PER TUTTA LA NOTTE
(paura d’amare)
SERGIO CASIZZONE
(2015)
La storia contenuta in questo racconto è frutto della fantasia. ogni
riferimento a persone, cose o fatti realmente accaduti è puramente
casuale.
Chiunque fosse interessato a segnalare errori, richiedere
precisazioni, chi vuole dissentire o complimentarsi per il contenuto,
può
farlo
spedendo
un’email
all’autore:
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__________________________
Libro mai stampato presso alcuna tipografia
nel mese di Aprile del 2015.
UTILIZZA CARTA RICICLATA PER STAMPARE
Mi guardate male perchè sono diverso…
io rido perché siete tutti uguali!
(Korn)
PER TUTTA LA NOTTE
1
Preludio
Siamo a tal punto abituati a dare di noi una falsa
immagine per mascherare le nostre paure e le nostre
insicurezze, che spesso dimentichiamo chi siamo e cosa
sentiamo al di là della finzione. Il superamento di
questa negazione è sempre il primo passo per scoprire
il nostro desiderio di essere onesti e chiari.
2
Che lavoro fai?
L’uomo posò il contante sul tavolino accanto alla
finestra.
«È la prima
imbarazzato».
volta.
Scusa,
sono
un
po’
«Non preoccuparti» gli dissi ostentando sicurezza.
Cominciai a sbottonargli con garbo la camicia, per
metterlo a suo agio. Gli sfilai anche i pantaloni.
«Stai tranquillo, rilassati. Ti insegno io come si fa».
«Ma tu, fai tutto?» disse tentando di trovare una
posizione comoda sul letto. Non riusciva ancora a
rilassarsi
«Intendo dire, vieni pure?»
«Non sempre. Faccio solo quello che mi và»
risposi. «Però, se paghi bene, posso accontentarti».
Lo adulai «Dimmi, amore. Cosa vuoi che faccia per
te?»
«Devi venirmi dentro».
Impiegammo in tutto circa un’ora. Era un uomo
dall’aspetto cordiale, ma notai che i suoi abiti non
erano in buone condizioni mentre si rivestiva in tutta
fretta. Non doveva essere un operaio, avendo mostrato
una inequivocabile raffinatezza nell’esprimersi.
PER TUTTA LA NOTTE
«Ho fatto troppo tardi. Devo tornare da mia
moglie. Crede che io stia lavorando al momento».
«Che lavoro fai?» gli chiesi.
«Il cuoco. Oggi però ho finito di lavorare prima.
Ora devo proprio andare, scusami di nuovo».
3
4
Il biglietto
L’alloggio in cui abitavo era di modesta fattura.
Non si trovava in città. Per pagare un ’affitto meno
caro, un anno fa circa, avevo dovuto trasferirmi oltre la
strada che sancisce il confine della città. Qui funziona
così, se abiti un metro oltre il GRA, paghi poco, sempre
troppo per le mie tasche. Appena ti sposti di un passo
verso il centro urbano gli affitti diventano dei veri e
propri salassi, sono scippi resi legali da un contratto.
Avevo una ragazza quando cominciai a
prostituirmi, a concedere le mie prestazioni. Mi piace
definire così quello che faccio. La prostituzione, fare la
vita, cioè, è avvilente. In questo modo mi illudo di
avere un lavoro degno di nota. Non che io non avessi
un lavoro. Ero impiegato in una società che vendeva
computer, ma il lavoro dipendente non mi concedeva
alcuna soddisfazione. Tuttora, inoltre, non appartiene
al mio dna arrivare in orario a qualunque
appuntamento. Al lavoro, poi, mi capitava con
eccessiva frequenza, quasi ogni giorno e tutte le volte
erano feroci discussioni con il capoufficio.
Non mi concedevo sempre, solo quando ero a
corto di denaro. La prima volta accadde senza il mio
espresso volere. Successivamente, mi feci trascinare dal
mio amico Valerio dopo avergli visto intascare ogni
volta una discreta somma di denaro.
