IL NOTIZIARIO del C.A.I. Padova 1 90 8 3 • 2008 08 19 t ’anni n Ce C AI PAD A OV 200 8 Notiziario CAI n. 3 Inverno 2008. Semestrale. Poste Italiane Spa. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DR PD CLUB ALPINO ITALIANO Sezione di Padova 100 anni del CAI Padova Il gruppo di Alpinismo Giovanile raggiunge la cima del Gran Paradiso sommario sommario CLUB ALPINO ITALIANO SEZIONE DI PADOVA 3 • 2008 4• Cronache Una data storica di Francesco Cappellari Incontro con il DAV di Friburgo per i nostri 100 anni di Luigina Sartorati Libertà di accesso alle pareti del mondo di Francesco Cappellari 14• Diario Alpino Dal Perù, brevi emozioni intorno all’Ausangate e per una cima mancata... Monte Elbrus 2008 di Federico Battaglin Red Rocks Climbing di Leri Zilio 28• Il Personaggio Tito Paresi di Leri Zilio 30• Le Chimere Burel, Miotto-Bee di destra di Alessio Roverato 32• Alpinismo Giovanile Gran Paradiso 2008 di Pierdamiano Sconcerle La salita al Gran Paradiso Una salita...particolare di Giuliano Bressan Escursione per la pace di Chiara Tedesco 53• Escursionismo Resoconto in rima incerta del nostro corso di escursionismo di Marco Rubini 56• Alpinismo 46° Corso di Ghiaccio anno 2008 Dalla parte degli alllievi 70° Corso di Roccia Corso di Roccia 2005. Una giornata di rafting a Briançon di Sergio Sattin 62• Veterani Invidiabili veterani! di Giovanna Borella 65• Canti di Guerra di Pier Giuseppe Trentin 76• Ricordiamo Ernesto De Ponti SEMESTRALE SEGRETERIA REDAZIONALE c/o Sezione CAI 35121 Padova - Gall. S. Bernardino, 5/10 Tel. 049 8750842 - www.caipadova.it - [email protected] Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DR PD Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 401 del 5.5.06 DIRETTORE RESPONSABILE: Giovanni Piva VICE-DIRETTORE: Lucio De Franceschi COMITATO DI REDAZIONE: Francesco Cappellari, Leri Zilio IMPAGINAZIONE GRAFICA e STAMPA: Officina Creativa IN COPERTINA: Per celebrare i 100 anni del CAI Padova il gruppo dell’Alpinismo Giovanile raggiunge la vetta del Gran Paradiso 3 8 cronache cronache 08 19 t ’anni n Ce C AI PAD A OV 200 8 di Francesco Cappellari Una Data Storica 4 Era nell’aria. Si sapeva ormai tutto. Per chi frequenta la sede di galleria San Bernardino non c’era sorpresa. Eppure ogni crisma è stato rispettato, ogni apparente novità è stata aspettata. Dev’essere proprio questa sottaciuta attesa, unita alla voglia di ritrovarsi tutti assieme in un luogo meraviglioso, che ha portato tanta gente al Rifugio Locatelli. I soci del Cai di Padova sapevano che avrebbero vissuto una data storica. Il 21 settembre 2008, infatti, è destinata a diventare tale. Il rifugio più illustre, e probabilmente più invidiato dell’intero arco alpino, di proprietà della nostra sezione, ha cambiato nome diventando Rifugio Locatelli-Innerkofler. Si è partiti all’alba, come per una normale gita domenicale. Non c’erano però solo i soliti iscritti all’escursione. C’era il coro, c’erano i veterani, c’erano molti componenti della scuola di alpinismo e del gruppo escursionismo. C’era, in un altro pullman, un gruppo numeroso di ragazzi dell’alpinismo giovanile. Gli stessi ragazzi che quest’anno, per commemorare il centenario della sezione, sono saliti in cima al Gran Paradiso. cronache La storia del cambio del nome ha origine oramai da 10 anni. Da quando cioè il nostro presidente Armando Ragana ha voluto che nei pressi del rifugio fosse costruito un cippo al famoso alpinista tirolese, nonché gestore dell’allora Rifugio Drei Zinnen. Da allora il Rifugio Locatelli accoglieva a luglio una folta delegazione di padovani che salivano per rendere giusto omaggio ad una persona che ha dato tutto, anche la vita, per la sua terra e le sue montagne. Ora questo tributo si è trasformato in ufficialità. Quindi alla presenza dei sindaci di Padova, Sesto Pusteria e Dobbiaco si è consumata la cerimonia. Dopo la Santa Messa, celebrata dal fedelissimo padre Ciman, le autorità hanno espresso parole di elogio per l’iniziativa che diventa un altro simbolo della volontà di aggregazione e di collaborazione tra la città di Padova e le comunità sudtirolesi. Alle 12,30 è stato tolto il drappo che copriva il nome, ancora fresco di pittura, di Innerkofler. Dal 21 settembre 2008 i soci del Cai e i turisti di tutto il mondo saliranno al Rifugio Locatelli-Innerkofler. 5 8 cronache 08 19 t ’anni n Ce C AI PAD A OV 200 8 di Luigina Sartorati Incontro con il Dav di Friburgo per i nostri 100 Anni 6 Nel programma per i festeggiamenti dei 100 anni della nostra sezione dal 2 al 5 ottobre era previsto un incontro con i soci del D.A.V. di Friburgo, sezione gemellata con la nostra. Giovedì 2 ottobre alle ore 21 con un piccolo concerto del Coro sezionale c’è stato lo scambio di saluti e il brindisi di benvenuto. Il nostro presidente Armando Ragana, dopo un breve discorso, ha consegnato al presidente del D.A.V. di Friburgo e a tutti i presenti il nostro distintivo del centenario e il dvd sulle spedizioni extraeuropee del Cai Padova. Loro hanno contraccambiato consegnando un’incisione riproducente Friburgo, alcune bottiglie di vino tante quante sono gli anni di gemellaggio tra le due sezioni. Venerdì 3 ottobre la giornata ha avuto questo svolgimento: il gruppo “A”, accompagnato da Bruno Bazzolo e Guglielmo Rigato ha percorso il sentiero che da Galzignano porta ai laghetti del Venda. Il gruppo “B”, accompagnato da Luigina Sartorati e Andreina Miotto, ha visitato il Castello di Monselice e l’Antica chiesa di S. Giustina, la Casa del Petrarca ed il borgo antico di Arquà. I due gruppi alla fine si sono riuniti a Ca’ Figaro di Castelnuovo di Teolo per uno spuntino prima del rientro in albergo a Padova. Sabato 3 ottobre tutti insieme abbiamo visitato l’Università, il Salone e la Basilica del Santo. A metà mattinata nella Sala Consigliare del Comune, il cons. Pisani con delega ai gemellaggi ci ha ricevuti per un breve scambio di saluti e la consegna al presidente del D.A.V. di Friburgo di un volume sulle opere di Shakespeare ambientate a Padova e a tutti i presenti un distintivo ricordo con il logo della nostra città. Domenica mattina una parte dei partecipanti ha effettuato l’escursione a Lumignano “sentiero della Croce” e a mezzogiorno dopo le foto rituali fra baci, abbracci e sventolar di fazzoletti i nostri amici friburghesi sono ritornati a casa. Dimenticavo una cosa: loro erano 47, noi… un po’ meno. Ringrazio Goetz Lebrecht, sua moglie Brigitte che con il loro entusiasmo hanno reso “speciali” questi giorni. Un saluto ad Irene, Heidi, Sibille, Wielfried e a tutti un grosso “CIAO”. cronache Libertà di accesso alle Pareti del Mondo Un folto gruppo di soci accademici, tra i quali anche i nostri Giuliano Bressan e Francesco Cappellari, hanno partecipato all’interessante dibattito riguardante i vincoli e le limitazioni che l’alpinismo subisce da anni nell’accesso a quelle montagne che dovrebbero rappresentare patrimonio di ogni persona. Alla presenza, tra gli altri, del Presidente Generale del CAI Annibale Salsa, come sempre autorevoli relatori hanno animato la discussione. I primi a parlare sono stati Carlo Alberto Pinelli di Mountain Wilderness e Renato Moro dell’agenzia organizzatrice viaggi e spedizioni Focus. di Francesco Cappellari Far parte di un consesso quale quello del Club Alpino Accademico Italiano non è solo motivo d’orgoglio ma anche, e soprattutto, vuol dire venire a contatto con persone che hanno fatto la storia dell’alpinismo. E dibattere e confrontarsi con chi negli anni ha condiviso con te la passione dell’alpinismo nella sfaccettatura più pura. E ancora rappresenta l’occasione di partecipare ad interessanti convegni che si tengono annualmente in giro per l’Italia. Il CAAI è diviso in tre gruppi che rappresentano tre macroregioni: l’Occidentale, il Centrale e l’Orientale. Quest’ultimo comprende, oltre al Triveneto, anche l’Italia Centrale e Meridionale. Ogni anno appunto è affidata ad uno di questi gruppi l’organizzazione del convegno. Quest’anno l’incombenza toccava al Gruppo Orientale che ha pensato bene di svolgerlo, l’11 ottobre, all’interno dello splendido scenario di Vallombrosa, località dell’Appennino fiorentino famosa per la bellissima abbazia e per la suggestiva foresta. 7 cronache Pinelli ha illustrato innanzitutto la situazione nei vari paesi asiatici circa le royalties e i permessi necessari per poter salire le grandi montagne dell’Hindukush, del Karakorum e dell’Himalaya. In Afghanistan, paese che Pinelli conosce bene in quanto organizzatore sul posto di diversi corsi di alpinismo rivolti ai giovani locali, l’ostacolo maggiore è rappresentato dalla situazione politica. L’Afghanistan è notoriamente un paese dove la guerra civile, che dura ormai da diversi anni, impedisce, o quasi, di muoversi con tranquillità. Esiste comunque il modo per arrivare nell’Hindukush afghano senza correre rischi e quindi evitando la capitale Kabul. Si può attraversare la frontiera dal Kirgizistan, ex Unione Sovietica, ed in breve tempo ci si trova a contatto con le alte montagne. La popolazione locale è costituita esclusivamente da Ismailiti, una corrente molto aperta dell’Islam, seguaci dell’Aga Khan. Il lato positivo è che in Afghanistan non è previsto un permesso e nemmeno il pagamento di royalties. Sono solo necessari due visti, il primo per l’ingresso nel paese, il secondo per poter avere accesso al territorio del Wakhan, quella lingua di terra che si protende stretta verso la Cina. Da qui sono possibili le salite a meravigliose montagne, molte inesplorate ed inviolate che purtroppo non vengono ultimamente prese in considerazione. 8 Diversa la situazione in Pakistan. Arrivare in questo paese è sempre stato abbastanza semplice. Gli ultimi eventi però devono mettere un po’ più in guardia l’alpinista. Anche qui una delicata situazione politica potrebbe degenerare nei mesi a venire tanto che ci si potrebbe trovare a dover sospendere il viaggio. Il Pakistan, in ogni caso, è stato l’unico paese che ha recepito le richieste degli alpinisti occidentali. Negli ultimi anni ha alzato la quota per il permesso alle montagne portandola da 6000 agli attuali 6500 metri. Oltre tale altitudine è necessario avere un permesso e pagare una royalty. Le royalties inoltre sono scontate del 50% rispetto a qualche anno fa. Tutto ciò naturalmente facilita la volontà d’accesso da parte di spedizioni alpinistiche occidentali portando un beneficio economico non indifferente alle popolazioni locali che partecipano in qualità di organizzatori o, più semplicemente, di portatori. Anche i problemi legati all’Ufficiale di Collegamento (Liason Officer) sono drasticamente diminuiti. Questa figura, da sempre al seguito delle maggiori spedizioni, ha rappresentato molte volte un peso economico non indifferente, senza contare i problemi legati ad una persona che di montagna non sapeva nulla ed era lì in quel luogo esclusivamente per un maggiore tornaconto personale legato ad una paga supplementare e ad una promozione. Si trattava infatti in genere di ufficiali dell’esercito che, cronache in quanto persone dotate di una certa cultura, potevano essere effettivamente utili fino ad una ventina di anni fa quando gli occidentali facevano fatica ad interagire con le popolazioni locali. Ora problemi di questo genere vengono assorbiti degnamente dalle agenzie organizzatrici il trekking o la spedizione. Il Pakistan ha eliminato l’obbligatorietà di questa figura mantenendola solo nella zona del Baltoro dove effettivamente c’è la maggior parte di spedizioni alpinistiche legate naturalmente alla salita degli 8000. La sua funzione va dal controllo alpinistico (si deve accertare che i componenti seguano la via per la quale hanno il permesso) a quello ecologico (ogni spedizione deve portare a casa ciò che ha utilizzato in montagna). Mountain Wilderness in passato ha organizzato, con il patrocinio del Governo Pakistano, diversi corsi volti alla formazione corretta dell’Ufficiale di Collegamento, formazione che si è sempre ritenuto dovesse partire da una crescita alpinistica personale. Detti corsi hanno avuto contenuti legati alla montagna a 360°, non ultimo quello dell’arrampicata su roccia e ghiaccio. In India tutti i viaggi alpinistici sono gestiti dall’India Mountaineering Foundation, un ente all’interno del Ministero dell’Interno. Ci sono diverse limitazioni soprattutto nelle montagne vicine ai confini tanto che molte spedizioni scalano cime anche senza il necessario permesso. In Nepal, notoriamente nazione principe in relazione alle spedizioni alpinistiche, la situazione è leggermente migliorata rispetto a qualche anno fa. Permesso, royalty e Ufficiale di Collegamento sono obbligatori. La royalty all’Everest in questi ultimi anni, forse grazie alla concorrenza cinese, è comunque calata drasticamente. Non molti anni fa un gruppo di sette persone solo per poter salire la montagna più alta del mondo doveva sborsare 25.000 dollari, ora sono sufficienti 10.000 dollari. Questo ha portato un indubbio vantaggio agli occidentali che ci si vogliono cimentare ma, per contro, ha causato notevoli problemi legati al sovraffollamento e, conseguentemente, all’inquinamento. Qualcosa in quest’ultimo caso si è fatta, ad esempio c’è un servizio di sherpa per il trasporto a valle delle feci e dell’immondizia. Il problema comunque è La Valle del Silenzio all’Everest 9 cronache legato soprattutto alle spedizioni commerciali che, in genere prive di ogni preparazione alpinistica, portano sulla montagna decine di persone inesperte con conseguente uso smodato di portatori d’alta quota, corde fisse e ossigeno. L’impatto con l’ambiente è sotto gli occhi di tutti ma non tutti riescono a sottrarsi al desiderio intimo e dirompente di salire l’Everest. Renato Moro ha quindi illustrato la situazione in Tibet. Salire le montagne himalayane dal versante tibetano richiede un permesso da parte del governo cinese. La maggior parte delle spedizioni entrano in Tibet passando dal Nepal ma questo attualmente richiede ancora oggi circa sette giorni di permanenza a Kathmandu per numerose e noiose pratiche burocratiche. Le montagne della Cina, come ad esempio quelle del Sinkyang, rappresentano probabilmente il nuovo paradiso. Colossi di 7000 metri devono ancora essere saliti, si deve ancora oggi effettuare una vera ed accurata esplorazione. Non sono richiesti permessi, tasse o quant’altro. È sufficiente andare e salire. Ancora infatti non si capisce come, ai giorni nostri, la maggior parte degli alpinisti si dirigano sui “soliti” 8000, seguendo chilometri di corde fisse, trascurando montagne dove è possibile vivere ancora la vera avventura. È chiaro che gli alpinisti rispecchiano il carattere dell’uomo del suo tempo. Un uomo fatto di comodità, di mordi e fuggi e di “con i soldi ottengo tutto”. Il Club Alpino Accademico Italiano può, in questo campo, giocare un grande ruolo. Far capire ai giovani che l’Everest o gli altri 8000 non sono più mete dove cimentarsi per vivere la grande avventura e la grande esplorazione. Alle spedizioni commerciali non bastano più Everest, Cho Oyu e Shisha Pangma, notoriamente tre vette piuttosto semplici, dove portare i propri clienti. Ultimamente assistiamo ad una selvaggia aggressione anche a cime più difficili come Manaslu, Daulaghiri e K2. Su quest’ultimo, proprio quest’anno, abbiamo vissuto una delle più grandi tragedie alpinistiche della storia. Eppure il K2 sarà assalito, negli anni a venire, da sempre più scalatori, più o meno capaci. 