I collaboratori di Qualeducazione Giuseppe Acone, Giuseppina Adamo, Aldo Agazzi (†), Silvana Aguggini (†), Salvatore Alosco, Fabrizia Antinori, Karl-Otto Apel, Antonio Augenti, Ilaria Attisani, Gianni Balduzzi, Theodor Ballauff, Nicoletta Bellugi, Dietrich Benner, Armin Bernhard, Francesco Bertelli, Carolina Bicego, Franco Blezza, Lamberto Borghi (†), Carlo Borgomeo, Michele Borrelli, Wolfgang Brezinka, Maria Anna Burgnich, Wilhelm Büttemeyer, Dieter Buttyes, Michael Byram, Mimmo Calbi, Pasquale Cammarota (†), Andrea Canevaro, Francesca Caputo, Vincenza Caputo, Michele Cardamone, Tommaso Cariati, Alessia Casoni, Bernat Castany Magraner, Pier Giuseppe Castoldi, Elide Catalfamo Favet, Giuseppe Catalfamo (†), Hervè Cavallera, Manuela Cecotti, Cesarina Checcaci, Lucia Cibin, Emilia Ciccia, Giuseppina Colaiuda, Enza Colicchi, Ornella Comuzzo, Luciano Corradini, Armando Curatola, Augusto Cury, Giuseppe DallʼAsta, Emilio DʼAgostino, Guido DʼAgostino, Elio Damiano, Miranda Dapi, Luisa Della Ratta, Tullio De Mauro, Severino De Pieri, Paolo De Stefani, Lorenzo Di Bartolo, Salvatore Di Gregorio, Walter Di Gregorio, Adele Diodato, Vincenzo DʼOnofrio, Lina Dri, Concetta Epasto, Armando Ervas, Michele Famiglietti (†), Marisa Fallico, Marcella Farina, Paolo Farinella, Antonio Fazio, Domenico Ferraro, Otto Filtzinger, Giuseppe Fioroni, Franco Frabboni, Lauro Galzigna, Michela Galzigna, Hans-Jochen Gamm, Mario Gennari, Barbara Gianesini, Fatbardha Gjini, Franco Severini Giordano, Guido Giugni, Maria Angelo Grassi, Anna Maria Graziano, Daniela Grieco, Vincenzo Guli, Giuseppe Guzzo (†), Hartmut Von Hentig, Eugenio Imbriani, Nunzio Ingiusto, Isabel Jiménez, Amik Kasaruho, Maria E. Koutilouka, Edmondo Labrozzi, Mauro Laeng (†), Marino Lagorio, Nico Lamedica, Raffaele Laporta (†), Antonino Leggio, Valeria Lenzi, Isabella Loiodice, Maria Rosalba Lupia, Sira Serenella Macchietti, Francesco Maceri, Alessandro Manganaro, Angela Maria Manni, Giuseppe Manzato, Ugo Marchetta, Maddalena Marconi, Lucia Mason, Louis Massarenti, Giuseppe Mastroeni, Giovanni Mazzillo, Mario Mencarelli (†), Gaetano Mollo, Maria Monteleone, Daria Morara, Letizia Moratti, Paola Bernardini Mosconi, Marina Mundula, Francesco Nacci, Carlo Nanni, Walter Napoli, Adriana Odorico, Stefano Orofino, Anna Paladino, Roberto A. Paolone, Cecilia Parisi, Anna Paschero, Luigi Pellegrini, Angela Perucca, Enzo Petrini, Rosaria Picozzi, Antonio Pieretti, Gustavo Pietropolli Charmet, Antonio Pisanti, Andrea Pocarelli, Livio Poldini, Clide Prestifilippo, Vincenzo Pucci, Marco Pasqua, Maria Moro Quaresima, Francesco Raimondo, Giusy Rao, Paolo Raviolo, Micheline Rey, Michele Riverso, Aurelio Rizzacasa, Patrizia Rossini, Angelo Rovetta, Franca Ruggeri, Maria Antonietta Ruggeri, Morena Ruggeri, G. Carlo Sacchi, Elisabetta Salvini, Alessandra Samarca, Graziella Sanfilippo Scuderi, Bruno Schettini, Pantaleone Sergi, Filomena Daniela Serio, Renato Serpa, Alessandra Signorini, Andrei Simic, Concetta Sirna, J.J. Smoliez, Angela Sorge, Giuseppe Spadafora, Agostina Spagnuolo, Gianfranco Spiazzi, Francesco Susi, Anna Pia Taormina, Giorgio Tampieri, I. Testa Bappenheim, Alessandra Tigano, Rosanna Tirelli, Enrica Todeschini, Giuseppe Trebisacce, Mario Truscello, Pierre Vayer, Giovanni Villarossa, Claudio Volpi (†), Giorgio Vuoso, Giuseppe Zago, I. Zamberlan, Antonino Zichichi, Corrado Ziglio. SOMMARIO - Fascicolo 71/2008 EDITORIALE LA MEDIA EDUCATION TRA INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE EDUCATIVA di Giuseppe Serio..................................................................................................... pag. 3 STUDI I MEDIA E L’EDUCAZIONE: PENSIERI E MESSAGGI DI BENEDETTO XVI di Sira Serenella Macchietti ................................................................................... » 6 EDUCAZIONE SENZA FRONTIERE MANIFESTO PER UNA CALABRIA LIBERA E DELLE PERSONE ONESTE di Michele Borrelli ................................................................................................... » 13 RICERCA ED INNOVAZIONE EDUCATIVA E DIDATTICA PER UNA PEDAGOGIA DELLA DIGNITÀ: VIAGGIO NEI CENTRI EDUCATIVI OCCUPAZIONALI DIURNI PER DISABILI ADULTI GESTITI DA ASSOCIAZIONI NELLA PROVINCIA DI TREVISO di Giuseppe Manzato ............................................................................................... » 17 AUTONOMIA, DIRIGENZA, PROGETTUALITÀ ESITI DI UN’ INDAGINE. LE RICHIESTE DELL’UCIIM AL MINISTRO ....... » 38 COSTITUZIONE E CITTADINANZA PER AIUTARE I GIOVANI A STAR BENE NELLA SUOLA di Giuseppe Serio..................................................................................................... » 42 IL RUOLO DELL’INTELLETTUALE, IERI. E OGGI? di Giuseppe Serio .................................................................................................... » 48 RUBRICA APERTA GEREMIADE PEDAGOGICA di Vincenzo Pucci ..................................................................................................... » 50 NOTIZIARIO ........................................................................................................ » 55 SCHEDE ................................................................................................................ » 60 RECENSIONI ....................................................................................................... » 62 Editoriale La media education tra informazione e comunicazione educativa di GIUSEPPE SERIO La “media education” è un’attività in grado di promuovere – e ricevere – una informazione critica circa la natura stessa dei mezzi di comunicazione di massa. Dopo la Galassia di Gutemberg, cioè, dopo il libro, la parola pensata e scritta – quella dei media (immagini in Tv, cinema e video; giornale, internet, telefonia mobile) – richiede un’attenta e responsabile assunzione di linguaggi per comunicare con le agenzie della culturalizzazione. Dai media i giovani quasi sempre assorbono il loro modello di vita mettendo a rischio lo sviluppo organico della loro personalità in fieri. Infatti, sono facilmente portati ad imitare i divi del cinema e quelli della moda e alla moda. Il loro comportamento è influenzato da soggetti che imitano nel comportamento – stravagante, banale, poco originale – e nel linguaggio impersonale e, per certi aspetti, anche bolso. Proporrei, perciò, di distinguere tra informazione e comunicazione perché quella sfiora la persona, questa invece la penetra raggiungendola nell’interiorità. Il giovane – come l’adulto – oggi è un consumatore di informazione, cioè di notizie che spalmano in superficie la persona. Ma la “notizia” è povera di comunicazione, cioè di energia culturale che alimenta e promuove lo sviluppo integrale della persona. L’informazione produce comunanza; la comunicazione – invece – produce comunione che potenzia le capacità critiche dell’uomo. Nell’informazione – tra l’altro – c’è già tutto il pensato; c’è, soprattutto, l’immagine, cioè, il guardato che viene recepito quasi sempre acriticamente. La comunicazione, invece, implica il conoscere, il sapere, la verità che è luce, non un surrogato elettronico della luce. L’informazione è un linguaggio debole, la comunicazione è davvero un linguaggio fervido, perciò, educativo. I giovani spesso sono un’isola quando sono incapaci di decodificare i messaggi del tempo in cui si trovano a vivere (come soggetti a rischio nella Galassia delle informazioni che scorrono veloci – come il fulmine – per scomparire subito nel buio dell’effimero). La comunicazione è ciò che resta, è energia culturale forte. Tuttavia, anche la notizia è un prodotto culturale se è filtrato dalla ragione. La comunicazione elettronica è un processo di mediatizzazione che, senza farcene accorgere, sostituisce la realtà con il suo doppio, la realtà virtuale che QUALEDUCAZIONE • 3 esiste solo come possibilità. In virtù dell’ipertrofia delle immagini, messe in onda dalla televisione e dal cinema, lo spettatore, criticamente sprovveduto, riceve informazioni ingannatrici che – ipotizza MacLhuan – spostandosi a velocità elettronica, trasformano il mondo delle tendenze in mondo reale. Dalla Galassia dei mezzi di comunicazione di massa il giovane riceve informazioni che non sempre lo interessano o non gli consentono alcuna possibilità di replica o di richiesta di precisazioni. In particolare, la Tv commerciale, è quella che ha un potere inquinante per cui è portata a ridurre ogni possibile spazio di referenzialità nella mente: Tv e cinema, in tal senso, sono dei veri persuasori occulti. Il pericolo, secondo me, è rappresentato dal fatto che, l’una e l’altro, a livello di fiction, propongono modelli di vita incentrati su guadagno, potere, successo, carriera, sesso che sono gli obiettivi dell’individuo deviato o disorientato, che ha perduto il senso del quadro valoriale della sua vita autentica. A questo punto, il processo educativo, che può fare? Che deve fare? Proibire il cinema, la Tv, internet e quant’altro appartiene alla galassia dei mezzi di informazione? Certamente, no. Sarebbe risibile una tale condanna che si pone al di fuori del senso storico del progresso. Ciò che si può fare è trasformare l’informazione in comunicazione, cioè realizzare le straordinarie potenzialità educative di cui dispone. Questo processo di trasformazione non è facile, ma i media “non sono soltanto mezzi per diffondere le idee – secondo Benedetto XVI – ma possono 4 • QUALEDUCAZIONE essere anche strumenti al servizio di un mondo più giusto e solidale”1. C’è però il rischio che i media si trasformino “in sistemi volti a sottomettere l’uomo a logiche dettate dagli interessi dominanti del momento”2 legittimando e imponendo – con la pubblicità – dei modelli distorti della realtà e, soprattutto, della vita individuale e sociale di persone e di popoli: mi riferisco principalmente ai modelli che favoriscono l’audience con la volgarità, la violenza, la trasgressione cercata! Benedetto XVI, ha scritto3 che ancora una volta, “l’umanità oggi si trova di fronte ad un bivio”. E lo stesso bivio di J. Maritain secondo cui il buon Dio ha creato l’uomo libero ponendolo sullo spartiacque che divide il tempo dall’eternità, l’odio dall’amore, la Trascendenza dall’immanenza. Spetta a lui scegliere da quale parte andare. “I media offrono inedite possibilità per il bene, ma aprono al tempo stesso, possibilità abissali di male che prima non esistevano”4 per cui occorre chiedersi se sia lecito lasciare che gli strumenti della comunicazione tecnologica siano “asserviti ad un protagonismo indiscriminato per manipolare le coscienze”5 oppure debbano essere assunti per servire la persona, la sua crescita interiore in cui è possibile scoprire la verità di cui l’uomo, come il giovane, è davvero insaziabile! Insomma, i media non devono continuare ad essere i megafoni del materialismo economico, del consumismo sregolato, del relativismo etico. Aiutare i giovani a trasformare i linguaggi bolsi in linguaggi belli è un compito che riguarda tutti proprio perché tutti, nell’era della globalizzazione, siamo fruitori ed operatori – a scelta – d’infor- mazione o comunicazione coraggiosa, controcorrente, contro lo smarrimento “alla ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e tra i popoli”6 NOTE Vaticano 24.01.08 Festa di San Francesco di Sales. 2 Ibidem. 3 Idem. 4 Idem. 5 Idem. 6 Giovanni Paolo II, Convegno sul tema Parabole medianiche 2002. 1 In questa triplice comunicazione di immagini, simboli, parole il senso è unico: “non siamo con la ’ndrangheta! siamo con la società delle persone libere, cioè, siamo persone coraggiose! LETTERE AL DIRETTORE “Ho ricevuto l’ultimo fascicolo di Qualeducazione che, come al solito, è molto interessante. Mi tenga informato su eventuali prossimi convegni. Grazie. Cordiali saluti, Mattia Ferrarsi” (già ispettore tecnico del MIUR, Quargnento, Al). Grazie a Lei, soprattutto per il “molto interessante”. Il prossimo convegno internazionale si svolgerà a Praia a Mare (maggio 2009) sul tema: Educare all’onestà, oggi, nella famiglia, nella scuola, nelle istituzioni. L’aspetto. Venga. “Caro prof., Qualeducazione è una rivista che aiuta le persone a crescere con la libertà nel cuore. Mi piace molto. Continui. Con stima, Caterina De Grazia” (Latina, Istituto secondario superiore). Grazie. Ci procuri degli abbonamenti. QUALEDUCAZIONE • 5 Studi rubrica diretta da GIUSEPPE SERIO Siamo contenti di ospitare in questa Rubrica l’articolo di Sira Serenella Macchietti che si pone in continuità con il discorso avviato nell’editoriale di questo fascicolo ed offre certamente una lettura magistrale del tema affrontato nei giorni 1 e 2 maggio di quest’anno nel XXV congresso dell’Associazione Pedagogica Italiana (As.Pe.I.) svoltosi a Praia a Mare. Il problema riguarda il pessimo impiego dei “media” sia per l’informazione che per l’educazione dei bambini che si trovano a vivere in una società confusa e disorientata. I media e l’educazione: pensieri e messaggi di Benedetto XVI di SIRA SERENELLA MACCHIETTI A questa visione dei mezzi di comunicazione sociale, espressa nell’Introduzione del Decreto Conciliare Inter Mirifica, la Chiesa è rimasta costantemente fedele, impegnandosi per «integrare il messaggio salvifico «Tra le meravigliose invenzioni tecniche che, soprattutto in questo nostro tempo, l’ingegno umano è riuscito, con l’aiuto di Dio, a trarre dalle forze della natura creata, la Chiesa accoglie e segue con particolare cura materna quelle che più direttamente riguardano lo spirito dell’uomo e che offrono nuove e rapidissime maniere di comunicare notizie, idee e insegnamenti. Tra queste, occupano un posto particolare quegli strumenti che – quali la stampa, il cinema, la radio, la televisione ed altri di questo genere – sono destinati a raggiungere e ad influenzare non solo i singoli individui ma, per la loro stessa natura, moltitudini di persone, e l’intera società; esse possono chiamarsi 6 • QUALEDUCAZIONE con ragione: strumenti della comunicazione sociale»1 nella “nuova cultura” che questi potenti strumenti “creano e amplificano”. La Chiesa infatti non considera i “media” come strumenti “neutri”, «ma come nuovi ambienti, delle vere e proprie agenzie culturali, spazi nuovi di conoscenza, di elaborazione di senso, di riproposizione di identità»2. Della premura della Chiesa per questi strumenti danno una significativa testimonianza vari documenti della C.E.I3 e i messaggi dei Pontefici per le giornate mondiali delle comunicazioni sociali, che propongono riflessioni capaci di favorire la comprensione dell’importanza del ruolo dei “media” nella vita delle persone e delle comunità e presentano sia le opportunità che questi “mezzi” offrono sia i rischi che possono provocare. Inoltre offrono orientamenti ed indicano prospettive di impegno per la pastorale e per l’educazione. Uno di questi messaggi, quello scritto da Benedetto XVI per la 41ª giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, si colloca in una prospettiva squisitamente pedagogica ed offre elementi per una ricomprensione delle potenzialità formative dei “media”, richiamando anche l’attenzione sugli inediti interrogativi e sui problemi che pongono. Si tratta di motivi che vengono in parte ripresi ed approfonditi nel Messaggio del 2008 in cui il Pontefice affronta la questione del rapporto tra i “media” e la ricerca della verità, aprendo implicitamente spazi di riflessione sulle esigenze educative del nostro tempo. Sembra pertanto opportuno confrontarsi con questi documenti per farne tesoro, per educarci e per educare ad un uso umanamente proficuo dei “media”. I bambini e i “media” Il messaggio di Benedetto XVI sul tema «I bambini e i mezzi di comunicazione: una sfida per l’educazione» si configura come un atto di amore per i bambini e invita «a riflettere su due aspetti che sono di particolare rilevanza. Uno è la formazione dei bambini. L’altro, forse meno ovvio ma non meno importante, è la formazione dei “media”». Infatti il Papa rileva che «le complesse sfide che l’educazione contemporanea deve affrontare sono spesso collegate alla diffusa influenza dei media nel nostro mondo» di cui delineano l’atmosfera culturale, operando spesso notevoli condizionamenti tanto che «per molte persone, la realtà corrisponde a ciò che i media definiscono come tale»4. Tuttavia quello di Benedetto XVI è un discorso che non si limita alla denun- cia è infatti fortemente propositivo, illuminato di speranza e ricco di suggerimenti che prendono avvio dalla constatazione del fatto che i “media” possono educare i bambini e che i bambini hanno il diritto di essere educati a rispondere «in modo adeguato ai media». E, per quanto riguarda il potere della comunicazione mediatica, il Papa rileva che «emerge una specie di reciprocità che punta alle responsabilità dei media come industria e al bisogno di una partecipazione attiva e critica da parte dei lettori, degli spettatori e degli ascoltatori». A questa constatazione si collega la necessità che i “media” siano impegnati nell’effettiva formazione e nel rispetto dell’etica e non antepongano “il profitto alle persone” e che coloro che lavorano nel settore della comunicazione sociale sappiano resistere alle “pressioni psicologiche…”, che inducono ad “abbassare gli standard” ed a proporre programmi che per “divertire” «esaltano la violenza, riflettono comportamenti anti-sociali o volgarizzano la sessualità umana». L’offerta di questi programmi (e in particolare se sono rivolti ai bambini e agli adolescenti) è di fatto una “perversione” che, in nome del “divertimento”, fa di innumerevoli giovani innocenti innumerevoli «vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’abuso»…. Il Papa pertanto, dopo aver ricordato che Gesù, prendendo i bambini “fra le braccia” e «imponendo loro le mani li benediceva» (Mc 10,16), e le parole da Lui dette nei confronti di chi scandalizza l’infanzia5, fa appello «ai responsabili dell’industria dei media, affinché formino ed incoraggino i produttori a salvaguardare il bene comune, a sostenere la verità, a proteggere la dignità umana QUALEDUCAZIONE • 7 individuale e a promuovere il rispetto per le necessità della famiglia». L’accoglienza di questo appello può giovare agli stessi mezzi di comunicazione di cui Benedetto XVI mette in evidenza le notevoli potenzialità educative, affermando la necessità che i “media” possano contribuire alla promozione dell’umanità di ogni persona ed a far crescere la comunità delle persone6. Pertanto il Papa chiede a tutti di impegnarsi per ridisegnare il volto stesso della comunicazione “per rendere meglio visibili” «i lineamenti essenziali e irrinunciabili della verità sulla persona umana»7. Di fatto il ruolo che gli strumenti della comunicazione sociale hanno assunto costituisce ormai «una parte integrante della questione antropologica» e mette in gioco «dimensioni costitutive dell’uomo e delle sue Verità». Per educare ai “media”: suggerimenti e consigli… Nel suo messaggio il Papa precisa che l’educazione ai “media”, la quale è rivolta a far sì che i bambini possano diventare selettivi nell’uso di questi “mezzi…”, spetta ai genitori, alla Chiesa, alla scuola e non può non interessare «tutti coloro che hanno un senso di responsabilità civica». Il ruolo dei genitori è comunque di primaria importanza, essi infatti sono «i primi e principali educatori dei propri figli», sono educatori perché genitori, perché nel donare la vita «prendono parte dell’opera creatrice di Dio» e la loro educazione è prima di tutto “un’elargizione di umanità”8. Ai genitori il Papa chiede di “proteg- 8 • QUALEDUCAZIONE gere” i figli dalle “aggressioni” dei “media” e di garantirne un uso “regolato” e “prudente” e rimanda alla Familiaris Consortio9, in cui si raccomanda una “mediazione orientativa” che consenta di “educare la coscienza” dei bambini e dei ragazzi… «ad esprimere giudizi sereni e oggettivi». A questo proposito, cercando di interpretare il discorso di Benedetto XVI, si può ricordare che gli effetti esercitati sui telespettatori dal mezzo televisivo dipendono non solo e non tanto «dai contenuti trasmessi, quanto piuttosto dal modo con cui il telespettatore fruisce dei programmi…»10. È quindi opportuno tener presente il potere condizionante della televisione che è tanto più debole, quanto maggiore è la consapevolezza della distanza che separa lo spazio ed il tempo reale (quello, cioè, del telespettatore) dallo spazio ed il tempo della rappresentazione (quello, cioè, messo in scena dalle rappresentazioni televisive). Pertanto, indipendentemente dalla qualità «dei programmi visionati, è necessario che i giovani, soprattutto i bambini, non siano lasciati soli davanti al televisore». Lasciar solo il bambino davanti alla Tv significa non soltanto non essere con lui quando assiste a determinati programmi, «ma anche lasciarlo solo nella costruzione dei significati di quello che vede». È anche opportuno evitare «che la televisione resti accesa quando nessuno la guarda. Questa modalità di utilizzo, infatti, erode i confini tra realtà e rappresentazione sia perché trasforma la Tv da strumento in presenza quotidiana (cui si riconosce lo stesso valore delle persone che quotidianamente si muovono per casa)», sia perché sollecita un’attenzione “fiduciosa” e rassicurante che consente, come avviene quando il televisore è posto in “luoghi di intimità”, di accogliere i messaggi televisivi con quella disponibilità che si concede ai familiari11. Si può aggiungere che la “mediazione orientativa”, cui si fa riferimento nella Familiaris Consortio, chiede implicitamente di concordare con i figli i tempi di fruizione della televisione e scegliere insieme i “programmi” da vedere insieme. La presenza dei genitori può infatti “rassicurare” i bambini e un cenno di approvazione e di dissenso può essere sufficiente perché i figli apprendano il valore o il disvalore delle immagini e delle sequenze. In particolare gli adulti sono chiamati a fare domande su ciò che i figli hanno visto per poter negoziare i significati dell’oggetto della fruizione, per arginare eventuali rischi, per ridurre il potere esercitato da alcuni programmi sui bambini, per aiutarli a non scegliere alcune trasmissioni ed a preferirne altre. Ai genitori si può quindi raccomandare di incoraggiare i figli ad esprimersi, a dar voce alle loro emozioni, a comunicare le loro impressioni, a riflettere e quindi a dialogare. Questo “stare insieme” può permettere ai genitori di conoscere “di più” i loro figli e arricchisce gli uni e gli altri. Inoltre rende “positiva” l’educazione ai “media” e consente di “porre” «i bambini di fronte a quello che è esteticamente e moralmente eccellente» e, come scrive il Papa, di aiutarli «a sviluppare la propria opinione, la prudenza e la capacità di discernimento». È un’educazione che chiede ai genitori cura e premura per i loro figli e di impegnarsi per introdurli nella vita e nella cultura, per favorire l’incontro con ciò che “vale” e quindi con i “classici della letteratura infantile”, con la “letteratura popolare”, con le “belle arti” e con la “musica nobile” e… con la “bellezza”, con una bellezza che è «quasi specchio del divino», che è capace di ispirare e vivificare «i cuori e le menti giovanili» e che fa sentire il desiderio di superare la mediocrità e la volgarità e di “volare in alto”12. La prospettiva della corresponsabilità e della solidarietà educative Nel suo messaggio del 2007 Benedetto XVI invita i genitori ad accompagnare i figli nel processo che li conduce alla conquista della libertà, vista non soltanto come “libertà da” ma anche in senso positivo e costruttivo, come capacità di autodeterminare le proprie azioni, vale a dire di scegliere in ogni momento il modo di agire che si considera il migliore tra le possibilità presenti sia tra quelle da scoprire, per progettare e progettarsi cioè come “libertà per”13. Il Papa inoltre dimostra di interpretare «il desiderio profondamente sentito dai genitori e dagli insegnanti di educare i bambini nella via della bellezza, della verità e della bontà» e di introdurli «alla profonda gioia della vita». L’educazione, collocandosi in questa prospettiva, viene pertanto a configurarsi come “apprendistato di libertà” e chiede ai genitori una responsabilità impegnativa14. A questo proposito il Papa, come si legge nella Lettera inviata alla «alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione» del 21 gen- QUALEDUCAZIONE • 9 naio 2008, sollecita i genitori e gli educatori ad assumere con coraggio la loro responsabilità personale ma ricorda che la responsabilità educativa è anche una responsabilità da condividere «come cittadini di una stessa città e di una nazione, come membri della famiglia umana», come “credenti”…, «come figli di un unico Dio» e come «membri della Chiesa»15. Pertanto Benedetto XVI afferma che “i genitori dovrebbero essere incoraggiati” ed aiutati “dalla scuola e dalla parrocchia, nella certezza che il difficile e gratificante compito di educare non può non essere sostenuto dall’intera comunità. Precisa inoltre che “la Chiesa stessa, alla luce del messaggio della salvezza che le è stato affidato, è anche maestra di umanità e vede con favore l’opportunità di offrire assistenza ai genitori, agli educatori, ai comunicatori ed ai giovani”16. I “media” oggi: protagonismo o servizio? Nel messaggio per la Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali del 2008 sul tema «I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio. Cercare la verità per condividerla»17 Benedetto XVI rileva che «non c’è… ambito dell’esperienza umana, specialmente se consideriamo il vasto fenomeno della globalizzazione, in cui i media non siano diventati parte costitutiva delle relazioni interpersonali e dei processi sociali, economici, politici e religiosi» ed afferma che questi mezzi «per le potenzialità educative di cui dispongono, hanno una speciale responsabili- 10 • QUALEDUCAZIONE tà» e possono proporsi come «strumenti al servizio di un mondo più giusto e solidale». È infatti innegabile «l’apporto che essi possono dare alla circolazione delle notizie, alla conoscenza dei fatti e alla diffusione del sapere» e che hanno contribuito all’alfabetizzazione, alla socializzazione, «allo sviluppo della democrazia e al dialogo tra i popoli», facilitando la loro reciproca comprensione e diffondendo gli ideali di pace, di solidarietà e di giustizia sociale. Oggi è però presente il rischio che i “media” «si trasformino… in sistemi volti a sottomettere l’uomo a logiche dettate dagli interessi dominanti del momento». La comunicazione, ad esempio, può essere usata per «fini ideologici o per la collocazione di prodotti di consumo mediante una pubblicità ossessiva». Inoltre i “media” talvolta «con il pretesto di rappresentare la realtà», di fatto tendono «a legittimare e ad imporre modelli distorti di vita personale, familiare o