La casa sulla roccia Cerco Fatti di Vangelo Schede per incontrare una Chiesa che crede e per sporcarsi le mani insieme 1.1 1 Realizzato dalla commissione dei 17-19enni - CPG Editing Meme Pro Manoscritto 2 L’ntera opera: 1.1 1.1.1 1.1.2 1.1.3 1.2 1.2.1 1.2.2 1.2.3 2.1 2.1.1 2.1.2 2.1.3 2.1.4 2.2 2.2.1 2.2.2 2.2.3 2.3 2.3.1 2.3.2 2.3.3 2.3.4 2.3.5 2.3.6 LA CASA SULLA ROCCIA Cerco fatti di Vangelo Schede per incontrare una Chiesa che crede e per sporcarsi le mani insieme Li amò sino alla fine, nella vita quotidiana Si cinse un’asciugatoio, nel mondo della solidarietà Fatelo anche voi, nella vita parrocchiale LA CASA SULLA ROCCIA Vangelo da Vivere (2007) Ne costituì dodici, proposte per esperienze di vita comunitaria Stare con Lui, proposte di momenti di preghiera e di educazione alla preghiera Per mandarli, proposte di formazione alla testimonianza e al servizio di animazione IL TUO VOLTO IO CERCO Che cercate? Credere? E in cosa? Almeno credo! In chi e in cosa credono i giovani oggi C’e’ qualcosa che conta veramente? L’influenza del relativismo culturale oggi Un posto nel mondo. L’identità personale e trascendenza oggi Quale uomo? L’immagine di Dio e dell’uomo nelle religioni IL TUO VOLTO IO CERCO Maestro dove abiti? Da una fede ricevuta…alla fede in Gesù Credere oggi: in questa età, in questo tempo Io ti battezzo: Dalla fede ricevuta alla fede scelta Il caso Gesù : la storia e le interpretazioni IL TUO VOLTO IO CERCO Venite e vedrete! Incontrare Gesù, diventare dei suoi! Un tipo così: l’umanità di Gesù Con un suo segreto: Gesù e il Padre Con le sue idee: il senso della Vita Con un suo stile: …in concreto Mi ha cambiato la vita: incontri con Gesù Dicono sia vivo! Incontrare il Risorto 3.1 VIVERE DA FIGLI Figli del Padre, riscopriamo la vita, riscoprendo il Padre Nostro (2007) 3.2 VIVERE DA FIGLI Uno Spirito da figli, mossi dentro dallo Spirito (2007) 4.1 IL SALE DELLA TERRA, Sussidio personale per seguire Gesù con il Vangelo secondo Marco 4.2 COMPAGNI DI VIAGGIO, sussidio personale per un cammino spirituale 3 4 La casa sulla roccia Istruzioni per l’uso per una pastorale dei 17/19enni Ecco tra le vostre mani un “manuale per l’uso”. Per quale uso? Per costruire un itinerario di fede che accompagni i vostri ragazzi a…costruire una casa sulla roccia! Anzi, a costruire la loro “propria casa” dell’esistenza umana sulla roccia della fede, decidendo, da protagonisti, di modellare la loro propria originalità sull’immagine di Cristo. “Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo.” (Gaudium et Spes) Nel proporre a un giovane di costruire il progetto della vita cristiana, come nella costruzione di qualsiasi edificio, vogliamo chiamare in causa: 1. Il progetto: un’attività formativa per accompagnare a costruire la propria vita su Gesù Cristo e sul suo Vangelo. Dovete inventarvelo voi a seconda delle vostre esigenze e possibilità, ricordando sempre che il progetto non è la casa! 2. le Maestranze: la comunità cristiana nelle sue varie articolazioni coinvolte nel progetto 3. Le stanze: sono i vari locali che compongono la casa, l’iniziazione alle diverse dimensioni del cammino di fede cui la proposta vuole iniziare i ragazzi: formazione, vita comunitaria, servizio 4. I lavori da fare: muri, pavimenti, infissi, impianti: ogni ambito formativo è realizzato grazie al concorso di “varie cose” che si fanno 5. Strumenti di lavoro: per “fare materialmente”, ovvero i sussidi 6. il Piano di lavoro: tempi e modi in cui realizzare il progetto 7. Il progetto ancora: sì, perché in questi sussidi non troverai il progetto, ma solo tante idee, suggerimenti, aiuti per idearlo e provarlo. Proprio per questo partiamo dal 2° punto e infine…potrai iniziare a progettare! 5 le maestranze Non è che tutti debbano sapere tutto; ci sono alcune cose che necessariamente tutte le maestranze debbono aver chiare, ma altre sono competenze specifiche di alcuni. È importante allora o o o Che quello che c’è da sapere lo si sappia; Che ogni protagonista possa approfondire al meglio il proprio ruolo di lavoro; Che non ci si appesantisca nel chiedere tutto a tutti. Quali allora le maestranze chiamate in causa? o o o o Tutti, per far capire che il lavoro è di squadra Il parroco, responsabile della vita della comunità Il consiglio pastorale, in quanto organo espressivo delle varie componenti della parrocchia che saranno coinvolte nel progetto L’animatore e il gruppo degli animatori (meglio chiamarli forse educatori), coloro che gestiranno direttamente il lavoro Per tutti Ciao a tutti! A tutti chi? A tutti voi che sarete i protagonisti di questa proposta a servizio del cammino di fede dei 17/19enni! A voi animatori: o o o Che forse siete gli animatori che li avete accompagnati negli anni scorsi Che forse siete un’equipe stabile della parrocchia o di un gruppo di parrocchie vicine Che forse siete nuove reclute impaurite, che si sentono inadeguate e che, comunque, sarete i protagonisti insieme ai ragazzi di questa impresa! Ai voi preti: o o o o 6 Al parroco prima di tutto, responsabile ultimo della vita della comunità Al curato, se c’è, che normalmente è quello che vi segue e vi accompagna Al vicario foraneo, che oltre ad essere un parroco, lavora per coordinare le proposte tra parrocchie vicine (sì, perché questa che vi facciamo sarebbe una di quelle!) Che sentite così importante la cura dell’educazione alla fede dei giovani, pur nelle difficoltà che tale attenzione comporta oggi Ai consigli pastorali: o o Parrocchiale, che accompagna i sacerdoti nel consiglio, per guidare ad unità la vita della parrocchia Vicariale, che cerca linee pastorali comuni per la vita delle parrocchie vicine, che sentite a fatica, ma anche la necessità e l’entusiasmo di rinnovare secondo Il Vangelo la vita della nostra Chiesa. A voi famiglie: o o o Primi educatori della fede dei figli Di questi figli che iniziano ad affacciarsi alla vita adulta Che sentite l’importanza di essere leali e coerenti nelle vostre scelte di vita per poter essere credibili nei confronti dei figli A voi ragazzi: o o o Che ci siete, perché siete convinti di voler seguire Gesù Cristo, nonostante i dubbi e le fatiche Che ci siete, forse senza sapere il perché Che avete una gran voglia di vivere questa splendida avventura che sono i vostri anni A voi tutti un grande augurio: che sia un cammino bello ed entusiasmante, di quelli che ti cambia la vita! Da dove ripartire? C’ERA UNA VOLTA IL BIENNIO DELLA FEDE Il biennio della fede da cui veniamo Il fortunato cammino formativo, che si è sviluppato negli ultimi decenni nella nostra diocesi, ha avuto la geniale intuizione di una proposta specifica per questa fascia di età. Attenzione dovuta ad un indubbio salto di maturità personale e di selezione nell’appartenenza ai gruppi formativi, che introno ai 17 anni necessitava un cambio di marcia della proposta formativa. Sul numero di “informazioni pastorali” della quaresima 2005, era apparso un articolo proposto dalla commissione “biennio della fede” del CPG. Facendo seguito a scambi di pareri con operatori pastorali della diocesi, esce a titolo sperimentale, ad opera del CPG, questo nuovo percorso formativo per giovani dai 17 ai 19 anni. A quell’articolo rimandiamo per illustrare il percorso che ora vi trovate tra le mani, per notare la continuità, ma anche le variazioni di tonalità suggeriteci dall’altrui riflessione ed esperienza: Il Biennio della fede Questo particolare itinerario è nato per la consapevolezza dei cambiamenti significativi che, all’interno del cammino dell’adolescenza, avvengono per i ragazzi verso la fine delle scuole 7 superiori. Un cambiamento, una maturazione umana che porta i 17/19enni a guardare alla fede in modo diverso, con una ricerca più seria e profonda. In questi anni il cammino del biennio della fede è diventato mediamente una costante dei percorsi formativi delle nostre parrocchie, anche se, dall’osservatorio diocesano, si notano alcune evoluzioni nella prassi pastorale: o Un graduale affievolirsi, negli ultimi anni, della partecipazione alle proposte mirate del CPG per 17/19enni (Incontri progetto di vita, campi mobili e semimobili), solo parzialmente sostituite da nuove proposte negli ultimi due anni, ma sempre con un numero esiguo di partecipanti o Un graduale impoverimento delle relazioni bidirezionali tra parrocchie e CPG, al punto di dissuadere il CPG stesso dal proporre incontri per animatori o Pur rimanendo anche numericamente significativa la festa del passaggio dei 17enni, è andata gradualmente scemando fino a scomparire la proposta della festa del 18esimo anno; resta ancora, ma con partecipazione comunque di poche parrocchie, la celebrazione diocesana della Redditio Symboli (segno forse di un cammino che vede molti ragazzi all’inizio, ma che gradualmente si perdono) o Grande diffusione del sussidio diocesano per il biennio, ma nella prassi poco utilizzo del medesimo; restano comunque dei segnali molto confortanti per ciò che avviene nei percorsi di molte parrocchie, con proposte addirittura interparrocchiali, appositamente studiate per i ragazzi di questa fascia d’età. Alcune considerazioni Se desideriamo continuare una proposta che sia significativa per i 17/19enni di oggi, dobbiamo cercare di evidenziare alcune evoluzioni del loro approccio umano e cristiano alla vita. Sinteticamente potremmo così individuare alcuni elementi: a. 17 anni, festa del Passaggio: che cosa effettivamente cambia a 17 anni oggi? Che passaggio si festeggia? Evidentemente il 17enne è diverso dal 14enne, ma, nel confronto con chi opera direttamente nella pastorale, si nota che la spinta, verso un salto di maturità maggiore, è ancora debole nel 17enne di oggi: da una parte, nella prassi dei gruppi adolescenti, giunti ai 17 anni, si sente l’esigenza di qualche cambiamento, ma una proposta (come nel sussidio attualmente proposto) incentrata sulle scelte di vita, rischia di risultare ancora lontana. b. biennio della fede: l’impianto formativo prevede un passaggio dallo scegliere, allo scegliere Gesù Cristo e l’appartenenza alla Chiesa, che porti ad una pubblica professione della fede nell’anno della quinta superiore, alla Festa diocesana delle Palme. Normalmente nella prassi si nota che, accanto all’assottigliarsi dei numeri dei ragazzi che restano coinvolti nella proposta, c’è però un grado di coinvolgimento più sincero e significativo (rispetto alle motivazioni che spingono al gruppo adolescenti), con un’apertura alle questioni di fede. La nota più rilevante è che la fede stessa, spesso, non è assolutamente scontata, ma convive con tanti dubbi e con le tante commistioni sincretiste e relativiste, tipiche della nostra cultura; si impone, allora, un percorso che non dia per scontata la fede, ma che faccia della fede un oggetto stesso del percorso e che provi a rifondarla: si potrebbe pensare a un passaggio dal “biennio DELLA fede” al “biennio PER la fede” c. 8 quando è nata l’idea di un biennio specifico per questa fascia d’età, il contesto pastorale lo collocava come proposta “cerniera” tra i gruppi adolescenti e il gruppo giovani parrocchiale. Cerniera, nel senso di riuscire a congiungere due approcci distinti della proposta formativa in due diverse fasi della vita. Da anni però sappiamo come, terminato il periodo delle superiori, difficilmente in parrocchia esista un classico gruppo giovani formativo, e come la formazione cristiana dei giovani passi attraverso le attività di impegno che svolgono (cosa però che non avviene in tutte le parrocchie!), con il limite della mancanza di una proposta formativa mirata alla persona nella fase in cui, in modo sempre più personalizzato, si affaccia alle esperienze decisive della vita; si potrebbe, quindi, pensare di prolungare la “cerniera” fino al primo anno dopo le superiori, con una proposta diversa, adatta e compatibile con i nuovi impegni di vita dei giovani. Dopo il Sinodo: perché e cosa cambiare Stanti le sopraccitate premesse, eccoci a indicare, a titolo sperimentale, una nuova proposta formativa per i ragazzi dai 17 ai 19 anni (o giù di lì). Nuova, perché nasce nel contesto di una chiesa diocesana che attraverso il Sinodo ha riscoperto un modo nuovo di essere: discepola, sinodale, compagna di viaggio, estroversa. Si tratta di un cambiamento di prospettiva attraverso il quale passare, da una visione della pastorale giovanile, intesa come compito di alcuni specialisti, ad un approccio attraverso il quale l’intera comunità si senta responsabile e coinvolta nel comunicare la fede alle nuove generazioni: o avendo cura della propria significatività o preparando persone adulte a prendersi cura dei giovani o superando l’attuale situazione, da una parte di de-responsabilizzazione degli adulti, dall’altra di responsabilizzazione di giovani, troppo giovani Verso chi? 17/ 19 enni oggi I giovani e la religione oggi L’ultima indagine IARD sulla condizione giovanile in Italia, ha evidenziato come il ruolo della religione per i giovani italiani sia ancora significativo, sia nel modo in cui è vissuta soggettivamente, sia in una certa capacità di influire sulle scelte. Uno sguardo sintetico di alcuni elementi, porta però a rilevare nell’arco tra i 15 e i 34 anni, dei grossi cambiamenti. Sul crinale: la religiosità a 17/19 anni L’ultima indagine IARD sulla condizione giovanile in Italia, ha evidenziato come i 18 anni (ma noi preferiamo pensare i 19) rappresentino il crinale decisivo in ordina all’importanza attribuita alla religione: massima importanza nella fascia 15-17, minima in quella 18-20. A titolo esemplificativo due indicatori: 9 o o in ordine alla propria autocomprensione in quanto cattolici (75% dei 15-17enni, 62% dei 18-20enni) in ordine alla frequenza della Messa domenicale (per esempio chi la frequenta tutte le settimane, passa dal 28% dei 15-17enni, al 14,4% dei 18-20) Va notato che l’indagine stessa ha diviso in diverse categorie i giovani, in relazione al ruolo che attribuiscono alla religione; i giovani cosiddetti “ferventi”, che corrispondono a quelli che frequentano la chiesa e appartengo ad esperienze ecclesiali associative e formative, nella fascia tra i 18/20 in Italia sono il 5,0%! (e nel nord/est ancora meno!) Sul finire, quindi, di una religiosità adolescenziale, che in parte mantiene ancora una certa tenuta, se non di significati almeno di alcune forme di appartenenza, il passaggio verso le nuove esperienze lavorative o di studio universitario, segnano una sorta di abbandono della rilevanza della dimensione di appartenenza ecclesiale e di pregnanza della dimensione della fede. Vengono meno le pressioni familiari o dell’ambiente abituale, si passa all’essere “i più grandi” nell’ambiente scuola e a frequentare gente più adulta. Eppure è un tempo importantissimo della vita in cui maturano decisioni importanti a livello personale, e proprio per questo riteniamo importante accompagnare questo valico con una proposta mirata alle singole persone, capace di transitarle in questa nuova stagione della vita. Quali strategie? Nel contesto della presentazione dell’indagine presso la facoltà teologica regionale a Padova, il ricercatore dello IARD Riccardo Grassi, intravedeva nella “parabola del figliol prodigo” un’icona evangelica capace di tratteggiare bene la situazione della Chiesa nei confronti della religiosità giovanile. La Chiesa appare molto preoccupata di far di tutto perché questo figlio, “giunto alla maggiore età” non se ne vada, ma, nonostante ogni sforzo, facendo ogni tipo di proposta possibile e immaginabile, lui va lo stesso: è il quadro del nostro 5%, di 18enni fortemente appartenenti. Una Chiesa che parrebbe tutta intenta a mettere in atto una strategia per evitare la fuga! Al contrario del padre della Parabola, che lascia andare senza battere ciglio! Fiducioso di quanto seminato, sempre attento a scrutare segnali di un possibile ritorno, il padre della parabola mette in atto delle strategie di accoglienza quando si verifica il ritorno. Assomiglia alla condizione di tanti giovani che, dopo un periodo di allontanamento, per l’insorgere di una maturità diversa e delle domande forti davanti alle scelte decisive della vita, si riavvicinano alla fede e alla Chiesa. Diventa certo importante chiedersi: ma quali strategie di accoglienza per chi ritorna sta mettendo in atto la chiesa? Non si sta ancora attardando troppo nell’evitare l’inevitabile fuga? Resta il figlio maggiore, quello che nella casa paterna ci resta, più per convenienza che per convinzione. E forse i 17/19enni cui ci rivolgiamo con questa proposta, assomigliano tanto al figlio maggiore! Non tanto perché restano per convenienza (oggi non è certo così), quanto per condizione e per scelta di non andarsene. Il che non vuol dire che la loro vita non sia anche e soprattutto altrove, ma per loro ha valore un riferimento importante alla fede e alla chiesa! Quali strategie allora perché questo giovane, che è comunque figlio del suo tempo: o Resti non da servo (che fa le cose automaticamente) ma da figlio (perché si sente a casa)? o Resti non per abitudine (senza maturare) ma per scelta (maturando convinzioni)? o Resti non per restare (alla ricerca di una gruccia che dia sicurezza) ma per partire (per essere testimone nella vita)? 10 Quale 17/19 enne allora? Domanda alquanto necessaria, alla quale va data una risposta chiara: il 17/19enne che partecipa ai gruppi, che ha il desiderio di un percorso di approfondimento della fede. Qui potremmo dilungarci in tutte le salse a dire se è giusto o meno; fatto sta che questo tipo di sussidio ha ben poco a che fare con una attenzione (peraltro sacrosanta e doverosa!) a chi non frequenta (e sono la maggioranza) i percorsi formativi parrocchiali. Visto così, sembra proprio di poter dire che questi ragazzi non possiamo che accompagnarli ad “essere lievito”. Grande minoranza lo sono; potremmo passare piuttosto alla valorizzazione positiva di questo “resto di Israele”, per il quale il problema non è essere in tanti (il lievito è ben poco nella pasta!), ma eventualmente “che il sale non perda il suo sapore!” Aiutiamoli allora (e noi con loro) ad essere significativi, senza dimenticare che sono figli delle incertezze e dei vuoti del loro tempo: non sono dei militanti cattolici in miniatura! 11 Per il parroco Con un po’ di trepidazione, una parola da prete a prete. Trovandoti tra le mani questo sussidio, cosa ti verrà da pensare? Sinceramente non lo so; sarei contento se questo strumento potesse esserti utile. Proprio per questo ti invito a provare quanto viene proposto, o lasciandoti coinvolgere o coinvolgendo a tua volta La realtà nella quale ti trovi, la conosci tu, ed è in questa nostra diocesi che mette insieme parrocchie diversissime per zona, storia, consistenza e cultura: lago, città, basse, montagna… con tante sfumature al loro interno. Se poi ci guardiamo noi preti…quanta varietà di storie, sensibilità, esperienza, spiritualità… Eppure, parrocchie e preti, tutti coinvolti nel desiderio di continuare a “Dire oggi quel Gesù” alle giovani generazioni. Queste generazioni così fragili e ricche allo stesso tempo, di fronte alle quali ci troviamo tra lo stupito e…l’attonito, perché non sappiamo più cosa fare! Eppure siamo qui, convinti del loro valore e della perenne validità del Vangelo. Siamo qui a provare insieme questa nuova proposta. Ribadisco: o proviamo, perché altro non è che un tentativo per nulla garantito o insieme, ognuno con le proprie abilità e competenze, ognuno con le proprie sensibilità e scelte, camminando però nella stessa direzione! A te l’impegnativo compito di vivere in trincea e di vedere cosa è opportuno fare lì dove ti trovi. Ti chiedo di buttarti, e di coinvolgere la tua comunità con te e con gli animatori. E se vi trovate ad essere con poche forze, perché non pensare di unirsi ai vicini? In particolare mi viene da lanciarti una proposta. Prova a vivere l’attenzione ai ragazzi di questa età con alcune attenzioni, simili a quelle che si stanno ponendo in atto per l’iniziazione cristiana dei fanciulli. Ovvero, avere un’attenzione di formazione e di coinvolgimento di quel mondo adulto, verso il quale i ragazzi guardano e si stanno preparando a diventare. Sarebbe bello riuscire ad individuare nella tua comunità delle persone adulte che si prendessero carico di questi ragazzi; forse negli ultimi anni (più per necessità che per scelta) abbiamo abbassato troppo l’età e la maturità degli animatori: “bruciando” giovani volenterosi ma impreparati, e ponendo accanto ai ragazzi…altri ragazzi come loro. Accanto alla freschezza di “giovani per i giovani”, perché non pensare anche a degli adulti che si coinvolgano con loro? La pagina che segue, tratta da una relazione del teologo milanese Franco Giulio Brambilla, vuole darti alcuni spunti per comprendere come in realtà, oggi, anche la pastorale giovanile vada inserita nel più ampio tentativo di rinnovamento dell’iniziazione cristiana, partendo cioè dalla fede degli adulti, su cui, più in generale, a proposito di iniziazione cristiana stiamo lavorando. Segno che, per tanti aspetti, anche a 19 anni, di iniziazione ancora si tratta! Buona lettura, e buona avventura. Vedremo poi ricreare l’occasione per verificare cosa può funzionare. Don Alberto 12 Chi comunica la fede? Comunicare il Vangelo alle nuove generazioni? Partiamo dagli adulti Premessa: Perché partire dagli adulti? Le domande sulle quali oggi vogliamo sostare sono: quando si può dire che gli adulti amano i giovani? Quando, come e dove possono contribuire alla loro formazione, alla scoperta della loro identità, alla maturazione delle loro scelte personali? Perché, in altre parole, la pastorale giovanile deve partire dalla fede degli adulti testimoniata e trasmessa? Le risposte sono due e si richiamano vicendevolmente: o la meta, il traguardo, l’approdo della crescita dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani non può essere che la figura adulta della fede: il processo di crescita nell’umanità e nella fede, negli affetti e nelle decisioni, nell’identità e nella relazione è la vita umana vissuta come forma del discepolato al Signore in una comunità fraterna: questa è la figura adulta della fede! o la pastorale giovanile esprime la cura della chiesa e delle comunità cristiane per trasmettere la fede alle nuove generazioni: la fede ricevuta ha da essere trasmessa, essa può e deve essere comunicata come forma che risveglia nella coscienza di chi si affaccia alla vita la gioia di vivere un’esistenza nella dedizione al Signore, per trovare il proprio volto, la propria identità, la figura vocazionale della propria vita. Di qui la prima convinzione: la questione della fede e del futuro del giovani rimanda alla qualità della fede e della testimonianza degli adulti: Le tre dimensioni della trasmissione della fede Il primo percorso si sofferma per un ingrandimento dell’atto con cui la chiesa, la comunità cristiana, i sacerdoti, gli adulti, i genitori, gli educatori trasmettono la fede alle nuove generazioni. La trasmissione della fede – occorre precisarlo subito – non avviene anzitutto mediante la consegna di conoscenze, di verità e di comportamenti, che siano separati da due punti di riferimento: la testimonianza di chi consegna e la coscienza di chi riceve. Per questo parliamo di adulti e partiamo dagli adulti. L’atto con cui la Chiesa (la comunità parrocchiale e la pastorale d’insieme tra parrocchie) trasmette la fede, nella triplice valenza o iniziatica (intro-ducere) o educativa (e-ducere) o culturale (tra-ducere) è già stata messa in luce per il cammino di iniziazione cristiana. La pastorale giovanile nell’iniziazione cristiana rappresenta il momento dell’assunzione consapevole (spesso interminabile e continuamente procrastinata) dell’esperienza della fede trasmessa che deve diventare la fede vissuta. Già per questo motivo, sia nel punto di partenza che durante il suo percorso, ma soprattutto nell’approdo, essa non può pensarsi come un momento separato e parallelo ai gesti e all’esperienza con cui la comunità cristiana continua ad edificare se stessa nel tempo. Occorre essere lucidamente coscienti che la pastorale giovanile per la sua dinamica metterà particolarmente in questione la comunità degli adulti. Sarà la sua croce. Tuttavia mantenere il rapporto con la comunità degli adulti è condizione essenziale perché accada la trasmissione 13 della fede. Altrimenti si trasmette altro e si fa nascere un cristianesimo di nicchia che non sa assumere poi la propria collocazione adulta nella vita quotidiana di ogni giorno Intro-ducere (intro-durre) Il momento “iniziatico”: significa condurre dentro, intro-durre alla vita cristiana attraverso i gesti che la esprimono e la costruiscono: la parola, il sacramento e la comunione fraterna/carità. La qualità di questi gesti in una parrocchia e nella vita degli adulti che la frequentano assiduamente (“erano assidui…”) è il grande canale comunicativo per la trasmissione della fede. Si trasmette attraverso la vita e l’esperienza di una comunità credente, le figure che la popolano, i gesti che scandiscono i suoi ritmi, le avventure che essa mette in campo, i sogni che coltiva, l’immagine che produce, lo splendore della vita cristiana che ciascuno di noi rap-presenta. Il momento “iniziatico” della fede è la prima e fondamentale forma della trasmissione, è il clima spirituale nel quale un ragazzo, un adolescente e un giovane cresce respirando la visione cristiana, come “sguardo sulla vita”, “forma dell’esistenza”. Di qui alcune sottolineature: o Ricostruire i nostri ambienti come momenti vitali, ricchi, popolati di figure positive, differenziati e vivaci, capaci di aprire ad esperienze variegate e forti: tutto questo non può mancare al momento iniziatico della comunità cristiana. o Occorre, soprattutto, ridare splendore al momento quotidiano della vita della comunità e degli adulti che si imprimono nella coscienza dei giovani. Una cura amorevole della pastorale quotidiana, delle occasioni della vita, della sua distensione temporale, dei momenti della festa, della presenza nella sofferenza, della prossimità nella dedizione sono il grande luogo per favorire la trasmissione della fede. o Se mi metto in fondo alla chiesa la domenica, se osservo come gli adulti pregano, se guardo come dedicano tempo all’ascolto, impiegano risorse e passione nel volontariato, diventano ogni giorno uomini e donne di comunione, sono presenti a un consiglio pastorale, esprimono giudizi sugli avvenimenti e aprono a linguaggi di speranza, posso dire che lì consegnano e trasmettono la fede? E-ducere (e-ducare) Il momento “pedagogico”: significa condur fuori, partire dalle domande, dai desideri, dagli affetti, e anche dagli sbagli, che l’adolescente-giovane porta dentro e condurli verso il senso di una scelta di vita vocazionale: trasmettere è accompagnamento al rapporto personale con il Signore, dentro una comunità credente…. Occorre ritrovare “buone” figure di educatori, appassionati e sereni, forti e liberi dentro, capaci di dedizione, senza complicità affettive, con un forte senso del cammino da fare, senza frette e senza facili scoraggiamenti. Abbiamo bisogno di maestri che sono testimoni e di testimoni che diventino maestri! o Se educare è «tirar fuori», ciò comporta che si indirizzi verso un qualche modello in cui il giovane può e deve riconoscersi, che può e deve scegliere come buono per sé. L’educatore e l’adulto allora non attira su di sé, non egemonizza, ma diventa un testimone, uno che attesta il carattere buono e vero dell’esistenza, che è stato prima per lui stesso decisivo. 14 o Egli non deve temere di dire le proprie convinzioni, di attestare i propri valori, di offrire le proprie ragioni, perché egli sa che potrà trasmetterle solo nella forma della cordiale comprensione e della adesione personale da parte dell’altro. o Se l’educazione non è solo un compito tecnico, ma anche e soprattutto un compito etico, essa è legata alle disposizioni etiche e spirituali dell’educatore (la dedizione personale e l’umiltà, che deriva dalla consapevolezza di essere testimone di un bene più grande attraverso la sua relazione educativa). o Se l’educazione ha a che fare con il compito etico esso esige anche una competenza tecnica, psicologica e culturale, con la quale si procede a sciogliere tutti i blocchi che inibiscono al minore la possibilità di accedere con libertà al bene e alla fatica di comprenderlo. Tra-ducere (tras-mettere) Il momento “culturale”: si tratta di “trasmettere” l’esperienza cristiana, con i suoi codici, i suoi simboli, i gesti costitutivi, le sue figure, in quanto capaci di interpretare la vita umana alla luce della fede cristiana. L’atto di trasmissione della fede cristiana e dell’esperienza ecclesiale deve “accadere” lungo un cammino nel quale si appella alla coscienza del giovane, si trasmettono modelli, codici, comportamenti, visioni di vita (in una parola una cultura ispirata dalla fede), che formano al giudizio critico e lo costruiscono in un confronto franco e sincero con il giovane…. La cultura ha a che fare con il destino dell’uomo e la propria identità personale. … La cultura media inevitabilmente una certa idea di sé, del mondo e di Dio… Tornando alle nostre comunità e agli adulti, bisogna dire che appartiene alla trasmissione della fede anche il momento con cui si accompagna a: o leggere la realtà, o a formulare giudizi, o a intervenire nelle situazioni complesse, o a tenere la stabilità affettiva e la fermezza di giudizio nel contrasto per le cose che contano nella vita, o a pagare di persona per le proprie convinzioni, a rispettare quelle dell’altro, o a professare una tolleranza attiva, che non si rassegna al fatto che ognuno abbia le sue convinzioni private, ma crede che esse possano entrare nel gioco della comune ricerca della verità. Se trasmettere la fede, se annunciare l’evangelo comporta in modo decisivo anche la promozione umana, in particolare la promozione culturale, allora è necessario tenere il rapporto con le altre agenzie formative, abitare la scuola, investire sull’università, manifestare interesse per la fatica dei giovani nello studio, non rinunciare al confronto culturale e umano, mettere in circolo le proprie convinzioni e valori. Non può mancare l’incontro con le figure e i luoghi della vita cristiana, le sue tradizioni, i suoi momenti forti della storia e dell’oggi. Soggetto dell’iniziazione è tutta la comunità nelle sue articolazioni, nei suoi momenti più importanti, nelle sue iniziative. Quale volto della comunità adulta incontra un giovane, quali convinzioni manifesta, quali i criteri delle scelte, quali le motivazioni degli interventi, quali spazi sono dati ai giovani, quali i coinvolgimenti graduali nella responsabilità? Questo aspetto comporta una pluralità di riferimenti adulti e una complementarità di interventi: il catechista, la famiglia, il sacerdote, la comunità, la missione. o Come queste presenze sono dosate nella normale vicenda di una comunità cristiana? o I giovani non si marginalizzano forse anche perché sono marginalizzati, cioè lasciati a dinamiche di separazione, di nicchia, con figure di educatori spesso improvvisati? 15 Su questo punto non si sente la necessità di un investimento diocesano per formare adulti educatori, una scuola per genitori, soggetti culturalmente preparati? Alla fine del percorso possiamo tornare alla domanda di partenza: Chi ama veramente i giovani? La domanda esprime una nostalgia e un grido di aiuto. E si precisa: Come amare veramente i giovani? o Verrebbe da dire: essendo e crescendo come cristiani adulti! o Prima di dire e fare qualcosa per loro, occorre essere per loro e con loro! Tutti i grandi credenti sono stati affascinanti essendo semplicemente così, cristiani a tutto tondo, contagiosi perché appassionati, trascinanti perché si sono lasciati coinvolgere dalla sequela di Gesù nella sua Chiesa. Questo potrebbe già bastare! o (Franco Giulio Brambilla) Quattro “conversioni pastorali” di una parrocchia “post sinodale”, attenta a comunicare la fede ai giovani Il Sinodo diocesano ci ha consegnato come programma per i prossimi anni, l’impegno a rinnovare l’annuncio del Vangelo attraverso il rinnovamento del nostro modo di essere Chiesa. Ci ha consegnato quattro volti di Chiesa da costruire: o Discepola o Sinodale o Compagna di viaggio o Estroversa Quali cambiamenti potrebbe porre in atto una parrocchia per assumere questo volto nel proprio modo di porsi di fronte all’annuncio del vangelo alle nuove generazioni? “Provocatoriamente” ci sono venute alcune proposte possibili, cioè un provare con un po’ di fantasia ad immaginare… Una parrocchia piu’ discepola: 1. Dai servizi religiosi per “mantenere i clienti”, alla comunità di fede per annunciare un modo di vivere da credenti I giovani cercano una vita autentica, con la loro ricerca provocano la chiesa ad essere credibile. La prima attenzione della pastorale giovanile dovrà essere quindi l’autenticità e la coerenza di vita della comunità cristiana stessa. La fede è un dono gratuito che raggiunge la persona, che passa anche attraverso l’incontro con chi ha fede, con chi sa dirla e testimoniarla. I giovani ci chiedono di incontrare e sperimentare una comunità cristiana che ha fede, che ci crede veramente, e che si mostra credibile vivendo e celebrando con gioia il Vangelo. I giovani oggi non contestano ciò che ritengono inadeguato; la loro ricerca di verità e autenticità semplicemente li allontana da ciò che appunto non è percepito come autentico; la prima preoccupazione, quindi, per comunicare il Vangelo alle giovani generazioni, sia quindi quella di costruire una comunità che cerca di viverlo. La pastorale giovanile dovrà allora 16 preoccuparsi essenzialmente di trovare le modalità attraverso le quali i giovani possano incontrare una comunità cristiana, che faccia loro sperimentare come possibile una vita cristiana autentica, coerente e gioiosa. o Attenzione alla propria credibilità: nel modo di annunciare, celebrare e testimoniare. I giovani siano coinvolti nei momenti di fede, di celebrazione e di testimonianza della fede da adulti che mostrano di crederci; l’attenzione agli stili di vita e alle scelte che la parrocchia compie, perché siano nella logica del Vangelo e non del mondo; nella logica dell’obbedienza a Dio (l’attenzione a tutti, ai poveri, l’importanza data alla preghiera, alla Parola, alla liturgia curata e gioiosa) più che alle logiche del mondo (i numeri, i soldi, …) o Che ci siano almeno dei momenti con i giovani in cui possano respirare la fresca concretezza del Vangelo Una parrocchia sinodale: 2. Dal delegare impotente a chi si pensa competente, a un modo intelligente di coinvolgere adulti credenti La tradizione delle nostre parrocchie è fortemente segnata dal ruolo svolto nella loro storia dalle figure dei curati. In un contesto sociale e religioso che garantiva una certa trasmissione della fede, il curato ha rappresentato concretamente la figura di riferimento per le attività giovanili della parrocchia. Il dono della giovane età lo ha sempre reso particolarmente vicino ai giovani, capace di interpretarne e accompagnarne i vissuti. I cambiamenti sociali e religiosi dei decenni passati, hanno accentuato il distacco generazionale tra adulti e giovani, inducendo sempre più nella vita delle parrocchie un atteggiamento di delega, al curato (capace di capire i giovani!) e agli altri giovani un po’ più grandi, delle attività giovanili. Questo ha portato le comunità a slegare l’educazione alla fede dei giovani dal contatto con testimonianze di vita cristiana adulta significativa, seria, radicale; gli adulti infatti, in quanto figure mature dell’esistenza umana, dovrebbero essere il punto di riferimento che maggiormente deve entrare in gioco nel “confermare nella fede” le giovani generazioni, che nella fede stessa stanno “scommettendo”. Adulti non giovanilisti, ma seriamente capaci di interagire con “simpatia” da educatori, il che non significa negare un ruolo importante a quei giovani con qualche hanno in più, che con uno stile di vita significativo, diventano interlocutori stimolanti. Si tratta allora di rivitalizzare una “alleanza” all’interno della parrocchia, tra le persone più sensibili, per prendersi cura dell’educazione alla fede dei giovani, valorizzando soprattutto quei cristiani dotati di un particolare carisma nei confronti dei giovani o, per competenze professionali, dediti al mondo giovanile. o Farsi carico della trasmissione della fede ai giovani superando la logica di delega: creare delle equipe di pastorale giovanile con dentro anche degli adulti significativi e che vivano a contatto coi giovani o Un ripensamento del ministero del presbitero giovane, in ordine alla pastorale giovanile, in parte dedito a stimolare gli adulti per il punto precedente, in parte dedito all’accompagnamento personale Una parrocchia compagna di viaggio: 3. Dai compartimenti stagni, al coinvolgimento reciproco Siamo eredi di una impostazione pastorale che divide la formazione a seconda delle competenze; alla famiglia la formazione umana, alla chiesa (e a i preti in particolare) l’aspetto religioso, alla scuola la formazione culturale. Si tratta di riscoprirsi come chiesa che, per 17 camminare accanto ai giovani, si fa prima di tutto compagna di viaggio di chi abitualmente cammina coi giovani nei normali impegni di vita; quindi, perché non provare a: o Accompagnare chi accompagna: percorsi formativi per genitori, per essere genitori cristiani dei giovani di oggi o Accompagnare chi vive accanto: incontrare e pensare proposte per insegnanti, allenatori, baristi, ecc. cristiani, sensibili ad essere comunità cristiana in mezzo ai giovani Una parrocchia estroversa: 4. Dal campanile al Campari (ed al campanello alla campanella), ovvero i luoghi dove la vita è vissuta Siamo eredi della parrocchia fontana del villaggio, del paese costruito intorno alla chiesa, della pastorale segnata dal convocare del campanile, ma la vita della gente non ha più un centro; in particolare quella dei giovani si svolge in luoghi molteplici, con una pluralità di frequentazioni e appartenenze istituzionali e informali che richiedono un forte ripensamento della pastorale giovanile. Superando il complesso del vedere i giovani lontani dalla chiesa, è tempo forse che la chiesa scelga di rendersi vicina, presente lì, dove la vita è vissuta. Si tratta cioè di abbracciare una serie di risposte, le quali dicano che, se i giovani scelgono l’estraneità alla chiesa (che non significa escludere la fede in Dio), la chiesa stessa cerca di farsi prossima ai luoghi del loro vissuto (per annunciare la prossimità di Dio alla vita dell’uomo). Accanto alle tradizionali forme della pastorale d’ambiente (scuola, università, lavoro), è il tempo di orientare decisamente l’impegno della pastorale giovanile nei luoghi del tempo libero e di ritrovo informale che ogni territorio porta in sé. La comunità cristiana ha quindi da mettere in atto dei percorsi che portino a pensare proposte, qualificando soprattutto i giovani stessi e quei cristiani adulti che, magari per motivo professionale o di impegno educativo, sono presenti in tali luoghi. o Dare importanza ai luoghi dove i giovani vivono: instaurare relazioni stabili con loro e con gli adulti coinvolti o Pensare proposte non di convocazione, ma di presenza, di dialogo e di annuncio nei luoghi di vita dei giovani, partendo dai giovani e dagli adulti che li frequentano Un’ultima provocazione Questo discorso pone in risalto un fatto che spesso noi adulti non vogliamo ammettere: la difficoltà di dover cambiare noi, il nostro modo di essere e di rapportarci con le nuove generazioni. La crisi dell’educazione non sta nell’indifferenza, o nel rifiuto da parte dei giovani, ma nel nostro mondo adulto, privo spesso di veri valori di riferimento, di forza, di testimonianza coerente, di ideali per cui impegnare la vita. (Mons. Nosiglia, vescovo di Vicenza) 18 Per il consiglio Pastorale Carissimi consiglieri, queste parole sono per voi, che per la maggior parte siete adulti o anziani, anche se alcuni giovani sono tra voi, che si sentono un po’ mosche bianche. Voi siete le persone che, con il loro servizio, cercano di costruire sempre più bella e autentica la vita della vostra comunità. Al suo interno vivono tutte le età, situazioni e condizioni. Tra voi ci sono anche i ragazzi di 17/19 anni, realtà e risorse importanti per la comunità stessa: sono ragazze e ragazzi in una fase molto bella e delicata della loro vita, nella quale, anche nella fede, si stanno interrogando se prenderla sul serio. Al cuore di questa domanda, c’è in loro una questione di fondo: la scelta della fede mi aiuta a essere felice, a diventare veramente adulto in modo significativo? Se le cose stanno così, non meravigliatevi del fatto che vi viene chiesto di coinvolgervi in questo progetto; perché è normale che siate voi a dover aiutare i ragazzi a darsi una risposta. Con la vostra gioia cristiana, con la vostra autenticità cristiana, perché se non siete così, in fondo lanciate indirettamente il messaggio che non ne vale la pena! Beh, allora capito? Siete importanti! Voi direttamente e quelli che saprete coinvolgere (in parrocchia, in vicaria, nelle associazioni e movimenti), perché questa proposta aiuti i ragazzi a poter dire: “se essere cristiani significa vivere così, allora mi interessa!” Le pagine che seguono, sono per farvi riscoprire corresponsabili di questa avventura. Dove? DENTRO LA COMUNITA’ CRISTIANA La fede è un dono! Quante volte ce lo siamo detti. Eppure, come non riconoscere le innumerevoli circostanze che hanno favorito l’accoglienza e la maturazione del dono! La fede è un po’ come la vita: ci viene donata! Nasciamo alla fede attraverso un “grembo” che è la Chiesa, fatta di tutte quelle persone e relazioni di cui la comunità è composta. E attraverso il rivolgerci al consiglio pastorale, vorremmo rivolgerci a tutta la comunità parrocchiale, invitandola a coinvolgersi, sentendosi parte di una chiesa locale col suo vescovo, e inserita in un territorio con le parrocchie vicine! IL CONSIGLIO PASTORALE Sia coinvolto direttamente nella progettazione dell’itinerario che si vuole proporre ai ragazzi, avvisando che saranno richieste delle collaborazioni, degli interventi e dei segnali forti dalla comunità e dai gruppi, unitamente ad alcuni momenti celebrativi parrocchiali, in cui si renda visibile il coinvolgimento degli adulti nel percorso dei ragazzi. LA FAMIGLIA Ovviamente ogni ragazzo arriva dal proprio contesto familiare. Dalla famiglia assume i valori fondamentali, dalla famiglia necessariamente si distacca per le proprie scelte di valori e di interpretazione della vita e dei valori stessi; se l’età dei 17-20 rappresenta un periodo di diminuzione delle tensioni familiari tipiche dell’adolescenza, è quindi un tempo di relativa pace nei rapporti familiari, ma questo non significa che il ruolo parentale sia concluso, anche in ordine alla fede. 19 Quello che proponiamo non è tanto di informare di più i genitori su ciò che viene fatto, ma di coinvolgerli direttamente in quanto proposto. La fase del “tra-ducere”, del fare cultura, del dire con il proprio stile di vita i propri valori di riferimento, vede negli adulti l’approdo del processo formativo e il possibile esempio di “fattibilità del Vangelo”. A questo scopo potrebbe essere significativo tenere una parte degli incontri nelle case dei ragazzi a turno, coinvolgendo i loro genitori nell’incontro stesso, e comunque in generale coinvolgere il più possibile le loro famiglie nei momenti di testimonianza. I GRUPPI Il sussidio propone spesso attività che vedono il diretto coinvolgimento di gruppi operanti in parrocchia. Chiaramente le persone vanno preparate, un po’ gestite, se non abituate allo stare coi ragazzi. I gruppi vanno poi “selezionati” in base appunto all’effettiva significatività dell’esperienza e delle persone. Il SACERDOTE Al prete non sarà chiesto che di essere prete, sia esso giovane, adulto o anziano. Senza sentirsi il responsabile di tutto, dovrà mettercela tutta per attivare le responsabilità degli altri, e giocare la propria specificità di pastore e di guida. In relazione poi alle parrocchie che hanno anche la presenza del curato, sarà comunque importante aiutarsi a non proiettare sulla sua persona un atteggiamento di delega, e nemmeno aspettative assolute legate alla figura del curato, così come gli permettevano di essere condizioni che ora non ci sono più; senza quindi scaricare barili, valorizzando il carisma tipico del prete giovane, che potrà forse caratterizzare il suo ministero in ordine a essere: o Un ponte in chiave educativa tra il mondo giovanile (cui appartiene per età) e il mondo adulto (cui appartiene per ministero) o Un testimone gioioso della bellezza, come giovane, del seguire Cristo e del prenderlo sul serio o Uno stimolo alla comunità a vivere con radicalità e coerenza la propria fede o Un accompagnatore degli adulti nel processo di comprensione delle istanze del mondo giovanile o Un tessitore di trame con chi si occupa dei giovani sul territorio o Un compagno di viaggio che condivide il cammino di ricerca personale dei giovani, dando loro tempo per l’ascolto personale e l’accompagnamento spirituale o Un promotore di luoghi di incontro, di vita comunitaria, di spiritualità, dentro il tessuto ordinario della vita RELIGIOSI Per le parrocchie che hanno la grazia di averne qualcuno/a coinvolto nelle attività giovanili, il religioso è una grande risorsa in ordine all’esserci con la propria significatività, di una vita spesa abbracciando radicalmente i consigli evangelici. Una presenza capace di mostrarsi per quello che è e capace di interrogare per la gioiosità di una vita data radicalmente al Signore…senza particolari ruoli, se non quello di esserci. ASSOCIAZIONI E MOVIMENTI Dono e risorsa nella Chiesa, numerosissime sono le aggregazioni laicali di ispirazione cristiana e che operano nella più svariata serie di modalità. Sono esperienze privilegiate di 20 impegno e di motivazione cristiana, che possono essere coinvolte nel progetto di iniziazione alla fede dei 17/19enni. E INFINE….L’ANIMATORE, E IL GRUPPO DEGLI ANIMATORI Per te animatore Non sappiamo nulla di te. Potresti essere esperto o alle prime armi, adulto giovane, giovane adulto, giovane, giovanissimo, ecc. ecc. Single, moroso, sposato, ecc….Dinamico, riflessivo o qualsiasi altra cosa. Di certo ci sei, hai detto di sì, ti hanno incastrato. E adesso ti ritrovi a doverti arrangiare in questa bellissima e difficilissima avventura! Un consiglio: buttati alla grande, ma non farlo da solo! Le pagine che seguono vogliono aiutarti a “diventare quello che sei” O almeno a provarci. Auguri! 