La casa sulla roccia
Cerco Fatti di Vangelo
Schede per incontrare una Chiesa che crede
e per sporcarsi le mani insieme 1.1
1
Realizzato
dalla commissione dei 17-19enni - CPG
Editing
Meme
Pro Manoscritto
2
L’ntera opera:
1.1
1.1.1
1.1.2
1.1.3
1.2
1.2.1
1.2.2
1.2.3
2.1
2.1.1
2.1.2
2.1.3
2.1.4
2.2
2.2.1
2.2.2
2.2.3
2.3
2.3.1
2.3.2
2.3.3
2.3.4
2.3.5
2.3.6
LA CASA SULLA ROCCIA
Cerco fatti di Vangelo
Schede per incontrare una Chiesa che crede e per sporcarsi le mani insieme
Li amò sino alla fine, nella vita quotidiana
Si cinse un’asciugatoio, nel mondo della solidarietà
Fatelo anche voi, nella vita parrocchiale
LA CASA SULLA ROCCIA
Vangelo da Vivere
(2007)
Ne costituì dodici, proposte per esperienze di vita comunitaria
Stare con Lui, proposte di momenti di preghiera e di educazione alla preghiera
Per mandarli, proposte di formazione alla testimonianza e al servizio di animazione
IL TUO VOLTO IO CERCO
Che cercate? Credere? E in cosa?
Almeno credo! In chi e in cosa credono i giovani oggi
C’e’ qualcosa che conta veramente? L’influenza del relativismo culturale oggi
Un posto nel mondo. L’identità personale e trascendenza oggi
Quale uomo? L’immagine di Dio e dell’uomo nelle religioni
IL TUO VOLTO IO CERCO
Maestro dove abiti? Da una fede ricevuta…alla fede in Gesù
Credere oggi: in questa età, in questo tempo
Io ti battezzo: Dalla fede ricevuta alla fede scelta
Il caso Gesù : la storia e le interpretazioni
IL TUO VOLTO IO CERCO
Venite e vedrete! Incontrare Gesù, diventare dei suoi!
Un tipo così: l’umanità di Gesù
Con un suo segreto: Gesù e il Padre
Con le sue idee: il senso della Vita
Con un suo stile: …in concreto
Mi ha cambiato la vita: incontri con Gesù
Dicono sia vivo! Incontrare il Risorto
3.1
VIVERE DA FIGLI
Figli del Padre, riscopriamo la vita, riscoprendo il Padre Nostro
(2007)
3.2
VIVERE DA FIGLI
Uno Spirito da figli, mossi dentro dallo Spirito
(2007)
4.1
IL SALE DELLA TERRA,
Sussidio personale per seguire Gesù con il Vangelo secondo Marco
4.2
COMPAGNI DI VIAGGIO, sussidio personale per un cammino spirituale
3
4
La casa sulla roccia
Istruzioni per l’uso
per una pastorale dei 17/19enni
Ecco tra le vostre mani un “manuale per l’uso”.
Per quale uso?
Per costruire un itinerario di fede che accompagni i vostri ragazzi a…costruire una casa sulla
roccia! Anzi, a costruire la loro “propria casa” dell’esistenza umana sulla roccia della fede,
decidendo, da protagonisti, di modellare la loro propria originalità sull’immagine di Cristo.
“Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo.” (Gaudium et Spes)
Nel proporre a un giovane di costruire il progetto della vita cristiana, come nella
costruzione di qualsiasi edificio, vogliamo chiamare in causa:
1. Il progetto: un’attività formativa per accompagnare a costruire la propria
vita su Gesù Cristo e sul suo Vangelo. Dovete inventarvelo voi a seconda delle vostre
esigenze e possibilità, ricordando sempre che il progetto non è la casa!
2. le Maestranze: la comunità cristiana nelle sue varie articolazioni coinvolte
nel progetto
3. Le stanze: sono i vari locali che compongono la casa, l’iniziazione alle diverse
dimensioni del cammino di fede cui la proposta vuole iniziare i ragazzi: formazione,
vita comunitaria, servizio
4. I lavori da fare: muri, pavimenti, infissi, impianti: ogni ambito formativo è
realizzato grazie al concorso di “varie cose” che si fanno
5. Strumenti di lavoro: per “fare materialmente”, ovvero i sussidi
6. il Piano di lavoro: tempi e modi in cui realizzare il progetto
7. Il progetto ancora: sì, perché in questi sussidi non troverai il progetto,
ma solo tante idee, suggerimenti, aiuti per idearlo e provarlo. Proprio per questo
partiamo dal 2° punto e infine…potrai iniziare a progettare!
5
le maestranze
Non è che tutti debbano sapere tutto; ci sono alcune cose che necessariamente tutte le
maestranze debbono aver chiare, ma altre sono competenze specifiche di alcuni.
È importante allora
o
o
o
Che quello che c’è da sapere lo si sappia;
Che ogni protagonista possa approfondire al meglio il proprio ruolo di lavoro;
Che non ci si appesantisca nel chiedere tutto a tutti.
Quali allora le maestranze chiamate in causa?
o
o
o
o
Tutti, per far capire che il lavoro è di squadra
Il parroco, responsabile della vita della comunità
Il consiglio pastorale, in quanto organo espressivo delle varie componenti della
parrocchia che saranno coinvolte nel progetto
L’animatore e il gruppo degli animatori (meglio chiamarli forse educatori), coloro che
gestiranno direttamente il lavoro
Per tutti
Ciao a tutti! A tutti chi?
A tutti voi che sarete i protagonisti di questa proposta a servizio del cammino di fede dei
17/19enni!
A voi animatori:
o
o
o
Che forse siete gli animatori che li avete accompagnati negli anni scorsi
Che forse siete un’equipe stabile della parrocchia o di un gruppo di parrocchie vicine
Che forse siete nuove reclute impaurite, che si sentono inadeguate e che, comunque,
sarete i protagonisti insieme ai ragazzi di questa impresa!
Ai voi preti:
o
o
o
o
6
Al parroco prima di tutto, responsabile ultimo della vita della comunità
Al curato, se c’è, che normalmente è quello che vi segue e vi accompagna
Al vicario foraneo, che oltre ad essere un parroco, lavora per coordinare le proposte tra
parrocchie vicine (sì, perché questa che vi facciamo sarebbe una di quelle!)
Che sentite così importante la cura dell’educazione alla fede dei giovani, pur nelle
difficoltà che tale attenzione comporta oggi
Ai consigli pastorali:
o
o
Parrocchiale, che accompagna i sacerdoti nel consiglio, per guidare ad unità la vita della
parrocchia
Vicariale, che cerca linee pastorali comuni per la vita delle parrocchie vicine,
che sentite a fatica, ma anche la necessità e l’entusiasmo di rinnovare secondo Il Vangelo
la vita della nostra Chiesa.
A voi famiglie:
o
o
o
Primi educatori della fede dei figli
Di questi figli che iniziano ad affacciarsi alla vita adulta
Che sentite l’importanza di essere leali e coerenti nelle vostre scelte di vita per poter
essere credibili nei confronti dei figli
A voi ragazzi:
o
o
o
Che ci siete, perché siete convinti di voler seguire Gesù Cristo, nonostante i dubbi e le
fatiche
Che ci siete, forse senza sapere il perché
Che avete una gran voglia di vivere questa splendida avventura che sono i vostri anni
A voi tutti un grande augurio: che sia un cammino bello ed
entusiasmante, di quelli che ti cambia la vita!
Da dove ripartire?
C’ERA UNA VOLTA IL BIENNIO DELLA FEDE
Il biennio della fede da cui veniamo
Il fortunato cammino formativo, che si è sviluppato negli ultimi decenni nella nostra diocesi, ha
avuto la geniale intuizione di una proposta specifica per questa fascia di età. Attenzione
dovuta ad un indubbio salto di maturità personale e di selezione nell’appartenenza ai gruppi
formativi, che introno ai 17 anni necessitava un cambio di marcia della proposta formativa.
Sul numero di “informazioni pastorali” della quaresima 2005, era apparso un articolo proposto
dalla commissione “biennio della fede” del CPG. Facendo seguito a scambi di pareri con
operatori pastorali della diocesi, esce a titolo sperimentale, ad opera del CPG, questo nuovo
percorso formativo per giovani dai 17 ai 19 anni. A quell’articolo rimandiamo per illustrare il
percorso che ora vi trovate tra le mani, per notare la continuità, ma anche le variazioni di
tonalità suggeriteci dall’altrui riflessione ed esperienza:
Il Biennio della fede
Questo particolare itinerario è nato per la consapevolezza dei cambiamenti significativi che,
all’interno del cammino dell’adolescenza, avvengono per i ragazzi verso la fine delle scuole
7
superiori. Un cambiamento, una maturazione umana che porta i 17/19enni a guardare alla
fede in modo diverso, con una ricerca più seria e profonda.
In questi anni il cammino del biennio della fede è diventato mediamente una costante dei
percorsi formativi delle nostre parrocchie, anche se, dall’osservatorio diocesano, si notano
alcune evoluzioni nella prassi pastorale:
o Un graduale affievolirsi, negli ultimi anni, della partecipazione alle proposte mirate del
CPG per 17/19enni (Incontri progetto di vita, campi mobili e semimobili), solo
parzialmente sostituite da nuove proposte negli ultimi due anni, ma sempre con un
numero esiguo di partecipanti
o Un graduale impoverimento delle relazioni bidirezionali tra parrocchie e CPG, al punto di
dissuadere il CPG stesso dal proporre incontri per animatori
o Pur rimanendo anche numericamente significativa la festa del passaggio dei 17enni, è
andata gradualmente scemando fino a scomparire la proposta della festa del 18esimo
anno; resta ancora, ma con partecipazione comunque di poche parrocchie, la
celebrazione diocesana della Redditio Symboli (segno forse di un cammino che vede
molti ragazzi all’inizio, ma che gradualmente si perdono)
o Grande diffusione del sussidio diocesano per il biennio, ma nella prassi poco utilizzo del
medesimo; restano comunque dei segnali molto confortanti per ciò che avviene nei
percorsi di molte parrocchie, con proposte addirittura interparrocchiali, appositamente
studiate per i ragazzi di questa fascia d’età.
Alcune considerazioni
Se desideriamo continuare una proposta che sia significativa per i 17/19enni di oggi,
dobbiamo cercare di evidenziare alcune evoluzioni del loro approccio umano e cristiano alla
vita. Sinteticamente potremmo così individuare alcuni elementi:
a. 17 anni, festa del Passaggio: che cosa effettivamente cambia a 17 anni oggi? Che
passaggio si festeggia?
Evidentemente il 17enne è diverso dal 14enne, ma, nel confronto con chi opera direttamente
nella pastorale, si nota che la spinta, verso un salto di maturità maggiore, è ancora debole nel
17enne di oggi: da una parte, nella prassi dei gruppi adolescenti, giunti ai 17 anni, si sente
l’esigenza di qualche cambiamento, ma una proposta (come nel sussidio attualmente
proposto) incentrata sulle scelte di vita, rischia di risultare ancora lontana.
b. biennio della fede: l’impianto formativo prevede un passaggio dallo scegliere, allo
scegliere Gesù Cristo e l’appartenenza alla Chiesa, che porti ad una pubblica
professione della fede nell’anno della quinta superiore, alla Festa diocesana delle
Palme.
Normalmente nella prassi si nota che, accanto all’assottigliarsi dei numeri dei ragazzi che
restano coinvolti nella proposta, c’è però un grado di coinvolgimento più sincero e significativo
(rispetto alle motivazioni che spingono al gruppo adolescenti), con un’apertura alle questioni
di fede. La nota più rilevante è che la fede stessa, spesso, non è assolutamente scontata, ma
convive con tanti dubbi e con le tante commistioni sincretiste e relativiste, tipiche della nostra
cultura; si impone, allora, un percorso che non dia per scontata la fede, ma che faccia della
fede un oggetto stesso del percorso e che provi a rifondarla: si potrebbe pensare a un
passaggio dal “biennio DELLA fede” al “biennio PER la fede”
c.
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quando è nata l’idea di un biennio specifico per questa fascia d’età, il contesto
pastorale lo collocava come proposta “cerniera” tra i gruppi adolescenti e il gruppo
giovani parrocchiale. Cerniera, nel senso di riuscire a congiungere due approcci
distinti della proposta formativa in due diverse fasi della vita.
Da anni però sappiamo come, terminato il periodo delle superiori, difficilmente in parrocchia
esista un classico gruppo giovani formativo, e come la formazione cristiana dei giovani passi
attraverso le attività di impegno che svolgono (cosa però che non avviene in tutte le
parrocchie!), con il limite della mancanza di una proposta formativa mirata alla persona nella
fase in cui, in modo sempre più personalizzato, si affaccia alle esperienze decisive della vita;
si potrebbe, quindi, pensare di prolungare la “cerniera” fino al primo anno dopo le superiori,
con una proposta diversa, adatta e compatibile con i nuovi impegni di vita dei giovani.
Dopo il Sinodo: perché e cosa cambiare
Stanti le sopraccitate premesse, eccoci a indicare, a titolo sperimentale, una nuova proposta
formativa per i ragazzi dai 17 ai 19 anni (o giù di lì). Nuova, perché nasce nel contesto di una
chiesa diocesana che attraverso il Sinodo ha riscoperto un modo nuovo di essere: discepola,
sinodale, compagna di viaggio, estroversa.
Si tratta di un cambiamento di prospettiva attraverso il quale passare, da una visione della
pastorale giovanile, intesa come compito di alcuni specialisti, ad un approccio attraverso il
quale l’intera comunità si senta responsabile e coinvolta nel comunicare la fede alle nuove
generazioni:
o avendo cura della propria significatività
o preparando persone adulte a prendersi cura dei giovani
o superando l’attuale situazione, da una parte di de-responsabilizzazione degli adulti,
dall’altra di responsabilizzazione di giovani, troppo giovani
Verso chi?
17/ 19 enni oggi
I giovani e la religione oggi
L’ultima indagine IARD sulla condizione giovanile in Italia, ha evidenziato come il ruolo della
religione per i giovani italiani sia ancora significativo, sia nel modo in cui è vissuta
soggettivamente, sia in una certa capacità di influire sulle scelte.
Uno sguardo sintetico di alcuni elementi, porta però a rilevare nell’arco tra i 15 e i 34 anni, dei
grossi cambiamenti.
Sul crinale: la religiosità a 17/19 anni
L’ultima indagine IARD sulla condizione giovanile in Italia, ha evidenziato come i 18 anni (ma
noi preferiamo pensare i 19) rappresentino il crinale decisivo in ordina all’importanza attribuita
alla religione: massima importanza nella fascia 15-17, minima in quella 18-20.
A titolo esemplificativo due indicatori:
9
o
o
in ordine alla propria autocomprensione in quanto cattolici (75% dei 15-17enni, 62% dei
18-20enni)
in ordine alla frequenza della Messa domenicale (per esempio chi la frequenta tutte le
settimane, passa dal 28% dei 15-17enni, al 14,4% dei 18-20)
Va notato che l’indagine stessa ha diviso in diverse categorie i giovani, in relazione al ruolo
che attribuiscono alla religione; i giovani cosiddetti “ferventi”, che corrispondono a quelli che
frequentano la chiesa e appartengo ad esperienze ecclesiali associative e formative, nella
fascia tra i 18/20 in Italia sono il 5,0%! (e nel nord/est ancora meno!)
Sul finire, quindi, di una religiosità adolescenziale, che in parte mantiene ancora una certa
tenuta, se non di significati almeno di alcune forme di appartenenza, il passaggio verso le
nuove esperienze lavorative o di studio universitario, segnano una sorta di abbandono della
rilevanza della dimensione di appartenenza ecclesiale e di pregnanza della dimensione della
fede. Vengono meno le pressioni familiari o dell’ambiente abituale, si passa all’essere “i più
grandi” nell’ambiente scuola e a frequentare gente più adulta.
Eppure è un tempo importantissimo della vita in cui maturano decisioni importanti a livello
personale, e proprio per questo riteniamo importante accompagnare questo valico con una
proposta mirata alle singole persone, capace di transitarle in questa nuova stagione della vita.
Quali strategie?
Nel contesto della presentazione dell’indagine presso la facoltà teologica regionale a Padova,
il ricercatore dello IARD Riccardo Grassi, intravedeva nella “parabola del figliol prodigo”
un’icona evangelica capace di tratteggiare bene la situazione della Chiesa nei confronti della
religiosità giovanile.
La Chiesa appare molto preoccupata di far di tutto perché questo figlio, “giunto alla maggiore
età” non se ne vada, ma, nonostante ogni sforzo, facendo ogni tipo di proposta possibile e
immaginabile, lui va lo stesso: è il quadro del nostro 5%, di 18enni fortemente appartenenti.
Una Chiesa che parrebbe tutta intenta a mettere in atto una strategia per evitare la fuga!
Al contrario del padre della Parabola, che lascia andare senza battere ciglio!
Fiducioso di quanto seminato, sempre attento a scrutare segnali di un possibile
ritorno, il padre della parabola mette in atto delle strategie di accoglienza quando si
verifica il ritorno.
Assomiglia alla condizione di tanti giovani che, dopo un periodo di allontanamento, per
l’insorgere di una maturità diversa e delle domande forti davanti alle scelte decisive della vita,
si riavvicinano alla fede e alla Chiesa.
Diventa certo importante chiedersi: ma quali strategie di accoglienza per chi ritorna sta
mettendo in atto la chiesa? Non si sta ancora attardando troppo nell’evitare l’inevitabile fuga?
Resta il figlio maggiore, quello che nella casa paterna ci resta, più per convenienza che per
convinzione. E forse i 17/19enni cui ci rivolgiamo con questa proposta, assomigliano tanto al
figlio maggiore! Non tanto perché restano per convenienza (oggi non è certo così), quanto per
condizione e per scelta di non andarsene. Il che non vuol dire che la loro vita non sia anche e
soprattutto altrove, ma per loro ha valore un riferimento importante alla fede e alla chiesa!
Quali strategie allora perché questo giovane, che è comunque figlio del suo tempo:
o Resti non da servo (che fa le cose automaticamente) ma da figlio (perché si sente a
casa)?
o Resti non per abitudine (senza maturare) ma per scelta (maturando convinzioni)?
o Resti non per restare (alla ricerca di una gruccia che dia sicurezza) ma per partire (per
essere testimone nella vita)?
10
Quale 17/19 enne allora?
Domanda alquanto necessaria, alla quale va data una risposta chiara: il 17/19enne che
partecipa ai gruppi, che ha il desiderio di un percorso di approfondimento della fede. Qui
potremmo dilungarci in tutte le salse a dire se è giusto o meno; fatto sta che questo tipo di
sussidio ha ben poco a che fare con una attenzione (peraltro sacrosanta e doverosa!) a chi
non frequenta (e sono la maggioranza) i percorsi formativi parrocchiali.
Visto così, sembra proprio di poter dire che questi ragazzi non possiamo che accompagnarli
ad “essere lievito”. Grande minoranza lo sono; potremmo passare piuttosto alla valorizzazione
positiva di questo “resto di Israele”, per il quale il problema non è essere in tanti (il lievito è
ben poco nella pasta!), ma eventualmente “che il sale non perda il suo sapore!”
Aiutiamoli allora (e noi con loro) ad essere significativi, senza dimenticare che sono figli delle
incertezze e dei vuoti del loro tempo: non sono dei militanti cattolici in miniatura!
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Per il parroco
Con un po’ di trepidazione, una parola da prete a prete.
Trovandoti tra le mani questo sussidio, cosa ti verrà da pensare?
Sinceramente non lo so; sarei contento se questo strumento potesse
esserti utile. Proprio per questo ti invito a provare quanto viene proposto,
o lasciandoti coinvolgere
o coinvolgendo a tua volta
La realtà nella quale ti trovi, la conosci tu, ed è in questa nostra diocesi che mette insieme
parrocchie diversissime per zona, storia, consistenza e cultura: lago, città, basse, montagna…
con tante sfumature al loro interno.
Se poi ci guardiamo noi preti…quanta varietà di storie, sensibilità, esperienza, spiritualità…
Eppure, parrocchie e preti, tutti coinvolti nel desiderio di continuare a “Dire oggi quel Gesù”
alle giovani generazioni. Queste generazioni così fragili e ricche allo stesso tempo, di fronte
alle quali ci troviamo tra lo stupito e…l’attonito, perché non sappiamo più cosa fare!
Eppure siamo qui, convinti del loro valore e della perenne validità del Vangelo. Siamo qui a
provare insieme questa nuova proposta.
Ribadisco:
o proviamo, perché altro non è che un tentativo per nulla garantito
o insieme, ognuno con le proprie abilità e competenze, ognuno con le proprie sensibilità e
scelte, camminando però nella stessa direzione!
A te l’impegnativo compito di vivere in trincea e di vedere cosa è opportuno fare lì dove ti
trovi. Ti chiedo di buttarti, e di coinvolgere la tua comunità con te e con gli animatori. E se vi
trovate ad essere con poche forze, perché non pensare di unirsi ai vicini?
In particolare mi viene da lanciarti una proposta. Prova a vivere l’attenzione ai ragazzi di
questa età con alcune attenzioni, simili a quelle che si stanno ponendo in atto per l’iniziazione
cristiana dei fanciulli.
Ovvero, avere un’attenzione di formazione e di coinvolgimento di quel mondo adulto, verso il
quale i ragazzi guardano e si stanno preparando a diventare.
Sarebbe bello riuscire ad individuare nella tua comunità delle persone adulte che si
prendessero carico di questi ragazzi; forse negli ultimi anni (più per necessità che per scelta)
abbiamo abbassato troppo l’età e la maturità degli animatori: “bruciando” giovani volenterosi
ma impreparati, e ponendo accanto ai ragazzi…altri ragazzi come loro. Accanto alla
freschezza di “giovani per i giovani”, perché non pensare anche a degli adulti che si
coinvolgano con loro?
La pagina che segue, tratta da una relazione del teologo milanese Franco Giulio Brambilla,
vuole darti alcuni spunti per comprendere come in realtà, oggi, anche la pastorale giovanile
vada inserita nel più ampio tentativo di rinnovamento dell’iniziazione cristiana, partendo cioè
dalla fede degli adulti, su cui, più in generale, a proposito di iniziazione cristiana stiamo
lavorando. Segno che, per tanti aspetti, anche a 19 anni, di iniziazione ancora si tratta!
Buona lettura, e buona avventura. Vedremo poi ricreare l’occasione per verificare cosa può
funzionare.
Don Alberto
12
Chi comunica la fede?
Comunicare il Vangelo alle nuove generazioni?
Partiamo dagli adulti
Premessa: Perché partire dagli adulti?
Le domande sulle quali oggi vogliamo sostare sono: quando si può dire che gli adulti amano i
giovani? Quando, come e dove possono contribuire alla loro formazione, alla scoperta della
loro identità, alla maturazione delle loro scelte personali? Perché, in altre parole, la pastorale
giovanile deve partire dalla fede degli adulti testimoniata e trasmessa? Le risposte sono due e
si richiamano vicendevolmente:
o la meta, il traguardo, l’approdo della crescita dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani
non può essere che la figura adulta della fede: il processo di crescita nell’umanità e nella
fede, negli affetti e nelle decisioni, nell’identità e nella relazione è la vita umana vissuta
come forma del discepolato al Signore in una comunità fraterna: questa è la figura adulta
della fede!
o la pastorale giovanile esprime la cura della chiesa e delle comunità cristiane per
trasmettere la fede alle nuove generazioni: la fede ricevuta ha da essere trasmessa, essa
può e deve essere comunicata come forma che risveglia nella coscienza di chi si affaccia
alla vita la gioia di vivere un’esistenza nella dedizione al Signore, per trovare il proprio
volto, la propria identità, la figura vocazionale della propria vita.
Di qui la prima convinzione: la questione della fede e del futuro del giovani rimanda alla
qualità della fede e della testimonianza degli adulti:
Le tre dimensioni della trasmissione della fede
Il primo percorso si sofferma per un ingrandimento dell’atto con cui la chiesa, la comunità
cristiana, i sacerdoti, gli adulti, i genitori, gli educatori trasmettono la fede alle nuove
generazioni. La trasmissione della fede – occorre precisarlo subito – non avviene anzitutto
mediante la consegna di conoscenze, di verità e di comportamenti, che siano separati da due
punti di riferimento: la testimonianza di chi consegna e la coscienza di chi riceve. Per questo
parliamo di adulti e partiamo dagli adulti. L’atto con cui la Chiesa (la comunità parrocchiale e
la pastorale d’insieme tra parrocchie) trasmette la fede, nella triplice valenza
o iniziatica (intro-ducere)
o educativa (e-ducere)
o culturale (tra-ducere)
è già stata messa in luce per il cammino di iniziazione cristiana.
La pastorale giovanile nell’iniziazione cristiana rappresenta il momento dell’assunzione
consapevole (spesso interminabile e continuamente procrastinata) dell’esperienza della fede
trasmessa che deve diventare la fede vissuta. Già per questo motivo, sia nel punto di
partenza che durante il suo percorso, ma soprattutto nell’approdo, essa non può pensarsi
come un momento separato e parallelo ai gesti e all’esperienza con cui la comunità cristiana
continua ad edificare se stessa nel tempo.
Occorre essere lucidamente coscienti che la pastorale giovanile per la sua dinamica metterà
particolarmente in questione la comunità degli adulti. Sarà la sua croce. Tuttavia mantenere il
rapporto con la comunità degli adulti è condizione essenziale perché accada la trasmissione
13
della fede. Altrimenti si trasmette altro e si fa nascere un cristianesimo di nicchia che non sa
assumere poi la propria collocazione adulta nella vita quotidiana di ogni giorno
Intro-ducere (intro-durre)
Il momento “iniziatico”: significa condurre dentro, intro-durre alla vita cristiana attraverso i
gesti che la esprimono e la costruiscono: la parola, il sacramento e la comunione
fraterna/carità. La qualità di questi gesti in una parrocchia e nella vita degli adulti che la
frequentano assiduamente (“erano assidui…”) è il grande canale comunicativo per la
trasmissione della fede. Si trasmette attraverso la vita e l’esperienza di una comunità
credente, le figure che la popolano, i gesti che scandiscono i suoi ritmi, le avventure che essa
mette in campo, i sogni che coltiva, l’immagine che produce, lo splendore della vita cristiana
che ciascuno di noi rap-presenta. Il momento “iniziatico” della fede è la prima e fondamentale
forma della trasmissione, è il clima spirituale nel quale un ragazzo, un adolescente e un
giovane cresce respirando la visione cristiana, come “sguardo sulla vita”, “forma dell’esistenza”.
Di qui alcune sottolineature:
o Ricostruire i nostri ambienti come momenti vitali, ricchi, popolati di figure positive,
differenziati e vivaci, capaci di aprire ad esperienze variegate e forti: tutto questo non può
mancare al momento iniziatico della comunità cristiana.
o Occorre, soprattutto, ridare splendore al momento quotidiano della vita della comunità e
degli adulti che si imprimono nella coscienza dei giovani. Una cura amorevole della
pastorale quotidiana, delle occasioni della vita, della sua distensione temporale, dei
momenti della festa, della presenza nella sofferenza, della prossimità nella dedizione
sono il grande luogo per favorire la trasmissione della fede.
o Se mi metto in fondo alla chiesa la domenica, se osservo come gli adulti pregano, se
guardo come dedicano tempo all’ascolto, impiegano risorse e passione nel volontariato,
diventano ogni giorno uomini e donne di comunione, sono presenti a un consiglio
pastorale, esprimono giudizi sugli avvenimenti e aprono a linguaggi di speranza, posso
dire che lì consegnano e trasmettono la fede?
E-ducere (e-ducare)
Il momento “pedagogico”: significa condur fuori, partire dalle domande, dai desideri, dagli
affetti, e anche dagli sbagli, che l’adolescente-giovane porta dentro e condurli verso il senso
di una scelta di vita vocazionale: trasmettere è accompagnamento al rapporto personale con il
Signore, dentro una comunità credente….
Occorre ritrovare “buone” figure di educatori, appassionati e sereni, forti e liberi dentro, capaci
di dedizione, senza complicità affettive, con un forte senso del cammino da fare, senza frette
e senza facili scoraggiamenti. Abbiamo bisogno di maestri che sono testimoni e di testimoni
che diventino maestri!
o Se educare è «tirar fuori», ciò comporta che si indirizzi verso un qualche modello in cui il
giovane può e deve riconoscersi, che può e deve scegliere come buono per sé. L’educatore e l’adulto allora non attira su di sé, non egemonizza, ma diventa un testimone, uno
che attesta il carattere buono e vero dell’esistenza, che è stato prima per lui stesso
decisivo.
14
o
Egli non deve temere di dire le proprie convinzioni, di attestare i propri valori, di offrire le
proprie ragioni, perché egli sa che potrà trasmetterle solo nella forma della cordiale
comprensione e della adesione personale da parte dell’altro.
o Se l’educazione non è solo un compito tecnico, ma anche e soprattutto un compito
etico, essa è legata alle disposizioni etiche e spirituali dell’educatore (la dedizione
personale e l’umiltà, che deriva dalla consapevolezza di essere testimone di un bene
più grande attraverso la sua relazione educativa).
o Se l’educazione ha a che fare con il compito etico esso esige anche una competenza
tecnica, psicologica e culturale, con la quale si procede a sciogliere tutti i blocchi che
inibiscono al minore la possibilità di accedere con libertà al bene e alla fatica di
comprenderlo.
Tra-ducere (tras-mettere)
Il momento “culturale”: si tratta di “trasmettere” l’esperienza cristiana, con i suoi codici, i suoi
simboli, i gesti costitutivi, le sue figure, in quanto capaci di interpretare la vita umana alla luce
della fede cristiana. L’atto di trasmissione della fede cristiana e dell’esperienza ecclesiale
deve “accadere” lungo un cammino nel quale si appella alla coscienza del giovane, si
trasmettono modelli, codici, comportamenti, visioni di vita (in una parola una cultura ispirata
dalla fede), che formano al giudizio critico e lo costruiscono in un confronto franco e sincero
con il giovane…. La cultura ha a che fare con il destino dell’uomo e la propria identità
personale. … La cultura media inevitabilmente una certa idea di sé, del mondo e di Dio…
Tornando alle nostre comunità e agli adulti, bisogna dire che appartiene alla trasmissione
della fede anche il momento con cui si accompagna a:
o leggere la realtà,
o a formulare giudizi,
o a intervenire nelle situazioni complesse,
o a tenere la stabilità affettiva e la fermezza di giudizio nel contrasto per le cose che
contano nella vita,
o a pagare di persona per le proprie convinzioni, a rispettare quelle dell’altro,
o a professare una tolleranza attiva, che non si rassegna al fatto che ognuno abbia le sue
convinzioni private, ma crede che esse possano entrare nel gioco della comune ricerca
della verità.
Se trasmettere la fede, se annunciare l’evangelo comporta in modo decisivo anche la
promozione umana, in particolare la promozione culturale, allora è necessario tenere il
rapporto con le altre agenzie formative, abitare la scuola, investire sull’università, manifestare
interesse per la fatica dei giovani nello studio, non rinunciare al confronto culturale e umano,
mettere in circolo le proprie convinzioni e valori.
Non può mancare l’incontro con le figure e i luoghi della vita cristiana, le sue tradizioni, i suoi
momenti forti della storia e dell’oggi. Soggetto dell’iniziazione è tutta la comunità nelle sue
articolazioni, nei suoi momenti più importanti, nelle sue iniziative. Quale volto della comunità
adulta incontra un giovane, quali convinzioni manifesta, quali i criteri delle scelte, quali le
motivazioni degli interventi, quali spazi sono dati ai giovani, quali i coinvolgimenti graduali
nella responsabilità?
Questo aspetto comporta una pluralità di riferimenti adulti e una complementarità di interventi:
il catechista, la famiglia, il sacerdote, la comunità, la missione.
o Come queste presenze sono dosate nella normale vicenda di una comunità cristiana?
o I giovani non si marginalizzano forse anche perché sono marginalizzati, cioè lasciati a
dinamiche di separazione, di nicchia, con figure di educatori spesso improvvisati?
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Su questo punto non si sente la necessità di un investimento diocesano per formare adulti
educatori, una scuola per genitori, soggetti culturalmente preparati?
Alla fine del percorso possiamo tornare alla domanda di partenza: Chi ama veramente i
giovani? La domanda esprime una nostalgia e un grido di aiuto. E si precisa:
Come amare veramente i giovani?
o Verrebbe da dire: essendo e crescendo come cristiani adulti!
o Prima di dire e fare qualcosa per loro, occorre essere per loro e con loro!
Tutti i grandi credenti sono stati affascinanti essendo semplicemente così, cristiani a tutto
tondo, contagiosi perché appassionati, trascinanti perché si sono lasciati coinvolgere dalla
sequela di Gesù nella sua Chiesa. Questo potrebbe già bastare!
o
(Franco Giulio Brambilla)
Quattro “conversioni pastorali” di una parrocchia
“post sinodale”, attenta a comunicare la fede ai giovani
Il Sinodo diocesano ci ha consegnato come programma per i prossimi anni, l’impegno a
rinnovare l’annuncio del Vangelo attraverso il rinnovamento del nostro modo di essere
Chiesa. Ci ha consegnato quattro volti di Chiesa da costruire:
o Discepola
o Sinodale
o Compagna di viaggio
o Estroversa
Quali cambiamenti potrebbe porre in atto una parrocchia per assumere questo volto nel
proprio modo di porsi di fronte all’annuncio del vangelo alle nuove generazioni?
“Provocatoriamente” ci sono venute alcune proposte possibili, cioè un provare con un po’ di
fantasia ad immaginare…
Una parrocchia piu’ discepola:
1. Dai servizi religiosi per “mantenere i clienti”, alla comunità di fede per annunciare un
modo di vivere da credenti
I giovani cercano una vita autentica, con la loro ricerca provocano la chiesa ad essere
credibile. La prima attenzione della pastorale giovanile dovrà essere quindi l’autenticità e la
coerenza di vita della comunità cristiana stessa. La fede è un dono gratuito che raggiunge la
persona, che passa anche attraverso l’incontro con chi ha fede, con chi sa dirla e
testimoniarla. I giovani ci chiedono di incontrare e sperimentare una comunità cristiana che ha
fede, che ci crede veramente, e che si mostra credibile vivendo e celebrando con gioia il
Vangelo.
I giovani oggi non contestano ciò che ritengono inadeguato; la loro ricerca di verità e
autenticità semplicemente li allontana da ciò che appunto non è percepito come autentico; la
prima preoccupazione, quindi, per comunicare il Vangelo alle giovani generazioni, sia quindi
quella di costruire una comunità che cerca di viverlo. La pastorale giovanile dovrà allora
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preoccuparsi essenzialmente di trovare le modalità attraverso le quali i giovani possano
incontrare una comunità cristiana, che faccia loro sperimentare come possibile una vita
cristiana autentica, coerente e gioiosa.
o Attenzione alla propria credibilità: nel modo di annunciare, celebrare e testimoniare. I
giovani siano coinvolti nei momenti di fede, di celebrazione e di testimonianza della fede
da adulti che mostrano di crederci; l’attenzione agli stili di vita e alle scelte che la
parrocchia compie, perché siano nella logica del Vangelo e non del mondo; nella logica
dell’obbedienza a Dio (l’attenzione a tutti, ai poveri, l’importanza data alla preghiera, alla
Parola, alla liturgia curata e gioiosa) più che alle logiche del mondo (i numeri, i soldi, …)
o Che ci siano almeno dei momenti con i giovani in cui possano respirare la fresca
concretezza del Vangelo
Una parrocchia sinodale:
2. Dal delegare impotente a chi si pensa competente, a un modo intelligente di
coinvolgere adulti credenti
La tradizione delle nostre parrocchie è fortemente segnata dal ruolo svolto nella loro storia
dalle figure dei curati. In un contesto sociale e religioso che garantiva una certa trasmissione
della fede, il curato ha rappresentato concretamente la figura di riferimento per le attività
giovanili della parrocchia. Il dono della giovane età lo ha sempre reso particolarmente vicino
ai giovani, capace di interpretarne e accompagnarne i vissuti.
I cambiamenti sociali e religiosi dei decenni passati, hanno accentuato il distacco
generazionale tra adulti e giovani, inducendo sempre più nella vita delle parrocchie un
atteggiamento di delega, al curato (capace di capire i giovani!) e agli altri giovani un po’ più
grandi, delle attività giovanili.
Questo ha portato le comunità a slegare l’educazione alla fede dei giovani dal contatto con
testimonianze di vita cristiana adulta significativa, seria, radicale; gli adulti infatti, in quanto
figure mature dell’esistenza umana, dovrebbero essere il punto di riferimento che
maggiormente deve entrare in gioco nel “confermare nella fede” le giovani generazioni, che
nella fede stessa stanno “scommettendo”.
Adulti non giovanilisti, ma seriamente capaci di interagire con “simpatia” da educatori, il che
non significa negare un ruolo importante a quei giovani con qualche hanno in più, che con
uno stile di vita significativo, diventano interlocutori stimolanti.
Si tratta allora di rivitalizzare una “alleanza” all’interno della parrocchia, tra le persone più
sensibili, per prendersi cura dell’educazione alla fede dei giovani, valorizzando soprattutto
quei cristiani dotati di un particolare carisma nei confronti dei giovani o, per competenze
professionali, dediti al mondo giovanile.
o Farsi carico della trasmissione della fede ai giovani superando la logica di delega: creare
delle equipe di pastorale giovanile con dentro anche degli adulti significativi e che vivano
a contatto coi giovani
o Un ripensamento del ministero del presbitero giovane, in ordine alla pastorale giovanile, in
parte dedito a stimolare gli adulti per il punto precedente, in parte dedito
all’accompagnamento personale
Una parrocchia compagna di viaggio:
3. Dai compartimenti stagni, al coinvolgimento reciproco
Siamo eredi di una impostazione pastorale che divide la formazione a seconda delle
competenze; alla famiglia la formazione umana, alla chiesa (e a i preti in particolare) l’aspetto
religioso, alla scuola la formazione culturale. Si tratta di riscoprirsi come chiesa che, per
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camminare accanto ai giovani, si fa prima di tutto compagna di viaggio di chi abitualmente
cammina coi giovani nei normali impegni di vita; quindi, perché non provare a:
o Accompagnare chi accompagna: percorsi formativi per genitori, per essere genitori
cristiani dei giovani di oggi
o Accompagnare chi vive accanto: incontrare e pensare proposte per insegnanti, allenatori,
baristi, ecc. cristiani, sensibili ad essere comunità cristiana in mezzo ai giovani
Una parrocchia estroversa:
4. Dal campanile al Campari (ed al campanello alla campanella), ovvero i luoghi dove la
vita è vissuta
Siamo eredi della parrocchia fontana del villaggio, del paese costruito intorno alla chiesa,
della pastorale segnata dal convocare del campanile, ma la vita della gente non ha più un
centro; in particolare quella dei giovani si svolge in luoghi molteplici, con una pluralità di
frequentazioni e appartenenze istituzionali e informali che richiedono un forte ripensamento
della pastorale giovanile.
Superando il complesso del vedere i giovani lontani dalla chiesa, è tempo forse che la chiesa
scelga di rendersi vicina, presente lì, dove la vita è vissuta. Si tratta cioè di abbracciare una
serie di risposte, le quali dicano che, se i giovani scelgono l’estraneità alla chiesa (che non
significa escludere la fede in Dio), la chiesa stessa cerca di farsi prossima ai luoghi del loro
vissuto (per annunciare la prossimità di Dio alla vita dell’uomo). Accanto alle tradizionali forme
della pastorale d’ambiente (scuola, università, lavoro), è il tempo di orientare decisamente
l’impegno della pastorale giovanile nei luoghi del tempo libero e di ritrovo informale che ogni
territorio porta in sé. La comunità cristiana ha quindi da mettere in atto dei percorsi che
portino a pensare proposte, qualificando soprattutto i giovani stessi e quei cristiani adulti che,
magari per motivo professionale o di impegno educativo, sono presenti in tali luoghi.
o Dare importanza ai luoghi dove i giovani vivono: instaurare relazioni stabili con loro e con
gli adulti coinvolti
o Pensare proposte non di convocazione, ma di presenza, di dialogo e di annuncio nei
luoghi di vita dei giovani, partendo dai giovani e dagli adulti che li frequentano
Un’ultima provocazione
Questo discorso pone in risalto un fatto che spesso noi adulti non vogliamo ammettere: la
difficoltà di dover cambiare noi, il nostro modo di essere e di rapportarci con le nuove
generazioni. La crisi dell’educazione non sta nell’indifferenza, o nel rifiuto da parte dei giovani,
ma nel nostro mondo adulto, privo spesso di veri valori di riferimento, di forza, di
testimonianza coerente, di ideali per cui impegnare la vita. (Mons. Nosiglia, vescovo di
Vicenza)
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Per il consiglio Pastorale
Carissimi consiglieri, queste parole sono per voi, che per la maggior parte siete adulti o
anziani, anche se alcuni giovani sono tra voi, che si sentono un po’ mosche bianche.
Voi siete le persone che, con il loro servizio, cercano di costruire sempre più bella e autentica
la vita della vostra comunità.
Al suo interno vivono tutte le età, situazioni e condizioni. Tra voi ci sono anche i ragazzi di
17/19 anni, realtà e risorse importanti per la comunità stessa: sono ragazze e ragazzi in una
fase molto bella e delicata della loro vita, nella quale, anche nella fede, si stanno interrogando
se prenderla sul serio.
Al cuore di questa domanda, c’è in loro una questione di fondo: la scelta della fede mi aiuta a
essere felice, a diventare veramente adulto in modo significativo?
Se le cose stanno così, non meravigliatevi del fatto che vi viene chiesto di coinvolgervi in
questo progetto; perché è normale che siate voi a dover aiutare i ragazzi a darsi una risposta.
Con la vostra gioia cristiana, con la vostra autenticità cristiana, perché se non siete così, in
fondo lanciate indirettamente il messaggio che non ne vale la pena!
Beh, allora capito? Siete importanti! Voi direttamente e quelli che saprete coinvolgere (in
parrocchia, in vicaria, nelle associazioni e movimenti), perché questa proposta aiuti i ragazzi a
poter dire: “se essere cristiani significa vivere così, allora mi interessa!”
Le pagine che seguono, sono per farvi riscoprire corresponsabili di questa avventura.
Dove?
DENTRO LA COMUNITA’ CRISTIANA
La fede è un dono! Quante volte ce lo siamo detti. Eppure, come non riconoscere le
innumerevoli circostanze che hanno favorito l’accoglienza e la maturazione del dono!
La fede è un po’ come la vita: ci viene donata! Nasciamo alla fede attraverso un “grembo” che
è la Chiesa, fatta di tutte quelle persone e relazioni di cui la comunità è composta.
E attraverso il rivolgerci al consiglio pastorale, vorremmo rivolgerci a tutta la comunità
parrocchiale, invitandola a coinvolgersi, sentendosi parte di una chiesa locale col suo
vescovo, e inserita in un territorio con le parrocchie vicine!
IL CONSIGLIO PASTORALE
Sia coinvolto direttamente nella progettazione dell’itinerario che si vuole proporre ai ragazzi,
avvisando che saranno richieste delle collaborazioni, degli interventi e dei segnali forti dalla
comunità e dai gruppi, unitamente ad alcuni momenti celebrativi parrocchiali, in cui si renda
visibile il coinvolgimento degli adulti nel percorso dei ragazzi.
LA FAMIGLIA
Ovviamente ogni ragazzo arriva dal proprio contesto familiare. Dalla famiglia assume i valori
fondamentali, dalla famiglia necessariamente si distacca per le proprie scelte di valori e di
interpretazione della vita e dei valori stessi; se l’età dei 17-20 rappresenta un periodo di
diminuzione delle tensioni familiari tipiche dell’adolescenza, è quindi un tempo di relativa pace
nei rapporti familiari, ma questo non significa che il ruolo parentale sia concluso, anche in
ordine alla fede.
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Quello che proponiamo non è tanto di informare di più i genitori su ciò che viene fatto, ma di
coinvolgerli direttamente in quanto proposto.
La fase del “tra-ducere”, del fare cultura, del dire con il proprio stile di vita i propri valori di
riferimento, vede negli adulti l’approdo del processo formativo e il possibile esempio di
“fattibilità del Vangelo”. A questo scopo potrebbe essere significativo tenere una parte degli
incontri nelle case dei ragazzi a turno, coinvolgendo i loro genitori nell’incontro stesso, e
comunque in generale coinvolgere il più possibile le loro famiglie nei momenti di
testimonianza.
I GRUPPI
Il sussidio propone spesso attività che vedono il diretto coinvolgimento di gruppi operanti in
parrocchia. Chiaramente le persone vanno preparate, un po’ gestite, se non abituate allo
stare coi ragazzi. I gruppi vanno poi “selezionati” in base appunto all’effettiva significatività
dell’esperienza e delle persone.
Il SACERDOTE
Al prete non sarà chiesto che di essere prete, sia esso giovane, adulto o anziano. Senza
sentirsi il responsabile di tutto, dovrà mettercela tutta per attivare le responsabilità degli altri, e
giocare la propria specificità di pastore e di guida.
In relazione poi alle parrocchie che hanno anche la presenza del curato, sarà comunque
importante aiutarsi a non proiettare sulla sua persona un atteggiamento di delega, e
nemmeno aspettative assolute legate alla figura del curato, così come gli permettevano di
essere condizioni che ora non ci sono più; senza quindi scaricare barili, valorizzando il
carisma tipico del prete giovane, che potrà forse caratterizzare il suo ministero in ordine a
essere:
o Un ponte in chiave educativa tra il mondo giovanile (cui appartiene per età) e il mondo
adulto (cui appartiene per ministero)
o Un testimone gioioso della bellezza, come giovane, del seguire Cristo e del prenderlo sul
serio
o Uno stimolo alla comunità a vivere con radicalità e coerenza la propria fede
o Un accompagnatore degli adulti nel processo di comprensione delle istanze del mondo
giovanile
o Un tessitore di trame con chi si occupa dei giovani sul territorio
o Un compagno di viaggio che condivide il cammino di ricerca personale dei giovani, dando
loro tempo per l’ascolto personale e l’accompagnamento spirituale
o Un promotore di luoghi di incontro, di vita comunitaria, di spiritualità, dentro il tessuto
ordinario della vita
RELIGIOSI
Per le parrocchie che hanno la grazia di averne qualcuno/a coinvolto nelle attività giovanili, il
religioso è una grande risorsa in ordine all’esserci con la propria significatività, di una vita
spesa abbracciando radicalmente i consigli evangelici. Una presenza capace di mostrarsi per
quello che è e capace di interrogare per la gioiosità di una vita data radicalmente al
Signore…senza particolari ruoli, se non quello di esserci.
ASSOCIAZIONI E MOVIMENTI
Dono e risorsa nella Chiesa, numerosissime sono le aggregazioni laicali di ispirazione
cristiana e che operano nella più svariata serie di modalità. Sono esperienze privilegiate di
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impegno e di motivazione cristiana, che possono essere coinvolte nel progetto di iniziazione
alla fede dei 17/19enni.
E INFINE….L’ANIMATORE,
E IL GRUPPO DEGLI ANIMATORI
Per te animatore
Non sappiamo nulla di te. Potresti essere esperto o alle prime armi, adulto giovane, giovane
adulto, giovane, giovanissimo, ecc. ecc. Single, moroso, sposato, ecc….Dinamico, riflessivo o
qualsiasi altra cosa.
Di certo ci sei, hai detto di sì, ti hanno incastrato. E adesso ti ritrovi a doverti arrangiare in
questa bellissima e difficilissima avventura!
Un consiglio: buttati alla grande, ma non farlo da solo!
Le pagine che seguono vogliono aiutarti a “diventare quello che sei”
O almeno a provarci.
Auguri!
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L’Educatore
Per la comunità, per il gruppo, per il singolo ragazzo
L’educatore dei giovani, non spunta come i funghi. Nasce nel seno della comunità, con alle
spalle un inserimento significativo in essa, con un vissuto personale e comunitario di fede
serio. È una persona matura che può esprimere nella sua azione l’essere mandato dalla
comunità, e che effettivamente alla comunità fa riferimento.
Il suo compito sarà direttamente riferito all’attività con i ragazzi, nel coordinarla,
programmarla, sostenerla, facendosi tramite tra il gruppo dei ragazzi e la comunità di
appartenenza.