sociale», e, «per favorire gli ascolti, la cosiddetta audience», non esitano «a ricorrere alla trasgressione, alla volgarità e alla violenza» e rischiano di diventare «il megafono del materialismo economico e del relativismo etico, vere piaghe del nostro tempo (…)». Il ruolo dei “media” pertanto «va ormai considerato parte integrante della questione antropologica, che emerge come sfida cruciale del terzo millennio». Infatti essi incidono profondamente «su tutte le dimensioni della vita umana (morale, intellettuale, religiosa, relazionale, affettiva, culturale)» e mettono “in gioco” tutte le «dimensioni costitutive dell’uomo e della sua verità». Quando ciò avviene «la comunicazione perde gli ancoraggi etici e sfugge al controllo sociale» e «finisce per non te- nere più in contro la centralità e la dignità inviolabile dell’uomo», incidendo negativamente sulla sua coscienza, “sulle sue scelte”, e in definitiva condizionando «la libertà e la vita stessa delle persone»18. Oggi infatti i “media” non si limitano più all’informazione ed alla trasformazione del reale ma creano la “surrealtà” cioè una parvenza di realtà che prende il posto della “realtà autentica” con inevitabili ricadute sul piano morale e sull’educazione. A questo proposito il Papa chiede ai mezzi di comunicazione sociale di difendere “gelosamente la persona”. Indica inoltre «la necessità di una “info-etica”, ricordando che il compito di rispettare la dignità della persona e di far conoscere la sua “verità” è un compito che «in qualche modo, ci riguarda tutti, perché tutti, nell’epoca della globalizzazione, siamo fruitori e operatori di comunicazioni sociali». Quindi tutti possiamo e dobbiamo impegnarci per far sì che i “media” possano contribuire «a far conoscere la verità sull’uomo, difendendola davanti a coloro che tendono a negarla o a distruggerla» e che riconoscano che «la ricerca e la presentazione della verità sull’uomo costituiscono la vocazione più alta della comunicazione sociale». E, per rendere efficace la presentazione di questa verità, il Papa invita «i responsabili e gli operatori del settore» ad utilizzare linguaggi sempre più belli e raffinati ritenendo “esaltante” questo loro compito. A questo proposito Benedetto XVI ricordando che «i nuovi media, telefonia e internet in particolare, stanno modificando il volto stesso della comunicazione» afferma che forse, questa è «un’occasione preziosa per ridisegnarlo, per rendere meglio visibili […] i lineamenti essenziali e irrinunciabili della verità sulla persona umana»19. A tutti quindi spetta il compito di contribuire a controllare, arginare a superare il “protagonismo indiscriminato” dei “media” e il loro asservimento da parte di chi se ne avvale… per manipolare le coscienze e quindi di impegnarsi per far sì che «restino al servizio della persona e del bene comune e favoriscano “la formazione etica…, nella crescita dell’uomo interiore”»20. Il discorso del Papa è quindi a favore della libertà di pensiero e al servizio della dignità umana e invita i “media” a soddisfare le giuste attese di tanti spettatori televisivi, ricordando che ogni uomo ha sete di verità, come dimostrano anche «l’attenzione e il successo registrati da tanti prodotti editoriali, programmi o fiction di qualità, in cui la verità, la bellezza e la grandezza della persona, inclusa la sua dimensione religiosa, sono riconosciute e ben rappresentate». Andando oltre il discorso del Pontefice non possiamo dimenticare che non sono pochi gli spettatori televisivi che si sentono offesi ed umiliati dalla volgarità dei programmi che vengono offerti perché si sentono migliori cioè più intelligenti, più colti, più saggi, più ricchi di umanità di come li immaginano i signori dei palinsesti della tv. Il Papa sembra interpretare le attese e i sentimenti degli spettatori “traditi” che hanno bisogno di quella verità che “rende liberi”, ricordando che solo Cristo può rispondere pienamente alla sete di vita e di amore che è nel cuore dell’uomo. Il suo discorso pertanto si chiude con una invocazione allo Spirito Santo, «perché non manchino comunicato- QUALEDUCAZIONE • 11 ri coraggiosi e autentici testimoni della verità che, fedeli alla consegna di Cristo e appassionati del messaggio della fede, “sappiano farsi interpreti delle odierne istanze culturali, impegnandosi a vivere questa epoca della comunicazione non come tempo di alienazione e di smarrimento, ma come tempo prezioso per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e i popoli”»21. Se riflettiamo ulteriormente sulle parole di Benedetto XVI possiamo affermare che il suo messaggio è una testimonianza di premura e di amore per l’uomo e quindi per la sua libertà e per la sua dignità. Inoltre è un invito rivolto a tutti e particolarmente alle comunità ed alle istituzioni educative e quindi alla famiglia, alla scuola… ad impegnarsi con senso di responsabilità per l’educazione alla fruizione dei “media”, che rientra in quella più generale “emergenza educativa” sulla quale il Pontefice richiama insistentemente l’attenzione, considerandola come un “problema” e come una “speranza”…. NOTE Cfr. Decreto su «Gli strumenti di comunicazione sociale» (Inter mirifica), 1. 2 Cfr. F.J. Eilers, R. Giannatelli, Chiesa e comunicazione sociale, LDC, Leumann (Torino), 1996. 3 Tra questi documenti assume un particolare si1 12 • QUALEDUCAZIONE gnificato quello intitolato Comunicazione e Missione. Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa. 4 Cfr. Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Aetatis Novae, 4. 5 A questo proposito il Papa ricorda che Gesù a chi scandalizza i bambini ha detto: «è meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino…» (Lc 17,2). 6 Cfr. S.S. Macchietti, I “media” per educare alla “bellezza”, in «Scuola Materna», n. 14, 10 aprile 2007, p. 7. 7 Cfr. Lett. Ap. Il rapido sviluppo, 10. 8 Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, Roma, presso San Pietro, 2 febbraio 1994, 16. 9 Cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, Roma, presso S. Pietro, 22 novembre 1981, 76. 10 Cfr. S.S. Macchietti, I “media” per educare alla “bellezza”, in «Scuola Materna», cit., pp. 7-8. 11 Cfr. M. Piccinno, Percorsi educativi e neotelevisione, Pensa Multimedia, Lecce, 2002. Cfr. anche M. Piccinno, Dipendenza televisiva e adolescenza, Manni, Lecce, 2004. 12 Cfr. S.S. Macchietti, I “media” per educare alla “bellezza”, in «Scuola Materna», cit., p. 8. 13 Cfr. V. García Hoz, Educación personalizada, Madrid, Ediciones Rialp S.A., 1988. 14 Cfr. S.S. Macchietti, I “media” per educare alla “bellezza”, in «Scuola Materna», cit., pp. 8-9. 15 Cfr. S.S. Macchietti, Abbiamo tutti a cuore l’educazione (Editoriale), in «Scuola Materna», n. 17, 10 giugno 2008, p. 10. 16 Cfr. S.S. Macchietti, I “media” per educare alla “bellezza”, in «Scuola Materna», cit., p. 9. 17 Cfr. Benedetto XVI, Festa di San Francesco di Sales., Dal Vaticano, 24 gennaio 2008. 18 Cfr. Benedetto XVI, I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio. Cercare la verità per condividerla, cit. 19 Cfr. Lett. ap. Il rapido sviluppo, 10. 20 Cfr. Enciclica Spe salvi, n. 2. 21 Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno Parabole mediatiche, 9 novembre 2002. Educazione senza frontiere rubrica diretta da MICHELE BORRELLI Manifesto per una Calabria libera e delle persone oneste di MICHELE BORRELLI Difendiamo la democrazia prima che sia troppo tardi Cos’è cambiato dalla morte di Impastato (1978), Ambrosoli (1979), Giuliano (1979), Losardo (1980), La Torre (1982), Dalla Chiesa (1982), Chinnici (1983), Fava (1984), Siani (1985), Livatino (1990), Scopelliti (1991), Grassi (1991), Falcone (1992), Borsellino (1992), Fortugno (2005)? Mi fermo qui, ma – come tutti noi sappiamo – questi sono solo alcuni dei nomi di persone oneste e coraggiose massacrate dalla criminalità organizzata. Cos’è cambiato, chiedo, dopo il massacro di tante persone che hanno pagato con la loro vita la difesa della nostra democrazia? Com’è possibile che la nostra democrazia, non riesca a difendere le sue regole e i suoi princìpi e si dimostri impotente dinanzi ad un dispiegarsi sempre più smisurato dei poteri di una criminalità che aumenta il suo grado di influenza sulle nostre regioni, su tutta la società e lentamente, ma gradualmente e sempre più, si impossessa delle strutture, di tutte le strutture e dell’intera società? Cos’è cambiato in questi anni di fuoco e stragi che la criminalità organizza- ta ha seminato sulle nostre terre, dopo tutto il sangue che tante persone oneste e coraggiose hanno versato in difesa della nostra democrazia? Uno sguardo attento ai fatti dimostra che gli sforzi non sono mancati per contrastare e combattere la barbarie assassina della criminalità organizzata. Molti gli arresti, tante le condanne. Ma cos’è sostanzialmente cambiato se Cosa Nostra, Camorra, ‘ndrangheta, Sacra Corona Unita non sono sparite, ma sono lì, sempre ancora lì a dettar legge, la legge dell’illegalità e della criminalità? Perché si è arrivati a tanto? Di chi le responsabilità? Quali i complici della devastazione della democrazia? Perché il problema non diventa un problema nazionale? Un problema di emergenza per la nostra democrazia? Dov’è lo Stato? Ma anche: dov’è la società civile, dove sono le istituzioni? A queste domande dobbiamo dare una risposta e dipenderà da questa risposta la possibilità e soprattutto la volontà di voler combattere effettivamente e seriamente i poteri di una criminalità organizzata che come ha scritto con chiarezza Giuseppe D’Avanzo (Repubblica del 27 Aprile 2008, p. 11) ha preso in ostaggio la nostra democrazia. È indubbio che la crescita, continua QUALEDUCAZIONE • 13 e sempre più devastante della criminalità organizzata, ha messo e mette a rischio il fondamento della nostra convivenza civile e della nostra democrazia. Ha messo e mette a rischio, non da ultimo, il mercato del lavoro. Ha messo e mette a rischio la nostra sicurezza e la nostra crescita economica. La crescente infiltrazione della criminalità organizzata nell’attività economica finirà per schiacciare ciò che il liberalismo economico riteneva il punto fondamentale dell’economia, e cioè la libera concorrenza e il libero mercato. Gli effetti di un mercato in mano alle organizzazioni criminali saranno devastanti non solo per l’occupazione, ma anche per i salari, per le pensioni, per la crescita in generale del nostro paese. Saranno salari controllati e comandati dalla illegalità e dalla criminalità, non salari controllati e regolati da tariffe e garanzie sindacali. Quale aziende del nord o straniere, quali imprenditori del Sud dovrebbero investire nei nostri territori se qui da noi comandano le bombe e gli incendi, gli agguati e gli spari, l’usura e il pizzo? Su quali basi immaginarsi una crescita economica e culturale del nostro territorio se qui da noi regnano paura e omertà, complicità e indifferenza? Come uscire da questa situazione? Come rispondere con mezzi democratici a organizzazioni criminali il cui unico scopo è distruggere le regole democratiche e impossessarsi della ricchezza pubblica, frutto del lavoro onesto di noi tutti e unica nostra garanzia per difendere il nostro Stato di diritto, dai salari alle pensioni e agli stipendi? Come difendere il futuro nostro e delle generazioni che seguiranno la nostra dallo scempio continuato di una criminalità che ha preso a fucilate la nostra democrazia? 14 • QUALEDUCAZIONE Non ci sono alternative: dobbiamo unire subito le nostre forze democratiche, tutte le forze che costituiscono e mantengono in vita una società democratica. Abbiamo bisogno e subito di una politica della legalità, di una economia nella legalità, di una cultura della legalità e per la legalità. Sono questi i presupposti di cui abbiamo bisogno in modo esistenziale. Senza legalità non c’è sviluppo e crescita economica, non c’è cultura democratica perché non c’è giustizia, non c’è solidarietà sociale e di entrambe abbiamo proprio oggi tanto bisogno e soprattutto ne hanno bisogno i giovani, ne hanno bisogno nostri figli. Senza fiducia nelle istituzioni non c’è sviluppo democratico e democrazia che possa estendersi ulteriormente ed essere fonte di libertà e dei diritti-doveri a cui fa esplicito riferimento la nostra costituzione. Dobbiamo unire subito le nostre forze. Ciò è tanto più importante quanto più si è sottovalutato e si continua a sottovalutare il potenziale di rischio che la criminalità organizzata costituisce per la vita democratica del nostro paese. Ciò è tanto più importante quanto più vengono meno le domande su cosa deve fare il mondo politico, su cosa deve fare il mondo economico-imprenditoriale, su cosa deve fare il mondo culturale in generale (le scuole, la chiesa, la magistratura e gli organi di polizia, i sindacati), su cosa spetta fare a noi tutti, adesso e subito, a noi cittadini di uno Stato democratico se vogliamo che esso rimanga ancora uno Stato democratico; noi che vediamo come la criminalità organizzata lentamente, gradualmente e sempre più, si impossessa della politica, dell’economia, delle istituzioni, dello Stato. – Quale il futuro delle generazioni che seguiranno la nostra se le strutture, tutte le strutture, sono strutture nelle quali regna o regnerà incontrastata l’illegalità, al punto che i diritti, i diritti più semplici di noi tutti, i diritti al lavoro (un diritto a cui fa preciso riferimento la nostra costituzione), il diritto alle carriere per meriti e non per raccomandazioni, il diritto ad avere un’impresa, ad aprire un negozio, il diritto a poter lavorare nella tranquillità non sono più garantiti? – Quale futuro se questi diritti, che sono diritti elementari, i diritti più semplici e necessari sui quali si basano la convivenza civile e la convivenza democratica, quindi il benessere di noi cittadini, vengono sistematicamente calpestati e cancellati? – Quale futuro se questi diritti elementari diventano favori, se i favori diventano elemosine e le elemosine, come tutti sanno, non sono nemmeno a disposizione di tutti? – Quale futuro se dobbiamo inginocchiarci davanti ai padroni del malaffare e della criminalità, se dobbiamo inginocchiarci davanti a quanti sostituiscono le regole e i princìpi della democrazia con le regole e princìpi della delinquenza e della criminalità? Quale futuro se non ci vediamo più difesi dalle Istituzioni e non ci sentiamo difesi nelle Istituzioni? Una democrazia nella quale magistrati, per svolgere il loro compito, devono vivere blindati; una democrazia nella quale intellettuali, scrittori, politici e testimoni di giustizia, devono circolare con la scorta se vogliono uscire di casa, è una democrazia a rischio, è una democrazia in pericolo. Una democrazia nella quale fare il proprio dovere diventa l’eccezione e fare il delinquente o il criminale diventa la normalità; una democrazia nella quale si ha paura di dire la verità perché non solo non si è premiati, ma si rischia di essere isolati e maltrattati se non addirittura massacrati, una democrazia che va avanti con minacce, attentati, bombe, intimidazioni, incendi di case, di automobili è una democrazia senza sostanza, una democrazia che ha rinunciato al fondamento dei suoi valori. Difendere la democrazia è un dovere di tutti, non solo dello Stato o delle forze dell’ordine o della magistratura. Ecco perché ognuno di noi è chiamato in causa; ecco perché queste sono domande e risposte che non possono essere delegate. Non possiamo delegare la democrazia, perché essa c’è solo e fino a quando è vissuta, alimentata e difesa da tutti. La nostra è una giovane democrazia e ha bisogno, più di altre democrazie, dell’aiuto di ognuno di noi se vogliamo mantenerla e aprirla a spazi di libertà, di solidarietà e di giustizia sociale sempre più ampi. La democrazia, se è democrazia, non ha bisogno di eroi. Non lasciamo, allora, che la morte di tutte quelle persone oneste e coraggiose che ho menzionato inizialmente e le tante altre sulle quali ho taciuto e che hanno dato la loro vita per la nostra crescita democratica rimanga solo un ricordo, il ricordo di tristissimi eventi, non aspettiamo che altre persone oneste e coraggiose come Loro rimangano sole, non aspettiamo altri eroi. Poi sarà tardi e piangeremo nuovi morti e con essi la morte della nostra democrazia e del nostro futuro. QUALEDUCAZIONE • 15 Ricerca ed innovazione educativa e didattica rubrica diretta da FRANCO BLEZZA Un termine che è stato impiegato in tempi lontani culturalmente, ma non lontani culturalmente, è “extra-scuola”, con e senza il trattino: esso sta rapidamente cadendo in desuetudine con i suoi derivati, anche se qualcuno seguita a rimanervi abbarbicato nonostante tutto, come se fosse un modo per mantenere fissa come in una istantanea fotografica una situazione che è in evidente evoluzione. Questo termine serve chiaramente a fare di ogni applicatività pedagogica che non sia scolastica un unico fascio, come cioè nei tempi nei quali la scuola, e in particolare alcuni gradi di scuola, totalizzassero o quasi l’impegno e l’attenzione dei Pedagogisti. In effetti non si tratta di un problema puramente terminologico, come abbiamo già avuto più occasioni di ribadire. Sappiamo che reperita iuvant, ma occorre anche andare alla radice dell’errore, e questo è abbastanza facile. Che siano laudatores temporis acti oppure no, coloro che seguitano ad impiegare questo termine per ragioni precise, e non per semplice inerzia od incuria, desiderano testimoniare il loro rimanere abbarbicato a quelle ristrettezze nelle quali era confinata la Pedagogia nel breve Evo storico otto-novecentesco dal quale siamo usciti a fatica e con pesanti eredità: la scuola primaria e forse quella precedente (meglio allora chiamarla “materna” cioè non del tutto scuola…), alcune età dello sviluppo, alcuni problemi speciali. Si capisce quella posizione. Ma si deve prender atto che era anche la posizione organica ad una vision dell’uomo e dell’umanità come non educabile lungo il corso di tutta la vita, ma solo per un primo stadio di quello che si chiamava piuttosto l’“arco” di vita, con un’immagine immediatamente esplicativa. Erano il tempo e la cultura della “coppia a sovrapposizione”, cioè a polarizzazione di genere spinta all’estremo e passata per “naturale”, della famiglia “nucleare” propriamente detta, della copertura ipocrita di tutti i drammi domestici sotto la cappa della Privacy, della rispettabilità, della Domesticity; del giustificazionismo freudiano di una minorità sessuale della donna; e via elencando. Tempi, insomma, finiti e che nessuno rimpiange per questi ed altri aspetti evidentemente non più a lungo sostenibili. Non li si faccia rientrare, quindi, dalla finestra terminologica dopo averli espulsi con decisione dalla porta concettuale. Si parli, piuttosto, di Pedagogia sociale come impegno in tutti i campi non istituzionalizzati per educare, ma che educano in quanto sociale: a cominciare proprio dalla coppia e dalla famiglia, per continuare con il territorio, il mondo della formazione, l’universo del digitale e via elencando. E si prenda atto che i problemi della scuola oggi sono assai difficili a porsi, e ancor più a tentare di risolverli, se non in un contesto più generale. Oggi, in Pedagogia scolastica, per vie interne non si fa più molta strada. Sempre ammesso che se sia fatta molta prima. *** Nella rubrica di questo numero, la quarantatreesima a nostra cura, vi proponiamo un unico contributo peraltro ricco e sostanzioso: è di Giuseppe Manzato, docente di Sociologia con interessi pedagogici a Ca’ Foscari (Venezia), e ha per titolo “Per una pedagogia della dignità: viaggio nei centri educativi occupazionali diurni per disabili adulti gestiti da associazioni nella provincia di Treviso”. Ribadiamo così il nostro interesse per la Pedagogia come impegno nel sociale; e vediamo di dedicare l’attenzione dovuta alla Pedagogia Speciale. È questa una branca della Pedagogia di grande importanza, nella quale si evidenzia maggiormente che non in altre la necessità imprescindibile di una competenza (generale e specifica) di livello molto elevato. 16 • QUALEDUCAZIONE Per una pedagogia della dignità: viaggio nei centri educativi occupazionali diurni per disabili adulti gestiti da associazioni nella provincia di Treviso di GIUSEPPE MANZATO* L’istituzione dei Ceod manifesta la faccia sensibile di un’epoca, e incarna quella vocazione alla “cura” dell’umano esistere che già si rintraccia in qualche mito dell’antichità, per compiersi nell’etica cristiana, i cui tratti, per storia e cultura, nel Veneto, sono evidenti in misura significativa; forse per via di un divenire mai completamente separato dal trascendente, che irrora una cultura del fare, che precede il chiedere o il comunicare. I centri educativi occupazionali diurni rendono evidente il tentativo di recuperare una prospettiva antropologicapersonalistica, che si fonda sulla concreta persona umana anziché sull’idea astratta – per quanto attuale – di “individuo casuale”, in antitesi alle vecchie e alle nuove disuguaglianze indotte dalla globalizzazione economica, come suggeriscono gli studiosi del gruppo “Sociologia per la persona”1. In questi cantieri della dignità umana, operosità, attenzione, cura e valore dell’alterità inverano quell’insieme di fatti spirituali che congiungono umanesimo e sentimento religioso del Cristianesimo, elementi fondativi della cul- * Socente di Sociologia nell’Università Ca’ Foscari di Venezia. tura d’Occidente. Dimensioni soffocate da una “democrazia ludica per telecittadini”2, come direbbe paul Virilio, filosofo francese contemporaneo, di origine piemontese. Via via, smantellate dalla furia demolitrice di un edonismo debordante che, dopo aver sancito il “trionfo” dell’evoluzionismo animale, celebra un’antropologia rovesciata, dove cancellato il concetto – valore di persona, si innalza il “vitello d’oro” dell’aggressività corporea – fatta di nudità tribali, crasse volgarità e stracci - che, nel fare la fortuna di sconosciuti fenomeni da baraccone (e non solo), canta un mondo effimero e irreale, sintesi di salute, “bellezza”, apparenza soprattutto, di eterna giovinezza e conosciute appendici di “giovanilismo”, con tutto ciò che ne consegue sul piano delle relazioni sociali a cominciare dalla disgregazione dell’istituto familiare. Non tutti però. Non tutti si arrendono all’urto di una vulgata popolar-mediatica che annichilisce il ben dell’intelletto e riconduce l’umanità a un’età precivile, primigenia e lontanissima dalla fatica della civiltà. Non tutti soggiacciono – con buone dosi di sedimentato egoismo e oscure viltà – a questa modernità liquida, come riferisce Zygmunt Barman, sociologo polacco, naturalizzato inglese – “dove il soggettivismo esa- QUALEDUCAZIONE • 17 sperato dà il segno del malessere della postmodernità; rode i rapporti generando inquietudine per il nuovo disordine mondiale, affievolisce i vincoli tradizionali di famiglia, di vicinato, mentre il sistema dei media – diffonde messaggi costanti di indeterminatezza e fluidità del mondo”3. La fluidità, la modernità liquida – chiosa Ulderico Bernardi – descrive il primato dell’individualismo che disintegra i vincoli e i legami stabili, sacrificando il valore della continuità attraverso il tempo ad una visione nichilista che contrappone pericolosamente, presente e passato4. Non tutti, rimangono disincantati rispetto alla percezione di tanti operatori sanitari che, in occidente, preferiscono la morte alla disabilità. Non tutti, pensano che sia giusto decidere chi deve nascere e chi no, stabilendo a priori – per esempio – che un down sarà per forza un infelice. Senza considerare che alcune ricerche – e anche questo lavoro – dimostrano l’esatto contrario, e che i down, in genere, non rubano, non stuprano e non fanno guerre! Non tutti, hanno ceduto. Come Serena Toigo, che ha raccolto i dati di ricerca per questo lavoro e, dopo la laurea triennale in Economia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha deciso di iniziare il percorso formativo finalizzato ad operare nei Centri per disabili, consapevole che la produzione di senso esistenziale vero, non si esplicita dentro un’autoreferenzialità individualistica ma in una tensione che è, essenzialmente, sociale. Come Luigi Prosdocimo, artista ceramista che da trent’anni si occupa di terapia occupazione e arteterapia con persone disabili, ideatore e direttore dei Centri diurni di Motta di Livenza e autore di una pregevole pubblicazione 18 • QUALEDUCAZIONE – “dal Segno al simbolo” – sull’avviamento al lavoro di persone con disabilità mentale. Come tutti quegli operatori che hanno rinunciato a collocazioni ben più remunerate, forse perché è impagabile, la remunerazione del cuore; che chiede coraggio, però. Consapevoli, tutti, che la vita è valore in sé, e non esiste vita che abbia minor valore. Forse, se c’è un vivere che valga meno è proprio quello che si ripiega su se stesso, figlio di quel soldo di brutto conio che da una parte esalta il danaro e, dall’altra, il cosiddetto “successo”, rivestito troppo spesso, di squallide appendici e di vacue umanità. Sul concetto di disabilità Il concetto di “disabilità” non è universale, ma si caratterizza per una varietà di significati a seconda della rilevazione statistica e di chi la effettua. Nel linguaggio comune vengono utilizzati in modo impreciso i termini disabile, handicappato, invalido, inabile, che si confondono spesso con il significato tecnico delle definizioni di disabilità. Una possibile, corretta definizione del concetto di “disabilità”, si riferisce all’incapacità di una persona di espletare autonomamente (anche se con ausili) le attività fondamentali della vita quotidiana. Inoltre, si è soliti impiegare come sinonimi i termini “disabilità” e “handicap”5. “Con il termine handicap1 si indica una condizione di inadeguatezza nell’affrontare situazioni che gli individui considerati normali superano senza difficoltà”. Questa condizione deriva da un deficit psichico o fisico da cui è affetta una persona e dall’impat- to con l’ambiente fisico e sociale in cui vive. L’handicap non è un deficit, perché l’handicap nasce dalla somma del deficit e delle sue conseguenze, dovute alle risposte dell’ambiente e alla personalità dell’individuo. All’individuo non possono essere imputate, come conseguenze, le risposte ambientali e personali al deficit che porta. Si raccomanda allora di usare con cautela il termine “portatore di handicap”, perché l’individuo porta un suo deficit, le cui conseguenze variano in ragione all’ambiente in cui vive ed egli non può essere considerato “portatore” di quegli effetti. Nel 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha tentato di uniformare e sistematizzare il concetto di handicap pubblicando, dopo anni di lavori, la “Classificazione Internazionale delle Menomazioni, delle Disabilità e degli Svantaggi Esistenziali”, riassunta nella sigla: ICIDH. La pubblicazione fu utilizzata in diversi paesi e aveva lo scopo di mettere ordine in questo settore. Essa distingue tra menomazione, disabilità ed handicap. La menomazione viene definita come “qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica”. Se il danno è causa di una limitazione o della perdita di una o più capacità funzionali tali da modificare negativamente l’attività del soggetto, la sua esperienza di vita ne risulta condizionata in modo oggettivo. La disabilità viene allora definita come “qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) delle capacità di compiere un’attività nel modo e nell’ampiezza considerati normali per un essere umano”. L’handicap è invece “la situazione di svantaggio conseguente ad una menomazione o ad una disabilità che in un soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età, sesso e fattori socioculturali”. L’handicap è un fenomeno sociale e culturale strettamente correlato a fattori ambientali e sociali. I tre concetti elaborati nell’ICIDH si possono sintetizzare nello schema che segue: QUALEDUCAZIONE • 19 A seguito di un evento morboso, sia esso una malattia (congenita o meno) o un incidente, una persona può subire una menomazione, ovvero perdita o anomalia strutturale o funzionale, fisica o psichica. La menomazione può poi portare alla disabilità, ovvero alla limitazione della persona nello svolgimento di una o più attività considerate “normali” per un essere umano della stessa età. Infine, la disabilità può portare all’handicap, ovvero allo svantaggio sociale che si manifesta a seguito dell’interazione con l’ambiente. È necessario considerare che la sequenza descritta non sempre consequenziale, può essere interrotta: una persona può essere menomata senza essere disabile e disabile senza essere handicappata; l’handicap può essere conseguenza di una menomazione senza la mediazione di uno stato di disabilità. In definitiva, la legge prende atto della circostanza che la persona, la quale versi in uno stato di menomazione, non va ritenuta per questo automaticamente affetta da handicap: l’handicap (eventualmente) deriverà dalle difficoltà di vario genere che il soggetto è destinato, via via, ad incontrare nel corso della sua esistenza. Al riguardo, la giurisprudenza italiana propone due leggi-quadro che rappresentano i cardini della definizione di “disabilità”, concetto più generale la cui interpretazione e, soprattutto, comprensione fa parte della nostra pratica quotidiana: – la Legge 10.3.71, n. 118, “Nuove norme in favore dei mutilati e degli invalidi civili”; – la Legge 5.2.92, n. 104, “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazio- 20 • QUALEDUCAZIONE ne sociale e i diritti delle persone handicappate”, la quale ha recepito la definizione formulata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1980 nella “Classificazione Internazionale delle Menomazioni, delle Disabilità e degli Svantaggi Esistenziali”. La Legge 10.3.1971, n.118, definisce la figura dell’invalido civile: “Si considerano mutilati e invalidi civili i cittadini affetti da minorazione congenita e/o acquisita (comprendenti) gli esiti permanenti delle infermità fisiche e/o psichiche e sensoriali che comportano un danno funzionale permanente, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali, che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. Ai soli fini dell’assistenza sociosanitaria e della concessione dell’indennità di accompagnamento si considerano mutilati e invalidi civili i soggetti ultrasessantacinquenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”. Il concetto di “persona handicappata” è contenuto nella Legge 5.2.1992, n. 104: “Art.3. Soggetti aventi diritto. 