IL NOTIZIARIO
del C.A.I. Padova
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Notiziario CAI n. 3 Inverno 2008. Semestrale. Poste Italiane Spa. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DR PD
CLUB ALPINO ITALIANO
Sezione di Padova
100 anni del
CAI Padova
Il gruppo di
Alpinismo
Giovanile
raggiunge la cima del
Gran
Paradiso
sommario
sommario
CLUB ALPINO ITALIANO
SEZIONE DI PADOVA
3 • 2008
4• Cronache
Una data storica di Francesco Cappellari
Incontro con il DAV di Friburgo per i nostri 100 anni
di Luigina Sartorati
Libertà di accesso alle pareti del mondo di Francesco Cappellari
14• Diario Alpino
Dal Perù, brevi emozioni intorno all’Ausangate
e per una cima mancata...
Monte Elbrus 2008 di Federico Battaglin
Red Rocks Climbing di Leri Zilio
28• Il Personaggio
Tito Paresi di Leri Zilio
30• Le Chimere
Burel, Miotto-Bee di destra di Alessio Roverato
32• Alpinismo Giovanile
Gran Paradiso 2008 di Pierdamiano Sconcerle
La salita al Gran Paradiso
Una salita...particolare di Giuliano Bressan
Escursione per la pace di Chiara Tedesco
53• Escursionismo
Resoconto in rima incerta del nostro corso di escursionismo
di Marco Rubini
56• Alpinismo
46° Corso di Ghiaccio anno 2008
Dalla parte degli alllievi
70° Corso di Roccia
Corso di Roccia 2005.
Una giornata di rafting a Briançon di Sergio Sattin
62• Veterani
Invidiabili veterani! di Giovanna Borella
65• Canti di Guerra
di Pier Giuseppe Trentin
76• Ricordiamo
Ernesto De Ponti
SEMESTRALE
SEGRETERIA REDAZIONALE c/o Sezione CAI
35121 Padova - Gall. S. Bernardino, 5/10
Tel. 049 8750842 - www.caipadova.it - [email protected]
Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DR PD
Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 401 del 5.5.06
DIRETTORE RESPONSABILE: Giovanni Piva
VICE-DIRETTORE: Lucio De Franceschi
COMITATO DI REDAZIONE: Francesco Cappellari, Leri Zilio
IMPAGINAZIONE GRAFICA e STAMPA: Officina Creativa
IN COPERTINA: Per celebrare i 100 anni del CAI Padova il gruppo dell’Alpinismo
Giovanile raggiunge la vetta del Gran Paradiso
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di Francesco Cappellari
Una Data Storica
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Era nell’aria. Si sapeva ormai tutto. Per chi frequenta la
sede di galleria San Bernardino non c’era sorpresa. Eppure
ogni crisma è stato rispettato, ogni apparente novità è
stata aspettata.
Dev’essere proprio questa sottaciuta attesa, unita alla
voglia di ritrovarsi tutti assieme in un luogo meraviglioso,
che ha portato tanta gente al Rifugio Locatelli.
I soci del Cai di Padova sapevano che avrebbero vissuto
una data storica. Il 21 settembre 2008, infatti, è destinata
a diventare tale.
Il rifugio più illustre, e probabilmente più invidiato
dell’intero arco alpino, di proprietà della nostra sezione, ha
cambiato nome diventando Rifugio Locatelli-Innerkofler.
Si è partiti all’alba, come per una normale gita domenicale.
Non c’erano però solo i soliti iscritti all’escursione. C’era
il coro, c’erano i veterani, c’erano molti componenti della
scuola di alpinismo e del gruppo escursionismo. C’era,
in un altro pullman, un gruppo numeroso di ragazzi
dell’alpinismo giovanile. Gli stessi ragazzi che quest’anno,
per commemorare il centenario della sezione, sono saliti
in cima al Gran Paradiso.
cronache
La storia del cambio del nome ha origine oramai da
10 anni. Da quando cioè il nostro presidente Armando
Ragana ha voluto che nei pressi del rifugio fosse costruito
un cippo al famoso alpinista tirolese, nonché gestore
dell’allora Rifugio Drei Zinnen. Da allora il Rifugio Locatelli
accoglieva a luglio una folta delegazione di padovani che
salivano per rendere giusto omaggio ad una persona che
ha dato tutto, anche la vita, per la sua terra e le sue
montagne.
Ora questo tributo si è trasformato in ufficialità.
Quindi alla presenza dei sindaci di Padova, Sesto Pusteria
e Dobbiaco si è consumata la cerimonia. Dopo la Santa
Messa, celebrata dal fedelissimo padre Ciman, le autorità
hanno espresso parole di elogio per l’iniziativa che
diventa un altro simbolo della volontà di aggregazione e
di collaborazione tra la città di Padova e le comunità sudtirolesi.
Alle 12,30 è stato tolto il drappo che copriva il nome,
ancora fresco di pittura, di Innerkofler. Dal 21 settembre
2008 i soci del Cai e i turisti di tutto il mondo saliranno al
Rifugio Locatelli-Innerkofler.
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cronache
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di Luigina Sartorati
Incontro con il Dav di
Friburgo per i nostri
100 Anni
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Nel programma per i festeggiamenti dei 100 anni della
nostra sezione dal 2 al 5 ottobre era previsto un incontro
con i soci del D.A.V. di Friburgo, sezione gemellata con
la nostra. Giovedì 2 ottobre alle ore 21 con un piccolo
concerto del Coro sezionale c’è stato lo scambio di saluti
e il brindisi di benvenuto. Il nostro presidente Armando
Ragana, dopo un breve discorso, ha consegnato al
presidente del D.A.V. di Friburgo e a tutti i presenti il
nostro distintivo del centenario e il dvd sulle spedizioni
extraeuropee del Cai Padova. Loro hanno contraccambiato
consegnando un’incisione riproducente Friburgo, alcune
bottiglie di vino tante quante sono gli anni di gemellaggio
tra le due sezioni.
Venerdì 3 ottobre la giornata ha avuto questo svolgimento:
il gruppo “A”, accompagnato da Bruno Bazzolo e Guglielmo
Rigato ha percorso il sentiero che da Galzignano porta
ai laghetti del Venda. Il gruppo “B”, accompagnato da
Luigina Sartorati e Andreina Miotto, ha visitato il Castello
di Monselice e l’Antica chiesa di S. Giustina, la Casa del
Petrarca ed il borgo antico di Arquà. I due gruppi alla fine
si sono riuniti a Ca’ Figaro di Castelnuovo di Teolo per uno
spuntino prima del rientro in albergo a Padova. Sabato
3 ottobre tutti insieme abbiamo visitato l’Università, il
Salone e la Basilica del Santo. A metà mattinata nella
Sala Consigliare del Comune, il cons. Pisani con delega
ai gemellaggi ci ha ricevuti per un breve scambio di
saluti e la consegna al presidente del D.A.V. di Friburgo
di un volume sulle opere di Shakespeare
ambientate a Padova e a tutti i presenti un
distintivo ricordo con il logo della nostra
città.
Domenica mattina una parte dei
partecipanti ha effettuato l’escursione
a Lumignano “sentiero della Croce” e a
mezzogiorno dopo le foto rituali fra baci,
abbracci e sventolar di fazzoletti i nostri
amici friburghesi sono ritornati a casa.
Dimenticavo una cosa: loro erano 47, noi…
un po’ meno. Ringrazio Goetz Lebrecht, sua
moglie Brigitte che con il loro entusiasmo
hanno reso “speciali” questi giorni. Un
saluto ad Irene, Heidi, Sibille, Wielfried e a
tutti un grosso “CIAO”.
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Libertà di accesso
alle Pareti del Mondo
Un folto gruppo di soci accademici, tra i quali anche i nostri Giuliano Bressan e Francesco Cappellari, hanno partecipato all’interessante dibattito riguardante i vincoli e le
limitazioni che l’alpinismo subisce da anni nell’accesso a
quelle montagne che dovrebbero rappresentare patrimonio di ogni persona.
Alla presenza, tra gli altri, del Presidente Generale del CAI
Annibale Salsa, come sempre autorevoli relatori hanno
animato la discussione. I primi a parlare sono stati Carlo Alberto Pinelli di Mountain Wilderness e Renato Moro
dell’agenzia organizzatrice viaggi e spedizioni Focus.
di Francesco Cappellari
Far parte di un consesso quale quello del Club Alpino Accademico Italiano non è solo motivo d’orgoglio ma anche,
e soprattutto, vuol dire venire a contatto con persone che
hanno fatto la storia dell’alpinismo. E dibattere e confrontarsi con chi negli anni ha condiviso con te la passione
dell’alpinismo nella sfaccettatura più pura. E ancora rappresenta l’occasione di partecipare ad interessanti convegni che si tengono annualmente in giro per l’Italia.
Il CAAI è diviso in tre gruppi che rappresentano tre macroregioni: l’Occidentale, il Centrale e l’Orientale. Quest’ultimo comprende, oltre al Triveneto, anche l’Italia Centrale
e Meridionale. Ogni anno appunto è affidata ad uno di
questi gruppi l’organizzazione del convegno. Quest’anno
l’incombenza toccava al Gruppo Orientale che ha pensato
bene di svolgerlo, l’11 ottobre, all’interno dello splendido
scenario di Vallombrosa, località dell’Appennino fiorentino famosa per la bellissima abbazia e per la suggestiva
foresta.
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cronache
Pinelli ha illustrato innanzitutto la situazione nei vari paesi
asiatici circa le royalties e i permessi necessari per poter
salire le grandi montagne dell’Hindukush, del Karakorum
e dell’Himalaya.
In Afghanistan, paese che Pinelli conosce bene in quanto
organizzatore sul posto di diversi corsi di alpinismo rivolti ai giovani locali, l’ostacolo maggiore è rappresentato
dalla situazione politica. L’Afghanistan è notoriamente un
paese dove la guerra civile, che dura ormai da diversi
anni, impedisce, o quasi, di muoversi con tranquillità.
Esiste comunque il modo per arrivare nell’Hindukush afghano senza correre rischi e quindi evitando la capitale
Kabul. Si può attraversare la frontiera dal Kirgizistan, ex
Unione Sovietica, ed in breve tempo ci si trova a contatto
con le alte montagne. La popolazione locale è costituita
esclusivamente da Ismailiti, una corrente molto aperta
dell’Islam, seguaci dell’Aga Khan. Il lato positivo è che
in Afghanistan non è previsto un permesso e nemmeno
il pagamento di royalties. Sono solo necessari due visti, il
primo per l’ingresso nel paese, il secondo per poter avere
accesso al territorio del Wakhan, quella lingua di terra
che si protende stretta verso la Cina. Da qui sono possibili
le salite a meravigliose montagne, molte inesplorate ed
inviolate che purtroppo non vengono ultimamente prese
in considerazione.
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Diversa la situazione in Pakistan. Arrivare in questo paese
è sempre stato abbastanza semplice. Gli ultimi eventi però
devono mettere un po’ più in guardia l’alpinista. Anche qui
una delicata situazione politica potrebbe degenerare nei
mesi a venire tanto che ci si potrebbe trovare a dover
sospendere il viaggio. Il Pakistan, in ogni caso, è stato
l’unico paese che ha recepito le richieste degli alpinisti
occidentali. Negli ultimi anni ha alzato la quota per il permesso alle montagne portandola da 6000 agli attuali 6500
metri. Oltre tale altitudine è necessario avere un permesso e pagare una royalty. Le royalties inoltre sono scontate
del 50% rispetto a qualche anno fa. Tutto ciò naturalmente facilita la volontà d’accesso da parte di spedizioni
alpinistiche occidentali portando un beneficio economico
non indifferente alle popolazioni locali che partecipano in
qualità di organizzatori o, più semplicemente, di portatori. Anche i problemi legati all’Ufficiale di Collegamento
(Liason Officer) sono drasticamente diminuiti. Questa figura, da sempre al seguito delle maggiori spedizioni, ha
rappresentato molte volte un peso economico non indifferente, senza contare i problemi legati ad una persona
che di montagna non sapeva nulla ed era lì in quel luogo
esclusivamente per un maggiore tornaconto personale legato ad una paga supplementare e ad una promozione.
Si trattava infatti in genere di ufficiali dell’esercito che,
cronache
in quanto persone dotate di una certa cultura, potevano
essere effettivamente utili fino ad una ventina di anni fa
quando gli occidentali facevano fatica ad interagire con
le popolazioni locali. Ora problemi di questo genere vengono assorbiti degnamente dalle agenzie organizzatrici il
trekking o la spedizione. Il Pakistan ha eliminato l’obbligatorietà di questa figura mantenendola solo nella zona
del Baltoro dove effettivamente c’è la maggior parte di
spedizioni alpinistiche legate naturalmente alla salita degli
8000. La sua funzione va dal controllo alpinistico (si deve
accertare che i componenti seguano la via per la quale
hanno il permesso) a quello ecologico (ogni spedizione
deve portare a casa ciò che ha utilizzato in montagna).
Mountain Wilderness in passato ha organizzato, con il
patrocinio del Governo Pakistano, diversi corsi volti alla
formazione corretta dell’Ufficiale di Collegamento, formazione che si è sempre ritenuto dovesse partire da una
crescita alpinistica personale. Detti corsi hanno avuto
contenuti legati alla montagna a 360°, non ultimo quello
dell’arrampicata su roccia e ghiaccio.
In India tutti i viaggi alpinistici sono gestiti dall’India
Mountaineering Foundation, un ente all’interno del Ministero dell’Interno. Ci sono diverse limitazioni soprattutto
nelle montagne vicine ai confini tanto che molte spedizioni scalano cime anche senza il necessario permesso.
In Nepal, notoriamente nazione principe in relazione
alle spedizioni alpinistiche,
la situazione è leggermente
migliorata rispetto a qualche anno fa. Permesso, royalty e Ufficiale di Collegamento sono obbligatori. La
royalty all’Everest in questi
ultimi anni, forse grazie
alla concorrenza cinese, è
comunque calata drasticamente. Non molti anni fa
un gruppo di sette persone solo per poter salire la
montagna più alta del mondo doveva sborsare 25.000
dollari, ora sono sufficienti
10.000 dollari. Questo ha
portato un indubbio vantaggio agli occidentali che ci si
vogliono cimentare ma, per contro, ha causato notevoli
problemi legati al sovraffollamento e, conseguentemente,
all’inquinamento. Qualcosa in quest’ultimo caso si è fatta,
ad esempio c’è un servizio di sherpa per il trasporto a
valle delle feci e dell’immondizia. Il problema comunque è
La Valle del Silenzio all’Everest
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cronache
legato soprattutto alle spedizioni commerciali che, in genere prive di ogni preparazione alpinistica, portano sulla
montagna decine di persone inesperte con conseguente
uso smodato di portatori d’alta quota, corde fisse e ossigeno. L’impatto con l’ambiente è sotto gli occhi di tutti ma
non tutti riescono a sottrarsi al desiderio intimo e dirompente di salire l’Everest.
Renato Moro ha quindi illustrato la situazione in Tibet.
Salire le montagne himalayane dal versante tibetano richiede un permesso da parte del governo cinese. La maggior parte delle spedizioni entrano in Tibet passando dal
Nepal ma questo attualmente richiede ancora oggi circa
sette giorni di permanenza a Kathmandu per numerose e
noiose pratiche burocratiche.
Le montagne della Cina, come ad esempio quelle del Sinkyang, rappresentano probabilmente il nuovo paradiso.
Colossi di 7000 metri devono ancora essere saliti, si deve
ancora oggi effettuare una vera ed accurata esplorazione.
Non sono richiesti permessi, tasse o quant’altro. È sufficiente andare e salire. Ancora infatti non si capisce come,
ai giorni nostri, la maggior parte degli alpinisti si dirigano
sui “soliti” 8000, seguendo chilometri di corde fisse, trascurando montagne dove è possibile vivere ancora la vera
avventura. È chiaro che gli alpinisti rispecchiano il carattere dell’uomo del suo tempo. Un uomo fatto di comodità,
di mordi e fuggi e di “con i soldi ottengo tutto”.
Il Club Alpino Accademico Italiano può, in questo campo,
giocare un grande ruolo. Far capire ai giovani che l’Everest o gli altri 8000 non sono più mete dove cimentarsi
per vivere la grande avventura e la grande esplorazione.
Alle spedizioni commerciali non bastano più Everest, Cho
Oyu e Shisha Pangma, notoriamente tre vette piuttosto
semplici, dove portare i propri clienti. Ultimamente assistiamo ad una selvaggia aggressione anche a cime più
difficili come Manaslu, Daulaghiri e K2. Su quest’ultimo,
proprio quest’anno, abbiamo vissuto una delle più grandi
tragedie alpinistiche della storia. Eppure il K2 sarà assalito, negli anni a venire, da sempre più scalatori, più o
meno capaci.
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I due relatori sono passati quindi ad esprimere le opinioni personali per cercare di risolvere proprio quest’ultimo
aspetto. Secondo Pinelli si dovrebbe aumentare le royalties degli 8000 per fare in modo che le persone siano
meno incentivate a frequentarli. Solo così sarà possibile
mantenere una certa decenza ecologica in quelle montagne. Per Moro invece il percorso è esattamente opposto.
Esso passa attraverso la strada della grande libertà quindi esente da pagamenti e permessi. La montagna non
può e non deve essere merce di scambio. Si deve invece
cambiare la cultura alpinistica soprattutto nei giovani. In-
cronache
vogliarli ad appassionarsi all’esplorazione, far capire loro
il valore della vera avventura. In quest’ambito l’Accademico, per gli anni a venire, può giocare un ruolo determinante. L’influenza che può esercitare il CAAI, soprattutto sui
media, veri convogliatori delle idee dell’opinione pubblica,
deve essere capillare e costante.
La seconda parte del convegno ha toccato temi diversi,
certamente non meno coinvolgenti. Roberto Valenti è una
Guardia Forestale triestina. Il quanto tale è profondo conoscitore, nonché appassionato, di fauna conoscendone
i vari aspetti compreso quello relativo alla delicata condizione in cui si trovano certe specie selvatiche.
Negli ultimi anni il popolo arrampicatorio, come è noto,
è passato dalle grandi montagne a quello di bassa valle. Luoghi dove specie animali, soprattutto rapaci, hanno
sempre vissuto in tranquillità nidificando senza problemi.