21 L’Educatore Per la comunità, per il gruppo, per il singolo ragazzo L’educatore dei giovani, non spunta come i funghi. Nasce nel seno della comunità, con alle spalle un inserimento significativo in essa, con un vissuto personale e comunitario di fede serio. È una persona matura che può esprimere nella sua azione l’essere mandato dalla comunità, e che effettivamente alla comunità fa riferimento. Il suo compito sarà direttamente riferito all’attività con i ragazzi, nel coordinarla, programmarla, sostenerla, facendosi tramite tra il gruppo dei ragazzi e la comunità di appartenenza. Avrà infine cura del rapporto personale con i ragazzi, ben sapendo che l’ambito personale della crescita richiede un’attenzione del tutto particolare, ma anche la pluralità di altri interventi. (R. Tonelli) A ogni gruppo un suo educatore, a ogni ragazzo un suo accompagnatore Una delle novità di questa proposta (più avanti lo si capirà meglio), è quella di proporre due livelli di proposta formativa: o o livello di gruppo, guidato dalla figura dell’educatore/i di gruppo livello personale, in cui invitare i ragazzi a scegliersi una persona adulta di riferimento con cui iniziare un cammino personale, a tu per tu, di formazione umana e cristiana (vedi sussidio “Compagni di viaggio). Proprio in questa dimensione potrebbe esserci coincidenza con l’educatore del gruppo, ma potrebbe essere anche una qualsiasi altra figura significativa: un laico, un sacerdote, o un religioso; si potrebbe, insomma, proporre il recupero della figura del padrino, laddove fosse significativo e, comunque, la proposta al giovane di “trovarsi questa persona”, potrebbe essere proprio nella logica e nel ruolo previsti per il padrino stesso. Il maturare dei ragazzi a questa età e il loro bisogno di essere ascoltati, fa emergere il bisogno di cercare figure nuove e diverse, persone che siano accanto nel loro percorso, personalissimo, alla scoperta di sé e del proprio modo di seguire il Signore. In particolare, questa generazione di 17/19enni si mostra particolarmente disponibile ad aprirsi, laddove si incontrano figure serie, autentiche, credibili: paterne, senza essere paternaliste, amichevoli senza essere amiconi! Questione di stile . . . Uno stile di Chiesa, lo stile dell’educatore, così come ne parla il Sinodo Diocesano Il libro sinodale traccia uno stile di Chiesa capace dell’annuncio del Vangelo ai giovani, ispirato allo stile del Gesù dell’ “Icona Evangeli” dei discepoli di Emmaus. 22 A questo stile rimandiamo, quindi, per meglio capire come essere educatore cristiano dei giovani oggi. 1. Sempre aperto e disponibile ad accogliere: l’educatore, la persona dall’accoglienza incondizionata. Troppo presi da una vita dove conti per quello che fai e per come appari, alla lunga ci convinciamo che non ci sia più posto per quello che sei e che, al di là di ogni limite e fallimento, “tu sei un pensiero di Dio, tu sei un palpito del cuore di Dio. Affermare questo è come dire che tu hai un valore in un certo senso infinito, che tu conti per Dio nella tua irripetibile individualità.” (Giovanni Paolo II). Ogni ragazzo ha una dignità e un valore immenso, davanti al quale “metterti in ginocchio”: non per fingere di vederne i difetti e le ferite, non per attirare la sua simpatia, ma perché si renda conto che davanti a Dio vale in maniera unica. In ginocchio per non scandalizzarti del male e per contemplare il bene che c’è e quello che vuole emergere. Pronto ad accogliere sempre e comunque, ad amare prima che a giudicare; senza rinunciare a dir la tua con sincerità o accogliendo anche ciò che non va bene, ma facendo sempre e comunque prevalere la radicale fiducia nella bontà e dignità della persona. Scusa, ma forse non è così anche Dio? Il figlio prodigo ne sa qualcosa… 2. Cammina insieme: l’educatore, la persona che ama condividere ciò di cui pulsa la vita. Non sei davanti, non sei dietro: cammini insieme! Non sei già arrivato, non hai rinunciato ad andare: stai camminando, e il tuo cammino lo condividi con loro. Non sei diverso: come Gesù, addirittura non si accorgono che è Lui! Eppure sei tu! Cammini insieme perché la vita è cammino, e ti interessa condividerla: sei compagno di viaggio. Compagno: “cum-panis”: colui con cui condividi insieme il pane; colui che condivide con te ciò che sostiene e alimenta la vita. Fa che i tuoi ragazzi ti sentano vicino, che con loro condividi “gioie e speranze, tristezze e angosce”; interessati a loro, a ciò che vivono, alle cose che per loro sono importanti; ricordati di certi loro problemi, di alcune ricorrenze, di quello che ti confidano. Incontrali dove sono, senza aspettare che vengano loro dove sei tu. Anche se le loro strade si allontanano, sappi trovare i momenti per affiancarti. Ma sii discreto, delicato, sensibile, mai invadente; a volte è meglio un passo indietro… Fa che ti sentano vicino, talmente vicino che come Gesù …ci sei anche quando non si vede! 3. Promuove e condivide la ricerca di senso: la persona che aiuta ad andare fino in fondo “…anche se questa vita un senso non ce l’ha”. È l’amara constatazione che spesso la società induce a pensare e capita che un ragazzo preferisca “stare spento”! Eppure quante emozioni, quanto vibrare di vita a 18 anni! Solo che a volte è un oceano che si agita, tra tempesta e calma piatta. E tu accanto, a porre le domande, a far intuire che si può scavare a fondo, che sotto le emozioni che vanno e vengono ci sono i desideri più profondi. Sii una persona che condivide la ricerca, che ama far pensare, che mette in crisi, e che ama indicare delle certezze. Testimonia con le tue scelte di vita che c’è un senso, che l’hai intuito e che lo stai cercando: sì, anche tu, va’ fino in fondo alla tua vita, perché si veda che ci credi e che stai cercando con passione! 4. Serve e si fa discepolo della Parola: la persona che narra la luce che viene dalla Parola, ma se ti ritrovi ad essere compagno di viaggio, è perché hai già fatto l’incontro; anzi, perché una parola di salvezza e di speranza ti è venuta incontro. Non essere come quegli adulti, che per essere accolti dal mondo dei giovani pensano di dover essere rinunciatari e permissivi, “spettatori” muti… disposti solo a riversare anche sui giovani la crisi di identità che investe la loro persona. Tu hai qualcosa da dire, perché qualcosa è successo! Non dire dottrine, racconta la vita. Narra di come il Vangelo, la 23 Parola di salvezza, illumini di senso il tuo cammino. Certo, ancora tra tanti bui, ma con la luce di una fede sulla quale vuoi fare sul serio, scommettendo la vita: “Maestro, sulla tua parola getterò le reti!” 5. Vive la relazione: la persona che accompagna all’Incontro. Riconoscere Gesù presente nella tua vita, sperimentare che c’è, e che è importante, decisivo per te. Un incontro che ti cambia, un incontro al quale ritornare continuamente; la comunione con Lui per divenire capace di comunione! Sei educatore, vivi la relazione per la bellezza dell’essere partecipi gli uni della vita degli altri, per sperimentare la comunione, ma ricordati, tu sei “penultimo”: lo scopo ultimo è che avvenga l’Incontro con Lui; allora il tuo essere educatore è accompagnare a scoprire i segni della presenza: come ad Emmaus, dietro il segno scoprire la presenza! A leggere la vita, ad aprire il cuore, a lasciarsi toccare dal Risorto. Sei educatore: “lasciati mangiare”, diventa “buon pane”; la tua disarmante disponibilità, la tua bontà di fondo, dia ristoro, faccia ritrovare la verità di se stessi, incoraggi alla voglia di ripartire con fiducia e slancio! 6. Si fonda sulla testimonianza, la coerenza e l’autenticita’ La persona che vive ciò che crede. Non bastano le parole, non basta l’esempio; ma forse niente produce necessariamente quello che ci aspetteremmo! E quindi tu sii, o almeno cerca di essere, te stesso fino in fondo. Vivi con fede, impregna di vangelo le tue scelte, credi fino in fondo a ciò che proponi. E possibilmente rompi: sì, stimola a coerenza, all’autenticità, a non accontentarsi, a volere sempre il meglio da sé, dalla vita, dalla propria comunità. Aiuta i tuoi ragazzi ad essere loro stessi compagni di viaggio, testimoni di un incontro, capaci di parlarne: c’è un mondo che aspetta chi dica con la semplicità la speranza che è in Lui! Cosa fa un educatore dei giovani Vive in prima persona L’essere educatore è una grandissima opportunità che il Signore ti sta dando, per crescere nella tua fede, nella capacità di relazione, nel vivere più profondamente nella comunità. Se ti senti inadeguato…buon segno! Perché è profondamente vero! Dio fa così: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio.” (1 Cor 1, 27-29). Si serve di strumenti inadeguati, ma che si sentano…adeguatamente amati e salvati per quello che sono! E che di questo diventino testimoni. Il sussidio che stai leggendo ti sarà di grande aiuto per percorrere in prima persona il cammino di approfondimento della fede che andrai a proporre ai ragazzi. Sii onesto con te, con loro e con Dio: vivilo prima per te e poi condividilo con loro, lasciandoti toccare e cambiare dall’agire di Dio. Annuncia il Vangelo e la Verità tutta intera, anche quella che non hai ancora capito fino in fondo e quella che fai fatica a capire: tu parli a nome della chiesa e sei chiamato ad annunciare il tuo modo personale di vivere, non la tua fede, ma 24 quella della comunità; Non per annunciare di un “Gesù a tua misura”, ma la tua misura del “Gesù della Chiesa”! Pone domande Ti troverai con i ragazzi a vivere situazioni ed affrontare temi in cui le domande pullulano; ma ci saranno momenti in cui le domande proprio non ci sono. Bene, non metterti a dire le risposte senza che ci siano le domande. Provoca e scuoti, con forza e con dolcezza insieme: a volte è la polvere che si posa ad impedire di vedere oltre. Educa a porre domande, e a porre quelle vere; aiuta all’onestà intellettuale, al desiderio di verità, allo spirito critico, alla voglia di non fermarsi all’apparenza della superficie. Aiuta a comprendere il gusto della Verità e non solo della “mia verità”: testimonia l’umiltà di chi sa il valore di ciò che è venuto prima di noi, e la pazienza di continuare a cercare anche quando è faticoso. Aiuta a trovare le risposte Non fermarti alle domande, ti prego! Non essere come quegli educatori che pensano che quelle esauriscano il loro compito (forse perché loro si sono fermati lì!). La verità ha un volto ed è quello di Gesù Cristo; volto da cercare, da scoprire, da incontrare e da ricercare ancora; anche tu sei in ricerca, con i tuoi dubbi e difficoltà. Lasciati provocare dai ragazzi ad andare in profondità, e quando non sai, formati, informati, interpella, per poi aiutare i ragazzi stessi. Troverai i ragazzi, a volte, vittime della convinzione che ogni cosa è giusta e va bene, basta che te la senti. Fa capire le differenze, aiutali affinché si rendano conto che ogni scelta ha le proprie conseguenze. Aiutali a intuire che c’è il male e c’è il bene; conducili a vedere e sperimentare risposte, non solo emotive, ma anche razionali per la loro ricerca di fede. E poi, che queste risposte vere, quelle che ti colpiscono fino in fondo, siano le risposte di testimoni autentici e gioiosi, che sulla Verità hanno deciso di scommettere la propria vita. Tesse trame Ricordati: non sei il responsabile assoluto del gruppo; sei stato chiamato e mandato! Non sei l’autogestore di tutto: non sei chiamato a far diventare questi ragazzi un clone di te! Tu sei un modo di essere cristiano; tuo compito è introdurli nella vita cristiana della comunità. Per cui, datti da fare per essere un tessitore di trame: è la comunità il vero educatore dei ragazzi. Svolgi il tuo servizio per mettere in contatto, far entrare in relazione i ragazzi con le persone…e cerca di rompere le scatole: gli adulti non sono abituati a farsi disturbare nelle loro sicurezze dalle incertezze dei giovani. Stimola la tua comunità a farsi carico di questa sete che c’è nei ragazzi; parla spesso col tuo prete, incontra il consiglio pastorale, dialoga con le famiglie. Attento al pericolo di diventare chioccia: “i miei ragazzi…” non sono affatto tuoi, sono di Dio, della chiesa e per il mondo. Le trame che tessi ti portino nelle parrocchie vicine, in vicaria, in diocesi, con gruppi e movimenti di ogni tipo: aria, ricordati sempre di dare ossigeno! Insomma, più che fare e dire, fa incontrare! Fa sperimentare Oggi la gente, e i ragazzi soprattutto, non affidano la propria vita alle idee, ma alle realtà oggettive, toccabili con mano. Fa sperimentare la bellezza e la significatività della vita di cristiani normali, ma anche di “eroi”, di gente che lotta, soffre, spera e soprattutto gioisce per la propria fede. Fa toccare con mano la sofferenza e la solidarietà, i dubbi e la fede. E dopo, solo dopo (ma non omettere di farlo!), ragiona con loro su ciò che li ha colpiti, sul perché delle cose, per capire da dove nascano. 25 Ricordati, quindi, di non costruire “l’album delle belle esperienze”: non serve a nulla continuare a inanellare esperienze super, se poi non si approda a tutto quel percorso di interiorizzazione che porta a rendere straordinaria la vita ordinaria. Accompagna, dialoga, fa sintesi Sarà questa la tua croce e la tua delizia; perché quello che conta infine, soprattutto a 19 anni, è come si incide sulla coscienza personale, luogo delle decisioni e delle scelte di fondo. Sarà croce: perché essere accanto a un giovane in questo processo è molto delicato (maneggi un prezioso cristallo), richiede tempi spesso molto lunghi, e chiama in causa le sintesi che tu hai fatto o non hai ancora saputo/voluto fare; ma sarà delizia, perché da un’interiorità curata di un giovane possono nascere scelte personali di vita, radicali ed affascinanti. Infine anima, anima! Vivi le cose che fai e le relazioni con loro all’insegna dell’entusiasmo, della voglia di incontrare e di fare, del fascino dell’essere e dello stare insieme. Con il gusto di fare cose grandi e di rendere grandi anche quelle piccole. Lasciandosi sempre entusiasmare dal positivo piuttosto che dalle cose che magari non vanno. Trascina, contagia, illumina: e quando viene lo sconforto, …anima! Se alla fine di queste pagine hai cambiato idea e non vorresti più essere animatore, buon segno, sei fatto per farlo! Solo che bisognerà che ci aiutiamo, perché è importante formarsi a diventare veri educatori! 26 Le stanze Dare forma alla casa Per una formazione cristiana del 17/19enne Uno sguardo interpretativo, seppur molto parziale, è importante per capire cosa avvenga dal punto di vista umano e religioso in un giovane, per fare in modo che la proposta pastorale effettivamente sappia intercettare e accompagnare positivamente i vissuti così decisivi di questa stagione della vita. Ci ritroviamo nella lettura interpretativa che ne dà il progetto formativo dell’Azione Cattolica Italiana “Perché Cristo sia formato in voi” del 2004, che sottoponiamo alla vostra attenzione. II passaggio alla giovinezza, spesso segnato dalla fine degli studi superiori e dai primi anni di università o dall'ingresso nel mondo del lavoro, è caratterizzato da una grande instabilità. La scelta dello studio, la precarietà delle prime esperienze professionali, un diverso contesto relazionale, sociale e culturale, l'autonomia negli spostamenti e nei programmi di tempo libero, l'esperienza di un rapporto profondo con l'altro/l'altra e la ricerca di un'affettività meglio definita, una più difficile assiduità di partecipazione alla vita della comunità e del gruppo formativo, il confronto con diverse concezioni di vita ed esperienze religiose... tutto questo chiama a una più personale scelta della direzione verso cui orientare la propria esistenza. In questo contesto di grande mobilità, la coscienza è il luogo privilegiato in cui verificare la direzione intrapresa e compiere le proprie scelte nella libertà. La fede, che orienta le decisioni, non mette al riparo dal dubbio e dall'incertezza: la fatica della ricerca non può essere delegata a nessuno. Per questo, la formazione del giovane tende ad aiutarlo a fare unità nella propria vita, compiendo una sintesi personale e profonda tra i bisogni che si presentano, i desideri, i valori individuati come essenziali, le scelte - grandi e piccole - della vita. Si tratta di un esercizio continuo della coscienza che, nella fede, scopre che il bene desiderato è realizzabile, e che non si è soli in questo cammino: la creatività di una coscienza che si apre alla Grazia, permette al giovane di vivere in maniera piena, unica ed originale, e affinché questo avvenga occorre alimentare il dialogo interiore con lo Spirito e la costruzione dell’identità personale attorno alla propria vocazione. Essere portatori di pace negli ambienti di vita e vivere le relazioni interpersonali nella libertà e nella responsabilità, sono altri importanti obiettivi educativi per le persone di questa età, chiamate anche a vivere l'esperienza dell'innamoramento e dell'amore come dono di Dio. La formazione, inoltre, mira ad accompagnare il giovane a maturare uno stile di sobrietà e di temperanza, a vivere la professione come servizio, a saper stare nella complessità, ad accettare e gestire i conflitti, a dialogare con chi è portatore di esperienze diverse. Il progetto poi si spinge ad indicare degli ingredienti precisi per un cammino formativo di un 18-20enne. L’età tra i 18 e i 20 anni risulta particolarmente delicata e importante nel tracciare il proprio percorso di vita. Spesso, a quest'età, è già avvenuto l'incontro decisivo con il Signore Gesù e 27 se ne acquista nuova consapevolezza; la domanda vocazionale prende corpo e si sente sempre più il bisogno di avere del tempo per sé stessi, insieme alla necessità di confrontarsi con gli altri e al bisogno di un valido accompagnamento. Nella comunità cristiana, nella comunità sociale e civile, in cui il giovane vive con crescente responsabilità, e in cui è chiamato a spendersi con sempre maggiore gratuità, il bisogno di ascolto ed attenzione è ancora molto forte: la capacità e la disponibilità ad assumervi dei servizi non elimina la necessità di cura della fede e di accompagnamento nella vita cristiana. Dopo il cammino dell'adolescenza, in questi anni l'AC propone ai giovani un periodo di particolare formazione, avviato da un'esperienza spirituale significativa: o un corso di Esercizi Spirituali o un camposcuola o un momento forte di formazione e di verifica È l'occasione per precisare la propria regola di vita e per compiere alcune scelte forti, che indichino la maturazione avvenuta e la direzione del cammino futuro: o l'assunzione in prima persona di un impegno continuativo di servizio in campo educativo, caritativo o culturale, nella comunità parrocchiale, nell'associazione o in ambito civile o la scelta di vivere annualmente un corso di esercizi spirituali e la fedeltà all'accompagnamento spirituale di una guida o la cura dell'amicizia anche nella dimensione del dialogo di fede Una specifica proposta formativa riguarda gli anni successivi, in cui l'identità cristiana del giovane si definisce ulteriormente nel contatto diretto con la vita, con le sue tensioni e responsabilità, le provocazioni del contesto esterno e il raggiungimento di importanti traguardi esistenziali. 17/19enni: COSA in concreto si vive a questa età: o o o 17/18: a 17 anni non è che ci sia poi questo gran “passaggio”; certo si avverte una certa maturità in più, ma fondamentalmente il passaggio della festa che si celebra più di tanto non c’è a livello esistenziale; forse c’è, e potrebbe esserci ancor di più, a livello delle nostre proposte. Uno stacco reale che inizia nelle metodologie, nei temi, nei tempi e luoghi degli incontri, in una proposta aperta, ma certamente più esigente. 18/19: è con i 18 anni che effettivamente qualcosa cambia; prima di tutto, oggi, la patente! Il che significa l’inizio di una maggiore autonomia (più che la responsabilità civile, penale, delle elezioni). Comunque di salto si tratta, accompagnato dalla domanda che per buona parte dei ragazzi interroga sul futuro lavorativo o di quali studi proseguire. Scelte che affinano l’esigenza di criteri, in base ai quali operare le determinazioni del proprio futuro. 19/20: con l’ingresso nel mondo del lavoro o dell’università, un giovane è immesso in un cammino esistenziale sempre più personalizzato da ogni punto di vista rispetto a quello dal quale proviene. È il tempo in cui, come cristiano, costruirsi un percorso sempre più autonomo e individuale, che accompagni nella vita; che è meno puntellato da gruppi, ma che comunque non può che nutrirsi di appartenenze significative, pena un’irrimediabile irrilevanza. I muri perimetrali: i limiti di questa proposta Sono necessari, per non avere pretese eccessive che generino solo frustrazione. Un percorso come questo non raggiunge tutti (la maggior parte se ne sono andati), e non può avere presente tutto; ci sono fasi successive del cammino personale e di fede, cui saranno 28 poi riservate attenzioni diverse e particolari più adatte alle esigenze esistenziali e di maturità del percorso cristiano. “Zona giorno e zona notte”: socializzazione e personalizzazione della fede Con giorno e notte c’entra ben poco, ma è per capire che, come in ogni casa, ci sono due “zone”, due luci, due accenti, anche nella proposta cristiana a un giovane di “abitare in Cristo”. Papa Benedetto, in un colloquio informale con il clero della Valle d’Aosta durante le vacanze del 2005, le ha così evidenziate: “È importante che i giovani possano scoprire la bellezza della fede, che è bello avere un orientamento, che è bello avere un Dio amico che ci sa dire realmente le cose essenziali della vita.” Questo fattore intellettuale deve essere poi accompagnato da un fattore affettivo e sociale, cioè da una socializzazione nella fede, perché la fede può realizzarsi solo se ha anche un corpo e ciò implica l'uomo nelle sue modalità di vivere; perciò in passato, quando la fede era determinante per la vita comune, poteva essere sufficiente insegnare il catechismo, che rimane anche oggi importante, ma, dato che la vita sociale si è allontanata dalla fede, noi dobbiamo - visto che anche le famiglie spesso non offrono una socializzazione della fede offrire modi di una socializzazione della fede, affinché la fede formi comunità, offra luoghi di vita e convinca, in un insieme di pensiero, di affetto, di amicizia della vita. Mi sembra che la Chiesa di oggi, anche in Italia, offra alternative e possibilità di una socializzazione dove i giovani, insieme, possano camminare con Cristo e formare Chiesa; per questo devono essere accompagnati con risposte intelligenti alle questioni del nostro tempo…Dunque personalizzazione e socializzazione sono le due indicazioni che devono compenetrare le situazioni concrete delle sfide di oggi: le sfide dell'affetto e quelle della comunione; queste due dimensioni, infatti, permettono di aprirsi al futuro ed insegnare che il Dio, a volte difficile, della fede è anche per il mio bene futuro. La socializzazione nella fede In un tempo come il nostro, in cui non c’è certo bisogno della Chiesa per la socializzazione giovanile, non basta più un cammino di socializzazione qualsiasi per proporre la fede: deve essere un cammino di relazioni fortemente caratterizzate dallo stile evangelico e dal percorso personale di sequela del Signore…e proprio su questi due binari si colloca la nostra proposta, condividendo in gruppo: o la ricerca di fede, i significati della fede, il “darsi ragione della propria speranza” nel momento più prettamente catechistico o la fattibilità della fede, incontrando realtà particolari e vivendo esperienze di vita comune nello stile di vita fraterno che nasce dalla fede o l’appartenenza a una comunità di gente adulta che fa della fede il criterio ispiratore della propria vita o l’impegno comune che la fede genera, sia come gruppo, che come singole persone o il clima di gioia che nasce dal condividere la vita Se l’esperienza mostra come, con l’inizio della nuova fase di vita dei dopo 19 anni, crolla vertiginosamente la domanda di socializzazione rivolta alle nostre comunità, forse, andrà preso come significativo l’invito di papa Benedetto ai giovani, durante la XX GMG: “Formate delle comunità sulla base della fede! … Cercate la comunione nella fede, come compagni di cammino che insieme continuano a seguire la strada del grande pellegrinaggio che i Magi dell’Oriente ci hanno indicato per primi.” 29 Personalizzazione nella fede Conseguentemente all’emergere di vissuti e storie sempre più personalizzate, nel cammino di un 17/20enne andrà sviluppata l’attenzione formativa al costruirsi il proprio cammino personale. I 17/19 anni diventano, allora, un tempo formativo propizio per gettare le basi decisive del proprio cammino di giovani e adulti, attraverso un percorso di gruppo e per singoli, che responsabilizzi molto la dimensione personale del cammino. Possono essere elementi importanti al proposito: o un’effettiva decisione di partire con un cammino formativo che abbia al centro il credere e la fede cattolica o la proposta di sussidi per la formazione personale, nei tempi forti, sulla vita spirituale, sul Vangelo o il far emergere doni e carismi personali a servizio della comunità e assumendosi al suo interno qualche impegno o la figura dell’animatore che assume piuttosto lo stile dell’ “accompagnatore” o la proposta dell’accompagnamento spirituale o la valorizzazione degli ambienti e le relazioni di ogni giorno come ambiti privilegiati di impegno, di crescita e di testimonianza Le 6 stanze Ecco allora che comincia a prendere forma il nostro appartamento, che ci sembra dovrà essere composto necessariamente di 6 locali fondamentali, 3 legati al percorso di socializzazione, 3 a quello di personalizzazione: 1. CATECHESI : incontri periodici orientati alla dimensione formativa della fede 2. VITA COMUNITARIA: partecipando alla vita ordinaria della propria parrocchia (nei momenti formativi, liturgici, di servizio e di festa), e a esperienze di vita comunitaria tra ragazzi secondo le indicazioni 3. SERVIZIO: assumendosi un impegno stabile e/o “stagionale” nella propria comunità parrocchiale 4. TESTIMONIANZA PERSONALE: senza nascondere la propria ricerca di fede e sapendo coinvolgere nelle proposte amici che siano in ricerca 5. VITA DI PREGHIERA: coltivando la dimensione personale del cammino spirituale utilizzando i sussidi personali 6. ACCOMPAGNAMENTO: coltivando un rapporto di accompagnamento personale con gli educatori e/o con un prete A ogni progettista poi la scelta di come armonizzare nello spazio casa i vari ambienti: quanto posto a ciascuno, e come armonizzare gli uni agli altri! 30 I lavori da fare 10 cose da fare per costruire le stanze Muri, intonaci, fili, tubi, serramenti, smalti, ceramiche, …. Ad un certo punto bisogna cominciare a lavorare, mettere a fuoco come far intervenire chi deve lavorare. Ooops…che lavori bisogna fare dentro questa stanza? E poi, in tutte vanno fatti gli stessi lavori? Beh, chiaro che il pavimento ci va in tutte: semmai bisogna decidere quale! Ma non si può dire che l’idraulico debba entrare in tutte… Uscendo dalla metafora, a titolo esemplificativo: o Che tipo di sottolineature nella catechesi? o Con quali accenti far sperimentare la vita comunitaria? o Come proporre i contenuti della fede? o Ecc. ecc. Sì, perché le stanze possono essere costruite in modi diversi e caratterizzati con molte sfumature differenti, legate alle persone, alla loro sensibilità, ai tempi. Si tratta di capire quali scelte fare nel costruire la proposta. Proponiamo di seguito un articolo di un gesuita spagnolo impegnato in pastorale giovanile, Pedro José Gómez , pubblicato dalla rivista “Note di pastorale giovanile”, n°1/2005; benché riferito alla realtà spagnola (non poi così diversa dalla nostra) sembra particolarmente illuminante nelle proposte di metodo che suggerisce e, nonostante il testo sia lungo, preferiamo riportarlo tutto, aggiungendo delle sottolineature che ne favoriscano la lettura. Va da sé che sulle 6 stanze da costruire ci troveremo più o meno tutti d’accordo; su come costruirle, l’accordo sarà più difficile. Il pregio dell’articolo che proponiamo alla vostra lettura, è quello di o essere radicato nella prassi concreta coi giovani o indicare cosa superate, e cose da provare in concreto o motivare le scelte o proporre “in punta di piedi” piste da provare, senza voler per forza demolire altre cose provate finora Buona lettura e…scelta! Le 10 cose da fare 1. Dal socializzare nella normalità al proporre cose alternative 2. Dagli incontri standardizzati all’incontro personale 3. Dalla priorità dell’azione all’attenzione per la contemplazione e l’affettività 4. Dai processi deduttivi a quelli induttivi con "terapie d’urto" 5. Dalla trasmissione delle conoscenze alla comunicazione di un’esperienza 6. Dalla formazione teologica all’iniziazione a esperienze fondamentali 7. Dall’accento sul "morale" al recupero del linguaggio simbolico 8. Dall’esclusività del gruppo all’accento sulla personalizzazione 9. Dall’istituzione che regola e controlla allo spazio di crescita fraterna 10. Dalla pastorale della serra ecclesiale e sociale a quella dell’oasi 31 1. Dal socializzare nella normalità al proporre cose alternative Fino a pochi anni fa essere cristiani era normale nel nostro paese e i processi di socializzazione religiosa introducevano bambini, adolescenti e giovani a una visione del cosmo condivisa dalla società in modo naturale. Di fatto, la professione di fede si dava per scontata e la società sanciva positivamente la religiosità, penalizzando la mancanza di fede. Ora non è più così e, di conseguenza, la pastorale giovanile deve essere concepita come la proposta che la comunità cristiana fa ai giovani affinché optino per un tipo di vita alternativa che nasce da un’esperienza, quella della fede, che sta diventando minoritaria. Pertanto la proposta di Gesù, più che essere una risposta a un atteggiamento di ricerca, dovrà essere provocazione e interrogativo rivolto a dei giovani che, apparentemente, si trovano bene nella propria situazione ma che mostrano anche un certo disorientamento esistenziale quando si esprimono a un livello più profondo. Da qui la necessità di insistere sulla novità del Vangelo, sulla sua potenzialità di concedere una gioia e un senso alla vita insuperabili, ma riconoscendo, al tempo stesso, che la sua accoglienza colloca il cristiano controcorrente rispetto ad alcuni valori socialmente dominanti: o crede in un clima religiosamente indifferente; o collabora e condivide in un contesto dove prevale la competizione e il miglioramento del benessere economico; o invita alla comunità in un clima individualista; o chiama a impegnarsi con gli altri invece di coltivare l’indifferenza o l’isolamento, ecc. o Una pastorale giovanile che non sottolinea la necessità di optare tutti i giorni per il Vangelo e che non coltiva una spiritualità della resistenza culturale dialogante (né ingenua, né settoriale), non ha futuro. 2. Dagli incontri standardizzati all’incontro personale L’azione pastorale della chiesa è dipesa nel passato da meccanismi e forme abbastanza strutturate: socializzazione familiare, proposte per un tempo libero educativo, catechesi presacramentale, attività vincolate ai collegi religiosi, ecc. In futuro queste forme di avvicinamento di massa ai giovani finiranno per perdere buona parte della loro potenzialità per varie ragioni. In primo luogo perché gli agenti di socializzazione religiosa che abbiamo citato hanno perso dinamismo evangelizzatore (famiglia, parrocchia, aggregazioni per il tempo libero, scuole...), ma soprattutto perché i giovani sono molto più individualisti rispetto al passato, si mostrano sempre più restii a partecipare a gruppi strutturati e dispongono invece di una vastissima offerta di tempo libero consumista e non educativo che, nell’immediato, si presenta più attraente, divertente e meno esigente. Perciò, pur essendo opportuno mantenere o potenziare le iniziative tradizionali, risulterà sempre più necessario che i membri della comunità cristiana, mediante ogni tipo di attività, si avvicinino a ogni adolescente o giovane nella sua situazione personale, per cercare di creare con ognuno di loro qualche tipo di rapporto personale significativo basato sull’ascolto, il dialogo e l’affetto. L’agente pastorale dovrà fare attenzione al momento esistenziale di ogni giovane per trovare sempre la parola giusta che arrivi al suo cuore. Naturalmente questo approccio evangelizzatore è molto più difficile da compiere rispetto a quello basato su azioni standardizzate, ma ricordiamo che è proprio questo ciò che caratterizzava Gesù di Nazareth. Lui era in grado di incontrare la gente, nelle sue circostanze uniche, per invitare ognuno a seguire un itinerario personale e originale che, partendo dai suoi bisogni immediati, potesse situarli nell’orizzonte del regno di Dio. Questo approccio oggi diventa una necessità, visto che non possiamo parlare di una gioventù omogenea dinanzi al tema religioso e, quindi, di un solo tipo di incontro. 3. Dalla priorità dell’azione all’attenzione per la contemplazione e l’affettività Gran parte della pastorale giovanile, soprattutto nella sua fase "missionaria" o di primo incontro, si è basata sulla realizzazione di attività di diverso genere: teatro, dinamiche, giochi, 32 laboratori, campeggi, musica, volontariato… Tutte queste azioni, di enorme valore pedagogico, continuano ad essere imprescindibili. Tuttavia, uno sguardo attento alla nostra prassi non può non riconoscere che in molti giovani che sono stati a lungo con noi "non è passato nulla dentro", nonostante si siano divertiti molto o abbiano parlato moltissimo negli incontri. Se i nostri incontri e le nostre attività non riescono a fare in modo che i ragazzi entrino nella profondità della loro vita e arrivino a "perforare" la realtà (facendo in modo che abbiano il coraggio di penetrare le loro inquietudini con la testa e con il cuore) tutte le nostre azioni saranno come "bronzo che risuona e campana che rintocca" (1 Cor 13, 1). Non è affatto facile oggi spingere i giovani alla riflessione, all’analisi del nostro mondo, alla comunicazione profonda di esperienze, al silenzio o alla contemplazione, perché tutto intorno a loro li stimola in senso contrario. Ma se non arrivano all’appuntamento dell’interiorità, a cui lo Spirito di Dio li sta chiamando, sarà impossibile accompagnare una certa apertura alla trascendenza e sollecitare alla pienezza della proposta cristiana, che è offerta di profondità, amore e pienezza rivolta a chi decide di essere soggetto e protagonista della sua esistenza e non schiavo di stimoli esterni. E se l’ambiente suscita poca apertura alla trascendenza saremo noi a dover passare dall’educazione implicita della fede all’invito esplicito alla sua scoperta. Il nostro obiettivo non può essere quello di offrire una patina di valori evangelici, ma far conoscere l’evento che li suscita e li sostiene. 4. Dai processi deduttivi a quelli induttivi con "terapie d’urto" I cammini di educazione alla fede elaborati negli anni ‘80 e ‘90 cercavano di accompagnare il giovane nel suo passaggio dall’adolescenza all’età adulta, in itinerari che possedevano una struttura interna logica: la fase di ricerca iniziale andava seguita da una di formazione teologica che culminava, alla fine, con la scelta o con l’impegno di fede. Buona parte della metodologia si basava sulla lettura, la riflessione e il dibattito in incontri di gruppo in cui si affrontavano, in successione, i vari temi fondamentali della fede cristiana. Continuo ad essere un sostenitore di questi lunghi processi, perché il contesto sociale accompagna a stento coloro che vogliono iniziarsi alla vita cristiana, ma secondo me l’accesso alla fede per la maggior parte dei giovani oggi non è quello che deriva da un cammino di riflessione molto documentato, ma quello che nasce dal contatto vivo con esperienze forti della vita che ci costringono a fondarla con profondità (sofferenza, bellezza, intimità, ingiustizia, libertà, amore, solitudine, pluralismo culturale, ecc.) e dall’incontro con credenti appassionati dal Vangelo che lo incarnano in atteggiamenti e scelte concrete. Dal momento che la società del benessere materiale e dello svago permanente anestetizza la nostra capacità di percepire il carattere radicalmente misterioso della realtà e della vita, è necessario che la pastorale giovanile sia in grado di proporre interrogativi che aprono l’essere umano alla dimensione religiosa: chi sono io? che valore hanno la vita e il mondo? dove trovare la felicità? come orientare la mia esistenza? cosa devo aspettarmi? chi sono gli altri per me? quale tipo di società vale la pena costruire? in cosa riporrò la mia fiducia? vale la pena vivere? come? …. 5. Dalla trasmissione delle conoscenze alla comunicazione di un’esperienza La catechesi tradizionale ha avuto un carattere prevalentemente intellettuale, perché presupponeva la normalità sociale dell’esperienza religiosa e aveva come preoccupazione fondamentale quella di chiarificarla, approfondirla e renderla sistematica. L’operatore pastorale aveva bisogno soprattutto di una formazione teologica di base e di alcuni elementi sui quali i contenuti della fede cristiana fossero ben fondati e risultassero accessibili al destinatario. D’ora in poi, avremo bisogno soprattutto di persone giovani e adulte con un’intensa esperienza credente che possano narrare in prima persona la loro storia di fede, la qualità della loro relazione di amore e fiducia che hanno col Dio di Gesù. E, anche se la fede non si "contagia" in modo automatico (esistono, oltre alla sacra libertà dei giovani, i loro "anticorpi" di fronte al Vangelo e, a volte, si incontrano persino dei "vaccinati" contro di esso), risulta pur necessaria per la sua trasmissione la mediazione della testimonianza di persone 33 credenti. La riflessione teorica sul cristianesimo, che continua ad essere imprescindibile e ancora di più in una società che si avvicina all’"analfabetismo religioso funzionale", verrà dopo che i giovani avranno scoperto la densità della loro stessa vita e l’esperienza sincera di alcuni credenti. Perché la fede, prima di ogni altra considerazione teorica, è un evento di salvezza nella vita di persone concrete. Da qui si deduce che la vera formazione di operatori di pastorale giovanile consiste, soprattutto, nell’aiutarli ad attuare la loro stessa conversione. Naturalmente è più facile formare persone che abbiano conoscenze religiose piuttosto che suscitare la testimonianza di giovani affinché la offrano ad altri. Ma sta qui la sfida ovvia per l’immediato futuro. 6. Dalla formazione teologica all’iniziazione a esperienze fondamentali Pochi anni fa era di vitale importanza rispondere con argomentazioni alle obiezioni alla fede che venivano avanzate da agnostici e atei. Lo sforzo che abbiamo compiuto per molto tempo ha consentito di presentare la fede in modo non alienante e di purificare l’immagine di Gesù per avvicinarla al volto che si riflette dai vari racconti del Nuovo Testamento. Pensavamo che le immagini e le parole potessero rendere la figura di Gesù attraente agli occhi di molti giovani. Pur essendo così, oggi siamo più coscienti che l’accoglienza o il rifiuto di Gesù si gioca non sul terreno delle idee ma su quello della sua effettiva sequela. In altre parole, la verità del Vangelo si manifesta nella pratica della vita cristiana in un doppio senso: chi professa il Vangelo ma non lo vive non è veramente cristiano; ma, anche, soltanto chi sperimenta la vita cristiana può verificare, in se stesso, che Gesù è effettivamente la via, la verità e la vita. Tutti abbiamo iniziato ad essere cristiani perché ci attraeva la figura di Gesù, le sua parole, i suoi valori, i suoi atteggiamenti, le sua azioni. Ma ci confermiamo come tali perché verifichiamo, dopo la conversione, che questa esperienze di fede, amore e speranza è l’unica capace di riempire di gioia e di significato il nostro cuore. Di conseguenza, una buona metodologia pastorale dovrebbe fare in modo che i giovani assaporino le esperienze fondamentali della vita cristiana (pregare, condividere, discernere, celebrare, impegnarsi) stando a contatto con coloro che vivono in modo qualitativamente significativo queste dimensioni della fede. Ancora una volta la riflessione occuperà un posto successivo all’esperienza e aiuterà a chiarire il suo senso e la sua ricchezza. Solo assaporando la verità, la bontà e la bellezza che si scoprono nella preghiera, nell’austerità solidale o nel servizio ci si rende conto che Gesù aveva ragione, anche quando proponeva il difficile cammino della croce e dell’affidamento come prezzo inevitabile dell’amore e della vita. 7. Dall’accento sul "morale" al recupero del linguaggio simbolico Collocando l’iniziazione cristiana nell’ambito dottrinale o etico, abbiamo svilito il significato profondo della fede cristiana che è, prima di tutto, un dono che ci arriva da fuori, un’offerta di amore, di salvezza da parte di Dio. Le dimensioni di trascendenza e gratuità della fede sono rimaste relegate al passato e il nostro cristianesimo si è ridotto ad attivismo, ideologia o via di auto-realizzazione. Solo il linguaggio simbolico è capace di metterci a contatto col mistero di amore che sostiene tutto il creato e che i discepoli di Gesù hanno imparato a chiamare Padre. La lode, l’adorazione, l’accoglienza e l’affidamento; la parte più intima e profonda dell’esperienza religiosa cristiana; quel rapporto che è la sua origine, il suo cibo e la sua meta, si possono realizzare soltanto introducendosi nella dinamica del simbolico, perché di Dio non dobbiamo né possiamo avere un’esperienza empirica e immediata. La vita della Chiesa si è impoverita in termini di ricchezza e creatività simbolica, mentre i giovani sono molto sensibili a questa dimensione se si sviluppa con attenzione e qualità espressiva. È altrettanto sicuro che la mentalità superficiale, pragmatica e freneticamente audiovisiva che ci circonda, esige un lavoro pedagogico che sviluppi nei giovani una sensibilità tale da avvicinarsi al simbolo partendo da un atteggiamento contemplativo di calma, accoglienza e profondità che vada oltre un atteggiamento che cerca solo l’intrattenimento, le sensazioni, o, direttamente, lo 34 spettacolo. Il divertimento e la festa non sono la stessa cosa, e, forse, la ricerca frenetica del primo negli ambienti giovanili è espressione del fatto che, molte volte, mancano i motivi per celebrare la seconda. In ogni caso rimane la convinzione che senza un veicolo espressivo adeguato è assai difficile coltivare la dimensione religiosa. 8. Dall’esclusività del gruppo all’accento sulla personalizzazione Ormai credo che sia un luogo comune l’attenzione della pastorale alla personalizzazione. Vale a dire, l’aiutare i giovani affinché poco a poco prendano la vita nelle loro mani per scoprire in essa il passaggio del Signore e i suoi inviti. Dietro questa convinzione si trova l’esperienza di moltissimi ragazzi che hanno frequentato per anni i nostri gruppi, e hanno realizzato un processo interiore completamente estraneo al processo formale del gruppo. Così gruppi giovanili che sembravano consolidati, riflettevano, al massimo, ciò che accadeva nei suoi membri più protagonisti. Ma è necessario scoprire e vivere la fede in comunità. Questa realtà si impone in modo sempre più impellente. È necessario elaborare processi ben strutturati e sistematici di iniziazione cristiana. Ma ciò non impedisce che l’obiettivo educativo fondamentale sia radicato nel fatto che il Vangelo dica qualcosa alla vita reale di ogni giovane concreto nella sua situazione personale, che non deve per forza coincidere con quella media del gruppo, né accadere solo quando "se ne parla in gruppo". In realtà, "personalizzazione" non è sinonimo di "individualizzazione". La preghiera di gruppo, la revisione di vita, la riflessione comune, la condivisione di problemi, situazioni e sentimenti, il discernimento comunitario, la partecipazione a Eucaristie aperte, le esperienze di vita comune, ecc. sono altrettante forme comunitarie di personalizzazione della fede. Quello che conta è che, nella dinamica pedagogica, ognuno si senta interpellato da Gesù che gli rivolge una parola unica. 9. Dall’istituzione che regola e controlla allo spazio di crescita fraterna I cambiamenti che la comunità ecclesiale dovrebbe effettuare per poter fare fronte alla sfida di una pastorale rinnovata sono troppo vasti per poterli includere in questa riflessione. Vorrei tuttavia soffermarmi su uno di essi. I giovani, nel futuro, non verranno in Chiesa per routine, per tradizione, per noia, per dovere o per paura. Verranno perché ne avranno voglia. Cioè perché l’ambiente, i rapporti, le attività, l’organizzazione e l’immagine delle nostre comunità ecclesiali li interessano e li arricchiscono. Non è facile che sentano il desiderio di vincolarsi a un gruppo di gente anziana, che utilizza un linguaggio strano, che ha delle strutture che essi percepiscono rigide, delle attività poco divertenti e delle proposte esigenti. Ancora meno se percepiscono repressione, autoritarismo o discriminazione (veri peccati della nostra Chiesa). L’unico modo in cui i giovani possono sentirsi interessati alla Chiesa è se scoprono in essa uno spazio in cui si sperimentano realtà che non si sperimentano in nessun altro luogo e che donano qualità, fecondità e pienezza alla vita: l’esperienza dell’incontro con Dio, l’esperienza della fraternità e l’esperienza dell’impegno di solidarietà e di trasformazione. Se la Chiesa abbandona la sua pretesa di controllare o di ingessare la vita dei suoi membri e si dedica invece ad alimentare e a stimolare la loro capacità di credere, di amare e di sperare, risulterà molto più attraente ai giovani. E questa esperienza ecclesiale esige, necessariamente, di continuare a coltivare la creazione di piccole comunità cristiane inserite in unità pastorali più ampie (parrocchie, movimenti, ecc.). 