1. È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. 2. La persona handicappata ha dirit- to alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative. 3. Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici”. La pubblicazione del 1980 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è stata revisionata nel 2001 poiché il modello di disabilità acquisiva carattere consequenziale. La nuova pubblicazione del maggio 2001 intitolata “Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Salute e Disabilità”, abbreviata in ICF, ha lo scopo di fornire un linguaggio standard e unificato che serva da modello di riferimento per la descrizione delle componenti della salute e degli stati ad essa correlati. L’attenzione che nella vecchia Classificazione era posta sulle conseguenze di una malattia, ora riguarda gli elementi costitutivi della salute. La situazione di disabilità è intesa come la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo, i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui l’individuo vive. Ne consegue che l’ICF ponendo sullo stesso piano tutte le patologie di disabilità, indipendentemente dalla loro causa, tenta di evitare che l’ambiente sociale li- miti le capacità funzionali e di partecipazione sociale, più di quanto non siano già limitate dalla situazione patologica stessa. I disabili in provincia di Treviso Nonostante gli intendimenti dell’ISTAT, alcuni ostacoli, prevalentemente di tipo culturale, rendono impossibile un reale censimento dei portatori di disabilità: – l’impossibilità attraverso una qualsiasi indagine di rilevare tutte le disabilità soprattutto di tipo mentale, causa la reticenza delle persone nel dare visbilità a tale condizione; – il rischio che i quesiti sulla disabilità, in quanto quesiti sensibili non siano oggetto di risposta da parte delle persone intervistate, tutelate dal diritto alla privacy; – il rischio che i dati rilevati non siano corretti, causa una non corretta percezione dei quesiti posti. Il sistema informativo socio-sanitario, sia nazionale che regionale, attualmente non consente se non attraverso delle stime, di conoscere l’entità esatta del numero di persone con disabilità né, tantomeno, consente di capire la tipologia delle disabilità, il livello di integrazione dei soggetti interessati e quali bisogni siano già stati soddisfatti o meno. Dal sistema informativo regionale sull’invalidità civile si può conoscere invece il numero esatto di persone che hanno ottenuto questo riconoscimento per grado di invalidità e per categorie amministrative, e inoltre il numero di persone valutate e riconosciute in condizione di handicap secondo la legge QUALEDUCAZIONE • 21 104/92. L’ente che nella Regione Veneto si occupa di raccogliere periodicamente dati e informazioni utili alla comprensione della situazione della popolazione con disabilità è l’Osservatorio Regionale Handicap6 nato nel 1999 per volontà della stessa Regione Veneto, con sede nell’Azienda Ulss 17. I dati di cui dispone sono anch’essi frutto di campionature, poiché come già precisato, non esiste alcun documento che permetta di quantificare l’esatto numero di persone con disabilità. Ad un rilevamento ISTAT del gennaio 2004, nella Regione Veneto viene stimata una presenza di 40,6 persone portatrici di disabilità ogni mille abi- tanti. In particolare, nella provincia di Treviso, su una popolazione – considerata dai 6 anni di età in su – di 774.597 persone, sono presenti 31.449 soggetti affetti da qualche forma di disabilità. La rilevazione è stata svolta sulla base dei parametri regionali individuati dall’ISTAT a seguito di un’indagine sulla salute delle famiglie. Questo tasso è stato definito tasso standardizzato, e consente di confrontare popolazioni diverse sulla base di una stessa struttura per età, in modo che le differenze che si verificano tra le regioni non sono dovute al fattore età. La tabella che segue presenta il dato nel dettaglio, suddiviso per provincia: Da un’osservazione attenta si evince che la somma dei dati relativi ai tipi di disabilità, non corrisponde al totale bensì, ad un valore superiore. Ciò è dovuto alla coesistenza di una pluralità di patologie in molti soggetti: in questi casi si parla di “doppie diagnosi”. Tra quelle elencate la tipologia più grave è rappresentata dal confinamento che colpisce 13.246 persone, e che implica livelli quasi nulli di autonomia nel movimento. Si individuano in questa categoria le persone che sono costrette a letto, persone che si trovano su una sedia a rotelle e che hanno bisogno di assistenza o, ancora, persone che hanno degli impedimenti fisici o psichici. Il 22,4 per mille della popolazione con 6 anni e più presenta una disabilità nelle funzioni, che implica difficoltà 22 • QUALEDUCAZIONE nello svolgimento delle attività quotidiane, quali l’espletamento delle attività di cura della persona come il vestirsi, il lavarsi le mani e il viso, tagliare e mangiare il cibo. La disabilità nel movimento colpisce il 18,7 per mille delle persone con più di 6 anni, mentre la disabilità nella sfera della comunicazione, vale a dire la difficoltà di vedere, sentire o parlare, interessa un segmento ridotto della popolazione: solo 10 persone ogni 1.000 abitanti con più di 6 anni. Disabilità e servizi delle Aziende Sanitarie con particolare riferimento ai Ceod Il Centro Educativo Occupazionale Diurno, sintetizzato nella sigla Ceod, è definito dal Regolamento Regionale del 17 dicembre 1984, n.8, come “una struttura semi-residenziale a carattere diurno, inserita nella rete dei servizi socio-riabilitativi del territorio con la funzione di promuovere specifiche attività e programmi”. Il servizio è rivolto a persone con disabilità psicofisica medio/grave, comprese fra i 18 e i 65 anni e che abbiano assolto l’obbligo scolastico. Attraverso la definizione di Progetti Educativi Individuali (PEI), si prefigge una gamma di interventi finalizzati al benessere della persona interessata e della sua famiglia, considerando i bisogni individuali dell’utente, la situazione familiare e la complessità del caso, con lo scopo di sviluppare l’autonomia personale, le relazioni interpersonali con l’ambiente interno ed esterno alla famiglia, e di conseguire capacità occupazionali e professionalizzanti in rapporto alle potenzialità e alle attitudini individuali. Nella Regione Veneto, il CEOD riassume tutte le tipologie dei QUALEDUCAZIONE • 23 centri diurni, sia per persone con disabilità grave, sia lieve. Al 31.12.2004, ultimo “censimento” di specie, la provincia di Treviso registra 1.037 persone tra i 18 e i 65 anni inserite, a seconda del grado di disabilità, in strutture denominate: CDD (Centro diurno per disabili gravi); CERD (Centro educativo riabilitativo diurno); CLG (Centro di lavoro guidato); e CEOD (Centro educativo occupazionale diurno). Nel Veneto, la fornitura di servizi CEOD nella provincia di Treviso si colloca al secondo posto rispetto al numero di utenti, superata solo da Padova mentre, in rapporto al 24 • QUALEDUCAZIONE numero di strutture viene al terzo, dopo le province di Verona e Vicenza. L’accesso al Ceod è regolamentato dall’Azienda sanitaria (Ulss) in seguito alla valutazione di conformità dell’Unità Valutativa multidimensionale del Distretto Socio-sanitario di competenza e sulla base del Progetto Individuale. In genere, la capacità ricettiva massima di un Ceod è di 30 ospiti, organizzati in piccoli gruppi non superiori a 10 persone; in media però, i Ceod della provincia accolgono 22 utenti. La permanenza nel centro può avere carattere definitivo o temporaneo, nel caso si evidenzi- no abilità da parte di un soggetto, tali da consentirne l’inserimento in un ambiente lavorativo “non protetto”. I Ceod sono efficacemente integrati nel territorio grazie al sostegno non solo passivo (quali soggetti fruitori), ma anche attivo (soggetti gestori) delle famiglie. Molte strutture, infatti, sono gestite da associazioni e cooperative che raccolgono – per la maggiore – i familiari dei disabili che fruiscono del servizio. I Ceod divengono efficace strumento di contrasto a ricoveri ospedalieri inappropriati, e rendono effettivo il diritto del portatore di disabilità – o di diversa abilità – di rimanere nel proprio ambiente vitale e di maturare quell’adeguato spirito di integrazione comunitaria che accompagna ogni persona. Nella provincia di Treviso – che per fornitura di servizi Ceod (non per strutture disponibili) nella regione Veneto è seconda solo a Padova – i Ceod “propriamente detti” sono amministrati dalle Aziende sanitarie per competenza territoriale: Ulss 7, zona di Pieve di Soligo-Conegliano Veneto; Ulss 8 Montebelluna-Castelfranco Veneto; Ulss 9, Treviso e Opitergino-Mottense, come sintetizzato nella tabella della pagina precedente. Si tratta di 32 centri più due laboratori diurni gestiti o direttamente dall’Azienda Sanitaria, o di concerto-convenzione con cooperative sociali, a seconda delle tipologie di disabilità prevalenti nelle singole realtà territoriali. Il 73,25% degli utenti è compreso nella fascia di età 19-40 anni; il 43% maschi e il 57 femmine (vedi grafici): sono persone con disabilità medio grave e grave, a carattere intellettivo, mentale, fisico, post-traumatico, sensoriale e con diversi profili di autosufficienza. Difficilmente, ogni soggetto è portatore di una sola tipologia di disabilità; le disabilità mentali, per esempio, spesso accompagnano e sono accompagnate dalla Sindrome di Down. Graf. 1 Graf. 2 Le attività svolte – di assemblaggio; espressive; domestiche; di informatica; di giardinaggio – si propongono di stimolare la capacità mentale e creativa degli utenti, sviluppando una professionalità che, espressa nel prodotto, li renda ricchi di dignità. Non è un’azione indirizzata solo all’acquisizione di capacità operative ma, anche, al mantenimento delle abilità minime. Il laboratorio dunque, come luogo di dignità, dove il fare con arte7, con mestiere, accresce il benessere della persona e la sua autostima. Saper fare, per essere e poter dire: ci sono anch’io e ho un ruolo nella società. In ogni centro sono presenti almeno 2 educatori professiona- QUALEDUCAZIONE • 25 li e un numero variabile di operatori a seconda delle tipologie di disabilità: da un minimo di 6 operatori in strutture per disabilità lieve o medio grave, fino a rapporti di 1 a 2, 1 a 1 nelle strutture per gravi. Il “profitto economico” dei Ceod – che meriterebbe ampia disamina – è il risultato delle commissioni di aziende private o enti pubblici, soprattutto per oggettistica di qualità ma, la gratificazione economica più significativa proviene dalla società sensibile che sa apprezzare il lavoro degli utenti e ne incrementa l’entusiasmo. Per moltissimi soggetti intervistati, i laboratori del Centro costituiscono il loro luogo di lavoro e, tanto è facile farli partecipare alle attività, quanto è difficile convincerli che esistono le ferie! In prima battuta però, il beneficio socio-economico più evidente interessa i familiari: grazie al Ceod, infatti, non sono costretti a rinunciare alla propria attività lavorativa, sicuri che , quotidianamente, i loro cari sono seguiti e valorizzati in un cammino di umanità, talvolta molto più dignitoso di quella che, abitualmente, si‘è soliti considerare come “normale e abile” umanità. Gli utenti partecipano ai CEOD quotidianamente, dal lunedì al venerdì con orario pieno dalle 8.30-9.00 del mattino fino alle 16.30-17.00 del pomeriggio; in qualche Centro è previsto un orario ridotto, fino alle 14.00, per la giornata di venerdì. Alcune persone con disabilità più grave partecipano solo parttime alle attività, secondo quanto stabilito dalle famiglie e dall’équipe degli operatori, allo scopo di aumentare il loro benessere ed evitare particolari problemi di carattere comportamentale. Ci sono ancora persone che partecipano saltuariamente al CEOD, poiché 26 • QUALEDUCAZIONE sono stati inseriti in un tirocinio socializzante all’esterno. Per quanto concerne le modalità di raggiungimento del CEOD occorre fare una distinzione tra le varie strutture, a seconda della filosofia di ogni centro e delle persone inserite. I CEOD orientati al futuro inserimento lavorativo dei propri utenti non dispongono di un servizio di trasporto, poiché proiettati a sviluppare negli ospiti il concetto di mobilità autosufficiente, necessaria per affrontare con adeguato grado di indipendenza il mondo del lavoro. Nei centri che attuano una politica che non prevede per il breve termine un inserimento lavorativo, viene messo a disposizione degli utenti più gravi il servizio di trasporto. Gli utenti dei CEOD dell’Azienda Ulss n. 7 raggiungono i centri utilizzando nell’80% dei casi i mezzi messi a disposizione dalla stessa azienda sanitaria: ciò è dovuto all’alta frequenza di persone portatrici di disabilità gravi. È questo un effetto della politica territoriale basata sul bacino di utenza e non sulle tipologie di disabilità. Gli utenti che non utilizzano tale servizio di trasporto vengono, in parte, accompagnati dai familiari. Un ristretto numero di persone utilizza i servizi pubblici e c’è chi, invece, raggiunge il centro autonomamente utilizzando il mezzo proprio, poiché munito di patentino. Nei CEOD dell’Azienda Ulss n. 8 un buon numero di utenti raggiunge autonomamente il centro, servendosi del mezzo pubblico (c’è una persona che abita a 40 km di distanza dalla struttura e per sua scelta prende 2 corriere). Altri vengono accompagnati dai familiari, altri ancora a causa della loro disabilità medio grave e grave si servono dei mez- zi di trasporto messi a disposizione dal centro o da altre associazioni. Nei CEOD dell’Azienda Ulss n. 9 il discorso non è molto diverso. I Centri finalizzati all’inserimento lavorativo o all’impegno in attività di tirocinio, tendono a promuovere l’autonomia degli utenti anche in ordine alla mobilità. I Centri che osservano le attività più “tradizionali” (l’educazione, l’occupazione, l’integrazione con il territorio), non prevedono autonomia nei trasporti. Ciò nonostante, la maggior parte dei ragazzi che frequentano quest’ultima tipologia di CEOD utilizza i mezzi pubblici, altri arrivano in bicicletta, altri ancora si servono dei mezzi messi a disposizione dai Comuni. Un numero molto limitato di persone fa uso dei servizi di trasporti garantiti dalle cooperative e, come per i CEOD dell’Azienda Ulss n. 8, si tratta di soggetti con disabilità medio gravi o gravi. Gli utenti: aspirazioni e attese Uno spaccato dei colloqui intrattenuti con alcuni utenti, lascia emergere sogni e aspettative per il futuro. Il 60% delle persone intervistate ha maturato i propri interessi nell’ambiente del CEOD. La passione per l’equitazione, per il ricamo, per il computer e per l’ascolto della musica (nel CEOD di Codognè la musica più amata è quella di Vasco Rossi). Altri interessi sono il cinema, i concerti rock, i viaggi al mare o in montagna, il nuoto e andare in bicicletta. Molte, purtroppo, sono le aspettative per il futuro che andranno irrealizzate, causa la disabilità. Alcune sono indotte dall’ambiente familiare, altre dall’am- biente esterno, naturalmente costruite per imitazione. Un ragazzo vorrebbe fare il meccanico, e si presenta al Centro vestito da meccanico perché il padre svolge questo lavoro; qualcuno l’elettricista o l’idraulico perché ha visto queste figure professionali lavorare nel centro o a casa. C’è chi vorrebbe diventare operatore e cerca di imitare i suoi educatori. Una ragazza vorrebbe diventare parrucchiera, ma per la sua disabilità fisica non potrà mai farlo; un ragazzo vorrebbe lavorare con il computer, ma non è autonomo negli spostamenti. Il primo posto nella scala dei sogni è assegnato da molti al lavoro, ad avere un impiego normale in modo tale da vivere in modo indipendente. Molti vorrebbero addirittura lasciare i genitori per abitare autonomamente anche nelle strutture residenziali quali la Comunità Alloggio o il Gruppo Appartamento, altri invece vorrebbero rimanere per sempre in famiglia. Al secondo posto ci sono la salute e la famiglia. Niente sogni particolari, dunque. Aspirazioni e desideri molto umani, talvolta considerati dozzinali o noiosi, dalla “normale” umanità. Il personale operatore Il personale operatore ed educatore svolge attraverso le attività di laboratorio un’attività di formazione e di educazione ma, anche se spesso tali funzioni vengono incorporate dalla stessa persona, le figure di operatore e di educatore presentano competenze e responsabilità diverse. La qualifica di educatore professionale si consegue frequentando il Corso di Laurea in Educatore professionale o in Scienze della formazione QUALEDUCAZIONE • 27 (in passato era sufficiente il diploma regionale di Educatore), mentre quella di operatore Addetto all’Assistenza si consegue frequentando il corso per Operatore Socio Sanitario (corso OSS). All’educatore professionale competono le funzioni di sovrintendenza alle attività esterne ed interne del centro, di relazione con l’utenza e di responsabilità nei Progetti Educativi Individuali, mentre l’Addetto all’Assistenza segue e aiuta gli utenti nelle attività di laboratorio, di cura, di assistenza e anche di igiene nei centri che si occupano di disabili gravi. In ogni centro, un educatore professionale svolge, anche, il ruolo di coordinatore, che significa: gestire le relazioni con l’esterno, presiedere le riunioni di équipe, mantenere i contatti con le famiglie e sovrintendere allo svolgimento delle attività di laboratorio e di tirocinio affidate agli altri operatori. In ogni centro ci sono almeno 2 educatori professionali, e un numero variabile di operatori a seconda delle tipologie di disabilità. Nei CEOD dove sono maggiori le disabilità più gravi, per esempio con 22 utenti sono presenti anche 9 operatori, contro 6 operatori nelle strutture con disabilità lieve o medio grave. Il numero degli operatori e degli educatori dipende dalla tipologia di disabilità degli utenti. La legge stabilisce per i CEOD uno standard di 4-5 utenti per operatore addetto all’assistenza e di 11-13 utenti per educatore professionale. Tale limitazione di legge viene però superata nei centri in presenza di persone con disabilità grave (è il caso dei CEOD dell’Azienda Ulss 7) nei quali il rapporto è 1a 2 o, 1a1, cioè un operatore e un utente.‘È necessario 28 • QUALEDUCAZIONE precisare che ogni operatore non è responsabile solo di un determinato gruppo di persone (poiché i rapporti di cui abbiamo parlato rappresentano solo degli standard utilizzati per determinare il numero degli operatori necessari al centro) né, svolgono uno specifico ruolo all’interno del centro. A rotazione settimanale o giornaliera, ogni operatore gestisce e assume la responsabilità di tutte le attività di laboratorio. Nei centri che si occupano di disabilità gravi le attività non sono solo di laboratorio, ma anche di cura e assistenza, anch’esse svolte dagli operatori a rotazione. Gli operatori più competenti in alcune aree educative, come il disegno, l’attività motoria, l’informatica, rimangono gli unici referenti per queste specificità. L’età media degli operatori/educatori è compresa nella fascia 25-40 anni, mentre quella massima e di 60 anni. Come già visto per l’utenza, anche per gli operatori/educatori si evince una netta predominanza di operatori di sesso femminile: l’80% di donne e solo il 20 operatori uomini. La stessa percentuale riguarda pure la tipologia di contratto. L’80% del personale operatore ha un contratto a tempo pieno, mentre il 20% ha un contratto part-time. Molti operatori provengono dallo scoutismo o hanno maturato precedenti esperienze nei diversi ambiti del volontariato, e sono capaci di interpretare e trasferire nell’attività propria del Ceod, “quel complesso simbolico del volontariato, costituito da gratuità, reciprocità, fiducia, che trovano una efficace sintesi nella dimensione solidale”8; peculiarità indispensabile per affrontare impegni professionali che implicano particolare natura e straordinarietà operativa. Alcuni hanno considerato questo impiego come un’opportunità lavorativa, altri ancora sono stati spinti dal desiderio personale o da esperienze familiari interessate dalla disabilità. Il 30% degli educatori intervistati ha pensato almeno una volta di cambiare lavoro. Alcuni, di cambiare completamente settore, altri di rimanere nel settore ma, di operare nell’ambito delle politiche giovanili, con i minori e gli adolescenti a rischio. Chi non ha mai pensato di cambiare lavoro, cioè la maggioranza degli operatori, si sente gratificato dai risultati significativi che si raccolgono nel mediolungo periodo, e che vanno letti come straordinari successi di umanità: poiché questo significa, realizzare appieno le persone disabili. Che cosa trasmette un operatore del Ceod? Innanzitutto, il proprio modello di vita, i valori di riferimento. Poi la fiducia nelle potenzialità del disabile; l’allegria che produce benessere – nel senso alto di bene essere – e autostima; sentimenti di accettazione interna, indirizzata a sostenere l’autostima, ed esterna, orientata all’accoglienza sociale dei diversamente abili. Un carico umano e psicologico che si esplicita attraverso colloqui settimanali improntati all’ascolto, al sostegno e all’orientamento. Nella vita dei CEOD intervengono anche altre figure di volontari: istruttori tecnico-pratici, che sono presenti quotidianamente all’interno dei centri per lo svolgimento delle attività di loro competenza con una funzione simile agli educatori; figure professionali quali la fisioterapista e la psicomotricista, che sono presenti nelle strutture con disabilità più gravi con frequenza di una o due volte la settimana, e lo psicologo del servizio; gli addetti alle pulizie e gli autisti dei mezzi di trasporto. Non ci sono cuochi, perché la fornitura e la distribuzione dei pasti è affidata cooperative esterne. Occasionalmente i CEOD ricevono la visita dei rappresentanti del territorio, degli alpini, dei bambini delle scuole elementari locali e di persone che vengono a commissionare dei “lavoretti”. Struttura del Ceod I CEOD sono situati all’interno di infrastrutture date in comodato, donate da privati o da enti religiosi, oppure fornite dalle stesse aziende sanitarie. I complessi si trovano quasi sempre in posizione centrale, al centro del paese, in un luogo ben visibile e comodamente raggiungibile dai mezzi di trasporto pubblici. Essi si dispongono su un unico piano. Ogni stanza è adibita allo svolgimento di una specifica attività. La giornata tipo degli utenti, in generale, è organizzata secondo la seguente scansione temporale-occupazionale: 8.30-9.00 Accoglienza 9.00-12.00 Attività di laboratorio: ogni utente in modo quasi autonomo, legge in un tabellone le mansioni operative che gli competono e si prepara per iniziare (dalle 10.15 alle 10.30 è prevista una pausa caffè) 12.00-13.00 Pranzo 13.00-14.00 Momento di relax animato da giochi 14.00-16.00 Attività di laboratorio o attività creative – disegno, informatica, ecc. – o motorie (dalle 15.00 alle 15.15 viene fatta una piccola pausa) QUALEDUCAZIONE • 29 16.00-16.30 Sistemazione del centro, dei posti di occupazione e del laboratorio 16.30-17.00 Saluti finali e chiusura del centro. Il gruppo “appartamento” Da due anni e mezzo, a Motta di Livenza – caso unico nella provincia di Treviso – esiste il cosiddetto “gruppo appartamento”. La cooperativa “Madonna dei Miracoli”, che gestisce i locali centri educativo occupazionali diurni è riuscita a compiere un altro “miracolo”. È stato acquistato, infatti, un appartamento sito nella zona pedonale del centro città che ospita 4 ragazze e 2 ragazzi – dai 35 ai 50 anni di età –, portatori di disabilità medio-gravi. È un livello di disabilità che consente un certo grado di autonomia. Durante il giorno gli ospiti lavorano nei centri e, la sera, rientrano nel “loro” appartamento accompagnati da un operatore che, a turno, vive con il gruppo ventiquattr’ore su ventiquattro. L’obiettivo è duplice: sviluppare capacità sempre maggiori di autogestione del quotidiano, maturando via via consapevolezza della propria potenziale autonomia – tentando gradualmente di mettere “in ombra” l’operatore –, dalle pulizie alla preparazione dei cibi (anche se quest’ultima abilità presenta non poche difficoltà), e inserire i giovani disabili nel tessuto della socialità pubblica. La collocazione “in piazza”, fa ben sperare circa le finalità sociali del progetto, coordinato dall’educatrice professionale Vania Milio e, la buona stagione, dovrebbe dare man forte in tal senso. 