Da circa 30 anni a questa parte le loro pareti sono state
invase dall’uomo che, a causa di un costante ampliamento delle zone frequentate, si vede oggi a dover ragionare
su un’equa ripartizione del territorio verticale.
Si sono e si vedono tuttora pareti chiuse per certi periodi
di tempo e per certe zone circoscritte. Sono entrate in
gioco molte associazioni ambientaliste che hanno influito
notevolmente sui limiti imposti.
Valenti, ricordando che il CAI è essenzialmente un’associazione ambientalista, ha invitato ad imparare a convivere con quegli animali che da sempre vivono e procreano
in certe zone. L’arrampicatore deve lasciare un po’ del suo
egoismo considerando la propria presenza come esclusivamente ludica e dando importanza invece a specie animali che vivono in delicato equilibrio.
Ogni zona ha poi le proprie problematiche. Ad esempio
nel carso triestino quasi non sussiste vista la quantità di
falesie a disposizione. Diverso è invece in zone di pianura
dove esiste magari una sola parete, vedi Rocca Pendice.
Obiettivo primario è quindi esercitare in ogni area coinvolta un tavolo di lavoro permanente costituito da enti pubblici e privati, tra i quali il CAI, che gestiscono il problema
e forniscono al pubblico le direttive condivise.
Il dibattito si è poi ulteriormente spostato e ha portato
Fabrizio Miori, ex assessore al turismo e alle politiche
ambientali del Comune di Arco, ad esporre l’esperienza
del paese trentino sulla gestione delle numerose falesie esistenti nell’ottica di ottimizzarne la frequentazione,
dell’ecologia e dello sfruttamento turistico.
Ad Arco infatti si è vissuto, e si vive tuttora, uno dei rari
esempi di connubio tra lo sport dell’arrampicata e il business che esso ha portato.
Alla fine degli anni ’90 varie falesie della valle del Sarca
erano in terreni privati. Il primo intervento del Comune è
Nella pagina a fronte: Renato Moro
In questa pagina: Roberto Valenti e
Fabrizio Miori
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cronache
stato quindi quello di acquistare le pareti e i sentieri di accesso. Molte volte è stato sufficiente chiedere un permesso d’uso che automaticamente sollevasse il proprietario
dalle responsabilità in caso di incidente.
Si è creato così il “Piano generale delle falesie di Arco”,
un censimento delle pareti che avessero le caratteristiche
ideali: roccia sicura, comodità di accesso, possibilità di
parcheggio e di altri servizi (acqua, servizi igienici, ecc.).
La vera chiave di volta è stata considerare la falesia come
un qualsiasi altro impianto sportivo e come tale regolarlo
dalle stesse norme.
In concertazione con CAI, AGAI e FASI si sono così messe
in sicurezza le pareti ripulendole dai massi instabili, è stata fatta un’opera di chiodatura avente lo stesso metodo
e gli stessi materiali. Ancora oggi se qualcuno individua
una possibile linea d’arrampicata è invitato a relazionarne
al Comune e a tracciarla con lo stesso metodo utilizzato
per tutte le altre.
Questo modo di operare, seppur per certi aspetti criticabile, ha comunque consentito ad Arco di diventare un fulcro
mondiale dell’arrampicata facendo in modo di coniugare
un’attività salutare e ricreativa ad un importante sviluppo
economico.
Le questioni messe sul piatto sono aperte, soggette a riflessioni e critiche sicuramente anche negli anni a venire.
Ciò che è certo è che il CAI e il CAAI potranno giocare
sempre più un ruolo di primo piano su argomenti scottanti
che non riguardano solo il popolo degli alpinisti e degli
arrampicatori ma investono, per molti aspetti, l’intera comunità.
Importante
La scadenza per la presentazione degli articoli da inserire
nel prossimo Notiziario è il 20 aprile 2009.
Onde evitare spiacevoli equivoci il materiale deve essere
depositato presso la sezione nell’apposita cartellina preferibilmente su CD accompagnato da una stampa.
Si prega di fornire testi in “word” e foto a parte.
Si può anche spedire via mail all’indirizzo: [email protected]
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alpinismo - sci alpinismo - discesa - sci da fondo
trekking - travel - fornitura per spedizioni
c/o ERCOLE, Via Tre Scalini, 1 (SS 248, Loc. Pilastroni) DUEVILLE (VI)
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Tel. 0444/946873 - Fax 0444/298267 - [email protected] - www.zero8000.it
diariodiario
alpino
alpino
Dal Perù, brevi emozioni
intorno all’Ausangate e
per una cima mancata…
Caballeros, caballitos, Ciucio, la Ciucia, Josè e Juan ci accolgono in casa con fritto di pesce di lago e bevande fatte
con vari infusi. Il clima è amichevole, molto cordiale e ci
consente subito di capire che l’atmosfera che ci attende
per i prossimi giorni sarà di amicizia e disponibilità. Rimaniamo stupiti ed interessati ad ascoltare Mariaelena,
la dolce ragazza di Cusco, che racconta e descrive con
grandi capacità e ricchezza di particolari la civiltà Inca,
le gesta dei vari Atahualpa, alcuni usi e tradizioni di quel
vasto e lungo Impero a noi poco noto. Così trascorre la
sera, mentre chiudiamo gli zaini preparandoci per la partenza alla volta del trekking dell’Ausangate. La montagna,
di 6384 metri, si trova 150 km a sud-est della vecchia
capitale inca: le abbiamo camminato intorno per sei giorni
valicando alcuni passi ed attraversando vastissime prateIl massiccio dell’Ausangate
diario alpino
rie e zone di pascolo, ai piedi di ghiacciai e pareti. Ciò che
manca sono i boschi e quindi gli alberi e gli arbusti; anche
senza il verde a cui siamo abituati, il paesaggio con i suoi
colori rossicci-marroni è bello e vario, ricchissimo di acqua
che scorre ovunque e talvolta si ferma creando zone di
palude e piccoli laghetti sui quali branchi di lama ed alpaca
pascolano in assoluta libertà. Qua e là scorgiamo le rare
vigogne, animali più gentili nel portamento, più schive e
selvatiche, preda dei puma. Ovunque nelle zone ghiaiose
o terrose le tracce dei loro lunghissimi spostamenti a ricordarci le orme dei nostri camosci e stambecchi. In una
terra così lontana siamo sempre in cerca di tratti a noi in
qualche modo familiari.
Si cammina in assoluta tranquillità, senza alcun rumore estraneo alla natura dei luoghi, incontrando talvolta
qualche campesino con il quale attraverso sorrisi sinceri
e poche parole ci si scambia emozioni. Siamo curiosi di
scoprire qualcosa di più di questa realtà così diversa. È
sorprendente notare come a queste quote, tra i 4200 ed
i 4600 metri, in un isolamento talvolta totale, lontanissimi
da qualsiasi abitato, fino a due giorni di cammino, si possano incontrare persone così serene nelle loro condizioni, vestite di sgargianti colori blu, viola, arancione, giallo
o rosso, che ti fanno venir voglia di abbandonare tutto,
casa e lavoro e trascorrere un po’ di anni con loro. Siamo
tutti concordi nel dire che quassù vivono sani e sereni,
siamo increduli di fronte a come
questa gente possa trascorrere le
giornate in queste condizioni, ma…
non è certo il solo posto nel mondo
e comunque questo è un discorso lungo… forse troppo difficile
ed astratto, che ci lascia in ogni
caso disarmati e un po’ scontenti
…Quanto occidentalismo e quanto consumismo nelle nostre usuali
giornate …!
Abbiamo montato i campi in corrispondenza di radure pianeggianti
incantevoli, in riva a laghi, ai piedi
di enormi seraccate che scaricavano i pesi superflui davanti ai nostri
occhi, di fronte a candidi e tormentati ghiacciai, ai piedi di sua maestà Ausangate, luoghi difficili da dimenticare. C’è stata
la fortuna di condividere la devozione ed il rispetto che i
locali sentono per questa montagna attraverso la partecipazione ad un rito di ringraziamento e di auspicio per la
fertilità ed i raccolti della terra, la pachamama, molto suggestivo. Foglie di coca innalzate al cielo, sterco rinsecchito
Seraccata sopra il campo del secondo giorno
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diario alpino
che bruciava, bacche di erbe particolari e parole quechua
pronunciate insieme al cospetto dell’Ausangate, in un
contesto di ritualità e umiltà, ci hanno fatto pensare che
l’essenza della vita si basa anche sui frutti della terra, per
la qual cosa, qualcuno in effetti sarà ben da ringraziare.
Nonostante si cercasse di tenere a freno l’estro culinario
del Ciucio, risultavano sempre cibi abbondanti fortemente
speziati, accompagnati da bevande calde che hanno messo a dura prova i nostri stomaci.
Il trekking può venire percorso interamente anche in un
tempo inferiore ai 6 giorni riunendo alcune tappe, ma la
bellezza ed il silenzio dei luoghi impongono una certa calma necessaria per vivere la giusta atmosfera… vedrete
non ve ne pentirete!
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Nel buio della notte il bus Arequipa – Cotahuasi ci scarica
alle 23 a 4.600 m, nel mezzo di una strada sterrata e polverosa ma sotto un cielo pieno zeppo di stelle. È freddo e
siamo frastornati per il brusco risveglio e la fretta concitata di raccogliere tutti gli zaini ed i bagagli uscendo da un
bus stracolmo di cose e persone.
Il bus riparte, improvvisamente il silenzio più totale, la
bellezza della notte. Alla luce dei frontali, una breve salita, poi la discesa e montiamo le tende. Al sorgere del
sole si apre uno scenario magnifico: siamo sulle sponde
di un azzurrissimo lago, colpiti dai raggi mattutini del sole
e lo sguardo è attratto dai 6323 m del Nevado Solimana
e dal Coropuna, la nostra meta che si fa ammirare e…
attendere.
Colazione e si parte. Si decide di stabilire il prossimo campo a 5.600 metri appena ai piedi dello sperone roccioso
che prelude la salita alla parete ghiacciata sovrastante.
Siamo molto eccitati e certi di ritrovarci in cima l’indomani. Abbiamo con noi 5 portatori che caricati alla meno
peggio non dimostrano una grande caparbietà e convinzione per quanto stanno per fare. Ed infatti… saliamo con
una giornata bellissima senza vento e senza problemi fino
a q. 5000 quando ci accorgiamo che alle nostre spalle
gli indispensabili portatori arrancano faticosamente trascinandosi sul sentiero. Ritardiamo la marcia, decidiamo
di fare il campo a 5.400 se mai ci arriveremo, attendiamo,
prendiamo parte dei bagagli, cerchiamo di rincuorarli, letteralmente cadenziamo il passo, sono stanchissimi non
ce la fanno più. Arriviamo alle sei di sera alla quota prevista, montiamo due tende, agognamo qualcosa da bere,
il freddo avanza e si fa sentire, verso le 20 riusciamo a
montare le tende e sistemarci per la notte, purtroppo con
scarsissime bevande e niente cibo a disposizione. Il gruppo è demoralizzato, non è possibile organizzare la salita
per l’indomani considerato che gli alimenti sono rimasti
giù e che per un equivoco organizzativo dobbiamo riprendere il bus di ritorno l’indomani anziché due giorni dopo.
diario alpino
Tristissimi ci infiliamo nei sacchi a pelo e la mattina ancor
più tristi sotto un cielo blu cobalto, invertiamo la marcia e
ritorniamo…sconfitti e affamati.
Dobbiamo ricercare tutti la pazienza e qualche giustificazione per accettare senza inutili nervosismi l’approssimazione di questi ragazzi peruviani che con leggerezza
hanno pensato di affrontare la montagna senza alcuna
preparazione, giustificando la cosa solo con la constatazione di quanta strada ancora il Perù deve fare… Un tratto
di strada l’abbiamo percorso insieme, in queste tre settimane, lasciando loro qualcosa di noi stessi, ma soprattutto portandoci via tante sensazioni, emozioni e conoscenze… che serberemo nel cuore come ricordi.
Il gruppo con alle spalle il
massiccio del Coropuna
6450 m
Paolo Bassanese, Andrea Cassutti, Lucio De Franceschi,
Elena Guabello, Massimo e Silvia Loreggian, Chiara Paracchini, Giovanni Piva, Paola Santambrogio, Angelo Soravia,
Lorenza Varagnolo, Maria Elena Cañari.
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diario alpino
di Federico Battaglin
Monte Elbrus 2008
Le Barrel Huts con le due cime
dell’Elbrus
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INTRODUZIONE
Ormai da qualche anno dedico l’estate al trekking fuori
dall’Europa e alla salita di cime di alta quota: nel 2006 in
Cile e Bolivia e nel 2007 in Kashmir.
Quest’anno avevo in mente diverse cime in Sudamerica
ma, per problemi di prenotazione dei voli aerei e per il mio
non perfetto allenamento, la scelta è caduta sull’Elbrus.
IL MONTE ELBRUS
Il monte Elbrus è un vulcano spento che si trova nella
regione Kabardino-Balkaria del Caucaso, in Russia, poco
lontano dal confine con la Georgia. In particolare si trova
alla fine di una lunga valle percorsa da una strada che
porta alla località di Azau.
Il nome “Elbrus” significa “Picchi Gemelli”, in quanto non
vi è una sola cima, ma ce ne sono due ben distinte: quella
occidentale (la più alta) di 5.642 m e quella orientale di
5.621 m, separate da una forcella posta a circa 5.300
metri di quota.
Se la cima più bassa ha la tipica forma di un vulcano, quella più alta invece è costituita da un cratere piatto
dotato di alcune protuberanze alte
una decina di metri e una di queste
costituisce la massima elevazione.
Ovviamente la vetta vera e propria,
come è ben facile immaginare, è nel
punto più lontano rispetto al percorso di salita.
Il monte è sempre innevato ed ha
diversi ghiacciai, che in estate comunque arrivano a toccare l’attuale
rifugio, chiamato Barrel Huts, posto
a 3.700 metri di quota. In inverno,
invece, la neve scende sino a fondo
valle, a 2.100 m. Sulle pendici sorge
una stazione sciistica che negli ultimissimi anni ha riscosso una certo successo, ragione per
cui è in fase di realizzo una serie di lavori di ampliamento
per la recettività dei turisti. Difatti l’alberghetto dove eravamo alloggiati era quasi un cantiere aperto.
Per la presenza sia di neve anche a stagione inoltrata, sia
di una struttura ricettiva e sciistica, il monte Elbrus ben
si presta sia per sciare in pista, sia per compiere la salita
alla vetta con gli sci ed offre una spettacolare sciata di
media difficoltà. Purtroppo, data la discreta ventosità, la
neve spesso e volentieri non è eccezionale, ma tendenzialmente crostosa.
cronache
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diario alpino
La ricerca del posto dove piantare la
tenda non è sempre così semplice
20
DIARIO DI VAGGIO
23 agosto: finalmente partiamo, siamo in sei. Con un volo
da Milano raggiungiamo Mosca e poi con autobus e diverse linee di metropolitana raggiungiamo uno dei pochi ma
grandi hotel nella periferia.
24 agosto: partiamo presto e con un volo aereo interno
raggiungiamo Mineral’nye Vody, dove ci aspettano un pulmino, l’autista e la guida di montagna che ci permetteranno di conoscere l’Elbrus e dintorni. L’appoggio poi di una
agenzia locale è fondamentale
per avere il visto e il permesso.
Nel pomeriggio, arrivati alla
stazione sciistica, facciamo un
giro in zona per cominciare a
scaldare i muscoli.
25 agosto: ecco il primo assaggio in quota con la cima Cheget, 3.400 m raggiunta anche
con l’aiuto della funivia (!).
Ottima vista su alcune cime di
4.500 m poste più a sud, dotate
di seracchi, couloir e di ogni altro ben di dio!
26 agosto: prendiamo “armi e
bagagli” e, con l’aiuto delle funivie e di un automezzo da lavoro, raggiungiamo il rifugio Barrel Huts, che diventerà il campo
base per i successivi giorni.
In realtà il rifugio Prjut originario è posto a 4.000 m, ma
qualche anno fa ha preso fuoco; ora lo stanno rifacendo e
con l’occasione costruiscono una nuova funivia che arriva
fin lì.
La particolarità del rifugio è che in verità non è un rifugio
vero e proprio come siamo abituati nelle Alpi, ma consta
di diverse costruzioni: una adibita a sala mensa, due per
le guide e undici cisterne cilindriche per i dormitori da sei
posti, dipinte con i colori nazionali: bianco, blu e rosso).
Le cisterne sono quelle usate per la nafta, per cui l’effetto è davvero particolare. Contrariamente a quanto si può
pensare, sono assai confortevoli, in quanto sono isolate
termicamente con polistirolo e legno, hanno una serie di
scomparti, un’ampia finestra e sei comodi letti.
Al pomeriggio facciamo un giretto fino a 4.200 m per acclimatarci sempre di più.
Giornata di tempo splendido.
27 agosto: il meteo non è dalla nostra parte: il cielo è
coperto e tira vento.
Saliamo fino a 4.700 m dove diverse persone hanno pianto la tenda per l’assalto del giorno successivo. C’è un via
vai di gente che sale e che scende; alcuni scendono direttamente dalla vetta appena conquistata.
diario alpino
28 agosto: è il giorno della salita. Per fortuna il meteo
è a noi favorevole, sebbene fino a quando non sorge il
sole, il freddo sia intenso, colpa pure del vento. Anche con
tre strati di abbigliamento tecnico, personalmente, sento
freddo alle gambe. Invece cinque strati nella parte superiore del corpo sono sufficienti. Con il sole bello splendente il caldo si fa ben sentire.
Dato che non abbiamo le tende e non abbiamo intenzione di fare 1.900 m di dislivello
dal rifugio alla vetta, usufruiamo del servizio dello “snow cat”
che ci permette di risparmiare
un po’ di dislivello e un paio di
ore di cammino. Il percorso si
presenta sempre un po’ ripido,
escursionisticamente parlando,
e non molla mai se non alla
forcella a quota 5.300 m. Con
un altro strappo si è sul cratere
e da lì, in breve e in piano, al
cocuzzolo della elevazione più
alta.
Il panorama è davvero fantastico e particolare in quanto
a sud ci sono alte cime e ben
innevate, mentre a nord vi è
una distesa a perdita d’occhio
di brulle colline che arrivano a
3.500 m o poco più.