Avrà infine cura del rapporto personale con i ragazzi, ben sapendo che l’ambito personale
della crescita richiede un’attenzione del tutto particolare, ma anche la pluralità di altri
interventi. (R. Tonelli)
A ogni gruppo un suo educatore, a ogni ragazzo un suo accompagnatore
Una delle novità di questa proposta (più avanti lo si capirà meglio), è quella di proporre due
livelli di proposta formativa:
o
o
livello di gruppo, guidato dalla figura dell’educatore/i di gruppo
livello personale, in cui invitare i ragazzi a scegliersi una persona adulta di riferimento
con cui iniziare un cammino personale, a tu per tu, di formazione umana e cristiana
(vedi sussidio “Compagni di viaggio). Proprio in questa dimensione potrebbe esserci
coincidenza con l’educatore del gruppo, ma potrebbe essere anche una qualsiasi altra
figura significativa: un laico, un sacerdote, o un religioso; si potrebbe, insomma, proporre
il recupero della figura del padrino, laddove fosse significativo e, comunque, la proposta al
giovane di “trovarsi questa persona”, potrebbe essere proprio nella logica e nel ruolo
previsti per il padrino stesso.
Il maturare dei ragazzi a questa età e il loro bisogno di essere ascoltati, fa emergere il
bisogno di cercare figure nuove e diverse, persone che siano accanto nel loro percorso,
personalissimo, alla scoperta di sé e del proprio modo di seguire il Signore.
In particolare, questa generazione di 17/19enni si mostra particolarmente disponibile ad
aprirsi, laddove si incontrano figure serie, autentiche, credibili: paterne, senza essere
paternaliste, amichevoli senza essere amiconi!
Questione di stile . . .
Uno stile di Chiesa, lo stile dell’educatore,
così come ne parla il Sinodo Diocesano
Il libro sinodale traccia uno stile di Chiesa capace dell’annuncio del Vangelo ai giovani,
ispirato allo stile del Gesù dell’ “Icona Evangeli” dei discepoli di Emmaus.
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A questo stile rimandiamo, quindi, per meglio capire come essere educatore cristiano dei
giovani oggi.
1. Sempre aperto e disponibile ad accogliere:
l’educatore, la persona dall’accoglienza incondizionata. Troppo presi da una vita dove conti
per quello che fai e per come appari, alla lunga ci convinciamo che non ci sia più posto per
quello che sei e che, al di là di ogni limite e fallimento, “tu sei un pensiero di Dio, tu sei un
palpito del cuore di Dio. Affermare questo è come dire che tu hai un valore in un certo senso
infinito, che tu conti per Dio nella tua irripetibile individualità.” (Giovanni Paolo II).
Ogni ragazzo ha una dignità e un valore immenso, davanti al quale “metterti in ginocchio”:
non per fingere di vederne i difetti e le ferite, non per attirare la sua simpatia, ma perché si
renda conto che davanti a Dio vale in maniera unica.
In ginocchio per non scandalizzarti del male e per contemplare il bene che c’è e quello che
vuole emergere. Pronto ad accogliere sempre e comunque, ad amare prima che a giudicare;
senza rinunciare a dir la tua con sincerità o accogliendo anche ciò che non va bene, ma
facendo sempre e comunque prevalere la radicale fiducia nella bontà e dignità della persona.
Scusa, ma forse non è così anche Dio? Il figlio prodigo ne sa qualcosa…
2. Cammina insieme:
l’educatore, la persona che ama condividere ciò di cui pulsa la vita. Non sei davanti, non sei
dietro: cammini insieme! Non sei già arrivato, non hai rinunciato ad andare: stai camminando,
e il tuo cammino lo condividi con loro. Non sei diverso: come Gesù, addirittura non si
accorgono che è Lui! Eppure sei tu! Cammini insieme perché la vita è cammino, e ti interessa
condividerla: sei compagno di viaggio. Compagno: “cum-panis”: colui con cui condividi
insieme il pane; colui che condivide con te ciò che sostiene e alimenta la vita.
Fa che i tuoi ragazzi ti sentano vicino, che con loro condividi “gioie e speranze, tristezze e
angosce”; interessati a loro, a ciò che vivono, alle cose che per loro sono importanti; ricordati
di certi loro problemi, di alcune ricorrenze, di quello che ti confidano. Incontrali dove sono,
senza aspettare che vengano loro dove sei tu. Anche se le loro strade si allontanano, sappi
trovare i momenti per affiancarti.
Ma sii discreto, delicato, sensibile, mai invadente; a volte è meglio un passo indietro…
Fa che ti sentano vicino, talmente vicino che come Gesù …ci sei anche quando non si vede!
3. Promuove e condivide la ricerca di senso:
la persona che aiuta ad andare fino in fondo “…anche se questa vita un senso non ce l’ha”. È
l’amara constatazione che spesso la società induce a pensare e capita che un ragazzo
preferisca “stare spento”! Eppure quante emozioni, quanto vibrare di vita a 18 anni! Solo che
a volte è un oceano che si agita, tra tempesta e calma piatta. E tu accanto, a porre le
domande, a far intuire che si può scavare a fondo, che sotto le emozioni che vanno e
vengono ci sono i desideri più profondi. Sii una persona che condivide la ricerca, che ama far
pensare, che mette in crisi, e che ama indicare delle certezze. Testimonia con le tue scelte di
vita che c’è un senso, che l’hai intuito e che lo stai cercando: sì, anche tu, va’ fino in fondo alla
tua vita, perché si veda che ci credi e che stai cercando con passione!
4. Serve e si fa discepolo della Parola:
la persona che narra la luce che viene dalla Parola, ma se ti ritrovi ad essere compagno di
viaggio, è perché hai già fatto l’incontro; anzi, perché una parola di salvezza e di speranza ti è
venuta incontro. Non essere come quegli adulti, che per essere accolti dal mondo dei giovani
pensano di dover essere rinunciatari e permissivi, “spettatori” muti… disposti solo a riversare
anche sui giovani la crisi di identità che investe la loro persona. Tu hai qualcosa da dire,
perché qualcosa è successo! Non dire dottrine, racconta la vita. Narra di come il Vangelo, la
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Parola di salvezza, illumini di senso il tuo cammino. Certo, ancora tra tanti bui, ma con la luce
di una fede sulla quale vuoi fare sul serio, scommettendo la vita: “Maestro, sulla tua parola
getterò le reti!”
5. Vive la relazione:
la persona che accompagna all’Incontro. Riconoscere Gesù presente nella tua vita,
sperimentare che c’è, e che è importante, decisivo per te. Un incontro che ti cambia, un
incontro al quale ritornare continuamente; la comunione con Lui per divenire capace di
comunione!
Sei educatore, vivi la relazione per la bellezza dell’essere partecipi gli uni della vita degli altri,
per sperimentare la comunione, ma ricordati, tu sei “penultimo”: lo scopo ultimo è che
avvenga l’Incontro con Lui; allora il tuo essere educatore è accompagnare a scoprire i segni
della presenza: come ad Emmaus, dietro il segno scoprire la presenza! A leggere la vita, ad
aprire il cuore, a lasciarsi toccare dal Risorto.
Sei educatore: “lasciati mangiare”, diventa “buon pane”; la tua disarmante disponibilità, la tua
bontà di fondo, dia ristoro, faccia ritrovare la verità di se stessi, incoraggi alla voglia di ripartire
con fiducia e slancio!
6. Si fonda sulla testimonianza, la coerenza e l’autenticita’
La persona che vive ciò che crede. Non bastano le parole, non basta l’esempio; ma forse
niente produce necessariamente quello che ci aspetteremmo!
E quindi tu sii, o almeno cerca di essere, te stesso fino in fondo. Vivi con fede, impregna di
vangelo le tue scelte, credi fino in fondo a ciò che proponi.
E possibilmente rompi: sì, stimola a coerenza, all’autenticità, a non accontentarsi, a volere
sempre il meglio da sé, dalla vita, dalla propria comunità.
Aiuta i tuoi ragazzi ad essere loro stessi compagni di viaggio, testimoni di un incontro, capaci
di parlarne: c’è un mondo che aspetta chi dica con la semplicità la speranza che è in Lui!
Cosa fa un educatore dei giovani
Vive in prima persona
L’essere educatore è una grandissima opportunità che il Signore ti sta dando, per crescere
nella tua fede, nella capacità di relazione, nel vivere più profondamente nella comunità.
Se ti senti inadeguato…buon segno! Perché è profondamente vero! Dio fa così: “Dio ha scelto
ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è
debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò
che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti
a Dio.” (1 Cor 1, 27-29). Si serve di strumenti inadeguati, ma che si sentano…adeguatamente
amati e salvati per quello che sono! E che di questo diventino testimoni.
Il sussidio che stai leggendo ti sarà di grande aiuto per percorrere in prima persona il
cammino di approfondimento della fede che andrai a proporre ai ragazzi.
Sii onesto con te, con loro e con Dio: vivilo prima per te e poi condividilo con loro, lasciandoti
toccare e cambiare dall’agire di Dio. Annuncia il Vangelo e la Verità tutta intera, anche quella
che non hai ancora capito fino in fondo e quella che fai fatica a capire: tu parli a nome della
chiesa e sei chiamato ad annunciare il tuo modo personale di vivere, non la tua fede, ma
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quella della comunità; Non per annunciare di un “Gesù a tua misura”, ma la tua misura del
“Gesù della Chiesa”!
Pone domande
Ti troverai con i ragazzi a vivere situazioni ed affrontare temi in cui le domande pullulano; ma
ci saranno momenti in cui le domande proprio non ci sono. Bene, non metterti a dire le
risposte senza che ci siano le domande. Provoca e scuoti, con forza e con dolcezza insieme:
a volte è la polvere che si posa ad impedire di vedere oltre.
Educa a porre domande, e a porre quelle vere; aiuta all’onestà intellettuale, al desiderio di
verità, allo spirito critico, alla voglia di non fermarsi all’apparenza della superficie. Aiuta a
comprendere il gusto della Verità e non solo della “mia verità”: testimonia l’umiltà di chi sa il
valore di ciò che è venuto prima di noi, e la pazienza di continuare a cercare anche quando è
faticoso.
Aiuta a trovare le risposte
Non fermarti alle domande, ti prego! Non essere come quegli educatori che pensano che
quelle esauriscano il loro compito (forse perché loro si sono fermati lì!). La verità ha un volto
ed è quello di Gesù Cristo; volto da cercare, da scoprire, da incontrare e da ricercare ancora;
anche tu sei in ricerca, con i tuoi dubbi e difficoltà. Lasciati provocare dai ragazzi ad andare in
profondità, e quando non sai, formati, informati, interpella, per poi aiutare i ragazzi stessi.
Troverai i ragazzi, a volte, vittime della convinzione che ogni cosa è giusta e va bene, basta
che te la senti. Fa capire le differenze, aiutali affinché si rendano conto che ogni scelta ha le
proprie conseguenze. Aiutali a intuire che c’è il male e c’è il bene; conducili a vedere e
sperimentare risposte, non solo emotive, ma anche razionali per la loro ricerca di fede. E poi,
che queste risposte vere, quelle che ti colpiscono fino in fondo, siano le risposte di testimoni
autentici e gioiosi, che sulla Verità hanno deciso di scommettere la propria vita.
Tesse trame
Ricordati: non sei il responsabile assoluto del gruppo; sei stato chiamato e mandato! Non sei
l’autogestore di tutto: non sei chiamato a far diventare questi ragazzi un clone di te! Tu sei un
modo di essere cristiano; tuo compito è introdurli nella vita cristiana della comunità.
Per cui, datti da fare per essere un tessitore di trame: è la comunità il vero educatore dei
ragazzi. Svolgi il tuo servizio per mettere in contatto, far entrare in relazione i ragazzi con le
persone…e cerca di rompere le scatole: gli adulti non sono abituati a farsi disturbare nelle loro
sicurezze dalle incertezze dei giovani. Stimola la tua comunità a farsi carico di questa sete
che c’è nei ragazzi; parla spesso col tuo prete, incontra il consiglio pastorale, dialoga con le
famiglie.
Attento al pericolo di diventare chioccia: “i miei ragazzi…” non sono affatto tuoi, sono di Dio,
della chiesa e per il mondo. Le trame che tessi ti portino nelle parrocchie vicine, in vicaria, in
diocesi, con gruppi e movimenti di ogni tipo: aria, ricordati sempre di dare ossigeno!
Insomma, più che fare e dire, fa incontrare!
Fa sperimentare
Oggi la gente, e i ragazzi soprattutto, non affidano la propria vita alle idee, ma alle realtà
oggettive, toccabili con mano. Fa sperimentare la bellezza e la significatività della vita di
cristiani normali, ma anche di “eroi”, di gente che lotta, soffre, spera e soprattutto gioisce per
la propria fede. Fa toccare con mano la sofferenza e la solidarietà, i dubbi e la fede.
E dopo, solo dopo (ma non omettere di farlo!), ragiona con loro su ciò che li ha colpiti, sul
perché delle cose, per capire da dove nascano.
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Ricordati, quindi, di non costruire “l’album delle belle esperienze”: non serve a nulla
continuare a inanellare esperienze super, se poi non si approda a tutto quel percorso di
interiorizzazione che porta a rendere straordinaria la vita ordinaria.
Accompagna, dialoga, fa sintesi
Sarà questa la tua croce e la tua delizia; perché quello che conta infine, soprattutto a 19 anni,
è come si incide sulla coscienza personale, luogo delle decisioni e delle scelte di fondo.
Sarà croce: perché essere accanto a un giovane in questo processo è molto delicato
(maneggi un prezioso cristallo), richiede tempi spesso molto lunghi, e chiama in causa le
sintesi che tu hai fatto o non hai ancora saputo/voluto fare; ma sarà delizia, perché da
un’interiorità curata di un giovane possono nascere scelte personali di vita, radicali ed
affascinanti.
Infine anima, anima!
Vivi le cose che fai e le relazioni con loro all’insegna dell’entusiasmo, della voglia di incontrare
e di fare, del fascino dell’essere e dello stare insieme. Con il gusto di fare cose grandi e di
rendere grandi anche quelle piccole. Lasciandosi sempre entusiasmare dal positivo piuttosto
che dalle cose che magari non vanno.
Trascina, contagia, illumina: e quando viene lo sconforto, …anima!
Se alla fine di queste pagine hai cambiato idea e non vorresti più essere animatore, buon
segno, sei fatto per farlo!
Solo che bisognerà che ci aiutiamo, perché è importante formarsi a diventare veri educatori!
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Le stanze
Dare forma alla casa
Per una formazione cristiana del 17/19enne
Uno sguardo interpretativo, seppur molto parziale, è importante per capire cosa avvenga dal
punto di vista umano e religioso in un giovane, per fare in modo che la proposta pastorale
effettivamente sappia intercettare e accompagnare positivamente i vissuti così decisivi di
questa stagione della vita.
Ci ritroviamo nella lettura interpretativa che ne dà il progetto formativo dell’Azione Cattolica
Italiana “Perché Cristo sia formato in voi” del 2004, che sottoponiamo alla vostra attenzione.
II passaggio alla giovinezza, spesso segnato dalla fine degli studi superiori e dai primi anni di
università o dall'ingresso nel mondo del lavoro, è caratterizzato da una grande instabilità.
La scelta dello studio, la precarietà delle prime esperienze professionali, un diverso contesto
relazionale, sociale e culturale, l'autonomia negli spostamenti e nei programmi di tempo
libero, l'esperienza di un rapporto profondo con l'altro/l'altra e la ricerca di un'affettività meglio
definita, una più difficile assiduità di partecipazione alla vita della comunità e del gruppo
formativo, il confronto con diverse concezioni di vita ed esperienze religiose... tutto questo
chiama a una più personale scelta della direzione verso cui orientare la propria esistenza.
In questo contesto di grande mobilità, la coscienza è il luogo privilegiato in cui verificare la
direzione intrapresa e compiere le proprie scelte nella libertà. La fede, che orienta le decisioni,
non mette al riparo dal dubbio e dall'incertezza: la fatica della ricerca non può essere delegata
a nessuno. Per questo, la formazione del giovane tende ad aiutarlo a fare unità nella propria
vita, compiendo una sintesi personale e profonda tra i bisogni che si presentano, i desideri, i
valori individuati come essenziali, le scelte - grandi e piccole - della vita. Si tratta di un
esercizio continuo della coscienza che, nella fede, scopre che il bene desiderato è
realizzabile, e che non si è soli in questo cammino: la creatività di una coscienza che si apre
alla Grazia, permette al giovane di vivere in maniera piena, unica ed originale, e affinché
questo avvenga occorre alimentare il dialogo interiore con lo Spirito e la costruzione
dell’identità personale attorno alla propria vocazione.
Essere portatori di pace negli ambienti di vita e vivere le relazioni interpersonali nella libertà e
nella responsabilità, sono altri importanti obiettivi educativi per le persone di questa età,
chiamate anche a vivere l'esperienza dell'innamoramento e dell'amore come dono di Dio. La
formazione, inoltre, mira ad accompagnare il giovane a maturare uno stile di sobrietà e di
temperanza, a vivere la professione come servizio, a saper stare nella complessità, ad
accettare e gestire i conflitti, a dialogare con chi è portatore di esperienze diverse.
Il progetto poi si spinge ad indicare degli ingredienti precisi per un cammino formativo di
un 18-20enne.
L’età tra i 18 e i 20 anni risulta particolarmente delicata e importante nel tracciare il proprio
percorso di vita. Spesso, a quest'età, è già avvenuto l'incontro decisivo con il Signore Gesù e
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se ne acquista nuova consapevolezza; la domanda vocazionale prende corpo e si sente
sempre più il bisogno di avere del tempo per sé stessi, insieme alla necessità di confrontarsi
con gli altri e al bisogno di un valido accompagnamento.
Nella comunità cristiana, nella comunità sociale e civile, in cui il giovane vive con crescente
responsabilità, e in cui è chiamato a spendersi con sempre maggiore gratuità, il bisogno di
ascolto ed attenzione è ancora molto forte: la capacità e la disponibilità ad assumervi dei
servizi non elimina la necessità di cura della fede e di accompagnamento nella vita cristiana.
Dopo il cammino dell'adolescenza, in questi anni l'AC propone ai giovani un periodo di
particolare formazione, avviato da un'esperienza spirituale significativa:
o un corso di Esercizi Spirituali
o un camposcuola
o un momento forte di formazione e di verifica
È l'occasione per precisare la propria regola di vita e per compiere alcune scelte forti, che
indichino la maturazione avvenuta e la direzione del cammino futuro:
o l'assunzione in prima persona di un impegno continuativo di servizio in campo educativo,
caritativo o culturale, nella comunità parrocchiale, nell'associazione o in ambito civile
o la scelta di vivere annualmente un corso di esercizi spirituali e la fedeltà
all'accompagnamento spirituale di una guida
o la cura dell'amicizia anche nella dimensione del dialogo di fede
Una specifica proposta formativa riguarda gli anni successivi, in cui l'identità cristiana del
giovane si definisce ulteriormente nel contatto diretto con la vita, con le sue tensioni e
responsabilità, le provocazioni del contesto esterno e il raggiungimento di importanti traguardi
esistenziali.
17/19enni: COSA in concreto si vive a questa età:
o
o
o
17/18: a 17 anni non è che ci sia poi questo gran “passaggio”; certo si avverte una certa
maturità in più, ma fondamentalmente il passaggio della festa che si celebra più di tanto
non c’è a livello esistenziale; forse c’è, e potrebbe esserci ancor di più, a livello delle
nostre proposte. Uno stacco reale che inizia nelle metodologie, nei temi, nei tempi e
luoghi degli incontri, in una proposta aperta, ma certamente più esigente.
18/19: è con i 18 anni che effettivamente qualcosa cambia; prima di tutto, oggi, la
patente! Il che significa l’inizio di una maggiore autonomia (più che la responsabilità civile,
penale, delle elezioni). Comunque di salto si tratta, accompagnato dalla domanda che per
buona parte dei ragazzi interroga sul futuro lavorativo o di quali studi proseguire. Scelte
che affinano l’esigenza di criteri, in base ai quali operare le determinazioni del proprio
futuro.
19/20: con l’ingresso nel mondo del lavoro o dell’università, un giovane è immesso in un
cammino esistenziale sempre più personalizzato da ogni punto di vista rispetto a quello
dal quale proviene. È il tempo in cui, come cristiano, costruirsi un percorso sempre più
autonomo e individuale, che accompagni nella vita; che è meno puntellato da gruppi, ma
che comunque non può che nutrirsi di appartenenze significative, pena un’irrimediabile
irrilevanza.
I muri perimetrali: i limiti di questa proposta
Sono necessari, per non avere pretese eccessive che generino solo frustrazione.
Un percorso come questo non raggiunge tutti (la maggior parte se ne sono andati), e non può
avere presente tutto; ci sono fasi successive del cammino personale e di fede, cui saranno
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poi riservate attenzioni diverse e particolari più adatte alle esigenze esistenziali e di maturità
del percorso cristiano.
“Zona giorno e zona notte”: socializzazione e personalizzazione della fede
Con giorno e notte c’entra ben poco, ma è per capire che, come in ogni casa, ci sono due
“zone”, due luci, due accenti, anche nella proposta cristiana a un giovane di “abitare in Cristo”.
Papa Benedetto, in un colloquio informale con il clero della Valle d’Aosta durante le vacanze
del 2005, le ha così evidenziate:
“È importante che i giovani possano scoprire la bellezza della fede, che è bello avere un
orientamento, che è bello avere un Dio amico che ci sa dire realmente le cose essenziali della
vita.”
Questo fattore intellettuale deve essere poi accompagnato da un fattore affettivo e sociale,
cioè da una socializzazione nella fede, perché la fede può realizzarsi solo se ha anche un
corpo e ciò implica l'uomo nelle sue modalità di vivere; perciò in passato, quando la fede era
determinante per la vita comune, poteva essere sufficiente insegnare il catechismo, che
rimane anche oggi importante, ma, dato che la vita sociale si è allontanata dalla fede, noi
dobbiamo - visto che anche le famiglie spesso non offrono una socializzazione della fede offrire modi di una socializzazione della fede, affinché la fede formi comunità, offra luoghi di
vita e convinca, in un insieme di pensiero, di affetto, di amicizia della vita.
Mi sembra che la Chiesa di oggi, anche in Italia, offra alternative e possibilità di una
socializzazione dove i giovani, insieme, possano camminare con Cristo e formare Chiesa; per
questo devono essere accompagnati con risposte intelligenti alle questioni del nostro
tempo…Dunque personalizzazione e socializzazione sono le due indicazioni che devono
compenetrare le situazioni concrete delle sfide di oggi: le sfide dell'affetto e quelle della
comunione; queste due dimensioni, infatti, permettono di aprirsi al futuro ed insegnare che il
Dio, a volte difficile, della fede è anche per il mio bene futuro.
La socializzazione nella fede
In un tempo come il nostro, in cui non c’è certo bisogno della Chiesa per la socializzazione
giovanile, non basta più un cammino di socializzazione qualsiasi per proporre la fede: deve
essere un cammino di relazioni fortemente caratterizzate dallo stile evangelico e dal percorso
personale di sequela del Signore…e proprio su questi due binari si colloca la nostra proposta,
condividendo in gruppo:
o la ricerca di fede, i significati della fede, il “darsi ragione della propria speranza” nel
momento più prettamente catechistico
o la fattibilità della fede, incontrando realtà particolari e vivendo esperienze di vita comune
nello stile di vita fraterno che nasce dalla fede
o l’appartenenza a una comunità di gente adulta che fa della fede il criterio ispiratore della
propria vita
o l’impegno comune che la fede genera, sia come gruppo, che come singole persone
o il clima di gioia che nasce dal condividere la vita
Se l’esperienza mostra come, con l’inizio della nuova fase di vita dei dopo 19 anni, crolla
vertiginosamente la domanda di socializzazione rivolta alle nostre comunità, forse, andrà
preso come significativo l’invito di papa Benedetto ai giovani, durante la XX GMG: “Formate
delle comunità sulla base della fede! … Cercate la comunione nella fede, come compagni di
cammino che insieme continuano a seguire la strada del grande pellegrinaggio che i Magi
dell’Oriente ci hanno indicato per primi.”
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Personalizzazione nella fede
Conseguentemente all’emergere di vissuti e storie sempre più personalizzate, nel cammino di
un 17/20enne andrà sviluppata l’attenzione formativa al costruirsi il proprio cammino
personale. I 17/19 anni diventano, allora, un tempo formativo propizio per gettare le basi
decisive del proprio cammino di giovani e adulti, attraverso un percorso di gruppo e per
singoli, che responsabilizzi molto la dimensione personale del cammino.
Possono essere elementi importanti al proposito:
o un’effettiva decisione di partire con un cammino formativo che abbia al centro il credere e
la fede cattolica
o la proposta di sussidi per la formazione personale, nei tempi forti, sulla vita spirituale, sul
Vangelo
o il far emergere doni e carismi personali a servizio della comunità e assumendosi al suo
interno qualche impegno
o la figura dell’animatore che assume piuttosto lo stile dell’ “accompagnatore”
o la proposta dell’accompagnamento spirituale
o la valorizzazione degli ambienti e le relazioni di ogni giorno come ambiti privilegiati di
impegno, di crescita e di testimonianza
Le 6 stanze
Ecco allora che comincia a prendere forma il nostro appartamento, che ci sembra dovrà
essere composto necessariamente di 6 locali fondamentali, 3 legati al percorso di
socializzazione, 3 a quello di personalizzazione:
1. CATECHESI : incontri periodici orientati alla dimensione formativa della fede
2. VITA COMUNITARIA: partecipando alla vita ordinaria della propria parrocchia (nei
momenti formativi, liturgici, di servizio e di festa), e a esperienze di vita comunitaria
tra ragazzi secondo le indicazioni
3. SERVIZIO: assumendosi un impegno stabile e/o “stagionale” nella propria comunità
parrocchiale
4. TESTIMONIANZA PERSONALE: senza nascondere la propria ricerca di fede e
sapendo coinvolgere nelle proposte amici che siano in ricerca
5. VITA DI PREGHIERA: coltivando la dimensione personale del cammino spirituale
utilizzando i sussidi personali
6. ACCOMPAGNAMENTO: coltivando un rapporto di accompagnamento personale con
gli educatori e/o con un prete
A ogni progettista poi la scelta di come armonizzare nello spazio casa i vari ambienti: quanto
posto a ciascuno, e come armonizzare gli uni agli altri!
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I lavori da fare
10 cose da fare per costruire le stanze
Muri, intonaci, fili, tubi, serramenti, smalti, ceramiche, ….
Ad un certo punto bisogna cominciare a lavorare, mettere a fuoco come far intervenire chi
deve lavorare.
Ooops…che lavori bisogna fare dentro questa stanza?
E poi, in tutte vanno fatti gli stessi lavori?
Beh, chiaro che il pavimento ci va in tutte:
semmai bisogna decidere quale!
Ma non si può dire che l’idraulico debba entrare in tutte…
Uscendo dalla metafora, a titolo esemplificativo:
o Che tipo di sottolineature nella catechesi?
o Con quali accenti far sperimentare la vita comunitaria?
o Come proporre i contenuti della fede?
o Ecc. ecc.
Sì, perché le stanze possono essere costruite in modi diversi e caratterizzati con molte
sfumature differenti, legate alle persone, alla loro sensibilità, ai tempi. Si tratta di capire quali
scelte fare nel costruire la proposta.
Proponiamo di seguito un articolo di un gesuita spagnolo impegnato in pastorale giovanile,
Pedro José Gómez , pubblicato dalla rivista “Note di pastorale giovanile”, n°1/2005; benché
riferito alla realtà spagnola (non poi così diversa dalla nostra) sembra particolarmente
illuminante nelle proposte di metodo che suggerisce e, nonostante il testo sia lungo,
preferiamo riportarlo tutto, aggiungendo delle sottolineature che ne favoriscano la lettura.
Va da sé che sulle 6 stanze da costruire ci troveremo più o meno tutti d’accordo; su come
costruirle, l’accordo sarà più difficile.
Il pregio dell’articolo che proponiamo alla vostra lettura, è quello di
o essere radicato nella prassi concreta coi giovani
o indicare cosa superate, e cose da provare in concreto
o motivare le scelte
o proporre “in punta di piedi” piste da provare, senza voler per forza demolire altre cose
provate finora
Buona lettura e…scelta!
Le 10 cose da fare
1. Dal socializzare nella normalità al proporre cose alternative
2. Dagli incontri standardizzati all’incontro personale
3. Dalla priorità dell’azione all’attenzione per la contemplazione e l’affettività
4. Dai processi deduttivi a quelli induttivi con "terapie d’urto"
5. Dalla trasmissione delle conoscenze alla comunicazione di un’esperienza
6. Dalla formazione teologica all’iniziazione a esperienze fondamentali
7. Dall’accento sul "morale" al recupero del linguaggio simbolico
8. Dall’esclusività del gruppo all’accento sulla personalizzazione
9. Dall’istituzione che regola e controlla allo spazio di crescita fraterna
10. Dalla pastorale della serra ecclesiale e sociale a quella dell’oasi
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1. Dal socializzare nella normalità al proporre cose alternative
Fino a pochi anni fa essere cristiani era normale nel nostro paese e i processi di
socializzazione religiosa introducevano bambini, adolescenti e giovani a una visione del
cosmo condivisa dalla società in modo naturale. Di fatto, la professione di fede si dava per
scontata e la società sanciva positivamente la religiosità, penalizzando la mancanza di fede.
Ora non è più così e, di conseguenza, la pastorale giovanile deve essere concepita come la
proposta che la comunità cristiana fa ai giovani affinché optino per un tipo di vita alternativa
che nasce da un’esperienza, quella della fede, che sta diventando minoritaria. Pertanto la
proposta di Gesù, più che essere una risposta a un atteggiamento di ricerca, dovrà essere
provocazione e interrogativo rivolto a dei giovani che, apparentemente, si trovano bene nella
propria situazione ma che mostrano anche un certo disorientamento esistenziale quando si
esprimono a un livello più profondo. Da qui la necessità di insistere sulla novità del Vangelo,
sulla sua potenzialità di concedere una gioia e un senso alla vita insuperabili, ma
riconoscendo, al tempo stesso, che la sua accoglienza colloca il cristiano controcorrente
rispetto ad alcuni valori socialmente dominanti:
o crede in un clima religiosamente indifferente;
o collabora e condivide in un contesto dove prevale la competizione e il miglioramento del
benessere economico;
o invita alla comunità in un clima individualista;
o chiama a impegnarsi con gli altri invece di coltivare l’indifferenza o l’isolamento, ecc.
o Una pastorale giovanile che non sottolinea la necessità di optare tutti i giorni per il
Vangelo e che non coltiva una spiritualità della resistenza culturale dialogante (né
ingenua, né settoriale), non ha futuro.
2. Dagli incontri standardizzati all’incontro personale
L’azione pastorale della chiesa è dipesa nel passato da meccanismi e forme abbastanza
strutturate: socializzazione familiare, proposte per un tempo libero educativo, catechesi presacramentale, attività vincolate ai collegi religiosi, ecc. In futuro queste forme di
avvicinamento di massa ai giovani finiranno per perdere buona parte della loro potenzialità
per varie ragioni. In primo luogo perché gli agenti di socializzazione religiosa che abbiamo
citato hanno perso dinamismo evangelizzatore (famiglia, parrocchia, aggregazioni per il
tempo libero, scuole...), ma soprattutto perché i giovani sono molto più individualisti rispetto al
passato, si mostrano sempre più restii a partecipare a gruppi strutturati e dispongono invece
di una vastissima offerta di tempo libero consumista e non educativo che, nell’immediato, si
presenta più attraente, divertente e meno esigente. Perciò, pur essendo opportuno mantenere
o potenziare le iniziative tradizionali, risulterà sempre più necessario che i membri della
comunità cristiana, mediante ogni tipo di attività, si avvicinino a ogni adolescente o giovane
nella sua situazione personale, per cercare di creare con ognuno di loro qualche tipo di
rapporto personale significativo basato sull’ascolto, il dialogo e l’affetto. L’agente pastorale
dovrà fare attenzione al momento esistenziale di ogni giovane per trovare sempre la parola
giusta che arrivi al suo cuore. Naturalmente questo approccio evangelizzatore è molto più
difficile da compiere rispetto a quello basato su azioni standardizzate, ma ricordiamo che è
proprio questo ciò che caratterizzava Gesù di Nazareth. Lui era in grado di incontrare la
gente, nelle sue circostanze uniche, per invitare ognuno a seguire un itinerario personale e
originale che, partendo dai suoi bisogni immediati, potesse situarli nell’orizzonte del regno di
Dio. Questo approccio oggi diventa una necessità, visto che non possiamo parlare di una
gioventù omogenea dinanzi al tema religioso e, quindi, di un solo tipo di incontro.
3. Dalla priorità dell’azione all’attenzione per la contemplazione e l’affettività
Gran parte della pastorale giovanile, soprattutto nella sua fase "missionaria" o di primo
incontro, si è basata sulla realizzazione di attività di diverso genere: teatro, dinamiche, giochi,
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laboratori, campeggi, musica, volontariato… Tutte queste azioni, di enorme valore
pedagogico, continuano ad essere imprescindibili. Tuttavia, uno sguardo attento alla nostra
prassi non può non riconoscere che in molti giovani che sono stati a lungo con noi "non è
passato nulla dentro", nonostante si siano divertiti molto o abbiano parlato moltissimo negli
incontri. Se i nostri incontri e le nostre attività non riescono a fare in modo che i ragazzi
entrino nella profondità della loro vita e arrivino a "perforare" la realtà (facendo in modo che
abbiano il coraggio di penetrare le loro inquietudini con la testa e con il cuore) tutte le nostre
azioni saranno come "bronzo che risuona e campana che rintocca" (1 Cor 13, 1). Non è
affatto facile oggi spingere i giovani alla riflessione, all’analisi del nostro mondo, alla
comunicazione profonda di esperienze, al silenzio o alla contemplazione, perché tutto intorno
a loro li stimola in senso contrario. Ma se non arrivano all’appuntamento dell’interiorità, a cui
lo Spirito di Dio li sta chiamando, sarà impossibile accompagnare una certa apertura alla
trascendenza e sollecitare alla pienezza della proposta cristiana, che è offerta di profondità,
amore e pienezza rivolta a chi decide di essere soggetto e protagonista della sua esistenza e
non schiavo di stimoli esterni. E se l’ambiente suscita poca apertura alla trascendenza
saremo noi a dover passare dall’educazione implicita della fede all’invito esplicito alla sua
scoperta. Il nostro obiettivo non può essere quello di offrire una patina di valori evangelici, ma
far conoscere l’evento che li suscita e li sostiene.
4. Dai processi deduttivi a quelli induttivi con "terapie d’urto"
I cammini di educazione alla fede elaborati negli anni ‘80 e ‘90 cercavano di accompagnare il
giovane nel suo passaggio dall’adolescenza all’età adulta, in itinerari che possedevano una
struttura interna logica: la fase di ricerca iniziale andava seguita da una di formazione
teologica che culminava, alla fine, con la scelta o con l’impegno di fede. Buona parte della
metodologia si basava sulla lettura, la riflessione e il dibattito in incontri di gruppo in cui si
affrontavano, in successione, i vari temi fondamentali della fede cristiana. Continuo ad essere
un sostenitore di questi lunghi processi, perché il contesto sociale accompagna a stento
coloro che vogliono iniziarsi alla vita cristiana, ma secondo me l’accesso alla fede per la
maggior parte dei giovani oggi non è quello che deriva da un cammino di riflessione molto
documentato, ma quello che nasce dal contatto vivo con esperienze forti della vita che ci
costringono a fondarla con profondità (sofferenza, bellezza, intimità, ingiustizia, libertà, amore,
solitudine, pluralismo culturale, ecc.) e dall’incontro con credenti appassionati dal Vangelo che
lo incarnano in atteggiamenti e scelte concrete. Dal momento che la società del benessere
materiale e dello svago permanente anestetizza la nostra capacità di percepire il carattere
radicalmente misterioso della realtà e della vita, è necessario che la pastorale giovanile sia in
grado di proporre interrogativi che aprono l’essere umano alla dimensione religiosa: chi sono
io? che valore hanno la vita e il mondo? dove trovare la felicità? come orientare la mia
esistenza? cosa devo aspettarmi? chi sono gli altri per me? quale tipo di società vale la pena
costruire? in cosa riporrò la mia fiducia? vale la pena vivere? come? ….
5. Dalla trasmissione delle conoscenze alla comunicazione di un’esperienza
La catechesi tradizionale ha avuto un carattere prevalentemente intellettuale, perché
presupponeva la normalità sociale dell’esperienza religiosa e aveva come preoccupazione
fondamentale quella di chiarificarla, approfondirla e renderla sistematica. L’operatore
pastorale aveva bisogno soprattutto di una formazione teologica di base e di alcuni elementi
sui quali i contenuti della fede cristiana fossero ben fondati e risultassero accessibili al
destinatario. D’ora in poi, avremo bisogno soprattutto di persone giovani e adulte con
un’intensa esperienza credente che possano narrare in prima persona la loro storia di fede, la
qualità della loro relazione di amore e fiducia che hanno col Dio di Gesù. E, anche se la fede
non si "contagia" in modo automatico (esistono, oltre alla sacra libertà dei giovani, i loro
"anticorpi" di fronte al Vangelo e, a volte, si incontrano persino dei "vaccinati" contro di esso),
risulta pur necessaria per la sua trasmissione la mediazione della testimonianza di persone
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credenti. La riflessione teorica sul cristianesimo, che continua ad essere imprescindibile e
ancora di più in una società che si avvicina all’"analfabetismo religioso funzionale", verrà dopo
che i giovani avranno scoperto la densità della loro stessa vita e l’esperienza sincera di alcuni
credenti. Perché la fede, prima di ogni altra considerazione teorica, è un evento di salvezza
nella vita di persone concrete. Da qui si deduce che la vera formazione di operatori di
pastorale giovanile consiste, soprattutto, nell’aiutarli ad attuare la loro stessa conversione.
Naturalmente è più facile formare persone che abbiano conoscenze religiose piuttosto che
suscitare la testimonianza di giovani affinché la offrano ad altri. Ma sta qui la sfida ovvia per
l’immediato futuro.
6. Dalla formazione teologica all’iniziazione a esperienze fondamentali
Pochi anni fa era di vitale importanza rispondere con argomentazioni alle obiezioni alla fede
che venivano avanzate da agnostici e atei. Lo sforzo che abbiamo compiuto per molto tempo
ha consentito di presentare la fede in modo non alienante e di purificare l’immagine di Gesù
per avvicinarla al volto che si riflette dai vari racconti del Nuovo Testamento. Pensavamo che
le immagini e le parole potessero rendere la figura di Gesù attraente agli occhi di molti
giovani. Pur essendo così, oggi siamo più coscienti che l’accoglienza o il rifiuto di Gesù si
gioca non sul terreno delle idee ma su quello della sua effettiva sequela. In altre parole, la
verità del Vangelo si manifesta nella pratica della vita cristiana in un doppio senso: chi
professa il Vangelo ma non lo vive non è veramente cristiano; ma, anche, soltanto chi
sperimenta la vita cristiana può verificare, in se stesso, che Gesù è effettivamente la via, la
verità e la vita. Tutti abbiamo iniziato ad essere cristiani perché ci attraeva la figura di Gesù, le
sua parole, i suoi valori, i suoi atteggiamenti, le sua azioni. Ma ci confermiamo come tali
perché verifichiamo, dopo la conversione, che questa esperienze di fede, amore e speranza è
l’unica capace di riempire di gioia e di significato il nostro cuore. Di conseguenza, una buona
metodologia pastorale dovrebbe fare in modo che i giovani assaporino le esperienze
fondamentali della vita cristiana (pregare, condividere, discernere, celebrare, impegnarsi)
stando a contatto con coloro che vivono in modo qualitativamente significativo queste
dimensioni della fede. Ancora una volta la riflessione occuperà un posto successivo
all’esperienza e aiuterà a chiarire il suo senso e la sua ricchezza.
Solo assaporando la verità, la bontà e la bellezza che si scoprono nella preghiera,
nell’austerità solidale o nel servizio ci si rende conto che Gesù aveva ragione, anche quando
proponeva il difficile cammino della croce e dell’affidamento come prezzo inevitabile
dell’amore e della vita.
7. Dall’accento sul "morale" al recupero del linguaggio simbolico
Collocando l’iniziazione cristiana nell’ambito dottrinale o etico, abbiamo svilito il significato
profondo della fede cristiana che è, prima di tutto, un dono che ci arriva da fuori, un’offerta di
amore, di salvezza da parte di Dio. Le dimensioni di trascendenza e gratuità della fede sono
rimaste relegate al passato e il nostro cristianesimo si è ridotto ad attivismo, ideologia o via di
auto-realizzazione. Solo il linguaggio simbolico è capace di metterci a contatto col mistero di
amore che sostiene tutto il creato e che i discepoli di Gesù hanno imparato a chiamare Padre.
La lode, l’adorazione, l’accoglienza e l’affidamento; la parte più intima e profonda
dell’esperienza religiosa cristiana; quel rapporto che è la sua origine, il suo cibo e la sua meta,
si possono realizzare soltanto introducendosi nella dinamica del simbolico, perché di Dio non
dobbiamo né possiamo avere un’esperienza empirica e immediata. La vita della Chiesa si è
impoverita in termini di ricchezza e creatività simbolica, mentre i giovani sono molto sensibili a
questa dimensione se si sviluppa con attenzione e qualità espressiva. È altrettanto sicuro che
la mentalità superficiale, pragmatica e freneticamente audiovisiva che ci circonda, esige un
lavoro pedagogico che sviluppi nei giovani una sensibilità tale da avvicinarsi al simbolo
partendo da un atteggiamento contemplativo di calma, accoglienza e profondità che vada
oltre un atteggiamento che cerca solo l’intrattenimento, le sensazioni, o, direttamente, lo
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spettacolo. Il divertimento e la festa non sono la stessa cosa, e, forse, la ricerca frenetica del
primo negli ambienti giovanili è espressione del fatto che, molte volte, mancano i motivi per
celebrare la seconda. In ogni caso rimane la convinzione che senza un veicolo espressivo
adeguato è assai difficile coltivare la dimensione religiosa.
8. Dall’esclusività del gruppo all’accento sulla personalizzazione
Ormai credo che sia un luogo comune l’attenzione della pastorale alla personalizzazione.
Vale a dire, l’aiutare i giovani affinché poco a poco prendano la vita nelle loro mani per
scoprire in essa il passaggio del Signore e i suoi inviti. Dietro questa convinzione si trova
l’esperienza di moltissimi ragazzi che hanno frequentato per anni i nostri gruppi, e hanno
realizzato un processo interiore completamente estraneo al processo formale del gruppo.
Così gruppi giovanili che sembravano consolidati, riflettevano, al massimo, ciò che accadeva
nei suoi membri più protagonisti. Ma è necessario scoprire e vivere la fede in comunità.
Questa realtà si impone in modo sempre più impellente. È necessario elaborare processi ben
strutturati e sistematici di iniziazione cristiana. Ma ciò non impedisce che l’obiettivo educativo
fondamentale sia radicato nel fatto che il Vangelo dica qualcosa alla vita reale di ogni giovane
concreto nella sua situazione personale, che non deve per forza coincidere con quella media
del gruppo, né accadere solo quando "se ne parla in gruppo". In realtà, "personalizzazione"
non è sinonimo di "individualizzazione". La preghiera di gruppo, la revisione di vita, la
riflessione comune, la condivisione di problemi, situazioni e sentimenti, il discernimento
comunitario, la partecipazione a Eucaristie aperte, le esperienze di vita comune, ecc. sono
altrettante forme comunitarie di personalizzazione della fede. Quello che conta è che, nella
dinamica pedagogica, ognuno si senta interpellato da Gesù che gli rivolge una parola unica.
9. Dall’istituzione che regola e controlla allo spazio di crescita fraterna
I cambiamenti che la comunità ecclesiale dovrebbe effettuare per poter fare fronte alla sfida di
una pastorale rinnovata sono troppo vasti per poterli includere in questa riflessione. Vorrei
tuttavia soffermarmi su uno di essi. I giovani, nel futuro, non verranno in Chiesa per routine,
per tradizione, per noia, per dovere o per paura. Verranno perché ne avranno voglia. Cioè
perché l’ambiente, i rapporti, le attività, l’organizzazione e l’immagine delle nostre comunità
ecclesiali li interessano e li arricchiscono. Non è facile che sentano il desiderio di vincolarsi a
un gruppo di gente anziana, che utilizza un linguaggio strano, che ha delle strutture che essi
percepiscono rigide, delle attività poco divertenti e delle proposte esigenti. Ancora meno se
percepiscono repressione, autoritarismo o discriminazione (veri peccati della nostra Chiesa).
L’unico modo in cui i giovani possono sentirsi interessati alla Chiesa è se scoprono in essa
uno spazio in cui si sperimentano realtà che non si sperimentano in nessun altro luogo e che
donano qualità, fecondità e pienezza alla vita: l’esperienza dell’incontro con Dio, l’esperienza
della fraternità e l’esperienza dell’impegno di solidarietà e di trasformazione. Se la Chiesa
abbandona la sua pretesa di controllare o di ingessare la vita dei suoi membri e si dedica
invece ad alimentare e a stimolare la loro capacità di credere, di amare e di sperare, risulterà
molto più attraente ai giovani. E questa esperienza ecclesiale esige, necessariamente, di
continuare a coltivare la creazione di piccole comunità cristiane inserite in unità pastorali più
ampie (parrocchie, movimenti, ecc.).
10. Dalla pastorale della serra ecclesiale e sociale a quella dell’oasi
Chiudo questo decalogo di buone intenzioni suggerendo di superare un altro ostacolo
pastorale. Tutti siamo stati testimoni di come tanti gruppi di giovani, che al momento della
Cresima hanno mostrato l’entusiasmo dei primi discepoli il giorno della Pentecoste, si siano
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poi disciolti come neve al sole di fronte a un qualunque cambiamento di circostanze (l’estate,
il passaggio di scuola alle superiori o da queste all’università, o dallo studio al lavoro, o dalla
condizione di single alla coppia, o per un cambiamento del catechista e animatore o del
sacerdote, ecc.). Tutto ciò mette in evidenza tre cose: che in molti casi non si è arrivati a
produrre una scelta di fede realmente personale, un incontro profondo con Gesù (e che quindi
altre circostanze o interessi, d’altra parte assolutamente normali, determinavano
l’appartenenza al gruppo); che tutti abbiamo bisogno di strutture comunitarie di appoggio per
perseverare come cristiani; e che non avevamo generato una spiritualità della presenza nel
mondo extra-ecclesiale, che è proprio lo spazio in cui noi cristiani dobbiamo vivere la fede.
Questa spiritualità deve insegnare a discernere, con speranza ma senza ingenuità, come
mantenere nella società uno stile di vita di servizio, di testimonianza e molte volte di controcultura. Gesù non ha separato i suoi discepoli dal mondo, ma li ha mandati perché
diffondessero la vita che avevano ricevuto. A questo deve preparare la pastorale giovanile.
Evitando, allo stesso tempo, un altro dei nostri grandi errori del passato: che i gruppi giovanili
si isolino tanto dal resto della comunità adulta che alla fine diventino degli "squatters" nella
Chiesa; con degli abiti, un linguaggio e dei simboli così estranei a quelli altrui da rendere
impossibile un reciproco arricchimento.
Conclusione
Al termine di questi punti-chiave penso che, per rinnovare la nostra pastorale giovanile, non
abbiamo bisogno di strategie pedagogiche sofisticate, specializzate e costose, ma di due
requisiti indispensabili:
o un’esperienza gioiosa della nostra stessa fede, che sia in grado di riempire la nostra
esistenza di amore, significato, speranza e passione, e al tempo stesso di ispirare scelte
e atteggiamenti che generino vita intorno a noi. Cioè un tipo di vita che, per la sua
intensità e qualità, possa suscitare interrogativi e interesse nel nostro ambiente
o maggior fede in noi stessi, il che significa in termini di bravura, entusiasmo, coraggio e
creatività e, soprattutto, più fede in Dio che è presente nel mondo e in ogni essere umano
e che può, in qualunque momento, invitare alla sua amicizia. La nostra mediazione però è
necessaria, perché alla fine il regno di Dio (grazie a Dio) non è nelle nostre mani.
36
Strumenti di
lavoro
Sussidi a servizio di una pastorale dei 17/19enni
Quando si arriva al momento di organizzarsi e rimboccarsi le maniche, un’animatore ha
bisogno di prendere in mano…degli strumenti di lavoro.
Quello che trovi descritto qui sotto è una “cassetta di attrezzi”, divisa al suo interno in vari
scomparti, divisi a loro volta in piccoli “cassetti”: all’interno di ciascuno troverai gli attrezzi veri
e propri (le proposte concrete da realizzare).