30 • QUALEDUCAZIONE Attività di laboratorio: le specificità dei singoli centri I laboratori di falegnameria, di ceramica, di ricamo e di mosaico caratterizzano i CEOD “Il Punto” e “Il Grappolo”, entrambi a Motta di Livenza. L’attività di falegnameria è molto complessa e richiede molta precisione. È costituita da quattro fasi operative. In un primo momento viene disegnata la sagoma del prodotto da realizzare sul pezzo di legno, e poi viene tagliata utilizzando una particolare sega. In seguito l’oggetto viene levigato, utilizzando appositi utensili, decorato e infine incerato. Questi oggetti rappresentano degli animali, costruiti incastrando i pezzi di legno come fossero pezzi di un puzzle. Il laboratorio di ceramica, che prevede la realizzazione di ciotole e terrine si compone di due momenti: una prima fase consiste nella realizzazione fisica dell’oggetto e, quindi, nella manipolazione della creta, nello stampo, nel collaggio e nella progettazione del decoro. Nella seconda fase viene decorato l’oggetto. L’attività di mosaico è molto interessante. Consiste nella realizzazione di sottopentola, decorati con l’utilizzo di piccole piastrelle colorate. È stato dimostrato come questo laboratorio favorisca l’espressione di gusti e preferenze, derivanti dalla semplice scelta dei colori delle piastrelle e del motivo da rappresentare. L’attività di tessitura viene svolta nel “CEOD di Codognè”, nel CEOD “Solidarietà” e nel CEOD “ALI”. Anche questa realizzata per fasi che riguardano il taglio, la decorazione e la cucitura della stoffa, e permettono di sviluppare abilità motorie, la concentrazione e la conoscenza dei colori. Il CEOD “ALI” confeziona e realizza articoli da regalo quali borse (decorate con paiette e perline), cuscini, quadri, portaocchiali e biglietti augurali. Il Centro è conosciuto sul territorio per la realizzazione di articoli di bigiotteria, quali collane, bracciali, orecchini, venduti al pubblico nel negozio situatonel centro di Valdobbiadene e gestito dall’associazione dei genitori, nel quale oltre ad essere venduti questi prodotti, viene fornito il servizio di riparazione degli articoli stessi. L’originale espressione creativa e la cura nelle rifiniture hanno permesso al Ceod “ALI” di partecipare a fiere e sfilate di moda. Inoltre, l’attività di assemblaggio di materiale fornito da aziende del territorio che operano nei settori meccanico, elettronico e dell’occhiale, è molto presente all’interno di questi centri, anche se sarebbe tipica dei Centri di Lavoro Guidato, che hanno come scopo quello di sviluppare la produttività di ognuno, di rispettare i tempi di consegna e di lavorare in una catena di montaggio per favorire un futuro inserimento lavorativo. Le fasi di lavoro sono molto semplici e ripetitive, ma talvolta anche la semplicità delle fasi si rivela molto impegnativa. I laboratori riguardano l’assemblaggio di portachiavi, di frattazzi (materiale per muratori), di cornici, l’assemblaggio di manuale di istruzioni, viti e aste, l’attività dello “smatarozzare”9, che consiste nello staccare dallo stampo i particolari che vanno applicati agli occhiali simmetricamente o meno, assemblaggio di chiavi (consiste nel raggruppare le chiavi uguali e di infilarle in un’asta). Le attività espressive hanno lo scopo di favorire le abilità manuali e rappresentano un aspetto molto gratificante che lascia spazio alla spontaneità. Fanno parte di questa categoria le attività di serigrafia e di disegno, che lasciano spazio alle emozioni degli utenti; le attività motorie, musicali, manipolative, teatrali, di danza, di ippoterapia e anche attività sulla corretta alimentazione. Un’attività molto sviluppata all’interno dei centri riguarda il laboratorio di computer, il quale mira allo sviluppo di competenze specifiche: imparare a redigere testi, utilizzare il foglio di calcolo per aggiornare dati che riguardano il centro, imparare a navigare in internet e utilizzare la posta elettronica. Nel CEOD di Codognè è stato realizzato un computer dotato di un programma specifico per persone che hanno una disabilità motoria che impedisce di utilizzare le mani. Il programma in questione visualizza sul monitor del computer l’alfabeto, lungo il quale si muove il cursore. L’utente dotato del mouse posizionato in cima ad un’asta attaccata alla sua postazione ha la possibilità di scrivere cliccando ogni volta che il cursore sullo schermo si trova sopra le lettere necessarie e nell’ordine esatto per scrivere la parola. L’utilizzo di questa particolare struttura favorisce il mantenimento e lo sviluppo delle abilità di scrivere con il mento, proprie di questi utenti. Le attività domestiche sono proposte nei centri per rendere partecipe la persona anche nell’ambiente familiare, indirizzando a un senso di autonomia e di appartenenza. Le capacità che si vogliono sviluppare mirano all’acquisizione di autonomia nella preparazione di semplici pietanze, nell’utilizzo di QUALEDUCAZIONE • 31 elettrodomestici come il forno, i fornelli, la bilancia dietetica, la lavatrice e il ferro da stiro. Alcuni centri sono più orientati a lavorare per “esterni”, così da mantenere il contatto con altre persone e conoscere gente nuova. Sono state studiate allora attività di pulizia di uffici e attività di giardinaggio, che comprendono il taglio dell’erba nei giardini di chi ne faccia richiesta, nonché la pulizia delle aiuole. Le attività dei centri sono spesso frutto di commissioni da parte di aziende (per il laboratorio di assemblaggio), di privati (le attività di creatività, dove vengono realizzate bomboniere), di enti pubblici (attività di realizzazione di biglietti e volantini), o destinati alla vendita in qualche festa locale, fiera o mostra mercato. Il ricavato delle vendite di questi oggetti non viene gestito dal centro e non costituisce una retribuzione per il lavoro degli utenti. È l’associazione genitori che se ne occupa della gestione e utilizza questi fondi per le gite, le vacanze o i bisogni del centro. A Natale, Pasqua e ad agosto prima delle ferie – vale a dire tre volte l’anno l’associazione genitori, in accordo con il centro, conferisce agli utenti una gratifica monetaria. Questo incentivo non identifica un rapporto di lavoro. Gli utenti assumono la condizione di lavoratori quando sono idonei ai tradizionali luoghi di lavoro. Il CEOD non è una fabbrica. Questa borsa valore, onere di utilità sociale o come si voglia chiamare, esprime un senso di dignità. Assume, inoltre, funzione pedagogica all’uso del denaro e al suo valore di scambio per le piccole necessità del quotidiano: un caffè al bar, ecc.; a tal fine non è insolito, per esempio, che gli 32 • QUALEDUCAZIONE operatori si facciano accompagnare da qualche utente per fare la spesa. Ma, in particolar modo, questa “gratifica” è orientata a sviluppare sentimenti di partecipazione e corresponsabilità familiare: “anch’io contribuisco ala vita della mia famiglia, come il mio papà e i miei fratelli che lavorano e portano a casa la paga”. I Ceod fra società ed economia Il CEOD, come si è detto, è una struttura territoriale a carattere diurno, rivolta alle persone disabili che hanno assolto l’obbligo scolastico, ai quali garantisce, mediante la definizione di progetti individuali, una gamma di interventi finalizzati al benessere globale della persona e della sua famiglia. Ma qual è il ruolo del CEOD nell’economia? Il termine economia non può tradurre sempre numeri, peso calcolabile. Non tutto ciò che si può contare conta, e non tutto ciò che conta si può contare, diceva Einstein. La mentalità corrente, intensamente secolarizzata, tende a pesare i costi di un bene o di un servizio; quasi mai considera il valore essenziale – non misurabile - di quel bene o di quel servizio, così attenta, come è tipico delle società complesse, più al valore di scambio che al valore d’uso. Il “profitto economico” dei Ceod – che meriterebbe ampia disamina – è il risultato delle commissioni di aziende private o enti pubblici, soprattutto per oggettistica di qualità ma, la gratificazione economica più significativa proviene dalla società sensibile che sa apprezzare il lavoro degli utenti e ne incrementa l’entusiasmo. Per moltis- simi soggetti intervistati, i laboratori del Centro costituiscono il loro luogo di lavoro e, tanto è facile farli partecipare alle attività, quanto è difficile convincerli che esistono le ferie! In prima battuta però, il beneficio socio – economico più evidente interessa i familiari: grazie al Ceod, infatti, non sono costretti a rinunciare alla propria attività lavorativa, sicuri che , quotidianamente, i loro cari sono seguiti e valorizzati in un cammino di umanità, talvolta molto più dignitoso di quella che, abitualmente, si‘è soliti considerare come “normale e abile” umanità. Il secondo valore economico – umanistico dei CEOD è quello di dare agli utenti delle opportunità di inserimento in ambiente lavorativo e di integrazione nel territorio. Anche se la percentuale di inserimenti lavorativi dai CEOD è molto bassa e sta diminuendo con il passare del tempo (siamo passati dall’8% al 6%), a causa di una maggior presenza di ospiti con disabilità gravi10. Le strutture CEOD rappresentano in terzo luogo un efficace mezzo di contrasto nei confronti dei ricoveri ospedalieri inappropriati e della istituzionalizzazione della persona con disabilità grave, sia dal punto di vista economico che educativo. Il CEOD oltre ad essere più economico di un istituto residenziale, educa i ragazzi ad una vita autonoma. Altro fattore che incoraggia l’inserimento delle persone disabili nei CEOD deriva dal fatto che gli utenti si ammalano molto raramente. Da una ricerca svolta dal CEOD “ALI” è stata rilevata una presenza annuale degli utenti pari al 93%. Solo il 7% degli utenti si è assentato dal CEOD, con una percentuale di assenze dovute a malattia pari al 2,5%. Infine, alcuni rilievi statistici hanno dimostrato come le attività del CEOD permettano agli utenti di vivere una vita più lunga. In passato la vita media di un ragazzo con sindrome di Down era di 30 anni. Oggi ci sono persone che raggiungono i sessant’anni di età. Da ultimo ma, non per questo meno importante, l’inserimento nelle strutture riduce i costi della sanità pubblica, poiché ogni Centro dispone di un suo medico, di uno psicologo e l’assistenza individuale (con eccezione delle strutture per gravissimi) non impone ritmi costanti. I benefici economici Il CEOD ha anche un valore in termini monetari perché contribuisce al Prodotto Interno Lordo, non in quanto azienda che produce un bene, ma come struttura che fornisce un servizio. Il costo sociale, come siamo abituati chiamarlo, è effettivamente elevato, ma deve essere considerato come un investimento verso le persone “meno abili”. Circa 6,2 milioni di euro sono stati destinati dalla Regione Veneto nel 2006 a favore dei 5329 disabili gravi e gravissimi in età post scolare che frequentano i 239 CEOD del territorio regionale. La notizia è stata data dall’Assessore regionale alle politiche Sociali: “l’iniziativa, destinata al ristoro delle spese di trasporto e vitto sostenute dalle famiglie di disabili gravi e gravissimi che frequentano queste strutture di educazione, è stata inserita in un quadro di interventi tesi ad evitare il più possibile il ricovero di disabili in istituti, aiutando anche finanziariamente gli sforzi che compiono le famiglie per tenerli a casa”. I 6,2 milioni di QUALEDUCAZIONE • 33 Euro sono ripartiti tra le Ulss secondo il numero di utenti dei CEOD, intesi come strutture che hanno la funzione di favorire negli ospiti disabili il mantenimento e lo sviluppo dell’autonomia personale, le relazioni sociali con l’ambiente e il conseguimento di capacità lavorative in rapporto alle potenzialità e alle attitudini. Nella Provincia di Treviso sono stati conferiti 331.581,91 E all’A. Ulss n. 7, 379.283,17 E all’Azienda sanitaria n. 8 e 501.444,92 E all’Azienda Ulss n. 9. Ogni soggetto anche se inserito nelle strutture diurTipo di provvidenza ne percepisce una provvidenza economica per l’invalidità, più o meno elevata in base alla disabilità presentata. Gli importi delle pensioni, degli assegni e delle indennità vengono ridefiniti in base agli indicatori dell’inflazione e del costo della vita. Nella tabella sotto riportata, sono contenuti gli importi in euro delle provvidenze e i limiti reddituali per gli anni 2005 e 2006 per le persone che partecipano ai CEOD, fissati dalla Direzione Centrale delle Prestazioni dell’INPS, con circolare del 28.12.2005, n. 120. Importo Limite di reddito 2005 2006 2005 2006 Pensione ciechi civili assoluti 252,91 257,47 13.739,69 13.973,26 Pensione ciechi civili assoluti (se ricoverati) 233,87 238,07 13.739,69 13.973,26 Pensione ciechi civili parziali 233,87 238,07 13.739,69 13.973,26 Pensione invalidi civili totali 233,87 238,07 13.739,69 13.973,26 Pensione sordomuti 233,87 238,07 13.739,69 13.973,26 Assegno mensile invalidi civili parziali 233,87 238,07 4.017,26 4.089,54 Indennità mensile frequenza minori 233,87 238,07 4.017,26 4.089,54 Indennità accompagnamento ciechi civili assoluti 669,21 689,56 Nessuno Nessuno Indennità accompagnamento invalidi civili totali 443,83 450,78 Nessuno Nessuno Indennità comunicazione sordomuti 223,38 226,53 Nessuno Nessuno Indennità speciale ciechi ventesimisti 161,30 164,96 Nessuno Nessuno Lavoratori con drepanocitosi o talassemia major 420,02 427,58 Nessuno Nessuno Comunicato stampa n. 445 del 28/02/2006. Se è vero che la comunità esborsa denaro, è altrettanto vero che non si tratta di un investimento a fondo perduto. I CEOD della Provincia di Treviso, come è stato ricordato, sono in parte a gestione diretta dell’Azienda sanitaria Ulss e in parte gestiti in convenzione dalle cooperative sociali. La differenza in termini di costi per l’azienda sanitaria è molto grande. Analizziamo allora 34 • QUALEDUCAZIONE le singole realtà. I CEOD gestiti dalle cooperative sociali forniscono un servizio sulla base di una convenzione stipulata tra la cooperativa e l’azienda sanitaria. La convenzione corrisponde ad un contratto con il quale le cooperative si impegnano a svolgere una funzione pubblica e l’azienda sanitaria si impegna a corrispondere una quota per ogni utente. La quota giornaliera per utente è compresa tra i 55,00 E e i 70,00 E, che varia per tipologia di utenza, e ammonta a 9.500,00 E - 13.000,00 E annui. Il sostegno economico ai centri proviene in parte dalla Regione Veneto e in parte dalle aziende Ulss. L’azienda sanitaria percepisce una quota versata da ogni comune per le attività sociali in relazione al numero di abitanti. Sulla base dell’ammontare dei conferimenti e dell bisogno del territorio, la conferenza dei sindaci stabilisce il totale delle strutture socio-sanitarie presenti sul territorio e definisce i piani di zona. La convenzione stipulata copre il 75% circa dei costi di un centro. Il 65% di questo ammontare è destinato a pagare il costo del personale operatore, il resto serve per pagare il vitto dei ragazzi, le spese di gestione, le spese assicurative e il trasporto. Per il 65 per cento dunque, il costo si trasforma in investimento, giacché offre opportunità d’impiego per professionalità specifiche. Il restante 25 per cento viene coperto con le donazioni dei privati, delle istituzioni, e con la produzione dei CEOD. Parte del ricavato della vendita dell’oggettistica è indirizzato all’acquisto di materiali strutturali: strumenti o elementi per la palestra, tanto per fare un esempio. L’inserimento nei CEOD non è un costo per la famiglia che, almeno in questi casi, è fortemente tutelata ed esentata da oneri di specie. Ci sono però delle differenze nel calcolo e nella modalità di erogazione della convenzione nelle tre Aziende Ulss. L’azienda sanitaria n. 7 sia per i CEOD che per i CLG, non oppone resistenze quando deve conferire la convenzione: fornisce una quo- ta forfettaria indipendentemente dalle assenze degli utenti, perché considera che, comunque, gli operatori sono sempre presenti nel centro. La stesso dicasi per l’Azienda Ulss n. 9. L’Azienda sanitaria n. 8, invece, impiega parametri di distribuzione delle risorse, un po’ più rigidi: fornisce cioè, una quota giornaliera in relazione alle presenze degli utenti, conferendo per i primi 15 giorni di assenza una percentuale della quota e in seguito nulla più. Il costo dell’Azienda Ulss per i CEOD gestiti direttamente è molto più elevato. Le strutture sono spesate in tutto dall’azienda sanitaria e non c’è il costo dell’utente. I costi di ogni CEOD non sono quantificabili, ma dipendono dalle tipologie di centro e dalle spese che ogni centro sostiene (luce, acqua, mezzi di trasporto, personale). Dal rapporto tra queste spese e il numero ditenti si calcola il costo medio per utente, che è compreso tra i 17.000,00 � e i 23.000,00 E annui. Come si può notare, il costo di queste strutture si colloca perfettamente nella circolarità economica, perché crea occupazione specializzata di settore e diviene utenza pregiata per le società che erogano servizi (energia elettrica, luce, gas, acqua, ecc.). Il costo della struttura CEOD è comunque di molto inferiore al costo in una struttura residenziale permanente, tipo “il Gris”11 di Mogliano Veneto, dove i costi di gestione sono molto elevati, soprattutto per i notevoli e irrinunciabili capitoli dell’ assistenza. Da considerare, infine, che i Ceod ospitano un’utenza giornaliera; gli istituti un’utenza permanente. In termini socio-economici, allora, potremmo concludere che, nel caso dei Centri educativo occupazionali è for- QUALEDUCAZIONE • 35 se “improprio” parlare di costi; meglio senz’altro, dire investimento economico-umanistico che, da una parte esprime una scelta di alta civiltà, dall’altra, accanto all’occupazione specialistica di settore, contribuisce – nel caso di diversi utenti disabili – a costruire future opportunità occupazionali. Grazie all’opera dei Ceod, tanti ragazzi apparentemente senza speranza, diventano lavoratori che, a pieno titolo, contribuiscono alla ricchezza complessiva della società tutta. BIBLIOGRAFIA BAUMAN Z., Il disagio della postmodernità, Mondatori, Milano 2002. BERNARDI U., Culture e integrazione, F. Angeli, Milano 2004. BOCCACIN L. e ROSSI G.,”Le culture e le pratiche del Volontariato in Italia, in Il terzo settore, a cura di P. Donati e I. Colozzi, F. Angeli, Milano 2004. CESAREO V., DONATI P. e altri, Verso una sociologia per la persona, F. Angeli, Milano 2006. PROSDOCIMO L., “Dal segno al simbolo. La figurazione nella relazione educativa con la persona disabile mentale.”, Del Cerro, Tirrenia-PI 2006. VIRILIO P., Città panico, Cortina Editore, Milano 2004. Altro materiale bibliografico consultato ALGERI A.M. e BACCARO F., “Programmare e valutare nei Centri Educativi Occupazionali Diurni. Il processo e il prodotto”, Anffas Sezione di Schio, 1993. AMMANITI M., “Handicap. Quanti e chi sono gli handicappati. Aspetti fisici, mentali, affettivi. I genitori e gli altri. Come prevenire, come curare.”, Editori Riuniti, Roma 1980. DONATI M. e MAFFETTI M., “L’educatore indispensabile”, Vita e pensiero, Milano 1992. DURANTE M., NASATO S., RANDO T., RICALDONE C., ZORZI T.; REGIONE VENETO, ULSS n. 10 di Treviso, “Non voglio la luna. Percorsi di integrazione sociale e lavorativa dei disabili. Atti del convegno regionale di Treviso: 28-29-30 novembre 1991”, del Cerro, Tirrenia - PI 1994. 36 • QUALEDUCAZIONE LEPRI C., MONTOBBIO E. e PAPONE G., “Lavori in corso. Persone disabili che lavorano. Prospettive di psichiatria, psicoanalisi e psicoterapia”, Del Cerro, Tirrenia -PI 1999. MODERATO L. e PALTRINIERI E., “Lavoro e handicap. L’inserimento lavorativo del ritardato mentale”, Unicopli, Milano 1989. MONTOBBIO E., “Il viaggio del Signor Down nel mondo dei grandi. Come i “diversi” possono crescere”, Del Cerro, Tirrenia (Pisa), 1994. MONTOBBIO E., “Il falso da Se’ nell’handicap mentale. L’identità difficile. Prospettive di psichiatria, psicoanalisi e psicoterapia”, Del Cerro, Tirrenia - PI 1999. Centro Informazioni Handicap Sevizio dell’A. I.A.S. “San Bortolo”, “Guida ai servizi per disabili e per le loro famiglie”, 1992. REGIONE VENETO, AZIENDA U.L.S.S. n. 9 – Treviso, Direzione dei Servizi sociali, “I Servizi Diurni per le Persone Disabili Adulte. Atti del Convegno di Treviso: 12 dicembre 2003”, a cura di Area Disabilità, R. Gherlenda, L. Calò, Oratorio, Treviso 2005. REGIONE VENETO, OSSERVATORIO REGIONALE HANDICAP, ULSS n. 17, “Servizi per persone disabili. Regione Veneto”, 2005. REGIONE VENETO, OSSERVATORIO REGIONALE HANDICAP, ULSS n. 17, “Il Centro Educativo Occupazionale Diurno”, 2005. REGIONE VENETO, OSSERVATORIO REGIONALE HANDICAP, ULSS n. 17, “Servizi Residenziali per le Persone con Disabilità.”, 2005. REGIONE VENETO, OSSERVATORIO REGIONALE HANDICAP, ULSS n. 17, “Persone con disabilità. La Rete dei Servizi nella Regione del Veneto.”, 2004. REGIONE VENETO, OSSERVATORIO REGIONALE HANDICAP, ULSS n. 17, “Manuale per operatori. Invalidità civile.”, 2002. NOTE V. Cesareo, P. Donati, R. De Vita, S. Belardinelli e altri, in Verso una sociologia per la persona, F. Angeli, Milano, 2006. 2 P. Virilio, Città panico, Cortina editore, Milano, 2004. 3 Z. Bauman, Il disagio della postmodernità, Mondatori, Milano, 2002. 4 U. Bernardi, Culture e Integrazione, F. Angeli, Milano, 2004. 5 La parola handicap deriva dalla fusione di tre termini: “hand” = mano, “in” = in, “cap” = cap1 pello, e si riferisce all’uso, nelle corse dei cavalli, di applicare dei correttivi a vantaggio o a svantaggio dei partecipanti ad una corsa, in maniera tale che tutti abbiano la stessa possibilità di vittoria pur essendo dotati diversamente dal punto di vista fisico. In una corsa ad handicap, mettendo in un cappello un numero per ogni concorrente, pur estraendo a caso, si avranno sempre le stesse probabilità di pervenire al numero vincente. 6 L’Osservatorio nasce dalla volontà della Regione di disporre di un adeguato strumento conoscitivo, valutativo ed operativo che rilevi le problematiche socio-relazionali, socio-assistenziali, culturali e sanitarie che riguardano il mondo delle disabilità e il modo di affrontarle. Esso contribuisce a rendere dignitosa, ricca, propositiva e progressivamente migliore la qualità delle vita delle persone disabili e delle loro famiglie. Tra i compiti dell’Osservatorio ci sono la raccolta di dati e informazioni utili alla comprensione della situazione della popolazione con disabilità e all’analisi della domanda di servizi. Tra gli obiettivi, l’Osservatorio ha quello di promuovere i diritti delle persone e far conoscere le opportunità per potenziare le abilità e per favorire processi e comportamenti atti a mantenere il più a lungo possibile il benessere, l’autonomia e la salute della perso- na con disabilità. 7 L. Prosdocimo, Dal segno al simbolo. La figurazione nella relazione educativa con la persona disabile mentale, Del Cerro, Tirrenia (Pisa), 2006. 8 L. Boccacin e G. Rossi, Le culture e le pratiche del volontariato in Italia, in Il terzo settore, a cura d P. Donati e I. Colozzi, F. Angeli, Milano, 2004. 9 Il mattarozzo è lo stampo sul quale ci sono i particolari che vanno applicati simmetricamente o meno agli occhiali. Se sono simmetrici vanno divisi in destri e sinistri. Questi particolari sono per esempio le grandi firme, i simboli o i disegni. Questo lavoro richiede molta attenzione e una affinata manualità. 10 Nei Centri di Lavoro Guidato sta accadendo la stessa cosa. Gli inserimenti nel mondo del lavoro sono diminuiti. La permanenza in un CLG è aumentata da 2 anni a 5 anni o più, prima di passare all’ambiente lavorativo. 