29 agosto: è il giorno della discesa a valle. Al mattino
ci alziamo con calma e ci godiamo per l’ultima volta il
rifugio che ci ha ospitato. Al pomeriggio un giro a cavallo
di diverse ore ci fa riposare le gambe, ma mette a dura
prova le nostre… chiappe! Per quanto apparentemente
mansueti sembrassero i cavalli, in realtà avevano una ben
precisa gerarchia, per cui in caso di sgarro venivano morsicati sia il cavallo sia chi lo cavalcava! Sì, avete proprio
capito bene, qualcuno è stato morsicato alle gambe e alle
ginocchia dai cavalli dominanti!
30 agosto: ultima giornata intera da dedicare alle montagne. Il meteo è incerto ma ci incamminiamo ugualmente
per raggiungere una bella e acuminata cima di 3.500 m
chiamata Itkol, dopo un fantastico percorso assai ripido di
1.500 metri di dislivello.
30 agosto: piove e così al posto di fare l’ultimo giretto, si
opta per ritornare con calma a Mineral’nye Vody fermandoci nella città di Pyatigorsk per una visita turistica. Il volo
aereo serale ci riporta a Mosca e dopo due ore tra autobus
e metrò finalmente arriviamo all’hotel.
1 settembre: giornata dedicata alla visita di Mosca e in
particolare del Cremlino e della Piazza Rossa, purtroppo
interdetta per lavori in corso a causa di una manifesta-
Federico Battaglin
in vetta all’Elbrus
21
diario alpino
zione. Mosca è abbastanza bella, anche se più belle sono
indubbiamente le moscovite!!!
2 settembre: per problemi di fine ferie, al mattino presto
lascio l’albergo e il resto della compagnia e da solo ritorno
in Italia. Gli altri componenti del viaggio invece si fermano
4 giorni in più per visitare San Pietroburgo e nuovamente
Mosca.
L’intero gruppo in vetta
al monte Iktol
CONSIDERAZIONE FINALI
Il viaggio è andato bene, la cima è stata raggiunta da
tutti, con un favorevole tempo meteorologico. Non ci sono
stati inconvenienti di nessun tipo, durante sia gli spostamenti sia le salite alle montagne. Questo però non significa che si possa prendere l’Elbrus sottogamba, nonostante
la presenza di una stazione sciistica alla sua base, di un
buon “rifugio” e di una discreta presenza di escursionisti e
turisti. Il meteo può cambiare velocemente e i temporali
non sono così infrequenti. Inoltre si arriva a 5.600 metri
di quota e bisogna far conto delle temperature basse, del
vento e della fatica. In compenso la soddisfazione di arrivare in vetta è notevole, anche per il fatto che l’Elbrus fa
parte delle Sette Sorelle.
LE SETTE SORELLE
Le Sette Sorelle sono le cime più alte dei sette continenti
del mondo. È un analogo dei quattordici Ottomila dell’Himalaya.
Le cime considerate sono:
1) Everest (Asia), 8.848 m;
2) Aconcagua (Argentina, Sud America), 6.959 m;
3) McKinley (Alaska, Nord America), 6.194 m;
4) Kilimanjaro (Tanzania, Africa), 5.895 m;
5) Elbrus (Russia, Europa), 5.642 m;
6) Vinson (Antartide), 4.897 m;
7) Kosciuszko (Australia, Oceania), 2.228 m.
Ci sono però alcune discordanze su due cime: Elbrus e
Kosciuszko:
• L’Elbrus é la cima più alta se si considera il Caucaso
come territorio eurasiatico, altrimenti per la sola Europa
bisogna considerare il Monte Bianco di 4.810 m.
• Il Kosciuszko è il monte più alto dell’Australia. La cima
più alta dell’Oceania potrebbe essere considerata il monte
Puncak Jaya, 4.884 m, in Indonesia, che però politicamente è asiatica.
Il primo uomo a completare la salita alle Sette Sorelle è
stato Richard Bass, un americano appassionato di alpinismo.
22
diario alpino
Red Rocks Climbing
Partecipanti: Massimo Esposito (CAI Trieste), Roberto
Gardellin (CAI Padova), Roberto Iacopelli (G.A. Bolzano),
Beppo Malfatti (G.A. Mezzolombardo), Giuliano Mazzel
(G.A. Canazei), Leri Zilio (CAAI).
di Leri Zilio
Stati Uniti, Nevada, Las Vegas. La città dei balocchi e
delle illusioni. Suoni e luci accecanti che nascondono un
vuoto assordante. Soldi, donnine, gioco, tanto gioco. Ma
noi siamo alpinisti ed il giro di giostra lo facciamo solo in
verticale.
A pochi chilometri dal roboante carrozzone, in pieno deserto, si eleva la catena delle Red Rocks. Oasi naturale,
parco nazionale, richiama al sapore magico dei vecchi film
western di John Ford.
Da un’immensa piana desolata dove a malapena sopravvivono i cactus si elevano superbi picchi di arenaria. Sono
castelli di sabbia pressata che si slanciano verso il cielo ricalcando (alla lontana, molto alla lontana!) la figura delle
nostre Dolomiti. Qui i colori dominanti sono il marrone e
il rosso bordeaux,
entrambi cotti da
un caldo infernale.
Gli itinerari di salita seguono solitamente fessure
e diedri, ma la
particolarità felice
è che la roccia è
estremamente lavorata, ed i buoni
appigli non mancano mai.
Ci siamo rimasti
una settimana e
le cinque vie salite sono di una
bellezza assoluta.
Le protezioni in loco sono molto scarse. Trovi qualche fix
in placca, e solo alcuni itinerari hanno le soste spittate.
Al resto provvedono egregiamente i friends e i nuts che
posizioni in ogni dove.
Il divertimento è assicurato, ed anche una banda di vecchietti come la nostra può dire la sua, e cullarsi nell’illusione di una ritrovata giovinezza.
Lasciati in albergo grucce e pannoloni ci siamo arrampicati come forsennati, vocianti e allegri come non mai,
ubriachi di luci e colori.
Le Red Rocks in Nevada si trovano
a pochi chilometri ad ovest di Las
Vegas
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diario alpino
1) PINE CREEK CANYON – MESCALITO
Via “Cat in the hut” – 200 m – 5.6 (5°-)
Per familiarizzare con l’ambiente. All’attacco in
circa mezz’ora. Roccia salda, ottimi appigli, soste su spit.
Entusiasmante l’ultimo tiro su fessura verticalissima felicemente appigliata. Uscita leggermente
adrenalinica su placca. Discesa in doppia sulla
via.
Ultima lunghezza di Cat in Hut
2) BLACK VELVET CANYON
WHISKEY PEAK
Via “Frogland” – 250 m – 5.8 (5°+)
Decisamente una via più dura di quella del primo giorno, ma anche molto, molto più bella. Tiri
sempre sostenuti su placche, fessure, diedri.
Molto delicati il quarto ed il quinto tiro. Qualche
raro spit e poi tutto il resto è libera iniziativa.
All’attacco in 45 minuti e per la discesa arrampicata facile giù lungo il canale che divide Whiskey Peak da Black Velvet Peak (30 minuti).
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diario alpino
3) JUNIPER CANYON – CLOUD TOWER
Via “Crimson Crysalis” – 350 m 5.8+ (6°-)
Eccezionale itinerario diritto e verticale. È un susseguirsi continuo di tiri bellissimi. La via è sempre
sostenuta e le difficoltà si mantengono costanti. Le
ultime due lunghezze di corda affrontano un muro
di roccia rossa apparentemente insuperabile. Poi
metro su metro scopri invece che appigli ed appoggi ci sono, e così le tue pulsazioni tornano lentamente alla normalità. Ecco il perché dei parecchi
residui escrementizi trovati lungo il percorso. Da
proporre come ottimo lassativo.
Attacco in 45 minuti e discesa in doppia lungo la via
su soste spittate in un’ora e 15 minuti.
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diario alpino
4) WHITE ROCK SPRING
ANGEL FOOD WALL
Via “Tunnel Vision” – 250 m – 5.7+ (5°)
Via non difficile caratterizzata dal passaggio in
una lunga spaccatura della parete, un misto tra
un camino ed una grotta, dove quasi quasi necessiterebbe una pila. Ottimo il terzo tiro dove
una placchetta malefica rischia di fare male.
Discesa di un’ora lungo un canalone ed all’attacco in poco più di mezz’ora.
5) OAK CREEK CANYON
BLACK ORPHEUS BUTTRESS
Via “Black Orpheus” – 400 m 5.10 (6°)
Via alpinistica di stampo classico. I primi due
tiri avvengono in diedri impegnativi (5.8) con
le soste a spit. Poi le difficoltà calano notevolmente per alcune lunghezze per poi riprendere
nei tiri finali. Si parte con un traverso delicato
verso sinistra e poi su per un diedro liscio come
il vetro con strapiombo finale (50 metri di 5.9).
Il tiro successivo parte con un pugno sui denti
di 5.10, e poi i colpi al basso ventre li ricevi nei
diedri e nelle placche successive.
Stupenda visione dalla cima, e discesa eterna
come il nostro mal di schiena (tre doppie ed
un canalone interminabile, 4 ore). All’attacco in
un’ora.
26
diario alpino
Quattro immagini di “Black Orpheus”
In senso orario:
il percorso
Roberto Gardellin sulla placca
in doppia lungo la via
Leri Zilio sui tiri finali
27
il
personaggio
il personaggio
di Leri Zilio
Tito Paresi
28
Pomeriggio del 6 settembre 1931. Pale di San Martino,
Cima della Madonna. Lungo lo Spigolo del Velo Tito Paresi sta compiendo una manovra di corda. Con l’aiuto dei
compagni si sta calando in doppia giù per uno strapiombo. Improvvisamente, per una tragica fatalità, la fune che
lo sostiene gli si attorciglia attorno al collo, ed in pochi
minuti, lo strozza.
Assistono sgomenti ed impossibilitati a soccorrerlo il cognato Leandro Tallon e le guide Granzotto e Carlesso.
Termina così in maniera prematura la vita di una figura di
spicco della realtà patavina.
La sua morte ha una vasta eco nella città tutta, sia
nell’ambiente forense ed universitario che in quello politico. Questo perché l’avvocato Tito Paresi è personaggio
conosciutissimo, non solo per le due medaglie d’argento
ricevute come ufficiale durante la Prima Guerra Mondiale,
ma anche e soprattutto per la carica appena ricoperta di
Preside della Provincia.
Di lui si occupa anche la stampa nazionale, ed Achille Beltrame illustra l’incidente sulla prima pagina della Domenica del Corriere del 20 settembre 1931.
Tito nasce a Padova il 21 ottobre 1895. Il padre Francesco
Emilio è un avvocato molto attivo nella vita politica della
città. La madre Leonilde Maluta proviene da una famiglia
influente, basti pensare che il di lei padre era stato Presidente della Camera di Commercio (dal 1878 al 1884) e tra
i fondatori della Banca Veneta.
Il ragazzo cresce in un ambiente tipicamente borghese,
moderato e solido finanziariamente. E se la morte prematura dei genitori non gli crea comunque problemi economici, lo segnerà però per sempre a livello affettivo e caratteriale. Nei suoi scritti traspare sempre una mestizia di
fondo, una tristezza, una leggera infelicità che fa supporre
il dolore mai superato per quella grave perdita.
Nel 1913-14 si iscrive al Corso di Laurea in Legge all’Università di Padova, e sempre nel 1914 presta servizio militare come soldato volontario nel Reggimento Lancieri di
Milano.
Nell’ambiente universitario fa sue le idee del movimento
interventista, tanto da partecipare alle operazioni della
Prima Guerra Mondiale come ufficiale di complemento
prima tra i Cavalleggeri, poi tra i Bombardieri ed infine
tra gli Arditi.
Il Paresi ci ha lasciato una preziosissima memoria scritta
di questa importante parentesi della sua vita. Un suo manoscritto è stato ritrovato anni fa nella soffitta di una casa
colonica di Gaggio, nel comune di Marcon (Venezia). Se
adesso noi lo possiamo conoscere e consultare è merito
il personaggio
dello studioso e ricercatore di storia locale Luigino Scroccaro che lo ha riordinato e fatto pubblicare.
Finita la guerra ed ancora prima di congedarsi si laurea
in Legge il 15 ottobre 1919. Subito inizia ad esercitare la
professione nello studio privato degli avvocati Lovadina
e Milani, personaggi notissimi, in particolare quest’ultimo
che sarà anche sindaco della città dal 1920 al 1924.
Quando il 24 febbraio 1923 viene nominato presidente
della Fondazione Provinciale Combattenti e Reduci egli sta
già lavorando per suo conto. Lentamente si inserisce sempre di più nella vita cittadina, e sono parecchi gli incarichi
che va a ricoprire. Da Presidente del Comitato della Croce
Rossa di Padova, ad Amministratore della Cassa di Risparmio di Padova ed ancora membro del Consiglio Provinciale
dell’Economia, Consigliere dell’Ente Fiera e Presidente del
Consorzio Provinciale Antitubercolare.
Nel 1924 sposa Nerina Elettra Tallon appartenente ad
un’importante famiglia di Sacile che pochi anni dopo gli
darà il figlio Francesco.
Il 6 marzo 1930 assume la carica di Preside della Provincia
di Padova, e a questa sua reggenza viene riconosciuto il
merito di una saggia ed onesta amministrazione.
Un anno dopo però rassegna inspiegabilmente le dimissioni, e tutto fa supporre che a dettare questa sua soluzione siano le sue cattive condizioni di salute.
Durante la guerra è stato gravemente ferito e da poco ha
subito un intervento chirurgico. Sceglie di trascorrere la
convalescenza nella villa di famiglia a San Martino di Castrozza. Qui ci sono le sue montagne e qui può dedicarsi
alla pratica dell’alpinismo, fortissima passione che condivide con i cognati Arrigo e Leandro Tallon.
La tragedia avviene in settembre, e per onorare il suo
amore per la montagna la moglie elargisce 10.000 lire
alla Federazione Fascista quale primo contributo per la
costruzione di un rifugio alpino a lui intitolato. Purtroppo per motivi burocratici questo non avviene ed il fondo
viene trasferito nell’organizzazione del campeggio estivo
(Tito Paresi) gestito dal CAI. Dopo solo due anni l’iniziativa cade e tutto si perde nell’oblio.
Parlano per lui i suoi diari, una foto giovanile i cui tratti ci
fanno intuire un uomo schietto e volitivo, la copertina di
una rivista che ne illustra compiutamente la fine beffarda.
E poi le lapidi. Due fredde lastre di marmo, una posta
nelle vicinanze del luogo dell’incidente e l’altra all’ingresso
del cimitero di Teolo.
Tito Paresi è il primo nome del triste elenco dei soci padovani caduti in montagna.
Notizie tratte da: “Tito Paresi - Dal Carso a Fiume (memorie di guerra 1917-1918)”
a cura di Luigino Scroccaro
Ed. Canova
29
le
chimere
le chimere
Burel,
di Alessio Roverato
Miotto-Bee di destra
30
La Miotto-Bee di destra era una via che avevo da tempo
nel mio personale elenco “vie da fare”… Così sabato 30
agosto mi ritrovo con Beppe Ballico a risalire un muro di
erba e mughi per arrivare all’attacco della suddetta via.
La scalata inizia facile e mentre si fa sicura al compagno
non si riesce a fare a meno di ammirare l’ambiente straordinario che ci circonda.
Il tempo rimane bello fino a quando arriviamo alla cengia
mediana che attraversa tutta la parete
del Burel… qui infatti veniamo avvolti da
una fitta nebbia che non ci permette di
vedere dove proseguire.
Ad un certo punto però con una brevissima schiarita riusciamo a vedere la parte
alta della via che è costituita da un impressionante diedro giallo tutt’altro che
rassicurante.
Con un paio di lunghezze di corda ci ritroviamo su quello che dovrebbe essere
un comodo posto da bivacco e invece
con pazienza dobbiamo lavorare un’ora e
mezza per ricreare un giaciglio decente
dove poter passare la notte.
Purtroppo la nebbia non se n’è andata e
ci sembra di essere appollaiati su un terrazzo in mezzo alle nuvole… Nonostante
questo sono felice di essere in quel posto fuori dal mondo dove finalmente non
devo pensare a niente e dove c’è quel
senso magico della vera avventura.
Ci infiliamo nei sacchi da bivacco e cerchiamo di dormire qualche ora anche se i
sassolini che ci ammaccano la schiena e il
freddo fanno di tutto per impedircelo.
Alla mattina presto un brutto ticchettio
ci distoglie dal dormiveglia… è la pioggia
che per un’ora ci fa penare finché poi se
ne va. Dobbiamo attendere fino quasi alle
9 perché la parete asciughi, dopodiché
parto per il tiro chiave della via: 45 metri
di artificiale su roccia non propriamente buona che mi
terranno impegnato per tre ore. I pochi chiodi presenti su
questo tiro si sfilano quasi tutti con le mani, però non mi
impressiono visto il numero di anni che son là.
Dopo questo difficile tratto la salita diventa più semplice,
ma dobbiamo lottare contro il tempo perché l’ora è tarda
le chimere
e dobbiamo assolutamente arrivare in vetta prima del
buio poiché c’aspetta una discesa che non conosciamo
e siccome le riserve di acqua e di cibo sono quasi finite
un altro bivacco sarebbe tutt’altro che salutare.
Le lunghezze di corda si susseguono ma la via sembra
non finire più… Alla fine sbuchiamo sulla cima del Burel
alle 7 di sera e di buon passo iniziamo la discesa in
compagnia della solita nebbia che ha voluto onorarci
della sua presenza per tutto il giorno.
Ad un certo punto però il sentiero sparisce invaso dall’erba e lo ritroviamo solo quando ormai è buio pesto.
Arriviamo alla macchina dopo una bella passeggiata
alla luce della frontale con le gambe che ormai vanno
avanti per inerzia.
La mattina dopo mi risveglio nel mio comodo letto con
dolori ovunque causati dalla ragguardevole quantità di
acido lattico accumulata nei giorni precedenti… Dentro
di me però sento quel meraviglioso senso di gratificazione che solo vie come questa ti sanno dare.
Ringrazio Beppe che ha accettato volentieri di venire
con me in questo posto dimenticato dall’alpinismo “moderno”.