Per eseguire un lavoro servono tanti tipi di attrezzi, e non fa meraviglia che siano diversi tra
loro; l’importante, per poterli usare, è che siano ordinatamente al loro posto, raggruppati
insieme, in base alle affinità.
Troverai, in concreto, sette diversi sussidi per proposte di gruppo (ognuno dei quali ha una
metodologia diversa dagli altri, ma una sua chiara coerenza nel piano dell’opera) e due
sussidi per l’uso personale dei ragazzi.
Alcuni, come puoi notare, sono solo in cantiere e non ancora costruiti, ma potrai contare
anche su di loro.
Area dell’esperienza
1.3.1
1.3.2
1.3.3
LA CASA SULLA ROCCIA: istruzioni per l’uso
CERCO FATTI DI VANGELO: schede per incontrare una Chiesa che crede e per
sporcarsi le mani insieme
Li amò sino alla fine, nella vita quotidiana
Si cinse un’asciugatoio, nel mondo della solidarietà
Fatelo anche voi, nella vita parrocchiale
1.4
1.4.1
1.4.2
1.4.3
VANGELO DA VIVERE
(2007)
Ne costituì dodici, proposte per esperienze di vita comunitaria
Stare con Lui, proposte di momenti di preghiera e di educazione alla preghiera
Per mandarli, proposte di formazione alla testimonianza e al servizio di animazione
1.3
Area della ricerca di fede
2.2
2.1.1
2.1.2
2.1.3
2.1.4
IL TUO VOLTO IO CERCO
Che cercate? Credere? E in cosa?
Almeno credo! In chi e in cosa credono i giovani oggi
C’e’ qualcosa che conta veramente? L’influenza del relativismo culturale oggi
Un posto nel mondo. L’identità personale e trascendenza oggi
Quale uomo? L’immagine di Dio e dell’uomo nelle religioni
37
2.3
2.2.1
2.2.2
2.2.3
2.3
2.3.1
2.3.2
2.3.3
2.3.4
2.3.5
2.3.6
IL TUO VOLTO IO CERCO
Maestro dove abiti? Da una fede ricevuta…alla fede in Gesù
Credere oggi: in questa età, in questo tempo
Io ti battezzo: Dalla fede ricevuta alla fede scelta
Il caso Gesù : la storia e le interpretazioni
IL TUO VOLTO IO CERCO
Venite e vedrete! Incontrare Gesù, diventare dei suoi!
Un tipo così: l’umanità di Gesù
Con un suo segreto: Gesù e il Padre
Con le sue idee: il senso della Vita
Con un suo stile: …in concreto
Mi ha cambiato la vita: incontri con Gesù
Dicono sia vivo! Incontrare il Risorto
Area della vita cristiana
3.2
3.3
VIVERE DA FIGLI
Figli del Padre, riscopriamo la vita, riscoprendo il Padre Nostro
VIVERE DA FIGLI
uno Spirito da figli, mossi dentro dallo Spirito
(2007)
(2007)
Area del cammino personale
4.2
4.2
38
IL SALE DELLA TERRA,
sussidio personale per seguire Gesù con il Vangelo secondo Marco
COMPAGNI DI VIAGGIO, sussidio personale per un cammino spirituale
Stanze, lavori, strumenti, come usarli?
Bisogna essere concreti nell’indicare modi di lavorare: ecco uno specchietto sintetico per
mettere insieme le varie sottolineature
STANZA
COME
CON COSA
CATECHESI
4. Dai processi deduttivi a quelli
induttivi con "terapie d’urto"
5. Dalla trasmissione delle
conoscenze alla comunicazione di
un’esperienza
6. Dalla formazione teologica
all’iniziazione a esperienze
fondamentali
3. Dalla priorità dell’azione
all’attenzione per la contemplazione
e l’affettività
9. Dall’istituzione che regola e
controlla allo spazio di crescita
fraterna
CERCO FATTI DI
VANGELO 2.3.4
VITA COMUNITARIA:
IL TUO VOLTO IO
CERCO 1/2/3
VIVERE DA FIGLI 1
CERCO FATTI DI
VANGELO 2.3.4
VANGELO DA VIVERE 1.
SERVIZIO
1. Dal socializzare nella normalità al CERCO FATTI DI
proporre cose alternative
VANGELO 2.3.4
9.Dall’istituzione che regola e
controlla allo spazio di crescita VANGELO DA VIVERE 3.
fraterna
TESTIMONIANZA
PERSONALE
10. Dalla pastorale della serra
ecclesiale e sociale a quella
dell’oasi
3. Dalla priorità dell’azione
all’attenzione per la contemplazione
e l’affettività.
7. Dall’accento sul "morale" al
recupero del linguaggio simbolico
2. Dagli incontri standardizzati
all’incontro personale
8. Dall’esclusività del gruppo
all’accento sulla personalizzazione
VITA SPIRITUALE
ACCOMPAGNAMENTO
PERSONALE
VANGELO DA VIVERE 3.
VANGELO DA VIVERE 2
VIVERE DA FIGLI 2
IL SALE DELLA TERRA
COMPAGNI DI VIAGGIO
39
il piano di Lavoro
Dopo tanta riflessione, finalmente si comincia a lavorare!
Ogni buon animatore prova a rispondersi alla solita domanda: e quest’anno cosa
facciamo?
Importante dapprima è mettere a fuoco i soggetti: i ragazzi cui ci rivolgiamo.
Quanti sono? Che cammino hanno alle spalle? Che età hanno? E le parrocchie vicine?
Sì, perché possono esserci situazioni molto diverse…
o
o
o
o
o
Parrocchie grandi con gruppi numerosi, che propongono un cammino distinto per i
17enni, uno per i 18enni, uno per i 19enni (quante poche saranno queste parrocchie?)
Parrocchie che si mettono insieme per rendere possibile questo impianto o qualcosa di
simile
Parrocchie dove c’è un gruppo unico per questa fascia di età, o anche insieme a ragazzi
più grandi
Parrocchie dove c’è un gruppo unico che finisce con la fine delle superiori
Parrocchie dove…si salvi chi può!
In base a queste diverse situazioni, e in base alla necessità di variare a seconda del periodo
dell’anno e della vita del gruppo, starà agli educatori decidere come dedicarsi al lavoro delle
stanze: una alla volta fino al suo completamento, oppure mettendo mano a tutte.
Importante è ricordare sempre che la finalità di questo progetto è quella di accompagnare i
giovani per aiutarli a decidere di costruire la loro vita sulla fede in Gesù Cristo.
Il percorso ha un inizio con la Festa del Passaggio, ha una fine con la Redditio Symboli, ha un
momento intermedio con la Traditio, la festa del diciottesimo anno.
La particolarità della nostra proposta di lavoro è che, accanto alla costruzione della casa
attraverso la proposta di gruppo (nel quale il lavoro viene portato avanti così come descritto
sopra), c’è anche un lavoro personale.
Normalmente tutti i ragazzi iniziano il percorso con la Festa del Passaggio; solo alcuni
arriveranno alla Redditio, passando per la Traditio, con tempi e cammini personalizzati, grazie
all’accompagnamento personale e ai sussidi personali.
Per questo motivo possono esserci delle tappe, dei momenti di passaggio, di verifica: il
cosiddetto “stato avanzamento lavori”, che può essere proposto a tutto il gruppo, ad una
parte, oppure a singole persone.
Il lavoro di costruzione poi, è ritmato secondo tre importanti appuntamenti:
1. A 17 anni (all’inizio della quarta superiore per intenderci): la festa diocesana del
passaggio, consegna della candela battesimale
2. A 18 anni (all’inizio della quinta superiore): festa della maturità, “party con me”,
consegna del Credo e del Vangelo di Marco
3. A 19 anni, o quando uno è pronto, celebrazione della Redditio Symboli
Tre attenzioni formative
Ne nascono allora tre attenzioni formative, di gruppo e anche personali.
40
Cerco fatti di Vangelo
A partire dalla Festa diocesana del passaggio, aiutare i ragazzi che decidono di proseguire il
cammino a percepire un “passaggio” reale nel modo di vivere la partecipazione alla proposta
formativa. Attenzione prevalente di questa fase sarà:
o A livello di gruppo: uscire dallo standard degli incontri settimanali intorno a un tavolo, e
proporre quanto suggerito dal sussidio “Cerco fatti di Vangelo”, con l’obiettivo di far
sperimentare lo stile del vivere da cristiani per poter dire a se stessi “Questo vangelo mi
interessa!”.
o A livello personale: coinvolgere tutti i ragazzi in un servizio all’interno della comunità,
secondo quando incontrato col gruppo, oppure secondo i suggerimenti di “Vangelo da
vivere” (Parte 3)
Il tuo volto io cerco
In concomitanza con la festa del passaggio, verrà proposta una festa per i 18enni: “Party con
me”, all’insegna della partenza vera e propria del percorso di riappropriazione della fede; se
quella dell’anno prima celebra per alcuni ragazzi il ritorno al meeting degli adolescenti e per
altri l’inizio di un cammino più consapevole, è in realtà il diciottesimo anno a segnare l’effettivo
passaggio alla maturità giuridica (con la possibilità di prendere la patente!), la necessità di
compiere delle scelte per il proprio futuro, e decidere di prendere in mano, in maniera decisa,
la propria fede; a questo punto dovremo avere un’attenzione prevalente:
o A livello di gruppo: affrontare il tema del “credere” e della fede cristiana secondo quanto
suggerito dai tre sussidi “Il tuo volto io cerco”
o A livello personale: lettura del Sussidio sul Vangelo di Marco e confronto personale col
sacerdote e con l’educatore
Vivere da figli
La fine del percorso delle scuole superiori poi comporta un profondo cambiamento di vita,
soprattutto per quei ragazzi che si iscrivono all’università e vivono fuori di casa. Una fase
caratterizzata molto dal personalizzarsi dei percorsi di vita e dall’allargamento ulteriore delle
relazioni. In questa prospettiva sarà interessante, in tempi e modi rispetto agli anni di
frequentazione della scuola, accompagnare i giovani ad una interiorizzazione profonda del
cammino di fede e ad una socializzazione religiosa sempre più caratterizzata dalla fede e
dall’impegno ecclesiale, che abiliti il giovane a fare unità di vita e a caratterizzare il proprio
stile di vita cristiano anche nella dispersione degli impegni e delle relazioni. Attenzione
prevalente
o A livello di gruppo: approfondire la preghiera del Padre Nostro, “sintesi di tutto il Vangelo”
e le dimensioni fondamentali della vita spirituale con i sussidi Vivere da Figli 1 e 2.
o A livello personale: attraverso il sussidio “Compagni di viaggio” con l’aiuto dell’educatore e
del sacerdote e approfondire il proprio cammino spirituale, per scrivere la regola di vita da
consegnare nella redditio Simboli.
Attenzione:
o potranno esserci gruppi con ragazzi tutti della stessa età, per i quali l’attenzione di gruppo
e quella personale coincidono;
o potranno esserci gruppi di età mista, nei quali si sceglieranno attenzioni diverse a
seconda dell’opportunità e attenzioni personali diverse a seconda dei ragazzi!
41
MOMENTI CELEBRATIVI
Queste tre tappe saranno accompagnate da momenti rituali comunitari, diocesani e
parrocchiali, che aiuteranno i ragazzi a coscientizzare i passaggi di fede che sono chiamati a
vivere. Già nella precedente forma del “biennio della fede”, alcuni gesti erano stati attinti alla
prassi battesimale della Chiesa antica, così come sono riproposti oggi nel Rito dell’Iniziazione
Cristiana degli adulti:
o presentazione e iscrizione nel libro dei nomi
o consegna del Credo e del Padre Nostro
o riconsegna del Credo
o consegna della candela accesa
Secondo i riti battesimali antichi
In particolare la traditio-redditio symboli (consegna e restituzione del simbolo) è stata ed è un
elemento importante del Catecumenato battesimale. La bipolarità di questo gesto esprime la
duplice dimensione della fede: dono ricevuto (traditio) e risposta personale, inculturata
(redditio). Riportiamo le rubriche del Rito, così come celebrate nel battesimo degli adulti, per
poi vedere come intendiamo proporle nel nostro percorso di riappropriazione della fede.
RITO DELL’ELEZIONE O DELL’ISCRIZIONE DEL NOME
133. All’inizio della Quaresima, che è il tempo della preparazione prossima dell’iniziazione
sacramentale, si celebra l’«elezione» o «iscrizione del nome». Con questo rito la Chiesa,
udita la testimonianza dei padrini e dei catechisti e dopo la conferma della loro volontà da
parte dei catecumeni, giudica sulla loro preparazione e decide sulla loro ammissione ai
sacramenti pasquali.
PRESENTAZIONE DEI CANDIDATI
143. Terminata l'omelia, il sacerdote responsabile dell'iniziazione dei catecumeni o un
diacono o un catechista o un delegato della comunità presenta coloro che devono essere
eletti con queste parole o con altre simili.
LE CONSEGNE
181. Se ancora non sono state fatte, dopo gli scrutini si devono celebrare le «consegne»
(traditiones) con le quali, compiuta o iniziata da tempo conveniente l'istruzione dei
catecumeni, la Chiesa amorevolmente affida loro i documenti che fin dall'antichità sono
ritenuti
il
compendio
della
sua
fede
e
della
sua
preghiera.
182. È auspicabile che il rito si tenga davanti alla comunità dei fedeli dopo la liturgia della
parola di una Messa feriale, con letture adatte alle «consegne».
CONSEGNA DEL CREDO (Traditio Symboli)
183. La prima «traditio» è la «consegna del Simbolo» che gli eletti impareranno a memoria e
42
poi dovranno riconsegnare pubblicamente (cfr nn.194-199 ), prima di fare, nel giorno del
Battesimo, la loro professione di fede secondo il Simbolo stesso.
CONSEGNA DELLA PREGHIERA DEL SIGNORE
188. Agli eletti viene consegnata anche la «Preghiera del Signore» (Padre nostro) che fin
dall'antichità è propria di coloro che con il Battesimo hanno ricevuto lo spirito di adozione a
figli e che i neofiti reciteranno insieme con gli altri battezzati nella prima celebrazione
dell'Eucaristia a cui parteciperanno.
RiTI IMMEDIATAMENTE PREPARATORI
193. Se gli eletti possono riunirsi il Sabato Santo per prepararsi nella meditazione e nella
preghiera a ricevere i sacramenti, si propongono i riti seguenti, che si possono usare o tutti o
in parte, secondo l'opportunità.
RICONSEGNA DEL CREDO (Redditio simboli)
194. Con questo rito gli eletti sono preparati alla professione battesimale della fede e sono
istruiti sul dovere di annunziare la parola del Vangelo.
CONSEGNA DEL CERO ACCESO
226. I padrini e le madrine si avvicinano, accendono dal cero pasquale una candela e la
consegnano al neofito.
SEcoNDO LA NOSTRA PROPOSTA
1. Festa diocesana del passaggio, con consegna della candela battesimale nella veglia
in Cattedrale. La domenica successiva a una messa parrocchiale, i ragazzi che
intendono affrontare il percorso vengono presentati alla comunità, attraverso
l’iscrizione nel “libro dei nomi”
2. “Party-con me”, festa dei diciottenni, con la Traditio: consegna del Vangelo nella
Veglia in Cattedrale e iscrizione nel libro dei nomi; la domenica successiva in
parrocchia si celebra con la presenza dei genitori (coloro che normalmente hanno
trasmesso la fede) la consegna del Credo
3. Nella stessa domenica in parrocchia a chi è alla “terza fase” viene consegnato la
preghiera del Padre Nostro. Al termine dell’anno, o comunque ogni anno, per quei
ragazzi che sono maturi per il passo, nel contesto della Pentecoste, si celebra la
restituzione della fede nella Redditio Symboli.
E per finire…
43
F.A.Q.
Cosa devo fare allora?
Devi inventarti una proposta:
o Per costruire un progetto
o Perché i ragazzi costruiscano la casa
Con chi devo farlo?
Insieme alla tua comunità
o Diventando “tessitore di rapporti” insieme ad altri educatori
o coinvolgendo come soggetti attivi parroco, consiglio pastorale, famiglie, gruppi, religiosi….
Come devo farlo?
Facendoti un calendario di massima, un piano di lavoro, per programmare la costruzione delle
sei stanze
1.
catechesi
2.
vita comunitaria
3.
servizio
4.
testimonianza personale
5.
vita spirituale
6.
accompagnamento personale
Con cosa posso farlo?
Di volta in volta, nella costruzione della stanza, impostando il lavoro in base a un preciso
modo di proporre:
1. proporre cose alternative
2. incontro personale
3. attenzione per la contemplazione e l’affettività
4. processi induttivi con "terapie d’urto"
5. comunicazione di un’esperienza
6. iniziazione a esperienze fondamentali
7. recupero del linguaggio simbolico
8. accento sulla personalizzazione
9. spazio di crescita fraterna
10. pastorale dell’oasi
44
E che strumenti uso?
Scegliendo e adattando opportunamente tra tutte le proposte dei sussidi:
1.1 CERCO FATTI DI VANGELO
1.2 VANGELO DA VIVERE
2.1 IL TUO VOLTO IO CERCO Che cercate?
2.2 IL TUO VOLTO IO CERCO Maestro dove abiti?
2.3 IL TUO VOLTO IO CERCO Venite e vedrete!
3.1 VIVERE DA FIGLI Figli del Padre
3.2 VIVERE DA FIGLI uno Spirito da figli
4.1 IL SALE DELLA TERRA
4.2 COMPAGNI DI VIAGGIO
C’è un capo e una coda nell’itinerario che propongo?
Certo: dalla festa del passaggio alla Redditio Symboli, passando per il “Party con me”
Come doso i vari ingredienti?
Cercando di tenerli tutti, si tratta di fare delle scelte:
o in base alla tua sensibilità
o in base ai ragazzi
o in base alla fattibilità delle cose
Allora non mi resta che provare?
ESATTO!
45
Cerco Fatti di Vangelo
1.1
Il primo sussidio / itinerario.
Qual è lo scopo di questo sussidio?
Incontrare persone che vivono significativamente la fede, capire da dove nascano queste
scelte, “assaggiare” uno stile di vita diverso, possibile e affascinante.
Come funziona e cosa propone?
Utilizzando una metodologia esperienziale: vedere,
giudicare, agire
Vedere: “cerco fatti”
Ricercare ambiti, esperienze, dimensioni di vista nelle quali si vede lo stile Cristiano.
Dapprima “entrare in tema”: la visione di un film, che parla del tema preso in esame per
aiutare ad entrare nell’argomento, poi l’incontro con un testimone, per approfondire le
motivazioni che lo hanno spinto a seguire questo stile di vita.
Giudicare: “di Vangelo”
La testimonianza apre poi alle “nostre domande”: come sono chiamato a seguire questa
strada e come il confronto con la Parola di Dio mi lascia intuire che nello stile Cristiano ci sia
qualcosa di diverso che può riguardare anche me; l’ausilio di alcuni approfondimenti aiuta a
comprendere una traduzione possibile dello stile evangelico dentro le cose di ogni giorno.
Compito fondamentale di questa opera è la mediazione dell’animatore, al quale vengono
forniti degli approfondimenti per entrare nel tema in maniera più profonda.
Agire: “fare fatti di Vangelo”
Fare sperimentare concretamente il Vangelo ponendo attenzione, non tanto a fare esperienze
mastodontiche, quanto affascinanti e veramente alternative; essere capaci, quindi, di far
gustare la bellezza dello stile di vita evangelico.
46
E dove andiamo a cercare?
Un traguardo importante nel percorso formativo di un giovane è darsi una risposta: mi
interessa il Vangelo? Voglio che Gesù Cristo abbia a che fare con me? Desidero fare parte di
questa Comunità?
Iniziamo dall’incontro con la Comunità concreta, per vedere se è possibile trovare in essa
motivi che possano spingere a decidere che Gesù e il Vangelo valgono la pena di essere
vissuti!
La comunità parrocchiale con l’apporto di associazioni, movimenti, famiglie, uomini e donne
consacrati ecc… diventa la protagonista di questo itinerario; gli animatori dovranno essere
come il Virgilio dantesco, colui che accompagna ad incontrare. L’efficacia, la credibilità e il
fascino delle esperienze, dipenderanno dall’effettivo incontro dei ragazzi con il Vangelo; a loro
stessi, infine, rimane l’ultima e libera scelta.
Cosa andiamo a cercare?
“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. (Gv.
13,35). Vuoi conoscere i discepoli di Gesù? Vuoi capire se lo sono realmente? Guarda se si
amano, come si amano! Andiamo in cerca di fatti che esprimono come amano i Cristiani, lì
dove essi vivono e lasciamoci guidare nella ricerca dall’icona evangelica della lavanda dei
piedi (Gv 13, 1-20).
“Io vi ho dato un esempio da seguire: fate come me”: l’impegnativo testamento lasciatoci da
Gesù, proprio nell’ultima cena, ci spinge ad andare in cerca dei fatti di Vangelo, nelle
esperienza di servizio che i Cristiani vivono nella vita quotidiana.
Il come che cerchiamo
Cerchiamo come un Cristiano vive la propria vita, le motivazioni ed i benefici della sua scelta:
a) Vita quotidiana: “li amò sino alla fine”
• affetti, esperienza di coppia
• famiglia
• professione e studio
b) Servizio: “si cinse un’asciugatoio”
• servizio alle varie forme di disagio/emarginazione
• servizio a malati e anziani
• servizio a diversamente abili, accoglienza immigrati
c) Partecipazione alla vita della comunità: “fatelo anche voi”
• animazione/catechesi
• parroco/religiosi
• missionari
47
Dentro il come:
Lo schema metodologico presente in ogni scheda:
1. Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
2. La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
3. Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
di quesiti sul “perché la differenza cristiana”
4. Qualche risposta:
prospettive di approfondimento
5. Approfondimento per gli animatori
6. Lavori di gruppo
48
Parte 1
Li amo, fino alla fine
1.1.1
Come ha amato Gesù? Offrendo tutto sé stesso, per primo, fino in fondo…
Ha amato nella vita quotidiana, con la dignità di essere capace di esprimere l’amore di Dio.
La vita quotidiana è fatta di affetti, di relazione, di vita di coppia, di famiglia, di amore per il
proprio dovere.
Sarà possibile vivere amando, così come ha amato Gesù?
49
*
Affetti e vita di coppia
Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
L’UOMO PERFETTO
di Luca Lucini – Warner Bros, 2005
Soggetto:
Lucia, giovane pubblicitaria in un'agenzia di Milano, è innamorata di Paolo fin dall'infanzia e
non riesce ad accettare che Maria, la sua migliore amica, stia per sposarlo. Dopo una festa,
rimasta sola con Paolo, Lucia passa la notte con lui e lo esorta a lasciare Maria, ma non
riesce a convincerlo; allora contatta un attore ancora sconosciuto ma di bella presenza,
Antonio, al quale affida il compito di sedurre l'amica e di indurla a lasciare Paolo. Lucia
addestra Antonio a diventare l'uomo perfetto, insegnandogli tutti i gusti e le preferenze di
Maria. Il piano sembra funzionare: Maria è affascinata da Antonio, mentre Paolo continua a
pensare a quella notte con Lucia. La relazione fra Paolo e Maria comincia a incrinarsi, e allo
stesso tempo nasce una simpatia crescente tra Lucia e Antonio. Tra equivoci e malintesi
Antonio scopre, indignato, i piani di Lucia. Lei, pentita, convince Paolo a tornare da Maria, che
ben volentieri accetta di andare verso il matrimonio e, per di più, organizza un incontro a
sorpresa all'aeroporto tra Antonio e Lucia. I due possono così abbracciarsi e dichiararsi amore
reciproco.
Valutazione Pastorale:
Dice Luca Lucini, già regista del film - Tre metri sopra il cielo - : "È una commedia brillante,
che si sviluppa attorno ad un divertente intreccio d'amore, non privo di equivoci. Il mio film è
tecnicamente il remake di un film spagnolo fortemente personalizzato e ri-ambientato a
Milano in fase di sceneggiatura...Una volta la motrice del sentimento era la passione, adesso
è qualcosa di più razionale che probabilmente lascia insoddisfatti...". Le dichiarazioni sono
giuste, il risultato è un prodotto azzeccato, qua e là esile ma anche misurato, spigliato e
coinvolgente. Il punto centrale è rappresentato dal contrasto tra passione e razionalità. Lucia
mette in atto un gioco razionale, ossia studiato a tavolino, ma alla fine lei e il suo complice
restano vittime della loro stessa rete e non possono, né vogliono, opporsi. Insomma, la ricerca
del vero amore sembra sopraffatta dalla indecisione affettiva oggi dominante, ma quando uno
meno se lo spetta scocca la scintilla, alla quale bisogna lasciarsi andare. Tutto è detto nel
tono scherzoso della commedia degli equivoci, con dialoghi vivaci e attori molto ben disposti
sullo sfondo di una Milano, città più europea che italiana. Dal punto di vista pastorale, il film è
da valutare come accettabile e, nell'insieme, brillante.
50
La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
o
o
o
o
Non banalizzare l’incontro in una mera disputa “rapporti prematrimoniali sì o no”, cosa che
i ragazzi pensano subito quando si parla di chiesa e sesso, tema che comunque andrà
affrontato, ma in un’ottica “posteriore” rispetto a valori fondamentali messi in risalto ben
prima di questo punto.
Chiedere l’incontro ad una coppia di giovani sposi o, ancora meglio, di fidanzati che siano
magari già conosciuti dai ragazzi del gruppo.
“Spiazzare” gli interlocutori su una questione fondamentale: cosa centra la loro fede
cristiana con il fatto che si vogliono bene e che si sono innamorati?
Dai confronti con altre coppie di fidanziati-sposi, in che modo emerge la specificità
dell’amore vissuto tra due credenti? Quali sono i punti di contatto e invece quelli di
differenziazione?
Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
di quesiti sul “perché la differenza cristiana”
o
o
o
o
Notoriamente la Chiesa è considerata “nemica” della sessualità per antonomasia: no ai
preservativi, no ai rapporti prematrimoniali, colpevolizzazione del sesso…Da dove nasce
questa idea?
Su un cartellone provare a dividere in aspetti positivi e negativi le caratteristiche di una
coppia così come risaltano dal film e dall’incontro con i fidanzati. Non è forse vero che le
dimensioni più “belle” e “positive” hanno un contatto con idee e paradigmi della fede,
come la totalità dell’esperienza, la bellezza, scelta definitiva…
Prendere in considerazione il brano di Genesi 1, 26 – 28: l’idea centrale è che Dio crea
l’uomo a sua immagine in quanto uomo e donna, cioè come coppia: è proprio la coppia
maschio e femmina che rende intera l’immagine di Dio; è l’attrazione, quindi, tra i due che
ricompone l’idea di Dio: siamo ben lontani dalla demonizzazione della sessualità così
come viene accusata la Chiesa!
In che modo l’amore umano tra un uomo e una donna rende visibile l’esperienza
cristiana?
Qualche risposta:
prospettive di approfondimento
o
Paradosso: anche i non credenti o i credenti di altre religioni si amano e vivono
esperienze amorose intense, definitive, assolute e “perfette”. Quindi, non vuol dire che sia
necessario essere cristiani per vivere in pienezza l’amore o un’esperienza affettiva. E
neppure che l’innamoramento o il matrimonio siano positivi in maniera assoluta se e solo
se praticati all’interno dell’esperienza cristiana. Ad esempio, il perdono di coppia può
essere praticato anche da chi non crede nel valore cristiano; l’aiuto e la solidarietà pure; il
donarsi e il sacrificarsi per il proprio ragazzo/a o marito/moglie idem.
51
o
o
o
Qui può sorgere in maniera diretta anche un’altra considerazione: ovvero, il fatto che se
“Dio è amore” come recita la Prima Lettera dell’apostolo Giovanni (si potrebbe prendere in
considerazione 4, 7-18).
Anzi “chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio” (1 Gv 4, 7)”, allora per proprietà
transitiva questa frase significa che anche chi vive l’amore senza un riferimento teologico
in fin dei conti conosce e viene da Dio.
Andrebbe quindi approfondito e rivalutato l’elemento centrale della religione cristiana che
è poi l’amore, proprio all’interno dell’ottica dell’esperienza affettiva-amorosa di una coppia:
quando l’amore è vero, autentico, realmente se stesso, è proprio un’esperienza teologica,
cioè di Dio. Quindi, anche coloro che non hanno un riferimento al Dio cristiano e vivono
però la loro vicenda amorosa in maniera autentica e profondamente umana, nel senso di
verità, sono legati a Dio.
Approfondimenti per gli animatori
Cos’è la sessualità:
Che la sessualità umana abbia in sé un duplice valore, non è difficile da vedere, almeno per
chi guarda la realtà con occhi semplici. La sessualità umana è in primo luogo linguaggio della
comunione interpersonale; essa, cioè, è il “segno” attraverso cui la persona esprime il dono di
se stessa all’altra: è il linguaggio dell’auto-donazione. Ma il linguaggio che è la sessualità, non
è solo espressivo. Esso è anche realizzativo (performative language): è capace di realizzare
ciò che dice. Nel momento in cui la sessualità esprime il dono che la persona fa di se stessa,
realizza anche questo dono stesso.
Ma dono di che cosa? Dono della persona stessa. Si può donare il proprio avere; si può
donare il proprio essere: il proprio io stesso. La donazione può essere auto-donazione. La
sessualità umana è il linguaggio che dice - realizza l’auto-donazione della persona.
Come può essere possibile questo? E’ possibile in quanto la sessualità non appartiene
all’avere della persona; è una dimensione della persona stessa. Esiste cioè una connessione
fra la persona e la propria sessualità, tale per cui la persona è intimamente sessuata (ogni
persona è uomo-donna) e la sessualità è sempre personale.
Non possiamo ora dare la spiegazione filosofica di questo fatto; teniamo, dunque, ben
presente che esiste una connessione fra sessualità e persona, tale per cui la sessualità è la
persona nella sua capacità di auto-donazione. (Cardinal Cafarra)
Chiesa e sesso: non solo peccato
“I giovani conoscono benissimo l’anatomia del sesso. Quello che una volta bisognava
sbirciare nelle enciclopedie adesso è spiattellato a tutto volume da riviste, film, videocassette.
Grazie alle stesse fonti nemmeno la “meccanica” del sesso, dalle posizioni più elementari a
quelle più acrobatiche, presenta problemi di conoscenza. I giovani sanno anche che il sesso è
a rischio AIDS. Ormai se gli dici “sesso”, essi rispondono d’istinto “Preservativo”.
Quello che i giovani non sanno molto è che il sesso non è una funzione, ma è “noi” che
esistiamo come maschi e come femmine. Quando la cronaca o l’esperienza diretta fanno
emergere i turbamenti profondi, le reazioni violente che il sesso provoca, essi rimangono
perplessi: “Come mai una cosa così naturale crea disastri che le altre funzioni biologiche non
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provocano?” “Perché il sesso produce schianti interiori, stupri, violenze, vendette?” I giornalisti
ed i tuttologi televisivi spiegano tutto con “improvvisi raptus di follia”, ma i giovani sono troppo
intelligenti per accontentarsi.
Mi trovo molto spesso a parlare di sesso con gruppi di giovani. Sorvolo sull’anatomia e la
meccanica. Proietto e commento 120 diapositive che dimostrano come maschio e femmina,
eccettuati gli organi genitali, hanno tutto uguale ma tutto diverso. “Non vi sembra che gli
organi genitali e la loro meccanica siano una battuta di una canzone composta da Giosy
Cento?” I giovani annuiscono e si dimostrano felici di conoscere quello che intuivano e
speravano. Che cioè il sesso non è una cosa che si fa, ma è noi che esistiamo come maschi
e come femmine. Che vivere la sessualità non è fare ginnastica genitale, ma conoscere sé
stessi e gli altri nelle uguaglianze e nelle diversità, scoprendole, coltivandole, facendole
diventare meraviglia.
Appena la loro conoscenza del sesso sale un po’ di livello, i giovani pongono la domanda:
“Perché la Chiesa considera il sesso peccato?” Si manifesta così ciò che i giovani proprio non
conoscono: la proposta cristiana della sessualità. Dalle raccomandazioni dei genitori e dai
rimasugli del catechismo, essi pensano che la proposta cristiana non vada più in là del “No al
sesso, perché è peccato”. Per questo recepiscono gli interventi della Chiesa con fastidio,
come se fossero un tentativo, quasi sadico, di impedire i “sì” e la gioia del sesso. Ignorano del
tutto che la proposta evangelica del farsi liberamente “eunuchi per il regno dei cieli (Matteo
19,12)” non è un invito a perdere la gioia dell’incontro maschio-femmina, ma a trovarne una
più grande. La ignorano perché le riviste, i film e le videocassette non gliene parlano. E quelle
che gliene parlano lo fanno per lo più limitandosi a ripetere ossessivamente i no, ma nessuno
accetta un no, se esso non lascia intravedere un sì più grande. E siccome davanti alla
barriera dei no anche un sì piccolo piccolo diventa seducente, i giovani rischiano di cantare
l’unica battuta della complessa canzone del sesso: l’anatomia e la meccanica. Con tanta
nostalgia per il “resto”...che intuiscono…e desiderano.
Tonino Lasconi (sacerdote, da Famiglia Cristiana n° 2/1996)
Commento a Genesi 1, 26-30
La creazione dell’uomo è il vertice della creazione da parte di Dio, in essa il Creatore pone il
massimo della sua capacità creativa; potremmo dire, usando un’immagine, che Dio è come
un artista giunto alla sua piena maturità e va compiendo il suo capolavoro. È un gesto
creaturale in cui Dio pone l’IMPRONTA DELLA SUA SOSTANZA, cioè del suo essere; anche
l’immagine e somiglianza manifestano non solo una “caratterizzazione” divina dell’uomo nello
spirito, nel pensiero, nell’anima, …ma indicano la bellezza della corporeità, perché in questa
realtà straordinariamente bella e armonica, si rivela la bellezza e l’armonia di Dio. Il modo con
cui Dio crea è: “MASCHIO e FEMMINA li creò”, una realtà che vive la bellezza e l’impegno
della relazione con Dio, con l’altro, con il creato. In questo essere maschio e femmina si rivela
la diversità sessuale che non può essere compresa solo nel suo significato fondente o di
riproduttività; non è spiegabile in quel desiderio di unione fra maschio e femmina come istinto
naturale, ma è manifestazione della ricchezza della diversità, come dono di reciprocità, come
realtà che si fa dono nell’originale diversità che completa l’altro/a, senza appiattire la persona
a reciproca fotocopia.
Guardare alla diversità e scoprirsi diversi nella dimensione sessuale, che non si esaurisce
nella genialità, è la scoperta più grande che ogni persona è chiamata a fare nel cammino
della conoscenza di sé e dell’altro. La diversità sessuale è appunto diversità nel carattere,
nella gestione delle emozioni, nel provare sentimenti, nei gusti e desideri, nello stile di
comportamento, nel modo di guardare le cose, nel modo di affrontare le situazioni…
53
Imparare a scoprirsi significa saper coniugare in modo pieno questo verbo, che da un lato
indica l’impegno che la persona deve porre nel cercare di conoscere l’altro, e dall’altro
sottolinea la disponibilità che ognuno deve avere nel rivelare ciò che è: significa far entrare
l’altro nella propria identità più profonda. Sapendo che solo lasciandolo entrare ed entrando
nella diversità dell’altro si potrà manifestare l’immagine e la somiglianza di Dio, qualità che il
Creatore ha impresso nell’uomo plasmato maschio e femmina. Questo tipo di conoscenza
dell’altro/a deve condurre ad una accoglienza/integrazione reciproca a tal punto da far
scoprire che il modo di pensare e di fare dell’altro è diverso, non per contrarietà, ma per una
diversità che rende maggiormente ricchi.
In questo cammino di scoperta è necessario imparare a servire la sessualità dell’altro,
intendendo in questo, non solo l’atto fisico in sé, ma tutto quello che rende la relazione
sessuale capace di scoprirsi: una carezza, uno sguardo, un gesto, un silenzio, una parola, …
realtà tutte che manifestano la diversità maschile e femminile della coppia. Servire la
sessualità dell’altro è appunto scegliere di “integrarsi” veramente con un serio impegno ed
una concreta disponibilità, senza un atteggiamento preconcetto, che cataloga già quello che
l’altro/a può dire e quindi evita il confronto e la possibilità di arricchirsi nella diversità. Servire
la sessualità dell’altro è cercare una relazione che mette in conto più quello che può
arricchire, rispetto a quanto c’è da perdere, e sa donare tutto senza voler portare le decisioni
o le scelte secondo la propria opinione, o il proprio punto di vista; è giungere, quindi, a
pensare che il massimo bene è pensare al bene che fa crescere entrambi.
54
*
Famiglia
Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
Casomai
Di Alessandro d’Alatri – 01 distribution, 2002
SOGGETTO:
Stefania e Tommaso arrivano nella chiesetta di S. Gabriele, isolata tra le colline, e dicono al
parroco don Livio che hanno intenzione di sposarsi. Don Livio scambia qualche parola con i
giovani, poi acconsente. All'altare i due ragazzi e i presenti lo ascoltano mentre pronuncia
frasi inattese sulla fragilità del matrimonio al giorno d’oggi. Don Livio coinvolge poi nella
cerimonia amici e parenti e, infine, Stefania racconta il primo incontro con Tommaso. In
flashback, ecco presentarsi sulla scena il loro recente passato: lui pubblicitario, lei truccatrice
negli studi dove girano spot pubblicitari. Durante una gita in montagna, lui le chiede di essere
sua moglie. Da qui inizia un ipotetico racconto della loro vita futura…Si sposano, nasce un
bambino e qualcosa, inavvertitamente, comincia a cambiare. Timori, campanelli d'allarme: a
Tommaso viene assegnato meno lavoro; per avere un po' di tempo libero, cercano una colf,
ma poco dopo preferiscono farsi aiutare dalla nonna di lei. Tra loro, nel frattempo, il dialogo
comincia a diminuire e a Tommaso viene detto chiaramente in ufficio, che deve decidere
quale tipo di impegno privilegiare, se la famiglia o il lavoro. Le spese intanto crescono e il
commercialista suggerisce di divorziare per pagare meno tasse.
Un giorno, per caso, viene chiesto a Stefania di posare per una pubblicità e lei accetta. Poco
dopo, lei dice al marito di essere di nuovo incinta. Lui ha paura del futuro e lei, dopo qualche
incertezza, abortisce. La nonna, addolorata, lascia la casa.
Tommaso fa un viaggio con i colleghi dello studio per ritirare un premio alla miglior pubblicità;
mentre è fuori ha un rapporto con una ragazza dello staff. Al ritorno Stefania lo caccia di casa
ed entrambi finiscono in mano agli avvocati. Si parla ormai di tribunali e di reciproche accuse,
quando il racconto rientra nella chiesetta dell'inizio. Don Livio conclude il filo del proprio
ragionamento, ricordando che tutto quello appena raccontato può accadere agli sposi nella
loro futura vita matrimoniale e sfidare il loro reciproco amore; invita poi i presenti ad uscire.
Più tardi anche i due sposi escono dalla chiesa e, felici, ricevono gli auguri di tutti.
Valutazione pastorale:
L'argomento, per quanto rimosso, respinto e collocato ai margini, resta centrale nella società
italiana e in questi anni di passaggio dal secondo al terzo millennio: il matrimonio, con tutti gli
55
aspetti che lo circondano, la vita di coppia, i figli, il lavoro, il successo, il tempo libero. Dopo
tante analisi, di non sempre convincente lucidità, ingabbiate in uno sterile sociologismo,
questo racconto ha la freschezza, l'efficacia, la vivacità di proporre una riflessione nuova e del
tutto attendibile. Merito principale é forse da attribuire alla scrittura del copione, concepita in
modo da collocare, sullo sfondo di una Milano vera e autentica, un 'pezzo' centrale di storia
che il finale ci rivela solo immaginato. Ed è invece qui che prende vita un realismo palpitante e
minuzioso, che diventa cronaca esatta di un "disamore" quotidiano, tra seduzioni di carriera e
spinte ad una vita esteriore sotto i riflettori. Dall'altro lato c'è il filo conduttore, dettato dal
parroco: frasi aperte e spiazzanti nella prospettiva seria di un invito a prendere coscienza
della scelta che si compie; l'attenzione posta sulla preparazione al matrimonio; il richiamo alle
responsabilità reciproche. Nel descrivere la parabola, ora ascendente, ora discendente, della
coppia di oggi in una cornice metropolitana sfuggente e frastagliata, D'Alatri assume un punto
di vista insieme rispettoso e coraggioso. Gli inciampi sentimentali, le incertezze professionali, i
dispiaceri e il dolore si succedono lungo un ventaglio esistenziale, che ha la forza di non
rinunciare ancora a credere nel possibile raggiungimento della felicità e nell'amore reciproco.
Restano nella memoria il singhiozzo sommesso della nonna che lascia la casa alla notizia
dell'aborto e il gesto del parroco che nel finale chiede di restare solo con gli sposi. Essenziale
e caparbio, inatteso e propositivo il film, dal punto di vista pastorale, è da valutare come
raccomandabile, e problematico, per la forte sincerità che emana dalla presa d'atto di tante
difficoltà che però non escludono la fiducia e la speranza.
La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
Testimonianza con una famiglia di parrocchia; quali possibili tipi di famiglia?
o
o
o
o
o
o
Coppia di fidanzati (famiglia in costruzione): Incontrare una coppia di fidanzati, che
sappia trasmettere con entusiasmo come vive il tempo del fidanzamento; fidanzamento
come tempo di grazia, durante il quale ciascuno riconosce l’altro come dono di Dio da
custodire con cura, amore e dedizione, perseguendo la castità, nel progetto di
matrimonio.
Famiglia senza figli (non per scelta): Incontrare una famiglia che ha accettato
l’impossibilità di avere figli e che ha trovato nella fede un modo di manifestare la propria
maternità e paternità, in una dimensione di servizio o altro…
Famiglia numerosa o allargata con nonni: Incontrare una famiglia numerosa con tanti
figli e possibilmente con i nonni in casa, in questo tipo di famiglie si respira maggiormente
l’atmosfera della piccola comunità cristiana.
Famiglia “normale” : Incontrare una famiglia media (genitori + due figli), che nella
semplice quotidianità vissuta nella fede, sia testimonianza attiva dell’amore di Cristo e
della Chiesa.
Famiglia con casi particolari (handicap, infermità, malattie rare, ecc…): Incontrare
una famiglia che, pur avendo un componente in difficoltà, ha trovato nella fede forza e
motivazione.
Famiglia “sostitutiva” (casa famiglia, famiglie ospitanti minori in affido, adozioni…):
Spesso si riconosce il vero valore delle cose quando queste vengono a mancare:
l’incontro con ragazzi, loro coetanei, che assaporano il valore della famiglia anche se
“sostitutiva”, con persone che lavorano in case famiglia, o famiglie che ospitano ragazzi,
altrimenti senza famiglia.
56
o
o
o
Possibile “taglio” dell’incontro, cioè le prospettive della testimonianza:
Le peculiarità di una scelta cristiana nell’ambito della famiglia: cosa ha significato il vostro
sposarvi in chiesa? Che senso ha per voi il sacramento del matrimonio? Perché non
avete fatto la scelta del matrimonio civile o di convivere semplicemente?
Come si vive il rapporto con il lavoro, il denaro, gli impegni dei figli? Cosa centra la vostra
fede cristiana con tutto questo?
Qual è la virtù cristiana che più sentite forte nella vostra esperienza di fede rispetto alla
vita concreta di casa vostra? (qualche esempio: la generosità verso gli altri, la disponibilità
all’aiuto, l’abbandono alla Provvidenza, la carità verso i poveri, la testimonianza del vostro
essere cristiani verso gli altri …)
Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
di quesiti sul “perché la differenza cristiana”
o
o
Brano di riferimento: la lettera di Paolo agli Efesini, 5, 21-33: la coppia cristiana come
immagine di Cristo e della Chiesa.
L’elemento cristiano più qualificante per la vita coniugale è quello che nel matrimonio è il
sacramento, l’incarnazione concreta di una realtà spirituale, del rapporto tra Cristo e la
Chiesa: la relazione che esiste tra Gesù e la Chiesa, che lui ha fondato, per continuare il
suo messaggio di salvezza nel mondo e in tutti i tempi, è visibile nel rapporto di coppia –
reso concreto con un gesto come il matrimonio – tra il marito e la moglie.
Qualche risposta:
prospettive di approfondimento
o
o
Proviamo dal concreto dell’amore coniugale e famigliare (alla luce della testimonianza
ascoltata) a ritornare alla realtà di fede: su un cartellone scriviamo le caratteristiche
peculiari di una famiglia cristiana, così come l’abbiamo incontrata, e vediamo di riportarle
anche all’esperienza cristiana, ovvero del rapporto tra Cristo e il credente.
In che modo si percepisce e comprende la specificità della fede cristiana rispetto alla
realtà coniugale e famigliare, rispetto ad una coppia normale e una famiglia che non ha
celebrato il matrimonio all’insegna della fede? A fronte delle caratteristiche di cui sopra,
apporre il corrispettivo “da non credente” di una coppia non sposatasi in chiesa.
Approfondimenti per gli animatori
Famiglia diventa ciò che sei!
Nel disegno di Dio Creatore e Redentore la famiglia scopre non solo la sua «identità», ciò che
essa «è», ma anche la sua «missione», ciò che essa può e deve «fare». I compiti, che la
famiglia è chiamata da Dio a svolgere nella storia, scaturiscono dal suo stesso essere e ne
rappresentano lo sviluppo dinamico ed esistenziale. Ogni famiglia scopre e trova in se stessa
57
l'appello insopprimibile, che definisce ad un tempo la sua dignità e la sua responsabilità:
famiglia, «diventa» ciò che «sei»!
Risalire al «principio» del gesto creativo di Dio è allora una necessità per la famiglia, se vuole
conoscersi e realizzarsi secondo l'interiore verità non solo del suo essere, ma anche del suo
agire storico. E poiché, secondo il disegno divino, è costituita quale «intima comunità di vita e
di amore» (Gaudium et Spes), la famiglia ha la missione di diventare sempre più quello che è,
ossia comunità di vita e di amore, in una tensione che, come per ogni realtà creata e redenta,
troverà il suo componimento nel Regno di Dio. In una prospettiva, poi, che giunge alle radici
stesse della realtà, si deve dire che l'essenza e i compiti della famiglia sono ultimamente
definiti dall'amore. Per questo la famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare
l'amore, quale riflesso vivo e reale, partecipazione dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore
di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa.
Ogni compito particolare della famiglia è l'espressione e l'attuazione concreta di tale missione
fondamentale.
(dalla Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II)
Commento a Efesini 5, 21-33
È questo uno dei testi più cari alla tradizione cristiana sul tema del matrimonio. Esso si apre
con un fondale che resterà aperto per tutto lo svolgimento del brano: sullo sfondo, infatti,
domina l'amore del Cristo per la sua Chiesa, punto di riferimento capitale per la visione
cristiana del matrimonio. L'insistenza è evidente: « ...nel modo che anche Cristo vi ha amato...
nel timore di Cristo... come al Signore... Cristo è capo della Chiesa... come la Chiesa è
sottomessa a Cristo... come Cristo ha amato la Chiesa... come fa Cristo con la Chiesa... lo
dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa... ». Riprendendo il filo d'oro della tradizione profetica
dell'Antico Testamento, Paolo vede nell'amore matrimoniale il grande segno dell'amore divino
per l'uomo e, viceversa, vede nell'infinito e perfetto amore di Dio e del Cristo il modello verso
cui deve costantemente tendere la coppia cristiana. È su questo testo che la tradizione
cattolica ha fondato la sua fede nella grandezza sacramentale del matrimonio.
È fuor di dubbio che, formulando concretamente la trama delle relazioni all'interno della
coppia, Paolo resta legato al suo tempo e alla cultura, sia semitica, sia greco-romana, che
concepiva la famiglia in chiave patriarcale. Il tema della «sottomissione» della donna, riflette il
diritto antico che la considerava come un essere subordinato rispetto al primato del marito.
Tuttavia, dobbiamo sottolineare che l'Apostolo, pur rimanendo «incarnato» nel suo tempo,
apre nuovi orizzonti, sorprendenti per il suo mondo e radice della trasformazione cristiana.