10 I due relatori sono passati quindi ad esprimere le opinioni personali per cercare di risolvere proprio quest’ultimo aspetto. Secondo Pinelli si dovrebbe aumentare le royalties degli 8000 per fare in modo che le persone siano meno incentivate a frequentarli. Solo così sarà possibile mantenere una certa decenza ecologica in quelle montagne. Per Moro invece il percorso è esattamente opposto. Esso passa attraverso la strada della grande libertà quindi esente da pagamenti e permessi. La montagna non può e non deve essere merce di scambio. Si deve invece cambiare la cultura alpinistica soprattutto nei giovani. In- cronache vogliarli ad appassionarsi all’esplorazione, far capire loro il valore della vera avventura. In quest’ambito l’Accademico, per gli anni a venire, può giocare un ruolo determinante. L’influenza che può esercitare il CAAI, soprattutto sui media, veri convogliatori delle idee dell’opinione pubblica, deve essere capillare e costante. La seconda parte del convegno ha toccato temi diversi, certamente non meno coinvolgenti. Roberto Valenti è una Guardia Forestale triestina. Il quanto tale è profondo conoscitore, nonché appassionato, di fauna conoscendone i vari aspetti compreso quello relativo alla delicata condizione in cui si trovano certe specie selvatiche. Negli ultimi anni il popolo arrampicatorio, come è noto, è passato dalle grandi montagne a quello di bassa valle. Luoghi dove specie animali, soprattutto rapaci, hanno sempre vissuto in tranquillità nidificando senza problemi. Da circa 30 anni a questa parte le loro pareti sono state invase dall’uomo che, a causa di un costante ampliamento delle zone frequentate, si vede oggi a dover ragionare su un’equa ripartizione del territorio verticale. Si sono e si vedono tuttora pareti chiuse per certi periodi di tempo e per certe zone circoscritte. Sono entrate in gioco molte associazioni ambientaliste che hanno influito notevolmente sui limiti imposti. Valenti, ricordando che il CAI è essenzialmente un’associazione ambientalista, ha invitato ad imparare a convivere con quegli animali che da sempre vivono e procreano in certe zone. L’arrampicatore deve lasciare un po’ del suo egoismo considerando la propria presenza come esclusivamente ludica e dando importanza invece a specie animali che vivono in delicato equilibrio. Ogni zona ha poi le proprie problematiche. Ad esempio nel carso triestino quasi non sussiste vista la quantità di falesie a disposizione. Diverso è invece in zone di pianura dove esiste magari una sola parete, vedi Rocca Pendice. Obiettivo primario è quindi esercitare in ogni area coinvolta un tavolo di lavoro permanente costituito da enti pubblici e privati, tra i quali il CAI, che gestiscono il problema e forniscono al pubblico le direttive condivise. Il dibattito si è poi ulteriormente spostato e ha portato Fabrizio Miori, ex assessore al turismo e alle politiche ambientali del Comune di Arco, ad esporre l’esperienza del paese trentino sulla gestione delle numerose falesie esistenti nell’ottica di ottimizzarne la frequentazione, dell’ecologia e dello sfruttamento turistico. Ad Arco infatti si è vissuto, e si vive tuttora, uno dei rari esempi di connubio tra lo sport dell’arrampicata e il business che esso ha portato. Alla fine degli anni ’90 varie falesie della valle del Sarca erano in terreni privati. Il primo intervento del Comune è Nella pagina a fronte: Renato Moro In questa pagina: Roberto Valenti e Fabrizio Miori 11 cronache stato quindi quello di acquistare le pareti e i sentieri di accesso. Molte volte è stato sufficiente chiedere un permesso d’uso che automaticamente sollevasse il proprietario dalle responsabilità in caso di incidente. Si è creato così il “Piano generale delle falesie di Arco”, un censimento delle pareti che avessero le caratteristiche ideali: roccia sicura, comodità di accesso, possibilità di parcheggio e di altri servizi (acqua, servizi igienici, ecc.). La vera chiave di volta è stata considerare la falesia come un qualsiasi altro impianto sportivo e come tale regolarlo dalle stesse norme. In concertazione con CAI, AGAI e FASI si sono così messe in sicurezza le pareti ripulendole dai massi instabili, è stata fatta un’opera di chiodatura avente lo stesso metodo e gli stessi materiali. Ancora oggi se qualcuno individua una possibile linea d’arrampicata è invitato a relazionarne al Comune e a tracciarla con lo stesso metodo utilizzato per tutte le altre. Questo modo di operare, seppur per certi aspetti criticabile, ha comunque consentito ad Arco di diventare un fulcro mondiale dell’arrampicata facendo in modo di coniugare un’attività salutare e ricreativa ad un importante sviluppo economico. Le questioni messe sul piatto sono aperte, soggette a riflessioni e critiche sicuramente anche negli anni a venire. Ciò che è certo è che il CAI e il CAAI potranno giocare sempre più un ruolo di primo piano su argomenti scottanti che non riguardano solo il popolo degli alpinisti e degli arrampicatori ma investono, per molti aspetti, l’intera comunità. Importante La scadenza per la presentazione degli articoli da inserire nel prossimo Notiziario è il 20 aprile 2009. Onde evitare spiacevoli equivoci il materiale deve essere depositato presso la sezione nell’apposita cartellina preferibilmente su CD accompagnato da una stampa. Si prega di fornire testi in “word” e foto a parte. Si può anche spedire via mail all’indirizzo: [email protected] 12 alpinismo - sci alpinismo - discesa - sci da fondo trekking - travel - fornitura per spedizioni c/o ERCOLE, Via Tre Scalini, 1 (SS 248, Loc. Pilastroni) DUEVILLE (VI) 13 Tel. 0444/946873 - Fax 0444/298267 - [email protected] - www.zero8000.it diariodiario alpino alpino Dal Perù, brevi emozioni intorno all’Ausangate e per una cima mancata… Caballeros, caballitos, Ciucio, la Ciucia, Josè e Juan ci accolgono in casa con fritto di pesce di lago e bevande fatte con vari infusi. Il clima è amichevole, molto cordiale e ci consente subito di capire che l’atmosfera che ci attende per i prossimi giorni sarà di amicizia e disponibilità. Rimaniamo stupiti ed interessati ad ascoltare Mariaelena, la dolce ragazza di Cusco, che racconta e descrive con grandi capacità e ricchezza di particolari la civiltà Inca, le gesta dei vari Atahualpa, alcuni usi e tradizioni di quel vasto e lungo Impero a noi poco noto. Così trascorre la sera, mentre chiudiamo gli zaini preparandoci per la partenza alla volta del trekking dell’Ausangate. La montagna, di 6384 metri, si trova 150 km a sud-est della vecchia capitale inca: le abbiamo camminato intorno per sei giorni valicando alcuni passi ed attraversando vastissime prateIl massiccio dell’Ausangate diario alpino rie e zone di pascolo, ai piedi di ghiacciai e pareti. Ciò che manca sono i boschi e quindi gli alberi e gli arbusti; anche senza il verde a cui siamo abituati, il paesaggio con i suoi colori rossicci-marroni è bello e vario, ricchissimo di acqua che scorre ovunque e talvolta si ferma creando zone di palude e piccoli laghetti sui quali branchi di lama ed alpaca pascolano in assoluta libertà. Qua e là scorgiamo le rare vigogne, animali più gentili nel portamento, più schive e selvatiche, preda dei puma. Ovunque nelle zone ghiaiose o terrose le tracce dei loro lunghissimi spostamenti a ricordarci le orme dei nostri camosci e stambecchi. In una terra così lontana siamo sempre in cerca di tratti a noi in qualche modo familiari. Si cammina in assoluta tranquillità, senza alcun rumore estraneo alla natura dei luoghi, incontrando talvolta qualche campesino con il quale attraverso sorrisi sinceri e poche parole ci si scambia emozioni. Siamo curiosi di scoprire qualcosa di più di questa realtà così diversa. È sorprendente notare come a queste quote, tra i 4200 ed i 4600 metri, in un isolamento talvolta totale, lontanissimi da qualsiasi abitato, fino a due giorni di cammino, si possano incontrare persone così serene nelle loro condizioni, vestite di sgargianti colori blu, viola, arancione, giallo o rosso, che ti fanno venir voglia di abbandonare tutto, casa e lavoro e trascorrere un po’ di anni con loro. Siamo tutti concordi nel dire che quassù vivono sani e sereni, siamo increduli di fronte a come questa gente possa trascorrere le giornate in queste condizioni, ma… non è certo il solo posto nel mondo e comunque questo è un discorso lungo… forse troppo difficile ed astratto, che ci lascia in ogni caso disarmati e un po’ scontenti …Quanto occidentalismo e quanto consumismo nelle nostre usuali giornate …! Abbiamo montato i campi in corrispondenza di radure pianeggianti incantevoli, in riva a laghi, ai piedi di enormi seraccate che scaricavano i pesi superflui davanti ai nostri occhi, di fronte a candidi e tormentati ghiacciai, ai piedi di sua maestà Ausangate, luoghi difficili da dimenticare. C’è stata la fortuna di condividere la devozione ed il rispetto che i locali sentono per questa montagna attraverso la partecipazione ad un rito di ringraziamento e di auspicio per la fertilità ed i raccolti della terra, la pachamama, molto suggestivo. Foglie di coca innalzate al cielo, sterco rinsecchito Seraccata sopra il campo del secondo giorno 15 diario alpino che bruciava, bacche di erbe particolari e parole quechua pronunciate insieme al cospetto dell’Ausangate, in un contesto di ritualità e umiltà, ci hanno fatto pensare che l’essenza della vita si basa anche sui frutti della terra, per la qual cosa, qualcuno in effetti sarà ben da ringraziare. Nonostante si cercasse di tenere a freno l’estro culinario del Ciucio, risultavano sempre cibi abbondanti fortemente speziati, accompagnati da bevande calde che hanno messo a dura prova i nostri stomaci. Il trekking può venire percorso interamente anche in un tempo inferiore ai 6 giorni riunendo alcune tappe, ma la bellezza ed il silenzio dei luoghi impongono una certa calma necessaria per vivere la giusta atmosfera… vedrete non ve ne pentirete! 16 Nel buio della notte il bus Arequipa – Cotahuasi ci scarica alle 23 a 4.600 m, nel mezzo di una strada sterrata e polverosa ma sotto un cielo pieno zeppo di stelle. È freddo e siamo frastornati per il brusco risveglio e la fretta concitata di raccogliere tutti gli zaini ed i bagagli uscendo da un bus stracolmo di cose e persone. Il bus riparte, improvvisamente il silenzio più totale, la bellezza della notte. Alla luce dei frontali, una breve salita, poi la discesa e montiamo le tende. Al sorgere del sole si apre uno scenario magnifico: siamo sulle sponde di un azzurrissimo lago, colpiti dai raggi mattutini del sole e lo sguardo è attratto dai 6323 m del Nevado Solimana e dal Coropuna, la nostra meta che si fa ammirare e… attendere. Colazione e si parte. Si decide di stabilire il prossimo campo a 5.600 metri appena ai piedi dello sperone roccioso che prelude la salita alla parete ghiacciata sovrastante. Siamo molto eccitati e certi di ritrovarci in cima l’indomani. Abbiamo con noi 5 portatori che caricati alla meno peggio non dimostrano una grande caparbietà e convinzione per quanto stanno per fare. Ed infatti… saliamo con una giornata bellissima senza vento e senza problemi fino a q. 5000 quando ci accorgiamo che alle nostre spalle gli indispensabili portatori arrancano faticosamente trascinandosi sul sentiero. Ritardiamo la marcia, decidiamo di fare il campo a 5.400 se mai ci arriveremo, attendiamo, prendiamo parte dei bagagli, cerchiamo di rincuorarli, letteralmente cadenziamo il passo, sono stanchissimi non ce la fanno più. Arriviamo alle sei di sera alla quota prevista, montiamo due tende, agognamo qualcosa da bere, il freddo avanza e si fa sentire, verso le 20 riusciamo a montare le tende e sistemarci per la notte, purtroppo con scarsissime bevande e niente cibo a disposizione. Il gruppo è demoralizzato, non è possibile organizzare la salita per l’indomani considerato che gli alimenti sono rimasti giù e che per un equivoco organizzativo dobbiamo riprendere il bus di ritorno l’indomani anziché due giorni dopo. diario alpino Tristissimi ci infiliamo nei sacchi a pelo e la mattina ancor più tristi sotto un cielo blu cobalto, invertiamo la marcia e ritorniamo…sconfitti e affamati. Dobbiamo ricercare tutti la pazienza e qualche giustificazione per accettare senza inutili nervosismi l’approssimazione di questi ragazzi peruviani che con leggerezza hanno pensato di affrontare la montagna senza alcuna preparazione, giustificando la cosa solo con la constatazione di quanta strada ancora il Perù deve fare… Un tratto di strada l’abbiamo percorso insieme, in queste tre settimane, lasciando loro qualcosa di noi stessi, ma soprattutto portandoci via tante sensazioni, emozioni e conoscenze… che serberemo nel cuore come ricordi. Il gruppo con alle spalle il massiccio del Coropuna 6450 m Paolo Bassanese, Andrea Cassutti, Lucio De Franceschi, Elena Guabello, Massimo e Silvia Loreggian, Chiara Paracchini, Giovanni Piva, Paola Santambrogio, Angelo Soravia, Lorenza Varagnolo, Maria Elena Cañari. 17 diario alpino di Federico Battaglin Monte Elbrus 2008 Le Barrel Huts con le due cime dell’Elbrus 18 INTRODUZIONE Ormai da qualche anno dedico l’estate al trekking fuori dall’Europa e alla salita di cime di alta quota: nel 2006 in Cile e Bolivia e nel 2007 in Kashmir. Quest’anno avevo in mente diverse cime in Sudamerica ma, per problemi di prenotazione dei voli aerei e per il mio non perfetto allenamento, la scelta è caduta sull’Elbrus. IL MONTE ELBRUS Il monte Elbrus è un vulcano spento che si trova nella regione Kabardino-Balkaria del Caucaso, in Russia, poco lontano dal confine con la Georgia. In particolare si trova alla fine di una lunga valle percorsa da una strada che porta alla località di Azau. Il nome “Elbrus” significa “Picchi Gemelli”, in quanto non vi è una sola cima, ma ce ne sono due ben distinte: quella occidentale (la più alta) di 5.642 m e quella orientale di 5.621 m, separate da una forcella posta a circa 5.300 metri di quota. Se la cima più bassa ha la tipica forma di un vulcano, quella più alta invece è costituita da un cratere piatto dotato di alcune protuberanze alte una decina di metri e una di queste costituisce la massima elevazione. Ovviamente la vetta vera e propria, come è ben facile immaginare, è nel punto più lontano rispetto al percorso di salita. Il monte è sempre innevato ed ha diversi ghiacciai, che in estate comunque arrivano a toccare l’attuale rifugio, chiamato Barrel Huts, posto a 3.700 metri di quota. In inverno, invece, la neve scende sino a fondo valle, a 2.100 m. Sulle pendici sorge una stazione sciistica che negli ultimissimi anni ha riscosso una certo successo, ragione per cui è in fase di realizzo una serie di lavori di ampliamento per la recettività dei turisti. Difatti l’alberghetto dove eravamo alloggiati era quasi un cantiere aperto. Per la presenza sia di neve anche a stagione inoltrata, sia di una struttura ricettiva e sciistica, il monte Elbrus ben si presta sia per sciare in pista, sia per compiere la salita alla vetta con gli sci ed offre una spettacolare sciata di media difficoltà. Purtroppo, data la discreta ventosità, la neve spesso e volentieri non è eccezionale, ma tendenzialmente crostosa. cronache Sportler - Il tuo specialista per la montagna Padova | Via Verga 1 | 049 862537 Bolzano, Merano, Bressanone, Brunico, Innsbruck, Bludenz, Trento, Verona, Rovigo, Portogruaro, Udine, Trieste, Calalzo www.sportler.com 19 diario alpino La ricerca del posto dove piantare la tenda non è sempre così semplice 20 DIARIO DI VAGGIO 23 agosto: finalmente partiamo, siamo in sei. Con un volo da Milano raggiungiamo Mosca e poi con autobus e diverse linee di metropolitana raggiungiamo uno dei pochi ma grandi hotel nella periferia. 24 agosto: partiamo presto e con un volo aereo interno raggiungiamo Mineral’nye Vody, dove ci aspettano un pulmino, l’autista e la guida di montagna che ci permetteranno di conoscere l’Elbrus e dintorni. L’appoggio poi di una agenzia locale è fondamentale per avere il visto e il permesso. Nel pomeriggio, arrivati alla stazione sciistica, facciamo un giro in zona per cominciare a scaldare i muscoli. 25 agosto: ecco il primo assaggio in quota con la cima Cheget, 3.400 m raggiunta anche con l’aiuto della funivia (!). Ottima vista su alcune cime di 4.500 m poste più a sud, dotate di seracchi, couloir e di ogni altro ben di dio! 26 agosto: prendiamo “armi e bagagli” e, con l’aiuto delle funivie e di un automezzo da lavoro, raggiungiamo il rifugio Barrel Huts, che diventerà il campo base per i successivi giorni. In realtà il rifugio Prjut originario è posto a 4.000 m, ma qualche anno fa ha preso fuoco; ora lo stanno rifacendo e con l’occasione costruiscono una nuova funivia che arriva fin lì. La particolarità del rifugio è che in verità non è un rifugio vero e proprio come siamo abituati nelle Alpi, ma consta di diverse costruzioni: una adibita a sala mensa, due per le guide e undici cisterne cilindriche per i dormitori da sei posti, dipinte con i colori nazionali: bianco, blu e rosso). Le cisterne sono quelle usate per la nafta, per cui l’effetto è davvero particolare. Contrariamente a quanto si può pensare, sono assai confortevoli, in quanto sono isolate termicamente con polistirolo e legno, hanno una serie di scomparti, un’ampia finestra e sei comodi letti. Al pomeriggio facciamo un giretto fino a 4.200 m per acclimatarci sempre di più. Giornata di tempo splendido. 