10. Dalla pastorale della serra ecclesiale e sociale a quella dell’oasi Chiudo questo decalogo di buone intenzioni suggerendo di superare un altro ostacolo pastorale. Tutti siamo stati testimoni di come tanti gruppi di giovani, che al momento della Cresima hanno mostrato l’entusiasmo dei primi discepoli il giorno della Pentecoste, si siano 35 poi disciolti come neve al sole di fronte a un qualunque cambiamento di circostanze (l’estate, il passaggio di scuola alle superiori o da queste all’università, o dallo studio al lavoro, o dalla condizione di single alla coppia, o per un cambiamento del catechista e animatore o del sacerdote, ecc.). Tutto ciò mette in evidenza tre cose: che in molti casi non si è arrivati a produrre una scelta di fede realmente personale, un incontro profondo con Gesù (e che quindi altre circostanze o interessi, d’altra parte assolutamente normali, determinavano l’appartenenza al gruppo); che tutti abbiamo bisogno di strutture comunitarie di appoggio per perseverare come cristiani; e che non avevamo generato una spiritualità della presenza nel mondo extra-ecclesiale, che è proprio lo spazio in cui noi cristiani dobbiamo vivere la fede. Questa spiritualità deve insegnare a discernere, con speranza ma senza ingenuità, come mantenere nella società uno stile di vita di servizio, di testimonianza e molte volte di controcultura. Gesù non ha separato i suoi discepoli dal mondo, ma li ha mandati perché diffondessero la vita che avevano ricevuto. A questo deve preparare la pastorale giovanile. Evitando, allo stesso tempo, un altro dei nostri grandi errori del passato: che i gruppi giovanili si isolino tanto dal resto della comunità adulta che alla fine diventino degli "squatters" nella Chiesa; con degli abiti, un linguaggio e dei simboli così estranei a quelli altrui da rendere impossibile un reciproco arricchimento. Conclusione Al termine di questi punti-chiave penso che, per rinnovare la nostra pastorale giovanile, non abbiamo bisogno di strategie pedagogiche sofisticate, specializzate e costose, ma di due requisiti indispensabili: o un’esperienza gioiosa della nostra stessa fede, che sia in grado di riempire la nostra esistenza di amore, significato, speranza e passione, e al tempo stesso di ispirare scelte e atteggiamenti che generino vita intorno a noi. Cioè un tipo di vita che, per la sua intensità e qualità, possa suscitare interrogativi e interesse nel nostro ambiente o maggior fede in noi stessi, il che significa in termini di bravura, entusiasmo, coraggio e creatività e, soprattutto, più fede in Dio che è presente nel mondo e in ogni essere umano e che può, in qualunque momento, invitare alla sua amicizia. La nostra mediazione però è necessaria, perché alla fine il regno di Dio (grazie a Dio) non è nelle nostre mani. 36 Strumenti di lavoro Sussidi a servizio di una pastorale dei 17/19enni Quando si arriva al momento di organizzarsi e rimboccarsi le maniche, un’animatore ha bisogno di prendere in mano…degli strumenti di lavoro. Quello che trovi descritto qui sotto è una “cassetta di attrezzi”, divisa al suo interno in vari scomparti, divisi a loro volta in piccoli “cassetti”: all’interno di ciascuno troverai gli attrezzi veri e propri (le proposte concrete da realizzare). Per eseguire un lavoro servono tanti tipi di attrezzi, e non fa meraviglia che siano diversi tra loro; l’importante, per poterli usare, è che siano ordinatamente al loro posto, raggruppati insieme, in base alle affinità. Troverai, in concreto, sette diversi sussidi per proposte di gruppo (ognuno dei quali ha una metodologia diversa dagli altri, ma una sua chiara coerenza nel piano dell’opera) e due sussidi per l’uso personale dei ragazzi. Alcuni, come puoi notare, sono solo in cantiere e non ancora costruiti, ma potrai contare anche su di loro. Area dell’esperienza 1.3.1 1.3.2 1.3.3 LA CASA SULLA ROCCIA: istruzioni per l’uso CERCO FATTI DI VANGELO: schede per incontrare una Chiesa che crede e per sporcarsi le mani insieme Li amò sino alla fine, nella vita quotidiana Si cinse un’asciugatoio, nel mondo della solidarietà Fatelo anche voi, nella vita parrocchiale 1.4 1.4.1 1.4.2 1.4.3 VANGELO DA VIVERE (2007) Ne costituì dodici, proposte per esperienze di vita comunitaria Stare con Lui, proposte di momenti di preghiera e di educazione alla preghiera Per mandarli, proposte di formazione alla testimonianza e al servizio di animazione 1.3 Area della ricerca di fede 2.2 2.1.1 2.1.2 2.1.3 2.1.4 IL TUO VOLTO IO CERCO Che cercate? Credere? E in cosa? Almeno credo! In chi e in cosa credono i giovani oggi C’e’ qualcosa che conta veramente? L’influenza del relativismo culturale oggi Un posto nel mondo. L’identità personale e trascendenza oggi Quale uomo? L’immagine di Dio e dell’uomo nelle religioni 37 2.3 2.2.1 2.2.2 2.2.3 2.3 2.3.1 2.3.2 2.3.3 2.3.4 2.3.5 2.3.6 IL TUO VOLTO IO CERCO Maestro dove abiti? Da una fede ricevuta…alla fede in Gesù Credere oggi: in questa età, in questo tempo Io ti battezzo: Dalla fede ricevuta alla fede scelta Il caso Gesù : la storia e le interpretazioni IL TUO VOLTO IO CERCO Venite e vedrete! Incontrare Gesù, diventare dei suoi! Un tipo così: l’umanità di Gesù Con un suo segreto: Gesù e il Padre Con le sue idee: il senso della Vita Con un suo stile: …in concreto Mi ha cambiato la vita: incontri con Gesù Dicono sia vivo! Incontrare il Risorto Area della vita cristiana 3.2 3.3 VIVERE DA FIGLI Figli del Padre, riscopriamo la vita, riscoprendo il Padre Nostro VIVERE DA FIGLI uno Spirito da figli, mossi dentro dallo Spirito (2007) (2007) Area del cammino personale 4.2 4.2 38 IL SALE DELLA TERRA, sussidio personale per seguire Gesù con il Vangelo secondo Marco COMPAGNI DI VIAGGIO, sussidio personale per un cammino spirituale Stanze, lavori, strumenti, come usarli? Bisogna essere concreti nell’indicare modi di lavorare: ecco uno specchietto sintetico per mettere insieme le varie sottolineature STANZA COME CON COSA CATECHESI 4. Dai processi deduttivi a quelli induttivi con "terapie d’urto" 5. Dalla trasmissione delle conoscenze alla comunicazione di un’esperienza 6. Dalla formazione teologica all’iniziazione a esperienze fondamentali 3. Dalla priorità dell’azione all’attenzione per la contemplazione e l’affettività 9. Dall’istituzione che regola e controlla allo spazio di crescita fraterna CERCO FATTI DI VANGELO 2.3.4 VITA COMUNITARIA: IL TUO VOLTO IO CERCO 1/2/3 VIVERE DA FIGLI 1 CERCO FATTI DI VANGELO 2.3.4 VANGELO DA VIVERE 1. SERVIZIO 1. Dal socializzare nella normalità al CERCO FATTI DI proporre cose alternative VANGELO 2.3.4 9.Dall’istituzione che regola e controlla allo spazio di crescita VANGELO DA VIVERE 3. fraterna TESTIMONIANZA PERSONALE 10. Dalla pastorale della serra ecclesiale e sociale a quella dell’oasi 3. Dalla priorità dell’azione all’attenzione per la contemplazione e l’affettività. 7. Dall’accento sul "morale" al recupero del linguaggio simbolico 2. Dagli incontri standardizzati all’incontro personale 8. Dall’esclusività del gruppo all’accento sulla personalizzazione VITA SPIRITUALE ACCOMPAGNAMENTO PERSONALE VANGELO DA VIVERE 3. VANGELO DA VIVERE 2 VIVERE DA FIGLI 2 IL SALE DELLA TERRA COMPAGNI DI VIAGGIO 39 il piano di Lavoro Dopo tanta riflessione, finalmente si comincia a lavorare! Ogni buon animatore prova a rispondersi alla solita domanda: e quest’anno cosa facciamo? Importante dapprima è mettere a fuoco i soggetti: i ragazzi cui ci rivolgiamo. Quanti sono? Che cammino hanno alle spalle? Che età hanno? E le parrocchie vicine? Sì, perché possono esserci situazioni molto diverse… o o o o o Parrocchie grandi con gruppi numerosi, che propongono un cammino distinto per i 17enni, uno per i 18enni, uno per i 19enni (quante poche saranno queste parrocchie?) Parrocchie che si mettono insieme per rendere possibile questo impianto o qualcosa di simile Parrocchie dove c’è un gruppo unico per questa fascia di età, o anche insieme a ragazzi più grandi Parrocchie dove c’è un gruppo unico che finisce con la fine delle superiori Parrocchie dove…si salvi chi può! In base a queste diverse situazioni, e in base alla necessità di variare a seconda del periodo dell’anno e della vita del gruppo, starà agli educatori decidere come dedicarsi al lavoro delle stanze: una alla volta fino al suo completamento, oppure mettendo mano a tutte. Importante è ricordare sempre che la finalità di questo progetto è quella di accompagnare i giovani per aiutarli a decidere di costruire la loro vita sulla fede in Gesù Cristo. Il percorso ha un inizio con la Festa del Passaggio, ha una fine con la Redditio Symboli, ha un momento intermedio con la Traditio, la festa del diciottesimo anno. La particolarità della nostra proposta di lavoro è che, accanto alla costruzione della casa attraverso la proposta di gruppo (nel quale il lavoro viene portato avanti così come descritto sopra), c’è anche un lavoro personale. Normalmente tutti i ragazzi iniziano il percorso con la Festa del Passaggio; solo alcuni arriveranno alla Redditio, passando per la Traditio, con tempi e cammini personalizzati, grazie all’accompagnamento personale e ai sussidi personali. Per questo motivo possono esserci delle tappe, dei momenti di passaggio, di verifica: il cosiddetto “stato avanzamento lavori”, che può essere proposto a tutto il gruppo, ad una parte, oppure a singole persone. Il lavoro di costruzione poi, è ritmato secondo tre importanti appuntamenti: 1. A 17 anni (all’inizio della quarta superiore per intenderci): la festa diocesana del passaggio, consegna della candela battesimale 2. A 18 anni (all’inizio della quinta superiore): festa della maturità, “party con me”, consegna del Credo e del Vangelo di Marco 3. A 19 anni, o quando uno è pronto, celebrazione della Redditio Symboli Tre attenzioni formative Ne nascono allora tre attenzioni formative, di gruppo e anche personali. 40 Cerco fatti di Vangelo A partire dalla Festa diocesana del passaggio, aiutare i ragazzi che decidono di proseguire il cammino a percepire un “passaggio” reale nel modo di vivere la partecipazione alla proposta formativa. Attenzione prevalente di questa fase sarà: o A livello di gruppo: uscire dallo standard degli incontri settimanali intorno a un tavolo, e proporre quanto suggerito dal sussidio “Cerco fatti di Vangelo”, con l’obiettivo di far sperimentare lo stile del vivere da cristiani per poter dire a se stessi “Questo vangelo mi interessa!”. o A livello personale: coinvolgere tutti i ragazzi in un servizio all’interno della comunità, secondo quando incontrato col gruppo, oppure secondo i suggerimenti di “Vangelo da vivere” (Parte 3) Il tuo volto io cerco In concomitanza con la festa del passaggio, verrà proposta una festa per i 18enni: “Party con me”, all’insegna della partenza vera e propria del percorso di riappropriazione della fede; se quella dell’anno prima celebra per alcuni ragazzi il ritorno al meeting degli adolescenti e per altri l’inizio di un cammino più consapevole, è in realtà il diciottesimo anno a segnare l’effettivo passaggio alla maturità giuridica (con la possibilità di prendere la patente!), la necessità di compiere delle scelte per il proprio futuro, e decidere di prendere in mano, in maniera decisa, la propria fede; a questo punto dovremo avere un’attenzione prevalente: o A livello di gruppo: affrontare il tema del “credere” e della fede cristiana secondo quanto suggerito dai tre sussidi “Il tuo volto io cerco” o A livello personale: lettura del Sussidio sul Vangelo di Marco e confronto personale col sacerdote e con l’educatore Vivere da figli La fine del percorso delle scuole superiori poi comporta un profondo cambiamento di vita, soprattutto per quei ragazzi che si iscrivono all’università e vivono fuori di casa. Una fase caratterizzata molto dal personalizzarsi dei percorsi di vita e dall’allargamento ulteriore delle relazioni. In questa prospettiva sarà interessante, in tempi e modi rispetto agli anni di frequentazione della scuola, accompagnare i giovani ad una interiorizzazione profonda del cammino di fede e ad una socializzazione religiosa sempre più caratterizzata dalla fede e dall’impegno ecclesiale, che abiliti il giovane a fare unità di vita e a caratterizzare il proprio stile di vita cristiano anche nella dispersione degli impegni e delle relazioni. Attenzione prevalente o A livello di gruppo: approfondire la preghiera del Padre Nostro, “sintesi di tutto il Vangelo” e le dimensioni fondamentali della vita spirituale con i sussidi Vivere da Figli 1 e 2. o A livello personale: attraverso il sussidio “Compagni di viaggio” con l’aiuto dell’educatore e del sacerdote e approfondire il proprio cammino spirituale, per scrivere la regola di vita da consegnare nella redditio Simboli. Attenzione: o potranno esserci gruppi con ragazzi tutti della stessa età, per i quali l’attenzione di gruppo e quella personale coincidono; o potranno esserci gruppi di età mista, nei quali si sceglieranno attenzioni diverse a seconda dell’opportunità e attenzioni personali diverse a seconda dei ragazzi! 41 MOMENTI CELEBRATIVI Queste tre tappe saranno accompagnate da momenti rituali comunitari, diocesani e parrocchiali, che aiuteranno i ragazzi a coscientizzare i passaggi di fede che sono chiamati a vivere. Già nella precedente forma del “biennio della fede”, alcuni gesti erano stati attinti alla prassi battesimale della Chiesa antica, così come sono riproposti oggi nel Rito dell’Iniziazione Cristiana degli adulti: o presentazione e iscrizione nel libro dei nomi o consegna del Credo e del Padre Nostro o riconsegna del Credo o consegna della candela accesa Secondo i riti battesimali antichi In particolare la traditio-redditio symboli (consegna e restituzione del simbolo) è stata ed è un elemento importante del Catecumenato battesimale. La bipolarità di questo gesto esprime la duplice dimensione della fede: dono ricevuto (traditio) e risposta personale, inculturata (redditio). Riportiamo le rubriche del Rito, così come celebrate nel battesimo degli adulti, per poi vedere come intendiamo proporle nel nostro percorso di riappropriazione della fede. RITO DELL’ELEZIONE O DELL’ISCRIZIONE DEL NOME 133. All’inizio della Quaresima, che è il tempo della preparazione prossima dell’iniziazione sacramentale, si celebra l’«elezione» o «iscrizione del nome». Con questo rito la Chiesa, udita la testimonianza dei padrini e dei catechisti e dopo la conferma della loro volontà da parte dei catecumeni, giudica sulla loro preparazione e decide sulla loro ammissione ai sacramenti pasquali. PRESENTAZIONE DEI CANDIDATI 143. Terminata l'omelia, il sacerdote responsabile dell'iniziazione dei catecumeni o un diacono o un catechista o un delegato della comunità presenta coloro che devono essere eletti con queste parole o con altre simili. LE CONSEGNE 181. Se ancora non sono state fatte, dopo gli scrutini si devono celebrare le «consegne» (traditiones) con le quali, compiuta o iniziata da tempo conveniente l'istruzione dei catecumeni, la Chiesa amorevolmente affida loro i documenti che fin dall'antichità sono ritenuti il compendio della sua fede e della sua preghiera. 182. È auspicabile che il rito si tenga davanti alla comunità dei fedeli dopo la liturgia della parola di una Messa feriale, con letture adatte alle «consegne». CONSEGNA DEL CREDO (Traditio Symboli) 183. La prima «traditio» è la «consegna del Simbolo» che gli eletti impareranno a memoria e 42 poi dovranno riconsegnare pubblicamente (cfr nn.194-199 ), prima di fare, nel giorno del Battesimo, la loro professione di fede secondo il Simbolo stesso. CONSEGNA DELLA PREGHIERA DEL SIGNORE 188. Agli eletti viene consegnata anche la «Preghiera del Signore» (Padre nostro) che fin dall'antichità è propria di coloro che con il Battesimo hanno ricevuto lo spirito di adozione a figli e che i neofiti reciteranno insieme con gli altri battezzati nella prima celebrazione dell'Eucaristia a cui parteciperanno. RiTI IMMEDIATAMENTE PREPARATORI 193. Se gli eletti possono riunirsi il Sabato Santo per prepararsi nella meditazione e nella preghiera a ricevere i sacramenti, si propongono i riti seguenti, che si possono usare o tutti o in parte, secondo l'opportunità. RICONSEGNA DEL CREDO (Redditio simboli) 194. Con questo rito gli eletti sono preparati alla professione battesimale della fede e sono istruiti sul dovere di annunziare la parola del Vangelo. CONSEGNA DEL CERO ACCESO 226. I padrini e le madrine si avvicinano, accendono dal cero pasquale una candela e la consegnano al neofito. SEcoNDO LA NOSTRA PROPOSTA 1. Festa diocesana del passaggio, con consegna della candela battesimale nella veglia in Cattedrale. La domenica successiva a una messa parrocchiale, i ragazzi che intendono affrontare il percorso vengono presentati alla comunità, attraverso l’iscrizione nel “libro dei nomi” 2. “Party-con me”, festa dei diciottenni, con la Traditio: consegna del Vangelo nella Veglia in Cattedrale e iscrizione nel libro dei nomi; la domenica successiva in parrocchia si celebra con la presenza dei genitori (coloro che normalmente hanno trasmesso la fede) la consegna del Credo 3. Nella stessa domenica in parrocchia a chi è alla “terza fase” viene consegnato la preghiera del Padre Nostro. Al termine dell’anno, o comunque ogni anno, per quei ragazzi che sono maturi per il passo, nel contesto della Pentecoste, si celebra la restituzione della fede nella Redditio Symboli. E per finire… 43 F.A.Q. Cosa devo fare allora? Devi inventarti una proposta: o Per costruire un progetto o Perché i ragazzi costruiscano la casa Con chi devo farlo? Insieme alla tua comunità o Diventando “tessitore di rapporti” insieme ad altri educatori o coinvolgendo come soggetti attivi parroco, consiglio pastorale, famiglie, gruppi, religiosi…. Come devo farlo? Facendoti un calendario di massima, un piano di lavoro, per programmare la costruzione delle sei stanze 1. catechesi 2. vita comunitaria 3. servizio 4. testimonianza personale 5. vita spirituale 6. accompagnamento personale Con cosa posso farlo? Di volta in volta, nella costruzione della stanza, impostando il lavoro in base a un preciso modo di proporre: 1. proporre cose alternative 2. incontro personale 3. attenzione per la contemplazione e l’affettività 4. processi induttivi con "terapie d’urto" 5. comunicazione di un’esperienza 6. iniziazione a esperienze fondamentali 7. recupero del linguaggio simbolico 8. accento sulla personalizzazione 9. spazio di crescita fraterna 10. pastorale dell’oasi 44 E che strumenti uso? Scegliendo e adattando opportunamente tra tutte le proposte dei sussidi: 1.1 CERCO FATTI DI VANGELO 1.2 VANGELO DA VIVERE 2.1 IL TUO VOLTO IO CERCO Che cercate? 2.2 IL TUO VOLTO IO CERCO Maestro dove abiti? 2.3 IL TUO VOLTO IO CERCO Venite e vedrete! 3.1 VIVERE DA FIGLI Figli del Padre 3.2 VIVERE DA FIGLI uno Spirito da figli 4.1 IL SALE DELLA TERRA 4.2 COMPAGNI DI VIAGGIO C’è un capo e una coda nell’itinerario che propongo? Certo: dalla festa del passaggio alla Redditio Symboli, passando per il “Party con me” Come doso i vari ingredienti? Cercando di tenerli tutti, si tratta di fare delle scelte: o in base alla tua sensibilità o in base ai ragazzi o in base alla fattibilità delle cose Allora non mi resta che provare? ESATTO! 45 Cerco Fatti di Vangelo 1.1 Il primo sussidio / itinerario. Qual è lo scopo di questo sussidio? Incontrare persone che vivono significativamente la fede, capire da dove nascano queste scelte, “assaggiare” uno stile di vita diverso, possibile e affascinante. Come funziona e cosa propone? Utilizzando una metodologia esperienziale: vedere, giudicare, agire Vedere: “cerco fatti” Ricercare ambiti, esperienze, dimensioni di vista nelle quali si vede lo stile Cristiano. Dapprima “entrare in tema”: la visione di un film, che parla del tema preso in esame per aiutare ad entrare nell’argomento, poi l’incontro con un testimone, per approfondire le motivazioni che lo hanno spinto a seguire questo stile di vita. Giudicare: “di Vangelo” La testimonianza apre poi alle “nostre domande”: come sono chiamato a seguire questa strada e come il confronto con la Parola di Dio mi lascia intuire che nello stile Cristiano ci sia qualcosa di diverso che può riguardare anche me; l’ausilio di alcuni approfondimenti aiuta a comprendere una traduzione possibile dello stile evangelico dentro le cose di ogni giorno. Compito fondamentale di questa opera è la mediazione dell’animatore, al quale vengono forniti degli approfondimenti per entrare nel tema in maniera più profonda. Agire: “fare fatti di Vangelo” Fare sperimentare concretamente il Vangelo ponendo attenzione, non tanto a fare esperienze mastodontiche, quanto affascinanti e veramente alternative; essere capaci, quindi, di far gustare la bellezza dello stile di vita evangelico. 46 E dove andiamo a cercare? Un traguardo importante nel percorso formativo di un giovane è darsi una risposta: mi interessa il Vangelo? Voglio che Gesù Cristo abbia a che fare con me? Desidero fare parte di questa Comunità? Iniziamo dall’incontro con la Comunità concreta, per vedere se è possibile trovare in essa motivi che possano spingere a decidere che Gesù e il Vangelo valgono la pena di essere vissuti! La comunità parrocchiale con l’apporto di associazioni, movimenti, famiglie, uomini e donne consacrati ecc… diventa la protagonista di questo itinerario; gli animatori dovranno essere come il Virgilio dantesco, colui che accompagna ad incontrare. L’efficacia, la credibilità e il fascino delle esperienze, dipenderanno dall’effettivo incontro dei ragazzi con il Vangelo; a loro stessi, infine, rimane l’ultima e libera scelta. Cosa andiamo a cercare? “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. (Gv. 13,35). Vuoi conoscere i discepoli di Gesù? Vuoi capire se lo sono realmente? Guarda se si amano, come si amano! Andiamo in cerca di fatti che esprimono come amano i Cristiani, lì dove essi vivono e lasciamoci guidare nella ricerca dall’icona evangelica della lavanda dei piedi (Gv 13, 1-20). “Io vi ho dato un esempio da seguire: fate come me”: l’impegnativo testamento lasciatoci da Gesù, proprio nell’ultima cena, ci spinge ad andare in cerca dei fatti di Vangelo, nelle esperienza di servizio che i Cristiani vivono nella vita quotidiana. Il come che cerchiamo Cerchiamo come un Cristiano vive la propria vita, le motivazioni ed i benefici della sua scelta: a) Vita quotidiana: “li amò sino alla fine” • affetti, esperienza di coppia • famiglia • professione e studio b) Servizio: “si cinse un’asciugatoio” • servizio alle varie forme di disagio/emarginazione • servizio a malati e anziani • servizio a diversamente abili, accoglienza immigrati c) Partecipazione alla vita della comunità: “fatelo anche voi” • animazione/catechesi • parroco/religiosi • missionari 47 Dentro il come: Lo schema metodologico presente in ogni scheda: 1. Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame 2. La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi 3. Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione di quesiti sul “perché la differenza cristiana” 4. Qualche risposta: prospettive di approfondimento 5. Approfondimento per gli animatori 6. Lavori di gruppo 48 Parte 1 Li amo, fino alla fine 1.1.1 Come ha amato Gesù? Offrendo tutto sé stesso, per primo, fino in fondo… Ha amato nella vita quotidiana, con la dignità di essere capace di esprimere l’amore di Dio. La vita quotidiana è fatta di affetti, di relazione, di vita di coppia, di famiglia, di amore per il proprio dovere. Sarà possibile vivere amando, così come ha amato Gesù? 49 * Affetti e vita di coppia Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame L’UOMO PERFETTO di Luca Lucini – Warner Bros, 2005 Soggetto: Lucia, giovane pubblicitaria in un'agenzia di Milano, è innamorata di Paolo fin dall'infanzia e non riesce ad accettare che Maria, la sua migliore amica, stia per sposarlo. Dopo una festa, rimasta sola con Paolo, Lucia passa la notte con lui e lo esorta a lasciare Maria, ma non riesce a convincerlo; allora contatta un attore ancora sconosciuto ma di bella presenza, Antonio, al quale affida il compito di sedurre l'amica e di indurla a lasciare Paolo. Lucia addestra Antonio a diventare l'uomo perfetto, insegnandogli tutti i gusti e le preferenze di Maria. Il piano sembra funzionare: Maria è affascinata da Antonio, mentre Paolo continua a pensare a quella notte con Lucia. La relazione fra Paolo e Maria comincia a incrinarsi, e allo stesso tempo nasce una simpatia crescente tra Lucia e Antonio. Tra equivoci e malintesi Antonio scopre, indignato, i piani di Lucia. Lei, pentita, convince Paolo a tornare da Maria, che ben volentieri accetta di andare verso il matrimonio e, per di più, organizza un incontro a sorpresa all'aeroporto tra Antonio e Lucia. I due possono così abbracciarsi e dichiararsi amore reciproco. Valutazione Pastorale: Dice Luca Lucini, già regista del film - Tre metri sopra il cielo - : "È una commedia brillante, che si sviluppa attorno ad un divertente intreccio d'amore, non privo di equivoci. Il mio film è tecnicamente il remake di un film spagnolo fortemente personalizzato e ri-ambientato a Milano in fase di sceneggiatura...Una volta la motrice del sentimento era la passione, adesso è qualcosa di più razionale che probabilmente lascia insoddisfatti...". Le dichiarazioni sono giuste, il risultato è un prodotto azzeccato, qua e là esile ma anche misurato, spigliato e coinvolgente. Il punto centrale è rappresentato dal contrasto tra passione e razionalità. Lucia mette in atto un gioco razionale, ossia studiato a tavolino, ma alla fine lei e il suo complice restano vittime della loro stessa rete e non possono, né vogliono, opporsi. Insomma, la ricerca del vero amore sembra sopraffatta dalla indecisione affettiva oggi dominante, ma quando uno meno se lo spetta scocca la scintilla, alla quale bisogna lasciarsi andare. Tutto è detto nel tono scherzoso della commedia degli equivoci, con dialoghi vivaci e attori molto ben disposti sullo sfondo di una Milano, città più europea che italiana. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come accettabile e, nell'insieme, brillante. 50 La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi o o o o Non banalizzare l’incontro in una mera disputa “rapporti prematrimoniali sì o no”, cosa che i ragazzi pensano subito quando si parla di chiesa e sesso, tema che comunque andrà affrontato, ma in un’ottica “posteriore” rispetto a valori fondamentali messi in risalto ben prima di questo punto. Chiedere l’incontro ad una coppia di giovani sposi o, ancora meglio, di fidanzati che siano magari già conosciuti dai ragazzi del gruppo. “Spiazzare” gli interlocutori su una questione fondamentale: cosa centra la loro fede cristiana con il fatto che si vogliono bene e che si sono innamorati? Dai confronti con altre coppie di fidanziati-sposi, in che modo emerge la specificità dell’amore vissuto tra due credenti? Quali sono i punti di contatto e invece quelli di differenziazione? Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione di quesiti sul “perché la differenza cristiana” o o o o Notoriamente la Chiesa è considerata “nemica” della sessualità per antonomasia: no ai preservativi, no ai rapporti prematrimoniali, colpevolizzazione del sesso…Da dove nasce questa idea? Su un cartellone provare a dividere in aspetti positivi e negativi le caratteristiche di una coppia così come risaltano dal film e dall’incontro con i fidanzati. Non è forse vero che le dimensioni più “belle” e “positive” hanno un contatto con idee e paradigmi della fede, come la totalità dell’esperienza, la bellezza, scelta definitiva… Prendere in considerazione il brano di Genesi 1, 26 – 28: l’idea centrale è che Dio crea l’uomo a sua immagine in quanto uomo e donna, cioè come coppia: è proprio la coppia maschio e femmina che rende intera l’immagine di Dio; è l’attrazione, quindi, tra i due che ricompone l’idea di Dio: siamo ben lontani dalla demonizzazione della sessualità così come viene accusata la Chiesa! In che modo l’amore umano tra un uomo e una donna rende visibile l’esperienza cristiana? Qualche risposta: prospettive di approfondimento o Paradosso: anche i non credenti o i credenti di altre religioni si amano e vivono esperienze amorose intense, definitive, assolute e “perfette”. Quindi, non vuol dire che sia necessario essere cristiani per vivere in pienezza l’amore o un’esperienza affettiva. E neppure che l’innamoramento o il matrimonio siano positivi in maniera assoluta se e solo se praticati all’interno dell’esperienza cristiana. Ad esempio, il perdono di coppia può essere praticato anche da chi non crede nel valore cristiano; l’aiuto e la solidarietà pure; il donarsi e il sacrificarsi per il proprio ragazzo/a o marito/moglie idem. 51 o o o Qui può sorgere in maniera diretta anche un’altra considerazione: ovvero, il fatto che se “Dio è amore” come recita la Prima Lettera dell’apostolo Giovanni (si potrebbe prendere in considerazione 4, 7-18). Anzi “chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio” (1 Gv 4, 7)”, allora per proprietà transitiva questa frase significa che anche chi vive l’amore senza un riferimento teologico in fin dei conti conosce e viene da Dio. Andrebbe quindi approfondito e rivalutato l’elemento centrale della religione cristiana che è poi l’amore, proprio all’interno dell’ottica dell’esperienza affettiva-amorosa di una coppia: quando l’amore è vero, autentico, realmente se stesso, è proprio un’esperienza teologica, cioè di Dio. Quindi, anche coloro che non hanno un riferimento al Dio cristiano e vivono però la loro vicenda amorosa in maniera autentica e profondamente umana, nel senso di verità, sono legati a Dio. Approfondimenti per gli animatori Cos’è la sessualità: Che la sessualità umana abbia in sé un duplice valore, non è difficile da vedere, almeno per chi guarda la realtà con occhi semplici. La sessualità umana è in primo luogo linguaggio della comunione interpersonale; essa, cioè, è il “segno” attraverso cui la persona esprime il dono di se stessa all’altra: è il linguaggio dell’auto-donazione. Ma il linguaggio che è la sessualità, non è solo espressivo. Esso è anche realizzativo (performative language): è capace di realizzare ciò che dice. Nel momento in cui la sessualità esprime il dono che la persona fa di se stessa, realizza anche questo dono stesso. Ma dono di che cosa? Dono della persona stessa. Si può donare il proprio avere; si può donare il proprio essere: il proprio io stesso. La donazione può essere auto-donazione. La sessualità umana è il linguaggio che dice - realizza l’auto-donazione della persona. Come può essere possibile questo? E’ possibile in quanto la sessualità non appartiene all’avere della persona; è una dimensione della persona stessa. Esiste cioè una connessione fra la persona e la propria sessualità, tale per cui la persona è intimamente sessuata (ogni persona è uomo-donna) e la sessualità è sempre personale. Non possiamo ora dare la spiegazione filosofica di questo fatto; teniamo, dunque, ben presente che esiste una connessione fra sessualità e persona, tale per cui la sessualità è la persona nella sua capacità di auto-donazione. (Cardinal Cafarra) Chiesa e sesso: non solo peccato “I giovani conoscono benissimo l’anatomia del sesso. Quello che una volta bisognava sbirciare nelle enciclopedie adesso è spiattellato a tutto volume da riviste, film, videocassette. Grazie alle stesse fonti nemmeno la “meccanica” del sesso, dalle posizioni più elementari a quelle più acrobatiche, presenta problemi di conoscenza. I giovani sanno anche che il sesso è a rischio AIDS. Ormai se gli dici “sesso”, essi rispondono d’istinto “Preservativo”. Quello che i giovani non sanno molto è che il sesso non è una funzione, ma è “noi” che esistiamo come maschi e come femmine. Quando la cronaca o l’esperienza diretta fanno emergere i turbamenti profondi, le reazioni violente che il sesso provoca, essi rimangono perplessi: “Come mai una cosa così naturale crea disastri che le altre funzioni biologiche non 52 provocano?” “Perché il sesso produce schianti interiori, stupri, violenze, vendette?” I giornalisti ed i tuttologi televisivi spiegano tutto con “improvvisi raptus di follia”, ma i giovani sono troppo intelligenti per accontentarsi. Mi trovo molto spesso a parlare di sesso con gruppi di giovani. Sorvolo sull’anatomia e la meccanica. Proietto e commento 120 diapositive che dimostrano come maschio e femmina, eccettuati gli organi genitali, hanno tutto uguale ma tutto diverso. “Non vi sembra che gli organi genitali e la loro meccanica siano una battuta di una canzone composta da Giosy Cento?” I giovani annuiscono e si dimostrano felici di conoscere quello che intuivano e speravano. Che cioè il sesso non è una cosa che si fa, ma è noi che esistiamo come maschi e come femmine. Che vivere la sessualità non è fare ginnastica genitale, ma conoscere sé stessi e gli altri nelle uguaglianze e nelle diversità, scoprendole, coltivandole, facendole diventare meraviglia. Appena la loro conoscenza del sesso sale un po’ di livello, i giovani pongono la domanda: “Perché la Chiesa considera il sesso peccato?” Si manifesta così ciò che i giovani proprio non conoscono: la proposta cristiana della sessualità. Dalle raccomandazioni dei genitori e dai rimasugli del catechismo, essi pensano che la proposta cristiana non vada più in là del “No al sesso, perché è peccato”. Per questo recepiscono gli interventi della Chiesa con fastidio, come se fossero un tentativo, quasi sadico, di impedire i “sì” e la gioia del sesso. Ignorano del tutto che la proposta evangelica del farsi liberamente “eunuchi per il regno dei cieli (Matteo 19,12)” non è un invito a perdere la gioia dell’incontro maschio-femmina, ma a trovarne una più grande. La ignorano perché le riviste, i film e le videocassette non gliene parlano. E quelle che gliene parlano lo fanno per lo più limitandosi a ripetere ossessivamente i no, ma nessuno accetta un no, se esso non lascia intravedere un sì più grande. E siccome davanti alla barriera dei no anche un sì piccolo piccolo diventa seducente, i giovani rischiano di cantare l’unica battuta della complessa canzone del sesso: l’anatomia e la meccanica. Con tanta nostalgia per il “resto”...che intuiscono…e desiderano. Tonino Lasconi (sacerdote, da Famiglia Cristiana n° 2/1996) Commento a Genesi 1, 26-30 La creazione dell’uomo è il vertice della creazione da parte di Dio, in essa il Creatore pone il massimo della sua capacità creativa; potremmo dire, usando un’immagine, che Dio è come un artista giunto alla sua piena maturità e va compiendo il suo capolavoro. È un gesto creaturale in cui Dio pone l’IMPRONTA DELLA SUA SOSTANZA, cioè del suo essere; anche l’immagine e somiglianza manifestano non solo una “caratterizzazione” divina dell’uomo nello spirito, nel pensiero, nell’anima, …ma indicano la bellezza della corporeità, perché in questa realtà straordinariamente bella e armonica, si rivela la bellezza e l’armonia di Dio. Il modo con cui Dio crea è: “MASCHIO e FEMMINA li creò”, una realtà che vive la bellezza e l’impegno della relazione con Dio, con l’altro, con il creato. In questo essere maschio e femmina si rivela la diversità sessuale che non può essere compresa solo nel suo significato fondente o di riproduttività; non è spiegabile in quel desiderio di unione fra maschio e femmina come istinto naturale, ma è manifestazione della ricchezza della diversità, come dono di reciprocità, come realtà che si fa dono nell’originale diversità che completa l’altro/a, senza appiattire la persona a reciproca fotocopia. Guardare alla diversità e scoprirsi diversi nella dimensione sessuale, che non si esaurisce nella genialità, è la scoperta più grande che ogni persona è chiamata a fare nel cammino della conoscenza di sé e dell’altro. La diversità sessuale è appunto diversità nel carattere, nella gestione delle emozioni, nel provare sentimenti, nei gusti e desideri, nello stile di comportamento, nel modo di guardare le cose, nel modo di affrontare le situazioni… 53 Imparare a scoprirsi significa saper coniugare in modo pieno questo verbo, che da un lato indica l’impegno che la persona deve porre nel cercare di conoscere l’altro, e dall’altro sottolinea la disponibilità che ognuno deve avere nel rivelare ciò che è: significa far entrare l’altro nella propria identità più profonda. Sapendo che solo lasciandolo entrare ed entrando nella diversità dell’altro si potrà manifestare l’immagine e la somiglianza di Dio, qualità che il Creatore ha impresso nell’uomo plasmato maschio e femmina. Questo tipo di conoscenza dell’altro/a deve condurre ad una accoglienza/integrazione reciproca a tal punto da far scoprire che il modo di pensare e di fare dell’altro è diverso, non per contrarietà, ma per una diversità che rende maggiormente ricchi. In questo cammino di scoperta è necessario imparare a servire la sessualità dell’altro, intendendo in questo, non solo l’atto fisico in sé, ma tutto quello che rende la relazione sessuale capace di scoprirsi: una carezza, uno sguardo, un gesto, un silenzio, una parola, … realtà tutte che manifestano la diversità maschile e femminile della coppia. Servire la sessualità dell’altro è appunto scegliere di “integrarsi” veramente con un serio impegno ed una concreta disponibilità, senza un atteggiamento preconcetto, che cataloga già quello che l’altro/a può dire e quindi evita il confronto e la possibilità di arricchirsi nella diversità. Servire la sessualità dell’altro è cercare una relazione che mette in conto più quello che può arricchire, rispetto a quanto c’è da perdere, e sa donare tutto senza voler portare le decisioni o le scelte secondo la propria opinione, o il proprio punto di vista; è giungere, quindi, a pensare che il massimo bene è pensare al bene che fa crescere entrambi. 54 * Famiglia Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame Casomai Di Alessandro d’Alatri – 01 distribution, 2002 SOGGETTO: Stefania e Tommaso arrivano nella chiesetta di S. Gabriele, isolata tra le colline, e dicono al parroco don Livio che hanno intenzione di sposarsi. Don Livio scambia qualche parola con i giovani, poi acconsente. All'altare i due ragazzi e i presenti lo ascoltano mentre pronuncia frasi inattese sulla fragilità del matrimonio al giorno d’oggi. Don Livio coinvolge poi nella cerimonia amici e parenti e, infine, Stefania racconta il primo incontro con Tommaso. In flashback, ecco presentarsi sulla scena il loro recente passato: lui pubblicitario, lei truccatrice negli studi dove girano spot pubblicitari. Durante una gita in montagna, lui le chiede di essere sua moglie. Da qui inizia un ipotetico racconto della loro vita futura…Si sposano, nasce un bambino e qualcosa, inavvertitamente, comincia a cambiare. Timori, campanelli d'allarme: a Tommaso viene assegnato meno lavoro; per avere un po' di tempo libero, cercano una colf, ma poco dopo preferiscono farsi aiutare dalla nonna di lei. Tra loro, nel frattempo, il dialogo comincia a diminuire e a Tommaso viene detto chiaramente in ufficio, che deve decidere quale tipo di impegno privilegiare, se la famiglia o il lavoro. Le spese intanto crescono e il commercialista suggerisce di divorziare per pagare meno tasse. Un giorno, per caso, viene chiesto a Stefania di posare per una pubblicità e lei accetta. Poco dopo, lei dice al marito di essere di nuovo incinta. Lui ha paura del futuro e lei, dopo qualche incertezza, abortisce. La nonna, addolorata, lascia la casa. Tommaso fa un viaggio con i colleghi dello studio per ritirare un premio alla miglior pubblicità; mentre è fuori ha un rapporto con una ragazza dello staff. Al ritorno Stefania lo caccia di casa ed entrambi finiscono in mano agli avvocati. Si parla ormai di tribunali e di reciproche accuse, quando il racconto rientra nella chiesetta dell'inizio. Don Livio conclude il filo del proprio ragionamento, ricordando che tutto quello appena raccontato può accadere agli sposi nella loro futura vita matrimoniale e sfidare il loro reciproco amore; invita poi i presenti ad uscire. Più tardi anche i due sposi escono dalla chiesa e, felici, ricevono gli auguri di tutti. Valutazione pastorale: L'argomento, per quanto rimosso, respinto e collocato ai margini, resta centrale nella società italiana e in questi anni di passaggio dal secondo al terzo millennio: il matrimonio, con tutti gli 55 aspetti che lo circondano, la vita di coppia, i figli, il lavoro, il successo, il tempo libero. Dopo tante analisi, di non sempre convincente lucidità, ingabbiate in uno sterile sociologismo, questo racconto ha la freschezza, l'efficacia, la vivacità di proporre una riflessione nuova e del tutto attendibile. Merito principale é forse da attribuire alla scrittura del copione, concepita in modo da collocare, sullo sfondo di una Milano vera e autentica, un 'pezzo' centrale di storia che il finale ci rivela solo immaginato. Ed è invece qui che prende vita un realismo palpitante e minuzioso, che diventa cronaca esatta di un "disamore" quotidiano, tra seduzioni di carriera e spinte ad una vita esteriore sotto i riflettori. Dall'altro lato c'è il filo conduttore, dettato dal parroco: frasi aperte e spiazzanti nella prospettiva seria di un invito a prendere coscienza della scelta che si compie; l'attenzione posta sulla preparazione al matrimonio; il richiamo alle responsabilità reciproche. Nel descrivere la parabola, ora ascendente, ora discendente, della coppia di oggi in una cornice metropolitana sfuggente e frastagliata, D'Alatri assume un punto di vista insieme rispettoso e coraggioso. Gli inciampi sentimentali, le incertezze professionali, i dispiaceri e il dolore si succedono lungo un ventaglio esistenziale, che ha la forza di non rinunciare ancora a credere nel possibile raggiungimento della felicità e nell'amore reciproco. Restano nella memoria il singhiozzo sommesso della nonna che lascia la casa alla notizia dell'aborto e il gesto del parroco che nel finale chiede di restare solo con gli sposi. Essenziale e caparbio, inatteso e propositivo il film, dal punto di vista pastorale, è da valutare come raccomandabile, e problematico, per la forte sincerità che emana dalla presa d'atto di tante difficoltà che però non escludono la fiducia e la speranza. La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi Testimonianza con una famiglia di parrocchia; quali possibili tipi di famiglia? o o o o o o Coppia di fidanzati (famiglia in costruzione): Incontrare una coppia di fidanzati, che sappia trasmettere con entusiasmo come vive il tempo del fidanzamento; fidanzamento come tempo di grazia, durante il quale ciascuno riconosce l’altro come dono di Dio da custodire con cura, amore e dedizione, perseguendo la castità, nel progetto di matrimonio. Famiglia senza figli (non per scelta): Incontrare una famiglia che ha accettato l’impossibilità di avere figli e che ha trovato nella fede un modo di manifestare la propria maternità e paternità, in una dimensione di servizio o altro… Famiglia numerosa o allargata con nonni: Incontrare una famiglia numerosa con tanti figli e possibilmente con i nonni in casa, in questo tipo di famiglie si respira maggiormente l’atmosfera della piccola comunità cristiana. Famiglia “normale” : Incontrare una famiglia media (genitori + due figli), che nella semplice quotidianità vissuta nella fede, sia testimonianza attiva dell’amore di Cristo e della Chiesa. Famiglia con casi particolari (handicap, infermità, malattie rare, ecc…): Incontrare una famiglia che, pur avendo un componente in difficoltà, ha trovato nella fede forza e motivazione. Famiglia “sostitutiva” (casa famiglia, famiglie ospitanti minori in affido, adozioni…): Spesso si riconosce il vero valore delle cose quando queste vengono a mancare: l’incontro con ragazzi, loro coetanei, che assaporano il valore della famiglia anche se “sostitutiva”, con persone che lavorano in case famiglia, o famiglie che ospitano ragazzi, altrimenti senza famiglia. 56 o o o Possibile “taglio” dell’incontro, cioè le prospettive della testimonianza: Le peculiarità di una scelta cristiana nell’ambito della famiglia: cosa ha significato il vostro sposarvi in chiesa? Che senso ha per voi il sacramento del matrimonio? Perché non avete fatto la scelta del matrimonio civile o di convivere semplicemente? Come si vive il rapporto con il lavoro, il denaro, gli impegni dei figli? Cosa centra la vostra fede cristiana con tutto questo? Qual è la virtù cristiana che più sentite forte nella vostra esperienza di fede rispetto alla vita concreta di casa vostra? (qualche esempio: la generosità verso gli altri, la disponibilità all’aiuto, l’abbandono alla Provvidenza, la carità verso i poveri, la testimonianza del vostro essere cristiani verso gli altri …) Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione di quesiti sul “perché la differenza cristiana” o o Brano di riferimento: la lettera di Paolo agli Efesini, 5, 21-33: la coppia cristiana come immagine di Cristo e della Chiesa. L’elemento cristiano più qualificante per la vita coniugale è quello che nel matrimonio è il sacramento, l’incarnazione concreta di una realtà spirituale, del rapporto tra Cristo e la Chiesa: la relazione che esiste tra Gesù e la Chiesa, che lui ha fondato, per continuare il suo messaggio di salvezza nel mondo e in tutti i tempi, è visibile nel rapporto di coppia – reso concreto con un gesto come il matrimonio – tra il marito e la moglie. Qualche risposta: prospettive di approfondimento o o Proviamo dal concreto dell’amore coniugale e famigliare (alla luce della testimonianza ascoltata) a ritornare alla realtà di fede: su un cartellone scriviamo le caratteristiche peculiari di una famiglia cristiana, così come l’abbiamo incontrata, e vediamo di riportarle anche all’esperienza cristiana, ovvero del rapporto tra Cristo e il credente. In che modo si percepisce e comprende la specificità della fede cristiana rispetto alla realtà coniugale e famigliare, rispetto ad una coppia normale e una famiglia che non ha celebrato il matrimonio all’insegna della fede? A fronte delle caratteristiche di cui sopra, apporre il corrispettivo “da non credente” di una coppia non sposatasi in chiesa. Approfondimenti per gli animatori Famiglia diventa ciò che sei! Nel disegno di Dio Creatore e Redentore la famiglia scopre non solo la sua «identità», ciò che essa «è», ma anche la sua «missione», ciò che essa può e deve «fare». I compiti, che la famiglia è chiamata da Dio a svolgere nella storia, scaturiscono dal suo stesso essere e ne rappresentano lo sviluppo dinamico ed esistenziale. Ogni famiglia scopre e trova in se stessa 57 l'appello insopprimibile, che definisce ad un tempo la sua dignità e la sua responsabilità: famiglia, «diventa» ciò che «sei»! Risalire al «principio» del gesto creativo di Dio è allora una necessità per la famiglia, se vuole conoscersi e realizzarsi secondo l'interiore verità non solo del suo essere, ma anche del suo agire storico. E poiché, secondo il disegno divino, è costituita quale «intima comunità di vita e di amore» (Gaudium et Spes), la famiglia ha la missione di diventare sempre più quello che è, ossia comunità di vita e di amore, in una tensione che, come per ogni realtà creata e redenta, troverà il suo componimento nel Regno di Dio. In una prospettiva, poi, che giunge alle radici stesse della realtà, si deve dire che l'essenza e i compiti della famiglia sono ultimamente definiti dall'amore. Per questo la famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l'amore, quale riflesso vivo e reale, partecipazione dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa. Ogni compito particolare della famiglia è l'espressione e l'attuazione concreta di tale missione fondamentale. (dalla Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II) Commento a Efesini 5, 21-33 È questo uno dei testi più cari alla tradizione cristiana sul tema del matrimonio. Esso si apre con un fondale che resterà aperto per tutto lo svolgimento del brano: sullo sfondo, infatti, domina l'amore del Cristo per la sua Chiesa, punto di riferimento capitale per la visione cristiana del matrimonio. L'insistenza è evidente: « ...nel modo che anche Cristo vi ha amato... nel timore di Cristo... come al Signore... Cristo è capo della Chiesa... come la Chiesa è sottomessa a Cristo... come Cristo ha amato la Chiesa... come fa Cristo con la Chiesa... lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa... ». Riprendendo il filo d'oro della tradizione profetica dell'Antico Testamento, Paolo vede nell'amore matrimoniale il grande segno dell'amore divino per l'uomo e, viceversa, vede nell'infinito e perfetto amore di Dio e del Cristo il modello verso cui deve costantemente tendere la coppia cristiana. È su questo testo che la tradizione cattolica ha fondato la sua fede nella grandezza sacramentale del matrimonio. È fuor di dubbio che, formulando concretamente la trama delle relazioni all'interno della coppia, Paolo resta legato al suo tempo e alla cultura, sia semitica, sia greco-romana, che concepiva la famiglia in chiave patriarcale. Il tema della «sottomissione» della donna, riflette il diritto antico che la considerava come un essere subordinato rispetto al primato del marito. Tuttavia, dobbiamo sottolineare che l'Apostolo, pur rimanendo «incarnato» nel suo tempo, apre nuovi orizzonti, sorprendenti per il suo mondo e radice della trasformazione cristiana. Innanzitutto la sottomissione non è più quella coercitiva della struttura sociale romana che riduceva la donna, o a sfogo sessuale (la prostituta), o a fattrice di figli (la moglie). Infatti la sottomissione è suggerita anche a tutti i cristiani come libera donazione reciproca: «siate sottomessi gli uni agli altri...», cioè siate al servizio gli uni degli altri; inoltre Paolo sviluppa con un'ampiezza maggiore i doveri dei mariti nei confronti delle loro mogli, rifiutando perciò la concezione secondo la quale l'uomo è solo depositario di diritti nei confronti della donna. E l'impegno dello sposo è alto: «amate le vostre mogli...i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo». Un amore totale, spontaneo, simile a quello che si riversa sulla propria personalità (il corpo è simbolo nella Bibbia dell'«io» dell'uomo), anche perché - come dice la Genesi (2,24) citata da Paolo - «i due formano una carne sola». C'è, infine, un'ultima ragione che trasforma la tradizionale visione matrimoniale ed è quella, già indicata, del continuo riferimento a Cristo. La donna si consacra al suo uomo nello spirito della donazione di Cristo verso la Chiesa e l'uomo ama sua moglie come il Cristo «che ha dato se stesso» per la sua Chiesa. 