Innanzitutto la sottomissione non è più quella coercitiva della struttura sociale romana che
riduceva la donna, o a sfogo sessuale (la prostituta), o a fattrice di figli (la moglie). Infatti la
sottomissione è suggerita anche a tutti i cristiani come libera donazione reciproca: «siate
sottomessi gli uni agli altri...», cioè siate al servizio gli uni degli altri; inoltre Paolo sviluppa con
un'ampiezza maggiore i doveri dei mariti nei confronti delle loro mogli, rifiutando perciò la
concezione secondo la quale l'uomo è solo depositario di diritti nei confronti della donna.
E l'impegno dello sposo è alto: «amate le vostre mogli...i mariti hanno il dovere di amare le
mogli come il proprio corpo». Un amore totale, spontaneo, simile a quello che si riversa sulla
propria personalità (il corpo è simbolo nella Bibbia dell'«io» dell'uomo), anche perché - come
dice la Genesi (2,24) citata da Paolo - «i due formano una carne sola». C'è, infine, un'ultima
ragione che trasforma la tradizionale visione matrimoniale ed è quella, già indicata, del
continuo riferimento a Cristo. La donna si consacra al suo uomo nello spirito della donazione
di Cristo verso la Chiesa e l'uomo ama sua moglie come il Cristo «che ha dato se stesso»
per la sua Chiesa.
58
Ecco allora la conclusione divenuta celebre: «Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a
Cristo e alla Chiesa». La parola «mistero», tradotta dalla versione latina della Bibbia con
sacramentum, aveva portato direttamente alla sacramentalità del matrimonio cristiano. In
realtà il termine «mistero» indica soltanto il grande piano salvifico che Dio sta attuando nella
storia: il matrimonio ne è il grande simbolo, è la parabola luminosa dell'amore divino. E in
questo senso Paolo con la sua conclusione ci offre il fondamento per scoprire nel matrimonio
cristiano il valore di salvezza che in esso è racchiuso, essendo il riflesso più alto dell'amore e
della salvezza offerta da Dio all'umanità.
(Mons. Ravasi)
Lavori di gruppo
o
o
o
Impegnarsi nel diventare sempre più protagonisti nella vita quotidiana della propria
famiglia, sia dando il proprio contributo nelle piccole e grandi decisioni, sia assumendosi
qualche responsabilità (dall’aiutare i fratelli più piccoli nei compiti al portare a passeggio il
cane, fare la spesa o gettare i rifiuti…).
Passare qualche ora in una casa famiglia, non solo con attività ludiche, ma anche
mettendosi a disposizione degli operatori per espletare le incombenze quotidiane.
Rendersi disponibili quando ci sono ritrovi di famiglie in parrocchia, soprattutto per i servizi
di babysitter
Riferimento:
Centro Diocesano di Pastorale Familiare
Largo San Nazaro 1, 37129 Verona
Tel. 045/8012410
59
*
Professione
Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
NON UNO DI MENO
Di Zhang Ymou – Columbia Pictures, 1999
Soggetto:
In un lontano villaggio della campagna cinese, dove le strutture sono modeste e il livello di
vita é molto povero, il maestro Gao deve assentarsi per un mese, per andare ad assistere la
madre gravemente malata. A sostituirlo il sindaco sceglie Wei, una ragazzina tredicenne
senza alcuna esperienza d'insegnamento. Prima di partire, Gao raccomanda a Wei di fare in
modo che nessun allievo si ritiri da scuola durante la sua assenza. Con la promessa di un
compenso di cui ha molto bisogno, Wei si appresta ad affrontare un compito che però si rivela
molto difficile: i bambini sono irrequieti e spesso preoccupati per le molte difficoltà che vivono
in famiglia. Quasi inevitabilmente, dunque, una mattina il piccolo Zhang, i cui genitori sono
fortemente indebitati, lascia la classe, scappa dal villaggio e va in città a cercare un lavoro.
Wei non ha esitazione e decide di andare alla sua ricerca. Nel panorama urbano confuso e
disordinato, Wei affronta situazioni del tutto sconosciute; alla fine una rete televisiva viene a
conoscenza della sua storia e ne fa oggetto di un servizio specifico. Zhang ricompare; quando
tornano al villaggio, la troupe li segue e insieme, porta una serie di oggetti raccolti grazie alle
donazioni: per la scuola si aprono nuove prospettive e intanto i bambini scrivono sulla lavagna
con tanti gessetti colorati.
Valutazione Pastorale:
La didascalia finale ricorda che ogni anno in Cina un milione di bambini lascia la scuola
materna e che il 15% vi torna grazie alle donazioni. Partendo da questo dato, si sviluppa un
film di bella sostanza civile e di evidente valore morale. Per lunghi anni perseguitato dal
regime di Pechino, Zhang Yimou é diventato col tempo più abile e prudente. La sua grande
capacità di creare emozioni e di veicolare messaggi che, partendo da situazioni interne,
acquistano respiro universale si incontra oggi con il bisogno della Cina di mostrarsi più duttile
e disponibile di fronte al consesso internazionale. Così il film, mentre da un lato mostra
l'arretratezza sociale ma insieme anche la solidità del sistema politico-burocratico nazionale,
dall'altro prende spunto dalle difficoltà dei bambini cinesi per farsi grido a difesa di quelli di
tutto il mondo, ovunque siano calpestate la dignità dell'infanzia e i suoi diritti naturali. Il regista
parla di bambini ma si rivolge in modo diretto ai grandi: così tra le pieghe del racconto
60
spuntano i temi dell'educazione, del lavoro, dell'ambigua presenza dei mezzi di
comunicazione sociale. Coniugando le esigenze di un cinema di immediata comprensione sul
piano narrativo con quelle di un forte respiro culturale e umano, il film é ricco di molti valori e
degno di grande attenzione. Dal punto di vista pastorale, é da valutare come raccomandabile,
e poetico nelle sue dominanti modalità espressive.
Altri titoli:
Mi piace lavorare (Mobbing)
Di Francesca Comencini – Bim, 2004
La febbre
di Alessandro d’Alatri – 01 distribution, 2005
La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
L’Incontro dovrebbe mirare a mettere in luce come l’esperienza di fede dia qualità particolare
al proprio lavoro:
o Motivazioni: come cristiano, senti che il tuo lavoro in qualche modo è importante per una
missione da compiere? C’è un bene che con il tuo lavoro concorri a realizzare?
o Competenza: la tua fede ti motiva a lavorare con particolare professionalità? Perché?
o Costruire insieme: nel tuo ambiente di lavoro esiste collaborazione, o prevale un senso di
rivalità? Come cristiano come ti collochi davanti a questo?
o Finalità: il lavoro che svolgi serve per un bene da realizzare? Ti è mai capitato di
percepire il tuo lavoro come inutile, indirizzato a una finalità futile, o addirittura dannosa?
o Creatività: che importanza ha nella tua professione il poter sviluppare le tue potenzialità?
o Etica del lavoro: come cristiano, che criteri hai in ordine a profitto, rapporto con
dipendenti/datore di lavoro, sicurezza, tempo del riposo?
Con l’attenzione primaria di andare ad invitare persone significative, potrebbe essere bello
anche cercare di invitare persone che lavorano in ambiti diversi:
o
o
o
o
o
o
un agricoltore, floricoltore, allevatore: lavoro a contatto diretto con la creazione,
gratitudine per il creato, responsabilità e custodia del creato; (fornaio e vignaiolo: pane e
vino scelti da Gesù per l’istituzione dell’Eucaristia)
un normale dipendente: lavoro come partecipazione al progetto creativo e redentivo di Dio
un datore di lavoro: responsabilità nei confronti dei dipendenti, da un punto di vista di
giustizia economica e sociale; rapporto con l’aspetto economico e con l’autorità
un insegnante o docente universitario: rapporto equilibrato con la cultura, fedeltà a ciò in
cui si crede, responsabilità formativa
un musicista o artista, una ballerina: lavoro come creatività, grazia e bellezza, la
responsabilità nei confronti del pubblico, il rapporto con il successo e l’insuccesso, la
fama e i compromessi
studente universitario laureando: lo studio come lavoro, come dovere della persona
giovane, santificazione dello studio; studio come strumento apostolico, studiare insieme
ad amici come servizio
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o
o
o
uno sportivo professionista: lavoro come esercizio quotidiano fedele e costante di
capacità e virtù, come allenamento di corpo e mente, spirito di sacrificio, porsi sempre
nuove mete, non sentirsi mai arrivati; l’attività sportiva come specchio della vita spirituale
un medico, infermiere o assistente sociale, badante di anziani: lavoro come servizio che
soccorre gli ultimi, i deboli, lavoro come cura, dono di sé come pane spezzato
una persona impegnata nella politica: lavoro come servizio alla società, alla collettività,
come costruzione di un mondo migliore, come composizione dei conflitti
Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
di quesiti sul “perché la differenza cristiana”
o
o
o
o
o
o
o
o
o
Come ci poniamo davanti allo sfruttamento eccessivo delle risorse del creato,
all’inquinamento?
Come ci poniamo davanti alla ingiusta divisione delle risorse, per cui c’è chi ha troppo e
chi troppo poco?
Come pensi al tuo futuro lavorativo? Cosa ti preoccupa di più? Cosa ti stimola di più?
Il lavoro…nobilita l’uomo? O lo abbruttisce?
Perché tanta precarietà oggi?
Gente che vive per lavorare: cosa ne pensi?
Arrivismo sfrenato e mobbing: anche nel mondo del lavoro c’è spazio per l’esasperazione
del proprio interesse
Lo scopo dell’attività economica: Il lavoro a servizio del bene comune, a servizio
dell’uomo, della sua crescita integrale e come occasione di sviluppo delle sue
potenzialità. Profitto, benessere, o tutti e due? Per pochi o per tutti? La destinazione
universale dei beni della terra
Nel libro della Genesi l’uomo rispetto al creato appare come un custode (compito di
preservazione della bellezza e dell’armonia del creato, di difesa della sua integrità) e un
coltivatore (che si prende cura sviluppando le potenzialità perché servano al bene
dell’uomo)
Qualche risposta:
prospettive di approfondimento
o
o
o
Alcune parabole tratte dal Vangelo, utilizzate da Gesù per parlare del Regno di Dio, che
usano immagini legate alla realtà del lavoro. Tenendo presente che il loro orizzonte
primario è quello del Regno, ci offrono però spunti interessanti per comprendere il senso
della visione cristiana dell’attività umana.
La prospettiva della parabola dei talenti (Mt 25,14-30), ci guida a pensare l’esistenza
umana non come proprietà dell’uomo, ma come spazio in cui gli è fatto credito affinché,
come amministratore, sviluppi al massimo le sue potenzialità. Come amministratore ha da
rendere conto, ma è lasciata alla sua creatività l’iniziativa.
La prospettiva della parabola degli operai della vigna (Mt 20, 1-16), che parlando della
ricompensa uguale, che spetta a chi accoglie il regno di Dio a prescindere se presto o
tardi nella sua vita, o se ebreo o pagano, ci induce ad appropriarci della visione positiva
del lavorare nella vigna del Signore, che in sé è già una ricompensa grande. La vita
62
o
cristiana in sé quindi, in tutte le cose in cui si manifesta, è un contribuire a che la vigna di
Dio porti frutto
Per queste due parabole vedi la spiegazione nel sussidio 2
Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica offre in modo chiaro degli spunti
interessanti. Si può impostare l’incontro coi ragazzi ponendo loro le stesse domande che il
Compendio propone, per tentare poi un confronto di risposte
513. Che significato ha il lavoro per l'uomo?
2426-2428; 2460-2461
Il lavoro per l'uomo è un dovere e un diritto, mediante il quale egli collabora con Dio
creatore. Infatti, lavorando con impegno e competenza, la persona attualizza
capacità iscritte nella sua natura, esalta i doni del Creatore e i talenti ricevuti,
sostenta se stesso e i suoi familiari, serve la comunità umana. Inoltre, con la grazia
di Dio, il lavoro può essere mezzo di santificazione e di collaborazione con Cristo
per la salvezza degli altri.
514. A quale tipo di lavoro ha diritto ogni persona?
2429; 2433-2434
L'accesso a un sicuro e onesto lavoro deve essere aperto a tutti, senza ingiusta
discriminazione, nel rispetto della libera iniziativa economica e di un'equa
retribuzione.
515. Qual è la responsabilità dello Stato circa il lavoro?
2431
Allo Stato spetta di procurare la sicurezza circa le garanzie delle libertà individuali e
della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti; di
sorvegliare e guidare l'esercizio dei diritti umani nel settore economico. In rapporto
alle circostanze, la società deve aiutare i cittadini a trovare lavoro.
516. Quale compito hanno i dirigenti di imprese?
2432
I dirigenti di imprese hanno la responsabilità economica ed ecologica delle loro
operazioni. Devono considerare il bene delle persone e non soltanto l'aumento dei
profitti, anche se questi sono necessari per assicurare gli investimenti, l'avvenire
delle imprese, l'occupazione e il buon andamento della vita economica.
517. Quali doveri hanno i lavoratori?
2435
Essi devono compiere il loro lavoro con coscienza, competenza e dedizione,
cercando di risolvere le eventuali controversie con il dialogo. Il ricorso allo sciopero
non violento è moralmente legittimo quando appare come lo strumento necessario,
in vista di un vantaggio proporzionato e tenendo conto del bene comune.
Approfondimenti per gli animatori
Proponiamo per l’approfondimento due testi del Magistero; il primo, tratto dalla Costituzione
Pastorale del Concilio Vaticano II “Gaudium et Spes”, ci fa guardare a Cristo che ha
abbracciato tutti gli aspetti della condizione umana, lavoro compreso. La seconda, tratta
dall’Enciclica Laborem Exercens di Giovanni Paolo II, traccia una spiritualità del lavoro
umano, avendo come punto di riferimento il brano della genesi sopra indicato. Seguono poi
due scritti di santi.
63
Gaudium et Spes 22: Cristo, l'uomo nuovo.
Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela
anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione.
Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e
tocchino il loro vertice. Egli è " l'immagine dell'invisibile Iddio " (Col1,15) è l'uomo perfetto che
ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa
del peccato.
Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò
stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime.
Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo.
Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà
d'uomo ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente
uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato. Agnello innocente, col suo sangue sparso
liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi e ci ha
strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con
l'Apostolo: il Figlio di Dio " mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me" (Gal2,20).
Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme ma
ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e
acquistano nuovo significato.
Laborem Exercens 25. Il lavoro come partecipazione all'opera del Creatore
Come dice il Concilio Vaticano II, «per i credenti una cosa è certa: l'attività umana individuale
e collettiva, ossia quell'ingente sforzo, col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di
migliorare le proprie condizioni di vita, considerato in se stesso, corrisponde al disegno di Dio.
L'uomo infatti, creato a immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la terra
con tutto quanto essa contiene, per governare il mondo nella giustizia e nella santità, e così
pure di riportare a Dio se stesso e l'universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le
cose, in modo che, nella subordinazione di tutta la realtà all'uomo, sia glorificato il nome di Dio
su tutta la terra».
Nella Parola della divina Rivelazione è iscritta molto profondamente questa verità
fondamentale, che l'uomo creato a immagine di Dio, mediante il suo lavoro, partecipa
all'opera del Creatore ed a misura delle proprie possibilità, in un certo senso, continua a
svilupparla e la completa, avanzando sempre più nella scoperta delle risorse e dei valori
racchiusi in tutto quanto il creato. Questa verità noi troviamo già all'inizio stesso della Sacra
Scrittura, nel Libro della Genesi, dove l'opera stessa della creazione è presentata nella forma
di un «lavoro» compiuto da Dio durante i «sei giorni», per «riposare» il settimo giorno.
D'altronde, ancora l'ultimo libro della Sacra Scrittura risuona con lo stesso accento di rispetto
per l'opera che Dio ha compiuto mediante il suo «lavoro» creativo, quando proclama: «Grandi
e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente», analogamente al Libro della Genesi,
il quale chiude la descrizione di ogni giorno della creazione con l'affermazione: «E Dio vide
che era una cosa buona».
Questa descrizione della creazione, che troviamo già nel primo capitolo del Libro della Genesi
è, al tempo stesso, in un certo senso il primo «Vangelo del lavoro». Essa dimostra, infatti, in
che cosa consista la sua dignità: insegna che l'uomo lavorando deve imitare Dio, suo
Creatore, perché porta in sé - egli solo - il singolare elemento della somiglianza con lui.
L'uomo deve imitare Dio sia lavorando come pure riposando, dato che Dio stesso ha voluto
64
presentargli la propria opera creatrice sotto la forma del lavoro e del riposo. Quest'opera di
Dio nel mondo continua sempre, così come attestano le parole di Cristo: «Il Padre mio opera
sempre...»: opera con la forza creatrice, sostenendo nell'esistenza il mondo che ha chiamato
all'essere dal nulla, e opera con la forza salvifica nei cuori degli uomini, che sin dall'inizio ha
destinato al «riposo» in unione con se stesso, nella «casa del Padre». Perciò, anche il lavoro
umano non solo esige il riposo ogni «settimo giorno», ma per di più non può consistere nel
solo esercizio delle forze umane nell'azione esteriore; esso deve lasciare uno spazio interiore,
nel quale l'uomo, diventando sempre più ciò che per volontà di Dio deve essere, si prepara a
quel «riposo» che il Signore riserva ai suoi servi ed amici.
La consapevolezza che mediante il lavoro l'uomo partecipa all'opera della creazione,
costituisce il più profondo movente per intraprenderlo in vari settori: «I fedeli perciò - leggiamo
nella Costituzione Lumen Gentium - devono riconoscere la natura intima di tutta la creazione,
il suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio e aiutarsi a vicenda per una vita più santa
anche con opere propriamente secolari, affinché il mondo sia imbevuto dello spirito di Cristo e
raggiunga più efficacemente il suo fine nella giustizia, nella carità e nella pace... Con la loro
competenza, quindi, nelle discipline profane e con la loro attività, elevata intrinsecamente
dalla grazia di Cristo, contribuiscano validamente a che i beni creati, secondo la disposizione
del Creatore e la luce del suo Verbo, siano fatti progredire dal lavoro umano, dalla tecnica e
dalla civile cultura».
Madre Teresa di Calcutta, Meditazione sul servizio
Rendo il mio lavoro un santo servizio pieno d’amore? Vivo il mio lavoro come preghiera?
Lavoro veramente con spirito d’apertura verso coloro per i quali mi impegno? Sfuggo i
pregiudizi? Incontro Cristo in ogni persona angosciata e povera che servo? Gli uomini che ho
incontrato sono diventanti migliori grazie a me? Sono consapevoli che il mio lavoro è frutto
dell’apostolato della comunità? Nel mio modo di lavorare, mi lascio spaventare dalle difficoltà
e dagli ostacoli, dimenticando che «tutto posso in colui che mi dà forza»? Ho cercato
l’ammirazione e l’apprezzamento degli altri invece di piacere a Dio? Amen”.
San Josemarìa Escrivà, omelia Amare il mondo appassionatamente
“Non è forse vero che questo sguardo a ciò che abbiamo intorno vi conferma - con
un'immagine viva e indimenticabile - che è la vita ordinaria il vero luogo della vostra esistenza
cristiana? Figli miei, lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il
vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro
con Cristo. E' in mezzo alle cose più materiali della terra che ci dobbiamo santificare,
servendo Dio e tutti gli uomini. (…) Dio vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti
civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un
ospedale, in caserma, dalla cattedra di un'università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel
focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno.
Sappiatelo bene: c'è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni,
qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire”.
65
Lavori di gruppo
o
o
o
o
Proporre in una delle forme possibili, una o più esperienze di giornate o campo di lavoro;
Associazioni come l’Operazione Mato Grosso (chiedono ai gruppi parrocchiali aiuto anche
per fare raccolte di viveri non deperibili), Mani Tese, al Sermig di Torino, ecc.
Alcuni giorni o un week-end in parrocchia per lavori di cui ci sia bisogno per la comunità,
abitando insieme in canonica (convivenza o semi convivenza andando a casa a dormire)
Servizio anziani: andare in case di anziani soli a fare lavori di casa (pulizie di fondo,
tinteggiatura, ecc)
Riferimento:
Centro diocesano di Pastorale sociale “San Zeno alla ZAI”,
Via Righi 2/a Verona
Tel 045/504116
66
Celebrazione
Istruzioni: La presente proposta di veglia di preghiera vuole ricondurre la vita quotidiana del
cristiano alle virtù, in modo da sottolineare l’unione tra umano e divino che si realizza in una
vita vissuta in pienezza secondo la proposta di Cristo. La novità del vangelo non stravolge
l’umanità ma la conduce alla sua pienezza, attingendo proprio da ciò che in essa più vale,
dalla traccia del divino che in essa si nasconde. L’esercizio umano e cristiano delle virtù è
prodotto e testimonianza dell’unione intima con Dio, Creatore e Salvatore.
Della presente proposta si possono scegliere anche solo alcuni punti, oppure si possono
operare sostituzioni. Il procedere della veglia è regolare, comunica chiarezza e permette
modifiche.
Ogni giorno la mia vita nella Sua
Canto
Guida: In questo momento di preghiera vogliamo soffermarci a riflettere sul significato del
nostro essere cristiani nella vita di tutti i giorni. Vogliamo scoprire alcuni riferimenti concreti
per la nostra vita nella Parola e nell’esempio di Testimoni, cristiani come noi che sono riusciti
a realizzare il sogno di Dio.
Vogliamo scoprire insieme che essere testimoni veri e gioiosi nella quotidianità è possibile.
Vogliamo ricordarci l’un l’altro che l’incontro con Cristo ci cambia, che ci rinnova, ci rende
più felici e che ci spinge a portare anche agli altri il dono che abbiamo ricevuto: chi incontra il
Signore non può tacere la sua gioia, deve vivere in maniera nuova e annunciare ad altri la
bellezza di questo incontro.
1 - CHIAMATI NELLA QUOTIDIANITA’
La Parola. Dalla Prima lettera di San Pietro Apostolo.
E chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi nel bene? E se anche doveste soffrire per la
giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore,
Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della
speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta
coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli
che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. È meglio infatti, se così vuole Dio,
soffrire operando il bene che facendo il male. (1Pt 3,13-17)
67
Il Testimone. Beato Pier Giorgio Frassati.
Pier Giorgio Frassati è diventato il testimone vivo e il difensore coraggioso della speranza a
nome dei giovani cristiani. Ad uno sguardo superficiale lo stile di Pier Giorgio Frassati, un
giovane moderno e pieno di vita, non presenta granché di straordinario. Ma proprio questa è
l’originalità della sua virtù, che invita a riflettere e che spinge all’imitazione. In lui la fede e gli
avvenimenti quotidiani si fondono armonicamente, tanto che l’adesione al Vangelo si traduce
in attenzione amorosa ai poveri e ai bisognosi, in un crescendo continuo sino agli ultimi giorni
della malattia che lo porterà alla morte. Egli testimonia che la santità è possibile per tutti e che
solo la rivoluzione della Carità può accendere nel cuore degli uomini la speranza di un futuro
migliore. (Giovanni Paolo II).
Il Gesto. La nostra quotidianità ai suoi piedi
(da anticipare ai ragazzi nel gruppo precedente).
Ciascuno di noi pone ai piedi dell’altare un oggetto che rappresenta la sua vita di tutti i giorni:
una penna, un libro, un fermaglio per i capelli, il cd del nostro gruppo preferito, il dvd che ci
piace di più, gli occhiali da sole, quello snack al quale non resistiamo e altre cose simili.
Così facendo, vogliamo offrire al Signore la nostra vita di tutti i giorni, la nostra normalità, ciò
che riempie le nostre giornate. Vogliamo dirgli che desideriamo riorientare tutti i nostri gesti
quotidiani a partire da Lui. Gli siamo grati perché la nostra vita è fatta di piccole cose che
sono doni suoi.
Durante il gesto:
canto
Guida:
Vogliamo dunque ripensare la nostra quotidianità a partire dal Signore. Come
possiamo fare? Qual è il gesto concreto che può dare il via alla nostra giornata, aiutandoci a
non dimenticarci di Lui dopo pochissimo tempo?
2 – LA PREGHIERA
La Parola. Dalla lettera di San Paolo Apostolo agli Efesini.
Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in
piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità,
rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare
il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete
spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada
dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere
e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per
tutti i santi, e anche per me, perché quando apro la bocca mi sia data una parola franca, per
far conoscere il mistero del vangelo, del quale sono ambasciatore in catene, e io possa
annunziarlo con franchezza come è mio dovere. (Ef 6, 13-20)
68
Il Testimone. San Padre Pio da Pietralcina.
Padre Pio basò la sua vita sulla preghiera. Lui che fu chiamato da Dio ad un compito difficile,
una testimonianza particolare, dolorosa, che non passava inosservata e che ancora oggi
genera stupore e ammirazione, non poteva che invocare continuamente Dio per capire cosa
volesse da lui. Non solo egli basò la sua vita sulla preghiera, ma esortò gli altri a trovarsi a
pregare insieme, e a farlo mossi da grande gioia. Ancora oggi continuano un po’ dappertutto i
suoi “Gruppi di Preghiera”.
Il Gesto. L’impegno di una buona partenza.
Ciascuno di noi si impegna a cominciare le giornate con un breve momento di incontro
personale con Gesù. Pensiamo insieme al Signore, che ora ci sta davanti, a come possiamo
pregarlo ogni giorno.
Dopo esserci impegnati personalmente con Lui nei nostri cuori, recitiamo insieme il Padre
nostro per sentirci uniti nella volontà essere fedeli a questa scelta.
Guida: Più si sta vicini al Signore, più lo si incontra e più ci si sente felici: è l’esperienza di
moltissime persone lungo tutta la storia della Chiesa. È una gioia che non viene meno
neanche in mezzo alla fatica o ai dolori, è la serenità che ha sostenuto apostoli e martiri, è la
forza che accompagna tante persone in difficoltà.
Un sorriso e un cuore gioioso sono le caratteristiche fondamentali di chi sa di essere un figlio
amatissimo di Dio. E sono anche la prima e la migliore testimonianza che possiamo dare.
3 – LA GIOIA
La Parola. Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi.
Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota
a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete
a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che
sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù. (Fil 4, 4-7)
Il Testimone. Santa Chiara.
La via seguita da Chiara è la stessa via seguita da Francesco: la via dell’amore, di un amore
ardente e appassionato per Cristo. La gioia di Chiara sta tutta nel sentirsi amata dal suo
Signore, con lo stesso amore con cui una mamma ama i suoi figli. Anche davanti a “sorella
morte” Chiara rivela la sua gioia con un grazie gioioso, che sboccia tra le piccole cose della
terra e risuona immenso nel cielo.
69
Il Gesto. Testimoni sorridenti.
Ciascuno di noi riceve un adesivo a forma di “smile” e lo applica sulla maglia. Con questo
piccolo gesto ci impegniamo al primo gesto di ogni discepolo di Cristo: faremo il possibile per
accogliere sempre con gioia e con un sorriso le persone che avremo vicine. Dal nostro
comportamento deve emergere la gioia di avere incontrato il Signore.
Canto
Guida:
Se ci sentiamo amati, diventiamo subito in grado di amare anche noi. Non solo, ma in
Gesù – così come ce lo raccontano i vangeli e come ce lo presentano i testimoni – abbiamo
l’esempio più perfetto di amore. Imitarlo, diventare sempre più simili a Lui, è l’avventura
stupenda che ogni cristiano è chiamato a vivere. Il cristianesimo non è infatti un progetto, una
ricetta, una filosofia di vita, ma è una Persona, Cristo, che realizza l’amore in ogni suo gesto.
4- L’AMORE
La Parola. Dal Vangelo di Giovanni.
“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così
amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete
amore gli uni per gli altri”.(Gv 13, 34-35)
Il Testimone. San Giovanni Bosco.
“Amate le cose che amano i giovani” diceva sempre don Bosco ai suoi educatori. “Non ho mai
conosciuto un giovane che non avesse in sé un punto accessibile al bene facendo leva sul
quale ho ottenuto molto di più di quanto desideravo”. Don Bosco guardava al giovane con
simpatia e diceva: “Basta che siate giovani perché io vi ami assai”. E don Bosco è convinto
che solo Dio ci può insegnare l’arte di amare come Lui. In una lettera famosa di don Bosco si
legge: “Chi sa di essere amato, ama; e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani”.
“Non basta amare i giovani: occorre che loro si accorgano di essere amati”. E’ un amore che
sa di consacrazione: l’educatore è “tutto consacrato al bene dei suoi alunni”, quindi capace di
dare loro tutto, anche la vita.
Il Gesto. Nomi da amare.
Nello spazio per gli appunti scriviamo un elenco di persone che ci sono vicine: davanti al
Signore ci impegniamo a pregare ogni giorno per loro e a non far passare una settimana
senza che abbiamo fatto qualcosa per loro (interessarci di come stanno, fare una telefonata o
70
una visita, dare un aiuto, discutere di cose importanti, magari anche di ciò in cui crediamo).
Sentiamoci responsabili di chi ci sta accanto.
Canto
Guida: Vivere con amore non significa solo seguire un sentimento, che a volte è forte e a
volte è debole. Vivere con amore significa impegnare la volontà, il cuore e la mente. Significa
non abbandonare chi si ama, anche quando può costarci. Significa essere accanto all’altro in
ogni situazione, condividere, donare e donarsi.
5 – LA FEDELTÀ
La Parola. Dalla lettera ai Romani.
Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i
medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a
quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi. Non rendete a nessuno male per
male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. (Rm 12,15-17)
Il Testimone. Papa Giovanni Paolo II
Per ogni nuova generazione sono necessari nuovi apostoli. E qui sorge una speciale missione
per voi. Siete voi giovani i primi apostoli ed evangelizzatori del mondo giovanile, tormentato
oggi da tante sfide e minacce. Principalmente voi potete esserlo, e nessuno può sostituirvi
nell'ambiente dello studio, del lavoro e dello svago. Sono tanti i vostri coetanei che non
conoscono Cristo, o che non lo conoscono abbastanza. Perciò, non potete rimanere silenziosi
e indifferenti! Dovete avere il coraggio di parlare di Cristo, di testimoniare la vostra fede
mediante il vostro stile di vita ispirato al Vangelo. San Paolo scrive: “Guai a me, se non
predicassi il Vangelo!”. Davvero, la messe evangelica è grande e ci vogliono tanti operai.
Cristo si fida di voi e conta sulla vostra collaborazione. Vi invito quindi a rinnovare il vostro
impegno apostolico. Cristo ha bisogno di voi! Rispondete alla sua chiamata col coraggio e con
lo slancio proprio della vostra età. (Giovanni Paolo II, Messaggio GMG 1989)
Il gesto. Gente di polso.
Riceviamo un braccialettino fatto con fili colorati intrecciati. Tenerlo legato al polso ci ricorderà
gli impegni presi stasera davanti al Signore.
Canto
71
CONCLUSIONE:
DARE SAPORE ALLA NOSTRA VITA
La Parola: dal Vangelo di Matteo
Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render
salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce
del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una
lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che
sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre
opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. (Mt 5, 13-16)
Guida: Il Signore ci chiama, ci incontra e ci invia nella nostra quotidianità. Questa è la nostra
occasione per rispondergli di sì; ora che siamo qui davanti a Lui, che lo guardiamo negli
occhi, possiamo accettare la sua proposta e fare nostra la stupenda avventura di ogni
cristiano. Lui di certo benedirà le nostre intenzioni e le nostre azioni.
Recita della preghiera:
(a cori alterni maschi/femmine)
Beati noi giovani,
se avremo il coraggio dell’autenticità
quando falsità e compromesso sono più comodi:
la verità ci renderà liberi.
Beati noi giovani,
se costruiremo la giovinezza
nel rispetto della vita e nell’attenzione
dell’uomo in un mondo malato d’egoismo:
daremo testimonianza di amore.
72
Beati noi giovani,
se, in una società deturpata dall’odio
e dalla violenza, sapremo accogliere
e amare tutti, saremo costruttori
e artigiani della pace:
“I giovani e la pace camminano insieme”.
Beati noi giovani,
se sapremo rimboccarci le maniche
davanti al male, al dolore,
alla disperazione: saremo, come Maria,
presenza amica e discreta
che si dona gratuitamente.
[insieme]
Beati noi giovani,
se avremo il coraggio di dire in famiglia,
nella scuola,
tra gli amici che Cristo è la certezza:
saremo sale della terra. Amen.
(comunità di Taizè)
Benedizione.
Canto
73
Parte 2
Si cinse un asciugatoio
1.1.2
Forse a qualcuno può sembrare un'espressione irriverente, e l'accostamento della stola col
grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio.
Si, perché di solito la stola richiama l'armadio della sacrestia, dove con tutti gli altri paramenti
sacri, profumata d'incenso, fa bella mostra di sè, con la sua seta ed i suoi colori, con i suoi
simboli ed i suoi ricami. Non c'è novello sacerdote che non abbia in dono dalle buone suore
del suo paese, per la prima messa solenne, una stola preziosa.
Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la
credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di
mano della buona massaia. Ordinariamente non è articolo da regalo: tanto meno da parte
delle suore, per un giovane prete. Eppure è l'unico paramento sacerdotale registrato dal
vangelo. Il quale vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù nella notte del Giovedì
Santo, non parla né di casule, né di amitti, né di stole, né di piviali, parla solo di questo panno
rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto squisitamente sacerdotale.
(don Tonino Bello)
74
*
Carità
Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
CUORE SACRO
Di Ferzan Ozpetek – Medusa, 2004
Soggetto:
Ancora giovane, Irene Ravelli ha ereditato dal padre un'attività immobiliare che ora, insieme
alla zia Eleonora, guida con grande vigore e notevole profitto. Dopo la morte della mamma, il
palazzo nel centro storico di Roma dove abitava è rimasto vuoto e Irene è ora decisa a
trasformarlo per ricavarne tanti mini appartamenti. Un giorno per strada, Irene incontra Benny,
un'adolescente vivace e irrefrenabile, ladruncola ma anche dedita a portare buste con generi
di prima necessità a persone che vivono quasi nascoste. Di lì a poco Benny muore, investita
da una macchina mentre scappava. Irene assume su di sé la colpa di quella perdita e cambia
del tutto atteggiamento. Entrata in contatto con padre Carras, la donna si affaccia per la prima
volta sul mondo di quel volontariato che assiste i bisognosi. Abbandonato il primo progetto,
nel palazzo di famiglia viene aperta una mensa per i poveri alla quale Irene si dedica a tempo
pieno. Con grande disappunto della zia Eleonora, gli affari vengono del tutto messi da parte.
Nella sua discesa verso gli ultimi della società, Irene avverte la necessità di spogliarsi di tutto
ciò che possiede, fino a togliersi i vestiti in mezzo alla folla. Portata in ospedale, la psichiatra,
dopo un pacato colloquio, stabilisce che Irene non è pericolosa, né per sé, né per gli altri e
può tornare alla vita quotidiana.
Valutazione Pastorale:
"Ho tentato di raccontare in forme laiche il bisogno di spiritualità che si sente in questo
momento in tutto il mondo. E che magari prende forme di fanatismo, di esclusione dal
contesto sociale. È un film sul 'sacro' che é in tutti noi, ma non religioso". Così Ozpetek
definisce l'accostamento che in questa sua nuova opera si verifica tra la protagonista e quella
vasta, sommersa realtà dove i poveri abitano accanto ai “nuovi poveri”. Va detto subito, per
evitare equivoci, che il tema è forte, urgente, opportuno. C'è un'ampia fascia di società che
vive difficoltà e bisogni crescenti, ma non urla, non strepita, anzi timidamente resta nascosta,
per pudore e forse per un po' di vergogna. È giusto andare incontro a uomini e donne che ci
passano accanto tutti i giorni e non abbiamo tempo e voglia di vedere, ma il percorso deve
essere misurato, aderente, condivisibile. La “follia dell'altruismo” che si impadronisce di Irene
avviene per strappi traumatici non sempre coerenti. Troppo saccente quella ragazzina, tanto
allegra quanto destinata a morte precoce; troppo rapido il passaggio di Irene da un mondo
all'altro (perché una cinica donna d'affari entra così presto in crisi? e come mai nessuno
75
all'improvviso la cerca più?). Situazioni e personaggi sembrano costruiti programmaticamente
per dirci quello che dobbiamo capire. La Bergman rosselliniana di "Europa '51" cala su Irene e
ne limita gli orizzonti, lasciandoci in attesa di momenti realistico-visionari che non arrivano. A
prevalere é il taglio didascalico, quasi da testo scolastico. Resta, ed è giusto ripeterlo,
l'importanza degli argomenti scelti e trattati comunque con coraggio da Ozpetek, per i quali il
film, dal punto di vista pastorale, è da valutare come accettabile, senz'altro problematico e
adatto.
Altri titoli:
Padre Daens
Di Franchois Chevallier, 1992
l’Abbè Pierre
Di Denis Amar, 1989
La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
o
o
o
o
o
o
o
o
Trovare una persona di riferimento per l’ambito in questione: non con un’impronta
moralistica (“Io faccio così, dovete farlo anche voi), bensì più testimoniale (“Io provo a fare
questo perché …”), in modo che sia più facile poi il passaggio alle domande:
persone da proporre:
In parrocchia: chi si occupa dell’opera san Vincenzo o Caritas e che si sappia che
possiede una motivazione di fede radicata; qualche persona che sia volontaria alla Ronda
della Carità, mense dei poveri…
Istituzioni “di riferimento” nell’ambito diocesano, alle quali chiedere contatti per incontrare
persone significative. Vi consigliamo, comunque, di “censire”, prima di tutto, le esperienze
di parrocchia.
Caritas diocesana: Lungadige Matteotti, 8 - 37126 Verona Tel. 045-800677;
Ronda della Carità-Amici di Bernardo: Via Silvestrini, 10 - 37135 Verona Tel. 045.580390;
CASA DI CARITA': Via prato santo, 15/B - 37126 Verona Tel. 045-8342685;
Comunità dei Giovani: Via G.B. Moschini 3 - 37129 Verona Tel. 045-918168 Tel e fax
8340931
Come impostare l’incontro – testimonianza?
o Breve presentazione del personaggio: chi è e cosa fa
o Chiedere di raccontarsi
o Come è nato questo impegno? Perché lo porta avanti? Cosa lo fa andare avanti?
Quale rapporto c’è tra la sua azione di carità e il suo essere cristiano? Come lo
percepiscono gli altri?
o Cercare di estrapolare la motivazione cristiana di carità e solidarietà (su questo
accordarsi con l’interlocutore, altrimenti si rischia di fare la solita “testimonianza
moralistica”): l’impegno nella carità, perché Dio si è fatto carità, Lui è l’amore che si
piega verso il povero.
76
Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
di quesiti sul “perché la differenza cristiana”
o
o
In gruppo ripresa della testimonianza e delle provocazioni del film: quale solidarietà viene
fuori dalla figura del film o del personaggio? Quali sono le sue motivazioni? Cosa dà in più
alla solidarietà umana la religione cristiana?
Un dibattito, incontro – scontro tra la visione mondana della carità e quella cristiana,
attraverso un Processo al “cristiano solidale”: costituire due parti, accusa e difesa, e
processare l’idea cristiana di carità:
• difesa: la persona che è stata incontrata
• accusa: lo fa per farsi vedere, solo per pubblicità, per nascondere le magagne e i soldi
della Chiesa; non serve essere cristiani per fare del bene; ….
Vangelo di Matteo, 25, 31-46
o
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Il giudizio finale sarà sulla carità. Ma allora a che serve la fede?
Si può essere solidali fino in fondo senza credere?
Si può addirittura essere accolti da Dio senza aver professato fede in Lui?
qualche risposta:
prospettive di approfondimento
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Matteo ha deciso di concludere il discorso escatologico (e l’intera serie dei discorsi di
Gesù) con la grandiosa scena del giudizio. Per alcuni è il testo più universalistico
dell'intero Nuovo Testamento: l'appartenenza al Regno non esige l'esplicita conoscenza
di Cristo, ma soltanto la concreta accoglienza del fratello bisognoso; e lo stesso cristiano
non gode di alcuna garanzia: anch'egli sarà giudicato unicamente in base alla carità.
Il giudice è chiamato «figlio dell'uomo» e «re». La presentazione è solenne e gloriosa, ma
a nessuno può sfuggire che questo re è Gesù di Nazaret, colui che fu perseguitato e
crocifisso, rifiutato, e che nella sua vita condivise in tutto la debolezza della condizione
umana: la fame, la nudità, la solitudine. Ed è un re che si identifica con i più umili, i più
piccoli: anche nella sua funzione di giudice universale, rimane fedele a quella logica di
solidarietà che lo guidò in tutta la sua esistenza terrena. È dunque un re che vive sotto
spoglie sconosciute; sotto le spoglie dei suoi «piccoli fratelli».
Sbaglieremmo tutto se vedessimo in questa pagina una logica diversa da quella della
Croce, diciamo un contrasto fra il Cristo crocifisso e il giudice escatologico, come se alla
logica dell'amore (Croce) venisse alla fine sostituita la logica della potenza e della gloria
(giudizio). Nulla di tutto questo: il giudizio si limita a svelare il vero senso dell'amore che
apparve nel Crocifisso!
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Altrove Matteo ci ha detto che gli uomini, al giudizio, dovranno rendere conto di tutti gli atti
della loro vita (16, 27), persino di ogni parola (12, 36). Qui però Gesù ricorda solo
l'accoglienza agli esclusi. Un'accoglienza concreta, fattiva: tutto il giudizio è costruito
attorno alla contrapposizione tra il «fare» e il «non fare». È la solita tesi cara a Matteo:
l'essenziale della vita cristiana non è di dire, e nemmeno di confessare Cristo a parole,
ma praticare l'amore concreto per i poveri, i forestieri e gli oppressi.
Chi sono i «piccoli» che Gesù chiama «miei fratelli» e coi quali si rende solidale al punto
da ritenere fatto a se stesso quanto fatto a loro? Il termine «piccolo» (Mt 18, 6.10.14) è
usato altrove per indicare i cristiani deboli, spesso trascurati dalle élites della comunità.
Secondo un altro testo assai vicino (10,42) i «piccoli» sono i predicatori del vangelo,
poveri e bisognosi di accoglienza. Il termine «fratello» ha un senso più generale. Però
l'espressione i «miei fratelli» ricorre solo in (12,49) e (28,10) e indica i discepoli. A tutto
questo si aggiunga un ultimo testo (10,40): «Chi accoglie voi, accoglie me». La
conclusione sembra imporsi: i piccoli fratelli di Gesù sono i membri della comunità,
trascurati, deboli, ritenuti insignificanti, disprezzati; più in particolare sono i predicatori del
vangelo, poveri e perseguitati.
In questo senso, la scena del giudizio non è che la drammatizzazione di quanto affermato
in (10,42): «Chi darà da bere anche solo un bicchiere d'acqua fresca a uno di questi
piccoli, in quanto discepoli, in verità vi dico non perderà la sua ricompensa».
L'avvertimento racchiuso in questa scena di giudizio diventa in tal modo duplice: uno rivolto a tutti gli uomini e l'altro alla Chiesa. A tutti: la sorte di ogni uomo dipende dall'accoglienza mostrata ai missionari del vangelo, dipende dall'accoglienza o dal rifiuto della
parola di Cristo. E alla Chiesa: nessuna comunità è al riparo del giudizio, ma anche la
comunità verrà giudicata in base all'accoglienza che essa avrà concretamente mostrato
verso i poveri, i trascurati, i piccoli.
A dispetto di tutto quanto abbiamo detto, ci resta ancora l'impressione che - almeno a
livello di una lettura globale del vangelo - i «piccoli fratelli» sono tutti coloro che, in un
modo o nell'altro, sono poveri, forestieri, perseguitati e prigionieri. E ci resta la
convinzione che la benedizione del Figlio dell uomo, ma anche, in caso contrario, la
condannale per tutti coloro che, non importa se credenti o meno, hanno amato e accolto:
sia pure inconsapevolmente, hanno servito Cristo (Bruno Maggioni)
Approfondimenti per gli animatori
L'amore di Dio è il primo come comandamento, ma l'amore per il prossimo è primo come
attuazione pratica. Colui che ti da il comando dell'amore in questi due precetti, non ti insegna
prima l'amore del prossimo, poi quello di Dio, ma viceversa. Siccome tu non vedi ancora Dio,
amando il prossimo ti acquisti il merito di vederlo; amando il prossimo purifichi l'occhio per
poter vedere Dio, come chiaramente afferma Giovanni: “Se non ami il fratello che vedi, come
potrai amare Dio che non vedi? (Gv 4,20)
Se sentendoti esortare ad amare Dio, tu mi dicessi: “Mostrami colui che devo amare”, io non
potrei che risponderti con Giovanni: “Nessuno mai vide Dio” (Gv 1,18). Ma, affinché tu non ti
creda escluso totalmente dalla possibilità di vedere Dio, lo stesso Giovanni dice: «Dio è
amore; chi sta nell'amore dimora in Dio» (Gv 4,16). Tu dunque ama il prossimo e guardando
dentro di te, donde nasca quest'amore, vedrai, per quanto è possibile, Dio.
Comincia quindi ad amare il prossimo; spezza il tuo pane con chi ha fame, introduci in casa i
miseri senza tetto, vesti chi vedi ignudo e non disprezzare quelli della tua stirpe (Is 58,7).
Amando il prossimo e prendendoti cura di lui, tu cammini. E dove ti conduce il cammino se
non al Signore, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la
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mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo l'abbiamo sempre con noi. Aiuta,
dunque il prossimo con il quale cammini, per poter giungere a colui con il quale desideri
rimanere. (Sant’Agostino)
Dalla liturgia: Gesù modello di amore
E’ veramente giusto renderti grazie,
Padre misericordioso:
tu ci hai donato il tuo Figlio, Gesù Cristo,
nostro fratello e redentore.
In lui ci hai manifestato il tuo amore
per i piccoli e i poveri,
per gli ammalati e gli esclusi.
Mai egli si chiuse
alle necessità e alle sofferenze dei fratelli.
Con la vita e la parola
annunziò al mondo che tu sei Padre
e hai cura di tutti i tuoi figli.
Da un’intervista a un missionario francese, padre Gerard Vogin.
AsiaNews - 20 ottobre 2004: Cristo in Cambogia, la salvezza e la gratitudine
Qual’è l’aspetto del cristianesimo più incisivo per la missione in Cambogia?
La gente vede come vivono i cristiani e resta stupita per l’aiuto reciproco che i cristiani si
danno. La società cambogiana attuale è segnata dalla violenza del passato, che oggi causa
mancanza di fiducia nel futuro, povertà generale e spinge a un forte egoismo. Per questo i
non cristiani restano meravigliati del modo in cui ci aiutiamo fra noi: “Nella chiesa si vede
gente che parla, che dialoga e si aiuta” mi diceva un buddista. In uno dei villaggi che ho visito,
due donne non cristiane mi hanno detto: “Vogliamo restare con voi cristiani, non per diventare
cristiane, ma perché da voi si sta bene e si è più felici, si vede una grande gioia di vivere sui
vostri volti”. E adesso frequentano la messa con assiduità. Vi è anche la spinta della povertà:
molti di quelli che si sono convertiti dal buddismo mi hanno detto: “Ero troppo povero per
restare buddista”. Per essere un autentico fedele del buddismo è necessario dare molti soldi
ai monaci delle pagode per assicurarsi un buon karma. Questo obbligo spinge molte persone
ad abbandonare il buddismo. Nella chiesa esse scoprono una comunità che li aiuta
gratuitamente, incontrano persone per le quali i soldi e l’onore non sono i valori su cui si
giudica un uomo.
GESÙ : compassione di Dio
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito”(Gv 3,16).
“Ha preso su di sé le nostre infermità, si è caricato delle nostre malattie”(Mt 8,17; Is 53,4).
“In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo.
Adamo, il primo uomo, infatti, era figura di quello futuro: Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo
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Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela, pienamente, l’uomo
all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (Gs 22)
Egli è “l’immagine dell’invisibile Dio” (Col 1,15).
L’immagine, somiglianza con Dio, oscurata nella sua bellezza a causa del peccato, è restituita
al suo splendore da Gesù, che “nascendo da Maria Vergine, si è fatto veramente uno di noi,
in tutto simile a noi fuorchè nel peccato” (Gs 22).
Lo ha fatto prendendo su di sé la storicità, la solitudine, la caducità, il limite umano e vivendoli
volontariamente fino all’estremo per poterli trasformare dal di dentro e impregnarli di nuovo
significato (cfr Rm 15,3; Eb 5,7-10).
Il mistero dell’uomo con i suoi limiti, di fragilità e disabilità, è stato al centro della sua
attenzione e ministero. “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?” gli
chiesero i discepoli di Giovanni e Gesù rispose riportando le profezie di Isaia: “Andate e
riferite a Giovanni quel che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i
lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri è annunziata la buona
novella” (Mt 11,3-5). Le persone con disabilità diventano testimoni di Cristo, la guarigione dei
corpi è segno della guarigione spirituale che Egli porta a tutte le persone.