27 agosto: il meteo non è dalla nostra parte: il cielo è coperto e tira vento. Saliamo fino a 4.700 m dove diverse persone hanno pianto la tenda per l’assalto del giorno successivo. C’è un via vai di gente che sale e che scende; alcuni scendono direttamente dalla vetta appena conquistata. diario alpino 28 agosto: è il giorno della salita. Per fortuna il meteo è a noi favorevole, sebbene fino a quando non sorge il sole, il freddo sia intenso, colpa pure del vento. Anche con tre strati di abbigliamento tecnico, personalmente, sento freddo alle gambe. Invece cinque strati nella parte superiore del corpo sono sufficienti. Con il sole bello splendente il caldo si fa ben sentire. Dato che non abbiamo le tende e non abbiamo intenzione di fare 1.900 m di dislivello dal rifugio alla vetta, usufruiamo del servizio dello “snow cat” che ci permette di risparmiare un po’ di dislivello e un paio di ore di cammino. Il percorso si presenta sempre un po’ ripido, escursionisticamente parlando, e non molla mai se non alla forcella a quota 5.300 m. Con un altro strappo si è sul cratere e da lì, in breve e in piano, al cocuzzolo della elevazione più alta. Il panorama è davvero fantastico e particolare in quanto a sud ci sono alte cime e ben innevate, mentre a nord vi è una distesa a perdita d’occhio di brulle colline che arrivano a 3.500 m o poco più. 29 agosto: è il giorno della discesa a valle. Al mattino ci alziamo con calma e ci godiamo per l’ultima volta il rifugio che ci ha ospitato. Al pomeriggio un giro a cavallo di diverse ore ci fa riposare le gambe, ma mette a dura prova le nostre… chiappe! Per quanto apparentemente mansueti sembrassero i cavalli, in realtà avevano una ben precisa gerarchia, per cui in caso di sgarro venivano morsicati sia il cavallo sia chi lo cavalcava! Sì, avete proprio capito bene, qualcuno è stato morsicato alle gambe e alle ginocchia dai cavalli dominanti! 30 agosto: ultima giornata intera da dedicare alle montagne. Il meteo è incerto ma ci incamminiamo ugualmente per raggiungere una bella e acuminata cima di 3.500 m chiamata Itkol, dopo un fantastico percorso assai ripido di 1.500 metri di dislivello. 30 agosto: piove e così al posto di fare l’ultimo giretto, si opta per ritornare con calma a Mineral’nye Vody fermandoci nella città di Pyatigorsk per una visita turistica. Il volo aereo serale ci riporta a Mosca e dopo due ore tra autobus e metrò finalmente arriviamo all’hotel. 1 settembre: giornata dedicata alla visita di Mosca e in particolare del Cremlino e della Piazza Rossa, purtroppo interdetta per lavori in corso a causa di una manifesta- Federico Battaglin in vetta all’Elbrus 21 diario alpino zione. Mosca è abbastanza bella, anche se più belle sono indubbiamente le moscovite!!! 2 settembre: per problemi di fine ferie, al mattino presto lascio l’albergo e il resto della compagnia e da solo ritorno in Italia. Gli altri componenti del viaggio invece si fermano 4 giorni in più per visitare San Pietroburgo e nuovamente Mosca. L’intero gruppo in vetta al monte Iktol CONSIDERAZIONE FINALI Il viaggio è andato bene, la cima è stata raggiunta da tutti, con un favorevole tempo meteorologico. Non ci sono stati inconvenienti di nessun tipo, durante sia gli spostamenti sia le salite alle montagne. Questo però non significa che si possa prendere l’Elbrus sottogamba, nonostante la presenza di una stazione sciistica alla sua base, di un buon “rifugio” e di una discreta presenza di escursionisti e turisti. Il meteo può cambiare velocemente e i temporali non sono così infrequenti. Inoltre si arriva a 5.600 metri di quota e bisogna far conto delle temperature basse, del vento e della fatica. In compenso la soddisfazione di arrivare in vetta è notevole, anche per il fatto che l’Elbrus fa parte delle Sette Sorelle. LE SETTE SORELLE Le Sette Sorelle sono le cime più alte dei sette continenti del mondo. È un analogo dei quattordici Ottomila dell’Himalaya. Le cime considerate sono: 1) Everest (Asia), 8.848 m; 2) Aconcagua (Argentina, Sud America), 6.959 m; 3) McKinley (Alaska, Nord America), 6.194 m; 4) Kilimanjaro (Tanzania, Africa), 5.895 m; 5) Elbrus (Russia, Europa), 5.642 m; 6) Vinson (Antartide), 4.897 m; 7) Kosciuszko (Australia, Oceania), 2.228 m. Ci sono però alcune discordanze su due cime: Elbrus e Kosciuszko: • L’Elbrus é la cima più alta se si considera il Caucaso come territorio eurasiatico, altrimenti per la sola Europa bisogna considerare il Monte Bianco di 4.810 m. • Il Kosciuszko è il monte più alto dell’Australia. La cima più alta dell’Oceania potrebbe essere considerata il monte Puncak Jaya, 4.884 m, in Indonesia, che però politicamente è asiatica. Il primo uomo a completare la salita alle Sette Sorelle è stato Richard Bass, un americano appassionato di alpinismo. 22 diario alpino Red Rocks Climbing Partecipanti: Massimo Esposito (CAI Trieste), Roberto Gardellin (CAI Padova), Roberto Iacopelli (G.A. Bolzano), Beppo Malfatti (G.A. Mezzolombardo), Giuliano Mazzel (G.A. Canazei), Leri Zilio (CAAI). di Leri Zilio Stati Uniti, Nevada, Las Vegas. La città dei balocchi e delle illusioni. Suoni e luci accecanti che nascondono un vuoto assordante. Soldi, donnine, gioco, tanto gioco. Ma noi siamo alpinisti ed il giro di giostra lo facciamo solo in verticale. A pochi chilometri dal roboante carrozzone, in pieno deserto, si eleva la catena delle Red Rocks. Oasi naturale, parco nazionale, richiama al sapore magico dei vecchi film western di John Ford. Da un’immensa piana desolata dove a malapena sopravvivono i cactus si elevano superbi picchi di arenaria. Sono castelli di sabbia pressata che si slanciano verso il cielo ricalcando (alla lontana, molto alla lontana!) la figura delle nostre Dolomiti. Qui i colori dominanti sono il marrone e il rosso bordeaux, entrambi cotti da un caldo infernale. Gli itinerari di salita seguono solitamente fessure e diedri, ma la particolarità felice è che la roccia è estremamente lavorata, ed i buoni appigli non mancano mai. Ci siamo rimasti una settimana e le cinque vie salite sono di una bellezza assoluta. Le protezioni in loco sono molto scarse. Trovi qualche fix in placca, e solo alcuni itinerari hanno le soste spittate. Al resto provvedono egregiamente i friends e i nuts che posizioni in ogni dove. Il divertimento è assicurato, ed anche una banda di vecchietti come la nostra può dire la sua, e cullarsi nell’illusione di una ritrovata giovinezza. Lasciati in albergo grucce e pannoloni ci siamo arrampicati come forsennati, vocianti e allegri come non mai, ubriachi di luci e colori. Le Red Rocks in Nevada si trovano a pochi chilometri ad ovest di Las Vegas 23 diario alpino 1) PINE CREEK CANYON – MESCALITO Via “Cat in the hut” – 200 m – 5.6 (5°-) Per familiarizzare con l’ambiente. All’attacco in circa mezz’ora. Roccia salda, ottimi appigli, soste su spit. Entusiasmante l’ultimo tiro su fessura verticalissima felicemente appigliata. Uscita leggermente adrenalinica su placca. Discesa in doppia sulla via. Ultima lunghezza di Cat in Hut 2) BLACK VELVET CANYON WHISKEY PEAK Via “Frogland” – 250 m – 5.8 (5°+) Decisamente una via più dura di quella del primo giorno, ma anche molto, molto più bella. Tiri sempre sostenuti su placche, fessure, diedri. Molto delicati il quarto ed il quinto tiro. Qualche raro spit e poi tutto il resto è libera iniziativa. All’attacco in 45 minuti e per la discesa arrampicata facile giù lungo il canale che divide Whiskey Peak da Black Velvet Peak (30 minuti). 24 diario alpino 3) JUNIPER CANYON – CLOUD TOWER Via “Crimson Crysalis” – 350 m 5.8+ (6°-) Eccezionale itinerario diritto e verticale. È un susseguirsi continuo di tiri bellissimi. La via è sempre sostenuta e le difficoltà si mantengono costanti. Le ultime due lunghezze di corda affrontano un muro di roccia rossa apparentemente insuperabile. Poi metro su metro scopri invece che appigli ed appoggi ci sono, e così le tue pulsazioni tornano lentamente alla normalità. Ecco il perché dei parecchi residui escrementizi trovati lungo il percorso. Da proporre come ottimo lassativo. Attacco in 45 minuti e discesa in doppia lungo la via su soste spittate in un’ora e 15 minuti. 25 diario alpino 4) WHITE ROCK SPRING ANGEL FOOD WALL Via “Tunnel Vision” – 250 m – 5.7+ (5°) Via non difficile caratterizzata dal passaggio in una lunga spaccatura della parete, un misto tra un camino ed una grotta, dove quasi quasi necessiterebbe una pila. Ottimo il terzo tiro dove una placchetta malefica rischia di fare male. Discesa di un’ora lungo un canalone ed all’attacco in poco più di mezz’ora. 5) OAK CREEK CANYON BLACK ORPHEUS BUTTRESS Via “Black Orpheus” – 400 m 5.10 (6°) Via alpinistica di stampo classico. I primi due tiri avvengono in diedri impegnativi (5.8) con le soste a spit. Poi le difficoltà calano notevolmente per alcune lunghezze per poi riprendere nei tiri finali. Si parte con un traverso delicato verso sinistra e poi su per un diedro liscio come il vetro con strapiombo finale (50 metri di 5.9). Il tiro successivo parte con un pugno sui denti di 5.10, e poi i colpi al basso ventre li ricevi nei diedri e nelle placche successive. Stupenda visione dalla cima, e discesa eterna come il nostro mal di schiena (tre doppie ed un canalone interminabile, 4 ore). All’attacco in un’ora. 26 diario alpino Quattro immagini di “Black Orpheus” In senso orario: il percorso Roberto Gardellin sulla placca in doppia lungo la via Leri Zilio sui tiri finali 27 il personaggio il personaggio di Leri Zilio Tito Paresi 28 Pomeriggio del 6 settembre 1931. Pale di San Martino, Cima della Madonna. Lungo lo Spigolo del Velo Tito Paresi sta compiendo una manovra di corda. Con l’aiuto dei compagni si sta calando in doppia giù per uno strapiombo. Improvvisamente, per una tragica fatalità, la fune che lo sostiene gli si attorciglia attorno al collo, ed in pochi minuti, lo strozza. Assistono sgomenti ed impossibilitati a soccorrerlo il cognato Leandro Tallon e le guide Granzotto e Carlesso. Termina così in maniera prematura la vita di una figura di spicco della realtà patavina. La sua morte ha una vasta eco nella città tutta, sia nell’ambiente forense ed universitario che in quello politico. Questo perché l’avvocato Tito Paresi è personaggio conosciutissimo, non solo per le due medaglie d’argento ricevute come ufficiale durante la Prima Guerra Mondiale, ma anche e soprattutto per la carica appena ricoperta di Preside della Provincia. Di lui si occupa anche la stampa nazionale, ed Achille Beltrame illustra l’incidente sulla prima pagina della Domenica del Corriere del 20 settembre 1931. Tito nasce a Padova il 21 ottobre 1895. Il padre Francesco Emilio è un avvocato molto attivo nella vita politica della città. La madre Leonilde Maluta proviene da una famiglia influente, basti pensare che il di lei padre era stato Presidente della Camera di Commercio (dal 1878 al 1884) e tra i fondatori della Banca Veneta. Il ragazzo cresce in un ambiente tipicamente borghese, moderato e solido finanziariamente. E se la morte prematura dei genitori non gli crea comunque problemi economici, lo segnerà però per sempre a livello affettivo e caratteriale. Nei suoi scritti traspare sempre una mestizia di fondo, una tristezza, una leggera infelicità che fa supporre il dolore mai superato per quella grave perdita. Nel 1913-14 si iscrive al Corso di Laurea in Legge all’Università di Padova, e sempre nel 1914 presta servizio militare come soldato volontario nel Reggimento Lancieri di Milano. Nell’ambiente universitario fa sue le idee del movimento interventista, tanto da partecipare alle operazioni della Prima Guerra Mondiale come ufficiale di complemento prima tra i Cavalleggeri, poi tra i Bombardieri ed infine tra gli Arditi. Il Paresi ci ha lasciato una preziosissima memoria scritta di questa importante parentesi della sua vita. Un suo manoscritto è stato ritrovato anni fa nella soffitta di una casa colonica di Gaggio, nel comune di Marcon (Venezia). Se adesso noi lo possiamo conoscere e consultare è merito il personaggio dello studioso e ricercatore di storia locale Luigino Scroccaro che lo ha riordinato e fatto pubblicare. Finita la guerra ed ancora prima di congedarsi si laurea in Legge il 15 ottobre 1919. Subito inizia ad esercitare la professione nello studio privato degli avvocati Lovadina e Milani, personaggi notissimi, in particolare quest’ultimo che sarà anche sindaco della città dal 1920 al 1924. Quando il 24 febbraio 1923 viene nominato presidente della Fondazione Provinciale Combattenti e Reduci egli sta già lavorando per suo conto. Lentamente si inserisce sempre di più nella vita cittadina, e sono parecchi gli incarichi che va a ricoprire. Da Presidente del Comitato della Croce Rossa di Padova, ad Amministratore della Cassa di Risparmio di Padova ed ancora membro del Consiglio Provinciale dell’Economia, Consigliere dell’Ente Fiera e Presidente del Consorzio Provinciale Antitubercolare. Nel 1924 sposa Nerina Elettra Tallon appartenente ad un’importante famiglia di Sacile che pochi anni dopo gli darà il figlio Francesco. Il 6 marzo 1930 assume la carica di Preside della Provincia di Padova, e a questa sua reggenza viene riconosciuto il merito di una saggia ed onesta amministrazione. Un anno dopo però rassegna inspiegabilmente le dimissioni, e tutto fa supporre che a dettare questa sua soluzione siano le sue cattive condizioni di salute. Durante la guerra è stato gravemente ferito e da poco ha subito un intervento chirurgico. Sceglie di trascorrere la convalescenza nella villa di famiglia a San Martino di Castrozza. Qui ci sono le sue montagne e qui può dedicarsi alla pratica dell’alpinismo, fortissima passione che condivide con i cognati Arrigo e Leandro Tallon. La tragedia avviene in settembre, e per onorare il suo amore per la montagna la moglie elargisce 10.000 lire alla Federazione Fascista quale primo contributo per la costruzione di un rifugio alpino a lui intitolato. Purtroppo per motivi burocratici questo non avviene ed il fondo viene trasferito nell’organizzazione del campeggio estivo (Tito Paresi) gestito dal CAI. Dopo solo due anni l’iniziativa cade e tutto si perde nell’oblio. Parlano per lui i suoi diari, una foto giovanile i cui tratti ci fanno intuire un uomo schietto e volitivo, la copertina di una rivista che ne illustra compiutamente la fine beffarda. E poi le lapidi. Due fredde lastre di marmo, una posta nelle vicinanze del luogo dell’incidente e l’altra all’ingresso del cimitero di Teolo. Tito Paresi è il primo nome del triste elenco dei soci padovani caduti in montagna. Notizie tratte da: “Tito Paresi - Dal Carso a Fiume (memorie di guerra 1917-1918)” a cura di Luigino Scroccaro Ed. Canova 29 le chimere le chimere Burel, di Alessio Roverato Miotto-Bee di destra 30 La Miotto-Bee di destra era una via che avevo da tempo nel mio personale elenco “vie da fare”… Così sabato 30 agosto mi ritrovo con Beppe Ballico a risalire un muro di erba e mughi per arrivare all’attacco della suddetta via. La scalata inizia facile e mentre si fa sicura al compagno non si riesce a fare a meno di ammirare l’ambiente straordinario che ci circonda. Il tempo rimane bello fino a quando arriviamo alla cengia mediana che attraversa tutta la parete del Burel… qui infatti veniamo avvolti da una fitta nebbia che non ci permette di vedere dove proseguire. Ad un certo punto però con una brevissima schiarita riusciamo a vedere la parte alta della via che è costituita da un impressionante diedro giallo tutt’altro che rassicurante. Con un paio di lunghezze di corda ci ritroviamo su quello che dovrebbe essere un comodo posto da bivacco e invece con pazienza dobbiamo lavorare un’ora e mezza per ricreare un giaciglio decente dove poter passare la notte. Purtroppo la nebbia non se n’è andata e ci sembra di essere appollaiati su un terrazzo in mezzo alle nuvole… Nonostante questo sono felice di essere in quel posto fuori dal mondo dove finalmente non devo pensare a niente e dove c’è quel senso magico della vera avventura. Ci infiliamo nei sacchi da bivacco e cerchiamo di dormire qualche ora anche se i sassolini che ci ammaccano la schiena e il freddo fanno di tutto per impedircelo. Alla mattina presto un brutto ticchettio ci distoglie dal dormiveglia… è la pioggia che per un’ora ci fa penare finché poi se ne va. Dobbiamo attendere fino quasi alle 9 perché la parete asciughi, dopodiché parto per il tiro chiave della via: 45 metri di artificiale su roccia non propriamente buona che mi terranno impegnato per tre ore. I pochi chiodi presenti su questo tiro si sfilano quasi tutti con le mani, però non mi impressiono visto il numero di anni che son là. Dopo questo difficile tratto la salita diventa più semplice, ma dobbiamo lottare contro il tempo perché l’ora è tarda le chimere e dobbiamo assolutamente arrivare in vetta prima del buio poiché c’aspetta una discesa che non conosciamo e siccome le riserve di acqua e di cibo sono quasi finite un altro bivacco sarebbe tutt’altro che salutare. Le lunghezze di corda si susseguono ma la via sembra non finire più… Alla fine sbuchiamo sulla cima del Burel alle 7 di sera e di buon passo iniziamo la discesa in compagnia della solita nebbia che ha voluto onorarci della sua presenza per tutto il giorno. Ad un certo punto però il sentiero sparisce invaso dall’erba e lo ritroviamo solo quando ormai è buio pesto. Arriviamo alla macchina dopo una bella passeggiata alla luce della frontale con le gambe che ormai vanno avanti per inerzia. La mattina dopo mi risveglio nel mio comodo letto con dolori ovunque causati dalla ragguardevole quantità di acido lattico accumulata nei giorni precedenti… Dentro di me però sento quel meraviglioso senso di gratificazione che solo vie come questa ti sanno dare. Ringrazio Beppe che ha accettato volentieri di venire con me in questo posto dimenticato dall’alpinismo “moderno”. Via del gran diedro di destra Burel, 2281 metri, pilastro Sud-Sud Ovest Primi salitori: Franco Miotto e Riccardo Bee il 23 aprile 1977 parte inferiore ed il 4 giugno 1977 parte superiore Probabile prima ripetizione: Beppe Ballico e Alessio Roverato 30-31 Agosto 2008 Difficoltà: VII e A2 Dislivello: 1100 m Sviluppo: 1200 metri (33 lunghezze) Dall’alto: il luogo del bivacco Alessio Roverato in parete Alessio a cena con Franco Miotto alpinismo giovanile alpinismo giovanile L’Alpinismo giovanile della sezione festeggia il Centenario Gran Paradiso 2008 di Pierdamiano Sconcerle Caro Presidente Armando, prestigiose Commissioni tutte della sezione CAI di Padova, genitori di tutti i partecipanti all’attività dell’Alpinismo giovanile del 2008, con grande gioia e un pizzico di orgoglio, la grande famiglia degli Accompagnatori di Alpinismo Giovanile, Vi comunica che martedì 5 agosto, tra le ore 9.00 e le 11.00, quasi tutte le cordate della “spedizione” al Gran Paradiso hanno raggiunto la cima a quota 4061. 