticano I
Nell’opera dogmatica Verità della fede troviamo affermate e provate altre due verità ratificate poi
nel Concilio Vaticano I. Sant’Alfonso già nel 1769 sosteneva che il Sommo Pontefice sia infallibile nel
definire anche fuori Concilio le cose appartenenti alla fede e alla morale e che come capo assoluto
della Chiesa abbia un’autorità superiore ad ogni Concilio” (id., pp. 717‑756).
Gli scritti alfonsiani sull’Infallibilità del Papa non mancano nella sua produzione libraria. Nella
Teologia Morale inserì una Dissertazione sull’autorità del Papa come regola del vero credere e del
giusto operare. Nelle opere dogmatiche egli ammonisce scrivendo che “la Chiesa non può essere mai
vera se non è una” (op. dogm_ p. 1009). È necessario però individuare tra le tante Chiese quale sia la
prima: trovata la prima, questa bisogna dire ch’è l’unica vera, la quale essendo stata vera una volta
ha dovuto essere sempre vera secondo le promesse del Salvatore (id., p. 1009). Secondo il suo
convincimento, fondato su Ef. 4,12 “in tutta la storia sacra non si trova altra Chiesa che sia stata la
prima che la cattolica romana; ed all’incontro si legge che tutte le altre Chiese sono uscite appresso
e si sono separate da essa” (id., p. 1010).
Nella sola Chiesa romana poi i pastori che la guidano discendono per continua e legittima
successione dagli Apostoli ai quali Gesù Cristo ha promesso la sua assistenza sino alla fine del
mondo. Perciò questa Chiesa non è mai mancata né poteva mancare. Per il santo Dottore quindi
tutto l’impegno pastorale deve consistere nel proporre che “non vi è strada più certa e più sicura che
il far vedere che la nostra Chiesa cattolica è stata la prima fondata da Gesù Cristo; provato ciò, resta
provato senza dubbio che essa è l’unica vera”.
Deve essere inoltre sostenuta la visibilità della Chiesa “composta da giusti e peccatori, da
predestinati e non predestinati, figurata ora all’aia ove vi è frumento e paglia, ora alla rete che
contiene pesci buoni e cattivi; ora al campo ove vi è biada e zizzania” (id.). Egli ritiene che
principalmente è stato necessario chela Chiesa e i suoi pastori fossero palesi e visibili per
salvaguardare la purezza della dottrina e la comunione universale nella Chiesa, evitando confusione,
arbitrii e disorientamento.
Nell’opuscolo Riflessioni spettanti alla dichiarazione dell’assemblea di Francia circa
l’infallibilità del Papa (1765), il Santo prese posizione contro quanto avevano dichiarato alcuni
Vescovi francesi a Parigi, confutando con autorità bibliche e patristiche le pretese di Luigi XIV
e l’atteggiamento dei Vescovi (cfr Alfonso M. de Liguori, Lettere, III, p. 489, nota 1) .
Nel trattato Vindiciae contra Febronium (1768) l’autore fa notare che dopo l’Opera della
Redenzione la preoccupazione maggiore di Gesù fu quella di assicurare alla Chiesa l’assistenza
sua e quella dello Spirito Santo mediante l’azione di un capo visibile e supremo.
Nel suo epistolario sant’Alfonso annotava che “si vede decaduta la Chiesa, quando si è perduto
il concetto dell’infallibilità del Papa… Tolta la pietra fondamentale, la Chiesanon può reggersi.
E questa rovina oggidì si sperimenta con pianto di tutti i veri fedeli” (Lettere, III, pp.
488‑489).
S.Alfonso, Dottore della Chiesa: tra i suoi scritti ci sono anche
quelli in difesa della Infallibilità e del Primato del Papa.
(Particolare di un antico santino).
Quasi un voto
La venerazione per la persona del S. Padre e l’amore per la Chies agli facevano ancora scrivere:
“Parlandosi della potestà suprema del Papa, io sono pronto a dare la vita per difenderla; perché tolta
questa, io dico che è perduta l’autorità della Chiesa” (id., III, p. 389). Nel leggere queste parole mi
sembra di scorgervi quasi un voto segreto di fedeltà al Papa, impresso con forza nel suo cuore di
credente e di pastore del popolo cristiano.
La testimonianza della vita perciò non è meno eloquente degli scritti. In sant’Alfonso si poteva
notare grande disagio ed amarezza quando si parlava male del Papa e della Chiesa, Per la sua
austerità di vita egli sapeva uniformare la sua alla volontà del Papa.
E ciò avvenne in alcune circostanze della vita, soprattutto quando dovette accettare l’Episcopato e
quando alla fine della sua vita si trovò involontariamente fuori della sua Congregazione per un
decreto pontificio del 22 settembre 1780. In quest’ultima occasione esclamò: “Io voglio solo Dio:
basta che non mi manca la grazia di Dio. Il Papa così vuole, benedetto sia Dio… Volontà del Papa
volontà di Dio” (Tannoia A., Della vita, ed Istituto del Ven. Servo di Dio Alfonso M. de Liguori, Napoli
1798, vol. IV, pp. 115‑116).
Gli ultimi anni della vita furono atroci per sant’Alfonso. Il primo biografo ci fa notare “quanto cieco
esecutore ei fosse delle determinazioni del Papa e quanto alieno dal farne interpretazione” (Tannoia
A., o.c., IV, p. 120).
Come Fondatore e Vescovo ha sempre venerato il santo Padre. Ai Papi del suo tempo ha dedicato
alcune delle sue opere ricevendone riconoscimenti e stima.
Clemente XIII con un Breve del 4 agosto 1767 lo ringraziò per il libro a lui dedicato delle
Verità della Fede apprezzandolo e giudicandolo utile non solo alle singole diocesi ma a tuttala
Chiesa.
Uguale compiacimento mostrò ad Alfonso de Liguori il papa Clemente XIV per l’Opera
Dogmatica, scritta all’età di 73 anni, che riscosse applausi anche fuori Italia e per la
Traduzione dei salmi “che fè stupire in Napoli i primi Letterati” (Tannoia, o.c., III, p. 273).
Pio VI lodò la pietà ed esaltò la dottrina dello scrittore napoletano manifestandogli viva
gratitudine per avergli dedicato il libro della Condotta ammirabile della Divina Provvidenza
(1775) ma soprattutto per quanto aveva scritto in difesa della S. Sede, benché oppresso dagli
anni (Lettere, III, p. 489, nota 1).
A duecento anni dalla sua morte, avvenuta a Pagani, sant’Alfonso ripete ai cristiani di oggi: Dopo
Dio non abbiamo che il Papa. Se non avessimo il Papa, in quale confusione saremmo! Il Papa solo è
quello che ci manifesta il volere di Dio e ci mette in pace le coscienze” (Tannoia A., o.c., III, p. 221).
(L’Osservatore Romano, 17 luglio 1988)
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Riportato in
Sulle orme di S. Alfonso
di Antonio Napoletano
Valsele Tipografica, Napoli 1989, pp. 111-114
Ricerca fotografica: Salvatore Brugnano
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