11 L’istituto “Costante Gris” con sede a Mogliano Veneto è una struttura residenziale extraospedaliera a carattere permanente che ospita persone non autosufficienti con disabilità psico-fisica grave e gravissima. L’istituto svolge le attività di cura e riabilitazione per i soggetti affetti da patologie e disabilità psico-fisiche con personale medico proprio, per garantire sia assistenza medica che prestazioni specialistiche. QUALEDUCAZIONE • 37 Autonomia, dirigenza, progettualità rubrica diretta da GIOVANNI VILLAROSSA Registriamo gli esiti di un’indagine dell’UCIIM finalizzata a conoscere le esigenze dei docenti e dei dirigenti scolastici per presentarle al nuovo governo. Riportiamo, inoltre, l’appello presentato, in occasione delle elezioni politiche, dalle associazioni professionali della scuola partecipanti al FONADS. “Costituzione e cittadinanza” è un articolo attualissimo che il nostro Direttore propone ai docenti della scuola italiana che si accingono a sperimentare, nell’anno scolastico 2008/09, la nuova disciplina voluta dal Ministro Mariastella Gelmini. “Costituzione e democrazia” – opportunamente – completa il curricolo della scuola dell’infanzia, della primaria e della secondaria di I e II grado. Esiti di un’ indagine. Le richieste dell’UCIIM al Ministro In occasione della nuova legislatura, e con l’intento di rivolgere al nuovo Ministro istanze radicate nella realtà scolastica, l’UCIIM ha interpellato tutti i suoi soci su alcune tematiche di base della scuola: la riforma, il profilo professionale del docente, la scuola dell’autonomia quale comunità educante, i problemi urgenti. I dati raccolti sono stati presentati e ampiamente dibattuti a Roma, sabato 10 maggio 2008, durante un Seminario Nazionale sul tema Parliamo di scuola: problemi prioritari per l’agenda del nuovo governo. Il Seminario ha riaffermato l’impegno dell’UCIIM per la scuola mirata al raggiungimento del Bene Comune, ribadendo la centralità della scuola nella società, al fine di portare a soluzione le attuali difficoltà sociali, culturali e di rispetto per la legalità, di inserire sostanzialmente l’Italia nell’Unione Europea e di rispondere alle sfide della globalizzazione, offrendo ai giovani la possibili- 38 • QUALEDUCAZIONE tà di inserirsi positivamente nelle nuove realtà lavorative del mondo; sottolineando la serietà e dignità della scuola, intese non solo come risposta immediata a pur urgenti emergenze, ma come risultato di un rigoroso lavoro di ricerca che sfoci nella formulazione di misure di sistema coerenti e condivise. Il Seminario ha sostenuto con forza, come segnalato dai soci partecipanti all’indagine, le seguenti questioni: – il governo che nasce non necessariamente deve demolire ciò che ha fatto il governo precedente perchè la scuola, non può, ad ogni cambio di governo, rincorrere la politica nella sua ricerca di riforme “contro”. La scuola italiana ha bisogno che qualsiasi riforma contempli il percorso formativo nel suo insieme per adeguarlo alle esigenze dello sviluppo sociale, civile ed economico del paese. – sono da ritenere inderogabili la valorizzazione e la ridefinizione del- la professionalità docente e dirigente. Sono da approfondire alcuni temi di fondo, come una ri-presa di coscienza per sostenere la motivazione e una consapevole e costante disponibilità all’innovazione, sempre sulla base dei valori immutabili dell’essere uomo. – l’autonomia scolastica, caratterizzata da funzioni, compiti e responsabilità, ha bisogno di autonomia finanziaria, da collegare all’autonomia organizzativa, per dare organicità ai diversi settori, ai rapporti col territorio, per realizzare progetti e ricerche, per rispondere in modo efficace alle esigenze emergenti, alle urgenze educative che si possono presentare, per evitare il rischio di un’eventuale dipendenza della scuola dai soggetti che agiscono sul territorio e di forme di competitività che accentuano la conflittualità fra le scuole del territorio e penalizzano la cooperazione. – la scuola autonoma va certamente calata nella realtà territoriale, ma allineata con gli indirizzi e gli obiettivi formativi definiti a livello nazionale. – la scuola in quanto comunità educante, abbisogna di dialogo e di aiuto reciproco tra le componenti nel rispetto di funzioni e ruoli. Risulta necessaria la riforma degli organi collegiali. – la scuola deve recuperare la sua identità, in parte compromessa dalla necessità di supplenza ad altre istituzioni educative, in particolare alla famiglia, in difficoltà o rinunciatarie. Recuperando il prestigio della didattica gli alunni sentiranno l’esclusività di ciascun docente e la coralità della comunità educante. In particolare sono state individuate le seguenti priorità: 1) Ridefinire il profilo e lo sviluppo professionale del docente. Reclutamen- to attraverso concorsi. Frequenza di attività di formazione e aggiornamento intesa come valore, come dovere, non solo come diritto. Coinvolgimento delle Associazioni professionali nella progettazione e attuazione di attività di formazione. Sistema di verifica delle attività svolte. Retribuzione economica decorosa. Adeguamento a stipendi europei. 2) Ridare valore alla scuola e all’immagine sociale del docente. Una cornice di regole condivise, di legalità, può ricreare un clima educativo. Se è indispensabile sostenere gli alunni fragili, è altrettanto necessario favorire l’emergere di attitudini preziose. La tolleranza, elevata a sistema sia dei comportamenti scorretti che degli apprendimenti insufficienti, lungi dal favorire i deboli, delude i capaci dissipando ricchezza di talenti. Il sistema pubblico d’informazione e i mass-media creino intorno alla scuola un clima di rispetto, di fiducia e di considerazione sociale. 3) Affrontare alcune emergenze: bullismo, illegalità, indisciplina, classi numerose, dispersione scolastica, mobilità docenti. Individuare strumenti adeguati per far fronte alla condotta degli alunni. Ritorno al merito. Revisione della modalità di gestione del debito formativo. 4) Garantire una riforma chiara e condivisa, coerente con le finalità enunciate, e fra i diversi gradi di scuola, sorretta da principi educativi consolidati. Investire sulla scuola, risorsa fondamentale di un paese civile. Insomma, si chiede al governo di assumere un serio impegno socio-economico a favore della scuola per valorizzare: QUALEDUCAZIONE • 39 • la professionalità degli insegnanti e dei dirigenti; • la preparazione dei giovani per renderli capaci di esercitare una cittadinanza attiva, una informazione onesta, un confronto collaborativo con altre culture e una impegnata educazione alla legalità. Dai lavori del seminario è emersa altresì una serie di proposte, frutto della disponibilità dell’UCIIM tutta a offrire alle Istituzioni un contributo fattivo sulle riforme, sulla formazione e sulla valutazione. Ci si propone in particolare: – come luogo professionale per un dialogo sereno e costruttivo, al fine di promuovere il confronto tra punti di vista diversi ma comunque mirati a un’istruzione di qualità per tutti; – come luogo di ricerca, di studio e di promozione di sperimentazione intorno alle construende proposte di riforma. L’UCIIM infatti ha la possibilità, attraverso i suoi formatori e la rete delle sue relazioni con le scuole e con le altre agenzie educative, con il mondo del lavoro e del volontariato, di realizzare ricerche sul campo a proposito delle conseguenze positive o negative delle riforme sui risultati scolastici, da intendersi come acquisizioni in campo sia culturale, sia civile, in una prospettiva long life learning; – come luogo di studio, valutazione e supporto di esperienze metodologicodidattiche innovative, collaborando a progetti di punta a livello nazionale ed europeo, raccogliendone i risultati e sostenendo “buone pratiche” in campo didattico, educativo e sociale; – come luogo di produzione di materiali didattici innovativi da sottoporre al vaglio dei docenti per quanto riguarda la fruibilità immediata ma anche per 40 • QUALEDUCAZIONE quanto riguarda i criteri di elaborazione e le metodologie; – come osservatorio delle carenze e delle eccellenze nel mondo scolastico, per sanarle o per farle emergere come meritano; – come servizio di consulenza e orientamento per i giovani e le famiglie. *** APPELLO DELLE REALTÀ ADERENTI AL FORUM DELLE ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI IN OCCASIONE DELLE ELEZIONI POLITICHE 2008 L’evoluzione politica che il Paese sta vivendo, quale che sia l’esito delle prossime elezioni, rende opportuna una presa di posizione delle associazioni che da tempo operano nel campo della scuola per la valorizzazione delle sue figure professionali e l’innalzamento della qualità della proposta educativa. La scuola non può essere stravolta ad ogni cambio di governo: scuola vuol dire spazio pubblico, non terreno di conquista. Questo per noi significa che la scuola è un bene comune, un servizio per tutti, troppo prezioso per essere continuamente impoverito o trasformato, senza tenere conto del bisogno di certezze degli operatori della scuola e dei “tempi lunghi” necessari per valutare i risultati degli interventi di riforma realizzati. Per questo le ragioni della scuola non possono essere quelle di una parte. Da alcuni anni nel dibattito culturale si è affacciata la categoria di “emergenza educativa” a segnalare quanto un certo scollamento della scuola dalla comunità civile abbia generato fenomeni negativi dal forte impatto sociale, che devono essere risolti alla radice. Di questa dimensione appaiono, per esempio, la dispersione scolastica e l’evasione dall’obbligo, le vistose carenze degli apprendimenti dei quindicenni nelle materie fondamentali risultanti dalle rilevazioni Ocse-Pisa, la mancata connessione tra cultura umanistica, cultura scientifica e cultura tecnologica, tuttora vigente. Seppure non con la stessa evidenza e con posizioni diversificate, i partiti hanno inserito il problema scuola tra le priorità e le urgenze da affrontare nel Paese. A partire dalla generale consapevolezza di quanto sia importante per la ripresa della comunità l’esistenza di una scuola adeguata ai nuovi compiti che anche l’Unione Europea indica ai suoi membri, ci rivolgiamo alle forze politiche in campo, per sottolineare alcuni nodi irrinunciabili che ci stanno a cuore e che ci auguriamo diventino nell’immediato effettive piste di lavoro del nuovo governo: 1. bisogna tornare ad investire coraggiosamente sulla scuola come risorsa fondamentale di un Paese civile, innalzando l’incidenza della spesa per l’istruzione sulla spesa pubblica totale; 2. bisogna ancorare più fortemente il sistema nazionale di istruzione alla Costituzione, anche in attuazione del Titolo V; 3. non sono necessarie nuove leggi, nuove Indicazioni nazionali, né una nuova riforma del sistema scolastico: occorre attuare pienamente le disposizioni che già esistono, per poi valutarne gli esiti; 4. deve essere completato e concluso il cammino di riconoscimento del- l’autonomia agli istituti scolastici, prevedendo anche l’autonomia di gestione finanziaria; 5. è imprescindibile una riforma degli organi collegiali dove siano chiari ruoli e competenze; 6. occorre rafforzare l’identità professionale dei docenti, anche mediante strumenti d’incentivazione, di valorizzazione professionale e di sviluppo della carriera ed è al contempo indispensabile riconoscere e valorizzare la funzione dei dirigenti scolastici, nel quadro dell’autonomia; 7. deve essere ridisegnato il percorso di formazione iniziale e di assunzione dei docenti separando l’abilitazione dal reclutamento; 8. è necessario un sistema di valutazione autonomo dall’amministrazione, in grado di leggere luci ed ombre del sistema di istruzione e perciò di orientare le scelte politiche; 9. occorre procedere al complessivo riassetto della scuola superiore a cominciare dagli istituti tecnici e professionali; 10. è necessario un forte impegno delle forze politiche nazionali e locali diretto alla generalizzazione della scuola dell’infanzia. Marzo 2008 Aderiscono: Adi - Associazione Docenti Italiani; Aimc - Associazione Italiana Maestri Cattolici; Andis - Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici; Apef - Associazione Professionale Europea Formazione; Cidi - Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti; Diesse - Didattica e Innovazione Scolastica; Disal - Dirigenti Scuole Autonome e Libere; Fnism - Federazione Nazionale degli Insegnanti; Legambiente Scuola e Formazione; Mce - Movimento Cooperazione Educativa; Uciim - Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi. QUALEDUCAZIONE • 41 Costituzione e cittadinanza per aiutare i giovani a star bene nella suola di GIUSEPPE SERIO 1. Con l’entrata in vigore del Decreto che introduce nel curricolo della scuola italiana la nuova disciplina – denominata Costituzione e cittadinanza – si vuole offrire ai docenti della scuola di ogni ordine e grado uno strumento che legittimi e irradi sul curricolo le linee guida preparate dalla Commissione di esperti coordinati dal prof. Luciano Corradini. Tali linee intendono valorizzare l’esistente e specificare le tematiche di riferimento, cioè la matrice storicoculturale del nostro assetto costituzionale oltre che le norme che definiscono la cultura della cittadinanza e la convivenza civile. Il comportamento degli alunni non può disgiungersi dalla socializzazione effettiva. Perciò, la nuova disciplina evita il modello degli obiettivi (declinando le competenze in sottocompetenze) e propone la conoscenza di quanto è statuito nella nostra Costituzione. Lo studente è tenuto a prendere coscienza degli elementi di garanzia della libertà, dell’uguaglianza dei diritti civili di ciascuno Tale presa di coscienza dei valori costituzionali è, dunque, il fondamento della vita civile. Pur nella necessaria essenzializzazione dei contenuti, Corradini propone che i docenti si facciano carico delle “emergenze” corrispondenti agli articolali della Costituzione affinché sia possibile realizzarne lo spirito (articoli 1, 2 e 3, pari dignità; 4 e 8, fruibilità della 42 • QUALEDUCAZIONE libertà religiosa; 13-21 e 33-34, diritti e doveri da realizzare mediante specifiche attività di educazione alla cittadinanza attiva, nel rispetto delle differenze socio-culturali, religiose ed etniche. Il giovane può imparare a conoscere anche le carte internazionali al fine di capire le regole della convivenza e della solidarietà e condividere i valori universali di tutti (ricchi, poveri, bianchi, negri, abili, disabili, credenti, non credenti ecc.) per contrastare la sopraffazione, l’illegalità, la violenza ecc. ricorrendo sempre al dialogo interpersonale. Nel I e nel II ciclo di istruzione, le conoscenze e le competenze relative alla convivenza civile e alla cittadinanza sono acquisite mediante questa nuova disciplina “individuata nell’area storico-geografica e storico-sociale, oggetto anche di specifica valutazione. Nella scuola dell’infanzia tale dimensione si realizza prevalentemente nel campo di esperienza de Il sé e l’altro. L’art. 2 del Decreto disciplina, conseguentemente, i diritti/doveri degli studenti della scuola secondaria di I e II grado e il loro comportamento (voto di condotta) anche in relazione alle attività svolte dalla scuola in tal senso. Nel I ciclo (scuola primaria e secondaria di I grado) il voto è espresso in forma di giudizio, mentre nella scuola secondaria di II grado è espresso in decimi. Prima del giudizio e della valutazione occorre ovviamente l’impegno della scuola che a tal fine previene l’illegalità educando i giovani alla cittadinanza attiva dopo aver fatto capire loro le cause che ne potrebbero impedire la realizzazione. Il fenomeno della trasgressione della legge dello Stato e delle regole etiche è molto diffuso, soprattutto nei luoghi del degrado, del disagio e dell’emarginazione sociale. La scuola può offrire il suo contributo promovendo le opportunità che consentono ai giovani di scegliere – tra i momenti della loro crescita – i percorsi che promuovono la formazione dell’uomo e del cittadino secondo lo spirito della Costituzione. Formazione è un nome composto da due parole, forma/azione, di cui la prima specifica la “forma” – nel nostro caso – del “cittadino” che opera in conformità della legge, e la seconda indica l’azione necessaria per raggiungere il risultato. 2. Le attività didattiche – e i corrispondenti percorsi – aiutano e abituano i giovani a vivere la legalità nella vita quotidiana ordinaria della scuola, soprattutto con azioni concrete che li aiutano a star bene con se stessi e con gli altri in una società che stia meglio (Corradini). Ciò significa che imparano a vivere nella legalità e a sapersi orientare nella scelta delle opportunità della vita scolastica ed extrascolastica. I percorsi didattici, servono anche per esercitarsi a capire la differenza tra illegale (ciò che è in contrasto con la legge), legale (ciò che è conforme alla legge dello stato) e morale (ciò che è conforme alla coscienza). I giovani, per esempio, che in una delle 33 ore previste dal decreto, si esercitano a svolgere le attività di servizio civico (in collaborazione con il volontariato locale) sono facilitati a spiegare ai loro coetanei le infrazioni commesse da chi va in moto senza casco o non si ferma al semaforo con il segnale rosso o non rispetta li limiti di velocità e le regole della società democratica. Chi le infrange, pensa di vivere nella sfera del privato, non nella società delle persone. In questi casi, gli studenti non comminano multe ai trasgressori, ma dialogano con essi. Il loro compito – a casa, a scuola, nella società – consiste loro di mettersi in dialogo con chi assume sostanze stupefacenti inciampando in errori madornali. Costoro, non vanno emarginati, ma coinvolti amichevolmente nel dialogo affinché capiscano – quando dicono che la vita è la loro e se la gestiscono come vogliono, se si rompono la testa o se vanno in astinenza – che il metadone è un contributo involontario del cittadino che paga le tasse per assicurare loro questo ed altri servizi sociali. Violare la legge non è un fatto privato, ma sociale. Il giovane che vuole vivere nel paese dei balocchi, promessogli dagli spacciatori, deve capire che i balocchi sono i suoi nemici e che se si droga diventa una belva che uccide e si uccide (lungo le strade della morte del sabato sera). Per questa e altre ragioni, occorre mobilitare le coscienze dei giovani scegliendo itinerari di studio e di impegno sociale adeguati al Piano delle offerte formative promuovendo lo sviluppo della dignità di tutti e di ciascuno che è la difesa contro la criminalità oltre che lo strumento con cui si può evitare il degrado morale. 3. Amici si può essere … L’amicizia è una terapia naturale per il recupero di soggetti a rischio e/o nell’emarginazione, specialmente oggi che la famiglia e la scuola si chiudono a riccio nell’illusione di difendersi dalla violenza e dalla trasgressione (bullismo). La chiusu- QUALEDUCAZIONE • 43 ra è una forma sterile di difesa che somiglia al guscio, al muro, non al ponte con cui si accede alla vita sociale rispettandone le regole condivise sapendo che ciascuno appartiene alla società nazionale (Italia), internazionale (Europa), mondiale (globale). Questa triplice appartenenza si interseca con il pluralismo interculturale postulando l’esigenza dell’integrazione ed il rispetto della diversità. Per reagire in modo giusto al fenomeno dell’illegalità imperversante occorre rendere concreta la comunicazione interpersonale sperimentando il sistema psico-dinamico che aiuta il giovane ad apprendere la legalità vivendola nella vita. Tra famiglia, scuola e società è necessario costruire ponti, demolire i muri (divisioni socio-culturali) sostituendoli con l’amicizia, cioè sul denominatore comune che unisce persone e popoli diversi (per il colore della pelle, la lingua, la condizione economica, la cultura), ma uguali per dignità. In ogni scuola si potrebbe istituire un centro di aggregazione giovanile organizzato come “luogo privilegiato dell’incontro primario” che, in un certo senso, prepara i ragazzi a vivere nei luoghi non strutturati (il quartiere, il bar, la strada, la sala giochi, la discoteca ecc.) che sono gli spazi della loro socializzazione autonoma. Proprio in questi spazi non strutturati nascono e si consolidano le amicizie, quelle buone e quelle per niente buone. I ragazzi arrivano a scuola con il carico delle loro esperienze acquisite nei luoghi non strutturati (primo tra tutti la strada). Nei confronti di questi spazi, la scuola ha il compito di svolgere la duplice funzione di consolidare le esperienze positive, prevenire e/o neutralizzare gradatamente quelle negative. È pos- 44 • QUALEDUCAZIONE sibile recuperare i soggetti che la famiglia involontariamente predispone alle esperienze negative; inoltre, credo che si possa prevenire la devianza mediante la terapia dell’ascolto attivo che è il presupposto per costruire un ambiente sociale come luogo di comunione, non di comunanza, che lambisce, ma non penetra l’interiorità la persona. La comunione fra le persone – giovane o adulte che siano – implica la fecondità connettiva dell’amicizia o del rispetto reciproco e della solidarietà che si trasforma in energia per la persona. Se manca questa energia, manca il dialogo, cioè, il processo educativo. Le esercitazioni degli alunni, perciò, devono incentrarsi nel dialogo senza del quale non si può realizzare un rapporto di amicizia. Se manca il dialogo, l’alunno rischia di essere incapace di comunicare, di vivere con gli altri nella società democratica, di non osservare le “regole” e condividere i “valori” della Costituzione e delle Carte internazionali. Chi non dialoga, è povero di amicizia, non è trasparente, non è in comunione con i suoi compagni di scuola. La comunicazione fervida salda l’amicizia nella coscienza delle persone. Ma come si diventa amici? La crescita del giovane si svolge sullo sfondo del dialogo che è possibile se le persone sono disponibili ed aperte. L’analfabeta (cioè, chi non sa decodificare i messaggi del suo tempo) non sa vivere la vita nella pienezza del suo valore perché non partecipa attivamente alla vita sociale. Alcuni giovani non parlano, cioè, non dialogano se sanno di non essere ascoltati. In famiglia e a scuola, non parlano per questo motivo: manca loro la terapia dell’ascolto attivo da parte dei professori e, a volte, anche dei genitori. Nemmeno l’adulto si confida se sa di non essere ascoltato, se non c’è comunione, cioè, amicizia tra lui e l’altro. Insomma, quanto più il giovane si sente estraneo alla comunità in cui si trova a vivere – famiglia, scuola, associazioni ecc. – tanto più si espone al rischio della solitudine emotiva da cui, spesso, si accede alla devianza invece che alla comunità delle persone che incoraggiano gli alunni a parlare con gli altri di se stessi. Che cosa significa, perciò, essere cittadino? Significa essere famiglia in famiglia; essere scuola a scuola; essere società nel mondo. Questo contributo vuole occuparsi particolarmente dell’istituzione scolastica chiamata a guidare gli alunni ad educarsi alle regole della cittadinanza attiva partendo dalla Costituzione e dalle carte internazionali. Oggi, parlare a scuola è un evento impersonale, un fatto estraneo alla vita sociale e nella famiglia non sempre è un momento confidenziale. I giovani, per esempio, a scuola parlano quando devono essere interrogati; parlano in modo informale, cioè, secondo ritmi mensili, trimestrali o quadrimestrali. Anche in famiglia il loro parlare non è sempre schietto. Dunque, il parlare dei giovani non sempre è un momento creativo o di partecipazione attiva alla vita familiare, scolastica, sociale. Oggi né la famiglia né la scuola aiutano i ragazzi a crescere forti nel saper essere attivi per contrastare, per esempio, la sopraffazione a danno dei più deboli o la rinunzia agli atteggiamenti di tacita accettazione delle prepotenze prima a scuola, poi, nella vita. Chi ama la vita e si esprime con gioia stando insieme agli altri (fratelli o compagni di scuola o amici) che incontra nella socie- tà interculturale interagendo con spirito di collaborazione, a seconda della propria vocazione. La comunione tra le persone consente loro di penetrare nelle coscienze; di interagire in virtù di ponti comunicativi (lingue, linguaggi adeguati alle opportunità formative ecc.). L’amicizia tra le persone è apertura alla vita, spazio democratico, opportunità per stare insieme nella diversità – a livello globale e locale – nel rispetto delle leggi dello Stato e della coscienza. Le attività previste dal Piano delle offerte formative, proposte a ciascuno studente devono essere sperimentate a livello di socializzazione secondo i percorsi di cui appresso. Il coordinamento delle attività potrebbe essere affidato ad un docente formatore. Nella fase preparatoria, mese di settembre, iniziano le attività didattiche e, dopo il corso di formazione dei docenti facilitatori, il consiglio di classe prepara il piano annuale delle 33 ore della nuova disciplina – Costituzione e cittadinanza – cercando i collegamenti con le altre del curricolo in modo che l’ora sia l’occasione per irradiare “le linee guida della nuova disciplina” nel curricolo allo scopo di attuare concretamente gli obiettivi previsti dalle stesse linee direttive indicate dalla Commissione ministeriale. I principi didattici sono ispirati dal dialogo come strumento argomentativi (gli scambi interculturali e le opinioni personali); dall’impiego del dialogo come confronto delle opinioni personali; come proposte di problemi in merito ai valori non condivisi e/o condivisi da parte di particolari gruppi etnici, religiosi, etici al fine di trasformare queste diversità in una risorsa per tutti. Il corso di formazione dei “docenti QUALEDUCAZIONE • 45 facilitatori” – coniugato con le attività incluse nel Piano delle offerte formative – è organizzato dalla scuola in un seminario di 10 ore corredato da schede e testi scelti per essere proposti agli studenti come oggetto di analisi sociologica della trasgressione affinché gli studenti ne capiscano le cause in contrasto con le leggi e le regole poste a fondamento della società democratica. Le finalità del corso predetto riguardano la capacità e possibilità che i docenti devono possedere per realizzare la “democrazia scolastica” senza scimmiottare quella in cui si preparano a partecipare come cittadini adulti. Perciò, vivere democraticamente nella scuola significa saper interagire nella classe e nell’istituzione scolastica; rispettare le varie opinioni o i punti di vista degli altri, soprattutto dei diversi; esercitare consapevolmente la responsabilità personale; saper interpretare il clima emotivo della classe; aiutare “i compagni di scuola più deboli” dal punto di vista del profitto e del comportamento: partecipare nell’orario extrascolastico alle attività di volontariato. 4. Le scelte tematiche dei percorsi didattici possono essere suddivise per argomento, rispetto della legalità e promozione della cittadinanza attiva; promozione del dialogo interpersonale e interculturale; luoghi d’incontro, di socializzazione, esercitazioni di volontariato. Per stimolare la fantasia didattica dei docenti, propongo alcune attività per la realizzazione dei percorsi didattici da inserire nel Piano annuale delle offerte formative (33 ore) e in quello pluriennale (329). Il monte ore è sufficiente per arrivare alla maturità con idee chiare in merito a Costituzione e Cittadinanza. 