Tutto il suo ministero si svolge intorno al fatto che Egli ha cercato la compagnia di persone
che, per diverse ragioni, erano forzate a vivere ai margini della società (cf. Mc 7,37). Di
queste persone Egli ha fatto termine delle sue cure/attenzioni, dichiarando che gli ultimi
saranno i primi e che gli umili saranno esaltati nel regno del Padre Suo (cf. Mt 20,16; 23,12).
Di fronte al cieco nato Gesù rifiuta e spezza il nesso automatico fra disabilità e peccato: “Né
lui ha peccato, né i suoi genitori, ma fu perché siano manifestate in lui le opere di Dio” (Gv
9,3).
Con la passione e la croce sperimenta e condivide in pieno il dramma più grande delle
persone con disabilità: la solitudine estrema e il rifiuto-rigetto da parte degli uomini, la
coscienza di ingiustizia e di abbandono. Anzi la coscienza del limite umano della morte
“ultima nemica” (1Cor 15,26), della fragilità e finitezza che gli fa spavento e terrore da
angosciarlo e fargli sudare sangue (Lc 22,44) e sperimentare l’interrogativo umano, circa la
presenza di Dio in questo mistero (Ps 21; Mt 27,46; Mc 15,34; cfr. Giob 16,9.12-14; 17,1314).
Nello stesso tempo però, rinnova la sua fiducia (Ps 31,15), speranza e obbedienza in Dio
creatore e salvatore (Ps 21), che è sempre presente con l’uomo, in colui a cui Giobbe dice “Io
so che tu puoi tutto e niente per te è difficile” (Giob 42,2).
Dalla Croce Gesù dona il suo Spirito, sia ritornando al Padre, sia inviando il Consolatore per
fortificare gli uomini di fronte alla loro fragilità, debolezza, senso di smarrimento, solitudine e
assicurali che la disabilità è il luogo “delle opere di Dio” (Gv 9,3; cfr Lc 1,49) ed è anche essa
luogo dell’amore vero, che si dona continuamente e che rivela il mistero di Dio e dell’uomo
all’uomo.
Ed è sulla Croce che si rivela, in modo definitivo e pieno, il Figlio di Dio (Mc 15,39), dando la
speranza/certezza del coinvolgimento di Dio con l’uomo.
Nell’obbedienza della croce egli viene esaltato (cf. Fil 2,8). La croce diventa icona della
resurrezione. La resurrezione è la risposta del Padre alla scelta del Figlio che ha avuto fiducia
in Lui anche sulla Croce.
Il termine ultimo della ricostruzione dell’immagine gloriosa di Dio donata all’uomo è la
resurrezione: “Egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi
mortali, a motivo del suo Spirito che abita in voi” (Rom 8,11) e “noi saremo simili a lui perché
lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2).
(Comitato per la giornata giubilare della comunità con le persone con disabilità - scheda di
preparazione alla giornata giubilare del 3 dicembre 2000)
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Lavori di gruppo
Suggeriamo di accordarsi con l’ente contattato, per concordare insieme un servizio
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*
Carcere
Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
DEAD MAN WALKING
Di Tim Robbins – RCS, 1995
Soggetto:
Il giovane Matthew Poncelet, condannato a morte in Louisiana, scrive alla suora Helen
Prejean per avere colloqui ed assistenza in carcere. Con l'amico Carl Vitello, ora all'ergastolo,
il giovane ha ucciso una notte due fidanzati che si erano appartati in un bosco. Vitello, avendo
tanto denaro, ha potuto scampare con validi avvocati alla pena capitale, mentre Matthew è
stato condannato a morte; con l'approvazione dei suoi superiori, suor Helen (che svolge i
propri compiti in un centro di servizi sociali) si appresta all’insolita missione. Matthew è un tipo
fra il bullesco e lo sprezzante, ma in realtà è disperato, e dopo qualche contatto la suora entra
in crisi. Tuttavia, visita la madre del detenuto, Lucille Poncelet (con altri figli minorenni a carico
cui provvedere), per raccogliere notizie ed elementi sull'infanzia del giovane, che ora ha
contro l'opinione pubblica, la stampa e la televisione, oltre che i comitati favorevoli alla pena di
morte. La minoranza invece, contraria alla barbarie delle esecuzioni in carcere, lotta invano.
Nel frattempo viene ingaggiato un solerte difensore, vengono attivati gli ultimi strumenti
giuridici utilizzabili, tra i quali la domanda di grazia al Governatore dello Stato, che la negherà.
Suor Helen contatta i familiari delle due vittime: Earl Delacroix per il ragazzo Walter, Clyde e
Mary Beth Percy per la figlia Hope, violentata e straziata prima dell'assassinio. Costoro non
comprendono come la suora "difenda" un criminale, e loro non accettano l'idea del perdono.
Malgrado lo scarsissimo tempo residuo, Matthew ha qualche cedimento: le parole della sua
assistente spirituale e la Bibbia che essa gli ha dato cominciano ad avere effetto, mentre le
visite e l'evidente stato di angoscia e di crisi della suora aprono spiragli nel suo cuore. Suor
Helen ottiene di poter assistere all'esecuzione, perché lui la vuole vicina: alla vigilia, fra le
prime lacrime, le confessa che lei soltanto ha dimostrato di volergli bene. Già legato al
lettuccio per essere sottoposto all’iniezione letale, secondo le norme in vigore per
l'esecuzione, le ultime parole di Matthew sono una richiesta di perdono ai parenti presenti, la
confessione della propria delittuosa complicità e la dichiarazione di affetto a quella suora, che
tende fino alla morte la mano verso di lui.
Valutazione Pastorale:
Il film propone il problema della liceità della pena capitale; il duplice strazio dei parenti delle
vittime, l'impegno tenace, ma anche la crisi di suor Helen; la personalità spavalda, ma anche
fragile, fino al pentimento ed alle lacrime del condannato prima della morte. La pietà di suor
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Helen fa da valido e disperato contrappeso all’inevitabile impietosità dei particolari operativi.
Tratto dal libro di Helen Prejean, e da una personale esperienza di tale religiosa, il film è una
"vigilia di morte", che l'omicida e la sua assistente spirituale vivono insieme, tra mille ostacoli
(l'approccio è insolito: le reazioni altrui per altri orrendamente morti; l'impatto del massacro e
del successivo adempimento di giustizia e le regole dettate da leggi e procedure). È
altrettanto doveroso rilevare la prestazione e l'affiatamento dei due interpreti: Susan Sarandon
impegnata in un ruolo arduo, con sensibilità e smarrimenti, ma altresì con coraggio e bagliori
di speranza; Sean Penn, da prima terrorizzato, poi passato attraverso il pentimento a quella
Verità evangelica che lo farà libero. La lunga scena dell'esecuzione è, tuttavia, nella sua
scansione realistica, assai gelida.
Altri titoli
Le ali della libertà
Di Frank Darabont – Cecchi Gori, 1995
Il miglio verde
Di Frank Darabont – Warner Bros, 2000
L’ultimo appello
Di James Foley – Universal Pictures, 1998
La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
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Incontro con un ex carcerato o un carcerato in semi-libertà che abbia fatto un cammino di
conversione-ravvedimento
Incontro e dialogo con un cappellano di un carcere
Associazione "La Fraternità" - Via A. Provolo n. 28 - 37123 Verona tel. 045 8004960
(associazione di solidarietà coi detenuti, familiari ex detenuti)
Incontro coi responsabili del progetto carcere-scuola del CSI, Via A. Fedeli 37. Verona
Tel.045 8922035
Incontro con realtà di gruppi giovanili cha animano la celebrazione della Messa in carcere
Il centro della testimonianza dovrebbe essere il rapporto tra colpa, peccato personale e
salvezza di Cristo: certamente interessante sarà l’incontro con il mondo del carcere, ma
sarebbe importante che fosse anche il tramite per una riflessione personale sul senso del
male, del peccato, della colpa, del perdono, della redenzione
o Cosa significa che Gesù è venuto a proclamare la libertà ai prigionieri? Forse che non
vede il male fatto dalle persone e proclama l’innocenza di tutti? Oppure guarda al positivo
di ogni persona, anche la più negativa?
o Cosa diventa allora la fede in un Dio, che si proclama Amore per chi ha sbagliato
gravemente nella vita?
o Far raccontare gli interlocutori su questo punto preciso: cosa significa per sé, la salvezza
di Dio concessa all’uomo peccatore?
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Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
di quesiti sul “perché la differenza cristiana”
o
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o
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o
o
Prendiamo in mano il testo del vangelo di Luca (4,16–21), con riferimento al libro del
profeta Isaia: cosa significa “proclamare ai prigionieri la liberazione”? Quale liberazione?
Solo fisica? Riproporre il punto centrale di Dead man walking: “La verità vi farà liberi”:
cosa ha significato per il protagonista? E per ciascuno di noi?
Cosa vuol dire essere prigioniero? Il prigioniero è solo colui che vive dentro una cella con
le sbarre o in qualche modo ci sentiamo prigionieri anche noi che facciamo una vita
“normale”?
Mi sento prigioniero di qualcosa? Se si, da cosa non riesco proprio a liberarmi?
Cerco di chiedere aiuto a qualcuno o resto inerme e cado sotto il peso di queste
prigionie?
Da cosa possono nascere queste dipendenze e quali sono i campanelli di allarme di
situazioni?
L’esperienza di una grave colpa (come quelle magari ascoltata nella testimonianza)
ripropone il quesito: che rapporto c’è tra peccato, pentimento, e perdono di Dio?
Bellissima la pagina evangelica di Luca (7,36-50) sul legame tra amore e perdono
Qualche risposta:
prospettive di approfondimento
Il perdono di Dio mette, o rischia di mettere, in crisi l’intera comprensione della vita dei
cristiani:
o Il cristianesimo è fare qualcosa per avere qualcosa (buone azioni per ottenere la salvezza
e/o non commettere peccati) oppure è comprensione di una precedenza e quindi una
successiva risposta (l’amore di Dio/l’amore dell’uomo)?
o Provare a sintetizzare su un cartellone in un testo da sms (160 caratteri) come ognuno –
a partire dalle riflessioni fatte in questi incontri - presenterebbe ad un non cristiano, che
mai ha sentito del Vangelo, il contenuto della fede cristiana.
Approfondimenti per gli animatori
Nella casa del fariseo, dove era stato invitato, Gesù imbandisce il banchetto nuziale per la
peccatrice inopportuna e indesiderata. Il fariseo, tronfio della sua giustizia, non può
partecipare alla danza dell'amore se prima non piange il suo peccato. Il racconto serve per
persuadere il giusto dal peccato di prostituzione, perché vuole meritare l'amore di Dio, che è
gratuito. Questo peccato di "meretricio" è l'unico peccato diretto contro Dio, che è amore.
Questa donna è figura del vero popolo di Dio, che si riconosce peccatore e bisognoso di
perdono; è il simbolo dell'umanità peccatrice che ritorna al suo sposo, Dio. La presenza della
peccatrice che ama, mostra al giusto il suo peccato profondo, quello di non saper amare.
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Dalla festa dell'amore resta escluso solo il giusto, che non ama perché non si sente amato,
perché crede di non aver bisogno di essere amato.
Ma anche il giusto può partecipare al banchetto della vita nella misura in cui si riconosce
prostituto, adultero e peccatore.
Il peccato tipico del giusto è quello di comprarsi l'amore di Dio con la moneta sonante delle
proprie buone opere. È il peccato "naturale" di tutte le religioni, che suppongono un Dio
cattivo da imbonire.
Gesù, in casa del fariseo, mostra a tutti la sua bontà: accetta e ama la donna che peccò di
prostituzione con gli uomini, accetta e ama il fariseo che pecca di prostituzione nei confronti di
Dio. Nei vv. 40-42 Gesù racconta una parabola che mette in gioco tutti, è la parabola dei due
debitori. Ogni uomo è debitore a Dio di tutto. Il vero peccato è quello di non accettare di
essere debitori, ma voler restituire sotto forma di prestazioni di vario tipo, in modo di
pareggiare il nostro conto con Dio, per sentirci liberi e indipendenti da lui, a cui abbiamo dato
tutto il dovuto, per sentirci nostri e non suoi.
È il tentativo di non essere più creature, ma di emanciparci dal Creatore per essere Dio, come
Dio, senza Dio e in contrapposizione a Dio. È il peccato originale dell'uomo. Questa è la
prostituzione religiosa, frutto della non conoscenza di Dio, che produce tutti i peccati dei giusti
e degli ingiusti. Il dono di Dio, al quale tutto dobbiamo, è un amore gratuito da accettare e a
cui rispondere con altro amore gratuito. Il contenuto della parabola è nelle due espressioni
"far grazia", da parte del creditore e "amare di più", da parte del debitore graziato. Il più
avvantaggiato in questa situazione è chi ha il debito maggiore, perché riceve un dono
maggiore. Chi riceve un dono maggiore, un perdono maggiore fa esperienza di un amore più
grande. Davanti a un Dio che riempie gratuitamente del suo amore, è una disgrazia essere
pieni di sé. Gesù dà come modello al fariseo la peccatrice perdonata che ama, colei che egli
aveva giudicata e condannata, e che avrebbe voluto escludere dalla sua casa. (Lino Pedron)
Sarà per voi il Giubileo!
Un giorno agli inizi della sua predicazione pubblica, Cristo era entrato nella modesta sinagoga
del suo villaggio. Sarebbe suggestivo immaginare che fosse proprio un anno giubilare
ebraico. Si leggeva Isaia ed era toccato proprio a lui proclamarlo e commentarlo. Ecco, allora,
la sua intuizione: attraverso quelle parole egli si sentiva inviato dal Padre per inaugurare un
giubileo perfetto da distendere in tutti i secoli successivi e che i cristiani avrebbero dovuto
celebrare in spirito e verità: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha
consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per
proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e
predicare un anno di grazia del Signore" (Luca 4,18-19). È questa la vera radice anche del
giubileo cristiano.
Nelle parole di Gesù, l'orizzonte dell'anno santo si allarga e abbraccia tutte le sofferenze
dell'umanità. Esse divengono quasi il programma di impegno della missione di Cristo e di
quella della Chiesa. L' “anno di grazia del Signore”, cioè della sua salvezza, comprende infatti
quattro gesti fondamentali. Il primo è “evangelizzare i poveri”: il verbo greco è proprio quello
che ha alla base la parola “evangelo”, la “buona novella”, il “lieto messaggio” del Regno di
Dio. Destinatari sono i “poveri”, cioè gli ultimi della Terra, coloro che in sé non hanno la forza
del potere politico ed economico.
La libertà è il secondo atto giubilare, un atto che – come si diceva – era già nel giubileo di
Israele; anche se oggi la libertà sembra garrire come un vessillo su quasi tutti gli Stati, è però
ben forte e radicata la schiavitù a cui ci votano l'opinione dominante, la comunicazione
televisiva, la superficialità imperante, la pubblicità martellante, i luoghi comuni, la moda e i
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modi di vita della società contemporanea. Gesù fa riferimento anche ai prigionieri in senso
stretto, e qui devono risuonare quelle parole che egli ci ripeterà alla fine della storia: "Ero
carcerato e siete venuti a trovarmi" (Matteo 25, 36)…
Infine c'è la liberazione dell'oppressione che non è solo la schiavitù, a cui sopra si faceva
cenno. Sotto questo manto triste, e tristo, si pongono tutte le sofferenze che opprimono il
corpo e lo spirito. È quella cappa di piombo che incombe sui malati, sugli infelici, sui
dimenticati, sui profughi, su tutti coloro che sono ai margini della via della vita, ove corrono
quelli che stanno bene e hanno fretta di godere la loro esperienza di salute e di libertà. Cristo,
dunque, ci presenta un giubileo che va oltre le pur importanti celebrazioni, i riti suggestivi, i
pellegrinaggi. Egli ci riporta al cuore dell'”evangelo”, dell' “anno di grazia del Signore”, cioè
della sua salvezza. (Gianfranco Ravasi)
Lavori di gruppo
Proponiamo al gruppo un’attività di aiuto a realtà che sostengono l’attività lavorativa di
detenuti o ex detenuti, quale per esempio la vendita di oggetti artigianali all’uscita della
chiesa, come quelli realizzati nella sezione femminile del carcere di Verona.
Riferimenti:
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COOPERATIVA SOCIALE “ALCHIMIA” a.r.l. Via S. Chiara, 41 - 37129 VERONA
Tel. 045 597298.
Cooperativa Emmaus Verona Strada Mattaranetta 41 a Verona. 045.976024
COMUNITA' EMMAUS VILLAFRANCA 37069 Villafranca Di Verona (VR) –
VIA EMMAUS 1 tel: 045 6337069.
Di grande utilità il dvd prodotto dall’associazione “La fraternità”, dal titolo “Raccontamela
giusta”, con una serie di interviste realizzate con detenuti, familiari e operatori del mondo
carcerario. La confezione comprende anche un cd-rom con molto materiale formativo,
utile per qualsiasi approfondimento
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)
Disabilità
Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
LE CHIAVI DI CASA
di Gianni Amelio – 01 Distribution, 2004
Soggetto:
Alla stazione di Roma Gianni, uomo ancora giovane, incontra per la prima volta suo figlio
Paolo, quindicenne, rifiutato dalla nascita perché afflitto da handicap mentale e motorio. Nel
viaggio dalla capitale ad una clinica specializzata di Monaco, Gianni cerca di instaurare con il
ragazzo un rapporto mai esistito, dovendo superare le diffidenze di lui e anche, se non
sopratutto, la paura che lo consuma dentro di fronte ad un compito fin troppo difficile. A
Monaco l'uomo conosce Nicole, matura signora francese che da vent’anni accudisce una
figlia in condizioni ancora peggiori. Vivendo ogni giorno con Paolo, Gianni impara a
riconoscerne le debolezze, gli slanci, gli sforzi, le richieste di aiuto. Finito il lavoro in clinica, lo
porta in Norvegia, dove vive un'amica di Paolo, conosciuta tramite lettera. Qui il padre stringe
a se il figlio, nella consapevolezza di un rapporto che non avrà altre interruzioni.
Valutazione Pastorale:
Alla fine c'é una dedica: "In ricordo di Giuseppe Pontiggia". È l'autore (morto qualche tempo
fa) del libro "Nati due volte" da cui il film ha preso le mosse. Non è nemmeno “liberamente
ispirato” perché “...Pontiggia ha capito -dice Gianni Amelio- che le sue pagine non avevano
bisogno di essere illustrate ma di qualcuno che raccogliesse da lui il testimone e proseguisse
da solo il proprio tratto di strada”. “Perciò ho preso il rischio, per quanto possa sembrare
presuntuoso, di mettermi nei suoi panni e ricominciare il racconto daccapo...". Il viaggio da
Roma a Monaco diventa per Gianni occasione di recupero di un rapporto mai cercato e, di
più, scoperta di un dolore che è possibile trasformare in arricchimento: per l'amore che
entrambi si scambiano, per quel bisogno di affetto indifeso, per quella pienezza di umanità
che deriva da un autentico rapporto padre-figlio. Nel visualizzare questa vicenda di
“formazione”, Amelio si affida ad una regia di taglio asciutto e immediato. Senza artifici, senza
pietismi, senza cercare facile commozione, fa “recitare” un vero ragazzo portatore di handicap
e lo lascia libero di esprimersi. Sentimenti forti, cambiamenti interiori profondi sono espressi
con semplicità e quasi sottotono: questo grande merito del film, che non urla e non é
arrabbiato, non fa sociologia, né lancia denunce, per molti (alla mostra di Venezia) é stato il
suo limite. Resta invece un film di forte senso etico che, dal punto di vista pastorale, è da
valutare come raccomandabile, aggiungendo “realistico” proprio per ribadirne il tratto
spiccatamente vero, misurato, quotidiano.
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Altri titoli:
Ti voglio bene Eugenio
Di Francisco J.Fernandez – Millennium Storm, 2002
La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
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Monitorare sempre prima la situazione parrocchiale: la presenza di associazioni
cristiane che si occupano di persone diversamente abili. Singolare per l’esperienza
della nostra diocesi, l’esperienza delle “Piccole Fraternità”, disseminate un po’ su tutto
il nostro territorio. Molto consigliato l’incontro con monsignor Giuseppe Scarsini,
fondatore delle Piccole fraternità, a san Zenetto: 0458004294.
Importante l’incontro con persone diversamente abili, che vivono la loro abilità diversa
in senso positivo, illuminati dall’esperienza di fede
Può essere molto importante anche l’incontro con familiari di persone disabili, per
conoscere il loro percorso umano e cristiano
Incontrare i responsabili del progetto “La grande sfida” del CSI Via A. Fedeli 37.
Verona Tel.045 8922035 / Fax 045 974198 e-mail [email protected] ...
Comunità religiosa dell’Opera don Calabria: Via S. Marco 121 - 37138 VERONA Tel.
045-81.84.111 [email protected]
Di indubbio valore formativo la visita all’Opera Provvidenza di Sant’Antonio a
Sarmeola di Rubano (PD) o all’Opera Santa Teresa di Ravenna, entrambe sorte per
accogliere con dignità le persone disabili abbandonate
Quali domande? Suggeriamo di approfondire con le persone che si incontreranno,
non tanto l’aspetto della sofferenza (vedi scheda malattia), o del servizio ai
diversamente abili, quanto:
In che modo la relazione con persone diversamente abili abbia cambiato il modo di
vedere la vita e di vivere la fede
quale ruolo/missione hanno le persone diversamente abili all’interno della chiesa e
della società (quali valori ci ricordano/testimoniano)
come la fede ha permesso di trovare un modo diverso di vivere la disabilità
Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
di quesiti sul “perché la differenza cristiana”
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Azione pastorale delle persone con disabilità.
“I disabili possono far emergere in sè eccezionali energie e valori di grande utilità per
l’intera umanità”(Giovanni Paolo II, Insegnamenti, 31-3-1984).
“Egli (il disabile) non è solamente colui al quale si dà; deve essere aiutato a divenire
anche colui che dà, e nella misura di tutte le possibilità proprie. Un momento importante e
decisivo nella formazione, sarà raggiunto quando egli avrà preso consapevolezza della
sua dignità e dei suoi valori, e si sarà reso conto che ci si attende qualcosa da lui, che egli
può e deve contribuire al progresso e al bene della sua famiglia e della comunità” (Santa
Sede, A quanti si dedicano al servizio di persone disabili, 4-3-1981).
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“Uno dei fondamentali obiettivi di questa rinnovata e intensificata azione pastorale è di
considerare il malato, portatore di handicap, non semplicemente come termine dell’amore
e del servizio della Chiesa, bensì come soggetto attivo e responsabile dell’opera di
evangelizzazione e di salvezza”(Christifideles Laici, cap. IV, n.54).
Non solo essi sono destinatari dell’annuncio del Vangelo, ma a loro volta annunciano con
la propria vita il Vangelo, partecipando alla costruzione del Regno di Dio. La loro
disabilità, redenta dalla Morte e Resurrezione di Gesù, li rende missionari a livello
immediato, intuitivo e non riflesso dei veri valori dell’umanità: fiducia, solidarietà, diaconia,
condivisione, ascolto, accettazione, interdipendenza, immediatezza, fratellanza, gioia,
amore.
Le loro vie del cuore e il loro servizio di carità aiuteranno a rompere barriere di paura, le
loro vite di vulnerabilità e la loro innocenza aiuteranno a creare luoghi di amore e di
accoglienza.
C’è sempre da ricordare che la preghiera delle persone disabili, specialmente quella dei
disabili mentali, ha una forza particolare: a questa preghiera la Provvidenza non dirà mai
di no, perché un padre non potrà mai dimenticare i suoi figli più buoni e infelici (Gc 5,16).
Nell’annuncio e testimonianza che danno con la loro vita, con l’offerta della loro vita
insieme all’offerta liturgica di Cristo al Padre nello Spirito e con il sevizio diaconale al
Corpo di Cristo e a tutti gli uomini, le persone disabili contribuiscono, secondo la
vocazione ricevuta da Dio, alla crescita e koinonia del popolo di Dio, della Chiesa.
Il perdono, accorgersi cioè che gli altri indistintamente sono qualcosa di prezioso e hanno
qualcosa di prezioso da dare, e la festa, ovvero la novità, la creatività, la possibilità di
rapportarsi con gli altri, lo stare insieme, camminare, costruire, danno senso alla
Resurrezione.
Qualche risposta:
prospettive di approfondimento
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“E Gesù chiamato a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro”(Mt 18,2).
Con la propria vita la persona disabile fa catechesi sull’amore. La fonte di questo amore è
Dio stesso: “Io ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Tu sei prezioso ai miei occhi,
perché sei degno di stima e io ti amo”(Is 43,1.4).
I messaggi che i disabili offrono, possono essere oggetto di riflessione per modificare
mentalità restie, eccone alcuni:
• l’amore di Dio Padre, anche quando l’umanità è ferita, mortificata, è infinito;
• il valore primario della vita appare anche in situazioni difficili;
• si sente la necessità di una vita fisica integra ed efficace, ma esiste anche la
relatività di molti suoi aspetti in una globale e unitaria visione dell’uomo;
• è necessario scoprire il significato profondamente umano della sofferenza, del
limite, della Croce, come valori di purificazione, di liberazione, di crescita e di
maturazione;
• valorizzare la solidarietà, l’amore, la comunione come unica via per venire
incontro ai fratelli e sorelle nella sofferenza e nella solitudine e costituire per loro
e con loro reali possibilità di vita serena e tranquilla;
• la pienezza di una vita semplice, essenziale, povera, umile, può essere l’ideale
primo e più importante di vita di ogni persona matura;
• la scienza umana è necessaria per debellare i mali e le violenze che incontriamo
presenti nell’umanità, per limitarne la vastità e la crudeltà con impegni mirati.
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Per mezzo dei disabili la Chiesa forma la comunità cristiana e supera la mentalità
efficientistica ed emarginante della società secolare; nella loro piena accoglienza e
accettazione, essa afferma la dignità di ogni vita umana sin dal seno materno.
I disabili hanno capacità di azioni e di carità impegnative; sono testimoni privilegiati
della redenzione e viva dossologia ecclesiale del Signore vivente nei secoli ed
edificano il Corpo di Cristo (Sd 24).
I disabili sono fin d’ora profezia di ciò che ogni persona potrà essere nel futuro,
quando le forze fisiche diminuiranno, quando si potrà perdere la propria autonomia,
quando si può divenire completamente dipendenti: si desidera anche allora essere
trattati con dignità e rispetto ed essere ancora responsabili della propria vita e
partecipi degli eventi comunitari.
Approfondimenti per gli animatori
Disabilità o diversabilità?
L’espressione «disabilità» sottolinea il deficit, ciò che manca rispetto a un'«abilità», rispetto
alla normalità, alla «norma». Rispetto a uno standard medio di funzionamento si evidenzia, in
negativo, la disabilità. Una persona fa male qualcosa, o non la sa fare affatto: non ci vede,
non parla, cammina male, ragiona lentamente, ecc., rispetto all'idea di «normalità». Ma
quale? Esiste una normalità, una persona «normale»? Senti queste righe di Pontiggia, tratte
dal bellissimo libro “Nati due volte”:
Niente. Chi è normale? Nessuno.
Quando si è feriti dalla diversità, la prima reazione non è di accettarla, ma di negarla.
E lo si fa cominciando a negare la normalità. La normalità non esiste. Il lessico che la riguarda
diventa a un tratto reticente, ammiccante, vagamente sarcastico. Si usano, nel linguaggio
orale, i segni di quello scritto: «I normali, tra virgolette». Oppure: «I cosiddetti normali». [...]
La normalità - sottoposta ad analisi aggressive non meno che la diversità - rivela incrinature,
crepe, deficienze, ritardi funzionali, intermittenze, anomalie. Tutto diventa eccezione e il
bisogno della norma, allontanato dalla porta, si riaffaccia ancora più temibile alla finestra. Si
finisce così per rafforzarlo, come un virus reso invulnerabile dalle cure per sopprimerlo.
Non è negando le differenze che lo si combatte, ma modificando l'immagine della norma. (pp.
41-42)
Si potrebbe dire che proprio riconoscendo ed enfatizzando le differenze, tutte le varie
differenze, si modifica l'immagine della norma. La normalità diventa pluralità di differenze, non
uniformità fissa, definita attraverso degli standard. Su questo versante molti studiosi di
intelligenza e personalità si trovano d'accordo. Pensa a Gardner, con le sue nove forme di
intelligenza (linguistica, logico-matematica, spaziale, musicale, corporea, naturalistica,
intrapersonale, interpersonale ed esistenziale); quando scrive: «Anche se tutti possediamo
l'intera gamma delle intelligenze, forse non esistono due persone che abbiano esattamente le
stesse intelligenze, nello stesso grado e nella stessa combinazione: nemmeno i gemelli
omozigoti sono così. Si aggiunga che la configurazione delle intelligenze e i loro rapporti
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mutano nel tempo per effetto delle esperienze che gli individui vivono e del senso che danno
(o non danno) loro» (Gardner, 1999, p. 73). Dunque il confronto con la normalità si fa difficile.
La normalità si frammenta in una pluralità di modi di agire, di pensare, di «funzionare», di
raggiungere obiettivi. Naturalmente non tutti sono uguali in termini di correttezza etica o di
efficienza: ci sono obiettivi sbagliati e modi inefficienti.
Ma è soltanto dalla pluralità dei modi che nasce l'idea della diversabilità? Nasce anche dal
non permettere al deficit di oscurare il valore della persona nella sua essenziale umanità.
La persona disabile è un individuo. Con una propria identità. Con una propria connotazione.
Con delle caratteristiche proprie. Lui ha sempre saputo, non solo di essere portatore di una
disabilità, ma anche di essere innanzitutto una persona. È ora che lo impariamo anche noi.
[...]
Arriva in carrozzina, ma non è la carrozzina. Ha splendidi occhi azzurri, è un mago con i
videogame, usa il computer come pochi e sa fare un sacco di altre cose che non si vedono...
soprattutto se lo sguardo si ferma alla carrozzina.
Lo sguardo va troppo spesso alla «carrozzina», al deficit, e totalizza, copre tutta la persona,
che diventa così il «disabile». Se ragioniamo in termini di diversabilità come pluralità di
categorie di normalità, dovremmo riporre questa vecchia concezione di disabilità; ma si può
fare di più! Forse, diversabilità non vuol dire arrivare «soltanto» in modo diverso allo stesso
obiettivo, ma puntare anche a obiettivi diversi, qualitativamente diversi.
Tanto per confonderci utilmente le idee, leggiamo questa poesia di Tito Balestra (in: Se
hai una montagna di neve tienila all'ombra, Garzanti, Milano,1979):
Un albero che cresce storto
solleva qualche perché
hai scelto il migliore vivaio
la pianta selezionata
l'hai concimata e annaffiata
protetta dal freddo e dal gelo...
Ma l'albero cresce storto
per un misterioso capriccio,
la sua ombra la gode un vicino
che non ha speso un centesimo.
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Lavori di gruppo
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Risulta difficile dare indicazioni pratiche. Quello che suggeriamo è, d’accordo con le realtà
incontrate, non tanto di pensare a iniziative di servizio, quanto a momenti di incontro,
festa, gioia di stare insieme e conoscersi con persone e ragazzi diversamente abili.
Una proposta interessante potrebbe essere il contatto con il CSI nell’occasione della
manifestazione primaverile “La grande sfida”, per un concreto aiuto organizzativo e nel
vivere insieme la proposta
Riferimento:
ufficio diocesano pastorale della salute, Verona Piazza Vescovado 7, 045/8083723
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*
Malattia
Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
La stanza di Marvin
Di Jerry Zaks – Cecchi Gori, 1997
Soggetto:
Lee vive nell'Ohio, è stata lasciata dal marito, il figlio Hank, che è in conflitto con la madre
ritenuta colpevole della partenza del padre, ha problemi psichici, dà fuoco alla casa e viene
rinchiuso in manicomio. Un giorno Lee riceve una telefonata dalla Florida. La sorella Bessie,
che non sente da più di vent'anni, la chiama allarmata; le è stata diagnosticata la leucemia e
la sua sopravvivenza dipende dal trapianto con un midollo osseo compatibile. Bessie non si è
mai sposata, per dedicarsi al padre Marvin, che ora è morente nel letto di casa, e
all'eccentrica zia Ruth. Per le due sorelle l'incontro dopo tanto tempo diventa occasione di
confronto e di scoperta reciproca. Il confronto è aspro e difficile, fatto di accuse e
rinfacciamenti di responsabilità. La scoperta avviene tramite Hank che, dapprima freddo e
scostante, entra poi in sintonia con la zia e si confida con lei. A poco a poco tra le due sorelle
si stabilisce un clima di migliore disponibilità all'ascolto reciproco. E sarà proprio questo nuovo
atteggiamento mentale e interiore a creare le premesse per poter fare fronte alle difficoltà che
propone la malattia e la scomparsa delle persone care.
Valutazione Pastorale:
Una commedia drammatico-psicologica, che mette in primo piano una dichiarata mozione
degli affetti e l'intenzione di arrivare ad una nuova comprensione nei rapporti familiari, anche
se grandi problemi hanno per molto tempo tenuto divisi i vari componenti del nucleo. Il film ha
sicuramente intenzioni da elogiare sul piano della volontà di arrivare alla composizione delle
difficoltà a favore di una solidarietà rinnovata e duratura. Dal punto di vista pastorale è
dunque da accogliere positivamente, pur se sembra di poter osservare che in qualche
momento i buoni sentimenti sono profusi con troppa leggerezza e puntando con facilità su
situazioni dolorose, quali la malattia e l'incombente morte del vecchio genitore. Resta
comunque uno spaccato realistico di una provincia americana che vive, soffre e cerca di
riscattarsi con grande dignità.
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Altri titoli:
John Q.
Di Nick Cassavetes – Warner Bros, 2002
La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
Incontrare un medico o un infermiere, oppure – rivolgendosi ai gruppi UNITALSI (segreteria
Tel. 045.8033676, chiedere il riferimento di una persona nella vostra parrocchia) – un
volontario nell’ambito della sofferenza o persino un ammalato: ad esempio, interessante su
questo sentire i barellieri e dame dell’Unitalsi di Lourdes, così come un malato che vi ha preso
parte.
Congregazioni religiose particolarmente dedite alla cura degli infermi sono i Camilliani
(Ministri degli infermi), Verona via Trezza 045 8002471 e l’Istituto Sorelle della Misericordia,
Verona Via Valverde 24, 045-594322.
Farsi raccontare l’incontro-scontro con la sofferenza e le domande che questa porta alla
propria fede cristiana:
o Come è possibile soffrire in questo modo e credere al tempo stesso a Dio?
o Si è mai sentito traballante nella fede rispetto a quello che ogni giorno incontra in corsia o
nel suo servizio?
o Ha mai chiesto “conto” a Dio di quanto vede e osserva ogni giorno?
o All’ammalato o al medico: crede nei miracoli? Cos’è il miracolo che chiede per sé o per i
suoi ammalati?
Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
di quesiti sul “perché la differenza cristiana”
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Per l’uomo normale la sofferenza è un male, punto, stop, fine. Proviamo ad elencare i
modi con cui la società di oggi nasconde la sofferenza e la malattia: le supercure di
benessere, le proposte di eutanasia…
Per il cristiano la malattia è un male: anzi, uno scandalo maggiore, perché egli professa la
bontà della creazione che deriva dalla bontà del Creatore; quindi il dolore e il male che si
manifesta nella vita concreta delle persone è l’opposto di quel bene, che il credente ritiene
essere alla base stessa della propria fede.
Davanti alla malattia, alla sofferenza e delle persone, soprattutto dei bambini, dei giovani,
delle persone innocenti, nasce la domanda: Perché? Che male ha fatto?
È possibile vivere in modo non disumano la sofferenza? È possibile vivere la sofferenza
nella fede senza rifiutare la fede a motivo della propria esperienza?
Marx diceva che la religione è l’oppio dei popoli: rischia di esserlo anche degli ammalati?
Oppure la fede cristiana dà delle motivazioni spirituali, che vanno certamente oltre la sola
visione materialista?
Brano di riferimento: la guarigione del paralitico, Marco 2, 1-12
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Gesù sembra trattare in maniera più radicale il male spirituale di quello fisico, nel senso
che lo affronta prima e “usa” la sofferenza fisica per parlarne, ma non si dimentica che la
persona soffre e sta male inchiodata su un lettino. Ma lui intende dire che c’è un male
ulteriore e più grave di quello di essere paralizzati nel corpo: è quello di essere bloccati
nello spirito, nel buio del peccato.
Proviamo a ripensare attraverso questa considerazione alla testimonianza: cosa ci ha
lasciato a questo proposito il nostro incontro? Il miracolo più grande: guarigione o
mantenere la fede?
Qualche risposta:
prospettive di approfondimento
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È possibile dire di sì alla vita senza condizioni. E questo sì alla vita senza condizioni
diventa una prestazione nobilissima, straordinaria, quando questo sì viene pronunciato di
fronte all’esperienza del limite e della sofferenza. Riuscire a dire di sì alla vita: compiere
un atto grande di speranza e di amore.
In un’ottica di fede, è vero che la sofferenza sembra contraddire l’amore di Dio, ma
proprio l’esperienza della sofferenza rende la fede pura, non attaccata a dei vantaggi. E
l’esperienza della sofferenza ormai è scritta definitivamente dentro alla croce di Gesù,
quindi assume inevitabilmente per il credente i lineamenti della croce di Gesù, dell’amore
portato fino al dono totale di sé; un amore che ha la speranza della vita e della
risurrezione.
Per il cristiano la sofferenza è anche “redenta”, perché Dio stesso ha sofferto e ha offerto
una speranza: Gesù Cristo è stato un uomo come altri, che ha pianto quando ha saputo
che il suo amico Lazzaro era morto, che ha visto tantissimi ammalati, che ha toccato molti
lebbrosi.
Nel Vangelo non si trova mai Gesù che dubita del Padre per le sofferenze che vede
intorno a sé. La sua è una risposta concreta e fattiva allo scandalo della malattia che vede
intorno a sé: guarisce, ma non solo fisicamente, ancora più spiritualmente, perché dà la
speranza di vivere secondo Dio, al di là dello stato fisico di salute o di malattia.
Proviamo a pensare al nostro rapporto tra sofferenza e fede: la religione è un aiuto ad
affrontare lo scandalo della malattia che abbiamo incontrato di persona o in persone a noi
vicine?
Approfondimenti per gli animatori
Marco 2, 1-12
Il racconto del miracolo della guarigione del paralitico non pone al centro dell’attenzione la
potenza di Gesù che guarisce, ma la sua parola: «Figliolo, ti sono perdonati i peccati». La
guarigione è in funzione della parola che perdona, ne è il segno e la prova. Gesù «vista la loro
fede disse al paralitico: ti sono perdonati i peccati». Non ha detto: “ti dono la salute”, ma: “ti
sono perdonati i peccati”. La preoccupazione fondamentale di Gesù non è la guarigione, ma il
perdono. Gesù ha guarito gli ammalati, ma non tutti: ha invece offerto a tutti la possibilità del
perdono. Ha guarito gli ammalati, e questo significa che nel suo pensiero la malattia è
qualcosa da vincere e che tutto l’uomo è chiamato alla salvezza, ma non ha guarito tutti gli
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ammalati, e questo significa che i suoi gesti di guarigione sono semplicemente dei segni,
compiuti per attirare l’attenzione su qualcosa di più profondo: il perdono. Si noti subito un altro
particolare: in precedenza Gesù ha vietato a tutti di manifestare pubblicamente la sua
messianità. Lo ha vietato allo spirito impuro, ai malati, al lebbroso. Ora invece è lui stesso che
- davanti a tutti e incurante dello scandalo - proclama di essere «il Figlio dell’uomo che ha
sulla terra il potere di perdonare i peccati». Proibisce che venga divulgata la sua messianità
prima del tempo (cioè prima della passione), perché c’è il pericolo che essa venga
equivocata, ma questo pericolo non c’è per quanto riguarda la sua offerta di perdono: egli
perdona
sempre,
e
su
questo
non
c’è
pericolo
di
sbagliare.
Dopo queste brevi osservazioni è bene stringere più da vicino l’affermazione centrale: «Il
Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati». Quale potere? Che significa
perdonare i peccati? Hanno ragione gli scribi di pensare che soltanto Dio può perdonare i
peccati? E questo non solo perché Dio è l’offeso e dunque spetta a Lui perdonare, ma anche
- e soprattutto - perché perdonare i peccati (così pensa la Bibbia) non significa semplicemente
dimenticare i peccati, passarci sopra, bensì «strappare» l’uomo al peccato, e questo è un
miracolo che solo la potenza divina è in grado di compiere. La Bibbia è convinta che il
peccato è profondamente radicato nel cuore dell’uomo, al punto che l’uomo non può da solo
scrollarselo di dosso; è perciò indispensabile una mutazione radicale da parte di Dio, una vera
e propria rigenerazione nello Spirito: nel perdono dei peccati non è soltanto in gioco la bontà
di Dio, ma ancor prima la sua potenza. (Bruno Maggioni)
Dal messaggio di Giovanni Paolo II in preparazione alla
VIII giornata mondiale del malato
Partecipe delle gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini di ogni
tempo, la Chiesa ha costantemente accompagnato e sorretto l'umanità nella sua lotta contro il
dolore e nel suo impegno per la promozione della salute. Si è nello stesso tempo impegnata a
svelare agli uomini il significato della sofferenza e le ricchezze della Redenzione operata da
Cristo Salvatore. La storia registra grandi figure di uomini e di donne che, guidate dal
desiderio di imitare il Cristo mediante un profondo amore per i fratelli poveri e sofferenti,
hanno dato vita ad innumerevoli iniziative assistenziali, costellando di bene gli ultimi due
millenni.
Il mistero dell'Incarnazione implica che la vita sia intesa come dono di Dio da conservare con
responsabilità e da spendere per il bene: la salute è quindi un attributo positivo della vita, da
perseguire per il bene della persona e del prossimo. La salute, tuttavia, è un bene "penultimo"
nella gerarchia dei valori, che va coltivato e considerato nell'ottica del bene totale e, quindi,
anche spirituale, della persona….
È in particolare al Cristo sofferente e risorto che il nostro sguardo si volge in questa
circostanza. Assumendo la condizione umana, il Figlio di Dio ha accettato di viverla in tutti i
suoi aspetti, compresi il dolore e la morte, dando compimento nella sua persona alle parole
pronunciare nell'Ultima Cena: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i
propri amici" (Gv 15,13). Celebrando l'Eucaristia, i cristiani annunciano ed attualizzano il
sacrificio di Cristo, "per le cui piaghe siamo stati guariti"(1Pt 2, 25) e, unendosi a Lui,
"conservano nelle proprie sofferenze una specialissima particella dell'infinito tesoro della
redenzione del mondo, e possono condividere tale tesoro con gli altri" (Salvifici Doloris, 27).
L'imitazione di Gesù, servo sofferente, ha condotto grandi santi e semplici credenti a fare
della malattia e del dolore una fonte di purificazione e di salvezza per sé e per gli altri. Quali
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grandi prospettive di santificazione personale e di cooperazione alla salvezza del mondo
apre, ai fratelli ed alle sorelle ammalate, il cammino tracciato dal Cristo e da tanti suoi
discepoli! Si tratta di un percorso difficile, perché l'uomo non trova da sé il senso della
sofferenza e della morte, ma di un percorso pur sempre possibile con l'aiuto di Gesù, Maestro
e Guida interiore (Salvifici doloris, 26-27).
Come la resurrezione ha trasformato le piaghe di Cristo in fonte di guarigione e di salvezza,
così per ogni malato la luce del Cristo risorto è conferma che la via della fedeltà a Dio nel
dono di sé fino alla Croce è vincente, ed è capace di trasformare la stessa malattia in fonte di
gioia e di resurrezione. Non è forse questo l'annuncio che risuona nel cuore di ogni
celebrazione eucaristica quando l'assemblea proclama: "Annunziamo la tua morte, Signore,
proclamiamo la tua resurrezione, nell'attesa della tua venuta"? I malati, mandati anch'essi
come operai nella vigna del Signore (christifideles laici, 53), con il loro esempio possono
offrire un valido contributo all'evangelizzazione di una cultura che tende a rimuovere
l'esperienza della sofferenza, impedendo di coglierne il senso profondo con gli intrinseci
stimoli ad una crescita umana e cristiana.
L'esempio di Cristo, buon Samaritano, deve ispirare l'atteggiamento del credente inducendolo
a farsi "prossimo" ai fratelli e alle sorelle che soffrono mediante il rispetto, la comprensione,
l'accettazione, la tenerezza, la compassione, la gratuità. Si tratta di lottare contro l'indifferenza
che porta gli individui e i gruppi a chiudersi egoisticamente in se stessi. A questo scopo, "la
famiglia, la scuola, le altre istituzioni educative, anche per soli motivi umanitari, devono
lavorare con perseveranza per il risveglio e l'affinamento di una profonda sensibilità verso il
prossimo e la sua sofferenza" (Salvifici doloris, 29). In chi crede, tale sensibilità umana è
assunta nell'agape, cioè nell'amore soprannaturale, che porta ad amare il prossimo per amore
di Dio. La Chiesa, infatti, guidata dalla fede, nel circondare di affettuosa cura quanti sono
afflitti dall'umana sofferenza, riconosce in essi l'immagine del suo Fondatore povero e
sofferente, e si premura di sollevarne l'indigenza, memore delle sue parole: "Ero infermo e mi
avete visitato" (Mt 25,36).
L'esempio di Gesù, buon Samaritano, non spinge soltanto ad assistere il malato, ma anche a
fare il possibile per reinserirlo nella società. Per il Cristo, infatti, guarire è nello stesso tempo
reintegrare: come la malattia esclude dalla comunità, così la guarigione deve portare l'uomo a
ritrovare il suo posto nella famiglia, nella Chiesa e nella società.
Gesù non ha solo curato e guarito i malati, ma è anche stato un instancabile promotore della
salute attraverso la sua presenza salvifica, l'insegnamento, l'azione. Il suo amore per l'uomo
si traduceva in rapporti pieni di umanità, che lo conducevano a comprendere, a mostrare
compassione, a recare conforto unendo armonicamente tenerezza e forza. Egli si
commuoveva di fronte alla bellezza della natura, era sensibile alla sofferenza degli uomini,
combatteva il male e l'ingiustizia. Affrontava gli aspetti negativi dell'esperienza con coraggio e
senza ignorarne il peso, comunicava la certezza di un mondo nuovo. In Lui, la condizione
umana mostrava il volto redento e le aspirazioni umane più profonde trovavano realizzazione.
Questa pienezza armoniosa di vita egli vuole comunicare agli uomini di oggi. La sua azione
salvifica mira non solo a colmare l'indigenza dell'uomo, vittima dei propri limiti ed errori, ma a
sostenerne la tensione verso la completa realizzazione di sé. Egli apre davanti all'uomo la
prospettiva della stessa vita divina: "Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in
abbondanza" (Gv 10,10).
Chiamata a continuare la missione di Gesù, la Chiesa deve farsi promotrice di vita ordinata e
piena per tutti. In questo contesto, i credenti sono chiamati a sviluppare uno sguardo di fede
sul valore sublime e misterioso della vita, anche quando essa si presenta fragile e vulnerabile.
"Questo sguardo non si arrende sfiduciato di fronte a chi è nella malattia, nella sofferenza,
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nella marginalità e alle soglie della morte; ma da tutte queste situazioni si lascia interpellare
per andare alla ricerca di un senso, e proprio in queste circostanze, si apre a ritrovare nel
volto di ogni persona un appello al confronto, al dialogo, alla solidarietà" (Ev. Vitae, 83).
Lavori di gruppo
Potrebbe essere bello offrire in parrocchia la disponibilità per l’animazione della giornata del
malato l’11 Febbraio (Madonna di Lourdes). Così come, in base alle valutazioni ritenute più
opportune, invitare i ragazzi ad andare con il parroco per la visita ai malati, o la domenica con
i ministri straordinari dell’Eucarestia, o con persone dell’opera san Vincenzo che se ne
prendano cura.
Sarebbe interessante proporre ai ragazzi, almeno quelli liberi da impegni scolastici, la
partecipazione al pellegrinaggio diocesano a Lourdes organizzato dall’Unitalsi.