1 90 8 08 19 t ’anni n Ce C AI PAD A OV 200 8 Questa rientrava nelle iniziative primarie per festeggiare i 100 anni della sezione, e poco importa se nel mese di maggio l’ampia pagina del quotidiano locale, abbia “omesso” di citare il programma della commissione più giovane della sezione. Lavorando io stesso nella stampa, ho subito pensato al classico “salto di righe” da parte della tipografia. Consentitemi ora, con queste righe, di mettervi al corrente di come siamo stati in grado di raggiungere l’obiettivo che all’incirca un anno fa ci siamo proposti. Come detto, un anno di preparativi. Le uscite dell’attività dello scorso anno analizzate in ogni minimo dettaglio. Ogni ragazzo e ragazza sono stati controllati, a loro insaputa da parte di tutti noi, per testare le loro capacità di resistenza, la loro attitudine a muoversi in ambiente alpino. I dati raccolti sono stati giudicati con estrema serietà e professionalità da parte di tutti noi e alla fine, si sono rilevati di estrema importanza nella realizzazione della spedizione. A fine gennaio, abbiamo così potuto tirare le somme e iniziare l’opera di invito a entrare in questo ambito progetto. Alla fine sono state 6 ragazze e 7 ragazzi, di età compresa tra i 14 e i 17 anni ai quali abbiamo dato fiducia. Si sono dimostrati tutti molto entusiasti e felici per essere stati invitati e questo ci ha spronato ad organizzare il tutto nei migliori dei modi. I mesi sono trascorsi veloci, e a volte sembrava che il tempo davanti a noi non bastasse a far si che tutto fosse pronto per agosto. 32 alpinismo giovanile Ci si incontrava tra noi quasi mensilmente, e ogni giorno, un fitto scambio di mail, compensava qualche dimenticanza. Infatti dovete sapere, che oltre alla normale attività di A.G per l’anno in corso, abbiamo dovuto organizzare delle uscite supplementari per far sì che i ragazzi si “acclimatassero” prima di giungere in Val d’Aosta. Ecco allora, che da maggio abbiamo iniziato con allenamenti settimanali di corsa e esercizi fisici sul lungargine del Bassanello e a volte al parco delle Brentelle. Per quanto riguarda le uscite pratiche, abbiamo convenuto di portare i ragazzi sul ghiacciaio della Marmolada, dove alla quota dei 2900 hanno imparato come si procede in ambiente innevato uniti in cordata, con l’ausilio di piccozza e ramponi. E’ stata inoltre fatta un‘uscita al Rifugio Brentari nella zona di Cima D’Asta, dove i ragazzi in una sola giornata hanno superato un dislivello di salita e discesa di circa 1000 metri. Ultima prova in programma, la settimana antecedente la partenza, è stato il M. Vioz nel Parco Nazionale dello Stelvio. In questi 2 giorni i ragazzi, nonostante il tempo inclemente sono arrivati tutti al Rif. Mantova al Vioz posto a 3535 metri. In quel giorno, davvero encomiabile lo spirito di sacrificio di tutti che sono riusciti a superare un dislivello di salita di 1250 metri e come se non bastasse hanno dovuto fare 1900 metri di discesa. Con queste premesse ci siamo dati appuntamento al Piazzale Azzurri d’Italia per la domenica successiva. E finalmente eccoci arrivati al grande giorno. Voglio sottolineare il fatto che per questa esperienza nulla è stato lasciato al caso!!!!! Abbiamo avuto dalla nostra parte perfino la “cabala” che dava da 3 anni a questa parte, il Gran Paradiso libero da nubi nella prima settimana d’agosto. Idiozia o meno, sono cose che noi accompagnatori abbiamo ritenuto molto incoraggianti, e questo ci ha spronato a lavorare sodo, per trovare ogni possibile soluzione, ad eventuali problemi che si fossero presentati. Siamo partiti da Padova in perfetto orario, sotto le direttive di Nicola e Davide, e dopo la sosta d’obbligo per la colazione nei pressi di Brescia, il pullman ha raggiunto Aosta dove una splendida e afosa giornata di sole ci ha accolto, consentendoci di pranzare al sacco e ……… invidiare coloro che si stavano tuffando nell’acqua limpida della piscina posta al di la della siepe dell’autostrada. Per onor di cronaca, ci è giunta voce che a più di qualcuno è passato per la testa di tuffarsi nell’invitante piscina e di rimanerci fino a sera!!!! 33 alpinismo giovanile Di li a poco, la “carovana” ha ripreso la sua marcia di avvicinamento al “campo base” posto nei pressi di Pont in Valsavarenche, a 1820 metri, che è stato raggiunto nelle prime ore del pomeriggio. Prove di manovre di corda 34 Sapientemente diretti da Valeria (responsabile del servizio logistico della spedizione), tutti i ragazzi hanno preso alloggio al “Refuge des Amies” all’interno del Campeggio Gran Paradiso. Scaricati zaini, viveri e vettovagliamento è stata concessa ai ragazzi qualche ora di libertà, mentre tutti gli accompagnatori coordinati da “mamma Mara” e “mamma Paola” si prodigavano nelle operazioni di disinfezione di posate e servizi sanitari (per ovvi motivi di sicurezza!!) e iniziavano la preparazione della cena serale. Intorno alle 17 tutti i ragazzi sono stati radunati per la lezione di ripasso sui nodi e le relative manovre di assicurazione della cordata. Poco dopo tutti si sono trovati nella cucina del “campo base” per condividere assieme una saporita cena a base di pasta e carne e sopratutto assaporare i gustosi dolci di Lorenza. Abbiamo terminato la serata nel migliore dei modi, ascoltando le “perle di saggezza” di Giuliano Bressan, che avendo creduto nel nostro gruppo, si è unito a noi per questa ascensione, regalandoci una serata di diapositive che ci ha fatto letteralmente volare in posti che forse non vedremo mai. Le sue diapositive del M. Bianco, i suoi viaggi a Petra in Giordania, le sue ascensioni nei deserti dell’ Algeria e del Mali, ci hanno fatto volare in altri mondi, rendendoci quasi partecipi delle sue avventure. E che vi ho detto all’inizio di questo racconto? Non ci siamo fatti mancare proprio nulla!!!! Avevamo perfino un Accademico del CAI! (ops……. scusa Giuliano…… so bene che non vuoi essere definito così!!!!!!!), un grande amico che seppur in modo virtuale ci ha spedito a letto con tanti sogni da immaginare. Il lunedì dopo la colazione, sotto lo sguardo inflessibile di Elena, che registra la nostra presenza, eccoci risalire nel pullman che in poco tempo ci ha portato al termine alpinismo giovanile della Valsavarenche. Come sempre succede, ecco la prima defezione. La Chiara da forfait per un principio di influenza. Breve consulto tra accompagnatori e “mamma Mara” e l’allieva rimane al “campo base”, diventando peraltro punto di riferimento per i collegamenti “via radio” tra le cordate e il “campo base” nella giornata odierna e soprattutto in quella del giorno successivo. Dopo l’obbligato rito della foto di gruppo, il “countdown” sancisce che è giunta l’ora di fare sul serio. Eccoci partire di buona gamba alla volta del Rif. Vittorio Emanuele posto ai 2735 metri. Il gruppo forte e compatto lo raggiunge in un paio d’ore e verso mezzogiorno è bello che “appollaiato”, a gustarsi il sole splendido dell’alta montagna. Per non incorrere nel rischio di avere problemi di quota durante la notte, nel primo pomeriggio siamo saliti a quota 3000, alla base della parete del Ciarforon, dove tanto per cambiare i ragazzi sono stati praticamente obbligati a “insegnarci” i vari nodi e i sistemi di assicurazione. È stata inoltre fatta una gara tra maschi e femmine sulla velocità di preparazione di una cordata. Non sto qui a raccontarvi com’è finita in quanto entrambe le cordate hanno saputo mettere in pratica al meglio tutto ciò che hanno recepito nelle uscite precedenti. Al termine della giornata ecco il secondo inconveniente. Un’altra ragazza, Sofia, accusa uno strano malessere. Sangue dal naso, mal di testa e totale inappetenza, inducono gli accompagnatori a convenire di non tentare nemmeno l’ascesa alla cima del giorno dopo. Tocca all’aiuto accompagnatore Nicolas il “sacrificio” di rimanere in rifugio per non lasciarla sola, e seguire da vicino le condizioni della malcapitata. Nell’ultimo collegamento odierno il “campo base” viene informato della situazione, e malinconicamente ne prende atto. Ridiscesi al Vittorio Emanuele, ci siamo preparati per la notte. Dopo aver cenato intorno alle 19, il gruppo è salito alle 21.30, nella camerata posta nel sottotetto del rifugio e ha cercato di riposare un pochino. Credo che quella notte nessuno di noi abbia dormito, in Sistemazione nel sottotetto del rifugio 35 alpinismo giovanile quanto le “sfuriate” del vento davano l’impressione di volerci portare via il tetto. Come non bastasse, proprio dalla parte opposta alla nostra posizione dei strani “gorgheggi” scandivano i minuti! 36 Il martedì la sveglia ordinata dagli Accompagnatori, è suonata alle ore 3.30 e alla luce delle lampade frontali ognuno si prepara. Dalle facce di tutti, si direbbe che nessuno ha dormito un solo minuto. Alle 4.00 nella sala del rifugio la colazione ci viene servita. Tutto attorno è un “brulichio” di persone con zaini e scarponi per mano che iniziano a prepararsi. Accidenti!! abbiamo la strana sensazione che non saremo soli a tentare la cima! Credo che siano stati pochi coloro che sono riusciti a quell’ora a ingerire qualcosa. Nonostante tutto alle 4.30 siamo tutti al di fuori del rifugio a prepararci. Il vento sembra essere cessato, e la “Via Lattea” mostra a tutti la sua maestosità. Ora abbiamo davanti un interrogativo. Come partiamo a livello di vestiario? Pesanti o leggeri? Rimango (come tutti), in silenzio qualche minuto e alla fine opto per la partenza in tenuta pesante! La difficoltà di Elena nella registrazione mentale dei presenti, mi fa capire che siamo tutti “imbacuccati” in modo pesante. Fuori è notte fonda, e alle 4.40 ci muoviamo alla volta della morena del ghiacciaio. Non appena girato l’angolo del rifugio il forte vento (pare fosse di 30 nodi che equivale ai 50 /60 km all’ora) ci accoglie e sembra ci faccia capire che ha la seria intenzione di guidarci fino alla cima. La comitiva procede nella notte, alla luce delle lampade frontali. Dopo circa un ‘ora di cammino, intorno ai 2900 metri, il gruppo è costretto alla sosta a causa, questa volta di un ragazzo che ha problemi di stomaco. Rapida occhiata tra tutti gli accompagnatori e repentino cambio di direzione del malcapitato. Questa volta è Davide a “sacrificarsi” e poco dopo Sean raggiungerà il rifugio riprendendosi in breve. La notte è lunga, attraversiamo ruscelli, anfratti, salti di roccia, il vento non ci da tregua. La natura del “Creato” si mostra in tutto il suo splendore notturno. Le stelle del cielo brillano come non mai. Per chi non è abituato a queste quote, non immagina nemmeno di come non sia l’universo quassù. La Via Lattea ci guida, e tra tutte le stelle che contiamo nel cammino, una risulta più luminosa delle altre. È la stella di “Anna Caenazzo”, la giovane allieva tragicamente scomparsa 6 anni fa in un “incredibile” incidente stradale in Val di Fassa durante un uscita dell’attività annuale dell’alpinismo giovanile della nostra sezione. Ebbene, io non l’ho conosciuta ma sono certo che lei ha guidato tutti noi verso la cima. Intorno alle 6.00 tutte le cordate sono all’inizio del ghiacciaio. Le prime luci dell’alba ci danno la garanzia che an- alpinismo giovanile che per oggi il bel tempo ci assisterà. In lontananza i primi raggi di sole illuminano le cime più alte, e il cielo ad ogni secondo varia in una interminabile sfumatura di colori pastello. Riposta nello zaino la lampada frontale, rimango ancora un istante ad ammirare l’arrivo del nuovo giorno, mentre il mio sguardo ritorna sulla “stella di Anna” che l’alba mi sta portando via. Grazie Anna per averci guidato nella notte, ora è giunto il momento che noi ricambiamo il favore. Tu oggi sarai con noi in cima al Gran Paradiso! Siamo a quota 3200 all’inizio del ghiacciaio e qui entrano in gioco i “pezzi da 90” degli aiuto accompagnatori (Sandro, Pietro, Marco e l’inesauribile Giuliano), che dopo aver esaminato con minuziosa scrupolosità gli allievi aprono la strada alla conquista della vetta. Ancora un inconveniente a quota 3800, per Marco che accusando una forte tallonite, costringe gli accompagnatori a un rapido riassestamento delle cordate, consentendo a Marco di ridiscendere a valle accompagnato questa volta dal sottoscritto. La lunga fila nel ghiacciaio 37 alpinismo giovanile Contattate via radio le cordate già giunte nei pressi della cima, grande spirito di abnegazione di Elena che ridiscesa alla quota inferiore è pronta a ripiegare verso il rifugio. In quel momento mi sono sentito appagato della quota da me raggiunta, e alla fine ho insistito perché fossi io ad accompagnare Marco. I giovani sulla forcella nei pressi della vetta 38 La Elena era da un anno che lavorava al progetto, mentre lo scrivente è entrato nel gruppo solo a gennaio di quest’anno. Mi è sembrato logico che lei stessa fosse presente alle foto di gruppo sulla vetta tanto ambita. Come ho detto pocanzi tra le 9.00 elle 11.00 di martedì quasi tutte le cordate erano alla base della Madonnina posta sulla cima sommitale del Gran Paradiso. Intorno alle 14 tutte le cordate sono giunte al Rifugio Vittorio Emanuele, stanche ma felici dell’esperienza fatta in ghiacciaio. alpinismo giovanile Dopo una breve sosta hanno ripreso il cammino verso il “campo base” (come non bastasse altri 750 metri di discesa!). Alla fine i ragazzi hanno superato un dislivello in salita di 1350 metri, e un dislivello in discesa di 2250 metri nell’arco della giornata. Per tutto il giorno il “campo base” è rimasto in contatto con noi praticamente “in tempo reale”, e non appena avuta la conferma che tutte le cordate erano in ambiente sicuro, lontano da pericoli, si attivava facendoci trovare al nostro ritorno delle ottime “bruschette” che credo rimarranno nella storia di questa esperienza. Alla sera, dopo che tutti i partecipanti si sono sistemati, una suntuosa cena ha decretato il termine della spedizione. Ci siamo permessi ( e che i genitori non ce ne vogliano!!!), di offrire un “mezzo bicchiere di vino spumante rigorosamente Colli Euganei!!” a tutti i ragazzi. Mai come in questo frangente sono stati meritevoli di questo. Abbiamo avuto il piacere, di ospitare tra di noi al termine della cena, il gestore del Camping Gran Paradiso, il quale ha speso parole di elogio per noi tutti, per la sezione di Padova e per l’attività di tutto l’alpinismo giovanile. Come non bastasse, ha omaggiato la sezione di Padova con un bel dono in legno con scritto “il Camping Gran Paradiso per i 100 anni del CAI di Padova”. Il giorno seguente, i volti tristi di quasi tutti, lasciavano ampiamente capire l’amarezza per il ritorno verso Padova. Fermati ad Aosta per un paio d’ore di shopping, siamo ripartiti alla volta di Padova intorno a mezzogiorno. Il pullman correva veloce in autostrada, lasciandosi alle spalle le magnifiche vette, i stupendi castelli fiabeschi, le meravigliose cascate. Anche il tempo ha voluto “piangere” con noi per la nostra partenza. Difatti appena lasciata Aosta e aver appena finito di consumare il pranzo al sacco, un violento nubifragio si è abbattuto sul nostro percorso. Alle 19 siamo giunti a Padova dove con gioia abbiamo trasmesso alle nostre famiglie le nostre sensazioni, le nostre emozioni provate. Ed ora consentitemi di passare ai saluti. Un grazie di cuore va agli Accompagnatori di A.G Nicola Franchin e Davide Selmin Un grazie va pure agli aiuto accompagnatori: Elena Crivellaro, Valeria Baratella, Lorenza Benato, Sandro Michielotto, Pietro Bozzolan, Marco Giampieretti, Nicolas Vanzetto, e un po’ anche al sottoscritto! 