Via del gran diedro di destra
Burel, 2281 metri, pilastro Sud-Sud Ovest
Primi salitori: Franco Miotto e Riccardo Bee il 23 aprile
1977 parte inferiore ed il 4 giugno 1977 parte superiore
Probabile prima ripetizione: Beppe Ballico e Alessio Roverato 30-31 Agosto 2008
Difficoltà: VII e A2
Dislivello: 1100 m
Sviluppo: 1200 metri (33 lunghezze)
Dall’alto:
il luogo del bivacco
Alessio Roverato in parete
Alessio a cena con Franco Miotto
alpinismo
giovanile
alpinismo giovanile
L’Alpinismo giovanile della
sezione festeggia il Centenario
Gran Paradiso 2008
di Pierdamiano Sconcerle
Caro Presidente Armando,
prestigiose Commissioni tutte della sezione CAI di Padova, genitori di tutti i partecipanti all’attività dell’Alpinismo
giovanile del 2008,
con grande gioia e un pizzico di orgoglio, la grande famiglia degli Accompagnatori di Alpinismo Giovanile, Vi comunica che martedì 5 agosto, tra le ore 9.00 e le 11.00,
quasi tutte le cordate della “spedizione” al Gran Paradiso
hanno raggiunto la cima a quota 4061.
1
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Questa rientrava nelle iniziative primarie per festeggiare i 100 anni della sezione, e poco importa se nel mese
di maggio l’ampia pagina del quotidiano locale, abbia
“omesso” di citare il programma della commissione più
giovane della sezione.
Lavorando io stesso nella stampa, ho subito pensato al
classico “salto di righe” da parte della tipografia.
Consentitemi ora, con queste righe, di mettervi al corrente di come siamo stati in grado di raggiungere l’obiettivo
che all’incirca un anno fa ci siamo proposti.
Come detto, un anno di preparativi. Le uscite dell’attività dello scorso anno analizzate in ogni minimo dettaglio.
Ogni ragazzo e ragazza sono stati controllati, a loro insaputa da parte di tutti noi, per testare le loro capacità di
resistenza, la loro attitudine a muoversi in ambiente alpino. I dati raccolti sono stati giudicati con estrema serietà
e professionalità da parte di tutti noi e alla fine, si sono
rilevati di estrema importanza nella realizzazione della
spedizione.
A fine gennaio, abbiamo così potuto tirare le somme e
iniziare l’opera di invito a entrare in questo ambito progetto.
Alla fine sono state 6 ragazze e 7 ragazzi, di età compresa
tra i 14 e i 17 anni ai quali abbiamo dato fiducia.
Si sono dimostrati tutti molto entusiasti e felici per essere
stati invitati e questo ci ha spronato ad organizzare il tutto
nei migliori dei modi.
I mesi sono trascorsi veloci, e a volte sembrava che il
tempo davanti a noi non bastasse a far si che tutto fosse
pronto per agosto.
32
alpinismo giovanile
Ci si incontrava tra noi quasi mensilmente, e ogni giorno,
un fitto scambio di mail, compensava qualche dimenticanza.
Infatti dovete sapere, che oltre alla normale attività di
A.G per l’anno in corso, abbiamo dovuto organizzare delle
uscite supplementari per far sì che i ragazzi si “acclimatassero” prima di giungere in Val d’Aosta.
Ecco allora, che da maggio abbiamo iniziato con allenamenti settimanali di corsa e esercizi fisici sul lungargine
del Bassanello e a volte al parco delle Brentelle.
Per quanto riguarda le uscite pratiche, abbiamo convenuto di portare i ragazzi sul ghiacciaio della Marmolada,
dove alla quota dei 2900 hanno imparato come si procede
in ambiente innevato uniti in cordata, con l’ausilio di piccozza e ramponi.
E’ stata inoltre fatta un‘uscita al Rifugio Brentari nella
zona di Cima D’Asta, dove i ragazzi in una sola giornata
hanno superato un dislivello di salita e discesa di circa
1000 metri.
Ultima prova in programma, la settimana antecedente
la partenza, è stato il M. Vioz nel Parco Nazionale dello
Stelvio. In questi 2 giorni i ragazzi, nonostante il tempo
inclemente sono arrivati tutti al Rif. Mantova al Vioz posto a 3535 metri. In quel giorno, davvero encomiabile lo
spirito di sacrificio di tutti che sono riusciti a superare un
dislivello di salita di 1250 metri e come se non bastasse
hanno dovuto fare 1900 metri di discesa.
Con queste premesse ci siamo dati appuntamento al Piazzale Azzurri d’Italia per la domenica successiva.
E finalmente eccoci arrivati al grande giorno. Voglio sottolineare il fatto che per questa esperienza nulla è stato
lasciato al caso!!!!!
Abbiamo avuto dalla nostra parte perfino la “cabala” che
dava da 3 anni a questa parte, il Gran Paradiso libero da
nubi nella prima settimana d’agosto.
Idiozia o meno, sono cose che noi accompagnatori abbiamo ritenuto molto incoraggianti, e questo ci ha spronato
a lavorare sodo, per trovare ogni possibile soluzione, ad
eventuali problemi che si fossero presentati.
Siamo partiti da Padova in perfetto orario, sotto le direttive di Nicola e Davide, e dopo la sosta d’obbligo per la
colazione nei pressi di Brescia, il pullman ha raggiunto
Aosta dove una splendida e afosa giornata di sole ci ha
accolto, consentendoci di pranzare al sacco e ……… invidiare coloro che si stavano tuffando nell’acqua limpida
della piscina posta al di la della siepe dell’autostrada. Per
onor di cronaca, ci è giunta voce che a più di qualcuno è
passato per la testa di tuffarsi nell’invitante piscina e di
rimanerci fino a sera!!!!
33
alpinismo giovanile
Di li a poco, la “carovana” ha ripreso la sua marcia di
avvicinamento al “campo base” posto nei pressi di Pont in
Valsavarenche, a 1820 metri, che è stato raggiunto nelle
prime ore del pomeriggio.
Prove di manovre di corda
34
Sapientemente diretti da Valeria (responsabile del servizio logistico della spedizione), tutti i ragazzi hanno preso
alloggio al “Refuge des Amies” all’interno del Campeggio
Gran Paradiso. Scaricati zaini, viveri e vettovagliamento è
stata concessa ai ragazzi qualche ora di libertà, mentre
tutti gli accompagnatori coordinati da “mamma Mara” e
“mamma Paola” si prodigavano nelle operazioni di disinfezione di posate e servizi
sanitari (per ovvi motivi di
sicurezza!!) e iniziavano la
preparazione della cena serale.
Intorno alle 17 tutti i ragazzi
sono stati radunati per la lezione di ripasso sui nodi e le
relative manovre di assicurazione della cordata.
Poco dopo tutti si sono trovati nella cucina del “campo
base” per condividere assieme una saporita cena a base
di pasta e carne e sopratutto
assaporare i gustosi dolci di
Lorenza.
Abbiamo terminato la serata
nel migliore dei modi, ascoltando le “perle di saggezza”
di Giuliano Bressan, che
avendo creduto nel nostro
gruppo, si è unito a noi per questa ascensione, regalandoci una serata di diapositive che ci ha fatto letteralmente
volare in posti che forse non vedremo mai. Le sue diapositive del M. Bianco, i suoi viaggi a Petra in Giordania, le
sue ascensioni nei deserti dell’ Algeria e del Mali, ci hanno
fatto volare in altri mondi, rendendoci quasi partecipi delle sue avventure.
E che vi ho detto all’inizio di questo racconto? Non ci siamo fatti mancare proprio nulla!!!! Avevamo perfino un
Accademico del CAI!
(ops……. scusa Giuliano…… so bene che non vuoi essere
definito così!!!!!!!), un grande amico che seppur in modo
virtuale ci ha spedito a letto con tanti sogni da immaginare.
Il lunedì dopo la colazione, sotto lo sguardo inflessibile
di Elena, che registra la nostra presenza, eccoci risalire
nel pullman che in poco tempo ci ha portato al termine
alpinismo giovanile
della Valsavarenche. Come
sempre succede, ecco la
prima defezione. La Chiara
da forfait per un principio
di influenza. Breve consulto tra accompagnatori e
“mamma Mara” e l’allieva
rimane al “campo base”,
diventando peraltro punto
di riferimento per i collegamenti “via radio” tra le
cordate e il “campo base”
nella giornata odierna e
soprattutto in quella del
giorno successivo.
Dopo
l’obbligato
rito
della foto di gruppo, il
“countdown” sancisce che
è giunta l’ora di fare sul
serio.
Eccoci partire di buona
gamba alla volta del Rif. Vittorio Emanuele posto ai 2735
metri. Il gruppo forte e compatto lo raggiunge in un paio
d’ore e verso mezzogiorno è bello che “appollaiato”, a gustarsi il sole splendido dell’alta montagna.
Per non incorrere nel rischio di avere problemi di quota
durante la notte, nel primo pomeriggio siamo saliti a quota 3000, alla base della parete del Ciarforon, dove tanto
per cambiare i ragazzi sono stati praticamente obbligati a
“insegnarci” i vari nodi e i sistemi di assicurazione.
È stata inoltre fatta una gara tra maschi e femmine sulla
velocità di preparazione di una cordata. Non sto qui a
raccontarvi com’è finita in quanto entrambe le cordate
hanno saputo mettere in pratica al meglio tutto ciò che
hanno recepito nelle uscite precedenti.
Al termine della giornata ecco il secondo inconveniente.
Un’altra ragazza, Sofia, accusa uno strano malessere. Sangue dal naso, mal di testa e totale inappetenza, inducono
gli accompagnatori a convenire di non tentare nemmeno
l’ascesa alla cima del giorno dopo. Tocca all’aiuto accompagnatore Nicolas il “sacrificio” di rimanere in rifugio per
non lasciarla sola, e seguire da vicino le condizioni della
malcapitata.
Nell’ultimo collegamento odierno il “campo base” viene
informato della situazione, e malinconicamente ne prende
atto.
Ridiscesi al Vittorio Emanuele, ci siamo preparati per la
notte. Dopo aver cenato intorno alle 19, il gruppo è salito
alle 21.30, nella camerata posta nel sottotetto del rifugio
e ha cercato di riposare un pochino.
Credo che quella notte nessuno di noi abbia dormito, in
Sistemazione nel
sottotetto del rifugio
35
alpinismo giovanile
quanto le “sfuriate” del vento davano l’impressione di volerci portare via il tetto.
Come non bastasse, proprio dalla parte opposta alla nostra posizione dei strani “gorgheggi” scandivano i minuti!
36
Il martedì la sveglia ordinata dagli Accompagnatori, è
suonata alle ore 3.30 e alla luce delle lampade frontali ognuno si prepara. Dalle facce di tutti, si direbbe che
nessuno ha dormito un solo minuto. Alle 4.00 nella sala
del rifugio la colazione ci viene servita. Tutto attorno è
un “brulichio” di persone con zaini e scarponi per mano
che iniziano a prepararsi. Accidenti!! abbiamo la strana
sensazione che non saremo soli a tentare la cima! Credo
che siano stati pochi coloro che sono riusciti a quell’ora a
ingerire qualcosa. Nonostante tutto alle 4.30 siamo tutti
al di fuori del rifugio a prepararci. Il vento sembra essere
cessato, e la “Via Lattea” mostra a tutti la sua maestosità. Ora abbiamo davanti un interrogativo. Come partiamo
a livello di vestiario? Pesanti o leggeri? Rimango (come
tutti), in silenzio qualche minuto e alla fine opto per la
partenza in tenuta pesante! La difficoltà di Elena nella
registrazione mentale dei presenti, mi fa capire che siamo
tutti “imbacuccati” in modo pesante.
Fuori è notte fonda, e alle 4.40 ci muoviamo alla volta della morena del ghiacciaio. Non appena girato l’angolo del
rifugio il forte vento (pare fosse di 30 nodi che equivale ai
50 /60 km all’ora) ci accoglie e sembra ci faccia capire che
ha la seria intenzione di guidarci fino alla cima.
La comitiva procede nella notte, alla luce delle lampade
frontali. Dopo circa un ‘ora di cammino, intorno ai 2900
metri, il gruppo è costretto alla sosta a causa, questa volta di un ragazzo che ha problemi di stomaco. Rapida occhiata tra tutti gli accompagnatori e repentino cambio di
direzione del malcapitato.
Questa volta è Davide a “sacrificarsi” e poco dopo Sean
raggiungerà il rifugio riprendendosi in breve.
La notte è lunga, attraversiamo ruscelli, anfratti, salti di
roccia, il vento non ci da tregua. La natura del “Creato” si mostra in tutto il suo splendore notturno. Le stelle
del cielo brillano come non mai. Per chi non è abituato a
queste quote, non immagina nemmeno di come non sia
l’universo quassù. La Via Lattea ci guida, e tra tutte le
stelle che contiamo nel cammino, una risulta più luminosa
delle altre.
È la stella di “Anna Caenazzo”, la giovane allieva tragicamente scomparsa 6 anni fa in un “incredibile” incidente
stradale in Val di Fassa durante un uscita dell’attività annuale dell’alpinismo giovanile della nostra sezione.
Ebbene, io non l’ho conosciuta ma sono certo che lei ha
guidato tutti noi verso la cima.
Intorno alle 6.00 tutte le cordate sono all’inizio del ghiacciaio. Le prime luci dell’alba ci danno la garanzia che an-
alpinismo giovanile
che per oggi il bel tempo ci assisterà. In lontananza i
primi raggi di sole illuminano le cime più alte, e il cielo
ad ogni secondo varia in una interminabile sfumatura di
colori pastello.
Riposta nello zaino la lampada frontale, rimango ancora
un istante ad ammirare l’arrivo del nuovo giorno, mentre
il mio sguardo ritorna sulla “stella di Anna” che l’alba mi
sta portando via.
Grazie Anna per averci guidato nella notte, ora è giunto il
momento che noi ricambiamo il favore. Tu oggi sarai con
noi in cima al Gran Paradiso!
Siamo a quota 3200 all’inizio del ghiacciaio e qui entrano
in gioco i “pezzi da 90” degli aiuto accompagnatori (Sandro, Pietro, Marco e l’inesauribile Giuliano), che dopo aver
esaminato con minuziosa scrupolosità gli allievi aprono la
strada alla conquista della vetta.
Ancora un inconveniente a quota 3800, per Marco che accusando una forte tallonite, costringe gli accompagnatori
a un rapido riassestamento delle cordate, consentendo a
Marco di ridiscendere a valle accompagnato questa volta
dal sottoscritto.
La lunga fila nel ghiacciaio
37
alpinismo giovanile
Contattate via radio le cordate già giunte nei pressi della
cima, grande spirito di abnegazione di Elena che ridiscesa
alla quota inferiore è pronta a ripiegare verso il rifugio.
In quel momento mi sono sentito appagato della quota
da me raggiunta, e alla fine ho insistito perché fossi io ad
accompagnare Marco.
I giovani sulla forcella
nei pressi della vetta
38
La Elena era da un anno che lavorava al progetto, mentre lo scrivente è entrato nel gruppo solo a gennaio di
quest’anno.
Mi è sembrato logico che lei stessa fosse presente alle
foto di gruppo sulla vetta tanto ambita.
Come ho detto pocanzi tra le 9.00 elle 11.00 di martedì
quasi tutte le cordate erano alla base della Madonnina
posta sulla cima sommitale del Gran Paradiso.
Intorno alle 14 tutte le cordate sono giunte al Rifugio Vittorio Emanuele, stanche ma felici dell’esperienza fatta in
ghiacciaio.
alpinismo giovanile
Dopo una breve sosta hanno ripreso il cammino verso
il “campo base” (come non bastasse altri 750 metri di
discesa!).
Alla fine i ragazzi hanno superato un dislivello in salita di
1350 metri, e un dislivello in discesa di 2250 metri nell’arco della giornata.
Per tutto il giorno il “campo base” è rimasto in contatto con noi praticamente “in tempo reale”, e non appena
avuta la conferma che tutte le cordate erano in ambiente
sicuro, lontano da pericoli, si attivava facendoci trovare al
nostro ritorno delle ottime “bruschette” che credo rimarranno nella storia di questa esperienza.
Alla sera, dopo che tutti i partecipanti si sono sistemati,
una suntuosa cena ha decretato il termine della spedizione.
Ci siamo permessi ( e che i genitori non ce ne vogliano!!!),
di offrire un “mezzo bicchiere di vino spumante rigorosamente Colli Euganei!!” a tutti i ragazzi.
Mai come in questo frangente sono stati meritevoli di questo.
Abbiamo avuto il piacere, di ospitare tra di noi al termine
della cena, il gestore del Camping Gran Paradiso, il quale
ha speso parole di elogio per noi tutti, per la sezione di
Padova e per l’attività di tutto l’alpinismo giovanile.
Come non bastasse, ha omaggiato la sezione di Padova
con un bel dono in legno con scritto “il Camping Gran
Paradiso per i 100 anni del CAI di Padova”.
Il giorno seguente, i volti tristi di quasi tutti, lasciavano
ampiamente capire l’amarezza per il ritorno verso Padova.
Fermati ad Aosta per un paio d’ore di shopping, siamo
ripartiti alla volta di Padova intorno a mezzogiorno.
Il pullman correva veloce in autostrada, lasciandosi alle
spalle le magnifiche vette, i stupendi castelli fiabeschi, le
meravigliose cascate.
Anche il tempo ha voluto “piangere” con noi per la nostra
partenza. Difatti appena lasciata Aosta e aver appena finito di consumare il pranzo al sacco, un violento nubifragio
si è abbattuto sul nostro percorso.
Alle 19 siamo giunti a Padova dove con gioia abbiamo trasmesso alle nostre famiglie le nostre sensazioni, le nostre
emozioni provate.
Ed ora consentitemi di passare ai saluti.
Un grazie di cuore va agli Accompagnatori di A.G Nicola
Franchin e Davide Selmin
Un grazie va pure agli aiuto accompagnatori: Elena Crivellaro, Valeria Baratella, Lorenza Benato, Sandro Michielotto, Pietro Bozzolan, Marco Giampieretti, Nicolas Vanzetto,
e un po’ anche al sottoscritto!
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alpinismo giovanile
Un grazie “speciale” va soprattutto a Giuliano Bressan,
per tutto quello che ci ha trasmesso.
Un grazie va anche all’ aiuto accompagnatore Paola Greggio, in questi anni di aspettativa, dovuti alla nascita della
figlia Giorgia. Nonostante fosse impegnata come non mai,
nell’accudire la “piccina”, non si è mai tirata indietro ad
aiutarci, affinché tutto fosse a posto!!