58 Ecco allora la conclusione divenuta celebre: «Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa». La parola «mistero», tradotta dalla versione latina della Bibbia con sacramentum, aveva portato direttamente alla sacramentalità del matrimonio cristiano. In realtà il termine «mistero» indica soltanto il grande piano salvifico che Dio sta attuando nella storia: il matrimonio ne è il grande simbolo, è la parabola luminosa dell'amore divino. E in questo senso Paolo con la sua conclusione ci offre il fondamento per scoprire nel matrimonio cristiano il valore di salvezza che in esso è racchiuso, essendo il riflesso più alto dell'amore e della salvezza offerta da Dio all'umanità. (Mons. Ravasi) Lavori di gruppo o o o Impegnarsi nel diventare sempre più protagonisti nella vita quotidiana della propria famiglia, sia dando il proprio contributo nelle piccole e grandi decisioni, sia assumendosi qualche responsabilità (dall’aiutare i fratelli più piccoli nei compiti al portare a passeggio il cane, fare la spesa o gettare i rifiuti…). Passare qualche ora in una casa famiglia, non solo con attività ludiche, ma anche mettendosi a disposizione degli operatori per espletare le incombenze quotidiane. Rendersi disponibili quando ci sono ritrovi di famiglie in parrocchia, soprattutto per i servizi di babysitter Riferimento: Centro Diocesano di Pastorale Familiare Largo San Nazaro 1, 37129 Verona Tel. 045/8012410 59 * Professione Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame NON UNO DI MENO Di Zhang Ymou – Columbia Pictures, 1999 Soggetto: In un lontano villaggio della campagna cinese, dove le strutture sono modeste e il livello di vita é molto povero, il maestro Gao deve assentarsi per un mese, per andare ad assistere la madre gravemente malata. A sostituirlo il sindaco sceglie Wei, una ragazzina tredicenne senza alcuna esperienza d'insegnamento. Prima di partire, Gao raccomanda a Wei di fare in modo che nessun allievo si ritiri da scuola durante la sua assenza. Con la promessa di un compenso di cui ha molto bisogno, Wei si appresta ad affrontare un compito che però si rivela molto difficile: i bambini sono irrequieti e spesso preoccupati per le molte difficoltà che vivono in famiglia. Quasi inevitabilmente, dunque, una mattina il piccolo Zhang, i cui genitori sono fortemente indebitati, lascia la classe, scappa dal villaggio e va in città a cercare un lavoro. Wei non ha esitazione e decide di andare alla sua ricerca. Nel panorama urbano confuso e disordinato, Wei affronta situazioni del tutto sconosciute; alla fine una rete televisiva viene a conoscenza della sua storia e ne fa oggetto di un servizio specifico. Zhang ricompare; quando tornano al villaggio, la troupe li segue e insieme, porta una serie di oggetti raccolti grazie alle donazioni: per la scuola si aprono nuove prospettive e intanto i bambini scrivono sulla lavagna con tanti gessetti colorati. Valutazione Pastorale: La didascalia finale ricorda che ogni anno in Cina un milione di bambini lascia la scuola materna e che il 15% vi torna grazie alle donazioni. Partendo da questo dato, si sviluppa un film di bella sostanza civile e di evidente valore morale. Per lunghi anni perseguitato dal regime di Pechino, Zhang Yimou é diventato col tempo più abile e prudente. La sua grande capacità di creare emozioni e di veicolare messaggi che, partendo da situazioni interne, acquistano respiro universale si incontra oggi con il bisogno della Cina di mostrarsi più duttile e disponibile di fronte al consesso internazionale. Così il film, mentre da un lato mostra l'arretratezza sociale ma insieme anche la solidità del sistema politico-burocratico nazionale, dall'altro prende spunto dalle difficoltà dei bambini cinesi per farsi grido a difesa di quelli di tutto il mondo, ovunque siano calpestate la dignità dell'infanzia e i suoi diritti naturali. Il regista parla di bambini ma si rivolge in modo diretto ai grandi: così tra le pieghe del racconto 60 spuntano i temi dell'educazione, del lavoro, dell'ambigua presenza dei mezzi di comunicazione sociale. Coniugando le esigenze di un cinema di immediata comprensione sul piano narrativo con quelle di un forte respiro culturale e umano, il film é ricco di molti valori e degno di grande attenzione. Dal punto di vista pastorale, é da valutare come raccomandabile, e poetico nelle sue dominanti modalità espressive. Altri titoli: Mi piace lavorare (Mobbing) Di Francesca Comencini – Bim, 2004 La febbre di Alessandro d’Alatri – 01 distribution, 2005 La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi L’Incontro dovrebbe mirare a mettere in luce come l’esperienza di fede dia qualità particolare al proprio lavoro: o Motivazioni: come cristiano, senti che il tuo lavoro in qualche modo è importante per una missione da compiere? C’è un bene che con il tuo lavoro concorri a realizzare? o Competenza: la tua fede ti motiva a lavorare con particolare professionalità? Perché? o Costruire insieme: nel tuo ambiente di lavoro esiste collaborazione, o prevale un senso di rivalità? Come cristiano come ti collochi davanti a questo? o Finalità: il lavoro che svolgi serve per un bene da realizzare? Ti è mai capitato di percepire il tuo lavoro come inutile, indirizzato a una finalità futile, o addirittura dannosa? o Creatività: che importanza ha nella tua professione il poter sviluppare le tue potenzialità? o Etica del lavoro: come cristiano, che criteri hai in ordine a profitto, rapporto con dipendenti/datore di lavoro, sicurezza, tempo del riposo? Con l’attenzione primaria di andare ad invitare persone significative, potrebbe essere bello anche cercare di invitare persone che lavorano in ambiti diversi: o o o o o o un agricoltore, floricoltore, allevatore: lavoro a contatto diretto con la creazione, gratitudine per il creato, responsabilità e custodia del creato; (fornaio e vignaiolo: pane e vino scelti da Gesù per l’istituzione dell’Eucaristia) un normale dipendente: lavoro come partecipazione al progetto creativo e redentivo di Dio un datore di lavoro: responsabilità nei confronti dei dipendenti, da un punto di vista di giustizia economica e sociale; rapporto con l’aspetto economico e con l’autorità un insegnante o docente universitario: rapporto equilibrato con la cultura, fedeltà a ciò in cui si crede, responsabilità formativa un musicista o artista, una ballerina: lavoro come creatività, grazia e bellezza, la responsabilità nei confronti del pubblico, il rapporto con il successo e l’insuccesso, la fama e i compromessi studente universitario laureando: lo studio come lavoro, come dovere della persona giovane, santificazione dello studio; studio come strumento apostolico, studiare insieme ad amici come servizio 61 o o o uno sportivo professionista: lavoro come esercizio quotidiano fedele e costante di capacità e virtù, come allenamento di corpo e mente, spirito di sacrificio, porsi sempre nuove mete, non sentirsi mai arrivati; l’attività sportiva come specchio della vita spirituale un medico, infermiere o assistente sociale, badante di anziani: lavoro come servizio che soccorre gli ultimi, i deboli, lavoro come cura, dono di sé come pane spezzato una persona impegnata nella politica: lavoro come servizio alla società, alla collettività, come costruzione di un mondo migliore, come composizione dei conflitti Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione di quesiti sul “perché la differenza cristiana” o o o o o o o o o Come ci poniamo davanti allo sfruttamento eccessivo delle risorse del creato, all’inquinamento? Come ci poniamo davanti alla ingiusta divisione delle risorse, per cui c’è chi ha troppo e chi troppo poco? Come pensi al tuo futuro lavorativo? Cosa ti preoccupa di più? Cosa ti stimola di più? Il lavoro…nobilita l’uomo? O lo abbruttisce? Perché tanta precarietà oggi? Gente che vive per lavorare: cosa ne pensi? Arrivismo sfrenato e mobbing: anche nel mondo del lavoro c’è spazio per l’esasperazione del proprio interesse Lo scopo dell’attività economica: Il lavoro a servizio del bene comune, a servizio dell’uomo, della sua crescita integrale e come occasione di sviluppo delle sue potenzialità. Profitto, benessere, o tutti e due? Per pochi o per tutti? La destinazione universale dei beni della terra Nel libro della Genesi l’uomo rispetto al creato appare come un custode (compito di preservazione della bellezza e dell’armonia del creato, di difesa della sua integrità) e un coltivatore (che si prende cura sviluppando le potenzialità perché servano al bene dell’uomo) Qualche risposta: prospettive di approfondimento o o o Alcune parabole tratte dal Vangelo, utilizzate da Gesù per parlare del Regno di Dio, che usano immagini legate alla realtà del lavoro. Tenendo presente che il loro orizzonte primario è quello del Regno, ci offrono però spunti interessanti per comprendere il senso della visione cristiana dell’attività umana. La prospettiva della parabola dei talenti (Mt 25,14-30), ci guida a pensare l’esistenza umana non come proprietà dell’uomo, ma come spazio in cui gli è fatto credito affinché, come amministratore, sviluppi al massimo le sue potenzialità. Come amministratore ha da rendere conto, ma è lasciata alla sua creatività l’iniziativa. La prospettiva della parabola degli operai della vigna (Mt 20, 1-16), che parlando della ricompensa uguale, che spetta a chi accoglie il regno di Dio a prescindere se presto o tardi nella sua vita, o se ebreo o pagano, ci induce ad appropriarci della visione positiva del lavorare nella vigna del Signore, che in sé è già una ricompensa grande. La vita 62 o cristiana in sé quindi, in tutte le cose in cui si manifesta, è un contribuire a che la vigna di Dio porti frutto Per queste due parabole vedi la spiegazione nel sussidio 2 Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica offre in modo chiaro degli spunti interessanti. Si può impostare l’incontro coi ragazzi ponendo loro le stesse domande che il Compendio propone, per tentare poi un confronto di risposte 513. Che significato ha il lavoro per l'uomo? 2426-2428; 2460-2461 Il lavoro per l'uomo è un dovere e un diritto, mediante il quale egli collabora con Dio creatore. Infatti, lavorando con impegno e competenza, la persona attualizza capacità iscritte nella sua natura, esalta i doni del Creatore e i talenti ricevuti, sostenta se stesso e i suoi familiari, serve la comunità umana. Inoltre, con la grazia di Dio, il lavoro può essere mezzo di santificazione e di collaborazione con Cristo per la salvezza degli altri. 514. A quale tipo di lavoro ha diritto ogni persona? 2429; 2433-2434 L'accesso a un sicuro e onesto lavoro deve essere aperto a tutti, senza ingiusta discriminazione, nel rispetto della libera iniziativa economica e di un'equa retribuzione. 515. Qual è la responsabilità dello Stato circa il lavoro? 2431 Allo Stato spetta di procurare la sicurezza circa le garanzie delle libertà individuali e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti; di sorvegliare e guidare l'esercizio dei diritti umani nel settore economico. In rapporto alle circostanze, la società deve aiutare i cittadini a trovare lavoro. 516. Quale compito hanno i dirigenti di imprese? 2432 I dirigenti di imprese hanno la responsabilità economica ed ecologica delle loro operazioni. Devono considerare il bene delle persone e non soltanto l'aumento dei profitti, anche se questi sono necessari per assicurare gli investimenti, l'avvenire delle imprese, l'occupazione e il buon andamento della vita economica. 517. Quali doveri hanno i lavoratori? 2435 Essi devono compiere il loro lavoro con coscienza, competenza e dedizione, cercando di risolvere le eventuali controversie con il dialogo. Il ricorso allo sciopero non violento è moralmente legittimo quando appare come lo strumento necessario, in vista di un vantaggio proporzionato e tenendo conto del bene comune. Approfondimenti per gli animatori Proponiamo per l’approfondimento due testi del Magistero; il primo, tratto dalla Costituzione Pastorale del Concilio Vaticano II “Gaudium et Spes”, ci fa guardare a Cristo che ha abbracciato tutti gli aspetti della condizione umana, lavoro compreso. La seconda, tratta dall’Enciclica Laborem Exercens di Giovanni Paolo II, traccia una spiritualità del lavoro umano, avendo come punto di riferimento il brano della genesi sopra indicato. Seguono poi due scritti di santi. 63 Gaudium et Spes 22: Cristo, l'uomo nuovo. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è " l'immagine dell'invisibile Iddio " (Col1,15) è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato. Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l'Apostolo: il Figlio di Dio " mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me" (Gal2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato. Laborem Exercens 25. Il lavoro come partecipazione all'opera del Creatore Come dice il Concilio Vaticano II, «per i credenti una cosa è certa: l'attività umana individuale e collettiva, ossia quell'ingente sforzo, col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, considerato in se stesso, corrisponde al disegno di Dio. L'uomo infatti, creato a immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la terra con tutto quanto essa contiene, per governare il mondo nella giustizia e nella santità, e così pure di riportare a Dio se stesso e l'universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le cose, in modo che, nella subordinazione di tutta la realtà all'uomo, sia glorificato il nome di Dio su tutta la terra». Nella Parola della divina Rivelazione è iscritta molto profondamente questa verità fondamentale, che l'uomo creato a immagine di Dio, mediante il suo lavoro, partecipa all'opera del Creatore ed a misura delle proprie possibilità, in un certo senso, continua a svilupparla e la completa, avanzando sempre più nella scoperta delle risorse e dei valori racchiusi in tutto quanto il creato. Questa verità noi troviamo già all'inizio stesso della Sacra Scrittura, nel Libro della Genesi, dove l'opera stessa della creazione è presentata nella forma di un «lavoro» compiuto da Dio durante i «sei giorni», per «riposare» il settimo giorno. D'altronde, ancora l'ultimo libro della Sacra Scrittura risuona con lo stesso accento di rispetto per l'opera che Dio ha compiuto mediante il suo «lavoro» creativo, quando proclama: «Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente», analogamente al Libro della Genesi, il quale chiude la descrizione di ogni giorno della creazione con l'affermazione: «E Dio vide che era una cosa buona». Questa descrizione della creazione, che troviamo già nel primo capitolo del Libro della Genesi è, al tempo stesso, in un certo senso il primo «Vangelo del lavoro». Essa dimostra, infatti, in che cosa consista la sua dignità: insegna che l'uomo lavorando deve imitare Dio, suo Creatore, perché porta in sé - egli solo - il singolare elemento della somiglianza con lui. L'uomo deve imitare Dio sia lavorando come pure riposando, dato che Dio stesso ha voluto 64 presentargli la propria opera creatrice sotto la forma del lavoro e del riposo. Quest'opera di Dio nel mondo continua sempre, così come attestano le parole di Cristo: «Il Padre mio opera sempre...»: opera con la forza creatrice, sostenendo nell'esistenza il mondo che ha chiamato all'essere dal nulla, e opera con la forza salvifica nei cuori degli uomini, che sin dall'inizio ha destinato al «riposo» in unione con se stesso, nella «casa del Padre». Perciò, anche il lavoro umano non solo esige il riposo ogni «settimo giorno», ma per di più non può consistere nel solo esercizio delle forze umane nell'azione esteriore; esso deve lasciare uno spazio interiore, nel quale l'uomo, diventando sempre più ciò che per volontà di Dio deve essere, si prepara a quel «riposo» che il Signore riserva ai suoi servi ed amici. La consapevolezza che mediante il lavoro l'uomo partecipa all'opera della creazione, costituisce il più profondo movente per intraprenderlo in vari settori: «I fedeli perciò - leggiamo nella Costituzione Lumen Gentium - devono riconoscere la natura intima di tutta la creazione, il suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio e aiutarsi a vicenda per una vita più santa anche con opere propriamente secolari, affinché il mondo sia imbevuto dello spirito di Cristo e raggiunga più efficacemente il suo fine nella giustizia, nella carità e nella pace... Con la loro competenza, quindi, nelle discipline profane e con la loro attività, elevata intrinsecamente dalla grazia di Cristo, contribuiscano validamente a che i beni creati, secondo la disposizione del Creatore e la luce del suo Verbo, siano fatti progredire dal lavoro umano, dalla tecnica e dalla civile cultura». Madre Teresa di Calcutta, Meditazione sul servizio Rendo il mio lavoro un santo servizio pieno d’amore? Vivo il mio lavoro come preghiera? Lavoro veramente con spirito d’apertura verso coloro per i quali mi impegno? Sfuggo i pregiudizi? Incontro Cristo in ogni persona angosciata e povera che servo? Gli uomini che ho incontrato sono diventanti migliori grazie a me? Sono consapevoli che il mio lavoro è frutto dell’apostolato della comunità? Nel mio modo di lavorare, mi lascio spaventare dalle difficoltà e dagli ostacoli, dimenticando che «tutto posso in colui che mi dà forza»? Ho cercato l’ammirazione e l’apprezzamento degli altri invece di piacere a Dio? Amen”. San Josemarìa Escrivà, omelia Amare il mondo appassionatamente “Non è forse vero che questo sguardo a ciò che abbiamo intorno vi conferma - con un'immagine viva e indimenticabile - che è la vita ordinaria il vero luogo della vostra esistenza cristiana? Figli miei, lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. E' in mezzo alle cose più materiali della terra che ci dobbiamo santificare, servendo Dio e tutti gli uomini. (…) Dio vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un'università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno. Sappiatelo bene: c'è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire”. 65 Lavori di gruppo o o o o Proporre in una delle forme possibili, una o più esperienze di giornate o campo di lavoro; Associazioni come l’Operazione Mato Grosso (chiedono ai gruppi parrocchiali aiuto anche per fare raccolte di viveri non deperibili), Mani Tese, al Sermig di Torino, ecc. Alcuni giorni o un week-end in parrocchia per lavori di cui ci sia bisogno per la comunità, abitando insieme in canonica (convivenza o semi convivenza andando a casa a dormire) Servizio anziani: andare in case di anziani soli a fare lavori di casa (pulizie di fondo, tinteggiatura, ecc) Riferimento: Centro diocesano di Pastorale sociale “San Zeno alla ZAI”, Via Righi 2/a Verona Tel 045/504116 66 Celebrazione Istruzioni: La presente proposta di veglia di preghiera vuole ricondurre la vita quotidiana del cristiano alle virtù, in modo da sottolineare l’unione tra umano e divino che si realizza in una vita vissuta in pienezza secondo la proposta di Cristo. La novità del vangelo non stravolge l’umanità ma la conduce alla sua pienezza, attingendo proprio da ciò che in essa più vale, dalla traccia del divino che in essa si nasconde. L’esercizio umano e cristiano delle virtù è prodotto e testimonianza dell’unione intima con Dio, Creatore e Salvatore. Della presente proposta si possono scegliere anche solo alcuni punti, oppure si possono operare sostituzioni. Il procedere della veglia è regolare, comunica chiarezza e permette modifiche. Ogni giorno la mia vita nella Sua Canto Guida: In questo momento di preghiera vogliamo soffermarci a riflettere sul significato del nostro essere cristiani nella vita di tutti i giorni. Vogliamo scoprire alcuni riferimenti concreti per la nostra vita nella Parola e nell’esempio di Testimoni, cristiani come noi che sono riusciti a realizzare il sogno di Dio. Vogliamo scoprire insieme che essere testimoni veri e gioiosi nella quotidianità è possibile. Vogliamo ricordarci l’un l’altro che l’incontro con Cristo ci cambia, che ci rinnova, ci rende più felici e che ci spinge a portare anche agli altri il dono che abbiamo ricevuto: chi incontra il Signore non può tacere la sua gioia, deve vivere in maniera nuova e annunciare ad altri la bellezza di questo incontro. 1 - CHIAMATI NELLA QUOTIDIANITA’ La Parola. Dalla Prima lettera di San Pietro Apostolo. E chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi nel bene? E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. È meglio infatti, se così vuole Dio, soffrire operando il bene che facendo il male. (1Pt 3,13-17) 67 Il Testimone. Beato Pier Giorgio Frassati. Pier Giorgio Frassati è diventato il testimone vivo e il difensore coraggioso della speranza a nome dei giovani cristiani. Ad uno sguardo superficiale lo stile di Pier Giorgio Frassati, un giovane moderno e pieno di vita, non presenta granché di straordinario. Ma proprio questa è l’originalità della sua virtù, che invita a riflettere e che spinge all’imitazione. In lui la fede e gli avvenimenti quotidiani si fondono armonicamente, tanto che l’adesione al Vangelo si traduce in attenzione amorosa ai poveri e ai bisognosi, in un crescendo continuo sino agli ultimi giorni della malattia che lo porterà alla morte. Egli testimonia che la santità è possibile per tutti e che solo la rivoluzione della Carità può accendere nel cuore degli uomini la speranza di un futuro migliore. (Giovanni Paolo II). Il Gesto. La nostra quotidianità ai suoi piedi (da anticipare ai ragazzi nel gruppo precedente). Ciascuno di noi pone ai piedi dell’altare un oggetto che rappresenta la sua vita di tutti i giorni: una penna, un libro, un fermaglio per i capelli, il cd del nostro gruppo preferito, il dvd che ci piace di più, gli occhiali da sole, quello snack al quale non resistiamo e altre cose simili. Così facendo, vogliamo offrire al Signore la nostra vita di tutti i giorni, la nostra normalità, ciò che riempie le nostre giornate. Vogliamo dirgli che desideriamo riorientare tutti i nostri gesti quotidiani a partire da Lui. Gli siamo grati perché la nostra vita è fatta di piccole cose che sono doni suoi. Durante il gesto: canto Guida: Vogliamo dunque ripensare la nostra quotidianità a partire dal Signore. Come possiamo fare? Qual è il gesto concreto che può dare il via alla nostra giornata, aiutandoci a non dimenticarci di Lui dopo pochissimo tempo? 2 – LA PREGHIERA La Parola. Dalla lettera di San Paolo Apostolo agli Efesini. Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi, e anche per me, perché quando apro la bocca mi sia data una parola franca, per far conoscere il mistero del vangelo, del quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere. (Ef 6, 13-20) 68 Il Testimone. San Padre Pio da Pietralcina. Padre Pio basò la sua vita sulla preghiera. Lui che fu chiamato da Dio ad un compito difficile, una testimonianza particolare, dolorosa, che non passava inosservata e che ancora oggi genera stupore e ammirazione, non poteva che invocare continuamente Dio per capire cosa volesse da lui. Non solo egli basò la sua vita sulla preghiera, ma esortò gli altri a trovarsi a pregare insieme, e a farlo mossi da grande gioia. Ancora oggi continuano un po’ dappertutto i suoi “Gruppi di Preghiera”. Il Gesto. L’impegno di una buona partenza. Ciascuno di noi si impegna a cominciare le giornate con un breve momento di incontro personale con Gesù. Pensiamo insieme al Signore, che ora ci sta davanti, a come possiamo pregarlo ogni giorno. Dopo esserci impegnati personalmente con Lui nei nostri cuori, recitiamo insieme il Padre nostro per sentirci uniti nella volontà essere fedeli a questa scelta. Guida: Più si sta vicini al Signore, più lo si incontra e più ci si sente felici: è l’esperienza di moltissime persone lungo tutta la storia della Chiesa. È una gioia che non viene meno neanche in mezzo alla fatica o ai dolori, è la serenità che ha sostenuto apostoli e martiri, è la forza che accompagna tante persone in difficoltà. Un sorriso e un cuore gioioso sono le caratteristiche fondamentali di chi sa di essere un figlio amatissimo di Dio. E sono anche la prima e la migliore testimonianza che possiamo dare. 3 – LA GIOIA La Parola. Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi. Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù. (Fil 4, 4-7) Il Testimone. Santa Chiara. La via seguita da Chiara è la stessa via seguita da Francesco: la via dell’amore, di un amore ardente e appassionato per Cristo. La gioia di Chiara sta tutta nel sentirsi amata dal suo Signore, con lo stesso amore con cui una mamma ama i suoi figli. Anche davanti a “sorella morte” Chiara rivela la sua gioia con un grazie gioioso, che sboccia tra le piccole cose della terra e risuona immenso nel cielo. 69 Il Gesto. Testimoni sorridenti. Ciascuno di noi riceve un adesivo a forma di “smile” e lo applica sulla maglia. Con questo piccolo gesto ci impegniamo al primo gesto di ogni discepolo di Cristo: faremo il possibile per accogliere sempre con gioia e con un sorriso le persone che avremo vicine. Dal nostro comportamento deve emergere la gioia di avere incontrato il Signore. Canto Guida: Se ci sentiamo amati, diventiamo subito in grado di amare anche noi. Non solo, ma in Gesù – così come ce lo raccontano i vangeli e come ce lo presentano i testimoni – abbiamo l’esempio più perfetto di amore. Imitarlo, diventare sempre più simili a Lui, è l’avventura stupenda che ogni cristiano è chiamato a vivere. Il cristianesimo non è infatti un progetto, una ricetta, una filosofia di vita, ma è una Persona, Cristo, che realizza l’amore in ogni suo gesto. 4- L’AMORE La Parola. Dal Vangelo di Giovanni. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”.(Gv 13, 34-35) Il Testimone. San Giovanni Bosco. “Amate le cose che amano i giovani” diceva sempre don Bosco ai suoi educatori. “Non ho mai conosciuto un giovane che non avesse in sé un punto accessibile al bene facendo leva sul quale ho ottenuto molto di più di quanto desideravo”. Don Bosco guardava al giovane con simpatia e diceva: “Basta che siate giovani perché io vi ami assai”. E don Bosco è convinto che solo Dio ci può insegnare l’arte di amare come Lui. In una lettera famosa di don Bosco si legge: “Chi sa di essere amato, ama; e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani”. “Non basta amare i giovani: occorre che loro si accorgano di essere amati”. E’ un amore che sa di consacrazione: l’educatore è “tutto consacrato al bene dei suoi alunni”, quindi capace di dare loro tutto, anche la vita. Il Gesto. Nomi da amare. Nello spazio per gli appunti scriviamo un elenco di persone che ci sono vicine: davanti al Signore ci impegniamo a pregare ogni giorno per loro e a non far passare una settimana senza che abbiamo fatto qualcosa per loro (interessarci di come stanno, fare una telefonata o 70 una visita, dare un aiuto, discutere di cose importanti, magari anche di ciò in cui crediamo). Sentiamoci responsabili di chi ci sta accanto. Canto Guida: Vivere con amore non significa solo seguire un sentimento, che a volte è forte e a volte è debole. Vivere con amore significa impegnare la volontà, il cuore e la mente. Significa non abbandonare chi si ama, anche quando può costarci. Significa essere accanto all’altro in ogni situazione, condividere, donare e donarsi. 5 – LA FEDELTÀ La Parola. Dalla lettera ai Romani. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi. Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. (Rm 12,15-17) Il Testimone. Papa Giovanni Paolo II Per ogni nuova generazione sono necessari nuovi apostoli. E qui sorge una speciale missione per voi. Siete voi giovani i primi apostoli ed evangelizzatori del mondo giovanile, tormentato oggi da tante sfide e minacce. Principalmente voi potete esserlo, e nessuno può sostituirvi nell'ambiente dello studio, del lavoro e dello svago. Sono tanti i vostri coetanei che non conoscono Cristo, o che non lo conoscono abbastanza. Perciò, non potete rimanere silenziosi e indifferenti! Dovete avere il coraggio di parlare di Cristo, di testimoniare la vostra fede mediante il vostro stile di vita ispirato al Vangelo. San Paolo scrive: “Guai a me, se non predicassi il Vangelo!”. Davvero, la messe evangelica è grande e ci vogliono tanti operai. Cristo si fida di voi e conta sulla vostra collaborazione. Vi invito quindi a rinnovare il vostro impegno apostolico. Cristo ha bisogno di voi! Rispondete alla sua chiamata col coraggio e con lo slancio proprio della vostra età. (Giovanni Paolo II, Messaggio GMG 1989) Il gesto. Gente di polso. Riceviamo un braccialettino fatto con fili colorati intrecciati. Tenerlo legato al polso ci ricorderà gli impegni presi stasera davanti al Signore. Canto 71 CONCLUSIONE: DARE SAPORE ALLA NOSTRA VITA La Parola: dal Vangelo di Matteo Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. (Mt 5, 13-16) Guida: Il Signore ci chiama, ci incontra e ci invia nella nostra quotidianità. Questa è la nostra occasione per rispondergli di sì; ora che siamo qui davanti a Lui, che lo guardiamo negli occhi, possiamo accettare la sua proposta e fare nostra la stupenda avventura di ogni cristiano. Lui di certo benedirà le nostre intenzioni e le nostre azioni. Recita della preghiera: (a cori alterni maschi/femmine) Beati noi giovani, se avremo il coraggio dell’autenticità quando falsità e compromesso sono più comodi: la verità ci renderà liberi. Beati noi giovani, se costruiremo la giovinezza nel rispetto della vita e nell’attenzione dell’uomo in un mondo malato d’egoismo: daremo testimonianza di amore. 72 Beati noi giovani, se, in una società deturpata dall’odio e dalla violenza, sapremo accogliere e amare tutti, saremo costruttori e artigiani della pace: “I giovani e la pace camminano insieme”. Beati noi giovani, se sapremo rimboccarci le maniche davanti al male, al dolore, alla disperazione: saremo, come Maria, presenza amica e discreta che si dona gratuitamente. [insieme] Beati noi giovani, se avremo il coraggio di dire in famiglia, nella scuola, tra gli amici che Cristo è la certezza: saremo sale della terra. Amen. (comunità di Taizè) Benedizione. Canto 73 Parte 2 Si cinse un asciugatoio 1.1.2 Forse a qualcuno può sembrare un'espressione irriverente, e l'accostamento della stola col grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio. Si, perché di solito la stola richiama l'armadio della sacrestia, dove con tutti gli altri paramenti sacri, profumata d'incenso, fa bella mostra di sè, con la sua seta ed i suoi colori, con i suoi simboli ed i suoi ricami. Non c'è novello sacerdote che non abbia in dono dalle buone suore del suo paese, per la prima messa solenne, una stola preziosa. Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della buona massaia. Ordinariamente non è articolo da regalo: tanto meno da parte delle suore, per un giovane prete. Eppure è l'unico paramento sacerdotale registrato dal vangelo. Il quale vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù nella notte del Giovedì Santo, non parla né di casule, né di amitti, né di stole, né di piviali, parla solo di questo panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto squisitamente sacerdotale. (don Tonino Bello) 74 * Carità Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame CUORE SACRO Di Ferzan Ozpetek – Medusa, 2004 Soggetto: Ancora giovane, Irene Ravelli ha ereditato dal padre un'attività immobiliare che ora, insieme alla zia Eleonora, guida con grande vigore e notevole profitto. Dopo la morte della mamma, il palazzo nel centro storico di Roma dove abitava è rimasto vuoto e Irene è ora decisa a trasformarlo per ricavarne tanti mini appartamenti. Un giorno per strada, Irene incontra Benny, un'adolescente vivace e irrefrenabile, ladruncola ma anche dedita a portare buste con generi di prima necessità a persone che vivono quasi nascoste. Di lì a poco Benny muore, investita da una macchina mentre scappava. Irene assume su di sé la colpa di quella perdita e cambia del tutto atteggiamento. Entrata in contatto con padre Carras, la donna si affaccia per la prima volta sul mondo di quel volontariato che assiste i bisognosi. Abbandonato il primo progetto, nel palazzo di famiglia viene aperta una mensa per i poveri alla quale Irene si dedica a tempo pieno. Con grande disappunto della zia Eleonora, gli affari vengono del tutto messi da parte. Nella sua discesa verso gli ultimi della società, Irene avverte la necessità di spogliarsi di tutto ciò che possiede, fino a togliersi i vestiti in mezzo alla folla. Portata in ospedale, la psichiatra, dopo un pacato colloquio, stabilisce che Irene non è pericolosa, né per sé, né per gli altri e può tornare alla vita quotidiana. Valutazione Pastorale: "Ho tentato di raccontare in forme laiche il bisogno di spiritualità che si sente in questo momento in tutto il mondo. E che magari prende forme di fanatismo, di esclusione dal contesto sociale. È un film sul 'sacro' che é in tutti noi, ma non religioso". Così Ozpetek definisce l'accostamento che in questa sua nuova opera si verifica tra la protagonista e quella vasta, sommersa realtà dove i poveri abitano accanto ai “nuovi poveri”. Va detto subito, per evitare equivoci, che il tema è forte, urgente, opportuno. C'è un'ampia fascia di società che vive difficoltà e bisogni crescenti, ma non urla, non strepita, anzi timidamente resta nascosta, per pudore e forse per un po' di vergogna. È giusto andare incontro a uomini e donne che ci passano accanto tutti i giorni e non abbiamo tempo e voglia di vedere, ma il percorso deve essere misurato, aderente, condivisibile. La “follia dell'altruismo” che si impadronisce di Irene avviene per strappi traumatici non sempre coerenti. Troppo saccente quella ragazzina, tanto allegra quanto destinata a morte precoce; troppo rapido il passaggio di Irene da un mondo all'altro (perché una cinica donna d'affari entra così presto in crisi? e come mai nessuno 75 all'improvviso la cerca più?). Situazioni e personaggi sembrano costruiti programmaticamente per dirci quello che dobbiamo capire. La Bergman rosselliniana di "Europa '51" cala su Irene e ne limita gli orizzonti, lasciandoci in attesa di momenti realistico-visionari che non arrivano. A prevalere é il taglio didascalico, quasi da testo scolastico. Resta, ed è giusto ripeterlo, l'importanza degli argomenti scelti e trattati comunque con coraggio da Ozpetek, per i quali il film, dal punto di vista pastorale, è da valutare come accettabile, senz'altro problematico e adatto. Altri titoli: Padre Daens Di Franchois Chevallier, 1992 l’Abbè Pierre Di Denis Amar, 1989 La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi o o o o o o o o Trovare una persona di riferimento per l’ambito in questione: non con un’impronta moralistica (“Io faccio così, dovete farlo anche voi), bensì più testimoniale (“Io provo a fare questo perché …”), in modo che sia più facile poi il passaggio alle domande: persone da proporre: In parrocchia: chi si occupa dell’opera san Vincenzo o Caritas e che si sappia che possiede una motivazione di fede radicata; qualche persona che sia volontaria alla Ronda della Carità, mense dei poveri… Istituzioni “di riferimento” nell’ambito diocesano, alle quali chiedere contatti per incontrare persone significative. Vi consigliamo, comunque, di “censire”, prima di tutto, le esperienze di parrocchia. Caritas diocesana: Lungadige Matteotti, 8 - 37126 Verona Tel. 045-800677; Ronda della Carità-Amici di Bernardo: Via Silvestrini, 10 - 37135 Verona Tel. 045.580390; CASA DI CARITA': Via prato santo, 15/B - 37126 Verona Tel. 045-8342685; Comunità dei Giovani: Via G.B. Moschini 3 - 37129 Verona Tel. 045-918168 Tel e fax 8340931 Come impostare l’incontro – testimonianza? o Breve presentazione del personaggio: chi è e cosa fa o Chiedere di raccontarsi o Come è nato questo impegno? Perché lo porta avanti? Cosa lo fa andare avanti? Quale rapporto c’è tra la sua azione di carità e il suo essere cristiano? Come lo percepiscono gli altri? o Cercare di estrapolare la motivazione cristiana di carità e solidarietà (su questo accordarsi con l’interlocutore, altrimenti si rischia di fare la solita “testimonianza moralistica”): l’impegno nella carità, perché Dio si è fatto carità, Lui è l’amore che si piega verso il povero. 76 Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione di quesiti sul “perché la differenza cristiana” o o In gruppo ripresa della testimonianza e delle provocazioni del film: quale solidarietà viene fuori dalla figura del film o del personaggio? Quali sono le sue motivazioni? Cosa dà in più alla solidarietà umana la religione cristiana? Un dibattito, incontro – scontro tra la visione mondana della carità e quella cristiana, attraverso un Processo al “cristiano solidale”: costituire due parti, accusa e difesa, e processare l’idea cristiana di carità: • difesa: la persona che è stata incontrata • accusa: lo fa per farsi vedere, solo per pubblicità, per nascondere le magagne e i soldi della Chiesa; non serve essere cristiani per fare del bene; …. Vangelo di Matteo, 25, 31-46 o o o Il giudizio finale sarà sulla carità. Ma allora a che serve la fede? Si può essere solidali fino in fondo senza credere? Si può addirittura essere accolti da Dio senza aver professato fede in Lui? qualche risposta: prospettive di approfondimento o o o Matteo ha deciso di concludere il discorso escatologico (e l’intera serie dei discorsi di Gesù) con la grandiosa scena del giudizio. Per alcuni è il testo più universalistico dell'intero Nuovo Testamento: l'appartenenza al Regno non esige l'esplicita conoscenza di Cristo, ma soltanto la concreta accoglienza del fratello bisognoso; e lo stesso cristiano non gode di alcuna garanzia: anch'egli sarà giudicato unicamente in base alla carità. Il giudice è chiamato «figlio dell'uomo» e «re». La presentazione è solenne e gloriosa, ma a nessuno può sfuggire che questo re è Gesù di Nazaret, colui che fu perseguitato e crocifisso, rifiutato, e che nella sua vita condivise in tutto la debolezza della condizione umana: la fame, la nudità, la solitudine. Ed è un re che si identifica con i più umili, i più piccoli: anche nella sua funzione di giudice universale, rimane fedele a quella logica di solidarietà che lo guidò in tutta la sua esistenza terrena. È dunque un re che vive sotto spoglie sconosciute; sotto le spoglie dei suoi «piccoli fratelli». Sbaglieremmo tutto se vedessimo in questa pagina una logica diversa da quella della Croce, diciamo un contrasto fra il Cristo crocifisso e il giudice escatologico, come se alla logica dell'amore (Croce) venisse alla fine sostituita la logica della potenza e della gloria (giudizio). Nulla di tutto questo: il giudizio si limita a svelare il vero senso dell'amore che apparve nel Crocifisso! 77 o o o o o Altrove Matteo ci ha detto che gli uomini, al giudizio, dovranno rendere conto di tutti gli atti della loro vita (16, 27), persino di ogni parola (12, 36). Qui però Gesù ricorda solo l'accoglienza agli esclusi. Un'accoglienza concreta, fattiva: tutto il giudizio è costruito attorno alla contrapposizione tra il «fare» e il «non fare». È la solita tesi cara a Matteo: l'essenziale della vita cristiana non è di dire, e nemmeno di confessare Cristo a parole, ma praticare l'amore concreto per i poveri, i forestieri e gli oppressi. Chi sono i «piccoli» che Gesù chiama «miei fratelli» e coi quali si rende solidale al punto da ritenere fatto a se stesso quanto fatto a loro? Il termine «piccolo» (Mt 18, 6.10.14) è usato altrove per indicare i cristiani deboli, spesso trascurati dalle élites della comunità. Secondo un altro testo assai vicino (10,42) i «piccoli» sono i predicatori del vangelo, poveri e bisognosi di accoglienza. Il termine «fratello» ha un senso più generale. Però l'espressione i «miei fratelli» ricorre solo in (12,49) e (28,10) e indica i discepoli. A tutto questo si aggiunga un ultimo testo (10,40): «Chi accoglie voi, accoglie me». La conclusione sembra imporsi: i piccoli fratelli di Gesù sono i membri della comunità, trascurati, deboli, ritenuti insignificanti, disprezzati; più in particolare sono i predicatori del vangelo, poveri e perseguitati. In questo senso, la scena del giudizio non è che la drammatizzazione di quanto affermato in (10,42): «Chi darà da bere anche solo un bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli, in quanto discepoli, in verità vi dico non perderà la sua ricompensa». L'avvertimento racchiuso in questa scena di giudizio diventa in tal modo duplice: uno rivolto a tutti gli uomini e l'altro alla Chiesa. A tutti: la sorte di ogni uomo dipende dall'accoglienza mostrata ai missionari del vangelo, dipende dall'accoglienza o dal rifiuto della parola di Cristo. E alla Chiesa: nessuna comunità è al riparo del giudizio, ma anche la comunità verrà giudicata in base all'accoglienza che essa avrà concretamente mostrato verso i poveri, i trascurati, i piccoli. A dispetto di tutto quanto abbiamo detto, ci resta ancora l'impressione che - almeno a livello di una lettura globale del vangelo - i «piccoli fratelli» sono tutti coloro che, in un modo o nell'altro, sono poveri, forestieri, perseguitati e prigionieri. E ci resta la convinzione che la benedizione del Figlio dell uomo, ma anche, in caso contrario, la condannale per tutti coloro che, non importa se credenti o meno, hanno amato e accolto: sia pure inconsapevolmente, hanno servito Cristo (Bruno Maggioni) Approfondimenti per gli animatori L'amore di Dio è il primo come comandamento, ma l'amore per il prossimo è primo come attuazione pratica. Colui che ti da il comando dell'amore in questi due precetti, non ti insegna prima l'amore del prossimo, poi quello di Dio, ma viceversa. Siccome tu non vedi ancora Dio, amando il prossimo ti acquisti il merito di vederlo; amando il prossimo purifichi l'occhio per poter vedere Dio, come chiaramente afferma Giovanni: “Se non ami il fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi? (Gv 4,20) Se sentendoti esortare ad amare Dio, tu mi dicessi: “Mostrami colui che devo amare”, io non potrei che risponderti con Giovanni: “Nessuno mai vide Dio” (Gv 1,18). Ma, affinché tu non ti creda escluso totalmente dalla possibilità di vedere Dio, lo stesso Giovanni dice: «Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio» (Gv 4,16). Tu dunque ama il prossimo e guardando dentro di te, donde nasca quest'amore, vedrai, per quanto è possibile, Dio. Comincia quindi ad amare il prossimo; spezza il tuo pane con chi ha fame, introduci in casa i miseri senza tetto, vesti chi vedi ignudo e non disprezzare quelli della tua stirpe (Is 58,7). Amando il prossimo e prendendoti cura di lui, tu cammini. E dove ti conduce il cammino se non al Signore, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la 78 mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo l'abbiamo sempre con noi. Aiuta, dunque il prossimo con il quale cammini, per poter giungere a colui con il quale desideri rimanere. (Sant’Agostino) Dalla liturgia: Gesù modello di amore E’ veramente giusto renderti grazie, Padre misericordioso: tu ci hai donato il tuo Figlio, Gesù Cristo, nostro fratello e redentore. In lui ci hai manifestato il tuo amore per i piccoli e i poveri, per gli ammalati e gli esclusi. Mai egli si chiuse alle necessità e alle sofferenze dei fratelli. Con la vita e la parola annunziò al mondo che tu sei Padre e hai cura di tutti i tuoi figli. Da un’intervista a un missionario francese, padre Gerard Vogin. AsiaNews - 20 ottobre 2004: Cristo in Cambogia, la salvezza e la gratitudine Qual’è l’aspetto del cristianesimo più incisivo per la missione in Cambogia? La gente vede come vivono i cristiani e resta stupita per l’aiuto reciproco che i cristiani si danno. La società cambogiana attuale è segnata dalla violenza del passato, che oggi causa mancanza di fiducia nel futuro, povertà generale e spinge a un forte egoismo. Per questo i non cristiani restano meravigliati del modo in cui ci aiutiamo fra noi: “Nella chiesa si vede gente che parla, che dialoga e si aiuta” mi diceva un buddista. In uno dei villaggi che ho visito, due donne non cristiane mi hanno detto: “Vogliamo restare con voi cristiani, non per diventare cristiane, ma perché da voi si sta bene e si è più felici, si vede una grande gioia di vivere sui vostri volti”. E adesso frequentano la messa con assiduità. Vi è anche la spinta della povertà: molti di quelli che si sono convertiti dal buddismo mi hanno detto: “Ero troppo povero per restare buddista”. Per essere un autentico fedele del buddismo è necessario dare molti soldi ai monaci delle pagode per assicurarsi un buon karma. Questo obbligo spinge molte persone ad abbandonare il buddismo. Nella chiesa esse scoprono una comunità che li aiuta gratuitamente, incontrano persone per le quali i soldi e l’onore non sono i valori su cui si giudica un uomo. GESÙ : compassione di Dio “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito”(Gv 3,16). “Ha preso su di sé le nostre infermità, si è caricato delle nostre malattie”(Mt 8,17; Is 53,4). “In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, il primo uomo, infatti, era figura di quello futuro: Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo 79 Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela, pienamente, l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (Gs 22) Egli è “l’immagine dell’invisibile Dio” (Col 1,15). L’immagine, somiglianza con Dio, oscurata nella sua bellezza a causa del peccato, è restituita al suo splendore da Gesù, che “nascendo da Maria Vergine, si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorchè nel peccato” (Gs 22). Lo ha fatto prendendo su di sé la storicità, la solitudine, la caducità, il limite umano e vivendoli volontariamente fino all’estremo per poterli trasformare dal di dentro e impregnarli di nuovo significato (cfr Rm 15,3; Eb 5,7-10). Il mistero dell’uomo con i suoi limiti, di fragilità e disabilità, è stato al centro della sua attenzione e ministero. “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?” gli chiesero i discepoli di Giovanni e Gesù rispose riportando le profezie di Isaia: “Andate e riferite