46 • QUALEDUCAZIONE Preliminarmente è necessario leggere la Costituzione assegnando ad ogni studente una riflessione scritta su gli articoli richiamati. Per esempio: che significa per te l’affermazione “la Repubblica è fondata sul lavoro”? In particolare, è opportuno svolgere le attività didattiche e coinvolgere di volta in volta i docenti delle macroaree indicate: come proteggere i beni culturali e ambientali presenti nel territorio dopo averli catalogati e classificati secondo criteri artistici, estetici e paesaggistici? Organizzare e gestire gli spazi destinati agli studenti nel territorio comunale o nel quartiere svolgendo le attività esterne. Per esempio: nella scuola dell’infanzia e in quella primaria è possibile esercitare bambini e ragazzi ad essere utenti della strada attraversandola sulle “strisce pedonali” rispettando la segnaletica verticale e orizzontale, mettendo in atto comportamenti responsabili del rispetto della vita propria e degli altri. Le energie alternative, quale funzione svolgono o quale difesa, quale tutela hanno nell’ambiente in cui opera la scuola? In particolare, per ciò che concerne la sicurezza è necessario conoscere il codice della strada, esercitarsi nell’extrascuola (secondaria) svolgendo le attività indicate precedentemente; per ciò che si riferisce all’alimentazione, benessere e norme igieniche occorre esercitarsi in uno stile di vita adeguato. Infine, è necessario conoscere, valutare, scrivere una breve relazione scientifica sui fenomeni dell’effetto serra, della desertificazione, del consumismo sregolato, della povertà del persone e della fame nel mondo: quali iniziative (possibili ed opportune) degli studenti; conoscere le energie inesauribili del mondo (intelli- genza, amore, aria, solidarietà) in contrasto con le energie esauribili (petrolio, denaro e altri beni negoziabili). Gli interventi di incentivazione a partecipare e accedere ai servizi pubblici riguardano anche l’organizzazione di eventi sportivi (corse ciclistiche, podistiche, partite di calcio ecc.) con il coinvolgimento di giovani comunitari e extracomunitari locali. La manifestazione conclusiva dell’anno scolastico – sul tema Vivi attivamente nella tua città coinvolgendo un amico – aiuta i partecipanti a scambiarsi “esperienze di vita” incentrate su i loro percorsi di educazione alla cittadinanza attiva. Tra gli adempimenti necessari per l’avvio delle attività, è necessario mettere al primo posto la stima della vita che non è un bene negoziabile (come la macchina o l’assegno di c/c). Suggerirei ai docenti le attività didattiche che se- guono percorsi che educano alla prevenzione della microcriminalità svolgendo attività che contrastano la trasgressione che, nel periodo di vita giovanile, sembra esercitare un’attrazione inspiegabile nei confronti di alcuni ragazzi della società contemporanea che rifiutano la legalità. Penso che sia necessario indicare dei macro obiettivi anche per contrastare la dispersione; prevenire la devianza; potenziare le conoscenze in ambito scientifico e tecnologico; esercitare gli studenti ad inventare iniziative in merito al rispetto dell’ambiente in cui si trovano a vivere; attivare laboratori; sperimentare nuovi strumenti didattici; conoscere le Associazioni di volontariato inserite nel Piano delle opportunità formative allo scopo di realizzare esperienze secondo le direttive fornite dal Ministro dell’Istruzione. Sempre a�uali per giovani QUALEDUCAZIONE • 47 Il ruolo dell’intellettuale, ieri. E oggi? di GIUSEPPE SERIO L’intellettuale è colui che opera con l’intelletto1 (strumento del pensiero speculativo teoretico2) e vi si impegna con intelligenza. Comunque, è una persona che, dotata di cultura, esercita la sua influenza nella società in cui si trova a vivere e, particolarmente, nell’ambiente in cui opera direttamente (classe sociale, partito politico, movimento culturale, associazione, mondo del lavoro) costituendone la guida o l’orientamento verso il “suo quadro valoriale”. Non svolge un ruolo positivo chi, pur se dotato di tali strumenti culturali, agisce con spirito di superiorità culturale e spirituale. In tal senso, infatti, non ha successo, cioè, non riesce ad orientare le persone verso il quadro di valori condivisi (Democrazia, Giustizia, Libertà, ecc.). Ha successo, invece, l’intellettuale che si riconosce “persona in cammino” (non persona arrivata alla meta che, invece, si allontana man mano che sembra di esservi vicino). L’intellettuale è un nomade che sa che la Verità esiste: cammina verso di essa, conosce la via, ma non riesce mai a raggiungerla; sa che c’è, sa in che direzione andare, ma non riesce a possederla per cui continua a cercarla sempre per tutto l’arco della sua vita. Il suo ruolo, dunque, sta nell’orientarsi e orientare gli altri che, come lui, non la raggiungeranno mai, hic et nuc . 1. Nel pensiero di Antonio Gramsci, Filosofia della prassi Antonio Gramsci. ha messo il luce che l’opera d’arte è un processo in cui forma e contenuto sono categorie storiche espresse con un linguaggio che sta nelle categorie dell’Arte e della Storia. Egli respinge la riduzione meccanica di queste due categorie; non le riduce alla struttura economica (come vorrebbero, invece, altri filosofi vicini al pensiero di K. Marx). Il ruolo organico dell’intellettuale comunista si identifica con quello del Par- Per dialogare con noi [email protected] [email protected] FONDAZIONE SERIO www.shopinwebus.com/fondazione VISITA IL SITO DELLA e per conoscerci 48 • QUALEDUCAZIONE tito Comunista che ha il compito di promuovere le forze organizzatrici della società per essere una guida dell’ intellettuale organico Il Partito promuove la riforma morale – l’“umanesimo assoluto” – che si realizza nella storia, non al di là del tempo, oltre la Storia. Questo è ciò che l’Intellettuale organico deve far capire a tutti gli altri (i semplici cittadini). Per lui, il marxismo non è un sistema, ma la consapevolezza critica del presente (storico cioè coscienza storica). L’uomo è un fenomeno storico, non metastorico, nemmeno metafisico. La filosofia non ha il compito di interpretare il mondo, ma di cambiarlo, per cui “conoscere” non significa adattare il pensiero al mondo, bensì creare un mondo nuovo, qui ed ora, cioè nella storia, non oltre questa dove c’è il “nulla”3. Dio è una sovrastruttura del pensiero, non una struttura del reale. L’intellettuale organico – pertanto – svolge il ruolo di dar voce alla cultura (del proletariato). 2. Nel pensiero cristiano e nella filosofia della persona La persona è un valore rappresentato dalla sua dignità; non è portatrice di valori, è sorgente di valori (la pace, fondamento della Giustizia e della Libertà). La persona è l’essere originale e irripetibile (nel senso che non ce n’è un altro nel mondo che è dotato di anima e corpo (spirito e materia): quella libera da condizionamenti e questo invece no (perché è condizionato dal bisogno). La persona si trova sullo spartiacque che divide il tempo dall’eternità, il bisogno dalla libertà, la verità dalla menzogna ecc. Il ruolo dell’intellettuale cattolico consiste, perciò, nell’orientare la persona4 nella scuola, nella famiglia, nella parrocchia, nella società nella formazione dell’uomo integrale (tutto l’uomo, nella sua realtà psicofisica di anima e corpo). La persona deve sapere che la terra in cui si trova a vivere non è la sua patria; nel mondo, vive come se fosse in esilio: per questo è un nomade, cioè uno che cerca la sua patria (di cui crede di conoscere l’esistenza) per realizzarsi nella pienezza del suo essere. Oggi, l’uomo, vive nel mondo come uno sbandato5; anzi, come uno smarrito perché non sa dove andare in questo mondo disorientato e confuso che gli propone il denaro come valore (come felicità), cioè, gli propone il modello di Epulone in un mondo popolato da miliardi di Lazzaro … Dove deve andare? Verso quale meta? Qual è il quadro valoriale in cui può realizzarsi, oggi, l’uomo? Questo ruolo che svolge l’intellettuale cattolico in un mondo che pone al primo posto il denaro, il prestigio, il potere, la moda e non la persona umana è veramente un ruolo in fieri, non in atto. NOTE L’“intelletto” è indipendente dalla “sensibilità” e dal “sentimento”. 2 Nella Filosofia di Aristotele, le virtù intellettive sono diano-etiche, cioè dell’intelletto; in quella cattolica predispongono l’uomo alla conoscenza della verità. 3 Ugo Foscolo, il nulla eterno che, alla luce del pensiero critico, è una contraddizione. 4 La persona è intesa lungo tutto l’arco della vita: bambino, giovane, adulto che vive nei luoghi della formazione: famiglia, scuola, società. 5 Antonio Pieretti, L’uomo nomade. Una metafora del nostro tempo, Cosenza, Pellegrini 1994. 1 QUALEDUCAZIONE • 49 Rubrica aperta – Spazio dedicato al consenso, al dissenso, alla critica costruttiva – rubrica diretta da VINCENZO PUCCI Mi era capitato fra le mani, vagando nell’emeroteca, un numero di alcuni anni fa (2003) di “Solidarietà”, un periodico di Trento, in cui si dibatteva con estrema franchezza sulla desolante condizione della scuola e dei suoi utenti (noi educatori talora fatichiamo a parlare di alunni [alumnus = chi è allevato, nutrito<?!>] o di discenti [discens = chi impara<?!>] perché sempre più spesso ci troviamo di fronte ad equini o bovini allo stato brado [“Considerate la vostra semenza; / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e conoscenza” Povero Dante, se capitasse nelle nostre aule!). Un lustro dopo, oggi, la situazione appare catastrofica: i Media “si esaltano” nel descrivere con toni granghignoleschi truculenti e grotteschi la miseranda temperie scolastico-familiare… È frutto degli errori di imbonitori “politici” che hanno demolito la scuola e la famiglia negli ultimi decenni e ora si lamentano delle macerie su cui hanno costruito (!?!) il futuro: questi giovani paranoici scansafatiche e necròfanti [= che manifestano, “celebrano”, inconsciamente la Morte] sono figli di una grande menzogna, relativista e nichilista. La gioventù, bene indirizzata sorretta spronata, è naturalmente portatrice di speranza e di pace. Senza educazione morale e spirituale (altro che educazione alla legalità, ambientale, stradale etc etc etc fatta solo di parole vuote) senza esemplarità quotidiana, senza impegno e sacrificio, senza Cristo, non c’è sviluppo, non c’è crescita, non c’è futuro. La casa costruita sulla sabbia … “Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa… e la sua rovina fu grande” (Mt 7, 27). Verbum Domini. Geremiade pedagogica di VINCENZO PUCCI Scriveva, nei primi giorni dell’ottobre 2002, Marco Lodoli: «Gli adolescenti non capiscono più niente… I processi intellettivi più semplici, un’elementare operazione matematica, la comprensione di una favoletta, ma anche il resoconto di un pomeriggio passato con gli amici o della trama di un film, sono diventati compiti sovrumani di fronte ai quali gli adolescenti rimangono a bocca aperta, in silenzio… le capacità logiche-mentali paiono irrimediabilmente compromesse… non riescono a connettere i dati più elementari, a stabi- 50 • QUALEDUCAZIONE lire dei nessi minimi tra i fatti che accadono davanti a loro, che accadono a loro stessi». Successivamente (inizio di febbraio 2003) individua la causa della crescente fisiologica sord-ottusità nell’imbonimento massmediatico: «il demone della Facilità». Nel secondo articolo Lodoli mette sotto accusa la cultura dominante che «“scansa ogni sentore di fatica,ogni peso, ogni difficoltà…” Abbiamo accettato prodotti culturali (e anche politici) senza qualità e siamo scivolati lungo la china della facilità: “Tutto è stato facile, e tutto continua a voler essere ancora più facile, senza sforzo, ridendo e scherzando…” E così, posseduti dal demone della Facilità, gli studenti non credono che per ottenere un risultato, anche minimo, ci si debba impegnare a fondo. Il risultato deve arrivare in scioltezza. Con questa convinzione, secondo Lodoli, “si diventa idioti”». Umberto Galimberti, associandosi alla diagnosi di Lodoli, aggiungeva, cinque anni fa, che le carenze di nessi cognitivi sommati a quelli emotivi portava davvero a «chiedersi se questi ragazzi dispongono ancora di una psiche capace di elaborare i conflitti e, grazie a questa elaborazione, in grado di trattenersi dal gesto». Il gesto, ad esempio, di uccidere o uccidersi… La cronaca di questa prima metà di maggio 2008 (la vicenda di Lorena Cutraro, a Niscemi, gettata in un pozzo dopo essere stata ammazzata da tre adolescenti) ci conferma la tragica vacuità di tanta parte della nostra gioventù (“uno dei tre avrebbe chiesto al pm nella caserma dei carabinieri: «Signor giudice le ho confessato tutto, adesso posso andare a casa?»”); per questo prodotto educativo della nostra società senza regole e senza valori (relativismo, lassismo, materialismo di massa) il massacrare una persona è irrilevante(?!): né reato, né peccato, non c’è colpa, tutto è un gioco! realtà virtuale! Barattoli vuoti. Ed è questo sostanziale “indottrinamento” alla nullafacenza e al tutto è lecito come Way of Life dell’Uomo a una dimensione (“Life is now”!?!) che produce mostri … invertebrati, epigoni e posteri di rivoluzioni … meramente verbali, donchisciottesche, o meglio cervellotiche. L’indifferenza emotiva spegne la comunicazio- ne, impedisce e vanifica la costruttiva “conflittualità” dialettica e pedagogica. I cosiddetti «analfabeti delle emozioni» vivono in una dimensione paranoica di paura e di aggressività permanente che rifiuta il dialogo, che ignora l’umorismo (il sorriso del cuore) e predilige il sarcasmo (il ghigno dell’odio), che è incapace di ascoltare di capire di amare. Sembrano inzeppati di necrofilìa: “amano” soltanto distruggere (anche sé stessi). La scuola può educare soltanto se la famiglia lo consente: una famiglia “assente” produce mutismo e reticenza, ribellione e renitenza, trasgressione a tempo pieno… clona degli “zombies”. Stiamo parlando di una rumorosa minoranza, che sembra maggioranza; invece, la “maggioranza silenziosa” non ha senso, se non testimonia i suoi valori. Una famiglia veramente cristiana conosce il conflitto, la fatica di vivere, lo scacco e l’assedio ma ha una sua identità, ha le radici nel Cielo e riesce a superare i momenti difficili, la “noche obscura” con la protezione e la difesa delle virtù teologali e cardinali. Se non si ha Fede in Dio, se non si ha la Speranza nella Resurrezione, se non c’è la Carità (cfr. 1 Cor, 13) è impossibile vivere hic et nunc sul Pianeta martoriato. Ri-visitare il passato più o meno prossimo è utile: aiuta a scoprire i nostri limiti, ma anche le nostre risorse inesauribili, se ci affidiamo al Padre dell’Umanità che c’insegue e ci guida negli attimi del giorno. Bruno Ferrero, riflettendo sul “malessere scuola” individua negli studenti due grandi categorìe: 1) gli oblomovisti caratterizzati dall’accidia “minimalistica” («Io, speriamo che me la cavo») 2) gli stacanovisti, i lavoratori infa- QUALEDUCAZIONE • 51 ticaticabili, i primi della classe («Come me non c’è nessuno»; è una sorta di bulimia … di gratificazione). Ovviamente i migliori non sono né i pigri nullafacenti, né gli angosciati iperattivi … ma i bambini/ragazzi/adulti sereni, equilibrati ed efficienti sia nello studio che nel lavoro, perché famiglia e scuola li hanno educati ad essere pienamente sé stessi. Studiare stanca, ma è necessario ed utile; chi non studia non può imparare. Chi non impara, non acquisisce le difese immunitarie e le benefiche endorfine che ci consentono di crescere sani sia fisicamente che culturalmente e spiritualmente. Chi non impara ad apprendere è una persona … incompiuta, un animale a rischio nella giungla del Villaggio globale. I giovani sono una formidabile risorsa, se gli adulti sanno educarli alla sobrietà, all’empatìa, alla rigorosa acribìa, alla ricerca della verità e della giustizia, alla capacità di ascolto, all’autonomìa di parlare leggere scrivere ed agire, alla speranza e all’utopia da realizzare: la pace fra i popoli e nelle famiglie, la verità e la giustizia che ne sono la premessa e il corollario, la libertà di ognuno e di tutti, la vita piena «adiuvante Deo auctore». L’inconsapevole crassa ignoranza delle ultime generazioni, di cui si sono finalmente accorti al Ministero, è l’eredità dei “rivoluzionari di professione” delle precedenti generazioni. È quello che verifichiamo, ogni giorno, noi docenti: questi bambini e ragazzini che usano il computer e i vari videogames con grande maestrìa, sono capaci di (?!) copiare dalla lavagna cose che non avete scritto, di prendere lucciole per lanterne, di farvi dire cose che non vi sognate neanche di pensare… Per stimolarli, vi 52 • QUALEDUCAZIONE capita di esclamare, sgomenti:« Se non usate l’aggeggio che avete sotto i capelli, finirà per arrugginire »; ebbene, la loro reazione non è una pronta sonora risata, ma un sorriso beòta e un’espressione eginètica, perché bisogna spiegargli che “l’aggeggio” accennato è il cervello che comunemente serve per pensare … Ma il pensiero nasce dalla gioia di capire, dall’ascolto attento e fecondo: essi avidamente si nutrono del rumore, della volgarità e della spazzatura iconica e verbale di PC e TV e dei rotocalchi, e neanche si sforzano di capire il sano umorismo che scaturisce dalle parole usate con allegria con rispetto con affetto… “cum grano salis.” Ecco, per contrasto, il tema svolto da un ragazzo di 15 anni, tanto tempo fa, quando non c’erano ancora computer e play station etc «Intimo colloquio con la natura La natura è il rifugio di chi è afflitto, di chi ama la solitudine; è la consolazione di ogni dolore: Solo, sulla riva del mare, stendo lo sguardo lontano. Mi ero diretto alla spiaggia, pieno d’ira, ma la visione delle onde che si frangono contro la scogliera mi placa lentamente. Vedo le acque agitarsi, inquiete, con moto perpetuo. Mi sembra che dal mare provengano voci profonde, voci misteriose, corrucciate o sommesse. Cerco di ascoltare quel che dice. Tutto parla, tutto vive. Col pensiero, d’un tratto, mi trasferisco in un bosco; il posto è idilliaco: tra le mille voci della natura, nello stormire delle foglie mosse dal vento sogno, mi sembra di essere in un mondo irreale e da qualche spiraglio un pezzo di cielo mi fa ricordare del mondo. Ascolto le novelle delle querce annose, le serenate dei passeri innamorati, l’urlo del vento. Nel bosco non regna mai il silenzio. Un ruscelletto, cantando un’allegra canzone, scorre tranquillo; fa pensare alla fugacità del tempo. Tutto quello che ci circonda è la natura. Ovunque si stia, sia su di un alto monte, sia sulla riva del mare, sia in un bosco, il contatto con la natura dà la pace, un lenimento allo spirito inquieto e turbato. Osservando la natura , si scoprono cose sempre nuove, misteriose e tosto si passa all’idea dell’eternità, delle cose più grandi di noi. Il colloquio con la natura riconduce a DIO; quando l’uomo sente intorno a sé l’indifferenza assoluta, la freddezza degli altri, l’incomprensione, ricorre alla natura, vi si rifugia, vi si annulla. Quando una pena lo tormenta si isola dal resto del mondo e in essa trova l’amica, la consolatrice, la maestra, la madre affettuosa.” Oggi è praticamente una rarità* trovare uno scritto con grafia normale, carattere corsivo, senza strafalcioni, con un senso e un contenuto accessibili a un lettore comune. Noi insegnanti siamo stremati dalla «decifrazione ed ermenèutica della paranoia espressa dalla colluvie grafocinètica», cioè dalla «correzione dei compiti». Gli errori, spesso più numerosi delle parole (!?!), corretti centinaia di volte, restano, spesso, costanti nel tempo, fino alla fine dei cicli, elementare medio superiore, fino all’università. Per sempre. Perché le promozioni “arronzate” fanno solo proliferare l’ignoranza, la stolta supponenza, un’inflata egolatrìa…riempita di vuoto. Le notizie dei vari Tg sono ormai una monotona trenodìa di violenza e di morte, di non senso cosmico. Ecco i frutti della “scuola facile”, della “famiglia secolarizzata”, della “parrocchia ghetto”: tale sinergìa necròfila genera una gio- ventù perennemente insoddisfatta, immatura, senz’anima senza ragione senza speranza. Una scuola seria e feconda, una famiglia benedetta e benedicente, una parrocchia testimone della speranza “abramitica” ribaltano la Storia. Con Cristo Gesù … Senza di Lui non possiamo fare niente (Gv 15, 5). P.S. È una rarità *, oggi, trovare scritti belli per forma e contenuto,ma, grazie alla formazione cristiana, si possono ancora trovare delle autentiche perle; su “Avvenire”, Domenica 22/6/2008, leggiamo la “tesina” di un’alunna – orfana di padre – che ci dà una lezione di responsabilità, di amore, di fede, di ottimismo: «Caro papà, grazie per esserci, nel bene e nel male. Questo è l’ultimo anno di scuola media e purtroppo avrò gli esami, che paura!È inutile che ti chieda come sono andati i tuoi perché non eri molto bravo a scuola (senza offesa). Non per vantarmi ma a scuola vado bene, però non soffermiamoci in inutili particolari che sai meglio di me. Ti starai chiedendo perché ho voluto dedicare la mia tesina proprio a te, non è vero? Caro papà, tu non ci sei mai stato veramente, in senso concreto, ma sento che sei tu il motivo per cui io vado avanti. A volte mi demoralizzo così penso a te e a quanto sostegno mi avresti dato se fossi stato in vita. Mi manchi, vorrei urlarlo a tutti! Sono passati tanti anni dalla tua morte, eppure ogni anno che passa mi sembra un secolo. Cerca lassù di tifare per me, perché tutto vada bene e perché possa sostenere un esame coi fiocchi. Ti voglio tanto bene, anche se non te l’ho mai detto perché ero troppo piccola. A volte guardando giù, vedi qualcosa che non dovresti vedere: QUALEDUCAZIONE • 53 ricordati che c’è sempre la legge della privacy! Ti volevo ringraziare anche da parte della mamma. In questi tempi è sempre preoccupata per il lavoro, arriva a casa ed è sempre molto stanca. La capisco, il lavoro non è facile come la scuola. Prima volevo fare cambio, insomma io avrei voluto essere al suo posto perché, almeno al lavoro, ti pagano per ciò che fai; qui a scuola niente. Ma allora ho capito che questa ultima ti permette di istruirti e di portarti a casa un bagaglio di idee che nessuno ti potrà mai togliere. Grazie per avermi fatto arrivare fino ad oggi [“…Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte / in questo giorno…” recitiamo nelle preghiere del mattino e della sera; M. si rivolge al papà, ma anche, più o meno consciamente, ad Abbà, Pater <Mc 14, 36> il Papà dei papà, cioè il padre di tutti - ndR] e visto che tu vedi più lontano di tutti noi, cerca di evitarmi pericoli o guai e di farmi vivere nel modo migliore e più a lungo possibile: se non ci sono io chi curerà la mamma, lo sai che quella vuole sempre pulire, pulire e pulire… Grazie ancora e confido nel tuo sincero aiuto» P.S. Ricordati che la felicità sta nell’attesa La tua scimmietta M. ACTA PAEDAGOGICA Collana diretta da GIUSEPPE SERIO 1 – AA.VV. 2 – AA.VV. 3 – AA.VV. 4 – AA.VV. 5 – 6 – EDUCAZIONE ALLA PACE. UN PROGETTO PER LA SCUOLA DEGLI ANNI ʼ80. (1981) Roma, Città nuova (esaurito) I VALORI SOCIO-POLITICI NELLA VITA GIOVANILE E NELLE ISTITUZIONI EDUCATIVE DEL NOSTRO TEMPO. A cura di Filomena Serio. (1983) 272 p. £. 25.000 (esaurito) EDUCAZIONE ALLA GIUSTIZIA. A cura di F. Fusca, E. Esposito, F. Serio. (1984) 219 p. £. 22.000 (esaurito) I DIRITTI UMANI. PRESENTE E FUTURO DELLʼUOMO. A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1986) 291 p. £. 25.000 (10 copie) 7 – 8 – 9 – 10 – 11 – AA.VV. EDUCAZIONE E DEMOCRAZIA TRA CRISI E INNOVAZIONE. A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1988) 192 p. £. 25.000 (30 copie) 12 – AA.VV. DOVE VA LA SCIENZA? EDUCAZIONE ALLA CONOSCENZA E ALLA RESPONSABILITÀ. A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1990) 236 p. £. 25.000 (200 copie) 54 • QUALEDUCAZIONE 13 – AA.VV. EDUCAZIONE ALLA SALUTE TRA PREVENZIONE E ORIENTAMENTO. A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1992) 184 p. £. 20.000 (esaurito) AA.VV. EDUCAZIONE AL LAVORO NELLʼEUROPA DEGLI ANNI ʼ90. A cura di M. Borrelli, L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1992) 172 p. £. 20.000 (esaurito) AA.VV. POPOLI CULTURE STATI A cura di M. Borrelli, L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio (1994) 330 p. £. 35.000 (25 copie) AA.VV. LʼUOMO NOMADE. UNA METAFORA DEL NOSTRO TEMPO A cura di A. Pieretti (90 copie) AA.VV. LA NONVIOLENZA. UNA PROPOSTA EDUCATIVA PER IL TERZO MILLENNIO A cura di G. Serio-V. Pucci (1998) 296 p. £. 40.000 (poche copie) AA.VV. PEDAGOGIA ITALIANA ED EUROPEA PER LA GIUSTIZIA, LA PACE, IL DIRITTO DEI POPOLI ALLA LIBERTÀ (in corso di stampa) AA.VV. PEDAGOGIA E CULTURA PER EDUCARE Saggi in onore di Giuseppe Serio A cura di L. Corradini (2006) 320 p. E 25,00 Notiziario - Convegni 1. APPELLO DELLE REALTÀ ADERENTI AL FORUM DELLE ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI IN OCCASIONE DELLE ELEZIONI POLITICHE 2008 1. Investire nella scuola che è una risorsa fondamentale del Paese innalzando l’incidenza della spesa per l’istruzione sulla spesa pubblica totale; 2. Ancorare più fortemente il sistema scolastico nazionale dell’ istruzione alla Costituzione anche attuando il Titolo V; 3. Preparare nuove leggi di garanzia per una riforma completa del sistema scolastico attuando pienamente le disposizioni che già esistenti per poi valutarne gli esiti; 4. Concludere il cammino di riconoscimento dell’autonomia agli istituti scolastici prevedendo anche l’autonomia di gestione finanziaria; 5. Riforma degli organi collegiali dove siano chiari ruoli e competenze; 6. Rafforzare l’identità professionale dei docenti, valorizzarli professionalmente e rivalorizzare la funzione dei dirigenti scolastici, nel quadro dell’autonomia; 7. Ridisegnare il percorso di formazione iniziale e di assunzione dei docenti separando l’abilitazione dal reclutamento; 8. Valutazione autonoma dall’Amministrazione, in grado di leggere luci ed ombre del sistema di istruzione e orientare le scelte politiche; 9. Procedere al complessivo riassetto degli istituti secondari di II grado 2. A PRAIA A MARE - XXV CONGRESSO NAZIONALE DELL’ASSOCIAZIONE PEDAGOGICA ITALIANA Nei giorni 1 e 2 Maggio 2008, si sono svol- rubrica diretta da FILOMENA SERIO ti a Praia a Mare i lavori del XXV Congresso dell’Associazione Pedagogica Italiana sul tema “I Giovani e i ‘media’: quale educazione?”