Un grazie a “mamma Mara Perin ”, e Elisabetta Sconcerle
per il loro servizio di cucina e ristoro.
Un grazie anche agli assenti: Gianni Montecchio , Paolo
Bassanese, Fabio Crivellaro, perché in fondo se tutto è
andato bene è stato anche per l’aiuto che loro ci hanno
dato nelle uscite precedenti.
Un bacio speciale alla Giorgia Bozzolan in quanto è stata
la nostra “mascotte”
Un grande “complimenti” a tutti i ragazzi. Grazie a loro
siamo riusciti nel nostro intento e questo ci ripaga di tante
fatiche.
I nomi sono: Bado Michele, Capitanio Giulia, D’Agostino Silvia, Feo Elena, Gibellato Fabio, Lacagnina Sofia, Lazzaretto Filippo, Marson Giovanni, Masut Walter, O’regan Sean,
Sconcerle Chiara, Tiso Francesca, Zecchinato Marco.
Cari ragazzi, ancora due parole per voi. Io penso di esprimere anche il pensiero degli altri accompagnatori.
La vita è fatta di salite e di discese e al giorno d’oggi è
sempre più difficile decifrarla. Cercate sempre e comunque di trovare il sentiero che Vi consenta di camminare
per le vie del mondo con serenità e consapevolezza. Valutate bene la strada che cercate di intraprendere, perché la
vita è vostra e come certamente sapete è un bene prezioso. Sarebbe un peccato “sbagliare strada” per aver letto
male la …. “cartina”.
Siate fieri e orgogliosi di voi stessi. Questa esperienza ve
la porterete dentro per tutta la vita, e quando le difficoltà
vi si presenteranno, pensate a come avete fatto a raggiungere la vetta del Gran Paradiso in mezzo a tutto quel
vento che vi ostacolava.
Otterrete sicuramente del conforto, e il ricordo vi farà superare qualsiasi situazione. In bocca al lupo!
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alpinismo giovanile
La salita Al Gran Paradiso
4 agosto 2008 – Campeggio Gran Paradiso – Salita al
Rifugio Vittorio Emanuele
“Ore 8:30… siamo in partenza con il pullman! Da notare che
le ragazze erano pronte prima dei ragazzi, anche se molto
assonnate! Manca una componente femminile che abbiamo
“perso per strada”: “la Chiara ha la febbre e mi ha lasciato
sola in cordata” (Elena)! Adesso stiamo respirando intensamente e profondamente per recuperare il più possibile ossigeno, perché a 4000 m scarseggerà. Abbiamo degli zaini che
pesano più di noi e non sappiamo se riusciremo a portarli fino
al rifugio. Dal finestrino stiamo vedendo la parete nord del
Gran Paradiso… non la vedremo fino a domani! Ripassiamo:
come si fa una cordata?
1. si controlla che la corda non abbia nodi;
2. si trova la metà della corda;
3. si fa il nodo a otto lasciando un’asola di 40 cm e si assicura
la persona in centro con un nodo barcaiolo;
4. nodo delle guide al primo e al terzo della cordata ai capi della corda;
5. si assicurano i due estremi di cordata con il nodo barcaiolo
contando 6-8 metri dal centro;
6. si mette la corda avanzata nello zaino;
7. partenza!!!”
“Partenza ore 9:10 dal parcheggio, arrivo alle 11 circa al rifugio. Siamo sopravvissute ai chili dello zaino!” (le ragazze)
“Ciao! Stiamo per partire per provare a fare una prova nel
ghiacciaio (credo) e per allenarci per domani, visto che
700/800 m non erano abbastanza! Per fortuna il tempo è bello… (a tratti). Gli zaini sono più leggeri! Adesso vado perché
Nicola chiama!!!” (Silvia)
“È sera e il vento soffia: il tetto scricchiola e trema. Fortunatamente siamo ancora vivi e vegeti per ora…” (Walter)
“Ore 20:18 – Abbiamo appena finito di mangiare, siamo tutti
cotti, rossi e sazi (la creme caramelle faceva schifo!!). E domani… sveglia ore 3 e mezza!!! Wow!! La Francy si è appena
presa una botta in testa!!! Adesso facciamo gli zaini (che impresa!!), ci laviamo i denti e andiamo a letto (forse). Buonanotte!!” (Giulia e Silvia)
5 agosto 2008 – Salita al Gran Paradiso
“Ore 4:40 - Siamo pronti per partire; il vento si è calmato ma
fa freddo lo stesso.
Partenza: le torce nostre e di altri alpinisti che tentano di scalare il Gran Paradiso illuminano la montagna come fosse giorno.
Il sentiero si fa già difficile. Vicino si sente scorrere il torrente.
Ore 5:40 – Un altro ragazzo (Sean) ci abbandona perché sta
male. Intanto incomincia ad albeggiare, le montagne dietro
di noi si fanno rosse.
Ore 7:15 – Ci fermiamo sotto al ghiacciaio per imbracarci e
metterci i ramponi. Incomincia a farsi più difficile la salita!”
(Fabio)
43
alpinismo giovanile
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4-5 agosto 2008 – Rifugio Vittorio Emanuele
Salita al Gran Paradiso
“Ore 21 – Tutti pronti per “andare a letto”. Alle dieci eravamo ancora tutti vispi e arzilli, per niente insonnoliti.
Fuori il vento minacciava di scoperchiare il tetto del rifugio, cosa che per fortuna non è avvenuta. È buio, cala il
silenzio ma non per molto; infatti alle undici la Giulia ha
cominciato a chiedere a tutta la camerata: “Ma sei sveglio?” svegliando tutti. Poi Sean ha comunicato a Walter
la sua insonnia e a mezzanotte precisa ha detto: “Ragazzi, perché non partiamo adesso? Io sono carico!”. Giuliano che aveva paura di essere svegliato dal russare della
gente, prima di addormentarsi ha fatto il verso per attirare i gatti, anche se questo non è servito a molto però!
Abbiamo scoperto una cosa su Giovanni: parla nel sonno;
ad un certo punto si è messo a dire: “Due, tre, no anzi,
due è meglio di tre” facendoci scoppiare tutti a ridere. La
Silvia non riusciva a dormire perché aveva una molla sul
cuscino e la Francesca rischiava di rimanere ibernata perché nel muro c’erano gli spifferi. Improvvisamente Sean e
Walter si sono messi a discutere sui cloroplasti e sui problemi grammaticali (ultradifficile si scrive attaccato o staccato?) di Sean. La media delle ore di sonno è stata di circa
due ore e mezza. Il risveglio non è stato così traumatico,
alla fine alle tre eravamo tutti svegli e, tra zuccate e pile
frontali, siamo scesi a fare colazione. Alle 4:30 eravamo
in marcia, tutti provvisti della pila frontale. Camminare al
buio è fortissimo! Vedere la gente che sale con la lucetta
in testa sembra una processione. Purtroppo siamo partiti
con due persone in meno: la Sofia si è sentita male la sera
al rifugio, di conseguenza Nikolas è rimasto con lei. Non
è stata l’unica persona che si è sentita male, Sean a circa
2900 m si è sentito male e assieme a Davide è tornato al
rifugio. Noi abbiamo proseguito e verso le 7 siamo arrivati
alla base del ghiacciaio, dove ci siamo imbragati e abbiamo fatto le cordate. Stranamente eravamo tutti ansiosi di
partire, infatti dove ci siamo imbragati faceva un freddo
terribile! Finalmente tutti pronti per affrontare 891 m di
dislivello di ghiacciaio. Ognuno con il proprio passo e con
il vento gelido in faccia camminava guardando lo splendido panorama che lo circondava. A quota 3800 m circa Marco è dovuto scendere insieme a Damiano a causa
del suo tallone. Sfortunatamente la cima è sempre stata
coperta dalle nuvole, ma non ci siamo fatti intimorire e
abbiamo continuato la nostra salita. Verso le 10:40 siamo
arrivati all’anticima a 4041 metri. Soltanto Sandro, Marco
(accompagnatore), Giuliano, Michele e Filippo detto Potter hanno raggiunto la cima. Tutte le altre cordate sono
dovute rimanere all’anticima a causa del brutto tempo e
della troppa gente in vetta. Abbiamo dovuto abbandonare
presto la nostra postazione a causa del freddo e dopo
qualche foto abbiamo iniziato la nostra discesa. Scenden-
alpinismo giovanile
do ci siamo fermati a mangiare e con nostro disappunto
la cima era ben visibile. Gli ultimi metri di ghiacciaio sono
stati più movimentati. La Elena e la Francy continuavano a
cadere perché la Giulia e la Silvia tiravano la corda, tanto
che parecchi metri li hanno fatti con il sedere per terra.
Dopo esserci tolti tutta l’attrezzatura è iniziata la nostra
discesa al rifugio che è avvenuta in un’ora circa. Dal rifugio, dopo la brutta sorpresa di non trovare più le nostre
cose, che avevamo lasciato nella camerata, e dopo aver
scoperto che ce le avevano portate giù gli accompagnatori, siamo partiti alla volta del pullman. La discesa è stata
estremamente infinita; gli ultimi metri sono stati i più difficili di tutta la giornata perché avevamo spalle, ginocchia
e piedi distrutti, le nostre facce sfinite dicevano tutto. Arrivati al campeggio, con nostra grande gioia, ci siamo fatti
una meritatissima doccia calda: che bello essere puliti e
profumati! La cena è durata tantissimo perché la Silvia
ha rotto un sacco perché le portate non arrivavano. Dopo
cena sono successe un sacco di cose: importantissimo il
brindisi al nostro gruppo e alla salita alla cima. Discorsi
vari di capo campeggiatore, Nicola e Davide. Combattutissime partite a calcetto e risate con Nikolas. Prima di andare a letto siamo salite a salutare i ragazzi. Incredibilmente
Giovanni ci ha svelato i segreti per fare il suo “preziosissimo” cubo di Rubik senza che noi capissimo niente. Con
parole molto “gentili” ci hanno madato giù, ma noi ragazze eravamo ancora in forze per scendere giù in cucina con
Nikolas e Sandro e ridere e scherzare. Molto importante è
quando la Francesca si è cosparsa la faccia con l’olio per le
mani che la faceva sembrare una friggitrice. Solo dopo 21
ore e 5 minuti (calcolate da Silvia e Giulia) siamo andate a
letto, stanche ma soddisfatte di aver raggiunto i 4000 m…
sembrava impossibile ma ce l’avevamo fatta!!!
Questa mattina Nikolas ci ha svegliato facendoci il solletico ai piedi e levandoci le coperte. La colazione era prevista
per le 8:00 e noi ci siamo alzate alle 7:55!!! Dopo aver
fatto le valigie e l’ultima foto di gruppo, siamo partiti per
visitare Aosta.
Ore 15:07 la Giulia, dopo aver rotto per una giornata intera, per la gioia di tutti ha finito le foto!
Ci è dispiaciuto molto che la Francesca non ha fatto il
viaggio con noi perché è rimasta in campeggio con i suoi
genitori. A malincuore ora stiamo tornando a Padova,
ma siamo tutti speranzosi che presto si possa ripetere
un’avventura di questo genere (secondo la Giulia nell’Everest).”
Grazie a tutti
Elena (la scrittrice) Silvia e Giulia
“N.B. La Giulia ha fotografato l’uccellino valdostano!!!!”
(Silvia)
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alpinismo giovanile
- “Dopo mezzora di ghiacciaio avevamo già lasciato indietro di molto tutti gli altri tanto che Giuliano pensava di
arrivare in cima per le 9… a circa 3800 m io (Michele) ho
cominciato a rallentare e a farmi tirare su da Giuliano e
Filippo…è a questo che serve una cordata!
Siamo arrivati alla forcella a 4000 m poco prima delle
10.00 e Giuliano ha deciso di fare un “percorso alternativo” per arrivare in cima….TERRIBILE. In questo sentiero
c’era un po’ di arrampicata e Giuliano e Potter mi hanno
lasciato indietro…che Potter si sia aiutato con la magia?
Per me (Filippo) la salita alla vetta del Gran Paradiso è
stata una sfida con me stesso e ho imparato a faticare
molto per raggiungere una meta importante.
In cima abbiamo fatto qualche foto sotto la Madonnina.
Eravamo contenti di aver raggiunto la cima ma delusi dal
panorama: vento e nuvole….” (Filippo – Potter, Michele)
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I MOMENTI DI SVAGO
4 agosto 2008
- “Le ragazze hanno vinto la gara di cordata! Nonostante
i maschi ritengano che siamo state favorite… ovviamente
questo non è vero…” (Elena)
- “Certo, come no!!!!
Per una volta gli istruttori hanno voluto farvi sentire importanti, in quanto la dominazione fisica e mentale è indiscussa” (Sean)
-“Ciao a tutti!!! Mi sa proprio che l’alta quota mi fa male…
Sto andando fuori di testa!!! Mi sto divertendo un mondo
anche se camminare su e giù per il rifugio mi fa venire la
gobba!” (Francy)
- “Vedi Francy! Essere bassi ha i suoi pregi! Con il mio modesto metro e cinquanta non prenderò mai zuccate alla
testa! P.S. Walter, io e Giulia ti ammazziamo se ci bagni
ancora con l’acqua gelida del lago!” (Elena)
Ore 11.00 p.m. – 5 agosto 2008
- “Dopo che le ragazze sono scese, persuase dalle gentili
parole di Sean, ebbe inizio il piano B complottato da me
e Marco, con la partecipazione speciale di Sean, Michele e
Fabio, ai danni di Giovanni (il piano A comportava l’utilizzo
del dentifricio ma per problemi tecnici è stato realizzato
solo in parte).
Strisciammo così lentamente verso lo zaino, dove era
contenuto il cubo di Kubick (che volevamo fare tinta unica!!!!). Ma all’improvviso Giovanni, avendo intuito tutto,
prese in mano il suo faro e ci respinse tutti alle nostre
postazioni d’assalto (i letti). Lo scontro continuò per minuti e minuti ma tutti i nostri stratagemmi (molti dei quali
prevedevano l’uso di piccozze) per prelevare l’obiettivo
dallo zaino andarono in fumo. Fortunatamente anche noi
possedevamo un’arma segreta più potente dello stesso
faro di Giovanni: il led di Sean. Forti di ciò accecammo il
nemico e gli rubammo lo zaino. Dopo aver cercato per 5-6
alpinismo giovanile
volte il cubo scoprimmo che era stato trasportato altrove,
con l’aiuto di Giovanni, sotto i pantaloni dello stesso. Così
ci riorganizzammo e partimmo nuovamente all’attacco.
Un grido furioso sopraggiunse dalla parte opposta della
“stanza”: “smettete di fare casino, voglio vedere se poi
domattina vi svegliate alle sette!!!”. Così dovemmo sottostare a ciò perché non potevamo contrastare il potere
ed il volere del presidente. Così ci rifugiammo nei nostri
letti e abbandonammo il piano B.. per il momento…..”
(Walter e Fabio)
6 agosto 2008
- “Ore 7.30 ci svegliano; non c’è nessuna voglia di svegliarci perché eravamo stanchi dall’ascesa del Gran Paradiso e soprattutto dalla dura battaglia per prendere il
cubo a Giovanni; infine veniamo a scoprire che il cubo lo
aveva nascosto in una tasca dei suoi pantaloni che aveva
addosso ancora sporchi dal dentifricio sparso la sera prima.” (Fabio)”
- “Ci siamo dimenticate di aggiungere una cosa: la sera al
Vittorio Emanuele abbiamo trovato una nuova parola per
chiamare Walter e Sean contemporaneamente: wash=
WA (Walter) e SH (Sean)” (Elena e Silvia)
- “Anche se mi sono ammalata devo dire che mi sono
divertita! E spero di rifare una gita come questa molto
presto!!!!” (Chiara)
- “Sofia peso morto - nella discesa degli sfortunati ricoverati (Marco, Sean e Sofia) la cordata era ben formata:
Marco, abile leader esperto arrampicatore, Sean, svitato
ma con trovate geniali, e per non dimenticare il più inutile
membro della cordata: Sofia! Cosa si fa in cordata se un
membro importante cade in crepaccio? ……si butta Sofia nel crepaccio per fare da contrappeso!!! (ovviamente
se cade Sofia si taglia la corda). Come se non bastasse sopportare la sua presenza..durante la discesa ha disturbato la cordata con un’inutile perdita di sangue dal
naso?!! Ma ti pare!!! Sofia, invidiosa delle capacità del
resto del gruppo, preparò una diabolica arma: un’affilatissima piccozza pronta ad infilzare il viso dei due leaders
di cordata. Quindi in conclusione “Sofia è un peso morto”
(Marco, Sean, Sofia)
I RUMORI IN BAGNO
- “Come si sa l’acqua in rifugio è fredda; è micidiale doversi lavare le ascelle con l’acqua nel rifugio; la Elena, la
Giulia e la Francesca hanno fatto dei versi molto strani
lavandosele… la Silvia intanto era in bagno e quando è
uscita la Giulia ha riassunto i versi che abbiamo fatto;
appena li ha sentiti è scoppiata a ridere e si è fatta la pipì
addosso; per fortuna eravamo in bagno”.
(Elena e Silvia)
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CHE COSA DIRE ANCORA DI QUESTI QUATTRO
GIORNI?
Appare doveroso, innanzitutto, ricordare il discorso del
Presidente al camping “Gran Paradiso” che, con tono intimidatorio, tra il ping pong e il biliardino ammonisce i
ragazzi a rispettare le regole del campeggio: “Mi raccomando, non fate casino... ci mandano via...”.
Sarà l’autorevolezza dello “zar Nicola” o la consapevolezza
della difficoltà dell’impresa, fatto sta che tutti gli allievi si
presentano puntuali all’appuntamento pomeridiano per il
ripasso delle manovre; dopo essersi districati tra corde,
imbrachi e moschettoni si avventano affamati sui tavoli
già imbanditi per la cena, contribuiscono “spontaneamente” al lavaggio dei piatti e poi, via, a preparare gli zaini
per la grande salita.
Il giorno dopo tutti operativi (o quasi) e decisi a conquistare il Vittorio Emanuele: zaini pesanti, vento incessante,
ma finalmente la meta arriva... giusto il tempo di riprendere fiato e mangiare qualcosa pri-ma di andare ad allenarsi a quota 3000 m. Qui, tra sgambatine “di rifinitura” e
gare di cordate all’ultimo respiro, ci si prepara ad affrontare il duro ambiente del ghiacciaio.