a Giovanni quel che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri è annunziata la buona novella” (Mt 11,3-5). Le persone con disabilità diventano testimoni di Cristo, la guarigione dei corpi è segno della guarigione spirituale che Egli porta a tutte le persone. Tutto il suo ministero si svolge intorno al fatto che Egli ha cercato la compagnia di persone che, per diverse ragioni, erano forzate a vivere ai margini della società (cf. Mc 7,37). Di queste persone Egli ha fatto termine delle sue cure/attenzioni, dichiarando che gli ultimi saranno i primi e che gli umili saranno esaltati nel regno del Padre Suo (cf. Mt 20,16; 23,12). Di fronte al cieco nato Gesù rifiuta e spezza il nesso automatico fra disabilità e peccato: “Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma fu perché siano manifestate in lui le opere di Dio” (Gv 9,3). Con la passione e la croce sperimenta e condivide in pieno il dramma più grande delle persone con disabilità: la solitudine estrema e il rifiuto-rigetto da parte degli uomini, la coscienza di ingiustizia e di abbandono. Anzi la coscienza del limite umano della morte “ultima nemica” (1Cor 15,26), della fragilità e finitezza che gli fa spavento e terrore da angosciarlo e fargli sudare sangue (Lc 22,44) e sperimentare l’interrogativo umano, circa la presenza di Dio in questo mistero (Ps 21; Mt 27,46; Mc 15,34; cfr. Giob 16,9.12-14; 17,1314). Nello stesso tempo però, rinnova la sua fiducia (Ps 31,15), speranza e obbedienza in Dio creatore e salvatore (Ps 21), che è sempre presente con l’uomo, in colui a cui Giobbe dice “Io so che tu puoi tutto e niente per te è difficile” (Giob 42,2). Dalla Croce Gesù dona il suo Spirito, sia ritornando al Padre, sia inviando il Consolatore per fortificare gli uomini di fronte alla loro fragilità, debolezza, senso di smarrimento, solitudine e assicurali che la disabilità è il luogo “delle opere di Dio” (Gv 9,3; cfr Lc 1,49) ed è anche essa luogo dell’amore vero, che si dona continuamente e che rivela il mistero di Dio e dell’uomo all’uomo. Ed è sulla Croce che si rivela, in modo definitivo e pieno, il Figlio di Dio (Mc 15,39), dando la speranza/certezza del coinvolgimento di Dio con l’uomo. Nell’obbedienza della croce egli viene esaltato (cf. Fil 2,8). La croce diventa icona della resurrezione. La resurrezione è la risposta del Padre alla scelta del Figlio che ha avuto fiducia in Lui anche sulla Croce. Il termine ultimo della ricostruzione dell’immagine gloriosa di Dio donata all’uomo è la resurrezione: “Egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi mortali, a motivo del suo Spirito che abita in voi” (Rom 8,11) e “noi saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2). (Comitato per la giornata giubilare della comunità con le persone con disabilità - scheda di preparazione alla giornata giubilare del 3 dicembre 2000) 80 Lavori di gruppo Suggeriamo di accordarsi con l’ente contattato, per concordare insieme un servizio 81 * Carcere Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame DEAD MAN WALKING Di Tim Robbins – RCS, 1995 Soggetto: Il giovane Matthew Poncelet, condannato a morte in Louisiana, scrive alla suora Helen Prejean per avere colloqui ed assistenza in carcere. Con l'amico Carl Vitello, ora all'ergastolo, il giovane ha ucciso una notte due fidanzati che si erano appartati in un bosco. Vitello, avendo tanto denaro, ha potuto scampare con validi avvocati alla pena capitale, mentre Matthew è stato condannato a morte; con l'approvazione dei suoi superiori, suor Helen (che svolge i propri compiti in un centro di servizi sociali) si appresta all’insolita missione. Matthew è un tipo fra il bullesco e lo sprezzante, ma in realtà è disperato, e dopo qualche contatto la suora entra in crisi. Tuttavia, visita la madre del detenuto, Lucille Poncelet (con altri figli minorenni a carico cui provvedere), per raccogliere notizie ed elementi sull'infanzia del giovane, che ora ha contro l'opinione pubblica, la stampa e la televisione, oltre che i comitati favorevoli alla pena di morte. La minoranza invece, contraria alla barbarie delle esecuzioni in carcere, lotta invano. Nel frattempo viene ingaggiato un solerte difensore, vengono attivati gli ultimi strumenti giuridici utilizzabili, tra i quali la domanda di grazia al Governatore dello Stato, che la negherà. Suor Helen contatta i familiari delle due vittime: Earl Delacroix per il ragazzo Walter, Clyde e Mary Beth Percy per la figlia Hope, violentata e straziata prima dell'assassinio. Costoro non comprendono come la suora "difenda" un criminale, e loro non accettano l'idea del perdono. Malgrado lo scarsissimo tempo residuo, Matthew ha qualche cedimento: le parole della sua assistente spirituale e la Bibbia che essa gli ha dato cominciano ad avere effetto, mentre le visite e l'evidente stato di angoscia e di crisi della suora aprono spiragli nel suo cuore. Suor Helen ottiene di poter assistere all'esecuzione, perché lui la vuole vicina: alla vigilia, fra le prime lacrime, le confessa che lei soltanto ha dimostrato di volergli bene. Già legato al lettuccio per essere sottoposto all’iniezione letale, secondo le norme in vigore per l'esecuzione, le ultime parole di Matthew sono una richiesta di perdono ai parenti presenti, la confessione della propria delittuosa complicità e la dichiarazione di affetto a quella suora, che tende fino alla morte la mano verso di lui. Valutazione Pastorale: Il film propone il problema della liceità della pena capitale; il duplice strazio dei parenti delle vittime, l'impegno tenace, ma anche la crisi di suor Helen; la personalità spavalda, ma anche fragile, fino al pentimento ed alle lacrime del condannato prima della morte. La pietà di suor 82 Helen fa da valido e disperato contrappeso all’inevitabile impietosità dei particolari operativi. Tratto dal libro di Helen Prejean, e da una personale esperienza di tale religiosa, il film è una "vigilia di morte", che l'omicida e la sua assistente spirituale vivono insieme, tra mille ostacoli (l'approccio è insolito: le reazioni altrui per altri orrendamente morti; l'impatto del massacro e del successivo adempimento di giustizia e le regole dettate da leggi e procedure). È altrettanto doveroso rilevare la prestazione e l'affiatamento dei due interpreti: Susan Sarandon impegnata in un ruolo arduo, con sensibilità e smarrimenti, ma altresì con coraggio e bagliori di speranza; Sean Penn, da prima terrorizzato, poi passato attraverso il pentimento a quella Verità evangelica che lo farà libero. La lunga scena dell'esecuzione è, tuttavia, nella sua scansione realistica, assai gelida. Altri titoli Le ali della libertà Di Frank Darabont – Cecchi Gori, 1995 Il miglio verde Di Frank Darabont – Warner Bros, 2000 L’ultimo appello Di James Foley – Universal Pictures, 1998 La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi o o o o o Incontro con un ex carcerato o un carcerato in semi-libertà che abbia fatto un cammino di conversione-ravvedimento Incontro e dialogo con un cappellano di un carcere Associazione "La Fraternità" - Via A. Provolo n. 28 - 37123 Verona tel. 045 8004960 (associazione di solidarietà coi detenuti, familiari ex detenuti) Incontro coi responsabili del progetto carcere-scuola del CSI, Via A. Fedeli 37. Verona Tel.045 8922035 Incontro con realtà di gruppi giovanili cha animano la celebrazione della Messa in carcere Il centro della testimonianza dovrebbe essere il rapporto tra colpa, peccato personale e salvezza di Cristo: certamente interessante sarà l’incontro con il mondo del carcere, ma sarebbe importante che fosse anche il tramite per una riflessione personale sul senso del male, del peccato, della colpa, del perdono, della redenzione o Cosa significa che Gesù è venuto a proclamare la libertà ai prigionieri? Forse che non vede il male fatto dalle persone e proclama l’innocenza di tutti? Oppure guarda al positivo di ogni persona, anche la più negativa? o Cosa diventa allora la fede in un Dio, che si proclama Amore per chi ha sbagliato gravemente nella vita? o Far raccontare gli interlocutori su questo punto preciso: cosa significa per sé, la salvezza di Dio concessa all’uomo peccatore? 83 Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione di quesiti sul “perché la differenza cristiana” o o o o o o Prendiamo in mano il testo del vangelo di Luca (4,16–21), con riferimento al libro del profeta Isaia: cosa significa “proclamare ai prigionieri la liberazione”? Quale liberazione? Solo fisica? Riproporre il punto centrale di Dead man walking: “La verità vi farà liberi”: cosa ha significato per il protagonista? E per ciascuno di noi? Cosa vuol dire essere prigioniero? Il prigioniero è solo colui che vive dentro una cella con le sbarre o in qualche modo ci sentiamo prigionieri anche noi che facciamo una vita “normale”? Mi sento prigioniero di qualcosa? Se si, da cosa non riesco proprio a liberarmi? Cerco di chiedere aiuto a qualcuno o resto inerme e cado sotto il peso di queste prigionie? Da cosa possono nascere queste dipendenze e quali sono i campanelli di allarme di situazioni? L’esperienza di una grave colpa (come quelle magari ascoltata nella testimonianza) ripropone il quesito: che rapporto c’è tra peccato, pentimento, e perdono di Dio? Bellissima la pagina evangelica di Luca (7,36-50) sul legame tra amore e perdono Qualche risposta: prospettive di approfondimento Il perdono di Dio mette, o rischia di mettere, in crisi l’intera comprensione della vita dei cristiani: o Il cristianesimo è fare qualcosa per avere qualcosa (buone azioni per ottenere la salvezza e/o non commettere peccati) oppure è comprensione di una precedenza e quindi una successiva risposta (l’amore di Dio/l’amore dell’uomo)? o Provare a sintetizzare su un cartellone in un testo da sms (160 caratteri) come ognuno – a partire dalle riflessioni fatte in questi incontri - presenterebbe ad un non cristiano, che mai ha sentito del Vangelo, il contenuto della fede cristiana. Approfondimenti per gli animatori Nella casa del fariseo, dove era stato invitato, Gesù imbandisce il banchetto nuziale per la peccatrice inopportuna e indesiderata. Il fariseo, tronfio della sua giustizia, non può partecipare alla danza dell'amore se prima non piange il suo peccato. Il racconto serve per persuadere il giusto dal peccato di prostituzione, perché vuole meritare l'amore di Dio, che è gratuito. Questo peccato di "meretricio" è l'unico peccato diretto contro Dio, che è amore. Questa donna è figura del vero popolo di Dio, che si riconosce peccatore e bisognoso di perdono; è il simbolo dell'umanità peccatrice che ritorna al suo sposo, Dio. La presenza della peccatrice che ama, mostra al giusto il suo peccato profondo, quello di non saper amare. 84 Dalla festa dell'amore resta escluso solo il giusto, che non ama perché non si sente amato, perché crede di non aver bisogno di essere amato. Ma anche il giusto può partecipare al banchetto della vita nella misura in cui si riconosce prostituto, adultero e peccatore. Il peccato tipico del giusto è quello di comprarsi l'amore di Dio con la moneta sonante delle proprie buone opere. È il peccato "naturale" di tutte le religioni, che suppongono un Dio cattivo da imbonire. Gesù, in casa del fariseo, mostra a tutti la sua bontà: accetta e ama la donna che peccò di prostituzione con gli uomini, accetta e ama il fariseo che pecca di prostituzione nei confronti di Dio. Nei vv. 40-42 Gesù racconta una parabola che mette in gioco tutti, è la parabola dei due debitori. Ogni uomo è debitore a Dio di tutto. Il vero peccato è quello di non accettare di essere debitori, ma voler restituire sotto forma di prestazioni di vario tipo, in modo di pareggiare il nostro conto con Dio, per sentirci liberi e indipendenti da lui, a cui abbiamo dato tutto il dovuto, per sentirci nostri e non suoi. È il tentativo di non essere più creature, ma di emanciparci dal Creatore per essere Dio, come Dio, senza Dio e in contrapposizione a Dio. È il peccato originale dell'uomo. Questa è la prostituzione religiosa, frutto della non conoscenza di Dio, che produce tutti i peccati dei giusti e degli ingiusti. Il dono di Dio, al quale tutto dobbiamo, è un amore gratuito da accettare e a cui rispondere con altro amore gratuito. Il contenuto della parabola è nelle due espressioni "far grazia", da parte del creditore e "amare di più", da parte del debitore graziato. Il più avvantaggiato in questa situazione è chi ha il debito maggiore, perché riceve un dono maggiore. Chi riceve un dono maggiore, un perdono maggiore fa esperienza di un amore più grande. Davanti a un Dio che riempie gratuitamente del suo amore, è una disgrazia essere pieni di sé. Gesù dà come modello al fariseo la peccatrice perdonata che ama, colei che egli aveva giudicata e condannata, e che avrebbe voluto escludere dalla sua casa. (Lino Pedron) Sarà per voi il Giubileo! Un giorno agli inizi della sua predicazione pubblica, Cristo era entrato nella modesta sinagoga del suo villaggio. Sarebbe suggestivo immaginare che fosse proprio un anno giubilare ebraico. Si leggeva Isaia ed era toccato proprio a lui proclamarlo e commentarlo. Ecco, allora, la sua intuizione: attraverso quelle parole egli si sentiva inviato dal Padre per inaugurare un giubileo perfetto da distendere in tutti i secoli successivi e che i cristiani avrebbero dovuto celebrare in spirito e verità: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore" (Luca 4,18-19). È questa la vera radice anche del giubileo cristiano. Nelle parole di Gesù, l'orizzonte dell'anno santo si allarga e abbraccia tutte le sofferenze dell'umanità. Esse divengono quasi il programma di impegno della missione di Cristo e di quella della Chiesa. L' “anno di grazia del Signore”, cioè della sua salvezza, comprende infatti quattro gesti fondamentali. Il primo è “evangelizzare i poveri”: il verbo greco è proprio quello che ha alla base la parola “evangelo”, la “buona novella”, il “lieto messaggio” del Regno di Dio. Destinatari sono i “poveri”, cioè gli ultimi della Terra, coloro che in sé non hanno la forza del potere politico ed economico. La libertà è il secondo atto giubilare, un atto che – come si diceva – era già nel giubileo di Israele; anche se oggi la libertà sembra garrire come un vessillo su quasi tutti gli Stati, è però ben forte e radicata la schiavitù a cui ci votano l'opinione dominante, la comunicazione televisiva, la superficialità imperante, la pubblicità martellante, i luoghi comuni, la moda e i 85 modi di vita della società contemporanea. Gesù fa riferimento anche ai prigionieri in senso stretto, e qui devono risuonare quelle parole che egli ci ripeterà alla fine della storia: "Ero carcerato e siete venuti a trovarmi" (Matteo 25, 36)… Infine c'è la liberazione dell'oppressione che non è solo la schiavitù, a cui sopra si faceva cenno. Sotto questo manto triste, e tristo, si pongono tutte le sofferenze che opprimono il corpo e lo spirito. È quella cappa di piombo che incombe sui malati, sugli infelici, sui dimenticati, sui profughi, su tutti coloro che sono ai margini della via della vita, ove corrono quelli che stanno bene e hanno fretta di godere la loro esperienza di salute e di libertà. Cristo, dunque, ci presenta un giubileo che va oltre le pur importanti celebrazioni, i riti suggestivi, i pellegrinaggi. Egli ci riporta al cuore dell'”evangelo”, dell' “anno di grazia del Signore”, cioè della sua salvezza. (Gianfranco Ravasi) Lavori di gruppo Proponiamo al gruppo un’attività di aiuto a realtà che sostengono l’attività lavorativa di detenuti o ex detenuti, quale per esempio la vendita di oggetti artigianali all’uscita della chiesa, come quelli realizzati nella sezione femminile del carcere di Verona. Riferimenti: o o o o COOPERATIVA SOCIALE “ALCHIMIA” a.r.l. Via S. Chiara, 41 - 37129 VERONA Tel. 045 597298. Cooperativa Emmaus Verona Strada Mattaranetta 41 a Verona. 045.976024 COMUNITA' EMMAUS VILLAFRANCA 37069 Villafranca Di Verona (VR) – VIA EMMAUS 1 tel: 045 6337069. Di grande utilità il dvd prodotto dall’associazione “La fraternità”, dal titolo “Raccontamela giusta”, con una serie di interviste realizzate con detenuti, familiari e operatori del mondo carcerario. La confezione comprende anche un cd-rom con molto materiale formativo, utile per qualsiasi approfondimento 86 ) Disabilità Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame LE CHIAVI DI CASA di Gianni Amelio – 01 Distribution, 2004 Soggetto: Alla stazione di Roma Gianni, uomo ancora giovane, incontra per la prima volta suo figlio Paolo, quindicenne, rifiutato dalla nascita perché afflitto da handicap mentale e motorio. Nel viaggio dalla capitale ad una clinica specializzata di Monaco, Gianni cerca di instaurare con il ragazzo un rapporto mai esistito, dovendo superare le diffidenze di lui e anche, se non sopratutto, la paura che lo consuma dentro di fronte ad un compito fin troppo difficile. A Monaco l'uomo conosce Nicole, matura signora francese che da vent’anni accudisce una figlia in condizioni ancora peggiori. Vivendo ogni giorno con Paolo, Gianni impara a riconoscerne le debolezze, gli slanci, gli sforzi, le richieste di aiuto. Finito il lavoro in clinica, lo porta in Norvegia, dove vive un'amica di Paolo, conosciuta tramite lettera. Qui il padre stringe a se il figlio, nella consapevolezza di un rapporto che non avrà altre interruzioni. Valutazione Pastorale: Alla fine c'é una dedica: "In ricordo di Giuseppe Pontiggia". È l'autore (morto qualche tempo fa) del libro "Nati due volte" da cui il film ha preso le mosse. Non è nemmeno “liberamente ispirato” perché “...Pontiggia ha capito -dice Gianni Amelio- che le sue pagine non avevano bisogno di essere illustrate ma di qualcuno che raccogliesse da lui il testimone e proseguisse da solo il proprio tratto di strada”. “Perciò ho preso il rischio, per quanto possa sembrare presuntuoso, di mettermi nei suoi panni e ricominciare il racconto daccapo...". Il viaggio da Roma a Monaco diventa per Gianni occasione di recupero di un rapporto mai cercato e, di più, scoperta di un dolore che è possibile trasformare in arricchimento: per l'amore che entrambi si scambiano, per quel bisogno di affetto indifeso, per quella pienezza di umanità che deriva da un autentico rapporto padre-figlio. Nel visualizzare questa vicenda di “formazione”, Amelio si affida ad una regia di taglio asciutto e immediato. Senza artifici, senza pietismi, senza cercare facile commozione, fa “recitare” un vero ragazzo portatore di handicap e lo lascia libero di esprimersi. Sentimenti forti, cambiamenti interiori profondi sono espressi con semplicità e quasi sottotono: questo grande merito del film, che non urla e non é arrabbiato, non fa sociologia, né lancia denunce, per molti (alla mostra di Venezia) é stato il suo limite. Resta invece un film di forte senso etico che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come raccomandabile, aggiungendo “realistico” proprio per ribadirne il tratto spiccatamente vero, misurato, quotidiano. 87 Altri titoli: Ti voglio bene Eugenio Di Francisco J.Fernandez – Millennium Storm, 2002 La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi o o o o o o o o o o Monitorare sempre prima la situazione parrocchiale: la presenza di associazioni cristiane che si occupano di persone diversamente abili. Singolare per l’esperienza della nostra diocesi, l’esperienza delle “Piccole Fraternità”, disseminate un po’ su tutto il nostro territorio. Molto consigliato l’incontro con monsignor Giuseppe Scarsini, fondatore delle Piccole fraternità, a san Zenetto: 0458004294. Importante l’incontro con persone diversamente abili, che vivono la loro abilità diversa in senso positivo, illuminati dall’esperienza di fede Può essere molto importante anche l’incontro con familiari di persone disabili, per conoscere il loro percorso umano e cristiano Incontrare i responsabili del progetto “La grande sfida” del CSI Via A. Fedeli 37. Verona Tel.045 8922035 / Fax 045 974198 e-mail [email protected] ... Comunità religiosa dell’Opera don Calabria: Via S. Marco 121 - 37138 VERONA Tel. 045-81.84.111 [email protected] Di indubbio valore formativo la visita all’Opera Provvidenza di Sant’Antonio a Sarmeola di Rubano (PD) o all’Opera Santa Teresa di Ravenna, entrambe sorte per accogliere con dignità le persone disabili abbandonate Quali domande? Suggeriamo di approfondire con le persone che si incontreranno, non tanto l’aspetto della sofferenza (vedi scheda malattia), o del servizio ai diversamente abili, quanto: In che modo la relazione con persone diversamente abili abbia cambiato il modo di vedere la vita e di vivere la fede quale ruolo/missione hanno le persone diversamente abili all’interno della chiesa e della società (quali valori ci ricordano/testimoniano) come la fede ha permesso di trovare un modo diverso di vivere la disabilità Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione di quesiti sul “perché la differenza cristiana” o o o Azione pastorale delle persone con disabilità. “I disabili possono far emergere in sè eccezionali energie e valori di grande utilità per l’intera umanità”(Giovanni Paolo II, Insegnamenti, 31-3-1984). “Egli (il disabile) non è solamente colui al quale si dà; deve essere aiutato a divenire anche colui che dà, e nella misura di tutte le possibilità proprie. Un momento importante e decisivo nella formazione, sarà raggiunto quando egli avrà preso consapevolezza della sua dignità e dei suoi valori, e si sarà reso conto che ci si attende qualcosa da lui, che egli può e deve contribuire al progresso e al bene della sua famiglia e della comunità” (Santa Sede, A quanti si dedicano al servizio di persone disabili, 4-3-1981). 88 o o o o o o “Uno dei fondamentali obiettivi di questa rinnovata e intensificata azione pastorale è di considerare il malato, portatore di handicap, non semplicemente come termine dell’amore e del servizio della Chiesa, bensì come soggetto attivo e responsabile dell’opera di evangelizzazione e di salvezza”(Christifideles Laici, cap. IV, n.54). Non solo essi sono destinatari dell’annuncio del Vangelo, ma a loro volta annunciano con la propria vita il Vangelo, partecipando alla costruzione del Regno di Dio. La loro disabilità, redenta dalla Morte e Resurrezione di Gesù, li rende missionari a livello immediato, intuitivo e non riflesso dei veri valori dell’umanità: fiducia, solidarietà, diaconia, condivisione, ascolto, accettazione, interdipendenza, immediatezza, fratellanza, gioia, amore. Le loro vie del cuore e il loro servizio di carità aiuteranno a rompere barriere di paura, le loro vite di vulnerabilità e la loro innocenza aiuteranno a creare luoghi di amore e di accoglienza. C’è sempre da ricordare che la preghiera delle persone disabili, specialmente quella dei disabili mentali, ha una forza particolare: a questa preghiera la Provvidenza non dirà mai di no, perché un padre non potrà mai dimenticare i suoi figli più buoni e infelici (Gc 5,16). Nell’annuncio e testimonianza che danno con la loro vita, con l’offerta della loro vita insieme all’offerta liturgica di Cristo al Padre nello Spirito e con il sevizio diaconale al Corpo di Cristo e a tutti gli uomini, le persone disabili contribuiscono, secondo la vocazione ricevuta da Dio, alla crescita e koinonia del popolo di Dio, della Chiesa. Il perdono, accorgersi cioè che gli altri indistintamente sono qualcosa di prezioso e hanno qualcosa di prezioso da dare, e la festa, ovvero la novità, la creatività, la possibilità di rapportarsi con gli altri, lo stare insieme, camminare, costruire, danno senso alla Resurrezione. Qualche risposta: prospettive di approfondimento o o o “E Gesù chiamato a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro”(Mt 18,2). Con la propria vita la persona disabile fa catechesi sull’amore. La fonte di questo amore è Dio stesso: “Io ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo”(Is 43,1.4). I messaggi che i disabili offrono, possono essere oggetto di riflessione per modificare mentalità restie, eccone alcuni: • l’amore di Dio Padre, anche quando l’umanità è ferita, mortificata, è infinito; • il valore primario della vita appare anche in situazioni difficili; • si sente la necessità di una vita fisica integra ed efficace, ma esiste anche la relatività di molti suoi aspetti in una globale e unitaria visione dell’uomo; • è necessario scoprire il significato profondamente umano della sofferenza, del limite, della Croce, come valori di purificazione, di liberazione, di crescita e di maturazione; • valorizzare la solidarietà, l’amore, la comunione come unica via per venire incontro ai fratelli e sorelle nella sofferenza e nella solitudine e costituire per loro e con loro reali possibilità di vita serena e tranquilla; • la pienezza di una vita semplice, essenziale, povera, umile, può essere l’ideale primo e più importante di vita di ogni persona matura; • la scienza umana è necessaria per debellare i mali e le violenze che incontriamo presenti nell’umanità, per limitarne la vastità e la crudeltà con impegni mirati. 89 o o o Per mezzo dei disabili la Chiesa forma la comunità cristiana e supera la mentalità efficientistica ed emarginante della società secolare; nella loro piena accoglienza e accettazione, essa afferma la dignità di ogni vita umana sin dal seno materno. I disabili hanno capacità di azioni e di carità impegnative; sono testimoni privilegiati della redenzione e viva dossologia ecclesiale del Signore vivente nei secoli ed edificano il Corpo di Cristo (Sd 24). I disabili sono fin d’ora profezia di ciò che ogni persona potrà essere nel futuro, quando le forze fisiche diminuiranno, quando si potrà perdere la propria autonomia, quando si può divenire completamente dipendenti: si desidera anche allora essere trattati con dignità e rispetto ed essere ancora responsabili della propria vita e partecipi degli eventi comunitari. Approfondimenti per gli animatori Disabilità o diversabilità? L’espressione «disabilità» sottolinea il deficit, ciò che manca rispetto a un'«abilità», rispetto alla normalità, alla «norma». Rispetto a uno standard medio di funzionamento si evidenzia, in negativo, la disabilità. Una persona fa male qualcosa, o non la sa fare affatto: non ci vede, non parla, cammina male, ragiona lentamente, ecc., rispetto all'idea di «normalità». Ma quale? Esiste una normalità, una persona «normale»? Senti queste righe di Pontiggia, tratte dal bellissimo libro “Nati due volte”: Niente. Chi è normale? Nessuno. Quando si è feriti dalla diversità, la prima reazione non è di accettarla, ma di negarla. E lo si fa cominciando a negare la normalità. La normalità non esiste. Il lessico che la riguarda diventa a un tratto reticente, ammiccante, vagamente sarcastico. Si usano, nel linguaggio orale, i segni di quello scritto: «I normali, tra virgolette». Oppure: «I cosiddetti normali». [...] La normalità - sottoposta ad analisi aggressive non meno che la diversità - rivela incrinature, crepe, deficienze, ritardi funzionali, intermittenze, anomalie. Tutto diventa eccezione e il bisogno della norma, allontanato dalla porta, si riaffaccia ancora più temibile alla finestra. Si finisce così per rafforzarlo, come un virus reso invulnerabile dalle cure per sopprimerlo. Non è negando le differenze che lo si combatte, ma modificando l'immagine della norma. (pp. 41-42) Si potrebbe dire che proprio riconoscendo ed enfatizzando le differenze, tutte le varie differenze, si modifica l'immagine della norma. La normalità diventa pluralità di differenze, non uniformità fissa, definita attraverso degli standard. Su questo versante molti studiosi di intelligenza e personalità si trovano d'accordo. Pensa a Gardner, con le sue nove forme di intelligenza (linguistica, logico-matematica, spaziale, musicale, corporea, naturalistica, intrapersonale, interpersonale ed esistenziale); quando scrive: «Anche se tutti possediamo l'intera gamma delle intelligenze, forse non esistono due persone che abbiano esattamente le stesse intelligenze, nello stesso grado e nella stessa combinazione: nemmeno i gemelli omozigoti sono così. Si aggiunga che la configurazione delle intelligenze e i loro rapporti 90 mutano nel tempo per effetto delle esperienze che gli individui vivono e del senso che danno (o non danno) loro» (Gardner, 1999, p. 73). Dunque il confronto con la normalità si fa difficile. La normalità si frammenta in una pluralità di modi di agire, di pensare, di «funzionare», di raggiungere obiettivi. Naturalmente non tutti sono uguali in termini di correttezza etica o di efficienza: ci sono obiettivi sbagliati e modi inefficienti. Ma è soltanto dalla pluralità dei modi che nasce l'idea della diversabilità? Nasce anche dal non permettere al deficit di oscurare il valore della persona nella sua essenziale umanità. La persona disabile è un individuo. Con una propria identità. Con una propria connotazione. Con delle caratteristiche proprie. Lui ha sempre saputo, non solo di essere portatore di una disabilità, ma anche di essere innanzitutto una persona. È ora che lo impariamo anche noi. [...] Arriva in carrozzina, ma non è la carrozzina. Ha splendidi occhi azzurri, è un mago con i videogame, usa il computer come pochi e sa fare un sacco di altre cose che non si vedono... soprattutto se lo sguardo si ferma alla carrozzina. Lo sguardo va troppo spesso alla «carrozzina», al deficit, e totalizza, copre tutta la persona, che diventa così il «disabile». Se ragioniamo in termini di diversabilità come pluralità di categorie di normalità, dovremmo riporre questa vecchia concezione di disabilità; ma si può fare di più! Forse, diversabilità non vuol dire arrivare «soltanto» in modo diverso allo stesso obiettivo, ma puntare anche a obiettivi diversi, qualitativamente diversi. Tanto per confonderci utilmente le idee, leggiamo questa poesia di Tito Balestra (in: Se hai una montagna di neve tienila all'ombra, Garzanti, Milano,1979): Un albero che cresce storto solleva qualche perché hai scelto il migliore vivaio la pianta selezionata l'hai concimata e annaffiata protetta dal freddo e dal gelo... Ma l'albero cresce storto per un misterioso capriccio, la sua ombra la gode un vicino che non ha speso un centesimo. 91 Lavori di gruppo o o Risulta difficile dare indicazioni pratiche. Quello che suggeriamo è, d’accordo con le realtà incontrate, non tanto di pensare a iniziative di servizio, quanto a momenti di incontro, festa, gioia di stare insieme e conoscersi con persone e ragazzi diversamente abili. Una proposta interessante potrebbe essere il contatto con il CSI nell’occasione della manifestazione primaverile “La grande sfida”, per un concreto aiuto organizzativo e nel vivere insieme la proposta Riferimento: ufficio diocesano pastorale della salute, Verona Piazza Vescovado 7, 045/8083723 92 * Malattia Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame La stanza di Marvin Di Jerry Zaks – Cecchi Gori, 1997 Soggetto: Lee vive nell'Ohio, è stata lasciata dal marito, il figlio Hank, che è in conflitto con la madre ritenuta colpevole della partenza del padre, ha problemi psichici, dà fuoco alla casa e viene rinchiuso in manicomio. Un giorno Lee riceve una telefonata dalla Florida. La sorella Bessie, che non sente da più di vent'anni, la chiama allarmata; le è stata diagnosticata la leucemia e la sua sopravvivenza dipende dal trapianto con un midollo osseo compatibile. Bessie non si è mai sposata, per dedicarsi al padre Marvin, che ora è morente nel letto di casa, e all'eccentrica zia Ruth. Per le due sorelle l'incontro dopo tanto tempo diventa occasione di confronto e di scoperta reciproca. Il confronto è aspro e difficile, fatto di accuse e rinfacciamenti di responsabilità. La scoperta avviene tramite Hank che, dapprima freddo e scostante, entra poi in sintonia con la zia e si confida con lei. A poco a poco tra le due sorelle si stabilisce un clima di migliore disponibilità all'ascolto reciproco. E sarà proprio questo nuovo atteggiamento mentale e interiore a creare le premesse per poter fare fronte alle difficoltà che propone la malattia e la scomparsa delle persone care. Valutazione Pastorale: Una commedia drammatico-psicologica, che mette in primo piano una dichiarata mozione degli affetti e l'intenzione di arrivare ad una nuova comprensione nei rapporti familiari, anche se grandi problemi hanno per molto tempo tenuto divisi i vari componenti del nucleo. Il film ha sicuramente intenzioni da elogiare sul piano della volontà di arrivare alla composizione delle difficoltà a favore di una solidarietà rinnovata e duratura. Dal punto di vista pastorale è dunque da accogliere positivamente, pur se sembra di poter osservare che in qualche momento i buoni sentimenti sono profusi con troppa leggerezza e puntando con facilità su situazioni dolorose, quali la malattia e l'incombente morte del vecchio genitore. Resta comunque uno spaccato realistico di una provincia americana che vive, soffre e cerca di riscattarsi con grande dignità. 93 Altri titoli: John Q. Di Nick Cassavetes – Warner Bros, 2002 La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi Incontrare un medico o un infermiere, oppure – rivolgendosi ai gruppi UNITALSI (segreteria Tel. 045.8033676, chiedere il riferimento di una persona nella vostra parrocchia) – un volontario nell’ambito della sofferenza o persino un ammalato: ad esempio, interessante su questo sentire i barellieri e dame dell’Unitalsi di Lourdes, così come un malato che vi ha preso parte. Congregazioni religiose particolarmente dedite alla cura degli infermi sono i Camilliani (Ministri degli infermi), Verona via Trezza 045 8002471 e l’Istituto Sorelle della Misericordia, Verona Via Valverde 24, 045-594322. Farsi raccontare l’incontro-scontro con la sofferenza e le domande che questa porta alla propria fede cristiana: o Come è possibile soffrire in questo modo e credere al tempo stesso a Dio? o Si è mai sentito traballante nella fede rispetto a quello che ogni giorno incontra in corsia o nel suo servizio? o Ha mai chiesto “conto” a Dio di quanto vede e osserva ogni giorno? o All’ammalato o al medico: crede nei miracoli? Cos’è il miracolo che chiede per sé o per i suoi ammalati? Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione di quesiti sul “perché la differenza cristiana” o o o o o Per l’uomo normale la sofferenza è un male, punto, stop, fine. Proviamo ad elencare i modi con cui la società di oggi nasconde la sofferenza e la malattia: le supercure di benessere, le proposte di eutanasia… Per il cristiano la malattia è un male: anzi, uno scandalo maggiore, perché egli professa la bontà della creazione che deriva dalla bontà del Creatore; quindi il dolore e il male che si manifesta nella vita concreta delle persone è l’opposto di quel bene, che il credente ritiene essere alla base stessa della propria fede. Davanti alla malattia, alla sofferenza e delle persone, soprattutto dei bambini, dei giovani, delle persone innocenti, nasce la domanda: Perché? Che male ha fatto? È possibile vivere in modo non disumano la sofferenza? È possibile vivere la sofferenza nella fede senza rifiutare la fede a motivo della propria esperienza? Marx diceva che la religione è l’oppio dei popoli: rischia di esserlo anche degli ammalati? Oppure la fede cristiana dà delle motivazioni spirituali, che vanno certamente oltre la sola visione materialista? Brano di riferimento: la guarigione del paralitico, Marco 2, 1-12 94 o o Gesù sembra trattare in maniera più radicale il male spirituale di quello fisico, nel senso che lo affronta prima e “usa” la sofferenza fisica per parlarne, ma non si dimentica che la persona soffre e sta male inchiodata su un lettino. Ma lui intende dire che c’è un male ulteriore e più grave di quello di essere paralizzati nel corpo: è quello di essere bloccati nello spirito, nel buio del peccato. Proviamo a ripensare attraverso questa considerazione alla testimonianza: cosa ci ha lasciato a questo proposito il nostro incontro? Il miracolo più grande: guarigione o mantenere la fede? Qualche risposta: prospettive di approfondimento o o o o o È possibile dire di sì alla vita senza condizioni. E questo sì alla vita senza condizioni diventa una prestazione nobilissima, straordinaria, quando questo sì viene pronunciato di fronte all’esperienza del limite e della sofferenza. Riuscire a dire di sì alla vita: compiere un atto grande di speranza e di amore. In un’ottica di fede, è vero che la sofferenza sembra contraddire l’amore di Dio, ma proprio l’esperienza della sofferenza rende la fede pura, non attaccata a dei vantaggi. E l’esperienza della sofferenza ormai è scritta definitivamente dentro alla croce di Gesù, quindi assume inevitabilmente per il credente i lineamenti della croce di Gesù, dell’amore portato fino al dono totale di sé; un amore che ha la speranza della vita e della risurrezione. Per il cristiano la sofferenza è anche “redenta”, perché Dio stesso ha sofferto e ha offerto una speranza: Gesù Cristo è stato un uomo come altri, che ha pianto quando ha saputo che il suo amico Lazzaro era morto, che ha visto tantissimi ammalati, che ha toccato molti lebbrosi. Nel Vangelo non si trova mai Gesù che dubita del Padre per le sofferenze che vede intorno a sé. La sua è una risposta concreta e fattiva allo scandalo della malattia che vede intorno a sé: guarisce, ma non solo fisicamente, ancora più spiritualmente, perché dà la speranza di vivere secondo Dio, al di là dello stato fisico di salute o di malattia. Proviamo a pensare al nostro rapporto tra sofferenza e fede: la religione è un aiuto ad affrontare lo scandalo della malattia che abbiamo incontrato di persona o in persone a noi vicine? Approfondimenti per gli animatori Marco 2, 1-12 Il racconto del miracolo della guarigione del paralitico non pone al centro dell’attenzione la potenza di Gesù che guarisce, ma la sua parola: «Figliolo, ti sono perdonati i peccati». La guarigione è in funzione della parola che perdona, ne è il segno e la prova. Gesù «vista la loro fede disse al paralitico: ti sono perdonati i peccati». Non ha detto: “ti dono la salute”, ma: “ti sono perdonati i peccati”. La preoccupazione fondamentale di Gesù non è la guarigione, ma il perdono. Gesù ha guarito gli ammalati, ma non tutti: ha invece offerto a tutti la possibilità del perdono. Ha guarito gli ammalati, e questo significa che nel suo pensiero la malattia è qualcosa da vincere e che tutto l’uomo è chiamato alla salvezza, ma non ha guarito tutti gli 95 ammalati, e questo significa che i suoi gesti di guarigione sono semplicemente dei segni, compiuti per attirare l’attenzione su qualcosa di più profondo: il perdono. Si noti subito un altro particolare: in precedenza Gesù ha vietato a tutti di manifestare pubblicamente la sua messianità. Lo ha vietato allo spirito impuro, ai malati, al lebbroso. Ora invece è lui stesso che - davanti a tutti e incurante dello scandalo - proclama di essere «il Figlio dell’uomo che ha sulla terra il potere di perdonare i peccati». Proibisce che venga divulgata la sua messianità prima del tempo (cioè prima della passione), perché c’è il pericolo che essa venga equivocata, ma questo pericolo non c’è per quanto riguarda la sua offerta di perdono: egli perdona sempre, e su questo non c’è pericolo di sbagliare. Dopo queste brevi osservazioni è bene stringere più da vicino l’affermazione centrale: «Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati». Quale potere? Che significa perdonare i peccati? Hanno ragione gli scribi di pensare che soltanto Dio può perdonare i peccati? E questo non solo perché Dio è l’offeso e dunque spetta a Lui perdonare, ma anche - e soprattutto - perché perdonare i peccati (così pensa la Bibbia) non significa semplicemente dimenticare i peccati, passarci sopra, bensì «strappare» l’uomo al peccato, e questo è un miracolo che solo la potenza divina è in grado di compiere. La Bibbia è convinta che il peccato è profondamente radicato nel cuore dell’uomo, al punto che l’uomo non può da solo scrollarselo di dosso; è perciò indispensabile una mutazione radicale da parte di Dio, una vera e propria rigenerazione nello Spirito: nel perdono dei peccati non è soltanto in gioco la bontà di Dio, ma ancor prima la sua potenza. (Bruno Maggioni) Dal messaggio di Giovanni Paolo II in preparazione alla VIII giornata mondiale del malato Partecipe delle gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini di ogni tempo, la Chiesa ha costantemente accompagnato e sorretto l'umanità nella sua lotta contro il dolore e nel suo impegno per la promozione della salute. Si è nello stesso tempo impegnata a svelare agli uomini il significato della sofferenza e le ricchezze della Redenzione operata da Cristo Salvatore. La storia registra grandi figure di uomini e di donne che, guidate dal desiderio di imitare il Cristo mediante un profondo amore per i fratelli poveri e sofferenti, hanno dato vita ad innumerevoli iniziative assistenziali, costellando di bene gli ultimi due millenni. Il mistero dell'Incarnazione implica che la vita sia intesa come dono di Dio da conservare con responsabilità e da spendere per il bene: la salute è quindi un attributo positivo della vita, da perseguire per il bene della persona e del prossimo. La salute, tuttavia, è un bene "penultimo" nella gerarchia dei valori, che va coltivato e considerato nell'ottica del bene totale e, quindi, anche spirituale, della persona…. È in particolare al Cristo sofferente e risorto che il nostro sguardo si volge in questa circostanza. Assumendo la condizione umana, il Figlio di Dio ha accettato di viverla in tutti i suoi aspetti, compresi il dolore e la morte, dando compimento nella sua persona alle parole pronunciare nell'Ultima Cena: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15,13). Celebrando l'Eucaristia, i cristiani annunciano ed attualizzano il sacrificio di Cristo, "per le cui piaghe siamo stati guariti"(1Pt 2, 25) e, unendosi a Lui, "conservano nelle proprie sofferenze una specialissima particella dell'infinito tesoro della redenzione del mondo, e possono condividere tale tesoro con gli altri" (Salvifici Doloris, 27). L'imitazione di Gesù, servo sofferente, ha condotto grandi santi e semplici credenti a fare della malattia e del dolore una fonte di purificazione e di salvezza per sé e per gli altri. Quali 96 grandi prospettive di santificazione personale e di cooperazione alla salvezza del mondo apre, ai fratelli ed alle sorelle ammalate, il cammino tracciato dal Cristo e da tanti suoi discepoli! Si tratta di un percorso difficile, perché l'uomo non trova da sé il senso della sofferenza e della morte, ma di un percorso pur sempre possibile con l'aiuto di Gesù, Maestro e Guida interiore (Salvifici doloris, 26-27). Come la resurrezione ha trasformato le piaghe di Cristo in fonte di guarigione e di salvezza, così per ogni malato la luce del Cristo risorto è conferma che la via della fedeltà a Dio nel dono di sé fino alla Croce è vincente, ed è capace di trasformare la stessa malattia in fonte di gioia e di resurrezione. Non è forse questo l'annuncio che risuona nel cuore di ogni celebrazione eucaristica quando l'assemblea proclama: "Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell'attesa della tua venuta"? I malati, mandati anch'essi come operai nella vigna del Signore (christifideles laici, 53), con il loro esempio possono offrire un valido contributo all'evangelizzazione di una cultura che tende a rimuovere l'esperienza della sofferenza, impedendo di coglierne il senso profondo con gli intrinseci stimoli ad una crescita umana e cristiana. L'esempio di Cristo, buon Samaritano, deve ispirare l'atteggiamento del credente inducendolo a farsi "prossimo" ai fratelli e alle sorelle che soffrono mediante il rispetto, la comprensione, l'accettazione, la tenerezza, la compassione, la gratuità. Si tratta di lottare contro l'indifferenza che porta gli individui e i gruppi a chiudersi egoisticamente in se stessi. A questo scopo, "la famiglia, la scuola, le altre istituzioni educative, anche per soli motivi umanitari, devono lavorare con perseveranza per il risveglio e l'affinamento di una profonda sensibilità verso il prossimo e la sua sofferenza" (Salvifici doloris, 29). In chi crede, tale sensibilità umana è assunta nell'agape, cioè nell'amore soprannaturale, che porta ad amare il prossimo per amore di Dio. La Chiesa, infatti, guidata dalla fede, nel circondare di affettuosa cura quanti sono afflitti dall'umana sofferenza, riconosce in essi l'immagine del suo Fondatore povero e sofferente, e si premura di sollevarne l'indigenza, memore delle sue parole: "Ero infermo e mi avete visitato" (Mt 25,36). L'esempio di Gesù, buon Samaritano, non spinge soltanto ad assistere il malato, ma anche a fare il possibile per reinserirlo nella società. Per il Cristo, infatti, guarire è nello stesso tempo reintegrare: come la malattia esclude dalla comunità, così la guarigione deve portare l'uomo a ritrovare il suo posto nella famiglia, nella Chiesa e nella società. Gesù non ha solo curato e guarito i malati, ma è anche stato un instancabile promotore della salute attraverso la sua presenza salvifica, l'insegnamento, l'azione. Il suo amore per l'uomo si traduceva in rapporti pieni di umanità, che lo conducevano a comprendere, a mostrare compassione, a recare conforto unendo armonicamente tenerezza e forza. Egli si commuoveva di fronte alla bellezza della natura, era sensibile alla sofferenza degli uomini, combatteva il male e l'ingiustizia. Affrontava gli aspetti negativi dell'esperienza con coraggio e senza ignorarne il peso, comunicava la certezza di un mondo nuovo. In Lui, la condizione umana mostrava il volto redento e le aspirazioni umane più profonde trovavano realizzazione. Questa pienezza armoniosa di vita egli vuole comunicare agli uomini di oggi. La sua azione salvifica mira non solo a colmare l'indigenza dell'uomo, vittima dei propri limiti ed errori, ma a sostenerne la tensione verso la completa realizzazione di sé. Egli apre davanti all'uomo la prospettiva della stessa vita divina: "Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Gv 10,10). Chiamata a continuare la missione di Gesù, la Chiesa deve farsi promotrice di vita ordinata e piena per tutti. In questo contesto, i credenti sono chiamati a sviluppare uno sguardo di fede sul valore sublime e misterioso della vita, anche quando essa si presenta fragile e vulnerabile. "Questo sguardo non si arrende sfiduciato di fronte a chi è nella malattia, nella sofferenza, 97 nella marginalità e alle soglie della morte; ma da tutte queste situazioni si lascia interpellare per andare alla ricerca di un senso, e proprio in queste circostanze, si apre a ritrovare nel volto di ogni persona un appello al confronto, al dialogo, alla solidarietà" (Ev. Vitae, 83). Lavori di gruppo Potrebbe essere bello offrire in parrocchia la disponibilità per l’animazione della giornata del malato l’11 Febbraio (Madonna di Lourdes). Così come, in base alle valutazioni ritenute più opportune, invitare i ragazzi ad andare con il parroco per la visita ai malati, o la domenica con i ministri straordinari dell’Eucarestia, o con persone dell’opera san Vincenzo che se ne prendano cura. Sarebbe interessante proporre ai ragazzi, almeno quelli liberi da impegni scolastici, la partecipazione al pellegrinaggio diocesano a Lourdes organizzato dall’Unitalsi. 