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)
Anziani
Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
AVVISO DI CHIAMATA
Di Diane Keaton – Sony Pictures, 2000
Soggetto:
Il vecchio Lou Mozell viene ricoverato in ospedale in condizioni molto precarie; delle sue tre
figlie, Eve accorre subito in ospedale e capisce la gravità della situazione. Contatta le due
sorelle, ma Georgia, direttrice di una rivista femminile, è molto impegnata e non ha il tempo
per andare in ospedale; Maddy, attrice di soap-opera, é fuori città per un fine settimana
privato. Rimasta sola, Eve, che ha un marito e un figlio piccolo, cerca di fare del proprio
meglio, ma il vecchio genitore ha anche crisi di memoria, e dal letto esclama di non avere figli.
Addolorata, Eve si lascia andare a ricordi del passato, finché non viene avvisata dall'ospedale
che Lou é scappato. In effetti il vecchio è tornato a casa, forse per vederla ancora un'ultima
volta. Dopo essere riuscita a riportarlo in ospedale, Eve organizza un party, al quale Georgia
é invitata come ospite d'onore. Durante il discorso, Georgia ha parole finte di affetto per il
padre, che irritano molto Eve. Presente anche Maddy, tra le sorelle scoppia una furibonda lite.
Quando dall'ospedale avvertono che il padre è in coma, tutte si recano sul posto. Entra per
prima Eve, e poi anche le altre sono vicine al padre al momento del decesso. Nel giorno del
ringraziamento, le tre sorelle sono di nuovo insieme. Eve pensa ancora al passato e alla
presenza del padre.
Valutazione Pastorale:
Il cellulare squilla in continuazione, ed è l'unico sistema di comunicazione, tanto inevitabile
quanto spersonalizzante. Si telefona per dire che non ci si può incontrare, e quindi per “non”
comunicare. Così il racconto, con facile evidenza, è tutto impostato sul contrasto tra la
“facilità” di raggiungersi, e l'assenza nei momenti importanti. Di fronte alle ultime ore del
padre, le sorelle (tre, ancora una volta) hanno difficoltà a cambiare ritmi e orari ma non
possono evitare che la circostanza sfoci nel bisogno di fare un bilancio, di guardarsi alle
spalle e l'una verso l'altra. Impegnata anche come regista, Diane Keaton cerca di mescolare
nel copione i toni brillanti e quelli malinconici, tipici di tante commedie americane: la vita
scandita da appuntamenti, ma anche dalla tradizione (il Natale, il Ringraziamento...), l'allegria
e la tristezza, il riso e il pianto, insomma la parabola della vita di tutti. Il film è scorrevole e
vivace. Al di là della buona confezione, ci sono temi significativi da evidenziare: il rapporto
99
padre-figlio, la vecchiaia, la professione, la famiglia, il condizionamento dei mass-media. Dal
punto di vista pastorale, il film è da valutare come positivo, accettabile, e anche problematico.
La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
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Sarebbe opportuno incontrare degli anziani per capire come passano le giornate, come
vivono la loro vita in pienezza, come si sentono attivi in parrocchia, come vivono il
rapporto con Dio.
Potrebbe essere bello incontrare famiglie che hanno gli anziani genitori/nonni in casa per
scelta, per capire le ricchezze e le difficoltà della convivenza, le motivazioni che li hanno
spinti alla scelta
Incontrare medici e operatori che lavorano nell’ambito dell’assistenza anziani, per capire
come la loro fede li motivi e li guidi nella loro professione
Punto di riferimento importante in diocesi la Pia Opera Ciccarelli Via C. Alberto, 18 37057 San Giovanni Lupatoto (VR) Tel. 045 8296111 FAX 045 8751111, con sedi in varie
parti della provincia
Uno sguardo anche alla risorsa anziani: incontrare nonni sul loro ruolo di educatori alla
fede dei nipoti; incontrare pensionati che dedicano attivamente il loro tempo, energie e
competenze al volontariato, alla parrocchia. Come sempre andare alla ricerca dei perché
e di come la fede li spinga a tali scelte
Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
di quesiti sul “perché la differenza cristiana”
È molto bella la lettura della condizione dell’anziano, alla luce della Scrittura data da Giovanni
Paolo II nella Lettera agli anziani, che qui riportiamo:
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Se l'infanzia e la giovinezza sono il periodo in cui l'essere umano è in formazione, vive
proiettato verso il futuro, e, prendendo consapevolezza delle proprie potenzialità,
imbastisce progetti per l'età adulta, la vecchiaia non manca dei suoi beni, perché - come
osserva san Girolamo - attenuando l'impeto delle passioni, essa “ accresce la sapienza,
dà più maturi consigli”. In un certo senso, è l'epoca privilegiata di quella saggezza che in
genere è frutto dell'esperienza, perché “il tempo è un grande maestro”. E ben nota, poi la
preghiera del Salmista: “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del
cuore” (Sal 90,12).
L'età avanzata trova, anzi, nella parola di Dio una grande considerazione al punto che la
longevità è vista come segno della benevolenza divina (Gn 11,10-32).
Con Abramo, uomo di cui viene sottolineato il privilegio dell'anzianità, questa benevolenza
assume il volto di una promessa: “Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò
grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e
maledirò coloro che ti malediranno ed in te si diranno benedette tutte le famiglie della
terra ” (Gn 12, 2-3).
Anziano è Mosè, quando Dio gli affida la missione di far uscire il popolo eletto dall'Egitto.
Le grandi opere che egli compie per mandato del Signore in favore di Israele non
occupano gli anni della giovinezza, ma della vecchiaia.
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Anche il Nuovo Testamento, pervaso dalla luce di Cristo, annovera eloquenti figure di
anziani. Il Vangelo di Luca si apre presentando una coppia di coniugi “avanti negli anni”
(Lc 1,7): Elisabetta e Zaccaria, genitori di Giovanni Battista. Verso di loro si rivolge la
misericordia del Signore (Lc 1, 5-25,39-79): a Zaccaria ormai vecchio viene annunciata la
nascita di un figlio; egli stesso lo sottolinea: “Io sono vecchio e mia moglie è avanzata
negli anni” (Lc 1, 18)
Il Salmo 92, quasi sintetizzando le fulgide testimonianze di anziani che troviamo nella
Bibbia, proclama: “Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano...Nella
vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per annunziare quanto è retto
il Signore” (13,15-16).
E l'apostolo Paolo, facendo eco al Salmista, annota nella Lettera a Tito: “ I vecchi siano
sobri, dignitosi, assennati, saldi nella fede, nell'amore e nella pazienza. Ugualmente le
donne anziane si comportino in maniera degna dei credenti... sappiano insegnare il bene,
per formare le giovani all'amore del marito e dei figli” (2, 2-5).
La vecchiaia, dunque, alla luce dell'insegnamento e nel lessico proprio della Bibbia, si
propone come “tempo favorevole” per il compimento dell'umana avventura, e rientra nel
disegno divino riguardo ad ogni uomo come tempo in cui tutto converge, perché egli
possa meglio cogliere il senso della vita e raggiungere la “sapienza del cuore”.
“ Vecchiaia veneranda — osserva il Libro della Sapienza — non è la longevità, né si
calcola dal numero degli anni; ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza; vera
longevità è una vita senza macchia” (4,8-9). Essa costituisce la tappa definitiva della
maturità umana ed è espressione della benedizione divina.
Qualche risposta:
prospettive di approfondimento
Anche in questo caso, è molto bello l’approfondimento magisteriale del documento del
Pontificio consiglio per i laici, La dignità dell'anziano e la sua missione nella Chiesa e nel
mondo
Il contributo di esperienza che gli anziani possono apportare al processo di umanizzazione
della nostra società e della nostra cultura è quanto mai prezioso e va sollecitato, valorizzando
quelli che potremmo definire carismi propri della vecchiaia:
o Gratuità. La cultura dominante misura il valore delle nostre azioni secondo i parametri di
un efficientismo che ignora la dimensione della gratuità. L'anziano, che vive il tempo della
disponibilità, può riportare all'attenzione di una società troppo occupata l'esigenza di
abbattere gli argini di una indifferenza che svilisce, scoraggia e arresta il flusso degli
impulsi altruistici.
o Memoria. Le generazioni più giovani vanno perdendo il senso della storia e con esso la
propria identità. Una società che minimizza il senso della storia elude il compito della
formazione dei giovani. Una società che ignora il passato rischia di ripeterne più
facilmente gli errori. La caduta del senso storico è imputabile anche a un sistema di vita
che ha allontanato e isolato gli anziani, ostacolando il dialogo tra le generazioni.
o Esperienza. Oggi viviamo in un mondo nel quale le risposte della scienza e della tecnica
sembrano aver soppiantato l'utilità dell'esperienza di vita accumulata dagli anziani nel
corso di tutta l'esistenza. Questa sorta di barriera culturale non deve scoraggiare le
persone della terza e quarta età, perché esse hanno molte cose da dire alle giovani
generazioni, molte cose da condividere con loro.
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Interdipendenza. Nessuno può vivere da solo, ma l'individualismo e il protagonismo
dilaganti celano questa verità. Gli anziani, con la loro ricerca di compagnia, contestano
una società nella quale i più deboli sono spesso abbandonati a se stessi, richiamando
l'attenzione sulla natura sociale dell'uomo e sulla necessità di ricucire la rete dei rapporti
interpersonali e sociali.
Una visione più completa della vita. La nostra vita è dominata dalla fretta, dall'agitazione,
non raramente dalla nevrosi. È una vita distratta, dimentica degli interrogativi
fondamentali sulla vocazione, la dignità, il destino dell'uomo. La terza età è anche l'età
della semplicità, della contemplazione. I valori affettivi, morali e religiosi vissuti dagli
anziani sono una risorsa indispensabile per l'equilibrio delle società, delle famiglie, delle
persone. Essi vanno dal senso di responsabilità, all'amicizia, dalla non ricerca del potere,
alla prudenza di giudizio, alla pazienza, alla saggezza, dall'interiorità al rispetto della
creazione, alla edificazione della pace. L'anziano coglie bene la superiorità dell' “essere”
sul “fare” e sull' “avere”. Le società umane saranno migliori se sapranno beneficiare dei
carismi della vecchiaia.
Approfondimenti per gli animatori
Educare i giovani appartenenti a gruppi, associazioni e movimenti presenti nelle parrocchie
alla solidarietà verso i componenti più anziani della comunità ecclesiale, una solidarietà
intergenerazionale che trova espressione pure nella compagnia che i giovani possono offrire
agli anziani. I giovani che hanno l'opportunità di coinvolgersi con gli anziani sanno che questa
esperienza li forma, li fa maturare e fa loro acquisire un'ottica di attenzione agli altri, valida per
tutta la vita. In una società che vede dilagare egoismo, materialismo, consumismo, e nella
quale i mezzi di comunicazione non servono ad arginare la crescente solitudine dell'uomo,
valori come gratuità, dedizione, compagnia, accoglienza e rispetto dei più deboli,
rappresentano una sfida per chi punta alla nascita di una nuova umanità e dunque anche per i
giovani…
La comunità ecclesiale deve adoperarsi per aiutare l'anziano a vivere la propria età alla luce
della fede, a riscoprire egli stesso il valore delle risorse che è ancora in grado di porre, al
servizio degli altri e alla responsabilità di offrire agli altri. L'anziano deve divenire sempre più
consapevole di avere ancora un futuro da costruire, perché non è esaurito il suo impegno
missionario di testimoniare ai piccoli, ai giovani, agli adulti, ai suoi stessi coetanei e che al di
fuori di Cristo non c'è senso, né gioia e ciò, sia nella vita personale, che nella vita con gli altri.
(La dignità dell'anziano e la sua missione nella Chiesa e nel mondo)
Lavori di gruppo
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Ipotizzare alcune iniziative episodiche e/o altre più sistematiche:
una festa per gli anziani (carnevale, Santa Lucia, cenone di San Silvestro, ecc.)
un servizio nelle case di riposo.
Proporsi per un servizio parrocchiale di lavori domestici.
Predisporre la spesa per le persone che non sono autosufficienti.
Ipotesi di servizio ricreativo nei circoli per anziani organizzando giochi vari.
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)
Dipendenze
Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
RADIOFRECCIA
Di Luciano Ligabue – Medusa, 1998
Soggetto:
Davanti al microfono, Bruno informa gli ascoltatori che quello è l'ultimo giorno delle
trasmissioni di RadioFreccia. Siamo nel 1993, la radio chiude dopo diciotto anni di attività, e
Bruno vuole spiegare perché ha preso quel nome. Torna allora indietro con la memoria al
1975, quando nella piccola provincia, in quella zona incerta, tra città e campagna, bastava un
trasmettitore da 5 watt per aprire una radio “libera”. Così il giovane Bruno, nella soffitta di
casa, apre Radio Raptus con un microfono, dei dischi e la sua voce. Bruno porta con sé gli
amici Tito, Iena, Boris e la radio diventa la loro seconda casa (la prima è il bar del paese), Al
punto che quando un altro amico, Freccia, litiga con l'amante della madre e lascia il proprio
appartamento, finisce con trasferirsi proprio nella soffitta di Bruno. Così la vita scorre con i
ragazzi che fanno gli operai (solo Bruno studia), vanno in discoteca, partecipano da lontano ai
forti mutamenti sociali in corso in Italia. Freccia conosce una ragazza di città,
tossicodipendente, e la segue sulla strada della droga; l'affetto degli amici non basta…
Freccia si isola, poi torna, sembra voler ricominciare, s'innamora di nuovo, non viene
corrisposto, si abbandona ancora alla droga, alla fine viene trovato morto in un fosso… Gli
amici decidono di ricordarlo, intitolando a lui la radio; ed ecco ancora Bruno, nel 1993:
riferisce su quello che fanno oggi i ragazzi di un tempo, e poi dà il via ad un vecchio intervento
di Freccia, nel quale raccontava quello in cui credeva. Così chiude la radio.
Valutazione Pastorale:
Il cinema italiano comincia a prendere in esame gli anni Settanta, anni cruciali in cui
cominciano ad arrivare anche in provincia gli effetti della “rivoluzione sessuale”, anni
dell'emergere del fenomeno droga, anni del terrorismo, anni di piombo. Grande confusione e
grande incertezza nei giovani: un clima che il film descrive con sincerità e partecipazione,
vedendo l'azione in forma di flashback e, quindi, avendo l'opportunità di far andare di pari
passo le asperità e le secchezze di un'ambientazione tutta realistica (i luoghi, i dialoghi, le
atmosfere), con il tono della memoria, della riflessione un po' nostalgica sul passato.
Azzeccata è soprattutto la rappresentazione di una provincia “profonda”, colta nel momento
critico della crisi dei valori tradizionali, della famiglia, del passaggio generazionale: una crisi
che è quella della filosofia del vivere emiliano, che il dilagante materialismo non riesce del
103
tutto a coprire. Un po' ripetitivo e sbrigativo in qualche passaggio e nel seguire il ritratto
psicologico di alcuni protagonisti, il film trova tuttavia spessore nel delineare il dolore della
incomunicabilità genitori-figli e nel presentare il ricorso alla droga come sconfitta personale.
Molta materia interessante, dunque, anche dal punto di vista pastorale, per un film senz'altro
crudo, da valutare come discutibile e da suggerire per dibattiti.
Altri titoli:
VERONICA GUERIN
Di Joel Schumacher – Buena Vista, 2003
La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
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Il tema delle dipendenze, e di come il cristiano tenda alla libertà, crediamo possa essere
di grande rilevanza, non solo in ordine alle dipendenze estreme da sostanze o realtà, ma
anche in rapporto alle relazioni personali, e alle proprie scelte.
Molte sono le comunità di recupero di ragazzi ex-tossicodipendenti nate nell’ambito
ecclesiale. Per esempio Ceis Verona, Salita Fontana del Ferro 22/24, 37129 Verona 0458
01 06 88, Exodus 37135 - Verona Via Pacinotti 16/18, Comunità Incontro a Bovolone.
Ovviamente l’importante per la nostra finalità è andare a coinvolgere o incontrare persone
motivate dalla fede. Ci permettiamo di suggerire in particolare la Comunità dei Giovani,
nel centro residenziale di Albarè di Costermano.l’incontro potrebbe essere con operatori o
con giovani che stanno vivendo un percorso riabilitativo
Dipendenza dalle sostanze: Perché? Cosa c’è dietro?
Quali sono le forme nuove di dipendenze che colpiscono soprattutto i giovani?
Dipendenza dalle persone, da se stessi, dalla famiglia, dai proprio passato, dai
condizionamenti…
La fede ha un ruolo nel percorso di recupero della propria dignità?
Cosa chiede di mettere in gioco di sé e della propria fede, l’accompagnare il recupero di
chi ha alle spalle cammini così difficili?
Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
di quesiti sul “perché la differenza cristiana
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”Gesù e l’esperienza delle tentazioni (Mt 4,1-11): non cede alla tentazione di tentare
strade più corte per affermarsi, rimane fedele a se stesso, nonostante le facili promesse
che l’avrebbero reso schiavo
Gesù è venuto perché “abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Dietro le
sue scelte, c’è il desiderio che l’uomo abbia una vita piena.
Gesù viene a liberare da tutte le condizioni di immobilità e dipendenza: l’episodio del
cieco Bartimeo (Mc 10,46-52)
Davanti alle incertezze della vita e alla paura del futuro, Gesù viene a indicare un senso
alla vita, legato non alle cose ma alla fiducia in Dio: “Cercate prima il regno di Dio…” (Lc
12,31)
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Gesù si rivela come uomo libero dalla cappa opprimente dei condizionamenti delle
tradizioni: “Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!” (Mc 2,27)
Gesù si rivela libero…dalla paura di perdere i suoi: “volete andarvene anche voi?” (Gv 6,
60-67)
Per un primo approfondimento, ci sembra possa essere utile parlare del fenomeno
tossicodipendenza. Molto efficaci sono alcune battute del documento del Pontificio
Consiglio per la famiglia del 1997 Liberalizzazione della droga? "La droga non si vince
con la droga".
Non è la droga che è in questione, ma gli interrogativi umani, psicologici ed esistenziali
impliciti in questi comportamenti. Troppo spesso non si vogliono comprendere tali
questioni e si dimentica che ciò che fa la tossicodipendenza non è il prodotto, ma la
persona che ne proverà il bisogno.
Il ricorso alla droga è sintomo di un "malessere" profondo. Come afferma il Pontificio
Consiglio per la Famiglia: "La droga non entra nella vita di una persona come un fulmine
a ciel sereno, ma come un seme che attecchisce in un terreno da lungo tempo
preparato".
Dietro a questi fenomeni c’è una richiesta di aiuto da parte dell’individuo, che rimane solo
con la propria vita; c’è un desiderio, non solo di riconoscimento e di valorizzazione, ma
anche di amore. È, pertanto, alla causa del fenomeno che bisogna risalire innanzitutto se
si vuole intervenire in modo efficace sulle conseguenze personali e sociali provocate
dall’uso della droga.
Il problema, in effetti, non è nella droga, ma nella malattia dello spirito che conduce alla
droga, come ricorda il Papa Giovanni Paolo II: "Bisogna riconoscere che esiste un nesso
fra la patologia letale provocata dall’abuso di droghe e una patologia dello spirito che
porta la persona a fuggire da se stessa e a cercare soddisfazioni illusorie in una fuga
dalla realtà, al punto di annullare completamente il significato della propria esistenza" .
Nella tossicodipendenza giovanile, questi problemi umani sono in primo piano. Il giovane
tentato dalla droga ha una personalità fragile, immatura, poco strutturata, e ciò è in
rapporto diretto con l’educazione che egli non ha ricevuto. La maggior parte degli
specialisti nelle scienze umane non smette di dire, da molti anni, che la società
abbandona i giovani, che essi non sono attesi e rispettati e che l’ambiente non fornisce
tutti gli elementi sociali, culturali e religiosi per permettere lo sviluppo delle loro
personalità.
Qualche risposta:
prospettive di approfondimento
Uno schema per come presentare ai ragazzi il racconto di Bartimeo e della liberazione che
Gesù gli dona, e un articolo di Enzo Bianchi sulla lotta spirituale:
1) Bartimeo:
• Cieco: non vede più, non ha chiaro, non sa dove andare
• Siede: ha rinunciato, è rassegnato, subisce, non prende iniziativa, non da una
direzione alla sua vita
• Mendica: sopravvive, dipende dagli altri, fa di tutto perché gli altri (o
qualcosaltro) gli diano qualcosa; in fondo …si vende…cerca di comprare
2) Comincia a gridare…e grida più forte
• Lascia esplodere il suo dolore
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•
•
Non tiene più dentro quello che prova
Chiede aiuto
3) Lo sgridano per farlo tacere: c’è sempre qualcuno che ti vuole zittire!
• La tua paura di essere fregato
• Quello che dicono e fanno tutti, e la tua paura di essere diverso
• Gli interessi economici
• Ma comunque si fida, continua a chiedere aiuto
4) Coraggio, alzati, ti chiama
• Non spaventarti davanti alle avversità, alle difficoltà della vita
• Non spaventarti di chi rema contro quello che senti e pensi davvero
• Alzati: quante volte bisogna prendersi in mano e…darsi una mossa
• Ti chiama: chiama te, ti conosce, ha fiducia in te
5) Che riabbia la vista, la fede ti ha salvato
• Voglio distinguere le cose
• Voglio vedere dove sto andando
• Voglio essere io a decidere
• La fede ti ha salvato: è Gesù che ti permette tutto questo
6) Ci vede e lo segue per la strada
• Comincia a seguire Cristo: finalmente ha una direzione, ha scelto
Approfondimenti per gli animatori
Riscopriamo la lotta spirituale
….La tradizione spirituale cristiana è ricca di questa conoscenza del profondo del cuore e
ogni cristiano maturo è “cardiognostico”, conoscitore dell’abisso di ogni uomo. L’angoscia che
ci abita, angoscia della morte innanzitutto, e la conseguente volontà di conservarci e vivere ci
riduce a pensare di poter combattere la morte con l’autoaffermazione, con il possesso delle
cose e il loro accaparramento, con la voracità e il consumo di tutto ciò che pensiamo ci aiuti a
vivere. È questo il terreno in cui nascono le tentazioni e, si badi bene, nessuna tentazione ci è
estranea! Qui si impone la lotta spirituale, questo combattimento sovente, ma non sempre,
invisibile in cui il cristiano oppone resistenza al male e combatte per non essere vinto dalla
tentazione. Purtroppo quanti conoscono oggi quest’arte della lotta spirituale, che ancora la
mia generazione ha ricevuto in eredità da comuni e non rare guide spirituali? Così i cristiani si
sono assuefatti semplicemente a soccombere alle tentazioni, convinti che contro di esse non
ci sia nulla da fare, perché nulla hanno mai imparato al riguardo!
Ma come è possibile l’edificazione di una personalità umana e spirituale robusta senza la lotta
interiore, senza questo esercizio al discernimento tra bene e male, senza questa strategia per
dire dei “no” efficaci e dei “sì” convinti? Dimentichiamo forse che, come ci testimoniano i
Vangeli, Gesù stesso ha lottato e non ha potuto sottrarsi a questo confronto con il tentatore?
Eppure dovremmo saperlo tutti: il peccato è accovacciato alla porta del nostro cuore, verso di
noi è la sua brama, ma sta a noi dominarlo (Gen 4,7); anche l’apostolo nel Nuovo Testamento
ci ricorda che “il peccato ci assedia”, che ci sono “dominanti che ci seducono”, che esistono
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“desideri che contraddicono la nostra libertà”. Sì, c’è una lotta spirituale dura, quotidiana, che
richiede da parte del cristiano l’atteggiamento proprio di chi va in guerra, ma con armi
spirituali. Questa lotta ha come luogo il nostro cuore, il centro della nostra vita psicologica,
morale e spirituale, il luogo dell’intelligenza e della memoria, della volontà, del desiderio e di
tutti gli altri sentimenti, lo spazio dell’incontro tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e il suo simile. Ma il
cuore si trova anche esposto alla malattia della sclerocardia se, a poco a poco, è reso incallito
dal nostro non ascolto della parola di Dio e dal nostro acconsentire a ciò che contraddice la
volontà del Signore.
Avere un cuore unificato, un cuore puro, sensibile e capace di discernimento, un cuore che
custodisce e genera pensieri d’amore è lo scopo della lotta spirituale. Che arte
appassionante! Prepararsi nella vigilanza alla lotta, a quella lotta che Rimbaud definiva “più
dura della guerra che si fanno gli uomini”; riconoscere il sopraggiungere della pulsione,
giudicarne la qualità buona o cattiva e, se cattiva, resistere ad acconsentirvi combattendo con
le armi della memoria Dei, dell’invocazione del Nome santo del Signore Gesù; intraprendere,
quando necessario, la fuga per non soccombere? Sì, contemplando la bontà dell’amore di Dio
e degli altri, fissando lo sguardo su quella dolcezza che può sostenerci, la vittoria sulla
tentazione diventerà possibile.
(Enzo Bianchi)
Lavori di gruppo
Proponiamo di concordare con l’ente contattato una ipotetica attività concreta
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Accoglienza
Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
PICCOLI AFFARI SPORCHI
Di Stephen Frears – Buena Vista, 2003
Soggetto:
A Londra Okwe, immigrato illegale nigeriano, fa uso di caffeina e di pericolosi stimolanti per
conservarsi due lavori: il tassista durante il giorno, il portiere di notte in un vecchio albergo di
West London, nelle ore in cui le ragazze squillo arrivano con i clienti. Okwe divide un
appartamento di due stanze con Senay, ragazza turca in attesa del permesso di soggiorno e
anche lei presa nell'albergo come cameriera. Quella brutta vita quotidiana viene sconvolta
quando Okwe scopre un giorno che in una stanza dell'albergo Sneaky, un altro dei portieri, ha
dato il via ad un orribile traffico: agli immigrati clandestini viene offerto di cedere un rene in
cambio del passaporto o di un visto regolare. Se accettano, l'operazione viene compiuta di
notte nell'albergo. Dopo un susseguirsi di colpi di scena, Okwe e Senay smascherano il
traffico ma non possono impedire che a Juan, il malcapitato di turno, venga tolto il rene in
seguito alla consegna di falsi passaporti. Allora Okwe accompagna all'aeroporto Senay, che si
trasferisce a New York, poi telefona alla moglie e alla figlia in Nigeria e dice che sta per
tornare a casa.
Valutazione pastorale:
Stephen Frears é inglese (nato a Leicester nel 1941) ed é uno di quei registi che sanno
muoversi con bella personalità da una parte all'altra dell'oceano. Negli Stati Uniti ha girato
"Rischiose abitudini", "Eroe per caso", "Mary Really"; in Gran Bretagna "My beautiful
laundrette", "The snapper"...e ora questo piccolo film, di produzione televisiva BBC, pungente
e incisivo. Quasi nascondendosi dietro le esigenze di generi commerciali, Frears mescola
commedia, thriller, dramma senza mai perdere di vista il quadro d'insieme, senza lasciare
vuoti o cadute di tono. Così i temi “importanti” escono: l'immigrazione clandestina, lo
sfruttamento, il terribile commercio di organi. Il tutto sullo sfondo di una Londra un po' cinica,
un po' indifferente, ritratta nel sottobosco di figure minori disegnate con vigore. Ambienti di
nicchia, scampoli di esistenze difficili: una denuncia che non grida, ma lascia il segno. Dal
punto di vista pastorale, il film è da valutare come accettabile, e senz'altro realistico.
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La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
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La realtà della società italiana è quella di una realtà multietnica e multireligiosa.
L’immigrazione, motivata da motivi di studio, lavoro, e fuga da condizioni insopportabili, è
fenomeno che arricchisce indubbiamente la nostra realtà italiana. Molti cristiani hanno
posto in atto molte energie per promuovere uno stile e opere di accoglienza nei confronti
di tante persone che arrivano nel nostro paese e che bussano alle porte delle nostre
comunità.
Proponiamo di incontrare persone che lavorano nei centri di ascolto della Caritas, sparsi
in varie parti della diocesi, oppure di contattare direttamente la Caritas Diocesana o il
Centro pastorale Immigrati
Potrebbe essere significativo incontrare qualche immigrato, che metta in luce il
cambiamento di vita e di percorso di fede che il suo migrare gli ha permesso di fare
Legati all’immigrazione, esistono particolari vicende di sofferenza ed emarginazione.
Contattare l’Associazione Papa Giovanni XXIII per un dialogo sull’aiuto che loro danno
alle ragazze di strada. Segreteria Verona Tel. 0442-26657 Fax 0442-26738
Uno sguardo di grande attenzione può essere dato alla realtà degli zingari, incontrando la
comunità ecclesiale tra i Rom e i Sinti, Strada dei monti 24, 37125 Parona, 045/8890160
045/504676
Realtà molto interessante da contattare dal punto di vista informativo è il CESTIM Centro
Studi Immigrazione onlus via S.Michele alla Porta 3 - 37121 Verona Tel. 045-8011032,
Approfondire numeri e motivazioni dell’emigrazione
Mettera a fuoco i problemi oggettivi che l’immigrazione comporta e le nostre resistenze
personali e sociali
Cercare di capire cosa gli immigrati portano alla società e alla chiesa italiana
Dare uno sguardo anche alla realtà di profughi e rifugiati
Approfondire modi e motivi di uno stile e di un impegno cristiano di accoglienza, di
incontro e di integrazione con gli immigrati
Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
di quesiti sul “perché la differenza cristiana”
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Israele trasse la sua origine da Abramo che, obbediente alla voce di Dio, uscì dalla sua
terra e andò in Paese straniero portando con sé la promessa divina di diventare padre “di
un grande popolo” (Gn 12,1-2).
Giacobbe, da "Arameo errante, scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca
gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa" (Dt 26,5).
Israele ricevette la solenne investitura di “Popolo di Dio”, dopo lunga schiavitù in Egitto,
durante i quarant'anni di “esodo” attraverso il deserto. La dura prova delle migrazioni e
deportazioni è quindi fondamentale nella storia del Popolo eletto, in vista della salvezza di
tutti i popoli: così è nel ritorno dall'esilio (Is 42,6-7; 49,5).
Con tale memoria esso si sente rinfrancato nella fiducia in Dio, anche nei momenti più
oscuri della sua storia (Sal 105 [104], 12-15; Sal 106 [105], 45-47). Nella Legge, poi, si
giunge a dare, per i rapporti con lo straniero dimorante nel paese, lo stesso comando
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impartito per quelli con "i figli del tuo popolo" (Lv 19,18), cioè “tu l'amerai come te stesso”
(Lv 19,34).
Lo stile di vita di Gesù stesso è stato quello di un migrante:
Più che prossimo, il cristiano contempla nello straniero il volto di Cristo stesso, il quale
nasce in una mangiatoia e, straniero, fugge in Egitto, assumendo e ricapitolando in sé
questa fondamentale esperienza del suo popolo (cfr. Mt2,13ss). Nato fuori casa e
proveniente da fuori Patria (cfr. Lc 2,4-7).
Abitò in mezzo a noi (Gv 1,11-14) e trascorse la sua vita pubblica, itinerante, percorrendo
"città e villaggi" (Lc 13,22;Mt 9,35). Risorto, e tuttavia ancora straniero, sconosciuto,
apparve in cammino verso Emmaus, a due suoi discepoli che lo riconobbero solo allo
spezzar del pane (Lc 24,35).
I cristiani sono quindi alla sequela di un viandante “che non ha dove posare il capo (Mt
8,20; Lc 9,58) (Pontificio Consiglio per i migranti, La carità di Cristo verso i migranti 14-15)
Il migrante ci ricorda il senso della nostra esistenza, che è relativizzazione delle cose
terrene e cammino verso una patria che ci attende (Eb 11,8-16)
Qualche risposta:
prospettive di approfondimento
Visione di fede del fenomeno migratorio
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La Chiesa ha sempre contemplato nei migranti l'immagine di Cristo, che disse: "Ero
straniero e mi avete ospitato" (Mt 25,35). La loro vicenda, per essa, è cioè una
provocazione alla fede e all'amore dei credenti, sollecitati così a sanare i mali derivanti
dalle migrazioni e a scoprire il disegno che Dio attua in esse, anche qualora fossero
causate da evidenti ingiustizie.
Le migrazioni, avvicinando le molteplici componenti della famiglia umana, tendono in
effetti alla costruzione di un corpo sociale sempre più vasto e vario, quasi a
prolungamento di quell'incontro di popoli e razze che, per il dono dello Spirito, nella
Pentecoste, divenne fraternità ecclesiale.
Se da una parte le sofferenze che accompagnano le migrazioni sono infatti espressione
del travaglio del parto di una nuova umanità, dall'altra le disuguaglianze e gli squilibri, dei
quali esse sono conseguenza e manifestazione, mostrano in verità la lacerazione
introdotta nella famiglia umana dal peccato, e risultano pertanto una dolorosa invocazione
alla vera fraternità.
Questa visione ci porta ad accostare le migrazioni a quegli eventi biblici che scandiscono
le tappe del faticoso cammino dell'umanità verso la nascita di un popolo, oltre le
discriminazioni e le frontiere, depositario del dono di Dio per tutti i popoli e aperto alla
vocazione eterna dell'uomo.
La fede vi intravede, cioè, il cammino dei Patriarchi che, sostenuti dalla Promessa,
tendevano alla Patria futura, e quello degli Ebrei, che furono liberati dalla schiavitù
passando attraverso il Mar Rosso, con l'esodo che dà origine al Popolo dell'Alleanza.
Sempre la fede vi trova, in un certo senso, l'esilio che pone l'uomo di fronte alla relatività
di ogni meta raggiunta, e vi scopre di nuovo il messaggio universale dei Profeti. Essi
denunciano, come contrarie al disegno di Dio, le discriminazioni, le oppressioni, le
deportazioni, le dispersioni e le persecuzioni, e ne prendono occasione per annunciare la
salvezza per tutti gli uomini, testimoniando che, pure nel caotico succedersi e contraddirsi
degli avvenimenti umani, Dio continua a tessere il suo disegno di salvezza fino alla
completa ricapitolazione dell'universo in Cristo (cfr. Ef 1,10).
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Accoglienza e solidarietà
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Le migrazioni costituiscono dunque un evento che tocca anche la dimensione religiosa
dell'uomo e offrono ai migranti cattolici l'opportunità privilegiata, seppur spesso dolorosa,
di giungere a un maggiore senso di appartenenza alla Chiesa universale, oltre ogni
particolarità.
A tale scopo è importante che le comunità non ritengano esaurito il loro dovere verso i
migranti compiendo semplicemente gesti di aiuto fraterno o anche sostenendo leggi
settoriali che promuovano un loro dignitoso inserimento nella società, che rispetti l'identità
legittima dello straniero. I cristiani devono essere promotori di una vera e propria cultura
dell'accoglienza (EEu 101,103), che sappia apprezzare i valori autenticamente umani
degli altri, al di sopra di tutte le difficoltà che comporta la convivenza con chi è diverso da
noi (EEu 85,112 e pag 65).
Tutto questo i cristiani lo realizzeranno con una accoglienza veramente fraterna,
rispondendo all'invito di S. Paolo: “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse
voi, per la gloria di Dio” (Rm 15,7)
Certo, il semplice appello, per quanto altamente ispirato e accorato, non dà una
automatica, concreta risposta a quanto ci assilla giorno per giorno; non elimina, ad
esempio, una diffusa paura o l'insicurezza della gente, non assicura il doveroso rispetto
della legalità e la salvaguardia della comunità di accoglienza; ma lo spirito autenticamente
cristiano darà stile e coraggio nell'affrontare questi problemi e suggerirà i modi concreti
con cui, nella vita quotidiana delle nostre comunità cristiane, siamo chiamati a risolverli
(EEu 85,111).
Approfondimenti per gli animatori
Gli altri, questi sconosciuti
Eppure il cristiano non avrebbe dovuto dimenticare che la sua condizione su questa terra è
proprio quella dello straniero e del pellegrino che non possiede patria, perché la sua patria è
nei cieli (FU 3,20), che non vanta diritti ereditari, perché suo padre era un arameo errante (Dt
26,5), che non si installa in nessuna roccaforte, perché il suo habitat è la paroikia, la carovana
(1Pt 1,17). Noi cristiani siamo discepoli di un viandante per il quale non c'era posto
nell'albergo (Lc 2,7), di uno venuto tra i suoi senza essere accolto (Gv 1,11), di un pellegrino
così forestiero da non conoscere cos'è avvenuto a Gerusalemme (Lc 24,18). Gesù arriva
perfino a identificarsi con lo straniero-eretico per eccellenza: il Samaritano (Lc 10,29-37). Sì,
come cristiani non possiamo non dirci stranieri, siamo tutti forestieri, come ben aveva capito
l'autore della lettera a Diogneto, scritta a cavallo tra il II° e il III° secolo della nostra era: «I
cristiani vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da
tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è
straniera» (A Diogneto V,5). D'altronde, un mi-drash rabbinico al Salmo 119,19 «Io sono straniero sulla terra», non arriva forse a mettere in bocca a Dio stesso questa frase? Sì, Dio non
solo ci chiede di aver cura, di rispettare il forestiero, memori della nostra antica condizione di
stranieri (Es 22,20), non solo afferma di ascoltare il grido dello straniero, ma arriva addirittura
- lui, il completamente Altro - a identificarsi con il forestiero, affinché noi stessi riconosciamo di
non essere altro che stranieri.
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L'irrompere della diversità - di lingua, di cultura, di religione, di comportamenti - nella quotidianità delle nostre vite oggi ci turba, quasi incombesse come oscura minaccia alla nostra
identità. Non di minaccia si tratta, bensì di purificazione, di assunzione di consapevolezza:
l'altro è colui che mi permette di capire chi sono, colui che per opposizione mi plasma, colui
che rafforza la mia identità proprio mentre la contesta; il nemico è il migliore dei maestri che
incontriamo nella vita. Nell'Evangelo secondo Giovanni, Gesù squarcia dei veli circa la propria
identità e missione proprio in risposta a interrogativi o attacchi di persone a lui estranee, se
non ostili: la samaritana al pozzo, quei farisei attorno al cieco nato, quei greci saliti a
Gerusalemme per il culto, Pilato al processo. Negli evangeli post-pasquali poi, il Cristo risorto
appare riconoscibile solo nell'altro: nel giardiniere, nel pellegrino di Emmaus, in un estraneo
presso il lago. Nell'episodio di Emmaus, il forestiero, colui che non sa nulla di quanto è
avvenuto a Gerusalemme, diventa addirittura la chiave di interpretazione dell'intera vicenda
della passione, morte e resurrezione di Gesù; l'altro cessa allora di essere il nemico e diventa
il tramite, l'interprete, colui che mi traghetta dal mio io alla verità che è più grande di me
stesso e del mio cuore.
Sì, ci attende un lungo e faticoso cammino: in questa nuova stagione, per essere uomini e
cristiani autentici dobbiamo diventare competenti ed esperti di diversità, allenati a riconoscere
l'alterità, capaci di incontrare e quindi di comunicare con uomini e donne che vengono da altre
culture, altre esperienze, e che percorrono strade che non sono le nostre. Dobbiamo imparare
a rispettare persone di cui non sappiamo nulla e a lasciarci interrogare dalle loro scelte, dai
loro stili di vita differenti. Non dobbiamo semplicemente tollerare la diversità, ma condividerla,
accettando il mistero dell'altro che sovente si presenta a noi come enigma... In ogni forestiero
c'è un enigma che richiede di essere interpretato, affinché diventi mistero e insegnamento. Gli
altri non sono l'inferno, come scriveva Jean-Paul Sartre, gli altri sono la nostra beatitudine su
questa terra. (Enzo Bianchi)
La Chiesa e il popolo zingaro
Dalla seconda metà del secolo scorso v’è stato, da parte dei Pastori, un progressivo
avvicinamento agli Zingari, avviandosi in alcuni Paesi una pastorale specifica a favore di
questa popolazione. Il Concilio Vaticano II ha inoltre esortato i Vescovi ad avere «un
particolare interessamento per quei fedeli che, a motivo delle loro condizioni di vita, non
possono godere dell’ordinario ministero dei parroci o sono privi di qualsiasi assistenza», e fra
questi fedeli sono annoverati anche «i nomadi» (CD 18). Un tale particolare interessamento è
stato confermato da Paolo VI, quando, nel celebre incontro di Pomezia, già ricordato, così si è
rivolto agli Zingari: «voi siete nel cuore della Chiesa»! La dignità cristiana, nella loro
condizione, ha ricevuto poi un ulteriore riconoscimento con la beatificazione di Zeffirino
Giménez Malla (1861-1936), detto “il Pelé”, uno Zingaro spagnolo appartenente al gruppo
nomade dei Kalós. (Dal documento del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti,
Orientamenti per una pastorale degli zingari)
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lavori di gruppo
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Potrebbe essere un’attività significativa quella di cercare di conoscere gli immigrati
presenti nel proprio territorio, partendo magari (visto che è più semplice) dai cattolici.
L’occasione e il motivo potrebbe essere un momento di festa. L’obiettivo senz’altro è
quello di far diventare la parrocchia un’esperienza di chiesa in cui tutti si sentano a
casa:
La parrocchia è luogo di incontro e di integrazione di tutte le componenti d'una
comunità. Essa rende visibile e sociologicamente individuabile il progetto di Dio di
chiamare tutti gli uomini all'alleanza sancita in Cristo, senza eccezione o esclusione
alcuna. La parrocchia, che etimologicamente designa un'abitazione in cui l'ospite si
trova a suo agio, accoglie tutti e non discrimina nessuno, perché nessuno le è
estraneo. Essa coniuga la stabilità e la sicurezza di chi si trova a casa propria con il
movimento o la provvisorietà di chi è di passaggio. Dove il senso della parrocchia è
vivo, si affievoliscono o scompaiono le differenze tra nativi e stranieri, poiché prevale
la consapevolezza della comune appartenenza a Dio, unico Padre. (Messaggio di
Giovanni Paolo II per la Giornata delle migrazioni del 1999)
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Si potrebbe partire dal cercare un legame con una comunità etnica presente o meno sul
territorio, che sia della stessa nazione cui si è legati dal punto di vista missionario, o
comunque una comunità numericamente molto presente sul territorio. Obiettivo concreto
di questa opera di sensibilizzazione potrebbe essere quello di una prima conoscenza tra
giovani, da realizzarsi attraverso varie attività:
una cena etnica, e/o una serata di musica etnica con gli immigrati della zona (qui non c’è
problema nell’aprirsi anche a immigrati di altre religioni)
Veglia di Pentecoste dei giovani, coinvolgendo gli immigrati cattolici che abitano in zona,
in lingue e con canti di varie nazioni
diffondere e promuovere la partecipazione (e partecipare) alla Festa diocesana dei popoli
Riferimento:
Centro Pastorale Immigrati, via Provolo 27, 045 8004247
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Celebrazione
In ginocchio davanti a Dio,
in ginocchio davanti all’’’ uomo
Istruzioni: La celebrazione che segue è pensata in forma di preghiera davanti all’Eucaristia.
Si articola in due momenti, che evidenziano l’atteggiamento di servizio come realizzazione del
comandamento dell’amore. Lasciandoci guidare dall’esempio di Gesù che lava i piedi ai
discepoli, possiamo fare altrettanto, sapendo che solo così possiamo essere intimamente uniti
a lui e vivere da veri testimoni. A conclusione della celebrazione è posto un gesto simbolico,
quello del sassolino nella scarpa che rappresenta ciò che può bloccarci nel servizio: per
questo gesto è necessario che la persona che guida la celebrazione, suo malgrado, porti per
tutto il tempo un sassolino nella scarpa (!). Ma sarà un sacrificio che varrà la pena fare…
Esposizione e canto
Guida:
Siamo davanti al Signore, nascosto sotto le sembianze del pane. Ammiriamo la
maestà di Dio che sceglie di farsi presente in uno dei prodotti più umili del lavoro degli uomini.
Per formare quel pane si sono messi insieme molti chicchi, quanti siamo noi e di più ancora.
Un solo chicco di grano non fa pane, come un cristiano isolato ed individualista non fa Chiesa.
La storia dei primi cristiani, tanto lontana e pur tanto simile alla nostra, sprigiona una forza
coesiva che incanta e commuove. Non si fa comunione con Cristo se non si fa comunione
con i fratelli. E la comunione, la profonda unione tra le persone, viene solo dall’amore.
1 – Si cinse un asciugatoio
Dal Vangelo Secondo Giovanni (Gv 13, 1-17)
Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo
mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre
cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di
tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e
a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno
alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad
asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli
disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?". Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo
capisci, ma lo capirai dopo". Gli disse Simon Pietro: "Non mi laverai mai i piedi!". Gli rispose
Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me". Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i
piedi, ma anche le mani e il capo!". Soggiunse Gesù: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di
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lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti". Sapeva infatti chi lo
tradiva; per questo disse: "Non tutti siete mondi". Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e
riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: "Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate
Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho
lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio,
perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più
grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste
cose, sarete beati se le metterete in pratica.
Lettore1: È l'ora di valorizzare tutto: il poco, il piccolo, il meno bello... Perché un pizzico di
lievito fa crescere una massa di farina. Milioni di piccolissime cellule ci offrono la meraviglia di
un corpo umano e milioni di fili d'erba la bellezza di un prato verde a primavera.
È l'ora di valorizzare anche tutto quello che è in te. Raccogli tutto ciò che lo Spirito ha posto
nella tua vita. C'è sempre qualcuno che ha fame di verità e di pace, e viene a bussare alla
porta del tuo cuore...
Offrigli le cose più preziose che sono in te: la prontezza dell'intelligenza, la forza di volontà, la
profonda capacità di ascolto e di consolazione... Se non possiedi questi doni in modo vistoso
non rattristarti. Offri i piccoli doni di cui sei portatore: un'idea gentile, un sentimento di amore
sincero, la freschezza del tuo dialogo e del tuo sorriso.
Allora comprenderai che i piccoli doni che offri non sono poi... degli avanzi. Sono semi
destinati a germinare, a fiorire, a fruttificare.
La vita ci educa a donare le nostre capacità, le nostre doti, i privilegi... perché chi non ha
possa essere arricchito da me. Ciò che sostiene questa logica è la convinzione che tutto ci è
stato donato gratuitamente e che tutto, quindi, siamo chiamati a donare; che non siamo
padroni di nulla, che ciò che ci rende graditi al Padre è questa capacità di condividere e di
spezzarci.
Tu che vivi del Pane della vita, tu che ti lasci plasmare da questo dono di salvezza, tu che
comunicandoti a Lui divieni “corpo di Cristo”…dove e come puoi essere “servo per amore”?
Canto: Servo per amore
Lettore2:
Se dovessi scegliere un ricordo di te, Signore, prenderei proprio quel catino
colmo d'acqua sporca. Girare il mondo con quel recipiente e ad ogni piede cingermi
dell'asciugatoio
e curvarmi giù in basso, non alzando mai la testa oltre il polpaccio per non distinguere i nemici
dagli amici, e lavare i piedi del vagabondo, dell'ateo, del drogato, del carcerato, dell'omicida,
di chi non mi saluta più, di quel compagno per cui non prego mai, in silenzio finché tutti
abbiano capito nel mio il tuo amore.
(Luigi Santucci, Una vita di Cristo: «Volete andarvene anche voi?»)
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Risposta corale:
Signore, vuoi le mie mani per passare questa giornata
aiutando i poveri e i malati che ne hanno bisogno?
Signore, oggi ti do le mie mani.
Signore, vuoi i miei piedi per passare questa giornata
visitando coloro che hanno bisogno di un amico?
Signore, oggi ti do i miei piedi.
Signore, vuoi la mia voce per passare questa giornata
parlando con quelli che hanno bisogno
di parole d'amore?
Signore, oggi ti do la mia voce.
Signore, vuoi il mio cuore per passare questa giornata
amando ogni uomo solo perché è un uomo?
Signore, oggi ti do il mio cuore.
(Madre Teresa di Calcutta)
Canto
2 – Da questo si conosce che noi
rimaniamo in Lui
Dalla prima lettera di san Giovanni Apostolo
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio
e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
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In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel
mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad
amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione
per i nostri peccati.
Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha
visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. Da
questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito.
Lettore1:
Ciò che hai fatto tu, Signore, chiedi anche a noi di farlo. Ci chiedi di piegare le
nostre ginocchia, noi che siamo spesso così rigidi e orgogliosi. Ci chiedi di chinarci davanti
agli altri, uomini come noi. Ci chiedi di ripulirli, di lavarli, di servirli, di allontanare da noi e da
loro le loro sporcizie, di non guardare al difetto, ma di farci avanti per allontanarlo. Ci chiedi di
preoccuparci degli uomini, di avere cura di loro. Ci chiedi di trovare in questo la nostra vera
grandezza: nel farci piccoli, nel farci ultimi, nel farci servi. Chi è grande deve farsi servo del
più piccolo, il primo deve chinarsi davanti all’ultimo.