Alle 21.00 in punto, dopo una lauta cena a base di omelette “alla Bressan” e “cose strane con lo speck”, ci si infila
nei loculi del sottotetto, chi a russare allegramente, chi
a “fare il micio”, chi ad ascoltare il vento e chi a cercare di dormire almeno qualche ora, fino a che il grande
momento arriva: sveglia alle 3.30, colazione alle 4.00 e
partenza alle 4.30… sguardi allucinati e molti sbadigli, ma
tutti pronti sul terrazzo del rifugio con racchette in mano
e pila in fronte.
Lo scenario è fantastico: una lunga scia di luci tra le rocce
sconnesse delle morene e sotto una splendi-da stellata…
cosa desiderare di più? Le ore passano, il sole appare
all’orizzonte, la quota aumenta, la temperatura scende e
anche il vento inizia a farsi sentire, ma il gruppo, compatto, non molla. Qualche piccolo cedimento, brevi soste per
recuperare le forze, “leds” che iniziano a emettere una
luce sempre più flebile, ma alla fine ecco la cima spuntare
tra le nuvole.
Il panorama non è dei migliori, ma l’obiettivo è raggiunto:
la quota 4000 m è sotto i nostri piedi e la soddisfazione è
grande. Non tutti riescono a toccare la madonnina sulla
vetta, le condizioni del tempo e l’eccessivo affollamento
dell’ultimo tratto non lo consentono, ma la montagna è
così: non ci sono vincitori o vinti, ma un’unica grande signora che bisogna sempre rispettare e mai sottova-lutare.
Foto di rito, con le bandane gialle al collo e il grande aquilotto che volteggia sul manto nevoso del ghiacciaio, e poi
il rientro, prima al rifugio Vittorio Emanuele e quindi al
parcheggio.
L’accoglienza al campeggio è fenomenale, con bruschet-
alpinismo giovanile
te appena sfornate e doccia calda… un sogno!! I ragazzi
sono stanchi ma felicissimi e dopo la cena di festeggiamento e i saluti locali non mancano le sfide a biliardino e
ping pong “estremo” con pila frontale.
Alla fine di queste quattro meravigliose giornate possiamo solo dire grazie a tutti quelli che ci hanno sostenuto,
sia prima che durante il soggiorno in valle, preparandoci
goduriose cene e colazioni. Ma so-prattutto un ringraziamento speciale va a tutti i nostri ragazzi, che, forse un po’
per loro natura e un po’ per il coinvolgimento trasmesso
via via dalle uscite di preparazione e da quella finale, si
sono dimostra-ti tenaci nella dura salita e molto collaborativi con gli accompagnatori (che vivamente ringraziano!!)
e sono riusciti a creare un gruppo così ben affiatato e
legato da una bella e sana amicizia, che non ha la-sciato
spazio ad atteggiamenti negativi o discutibili.
Noi accompagnatori, grazie a loro, abbiamo vissuto momenti in completa armonia e da parte nostra vo-gliamo
fare un augurio forte e sincero, perché i ‘nostri’ ragazzi
continuino tutti su questa fantastica strada… sempre in
salita e in compagnia … di tutti!
Elena e Valeria
UNA SALITA…PARTICOLARE
di Giuliano Bressan
La vicenda ha inizio nella primavera scorsa durante un
incontro conviviale. Si discuteva sui programmi dei corsi
proposti delle varie commissioni della nostra Sezione e
la mia attenzione fu attratta dall’uscita sul Gran Paradiso
organizzata dall’Alpinismo Giovanile.
Con Davide Selmin, uno degli accompagnatori del Gruppo,
resto d’accordo che se nel periodo previsto per l’ascensione non avrò altri impegni, parteciperò molto volentieri
all’ambizioso programma.
Diverse erano le motivazioni che mi spingevano a prendere parte all’uscita, oltre a ritornare sulla cima di un 4000
che avevo raggiunto in una primavera di più di vent’anni
fa con una bellissima sci-alpinistica. M’interessava soprattutto condividere quest’esperienza, per confrontarmi con
allievi diversi, molto più giovani rispetto alle normali fasce
d’età degli iscritti ai vari corsi della nostra Scuola di Alpinismo e per osservare come lavoravano, didatticamente e
sul terreno, altre figure titolate.
Riesco proprio il sabato precedente alla partenza a superare un ultimo ostacolo ed a partecipare all’uscita; a bocce ferme posso sinceramente affermare che l’esperienza
è stata, soprattutto dal punto di vista umano, accrescitiva
e gratificante.
Con i ragazzi, nonostante ci siamo visti e conosciuti solo
49
alpinismo giovanile
alla partenza della gita, non è stato difficile entrare in sintonia; nei quattro giorni di vita comune ho potuto valutare
come, pur nella loro (ma anche nostra) realtà quotidiana
sempre più allacciata alle comodità ed alla tecnologia (telefonini, iPod, ecc.), esista ancora lo spazio e la voglia di
fare della sana fatica.
Durante la salita, nonostante un vento forte e freddo che
poteva minarne la determinazione, ho piacevolmente apprezzato la caparbietà e la volontà di questi giovani; ho
scorto nei loro occhi la delusione e la tristezza per qualche
forzata rinuncia, le incertezze ed i dubbi sulle proprie capacità e possibilità ed infine, la soddisfazione e la gioia nel
raggiungere l’ambita meta.
Senza dubbio buona parte dell’entusiasmo dimostrato da
questi ragazzi è trasmesso dalla gran carica degli accompagnatori dell’Alpinismo Giovanile; a loro va il merito di
aver trasferito una precisa, seppur di base, preparazione
tecnica e l’applicazione nelle varie uscite di un ponderato
e graduale impegno. Osservandoli nel loro agire, sia durante le varie fasi della salita che nella gestione complessiva dei ragazzi, ho potuto riflettere e valutare l’onerosa
mansione e la gran responsabilità che si assumono nello
svolgimento delle loro uscite.
Suscitare interesse verso gli ambienti naturali, è un compito delicato e prezioso. L’accompagnatore non si limita
alla sola conduzione dei ragazzi sul terreno ma insegna
e trasmette loro le nozioni necessarie per frequentare e
percorrere con sensibilità, rispetto e sicurezza, ambienti
affascinanti ma potenzialmente pericolosi.
Un’altra funzione, forse la più importante, riguarda
l’aspetto educativo e psico-pedagogico. Mi sono reso conto come questi obiettivi sono stati cercati e raggiunti, prima attraverso un dialogo ed un rapporto costruttivo fra
accompagnatori e ragazzi, poi tramite il gioco ed il coinvolgimento, adottando il metodo dell’imparare facendo.
In questo contesto l’ambiente naturale diventa il teatro
in cui i ragazzi, misurandosi e confrontandosi con fatica,
passione e gioia, vengono aiutati nella loro crescita fisica,
psichica e morale.
Al termine della salita, non mi resta che inviare un grande plauso ed un sentito grazie agli accompagnatori ed ai
giovani per la bella esperienza condivisa con l’augurio che
il Gran Paradiso sia solo la prima tappa verso orizzonti
sempre più alti.
50
alpinismo giovanile
Escursione per la pace
Traumatica sveglia di sempre e ritrovo in Piazzale Azzurri
tutti pronti a partire per una nuova avventura insieme agli
accompagnatori e a qualche coraggioso genitore.
La meta di oggi è il Monte Verena, sull’Altopiano di Asiago; siamo pochini, probabilmente qualcuno è ancora in
vacanza, ma alla partenza il morale è alto anche solo per
le battute che volano nell’aria tersa del mattino.
E poi, radunati gli ultimi e raccolte un po’ le forze… si
parteeeeeee….
Dal finestrino della macchina che lenta mangia l’asfalto
tra le curve del Costo lo sguardo si perde nel turchese
di Chiara Tedesco
24 agosto 2008 ore 7.00
51
alpinismo giovanile
di un cielo mai visto così limpido. La giornata è davvero
stupenda!
All’arrivo si parcheggia vicino ad una malga e si scaldano
i muscoli per incamminarsi e raggiungere la cima che da
giù sembra lontana; e si comincia anche a chiacchierare,
conoscere persone nuove, osservare il bosco e sentirne
gli odori, faticare in salita e apprezzare, come sempre, un
tronco rovesciato o un sasso su cui riposarsi un attimo.
Poi, stanchi ma felici, si arriva alla cima e al rifugio che
prima si vedeva piccolo piccolo.
Dopo un buon pranzo abbondante ci muoviamo un po’
per raggiungere la croce, poco più sopra, proprio in cima,
dove ci concediamo le foto di rito e qualche minuto di
sole.
Qui c’è anche un vecchio fortino di guerra abbandonato
e stanco; un luogo di guerra per un’iniziativa per la pace:
Ekecheiria!!!!
Ekecheiria era il nome che i Greci davano al periodo di
pace fra le genti elleniche durante i Giochi di Olimpia.
Questo è anche il nome che è stato dato all’ iniziativa
che quest’anno ha coinvolto tutte le sezioni di alpinismo
giovanile d’Italia.
Sedici giorni prima, l’otto agosto, a Pechino si è dato il via
ai giochi olimpici, quest’anno particolarmente contestati
perché, com’è noto, la Cina non brilla nel campo dei diritti
umani.
Noi siamo però convinti che la montagna possa unire e
aiutarci a far valere il nostro messaggio di pace e lo dimostriamo in questo modo:
proprio nella giornata della chiusura dei giochi olimpici,
insieme ad altri 204 gruppi di alpinismo giovanile, in rappresentanza dei 205 comitati olimpici di tutto il mondo,
siamo saliti in 205 vette differenti tra cui il monte Olimpo
e qui abbiamo acceso una fiaccola perchè il periodo di
pace, ekecheiria, non si limiti solo alla durata dei giochi
ma continui per sempre, ovunque.
E così, su una vetta che è stata molti anni fa un macabro
teatro di barbarie dettate solo dall’odio (24 maggio 1915),
noi abbiamo acceso assieme un fuoco in onore della pace
cui ha diritto ogni uomo, con la speranza che essa riesca
a farsi strada anche controcorrente e prima o poi pervada
il cuore di tutti gli uomini.
La discesa a valle è stata molto veloce ed allegra, con i
ragazzi che correvano avanti e qualche temerario che si
distaccava dal gruppo alla ricerca di reperti di guerra.
La giornata si concludeva, come tradizione vuole, con il
classico “spuntino” prima di partire e l’acquisto da parte
di qualcuno di formaggi locali della malga.
E’ stata proprio una bella giornata ricca di tante cose, di
tante persone diverse ma unite dalla stessa passione per
la montagna, di grandi ideali condivisi con tanti amici.
52
escursionismo
escursionismo
Bella e quasi straordinaria
è la vita sedentaria:
trascinarsi, piano-piano,
dal computer al divano;
ceder senza nostalgia
a ogni nuova leccornia.
Ma poi un giorno è capitata
una scelta sciagurata:
basta ad ozio e libagioni
per un corso di escursioni.
Sono molte le lezioni
e, per casa, relazioni;
per chi dice: “tutto qui?”,
c’è la corsa al Martedì.
Ecco il primo appuntamento:
argomento “abbigliamento”.
Riceviamo un prontuario
con le scelte sul vestiario:
se la scarpa e il calzettone
destan massima attenzione,
micropile ed antivento
metton tutti in gran fermento.
Siamo quindi ad affrontare
l’escursione inaugurale:
zaino Invicta sulle terga
ed ai piedi...le Superga.
Ma il percorso da’ il fiatone
più di ogni previsione.
“Alla faccia beneamata
dell’innocua passeggiata!”
pure Enrico si corresse
scaricando il GPS.
Siamo dunque escursionisti
o convinti masochisti ?
Si fatica e si scarpina
anche in Valle Imperina
Di sicuro non ti perdi
qui tra boschi e prati verdi
ma, tra erba e foglie secche,
puoi beccarti anche le zecche.
Ed al fin dell’escursione
non ci manca...l’acquazzone!
Tocca poi all’orientamento
causa prima di tormento.
Or la carta è un brutto affare
con la bussola orientare;
di Marco Rubini
Resoconto in rima incerta
del nostro corso
di escursionismo
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escursionismo
54
ma lo studio dà i suoi frutti
grazie a Lello, ormai, “per tutti”.
“Questo meteo è un terno al lotto”
ci comunica Beriotto;
lo conferma, non da solo,
pure l’Arpav di Teolo.
“Cielo azzurro e sole giallo”
si sbilancia lo Zagallo,
che fiducia sempre infonde
soprattutto alle 2 bionde...
A smentire questa terna,
l’altopiano di Luserna:
dove a bussole e cartelle
son seguite le mantelle.
Poco male, s’è pensato,
‘ché nessuno ha controllato
il percorso a noi assegnato.
Per fortuna il sole impazza
quando andiamo in Cavallazza.
Braghe corte e canottiere
or si indossan con piacere;
ma la sera, che avventura,
è lenir la scottatura...
Ben due pullman e il lor corredo
giungon fino al Lavaredo:
qui partiamo forti e belli
pel rifugio Locatelli.
Ma dobbiam presto frenare:
c’è una cacca da osservare,
poi un blocco di arenaria
dalla storia millenaria,
“Guarda, un fiore superfigo”
ce lo mostra...Gianni Frigo!
Ma la nuvola è in agguato,
lo sa bene ogni impiegato,
pur stavolta, per cambiare,
arriviamo da strizzare.
Poco più d’una semana
e affrontiamo il Col di Lana;
ma lo sforzo certo vale,
c’è una coppia eccezionale:
infatti a Gianni, in grande riscossa,
s’affianca stavolta Antonella la rossa.
Questi custodi di cultura e di idee
ci guidan pazienti tra boschi e trincee,
tant’è che la sera, nella conferenza,
ci addormentiamo...con riconoscenza.
Il giorno dopo sveglia alle 3 (!!),
ci aspetta l’ascesa del Piz Boè:
saliamo con gioia e gran leggiadria
...almeno nel tratto di funivia.
Poi, verso la cima, l’esempio ci sprona
escursionismo
dei 100 atleti della maratona
Si prospetta un affaraccio
l’escursione al Catinaccio,
molti fuggono al presagio
del consueto nubifragio.
Siamo dunque una trentina
all’Arcella la mattina,
a sognare ingenuamente
una gita divertente.
Mentre andiamo senza fret’
al rifugio Vajolèt.
ligi alle previsioni,
ci accompagnan lampi e tuoni.
Ovvio, l’acqua non è assente
anche nel giorno seguente.
Fu così che chi era pronto,
a ritrarre un gran tramonto,
tornò a casa mestamente
senza aver scattato niente.
Vero gesto di passione,
ogni fine di escursione,
è guardare senza lagna
il gran film sulla montagna.
Ghiaccio, rapide, burroni
e fallite spedizioni;
c’è chi dice, o meglio impreca:
“Che sfigata videoteca!!”
Ora è giusto che sugli allori
salgano i nostri pazienti istruttori:
c’è il magrissimo Renato
da Roberta accompagnato;
poi Antonio, il sapientone,
cui non serve mai il maglione.
Guido ha occhiali e barba bianca,
tanto cammina e poco si stanca;
Marco allegro sempre sale
(un po’ meno sul Medale...);
e infine Michele, il cravattato,
che il sereno non sempre ha portato.
Un pensiero riconoscente
a chi ci ha guidato occasionalmente,
ed ai molti capaci oratori
incontrati alle Cave e fuori.
Certo, il più amato della lista
resta Gianni il naturalista,
che ci ha tenuto sempre attenti,
anche parlando di escrementi...
Per chi ancora imperituro
si arrovella sul futuro,
il percorso è ormai segnato:
ci vediamo all’Avanzato!
Abbiate pietà nei giudizi... Alla prossima.
55
alpinismo
alpinismo
46° Corso di Ghiaccio
Anno 2008
56
Con una bella serata tutti assieme tra istruttori, allievi e
amici vari presso la Trattoria da Berto a Boccon di Vò, lo
scorso 3 ottobre si è concluso il 46° Corso di Ghiaccio
della Scuola di Alpinismo “Franco Piovan” con la consegna
degli attestati di partecipazione.
Il Direttivo del corso era formato dall’IA Nicola Bolzan in
qualità di Direttore, coadiuvato dagli IS Paolo Bassanese ed Enrico Toffanin quali vice-direttori, inoltre altri 11
istruttori hanno partecipato al corso. Al corso sono stati
ammessi i seguenti 16 allievi, che lo hanno brillantemente
superato: Baratella Valeria, Baroni Pietro, Bortolami Adriano, Crivellaro Elena, Epifani Magda, Faccini Carlo, Fontana
Enzo, Galeazzo Riccardo, Giampieretti Marco, Michelotto
Sandro, Pavone Enrico, Polese Paolo, Rizzardi Giovanna,
Stramazzo Antonella, Turco Francesco, e Vanzetto Nikolas.
Il programma delle uscite del corso è stato il seguente:
- Rocca Pendice, cerimonia inaugurale dei corsi della
scuola Piovan ed esercitazione di orientamento;
- Marmolada, utilizzo di piccozza e ramponi, tecniche
di progressione su ghiacciaio della cordata, manovra di
auto-arresto, manovre di sicurezza e ancoraggi su ghiaccio, salite allo spallone di Punta Rocca e alla Forcella del
Vernel;
- Rifugio Bellavista in Val Senales, manovre di recupero da
crepaccio, salita alla Palla Bianca per la via normale;
- Rifugio Vittorio Emanuele al Gran Paradiso, salita al Gran
Paradiso, alla Tresenta ed alla Becca di Monciair per le
rispettive vie normali.
I risultati finali raggiunti dagli allievi sono stati eccellenti,
anche grazie all’ottima preparazione atletica e alpinistica
dimostrata. Grande soddisfazione per gli istruttori è stata
che tutti gli allievi presenti hanno raggiunto la vetta del
Gran Paradiso e qualche settimana dopo alcuni di questi
allievi, in qualità di istruttori di Alpinismo Giovanile, hanno
messo subito in pratica quanto imparato tornando sulla
vetta di Gran Paradiso insieme ad alcuni ragazzi di Padova
per celebrare il centenario della Sezione.