98 ) Anziani Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame AVVISO DI CHIAMATA Di Diane Keaton – Sony Pictures, 2000 Soggetto: Il vecchio Lou Mozell viene ricoverato in ospedale in condizioni molto precarie; delle sue tre figlie, Eve accorre subito in ospedale e capisce la gravità della situazione. Contatta le due sorelle, ma Georgia, direttrice di una rivista femminile, è molto impegnata e non ha il tempo per andare in ospedale; Maddy, attrice di soap-opera, é fuori città per un fine settimana privato. Rimasta sola, Eve, che ha un marito e un figlio piccolo, cerca di fare del proprio meglio, ma il vecchio genitore ha anche crisi di memoria, e dal letto esclama di non avere figli. Addolorata, Eve si lascia andare a ricordi del passato, finché non viene avvisata dall'ospedale che Lou é scappato. In effetti il vecchio è tornato a casa, forse per vederla ancora un'ultima volta. Dopo essere riuscita a riportarlo in ospedale, Eve organizza un party, al quale Georgia é invitata come ospite d'onore. Durante il discorso, Georgia ha parole finte di affetto per il padre, che irritano molto Eve. Presente anche Maddy, tra le sorelle scoppia una furibonda lite. Quando dall'ospedale avvertono che il padre è in coma, tutte si recano sul posto. Entra per prima Eve, e poi anche le altre sono vicine al padre al momento del decesso. Nel giorno del ringraziamento, le tre sorelle sono di nuovo insieme. Eve pensa ancora al passato e alla presenza del padre. Valutazione Pastorale: Il cellulare squilla in continuazione, ed è l'unico sistema di comunicazione, tanto inevitabile quanto spersonalizzante. Si telefona per dire che non ci si può incontrare, e quindi per “non” comunicare. Così il racconto, con facile evidenza, è tutto impostato sul contrasto tra la “facilità” di raggiungersi, e l'assenza nei momenti importanti. Di fronte alle ultime ore del padre, le sorelle (tre, ancora una volta) hanno difficoltà a cambiare ritmi e orari ma non possono evitare che la circostanza sfoci nel bisogno di fare un bilancio, di guardarsi alle spalle e l'una verso l'altra. Impegnata anche come regista, Diane Keaton cerca di mescolare nel copione i toni brillanti e quelli malinconici, tipici di tante commedie americane: la vita scandita da appuntamenti, ma anche dalla tradizione (il Natale, il Ringraziamento...), l'allegria e la tristezza, il riso e il pianto, insomma la parabola della vita di tutti. Il film è scorrevole e vivace. Al di là della buona confezione, ci sono temi significativi da evidenziare: il rapporto 99 padre-figlio, la vecchiaia, la professione, la famiglia, il condizionamento dei mass-media. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come positivo, accettabile, e anche problematico. La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi o o o o o Sarebbe opportuno incontrare degli anziani per capire come passano le giornate, come vivono la loro vita in pienezza, come si sentono attivi in parrocchia, come vivono il rapporto con Dio. Potrebbe essere bello incontrare famiglie che hanno gli anziani genitori/nonni in casa per scelta, per capire le ricchezze e le difficoltà della convivenza, le motivazioni che li hanno spinti alla scelta Incontrare medici e operatori che lavorano nell’ambito dell’assistenza anziani, per capire come la loro fede li motivi e li guidi nella loro professione Punto di riferimento importante in diocesi la Pia Opera Ciccarelli Via C. Alberto, 18 37057 San Giovanni Lupatoto (VR) Tel. 045 8296111 FAX 045 8751111, con sedi in varie parti della provincia Uno sguardo anche alla risorsa anziani: incontrare nonni sul loro ruolo di educatori alla fede dei nipoti; incontrare pensionati che dedicano attivamente il loro tempo, energie e competenze al volontariato, alla parrocchia. Come sempre andare alla ricerca dei perché e di come la fede li spinga a tali scelte Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione di quesiti sul “perché la differenza cristiana” È molto bella la lettura della condizione dell’anziano, alla luce della Scrittura data da Giovanni Paolo II nella Lettera agli anziani, che qui riportiamo: o o o o Se l'infanzia e la giovinezza sono il periodo in cui l'essere umano è in formazione, vive proiettato verso il futuro, e, prendendo consapevolezza delle proprie potenzialità, imbastisce progetti per l'età adulta, la vecchiaia non manca dei suoi beni, perché - come osserva san Girolamo - attenuando l'impeto delle passioni, essa “ accresce la sapienza, dà più maturi consigli”. In un certo senso, è l'epoca privilegiata di quella saggezza che in genere è frutto dell'esperienza, perché “il tempo è un grande maestro”. E ben nota, poi la preghiera del Salmista: “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Sal 90,12). L'età avanzata trova, anzi, nella parola di Dio una grande considerazione al punto che la longevità è vista come segno della benevolenza divina (Gn 11,10-32). Con Abramo, uomo di cui viene sottolineato il privilegio dell'anzianità, questa benevolenza assume il volto di una promessa: “Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e maledirò coloro che ti malediranno ed in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra ” (Gn 12, 2-3). Anziano è Mosè, quando Dio gli affida la missione di far uscire il popolo eletto dall'Egitto. Le grandi opere che egli compie per mandato del Signore in favore di Israele non occupano gli anni della giovinezza, ma della vecchiaia. 100 o o o o o Anche il Nuovo Testamento, pervaso dalla luce di Cristo, annovera eloquenti figure di anziani. Il Vangelo di Luca si apre presentando una coppia di coniugi “avanti negli anni” (Lc 1,7): Elisabetta e Zaccaria, genitori di Giovanni Battista. Verso di loro si rivolge la misericordia del Signore (Lc 1, 5-25,39-79): a Zaccaria ormai vecchio viene annunciata la nascita di un figlio; egli stesso lo sottolinea: “Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni” (Lc 1, 18) Il Salmo 92, quasi sintetizzando le fulgide testimonianze di anziani che troviamo nella Bibbia, proclama: “Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano...Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per annunziare quanto è retto il Signore” (13,15-16). E l'apostolo Paolo, facendo eco al Salmista, annota nella Lettera a Tito: “ I vecchi siano sobri, dignitosi, assennati, saldi nella fede, nell'amore e nella pazienza. Ugualmente le donne anziane si comportino in maniera degna dei credenti... sappiano insegnare il bene, per formare le giovani all'amore del marito e dei figli” (2, 2-5). La vecchiaia, dunque, alla luce dell'insegnamento e nel lessico proprio della Bibbia, si propone come “tempo favorevole” per il compimento dell'umana avventura, e rientra nel disegno divino riguardo ad ogni uomo come tempo in cui tutto converge, perché egli possa meglio cogliere il senso della vita e raggiungere la “sapienza del cuore”. “ Vecchiaia veneranda — osserva il Libro della Sapienza — non è la longevità, né si calcola dal numero degli anni; ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza; vera longevità è una vita senza macchia” (4,8-9). Essa costituisce la tappa definitiva della maturità umana ed è espressione della benedizione divina. Qualche risposta: prospettive di approfondimento Anche in questo caso, è molto bello l’approfondimento magisteriale del documento del Pontificio consiglio per i laici, La dignità dell'anziano e la sua missione nella Chiesa e nel mondo Il contributo di esperienza che gli anziani possono apportare al processo di umanizzazione della nostra società e della nostra cultura è quanto mai prezioso e va sollecitato, valorizzando quelli che potremmo definire carismi propri della vecchiaia: o Gratuità. La cultura dominante misura il valore delle nostre azioni secondo i parametri di un efficientismo che ignora la dimensione della gratuità. L'anziano, che vive il tempo della disponibilità, può riportare all'attenzione di una società troppo occupata l'esigenza di abbattere gli argini di una indifferenza che svilisce, scoraggia e arresta il flusso degli impulsi altruistici. o Memoria. Le generazioni più giovani vanno perdendo il senso della storia e con esso la propria identità. Una società che minimizza il senso della storia elude il compito della formazione dei giovani. Una società che ignora il passato rischia di ripeterne più facilmente gli errori. La caduta del senso storico è imputabile anche a un sistema di vita che ha allontanato e isolato gli anziani, ostacolando il dialogo tra le generazioni. o Esperienza. Oggi viviamo in un mondo nel quale le risposte della scienza e della tecnica sembrano aver soppiantato l'utilità dell'esperienza di vita accumulata dagli anziani nel corso di tutta l'esistenza. Questa sorta di barriera culturale non deve scoraggiare le persone della terza e quarta età, perché esse hanno molte cose da dire alle giovani generazioni, molte cose da condividere con loro. 101 o o Interdipendenza. Nessuno può vivere da solo, ma l'individualismo e il protagonismo dilaganti celano questa verità. Gli anziani, con la loro ricerca di compagnia, contestano una società nella quale i più deboli sono spesso abbandonati a se stessi, richiamando l'attenzione sulla natura sociale dell'uomo e sulla necessità di ricucire la rete dei rapporti interpersonali e sociali. Una visione più completa della vita. La nostra vita è dominata dalla fretta, dall'agitazione, non raramente dalla nevrosi. È una vita distratta, dimentica degli interrogativi fondamentali sulla vocazione, la dignità, il destino dell'uomo. La terza età è anche l'età della semplicità, della contemplazione. I valori affettivi, morali e religiosi vissuti dagli anziani sono una risorsa indispensabile per l'equilibrio delle società, delle famiglie, delle persone. Essi vanno dal senso di responsabilità, all'amicizia, dalla non ricerca del potere, alla prudenza di giudizio, alla pazienza, alla saggezza, dall'interiorità al rispetto della creazione, alla edificazione della pace. L'anziano coglie bene la superiorità dell' “essere” sul “fare” e sull' “avere”. Le società umane saranno migliori se sapranno beneficiare dei carismi della vecchiaia. Approfondimenti per gli animatori Educare i giovani appartenenti a gruppi, associazioni e movimenti presenti nelle parrocchie alla solidarietà verso i componenti più anziani della comunità ecclesiale, una solidarietà intergenerazionale che trova espressione pure nella compagnia che i giovani possono offrire agli anziani. I giovani che hanno l'opportunità di coinvolgersi con gli anziani sanno che questa esperienza li forma, li fa maturare e fa loro acquisire un'ottica di attenzione agli altri, valida per tutta la vita. In una società che vede dilagare egoismo, materialismo, consumismo, e nella quale i mezzi di comunicazione non servono ad arginare la crescente solitudine dell'uomo, valori come gratuità, dedizione, compagnia, accoglienza e rispetto dei più deboli, rappresentano una sfida per chi punta alla nascita di una nuova umanità e dunque anche per i giovani… La comunità ecclesiale deve adoperarsi per aiutare l'anziano a vivere la propria età alla luce della fede, a riscoprire egli stesso il valore delle risorse che è ancora in grado di porre, al servizio degli altri e alla responsabilità di offrire agli altri. L'anziano deve divenire sempre più consapevole di avere ancora un futuro da costruire, perché non è esaurito il suo impegno missionario di testimoniare ai piccoli, ai giovani, agli adulti, ai suoi stessi coetanei e che al di fuori di Cristo non c'è senso, né gioia e ciò, sia nella vita personale, che nella vita con gli altri. (La dignità dell'anziano e la sua missione nella Chiesa e nel mondo) Lavori di gruppo o o o o o o Ipotizzare alcune iniziative episodiche e/o altre più sistematiche: una festa per gli anziani (carnevale, Santa Lucia, cenone di San Silvestro, ecc.) un servizio nelle case di riposo. Proporsi per un servizio parrocchiale di lavori domestici. Predisporre la spesa per le persone che non sono autosufficienti. Ipotesi di servizio ricreativo nei circoli per anziani organizzando giochi vari. 102 ) Dipendenze Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame RADIOFRECCIA Di Luciano Ligabue – Medusa, 1998 Soggetto: Davanti al microfono, Bruno informa gli ascoltatori che quello è l'ultimo giorno delle trasmissioni di RadioFreccia. Siamo nel 1993, la radio chiude dopo diciotto anni di attività, e Bruno vuole spiegare perché ha preso quel nome. Torna allora indietro con la memoria al 1975, quando nella piccola provincia, in quella zona incerta, tra città e campagna, bastava un trasmettitore da 5 watt per aprire una radio “libera”. Così il giovane Bruno, nella soffitta di casa, apre Radio Raptus con un microfono, dei dischi e la sua voce. Bruno porta con sé gli amici Tito, Iena, Boris e la radio diventa la loro seconda casa (la prima è il bar del paese), Al punto che quando un altro amico, Freccia, litiga con l'amante della madre e lascia il proprio appartamento, finisce con trasferirsi proprio nella soffitta di Bruno. Così la vita scorre con i ragazzi che fanno gli operai (solo Bruno studia), vanno in discoteca, partecipano da lontano ai forti mutamenti sociali in corso in Italia. Freccia conosce una ragazza di città, tossicodipendente, e la segue sulla strada della droga; l'affetto degli amici non basta… Freccia si isola, poi torna, sembra voler ricominciare, s'innamora di nuovo, non viene corrisposto, si abbandona ancora alla droga, alla fine viene trovato morto in un fosso… Gli amici decidono di ricordarlo, intitolando a lui la radio; ed ecco ancora Bruno, nel 1993: riferisce su quello che fanno oggi i ragazzi di un tempo, e poi dà il via ad un vecchio intervento di Freccia, nel quale raccontava quello in cui credeva. Così chiude la radio. Valutazione Pastorale: Il cinema italiano comincia a prendere in esame gli anni Settanta, anni cruciali in cui cominciano ad arrivare anche in provincia gli effetti della “rivoluzione sessuale”, anni dell'emergere del fenomeno droga, anni del terrorismo, anni di piombo. Grande confusione e grande incertezza nei giovani: un clima che il film descrive con sincerità e partecipazione, vedendo l'azione in forma di flashback e, quindi, avendo l'opportunità di far andare di pari passo le asperità e le secchezze di un'ambientazione tutta realistica (i luoghi, i dialoghi, le atmosfere), con il tono della memoria, della riflessione un po' nostalgica sul passato. Azzeccata è soprattutto la rappresentazione di una provincia “profonda”, colta nel momento critico della crisi dei valori tradizionali, della famiglia, del passaggio generazionale: una crisi che è quella della filosofia del vivere emiliano, che il dilagante materialismo non riesce del 103 tutto a coprire. Un po' ripetitivo e sbrigativo in qualche passaggio e nel seguire il ritratto psicologico di alcuni protagonisti, il film trova tuttavia spessore nel delineare il dolore della incomunicabilità genitori-figli e nel presentare il ricorso alla droga come sconfitta personale. Molta materia interessante, dunque, anche dal punto di vista pastorale, per un film senz'altro crudo, da valutare come discutibile e da suggerire per dibattiti. Altri titoli: VERONICA GUERIN Di Joel Schumacher – Buena Vista, 2003 La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi o o o o o o o Il tema delle dipendenze, e di come il cristiano tenda alla libertà, crediamo possa essere di grande rilevanza, non solo in ordine alle dipendenze estreme da sostanze o realtà, ma anche in rapporto alle relazioni personali, e alle proprie scelte. Molte sono le comunità di recupero di ragazzi ex-tossicodipendenti nate nell’ambito ecclesiale. Per esempio Ceis Verona, Salita Fontana del Ferro 22/24, 37129 Verona 0458 01 06 88, Exodus 37135 - Verona Via Pacinotti 16/18, Comunità Incontro a Bovolone. Ovviamente l’importante per la nostra finalità è andare a coinvolgere o incontrare persone motivate dalla fede. Ci permettiamo di suggerire in particolare la Comunità dei Giovani, nel centro residenziale di Albarè di Costermano.l’incontro potrebbe essere con operatori o con giovani che stanno vivendo un percorso riabilitativo Dipendenza dalle sostanze: Perché? Cosa c’è dietro? Quali sono le forme nuove di dipendenze che colpiscono soprattutto i giovani? Dipendenza dalle persone, da se stessi, dalla famiglia, dai proprio passato, dai condizionamenti… La fede ha un ruolo nel percorso di recupero della propria dignità? Cosa chiede di mettere in gioco di sé e della propria fede, l’accompagnare il recupero di chi ha alle spalle cammini così difficili? Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione di quesiti sul “perché la differenza cristiana o o o o ”Gesù e l’esperienza delle tentazioni (Mt 4,1-11): non cede alla tentazione di tentare strade più corte per affermarsi, rimane fedele a se stesso, nonostante le facili promesse che l’avrebbero reso schiavo Gesù è venuto perché “abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Dietro le sue scelte, c’è il desiderio che l’uomo abbia una vita piena. Gesù viene a liberare da tutte le condizioni di immobilità e dipendenza: l’episodio del cieco Bartimeo (Mc 10,46-52) Davanti alle incertezze della vita e alla paura del futuro, Gesù viene a indicare un senso alla vita, legato non alle cose ma alla fiducia in Dio: “Cercate prima il regno di Dio…” (Lc 12,31) 104 o o o o o o o o Gesù si rivela come uomo libero dalla cappa opprimente dei condizionamenti delle tradizioni: “Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!” (Mc 2,27) Gesù si rivela libero…dalla paura di perdere i suoi: “volete andarvene anche voi?” (Gv 6, 60-67) Per un primo approfondimento, ci sembra possa essere utile parlare del fenomeno tossicodipendenza. Molto efficaci sono alcune battute del documento del Pontificio Consiglio per la famiglia del 1997 Liberalizzazione della droga? "La droga non si vince con la droga". Non è la droga che è in questione, ma gli interrogativi umani, psicologici ed esistenziali impliciti in questi comportamenti. Troppo spesso non si vogliono comprendere tali questioni e si dimentica che ciò che fa la tossicodipendenza non è il prodotto, ma la persona che ne proverà il bisogno. Il ricorso alla droga è sintomo di un "malessere" profondo. Come afferma il Pontificio Consiglio per la Famiglia: "La droga non entra nella vita di una persona come un fulmine a ciel sereno, ma come un seme che attecchisce in un terreno da lungo tempo preparato". Dietro a questi fenomeni c’è una richiesta di aiuto da parte dell’individuo, che rimane solo con la propria vita; c’è un desiderio, non solo di riconoscimento e di valorizzazione, ma anche di amore. È, pertanto, alla causa del fenomeno che bisogna risalire innanzitutto se si vuole intervenire in modo efficace sulle conseguenze personali e sociali provocate dall’uso della droga. Il problema, in effetti, non è nella droga, ma nella malattia dello spirito che conduce alla droga, come ricorda il Papa Giovanni Paolo II: "Bisogna riconoscere che esiste un nesso fra la patologia letale provocata dall’abuso di droghe e una patologia dello spirito che porta la persona a fuggire da se stessa e a cercare soddisfazioni illusorie in una fuga dalla realtà, al punto di annullare completamente il significato della propria esistenza" . Nella tossicodipendenza giovanile, questi problemi umani sono in primo piano. Il giovane tentato dalla droga ha una personalità fragile, immatura, poco strutturata, e ciò è in rapporto diretto con l’educazione che egli non ha ricevuto. La maggior parte degli specialisti nelle scienze umane non smette di dire, da molti anni, che la società abbandona i giovani, che essi non sono attesi e rispettati e che l’ambiente non fornisce tutti gli elementi sociali, culturali e religiosi per permettere lo sviluppo delle loro personalità. Qualche risposta: prospettive di approfondimento Uno schema per come presentare ai ragazzi il racconto di Bartimeo e della liberazione che Gesù gli dona, e un articolo di Enzo Bianchi sulla lotta spirituale: 1) Bartimeo: • Cieco: non vede più, non ha chiaro, non sa dove andare • Siede: ha rinunciato, è rassegnato, subisce, non prende iniziativa, non da una direzione alla sua vita • Mendica: sopravvive, dipende dagli altri, fa di tutto perché gli altri (o qualcosaltro) gli diano qualcosa; in fondo …si vende…cerca di comprare 2) Comincia a gridare…e grida più forte • Lascia esplodere il suo dolore 105 • • Non tiene più dentro quello che prova Chiede aiuto 3) Lo sgridano per farlo tacere: c’è sempre qualcuno che ti vuole zittire! • La tua paura di essere fregato • Quello che dicono e fanno tutti, e la tua paura di essere diverso • Gli interessi economici • Ma comunque si fida, continua a chiedere aiuto 4) Coraggio, alzati, ti chiama • Non spaventarti davanti alle avversità, alle difficoltà della vita • Non spaventarti di chi rema contro quello che senti e pensi davvero • Alzati: quante volte bisogna prendersi in mano e…darsi una mossa • Ti chiama: chiama te, ti conosce, ha fiducia in te 5) Che riabbia la vista, la fede ti ha salvato • Voglio distinguere le cose • Voglio vedere dove sto andando • Voglio essere io a decidere • La fede ti ha salvato: è Gesù che ti permette tutto questo 6) Ci vede e lo segue per la strada • Comincia a seguire Cristo: finalmente ha una direzione, ha scelto Approfondimenti per gli animatori Riscopriamo la lotta spirituale ….La tradizione spirituale cristiana è ricca di questa conoscenza del profondo del cuore e ogni cristiano maturo è “cardiognostico”, conoscitore dell’abisso di ogni uomo. L’angoscia che ci abita, angoscia della morte innanzitutto, e la conseguente volontà di conservarci e vivere ci riduce a pensare di poter combattere la morte con l’autoaffermazione, con il possesso delle cose e il loro accaparramento, con la voracità e il consumo di tutto ciò che pensiamo ci aiuti a vivere. È questo il terreno in cui nascono le tentazioni e, si badi bene, nessuna tentazione ci è estranea! Qui si impone la lotta spirituale, questo combattimento sovente, ma non sempre, invisibile in cui il cristiano oppone resistenza al male e combatte per non essere vinto dalla tentazione. Purtroppo quanti conoscono oggi quest’arte della lotta spirituale, che ancora la mia generazione ha ricevuto in eredità da comuni e non rare guide spirituali? Così i cristiani si sono assuefatti semplicemente a soccombere alle tentazioni, convinti che contro di esse non ci sia nulla da fare, perché nulla hanno mai imparato al riguardo! Ma come è possibile l’edificazione di una personalità umana e spirituale robusta senza la lotta interiore, senza questo esercizio al discernimento tra bene e male, senza questa strategia per dire dei “no” efficaci e dei “sì” convinti? Dimentichiamo forse che, come ci testimoniano i Vangeli, Gesù stesso ha lottato e non ha potuto sottrarsi a questo confronto con il tentatore? Eppure dovremmo saperlo tutti: il peccato è accovacciato alla porta del nostro cuore, verso di noi è la sua brama, ma sta a noi dominarlo (Gen 4,7); anche l’apostolo nel Nuovo Testamento ci ricorda che “il peccato ci assedia”, che ci sono “dominanti che ci seducono”, che esistono 106 “desideri che contraddicono la nostra libertà”. Sì, c’è una lotta spirituale dura, quotidiana, che richiede da parte del cristiano l’atteggiamento proprio di chi va in guerra, ma con armi spirituali. Questa lotta ha come luogo il nostro cuore, il centro della nostra vita psicologica, morale e spirituale, il luogo dell’intelligenza e della memoria, della volontà, del desiderio e di tutti gli altri sentimenti, lo spazio dell’incontro tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e il suo simile. Ma il cuore si trova anche esposto alla malattia della sclerocardia se, a poco a poco, è reso incallito dal nostro non ascolto della parola di Dio e dal nostro acconsentire a ciò che contraddice la volontà del Signore. Avere un cuore unificato, un cuore puro, sensibile e capace di discernimento, un cuore che custodisce e genera pensieri d’amore è lo scopo della lotta spirituale. Che arte appassionante! Prepararsi nella vigilanza alla lotta, a quella lotta che Rimbaud definiva “più dura della guerra che si fanno gli uomini”; riconoscere il sopraggiungere della pulsione, giudicarne la qualità buona o cattiva e, se cattiva, resistere ad acconsentirvi combattendo con le armi della memoria Dei, dell’invocazione del Nome santo del Signore Gesù; intraprendere, quando necessario, la fuga per non soccombere? Sì, contemplando la bontà dell’amore di Dio e degli altri, fissando lo sguardo su quella dolcezza che può sostenerci, la vittoria sulla tentazione diventerà possibile. (Enzo Bianchi) Lavori di gruppo Proponiamo di concordare con l’ente contattato una ipotetica attività concreta 107 * Accoglienza Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame PICCOLI AFFARI SPORCHI Di Stephen Frears – Buena Vista, 2003 Soggetto: A Londra Okwe, immigrato illegale nigeriano, fa uso di caffeina e di pericolosi stimolanti per conservarsi due lavori: il tassista durante il giorno, il portiere di notte in un vecchio albergo di West London, nelle ore in cui le ragazze squillo arrivano con i clienti. Okwe divide un appartamento di due stanze con Senay, ragazza turca in attesa del permesso di soggiorno e anche lei presa nell'albergo come cameriera. Quella brutta vita quotidiana viene sconvolta quando Okwe scopre un giorno che in una stanza dell'albergo Sneaky, un altro dei portieri, ha dato il via ad un orribile traffico: agli immigrati clandestini viene offerto di cedere un rene in cambio del passaporto o di un visto regolare. Se accettano, l'operazione viene compiuta di notte nell'albergo. Dopo un susseguirsi di colpi di scena, Okwe e Senay smascherano il traffico ma non possono impedire che a Juan, il malcapitato di turno, venga tolto il rene in seguito alla consegna di falsi passaporti. Allora Okwe accompagna all'aeroporto Senay, che si trasferisce a New York, poi telefona alla moglie e alla figlia in Nigeria e dice che sta per tornare a casa. Valutazione pastorale: Stephen Frears é inglese (nato a Leicester nel 1941) ed é uno di quei registi che sanno muoversi con bella personalità da una parte all'altra dell'oceano. Negli Stati Uniti ha girato "Rischiose abitudini", "Eroe per caso", "Mary Really"; in Gran Bretagna "My beautiful laundrette", "The snapper"...e ora questo piccolo film, di produzione televisiva BBC, pungente e incisivo. Quasi nascondendosi dietro le esigenze di generi commerciali, Frears mescola commedia, thriller, dramma senza mai perdere di vista il quadro d'insieme, senza lasciare vuoti o cadute di tono. Così i temi “importanti” escono: l'immigrazione clandestina, lo sfruttamento, il terribile commercio di organi. Il tutto sullo sfondo di una Londra un po' cinica, un po' indifferente, ritratta nel sottobosco di figure minori disegnate con vigore. Ambienti di nicchia, scampoli di esistenze difficili: una denuncia che non grida, ma lascia il segno. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come accettabile, e senz'altro realistico. 108 La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi o o o o o o o o o o o La realtà della società italiana è quella di una realtà multietnica e multireligiosa. L’immigrazione, motivata da motivi di studio, lavoro, e fuga da condizioni insopportabili, è fenomeno che arricchisce indubbiamente la nostra realtà italiana. Molti cristiani hanno posto in atto molte energie per promuovere uno stile e opere di accoglienza nei confronti di tante persone che arrivano nel nostro paese e che bussano alle porte delle nostre comunità. Proponiamo di incontrare persone che lavorano nei centri di ascolto della Caritas, sparsi in varie parti della diocesi, oppure di contattare direttamente la Caritas Diocesana o il Centro pastorale Immigrati Potrebbe essere significativo incontrare qualche immigrato, che metta in luce il cambiamento di vita e di percorso di fede che il suo migrare gli ha permesso di fare Legati all’immigrazione, esistono particolari vicende di sofferenza ed emarginazione. Contattare l’Associazione Papa Giovanni XXIII per un dialogo sull’aiuto che loro danno alle ragazze di strada. Segreteria Verona Tel. 0442-26657 Fax 0442-26738 Uno sguardo di grande attenzione può essere dato alla realtà degli zingari, incontrando la comunità ecclesiale tra i Rom e i Sinti, Strada dei monti 24, 37125 Parona, 045/8890160 045/504676 Realtà molto interessante da contattare dal punto di vista informativo è il CESTIM Centro Studi Immigrazione onlus via S.Michele alla Porta 3 - 37121 Verona Tel. 045-8011032, Approfondire numeri e motivazioni dell’emigrazione Mettera a fuoco i problemi oggettivi che l’immigrazione comporta e le nostre resistenze personali e sociali Cercare di capire cosa gli immigrati portano alla società e alla chiesa italiana Dare uno sguardo anche alla realtà di profughi e rifugiati Approfondire modi e motivi di uno stile e di un impegno cristiano di accoglienza, di incontro e di integrazione con gli immigrati Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione di quesiti sul “perché la differenza cristiana” o o o o Israele trasse la sua origine da Abramo che, obbediente alla voce di Dio, uscì dalla sua terra e andò in Paese straniero portando con sé la promessa divina di diventare padre “di un grande popolo” (Gn 12,1-2). Giacobbe, da "Arameo errante, scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa" (Dt 26,5). Israele ricevette la solenne investitura di “Popolo di Dio”, dopo lunga schiavitù in Egitto, durante i quarant'anni di “esodo” attraverso il deserto. La dura prova delle migrazioni e deportazioni è quindi fondamentale nella storia del Popolo eletto, in vista della salvezza di tutti i popoli: così è nel ritorno dall'esilio (Is 42,6-7; 49,5). Con tale memoria esso si sente rinfrancato nella fiducia in Dio, anche nei momenti più oscuri della sua storia (Sal 105 [104], 12-15; Sal 106 [105], 45-47). Nella Legge, poi, si giunge a dare, per i rapporti con lo straniero dimorante nel paese, lo stesso comando 109 o o o o o impartito per quelli con "i figli del tuo popolo" (Lv 19,18), cioè “tu l'amerai come te stesso” (Lv 19,34). Lo stile di vita di Gesù stesso è stato quello di un migrante: Più che prossimo, il cristiano contempla nello straniero il volto di Cristo stesso, il quale nasce in una mangiatoia e, straniero, fugge in Egitto, assumendo e ricapitolando in sé questa fondamentale esperienza del suo popolo (cfr. Mt2,13ss). Nato fuori casa e proveniente da fuori Patria (cfr. Lc 2,4-7). Abitò in mezzo a noi (Gv 1,11-14) e trascorse la sua vita pubblica, itinerante, percorrendo "città e villaggi" (Lc 13,22;Mt 9,35). Risorto, e tuttavia ancora straniero, sconosciuto, apparve in cammino verso Emmaus, a due suoi discepoli che lo riconobbero solo allo spezzar del pane (Lc 24,35). I cristiani sono quindi alla sequela di un viandante “che non ha dove posare il capo (Mt 8,20; Lc 9,58) (Pontificio Consiglio per i migranti, La carità di Cristo verso i migranti 14-15) Il migrante ci ricorda il senso della nostra esistenza, che è relativizzazione delle cose terrene e cammino verso una patria che ci attende (Eb 11,8-16) Qualche risposta: prospettive di approfondimento Visione di fede del fenomeno migratorio o o o o o La Chiesa ha sempre contemplato nei migranti l'immagine di Cristo, che disse: "Ero straniero e mi avete ospitato" (Mt 25,35). La loro vicenda, per essa, è cioè una provocazione alla fede e all'amore dei credenti, sollecitati così a sanare i mali derivanti dalle migrazioni e a scoprire il disegno che Dio attua in esse, anche qualora fossero causate da evidenti ingiustizie. Le migrazioni, avvicinando le molteplici componenti della famiglia umana, tendono in effetti alla costruzione di un corpo sociale sempre più vasto e vario, quasi a prolungamento di quell'incontro di popoli e razze che, per il dono dello Spirito, nella Pentecoste, divenne fraternità ecclesiale. Se da una parte le sofferenze che accompagnano le migrazioni sono infatti espressione del travaglio del parto di una nuova umanità, dall'altra le disuguaglianze e gli squilibri, dei quali esse sono conseguenza e manifestazione, mostrano in verità la lacerazione introdotta nella famiglia umana dal peccato, e risultano pertanto una dolorosa invocazione alla vera fraternità. Questa visione ci porta ad accostare le migrazioni a quegli eventi biblici che scandiscono le tappe del faticoso cammino dell'umanità verso la nascita di un popolo, oltre le discriminazioni e le frontiere, depositario del dono di Dio per tutti i popoli e aperto alla vocazione eterna dell'uomo. La fede vi intravede, cioè, il cammino dei Patriarchi che, sostenuti dalla Promessa, tendevano alla Patria futura, e quello degli Ebrei, che furono liberati dalla schiavitù passando attraverso il Mar Rosso, con l'esodo che dà origine al Popolo dell'Alleanza. Sempre la fede vi trova, in un certo senso, l'esilio che pone l'uomo di fronte alla relatività di ogni meta raggiunta, e vi scopre di nuovo il messaggio universale dei Profeti. Essi denunciano, come contrarie al disegno di Dio, le discriminazioni, le oppressioni, le deportazioni, le dispersioni e le persecuzioni, e ne prendono occasione per annunciare la salvezza per tutti gli uomini, testimoniando che, pure nel caotico succedersi e contraddirsi degli avvenimenti umani, Dio continua a tessere il suo disegno di salvezza fino alla completa ricapitolazione dell'universo in Cristo (cfr. Ef 1,10). 110 Accoglienza e solidarietà o o o o Le migrazioni costituiscono dunque un evento che tocca anche la dimensione religiosa dell'uomo e offrono ai migranti cattolici l'opportunità privilegiata, seppur spesso dolorosa, di giungere a un maggiore senso di appartenenza alla Chiesa universale, oltre ogni particolarità. A tale scopo è importante che le comunità non ritengano esaurito il loro dovere verso i migranti compiendo semplicemente gesti di aiuto fraterno o anche sostenendo leggi settoriali che promuovano un loro dignitoso inserimento nella società, che rispetti l'identità legittima dello straniero. I cristiani devono essere promotori di una vera e propria cultura dell'accoglienza (EEu 101,103), che sappia apprezzare i valori autenticamente umani degli altri, al di sopra di tutte le difficoltà che comporta la convivenza con chi è diverso da noi (EEu 85,112 e pag 65). Tutto questo i cristiani lo realizzeranno con una accoglienza veramente fraterna, rispondendo all'invito di S. Paolo: “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio” (Rm 15,7) Certo, il semplice appello, per quanto altamente ispirato e accorato, non dà una automatica, concreta risposta a quanto ci assilla giorno per giorno; non elimina, ad esempio, una diffusa paura o l'insicurezza della gente, non assicura il doveroso rispetto della legalità e la salvaguardia della comunità di accoglienza; ma lo spirito autenticamente cristiano darà stile e coraggio nell'affrontare questi problemi e suggerirà i modi concreti con cui, nella vita quotidiana delle nostre comunità cristiane, siamo chiamati a risolverli (EEu 85,111). Approfondimenti per gli animatori Gli altri, questi sconosciuti Eppure il cristiano non avrebbe dovuto dimenticare che la sua condizione su questa terra è proprio quella dello straniero e del pellegrino che non possiede patria, perché la sua patria è nei cieli (FU 3,20), che non vanta diritti ereditari, perché suo padre era un arameo errante (Dt 26,5), che non si installa in nessuna roccaforte, perché il suo habitat è la paroikia, la carovana (1Pt 1,17). Noi cristiani siamo discepoli di un viandante per il quale non c'era posto nell'albergo (Lc 2,7), di uno venuto tra i suoi senza essere accolto (Gv 1,11), di un pellegrino così forestiero da non conoscere cos'è avvenuto a Gerusalemme (Lc 24,18). Gesù arriva perfino a identificarsi con lo straniero-eretico per eccellenza: il Samaritano (Lc 10,29-37). Sì, come cristiani non possiamo non dirci stranieri, siamo tutti forestieri, come ben aveva capito l'autore della lettera a Diogneto, scritta a cavallo tra il II° e il III° secolo della nostra era: «I cristiani vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera» (A Diogneto V,5). D'altronde, un mi-drash rabbinico al Salmo 119,19 «Io sono straniero sulla terra», non arriva forse a mettere in bocca a Dio stesso questa frase? Sì, Dio non solo ci chiede di aver cura, di rispettare il forestiero, memori della nostra antica condizione di stranieri (Es 22,20), non solo afferma di ascoltare il grido dello straniero, ma arriva addirittura - lui, il completamente Altro - a identificarsi con il forestiero, affinché noi stessi riconosciamo di non essere altro che stranieri. 111 L'irrompere della diversità - di lingua, di cultura, di religione, di comportamenti - nella quotidianità delle nostre vite oggi ci turba, quasi incombesse come oscura minaccia alla nostra identità. Non di minaccia si tratta, bensì di purificazione, di assunzione di consapevolezza: l'altro è colui che mi permette di capire chi sono, colui che per opposizione mi plasma, colui che rafforza la mia identità proprio mentre la contesta; il nemico è il migliore dei maestri che incontriamo nella vita. Nell'Evangelo secondo Giovanni, Gesù squarcia dei veli circa la propria identità e missione proprio in risposta a interrogativi o attacchi di persone a lui estranee, se non ostili: la samaritana al pozzo, quei farisei attorno al cieco nato, quei greci saliti a Gerusalemme per il culto, Pilato al processo. Negli evangeli post-pasquali poi, il Cristo risorto appare riconoscibile solo nell'altro: nel giardiniere, nel pellegrino di Emmaus, in un estraneo presso il lago. Nell'episodio di Emmaus, il forestiero, colui che non sa nulla di quanto è avvenuto a Gerusalemme, diventa addirittura la chiave di interpretazione dell'intera vicenda della passione, morte e resurrezione di Gesù; l'altro cessa allora di essere il nemico e diventa il tramite, l'interprete, colui che mi traghetta dal mio io alla verità che è più grande di me stesso e del mio cuore. Sì, ci attende un lungo e faticoso cammino: in questa nuova stagione, per essere uomini e cristiani autentici dobbiamo diventare competenti ed esperti di diversità, allenati a riconoscere l'alterità, capaci di incontrare e quindi di comunicare con uomini e donne che vengono da altre culture, altre esperienze, e che percorrono strade che non sono le nostre. Dobbiamo imparare a rispettare persone di cui non sappiamo nulla e a lasciarci interrogare dalle loro scelte, dai loro stili di vita differenti. Non dobbiamo semplicemente tollerare la diversità, ma condividerla, accettando il mistero dell'altro che sovente si presenta a noi come enigma... In ogni forestiero c'è un enigma che richiede di essere interpretato, affinché diventi mistero e insegnamento. Gli altri non sono l'inferno, come scriveva Jean-Paul Sartre, gli altri sono la nostra beatitudine su questa terra. (Enzo Bianchi) La Chiesa e il popolo zingaro Dalla seconda metà del secolo scorso v’è stato, da parte dei Pastori, un progressivo avvicinamento agli Zingari, avviandosi in alcuni Paesi una pastorale specifica a favore di questa popolazione. Il Concilio Vaticano II ha inoltre esortato i Vescovi ad avere «un particolare interessamento per quei fedeli che, a motivo delle loro condizioni di vita, non possono godere dell’ordinario ministero dei parroci o sono privi di qualsiasi assistenza», e fra questi fedeli sono annoverati anche «i nomadi» (CD 18). Un tale particolare interessamento è stato confermato da Paolo VI, quando, nel celebre incontro di Pomezia, già ricordato, così si è rivolto agli Zingari: «voi siete nel cuore della Chiesa»! La dignità cristiana, nella loro condizione, ha ricevuto poi un ulteriore riconoscimento con la beatificazione di Zeffirino Giménez Malla (1861-1936), detto “il Pelé”, uno Zingaro spagnolo appartenente al gruppo nomade dei Kalós. (Dal documento del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti, Orientamenti per una pastorale degli zingari) 112 lavori di gruppo o Potrebbe essere un’attività significativa quella di cercare di conoscere gli immigrati presenti nel proprio territorio, partendo magari (visto che è più semplice) dai cattolici. L’occasione e il motivo potrebbe essere un momento di festa. L’obiettivo senz’altro è quello di far diventare la parrocchia un’esperienza di chiesa in cui tutti si sentano a casa: La parrocchia è luogo di incontro e di integrazione di tutte le componenti d'una comunità. Essa rende visibile e sociologicamente individuabile il progetto di Dio di chiamare tutti gli uomini all'alleanza sancita in Cristo, senza eccezione o esclusione alcuna. La parrocchia, che etimologicamente designa un'abitazione in cui l'ospite si trova a suo agio, accoglie tutti e non discrimina nessuno, perché nessuno le è estraneo. Essa coniuga la stabilità e la sicurezza di chi si trova a casa propria con il movimento o la provvisorietà di chi è di passaggio. Dove il senso della parrocchia è vivo, si affievoliscono o scompaiono le differenze tra nativi e stranieri, poiché prevale la consapevolezza della comune appartenenza a Dio, unico Padre. (Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata delle migrazioni del 1999) o o o o Si potrebbe partire dal cercare un legame con una comunità etnica presente o meno sul territorio, che sia della stessa nazione cui si è legati dal punto di vista missionario, o comunque una comunità numericamente molto presente sul territorio. Obiettivo concreto di questa opera di sensibilizzazione potrebbe essere quello di una prima conoscenza tra giovani, da realizzarsi attraverso varie attività: una cena etnica, e/o una serata di musica etnica con gli immigrati della zona (qui non c’è problema nell’aprirsi anche a immigrati di altre religioni) Veglia di Pentecoste dei giovani, coinvolgendo gli immigrati cattolici che abitano in zona, in lingue e con canti di varie nazioni diffondere e promuovere la partecipazione (e partecipare) alla Festa diocesana dei popoli Riferimento: Centro Pastorale Immigrati, via Provolo 27, 045 8004247 113 Celebrazione In ginocchio davanti a Dio, in ginocchio davanti all’’’ uomo Istruzioni: La celebrazione che segue è pensata in forma di preghiera davanti all’Eucaristia. Si articola in due momenti, che evidenziano l’atteggiamento di servizio come realizzazione del comandamento dell’amore. Lasciandoci guidare dall’esempio di Gesù che lava i piedi ai discepoli, possiamo fare altrettanto, sapendo che solo così possiamo essere intimamente uniti a lui e vivere da veri testimoni. A conclusione della celebrazione è posto un gesto simbolico, quello del sassolino nella scarpa che rappresenta ciò che può bloccarci nel servizio: per questo gesto è necessario che la persona che guida la celebrazione, suo malgrado, porti per tutto il tempo un sassolino nella scarpa (!). Ma sarà un sacrificio che varrà la pena fare… Esposizione e canto Guida: Siamo davanti al Signore, nascosto sotto le sembianze del pane. Ammiriamo la maestà di Dio che sceglie di farsi presente in uno dei prodotti più umili del lavoro degli uomini. Per formare quel pane si sono messi insieme molti chicchi, quanti siamo noi e di più ancora. Un solo chicco di grano non fa pane, come un cristiano isolato ed individualista non fa Chiesa. La storia dei primi cristiani, tanto lontana e pur tanto simile alla nostra, sprigiona una forza coesiva che incanta e commuove. Non si fa comunione con Cristo se non si fa comunione con i fratelli. E la comunione, la profonda unione tra le persone, viene solo dall’amore. 1 – Si cinse un asciugatoio Dal Vangelo Secondo Giovanni (Gv 13, 1-17) Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?". Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo". Gli disse Simon Pietro: "Non mi laverai mai i piedi!". Gli rispose Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me". Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!". Soggiunse Gesù: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di 114 lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti". Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: "Non tutti siete mondi". Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: "Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. Lettore1: È l'ora di valorizzare tutto: il poco, il piccolo, il meno bello... Perché un pizzico di lievito fa crescere una massa di farina. Milioni di piccolissime cellule ci offrono la meraviglia di un corpo umano e milioni di fili d'erba la bellezza di un prato verde a primavera. È l'ora di valorizzare anche tutto quello che è in te. Raccogli tutto ciò che lo Spirito ha posto nella tua vita. C'è sempre qualcuno che ha fame di verità e di pace, e viene a bussare alla porta del tuo cuore... Offrigli le cose più preziose che sono in te: la prontezza dell'intelligenza, la forza di volontà, la profonda capacità di ascolto e di consolazione... Se non possiedi questi doni in modo vistoso non rattristarti. Offri i piccoli doni di cui sei portatore: un'idea gentile, un sentimento di amore sincero, la freschezza del tuo dialogo e del tuo sorriso. Allora comprenderai che i piccoli doni che offri non sono poi... degli avanzi. Sono semi destinati a germinare, a fiorire, a fruttificare. La vita ci educa a donare le nostre capacità, le nostre doti, i privilegi... perché chi non ha possa essere arricchito da me. Ciò che sostiene questa logica è la convinzione che tutto ci è stato donato gratuitamente e che tutto, quindi, siamo chiamati a donare; che non siamo padroni di nulla, che ciò che ci rende graditi al Padre è questa capacità di condividere e di spezzarci. Tu che vivi del Pane della vita, tu che ti lasci plasmare da questo dono di salvezza, tu che comunicandoti a Lui divieni “corpo di Cristo”…dove e come puoi essere “servo per amore”? Canto: Servo per amore Lettore2: Se dovessi scegliere un ricordo di te, Signore, prenderei proprio quel catino colmo d'acqua sporca. Girare il mondo con quel recipiente e ad ogni piede cingermi dell'asciugatoio e curvarmi giù in basso, non alzando mai la testa oltre il polpaccio per non distinguere i nemici dagli amici, e lavare i piedi del vagabondo, dell'ateo, del drogato, del carcerato, dell'omicida, di chi non mi saluta più, di quel compagno per cui non prego mai, in silenzio finché tutti abbiano capito nel mio il tuo amore. (Luigi Santucci, Una vita di Cristo: «Volete andarvene anche voi?») 115 Risposta corale: Signore, vuoi le mie mani per passare questa giornata aiutando i poveri e i malati che ne hanno bisogno? Signore, oggi ti do le mie mani. Signore, vuoi i miei piedi per passare questa giornata visitando coloro che hanno bisogno di un amico? Signore, oggi ti do i miei piedi. Signore, vuoi la mia voce per passare questa giornata parlando con quelli che hanno bisogno di parole d'amore? Signore, oggi ti do la mia voce. Signore, vuoi il mio cuore per passare questa giornata amando ogni uomo solo perché è un uomo? Signore, oggi ti do il mio cuore. (Madre Teresa di Calcutta) Canto 2 – Da questo si conosce che noi rimaniamo in Lui Dalla prima lettera di san Giovanni Apostolo Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. 