39 I T N SCO CIALI I SPE OCI CA AI S VISITA IL SITO www.cremasport.it CONCESSIONARIO 40 IMPOR • ALPINISMO • • TREKKING • • SCI • • SCI ALPINISMO • • SNOWBOARD • • ABBIGLIAMENTO SPORTIVO • • FITNESS • RTATORE IMPORTATORE CONCESSIONARIO 41 alpinismo giovanile Un grazie “speciale” va soprattutto a Giuliano Bressan, per tutto quello che ci ha trasmesso. Un grazie va anche all’ aiuto accompagnatore Paola Greggio, in questi anni di aspettativa, dovuti alla nascita della figlia Giorgia. Nonostante fosse impegnata come non mai, nell’accudire la “piccina”, non si è mai tirata indietro ad aiutarci, affinché tutto fosse a posto!! Un grazie a “mamma Mara Perin ”, e Elisabetta Sconcerle per il loro servizio di cucina e ristoro. Un grazie anche agli assenti: Gianni Montecchio , Paolo Bassanese, Fabio Crivellaro, perché in fondo se tutto è andato bene è stato anche per l’aiuto che loro ci hanno dato nelle uscite precedenti. Un bacio speciale alla Giorgia Bozzolan in quanto è stata la nostra “mascotte” Un grande “complimenti” a tutti i ragazzi. Grazie a loro siamo riusciti nel nostro intento e questo ci ripaga di tante fatiche. I nomi sono: Bado Michele, Capitanio Giulia, D’Agostino Silvia, Feo Elena, Gibellato Fabio, Lacagnina Sofia, Lazzaretto Filippo, Marson Giovanni, Masut Walter, O’regan Sean, Sconcerle Chiara, Tiso Francesca, Zecchinato Marco. Cari ragazzi, ancora due parole per voi. Io penso di esprimere anche il pensiero degli altri accompagnatori. La vita è fatta di salite e di discese e al giorno d’oggi è sempre più difficile decifrarla. Cercate sempre e comunque di trovare il sentiero che Vi consenta di camminare per le vie del mondo con serenità e consapevolezza. Valutate bene la strada che cercate di intraprendere, perché la vita è vostra e come certamente sapete è un bene prezioso. Sarebbe un peccato “sbagliare strada” per aver letto male la …. “cartina”. Siate fieri e orgogliosi di voi stessi. Questa esperienza ve la porterete dentro per tutta la vita, e quando le difficoltà vi si presenteranno, pensate a come avete fatto a raggiungere la vetta del Gran Paradiso in mezzo a tutto quel vento che vi ostacolava. Otterrete sicuramente del conforto, e il ricordo vi farà superare qualsiasi situazione. In bocca al lupo! 42 alpinismo giovanile La salita Al Gran Paradiso 4 agosto 2008 – Campeggio Gran Paradiso – Salita al Rifugio Vittorio Emanuele “Ore 8:30… siamo in partenza con il pullman! Da notare che le ragazze erano pronte prima dei ragazzi, anche se molto assonnate! Manca una componente femminile che abbiamo “perso per strada”: “la Chiara ha la febbre e mi ha lasciato sola in cordata” (Elena)! Adesso stiamo respirando intensamente e profondamente per recuperare il più possibile ossigeno, perché a 4000 m scarseggerà. Abbiamo degli zaini che pesano più di noi e non sappiamo se riusciremo a portarli fino al rifugio. Dal finestrino stiamo vedendo la parete nord del Gran Paradiso… non la vedremo fino a domani! Ripassiamo: come si fa una cordata? 1. si controlla che la corda non abbia nodi; 2. si trova la metà della corda; 3. si fa il nodo a otto lasciando un’asola di 40 cm e si assicura la persona in centro con un nodo barcaiolo; 4. nodo delle guide al primo e al terzo della cordata ai capi della corda; 5. si assicurano i due estremi di cordata con il nodo barcaiolo contando 6-8 metri dal centro; 6. si mette la corda avanzata nello zaino; 7. partenza!!!” “Partenza ore 9:10 dal parcheggio, arrivo alle 11 circa al rifugio. Siamo sopravvissute ai chili dello zaino!” (le ragazze) “Ciao! Stiamo per partire per provare a fare una prova nel ghiacciaio (credo) e per allenarci per domani, visto che 700/800 m non erano abbastanza! Per fortuna il tempo è bello… (a tratti). Gli zaini sono più leggeri! Adesso vado perché Nicola chiama!!!” (Silvia) “È sera e il vento soffia: il tetto scricchiola e trema. Fortunatamente siamo ancora vivi e vegeti per ora…” (Walter) “Ore 20:18 – Abbiamo appena finito di mangiare, siamo tutti cotti, rossi e sazi (la creme caramelle faceva schifo!!). E domani… sveglia ore 3 e mezza!!! Wow!! La Francy si è appena presa una botta in testa!!! Adesso facciamo gli zaini (che impresa!!), ci laviamo i denti e andiamo a letto (forse). Buonanotte!!” (Giulia e Silvia) 5 agosto 2008 – Salita al Gran Paradiso “Ore 4:40 - Siamo pronti per partire; il vento si è calmato ma fa freddo lo stesso. Partenza: le torce nostre e di altri alpinisti che tentano di scalare il Gran Paradiso illuminano la montagna come fosse giorno. Il sentiero si fa già difficile. Vicino si sente scorrere il torrente. Ore 5:40 – Un altro ragazzo (Sean) ci abbandona perché sta male. Intanto incomincia ad albeggiare, le montagne dietro di noi si fanno rosse. Ore 7:15 – Ci fermiamo sotto al ghiacciaio per imbracarci e metterci i ramponi. Incomincia a farsi più difficile la salita!” (Fabio) 43 alpinismo giovanile 44 4-5 agosto 2008 – Rifugio Vittorio Emanuele Salita al Gran Paradiso “Ore 21 – Tutti pronti per “andare a letto”. Alle dieci eravamo ancora tutti vispi e arzilli, per niente insonnoliti. Fuori il vento minacciava di scoperchiare il tetto del rifugio, cosa che per fortuna non è avvenuta. È buio, cala il silenzio ma non per molto; infatti alle undici la Giulia ha cominciato a chiedere a tutta la camerata: “Ma sei sveglio?” svegliando tutti. Poi Sean ha comunicato a Walter la sua insonnia e a mezzanotte precisa ha detto: “Ragazzi, perché non partiamo adesso? Io sono carico!”. Giuliano che aveva paura di essere svegliato dal russare della gente, prima di addormentarsi ha fatto il verso per attirare i gatti, anche se questo non è servito a molto però! Abbiamo scoperto una cosa su Giovanni: parla nel sonno; ad un certo punto si è messo a dire: “Due, tre, no anzi, due è meglio di tre” facendoci scoppiare tutti a ridere. La Silvia non riusciva a dormire perché aveva una molla sul cuscino e la Francesca rischiava di rimanere ibernata perché nel muro c’erano gli spifferi. Improvvisamente Sean e Walter si sono messi a discutere sui cloroplasti e sui problemi grammaticali (ultradifficile si scrive attaccato o staccato?) di Sean. La media delle ore di sonno è stata di circa due ore e mezza. Il risveglio non è stato così traumatico, alla fine alle tre eravamo tutti svegli e, tra zuccate e pile frontali, siamo scesi a fare colazione. Alle 4:30 eravamo in marcia, tutti provvisti della pila frontale. Camminare al buio è fortissimo! Vedere la gente che sale con la lucetta in testa sembra una processione. Purtroppo siamo partiti con due persone in meno: la Sofia si è sentita male la sera al rifugio, di conseguenza Nikolas è rimasto con lei. Non è stata l’unica persona che si è sentita male, Sean a circa 2900 m si è sentito male e assieme a Davide è tornato al rifugio. Noi abbiamo proseguito e verso le 7 siamo arrivati alla base del ghiacciaio, dove ci siamo imbragati e abbiamo fatto le cordate. Stranamente eravamo tutti ansiosi di partire, infatti dove ci siamo imbragati faceva un freddo terribile! Finalmente tutti pronti per affrontare 891 m di dislivello di ghiacciaio. Ognuno con il proprio passo e con il vento gelido in faccia camminava guardando lo splendido panorama che lo circondava. A quota 3800 m circa Marco è dovuto scendere insieme a Damiano a causa del suo tallone. Sfortunatamente la cima è sempre stata coperta dalle nuvole, ma non ci siamo fatti intimorire e abbiamo continuato la nostra salita. Verso le 10:40 siamo arrivati all’anticima a 4041 metri. Soltanto Sandro, Marco (accompagnatore), Giuliano, Michele e Filippo detto Potter hanno raggiunto la cima. Tutte le altre cordate sono dovute rimanere all’anticima a causa del brutto tempo e della troppa gente in vetta. Abbiamo dovuto abbandonare presto la nostra postazione a causa del freddo e dopo qualche foto abbiamo iniziato la nostra discesa. Scenden- alpinismo giovanile do ci siamo fermati a mangiare e con nostro disappunto la cima era ben visibile. Gli ultimi metri di ghiacciaio sono stati più movimentati. La Elena e la Francy continuavano a cadere perché la Giulia e la Silvia tiravano la corda, tanto che parecchi metri li hanno fatti con il sedere per terra. Dopo esserci tolti tutta l’attrezzatura è iniziata la nostra discesa al rifugio che è avvenuta in un’ora circa. Dal rifugio, dopo la brutta sorpresa di non trovare più le nostre cose, che avevamo lasciato nella camerata, e dopo aver scoperto che ce le avevano portate giù gli accompagnatori, siamo partiti alla volta del pullman. La discesa è stata estremamente infinita; gli ultimi metri sono stati i più difficili di tutta la giornata perché avevamo spalle, ginocchia e piedi distrutti, le nostre facce sfinite dicevano tutto. Arrivati al campeggio, con nostra grande gioia, ci siamo fatti una meritatissima doccia calda: che bello essere puliti e profumati! La cena è durata tantissimo perché la Silvia ha rotto un sacco perché le portate non arrivavano. Dopo cena sono successe un sacco di cose: importantissimo il brindisi al nostro gruppo e alla salita alla cima. Discorsi vari di capo campeggiatore, Nicola e Davide. Combattutissime partite a calcetto e risate con Nikolas. Prima di andare a letto siamo salite a salutare i ragazzi. Incredibilmente Giovanni ci ha svelato i segreti per fare il suo “preziosissimo” cubo di Rubik senza che noi capissimo niente. Con parole molto “gentili” ci hanno madato giù, ma noi ragazze eravamo ancora in forze per scendere giù in cucina con Nikolas e Sandro e ridere e scherzare. Molto importante è quando la Francesca si è cosparsa la faccia con l’olio per le mani che la faceva sembrare una friggitrice. Solo dopo 21 ore e 5 minuti (calcolate da Silvia e Giulia) siamo andate a letto, stanche ma soddisfatte di aver raggiunto i 4000 m… sembrava impossibile ma ce l’avevamo fatta!!! Questa mattina Nikolas ci ha svegliato facendoci il solletico ai piedi e levandoci le coperte. La colazione era prevista per le 8:00 e noi ci siamo alzate alle 7:55!!! Dopo aver fatto le valigie e l’ultima foto di gruppo, siamo partiti per visitare Aosta. Ore 15:07 la Giulia, dopo aver rotto per una giornata intera, per la gioia di tutti ha finito le foto! Ci è dispiaciuto molto che la Francesca non ha fatto il viaggio con noi perché è rimasta in campeggio con i suoi genitori. A malincuore ora stiamo tornando a Padova, ma siamo tutti speranzosi che presto si possa ripetere un’avventura di questo genere (secondo la Giulia nell’Everest).” Grazie a tutti Elena (la scrittrice) Silvia e Giulia “N.B. La Giulia ha fotografato l’uccellino valdostano!!!!” (Silvia) 45 alpinismo giovanile - “Dopo mezzora di ghiacciaio avevamo già lasciato indietro di molto tutti gli altri tanto che Giuliano pensava di arrivare in cima per le 9… a circa 3800 m io (Michele) ho cominciato a rallentare e a farmi tirare su da Giuliano e Filippo…è a questo che serve una cordata! Siamo arrivati alla forcella a 4000 m poco prima delle 10.00 e Giuliano ha deciso di fare un “percorso alternativo” per arrivare in cima….TERRIBILE. In questo sentiero c’era un po’ di arrampicata e Giuliano e Potter mi hanno lasciato indietro…che Potter si sia aiutato con la magia? Per me (Filippo) la salita alla vetta del Gran Paradiso è stata una sfida con me stesso e ho imparato a faticare molto per raggiungere una meta importante. In cima abbiamo fatto qualche foto sotto la Madonnina. Eravamo contenti di aver raggiunto la cima ma delusi dal panorama: vento e nuvole….” (Filippo – Potter, Michele) 46 I MOMENTI DI SVAGO 4 agosto 2008 - “Le ragazze hanno vinto la gara di cordata! Nonostante i maschi ritengano che siamo state favorite… ovviamente questo non è vero…” (Elena) - “Certo, come no!!!! Per una volta gli istruttori hanno voluto farvi sentire importanti, in quanto la dominazione fisica e mentale è indiscussa” (Sean) -“Ciao a tutti!!! Mi sa proprio che l’alta quota mi fa male… Sto andando fuori di testa!!! Mi sto divertendo un mondo anche se camminare su e giù per il rifugio mi fa venire la gobba!” (Francy) - “Vedi Francy! Essere bassi ha i suoi pregi! Con il mio modesto metro e cinquanta non prenderò mai zuccate alla testa! P.S. Walter, io e Giulia ti ammazziamo se ci bagni ancora con l’acqua gelida del lago!” (Elena) Ore 11.00 p.m. – 5 agosto 2008 - “Dopo che le ragazze sono scese, persuase dalle gentili parole di Sean, ebbe inizio il piano B complottato da me e Marco, con la partecipazione speciale di Sean, Michele e Fabio, ai danni di Giovanni (il piano A comportava l’utilizzo del dentifricio ma per problemi tecnici è stato realizzato solo in parte). Strisciammo così lentamente verso lo zaino, dove era contenuto il cubo di Kubick (che volevamo fare tinta unica!!!!). Ma all’improvviso Giovanni, avendo intuito tutto, prese in mano il suo faro e ci respinse tutti alle nostre postazioni d’assalto (i letti). Lo scontro continuò per minuti e minuti ma tutti i nostri stratagemmi (molti dei quali prevedevano l’uso di piccozze) per prelevare l’obiettivo dallo zaino andarono in fumo. Fortunatamente anche noi possedevamo un’arma segreta più potente dello stesso faro di Giovanni: il led di Sean. Forti di ciò accecammo il nemico e gli rubammo lo zaino. Dopo aver cercato per 5-6 alpinismo giovanile volte il cubo scoprimmo che era stato trasportato altrove, con l’aiuto di Giovanni, sotto i pantaloni dello stesso. Così ci riorganizzammo e partimmo nuovamente all’attacco. Un grido furioso sopraggiunse dalla parte opposta della “stanza”: “smettete di fare casino, voglio vedere se poi domattina vi svegliate alle sette!!!”. Così dovemmo sottostare a ciò perché non potevamo contrastare il potere ed il volere del presidente. Così ci rifugiammo nei nostri letti e abbandonammo il piano B.. per il momento…..” (Walter e Fabio) 6 agosto 2008 - “Ore 7.30 ci svegliano; non c’è nessuna voglia di svegliarci perché eravamo stanchi dall’ascesa del Gran Paradiso e soprattutto dalla dura battaglia per prendere il cubo a Giovanni; infine veniamo a scoprire che il cubo lo aveva nascosto in una tasca dei suoi pantaloni che aveva addosso ancora sporchi dal dentifricio sparso la sera prima.” (Fabio)” - “Ci siamo dimenticate di aggiungere una cosa: la sera al Vittorio Emanuele abbiamo trovato una nuova parola per chiamare Walter e Sean contemporaneamente: wash= WA (Walter) e SH (Sean)” (Elena e Silvia) - “Anche se mi sono ammalata devo dire che mi sono divertita! E spero di rifare una gita come questa molto presto!!!!” (Chiara) - “Sofia peso morto - nella discesa degli sfortunati ricoverati (Marco, Sean e Sofia) la cordata era ben formata: Marco, abile leader esperto arrampicatore, Sean, svitato ma con trovate geniali, e per non dimenticare il più inutile membro della cordata: Sofia! Cosa si fa in cordata se un membro importante cade in crepaccio? ……si butta Sofia nel crepaccio per fare da contrappeso!!! (ovviamente se cade Sofia si taglia la corda). Come se non bastasse sopportare la sua presenza..durante la discesa ha disturbato la cordata con un’inutile perdita di sangue dal naso?!! Ma ti pare!!! Sofia, invidiosa delle capacità del resto del gruppo, preparò una diabolica arma: un’affilatissima piccozza pronta ad infilzare il viso dei due leaders di cordata. Quindi in conclusione “Sofia è un peso morto” (Marco, Sean, Sofia) I RUMORI IN BAGNO - “Come si sa l’acqua in rifugio è fredda; è micidiale doversi lavare le ascelle con l’acqua nel rifugio; la Elena, la Giulia e la Francesca hanno fatto dei versi molto strani lavandosele… la Silvia intanto era in bagno e quando è uscita la Giulia ha riassunto i versi che abbiamo fatto; appena li ha sentiti è scoppiata a ridere e si è fatta la pipì addosso; per fortuna eravamo in bagno”. (Elena e Silvia) 47 alpinismo giovanile 48 CHE COSA DIRE ANCORA DI QUESTI QUATTRO GIORNI? Appare doveroso, innanzitutto, ricordare il discorso del Presidente al camping “Gran Paradiso” che, con tono intimidatorio, tra il ping pong e il biliardino ammonisce i ragazzi a rispettare le regole del campeggio: “Mi raccomando, non fate casino... ci mandano via...”