Un grazie a tutti gli allievi per l’impegno e l’entusiasmo
dimostrato durante l’arco del corso ed un invito a continuare a frequentare la montagna con sempre maggiore
passione ed in modo più sicuro. Un grazie a tutti gli istruttori che hanno partecipato alle uscite contribuendo all’eccellente riuscita di questo corso. Un grazie particolare alle
famiglie degli istruttori, le quali, con grande pazienza e
comprensione, hanno trascorso numerosi week-end senza i rispettivi cari impegnati in questa importante attività
di volontariato.
Il Direttivo Del 46° Corso di Ghiaccio
alpinismo
Dalla parte degli allievi
Ed eccoci ad affrontare un nuovo corso
CAI… si parte con il solito iter: compilazione della domanda di partecipazione e del
curriculum, selezione da parte del direttivo
e responso finale, con ammessi, non ammessi e ammessi con riserva.
Così comincia la nostra avventura: con la
prima lezione di presentazione in sede e
il consueto ammonimento del direttore a
seguire tutte le lezioni, ma soprattutto con
le durissime sedute di allenamento... “bisogna avere fiato per arrivare a 4000 m… la
quota non scherza!!!”… Alla prima uscita di
orientamento a Rocca il gruppo è già abbastanza omogeneo: tutti con una buona
esperienza di montagna e impazienti di iniziare a maneggiare piccozza e ramponi.
Alla prima uscita pratica in Marmolada non manca proprio
niente: tende, picchetti, sacco a pelo, piccozza, ramponi,
corde, viveri, dolci e, dulcis in fundo, tanta acqua, che ci
accompagna notte e giorno. Ma quello che nessuno potrà
mai dimenticare è la fantastica cena, a base di carne alla
griglia e polenta, preparata da Ceci e dalla sua squadra… eccezionale!!! La serata
poi mette in luce le doti (artistiche) degli
istruttori – la voce da tenore di Cassutti e
l’abilità “alle corde” di Enrico – ma anche
quelle (atletiche) degli allievi: un adesivo è
lì a dimostrarlo…
Gli allenamenti intanto continuano in settimana, per lo più autogestiti, fino ad arrivare alla seconda uscita in Val Senales.
Partenza venerdì mattina, sosta per il pranzo a Forst e poi su a Maso Corto. Zaini
pesanti sulle spalle, ma la salita al rifugio
è rapida. La sera discorso del direttore e
organizzazione delle due giornate successive: un giorno addestramento con prove
di arresto e recupero (… che numeri, ragazzi!!!) e un giorno salita alla Palla Bianca. Fantastico panorama, ma che lunga!!! Soltanto un
episodio scombussola la scanzonata atmosfera in rifugio
sabato sera, ma per fortuna tutto si risolve senza troppi
problemi. Alla fine dell’uscita tutti sono sod-disfatti – chi
per la scimmia evocata a 3738 m, chi per le splendide vette raggiunte –, compresi i quattro poveri sfortunati con gli
zaini dimenticati al rifugio… per loro una giornata davvero
interminabile!!!
Sopra: in cima alla Palla Bianca
Sotto: il corso al Gran Paradiso.
Sullo sfondo la Tresenta
57
alpinismo
In vetta alla Tresenta
58
Terza e ultima uscita: il Gran Paradiso. La storia si ripete…
partenza sempre il venerdì mattina, sosta veloce per il
pranzo in autogrill e poi su in Valsavaranche fino a Pont.
Zaini in spalla, consegna delle corde agli allievi e via,
verso il rifugio Vittorio Emanuele II. Rapida sistemazione nelle stanze e subito fuori, a sorseggia-re una buona
radler e ad assaggiare il fantastico dolce di Ceci… come
sempre il migliore!!! Alla sera
discor-so del direttore, annuncio delle cordate per il giorno
successivo e poi tutti a letto, a
dormire quelle poche ore prima della sveglia alle 4:00. Alle
4:30 siamo già tutti fuori dal
rifugio, pronti a partire per la
via normale al Gran Paradiso.
Le pile frontali sono praticamente inutili: il chiarore della luna è più che sufficiente;
dopo 4-5 ore tutte le cordate
sono in vetta a farsi la foto
accanto alla madonnina… per
molti il primo 4000!!! Il vento
gelido, però, non consente una
sosta prolungata. Alla sera al
rifugio la stanchezza si fa sentire, ma tutti so-no entusiasti
dell’impresa. Il giorno dopo
altra cima, chi alla Tresenta e chi alla Becca di Monciair,
e poi giù, prima al rifugio Vittorio Emanuele II e infine al
parcheggio di Pont, giusto in tempo prima di prendersi un
bell’acquazzone…
Che dire ancora di questo corso? Gli insegnamenti sono
stati tanti, ma soprattutto abbiamo imparato cosa si-gnifica progredire in sicurezza in un’estate come questa, tempestata di tragedie tra i ghiacci: per quanto pos-siamo essere preparati è comunque la montagna a dominare e non
sempre piccozza, ramponi e corda sono sufficienti. L’unica
cosa che possiamo fare è cercare di affrontare le nostre
salite con umiltà e rispetto per l’ambiente che ci circonda,
senza mai spingerci oltre i nostri limiti e, se necessario,
trovando anche il coraggio di rinunciare all’impresa.
Questo è quello che ci hanno trasmesso i nostri istruttori…
un caloroso grazie a Nicola, Paolo, Enrico e a tutti quelli
che, insieme a loro, ci hanno permesso di raggiungere
delle cime fantastiche e di vivere un’indimenticabile esperienza ad alta quota.
alpinismo
70° Corso di Roccia
Dal diario di “er Direktor” agli allievi, “LA PREPARAZIONE
ALLA SCALATA”:
L’ARDUA LOTTA CON L’ALPE esige un’alchimia di diversi
fattori.
Primo fra tutti un’ottima forma fisica. Questa garantisce,
anche ad allievi con eloquio sovrabbondante, fiato sufficiente per la salita; ad altri di superare mali debilitanti che
possono pregiudicare la partecipazione alle uscite. Essa
consente, inoltre, di sopportare stoicamente malfunzionamenti alle caviglie e, in casi eccezionali, di poter esclamare a fine giornata: “Belle vie, un po’ faciline….”.
Secondo, ma non per importanza, un’adeguata attrezzatura. In primis: scarpette (tutte e due, anche per gli istruttori e, possibilmente, le proprie) elemento fondamentale
in cui riporre fede assoluta.
Altro elemento fondamentale è un imbrago COMODO,
specialmente in caso di permanenza in via fino al calar
della notte… o se esso assume il ruolo di “copertina di
Linus”, compagno di vita inseparabile da portare in ogni
circostanza.
Il buon allievo è un cultore del pantalone tecnico, le cui
protezioni inguinali consentono di affiancare al metodo
“Caruso” il metodo “Pelvico” (ispirato da un’istruttrice del
corso ed esaltato da due notevoli allievi). Le imbottiture
offrono, inoltre, un comodo alibi nel momento in cui, in
parete, i “commenti caldi” dovessero raggiungere temperature eccessive. Data l’aderenza del capo esso va invece
evitato quando, placata la fame dopo una lauta cena ad
Arco, altri appetiti si risvegliano.
Facoltativo ma comodo: il secchiello (che er Direktor consiglia di accompagnare alla paletta).
Indispensabile invece il caschetto. Corredato all’occorrenza di asciugamano antisudore (rigorosamente arancione).
Utilissimo in caso di caduta sassi o martelli.
Qualora l’allievo sia colto da scoramento e disperazione in
parete, è utile una piastrina GIGI per allestire una calata
in doppia (aver cura di evitare i rovi). Nota: non eccedere
con le spire nell’esecuzione del machard, pena il blocco
dello stesso e la necessità di un soccorso in parete.
La moderna tecnologia mette a disposizione dell’allievo
ottimi strumenti, il più utile dei quali è senza dubbio l’altimetro/barometro/bussola. Elemento prezioso in caso di
abbandono da parte dell’istruttore o per evitare il maltempo (eccettuati venti e tuoni di origine… non meteorologica).
Una nota a proposito dell’alimentazione: sconsigliamo vivamente l’eccessiva assunzione di liquidi (bevande energetiche in particolare); consigliamo invece, per una sana
59
alpinismo
e abbondante ristorazione, l’agriturismo “Sampaoli” sito
nella ridente Teolo.
Per ultima, una mente e uno spirito saldi. Non ceda l’allievo a superstiziosi timori, in quanto il corso a provato
che il numero 17 (numero dei suoi partecipanti e fausto
venerdì della cena finale) può essere foriero di esperienze
entusiasmanti e coinvolgenti.
Ricordate: “L’ARDUA LOTTA CON L’ALPE fortifica il carattere, consolida le amicizie vecchie e ne crea di nuove”.
Epiologo “serio”:
Dopo questa allegorica rievocazione del 70° Corso di Roccia, vorremmo ringraziare gli istruttori tutti e, in particolare, Matteo “er Direktor” Mason nonché i vice direttori Leo
e Ceci. I vostri consigli, il vostro ricordo e le esperienze
che abbiamo vissute con voi ci accompagneranno sempre
lungo le vie che andremo a percorrere.
Gli allievi del 70° corso di roccia
60
alpinismo
Corso Di Roccia 2005
Una Giornata In
Rafting A Briançon
Riportiamo di seguito uno scritto in
rima di un avvenimento ormai ormai
datato.
È chiaro che l’esperienza vissuta da alcuni istruttori ed allievi oramai 3 anni
orsono è stata di quelle che si ricordano nel tempo con immenso piacere.
È con questo spirito che lo proponiamo ai nostri lettori.
di Sergio Sattin
Valle Romanche
verde smeraldo
a Serre Chevalier;
aria frizzante
e cime d’argento.
Foto di gruppo
con lazzi e risate.
Mute d’arancio
nel sole d’agosto,
Fanciulle gioiose
e boys eccitati,
a gruppi di cinque
nei gusci di gomma,
giù per le onde,
tra scrosci e spintoni,
con salti e virate,
”a gauche, camarades”!
con grida di gioia,
timor d’annegare,
nel buio del bosco,
col sole in radura,
in gara con gli altri,
attento a te stesso;
veloce nell’acqua,
tra massi e spuntoni,
fra tronchi affioranti
e salti nel vuoto.
Ti guardi negli occhi
e vedi il terrore,
risate forzate,
sospiri di gioia,
abbracci finali,
nell’ansa tranquilla.
Torniamo! che forza,
che corsa veloce,
che sogno, che ansia,
che sole ragazzi!
61
veterani
veterani
di Giovanna Borella
Invidiabili Veterani!
Nel dizionario Zingarelli, alla voce “veterano”, si trova la
seguente spiegazione: nell’esercito romano, il veterano
era il soldato che, avendo prestato servizio per un certo
numero di anni, veniva onorevolmente congedato (pensionato); oppure veterano è chi per molto tempo ha svolto
un’attività e, quindi, ha una particolare abilità o esperienza in merito. Quasi tutti i veterani del CAI, giustamente,
sono pensionati e assai abili nell’andar per monti.
Il numeroso gruppo, però, non ha solo queste prerogative: basterebbe assistere alla partenza per l’ennesima
“impresa”, il mercoledì mattina. Se c’è il pullman si rinnova ogni volta la lotta per occupare i posti migliori: zaini
per terra, un andirivieni su e giù, qualche spintone, dato
ridendo.
Se, invece, si va con le auto, si apre la caccia al posto da
parte di chi non ha la macchina, di chi ha una carriola o
di chi, generosamente, non vuole usare la propria. Il tutto succede sempre alla presenza della nostra attivissima
a benemerita segretaria Paola e del nostro presidente,
Mario, altrettanto attivo e impegnato in questa opera di
“volontariato per anziani” insieme ad altri amici.
Quando poi, sistemati tutti, finalmente si parte, comincia
un cicaleccio incredibile: tutti parlano con tutti perché è
già una settimana che non ci si vede, e spesso si argomenta su sentieri da percorrere o montagne da vedere.
62
veterani
Quando cominciamo a camminare con i nostri zaini in
spalla, nasce ogni volta l’aspettativa per un nuovo grande
regalo. Il sentiero s’inerpica fra mughi e rocce bianche; i
cespugli di rododendri offrono il loro spettacolo di colori
e, su un prato, una genziana accanto ad un piccolo fiore
giallo affascina per la perfezione e lo splendore. Tra le
escursioni di Luglio ce n’è stata una particolarmente bella
nel Gruppo del Cristallo in una di quelle giornate, dopo un
temporale, in cui il cielo è di quel blu incredibile e le rade
nuvole residue sono bianche e spumose come la panna.
Abbiamo risalito la sinistra idrografica di un torrente attraversandolo ed entrando in un rado bosco di abeti sotto le
creste del Rudavoi. Continuando a salire, giunti alla base
del Popena, abbiamo trovato i ruderi dell’omonimo rifugio, adagiati in una splendida balconata naturale coronata
dalla Marmarole, dal Sorapis e dal Piz Popena.
I silenzi, i colori, la meraviglia di quei luoghi, ci portano
ogni volta fuori dal nostro piccolo mondo quotidiano, oltre
i suoi limiti e i suoi orizzonti ristretti. Si respira meglio, si
riesce a godere di ogni piccolo istante, stando in compagnia ma anche piacevolmente soli con se stessi. La discesa al lago di Misurina, luccicante sotto il sole e ricco di
colori, ha portato alla conclusione dell’escursione.
Al termine della nostra giornata c’è sempre il grande sollievo di togliersi le scarpe e la gioia di una bicchierata
tra amici o di una lauta merenda offerta da chi festeggia
il compleanno; cerchiamo di recuperare le calorie spese
nelle salite ma, soprattutto, abbiamo imparato a goderci
tutte le piccole cose che abbiamo a portata di mano.
Bello questo gruppo di veterani, nel quale ognuno s’impegna ogni volta, con tutte le sue forze, per raggiungere
una meta e ricevere il grande regalo dalla montagna: fino
a quando saremo capaci di emozionarci vedendo una piccola genziana blu nel prato, o di restare incantati davanti
ad una cima innevata, il nostro bambino interiore sarà
sempre vivo e potremo ritenerci veramente fortunati!
63
canti di
guerra
canti di guerra
CAPITANO DI FIORENZA
di Pier Giuseppe Trentin
La canzone del testamento non si è spinta soltanto fra le
aspre montagne del Trentino ma ha raggiunto anche i più
dolci colli dell’Appennino, come può documentare questa
versione raccolta nel 1889 in Umbria da Michele Barbi,
autore di raccolte di canti toscani, pistoiesi ecc.
Capitano di Fiorenza s’amalado e sta per morì.
“Nate a chiamà li miei soldati, che me vengheno a rivedè.
La mia vita ve raccomando, quattro parte se n’hanno da ffà.
Una portatela in Francia, e quell’altra all’imperatò.
La testa a la mia mama, ch’a patito il gran dolò.
Il corino a la Margarita, se ricordi del suo amò.
Se io campassi altri cento anni, non farebbe più a l’amò.
Per una volta che l’ho ffatto, ho patito ‘l gran dolò.
A. Cornoldi “ Ande, Bali e Cante del Veneto”
IL TESTAMENTO DEL CAPITANO
Il capitano della marina, era malato e el stava per morir,
l’à mandà a dire a tuti i suoi soldati che lo venissero a
ritrovar.
I suoi soldati ghe manda a dire che non gh’è barche da
imbarcar,
O con le barche e senza barche i mie soldati li vòio tuti
qua.
Cossa comandalo sior capitano ora che siamo venuti tuti
qua?
Vi ricomando la mia vita, in cinque pezzi la dovete far:
Il primo pezzo vada al Re Vittorio che si ricordi
del suo solda,
secondo pezzo vada al battaglione che si ricordi
del suo capitano,
il terzo pezzo vada alle montagne dove fioriscono belle rose e fior,
il quarto pezzo all’amante mia che sono stato il
suo primo amor,
il quinto pezzo a mama mia che si ricordi del suo
figlio ancor.
Questa versione polesana del “ testamento “ raccolta a
Donada nel 1959, riflette l’ambiente dei pescatori, battellieri e marinai fra i quali venne divulgata cosicché vediamo
il “ il capitano della compagnia “ tramutato in “ capitano di
marina “ e le “scarpe in barche”.
G. Ferraro “ Canti popolari Piemontesi ed Emiliani “ a cura
di R. Leydi e F. Castelli.
65
canti di guerra
Canti popolari Monferrini
IL CAPITANO DELLE MILIZIE
Sur capitan-nhe dir milizie
L’ha tant mà da murì.
L ‘mandà a dì a lo soi pare
Ch’u ‘l vena an po’ a truèe
L’ha mandà a di a soi suldà
Ch’ì ‘l veno an po’ a truèe,
I soi suldà i han mandà dì
Ch’i han ra rivista da passè.
Au lunesdì mattin bunura
I suldai i rivo lì.
Da gir bundì, sur capitan-nhe
Ancur vujatir, mei suldai.
(arrivano)
Vi ricumand ista mioi vitta
(corpo)
Quatir parti n’hei da fèe
Ra primma mandèrà an Fransa,
La seconda an Munferrhà.
Mandèe ir me cor a Mirgaritta
Ch’a s’ricorda di l’amur.
Mandèe ra testa a ra mioi mama
Ch’a s’ricorda di dulur.
Ra Mirgaritta an si la porta
Ra cas an tera du dulur
(cade)
Sa scampeiss quatarsent ani,
Mai pì afass all’amur.
Quatarsent ani sun passai,
Mirgaritta r’è an si ra fiur
Oh sunèe trombette
Oh sunèe pijtusament:
Ca l’è mort ir capitan-nhe
Capitan-nhe du regiment !
Rigiment d’cavaleria
Rigiment pì unurà
Quandi ca l’era vivo
L’era csì bun suldà !
66
(nel fiore dell’età)
canti di guerra
Canti popolari di Pontelagoscuro
CAPITANO BEVE L’ACQUA
Sior capitani, che beve l’acqua.
Lu l’è int al’ lett , che lu sta mal.
L’ha mandà dir ai so suldati,
Che l’ha la banda da ritirar.
Servitor suo sior capitani,
Cosa comandalo dai so suldà ?
Vi raccomando questa mia vita,
Che in quattro parti liè l’ha da andar.
La prima parte al Re di Franza,
La seconda all’imperator:
Portè la testa a la mia mama,
Che si ricorda del so povar fiol.
Portè il corin a la Margarita,
Che si ricorda di far l’amor.