116 In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito. Lettore1: Ciò che hai fatto tu, Signore, chiedi anche a noi di farlo. Ci chiedi di piegare le nostre ginocchia, noi che siamo spesso così rigidi e orgogliosi. Ci chiedi di chinarci davanti agli altri, uomini come noi. Ci chiedi di ripulirli, di lavarli, di servirli, di allontanare da noi e da loro le loro sporcizie, di non guardare al difetto, ma di farci avanti per allontanarlo. Ci chiedi di preoccuparci degli uomini, di avere cura di loro. Ci chiedi di trovare in questo la nostra vera grandezza: nel farci piccoli, nel farci ultimi, nel farci servi. Chi è grande deve farsi servo del più piccolo, il primo deve chinarsi davanti all’ultimo. Lettore2: Da questo, ci dici, tutti vedranno che ti abbiamo conosciuto. Il nostro distintivo, il nostro segno di riconoscimento sarà questo andare controcorrente rispetto alle leggi del mondo, per scegliere con coraggio di donarci come hai fatto tu. Attingendo dal tuo grandissimo amore, troveremo anche in noi stessi la ricchezza del cuore necessaria a farci dono per gli altri. Gesto Celebrante o guida: Ora vi mostro cosa ho tenuto con me per tutto il tempo della celebrazione: un sassolino nella scarpa. Non è stato certo comodo, ma durante tutto il tempo che sono stato con voi ho cercato di superare questo piccolo problema. Se non mi fossi sforzato di non pensarci, di sorvolare, di guardare oltre, non sarei riuscito a fare quello che desideravo fare per voi. Questo sassolino può rappresentare lo scoglio che spesso ci ferma di fronte ad un servizio da prestare agli altri (pregiudizi, vecchi rancori, antipatie, timidezza, senso d’inadeguatezza, paura di essere giudicati, poca voglia di fare fatica, ecc.), un blocco che spesso camuffiamo con scuse (non ho tempo, non sono portato, ecc.). Ora possiamo scrivere su un biglietto qual è il problema, la paura, lo “scoglio” che facciamo più fatica ad affrontare quando siamo chiamati a prestare un servizio a qualcuno che ne ha bisogno, quindi depositiamo il biglietto in una cesta davanti all’altare, offrendolo al Signore come impegno personale. In cambio prendiamo dalla cesta accanto un sassolino che terremo con noi come promemoria dell’impegno preso. canto 117 Risposta corale al gesto: Noi ci impegniamo… Ci impegniamo noi, e non gli altri; unicamente noi, e non gli altri; né chi sta in alto, né chi sta in basso; né chi crede, né chi non crede. Ci impegniamo, senza pretendere che gli altri si impegnino, con noi o per conto loro, con noi o in altro modo. Ci impegniamo senza giudicare chi non s’impegna, senza accusare chi non s’impegna, senza condannare chi non s’impegna, senza cercare perché non s’impegna. Il mondo si muove se noi ci muoviamo, si muta se noi mutiamo, si fa nuovo se qualcuno si fa nuova creatura. La primavera incomincia con il primo fiore, la notte con la prima stella, il fiume con la prima goccia d’acqua, l’amore col primo pegno. Ci impegniamo perché noi crediamo nell’amore, la sola certezza che non teme confronti, la sola che basta a impegnarci perpetuamente. don Primo Mazzolari 118 Guida: Riceviamo la benedizione eucaristica e poi, in piedi davanti al Santissimo, recitiamo insieme la preghiera che segue, come risposta al segno di benevolenza del Signore che, presente e vivo davanti a noi, benedice la nostra intenzione di farci prossimi di chi ci sta accanto, come Lui stesso ci ha insegnato con il suo esempio. Insieme: Beati noi se, avendo viva nella mente e nel cuore l'icona del Figlio di Dio in ginocchio davanti all'uomo, mentre lava i piedi ai discepoli, stiamo gli uni di fronte agli altri in atteggiamento di servizio, con rispetto, venerazione, serenità, amore, cosi come si sta davanti a Dio. Beati noi se riusciamo a vivere di gratitudine, lode,ringraziamento verso il Padre che da sempre ciama e ci ha creati, nei confronti del Figlio che con la sua vita donata ci ha redenti, nello Spirito che giorno dopo giorno ci fa santi. Beati noi se ci facciamo ascolto di Colui che è Parola e Pane ed ha il potere di scaldare il cuore e aprire gli occhi, per riconoscerlo risorto e correre per portare al mondo l'annuncio di una festa nuova. Variante: in alternativa proponiamo la celebrazione dell’Eucaristia. Il racconto dell’ultima cena nell’evangelista Giovanni infatti non narra dell’istituzione dell’Eucaristia, ma di un gesto compiuto da Gesù che ha il medesimo significato: la lavanda dei piedi. Come nell’istituire l’Eucaristia, Gesù esprime la consegna di se stesso (Questo è il mio corpo per voi), così la lavanda dei piedi dice sinteticamente tutta la vita di Gesù data per servire i fratelli. Proponiamo quindi di celebrare l’Eucaristia per rivivere realmente il donarsi di Cristo nell’Eucaristia, celebrando anche il rito della lavanda dei piedi, esplicitazione concreta dello stile di vita che nasce dall’Eucaristia. Proponiamo semplicemente tre sottolineature durante la Messa, lasciandoci guidare dal racconto di Giovanni: 1° momento: dopo il saluto liturgico leggere il versetto seguente, ricordando il significato dell’Eucaristia come memoriale di ciò che Gesù ha compiuto nell’ultima cena Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. 2° momento: lettura del Vangelo 2 Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, 3 Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4 si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. 5 Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. 6 Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7 Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». 8 Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9 Gli disse Simon 119 Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». 10 Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti». 11 Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi». Omelia: introduzione con la lettura di questo testo di don Tonino Bello Stola e grembiule Forse a qualcuno può sembrare un'espressione irriverente, e l'accostamento della stola col grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio. Si, perchè di solito la stola richiama l'armadio della sacrestia, dove con tutti gli altri paramenti sacri, profumata d'incenso, fa bella mostra di sè, con la sua seta ed i suoi colori, con i suoi simboli ed i suoi ricami. Non c'è novello sacerdote che non abbia in dono dalle buone suore del suo paese, per la prima messa solenne, una stola preziosa. Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della buona massaia. Ordinariamente non è articolo da regalo: tanto meno da parte delle suore, per un giovane prete. Eppure è l'unico paramento sacerdotale registrato dal vangelo. Il quale vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù nella notte del Giovedì Santo, non parla nè di casule, nè di amitti, nè di stole, nè di piviali. Parla solo di questo panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto squisitamente sacerdotale. Chi sa che non sia il caso di completare il guardaroba delle nostre sacrestie con l'aggiunta di un grembiule tra le dalmatiche di raso e le pianete di samice d'oro, tra i veli omerali di broccato e le stole a lamine d'argento! La cosa più importante, comunque, non è introdurre il "grembiule" nell'armadio dei paramenti sacri, ma comprendere che la stola ed il grembiule sono quasi il diritto ed il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l'altezza e la larghezza di un unico panno di servizio: il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo. La stola senza il grembiule resterebbe semplicemente calligrafica. Il grembiule senza la stola sarebbe fatalmente sterile. A questo punto il celebrante si toglie la casula, e sotto appare vestito con sopra il camice sia la stola che il grembiule. Spiega quindi il legame Eucaristia - lavanda dei piedi, e poi “a tradimento” lava i piedi ad alcuni dei ragazzi (quelli che ha più vicini a sé, oppure a 12 se poi ci sono anche altri ragazzi) 3° momento: compiuta la lavanda dei piedi si legge l’ultima parte del Vangelo 12 Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? 13 Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. 14 Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. 15 Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. 16 In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è 120 più grande di chi lo ha mandato. 17 Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. Proseguendo quindi la riflessione, il sacerdote invita quindi coloro cui ha lavato i piedi a fare altrettanto con gli altri ragazzi. La celebrazione eucaristica prosegue poi normalmente. Al termine viene consegnato ad ogni ragazzo un grembiule. 121 Parte 3 Fatelo anche voi 1.1.3 Anche voi chi? Semplice, i suoi discepoli, la sua comunità. Entriamo allora dentro la comunità parrocchiale, per coinvolgere alcune persone che nell’ordinarietà della parrocchia vivono il proprio servizio. Potranno essere persone impegnate nel servizio caritativo di cui abbiamo parlato nel precedente capitolo; potranno essere catechisti e animatori, o alcune persone di speciale consacrazione. Animati tutti dal desiderio di fare come lui: perché? 122 ) Animatore Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame WILL HUNTING - GENIO RIBELLE Di Gus Van Sant – Cecchi Gori, 1998 Soggetto: Nei quartieri poveri a sud di Boston, Will Hunting, vent’anni, vive in modo precario e disordinato insieme ad alcuni amici teppisti e guadagna qualcosa, lavorando come inserviente nel dipartimento di matematica del famoso MIT. Tra una chiacchiera e l'altra, e incontri occasionali, Will si lascia andare ad improvvise citazioni storiche e risolve senza fatica un problema di matematica che sembra difficilissimo. Tutto ciò attira l'attenzione del prof. Lambeau, che comincia a seguire Will fin quando il ragazzo, arrestato dopo l'ennesima rissa in un bar, viene condannato alla prigione. Lambeau interviene per fargli ottenere la libertà, promettendo al giudice di affidarlo ad uno psicologo. Dapprima Will deride i medici che provano a curarlo, poi Lambeau decide di affidarsi a Sean, vecchio compagno di università. I due cominciano a parlare. Sean ha perso da poco la moglie, ed è un vuoto che non riesce ancora a colmare. Will lo capisce e se ne serve per metterlo in difficoltà. Tra i due si instaura un rapporto difficile, ma molto schietto che tuttavia sembra sfociare in una rottura. Molto seccato per l'anda-mento delle cose, Lambeau rimprovera aspramente Sean, facendo riaffiorare antichi attriti dei tempi dell'università. Intanto Will, che ha rifiutato importanti proposte di lavoro, conosce Skylar, una studentessa di Harvard, con la quale inizia una relazione. Skylar gli confessa di essere innamorata, ma lui rifiuta qualsiasi affetto, memore delle delusioni e delle violenze ricevute durante l'infanzia e l'adolescenza. Avendo passato le stesse difficoltà, Sean trova finalmente gli argomenti e le parole giuste per arrivare ad una nuova comprensione con il suo paziente, che alla fine scoppia in lacrime e si lascia convincere ad accettare un nuovo lavoro e a raggiungere la ragazza che lo ama. Valutazione Pastorale: Matt Damon, il giovane attore protagonista, è anche l’autore del soggetto. L’aveva preparato come tesi di scrittura creativa quando era studente ad Harward nel 1992, poi, insieme all’amico coetaneo Ben Affleck, l’aveva ripreso e rielaborato fino a farne una sceneggiatura completa. Nel copione i due autori hanno descritto lo stato psicologico ed esistenziale di tanta gioventù americana: l’infanzia difficile, la paura di crescere, la schermatura di sé stessi di 123 fronte all’esterno. Reso diffidente da esperienze dolorose, Will porta con sé i guasti di un ambiente negativo e tuttavia, pur continuando a scontrarsi, prende coscienza della propria non-vita, intuisce di non dover sprecare il talento di cui è in possesso, si lascia andare alla comprensione, all’amore, forse alla costruzione di qualcosa di più solido. Affidato a situazioni drammatiche autentiche e sincere, il film si segnala per la forza con cui sottolinea l’importanza di valori positivi nella crescita dell’individuo: la necessità di dare e ricevere fiducia, il colloquio, l’importanza degli affetti, tutti elementi che si intrecciano con altri (la presenza e il ruolo dello psicanalista) a costruire un quadro movimentato e intenso. Ne deriva, dal punto di vista pastorale, un film senz’altro complesso, da accettare sia pure con qualche riserva, per alcune situazioni un po’ meno sorvegliate. Da consigliare anche per dibattiti. La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi o Qui la testimonianza non è da cercare fuori dal gruppo, ma da voi stessi o da qualche collega animatore o catechista di qualche altro gruppo: l’animatore si mette in gioco sul perché lui ha scelto o deciso (probabilmente su invito altrui …) di diventare responsabile della trasmissione della fede e della crescita umana di ragazzi e ragazze. o Domande che si devono tener come sottofondo: • • • • • • Perché questa scelta? Quali motivazioni sono alla base di questa decisione? Qual è l’obiettivo che ci si è posti? Quale il momento preciso in cui si è capito l’importanza di una testimonianza diretta ed esplicita di carattere cristiano? Momenti difficili e momenti belli … La domanda “canonica” in questo caso: ma chi te lo fa fare? Risposta... Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione o Ancora l’animatore: sceglie e propone il brano biblico che più gli si addice e rappresenta nella scelta di impegnarsi come educatore. • • • • 124 Quando ho letto per la prima volta questo brano? Cosa mi ha detto quel giorno? Perché ha “cambiato” la mia vita? In che modo ha inciso? Come ho provato a tradurlo concretamente nelle mie scelte? Qualche risposta: prospettive di approfondimento Il Prologo della Prima lettera di Giovanni, come testimonianza della prima generazione di cristiani, testimoni oculari di Cristo, sull’atto del comunicare la fede alla generazione successiva: o Il riferimento all’evento di Gesù Cristo, verbo di Dio fatto uomo o L’esperienza personale dell’incontro con il Cristo o La comunità (noi) alla generazione successiva (voi) o Annunciamo: la dimensione del narrare i fatti, l’esperienza e la qualità della relazione con Cristo o Perché siate in comunione con noi: vi inseriate nella catena di trasmissione della fede che ha coinvolto anche noi o La nostra comunione è col padre e col Figlio suo Gesù Cristo: fino ad arrivare a quello stesso Gesù Cristo che ci ha messi in comunione con Dio Padre o La nostra gioia sia in voi: perché possiate fare la stessa esperienza di gioia che nasce dall’incontro con Cristo che abbiamo fatto noi Approfondimenti per gli animatori La catechesi ai giovani Con la giovinezza giunge l'ora delle prime grandi decisioni. Sostenuto forse dai membri della sua famiglia e dagli amici, e tuttavia lasciato a se stesso e alla propria coscienza morale, il giovane dovrà prendere su di sé la responsabilità del suo destino in maniera sempre più frequente e determinante. Bene e male, grazia e peccato, vita e morte si scontreranno sempre di più dentro di lui, certamente come categorie morali, ma anche e soprattutto come opzioni fondamentali, che egli dovrà accogliere o rigettare con lucidità e con senso di responsabilità. È evidente che una catechesi, la quale denunci l'egoismo in nome della generosità, che senza semplicismi o senza schematismi illusori offra il senso cristiano del lavoro, del bene comune, della giustizia e della carità, una catechesi della pace tra le nazioni e della promozione della dignità umana, dello sviluppo, della liberazione, quali sono presentate nei recenti documenti della chiesa, integra felicemente nello spirito dei giovani una buona catechesi delle realtà propriamente religiose, che non deve mai essere trascurata. La catechesi assume allora un'importanza considerevole, poiché è il momento in cui il vangelo potrà essere presentato, compreso e accolto in quanto capace di dare un senso alla vita e, quindi, di ispirare atteggiamenti altrimenti incomprensibili: rinuncia, distacco, mansuetudine, senso dell'Assoluto e dell'invisibile ecc., altrettanti elementi che permetteranno di identificare questo giovane tra i suoi compagni come un discepolo di Gesù Cristo. (Giovanni Paolo II Catechesi Tradendae 39) 125 Spiritualità: Un animatore cristiano Cosa si intende con la parola SPIRITUALITÀ? La spiritualità è fare esperienza di Dio, un modo per essere cristiani e testimoniarlo a chi ci sta intorno. Il cristiano segue Gesù e la spiritualità è il modo concreto con cui si esprime, ma non solo in alcuni momenti, sempre! Proprio per questo è innanzitutto un modo di vivere la vita quotidiana. Come e perché vivere la SPIRITUALITÀ? L’animazione non è solamente un bella tecnica, un bel modo di passare il tempo facendo divertire e divertendosi: alla base di tutto ci deve essere qualcosa di “forte”. L’animazione è cercare di imitare Gesù nella sua disponibilità ai più piccoli e bisognosi e quindi l’animatore deve incontrare Dio “dentro” la sua attività e non ai margini, testimoniando Cristo con tutta la sua vita. Un animatore quindi si sente coinvolto in prima persona nell’attività che svolge ed è “testimone” della vita e della speranza in cui crede. La spiritualità dell’animatore La spiritualità mette in gioco la cultura, l’educazione e l’animazione; richiede una visione di vita unificata e coerente con i principi cristiani e ci propone uno stile nel nostro vivere di ogni giorno. In quest’ottica l’animazione aiuta a leggere la Parola di Dio dentro la vita quotidiana. La vita spirituale dell’animatore deve quindi avere dei pilastri importanti: punti che devono essere elementi fondamentali della vita spirituale, per poter maturare e per crescere, aiutando i ragazzi a fare altrettanto. Vita spirituale Per poter camminare con Cristo, dobbiamo capire ciò che Lui vuole da noi, cercando di seguire i suoi insegnamenti attraverso la lettura e meditazione della Parola, attraverso la Confessione, attraverso il dialogo con il proprio Padre Spirituale, con l’Eucarestia, con la Preghiera. Per poter essere sicuri che nella nostra vita ci sia un solo punto di riferimento (il più importante), dobbiamo metterlo al centro della nostra vita, dandogli la possibilità di guidarci. Soprattutto dobbiamo evitare di farci prendere dalla frenesia del fare, mentre possiamo lasciarci contagiare dalla frenesia dell’essere. Vita ecclesiale I momenti che viviamo in gruppo non si devono basare solo sull’amicizia, essa è importante, ma la vera e unica motivazione deve essere l’incontro con il Signore. Noi siamo Figli di Dio e come tali ci dobbiamo incontrare e confrontare con gli altri, tenendo presente che Lui è con noi e ci guida. 126 Scelta vocazionale Scelta vocazionale non significa solo diventare Preti o Suore, ma significa fare le scelte alle quali noi siamo chiamati a dare una risposta, sono scelte di vita, della nostra vita in Cristo, della vita della Chiesa, di testimonianza cristiana, di Missione, di Servizio. Nel nostro piccolo anche noi dobbiamo vivere seguendo le chiamate che di volta in volta il Signore ci fa, senza aver paura di non essere all’altezza del compito che ci è stato chiesto, visto che se ci ha voluti per un compito, sa che noi ne abbiamo le capacità. Vita sociale La nostra vita sociale è il nostro modo di porci nel nostro ruolo di appartenenti alla società: il nostro modo di presentarci, la nostra coerenza, competenza, il nostro impegno, l’amorevolezza con le persone che ci stanno vicino. Prima di tutto noi testimoniamo con il nostro modo di fare e di essere, e solo dopo con le nostre parole… dobbiamo essere testimoni di quello che diciamo. Quello che dobbiamo tenere in considerazione è che noi siamo Figli di Dio e come tali abbiamo il dono di essere vicini a Lui e amati da Lui. Gli strumenti che dobbiamo adottare per poter camminare con Lui sono l’interiorità e il silenzio del cuore, la perseveranza e l’ascolto. E questa voglia di seguire Cristo, l’animatore la testimonia agli altri innanzitutto con l’accettazione di sé, in positivo, con le proprie fragilità, pregi e difetti, il che equivale ad accettare la vita; poi la passione per la vita, da accogliere, riconoscere, promuovere e far crescere; infine la passione educativa, poiché l’animazione non è pura tecnica, ma è una scommessa, con la quale si dà fiducia all’uomo e si ha fede nello Spirito, punta alla crescita della persona. (Dal sito dei salesiani www.elledici.org) Lavori di gruppo Proporre a ciascun ragazzo una sorta di messa a fuoco sulla figura dell’animatore (che sicuramente risulterà utile e importante per l’animatore stesso): lettere al proprio animatore: • caro any, mi hai convinto su … , • da te mi aspetto che…, • ti ringrazio per… 127 ) Parroco Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame Don Milani Di Antonio e Andrea Frazzi, - Mondadori Rai – 1997 SOGGETTO: Don Milani è malato e la malattia gli ha lasciato poco tempo ancora da vivere. Torna nella sua parrocchia di Barbiana e ripercorre con la memoria gli eventi che hanno segnato il suo percorso, dalla creazione della scuola a San Donato di Calenzano, all'esperienza didattica con i figli dei contadini a Barbiana, alla notorietà e alle discussioni sui suoi metodi, alla preparazione della "Lettera ad una professoressa". Fa da sfondo l'Italia degli anni del dopoguerra e della ricostruzione, segnata dalle differenze sociali e dal distacco fra Chiesa e società. Valutazione pastorale: Film TV, prodotto da RAI, sugli ultimi vent'anni del fiorentino don Lorenzo Milani (1923-67) che a Barbiana, nel Mugello, fondò una scuola popolare a tempo pieno, basata sul lavoro di gruppo, di cui fu frutto il libro “Lettere a una professoressa”, pubblicato nel(1970) che, pur tra le accese polemiche che suscitò, al di là delle contingenze che lo dettarono, è diventato un classico della letteratura italiana del secondo Novecento, acquistando "il valore di una immensa e mirabile metafora del tempo nuovo" (Ernesto Balducci). Scritto da Sandro Petraglia e Stefano Rulli e diretto con intensità dai due gemelli Frazzi, lo sceneggiato TV (compresso in 150min, in un'edizione per le sale cinematografiche) racconta con onestà, rispetto, cauta dolcezza un Milani "evangelicamente corretto, purgato della sua componente più aspra e provocatoria" (Massimo Bernardini). Sobria, ben modulata interpretazione di Sergio Castelletto, che suggerisce con discrezione questa figura di santo laico, capace di stare all'infinito dalla parte dei perdenti ("I poveri li avrete sempre con voi" dal discorso della Montagna). Altro titolo: Alla luce del sole Di Roberto Faenza – 01 distribution, 2005 128 La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi o o Attività: mettersi d’accordo con il parroco-curato per un incontro “a sorpresa”, cioè accordarsi per una visita in canonica con il gruppo, facendola sembrare inaspettata. Punti centrali della testimonianza: • il racconto di sé, anche attuale (che vita pratica fa, orari, attività, incontri, problemi, soddisfazioni: la vita normale …). • Motivi della vocazione: se è il curato, il perché della scelta di questa vita nel contesto di oggi, che prevede una scala di valori ben diversa dalla decisione sacerdotale; se è più anziano, andare comunque a scavare nelle motivazioni di scelta • Farsi motivare il sì di ogni giorno: cosa c’è dietro alla decisione quotidiana di mettersi a disposizione di tutti e annunciare a tutti il Vangelo? Potrebbe essere interessante anche un incontro con la comunità del seminario: con i coetanei del liceo o con i giovani di Casa San Giovanni, per un incontro centrato sulla ricerca vocazionale (045/8399611) o con la comunità della teologia per capire il percorso e le motivazioni di chi si sta preparando a diventare prete (045/8900329) Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione o o Vari sono brani biblici di riferimento per poter entrare nella comprensione dell’identità e spiritualità del prete. Sarebbe importante che colui che fa la testimonianza vi indicasse quelli più significativi ed espressivi per la propria esperienza. Proponiamo il riferimento a Gesù Buon Pastore nel vangelo di Giovanni (Gv 10,1118), di cui il prete è segno; le azioni con cui Gesù descrive il suo compito, diventano alcune delle azioni stesse del ministero presbiterale in ordine al gregge affidato • Offre la vita • Le pecore gli appartengono • Gli importa delle pecore • Conosce le pecore, è conosciuto da esse, così come egli è conosciuto dal padre • Ha altre pecore per cui è mandato • Fa udire la sua voce • Raduna le pecore in un gregge Qualche risposta: prospettive di approfondimento o Il sacerdote è chiamato a presiedere e guidare il popolo di Dio, attraverso l’insegnamento della Parola, i gesti che santificano, ha in mano quindi il governo della comunità. I vescovi sono uniti tra loro come in un unico corpo, attorno e sotto la guida del vescovo di Roma, il Papa, che garantisce l'unità della fede e della carità per tutte le Chiese disperse 129 o o o o o nel mondo. I presbiteri vivono in stretta comunione con il loro vescovo e, in forza dell'Ordine sacro, sono configurati a Cristo pastore e inviati in mezzo ai fedeli come primi e diretti collaboratori del mistero episcopale. A significare e a rendere concreta la propria configurazione a Cristo e il dono di sé ai fratelli, il prete si impegna a vivere nel celibato, rinunciando a una propria famiglia in vista di una paternità spirituale che non ha limiti. A questa identità e funzione del prete deve corrispondere uno stile e un progetto di vita. Se egli è annunciatore della parla di Dio nel nome di Cristo, deve diventarne il primo ascoltatore, attento e disponibile. Non è il padrone della Parola, ma l'amministratore fedele. Sa di portare un tesoro grande nel vaso fragile della sua povera umanità. Aiuta i suoi fratelli a diventare testimoni del Vangelo nei diversi ambienti e nelle differenti condizioni di vita. Se concede il perdono nel nome di Cristo, deve educarsi alla misericordia stessa di Gesù e farsi strumento di riconciliazione tra gli uomini. Poiché presiede l'Eucarestia, è chiamato a vivere più da vicino ciò che celebra. La morte di Gesù deve entrare nella sua vita, per dargli la forza di essere offerta d'amore a Dio, a totale servizio dei fratelli. Se nel nome di cristo, guida ed edifica la comunità cristiana, deve farsi uomo della comunione. Con la sua azione educatrice riconosce e stimola i doni che Dio concede a ciascuno e ai singoli gruppi. Esorta tutti a mettere questi doni a servizio della crescita della comunità. Non spadroneggia su quanti Dio gli ha affidato e non assorbe in sé i compiti che Dio ha concesso ad altri. Lo scopo del suo servizio di guida è di rendere tutti protagonisti nella Chiesa, in particolare i più poveri e i più deboli. (Dal Catechismo dei Giovani 1, pag 274-276) Approfondimenti per gli animatori o o o I presbiteri sono chiamati a prolungare la presenza di Cristo, unico e sommo pastore, attualizzando il suo stile di vita e facendosi quasi sua trasparenza in mezzo al gregge loro affidato. Come scrive in modo chiaro e preciso la prima Lettera di Pietro: «Esorto i presbiteri che sono tra voi, quale com-presbitero, testimone della sofferenza di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo: non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce». I presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ri-presentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore, ne proclamano autorevolmente la parola, ne ripetono i gesti di perdono e di offerta della salvezza, soprattutto col Battesimo, la Penitenza e l'Eucaristia, ne esercitano l'amorevole sollecitudine, fino al dono totale di sé per il gregge, che raccolgono nell'unità e conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito. In una parola, i presbiteri esistono ed agiscono per l'annuncio del Vangelo al mondo e per l'edificazione della Chiesa in nome e in persona di Cristo Capo e Pastore. Questo è il modo tipico e proprio con il quale i ministri ordinati partecipano all'unico sacerdozio di Cristo. Lo Spirito Santo mediante l'unzione sacramentale dell'Ordine li configura, ad un titolo nuovo e specifico, a Gesù Cristo Capo e Pastore, li conforma ed anima con la sua carità pastorale e li pone nella Chiesa nella condizione autorevole di servi dell'annuncio del Vangelo ad ogni creatura e di servi della pienezza della vita cristiana di tutti i battezzati. 130 o La verità del presbitero, quale emerge dalla Parola di Dio, ossia da Gesù Cristo stesso e dal suo disegno costitutivo della Chiesa, viene così cantata con gioiosa gratitudine dalla Liturgia nel Prefazio della Messa del Crisma: «Con l'unzione dello Spirito Santo hai costituito il Cristo tuo Figlio Pontefice della nuova ed eterna alleanza, e hai voluto che il suo unico sacerdozio fosse perpetuato nella Chiesa. Egli comunica il sacerdozio regale a tutto il popolo dei redenti, e con affetto di predilezione sceglie alcuni tra i fratelli che, mediante l'imposizione delle mani, fa partecipi del suo ministero di salvezza. Tu vuoi che nel suo nome rinnovino il sacrificio redentore, preparino ai tuoi figli la mensa pasquale e, servi premurosi del tuo popolo, lo nutrano con la tua parola e lo santifichino con i sacramenti. Tu proponi loro come modello il Cristo, perché, donando la vita per te e per i fratelli, si sforzino di conformarsi all'immagine del tuo Figlio, e rendano testimonianza di fedeltà e di amore generoso ». (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis n°15) Lavori di gruppo Proponiamo alcune cose da fare che non sono semplicemente di gruppo; potrebbero anche essere vissute a gruppetti di 2/3 persone, sempre che il proprio parroco ne veda l’opportunità e ci sia la disponibilità logistica: o o o o Una settimana in cui a turno c’è sempre qualcuno dei ragazzi in canonica, con alcune attenzioni o disponibilità a piccoli servizi di cui il don possa avere bisogno Una sorta di “convivenza” (non necessariamente anche notturna) in canonica: è una possibilità che viene offerta non tanto per trascorrere una settimana alternativa fuori da casa, ma che abbia lo scopo di far “capire” qual’é la vita del prete e cosa effettivamente è chiamato a fare; vedere, quindi, come si svolge la sua giornata e da cosa è motivata. Organizzare una settimana in cui, a turno, c’è sempre qualcuno a cena: per vedere e conoscere il proprio parroco anche in una veste diversa e per farsi raccontare la giornata. Accompagnare il don in qualche suo incarico o compito. 131 ) Vita religiosa Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame FUORI DAL MONDO Di Giuseppe Piccioni - Edizioni Paoline, 1999 Soggetto: A Milano, oggi, Caterina, giovane suora ormai prossima alla dichiarazione di professione perpetua, si vede affidare all'improvviso da un uomo di passaggio un neonato abbandonato nel parco. Caterina lo porta all'ospedale e l'episodio potrebbe concludersi lì, invece non riesce a dimenticarlo, lo va a trovare e allo stesso tempo sente dentro di sé l' urgenza di sapere qualche notizia in più. Partendo dal maglione nel quale il piccolo era avvolto, Caterina risale alla lavanderia di Ernesto, uomo solo, chiuso nel suo lavoro, instabile fino al punto di cadere in frequenti sbalzi di umore e pressione. Ernesto aveva lasciato quel maglione a casa di Teresa, una ragazza che aveva lavorato al negozio, e che aveva accompagnato a casa dove poi aveva passato la notte. Caterina vuole trovare la madre del bambino, mentre Ernesto vorrebbe chiudere subito la questione, ma a poco a poco la possibilità di essere il padre fa nascere in lui reazioni e spinte, finora mai provate. Teresa ha lasciato la casa della mamma, gira per Milano in cerca di una sistemazione, rivede Gabriele, il suo ex ragazzo, poliziotto, che la invita a rimanere casa sua. Anche Caterina ed Ernesto (pur avendo saputo di non essere il padre) continuano a vedersi, lui è stato informato che Teresa si trova alla festa di matrimonio di un'amica. Decidono di recarvisi, ma Caterina prima indossa abiti borghesi. Alla festa, Caterina avvicina Teresa, si mette a parlare del bambino e la ragazza scoppia in un pianto doloroso. La ricerca si é conclusa. Ernesto accompagna Caterina in macchina al convento fuori Milano. Qualche breve parola corre rapidamente tra loro, ma niente cambia. Caterina lo saluta e raggiunge le sue consorelle. Valutazione Pastorale: Il regista Giuseppe Piccioni si è segnalato negli anni scorsi per alcuni titoli interessanti, quali "Il grande Blek" (1987), "Chiedi la luna" (1990), "Cuori al verde" (1995). Qui conferma la sua disposizione, acuta e intelligente, ad osservare tipologie e caratteri dell'Italia contemporanea, concentrandosi su un personaggio tutt'altro che facile, quello di una suora. Caterina é colta nel momento in cui dà avvio ad una ricerca, una sorta di viaggio durante il quale incontra tante persone ma sopratutto incontra più volte sè stessa, si confronta con le proprie reazioni emotive di fronte ad un evento inatteso. Il film cresce a poco a poco, come una storia d'amore autentica e vera, pone in primo piano l'importanza del mettersi in ascolto verso gli altri, 132 fotografa con passione attimi vibranti di realtà, coglie il disagio quotidiano delle persone, scava nella sofferenza dell'individuo e insieme riesce a raccontare con semplicità la vita di tutti i giorni di una metropoli come Milano. Con pudore e rispetto, insoliti nel cinema italiano, il film evidenzia tutte le difficili sfumature racchiuse nella scelta di essere suora in una situazione sociale complessa e stratificata come quella italiana di oggi. Va notata la sensibilità con cui Piccioni tocca la sostanza dell'amore come rispetto e delle decisioni difficili come ostacolo da superare per arrivare ad un migliore equilibrio interiore. Il film, dal punto di vista pastorale, è da raccomandare, per la sua intensa e sincera problematicità e perché, proprio mentre sembra dare spazio a dolore e difficoltà, parla invece di bellezza e di felicità. Il GRANDE SILENZIO Di Philip Gröning - metacinema, 2006 Tre ore di silenzio, tra le mura della Grande Chartreuse sulle Alpi francesi, tra i monaci che hanno rinunciato alla parola e scandiscono le proprie giornate con il lavoro, la preghiera e la meditazione. C'è di che spaventare il pubblico, naturalmente. E invece gli spettatori tedeschi sono corsi in sala a vedere Il grande silenzio di Philip Gröning. Inchiodando alla poltrona anche chi di solito non frequenta volentieri le sale cinematografiche, il documentario, privo di dialoghi (solo due minuti) e musica, ha persino battuto ai botteghini in Germania il maghetto Harry Potter, trascinando al cinema migliaia di persone, ipnotizzate dal rumore dei passi dei religiosi, dalle campane, dai canti, dallo sfogliare delle pagine dei libri di preghiera. Al Sundance Film Festival diretto da Robert Redford ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria e all'ultima Mostra del Cinema di Venezia ha incantato, sia la critica italiana, che quella internazionale, sottraendo per ben 160 minuti gli addetti ai lavori ai forsennati e insani ritmi festivalieri. E così quello che si pensava potesse vincere il titolo poco lusinghiero di film più noioso dell'anno, è diventato un vero e proprio caso cinematografico, salutato come un capolavoro non solo dalla stampa cattolica. Tanto che persino Variety, la "bibbia" americana dello spettacolo, lo definisce «un saggio poetico sui ritmi rallentati della vita che con i suoi quieti piaceri guida gli spettatori a un'andatura misurata sul lento senso del tempo dei monaci. Con occhio da pittore e una profonda ammirazione per un mondo ermetico, separato che piuttosto che in contrasto con la vita moderna, Philip Gröning porta il pubblico nel loro mondo di clausura». Per quattro volte in vent'anni Gröning, divenuto alla soglia dei 47 anni il regista del momento, ha chiesto al priore il permesso di realizzare un documentario tra le mura del monastero. E finalmente quell'autorizzazione è arrivata. Per sei mesi il regista ha vissuto gomito a gomito con i monaci certosini filmando i loro riti e ritmi quotidiani, che si ripetono da anni sempre uguali a se stessi, restituendo allo spettatore il senso del lento fluire del tempo. Unica condizione imposta dalla comunità: niente luci artificiali, niente troupe e niente commento, né verbale, né musicale. «La sfida più grande - ha detto Gröning, unico cineasta al mondo al quale è stato concesso il privilegio di entrare con una cinepresa nella Chartreuse - è stata quella di creare uno spazio dove lo spettatore potesse rivolgersi domande essenziali. Cosa significa per noi essere nel mondo? Che senso ha l'esistenza? In altre parole all'interno del monastero le domande che sorgono non riguardano tanto la scelta di vita così estrema dei monaci, ma la nostra vita e le nostre scelte. E ho cercato di mostrare tutto questo con una forma che fosse adeguata al contenuto». In cerca di risposte anche alle proprie domande, Gröning dichiara di aver vissuto un'esperienza capace di modificare la propria esistenza. «La fiducia dei monaci che ogni cosa è governata da Dio - spiega il regista - è rimasta con me. Ho imparato da loro l'ottimismo e la capacità di riconoscere tutto ciò che di meraviglioso la vita ti offre. Nella nostra società siamo governati dalla paura di non avere successo, ricchezza, 133 bellezza. Dopo l'esperienza nel monastero credo di essermi liberato da questa ossessione. E ora ho anche più bisogno di trascorrere del tempo in solitudine». La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi o o o o o o o o Accanto a quanti, con il loro amore sponsale, vivono l’amore di Cristo per la Chiesa e ne sono segno, ci sono persone che, mosse dallo Spirito, nel dono della propria esistenza a Dio e ai fratelli, si impegnano a testimoniare il primato del regno di Dio già in mezzo a noi e anticipano la condizione del suo compimento nel mondo futuro. Sono i religiosi e i laici consacrati. Costoro, uomini e donne, sacerdoti e no, scelgono di mantenere il cuore libero dai legami di questo mondo, perché sia lo spazio dedicato totalmente a Dio e alle necessità di tutti. Perciò si fanno più da vicino imitatori di Gesù, colui che è tutto dedicato al Padre per poter servire in piena libertà i suoi fratelli. La vita religiosa ha trovato nella storia forme diverse di realizzazione. Conosciamo i grandi ordini e congregazioni religiose. Forse anche nella nostra comunità cristiana vivono e offrono la loro testimonianza uomini e donne consacrate a Dio in una determinate famiglia, ciascuna con un particolare carisma di servizio. Lo scopriamo guardando la loro vita consacrata ai poveri, agli ammalati, agli emarginati, spesa nel campo educativo o nell’impegno della predicazione. Proviamo ad avvicinarci e a conoscere meglio alcune figure religiose, più o meno vicini a noi ma soprattutto della nostra terra e dei nostri luoghi! Lo scopo è quello di organizzare un incontro con la comunità o la congregazione che rappresenta la figura religiosa considerata; l’incontro deve principalmente essere vocalizzato sui carismi che hanno caratterizzato la figura religiosa e su come poterli attualizzare oggi per noi! Basterebbe farsi prestare l’annuario della diocesi dal Parroco… dove sono riportati i nomi e i riferimenti di tutti gli istituti religiosi: magari può essere curioso elencarli ai ragazzi per far capire il gran numero di persone, uomini e donne, che si sono dedicati e ancora oggi sono consacrati completamente al vangelo. Un incontro particolare può essere quello con le cinque comunità monastiche presenti in diocesi, i Monaci camaldolesi alla Rocca del Garda, o uno dei quattro monasteri femminili di clausura. L’incontro deve essere sì sullo stile della testimonianza (“ho scelto la vita religiosa dopo questi fatti della mia vita”), ma soprattutto sul “perché”: cosa spinge oggi, o poco tempo fa, nell’era di internet e del benessere, un giovane o una ragazza a rinunciare a comodità, vita normale, carriera, affetti, vita mondana (nel caso delle monache di clausura, va accentuata ancora di più questo senso di “separazione rinunciataria” per far risaltare il contrasto motivazionale) per scegliere una via evangelica. Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione di domande sul “perché la differenza cristiana” 134 o o o o o o o Cosa ho capito delle motivazioni di scelta religiosa di una suora e/o un religioso? Proviamo ad elencarle su un cartellone e a metterle in ordine di importanza, poi proviamo a mettere in scaletta le priorità che darebbe ciascuno di noi ad una scelta come quella delle persone incontrate. In sintesi, a cosa si riduce – in una parola – la motivazione di tale decisione? Prendiamo due brani di vangelo che fanno riferimento alla vocazione, uno “compiuto” e uno “incompiuto”: • La chiamata dei primi discepoli (Matteo 5, 18-22) • Il giovane ricco (Marco 10, 17-22) Perché, secondo voi, i primi accettano ad una chiamata “superficiale e collettiva”, mentre il secondo – che Gesù “fissa ed ama” con predilezione particolare – gli dice di no? Quali sono stati i motivi per cui alcuni hanno detto di sì e un altro ha detto di no? Proviamo a condividere le volte, le occasioni, i momenti particolari in cui ci si è sentiti “chiamati” da Dio: un incontro di preghiera, una parola di un amico, un evento - lieto o triste - della vita, un momento di gioia in un “deserto” ad un caposcuola…Proviamo a sintetizzare con una parola questa chiamata del Signore. Confrontiamo le nostre “chiamate” con quelle delle persone incontrate nelle testimonianze: coincidono? Sono diverse? Perché? Qualche risposta: prospettive di approfondimento o o La vita religiosa potrebbe essere assunta a metafora del vivere cristiano: perché uno ha la vocazione a farsi suora/religioso e uno no? Perché uno sente la chiamata a diventare cristiano? Anzi, a rimanerlo? Mentre altri non lo sono e non sentono il bisogno di diventarlo? Pensiamo alla famosa frase del noto giornalista Indro Montanelli: “Quando incontrerò il Padreterno, gli renderò conto del perché non mi ha dato la fede”. Oppure l’altro giornalista Giuliano Ferrara che ammette: “Sono troppo laico, orgoglioso e sicuro delle mie certezze, per abbassarmi e mettermi a pregare come fa mia moglie”. Cosa serve allora per diventare cristiano davvero, così come sperimentato-paragonato dal sì vocazionale detto dalle persone che abbiamo incontrato nelle testimonianze? Approfondimenti per gli animatori La vita religiosa a Verona ha una storia estremamente significativa, legata all’impressionante numero di istituti maschili e femminili nati nella nostra terra soprattutto nell’ottocento. Proponiamo dei cenni biografici dei vari fondatori, affinché gli animatori possano fare una scelta degli istituti da contattare per le testimonianze, ma anche per farsi una idea approfondita di tale presenza nella nostra chiesa. Gaspare Bertoni Nacque a Verona, nella repubblica di Venezia, il 9 ottobre 1777, da Francesco e da Brunora Ravelli di Sirmione. Fu battezzato all'indomani dal prozio paterno don Giacomo, nella parrocchiale di S. Paolo Campo Marzo. Nelle due famiglie dei genitori prevaleva la 135 professione notarile e, con un discreto benessere materiale, risaltava la vivezza di una fede in linea con la pratica. Chiamato, fin dalla prima Comunione, allora undicenne, sulla via dell'unione mistica, maturò la sua vocazione sacerdotale a 18 anni. Con l'ordinazione sacerdotale (20 settembre 1800) si trovò alle soglie del nuovo secolo con un mondo tutto in subbuglio e bisognoso di molteplici interventi per la soluzione dei gravi problemi che lo agitavano. Ricevuto dal parroco l'incarico della gioventù, si gettò con tutte le sue forze e capacità organizzative nel nuovo campo di apostolato, fondò un primo Oratorio in forma di “coorte mariana”, mirando alla formazione cristiana e sociale dei giovani, ma sopravvenne di schianto la soppressione napoleonica (1807) e don Gaspare riservò l'attuazione dei suoi piani a tempi migliori. Intanto assumeva fin dalle origini la direzione spirituale dell'opera di Maddalena di Canossa in San Giuseppe (maggio 1808). Qui incontrava anche la serva di Dio Leopoldina Naudet, che guidava alle vette della mistica del santo abbandono e alla fondazione delle Sorelle della S. Famiglia. Estese il suo aiuto spirituale anche all'altra Serva di Dio, la nobile Teodora Campostrini, sia nella ricerca della sua vocazione, sia nella fondazione delle Sorelle Minime della Carità di Maria Addolorata. Nel settembre 1810, don Bertoni, che qualche mese prima, per la morte della madre, era passato da San Paolo a San Fermo Maggiore, veniva incaricato dal vescovo della direzione spirituale dei chierici del Seminario. Una solida formazione spirituale e scientifica del giovane clero era stato un suo preciso obiettivo nei frequenti raduni che teneva in casa propria. Con la caduta di Napoleone, fu sentito universalmente il bisogno di restaurazione. Don Bertoni comprese che per far rientrare le masse nell'ovile occorreva scuoterle con la presentazione delle verità fondamentali della fede mediante la predicazione di missioni al popolo. Il 20 dicembre 1817 il Papa Pio VII gliene dava un preciso mandato conferendogli il titolo e le facoltà di “missionario apostolico”. E mentre il sospettoso governo austriaco impediva questo specifico ministero, don Gaspare si dava alla predicazione occasionale e alla catechesi. Pur “facendosi tutto a tutti” per guadagnare a tutti Cristo, don Gaspare coltivava anche una vita interiore molto intensa, che venne gratificata, come appare dal suo “Memoriale Privato”, da vari doni mistici. Fra questi è da segnalare la chiamata, mediante particolari segni dall'alto, alla fondazione di una famiglia religiosa. Il 4 novembre 1816 si ritirava con due compagni presso la chiesa soppressa delle Sacre Stimmate di San Francesco (di qui il nome adattato della sua Congregazione e la diffusione della devozione alla passione e alle piaghe del Signore), dove inizia occultamente, sotto lo schermo di una scuola popolare, il suo servizio gratuito alla Chiesa e alla società, in una vita comune di stretta osservanza e rigida penitenza, additando come programma una intensa vita di contemplazione e un vasto apostolato, comprendente l'educazione della gioventù, la formazione del Clero e la predicazione missionaria, in una perfetta disponibilità alle richieste dei Vescovi. Sul letto dei suoi inenarrabili dolori divenne angelo di consiglio per innumerevoli anime, specialmente per quelle che avevano alle mani qualche opera di bene come il Beato Carlo Steeb, i servi di Dio don Nicola Mazza e don Antonio Provolo e altri che giungevano a Verona anche da fuori per incontrarsi con lui. Vera immagine del Cristo Crocifisso, con le sue quasi trecento operazioni chirurgiche subite alla gamba destra, pareva non fosse mai pago di soffrire per il bene della Chiesa, per la salvezza delle anime. In una visione di viva speranza in Cristo Risorto con i segni del suo trionfo, sorretto dai Santi Patroni Maria e Giuseppe, si spense santamente alle 15.30 della domenica 12 giugno 1853. La sua Congregazione delle Stimmate di N.S.G.C., fecondata da tante sofferenze, si è gradualmente diffusa fuori Verona in altre città d'Italia, poi negli Stati Uniti, nel Brasile (dove 136 presentemente conta 6 Vescovi), nel Cile, nelle Filippine e nei territori di missione: Sud Africa, Costa d'Avorio, Tanzania e Thailandia. Maddalena di Canossa Discende alla lunga dalla