. Il Congresso, realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università della Calabria, e con il patrocinio dell’Amministrazione comunale di Praia a Mare, ha visto la partecipazione di importanti figure del panorama pedagogico e culturale italiano che si sono confrontati sui temi dell’educazione e dei media a scuola, dell’educazione dei media in famiglia, dei media e della disabilità, del giornalismo a scuola: il prof. Giuseppe Zanniello (Presidente dell’As.Pe.I), il prof. Giuseppe Spadafora (Università della Calabria), il prof. Giuseppe Serio (Vicepresidente dell’As.Pe.I.), la prof. ssa Sira Serenella Macchietti (Università di Siena), il prof. Roberto Giannatelli (UPS, Roma), il prof. Mario Caligiuri (Università della Calabria), la dott.ssa Bianca Strangis (Segretaria dell’As.Pe.I.), la prof.ssa Pia Cappuccio (Università di Palermo), il prof. Marco Piccino (Università di Lecce), la prof. ssa Nicoletta Bellugi, la prof. Alessandra La Marca (Università di Palermo), la prof. Bruna Grasselli (Università di Roma3), la dott. ssa Maria Rosalba Lupia, la prof.ssa Rosa Vocaturo, il prof. Antonio Fazio, il prof. Vittoriano Caporale, il prof. Arturo Carapella, la prof.ssa Concetta Sirna (Università di Messina), il prof . Sergio Angori (Università di Siena), il dott. Gennaro Cosentino (Giornalista RAI), il prof. Claudio De Luca (Università della Basilicata), la prof.ssa Giovannella Greco (Università della Calabria), il prof. Pantaleone Sergi (Giornalista). La scelta di questo tema è stata dettata dall’esigenza di fornire spunti di riflessione e, ove possibile, dare risposte concrete alle problematiche dell’educazione nell’era dei New Media, in un era, cioè, ha affermato QUALEDUCAZIONE • 55 Sira Serenella Macchietti, in cui gli educatori sono chiamati a gestire la nuova “emergenza educativa”, al fine di formare giovani sempre più disorientati e, paradossalmente, soli nonostante le opportunità di comunicazione globale che i nuovi media offrono. La risposta a questa nuova emergenza, come ha affermato Roberto Giannatelli, viene dalla Media Education (ME), e cioè da quell’attività, educativa e didattica, finalizzata a sviluppare nei giovani una informazione e comprensione critica circa la natura e le categorie dei media, le tecniche da loro impiegate per costruire messaggi e produrre senso, i generi e i linguaggi specifici. La ME considera i media come un ambiente con cui interagire e crescere il ragazzo d’oggi, una risorsa per la sua educazione, un linguaggio che caratterizza il nostro tempo, una sfida per l’educazione e la nuova cittadinanza. Il nuovo compito dell’educazione è, appunto, alfabetizzare i ragazzi nella nuova cultura dei media, dal loro una autonomia critica di fronte ai messaggi dei media, fornire una nuova competenza per “leggere e scrivere” con i media come un tempo avveniva con le lettere classiche. Alfabetizzazione, coscienza critica, nuova cittadinanza: ecco gli obiettivi della media education. Nel secolo dei “media” (dal cinema, alla televisione, a Internet) era inevitabile che “media” ed educazione venissero a confronto. La scuola quale agenzia di culturalizzazione ha un ruolo fondamentale nel permettere la conoscenza e la comprensione critica dei nuovi fenomeni sociali e, in particolare, di quelli relativi ai contenuti e ai linguaggi della comunicazione. Di conseguenza la proposta didattica di una scuola moderna deve allargarsi ed estendersi verso la “quarta dimensione” dell’educazione rappresentata dalla competenza mediale, che integra quelle tradizionali del “leggere, scrivere e far di conto”. Un confronto non facile che, tuttavia, ha stimolato la scuola e la famiglia a ridisegnare il proprio ruolo nel nostro tempo e ha stimolato i professionisti dei media ai problemi dell’educazione. Emilia Ciccia 56 • QUALEDUCAZIONE 3. A CATANZARO RIUSCITA GIORNATA DI STUDIO IN MEMORIA DI GIUSEPPE GUZZO Un anno fa, esattamente il 18 giugno, a seguito di un malaugurato incidente stradale, finiva immaturamente la sua vita terrena Giuseppe Guzzo, maestro, direttore didattico, dirigente tecnico con funzioni ispettive del Ministero della Pubblica Istruzione, apprezzato autore di saggi sulla scuola primaria e su figure rappresentative di pedagogisti e apostoli della scuola primaria. Per ricordare, appunto, questa nobile figura di uomo, di educatore e di studioso si è svolta una giornata di studio a Catanzaro presso la Direzione del V Circolo, con la collaborazione della sezione cittadina dell’AIMC e la Fondazione Rubbettino di Cosenza e con il patrocinio dell’Assessorato alla P.I. del Comune Capoluogo, dei Comuni di Gimigliano e Tiriolo e delle Edizioni Rubbettino. Al successo della commemorazione ha certamente dato una valenza particolare la presenza di autorità civili, militari e religiose, quella di dirigenti e docenti di ogni ordine di scuola, quella di insigni professori universitari e di studiosi e un numeroso pubblico, che ha seguito attentamente quanto nelle varie sessioni di lavoro è stato detto sulla figura del compianto Giuseppe Guzzo, sottratto così tragicamente alla moglie Rosa, ai figli Licia e Luigi, al fratello Teobaldo Guzzo (consigliere regionale dell’Aimc) e a tutti gli altri parenti, oltre che allo stuolo di fedeli amici, che egli aveva in Calabria e fuori di questa Regione. Ha introdotto e coordinato egregiamente i lavori il dirigente scolastico dott. Costantino Mustari; hanno parlato delle doti di valido giornalista, di saggista di indubbio valore e di fedele interprete dell’umanesimo cristiano l’arcivescovo di Catanzaro mons. Antonio Ciliberti, l’arcivescovo emerito mons. Antonio Cantisani, la presidente provinciale dell’UNICEF dott.ssa Maria Fonti Jembo, l’ex parlamentare avv. Rosario Chiriano e, con parole di vivo apprezzamento, il prof. Giuseppe Trebisacce, titolare della cattedra di Storia della pedagogia presso l’Università della Calabria, al quale è toccato il non facile ma gradito impegno di concludere la commemorazione di Giuseppe Guzzo, definendolo, fra l’altro, un “profondo conoscitore della storia della scuola italiana, che dai vari suoi libri, scritti con attenta riflessione e con tanta competenza, esce nitida e suggestiva”. Le diverse sessioni in cui si sono articolati i lavori sulla figura di Giuseppe Guzzo hanno visto particolarmente illustrati: L’Uomo e lo Studioso e L’Educatore. Nella prima sessione hanno parlato il saggista e giornalista dott. Antonio Fazio, che, sotto la spinta di un fiotto di sentimenti e di ricordi forti, ha tracciato di Pino Guzzo una biografia intensamente umana, che scaturiva da lunghissimi anni di fraterna amicizia e di esperienze comuni, e il prof. Giuseppe Serio, presidente dell’Associazione culturale Gianfrancesco Serio, il quale ha detto fra l’altro: «Pino Guzzo vive nel mio cuore soprattutto per il neo-meridionalismo senza dogmi che egli ha saputo interpretare e tradurre in testimonianza preziosa nel libro “La pedagogia di Giuseppe Isnardi”». Nella seconda sessione, la figura di educatore è stata degnamente tracciata dal docente universitario Carmelo Piu, che di Pino Guzzo ha esaltato particolarmente l’amore smisurato che egli nutriva per la scuola primaria (cui ha dedicato uno dei più importanti suoi volumi – “Scuola elementare addio” – e dal dirigente scolastico dott. Paolo Stranieri, il quale, nella sua qualità di presidente regionale dell’AIMC, ha particolarmente evidenziato l’impegno dello Scomparso, che fu per alcuni anni anche consigliere nazionale dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici, nella quale portava l’eco più sincera della scuola militante. Le qualità non comuni di Giuseppe Guzzo, come direttore didattico prima e come dirigente tecnico-ispettivo poi, sono state messe in risalto dall’assessore alla P.I. del Comune di Catanzaro dott. Danilo Gatto, dall’ispettore tecnico dott. Domenico Torchia (anche in rappresentanza del Dirigente Scolastico Regionale per la Calabria), dal dirigente scolastico dott. Franco Lanzellotti, dal sindaco di Tiriolo dott. Domenico Greco e di Gimigliano dott.ssa Maria Gigliotti e dal presidente della prima Circoscrizione di Catanzaro Felice Sità; in particolare, è stata focalizzata l’instancabile opera di elevazione culturale della scuola nelle diverse comunità in cui ha operato Giuseppe Guzzo. La giornata prevedeva pure la presentazione dell’ultimo volume scritto da Giuseppe Guzzo, come egli desiderava fare a Catanzaro, ma nemmeno due mesi dopo l’uscita del libro “Da Lula a Pietralata – Le battaglie di Albino Bernardini per il rinnovamento democratico della scuola elementare” egli decedeva per l’accennato imprevedibile incidente stradale. Questo suo desiderio era diventato, dunque, un impegno da adempiere e i suoi amici lo hanno fatto, appunto ora, con una circostanziata relazione (arricchita anche di documentazione elettronica) tenuta brillantemente dal dirigente scolastico dott. Vitaliano Rotundo. Fra l’altro, doveva essere presente lo stesso Albino Bernardini, il maestro famoso della nota borgata romana, ma che una recente operazione chirurgica agli occhi ha impedito che lasciasse la Sardegna per recarsi in Calabria. Ma cosa ha dato alla scuola e alla cultura, che di essa arricchisce la funzione e le finalità, Giuseppe Guzzo? Ecco, in rapidissima sintesi, un elenco delle sue opere: “Una scuola nuova per una società migliore”, “Don Lorenzo Milani, un itinerario pedagogico”; figura controversa, contestataria, portatrice di idee certamente provocatorie quanto innovative quella del priore di Barbiana, che porteranno Giuseppe Guzzo a riprenderne le forti connotazioni un decennio dopo con “Don Lorenzo Milani – un rivoluzionario, un santo, un profeta o un uomo?”. Un tema che attrae e angoscia insieme la sensibilità di Guzzo è quello delle vicende alterne di un più di un secolo e mezzo della scuola elementare in Italia e che gli fa scrivere d’impeto nel 2003 “Scuola elementare addio”. “Investita da un’ondata di cieco e bieco riformismo – egli scrive fra l’altro nella Introduzione al volume –, è stata destinataria di una serie di tentativi di riforma, che sna- QUALEDUCAZIONE • 57 turandone la natura, le finalità e le funzioni ne hanno compromesso addirittura la stessa esistenza”. Di qui il significativo ed incisivo titolo di questo libro sulla scuola elementare, che viene meglio compreso da quanto egli aggiunge subito dopo: «Ha subìto un’azione da alcuni presentata come esigenza di rinnovamento, da altri come un improcrastinabile cambiamento. Il punto di arrivo di questa azione è che la scuola elementare sta scomparendo dal panorama scolastico italiano essendone stati rinnegati il valore storico e tutto il suo patrimonio culturale, pedagogico e didattico accumulato nel passato». Tutto improntato al pessimismo questo volume del compianto Pino Guzzo? Niente affatto, perché egli, in esso, traccia una lucida storia della scuola elementare, alla quale illustri pedagogisti e apostoli del rinnovamento didattico (per citare solo alcuni nomi: Giuseppe Lombardo Radice, Giuseppina Pizzigoni, Pino Ferretti, Maria Montessori, le Sorelle Agazzi, Bruno Ciari, don Lorenzo Milani, Mario Lodi, Albino Bernardini, ecc.) hanno segnato nel ’900 traguardi di rinnovamento impensato, che sarebbe, appunto, sciocco far andare alla deriva. Con “Pedagogia di Giuseppe Isnardi” e nell’ultimo libro, “Da Lula a Pietralata”, Giuseppe Guzzo dimostra il suo smisurato amore nel far conoscere meglio la figura di tanti apostoli che hanno operato – sia pure in tempi diversi – per acculturare e formare nella maniera più umana e coinvolgente schiere sterminate di bambini e di ragazzi, spesso in ambienti poveri e depressi dell’Italia intera. In sintesi, Pino Guzzo fa emergere l’elevazione civile e culturale, perseguita instancabilmente nella prima metà del ’900, dai più insigni ed appassionati meridionalisti in parte già citati per lenire l’analfabetismo e l’indigenza del Sud in generale e della derelitta Calabria in particolare. Altri numerosi scritti (saggi di interesse soprattutto pedagogico-didattico-sociale) e collaborazioni sistematiche a riviste nazionali scolastiche e culturali Giuseppe Guzzo ci lascia come eredità preziosa ed umana: ci- 58 • QUALEDUCAZIONE tiamo l’opuscolo “Il professore pazzo”, storia di un maestro estroverso quanto valido che ha operato a Tiriolo nella seconda metà del ’900; l’assidua collaborazione a “La Tecnica della Scuola” di Catania e al gruppo di riviste de “La Scuola” di Brescia; la creazione e la direzione del periodico “Progetto Calabria Scuola”, purtroppo non portato avanti dall’Ufficio scolastico regionale per la Calabria; e, in precedenza, la collaborazione al quotidiano “Il Tempo”, alla RAI di Cosenza, a “Calabria Letteraria”, a “Il Piccolissimo”, a “Comunità Nuova”, a “Qualeducazione,” all’insegnamento della didattica speciale presso la facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università della Calabria. E certamente egli ci avrebbe dato ancora altri copiosi e rari frutti della sua inesauribile volontà di scrivere e operare nel campo della cultura scolastica se la morte immatura non avesse stroncato questa generosa figura di marito, padre, nonno, educatore, saggista, amico esemplare! Antonio Fazio 4. GIORNATE DI STUDIO DIPIGNANO Il 2 giugno si è svolto a Dipignano, il convegno in occasione della prima edizione del Premio di Poesia in memoria di Francesco D’Alessandro (1924-1984), patrocinato dal Comune e dall’Istituto Scolastico Comprensivo, che insieme alla famiglia hanno voluto ricordare questo insigne concittadino, scrittore di poesie, racconti, saggi critici, educatore, maestro, dirigente e poi ispettore scolastico. Dare significato particolare a questo evento, ri-componendo, per quanti, soprattutto giovanissimi, non avessero conoscenza del valore della sua opera, i fili della memoria; recuperare una parte del senso della storia culturale del nostro territorio e della nostra scuola, attraverso la testimonianza di una persona, che ha dato un contributo significativo, perché la sua esperienza diventasse patrimonio collettivo di tutti quanti noi: queste le ragioni della giornata di studio. Da ciò scaturisce l’idea di offrire una borsa di studio, attraverso un concorso di poesia in memoria di Francesco D’Alessandro, riservato ai giovani alunni dell’Istituto Comprensivo del suo paese natio, partendo dalla consapevolezza che esistono due modi distinti per esercitare la memoria e farla diventare un valore per il futuro. Lo si può fare sia agendo sulla memoria individuale e collettiva, perché non diventino rimpianto, malinconia, ma rassicurazione, identità, forza, senso della vita, attraverso la motivazione ideale alla cultura, che vogliamo trasferire nella progettazione del futuro. E lo si può fare anche affinchè la memoria diventi testamento per ciò che vogliamo lasciare ad altri, e sicuramente l’amore per la poesia e per i bambini, erano tra le qualità che hanno accompagnato la vita di Francesco D’Alessandro, che seppe essere maestro non solo a scuola, ma nelle piazze, nelle botteghe, cercando di adoperarsi per migliorare la condizione dell’uomo. Durante la cerimonia si sono dapprima avvicendati i saluti di Rosina Morrone (Dirigente Scolastico IC “S. Valentini”), Roberto Perri (Sindaco Comune di Dipignano), Eugenio Gallo (Presidente del Consiglio d’Istituto IC “S. Valentini” ) Erminia D’Alessandro (figlia di Francesco D’Alessandro). Ai saluti sono seguiti gli interventi della giuria che ha esaminato le poesie dei giovanissimi poeti in erba: Mariella Focà (Docente Liceo Scientifico“Scorza” Cosenza e assessore alla PI del Comune di Dipignano), Eugenio Maria Gallo (Docente Liceo Scientifico “ A. Guarasci” di Rogliano), Clara Pastore (docente IC “S. Valentini”). Infine, ci sono state importanti e significative relazioni di alcuni cari amici di Francesco D’Alessandro: Ercole Posteraro (Ispettore MPI), Giuseppe Serio, Emilio Tarditi (Saggista - giornalista). Dagli interventi si è delineata la figura di un uomo rimpianto e amato da moltissimi, come attestavano le numerose persone che hanno riempito ben oltre il previsto la suggestiva sala dell’antico Convento dei Cappuccini; le relazioni hanno descritto con commossa rievocazione le varie sfaccettature del carattere a volte sarcastico e ironico a volte inquieto e tormentato, del pensiero, teso alla conoscenza più profonda dell’uomo e dell’universo, dell’amore per la crescita e lo sviluppo sociale, nel senso più democratico e umanistico della parola. Ogni passaggio tra i vari momenti dell’incontro è stato scandito e ritmato dalle bella voce dell’attore Antonio Simarco, che ha interpretato alcune poesie del D’alessandro, accompagnato dalle bellissime e armoniose note del pianoforte al quale sedeva la musicista M.Pia Di Salvo. Sono apparsi così maggiormente evidenti al folto pubblico che assisteva alcuni dei temi più cari al D’Alessandro: l’amore per le cose semplici e vere, per la natura, per la famiglia, il rifiuto del conformismo, della corruzione, dell’egoismo dilagante. Ugualmente toccante e rievocativo il filmato realizzato dalla Pro Loco di Dipingano, che ha raccolto in un breve profilo le immagini della carriera di Francesco D’Alessandro. Un nuovo libro di GIUSEPPE SERIO PERSONA PERSONE POVERTÀ NELLA SOCIETÀ DISORIENTATA QUALEDUCAZIONE • 59 Schede 1. Franco Blezza: Un pedagogista nel poliambulatorio Casi clinici, Aracme, Roma 2008, 170 pp., 10 euro L’autore, ordinario di Pedagogia Generale e Sociale presso la Facoltà di Scienze Sociali nell’Università “d’Annunzio” di Chieti che ha concorso a fondare, è un pedagogista di formazione scientifica che si dedica da vent’anni ai problemi della professione di pedagogista e della formazione pedagogica dei professionisti dell’area sociale, sanitaria, culturale. Quest’opera corona la proposta di testi per tale fine, dopo l’opera-base Pedagogia della vita quotidiana (Pellegrini, Cosenza 2001), La pedagogia sociale (Liguori, Napoli 2005) e Il Pedagogista 2007 (Aracne, Roma 2007), offrendo una ulteriore, dettagliata narrazione di alcuni dei casi clinici maggiormente significativi che l’Autore ha trattato nell’esercizio liberoprofessionale pedagogico in forma volontaristica da lui condotto al fine di conferire alle sue ricerche la base di esperienza necessaria. Qui, però, non ritorna su quel complesso di procedure, tecniche, lessico specifico, strumenti concettuali ed operativi che aveva trattato nelle suddette opere documentandolo attraverso casi clinici e casistiche analoghi: presenta solo casi clinici, con qualche sintetica riflessione intercalata. L’opera, leggibile nel suo rigore anche terminologico, è dedicata a studenti dei corsi dell’area sociale, e ai professionisti che hanno questi corsi come loro 60 • QUALEDUCAZIONE rubrica diretta da F. SERIO BRUNELLI formazione iniziale; ma si consigli anche ad altri professionisti in formazione continua, ad esempio dell’area sanitaria o dell’area giuridica, assistenti sociali e psicologi. 2. Giuseppe Bonadio, Maria Gabriella Scanga (a cura di) A scuola per costruire l’Europa. Direzione Generale, ufficio III, Europa dell’istruzione: sono due precisazioni dei curatori poste in alto della copertina, forse per segnalare che si tratta di un lavoro istituzionale, cioè non dei curatori in quanto tali. Il frontespizio riporta una citazione del ministro Fioroni circa l’educazione alla cittadinanza democratica dei giovani (L’inee d’indirizzo). In un’altra pagina fuori testo, i curatori precisano che la pubblicazione è distribuita gratuitamente alle istituzioni scolastiche e agli uffici dell’Amministrazione della P.I. Segue la presentazione dei curatori che con tre verbi precisano lo scopo della pubblicazione che si presenta in una elegante veste tipografica con centinaia di foto a colori di varie dimensioni: narrare la scuola calabrese, portare in emersione le iniziative, mettere in vetrina le competenze. Nelle pagine successive seguono i testi opportunamente suddivisi in tre parti: La scuola verso l’Europa (I parte); La scuola calabrese e la sfida europea (II parte) e La dimensione europea dell’educazione (III parte). 3. Giacomo Conforti, Uno di noi. L’itinerario di formazione della persona, Ionia Editrice, 2005. L’autore – come tanti altri in Calabria – è fiorito dall’ex scuola elementare, si è affermato come valente direttore didattico ed ha concluso la sua carriera come ispettore tecnico della P.I. Collaboratore a Scuola e vita - giornale scolastico fondato dall’indimenticabile Mario Valentino ed ora diretto da Giuseppe Trebisacce ordinario di Pedagogia nell’università della Calabria. Su questo sfondo culturale, Conforti ha maturato la sua riflessione pedagogica sull’itinerario della persona, suddiviso in cinque parti che sono poi i cinque concetti tematici del libro: l’uomo, l’apprendimento, l’educazione, l’istruzione, la vita. Si tratta di un libro nato dall’esperienza totale dell’autore che lui stesso ha indicato con fatti concreti la crescita di “uno di noi”, cioè lui che non ha concluso la sua carriera come maestro sapendosi proiettare verso il vertice di una giusta e direi naturale aspirazione. 4. Umberto Tarsitano, L’incisione dei Sicomori. Spunti per una info-etica, Ed. Vintar, 2008. È un saggio breve, in formato piccolo, suddiviso in due parti. Nella prima, l’Autore affronta alcuni aspetti dell’Etica come scienza della condotta in un panorama storicamente molto ampio che va da Aristote- le a Kant, con una puntata su Apel, nostro collaboratore. Poi, nella seconda apre, lo sguardo va sull’Etica della comunicazione in cui afferma il principio che la Verità è frutto della responsabilità del comunicatore. La rimanente terza parte è costituita dalle note, dalla bibliografia e dall’indice. La prefazione è di Don Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale delle comunicazioni sociali della C.E.I. NICOLA GRATTERI, ANTONIO NICASO Testi didattici di MICHELE BORRELLI IL GRANDE INGANNO - I falsi valori della ʼndrangheta Pellegrini Editore, Cosenza 2007, isbn 978-88-8101-457-6 QUALEDUCAZIONE • 61 Recensioni Franco Blezza, Un pedagogista nel poliambulatorio - Casi clinici, ISBN: 978-88-548-1557-5, Aracne Editrice, pp. 168, 2008 euro 10,00. Franco Blezza, ordinario di Pedagogia generale e sociale (M-PED/01) presso la Facoltà di Scienze sociali nell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti, è un pedagogista di formazione scientifica che si dedica da vent’anni ai problemi della professione di pedagogista e della formazione pedagogica dei professionisti dell’area sociale, sanitaria, culturale. Quest’opera completa la proposta di testi per tale fine, dopo l’opera-base Pedagogia della vita quotidiana (Pellegrini, Cosenza 2001), La pedagogia sociale (Liguori, Napoli 2005) e Il Pedagogista 2007 (Aracne editrice, Roma 2007), offrendo una ulteriore, dettagliata narrazione di alcuni dei casi clinici maggiormente significativi che l’Autore ha trattato nell’esercizio libero-professionale pedagogico in forma volontaristica da lui condotto al fine di conferire alle sue ricerche la base di esperienza necessaria. Qui, però, non ritorna su quel complesso di procedure, tecniche, lessico specifico, strumenti concettuali ed operativi che aveva trattato nelle suddette opere documentandolo attraverso casi clinici e casistiche analoghi: presenta solo casi clinici, con qualche sintetica riflessione intercalata. Tra le sue altre opere di interesse generale e metodologico si segnalano Studiamo l’educazione oggi (Osanna, Venosa-PZ 2005) e Educazione XXI secolo (Pellegrini, Cosenza 62 • QUALEDUCAZIONE a cura di D. FERRARO 2007), sintesi generale delle sue teorie pedagogiche neo-pragmatiste; le ricadute positive dell’esperienza professionale sulla scuola e gli insegnanti sono ne Il professionista dell’educazione scolastica (Pellegrini, Cosenza 2006). Franco Blezza, Il Pedagogista 2007, ISBN: 978-88-548-1105-8, pp. 172, 2007, euro 11,00. A differenza di quello che si è comunemente portati a credere, la professione di Pedagogista è antica quanto quelle sanitarie e quelle giuridiche: le sue radici affondano fino ai Sofisti come esercizio professionale, e a Socrate e ai suoi migliori allievi come idee e strumenti concettuali; e da quelle antiche e nobili origini si traggono idee e strumenti di grande attualità. Essa ha duemilacinquecento anni di storia, cospicua e umanamente rilevante; se facciamo fatica a rendercene conto è perché stiamo uscendo, con alto dispendio umano, da un breve evo di circa due secoli, dominato da un particolare spirito borghese, nel quale l’educazione per omologazione a modelli prefissati e tutta la cultura organica potevano fare a meno della Pedagogia. Ma proprio i problemi della transizione occorsa, e ancor più quelli del nuovo evo con la sua cultura e la sua educazione, esigono il rinnovato apporto organico della Pedagogia, sia come specifico esercizio professionale che come componente essenziale della formazione e dell’esercizio di tutti i professionisti dell’area sociale e sanitaria. In questo volume vengono presi in esame sinteticamente i caratteri di fondo di questa Pedagogia, che è sociale, professionale e clinica, con riguardo ai rapporti per altre scienze dell’uomo e della cultura che fondano esercizi professionali “cugini”; e soprattutto si presenta un’ampia casistica clinica, frutto dell’esperienza diretta dell’autore, anche come sperimentazione di relazione d’aiuto telematica. Franco Blezza è ordinario di Pedagogia generale e sociale (M-PED/01) presso la Facoltà di Scienze sociali dell’Università di Chieti, che ha concorso a fondare e a promuovere, dopo un cospicuo curriculum accademico all’Università di Trieste. Dagli anni Novanta, egli dedica le sue migliori risorse al problema della professione di Pedagogista e al componente pedagogico nella formazione e nell’esercizio delle professioni dell’ambito sociale e sanitario, come fondamenti, metodologia, tecniche d’esercizio, lessico professionale, strumenti concettuali ed operativi, anche con riguardo per la formazione a distanza. In questo ha operato una sintesi tra i vari componenti della propria formazione: laurea in Fisica (con lode e tesi sperimentale), perfezionamento in Metodologia della Ricerca Filosofica e in Filosofia delle Scienze (con lode), esperienza di ricerca scientifica nel campo interdisciplinare sanitario presso l’I.N.F.N., esperienza di insegnamento nelle scuole secondarie, ricerca di base, didattica e organizzazione accademica, e pratico esercizio della pro- fessione di Pedagogista, anche con partecipazione attiva all’associazionismo, alla convegnistica, alla pubblicistica, al dibattito in rete del settore. Luciano Corradini (a cura di) Pedagogia e Cultura per Educare - Saggi in onore di Giuseppe Serio Questo “libro festoso” che un gruppo di amici ha scritto in onore di Giuseppe Serio, in occasione dei suoi ottant’anni, si colloca all’interno di una tradizione di studi e di iniziative culturali che hanno avuto in lui, e nella cittadina calabrese di Praia a Mare, un centro d’irradiazione, che ha coinvolto una significativa parte del mondo scolastico e universitario di tutto il Paese e di alcune sedi accademiche d’Oltralpe. Coloro che sono stati più volte “convocati” dal professore Serio, come relatori nei convegni promossi dalla Fondazione da lui presieduta, come autori dei saggi e degli articoli pubblicati nella collana da lui diretta presso l’Editore Pellegrini, e nella sua rivista, che s’intitola Qualeducazione, per un dialogo libero in Europa, hanno deciso di “auto-convocarsi” e di offrire di loro iniziativa a “Peppino” un libro, in segno di gratitudine e di stima profonda per la sua vita trascorsa a servizio dell’educazione. Il libro aspira ad accreditarsi per quello che dice e per la prospettiva di valore che assume, e non solo per l’affetto che lo alimenta. E l’onore che intende decretare a Giuseppe Serio non è un fattore distraente o esornativo, ma costituisce un valore aggiunto per questo libro: valore che sta nella credibilità del suo onorato destinatario, e nella testimonianza della sua vita, che è essa stessa una eloquentissima “lezione” di pedagogia. (L. C.) Luciano Corradini, A noi è andata bene - Famiglia scuola università società in un diario trentennale, Città Aperta Editrice, Enna, 2008, pp 458. È un testo sui generis: un romanzo di formazione di tipo epistolare, un diario di bordo durante la navigazione nel mare non sempre in bonaccia della vita; l’analisi e la introspezione di una coppia cristiana e di una famiglia che si sviluppa alla luce del Vangelo: due soggetti che diventano uno e si moltiplicano nel segno dell’Utopìa nazarena (il Noch Nicht [non ancora] che sarà la Vita eterna). È la verifica di un’ipotesi vitale [il Progetto di assumere il Vangelo come modello di vita] ipotesi basata sulla Fede e sull’impegno a «sortirne insieme» verso l’alto… “in alto, pur umile: è il monte ch’è alto”. Siamo oggi in un’epoca in cui la Parola è ignorata o fraintesa o derisa, le parole malmenate ed offese ma parlare produce significato, altrimenti il non senso c’ingabbia e ci annichila… Questo libro ci narra trent’anni di apprendistato alla scuola di Cristo Maestro, Parola del Padre che s’incarna nei giorni di chi crede in Lui, che ne guida i pensieri le parole le opere, che ne segnala le omissioni. È un romanzo pedagogico che scorre arguto e chiaro, sempre proficuo. Il diario scritto, meditato, pregato (è intessuto di un atteggiamento orante, spesso di vigore orante: la preghiera intride i giorni di gratitudine e di stupore) abbraccia, nell’arco di un trentennio, tre generazioni: i “soci fondatori”, i loro figli e i loro nipoti… racconta “sogni impegni progetti” che si snodano nell’avventura faticosa ma esaltante di educare educandosi, crescendo insieme, affrontando il “mestiere di vivere”, avendo Gesù (=Dio che salva) come faro bussola ed ancora della vita. La radicale sincerità con sé stessi e con gli altri (= parrhs€a = loquendi libertas et ingenuitas) è la prassi vincente nell’agone educativo (siano in esso coinvolti i figli o gli alunni… o l’universo mondo) Leggiamo a pagina 220 « BS 7/1/75: “Nella tranquilla maturità che mi ritrovo, guardo sorridendo in me l’adolescente che spasima, il giovane che progetta, il vecchio che si affida a Dio per entrare nell’eterna giovinezza in cui tutti saremo contemporanei di tutti” Un QUALEDUCAZIONE • 63 bellissimo quadro familiare ed escatologico in cui il mito greco precristiano dell’eterna giovinezza. si scioglie nella pienezza della Comunione dei Santi. I santi siamo noi, se ci liberiamo delle nostre miserie… senza lasciarci attraversare dalle mode del mondo, difesi dalla nostra chiara e salda identità di Cristiani. Abbiamo effettuato una full immersion nel testo e abbiamo vissuto momenti intensi e partecipi di commozione e di empatia: all’inizio del diario l’apprendista padre si scopre “indifeso” nei confronti dell’infante (Laura, 3 mesi) ma, impavido, inaugura il dialogo fonico-gestuale: “Io dondolo la culla, ti faccio versetti, sberleffi, ti canto canzoncine in tedesco, improvviso una ninna nanna…” e alla fine la bimba si addormenta. Ed ecco che “con l’occhio vigile, trattenendo il respiro, in punta di piedi mi allontano”. Ma, poco più avanti scopre una suggestiva formula educativa: «Patacche, sorrisi e … avemarie».) 