Lettore2: Da questo, ci dici, tutti vedranno che ti abbiamo conosciuto. Il nostro distintivo, il
nostro segno di riconoscimento sarà questo andare controcorrente rispetto alle leggi del
mondo, per scegliere con coraggio di donarci come hai fatto tu. Attingendo dal tuo
grandissimo amore, troveremo anche in noi stessi la ricchezza del cuore necessaria a farci
dono per gli altri.
Gesto
Celebrante o guida: Ora vi mostro cosa ho tenuto con me per tutto il tempo della
celebrazione: un sassolino nella scarpa. Non è stato certo comodo, ma durante tutto il tempo
che sono stato con voi ho cercato di superare questo piccolo problema. Se non mi fossi
sforzato di non pensarci, di sorvolare, di guardare oltre, non sarei riuscito a fare quello che
desideravo fare per voi.
Questo sassolino può rappresentare lo scoglio che spesso ci ferma di fronte ad un servizio da
prestare agli altri (pregiudizi, vecchi rancori, antipatie, timidezza, senso d’inadeguatezza,
paura di essere giudicati, poca voglia di fare fatica, ecc.), un blocco che spesso camuffiamo
con scuse (non ho tempo, non sono portato, ecc.).
Ora possiamo scrivere su un biglietto qual è il problema, la paura, lo “scoglio” che facciamo
più fatica ad affrontare quando siamo chiamati a prestare un servizio a qualcuno che ne ha
bisogno, quindi depositiamo il biglietto in una cesta davanti all’altare, offrendolo al Signore
come impegno personale. In cambio prendiamo dalla cesta accanto un sassolino che terremo
con noi come promemoria dell’impegno preso.
canto
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Risposta corale al gesto: Noi ci impegniamo…
Ci impegniamo noi, e non gli altri;
unicamente noi, e non gli altri;
né chi sta in alto, né chi sta in
basso; né chi crede, né chi non crede.
Ci impegniamo,
senza pretendere che gli altri si impegnino,
con noi o per conto loro, con noi o in altro modo.
Ci impegniamo
senza giudicare chi non s’impegna,
senza accusare chi non s’impegna,
senza condannare chi non s’impegna,
senza cercare perché non s’impegna.
Il mondo si muove se noi ci muoviamo,
si muta se noi mutiamo,
si fa nuovo se qualcuno si fa nuova creatura.
La primavera incomincia con il primo fiore,
la notte con la prima stella,
il fiume con la prima goccia d’acqua,
l’amore col primo pegno.
Ci impegniamo perché noi crediamo nell’amore,
la sola certezza che non teme confronti,
la sola che basta a impegnarci perpetuamente.
don Primo Mazzolari
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Guida: Riceviamo la benedizione eucaristica e poi, in piedi davanti al Santissimo, recitiamo
insieme la preghiera che segue, come risposta al segno di benevolenza del Signore che,
presente e vivo davanti a noi, benedice la nostra intenzione di farci prossimi di chi ci sta
accanto, come Lui stesso ci ha insegnato con il suo esempio.
Insieme:
Beati noi se, avendo viva nella mente e nel cuore l'icona del Figlio di Dio in ginocchio davanti
all'uomo, mentre lava i piedi ai discepoli, stiamo gli uni di fronte agli altri in atteggiamento di
servizio, con rispetto, venerazione, serenità, amore, cosi come si sta davanti a Dio.
Beati noi se riusciamo a vivere di gratitudine, lode,ringraziamento verso il Padre che da
sempre ciama e ci ha creati, nei confronti del Figlio che con la sua vita donata ci ha redenti,
nello Spirito che giorno dopo giorno ci fa santi.
Beati noi se ci facciamo ascolto di Colui che è Parola e Pane ed ha il potere di scaldare il
cuore e aprire gli occhi, per riconoscerlo risorto e correre per portare al mondo l'annuncio di
una festa nuova.
Variante: in alternativa proponiamo la celebrazione dell’Eucaristia. Il racconto dell’ultima cena
nell’evangelista Giovanni infatti non narra dell’istituzione dell’Eucaristia, ma di un gesto
compiuto da Gesù che ha il medesimo significato: la lavanda dei piedi.
Come nell’istituire l’Eucaristia, Gesù esprime la consegna di se stesso (Questo è il mio corpo
per voi), così la lavanda dei piedi dice sinteticamente tutta la vita di Gesù data per servire i
fratelli.
Proponiamo quindi di celebrare l’Eucaristia per rivivere realmente il donarsi di Cristo
nell’Eucaristia, celebrando anche il rito della lavanda dei piedi, esplicitazione concreta dello
stile di vita che nasce dall’Eucaristia.
Proponiamo semplicemente tre sottolineature durante la Messa,
lasciandoci guidare dal racconto di Giovanni:
1° momento: dopo il saluto liturgico leggere il versetto seguente, ricordando il significato
dell’Eucaristia come memoriale di ciò che Gesù ha compiuto nell’ultima cena
Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo
mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
2° momento: lettura del Vangelo
2 Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di
Simone, di tradirlo, 3 Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era
venuto da Dio e a Dio ritornava, 4 si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio,
se lo cinse attorno alla vita. 5 Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei
discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. 6 Venne dunque da Simon Pietro
e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7 Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu
ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». 8 Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i
piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9 Gli disse Simon
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Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». 10 Soggiunse Gesù: «Chi ha
fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma
non tutti». 11 Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi».
Omelia: introduzione con la lettura di questo testo di don Tonino Bello
Stola e grembiule
Forse a qualcuno può sembrare un'espressione irriverente, e l'accostamento della stola col
grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio.
Si, perchè di solito la stola richiama l'armadio della sacrestia, dove con tutti gli altri paramenti
sacri, profumata d'incenso, fa bella mostra di sè, con la sua seta ed i suoi colori, con i suoi
simboli ed i suoi ricami. Non c'è novello sacerdote che non abbia in dono dalle buone suore
del suo paese, per la prima messa solenne, una stola preziosa.
Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la
credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di
mano della buona massaia. Ordinariamente non è articolo da regalo: tanto meno da parte
delle suore, per un giovane prete. Eppure è l'unico paramento sacerdotale registrato dal
vangelo. Il quale vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù nella notte del Giovedì
Santo, non parla nè di casule, nè di amitti, nè di stole, nè di piviali.
Parla solo di questo panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto squisitamente
sacerdotale.
Chi sa che non sia il caso di completare il guardaroba delle nostre sacrestie con l'aggiunta di
un grembiule tra le dalmatiche di raso e le pianete di samice d'oro, tra i veli omerali di
broccato e le stole a lamine d'argento!
La cosa più importante, comunque, non è introdurre il "grembiule" nell'armadio dei paramenti
sacri, ma comprendere che la stola ed il grembiule sono quasi il diritto ed il rovescio di un
unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l'altezza e la larghezza di un
unico panno di servizio: il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo. La stola senza il
grembiule resterebbe semplicemente calligrafica. Il grembiule senza la stola sarebbe
fatalmente sterile.
A questo punto il celebrante si toglie la casula, e sotto appare vestito con sopra il camice sia
la stola che il grembiule. Spiega quindi il legame Eucaristia - lavanda dei piedi, e poi “a
tradimento” lava i piedi ad alcuni dei ragazzi (quelli che ha più vicini a sé, oppure a 12 se poi
ci sono anche altri ragazzi)
3° momento: compiuta la lavanda dei piedi si legge l’ultima parte del Vangelo
12 Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro:
«Sapete ciò che vi ho fatto? 13 Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo
sono. 14 Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi
i piedi gli uni gli altri. 15 Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche
voi. 16 In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è
120
più grande di chi lo ha mandato. 17 Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in
pratica.
Proseguendo quindi la riflessione, il sacerdote invita quindi coloro cui ha lavato i piedi a fare
altrettanto con gli altri ragazzi.
La celebrazione eucaristica prosegue poi normalmente.
Al termine viene consegnato ad ogni ragazzo un grembiule.
121
Parte 3
Fatelo anche voi
1.1.3
Anche voi chi? Semplice, i suoi discepoli, la sua comunità. Entriamo allora dentro la comunità
parrocchiale, per coinvolgere alcune persone che nell’ordinarietà della parrocchia vivono il
proprio servizio. Potranno essere persone impegnate nel servizio caritativo di cui abbiamo
parlato nel precedente capitolo; potranno essere catechisti e animatori, o alcune persone di
speciale consacrazione.
Animati tutti dal desiderio di fare come lui: perché?
122
)
Animatore
Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
WILL HUNTING - GENIO RIBELLE
Di Gus Van Sant – Cecchi Gori, 1998
Soggetto:
Nei quartieri poveri a sud di Boston, Will Hunting, vent’anni, vive in modo precario e
disordinato insieme ad alcuni amici teppisti e guadagna qualcosa, lavorando come inserviente
nel dipartimento di matematica del famoso MIT. Tra una chiacchiera e l'altra, e incontri
occasionali, Will si lascia andare ad improvvise citazioni storiche e risolve senza fatica un
problema di matematica che sembra difficilissimo. Tutto ciò attira l'attenzione del prof.
Lambeau, che comincia a seguire Will fin quando il ragazzo, arrestato dopo l'ennesima rissa
in un bar, viene condannato alla prigione. Lambeau interviene per fargli ottenere la libertà,
promettendo al giudice di affidarlo ad uno psicologo. Dapprima Will deride i medici che
provano a curarlo, poi Lambeau decide di affidarsi a Sean, vecchio compagno di università. I
due cominciano a parlare. Sean ha perso da poco la moglie, ed è un vuoto che non riesce
ancora a colmare. Will lo capisce e se ne serve per metterlo in difficoltà. Tra i due si instaura
un rapporto difficile, ma molto schietto che tuttavia sembra sfociare in una rottura. Molto
seccato per l'anda-mento delle cose, Lambeau rimprovera aspramente Sean, facendo
riaffiorare antichi attriti dei tempi dell'università. Intanto Will, che ha rifiutato importanti
proposte di lavoro, conosce Skylar, una studentessa di Harvard, con la quale inizia una
relazione. Skylar gli confessa di essere innamorata, ma lui rifiuta qualsiasi affetto, memore
delle delusioni e delle violenze ricevute durante l'infanzia e l'adolescenza. Avendo passato le
stesse difficoltà, Sean trova finalmente gli argomenti e le parole giuste per arrivare ad una
nuova comprensione con il suo paziente, che alla fine scoppia in lacrime e si lascia
convincere ad accettare un nuovo lavoro e a raggiungere la ragazza che lo ama.
Valutazione Pastorale:
Matt Damon, il giovane attore protagonista, è anche l’autore del soggetto. L’aveva preparato
come tesi di scrittura creativa quando era studente ad Harward nel 1992, poi, insieme
all’amico coetaneo Ben Affleck, l’aveva ripreso e rielaborato fino a farne una sceneggiatura
completa. Nel copione i due autori hanno descritto lo stato psicologico ed esistenziale di tanta
gioventù americana: l’infanzia difficile, la paura di crescere, la schermatura di sé stessi di
123
fronte all’esterno. Reso diffidente da esperienze dolorose, Will porta con sé i guasti di un
ambiente negativo e tuttavia, pur continuando a scontrarsi, prende coscienza della propria
non-vita, intuisce di non dover sprecare il talento di cui è in possesso, si lascia andare alla
comprensione, all’amore, forse alla costruzione di qualcosa di più solido. Affidato a situazioni
drammatiche autentiche e sincere, il film si segnala per la forza con cui sottolinea l’importanza
di valori positivi nella crescita dell’individuo: la necessità di dare e ricevere fiducia, il colloquio,
l’importanza degli affetti, tutti elementi che si intrecciano con altri (la presenza e il ruolo dello
psicanalista) a costruire un quadro movimentato e intenso. Ne deriva, dal punto di vista
pastorale, un film senz’altro complesso, da accettare sia pure con qualche riserva, per alcune
situazioni un po’ meno sorvegliate. Da consigliare anche per dibattiti.
La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
o
Qui la testimonianza non è da cercare fuori dal gruppo, ma da voi stessi o da qualche
collega animatore o catechista di qualche altro gruppo: l’animatore si mette in gioco sul
perché lui ha scelto o deciso (probabilmente su invito altrui …) di diventare responsabile
della trasmissione della fede e della crescita umana di ragazzi e ragazze.
o
Domande che si devono tener come sottofondo:
•
•
•
•
•
•
Perché questa scelta?
Quali motivazioni sono alla base di questa decisione?
Qual è l’obiettivo che ci si è posti?
Quale il momento preciso in cui si è capito l’importanza di una testimonianza
diretta ed esplicita di carattere cristiano?
Momenti difficili e momenti belli …
La domanda “canonica” in questo caso: ma chi te lo fa fare? Risposta...
Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
o
Ancora l’animatore: sceglie e propone il brano biblico che più gli si addice e rappresenta
nella scelta di impegnarsi come educatore.
•
•
•
•
124
Quando ho letto per la prima volta questo brano?
Cosa mi ha detto quel giorno?
Perché ha “cambiato” la mia vita? In che modo ha inciso?
Come ho provato a tradurlo concretamente nelle mie scelte?
Qualche risposta:
prospettive di approfondimento
Il Prologo della Prima lettera di Giovanni, come testimonianza della prima generazione di
cristiani, testimoni oculari di Cristo, sull’atto del comunicare la fede alla generazione
successiva:
o Il riferimento all’evento di Gesù Cristo, verbo di Dio fatto uomo
o L’esperienza personale dell’incontro con il Cristo
o La comunità (noi) alla generazione successiva (voi)
o Annunciamo: la dimensione del narrare i fatti, l’esperienza e la qualità della relazione con
Cristo
o Perché siate in comunione con noi: vi inseriate nella catena di trasmissione della fede che
ha coinvolto anche noi
o La nostra comunione è col padre e col Figlio suo Gesù Cristo: fino ad arrivare a quello
stesso Gesù Cristo che ci ha messi in comunione con Dio Padre
o La nostra gioia sia in voi: perché possiate fare la stessa esperienza di gioia che nasce
dall’incontro con Cristo che abbiamo fatto noi
Approfondimenti per gli animatori
La catechesi ai giovani
Con la giovinezza giunge l'ora delle prime grandi decisioni. Sostenuto forse dai membri della
sua famiglia e dagli amici, e tuttavia lasciato a se stesso e alla propria coscienza morale, il
giovane dovrà prendere su di sé la responsabilità del suo destino in maniera sempre più
frequente e determinante. Bene e male, grazia e peccato, vita e morte si scontreranno
sempre di più dentro di lui, certamente come categorie morali, ma anche e soprattutto come
opzioni fondamentali, che egli dovrà accogliere o rigettare con lucidità e con senso di
responsabilità. È evidente che una catechesi, la quale denunci l'egoismo in nome della
generosità, che senza semplicismi o senza schematismi illusori offra il senso cristiano del
lavoro, del bene comune, della giustizia e della carità, una catechesi della pace tra le nazioni
e della promozione della dignità umana, dello sviluppo, della liberazione, quali sono
presentate nei recenti documenti della chiesa, integra felicemente nello spirito dei giovani una
buona catechesi delle realtà propriamente religiose, che non deve mai essere trascurata. La
catechesi assume allora un'importanza considerevole, poiché è il momento in cui il vangelo
potrà essere presentato, compreso e accolto in quanto capace di dare un senso alla vita e,
quindi, di ispirare atteggiamenti altrimenti incomprensibili: rinuncia, distacco, mansuetudine,
senso dell'Assoluto e dell'invisibile ecc., altrettanti elementi che permetteranno di identificare
questo giovane tra i suoi compagni come un discepolo di Gesù Cristo. (Giovanni Paolo II
Catechesi Tradendae 39)
125
Spiritualità: Un animatore cristiano
Cosa si intende con la parola SPIRITUALITÀ?
La spiritualità è fare esperienza di Dio, un modo per essere cristiani e testimoniarlo a chi ci sta
intorno. Il cristiano segue Gesù e la spiritualità è il modo concreto con cui si esprime, ma non
solo in alcuni momenti, sempre! Proprio per questo è innanzitutto un modo di vivere la vita
quotidiana.
Come e perché vivere la SPIRITUALITÀ?
L’animazione non è solamente un bella tecnica, un bel modo di passare il tempo
facendo divertire e divertendosi: alla base di tutto ci deve essere qualcosa di “forte”.
L’animazione è cercare di imitare Gesù nella sua disponibilità ai più piccoli e bisognosi
e quindi l’animatore deve incontrare Dio “dentro” la sua attività e non ai margini,
testimoniando Cristo con tutta la sua vita. Un animatore quindi si sente coinvolto in
prima persona nell’attività che svolge ed è
“testimone” della vita e della speranza in cui crede.
La spiritualità dell’animatore
La spiritualità mette in gioco la cultura, l’educazione e l’animazione; richiede una visione di
vita unificata e coerente con i principi cristiani e ci propone uno stile nel nostro vivere di ogni
giorno. In quest’ottica l’animazione aiuta a leggere la Parola di Dio dentro la vita quotidiana.
La vita spirituale dell’animatore deve quindi avere dei pilastri importanti: punti che devono
essere elementi fondamentali della vita spirituale, per poter maturare e per crescere, aiutando
i ragazzi a fare altrettanto.
Vita spirituale
Per poter camminare con Cristo, dobbiamo capire ciò che Lui vuole da noi, cercando di
seguire i suoi insegnamenti attraverso la lettura e meditazione della Parola, attraverso la
Confessione, attraverso il dialogo con il proprio Padre Spirituale, con l’Eucarestia, con la
Preghiera. Per poter essere sicuri che nella nostra vita ci sia un solo punto di riferimento (il più
importante), dobbiamo metterlo al centro della nostra vita, dandogli la possibilità di guidarci.
Soprattutto dobbiamo evitare di farci prendere dalla frenesia del fare, mentre possiamo
lasciarci contagiare dalla frenesia dell’essere.
Vita ecclesiale
I momenti che viviamo in gruppo non si devono basare solo sull’amicizia, essa è importante,
ma la vera e unica motivazione deve essere l’incontro con il Signore. Noi siamo Figli di Dio e
come tali ci dobbiamo incontrare e confrontare con gli altri, tenendo presente che Lui è con
noi e ci guida.
126
Scelta vocazionale
Scelta vocazionale non significa solo diventare Preti o Suore, ma significa fare le scelte alle
quali noi siamo chiamati a dare una risposta, sono scelte di vita, della nostra vita in Cristo,
della vita della Chiesa, di testimonianza cristiana, di Missione, di Servizio. Nel nostro piccolo
anche noi dobbiamo vivere seguendo le chiamate che di volta in volta il Signore ci fa, senza
aver paura di non essere all’altezza del compito che ci è stato chiesto, visto che se ci ha voluti
per un compito, sa che noi ne abbiamo le capacità.
Vita sociale
La nostra vita sociale è il nostro modo di porci nel nostro ruolo di appartenenti alla società: il
nostro modo di presentarci, la nostra coerenza, competenza, il nostro impegno,
l’amorevolezza con le persone che ci stanno vicino. Prima di tutto noi testimoniamo con il
nostro modo di fare e di essere, e solo dopo con le nostre parole… dobbiamo essere
testimoni di quello che diciamo.
Quello che dobbiamo tenere in considerazione è che noi siamo Figli di Dio e come tali
abbiamo il dono di essere vicini a Lui e amati da Lui. Gli strumenti che dobbiamo adottare per
poter camminare con Lui sono l’interiorità e il silenzio del cuore, la perseveranza e l’ascolto.
E questa voglia di seguire Cristo, l’animatore la testimonia agli altri innanzitutto con
l’accettazione di sé, in positivo, con le proprie fragilità, pregi e difetti, il che equivale ad
accettare la vita; poi la passione per la vita, da accogliere, riconoscere, promuovere e far
crescere; infine la passione educativa, poiché l’animazione non è pura tecnica, ma è una
scommessa, con la quale si dà fiducia all’uomo e si ha fede nello Spirito, punta alla crescita
della persona. (Dal sito dei salesiani www.elledici.org)
Lavori di gruppo
Proporre a ciascun ragazzo una sorta di messa a fuoco sulla figura dell’animatore (che
sicuramente risulterà utile e importante per l’animatore stesso): lettere al proprio animatore:
• caro any, mi hai convinto su … ,
• da te mi aspetto che…,
• ti ringrazio per…
127
)
Parroco
Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
Don Milani
Di Antonio e Andrea Frazzi, - Mondadori Rai – 1997
SOGGETTO:
Don Milani è malato e la malattia gli ha lasciato poco tempo ancora da vivere. Torna nella sua
parrocchia di Barbiana e ripercorre con la memoria gli eventi che hanno segnato il suo
percorso, dalla creazione della scuola a San Donato di Calenzano, all'esperienza didattica
con i figli dei contadini a Barbiana, alla notorietà e alle discussioni sui suoi metodi, alla
preparazione della "Lettera ad una professoressa". Fa da sfondo l'Italia degli anni del
dopoguerra e della ricostruzione, segnata dalle differenze sociali e dal distacco fra Chiesa e
società.
Valutazione pastorale:
Film TV, prodotto da RAI, sugli ultimi vent'anni del fiorentino don Lorenzo Milani (1923-67)
che a Barbiana, nel Mugello, fondò una scuola popolare a tempo pieno, basata sul lavoro di
gruppo, di cui fu frutto il libro “Lettere a una professoressa”, pubblicato nel(1970) che, pur tra
le accese polemiche che suscitò, al di là delle contingenze che lo dettarono, è diventato un
classico della letteratura italiana del secondo Novecento, acquistando "il valore di una
immensa e mirabile metafora del tempo nuovo" (Ernesto Balducci). Scritto da Sandro
Petraglia e Stefano Rulli e diretto con intensità dai due gemelli Frazzi, lo sceneggiato TV
(compresso in 150min, in un'edizione per le sale cinematografiche) racconta con onestà,
rispetto, cauta dolcezza un Milani "evangelicamente corretto, purgato della sua componente
più aspra e provocatoria" (Massimo Bernardini). Sobria, ben modulata interpretazione di
Sergio Castelletto, che suggerisce con discrezione questa figura di santo laico, capace di
stare all'infinito dalla parte dei perdenti ("I poveri li avrete sempre con voi" dal discorso della
Montagna).
Altro titolo:
Alla luce del sole
Di Roberto Faenza – 01 distribution, 2005
128
La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
o
o
Attività: mettersi d’accordo con il parroco-curato per un incontro “a sorpresa”, cioè
accordarsi per una visita in canonica con il gruppo, facendola sembrare inaspettata. Punti
centrali della testimonianza:
• il racconto di sé, anche attuale (che vita pratica fa, orari, attività, incontri,
problemi, soddisfazioni: la vita normale …).
• Motivi della vocazione: se è il curato, il perché della scelta di questa vita nel
contesto di oggi, che prevede una scala di valori ben diversa dalla decisione
sacerdotale; se è più anziano, andare comunque a scavare nelle motivazioni di
scelta
• Farsi motivare il sì di ogni giorno: cosa c’è dietro alla decisione quotidiana di
mettersi a disposizione di tutti e annunciare a tutti il Vangelo?
Potrebbe essere interessante anche un incontro con la comunità del seminario: con i
coetanei del liceo o con i giovani di Casa San Giovanni, per un incontro centrato sulla
ricerca vocazionale (045/8399611) o con la comunità della teologia per capire il percorso
e le motivazioni di chi si sta preparando a diventare prete (045/8900329)
Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
o
o
Vari sono brani biblici di riferimento per poter entrare nella comprensione dell’identità
e spiritualità del prete. Sarebbe importante che colui che fa la testimonianza vi
indicasse quelli più significativi ed espressivi per la propria esperienza.
Proponiamo il riferimento a Gesù Buon Pastore nel vangelo di Giovanni (Gv 10,1118), di cui il prete è segno; le azioni con cui Gesù descrive il suo compito, diventano
alcune delle azioni stesse del ministero presbiterale in ordine al gregge affidato
• Offre la vita
• Le pecore gli appartengono
• Gli importa delle pecore
• Conosce le pecore, è conosciuto da esse, così come egli è conosciuto dal
padre
• Ha altre pecore per cui è mandato
• Fa udire la sua voce
• Raduna le pecore in un gregge
Qualche risposta:
prospettive di approfondimento
o
Il sacerdote è chiamato a presiedere e guidare il popolo di Dio, attraverso l’insegnamento
della Parola, i gesti che santificano, ha in mano quindi il governo della comunità. I
vescovi sono uniti tra loro come in un unico corpo, attorno e sotto la guida del vescovo di
Roma, il Papa, che garantisce l'unità della fede e della carità per tutte le Chiese disperse
129
o
o
o
o
o
nel mondo. I presbiteri vivono in stretta comunione con il loro vescovo e, in forza
dell'Ordine sacro, sono configurati a Cristo pastore e inviati in mezzo ai fedeli come primi
e diretti collaboratori del mistero episcopale.
A significare e a rendere concreta la propria configurazione a Cristo e il dono di sé ai
fratelli, il prete si impegna a vivere nel celibato, rinunciando a una propria famiglia in vista
di una paternità spirituale che non ha limiti.
A questa identità e funzione del prete deve corrispondere uno stile e un progetto di vita.
Se egli è annunciatore della parla di Dio nel nome di Cristo, deve diventarne il primo
ascoltatore, attento e disponibile. Non è il padrone della Parola, ma l'amministratore
fedele. Sa di portare un tesoro grande nel vaso fragile della sua povera umanità. Aiuta i
suoi fratelli a diventare testimoni del Vangelo nei diversi ambienti e nelle differenti
condizioni di vita.
Se concede il perdono nel nome di Cristo, deve educarsi alla misericordia stessa di Gesù
e farsi strumento di riconciliazione tra gli uomini.
Poiché presiede l'Eucarestia, è chiamato a vivere più da vicino ciò che celebra. La morte
di Gesù deve entrare nella sua vita, per dargli la forza di essere offerta d'amore a Dio, a
totale servizio dei fratelli.
Se nel nome di cristo, guida ed edifica la comunità cristiana, deve farsi uomo della
comunione. Con la sua azione educatrice riconosce e stimola i doni che Dio concede a
ciascuno e ai singoli gruppi. Esorta tutti a mettere questi doni a servizio della crescita
della comunità. Non spadroneggia su quanti Dio gli ha affidato e non assorbe in sé i
compiti che Dio ha concesso ad altri. Lo scopo del suo servizio di guida è di rendere tutti
protagonisti nella Chiesa, in particolare i più poveri e i più deboli. (Dal Catechismo dei
Giovani 1, pag 274-276)
Approfondimenti per gli animatori
o
o
o
I presbiteri sono chiamati a prolungare la presenza di Cristo, unico e sommo pastore,
attualizzando il suo stile di vita e facendosi quasi sua trasparenza in mezzo al gregge loro
affidato. Come scrive in modo chiaro e preciso la prima Lettera di Pietro: «Esorto i
presbiteri che sono tra voi, quale com-presbitero, testimone della sofferenza di Cristo e
partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato,
sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di
buon animo: non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del
gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non
appassisce».
I presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ri-presentazione sacramentale di Gesù
Cristo Capo e Pastore, ne proclamano autorevolmente la parola, ne ripetono i gesti di
perdono e di offerta della salvezza, soprattutto col Battesimo, la Penitenza e l'Eucaristia,
ne esercitano l'amorevole sollecitudine, fino al dono totale di sé per il gregge, che
raccolgono nell'unità e conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito. In una
parola, i presbiteri esistono ed agiscono per l'annuncio del Vangelo al mondo e per
l'edificazione della Chiesa in nome e in persona di Cristo Capo e Pastore.
Questo è il modo tipico e proprio con il quale i ministri ordinati partecipano all'unico
sacerdozio di Cristo. Lo Spirito Santo mediante l'unzione sacramentale dell'Ordine li
configura, ad un titolo nuovo e specifico, a Gesù Cristo Capo e Pastore, li conforma ed
anima con la sua carità pastorale e li pone nella Chiesa nella condizione autorevole di
servi dell'annuncio del Vangelo ad ogni creatura e di servi della pienezza della vita
cristiana di tutti i battezzati.
130
o
La verità del presbitero, quale emerge dalla Parola di Dio, ossia da Gesù Cristo stesso e
dal suo disegno costitutivo della Chiesa, viene così cantata con gioiosa gratitudine dalla
Liturgia nel Prefazio della Messa del Crisma: «Con l'unzione dello Spirito Santo hai
costituito il Cristo tuo Figlio Pontefice della nuova ed eterna alleanza, e hai voluto che il
suo unico sacerdozio fosse perpetuato nella Chiesa. Egli comunica il sacerdozio regale a
tutto il popolo dei redenti, e con affetto di predilezione sceglie alcuni tra i fratelli che,
mediante l'imposizione delle mani, fa partecipi del suo ministero di salvezza. Tu vuoi che
nel suo nome rinnovino il sacrificio redentore, preparino ai tuoi figli la mensa pasquale e,
servi premurosi del tuo popolo, lo nutrano con la tua parola e lo santifichino con i
sacramenti. Tu proponi loro come modello il Cristo, perché, donando la vita per te e per i
fratelli, si sforzino di conformarsi all'immagine del tuo Figlio, e rendano testimonianza di
fedeltà e di amore generoso ». (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis n°15)
Lavori di gruppo
Proponiamo alcune cose da fare che non sono semplicemente di gruppo; potrebbero anche
essere vissute a gruppetti di 2/3 persone, sempre che il proprio parroco ne veda l’opportunità
e ci sia la disponibilità logistica:
o
o
o
o
Una settimana in cui a turno c’è sempre qualcuno dei ragazzi in canonica, con alcune
attenzioni o disponibilità a piccoli servizi di cui il don possa avere bisogno
Una sorta di “convivenza” (non necessariamente anche notturna) in canonica: è una
possibilità che viene offerta non tanto per trascorrere una settimana alternativa fuori da
casa, ma che abbia lo scopo di far “capire” qual’é la vita del prete e cosa effettivamente è
chiamato a fare; vedere, quindi, come si svolge la sua giornata e da cosa è motivata.
Organizzare una settimana in cui, a turno, c’è sempre qualcuno a cena: per vedere e
conoscere il proprio parroco anche in una veste diversa e per farsi raccontare la giornata.
Accompagnare il don in qualche suo incarico o compito.
131
)
Vita religiosa
Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
FUORI DAL MONDO
Di Giuseppe Piccioni - Edizioni Paoline, 1999
Soggetto:
A Milano, oggi, Caterina, giovane suora ormai prossima alla dichiarazione di professione
perpetua, si vede affidare all'improvviso da un uomo di passaggio un neonato abbandonato
nel parco. Caterina lo porta all'ospedale e l'episodio potrebbe concludersi lì, invece non riesce
a dimenticarlo, lo va a trovare e allo stesso tempo sente dentro di sé l' urgenza di sapere
qualche notizia in più. Partendo dal maglione nel quale il piccolo era avvolto, Caterina risale
alla lavanderia di Ernesto, uomo solo, chiuso nel suo lavoro, instabile fino al punto di cadere
in frequenti sbalzi di umore e pressione. Ernesto aveva lasciato quel maglione a casa di
Teresa, una ragazza che aveva lavorato al negozio, e che aveva accompagnato a casa dove
poi aveva passato la notte. Caterina vuole trovare la madre del bambino, mentre Ernesto
vorrebbe chiudere subito la questione, ma a poco a poco la possibilità di essere il padre fa
nascere in lui reazioni e spinte, finora mai provate. Teresa ha lasciato la casa della mamma,
gira per Milano in cerca di una sistemazione, rivede Gabriele, il suo ex ragazzo, poliziotto, che
la invita a rimanere casa sua. Anche Caterina ed Ernesto (pur avendo saputo di non essere il
padre) continuano a vedersi, lui è stato informato che Teresa si trova alla festa di matrimonio
di un'amica. Decidono di recarvisi, ma Caterina prima indossa abiti borghesi. Alla festa,
Caterina avvicina Teresa, si mette a parlare del bambino e la ragazza scoppia in un pianto
doloroso. La ricerca si é conclusa. Ernesto accompagna Caterina in macchina al convento
fuori Milano. Qualche breve parola corre rapidamente tra loro, ma niente cambia. Caterina lo
saluta e raggiunge le sue consorelle.
Valutazione Pastorale:
Il regista Giuseppe Piccioni si è segnalato negli anni scorsi per alcuni titoli interessanti, quali
"Il grande Blek" (1987), "Chiedi la luna" (1990), "Cuori al verde" (1995). Qui conferma la sua
disposizione, acuta e intelligente, ad osservare tipologie e caratteri dell'Italia contemporanea,
concentrandosi su un personaggio tutt'altro che facile, quello di una suora. Caterina é colta
nel momento in cui dà avvio ad una ricerca, una sorta di viaggio durante il quale incontra
tante persone ma sopratutto incontra più volte sè stessa, si confronta con le proprie reazioni
emotive di fronte ad un evento inatteso. Il film cresce a poco a poco, come una storia d'amore
autentica e vera, pone in primo piano l'importanza del mettersi in ascolto verso gli altri,
132
fotografa con passione attimi vibranti di realtà, coglie il disagio quotidiano delle persone,
scava nella sofferenza dell'individuo e insieme riesce a raccontare con semplicità la vita di
tutti i giorni di una metropoli come Milano. Con pudore e rispetto, insoliti nel cinema italiano, il
film evidenzia tutte le difficili sfumature racchiuse nella scelta di essere suora in una
situazione sociale complessa e stratificata come quella italiana di oggi. Va notata la sensibilità
con cui Piccioni tocca la sostanza dell'amore come rispetto e delle decisioni difficili come
ostacolo da superare per arrivare ad un migliore equilibrio interiore. Il film, dal punto di vista
pastorale, è da raccomandare, per la sua intensa e sincera problematicità e perché, proprio
mentre sembra dare spazio a dolore e difficoltà, parla invece di bellezza e di felicità.
Il GRANDE SILENZIO
Di Philip Gröning - metacinema, 2006
Tre ore di silenzio, tra le mura della Grande Chartreuse sulle Alpi francesi, tra i monaci che
hanno rinunciato alla parola e scandiscono le proprie giornate con il lavoro, la preghiera e la
meditazione. C'è di che spaventare il pubblico, naturalmente. E invece gli spettatori tedeschi
sono corsi in sala a vedere Il grande silenzio di Philip Gröning. Inchiodando alla poltrona
anche chi di solito non frequenta volentieri le sale cinematografiche, il documentario, privo di
dialoghi (solo due minuti) e musica, ha persino battuto ai botteghini in Germania il maghetto
Harry Potter, trascinando al cinema migliaia di persone, ipnotizzate dal rumore dei passi dei
religiosi, dalle campane, dai canti, dallo sfogliare delle pagine dei libri di preghiera. Al
Sundance Film Festival diretto da Robert Redford ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria
e all'ultima Mostra del Cinema di Venezia ha incantato, sia la critica italiana, che quella
internazionale, sottraendo per ben 160 minuti gli addetti ai lavori ai forsennati e insani ritmi
festivalieri. E così quello che si pensava potesse vincere il titolo poco lusinghiero di film più
noioso dell'anno, è diventato un vero e proprio caso cinematografico, salutato come un
capolavoro non solo dalla stampa cattolica. Tanto che persino Variety, la "bibbia" americana
dello spettacolo, lo definisce «un saggio poetico sui ritmi rallentati della vita che con i suoi
quieti piaceri guida gli spettatori a un'andatura misurata sul lento senso del tempo dei monaci.
Con occhio da pittore e una profonda ammirazione per un mondo ermetico, separato che
piuttosto che in contrasto con la vita moderna, Philip Gröning porta il pubblico nel loro mondo
di clausura».
Per quattro volte in vent'anni Gröning, divenuto alla soglia dei 47 anni il regista del momento,
ha chiesto al priore il permesso di realizzare un documentario tra le mura del monastero. E
finalmente quell'autorizzazione è arrivata. Per sei mesi il regista ha vissuto gomito a gomito
con i monaci certosini filmando i loro riti e ritmi quotidiani, che si ripetono da anni sempre
uguali a se stessi, restituendo allo spettatore il senso del lento fluire del tempo. Unica
condizione imposta dalla comunità: niente luci artificiali, niente troupe e niente commento, né
verbale, né musicale. «La sfida più grande - ha detto Gröning, unico cineasta al mondo al
quale è stato concesso il privilegio di entrare con una cinepresa nella Chartreuse - è stata
quella di creare uno spazio dove lo spettatore potesse rivolgersi domande essenziali. Cosa
significa per noi essere nel mondo? Che senso ha l'esistenza? In altre parole all'interno del
monastero le domande che sorgono non riguardano tanto la scelta di vita così estrema dei
monaci, ma la nostra vita e le nostre scelte. E ho cercato di mostrare tutto questo con una
forma che fosse adeguata al contenuto». In cerca di risposte anche alle proprie domande,
Gröning dichiara di aver vissuto un'esperienza capace di modificare la propria esistenza. «La
fiducia dei monaci che ogni cosa è governata da Dio - spiega il regista - è rimasta con me. Ho
imparato da loro l'ottimismo e la capacità di riconoscere tutto ciò che di meraviglioso la vita ti
offre. Nella nostra società siamo governati dalla paura di non avere successo, ricchezza,
133
bellezza. Dopo l'esperienza nel monastero credo di essermi liberato da questa ossessione. E
ora ho anche più bisogno di trascorrere del tempo in solitudine».
La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
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Accanto a quanti, con il loro amore sponsale, vivono l’amore di Cristo per la Chiesa e ne
sono segno, ci sono persone che, mosse dallo Spirito, nel dono della propria esistenza a
Dio e ai fratelli, si impegnano a testimoniare il primato del regno di Dio già in mezzo a noi
e anticipano la condizione del suo compimento nel mondo futuro. Sono i religiosi e i laici
consacrati.
Costoro, uomini e donne, sacerdoti e no, scelgono di mantenere il cuore libero dai legami
di questo mondo, perché sia lo spazio dedicato totalmente a Dio e alle necessità di tutti.
Perciò si fanno più da vicino imitatori di Gesù, colui che è tutto dedicato al Padre per poter
servire in piena libertà i suoi fratelli.
La vita religiosa ha trovato nella storia forme diverse di realizzazione. Conosciamo i
grandi ordini e congregazioni religiose. Forse anche nella nostra comunità cristiana
vivono e offrono la loro testimonianza uomini e donne consacrate a Dio in una
determinate famiglia, ciascuna con un particolare carisma di servizio. Lo scopriamo
guardando la loro vita consacrata ai poveri, agli ammalati, agli emarginati, spesa nel
campo educativo o nell’impegno della predicazione.
Proviamo ad avvicinarci e a conoscere meglio alcune figure religiose, più o meno vicini a
noi ma soprattutto della nostra terra e dei nostri luoghi!
Lo scopo è quello di organizzare un incontro con la comunità o la congregazione che
rappresenta la figura religiosa considerata; l’incontro deve principalmente essere
vocalizzato sui carismi che hanno caratterizzato la figura religiosa e su come poterli
attualizzare oggi per noi!
Basterebbe farsi prestare l’annuario della diocesi dal Parroco… dove sono riportati i nomi
e i riferimenti di tutti gli istituti religiosi: magari può essere curioso elencarli ai ragazzi per
far capire il gran numero di persone, uomini e donne, che si sono dedicati e ancora oggi
sono consacrati completamente al vangelo.
Un incontro particolare può essere quello con le cinque comunità monastiche presenti in
diocesi, i Monaci camaldolesi alla Rocca del Garda, o uno dei quattro monasteri femminili
di clausura.
L’incontro deve essere sì sullo stile della testimonianza (“ho scelto la vita religiosa dopo
questi fatti della mia vita”), ma soprattutto sul “perché”: cosa spinge oggi, o poco tempo
fa, nell’era di internet e del benessere, un giovane o una ragazza a rinunciare a comodità,
vita normale, carriera, affetti, vita mondana (nel caso delle monache di clausura, va
accentuata ancora di più questo senso di “separazione rinunciataria” per far risaltare il
contrasto motivazionale) per scegliere una via evangelica.
Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
di domande sul “perché la differenza cristiana”
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Cosa ho capito delle motivazioni di scelta religiosa di una suora e/o un religioso?
Proviamo ad elencarle su un cartellone e a metterle in ordine di importanza, poi proviamo
a mettere in scaletta le priorità che darebbe ciascuno di noi ad una scelta come quella
delle persone incontrate.
In sintesi, a cosa si riduce – in una parola – la motivazione di tale decisione?
Prendiamo due brani di vangelo che fanno riferimento alla vocazione, uno “compiuto” e
uno “incompiuto”:
• La chiamata dei primi discepoli (Matteo 5, 18-22)
• Il giovane ricco (Marco 10, 17-22)
Perché, secondo voi, i primi accettano ad una chiamata “superficiale e collettiva”, mentre
il secondo – che Gesù “fissa ed ama” con predilezione particolare – gli dice di no?
Quali sono stati i motivi per cui alcuni hanno detto di sì e un altro ha detto di no?
Proviamo a condividere le volte, le occasioni, i momenti particolari in cui ci si è sentiti
“chiamati” da Dio: un incontro di preghiera, una parola di un amico, un evento - lieto o
triste - della vita, un momento di gioia in un “deserto” ad un caposcuola…Proviamo a
sintetizzare con una parola questa chiamata del Signore.
Confrontiamo le nostre “chiamate” con quelle delle persone incontrate nelle
testimonianze: coincidono? Sono diverse? Perché?
Qualche risposta:
prospettive di approfondimento
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La vita religiosa potrebbe essere assunta a metafora del vivere cristiano: perché uno ha la
vocazione a farsi suora/religioso e uno no? Perché uno sente la chiamata a diventare
cristiano? Anzi, a rimanerlo? Mentre altri non lo sono e non sentono il bisogno di
diventarlo?
Pensiamo alla famosa frase del noto giornalista Indro Montanelli: “Quando incontrerò il
Padreterno, gli renderò conto del perché non mi ha dato la fede”. Oppure l’altro giornalista
Giuliano Ferrara che ammette: “Sono troppo laico, orgoglioso e sicuro delle mie certezze,
per abbassarmi e mettermi a pregare come fa mia moglie”. Cosa serve allora per
diventare cristiano davvero, così come sperimentato-paragonato dal sì vocazionale detto
dalle persone che abbiamo incontrato nelle testimonianze?
Approfondimenti per gli animatori
La vita religiosa a Verona ha una storia estremamente significativa, legata all’impressionante
numero di istituti maschili e femminili nati nella nostra terra soprattutto nell’ottocento.
Proponiamo dei cenni biografici dei vari fondatori, affinché gli animatori possano fare una
scelta degli istituti da contattare per le testimonianze, ma anche per farsi una idea
approfondita di tale presenza nella nostra chiesa.
Gaspare Bertoni
Nacque a Verona, nella repubblica di Venezia, il 9 ottobre 1777, da Francesco e da Brunora
Ravelli di Sirmione. Fu battezzato all'indomani dal prozio paterno don Giacomo, nella
parrocchiale di S. Paolo Campo Marzo. Nelle due famiglie dei genitori prevaleva la
135
professione notarile e, con un discreto benessere materiale, risaltava la vivezza di una fede in
linea con la pratica.
Chiamato, fin dalla prima Comunione, allora undicenne, sulla via dell'unione mistica, maturò la
sua vocazione sacerdotale a 18 anni. Con l'ordinazione sacerdotale (20 settembre 1800) si
trovò alle soglie del nuovo secolo con un mondo tutto in subbuglio e bisognoso di molteplici
interventi per la soluzione dei gravi problemi che lo agitavano.
Ricevuto dal parroco l'incarico della gioventù, si gettò con tutte le sue forze e capacità
organizzative nel nuovo campo di apostolato, fondò un primo Oratorio in forma di “coorte
mariana”, mirando alla formazione cristiana e sociale dei giovani, ma sopravvenne di schianto
la soppressione napoleonica (1807) e don Gaspare riservò l'attuazione dei suoi piani a tempi
migliori.
Intanto assumeva fin dalle origini la direzione spirituale dell'opera di Maddalena di Canossa in
San Giuseppe (maggio 1808). Qui incontrava anche la serva di Dio Leopoldina Naudet, che
guidava alle vette della mistica del santo abbandono e alla fondazione delle Sorelle della S.
Famiglia. Estese il suo aiuto spirituale anche all'altra Serva di Dio, la nobile Teodora
Campostrini, sia nella ricerca della sua vocazione, sia nella fondazione delle Sorelle Minime
della Carità di Maria Addolorata.
Nel settembre 1810, don Bertoni, che qualche mese prima, per la morte della madre, era
passato da San Paolo a San Fermo Maggiore, veniva incaricato dal vescovo della direzione
spirituale dei chierici del Seminario. Una solida formazione spirituale e scientifica del giovane
clero era stato un suo preciso obiettivo nei frequenti raduni che teneva in casa propria.
Con la caduta di Napoleone, fu sentito universalmente il bisogno di restaurazione. Don
Bertoni comprese che per far rientrare le masse nell'ovile occorreva scuoterle con la
presentazione delle verità fondamentali della fede mediante la predicazione di missioni al
popolo. Il 20 dicembre 1817 il Papa Pio VII gliene dava un preciso mandato conferendogli il
titolo e le facoltà di “missionario apostolico”. E mentre il sospettoso governo austriaco
impediva questo specifico ministero, don Gaspare si dava alla predicazione occasionale e alla
catechesi.
Pur “facendosi tutto a tutti” per guadagnare a tutti Cristo, don Gaspare coltivava anche una
vita interiore molto intensa, che venne gratificata, come appare dal suo “Memoriale Privato”,
da vari doni mistici. Fra questi è da segnalare la chiamata, mediante particolari segni dall'alto,
alla fondazione di una famiglia religiosa.
Il 4 novembre 1816 si ritirava con due compagni presso la chiesa soppressa delle Sacre
Stimmate di San Francesco (di qui il nome adattato della sua Congregazione e la diffusione
della devozione alla passione e alle piaghe del Signore), dove inizia occultamente, sotto lo
schermo di una scuola popolare, il suo servizio gratuito alla Chiesa e alla società, in una vita
comune di stretta osservanza e rigida penitenza, additando come programma una intensa vita
di contemplazione e un vasto apostolato, comprendente l'educazione della gioventù, la
formazione del Clero e la predicazione missionaria, in una perfetta disponibilità alle richieste
dei Vescovi.
Sul letto dei suoi inenarrabili dolori divenne angelo di consiglio per innumerevoli anime,
specialmente per quelle che avevano alle mani qualche opera di bene come il Beato Carlo
Steeb, i servi di Dio don Nicola Mazza e don Antonio Provolo e altri che giungevano a Verona
anche da fuori per incontrarsi con lui. Vera immagine del Cristo Crocifisso, con le sue quasi
trecento operazioni chirurgiche subite alla gamba destra, pareva non fosse mai pago di
soffrire per il bene della Chiesa, per la salvezza delle anime. In una visione di viva speranza
in Cristo Risorto con i segni del suo trionfo, sorretto dai Santi Patroni Maria e Giuseppe, si
spense santamente alle 15.30 della domenica 12 giugno 1853.
La sua Congregazione delle Stimmate di N.S.G.C., fecondata da tante sofferenze, si è
gradualmente diffusa fuori Verona in altre città d'Italia, poi negli Stati Uniti, nel Brasile (dove
136
presentemente conta 6 Vescovi), nel Cile, nelle Filippine e nei territori di missione: Sud Africa,
Costa d'Avorio, Tanzania e Thailandia.
Maddalena di Canossa
Discende alla lunga dalla famosa Matilde di Toscana, signora di Canossa. La sua famiglia è
tra le più illustri nell’Italia del tempo, ma poco fortunata: Maddalena e i suoi quattro fratelli
perdono il padre da piccoli, la madre si risposa e li lascia; lei, a 5 anni, viene affidata a
un’istitutrice che detesta; poi si ammala varie volte. A 17 anni la troviamo nel Carmelo di
Trento contro la volontà dei parenti, poi per brevi giorni in quello di Conegliano (Treviso), ma
questa non è vita per lei.
Tornata a casa, stupisce tutti per il suo talento di amministratrice, ma di nozze non si parla.
Nel 1801 compaiono a palazzo Canossa due povere ragazze, che lei raccoglie: questa è la
novità rivelatrice della sua vocazione. Non “regnerà” nel palazzo di famiglia, che ospita
Napoleone e Alessandro I di Russia. La sua vocazione sono i poveri. L’accoglienza alle due
ragazze era solo pronto soccorso, ma lei non vuole tenerle lì estranee, sempre inferiori.
Devono avere casa propria (loro due e tantissime altre come loro) dove sentirsi padrone,
istruirsi e realizzarsi al fianco delle maestre; e accanto a lei, la fondatrice, che nel 1808 otterrà
da Napoleone l’ex convento delle Agostiniane veronesi, iniziandovi la vita comune.