famosa Matilde di Toscana, signora di Canossa. La sua famiglia è tra le più illustri nell’Italia del tempo, ma poco fortunata: Maddalena e i suoi quattro fratelli perdono il padre da piccoli, la madre si risposa e li lascia; lei, a 5 anni, viene affidata a un’istitutrice che detesta; poi si ammala varie volte. A 17 anni la troviamo nel Carmelo di Trento contro la volontà dei parenti, poi per brevi giorni in quello di Conegliano (Treviso), ma questa non è vita per lei. Tornata a casa, stupisce tutti per il suo talento di amministratrice, ma di nozze non si parla. Nel 1801 compaiono a palazzo Canossa due povere ragazze, che lei raccoglie: questa è la novità rivelatrice della sua vocazione. Non “regnerà” nel palazzo di famiglia, che ospita Napoleone e Alessandro I di Russia. La sua vocazione sono i poveri. L’accoglienza alle due ragazze era solo pronto soccorso, ma lei non vuole tenerle lì estranee, sempre inferiori. Devono avere casa propria (loro due e tantissime altre come loro) dove sentirsi padrone, istruirsi e realizzarsi al fianco delle maestre; e accanto a lei, la fondatrice, che nel 1808 otterrà da Napoleone l’ex convento delle Agostiniane veronesi, iniziandovi la vita comune. Nascono le Figlie della Carità: le suore educatrici dei poveri. Maddalena ne scrive le regole nel 1812, a Venezia: ve l’hanno chiamata Antonangelo e Marcantonio Cavanis (due fratelli patrizi, entrambi sacerdoti) per fondare un’altra casa d’istruzione per ragazze, mentre loro hanno creato le scuole gratuite maschili. Maddalena ottiene l’iniziale assenso pontificio per la sua opera da Pio VII, poco dopo la caduta di Napoleone. Ora sul Lombardo-Veneto regna l’imperatore Francesco I d’Asburgo, che nel 1816 visita Verona con la terza moglie, Maria Ludovica d’Este. Proprio a Verona la sovrana si ammala e muore: la sua camera ardente sarà apprestata in una sala di palazzo Canossa. Nel palazzo, però, Maddalena non compare più tanto spesso. Passa da Venezia a Milano e poi a Bergamo e a Trento, per fondare nuove sedi e scuole. La sua residenza patrizia in Verona ha accolto una sovrana, e le case che lei va creando accolgono le figlie dei sudditi più poveri, strappate alla miseria per renderle protagoniste della loro vita. Lei intanto lavora all’annoso iter per l’approvazione definitiva del suo istituto, e prepara l’apertura di altre sedi a Brescia e a Cremona, ma la morte la coglie nella sua Verona a 61 anni: già "in concetto di santità", così dicono le cronache del tempo, definendo Maddalena "beneficientissima fino alla prodigalità". Ha dato tutta sé stessa, consumandosi per l’opera, che crescerà ancora dopo la sua morte. Alla fine del XX secolo avrà oltre 2.600 religiose, operanti in tutto il mondo. Giovanni Paolo II la canonizzerà il 20 ottobre 1988. Daniele Comboni Nasce a Limone sul Garda (Brescia - Italia) il 15 marzo 1831, in una famiglia di contadini al servizio di un ricco signore della zona. Papà Luigi e mamma Domenica sono legatissimi a Daniele, il quarto di otto figli, morti quasi tutti in tenera età. Essi formano una famiglia unita, ricca di fede e valori umani, ma povera di mezzi economici. Ed è appunto la povertà della famiglia Comboni che spinge Daniele a lasciare il paese per andare a frequentare la scuola a Verona, presso l'Istituto fondato dal Sacerdote don Nicola Mazza. In questi anni passati a Verona, Daniele scopre la sua vocazione al sacerdozio, completa gli studi di filosofia e teologia e soprattutto si apre alla missione dell'Africa Centrale, attratto dalle testimonianze dei primi missionari mazziani reduci dal continente africano. Nel 1854 Daniele 137 Comboni viene ordinato sacerdote e tre anni dopo parte per l'Africa assieme ad altri 5 missionari mazziani, con la benedizione di mamma Domenica che arriva a dire: «Va', Daniele, e che il Signore ti benedica». Dopo 4 mesi di viaggio, la spedizione missionaria di cui il Comboni fa parte arriva a Khartoum, la capitale del Sudan. L'impatto con la realtà africana è enorme. Daniele si rende subito conto delle difficoltà che la sua nuova missione comporta. Fatiche, clima insopportabile, malattie, morte di numerosi giovani compagni missionari, povertà e abbandono della gente, lo spingono sempre più ad andare avanti e a non desistere da ciò che ha iniziato con tanto entusiasmo. Dalla missione di Santa Croce scrive ai suoi genitori: «Dovremo faticare, sudare, morire, ma il pensiero che si suda e si muore per amore di Gesù Cristo e della salute delle anime più abbandonate del mondo è troppo dolce per farci desistere dalla grande impresa». Ed è sempre l'Africa e la sua gente ciò che spinge il Comboni, una volta ritornato in Italia, a mettere a punto una nuova strategia missionaria. Nel 1864, raccolto in preghiera sulla tomba di San Pietro a Roma, Daniele ha una folgorante illuminazione che lo porta ad elaborare il suo famoso Piano per la rigenerazione dell'Africa, un progetto missionario sintetizzabile nella frase «Salvare l'Africa con l'Africa», frutto della sua illimitata fiducia nelle capacità umane e religiose dei popoli Africani. In mezzo a non poche difficoltà e incomprensioni, Daniele Comboni intuisce che la società europea e la Chiesa cattolica sono chiamate a prendere in maggior considerazione la missione dell'Africa Centrale. A tale scopo, si dedica ad una instancabile animazione missionaria in ogni angolo d'Europa, chiedendo aiuti spirituali e materiali per le missioni africane tanto a Re, Vescovi e signori, quanto a gente povera e semplice. E come strumento di animazione missionaria crea una rivista missionaria, la prima in Italia. La sua fede incrollabile nel Signore e nell'Africa lo porta a far nascere, rispettivamente nel 1867 e nel 1872, l'Istituto maschile e l'Istituto femminile dei suoi missionari, più tardi meglio conosciuti come Missionari Comboniani e Suore Missionarie Comboniane. Il 2 luglio 1877 Comboni viene nominato Vicario Apostolico dell'Africa Centrale e consacrato Vescovo un mese dopo: è la conferma che le sue idee e le sue azioni, da molti considerate troppo coraggiose se non addirittura pazze, sono quanto mai efficaci per l'annuncio del Vangelo e la liberazione del continente africano. Nel 1880, con la grinta di sempre, il Vescovo Comboni ritorna, per l'ottava e ultima volta in Africa, a fianco dei suoi missionari e missionarie, deciso a continuare la lotta contro la piaga dello schiavismo e a consolidare l'attività missionaria con gli stessi africani. Un anno dopo, provato dalla fatica, dalle frequenti e recenti morti dei suoi collaboratori e dall'amarezza di accuse e calunnie, il grande missionario si ammala. Il 10 ottobre 1881, a soli cinquant'anni, segnato dalla croce che mai lo ha abbandonato come fedele e amata sposa, muore a Khartoum, tra la sua gente, cosciente che la sua opera missionaria non morirà. «Io muoio, dice, ma la mia opera non morirà». Daniele Comboni ha visto giusto. La sua opera non è morta; anzi, come tutte le grandi cose che «nascono ai piedi della croce», continua a vivere grazie al dono che della propria vita fanno tanti uomini e donne che hanno scelto di seguire il Comboni sulla via dell'ardua ed entusiasmante missione tra i popoli più bisognosi di fede e di solidarietà umana. Giovanni Calabria Prete semplice ma particolarmente deciso è stato don Giovanni Calabria. Volle essere strumento di Dio e della chiesa; dovette affrontare difficoltà e superare ostacoli e negli ultimi anni della sua vita fu afflitto da intensi e dolorosi mali fisici, ma la sua volontà rimase sempre ferma. Nacque nel 1873 a Verona. A 13 anni perdette il padre e la sua vita conobbe 138 un'estrema miseria. Grazie ad un sacerdote che volle stargli vicino, fu in grado di studiare, superare gli esami e frequentare, come esterno, il seminario. Dopo una breve parentesi di servizio militare ritornò al seminario. Nel 1901 fu ordinato sacerdote; fino al 1907 rimase di aiuto nella parrocchia della città dedicata a Santo Stefano. Nel 1907 iniziò la sua "opera" fondando la "Casa dei Buoni Fanciulli". Il suo scopo era raccogliere "i bisognosi" ovunque e comunque si trovassero: non lo impensierivano le difficoltà economiche, né badava alle capacità intellettuali, ma si preoccupava di offrire a ciascuno l'aiuto di cui percepiva il bisogno. Attorno alla sua opera cominciarono a raccogliersi alcuni sacerdoti; nel 1910 istituì il ramo femminile, fondando le "Povere Serve alla Divina Provvidenza". Nel 1919 avviò una seconda casa: le sue attività assistenziali cominciavano a espandersi. Nel 1933 costruì a Negrar (Verona) un grandissimo e moderno ospedale e una casa di riposo per anziani. Nel 1934 estese ancor più la sua opera mandando missionari in India, ma questa missione non diede i frutti sperati. Personalmente non intraprese lunghi viaggi, restò "recluso" in una piccola porzione della sua casa a Verona, ma dalla sua stanza allargò i suoi orizzonti ovunque la Chiesa richiedesse interventi. Egli era in tutto un "prete di Dio": diceva chiaramente che la sua opera "sarà grande se sarà piccola, sarà ricca se sarà povera; avrà la protezione di Dio se non cercherà quella dell'uomo". E aggiungeva: "Scopo del vero sacerdote è accendere un piccolo fuochetto che, se la Provvidenza lo vorrà, farà estendere il suo calore e la sua luce ovunque e comunque". Si preoccupò di scrivere e soprattutto di dare possibilità a tutti di leggere della buona stampa; pubblicò egli stesso, presso una tipografia che aveva fondato, un famoso libro: "Apostolica vivendi forma". In queste pagine denunciò i mali del tempo e cercò di far comprendere come, con l'aiuto di Dio e della divina Provvidenza, tutto si poteva "aggiustare". Il fuoco di Dio gli bruciava dentro: lo forgiava e lo spingeva verso nuove opere che spesso venivano ritenute "impossibili". Voleva che nessuno pensasse al denaro, alle necessità materiali; percepiva che alle urgenze materiali avrebbe provveduto la divina Provvidenza. Seppe essere vicino a tutti i bisognosi, per primo si occupò dei carcerati e credette profondamente nella missione della Chiesa rivolta ai “fratelli separati”; fondò in Italia l'Unione Medica Missionaria e fu un anticipatore di certe linee pastorali della Chiesa espresse dal Vaticano II. In particolare sul tema dei fratelli separati scrisse un agile opuscolo, “Omnes unum sint”, che fece spedire ovunque, alle personalità delle chiese separate, comprese le chiese orientali e i fratelli anglicani; voleva creare attraverso la carità i contatti rivolti all'opera di unità. Subì, anche per questa sua larga operosità, invidie e perfino ispezioni canoniche, ma non pensò mai di rallentare o di fermare la sua attività. Gli ultimi suoi anni di vita vennero contrassegnati da persistente malattia. Chi si recava nella sua casa lo sentiva non di rado gridare per le sofferenze che il suo corpo incontrava; ma invocava continuamente l'aiuto di Dio ed esclamava: "Per me non c'è altro che Dio e non voglio altro che Dio". Il 4 dicembre 1954, il suo spirito si acquietò nella pace eterna. Beatificato il 17 aprile 1988 è stato canonizzato il 18 aprile 1999. Giuseppe Nascimbeni Lo ha battezzato d’urgenza il medico, poco dopo la nascita: la sua vita era in pericolo. Unico figlio del falegname Antonio e di Amedea Sartori, dopo le elementari in paese, continua gli studi a Verona e nel 1874, a 22 anni, è ordinato sacerdote. Ha inoltre il diploma di maestro e subito viene mandato a San Pietro di Lavagno (Vr) come coadiutore del parroco e insegnante. 139 Tre anni dopo passa coadiutore a Castelletto di Brenzone, mille abitanti. Quando il vecchio parroco muore, i capifamiglia ottengono che gli succeda lui (gennaio 1885). Tra le mille anime del paesino affacciato sul Lago di Garda, don Giuseppe esplode. Ridona slancio alla vita religiosa, stimolando l’attività e valorizzando i talenti dei laici con associazioni e confraternite. E con la stessa energia lavora per lo sviluppo civile. Crea asili, scuole per orfani, l’ospizio. Poi fa nascere un laboratorio di maglieria per le ragazze, impianta una tipografia, promuove la creazione di un oleificio, fa arrivare la cassa rurale, s’impegna per dare al paese l’ufficio postale, l’elettricità, l’acqua potabile... Così impegnato, non si capisce come riesca a pregare ogni giorno per tante ore. Lui si spiega con un motto: "Crocifisso e orologio", fede e puntualità. Prega anche in viaggio, con la corona del Rosario bene in vista, e nessuna derisione o insulto lo scompone. Così come non fa una piega nell’attraversare scalzo il suo paese, perché ha dato le sue scarpe a un mendicante. Ha bisogno di suore per i bambini, i vecchi e i malati, per la parrocchia, ma non ne trova e in vescovado si sente dire: "Se nisun ve dà le suore, févele vu come le volì". Prontissimo, il parroco si fa pure fondatore, partendo da quattro ragazze che arriveranno alla vestizione nel novembre 1892. Da esse, nel tempo, prenderà vita la congregazione delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, che oggi è presente in Italia, Svizzera, Albania, Angola, Argentina, Paraguay, Uruguay e Brasile, al servizio della povertà e della sofferenza, in pace e in guerra. Colpito da emiplegia il 31 dicembre 1916, resta invalido fino alla morte: cinque anni di sofferenza e preghiera. Giovanni Paolo II lo beatifica nel 1988 a Verona. La salma è custodita a Castelletto, nella Casa Madre delle Piccole Suore. don Pietro Leonardi La sua carità si rivolse in particolare agli ammalati. Per questi fondò la “Sacra Fratellanza dei preti e Laici ospedalieri”, e per gli orfani “l’asilo dei raminghelli”. Nel 1812 fondò L’istituto “Figlie di Gesù, donne consacrate a Dio” con il preciso carisma di istruire ed educare le ragazze povere dei sobborghi della città. don Nicola Mazza Fondò nel 1828 l’istituto femminile don Mazza dove venivano accolte ragazze povere in un ambiente familiare gestito da “cooperatrici”. Nel 1832 fondò l’istituto maschile dove accolse ragazzi con spiccate doti intellettive, ma privi di mezzi economici per studiare. Grande fu in lui il desiderio di portare il vangelo “fino ai confini della terra”; il seme missionario gettato dal Mazza diede buon frutto perché fu raccolto e sviluppato da un suo allievo: Daniele Comboni. Leopoldina Naudet Fiorentina di nascita, con le “Dilette di Gesù”, istituto al quale apparteneva, si trasferì a Verona collaborando con Maddalena di Canossa. Sotto la guida di Gaspare Bertoni, fondò la congregazione delle Sorelle della Sacra Famiglia, istituto che assunse sin dall’inizio le finalità della missione educativa nei confronti delle ragazze povere, la loro formazione spirituale e la catechesi. Teodora Campostrini Appartenente ad un nobile casato di Verona, iniziò da subito a dedicarsi ai poveri con una scuola gratuita per le bambine e la distribuzione di cibo nella sua abitazione. Nel 1821 trasferì la sua attività in via S. Maria in Organo, dove tutt’ora ha sede la congregazione da lei fondata: 140 le Sorelle Minime della Carità di Maria Addolorata. Contemplazione e impegno apostolico il loro carissima, tanto che Teodora stessa definì le sue suore “le contemplative nell’azione”. don Antonio Provolo Esperto compositore di musica sacra, si avvicinò al mondo dei sordomuti, emarginati tra gli emarginati nella società del suo tempo, studiando per loro tecniche di apprendimento del linguaggio. Seguendo il principio di “dare la parola con la parola stessa”, don Provolo fu precursore dei moderni principi di musicoterapia. Offrì ai sordomuti anche formazione morale e religiosa. Estese poi la sua opera alle sordomute, contando sull’appoggio di una valida collaboratrice: Fortunata Gresner. Carlo Steeb Di origine luterana, arrivò a Verona per seguire gli affari della sua facoltosa famiglia. Qui abbracciò la religione cattolica divenendo sacerdote nel 1796. Collaborò con Leonardi nell’ assistenza dei malati, si dedicò al “Ricovero” uno dei primi ospedali della città di Verona. Maturò l’idea di fondare un istituto dedito alla cura degli infermi. L’incontro con Luigia Poloni fu determinante. La loro attenzione si allargò anche ad altre situazioni di disagio, alla cura dei bambini abbandonati e degli orfani. Fu fondatore dell’istituto Sorelle della Misericordia. Zefirino Agostini Fu per molti anno parroco di S. Nazaro e Celso. Lo chiamavano “il facchino di Dio” per la sua disponibilità e servizio. Vide l’urgenza della formazione soprattutto per la gioventù femminile. Alle giovani, nell’oratorio parrocchiale, parlava con insistenza di Sant’ Angela Merici, che lo affascinava per la vita e Le opere compiute. Alcune ragazze scelsero di diventare “Sorelle devote di S. Angela” impegnandosi in attività a favore delle bambine e dei bisogni. Nacque così il primo nucleo delle Orsoline Figlie di Maria Immacolata, oggi sparse in tutto il mondo. Giuseppe Baldo Per 38 anni fu parroco a Ronco all’Adige, divenendo protagonista della vita sociale di questo paese. Don Baldo diede vita a numerose iniziative: un asilo, una scuola, un ospedale, una banca, una lega di lavoratori. Difese i diritti dei lavoratori perché vedeva nell’operaio “i tratti luminosi della somiglianza con Dio”. Nel 1894 fondò l’istituto delle Piccole Figlie di San Giuseppe. Lavori di gruppo Offrire la disponibilità alla congregazione incontrata per qualche servizio; prevalentemente nell’ottica del condividerlo con loro, del partecipare alla loro esperienza di vita comunitaria 141 ) Missione Entrare: un film e la scheda descrittiva della realtà presa in esame MISSION di Roland Joffé – Warner Bros, 1986 Soggetto: Il film parla delle missioni instaurate dai gesuiti Tra il 1608 ed il 1767 in una vastissima plaga incuneata tra i fiumi Paranà ed Uruguay, per evangelizzare le tribù dei Guarany e proteggerli dalle umiliazioni e razzie loro imposte dai Regni di Spagna e del Portogallo, che si erano spartiti i territori in questione. Nelle "riduzioni" (così si chiamarono i centri attivati dai Soci della Compagnia di Gesù, tra foreste e corsi d'acqua imponenti), gli indigeni appresero a lavorare ed a vivere pacificamente in un sistema comunitario, per l'epoca assolutamente anomalo. Ma le "riduzioni" non potevano andare a genio né a Madrid, né a Lisbona. Protagonista dell’impresa è nel film Padre Gabriel, che si reca oltre le grandi cascate per portare tra i Guarany la parola di Cristo. La sua è un'impresa di immenso ardire e di innumerevoli difficoltà, ma egli riuscirà. Nella zona prescelta fa frequenti incursioni un avventuriero - Rodrigo Mendoza - che, al servizio dei Portoghesi, cattura gli indios destinati ad essere strappati dal loro "habitat" per lavorare duramente altrove. Rodrigo è un uomo spavaldo e violento: un giorno, geloso com'è della propria donna, egli uccide in duello il fratello, di lei innamorato. Ossessionato dal rimorso e confortato da Padre Gabriel, egli decide di seguire quest'ultimo, di aiutare disciplinatamente i Gesuiti e di rifarsi una vita finendo con l'essere cordialmente accettato come novizio dell'ordine. Mentre nelle "riduzioni" tutto si svolge nella pace e nel lavoro, arriva nella lontana città il Cardinale Altamirano che, su esplicito mandato del Papa, deve indagare sulla insolita iniziativa promossa dall'ordine in SudAmerica e sulle ripercussioni, politiche e sociali che ne sono derivate. Le visite che il prelato compie nei vasti centri operativi lo riempiono di stupore e di ammirazione: la fede vi appare solidamente radicata e tutto sembra svolgersi nel mutuo rispetto e nella pace più assoluti. ma la cessione effettuata da Ferdinando di Spagna fa decidere i Portoghesi ad adottare ormai la maniera forte. Una spedizione militare è inviata contro la missione di Padre Gabriel, di Rodrigo e degli altri confratelli. Rodrigo si ribella, riprende le armi ed organizza la difesa: egli non avrà, però, la benedizione di Gabriel, che andrà incontro ai brutali massacratori levando alto l'ostensorio e seguito da donne e fanciulli inermi. La ragione di Stato sembra aver vinto, i Guarany sono uccisi o dispersi. Resterà, forse, nelle menti e negli occhi di pochi ragazzi, spauriti nell'immensità dei luoghi, il ricordo di quel meraviglioso esperimento, iniziato sotto il segno del Vangelo, che aveva portato, con la luce della fede, la cultura e la gioia per tutti. 142 Valutazione pastorale: Lungi dal presentare un quadro di ciò che la missione significhi oggi, il film offre degli spunti molto significativi nel cogliere le motivazioni e i significati delle opere che, da secoli spingono generazioni di missionari ad affrontare enormi sacrifici. La vicenda storica dentro la quale si muove il film è di grande complessità, per le implicazioni politiche, per la visione di chiesa che ne emerge e per i vissuti personali dei protagonisti, ma proprio per questo, porta a guardare con realismo all’epopea missionaria: un realismo fatto di intuizioni, di grandi slanci, di sofferti cammini personali e di popolo, all’interno delle intricate vicende della storia. La testimonianza: l’incontro con un’esperienza di vita cristiana nella realtà di oggi La testimonianza che proponiamo andrebbe preferibilmente indirizzata a contatti con missionari o persone che hanno vissuto tale esperienza, che siano in contatto con la comunità parrocchiale. In questa direzione, contattare e coinvolgere se esiste, il gruppo missionario parrocchiale. Altrimenti ci si può rivolgere al Centro missionario diocesano o a qualche istituto religioso presente in zona. Proponiamo a titolo esemplificativo le seguenti domande: o o o o o o perché andare ad annunciare la fede cristiana a persone di altra cultura e religione? Non è una violenza o imposizione? Perché lasciare la propria terra con tutto quello che c’è da fare qui? Perché i missionari fanno tante opere di carità? Non è un po’ come volere “comprare” la fede di persone povere? Cosa ti dà (ti ha dato) l’esperienza missionaria che vivi? La vivi per un a ragione di fede o per un motivo umanitario? Attraverso questa esperienza, è cambiato il tuo modo di credere? Le nostre domande: riappropriazione, attraverso il confronto con la Parola di Dio, e formulazione di domande sul “perché la differenza cristiana” o o o o La differenza cristiana della missione va fatta cogliere con chiarezza; non tanto perché non sia legittima e spesso eroica ogni altra missione, quanto perché la missione cristiana è primariamente altro Il confronto con il mandato missionario del Vangelo di Matteo ci aiuta a cogliere questa specificità: Matteo 28, 16-20 L’incontro con Gesù risorto avviene in Galilea, lì dove era iniziata l’avventura con Gesù: è un nuova partenza con lui, l’avventura missionaria è un rimettersi a camminare dietro a Gesù, un nuovo inizio per continuare a diventare discepoli Vedendolo lo adorarono, ma alcuni dubitavano: sono sempre loro: credono in lui, ma di una fede che rimane mescolata al dubbio 143 o o o o o o o o I verbi della missione: Andare: lasciare la propria comodità, mettersi in movimento Ammaestrare: insegnare così come ha fatto Gesù, quello che ha insegnato Gesù; è un qualcosa destinato a tutti, valido per tutte le genti, perché valido per l’uomo Battezzare: per essere immersi nel dinamismo fondamentale della morte e risurrezione, per morire al peccato e rinascere a vita nuova Insegnare ad osservare: indicando una vita di fede che si concretizza poi in una diversa condotta di vita Io sono con voi: è la mia missione che continua, sono io a portarla avanti con, e attraverso, di voi La missione cristiana nasce dal comando di Gesù, consiste nell’annunciare la sua persona e nel proporre di diventare suoi discepoli. L’aiuto del prossimo non è lo scopo della missione, ma è un mezzo: un segno per esprimere l’amore di Dio e la fede in lui: “ da questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13,35) Qualche risposta: prospettive di approfondimento o o o o o o Che dire allora delle obiezioni, già ricordate, in merito alla missione ad gentes? Nel rispetto di tutte le credenze e di tutte le sensibilità, dobbiamo anzitutto affermare con semplicità la nostra fede in Cristo, unico salvatore dell'uomo, fede che abbiamo ricevuto come dono dall'alto senza nostro merito. Noi diciamo con Paolo: «Io non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede». (Rm 1,16) . La chiesa offre agli uomini il vangelo, documento profetico, rispondente alle esigenze e aspirazioni del cuore umano: esso è sempre «buona novella». La chiesa non può fare a meno di proclamare che Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio e a meritare con la croce e la risurrezione, la salvezza per tutti gli uomini. All'interrogativo: perché la missione? noi rispondiamo con la fede e con l'esperienza della chiesa che aprirsi all'amore di Cristo è la vera liberazione. In lui, soltanto in lui, siamo liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla schiavitù al potere del peccato e della morte. Cristo è veramente «la nostra pace», (Ef 2,14) e «l'amore di Cristo ci spinge», (2 Cor 5,14) dando senso e gioia alla nostra vita. La missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi. La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una «graduale secolarizzazione della salvezza», per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina. Perché la missione? Perché a noi, come a san Paolo, «è stata concessa la grazia di annunziare ai pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo». (Ef 3,8) La novità di vita in lui è la «buona novella» per l'uomo di tutti i tempi: a essa tutti gli uomini sono chiamati e destinati. Tutti di fatto la cercano, anche se a volte in modo confuso, e hanno il diritto di conoscere il valore di tale dono e di accedervi. La chiesa e, in essa, ogni cristiano non può nascondere né conservare per sé questa novità e ricchezza, ricevuta dalla bontà divina per esser comunicata a tutti gli uomini. Ecco perché la missione, oltre che dal mandato formale del Signore, deriva dall'esigenza profonda della vita di Dio in noi. 144 o Coloro che sono incorporati nella chiesa cattolica devono sentirsi dei privilegiati, e per ciò stesso maggiormente impegnati a testimoniare la fede e la vita cristiana come servizio ai fratelli e doverosa risposta a Dio, memori che «la loro eccellente condizione non è da ascrivere ai loro meriti, ma a una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, lungi dal salvarsi, saranno più severamente giudicati».(Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio 11) Approfondimenti per gli animatori La festa della Pentecoste ci fa prendere coscienza che è nostro dovere far conoscere il Cristo attorno a noi e appoggiare l'opera di evangelizzazione nel mondo. La Pentecoste, infatti, segna l'inizio della vita pubblica della Chiesa e della sua missione. Rinnovati e rincuorati dallo Spirito gli Apostoli si mescolano ai pellegrini venuti da diversi paesi per la festa, profetizzano facendosi capire da gente di idiomi diversi, destano la meraviglia tra i presenti, che interpretano diversamente i fatti. Allora Pietro, circondato dagli undici, spiega quello che è avvenuto e annuncia il Cristo come Salvatore. Nel Nuovo Testamento Cristo dà un mandato preciso alla sua Chiesa. Secondo i Sinottici, la comunità dei discepoli è inviata da Cristo ad “ammaestrare e battezzare” (Mt 28, 19), a “predicare il Vangelo e a battezzare” (Mc 16, 15-16), a “predicare la conversione e il perdono dei peccati” ed “essere suoi testimoni” (Lc 24, 47; At 1, 8). Cristo ha affidato altri compiti alla sua comunità di discepoli: devono essere sale (cf Mt 5, 13), luce (cf Mt 5, 14), lievito (cf Lc 13, 20-21) per l'umanità alla quale sono inviati o in mezzo alla quale si ritrovano. Queste immagini esprimono un ruolo attivo della Chiesa nel mondo, realizzato con la vita e non solo con le opere. E poi c'è il comandamento nuovo, il suo comandamento, che è l'amore concreto e prioritario, non solo verso i fratelli (cf Gv 3, 14), ma verso tutti (cf Mt 5, 44), sul modello del Padre (cf Mt 5, 43-48) e di Cristo stesso (cf Gv 15, 12). Si può dire che il Cristo ha lasciato due grandi comandamenti: quello di amare e quello di annunciare il Vangelo. Essi non sono antitetici, ma complementari; ambedue conducono alla conoscenza esperienziale di Dio partecipata all'umanità: “Siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Gv 17, 22-23). La missione della Chiesa nei confronti del mondo è innanzitutto ricevuta da Cristo. La Chiesa è chiamata ad attuarla, incarnandola. Le modalità della missione, invece, devono essere cercate; il "come" deve essere sempre inventato secondo le situazioni e le possibilità, ma il compito di amare e di testimoniare è permanente… In qualche modo si può fare tale annuncio sempre, in tutti i luoghi e da tutti, almeno come testimonianza della propria fede. Non occorre aspettare luoghi o avvenimenti speciali per farlo. La vita ordinaria e i contatti di ogni giorno possono offrire l'occasione per testimoniare la nostra fede. Si tratta, talvolta, di un semplice commento o di una allusione che apra alla realtà cristiana. L'annuncio non è un'impresa né impossibile, né straordinaria. Per poterlo fare in modo quasi naturale occorre essere animati dalla fede e stimare il dono della vita cristiana. Poter annunciare il Cristo, facendo intravedere la sua presenza e la sua azione salvifica, è anche una grazia, che fortifica la nostra identità… L'annuncio non è il tutto della missione a cui il cristiano è chiamato. C'è la solidarietà per risolvere i problemi comuni della vita, c'è il dialogo per capirsi e camminare insieme, c'è 145 l'impegno per costruire una società più giusta e più umana, c'è il culto a Dio che deve esprimersi anche socialmente, c'è l'approfondimento della fede e lo sforzo per renderla interpellante e adattata alla cultura in cui si vive. La Pentecoste ci invita a prendere coscienza che la missione è affidata a tutti i cristiani e a ciascuno. Tutti possiamo e dobbiamo testimoniare il dono più prezioso che ci è stato donato. Lo facciamo con la parola, con il nostro operare e, più ancora, con la nostra vita che porta frutti se inserita nel Cristo. La Pentecoste ci invita anche a prendere coscienza che, discepoli di Cristo, siamo tutti solidali della missione universale della Chiesa, affinché Cristo sia conosciuto e venga il suo Regno. (Mons Marcello Zago) Lavori di gruppo o o o D’accordo con il proprio gruppo missionario, cercare qualche attività di sostegno materiale alle opere dei propri missionari Proporre un mercatino etnico o di prodotti del commercio equo e solidale fuori chiesa o in occasione di varie circostanze Contattare gruppi dell’OMG per organizzare la raccolta viveri nella propria parrocchia. Riferimenti UMMI – Negrar, per il servizio smistamento medicinali da mandare in missione Viale Rizzardi, 4 - 37024 Negrar (VR) Tel. 045-750.05.01 / Fax 045-600.08.47 e-mail: [email protected] Per gli approfondimenti di temi giovanili legati alla missione, vedi i siti: • www.giovaniemissione.it • www.missionegiovani.it • www.giovanipime.it • www.mgm.operemissionarie.it • www.lucinelmondo.it 146 Celebrazione Chiamati, inviati, accompagnati Canto Guida: Oggi vogliamo incontrarci con il Signore per scoprire il suo modo di amarci. Lui ci viene a cercare, ovunque siamo non ci perde d’occhio, ci sceglie giorno dopo giorno per fare della strada con noi, per tenerci vicini a Lui e aprire con noi nuovi cammini divini sulla terra. 1 – Chiamati per nome Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 4, 18-22) Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini". Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono. Dal discorso di Benedetto XVI al suo arrivo sul fiume Reno, GMG 2005 Carissimi giovani, voi siete giunti da varie parti della Germania, dell'Europa, del mondo, facendovi pellegrini al seguito dei Magi. Seguendo le loro orme voi volete scoprire Gesù. Come voi, mi sono messo anch'io in cammino per giungere insieme con voi ad inginocchiarmi davanti alla bianca Ostia consacrata nella quale gli occhi della fede riconoscono la presenza reale del Salvatore del mondo. Con immensa gioia vi saluto e vi accolgo, cari giovani, qui venuti da vicino o da lontano, camminando sulle strade del mondo e su quelle della vostra vita. Voi siete i rappresentanti delle innumerevoli folle di nostri fratelli e sorelle in umanità, che aspettano senza saperlo il sorgere della stella nei loro cieli per essere condotti a Cristo, Luce delle Genti, e per trovare in Lui la risposta appagante per la sete dei loro cuori. Saluto con affetto anche quanti tra voi non sono battezzati, quanti non conoscono ancora Cristo o non si riconoscono nella Chiesa. Qualcuno tra voi potrebbe forse far propria la descrizione che Edith Stein faceva della propria adolescenza, lei che visse poi nel Carmelo di Colonia: "Avevo coscientemente e deliberatamente perso l'abitudine di pregare". Durante queste giornate, potrete rifare l'esperienza toccante della preghiera come dialogo con Dio, da cui ci sappiamo amati e che vogliamo amare a nostra volta. A tutti vorrei dire con insistenza: spalancate il vostro cuore a Dio, lasciatevi sorprendere da Cristo! Concedetegli il "diritto di parlarvi" durante questi giorni! Aprite le porte della vostra libertà al suo amore misericordioso! Esponete le vostre gioie e le vostre pene a Cristo, lasciando che Egli illumini con la sua luce la vostra mente e tocchi con la sua grazia il vostro cuore. In questi giorni benedetti di condivisione e di gioia, fate l'esperienza 147 liberatrice della Chiesa come luogo della misericordia e della tenerezza di Dio verso gli uomini. Nella Chiesa e mediante la Chiesa raggiungerete Cristo che vi aspetta. Noi oggi siamo preoccupati per la condizione del mondo e domandiamo: Dove trovo i criteri per la mia vita, dove i criteri per collaborare in modo responsabile all'edificazione del presente e del futuro del nostro mondo? Di chi posso fidarmi - a chi affidarmi? Dov'è Colui che può offrirmi la risposta appagante per le attese del cuore? Porre simili domande significa innanzi tutto riconoscere che il cammino non è concluso fino a quando non si è incontrato Colui che ha il potere di instaurare quel Regno universale di giustizia e di pace a cui gli uomini aspirano, ma che non sanno costruire da soli. Porre tali domande significa poi cercare Qualcuno che non si inganna e non può ingannare ed è perciò in grado di offrire una certezza così salda da consentire di vivere per essa e, nel caso, anche di morire. Quando all'orizzonte dell'esistenza tale risposta si profila bisogna, cari amici, saper fare le scelte necessarie. È come quando ci si trova ad un bivio: quale strada prendere? Quella suggerita dalle passioni o quella indicata dalla stella che brilla nella coscienza? Anche noi dobbiamo fare la nostra scelta. Cari giovani, la felicità che cercate, la felicità che avete diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth, nascosto nell'Eucaristia. Solo lui dà pienezza di vita all'umanità! Con Maria, dite il vostro "sì" a quel Dio che intende donarsi a voi. Vi ripeto oggi quanto ho detto all'inizio del mio pontificato: "Chi fa entrare Cristo nella propria vita non perde nulla, nulla - assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No, solo in questa amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in questa amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in questa amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera". Siatene pienamente convinti: Cristo nulla toglie di quanto avete in voi di bello e di grande, ma porta tutto a perfezione per la gloria di Dio, la felicità degli uomini, la salvezza del mondo. Vi invito ad impegnarvi senza riserve a servire Cristo, costi quel che costi. L'incontro con Gesù Cristo vi permetterà di gustare interiormente la gioia della sua presenza viva e vivificante per poi testimoniarla intorno a voi. Che la vostra presenza sia già il primo segno di annuncio del Vangelo mediante la testimonianza del vostro comportamento e della vostra gioia di vivere. Risposta corale: Tu ci ami per primo, sempre O Dio nostro Padre, tu ci hai amato per primo! Signore, noi parliamo di Te come se ci avessi amato per primo in passato, una sola volta. Non è così: Tu ci ami per primo, sempre, tu ci ami continuamente, giorno dopo giorno, per tuta la vita. 148 Quando al mattino mi sveglio e innalzo a te il mio spirito, Signore, Dio mio, tu sei il primo, tu mi ami sempre per primo. E' sempre così: Tu ci ami per primo non una sola volta, ma ogni giorno, sempre. S. Kierkegaard Canto 2 – Inviati nel mondo Dal Vangelo secondo Matteo (cap. 10) Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: “ Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone; è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone. Non v`è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all`orecchio predicatelo sui tetti. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri! Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch`io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch`io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa". 149 Dall’omelia di Benedetto XVI durante la S. Messa nella spianata di Marienfeld, GMG 2005 Chi ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere per sé. Bisogna trasmetterla. Per dire il vero, non di rado la religione diventa quasi un prodotto di consumo. Si sceglie quello che piace, ma la religione cercata alla maniera del "fai da te" alla fin fine non ci aiuta. È comoda, ma nell'ora della crisi ci abbandona a noi stessi. Aiutate gli uomini a scoprire la vera stella che ci indica la strada: Gesù Cristo! Cerchiamo noi stessi di conoscerlo sempre meglio per poter in modo convincente guidare anche gli altri verso di Lui. Per questo è così importante l'amore per la Sacra Scrittura e, di conseguenza, importante conoscere la fede della Chiesa che ci dischiude il senso della Scrittura. Papa Giovanni Paolo II ci ha donato un'opera meravigliosa, nella quale la fede dei secoli è spiegata in modo sintetico: il Catechismo della Chiesa Cattolica. Io stesso recentemente ho potuto presentare il Compendio di tale Catechismo, che è stato anche elaborato a richiesta del defunto Papa. Sono due libri fondamentali che vorrei raccomandare a tutti voi. "Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo" dice san Paolo (1 Cor 10, 17). Con ciò intende dire: Poiché riceviamo il medesimo Signore ed Egli ci accoglie e ci attira dentro di sé, siamo una cosa sola anche tra di noi. Questo deve manifestarsi nella vita. Deve mostrarsi nella capacità del perdono. Deve manifestarsi nella sensibilità per le necessità dell'altro. Deve manifestarsi nella disponibilità a condividere. Deve manifestarsi nell'impegno per il prossimo, per quello vicino come per quello esternamente lontano, che però ci riguarda sempre da vicino. Vivendo ed agendo così ci accorgeremo ben presto che è molto più bello essere utili e stare a disposizione degli altri che preoccuparsi solo delle comodità che ci vengono offerte. Io so che voi come giovani aspirate alle cose grandi, che volete impegnarvi per un mondo migliore. Dimostratelo agli uomini, dimostratelo al mondo, che aspetta proprio questa testimonianza dai discepoli di Gesù Cristo e che, soprattutto mediante il vostro amore, potrà scoprire la stella che noi seguiamo. Andiamo avanti con Cristo e viviamo la nostra vita da veri adoratori di Dio! Amen. Risposta corale: Da "Senza misura" di Mons. Antonio Bello Non possiamo tenere più per noi l'annuncio che abbiamo ricevuto. Noi siamo mandati. Non siamo soltanto dei chiamati. Siamo, sì, dei chiamati; anzi il Signore ci chiama per nome: Antonella, Angela, Maria, Giuseppe... Ci chiama per nome. E quando uno sente il suo nome ha un soprassalto nel cuore. Dice: “Oh, il mio nome risuona in mezzo alla folla!”. Ci ha chiamati per nome. Ti chiama per nome. Ti chiama per nome, e ti manda anche. Quindi siamo degli inviati. Siamo dei mandati. Cercate di passare finalmente dalle parole ai fatti. La gente non ci crede più. Non crede più alle nostre chiacchiere. Noi non supportiamo con uno spessore di fatti quello che diciamo. Noi facciamo tante cose belle nelle nostre parrocchie. Però ricordatevi che, se non passate ai fatti, se non tirate delle conclusioni, se non vi sforzate di essere più generosi, più liberi, più trasparenti, più puri, più audaci, più disponibili 150 alla preghiera, all'ascolto della Parola di Dio, più pronti anche all'interno delle liturgie, a cantare, ad esprimervi, ad essere protagonisti... se noti c'è tutto questo la cresima sarà stata una scenografia. Vivete la vita che state vivendo con una forte passione. Non recintatevi dentro di voi circoscrivendo la vostra vita in piccoli ambiti egoistici, invidiosi, incapaci di aprirsi agli altri. Appassionatevi alla vita perché è dolcissima. Mordete la vita! Non coltivate pensieri di afflizione, di chiusura, di precauzioni. Mandate indietro la tentazione di sentirvi incompresi. Non chiudetevi in voi stessi, ma sprizzate gioia da tutti i pori. Bruciate... perché quando sarete grandi potrete scaldarvi ai carboni divampati nella vostra giovinezza. 3 – Membri di una grande famiglia Dalla Prima Lettera di S. Paolo Apostolo ai Corinzi (10, 15-17) Parlo come a persone intelligenti; giudicate voi stessi quello che dico: 16 il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? 17 Poiché c`è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell`unico pane. Dal discorso di Benedetto XVI durante la veglia di preghiera nella spianata di Marienfeld, GMG 2005 Cari amici, Dio ci ha donato degli esempi. I Magi provenienti dall'Oriente sono soltanto i primi di una lunga processione di uomini e donne che nella loro vita hanno costantemente cercato con lo sguardo la stella di Dio, che hanno cercato quel Dio che a noi, esseri umani, è vicino e ci indica la strada. È la grande schiera dei santi - noti o sconosciuti - mediante i quali il Signore, lungo la storia, ha aperto davanti a noi il Vangelo e ne ha sfogliato le pagine; questo, Egli sta facendo tuttora. Nelle loro vite, come in un grande libro illustrato, si svela la ricchezza del Vangelo. Essi sono la scia luminosa di Dio che Egli stesso lungo la storia ha tracciato e traccia ancora. In queste figure ha voluto dimostrarci come si fa ad essere cristiani; come si fa a svolgere la propria vita in modo giusto - a vivere secondo il modo di Dio. I beati e i santi sono stati persone che non hanno cercato ostinatamente la propria felicità, ma semplicemente hanno voluto donarsi, perché sono state raggiunte dalla luce di Cristo. Essi ci indicano così la strada per diventare felici, ci mostrano come si riesce ad essere persone veramente umane. Nelle vicende della storia sono stati essi i veri riformatori che tante volte l'hanno risollevata dalle valli oscure nelle quali è sempre nuovamente in pericolo di sprofondare; essi l'hanno sempre nuovamente illuminata quanto era necessario per dare la possibilità di accettare - magari nel dolore - la parola pronunciata da Dio al termine dell'opera 151 della creazione: "È cosa buona". Contemplando queste figure impariamo che cosa significa "adorare", e che cosa vuol dire vivere secondo la misura di Gesù Cristo e di Dio stesso. I santi, abbiamo detto, sono i veri riformatori. Ora vorrei esprimerlo in modo ancora più radicale: Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l'amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore? Cari amici! Sono molti coloro che parlano di Dio; nel nome di Dio si predica anche l'odio e si esercita la violenza. Perciò è importante scoprire il vero volto di Dio. "Chi ha visto me ha visto il Padre", diceva Gesù a Filippo (Gv 14, 9). In Gesù Cristo, che per noi ha permesso che si trafiggesse il suo cuore, in Lui è comparso il vero volto di Dio. Lo seguiremo insieme con la grande schiera di coloro che ci hanno preceduto. Allora cammineremo sulla via giusta. Questo significa che non ci costruiamo un Dio privato, non ci costruiamo un Gesù privato, ma che crediamo e ci prostriamo davanti a quel Gesù che ci viene mostrato dalle Sacre Scritture e che nella grande processione dei fedeli chiamata Chiesa si rivela vivente, sempre con noi e al tempo stesso sempre davanti a noi. Papa Giovanni Paolo II, che nei tanti beati e santi ci ha mostrato il volto vero della Chiesa, ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso della storia, a motivo dell'agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto di male. In tal modo fa vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta ad entrare con tutti i nostri difetti e debolezze nella processione dei santi. In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni. Perciò siamo lieti di appartenere a questa grande famiglia che vediamo qui; siamo lieti di avere fratelli e amici in tutto il mondo. Sperimentiamo quanto sia bello appartenere ad una famiglia vasta come il mondo, che comprende il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro e tutte le parti della terra. In questa grande comitiva di pellegrini camminiamo insieme con Cristo, camminiamo con la stella che illumina la storia. Gesto: Ciascuno di noi riceve a turno uno stetoscopio, con il quale ascoltiamo prima il battito del nostro cuore e poi quello del nostro vicino. In questo modo sperimentiamo un modo nuovo di ascoltare: ascoltare il cuore. Interpretando poi ciò che abbiamo ascoltato, possiamo anche cercare di capire come sta il nostro vicino, se è in ansia o se è sereno. Quando ci mettiamo in atteggiamento di ascolto verso qualche persona, dobbiamo ricordarci di ascoltare non solo le parole, ma anche il cuore, prendendo esempio da Cristo. Più ci avviciniamo al cuore delle persone e più ci avviciniamo a Cristo. 152 Risposta corale: La santa Chiesa cattolica Dio, Trinità santa, da Te viene la Chiesa, popolo pellegrino nel tempo chiamato a celebrare senza fine la lode della Tua gloria. In Te vive la Chiesa, icona dell'amore trinitario, comunione nel dialogo e nel servizio della carità. Verso di Te tende la Chiesa, segno e strumento della Tua opera di riconciliazione e di pace nella storia del mondo. Donaci di amare questa Chiesa come nostra Madre, e di volerla con tutta la passione del nostro cuore Sposa bella del Cristo, senza macchia né ruga. una, santa, cattolica e apostolica, partecipe e trasparente nel tempo degli uomini della vita dell'eterno Amore. Amen! Alleluia! Bruno Forte Canto 153 INDICE La casa sulla roccia Per una pastorale dei 17/19enni Pag. o introduzione all’intera opera 1.1 05 o Le maestranze o o o o o Le stanze I lavori da fare Gli strumenti di lavoro Il piano di lavoro Faq 06 12 19 21 27 31 37 40 44 Per il parroco Per il consiglio pastorale Per te animatore Cerco fatti di Vangelo o o Introduzione al sussidio 46 o Parte 1 – Li amò fino alla fine 1.1.1 Scheda Affetti e vita di coppia Scheda Famiglia Scheda Professione Celebrazione 49 50 55 60 67 o Parte 2 – Si cinse un asciugatoio 1.1.2 Scheda Carità Scheda Carcere Scheda Disabilità Scheda Malattia Scheda Anziani Scheda Dipendenze Scheda Accoglienza Celebrazione 74 75 82 87 93 99 103 108 114 Parte 3 – Fatelo anche voi 1.1.3 Scheda Animatore Scheda Parroco Scheda Vita Religiosa Scheda Missione Celebrazione 122 123 128 132 142 147 I film indicati li potrete trovare, con la forma del prestito gratuito, presso il Centro di Pastorale Giovanile a Settimo di Pescantina (Vr) o presso la Domus Pacis a Legnago (Vr) 154 Appunti: 155 156 157 158 159 160