1) Le patacche sono una variante soft della non mai superata pedagogìa della ferula (regole e divieti, bene e male, premio e castigo); 2) i “sorrisi” sono l’atmosfera in cui si viene educati: correggere sorridendo conferma l’amore di chi afferma le regole e le rispetta per primo; 3) le “avemarìe” sono le preghiere che avvolgono, rinforzano e danno senso alle correzioni e all’affetto. [“Signore aiutaci a crescere]). Il premio, ad esempio, per il padre e per la figlia, dopo tanto colluttare formativo, è la “ritrattazione”, le grate e gradite parole di Laura «Tu non mi hai impedito di andare avanti: sei stato come il mio guard rail». “Vicino al Signore da cui vengo, a cui vado, in cui resto» ( una bella dichiarazione di fede). 64 • QUALEDUCAZIONE Lampi filologico-pedagogici costellano, illuminandolo, questo diario a più voci la cui trama è la forza d’amare che traspare anche dai diminutivi e vezzeggiativi, dalle invenzioni linguistiche dei genitori e dei figli, dalla parola mai usata come ordigno contundente, sempre come mezzo, o tutt’al più, come espediente, comunicativo. La mediazione in famiglia si estende alla scuola e alla società, sempre per costruire ponti, mai per innalzare muri. L’educatore, “sindacalista” della Parola, deve difenderLa dalle aggressioni della pubblicità (basata sull’egocentrismo [io valgo!] e sulla trasgressione [i vizi capitali, superbia lussuria gola accidia etc servono a vendere oggetti e comportamenti omologati]) “Accanto al principio di piacere che accarezza e al principio di realtà che schiaffeggia, c’è il principio di valore che illumina”. Da troppo tempo si vive all’insegna dell’edonismo pubblico e privato, che schiaffeggia la realtà e spegne ideali e sentimenti, per cui educare davvero è un’impresa epica. Ma è ancora possibile: ce lo racconta questo diario trentennale della fatica e della gioia di vivere di due persone che si moltiplicano, trasmettendo il deposito di valori imperituri di fede e di speranza di amicizia e di amore verso Dio e verso il Prossimo. “Shemà Israel…” Inoltre «il sì ripetibile fino all’ultimo respiro» alla sposa e all’unione indissolubile è un umile e possente richiamo d’attenzione sulla concreta possibilità che il matrimonio, la comunione di due in Cristo (è un discorso trinitario) duri per sempre, qui, e prosegua trasformato sublime stupefacente nel Regno dei Cieli. Realtà utopiana,cioè in cammino verso la Pienezza dell’Essere. Il contratto è l’aspetto formale, giuridico, ma è il Sacramento l’aspetto sostanziale spirituale del “vivere insieme”, che sa che il corpo è tempio dello Spirito, sacrario della vita. Ahimè! Se guardiamo alla cronaca, ci viene un grande sconforto, ma di fronte a questa testimonianza il cuore si rinfranca. Gesù è chiaro: «Non veni solv�re (abolire), sed adimplere (compiere)». Ma va ancora più in là: dovremo rendere conto di “ogni parola sterile (che non opera, che non dà frutto)” [= omne verbum otiosum/pçn r∞ma ÄargÒn, Mt 12,36] nel giorno del giudizio. Ricordiamo le parole di San Juan de la Cruz: «Alla sera di questa vita sarai esaminato sull’amore!”. “Neppure la fede in Gesù Cristo risolve di per sé le tensioni educative <i suoi tempi non sono i nostri tempi> e preserva dalla solitudine e dall’insuccesso”. Ma vale sempre la pena di seminare e intrecciare(= ser�re) la Speranza nelle generazioni limitrofe. L’uomo deve continuamente scegliere tra lo spirito del male che è accovacciato alla sua porta (Gen. 4, 7) e il Signore che sta alla porta e bussa (Ap. 3, 20). Cfr il dilemma di Attilio, tre anni, pagina 110,e la sua risposta geniale e vitale! L’autore di questo viaggio dentro sé stessi ha vigilato e ci ricorda di vigilare. Continuiamo a vigilare. Grazie per questo vademecum che hai voluto condividere con noi, prof. Corradini. Per condividere… Rifondiamo la vita come ci è stato proposto in Mt. cap. V-VIII (Discorso della Montagna). Vincenzo Pucci Andrea Porcarelli (a cura di), Cittadini sulla strada. L’educazione alla sicurezza strada- le come componente della convivenza civile, Armando, Roma 2007, pp. 192, euro 16. Spesso la riflessione sull’educazione sociale e civile degli studenti (di cui fa parte anche l’educazione stradale) rischia di avere il “respiro corto” di un’esegesi della normativa in vigore e – in tale contesto – può affacciarsi anche il rischio di una lettura ulteriormente riduttiva dei dispositivi di legge come oneri burocratici da assolvere. Uno sguardo più ampio è quello di chi collega le istanze dell’educazione sociale e civile al mandato sociale (la “mission”) della scuola, in quanto fattore aggregante, di socializzazione e di esperienza concreta di vita democratica. Vi è infine lo sguardo di chi pone al centro della propria azione educativa e didattica la crescita integrale della persona, in tutte le sue dimensioni (fisiche, emotive, intellettuali, etiche, civiche, spirituali e religiose) e cerca di cogliere tutte le occasioni su cui è possibile far leva per aiutare la persona a crescere. Il testo Cittadini sulla strada si colloca con decisione in quest’ultima prospettiva, pur non ignorando le suggestioni culturali che vengono dalla necessità di farsi carico di alcuni compiti di tipo organizzativo e del fatto che la scuola ha una missione sociale di cui gli insegnanti – in quanto “pubblici funzionari” – sono i primi interpreti. Il testo offre una pluralità di contributi, fortemente collegati tra di loro, frutto di una serie di azioni formative rivolte agli insegnanti referenti per l’educazione stradale, in occasione della prima attuazione dei provvedimenti normativi che prevedono il coinvolgimento delle scuole per il conseguimento – da parte degli adolescenti – del certifica- to di idoneità alla guida dei ciclomotori (il cosiddetto “patentino”). I primi due contributi situano il tema dell’educazione stradale nel più ampio contesto dell’educazione alla convivenza civile, a partire da una prospettiva storico-istituzionale (L. Corradini, Dall’educazione civica all’educazione alla convivenza civile) e approfondendo gli aspetti filosofico-pedagogici (A. Porcarelli, Basi pedagogiche dell’educazione sociale e civile degli adolescenti). La prima consapevolezza su cui è importante che i docenti possano contare riguarda il senso della missione sociale e civile della scuola, a partire dai suoi fondamenti costituzionali e tenendo conto delle linee essenziali di uno sviluppo storico che – come ben sottolinea Luciano Corradini – manifesta una continuità di fondo di cui è importante essere consapevoli. Ne emerge un quadro in cui la traduzione educativa dei principi costituzionali che presiedono alla formazione della persona, del cittadino e del lavoratore, passa attraverso alcuni “integratori curricolari” (le educazioni) che a loro volta danno più compiuta espressione ad una sorta di pedagogia costituzionale che rappresenta una costola portante della storia della scuola del nostro Paese. Il testo di Porcarelli si innesta in tale consapevolezza cercando di esplorarne i fondamenti filosofici e pedagogici impliciti, ricercandoli nella necessità di individuare – a livello culturale – alcuni elementi di un “bene comune” da promuovere, condizione di un’autentica educazione sociale e civile. L’azione educativa, in tale contesto, presenta un’intrinseca valenza etica: non sarebbe possibile concepire azioni autenticamente educative che si limitassero a proporre una sorta di nuovo “Galateo”, più raffinato e aggiornato di quello di mons. Dalla Casa e ispirato a ciò che risulti “politicamente corretto” oggi. Riprendendo temi che hanno un’antica tradizione nella nostra cultura e che possiamo collegare alle riflessioni di Platone e Aristotele, si potrebbe parlare di una vera e propria amicizia sociale, che può essere posta a fondamento del dinamismo interiore di atteggiamenti virtuosi da promuovere nei giovani perché le sollecitazioni educative vengano autenticamente interiorizzate. Il saggio di Maria Teresa Moscato (L’educazione alla sicurezza nel quadro della “convivenza civile”: una riflessione pedagogico didattica) esplora le valenze pedagogiche dell’idea di sicurezza, collegandola ad una constatazione sorgiva di tipo pedagogico-didattico: “tutti i comportamenti corretti e desiderabili che si ipotizzano appaiono connessi non solo ad abilità specifiche da acquisire, ma soprattutto ad esperienze complessive da compiere”. Non essendo possibile prevedere azioni educative in grado di far compiere agli alunni tutte le esperienze guidate che sarebbero necessarie per favorire la maturazione dei comportamenti desiderabili, sarà opportuno operare sulle loro “rappresentazioni”, anche attraverso strumenti culturali (quelli delle discipline), ma sempre tenendo presente l’impatto esistenziale che tali rappresentazioni di sé e della realtà potrebbero avere. Le pure informazioni, per esempio, sulle norme di sicurezza potrebbero essere “neutralizzate” da una rappresentazione titanica del proprio “io” e da una rappresentazione puramente strumentale del proprio corpo. Più in generale si può dire che la rappresentazione della propria corpo- QUALEDUCAZIONE • 65 reità rappresenta un momento importante per la costruzione dell’identità ed anche per la maggior parte delle “educazioni” che vanno a plasmare il quadro della Convivenza civile. Tra le rappresentazioni significative per l’immaginario degli allievi vi è anche quella dell’amicizia, che spesso vivono in modo intenso, talvolta “mitizzato”, e che può essere la chiave di volta per un’interiorizzazione – anche sul piano psicologico – di atteggiamenti corretti nei confronti degli altri, anche a fronte di situazioni competitive e talora conflittuali. Vi sono poi due saggi che affrontano direttamente il tema dell’educazione stradale, da angolature distinte, ma convergenti: G. Cannarozzo, Educazione alla convivenza civile e Educazione stradale per la guida del ciclomotore; L. Corradini, Educare alla cultura della circolazione e della sicurezza stradale. Il collegamento esplicito dei temi dell’educazione stradale alle azioni ministeriali specificamente progettate in questi anni (Cannarozzo) e ad una sequenza di norme che riguardano sia la sicurezza stradale che l’educazione alla salute, consente – per dirla con Corradini – di affermare che “l’educazione stradale appartiene sia all’ordine simbolico e spirituale, sia all’ordine concettuale, scientifico e tecnico, sia all’ordine pratico: viene dunque a far parte di un orizzonte culturale ampio, che va dalla tutela dell’ambiente all’eliminazione di ogni forma di violenza, dalla salvaguardia della salute pubblica al rispetto dei diritti degli altri, dalla tolleranza nei riguardi delle altrui sgradevolezze ad una particolare attenzione per i soggetti più deboli” (p. 100). Gli ultimi tre saggi si fanno carico di istanze più operative, 66 • QUALEDUCAZIONE che portano a ragionare sulle piste di attuazione dei principi generali e specifici declinati nella prima parte del libro e che consentono di gettare sulla tematica uno sguardo di ampi orizzonti. Si trovano a questo punto alcune Ipotesi di percorsi e Unità di apprendimento per l’educazione stradale (G. Cannarozzo), in cui – oltre ad alcune indicazioni sui nuclei tematici che potrebbero essere sviluppati nelle diverse discipline – si formulano veri e propri “obiettivi formativi” in cui conoscenze e abilità da apprendere vengono collegate ai contesti vitali degli allievi, perché possano trasformarsi in comportamenti competenti e responsabili. Vengono proposti cinque “esempi operativi”, ciascuno dei quali si articola in più di un’ipotesi, declinando sia i riferimenti ai documenti (PECUP, OSA, ecc.), sia gli obiettivi formativi con alcuni esempi di possibili standard di apprendimento, che in realtà dovrebbero essere costruiti “in situazione” dai docenti e “su misura” per le diverse classi ed i diversi allievi. L’antica considerazione per cui il modo di agire consegue al modo di essere e “nessuno può dare ciò che non ha” motiva le riflessioni che si trovano nel saggio di Porcarelli dedicato alle Strategie per la formazione degli insegnanti nell’ambito dell’educazione alla convivenza civile. La posta in gioco – sul piano educativo – è molto alta, per cui è essenziale che gli insegnanti siano “all’altezza” non solo dal punto di vista dei pur necessari interventi culturali, che andranno a raccordarsi con le esigenze di natura informativa di ogni percorso di educazione stradale, ma soprattutto dal punto di vista della “cultura dell’educazione”, ovvero della Paideia, che i docenti dovranno avere metabolizzato, perché anche gli alunni possano far proprie e interiorizzare le istanze valoriali dei percorsi educativi. Ancora una volta si tratta del bivio tra un approccio legato all’etica ed uno appiattito sull’etichetta, colto dal punto di vista dei docenti. Il modello formativo proposto è quello del professionista riflessivo, che riflette sul proprio agire professionale in quanto carico di forti istanze educative che non è facile realizzare in concreto. Nel prendere in esame la difficoltà che si riscontrano ancora oggi a superare i modelli di formazione degli insegnanti di tipo “trasmissivo” e con una struttura “top-down”, si delineano i tratti essenziali di quella che potremmo chiamare una didattica attiva per la formazione in servizio. Importante in tal senso sarebbe la promozione di veri e propri “ambienti di sviluppo professionale”, di cui offrono un esempio significativo le Associazioni professionali degli insegnanti, il cui contributo potrebbe essere prezioso in questa “alleanza educativa” per la formazione di cittadini responsabili, in strada come nella vita. Interessanti le tre schede operative che suggeriscono tre ipotesi di lavoro abbastanza strutturate per percorsi di formazione degli insegnanti. Sempre sulla formazione degli insegnanti è il saggio di Nicoletta Marotti (Il patentino come “occasione educativa” per studenti e docenti. Le azioni formative dell’USP di Bologna in tema di educazione stradale) che può essere considerato uno “studio di caso” centrato sulle azioni di un soggetto istituzionale (l’USP di Bologna) che ha preso sul serio alcune delle istanze culturali esplicitate negli altri saggi che sono raccolti in questo volume. La prima difficoltà è sta- ta – per molti – quella di superare la logica dell’adempimento burocratico da espletare, per entrare nella logica di una “occasione educativa” da cogliere: superare la resistenza dei docenti, inizialmente restii anche alle stesse azioni formative (viste a loro volta come “adempimenti burocratici”) è stata la prima sfida presa in esame. La seconda sfida è stata quella di portare i docenti a superare la logica della autoreferenzialità dei singoli “progetti” (tra cui quelli di educazione stradale) per allargare lo sguardo all’intero territorio dell’Educazione alla convivenza civile, attraverso un’azione formativa piuttosto robusta e con interventi di spessore. La narrazione piana e lineare delle azioni compiute in rapporto ai vincoli e alle opportunità offerte dalla normativa può essere considerata una sorta di “canovaccio” per la realizzazione di azioni analoghe anche da parte di altri soggetti istituzionali. In generale il testo si muove nella consapevolezza che nessuna azione formativa può essere intesa come una semplice routine, anche se nasce da un adempimento di natura burocratica (in questo caso la normativa che ha coinvolto le scuole nelle azioni formative miranti al rilascio del “patentino”). La posta in gioco è – in ogni caso – molto alta, perché si tratta di collegare tra loro il fondamento stesso di ogni azione educativa con i fondamenti dell’identità culturale di una società. La stessa Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, nel presentare il diritto all’istruzione che è proprio di ogni uomo, oltre a fissarne alcune coordinate minime (istruzione elementare obbligatoria e gratuita), precisa che “l’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (art. 26), con un più corretto rapporto tra il fine dell’educazione (la persona e il suo sviluppo) ed il contesto della medesima (la società con i suoi rapporti). In ogni caso il processo educativo è di natura intimamente “sociale”, non solo perché si colloca nell’orizzonte di una determinata cultura e all’interno di strutture sociali determinate, ma perché comporta un’interazione tra persone, in una dinamica relazionale che risulta strutturante rispetto agli stessi fini dell’educazione. In altri termini potremmo dire che il noto aforisma, per cui si afferma che “nessun uomo è un’isola”, ha riflessi immediati sul piano educativo: crescere come persone e costruire - in un ambiente educativo - una personalità adulta, significa anche crescere nella propria apertura alla società, di cui fa parte anche quella stessa cultura che costituisce l’oggetto dell’insegnamento tanto nel sistema formale, come nei sistemi non formali e informali. (Filomena Serio) Maria Teresa Moscato, Diventare insegnanti. Verso una teoria pedagogica dell’insegnamento, La Scuola, Brescia 2008. Il mondo della scuola in genere e quello degli insegnanti in particolare è al centro di un’attenzione ambivalente, da parte della mentalità corrente, per cui da un lato si investono gli uomini di scuola di responsabilità sproporzionate in ordine alla domanda sociale di educazione, ma dall’altro lato si esprimono valutazioni non sempre encomiabili sulla loro professionalità ed il prestigio sociale di cui godono. Tra le ra- gioni di un giudizio così ambivalente e di un prestigio sociale così vacillante vi può essere anche una scarsa chiarezza in ordine all’identità profonda della professionalità docente. Chi è, in senso profondo, l’insegnante e che cosa significa “diventare insegnanti”? Il testo di Maria Teresa Moscato porta un prezioso contributo al dibattito, ponendo al centro di uno sguardo pedagogico attento proprio l’insegnamento, inteso come attività umana che intervenga per modificare l’esperienza di un altro essere umano, sia anticipandola, sia controllandola, sia mediandola, sia rendendola consapevole (p. 51). Gli esempi molto vivaci (il capo officina, la madre davanti al rischio di bruciatura, il tenente degli alpini, la maestra di canto) offrono al lettore la possibilità di “ritrovarsi” negli elementi costitutivi della definizione, immaginando a sua volta situazioni in cui le diverse prerogative dell’insegnamento gli sono apparse evidenti, tanto nei contesti formali, come in quelli non formali e informali. Ciascun insegnante ha una propria identità culturale in quanto persona, una “forma mentis” in cui si innesta un elemento essenziale per il pedagogista: come ogni educatore ha una psicologia implicita ed una teoria implicita dell’educazione, così ogni insegnante ha una teoria implicita dell’insegnamento, in cui si intrecciano diversi elementi. “Noi ipotizziamo – scrive Moscato – che nella teoria implicita entrino, con stratificazioni successive: a) rappresentazioni e orientamenti mitici (a loro volta generati da archetipi, idealtipi storici e altri frammenti dell’immaginario sociale); b) teorie e modelli scientifici o politici, che possono comunque determinare rappresen- QUALEDUCAZIONE • 67 tazioni, anche quando la loro concettualizzazione è parziale o inesistente; c) l’esperienza diretta e indiretta” (p. 28). Di particolare interesse è la parte centrale del testo, dedicata alle competenze degli insegnanti. Dopo avere precisato, sulla scorta di Bruner, che l’insegnamento rappresenta “il segreto dell’evoluzione dell’homo sapiens” e si colloca all’interno della famiglia operativa delle azioni comunicative, l’autrice sviluppa in modo sistematico una riflessione sull’arte dell’insegnamento. Il testo percorre le diverse situazioni di insegnamento in cui il docente è chiamato a mettere in campo le proprie competenze, a partire dalla situazione classica della lezione frontale – che viene rivalutata in modo esplicito – per arrivare alle varie forme di relazioni dialogiche, il rapporto tutoriale, il lavoro di gruppo. Per un buon insegnante è importante saper impostare una comunicazione che tenga conto di un “destinatario designato” (quegli alunni, di quella scuola, di quella classe…); ad essa si collega la capacità di pensare oggetti culturali trovando “le parole per dirlo”, in modo chiaro e convincente. Vi sono anche componenti emotive di cui è bene tenere conto, come la capacità di reggere il rischio del fallimento della comunicazione senza che ciò comporti ferite narcisistiche; saper tenere la scena tenendo fisso lo scopo comunicativo; saper contenere l’emotività degli studenti, rassicurandoli e incoraggiandoli. Le competenze relative all’ascolto attivo consentono di operare una sintesi degli aspetti culturali ed emotivi. Tali competenze si esercitano sia nelle dina- 68 • QUALEDUCAZIONE miche relazionali informali, sia in alcuni momenti dell’azione didattica, come ad esempio le situazioni valutative (si pensi alle interrogazioni orali) in cui è importantissimo che gli allievi vengano messi a loro agio e ricevano un feed-back di tipo “formativo” che li aiuti a consolidare ciò che sanno, a crescere e a migliorare. Tra le competenze tacite degli insegnanti vengono illustrate – anche con significativi esempi – la capacità di valutazione diagnostica intrinseca all’azione didattica e le abilità complesse necessarie per la formazione degli adulti. L’ultima parte del testo colloca la professionalità docente all’interno di una pedagogia della scuola che, seguendo Bruner, viene presentata come uno “speciale ambiente di vita” caratterizzato da un alto tasso di formalizzazione del sapere. A scuola il sapere è oggetto di uno studio critico (caratterizzato da una sempre crescente secondarietà) che consente alla cultura della società che istituisce le scuole di rigenerarsi nelle menti dei giovani allievi, i quali diventano anche agenti del cambiamento culturale. La teoria della scuola utilizzata è quindi di stampo culturalista. Il testo si caratterizza per lucidità e chiarezza, procede con notevole freschezza espressiva ed è costellato di numerosi esempi, tratti in gran parte da esperienze di osservazione diretta o indiretta degli insegnanti, da alcune ricerche condotte sul campo, da un’evidente attitudine al confronto e al dialogo con quanti operano nella scuola. Un’ottica eminentemente pedagogica percorre l’intera ope- ra, anche se sono evidenti gli influssi di altre discipline, di preferenza quelle psicologiche, mentre risultano meno esplorati gli aspetti pedagogico-sociali. In ogni caso la riflessione sul mandato sociale della scuola e la sua identità si tiene volutamente distante dai toni accesi di un dibattito che troppo spesso si è legato alle congiunture politiche del momento: è importante recuperare il “respiro lungo” di una riflessione più distesa che guardi oltre la transitorietà di ciò che passa e si ancori alla stabilità di ciò che resta. Questo è anche il desiderio dei professionisti della scuola, che spendono in essa un tempo della loro vita che dura più dello spazio di una legislatura o di un titolo di giornale. Mai come oggi la scuola è stata al centro di attese sociali più o meno pertinenti, per cui diventa importante recuperare il senso profondo della sua missione, che passa attraverso una cultura che si rigenera nelle menti e nei cuori degli allievi. In tale prospettiva si inquadrano anche altre istanze più particolari, che si traducono in attenzioni educative specifiche (dall’educazione alimentare alla sicurezza stradale), ma senza investire la scuola di un ruolo “salvifico” nei confronti dei mali della società. Una riflessione sobria e pacata sulla funzione sociale della scuola, insieme ad una teoria condivisa sull’identità dell’insegnamento come azione professionale, potrebbe portare ad una maggiore chiarezza nei rapporti tra scuola e società ed anche ad un più esplicito riconoscimento della professionalità di chi opera in essa. (Andrea Porcarelli).