La Margarita lie la s’ n’è morta,
E l’han cuverta di rose e fior.
Bibliografia e Discografia
- Costantino Nigra “Canti popolari del Piemonte“ ed. 1888
ristampa Einaudi Torino 1957
- Dischi Durium “Coro del CAI di Padova“
78 giri – A – 11015
45 giri – ep. A 3065
33 giri – ms. A 581
- “Canti della grande guerra“ a cura di V. Savona e M.
Straniero. Vol. secondo
- Garzanti editore – 1981
- “Canti popolari trentini“ raccolti da Silvio Pedrotti.
Ed. Saturnia – Trento 1976
- Antonio Cornoldi “Ande, Bali e Cante del Veneto“
Rebellato Ed. Padova 1968
- Giuseppe Ferraro “Canti popolari piemontesi ed emiliani“
ed. 1865 – ristampa
Bur 1977
67
canti di guerra
MONTE NERO
Coro del CAI di Padova – armonizzazione Teo Usuelli
Spunta l’alba del quindici giugno,
comincia il fuoco l’artiglieria
il Terzo Alpini è sulla via
Monte Nero a conquistar.
Per venirti a conquistare
abbiam perduto molti compagni
tutti giovani sui vent’anni,
la lor vita non torna più.
Monte Nero, Monte Nero,
traditor della vita mia,
ho lascià la mamma mia
per venirti a conquistar.
68
La vetta del Monte Nero ( Krn ) – mt. 2240, ora in territorio sloveno, fu conquistata dal 3° reggimento Alpini,nei
giorni 15 e 16 giugno 1917. Davanti ai plotoni,una pattuglia di cinque alpini al comando del sottotenente Alberto
Picco : tutti hanno gli scarponi fasciati per non far sentire
lo stridore dei chiodi sulla roccia.
Ad un tratto il nemico li scopre: razzi illuminanti, fucilate
e scoppi di bombe a mano. Il sottotenente Picco è ferito
ad un piede ma guida ugualmente l’assalto alla trincea
nemica difesa dagli Honved ungheresi, nel corpo a corpo
che ne segue, ha il ventre squarciato da un colpo di baionetta, e muore assistito dai suoi alpini. In suo onore essi
composero un poetico lamento funebre:
Avevi il viso bianco e gli occhi neri
o luna o luna come splendevi
il suo corpo bruno ad illuminar
o luna o luna tu me lo dicevi
il tenente Picco non può ritornar.
Il Monte Nero fu tenuto dagli alpini fino al 24 ottobre 1917,
quando l’armata austro-tedesca, al comando del generale
von Below, attaccò le nostre posizioni dalla conca di Plezzo fino a Tolmino. In quello stesso giorno fu occupato il
villaggio di Caporetto dal quale ebbe inizio la disastrosa
ritirata delle nostre truppe fino alla linea del Piave.
Sembra che la prima versione del canto, sia stata scritta
su un foglio di carta a quadretti sgualcita, dall’alpino Domenico Borella con il titolo “ Canzone omoristica del 3°
Reggimento Alpini , una strofetta e forse anche il tema
musicale, riportano ad un vecchio canto della malavita
milanese, noto come “il Nero o il Moro della Vetra”
O vile moro dove sei
traditore della vita mia
tu sei stato una falsa spia
ma ti giuro vendetta farò.
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canti di guerra
Cesare Caravaglios, autore del volume “I canti delle trincee“ edito nel 1935 a cura del Ministero della guerra, sostiene che gli anonimi improvvisatori di Monte Nero, si
siano serviti della falsariga di un famoso canto di pescatori liguri intitolato “La barcassa“.
(cfr. Canzoniere Monte Cauriol – Genova 1968) . Il problema rimane insoluto, un fatto è certo, Monte Nero rimane
uno dei più bei canti di soldati nati durante la grande
guerra, ed è diventato leggenda.
Da opuscolo A.N.A. – Canti degli Alpini – Ed. Tamari –
Bologna 1968
CANZONE OMORISTICA DEL 3° REGGIMENTO ALPINI ALLA CONQUISTA DEL
MONTE NERO
O vile Monte Nero
traditor della vita mia
io lasciai la casa mia
per venirti a conquistar.
Spunta l’alba del sedici giugno
comincia il fuoco l’artiglieria
il terzo Alpini è sulla via
Monte Nero a conquistar.
Appena giunti a venti metri
il nemico trincerato
con un asalto intusiasmato
il nemico fu prigionier.
Quanti pianti infiniti
oggi faranno le nostre madri
anche noi si può far dei quadri
se il destino ci a lascià.
Ora il nostro tricolore
sventola sulla roccia
il terzo Alpini con gran forza
a Tolmino volle andar.
Per venirti a conquistare
abiam perduti molti compagni
tutti giovani sui vent’anni
la sua vita non torna più.
70
Il colonnello che piangeva
a veder tanto macello
fatti coraggio Alpino bello
che l’onore sarà per te.
canti di guerra
Quest’ultima strofa, è stata aggiunta al manoscritto di Domenico Borella in un periodo successivo.
Si riportano alcune strofe che non sono mai eseguite,
Ma Francesco l’imperatore
Sugli Alpini mise la taglia
egli premia con la medaglia
e trecento corone d’or.
A chi porta un prigioniero
di quest’arma valorosa
che con forza baldanzosa
fa sgomenti i suoi soldà.
Ma l’Alpino non è vile
tal da darsi prigioniero:
preferisce di morire
che di darsi allo straniero.
Bell’Italia devi esser fiera
dei tuoi baldi e fieri Alpini
che ti danno i tuoi confini
ricacciando lo stranier.
MONTE CANINO
Coro del CAI di Padova – armonizzazione Nazareno Taddei
Non ti ricordi, quel mese d’aprile,
quel lungo treno che andava al confine,
che trasportavano migliaia degli alpini
su, su correte, è l’ora di partir.
Dopo tre giorni di strada ferrata
ed altri due di lungo cammino
siamo arrivati sul Monte Canino
e al ciel sereno ci tocca riposar.
Se avete fame guardate lontano
se avete sete la tazza alla mano
se avete sete la tazza alla mano
che ci rinfresca la neve ci sarà.
Il Monte Canino (Canin m 2587) e il Monte Nero (m 2245)
dominano la conca di Plezzo (ora Bovec), e furono teatro
di combattimenti, che si conclusero poi con la disfatta di
Caporetto nell’ottobre 1917. La 14° armata composta da
divisioni austriache e da alcuni battaglioni d’assalto tedeschi ( uno dei quali al comando del futuro Feldmaresciallo
Rommel ), ebbe il compito di impossessarsi del terreno
ad ovest dall’Isonzo attraverso il triangolo montagnoso di
Plezzo, Soga, Monte Nero e il Monte Canino.
71
canti di guerra
Dal lago di Predil sito nel fondo della Val Raccolana ( Udine ), durante la guerra , una grande teleferica collegava
da una parte l’altipiano del Montasio, e dall’altra il Monte
Canino e che serviva i vasti accampamenti militari della
zona. Oggi sono ancora visibili i camminamenti e le mulattiere scavate dai nostri soldati.
Ora tutta questa zona è in territorio sloveno.
Di questo canto nato tra gli Alpini, non è stata finora traccia della fonte originaria.
Si trascrivono alcune lezioni. Questa è stata raccolta nel
1966 in località Castelnuovo Gherardi in provincia di Cremona.
Non ti ricordi, Giulietta mia cara,
non ti ricordi il ventiquattro maggio?
Un lungo treno varcava i confini
e trascinava migliaia degli alpini
su, su correte, è l’ora di partir.
Non più coperte, lenzuola e cuscini
non più si sente l’amor dei tuoi baci,
la si sentivano gli uccelli rapaci
e da lontano il rombo del cannon.
Alla mattina il tenente fa sveglia,
il capitano raduna i plotoni
e sulle cime degli alti burroni
là tutti insieme fucile si sparò,
Se avete fame guardate in alto,
se avete sete tazzina alla mano
se avete sete tazzina alla mano
qui c’è la neve che ci ristorerà.
E più di dieci ne visto cadere
e più di cento ne ho visti scappare,
là si sentivano, sentivano gridare,
su su arrendiamoci restiamo prigionier.
Nel 1944 un gruppo di partigiani della brigata garibaldina “Irma Bandiera“, creò il canto “Non ti ricordi la notte
fatale“. È uno dei numerosi esempi della utilizzazione di
Monte Canino negli anni della resistenza. (cfr, I Dischi del
Sole – Ds 53).
Non ti ricordi la notte fatale
sul torpedone della polizia ?
Da casa nostra lor ci portaron via
ed in galera abbiam dovuto andar.
72
Attraversato il cancello centrale
dentro alla cella ci han fatto entrare
canti di guerra
senza coperte e un pagliericcio duro
contro le spie la guerra dobbiamo far!
La stessa linea melodica di Monte Canino è stata adattata
sul tema dell’emigrazione, da un gruppo di giovani italiani
del Coro del Centro di azione sociale italiano, residenti a
Anderlecht (Bruxelles ) nel 1971.
(cfr, Dischi del Sole – Ds 1081\ 83 “Canzoniere dell’emigrazione“)
Non ti ricordi fanciulla mia cara,
quel brutto giorno della mia partenza,
noi ci lasciammo con ansia e tormento
e la speranza di presto tornar,
Un lungo treno mi porta in miniera
dove mi rode il sudore e la morte
al polo opposto del nostro bel sole,
per guadagnare il futuro con te.
Bibliografia e Discografia
“La Montanara“ a cura di V, Savona – M. Straniero.
Oscar Mondadori 1987
“Cantanaja“ di L. Viazzi – A. Giovannini.
Tamari Editore Bologna -1968
“Tapum“ a cura di Salsa, Piccinelli, Bazza.
Ed. Piccinelli- Roma
“La mia morosa cara – canti popolari milanesi e lombardi“
a cura di N. Svampa – Oscar Mondadori 1980
“Sotto l’ombra di un bel fior“ Canti di tradizione orale a
Brione (Brescia ). Ed. Grafo – Brescia – 2004
“I canti della Grande Guerra“
a cura V. Savona-M. Straniero-Garzanti ed.1981
Discografia
Il Coro del CAI di Padova
Dischi Durium
“I Canti della Gande Guerra nel cinquantenario dell’entrata in guerra dell’Italia“
Serie Cicala – BL 7023
Ta-pum
“Canti degli Alpini” – 1° raccolta – 45 giri – ep A 3065
“Canti della Montagna“ 33 giri – ms A 581
La Tradotta
“Canti degli Alpini“ - 1° raccolta – 45 giri – ep A 3065
“Canti della montagna“ 33 giri – ms A 581
“1944\1984 – Il Coro del Cai di Padova“ 33 giri – StereoQuar 4802.
Monte Nero
“Canti degli Alpini 2° raccolta“ 45 giri – ep 3280
Monte Canino
“Canti della Montagna” - 2° raccolta Msa 77092.
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canti di guerra
Dal lago di Predil sito nel fondo della Val Raccolana ( Udine ), durante la guerra , una grande teleferica collegava
da una parte l’altipiano del Montasio, e dall’altra il Monte
Canino e che serviva i vasti accampamenti militari della
zona. Oggi sono ancora visibili i camminamenti e le mulattiere scavate dai nostri soldati.
Ora tutta questa zona è in territorio sloveno.
Di questo canto nato tra gli Alpini, non è stata finora traccia della fonte originaria.
Si trascrivono alcune lezioni. Questa è stata raccolta nel
1966 in località Castelnuovo Gherardi in provincia di Cremona.
Non ti ricordi, Giulietta mia cara,
non ti ricordi il ventiquattro maggio?
Un lungo treno varcava i confini
e trascinava migliaia degli alpini
su, su correte, è l’ora di partir.
Non più coperte, lenzuola e cuscini
non più si sente l’amor dei tuoi baci,
la si sentivano gli uccelli rapaci
e da lontano il rombo del cannon.
Alla mattina il tenente fa sveglia,
il capitano raduna i plotoni
e sulle cime degli alti burroni
là tutti insieme fucile si sparò,
Se avete fame guardate in alto,
se avete sete tazzina alla mano
se avete sete tazzina alla mano
qui c’è la neve che ci ristorerà.
E più di dieci ne visto cadere
e più di cento ne ho visti scappare,
là si sentivano, sentivano gridare,
su su arrendiamoci restiamo prigionier.
Nel 1944 un gruppo di partigiani della brigata garibaldina “Irma Bandiera“, creò il canto “Non ti ricordi la notte
fatale“. È uno dei numerosi esempi della utilizzazione di
Monte Canino negli anni della resistenza. (cfr, I Dischi del
Sole – Ds 53).
Non ti ricordi la notte fatale
sul torpedone della polizia ?
Da casa nostra lor ci portaron via
ed in galera abbiam dovuto andar.
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Attraversato il cancello centrale
dentro alla cella ci han fatto entrare
canti di guerra
senza coperte e un pagliericcio duro
contro le spie la guerra dobbiamo far!
La stessa linea melodica di Monte Canino è stata adattata
sul tema dell’emigrazione, da un gruppo di giovani italiani
del Coro del Centro di azione sociale italiano, residenti a
Anderlecht (Bruxelles ) nel 1971.
(cfr, Dischi del Sole – Ds 1081\ 83 “Canzoniere dell’emigrazione“)
Non ti ricordi fanciulla mia cara,
quel brutto giorno della mia partenza,
noi ci lasciammo con ansia e tormento
e la speranza di presto tornar,
Un lungo treno mi porta in miniera
dove mi rode il sudore e la morte
al polo opposto del nostro bel sole,
per guadagnare il futuro con te.
Bibliografia e Discografia
“La Montanara“ a cura di V, Savona – M. Straniero.
Oscar Mondadori 1987
“Cantanaja“ di L. Viazzi – A. Giovannini.
Tamari Editore Bologna -1968
“Tapum“ a cura di Salsa, Piccinelli, Bazza.
Ed. Piccinelli- Roma
“La mia morosa cara – canti popolari milanesi e lombardi“
a cura di N. Svampa – Oscar Mondadori 1980
“Sotto l’ombra di un bel fior“ Canti di tradizione orale a
Brione (Brescia ). Ed. Grafo – Brescia – 2004
“I canti della Grande Guerra“
a cura V. Savona-M. Straniero-Garzanti ed.1981
Discografia
Il Coro del CAI di Padova
Dischi Durium
“I Canti della Gande Guerra nel cinquantenario dell’entrata in guerra dell’Italia“
Serie Cicala – BL 7023
Ta-pum
“Canti degli Alpini” – 1° raccolta – 45 giri – ep A 3065
“Canti della Montagna“ 33 giri – ms A 581
La Tradotta
“Canti degli Alpini“ - 1° raccolta – 45 giri – ep A 3065
“Canti della montagna“ 33 giri – ms A 581
“1944\1984 – Il Coro del Cai di Padova“ 33 giri – StereoQuar 4802.
Monte Nero
“Canti degli Alpini 2° raccolta“ 45 giri – ep 3280
Monte Canino
“Canti della Montagna” - 2° raccolta Msa 77092.
75
ricordiamo
Ernesto De Ponti
Ernesto, all’inizio dell’anno ero venuto in Sede a
rinnovare la mia iscrizione e ti avevo incontrato.
Ti eri subito avvicinato a me per salutarmi ed
informarti della mia salute, della mia vita.
Sempre cortese e attento. Dopo alcuni giorni non
c’eri già più.
In un mondo dove le persone sono considerate e
ricordate solo se hanno compiuto imprese eroiche e sovrumane, tu hai lasciato in me il vero e
puro ricordo.
Partecipavi sempre con piacere alle gite, alle serate, alle feste sociali.
Spesso eri presente in Sede dedicando una parola ad ogni persona che arrivava.
Hai tanto camminato per facili e difficili sentieri
e sempre hai apprezzato tutto ciò che ti circondava.
Ti ricordo impacciato negli attraversamenti più
impegnativi specialmente quando c’era un po’ di
ghiaccio, eppure ... quanta attenzione ci mettevi
e quante volte ti prendevamo benevolmente in
giro!
Nelle gite sulla neve scendevi a spazzaneve e ti
brillavano gli occhi dalla gioia.
La pioggia era per te allegra compagna che tu
accoglievi col tuo ombrello da viaggio.
Passerotto in un mondo di grandi aquile, volavi
sopra le nostre teste e con questa sensibilità coglievi facilmente lo stato d’animo del tuo compagno di cammino.
Sapevi ascoltare le voci delle piccole e grandi vite
che ci attorniavano: l’immobile sasso, il timido
fungo, l’agile scoiattolo, il maestoso abete, la
possente croda e a noi le riportavi e a loro rispondevi.
Ecco, sei stato un Vero Alpinista?
La risposta è si, Ernesto, io penso che Alpinista sia colui
che la Montagna ha nel cuore e che usa tutti i suoi talenti per scalarla, per viverla, per condividerla con gli altri,
in grande e profondo e misterioso rispetto, come tu hai
fatto.
La vita continua, eppure domani non sarà un giorno uguale, da domani la Montagna mi parlerà un po’ anche di te.
Cino Bonvicini
76
Negozi:
Condizioni particolari ai soci Cai
35133 PADOVA - Via Guido Reni, 144
Tel. 049 603636
35127 PADOVA - Via Piovese, 239
Tel. 049 8025313
35100 PADOVA - Via Buonarroti, 2
Tel. 049 8644711
35100 PADOVA - Via Manzoni, 33
Tel. 049 8751555 - Fax 0498750957
35030 CARTURA (PD) - Via Padova, 89
Tel. 049 9556288 - Fax 049 9559049
35020 MASERÀ (PD) - Via Conselvana, 42
Tel. 049 8861870
30020ERACLEA(VE)-ViaDelleIndustrie,9
Tel. 0421 234932 - Fax 0421 234937
30015 CHIOGGIA (VE) - Via Venturini, 2/A
Tel. 041 490402 - Fax 041 4967761
30014 CAVARZERE (VE) - Via Di Vittorio, 4
Tel. 0426 51602 - Fax 0426 51602
32100 BELLUNO - Via V. Veneto, 207
Tel. 0437 31420 - Fax 0437 931772
SU
OGNI
TERRENO
Sede: 35020 VILLATORA DI SAONARA PD - Z.A.
Via Liguria, 23 - Tel. 049 8790099 - Fax 049 8791372
[email protected]
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