. Sarà l’autorevolezza dello “zar Nicola” o la consapevolezza della difficoltà dell’impresa, fatto sta che tutti gli allievi si presentano puntuali all’appuntamento pomeridiano per il ripasso delle manovre; dopo essersi districati tra corde, imbrachi e moschettoni si avventano affamati sui tavoli già imbanditi per la cena, contribuiscono “spontaneamente” al lavaggio dei piatti e poi, via, a preparare gli zaini per la grande salita. Il giorno dopo tutti operativi (o quasi) e decisi a conquistare il Vittorio Emanuele: zaini pesanti, vento incessante, ma finalmente la meta arriva... giusto il tempo di riprendere fiato e mangiare qualcosa pri-ma di andare ad allenarsi a quota 3000 m. Qui, tra sgambatine “di rifinitura” e gare di cordate all’ultimo respiro, ci si prepara ad affrontare il duro ambiente del ghiacciaio. Alle 21.00 in punto, dopo una lauta cena a base di omelette “alla Bressan” e “cose strane con lo speck”, ci si infila nei loculi del sottotetto, chi a russare allegramente, chi a “fare il micio”, chi ad ascoltare il vento e chi a cercare di dormire almeno qualche ora, fino a che il grande momento arriva: sveglia alle 3.30, colazione alle 4.00 e partenza alle 4.30… sguardi allucinati e molti sbadigli, ma tutti pronti sul terrazzo del rifugio con racchette in mano e pila in fronte. Lo scenario è fantastico: una lunga scia di luci tra le rocce sconnesse delle morene e sotto una splendi-da stellata… cosa desiderare di più? Le ore passano, il sole appare all’orizzonte, la quota aumenta, la temperatura scende e anche il vento inizia a farsi sentire, ma il gruppo, compatto, non molla. Qualche piccolo cedimento, brevi soste per recuperare le forze, “leds” che iniziano a emettere una luce sempre più flebile, ma alla fine ecco la cima spuntare tra le nuvole. Il panorama non è dei migliori, ma l’obiettivo è raggiunto: la quota 4000 m è sotto i nostri piedi e la soddisfazione è grande. Non tutti riescono a toccare la madonnina sulla vetta, le condizioni del tempo e l’eccessivo affollamento dell’ultimo tratto non lo consentono, ma la montagna è così: non ci sono vincitori o vinti, ma un’unica grande signora che bisogna sempre rispettare e mai sottova-lutare. Foto di rito, con le bandane gialle al collo e il grande aquilotto che volteggia sul manto nevoso del ghiacciaio, e poi il rientro, prima al rifugio Vittorio Emanuele e quindi al parcheggio. L’accoglienza al campeggio è fenomenale, con bruschet- alpinismo giovanile te appena sfornate e doccia calda… un sogno!! I ragazzi sono stanchi ma felicissimi e dopo la cena di festeggiamento e i saluti locali non mancano le sfide a biliardino e ping pong “estremo” con pila frontale. Alla fine di queste quattro meravigliose giornate possiamo solo dire grazie a tutti quelli che ci hanno sostenuto, sia prima che durante il soggiorno in valle, preparandoci goduriose cene e colazioni. Ma so-prattutto un ringraziamento speciale va a tutti i nostri ragazzi, che, forse un po’ per loro natura e un po’ per il coinvolgimento trasmesso via via dalle uscite di preparazione e da quella finale, si sono dimostra-ti tenaci nella dura salita e molto collaborativi con gli accompagnatori (che vivamente ringraziano!!) e sono riusciti a creare un gruppo così ben affiatato e legato da una bella e sana amicizia, che non ha la-sciato spazio ad atteggiamenti negativi o discutibili. Noi accompagnatori, grazie a loro, abbiamo vissuto momenti in completa armonia e da parte nostra vo-gliamo fare un augurio forte e sincero, perché i ‘nostri’ ragazzi continuino tutti su questa fantastica strada… sempre in salita e in compagnia … di tutti! Elena e Valeria UNA SALITA…PARTICOLARE di Giuliano Bressan La vicenda ha inizio nella primavera scorsa durante un incontro conviviale. Si discuteva sui programmi dei corsi proposti delle varie commissioni della nostra Sezione e la mia attenzione fu attratta dall’uscita sul Gran Paradiso organizzata dall’Alpinismo Giovanile. Con Davide Selmin, uno degli accompagnatori del Gruppo, resto d’accordo che se nel periodo previsto per l’ascensione non avrò altri impegni, parteciperò molto volentieri all’ambizioso programma. Diverse erano le motivazioni che mi spingevano a prendere parte all’uscita, oltre a ritornare sulla cima di un 4000 che avevo raggiunto in una primavera di più di vent’anni fa con una bellissima sci-alpinistica. M’interessava soprattutto condividere quest’esperienza, per confrontarmi con allievi diversi, molto più giovani rispetto alle normali fasce d’età degli iscritti ai vari corsi della nostra Scuola di Alpinismo e per osservare come lavoravano, didatticamente e sul terreno, altre figure titolate. Riesco proprio il sabato precedente alla partenza a superare un ultimo ostacolo ed a partecipare all’uscita; a bocce ferme posso sinceramente affermare che l’esperienza è stata, soprattutto dal punto di vista umano, accrescitiva e gratificante. Con i ragazzi, nonostante ci siamo visti e conosciuti solo 49 alpinismo giovanile alla partenza della gita, non è stato difficile entrare in sintonia; nei quattro giorni di vita comune ho potuto valutare come, pur nella loro (ma anche nostra) realtà quotidiana sempre più allacciata alle comodità ed alla tecnologia (telefonini, iPod, ecc.), esista ancora lo spazio e la voglia di fare della sana fatica. Durante la salita, nonostante un vento forte e freddo che poteva minarne la determinazione, ho piacevolmente apprezzato la caparbietà e la volontà di questi giovani; ho scorto nei loro occhi la delusione e la tristezza per qualche forzata rinuncia, le incertezze ed i dubbi sulle proprie capacità e possibilità ed infine, la soddisfazione e la gioia nel raggiungere l’ambita meta. Senza dubbio buona parte dell’entusiasmo dimostrato da questi ragazzi è trasmesso dalla gran carica degli accompagnatori dell’Alpinismo Giovanile; a loro va il merito di aver trasferito una precisa, seppur di base, preparazione tecnica e l’applicazione nelle varie uscite di un ponderato e graduale impegno. Osservandoli nel loro agire, sia durante le varie fasi della salita che nella gestione complessiva dei ragazzi, ho potuto riflettere e valutare l’onerosa mansione e la gran responsabilità che si assumono nello svolgimento delle loro uscite. Suscitare interesse verso gli ambienti naturali, è un compito delicato e prezioso. L’accompagnatore non si limita alla sola conduzione dei ragazzi sul terreno ma insegna e trasmette loro le nozioni necessarie per frequentare e percorrere con sensibilità, rispetto e sicurezza, ambienti affascinanti ma potenzialmente pericolosi. Un’altra funzione, forse la più importante, riguarda l’aspetto educativo e psico-pedagogico. Mi sono reso conto come questi obiettivi sono stati cercati e raggiunti, prima attraverso un dialogo ed un rapporto costruttivo fra accompagnatori e ragazzi, poi tramite il gioco ed il coinvolgimento, adottando il metodo dell’imparare facendo. In questo contesto l’ambiente naturale diventa il teatro in cui i ragazzi, misurandosi e confrontandosi con fatica, passione e gioia, vengono aiutati nella loro crescita fisica, psichica e morale. Al termine della salita, non mi resta che inviare un grande plauso ed un sentito grazie agli accompagnatori ed ai giovani per la bella esperienza condivisa con l’augurio che il Gran Paradiso sia solo la prima tappa verso orizzonti sempre più alti. 50 alpinismo giovanile Escursione per la pace Traumatica sveglia di sempre e ritrovo in Piazzale Azzurri tutti pronti a partire per una nuova avventura insieme agli accompagnatori e a qualche coraggioso genitore. La meta di oggi è il Monte Verena, sull’Altopiano di Asiago; siamo pochini, probabilmente qualcuno è ancora in vacanza, ma alla partenza il morale è alto anche solo per le battute che volano nell’aria tersa del mattino. E poi, radunati gli ultimi e raccolte un po’ le forze… si parteeeeeee…. Dal finestrino della macchina che lenta mangia l’asfalto tra le curve del Costo lo sguardo si perde nel turchese di Chiara Tedesco 24 agosto 2008 ore 7.00 51 alpinismo giovanile di un cielo mai visto così limpido. La giornata è davvero stupenda! All’arrivo si parcheggia vicino ad una malga e si scaldano i muscoli per incamminarsi e raggiungere la cima che da giù sembra lontana; e si comincia anche a chiacchierare, conoscere persone nuove, osservare il bosco e sentirne gli odori, faticare in salita e apprezzare, come sempre, un tronco rovesciato o un sasso su cui riposarsi un attimo. Poi, stanchi ma felici, si arriva alla cima e al rifugio che prima si vedeva piccolo piccolo. Dopo un buon pranzo abbondante ci muoviamo un po’ per raggiungere la croce, poco più sopra, proprio in cima, dove ci concediamo le foto di rito e qualche minuto di sole. Qui c’è anche un vecchio fortino di guerra abbandonato e stanco; un luogo di guerra per un’iniziativa per la pace: Ekecheiria!!!! Ekecheiria era il nome che i Greci davano al periodo di pace fra le genti elleniche durante i Giochi di Olimpia. Questo è anche il nome che è stato dato all’ iniziativa che quest’anno ha coinvolto tutte le sezioni di alpinismo giovanile d’Italia. Sedici giorni prima, l’otto agosto, a Pechino si è dato il via ai giochi olimpici, quest’anno particolarmente contestati perché, com’è noto, la Cina non brilla nel campo dei diritti umani. Noi siamo però convinti che la montagna possa unire e aiutarci a far valere il nostro messaggio di pace e lo dimostriamo in questo modo: proprio nella giornata della chiusura dei giochi olimpici, insieme ad altri 204 gruppi di alpinismo giovanile, in rappresentanza dei 205 comitati olimpici di tutto il mondo, siamo saliti in 205 vette differenti tra cui il monte Olimpo e qui abbiamo acceso una fiaccola perchè il periodo di pace, ekecheiria, non si limiti solo alla durata dei giochi ma continui per sempre, ovunque. E così, su una vetta che è stata molti anni fa un macabro teatro di barbarie dettate solo dall’odio (24 maggio 1915), noi abbiamo acceso assieme un fuoco in onore della pace cui ha diritto ogni uomo, con la speranza che essa riesca a farsi strada anche controcorrente e prima o poi pervada il cuore di tutti gli uomini. La discesa a valle è stata molto veloce ed allegra, con i ragazzi che correvano avanti e qualche temerario che si distaccava dal gruppo alla ricerca di reperti di guerra. La giornata si concludeva, come tradizione vuole, con il classico “spuntino” prima di partire e l’acquisto da parte di qualcuno di formaggi locali della malga. E’ stata proprio una bella giornata ricca di tante cose, di tante persone diverse ma unite dalla stessa passione per la montagna, di grandi ideali condivisi con tanti amici. 52 escursionismo escursionismo Bella e quasi straordinaria è la vita sedentaria: trascinarsi, piano-piano, dal computer al divano; ceder senza nostalgia a ogni nuova leccornia. Ma poi un giorno è capitata una scelta sciagurata: basta ad ozio e libagioni per un corso di escursioni. Sono molte le lezioni e, per casa, relazioni; per chi dice: “tutto qui?”, c’è la corsa al Martedì. Ecco il primo appuntamento: argomento “abbigliamento”. Riceviamo un prontuario con le scelte sul vestiario: se la scarpa e il calzettone destan massima attenzione, micropile ed antivento metton tutti in gran fermento. Siamo quindi ad affrontare l’escursione inaugurale: zaino Invicta sulle terga ed ai piedi...le Superga. Ma il percorso da’ il fiatone più di ogni previsione. “Alla faccia beneamata dell’innocua passeggiata!” pure Enrico si corresse scaricando il GPS. Siamo dunque escursionisti o convinti masochisti ? Si fatica e si scarpina anche in Valle Imperina Di sicuro non ti perdi qui tra boschi e prati verdi ma, tra erba e foglie secche, puoi beccarti anche le zecche. Ed al fin dell’escursione non ci manca...l’acquazzone! Tocca poi all’orientamento causa prima di tormento. Or la carta è un brutto affare con la bussola orientare; di Marco Rubini Resoconto in rima incerta del nostro corso di escursionismo 53 escursionismo 54 ma lo studio dà i suoi frutti grazie a Lello, ormai, “per tutti”. “Questo meteo è un terno al lotto” ci comunica Beriotto; lo conferma, non da solo, pure l’Arpav di Teolo. “Cielo azzurro e sole giallo” si sbilancia lo Zagallo, che fiducia sempre infonde soprattutto alle 2 bionde... A smentire questa terna, l’altopiano di Luserna: dove a bussole e cartelle son seguite le mantelle. Poco male, s’è pensato, ‘ché nessuno ha controllato il percorso a noi assegnato. Per fortuna il sole impazza quando andiamo in Cavallazza. Braghe corte e canottiere or si indossan con piacere; ma la sera, che avventura, è lenir la scottatura... Ben due pullman e il lor corredo giungon fino al Lavaredo: qui partiamo forti e belli pel rifugio Locatelli. Ma dobbiam presto frenare: c’è una cacca da osservare, poi un blocco di arenaria dalla storia millenaria, “Guarda, un fiore superfigo” ce lo mostra...Gianni Frigo! Ma la nuvola è in agguato, lo sa bene ogni impiegato, pur stavolta, per cambiare, arriviamo da strizzare. Poco più d’una semana e affrontiamo il Col di Lana; ma lo sforzo certo vale, c’è una coppia eccezionale: infatti a Gianni, in grande riscossa, s’affianca stavolta Antonella la rossa. Questi custodi di cultura e di idee ci guidan pazienti tra boschi e trincee, tant’è che la sera, nella conferenza, ci addormentiamo...con riconoscenza. Il giorno dopo sveglia alle 3 (!!), ci aspetta l’ascesa del Piz Boè: saliamo con gioia e gran leggiadria ...almeno nel tratto di funivia. Poi, verso la cima, l’esempio ci sprona escursionismo dei 100 atleti della maratona Si prospetta un affaraccio l’escursione al Catinaccio, molti fuggono al presagio del consueto nubifragio. Siamo dunque una trentina all’Arcella la mattina, a sognare ingenuamente una gita divertente. Mentre andiamo senza fret’ al rifugio Vajolèt. ligi alle previsioni, ci accompagnan lampi e tuoni. Ovvio, l’acqua non è assente anche nel giorno seguente. Fu così che chi era pronto, a ritrarre un gran tramonto, tornò a casa mestamente senza aver scattato niente. Vero gesto di passione, ogni fine di escursione, è guardare senza lagna il gran film sulla montagna. Ghiaccio, rapide, burroni e fallite spedizioni; c’è chi dice, o meglio impreca: “Che sfigata videoteca!!” Ora è giusto che sugli allori salgano i nostri pazienti istruttori: c’è il magrissimo Renato da Roberta accompagnato; poi Antonio, il sapientone, cui non serve mai il maglione. Guido ha occhiali e barba bianca, tanto cammina e poco si stanca; Marco allegro sempre sale (un po’ meno sul Medale...); e infine Michele, il cravattato, che il sereno non sempre ha portato. Un pensiero riconoscente a chi ci ha guidato occasionalmente, ed ai molti capaci oratori incontrati alle Cave e fuori. Certo, il più amato della lista resta Gianni il naturalista, che ci ha tenuto sempre attenti, anche parlando di escrementi... Per chi ancora imperituro si arrovella sul futuro, il percorso è ormai segnato: ci vediamo all’Avanzato! Abbiate pietà nei giudizi... Alla prossima. 