Nascono le Figlie della Carità: le suore educatrici dei poveri. Maddalena ne scrive le regole
nel 1812, a Venezia: ve l’hanno chiamata Antonangelo e Marcantonio Cavanis (due fratelli
patrizi, entrambi sacerdoti) per fondare un’altra casa d’istruzione per ragazze, mentre loro
hanno creato le scuole gratuite maschili. Maddalena ottiene l’iniziale assenso pontificio per la
sua opera da Pio VII, poco dopo la caduta di Napoleone. Ora sul Lombardo-Veneto regna
l’imperatore Francesco I d’Asburgo, che nel 1816 visita Verona con la terza moglie, Maria
Ludovica d’Este. Proprio a Verona la sovrana si ammala e muore: la sua camera ardente sarà
apprestata in una sala di palazzo Canossa. Nel palazzo, però, Maddalena non compare più
tanto spesso. Passa da Venezia a Milano e poi a Bergamo e a Trento, per fondare nuove sedi
e scuole. La sua residenza patrizia in Verona ha accolto una sovrana, e le case che lei va
creando accolgono le figlie dei sudditi più poveri, strappate alla miseria per renderle
protagoniste della loro vita.
Lei intanto lavora all’annoso iter per l’approvazione definitiva del suo istituto, e prepara
l’apertura di altre sedi a Brescia e a Cremona, ma la morte la coglie nella sua Verona a 61
anni: già "in concetto di santità", così dicono le cronache del tempo, definendo Maddalena
"beneficientissima fino alla prodigalità". Ha dato tutta sé stessa, consumandosi per l’opera,
che crescerà ancora dopo la sua morte. Alla fine del XX secolo avrà oltre 2.600 religiose,
operanti in tutto il mondo. Giovanni Paolo II la canonizzerà il 20 ottobre 1988.
Daniele Comboni
Nasce a Limone sul Garda (Brescia - Italia) il 15 marzo 1831, in una famiglia di contadini al
servizio di un ricco signore della zona. Papà Luigi e mamma Domenica sono legatissimi a
Daniele, il quarto di otto figli, morti quasi tutti in tenera età. Essi formano una famiglia unita,
ricca di fede e valori umani, ma povera di mezzi economici. Ed è appunto la povertà della
famiglia Comboni che spinge Daniele a lasciare il paese per andare a frequentare la scuola a
Verona, presso l'Istituto fondato dal Sacerdote don Nicola Mazza.
In questi anni passati a Verona, Daniele scopre la sua vocazione al sacerdozio, completa gli
studi di filosofia e teologia e soprattutto si apre alla missione dell'Africa Centrale, attratto dalle
testimonianze dei primi missionari mazziani reduci dal continente africano. Nel 1854 Daniele
137
Comboni viene ordinato sacerdote e tre anni dopo parte per l'Africa assieme ad altri 5
missionari mazziani, con la benedizione di mamma Domenica che arriva a dire: «Va', Daniele,
e che il Signore ti benedica».
Dopo 4 mesi di viaggio, la spedizione missionaria di cui il Comboni fa parte arriva a Khartoum,
la capitale del Sudan. L'impatto con la realtà africana è enorme. Daniele si rende subito conto
delle difficoltà che la sua nuova missione comporta. Fatiche, clima insopportabile, malattie,
morte di numerosi giovani compagni missionari, povertà e abbandono della gente, lo
spingono sempre più ad andare avanti e a non desistere da ciò che ha iniziato con tanto
entusiasmo. Dalla missione di Santa Croce scrive ai suoi genitori: «Dovremo faticare, sudare,
morire, ma il pensiero che si suda e si muore per amore di Gesù Cristo e della salute delle
anime più abbandonate del mondo è troppo dolce per farci desistere dalla grande impresa».
Ed è sempre l'Africa e la sua gente ciò che spinge il Comboni, una volta ritornato in Italia, a
mettere a punto una nuova strategia missionaria. Nel 1864, raccolto in preghiera sulla tomba
di San Pietro a Roma, Daniele ha una folgorante illuminazione che lo porta ad elaborare il suo
famoso Piano per la rigenerazione dell'Africa, un progetto missionario sintetizzabile nella frase
«Salvare l'Africa con l'Africa», frutto della sua illimitata fiducia nelle capacità umane e religiose
dei popoli Africani.
In mezzo a non poche difficoltà e incomprensioni, Daniele Comboni intuisce che la società
europea e la Chiesa cattolica sono chiamate a prendere in maggior considerazione la
missione dell'Africa Centrale. A tale scopo, si dedica ad una instancabile animazione
missionaria in ogni angolo d'Europa, chiedendo aiuti spirituali e materiali per le missioni
africane tanto a Re, Vescovi e signori, quanto a gente povera e semplice. E come strumento
di animazione missionaria crea una rivista missionaria, la prima in Italia.
La sua fede incrollabile nel Signore e nell'Africa lo porta a far nascere, rispettivamente nel
1867 e nel 1872, l'Istituto maschile e l'Istituto femminile dei suoi missionari, più tardi meglio
conosciuti come Missionari Comboniani e Suore Missionarie Comboniane.
Il 2 luglio 1877 Comboni viene nominato Vicario Apostolico dell'Africa Centrale e consacrato
Vescovo un mese dopo: è la conferma che le sue idee e le sue azioni, da molti considerate
troppo coraggiose se non addirittura pazze, sono quanto mai efficaci per l'annuncio del
Vangelo e la liberazione del continente africano.
Nel 1880, con la grinta di sempre, il Vescovo Comboni ritorna, per l'ottava e ultima volta in
Africa, a fianco dei suoi missionari e missionarie, deciso a continuare la lotta contro la piaga
dello schiavismo e a consolidare l'attività missionaria con gli stessi africani. Un anno dopo,
provato dalla fatica, dalle frequenti e recenti morti dei suoi collaboratori e dall'amarezza di
accuse e calunnie, il grande missionario si ammala. Il 10 ottobre 1881, a soli cinquant'anni,
segnato dalla croce che mai lo ha abbandonato come fedele e amata sposa, muore a
Khartoum, tra la sua gente, cosciente che la sua opera missionaria non morirà. «Io muoio,
dice, ma la mia opera non morirà».
Daniele Comboni ha visto giusto. La sua opera non è morta; anzi, come tutte le grandi cose
che «nascono ai piedi della croce», continua a vivere grazie al dono che della propria vita
fanno tanti uomini e donne che hanno scelto di seguire il Comboni sulla via dell'ardua ed
entusiasmante missione tra i popoli più bisognosi di fede e di solidarietà umana.
Giovanni Calabria
Prete semplice ma particolarmente deciso è stato don Giovanni Calabria. Volle essere
strumento di Dio e della chiesa; dovette affrontare difficoltà e superare ostacoli e negli ultimi
anni della sua vita fu afflitto da intensi e dolorosi mali fisici, ma la sua volontà rimase sempre
ferma. Nacque nel 1873 a Verona. A 13 anni perdette il padre e la sua vita conobbe
138
un'estrema miseria. Grazie ad un sacerdote che volle stargli vicino, fu in grado di studiare,
superare gli esami e frequentare, come esterno, il seminario. Dopo una breve parentesi di
servizio militare ritornò al seminario.
Nel 1901 fu ordinato sacerdote; fino al 1907 rimase di aiuto nella parrocchia della città
dedicata a Santo Stefano. Nel 1907 iniziò la sua "opera" fondando la "Casa dei Buoni
Fanciulli". Il suo scopo era raccogliere "i bisognosi" ovunque e comunque si trovassero: non lo
impensierivano le difficoltà economiche, né badava alle capacità intellettuali, ma si
preoccupava di offrire a ciascuno l'aiuto di cui percepiva il bisogno.
Attorno alla sua opera cominciarono a raccogliersi alcuni sacerdoti; nel 1910 istituì il ramo
femminile, fondando le "Povere Serve alla Divina Provvidenza". Nel 1919 avviò una seconda
casa: le sue attività assistenziali cominciavano a espandersi.
Nel 1933 costruì a Negrar (Verona) un grandissimo e moderno ospedale e una casa di riposo
per anziani. Nel 1934 estese ancor più la sua opera mandando missionari in India, ma questa
missione non diede i frutti sperati.
Personalmente non intraprese lunghi viaggi, restò "recluso" in una piccola porzione della sua
casa a Verona, ma dalla sua stanza allargò i suoi orizzonti ovunque la Chiesa richiedesse
interventi.
Egli era in tutto un "prete di Dio": diceva chiaramente che la sua opera "sarà grande se sarà
piccola, sarà ricca se sarà povera; avrà la protezione di Dio se non cercherà quella
dell'uomo". E aggiungeva: "Scopo del vero sacerdote è accendere un piccolo fuochetto che,
se la Provvidenza lo vorrà, farà estendere il suo calore e la sua luce ovunque e comunque".
Si preoccupò di scrivere e soprattutto di dare possibilità a tutti di leggere della buona stampa;
pubblicò egli stesso, presso una tipografia che aveva fondato, un famoso libro: "Apostolica
vivendi forma". In queste pagine denunciò i mali del tempo e cercò di far comprendere come,
con l'aiuto di Dio e della divina Provvidenza, tutto si poteva "aggiustare". Il fuoco di Dio gli
bruciava dentro: lo forgiava e lo spingeva verso nuove opere che spesso venivano ritenute
"impossibili". Voleva che nessuno pensasse al denaro, alle necessità materiali; percepiva che
alle urgenze materiali avrebbe provveduto la divina Provvidenza.
Seppe essere vicino a tutti i bisognosi, per primo si occupò dei carcerati e credette
profondamente nella missione della Chiesa rivolta ai “fratelli separati”; fondò in Italia l'Unione
Medica Missionaria e fu un anticipatore di certe linee pastorali della Chiesa espresse dal
Vaticano II. In particolare sul tema dei fratelli separati scrisse un agile opuscolo, “Omnes
unum sint”, che fece spedire ovunque, alle personalità delle chiese separate, comprese le
chiese orientali e i fratelli anglicani; voleva creare attraverso la carità i contatti rivolti all'opera
di unità. Subì, anche per questa sua larga operosità, invidie e perfino ispezioni canoniche, ma
non pensò mai di rallentare o di fermare la sua attività.
Gli ultimi suoi anni di vita vennero contrassegnati da persistente malattia. Chi si recava nella
sua casa lo sentiva non di rado gridare per le sofferenze che il suo corpo incontrava; ma
invocava continuamente l'aiuto di Dio ed esclamava: "Per me non c'è altro che Dio e non
voglio altro che Dio". Il 4 dicembre 1954, il suo spirito si acquietò nella pace eterna.
Beatificato il 17 aprile 1988 è stato canonizzato il 18 aprile 1999.
Giuseppe Nascimbeni
Lo ha battezzato d’urgenza il medico, poco dopo la nascita: la sua vita era in pericolo. Unico
figlio del falegname Antonio e di Amedea Sartori, dopo le elementari in paese, continua gli
studi a Verona e nel 1874, a 22 anni, è ordinato sacerdote. Ha inoltre il diploma di maestro e
subito viene mandato a San Pietro di Lavagno (Vr) come coadiutore del parroco e insegnante.
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Tre anni dopo passa coadiutore a Castelletto di Brenzone, mille abitanti. Quando il vecchio
parroco muore, i capifamiglia ottengono che gli succeda lui (gennaio 1885).
Tra le mille anime del paesino affacciato sul Lago di Garda, don Giuseppe esplode. Ridona
slancio alla vita religiosa, stimolando l’attività e valorizzando i talenti dei laici con associazioni
e confraternite. E con la stessa energia lavora per lo sviluppo civile. Crea asili, scuole per
orfani, l’ospizio. Poi fa nascere un laboratorio di maglieria per le ragazze, impianta una
tipografia, promuove la creazione di un oleificio, fa arrivare la cassa rurale, s’impegna per
dare al paese l’ufficio postale, l’elettricità, l’acqua potabile... Così impegnato, non si capisce
come riesca a pregare ogni giorno per tante ore. Lui si spiega con un motto: "Crocifisso e
orologio", fede e puntualità. Prega anche in viaggio, con la corona del Rosario bene in vista, e
nessuna derisione o insulto lo scompone. Così come non fa una piega nell’attraversare scalzo
il suo paese, perché ha dato le sue scarpe a un mendicante.
Ha bisogno di suore per i bambini, i vecchi e i malati, per la parrocchia, ma non ne trova e in
vescovado si sente dire: "Se nisun ve dà le suore, févele vu come le volì". Prontissimo, il
parroco si fa pure fondatore, partendo da quattro ragazze che arriveranno alla vestizione nel
novembre 1892. Da esse, nel tempo, prenderà vita la congregazione delle Piccole Suore della
Sacra Famiglia, che oggi è presente in Italia, Svizzera, Albania, Angola, Argentina, Paraguay,
Uruguay e Brasile, al servizio della povertà e della sofferenza, in pace e in guerra.
Colpito da emiplegia il 31 dicembre 1916, resta invalido fino alla morte: cinque anni di
sofferenza e preghiera. Giovanni Paolo II lo beatifica nel 1988 a Verona. La salma è custodita
a Castelletto, nella Casa Madre delle Piccole Suore.
don Pietro Leonardi
La sua carità si rivolse in particolare agli ammalati. Per questi fondò la “Sacra Fratellanza dei
preti e Laici ospedalieri”, e per gli orfani “l’asilo dei raminghelli”. Nel 1812 fondò L’istituto
“Figlie di Gesù, donne consacrate a Dio” con il preciso carisma di istruire ed educare le
ragazze povere dei sobborghi della città.
don Nicola Mazza
Fondò nel 1828 l’istituto femminile don Mazza dove venivano accolte ragazze povere in un
ambiente familiare gestito da “cooperatrici”. Nel 1832 fondò l’istituto maschile dove accolse
ragazzi con spiccate doti intellettive, ma privi di mezzi economici per studiare. Grande fu in lui
il desiderio di portare il vangelo “fino ai confini della terra”; il seme missionario gettato dal
Mazza diede buon frutto perché fu raccolto e sviluppato da un suo allievo: Daniele Comboni.
Leopoldina Naudet
Fiorentina di nascita, con le “Dilette di Gesù”, istituto al quale apparteneva, si trasferì a
Verona collaborando con Maddalena di Canossa. Sotto la guida di Gaspare Bertoni, fondò la
congregazione delle Sorelle della Sacra Famiglia, istituto che assunse sin dall’inizio le finalità
della missione educativa nei confronti delle ragazze povere, la loro formazione spirituale e la
catechesi.
Teodora Campostrini
Appartenente ad un nobile casato di Verona, iniziò da subito a dedicarsi ai poveri con una
scuola gratuita per le bambine e la distribuzione di cibo nella sua abitazione. Nel 1821 trasferì
la sua attività in via S. Maria in Organo, dove tutt’ora ha sede la congregazione da lei fondata:
140
le Sorelle Minime della Carità di Maria Addolorata. Contemplazione e impegno apostolico il
loro carissima, tanto che Teodora stessa definì le sue suore “le contemplative nell’azione”.
don Antonio Provolo
Esperto compositore di musica sacra, si avvicinò al mondo dei sordomuti, emarginati tra gli
emarginati nella società del suo tempo, studiando per loro tecniche di apprendimento del
linguaggio.
Seguendo il principio di “dare la parola con la parola stessa”, don Provolo fu precursore dei
moderni principi di musicoterapia. Offrì ai sordomuti anche formazione morale e religiosa.
Estese poi la sua opera alle sordomute, contando sull’appoggio di una valida collaboratrice:
Fortunata Gresner.
Carlo Steeb
Di origine luterana, arrivò a Verona per seguire gli affari della sua facoltosa famiglia. Qui
abbracciò la religione cattolica divenendo sacerdote nel 1796. Collaborò con Leonardi nell’
assistenza dei malati, si dedicò al “Ricovero” uno dei primi ospedali della città di Verona.
Maturò l’idea di fondare un istituto dedito alla cura degli infermi. L’incontro con Luigia Poloni
fu determinante. La loro attenzione si allargò anche ad altre situazioni di disagio, alla cura dei
bambini abbandonati e degli orfani. Fu fondatore dell’istituto Sorelle della Misericordia.
Zefirino Agostini
Fu per molti anno parroco di S. Nazaro e Celso. Lo chiamavano “il facchino di Dio” per la sua
disponibilità e servizio. Vide l’urgenza della formazione soprattutto per la gioventù femminile.
Alle giovani, nell’oratorio parrocchiale, parlava con insistenza di Sant’ Angela Merici, che lo
affascinava per la vita e Le opere compiute. Alcune ragazze scelsero di diventare “Sorelle
devote di S. Angela” impegnandosi in attività a favore delle bambine e dei bisogni. Nacque
così il primo nucleo delle Orsoline Figlie di Maria Immacolata, oggi sparse in tutto il mondo.
Giuseppe Baldo
Per 38 anni fu parroco a Ronco all’Adige, divenendo protagonista della vita sociale di questo
paese. Don Baldo diede vita a numerose iniziative: un asilo, una scuola, un ospedale, una
banca, una lega di lavoratori. Difese i diritti dei lavoratori perché vedeva nell’operaio “i tratti
luminosi della somiglianza con Dio”. Nel 1894 fondò l’istituto delle Piccole Figlie di San
Giuseppe.
Lavori di gruppo
Offrire la disponibilità alla congregazione incontrata per qualche servizio; prevalentemente
nell’ottica del condividerlo con loro, del partecipare alla loro esperienza di vita comunitaria
141
)
Missione
Entrare:
un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame
MISSION
di Roland Joffé – Warner Bros, 1986
Soggetto:
Il film parla delle missioni instaurate dai gesuiti Tra il 1608 ed il 1767 in una vastissima plaga
incuneata tra i fiumi Paranà ed Uruguay, per evangelizzare le tribù dei Guarany e proteggerli
dalle umiliazioni e razzie loro imposte dai Regni di Spagna e del Portogallo, che si erano
spartiti i territori in questione. Nelle "riduzioni" (così si chiamarono i centri attivati dai Soci della
Compagnia di Gesù, tra foreste e corsi d'acqua imponenti), gli indigeni appresero a lavorare
ed a vivere pacificamente in un sistema comunitario, per l'epoca assolutamente anomalo. Ma
le "riduzioni" non potevano andare a genio né a Madrid, né a Lisbona.
Protagonista dell’impresa è nel film Padre Gabriel, che si reca oltre le grandi cascate per
portare tra i Guarany la parola di Cristo. La sua è un'impresa di immenso ardire e di
innumerevoli difficoltà, ma egli riuscirà. Nella zona prescelta fa frequenti incursioni un
avventuriero - Rodrigo Mendoza - che, al servizio dei Portoghesi, cattura gli indios destinati ad
essere strappati dal loro "habitat" per lavorare duramente altrove. Rodrigo è un uomo
spavaldo e violento: un giorno, geloso com'è della propria donna, egli uccide in duello il
fratello, di lei innamorato. Ossessionato dal rimorso e confortato da Padre Gabriel, egli decide
di seguire quest'ultimo, di aiutare disciplinatamente i Gesuiti e di rifarsi una vita finendo con
l'essere cordialmente accettato come novizio dell'ordine. Mentre nelle "riduzioni" tutto si
svolge nella pace e nel lavoro, arriva nella lontana città il Cardinale Altamirano che, su
esplicito mandato del Papa, deve indagare sulla insolita iniziativa promossa dall'ordine in SudAmerica e sulle ripercussioni, politiche e sociali che ne sono derivate. Le visite che il prelato
compie nei vasti centri operativi lo riempiono di stupore e di ammirazione: la fede vi appare
solidamente radicata e tutto sembra svolgersi nel mutuo rispetto e nella pace più assoluti. ma
la cessione effettuata da Ferdinando di Spagna fa decidere i Portoghesi ad adottare ormai la
maniera forte. Una spedizione militare è inviata contro la missione di Padre Gabriel, di
Rodrigo e degli altri confratelli. Rodrigo si ribella, riprende le armi ed organizza la difesa: egli
non avrà, però, la benedizione di Gabriel, che andrà incontro ai brutali massacratori levando
alto l'ostensorio e seguito da donne e fanciulli inermi. La ragione di Stato sembra aver vinto, i
Guarany sono uccisi o dispersi. Resterà, forse, nelle menti e negli occhi di pochi ragazzi,
spauriti nell'immensità dei luoghi, il ricordo di quel meraviglioso esperimento, iniziato sotto il
segno del Vangelo, che aveva portato, con la luce della fede, la cultura e la gioia per tutti.
142
Valutazione pastorale:
Lungi dal presentare un quadro di ciò che la missione significhi oggi, il film offre degli spunti
molto significativi nel cogliere le motivazioni e i significati delle opere che, da secoli spingono
generazioni di missionari ad affrontare enormi sacrifici. La vicenda storica dentro la quale si
muove il film è di grande complessità, per le implicazioni politiche, per la visione di chiesa che
ne emerge e per i vissuti personali dei protagonisti, ma proprio per questo, porta a guardare
con realismo all’epopea missionaria: un realismo fatto di intuizioni, di grandi slanci, di sofferti
cammini personali e di popolo, all’interno delle intricate vicende della storia.
La testimonianza:
l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi
La testimonianza che proponiamo andrebbe preferibilmente indirizzata a contatti con
missionari o persone che hanno vissuto tale esperienza, che siano in contatto con la comunità
parrocchiale. In questa direzione, contattare e coinvolgere se esiste, il gruppo missionario
parrocchiale. Altrimenti ci si può rivolgere al Centro missionario diocesano o a qualche istituto
religioso presente in zona.
Proponiamo a titolo esemplificativo le seguenti domande:
o
o
o
o
o
o
perché andare ad annunciare la fede cristiana a persone di altra cultura e religione? Non
è una violenza o imposizione?
Perché lasciare la propria terra con tutto quello che c’è da fare qui?
Perché i missionari fanno tante opere di carità? Non è un po’ come volere “comprare” la
fede di persone povere?
Cosa ti dà (ti ha dato) l’esperienza missionaria che vivi?
La vivi per un a ragione di fede o per un motivo umanitario?
Attraverso questa esperienza, è cambiato il tuo modo di credere?
Le nostre domande:
riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione
di domande sul “perché la differenza cristiana”
o
o
o
o
La differenza cristiana della missione va fatta cogliere con chiarezza; non tanto perché
non sia legittima e spesso eroica ogni altra missione, quanto perché la missione cristiana
è primariamente altro
Il confronto con il mandato missionario del Vangelo di Matteo ci aiuta a cogliere questa
specificità: Matteo 28, 16-20
L’incontro con Gesù risorto avviene in Galilea, lì dove era iniziata l’avventura con Gesù: è
un nuova partenza con lui, l’avventura missionaria è un rimettersi a camminare dietro a
Gesù, un nuovo inizio per continuare a diventare discepoli
Vedendolo lo adorarono, ma alcuni dubitavano: sono sempre loro: credono in lui, ma di
una fede che rimane mescolata al dubbio
143
o
o
o
o
o
o
o
o
I verbi della missione:
Andare: lasciare la propria comodità, mettersi in movimento
Ammaestrare: insegnare così come ha fatto Gesù, quello che ha insegnato Gesù; è un
qualcosa destinato a tutti, valido per tutte le genti, perché valido per l’uomo
Battezzare: per essere immersi nel dinamismo fondamentale della morte e risurrezione,
per morire al peccato e rinascere a vita nuova
Insegnare ad osservare: indicando una vita di fede che si concretizza poi in una diversa
condotta di vita
Io sono con voi: è la mia missione che continua, sono io a portarla avanti con, e
attraverso, di voi
La missione cristiana nasce dal comando di Gesù, consiste nell’annunciare la sua
persona e nel proporre di diventare suoi discepoli.
L’aiuto del prossimo non è lo scopo della missione, ma è un mezzo: un segno per
esprimere l’amore di Dio e la fede in lui: “ da questo sapranno che siete miei discepoli, se
avrete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13,35)
Qualche risposta:
prospettive di approfondimento
o
o
o
o
o
o
Che dire allora delle obiezioni, già ricordate, in merito alla missione ad gentes? Nel
rispetto di tutte le credenze e di tutte le sensibilità, dobbiamo anzitutto affermare con
semplicità la nostra fede in Cristo, unico salvatore dell'uomo, fede che abbiamo ricevuto
come dono dall'alto senza nostro merito. Noi diciamo con Paolo: «Io non mi vergogno del
vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede». (Rm 1,16) .
La chiesa offre agli uomini il vangelo, documento profetico, rispondente alle esigenze e
aspirazioni del cuore umano: esso è sempre «buona novella». La chiesa non può fare a
meno di proclamare che Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio e a meritare con la croce
e la risurrezione, la salvezza per tutti gli uomini.
All'interrogativo: perché la missione? noi rispondiamo con la fede e con l'esperienza della
chiesa che aprirsi all'amore di Cristo è la vera liberazione. In lui, soltanto in lui, siamo
liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla schiavitù al potere del peccato e della
morte. Cristo è veramente «la nostra pace», (Ef 2,14) e «l'amore di Cristo ci spinge», (2
Cor 5,14) dando senso e gioia alla nostra vita.
La missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo
amore per noi. La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente
umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta
una «graduale secolarizzazione della salvezza», per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per
un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale.
Noi invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto
l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina. Perché la
missione? Perché a noi, come a san Paolo, «è stata concessa la grazia di annunziare ai
pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo». (Ef 3,8) La novità di vita in lui è la «buona
novella» per l'uomo di tutti i tempi: a essa tutti gli uomini sono chiamati e destinati.
Tutti di fatto la cercano, anche se a volte in modo confuso, e hanno il diritto di conoscere il
valore di tale dono e di accedervi. La chiesa e, in essa, ogni cristiano non può nascondere
né conservare per sé questa novità e ricchezza, ricevuta dalla bontà divina per esser
comunicata a tutti gli uomini. Ecco perché la missione, oltre che dal mandato formale del
Signore, deriva dall'esigenza profonda della vita di Dio in noi.
144
o
Coloro che sono incorporati nella chiesa cattolica devono sentirsi dei privilegiati, e per ciò
stesso maggiormente impegnati a testimoniare la fede e la vita cristiana come servizio ai
fratelli e doverosa risposta a Dio, memori che «la loro eccellente condizione non è da
ascrivere ai loro meriti, ma a una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi
corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, lungi dal salvarsi, saranno più
severamente giudicati».(Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio 11)
Approfondimenti per gli animatori
La festa della Pentecoste ci fa prendere coscienza che è nostro dovere far conoscere il Cristo
attorno a noi e appoggiare l'opera di evangelizzazione nel mondo.
La Pentecoste, infatti, segna l'inizio della vita pubblica della Chiesa e della sua missione.
Rinnovati e rincuorati dallo Spirito gli Apostoli si mescolano ai pellegrini venuti da diversi paesi
per la festa, profetizzano facendosi capire da gente di idiomi diversi, destano la meraviglia tra
i presenti, che interpretano diversamente i fatti.
Allora Pietro, circondato dagli undici, spiega quello che è avvenuto e annuncia il Cristo come
Salvatore.
Nel Nuovo Testamento Cristo dà un mandato preciso alla sua Chiesa. Secondo i Sinottici, la
comunità dei discepoli è inviata da Cristo ad “ammaestrare e battezzare” (Mt 28, 19), a
“predicare il Vangelo e a battezzare” (Mc 16, 15-16), a “predicare la conversione e il perdono
dei peccati” ed “essere suoi testimoni” (Lc 24, 47; At 1, 8).
Cristo ha affidato altri compiti alla sua comunità di discepoli: devono essere sale (cf Mt 5, 13),
luce (cf Mt 5, 14), lievito (cf Lc 13, 20-21) per l'umanità alla quale sono inviati o in mezzo alla
quale si ritrovano. Queste immagini esprimono un ruolo attivo della Chiesa nel mondo,
realizzato con la vita e non solo con le opere.
E poi c'è il comandamento nuovo, il suo comandamento, che è l'amore concreto e prioritario,
non solo verso i fratelli (cf Gv 3, 14), ma verso tutti (cf Mt 5, 44), sul modello del Padre (cf Mt
5, 43-48) e di Cristo stesso (cf Gv 15, 12). Si può dire che il Cristo ha lasciato due grandi
comandamenti: quello di amare e quello di annunciare il Vangelo. Essi non sono antitetici,
ma complementari; ambedue conducono alla conoscenza esperienziale di Dio partecipata
all'umanità: “Siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti
nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Gv 17,
22-23).
La missione della Chiesa nei confronti del mondo è innanzitutto ricevuta da Cristo. La Chiesa
è chiamata ad attuarla, incarnandola.
Le modalità della missione, invece, devono essere cercate; il "come" deve essere sempre
inventato secondo le situazioni e le possibilità, ma il compito di amare e di testimoniare è
permanente…
In qualche modo si può fare tale annuncio sempre, in tutti i luoghi e da tutti, almeno come
testimonianza della propria fede. Non occorre aspettare luoghi o avvenimenti speciali per
farlo. La vita ordinaria e i contatti di ogni giorno possono offrire l'occasione per testimoniare la
nostra fede. Si tratta, talvolta, di un semplice commento o di una allusione che apra alla realtà
cristiana. L'annuncio non è un'impresa né impossibile, né straordinaria. Per poterlo fare in
modo quasi naturale occorre essere animati dalla fede e stimare il dono della vita cristiana.
Poter annunciare il Cristo, facendo intravedere la sua presenza e la sua azione salvifica, è
anche una grazia, che fortifica la nostra identità…
L'annuncio non è il tutto della missione a cui il cristiano è chiamato. C'è la solidarietà per
risolvere i problemi comuni della vita, c'è il dialogo per capirsi e camminare insieme, c'è
145
l'impegno per costruire una società più giusta e più umana, c'è il culto a Dio che deve
esprimersi anche socialmente, c'è l'approfondimento della fede e lo sforzo per renderla
interpellante e adattata alla cultura in cui si vive.
La Pentecoste ci invita a prendere coscienza che la missione è affidata a tutti i cristiani e a
ciascuno.
Tutti possiamo e dobbiamo testimoniare il dono più prezioso che ci è stato donato. Lo
facciamo con la parola, con il nostro operare e, più ancora, con la nostra vita che porta frutti
se inserita nel Cristo.
La Pentecoste ci invita anche a prendere coscienza che, discepoli di Cristo, siamo tutti solidali
della missione universale della Chiesa, affinché Cristo sia conosciuto e venga il suo Regno.
(Mons Marcello Zago)
Lavori di gruppo
o
o
o
D’accordo con il proprio gruppo missionario, cercare qualche attività di sostegno materiale
alle opere dei propri missionari
Proporre un mercatino etnico o di prodotti del commercio equo e solidale fuori chiesa o in
occasione di varie circostanze
Contattare gruppi dell’OMG per organizzare la raccolta viveri nella propria parrocchia.
Riferimenti
UMMI – Negrar, per il servizio smistamento medicinali da mandare in missione
Viale Rizzardi, 4 - 37024 Negrar (VR)
Tel. 045-750.05.01 / Fax 045-600.08.47
e-mail: [email protected]
Per gli approfondimenti di temi giovanili legati alla missione, vedi i siti:
• www.giovaniemissione.it
• www.missionegiovani.it
• www.giovanipime.it
• www.mgm.operemissionarie.it
• www.lucinelmondo.it
146
Celebrazione
Chiamati, inviati, accompagnati
Canto
Guida:
Oggi vogliamo incontrarci con il Signore per scoprire il suo modo di amarci. Lui ci
viene a cercare, ovunque siamo non ci perde d’occhio, ci sceglie giorno dopo giorno per fare
della strada con noi, per tenerci vicini a Lui e aprire con noi nuovi cammini divini sulla terra.
1 – Chiamati per nome
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 4, 18-22)
Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e
Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro:
"Seguitemi, vi farò pescatori di uomini". Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando
oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca
insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la
barca e il padre, lo seguirono.
Dal discorso di Benedetto XVI al suo arrivo sul fiume Reno, GMG 2005
Carissimi giovani, voi siete giunti da varie parti della Germania, dell'Europa, del mondo,
facendovi pellegrini al seguito dei Magi. Seguendo le loro orme voi volete scoprire Gesù.
Come voi, mi sono messo anch'io in cammino per giungere insieme con voi ad inginocchiarmi
davanti alla bianca Ostia consacrata nella quale gli occhi della fede riconoscono la presenza
reale del Salvatore del mondo.
Con immensa gioia vi saluto e vi accolgo, cari giovani, qui venuti da vicino o da lontano,
camminando sulle strade del mondo e su quelle della vostra vita. Voi siete i rappresentanti
delle innumerevoli folle di nostri fratelli e sorelle in umanità, che aspettano senza saperlo il
sorgere della stella nei loro cieli per essere condotti a Cristo, Luce delle Genti, e per trovare in
Lui la risposta appagante per la sete dei loro cuori. Saluto con affetto anche quanti tra voi non
sono battezzati, quanti non conoscono ancora Cristo o non si riconoscono nella Chiesa.
Qualcuno tra voi potrebbe forse far propria la descrizione che Edith Stein faceva della propria
adolescenza, lei che visse poi nel Carmelo di Colonia: "Avevo coscientemente e
deliberatamente perso l'abitudine di pregare". Durante queste giornate, potrete rifare
l'esperienza toccante della preghiera come dialogo con Dio, da cui ci sappiamo amati e che
vogliamo amare a nostra volta. A tutti vorrei dire con insistenza: spalancate il vostro cuore a
Dio, lasciatevi sorprendere da Cristo! Concedetegli il "diritto di parlarvi" durante questi giorni!
Aprite le porte della vostra libertà al suo amore misericordioso! Esponete le vostre gioie e le
vostre pene a Cristo, lasciando che Egli illumini con la sua luce la vostra mente e tocchi con la
sua grazia il vostro cuore. In questi giorni benedetti di condivisione e di gioia, fate l'esperienza
147
liberatrice della Chiesa come luogo della misericordia e della tenerezza di Dio verso gli
uomini. Nella Chiesa e mediante la Chiesa raggiungerete Cristo che vi aspetta.
Noi oggi siamo preoccupati per la condizione del mondo e domandiamo: Dove trovo i criteri
per la mia vita, dove i criteri per collaborare in modo responsabile all'edificazione del presente
e del futuro del nostro mondo? Di chi posso fidarmi - a chi affidarmi? Dov'è Colui che può
offrirmi la risposta appagante per le attese del cuore? Porre simili domande significa innanzi
tutto riconoscere che il cammino non è concluso fino a quando non si è incontrato Colui che
ha il potere di instaurare quel Regno universale di giustizia e di pace a cui gli uomini aspirano,
ma che non sanno costruire da soli. Porre tali domande significa poi cercare Qualcuno che
non si inganna e non può ingannare ed è perciò in grado di offrire una certezza così salda da
consentire di vivere per essa e, nel caso, anche di morire.
Quando all'orizzonte dell'esistenza tale risposta si profila bisogna, cari amici, saper fare le
scelte necessarie. È come quando ci si trova ad un bivio: quale strada prendere? Quella
suggerita dalle passioni o quella indicata dalla stella che brilla nella coscienza? Anche noi
dobbiamo fare la nostra scelta.
Cari giovani, la felicità che cercate, la felicità che avete diritto di gustare ha un nome, un volto:
quello di Gesù di Nazareth, nascosto nell'Eucaristia. Solo lui dà pienezza di vita all'umanità!
Con Maria, dite il vostro "sì" a quel Dio che intende donarsi a voi. Vi ripeto oggi quanto ho
detto all'inizio del mio pontificato: "Chi fa entrare Cristo nella propria vita non perde nulla, nulla
- assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No, solo in questa
amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in questa amicizia si dischiudono realmente le
grandi potenzialità della condizione umana. Solo in questa amicizia noi sperimentiamo ciò che
è bello e ciò che libera". Siatene pienamente convinti: Cristo nulla toglie di quanto avete in voi
di bello e di grande, ma porta tutto a perfezione per la gloria di Dio, la felicità degli uomini, la
salvezza del mondo.
Vi invito ad impegnarvi senza riserve a servire Cristo, costi quel che costi. L'incontro con
Gesù Cristo vi permetterà di gustare interiormente la gioia della sua presenza viva e
vivificante per poi testimoniarla intorno a voi. Che la vostra presenza sia già il primo segno di
annuncio del Vangelo mediante la testimonianza del vostro comportamento e della vostra
gioia di vivere.
Risposta corale: Tu ci ami per primo, sempre
O Dio nostro Padre, tu ci hai amato per primo!
Signore, noi parliamo di Te
come se ci avessi amato per primo in passato,
una sola volta.
Non è così: Tu ci ami per primo, sempre,
tu ci ami continuamente,
giorno dopo giorno, per tuta la vita.
148
Quando al mattino mi sveglio
e innalzo a te il mio spirito, Signore,
Dio mio, tu sei il primo, tu mi ami sempre per primo.
E' sempre così: Tu ci ami per primo
non una sola volta, ma ogni giorno, sempre.
S. Kierkegaard
Canto
2 – Inviati nel mondo
Dal Vangelo secondo Matteo (cap. 10)
Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti:
“
Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti,
sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Ecco:
io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici
come le colombe. Non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà
suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito
del Padre vostro che parla in voi. Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più
del suo padrone; è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come
il suo padrone. Non v`è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non
debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che
ascoltate all`orecchio predicatelo sui tetti. Due passeri non si vendono forse per un soldo?
Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi,
perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di
molti passeri! Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch`io lo riconoscerò davanti al
Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch`io lo rinnegherò
davanti al Padre mio che è nei cieli. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto
la sua vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie
colui che mi ha mandato. E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di
questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa".
149
Dall’omelia di Benedetto XVI
durante la S. Messa nella spianata di Marienfeld, GMG 2005
Chi ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere per
sé. Bisogna trasmetterla. Per dire il vero, non di rado la religione diventa quasi un prodotto di
consumo. Si sceglie quello che piace, ma la religione cercata alla maniera del "fai da te" alla
fin fine non ci aiuta. È comoda, ma nell'ora della crisi ci abbandona a noi stessi.
Aiutate gli uomini a scoprire la vera stella che ci indica la strada: Gesù Cristo! Cerchiamo noi
stessi di conoscerlo sempre meglio per poter in modo convincente guidare anche gli altri
verso di Lui. Per questo è così importante l'amore per la Sacra Scrittura e, di conseguenza,
importante conoscere la fede della Chiesa che ci dischiude il senso della Scrittura. Papa
Giovanni Paolo II ci ha donato un'opera meravigliosa, nella quale la fede dei secoli è spiegata
in modo sintetico: il Catechismo della Chiesa Cattolica. Io stesso recentemente ho potuto
presentare il Compendio di tale Catechismo, che è stato anche elaborato a richiesta del
defunto Papa. Sono due libri fondamentali che vorrei raccomandare a tutti voi.
"Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo" dice san Paolo (1 Cor
10, 17). Con ciò intende dire: Poiché riceviamo il medesimo Signore ed Egli ci accoglie e ci
attira dentro di sé, siamo una cosa sola anche tra di noi. Questo deve manifestarsi nella vita.
Deve mostrarsi nella capacità del perdono. Deve manifestarsi nella sensibilità per le necessità
dell'altro. Deve manifestarsi nella disponibilità a condividere. Deve manifestarsi nell'impegno
per il prossimo, per quello vicino come per quello esternamente lontano, che però ci riguarda
sempre da vicino.
Vivendo ed agendo così ci accorgeremo ben presto che è molto più bello essere utili e stare a
disposizione degli altri che preoccuparsi solo delle comodità che ci vengono offerte. Io so che
voi come giovani aspirate alle cose grandi, che volete impegnarvi per un mondo migliore.
Dimostratelo agli uomini, dimostratelo al mondo, che aspetta proprio questa testimonianza dai
discepoli di Gesù Cristo e che, soprattutto mediante il vostro amore, potrà scoprire la stella
che noi seguiamo.
Andiamo avanti con Cristo e viviamo la nostra vita da veri adoratori di Dio! Amen.
Risposta corale: Da "Senza misura" di Mons. Antonio Bello
Non possiamo tenere più per noi l'annuncio che abbiamo ricevuto. Noi siamo mandati. Non
siamo soltanto dei chiamati.
Siamo, sì, dei chiamati; anzi il Signore ci chiama per nome: Antonella, Angela, Maria,
Giuseppe... Ci chiama per nome.
E quando uno sente il suo nome ha un soprassalto nel cuore. Dice: “Oh, il mio nome risuona
in mezzo alla folla!”. Ci ha chiamati per nome.
Ti chiama per nome.
Ti chiama per nome, e ti manda anche.
Quindi siamo degli inviati. Siamo dei mandati.
Cercate di passare finalmente dalle parole ai fatti.
La gente non ci crede più. Non crede più alle nostre chiacchiere. Noi non supportiamo con
uno spessore di fatti quello che diciamo. Noi facciamo tante cose belle nelle nostre
parrocchie. Però ricordatevi che, se non passate ai fatti, se non tirate delle conclusioni, se non
vi sforzate di essere più generosi, più liberi, più trasparenti, più puri, più audaci, più disponibili
150
alla preghiera, all'ascolto della Parola di Dio, più pronti anche all'interno delle liturgie, a
cantare, ad esprimervi, ad essere protagonisti... se noti c'è tutto questo la cresima sarà stata
una scenografia.
Vivete la vita che state vivendo con una forte passione. Non recintatevi dentro di voi
circoscrivendo la vostra vita in piccoli ambiti egoistici, invidiosi, incapaci di aprirsi agli altri.
Appassionatevi alla vita perché è dolcissima.
Mordete la vita! Non coltivate pensieri di afflizione, di chiusura, di precauzioni.
Mandate indietro la tentazione di sentirvi incompresi.
Non chiudetevi in voi stessi, ma sprizzate gioia da tutti i pori.
Bruciate... perché quando sarete grandi potrete scaldarvi ai carboni divampati nella vostra
giovinezza.
3 – Membri di una grande famiglia
Dalla Prima Lettera di S. Paolo Apostolo ai Corinzi (10, 15-17)
Parlo come a persone intelligenti; giudicate voi stessi quello che dico: 16 il calice della
benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane
che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? 17 Poiché c`è un solo pane,
noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell`unico pane.
Dal discorso di Benedetto XVI durante
la veglia di preghiera nella spianata di Marienfeld, GMG 2005
Cari amici, Dio ci ha donato degli esempi. I Magi provenienti dall'Oriente sono soltanto i primi
di una lunga processione di uomini e donne che nella loro vita hanno costantemente cercato
con lo sguardo la stella di Dio, che hanno cercato quel Dio che a noi, esseri umani, è vicino e
ci indica la strada. È la grande schiera dei santi - noti o sconosciuti - mediante i quali il
Signore, lungo la storia, ha aperto davanti a noi il Vangelo e ne ha sfogliato le pagine; questo,
Egli sta facendo tuttora. Nelle loro vite, come in un grande libro illustrato, si svela la ricchezza
del Vangelo. Essi sono la scia luminosa di Dio che Egli stesso lungo la storia ha tracciato e
traccia ancora. In queste figure ha voluto dimostrarci come si fa ad essere cristiani; come si fa
a svolgere la propria vita in modo giusto - a vivere secondo il modo di Dio. I beati e i santi
sono stati persone che non hanno cercato ostinatamente la propria felicità, ma
semplicemente hanno voluto donarsi, perché sono state raggiunte dalla luce di Cristo. Essi ci
indicano così la strada per diventare felici, ci mostrano come si riesce ad essere persone
veramente umane. Nelle vicende della storia sono stati essi i veri riformatori che tante volte
l'hanno risollevata dalle valli oscure nelle quali è sempre nuovamente in pericolo di
sprofondare; essi l'hanno sempre nuovamente illuminata quanto era necessario per dare la
possibilità di accettare - magari nel dolore - la parola pronunciata da Dio al termine dell'opera
151
della creazione: "È cosa buona". Contemplando queste figure impariamo che cosa significa
"adorare", e che cosa vuol dire vivere secondo la misura di Gesù Cristo e di Dio stesso.
I santi, abbiamo detto, sono i veri riformatori. Ora vorrei esprimerlo in modo ancora più
radicale: Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del
mondo. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che
è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e
vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura
di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l'amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se
non l'amore?
Cari amici! Sono molti coloro che parlano di Dio; nel nome di Dio si predica anche l'odio e si
esercita la violenza. Perciò è importante scoprire il vero volto di Dio. "Chi ha visto me ha visto
il Padre", diceva Gesù a Filippo (Gv 14, 9). In Gesù Cristo, che per noi ha permesso che si
trafiggesse il suo cuore, in Lui è comparso il vero volto di Dio. Lo seguiremo insieme con la
grande schiera di coloro che ci hanno preceduto. Allora cammineremo sulla via giusta.
Questo significa che non ci costruiamo un Dio privato, non ci costruiamo un Gesù privato, ma
che crediamo e ci prostriamo davanti a quel Gesù che ci viene mostrato dalle Sacre Scritture
e che nella grande processione dei fedeli chiamata Chiesa si rivela vivente, sempre con noi e
al tempo stesso sempre davanti a noi. Papa Giovanni Paolo II, che nei tanti beati e santi ci ha
mostrato il volto vero della Chiesa, ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso della
storia, a motivo dell'agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto di male. In tal modo fa
vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta ad entrare con tutti i nostri difetti e
debolezze nella processione dei santi. In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania
nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella
sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana,
ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno
spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni. Perciò siamo
lieti di appartenere a questa grande famiglia che vediamo qui; siamo lieti di avere fratelli e
amici in tutto il mondo. Sperimentiamo quanto sia bello appartenere ad una famiglia vasta
come il mondo, che comprende il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro e tutte le
parti della terra. In questa grande comitiva di pellegrini camminiamo insieme con Cristo,
camminiamo con la stella che illumina la storia.
Gesto: Ciascuno di noi riceve a turno uno stetoscopio, con il quale ascoltiamo prima il battito
del nostro cuore e poi quello del nostro vicino.
In questo modo sperimentiamo un modo nuovo di ascoltare: ascoltare il cuore. Interpretando
poi ciò che abbiamo ascoltato, possiamo anche cercare di capire come sta il nostro vicino, se
è in ansia o se è sereno.
Quando ci mettiamo in atteggiamento di ascolto verso qualche persona, dobbiamo ricordarci
di ascoltare non solo le parole, ma anche il cuore, prendendo esempio da Cristo. Più ci
avviciniamo al cuore delle persone e più ci avviciniamo a Cristo.
152
Risposta corale: La santa Chiesa cattolica
Dio, Trinità santa, da Te viene la Chiesa,
popolo pellegrino nel tempo
chiamato a celebrare senza fine
la lode della Tua gloria.
In Te vive la Chiesa, icona dell'amore trinitario,
comunione nel dialogo e nel servizio della carità.
Verso di Te tende la Chiesa, segno e strumento
della Tua opera di riconciliazione e di pace
nella storia del mondo.
Donaci di amare questa Chiesa come nostra Madre,
e di volerla con tutta la passione del nostro cuore
Sposa bella del Cristo, senza macchia né ruga.
una, santa, cattolica e apostolica,
partecipe e trasparente
nel tempo degli uomini
della vita dell'eterno Amore.
Amen! Alleluia!
Bruno Forte
Canto
153
INDICE
La casa sulla roccia
Per una pastorale dei 17/19enni
Pag.
o
introduzione all’intera opera 1.1
05
o
Le maestranze
o
o
o
o
o
Le stanze
I lavori da fare
Gli strumenti di lavoro
Il piano di lavoro
Faq
06
12
19
21
27
31
37
40
44
Per il parroco
Per il consiglio pastorale
Per te animatore
Cerco fatti di Vangelo
o
o
Introduzione al sussidio
46
o
Parte 1 – Li amò fino alla fine 1.1.1
Scheda Affetti e vita di coppia
Scheda Famiglia
Scheda Professione
Celebrazione
49
50
55
60
67
o
Parte 2 – Si cinse un asciugatoio 1.1.2
Scheda Carità
Scheda Carcere
Scheda Disabilità
Scheda Malattia
Scheda Anziani
Scheda Dipendenze
Scheda Accoglienza
Celebrazione
74
75
82
87
93
99
103
108
114
Parte 3 – Fatelo anche voi 1.1.3
Scheda Animatore
Scheda Parroco
Scheda Vita Religiosa
Scheda Missione
Celebrazione
122
123
128
132
142
147
I film indicati li potrete trovare, con la forma del prestito gratuito, presso il Centro di Pastorale
Giovanile a Settimo di Pescantina (Vr) o presso la Domus Pacis a Legnago (Vr)
154
Appunti:
155
156
157
158
159
160
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