55 alpinismo alpinismo 46° Corso di Ghiaccio Anno 2008 56 Con una bella serata tutti assieme tra istruttori, allievi e amici vari presso la Trattoria da Berto a Boccon di Vò, lo scorso 3 ottobre si è concluso il 46° Corso di Ghiaccio della Scuola di Alpinismo “Franco Piovan” con la consegna degli attestati di partecipazione. Il Direttivo del corso era formato dall’IA Nicola Bolzan in qualità di Direttore, coadiuvato dagli IS Paolo Bassanese ed Enrico Toffanin quali vice-direttori, inoltre altri 11 istruttori hanno partecipato al corso. Al corso sono stati ammessi i seguenti 16 allievi, che lo hanno brillantemente superato: Baratella Valeria, Baroni Pietro, Bortolami Adriano, Crivellaro Elena, Epifani Magda, Faccini Carlo, Fontana Enzo, Galeazzo Riccardo, Giampieretti Marco, Michelotto Sandro, Pavone Enrico, Polese Paolo, Rizzardi Giovanna, Stramazzo Antonella, Turco Francesco, e Vanzetto Nikolas. Il programma delle uscite del corso è stato il seguente: - Rocca Pendice, cerimonia inaugurale dei corsi della scuola Piovan ed esercitazione di orientamento; - Marmolada, utilizzo di piccozza e ramponi, tecniche di progressione su ghiacciaio della cordata, manovra di auto-arresto, manovre di sicurezza e ancoraggi su ghiaccio, salite allo spallone di Punta Rocca e alla Forcella del Vernel; - Rifugio Bellavista in Val Senales, manovre di recupero da crepaccio, salita alla Palla Bianca per la via normale; - Rifugio Vittorio Emanuele al Gran Paradiso, salita al Gran Paradiso, alla Tresenta ed alla Becca di Monciair per le rispettive vie normali. I risultati finali raggiunti dagli allievi sono stati eccellenti, anche grazie all’ottima preparazione atletica e alpinistica dimostrata. Grande soddisfazione per gli istruttori è stata che tutti gli allievi presenti hanno raggiunto la vetta del Gran Paradiso e qualche settimana dopo alcuni di questi allievi, in qualità di istruttori di Alpinismo Giovanile, hanno messo subito in pratica quanto imparato tornando sulla vetta di Gran Paradiso insieme ad alcuni ragazzi di Padova per celebrare il centenario della Sezione. Un grazie a tutti gli allievi per l’impegno e l’entusiasmo dimostrato durante l’arco del corso ed un invito a continuare a frequentare la montagna con sempre maggiore passione ed in modo più sicuro. Un grazie a tutti gli istruttori che hanno partecipato alle uscite contribuendo all’eccellente riuscita di questo corso. Un grazie particolare alle famiglie degli istruttori, le quali, con grande pazienza e comprensione, hanno trascorso numerosi week-end senza i rispettivi cari impegnati in questa importante attività di volontariato. Il Direttivo Del 46° Corso di Ghiaccio alpinismo Dalla parte degli allievi Ed eccoci ad affrontare un nuovo corso CAI… si parte con il solito iter: compilazione della domanda di partecipazione e del curriculum, selezione da parte del direttivo e responso finale, con ammessi, non ammessi e ammessi con riserva. Così comincia la nostra avventura: con la prima lezione di presentazione in sede e il consueto ammonimento del direttore a seguire tutte le lezioni, ma soprattutto con le durissime sedute di allenamento... “bisogna avere fiato per arrivare a 4000 m… la quota non scherza!!!”… Alla prima uscita di orientamento a Rocca il gruppo è già abbastanza omogeneo: tutti con una buona esperienza di montagna e impazienti di iniziare a maneggiare piccozza e ramponi. Alla prima uscita pratica in Marmolada non manca proprio niente: tende, picchetti, sacco a pelo, piccozza, ramponi, corde, viveri, dolci e, dulcis in fundo, tanta acqua, che ci accompagna notte e giorno. Ma quello che nessuno potrà mai dimenticare è la fantastica cena, a base di carne alla griglia e polenta, preparata da Ceci e dalla sua squadra… eccezionale!!! La serata poi mette in luce le doti (artistiche) degli istruttori – la voce da tenore di Cassutti e l’abilità “alle corde” di Enrico – ma anche quelle (atletiche) degli allievi: un adesivo è lì a dimostrarlo… Gli allenamenti intanto continuano in settimana, per lo più autogestiti, fino ad arrivare alla seconda uscita in Val Senales. Partenza venerdì mattina, sosta per il pranzo a Forst e poi su a Maso Corto. Zaini pesanti sulle spalle, ma la salita al rifugio è rapida. La sera discorso del direttore e organizzazione delle due giornate successive: un giorno addestramento con prove di arresto e recupero (… che numeri, ragazzi!!!) e un giorno salita alla Palla Bianca. Fantastico panorama, ma che lunga!!! Soltanto un episodio scombussola la scanzonata atmosfera in rifugio sabato sera, ma per fortuna tutto si risolve senza troppi problemi. Alla fine dell’uscita tutti sono sod-disfatti – chi per la scimmia evocata a 3738 m, chi per le splendide vette raggiunte –, compresi i quattro poveri sfortunati con gli zaini dimenticati al rifugio… per loro una giornata davvero interminabile!!! Sopra: in cima alla Palla Bianca Sotto: il corso al Gran Paradiso. Sullo sfondo la Tresenta 57 alpinismo In vetta alla Tresenta 58 Terza e ultima uscita: il Gran Paradiso. La storia si ripete… partenza sempre il venerdì mattina, sosta veloce per il pranzo in autogrill e poi su in Valsavaranche fino a Pont. Zaini in spalla, consegna delle corde agli allievi e via, verso il rifugio Vittorio Emanuele II. Rapida sistemazione nelle stanze e subito fuori, a sorseggia-re una buona radler e ad assaggiare il fantastico dolce di Ceci… come sempre il migliore!!! Alla sera discor-so del direttore, annuncio delle cordate per il giorno successivo e poi tutti a letto, a dormire quelle poche ore prima della sveglia alle 4:00. Alle 4:30 siamo già tutti fuori dal rifugio, pronti a partire per la via normale al Gran Paradiso. Le pile frontali sono praticamente inutili: il chiarore della luna è più che sufficiente; dopo 4-5 ore tutte le cordate sono in vetta a farsi la foto accanto alla madonnina… per molti il primo 4000!!! Il vento gelido, però, non consente una sosta prolungata. Alla sera al rifugio la stanchezza si fa sentire, ma tutti so-no entusiasti dell’impresa. Il giorno dopo altra cima, chi alla Tresenta e chi alla Becca di Monciair, e poi giù, prima al rifugio Vittorio Emanuele II e infine al parcheggio di Pont, giusto in tempo prima di prendersi un bell’acquazzone… Che dire ancora di questo corso? Gli insegnamenti sono stati tanti, ma soprattutto abbiamo imparato cosa si-gnifica progredire in sicurezza in un’estate come questa, tempestata di tragedie tra i ghiacci: per quanto pos-siamo essere preparati è comunque la montagna a dominare e non sempre piccozza, ramponi e corda sono sufficienti. L’unica cosa che possiamo fare è cercare di affrontare le nostre salite con umiltà e rispetto per l’ambiente che ci circonda, senza mai spingerci oltre i nostri limiti e, se necessario, trovando anche il coraggio di rinunciare all’impresa. Questo è quello che ci hanno trasmesso i nostri istruttori… un caloroso grazie a Nicola, Paolo, Enrico e a tutti quelli che, insieme a loro, ci hanno permesso di raggiungere delle cime fantastiche e di vivere un’indimenticabile esperienza ad alta quota. alpinismo 70° Corso di Roccia Dal diario di “er Direktor” agli allievi, “LA PREPARAZIONE ALLA SCALATA”: L’ARDUA LOTTA CON L’ALPE esige un’alchimia di diversi fattori. Primo fra tutti un’ottima forma fisica. Questa garantisce, anche ad allievi con eloquio sovrabbondante, fiato sufficiente per la salita; ad altri di superare mali debilitanti che possono pregiudicare la partecipazione alle uscite. Essa consente, inoltre, di sopportare stoicamente malfunzionamenti alle caviglie e, in casi eccezionali, di poter esclamare a fine giornata: “Belle vie, un po’ faciline….”. Secondo, ma non per importanza, un’adeguata attrezzatura. In primis: scarpette (tutte e due, anche per gli istruttori e, possibilmente, le proprie) elemento fondamentale in cui riporre fede assoluta. Altro elemento fondamentale è un imbrago COMODO, specialmente in caso di permanenza in via fino al calar della notte… o se esso assume il ruolo di “copertina di Linus”, compagno di vita inseparabile da portare in ogni circostanza. Il buon allievo è un cultore del pantalone tecnico, le cui protezioni inguinali consentono di affiancare al metodo “Caruso” il metodo “Pelvico” (ispirato da un’istruttrice del corso ed esaltato da due notevoli allievi). Le imbottiture offrono, inoltre, un comodo alibi nel momento in cui, in parete, i “commenti caldi” dovessero raggiungere temperature eccessive. Data l’aderenza del capo esso va invece evitato quando, placata la fame dopo una lauta cena ad Arco, altri appetiti si risvegliano. Facoltativo ma comodo: il secchiello (che er Direktor consiglia di accompagnare alla paletta). Indispensabile invece il caschetto. Corredato all’occorrenza di asciugamano antisudore (rigorosamente arancione). Utilissimo in caso di caduta sassi o martelli. Qualora l’allievo sia colto da scoramento e disperazione in parete, è utile una piastrina GIGI per allestire una calata in doppia (aver cura di evitare i rovi). Nota: non eccedere con le spire nell’esecuzione del machard, pena il blocco dello stesso e la necessità di un soccorso in parete. La moderna tecnologia mette a disposizione dell’allievo ottimi strumenti, il più utile dei quali è senza dubbio l’altimetro/barometro/bussola. Elemento prezioso in caso di abbandono da parte dell’istruttore o per evitare il maltempo (eccettuati venti e tuoni di origine… non meteorologica). Una nota a proposito dell’alimentazione: sconsigliamo vivamente l’eccessiva assunzione di liquidi (bevande energetiche in particolare); consigliamo invece, per una sana 59 alpinismo e abbondante ristorazione, l’agriturismo “Sampaoli” sito nella ridente Teolo. Per ultima, una mente e uno spirito saldi. Non ceda l’allievo a superstiziosi timori, in quanto il corso a provato che il numero 17 (numero dei suoi partecipanti e fausto venerdì della cena finale) può essere foriero di esperienze entusiasmanti e coinvolgenti. Ricordate: “L’ARDUA LOTTA CON L’ALPE fortifica il carattere, consolida le amicizie vecchie e ne crea di nuove”. Epiologo “serio”: Dopo questa allegorica rievocazione del 70° Corso di Roccia, vorremmo ringraziare gli istruttori tutti e, in particolare, Matteo “er Direktor” Mason nonché i vice direttori Leo e Ceci. I vostri consigli, il vostro ricordo e le esperienze che abbiamo vissute con voi ci accompagneranno sempre lungo le vie che andremo a percorrere. Gli allievi del 70° corso di roccia 60 alpinismo Corso Di Roccia 2005 Una Giornata In Rafting A Briançon Riportiamo di seguito uno scritto in rima di un avvenimento ormai ormai datato. È chiaro che l’esperienza vissuta da alcuni istruttori ed allievi oramai 3 anni orsono è stata di quelle che si ricordano nel tempo con immenso piacere. È con questo spirito che lo proponiamo ai nostri lettori. di Sergio Sattin Valle Romanche verde smeraldo a Serre Chevalier; aria frizzante e cime d’argento. Foto di gruppo con lazzi e risate. Mute d’arancio nel sole d’agosto, Fanciulle gioiose e boys eccitati, a gruppi di cinque nei gusci di gomma, giù per le onde, tra scrosci e spintoni, con salti e virate, ”a gauche, camarades”! con grida di gioia, timor d’annegare, nel buio del bosco, col sole in radura, in gara con gli altri, attento a te stesso; veloce nell’acqua, tra massi e spuntoni, fra tronchi affioranti e salti nel vuoto. Ti guardi negli occhi e vedi il terrore, risate forzate, sospiri di gioia, abbracci finali, nell’ansa tranquilla. Torniamo! che forza, che corsa veloce, che sogno, che ansia, che sole ragazzi! 61 veterani veterani di Giovanna Borella Invidiabili Veterani! Nel dizionario Zingarelli, alla voce “veterano”, si trova la seguente spiegazione: nell’esercito romano, il veterano era il soldato che, avendo prestato servizio per un certo numero di anni, veniva onorevolmente congedato (pensionato); oppure veterano è chi per molto tempo ha svolto un’attività e, quindi, ha una particolare abilità o esperienza in merito. Quasi tutti i veterani del CAI, giustamente, sono pensionati e assai abili nell’andar per monti. Il numeroso gruppo, però, non ha solo queste prerogative: basterebbe assistere alla partenza per l’ennesima “impresa”, il mercoledì mattina. Se c’è il pullman si rinnova ogni volta la lotta per occupare i posti migliori: zaini per terra, un andirivieni su e giù, qualche spintone, dato ridendo. Se, invece, si va con le auto, si apre la caccia al posto da parte di chi non ha la macchina, di chi ha una carriola o di chi, generosamente, non vuole usare la propria. Il tutto succede sempre alla presenza della nostra attivissima a benemerita segretaria Paola e del nostro presidente, Mario, altrettanto attivo e impegnato in questa opera di “volontariato per anziani” insieme ad altri amici. Quando poi, sistemati tutti, finalmente si parte, comincia un cicaleccio incredibile: tutti parlano con tutti perché è già una settimana che non ci si vede, e spesso si argomenta su sentieri da percorrere o montagne da vedere. 62 veterani Quando cominciamo a camminare con i nostri zaini in spalla, nasce ogni volta l’aspettativa per un nuovo grande regalo. Il sentiero s’inerpica fra mughi e rocce bianche; i cespugli di rododendri offrono il loro spettacolo di colori e, su un prato, una genziana accanto ad un piccolo fiore giallo affascina per la perfezione e lo splendore. Tra le escursioni di Luglio ce n’è stata una particolarmente bella nel Gruppo del Cristallo in una di quelle giornate, dopo un temporale, in cui il cielo è di quel blu incredibile e le rade nuvole residue sono bianche e spumose come la panna. Abbiamo risalito la sinistra idrografica di un torrente attraversandolo ed entrando in un rado bosco di abeti sotto le creste del Rudavoi. Continuando a salire, giunti alla base del Popena, abbiamo trovato i ruderi dell’omonimo rifugio, adagiati in una splendida balconata naturale coronata dalla Marmarole, dal Sorapis e dal Piz Popena. I silenzi, i colori, la meraviglia di quei luoghi, ci portano ogni volta fuori dal nostro piccolo mondo quotidiano, oltre i suoi limiti e i suoi orizzonti ristretti. Si respira meglio, si riesce a godere di ogni piccolo istante, stando in compagnia ma anche piacevolmente soli con se stessi. La discesa al lago di Misurina, luccicante sotto il sole e ricco di colori, ha portato alla conclusione dell’escursione. Al termine della nostra giornata c’è sempre il grande sollievo di togliersi le scarpe e la gioia di una bicchierata tra amici o di una lauta merenda offerta da chi festeggia il compleanno; cerchiamo di recuperare le calorie spese nelle salite ma, soprattutto, abbiamo imparato a goderci tutte le piccole cose che abbiamo a portata di mano. Bello questo gruppo di veterani, nel quale ognuno s’impegna ogni volta, con tutte le sue forze, per raggiungere una meta e ricevere il grande regalo dalla montagna: fino a quando saremo capaci di emozionarci vedendo una piccola genziana blu nel prato, o di restare incantati davanti ad una cima innevata, il nostro bambino interiore sarà sempre vivo e potremo ritenerci veramente fortunati! 63 canti di guerra canti di guerra CAPITANO DI FIORENZA di Pier Giuseppe Trentin La canzone del testamento non si è spinta soltanto fra le aspre montagne del Trentino ma ha raggiunto anche i più dolci colli dell’Appennino, come può documentare questa versione raccolta nel 1889 in Umbria da Michele Barbi, autore di raccolte di canti toscani, pistoiesi ecc. Capitano di Fiorenza s’amalado e sta per morì. “Nate a chiamà li miei soldati, che me vengheno a rivedè. La mia vita ve raccomando, quattro parte se n’hanno da ffà. Una portatela in Francia, e quell’altra all’imperatò. La testa a la mia mama, ch’a patito il gran dolò. Il corino a la Margarita, se ricordi del suo amò. Se io campassi altri cento anni, non farebbe più a l’amò. Per una volta che l’ho ffatto, ho patito ‘l gran dolò. A. Cornoldi “ Ande, Bali e Cante del Veneto” IL TESTAMENTO DEL CAPITANO Il capitano della marina, era malato e el stava per morir, l’à mandà a dire a tuti i suoi soldati che lo venissero a ritrovar. I suoi soldati ghe manda a dire che non gh’è barche da imbarcar, O con le barche e senza barche i mie soldati li vòio tuti qua. Cossa comandalo sior capitano ora che siamo venuti tuti qua? Vi ricomando la mia vita, in cinque pezzi la dovete far: Il primo pezzo vada al Re Vittorio che si ricordi del suo solda, secondo pezzo vada al battaglione che si ricordi del suo capitano, il terzo pezzo vada alle montagne dove fioriscono belle rose e fior, il quarto pezzo all’amante mia che sono stato il suo primo amor, il quinto pezzo a mama mia che si ricordi del suo figlio ancor. Questa versione polesana del “ testamento “ raccolta a Donada nel 1959, riflette l’ambiente dei pescatori, battellieri e marinai fra i quali venne divulgata cosicché vediamo il “ il capitano della compagnia “ tramutato in “ capitano di marina “ e le “scarpe in barche”. G. Ferraro “ Canti popolari Piemontesi ed Emiliani “ a cura di R. Leydi e F. Castelli. 65 canti di guerra Canti popolari Monferrini IL CAPITANO DELLE MILIZIE Sur capitan-nhe dir milizie L’ha tant mà da murì. L ‘mandà a dì a lo soi pare Ch’u ‘l vena an po’ a truèe L’ha mandà a di a soi suldà Ch’ì ‘l veno an po’ a truèe, I soi suldà i han mandà dì Ch’i han ra rivista da passè. Au lunesdì mattin bunura I suldai i rivo lì. Da gir bundì, sur capitan-nhe Ancur vujatir, mei suldai. (arrivano) Vi ricumand ista mioi vitta (corpo) Quatir parti n’hei da fèe Ra primma mandèrà an Fransa, La seconda an Munferrhà. Mandèe ir me cor a Mirgaritta Ch’a s’ricorda di l’amur. Mandèe ra testa a ra mioi mama Ch’a s’ricorda di dulur. Ra Mirgaritta an si la porta Ra cas an tera du dulur (cade) Sa scampeiss quatarsent ani, Mai pì afass all’amur. Quatarsent ani sun passai, Mirgaritta r’è an si ra fiur Oh sunèe trombette Oh sunèe pijtusament: Ca l’è mort ir capitan-nhe Capitan-nhe du regiment ! Rigiment d’cavaleria Rigiment pì unurà Quandi ca l’era vivo L’era csì bun suldà ! 66 (nel fiore dell’età) canti di guerra Canti popolari di Pontelagoscuro CAPITANO BEVE L’ACQUA Sior capitani, che beve l’acqua. Lu l’è int al’ lett , che lu sta mal. L’ha mandà dir ai so suldati, Che l’ha la banda da ritirar. Servitor suo sior capitani, Cosa comandalo dai so suldà ? Vi raccomando questa mia vita, Che in quattro parti liè l’ha da andar. La prima parte al Re di Franza, La seconda all’imperator: Portè la testa a la mia mama, Che si ricorda del so povar fiol. Portè il corin a la Margarita, Che si ricorda di far l’amor. La Margarita lie la s’ n’è morta, E l’han cuverta di rose e fior. Bibliografia e Discografia - Costantino Nigra “Canti popolari del Piemonte“ ed. 1888 ristampa Einaudi Torino 1957 - Dischi Durium “Coro del CAI di Padova“ 78 giri – A – 11015 45 giri – ep. A 3065 33 giri – ms. A 581 - “Canti della grande guerra“ a cura di V. Savona e M. Straniero. Vol. secondo - Garzanti editore – 1981 - “Canti popolari trentini“ raccolti da Silvio Pedrotti. Ed. Saturnia – Trento 1976 - Antonio Cornoldi “Ande, Bali e Cante del Veneto“ Rebellato Ed. Padova 1968 - Giuseppe Ferraro “Canti popolari piemontesi ed emiliani“ ed. 1865 – ristampa Bur 1977 67 canti di guerra MONTE NERO Coro del CAI di Padova – armonizzazione Teo Usuelli Spunta l’alba del quindici giugno, comincia il fuoco l’artiglieria il Terzo Alpini è sulla via Monte Nero a conquistar. Per venirti a conquistare abbiam perduto molti compagni tutti giovani sui vent’anni, la lor vita non torna più. Monte Nero, Monte Nero, traditor della vita mia, ho lascià la mamma mia per venirti a conquistar. 68 La vetta del Monte Nero ( Krn ) – mt. 2240, ora in territorio sloveno, fu conquistata dal 3° reggimento Alpini,nei giorni 15 e 16 giugno 1917. Davanti ai plotoni,una pattuglia di cinque alpini al comando del sottotenente Alberto Picco : tutti hanno gli scarponi fasciati per non far sentire lo stridore dei chiodi sulla roccia. Ad un tratto il nemico li scopre: razzi illuminanti, fucilate e scoppi di bombe a mano. Il sottotenente Picco è ferito ad un piede ma guida ugualmente l’assalto alla trincea nemica difesa dagli Honved ungheresi, nel corpo a corpo che ne segue, ha il ventre squarciato da un colpo di baionetta, e muore assistito dai suoi alpini. In suo onore essi composero un poetico lamento funebre: Avevi il viso bianco e gli occhi neri o luna o luna come splendevi il suo corpo bruno ad illuminar o luna o luna tu me lo dicevi il tenente Picco non può ritornar. Il Monte Nero fu tenuto dagli alpini fino al 24 ottobre 1917, quando l’armata austro-tedesca, al comando del generale von Below, attaccò le nostre posizioni dalla conca di Plezzo fino a Tolmino. In quello stesso giorno fu occupato il villaggio di Caporetto dal quale ebbe inizio la disastrosa ritirata delle nostre truppe fino alla linea del Piave. Sembra che la prima versione del canto, sia stata scritta su un foglio di carta a quadretti sgualcita, dall’alpino Domenico Borella con il titolo “ Canzone omoristica del 3° Reggimento Alpini , una strofetta e forse anche il tema musicale, riportano ad un vecchio canto della malavita milanese, noto come “il Nero o il Moro della Vetra” O vile moro dove sei traditore della vita mia tu sei stato una falsa spia ma ti giuro vendetta farò. MBERLAN_ALPINE_BACKPACKING_ www.zamberlan.com_DAY HIKING_TRAVEL_ASCE ZAMBERLAN_ALPINE_BACKPACKING_TREKKING_DAY HIKING_TRAVEL_ASCENT_MULTISPORT | 4060 Peak GT Plus RR | | Outer limits 5kt | | 4040 Expert GT RR | | Grepon GTX | | 995 Cristallo GT WNS | | Sierra pant | | 155 Rica GT WNS | | Blizzard | | Snowdrift pants | | 144 Crest GT | | Ground frost | | Grag | | Snowextreme | | Kanga | | Ramponcini Zamberlan | | Spyder | | Mountaintrail | | Wintertrail | La qualità per chi ama la montagna. Via Venezia, 1/3 I 36030 Pieve di Torrebelvicino (VI) Tel. 0445.660.476 I Fax 0445.661.652 Orari di apertura: 9.00-12.00 / 15.30-19.00, anche il sabato. Chiuso lunedì mattina. Sconto 10% ai Soci CAI ww.centrostampaschio.com ZAMBERLAN_ALPINE_BACKPACKING_TREKKING_DAY HIKING_TRAVEL_ASCENT_MULTISPORT_FIELD BOOTS ZAMBERLAN_ALPINE_BACKPACKING_TREKKING_DAY HIKING_TRAVEL_ASCENT_MULTISPORT_FIELD BOOTS canti di guerra Cesare Caravaglios, autore del volume “I canti delle trincee“ edito nel 1935 a cura del Ministero della guerra, sostiene che gli anonimi improvvisatori di Monte Nero, si siano serviti della falsariga di un famoso canto di pescatori liguri intitolato “La barcassa“. (cfr. Canzoniere Monte Cauriol – Genova 1968) . Il problema rimane insoluto, un fatto è certo, Monte Nero rimane uno dei più bei canti di soldati nati durante la grande guerra, ed è diventato leggenda. Da opuscolo A.N.A. – Canti degli Alpini – Ed. Tamari – Bologna 1968 CANZONE OMORISTICA DEL 3° REGGIMENTO ALPINI ALLA CONQUISTA DEL MONTE NERO O vile Monte Nero traditor della vita mia io lasciai la casa mia per venirti a conquistar. Spunta l’alba del sedici giugno comincia il fuoco l’artiglieria il terzo Alpini è sulla via Monte Nero a conquistar. Appena giunti a venti metri il nemico trincerato con un asalto intusiasmato il nemico fu prigionier. Quanti pianti infiniti oggi faranno le nostre madri anche noi si può far dei quadri se il destino ci a lascià. Ora il nostro tricolore sventola sulla roccia il terzo Alpini con gran forza a Tolmino volle andar. Per venirti a conquistare abiam perduti molti compagni tutti giovani sui vent’anni la sua vita non torna più. 70 Il colonnello che piangeva a veder tanto macello fatti coraggio Alpino bello che l’onore sarà per te. canti di guerra Quest’ultima strofa, è stata aggiunta al manoscritto di Domenico Borella in un periodo successivo. Si riportano alcune strofe che non sono mai eseguite, Ma Francesco l’imperatore Sugli Alpini mise la taglia egli premia con la medaglia e trecento corone d’or. A chi porta un prigioniero di quest’arma valorosa che con forza baldanzosa fa sgomenti i suoi soldà. Ma l’Alpino non è vile tal da darsi prigioniero: preferisce di morire che di darsi allo straniero. Bell’Italia devi esser fiera dei tuoi baldi e fieri Alpini che ti danno i tuoi confini ricacciando lo stranier. MONTE CANINO Coro del CAI di Padova – armonizzazione Nazareno Taddei Non ti ricordi, quel mese d’aprile, quel lungo treno che andava al confine, che trasportavano migliaia degli alpini su, su correte, è l’ora di partir. Dopo tre giorni di strada ferrata ed altri due di lungo cammino siamo arrivati sul Monte Canino e al ciel sereno ci tocca riposar. Se avete fame guardate lontano se avete sete la tazza alla mano se avete sete la tazza alla mano che ci rinfresca la neve ci sarà. Il Monte Canino (Canin m 2587) e il Monte Nero (m 2245) dominano la conca di Plezzo (ora Bovec), e furono teatro di combattimenti, che si conclusero poi con la disfatta di Caporetto nell’ottobre 1917. La 14° armata composta da divisioni austriache e da alcuni battaglioni d’assalto tedeschi ( uno dei quali al comando del futuro Feldmaresciallo Rommel ), ebbe il compito di impossessarsi del terreno ad ovest dall’Isonzo attraverso il triangolo montagnoso di Plezzo, Soga, Monte Nero e il Monte Canino. 71 canti di guerra Dal lago di Predil sito nel fondo della Val Raccolana ( Udine ), durante la guerra , una grande teleferica collegava da una parte l’altipiano del Montasio, e dall’altra il Monte Canino e che serviva i vasti accampamenti militari della zona. Oggi sono ancora visibili i camminamenti e le mulattiere scavate dai nostri soldati. Ora tutta questa zona è in territorio sloveno. Di questo canto nato tra gli Alpini, non è stata finora traccia della fonte originaria. Si trascrivono alcune lezioni. Questa è stata raccolta nel 1966 in località Castelnuovo Gherardi in provincia di Cremona. Non ti ricordi, Giulietta mia cara, non ti ricordi il ventiquattro maggio? Un lungo treno varcava i confini e trascinava migliaia degli alpini su, su correte, è l’ora di partir. Non più coperte, lenzuola e cuscini non più si sente l’amor dei tuoi baci, la si sentivano gli uccelli rapaci e da lontano il rombo del cannon. Alla mattina il tenente fa sveglia, il capitano raduna i plotoni e sulle cime degli alti burroni là tutti insieme fucile si sparò, Se avete fame guardate in alto, se avete sete tazzina alla mano se avete sete tazzina alla mano qui c’è la neve che ci ristorerà. E più di dieci ne visto cadere e più di cento ne ho visti scappare, là si sentivano, sentivano gridare, su su arrendiamoci restiamo prigionier. Nel 1944 un gruppo di partigiani della brigata garibaldina “Irma Bandiera“, creò il canto “Non ti ricordi la notte fatale“. È uno dei numerosi esempi della utilizzazione di Monte Canino negli anni della resistenza. (cfr, I Dischi del Sole – Ds 53). Non ti ricordi la notte fatale sul torpedone della polizia ? Da casa nostra lor ci portaron via ed in galera abbiam dovuto andar. 72 Attraversato il cancello centrale dentro alla cella ci han fatto entrare canti di guerra senza coperte e un pagliericcio duro contro le spie la guerra dobbiamo far! La stessa linea melodica di Monte Canino è stata adattata sul tema dell’emigrazione, da un gruppo di giovani italiani del Coro del Centro di azione sociale italiano, residenti a Anderlecht (Bruxelles ) nel 1971. (cfr, Dischi del Sole – Ds 1081\ 83 “Canzoniere dell’emigrazione“) Non ti ricordi fanciulla mia cara, quel brutto giorno della mia partenza, noi ci lasciammo con ansia e tormento e la speranza di presto tornar, Un lungo treno mi porta in miniera dove mi rode il sudore e la morte al polo opposto del nostro bel sole, per guadagnare il futuro con te. Bibliografia e Discografia “La Montanara“ a cura di V, Savona – M. Straniero. Oscar Mondadori 1987 “Cantanaja“ di L. Viazzi – A. Giovannini. Tamari Editore Bologna -1968 “Tapum“ a cura di Salsa, Piccinelli, Bazza. Ed. Piccinelli- Roma “La mia morosa cara – canti popolari milanesi e lombardi“ a cura di N. Svampa – Oscar Mondadori 1980 “Sotto l’ombra di un bel fior“ Canti di tradizione orale a Brione (Brescia ). Ed. Grafo – Brescia – 2004 “I canti della Grande Guerra“ a cura V. Savona-M. Straniero-Garzanti ed.1981 Discografia Il Coro del CAI di Padova Dischi Durium “I Canti della Gande Guerra nel cinquantenario dell’entrata in guerra dell’Italia“ Serie Cicala – BL 7023 Ta-pum “Canti degli Alpini” – 1° raccolta – 45 giri – ep A 3065 “Canti della Montagna“ 33 giri – ms A 581 La Tradotta “Canti degli Alpini“ - 1° raccolta – 45 giri – ep A 3065 “Canti della montagna“ 33 giri – ms A 581 “1944\1984 – Il Coro del Cai di Padova“ 33 giri – StereoQuar 4802. Monte Nero “Canti degli Alpini 2° raccolta“ 45 giri – ep 3280 Monte Canino “Canti della Montagna” - 2° raccolta Msa 77092. 73 canti di guerra Dal lago di Predil sito nel fondo della Val Raccolana ( Udine ), durante la guerra , una grande teleferica collegava da una parte l’altipiano del Montasio, e dall’altra il Monte Canino e che serviva i vasti accampamenti militari della zona. Oggi sono ancora visibili i camminamenti e le mulattiere scavate dai nostri soldati. Ora tutta questa zona è in territorio sloveno. Di questo canto nato tra gli Alpini, non è stata finora traccia della fonte originaria. Si trascrivono alcune lezioni. Questa è stata raccolta nel 1966 in località Castelnuovo Gherardi in provincia di Cremona. Non ti ricordi, Giulietta mia cara, non ti ricordi il ventiquattro maggio? Un lungo treno varcava i confini e trascinava migliaia degli alpini su, su correte, è l’ora di partir. Non più coperte, lenzuola e cuscini non più si sente l’amor dei tuoi baci, la si sentivano gli uccelli rapaci e da lontano il rombo del cannon. Alla mattina il tenente fa sveglia, il capitano raduna i plotoni e sulle cime degli alti burroni là tutti insieme fucile si sparò, Se avete fame guardate in alto, se avete sete tazzina alla mano se avete sete tazzina alla mano qui c’è la neve che ci ristorerà. E più di dieci ne visto cadere e più di cento ne ho visti scappare, là si sentivano, sentivano gridare, su su arrendiamoci restiamo prigionier. Nel 1944 un gruppo di partigiani della brigata garibaldina “Irma Bandiera“, creò il canto “Non ti ricordi la notte fatale“. È uno dei numerosi esempi della utilizzazione di Monte Canino negli anni della resistenza. (cfr, I Dischi del Sole – Ds 53). Non ti ricordi la notte fatale sul torpedone della polizia ? Da casa nostra lor ci portaron via ed in galera abbiam dovuto andar. 74 Attraversato il cancello centrale dentro alla cella ci han fatto entrare canti di guerra senza coperte e un pagliericcio duro contro le spie la guerra dobbiamo far! La stessa linea melodica di Monte Canino è stata adattata sul tema dell’emigrazione, da un gruppo di giovani italiani del Coro del Centro di azione sociale italiano, residenti a Anderlecht (Bruxelles ) nel 1971. (cfr, Dischi del Sole – Ds 1081\ 83 “Canzoniere dell’emigrazione“) Non ti ricordi fanciulla mia cara, quel brutto giorno della mia partenza, noi ci lasciammo con ansia e tormento e la speranza di presto tornar, Un lungo treno mi porta in miniera dove mi rode il sudore e la morte al polo opposto del nostro bel sole, per guadagnare il futuro con te. Bibliografia e Discografia “La Montanara“ a cura di V, Savona – M. Straniero. Oscar Mondadori 1987 “Cantanaja“ di L. Viazzi – A. Giovannini. Tamari Editore Bologna -1968 “Tapum“ a cura di Salsa, Piccinelli, Bazza. Ed. Piccinelli- Roma “La mia morosa cara – canti popolari milanesi e lombardi“ a cura di N. Svampa – Oscar Mondadori 1980 “Sotto l’ombra di un bel fior“ Canti di tradizione orale a Brione (Brescia ). Ed. Grafo – Brescia – 2004 “I canti della Grande Guerra“ a cura V. Savona-M. Straniero-Garzanti ed.1981 Discografia Il Coro del CAI di Padova Dischi Durium “I Canti della Gande Guerra nel cinquantenario dell’entrata in guerra dell’Italia“ Serie Cicala – BL 7023 Ta-pum “Canti degli Alpini” – 1° raccolta – 45 giri – ep A 3065 “Canti della Montagna“ 33 giri – ms A 581 La Tradotta “Canti degli Alpini“ - 1° raccolta – 45 giri – ep A 3065 “Canti della montagna“ 33 giri – ms A 581 “1944\1984 – Il Coro del Cai di Padova“ 33 giri – StereoQuar 4802. Monte Nero “Canti degli Alpini 2° raccolta“ 45 giri – ep 3280 Monte Canino “Canti della Montagna” - 2° raccolta Msa 77092. 75 ricordiamo Ernesto De Ponti Ernesto, all’inizio dell’anno ero venuto in Sede a rinnovare la mia iscrizione e ti avevo incontrato. Ti eri subito avvicinato a me per salutarmi ed informarti della mia salute, della mia vita. Sempre cortese e attento. Dopo alcuni giorni non c’eri già più. In un mondo dove le persone sono considerate e ricordate solo se hanno compiuto imprese eroiche e sovrumane, tu hai lasciato in me il vero e puro ricordo. Partecipavi sempre con piacere alle gite, alle serate, alle feste sociali. Spesso eri presente in Sede dedicando una parola ad ogni persona che arrivava. Hai tanto camminato per facili e difficili sentieri e sempre hai apprezzato tutto ciò che ti circondava. Ti ricordo impacciato negli attraversamenti più impegnativi specialmente quando c’era un po’ di ghiaccio, eppure ... quanta attenzione ci mettevi e quante volte ti prendevamo benevolmente in giro! Nelle gite sulla neve scendevi a spazzaneve e ti brillavano gli occhi dalla gioia. La pioggia era per te allegra compagna che tu accoglievi col tuo ombrello da viaggio. Passerotto in un mondo di grandi aquile, volavi sopra le nostre teste e con questa sensibilità coglievi facilmente lo stato d’animo del tuo compagno di cammino. Sapevi ascoltare le voci delle piccole e grandi vite che ci attorniavano: l’immobile sasso, il timido fungo, l’agile scoiattolo, il maestoso abete, la possente croda e a noi le riportavi e a loro rispondevi. Ecco, sei stato un Vero Alpinista? La risposta è si, Ernesto, io penso che Alpinista sia colui che la Montagna ha nel cuore e che usa tutti i suoi talenti per scalarla, per viverla, per condividerla con gli altri, in grande e profondo e misterioso rispetto, come tu hai fatto. La vita continua, eppure domani non sarà un giorno uguale, da domani la Montagna mi parlerà un po’ anche di te. Cino Bonvicini 76 Negozi: Condizioni particolari ai soci Cai 35133 PADOVA - Via Guido Reni, 144 Tel. 049 603636 35127 PADOVA - Via Piovese, 239 Tel. 049 8025313 35100 PADOVA - Via Buonarroti, 2 Tel. 049 8644711 35100 PADOVA - Via Manzoni, 33 Tel. 049 8751555 - Fax 0498750957 35030 CARTURA (PD) - Via Padova, 89 Tel. 049 9556288 - Fax 049 9559049 35020 MASERÀ (PD) - Via Conselvana, 42 Tel. 049 8861870 30020ERACLEA(VE)-ViaDelleIndustrie,9 Tel. 0421 234932 - Fax 0421 234937 30015 CHIOGGIA (VE) - Via Venturini, 2/A Tel. 041 490402 - Fax 041 4967761 30014 CAVARZERE (VE) - Via Di Vittorio, 4 Tel. 0426 51602 - Fax 0426 51602 32100 BELLUNO - Via V. Veneto, 207 Tel. 0437 31420 - Fax 0437 931772 SU OGNI TERRENO Sede: 35020 VILLATORA DI SAONARA PD - Z.A. Via Liguria, 23 - Tel. 049 8790099 - Fax 049 8791372 [email protected]