PER TUTTA LA NOTTE
Tutto cominciò una sera che andai con lui in
birreria. Ero stato da poco licenziato, non riuscivo a
trovare un altro lavoro che potesse essere degno di
quel nome e gli chiesi di sostenere il mio pianto di
frustrazione. Non ricordo di cosa parlammo, in realtà
non me ne importava affatto. Ricordo solo che litigai
col mio amico e lo cacciai. Poggiai la faccia tra le mani e
ripresi a bere. Quella sera mandai giù troppi Jack
Daniel’s. Non mi sostenevo più in piedi. Provai ad
alzarmi poggiando con forza le mani sul tavolino, ma
rovinai all'istante facendo fracassare fragorosamente la
bottiglia ormai vuota.
D’un tratto si avvicinò un uomo distinto, molto
ben vestito, che si propose di accompagnarmi a casa.
Non ebbi la forza di negargli un aiuto.
«In realtà» gli dissi «ho proprio bisogno di un
passaggio».
Mi condusse fino a casa. Appena aprii, lui entrò
con me e chiuse la porta dietro di sé. Mi diressi verso la
camera da letto con quell’uomo incollato alle calcagna.
Lui cominciò a spogliarmi e nel frattempo mi diede un
bacio. Caddi sul letto a peso morto con lui attaccato
alle labbra. Facemmo l’amore per tutta la notte.
Al mattino mi risvegliai completamente sfatto,
stremato, avevo stabile un terribile mal di testa che non
mi permise neanche di prepararmi un caffè. Dovetti
rimettermi a letto. Solo la sera, svanito l’effetto della
sbornia, riuscii ad alzarmi. Vacillando, andai diretto in
cucina. Non intendevo sfamarmi, ma avevo una gran
voglia di pane e nutella. Presi il barattolo e un coltello
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con una mano e con l’altra sistemai alcune fette già
pronte sul tavolo. Solo allora mi accorsi che, in bella
mostra, c’era del denaro. Non ricordavo di averli messi
lì, eravamo a metà mese ed ero certo che avessi già
finito tutti i soldi. Attendevo con ansia che arrivasse –
per l’ultima volta – il giorno di paga, infatti,
centellinavo ogni acquisto. Presi quelle banconote e,
mentre le soppesavo una alla volta facendo il conto di
quante fossero ad alta voce, rifacendo con estrema
precisione il gesto con ciascuna, dalla mazzetta venne
fuori un foglio.
“Sei stato molto tenero. Grazie di tutto!” c’era
scritto.
«Grazie di che? Di chi sono questi soldi?»
Barcollai. Dovetti sedermi per riflettere. Ricordai,
attonito, tutto. Tutto quello che avevo fatto quella
notte. Ero meravigliato di aver fatto l’amore con un
uomo, ma ancor più che avessi ricevuto un pagamento
per il mio gesto.
«Non è possibile!» dissi.
Eppure i soldi erano reali, erano tra le mie mani.
Non era stato un sogno.
Dovetti uscire di casa. Scappai senza meta.
Girovagai per diverse ore, senza rendermi conto di
dove andassi o del tempo che passava. Ad un tratto mi
fermai in un angolo di strada, avevo lo stomaco che
implorava di essere assistito. Vomitai tutto quello che
avevo in corpo. Dopo il primo violento spruzzo,
rigurgitai ancora fino a che gli spasmi non mi fecero
cadere in terra.
PER TUTTA LA NOTTE
Afflitto e angosciato rimasi un’ora intera accasciato
sul marciapiede. Dovevo riflettere.
Mi distolse dai miei dolorosi pensieri lo squillo del
cellulare. Era Anna, la mia ragazza. Aveva telefonato
inutilmente diverse volte a casa e cominciava a
preoccuparsi visto che avevamo un appuntamento.
Insieme, in realtà avrei dovuto fare tutto da solo,
dovevamo metterci in contatto con un nuovo pusher.
Anna si sosteneva con la coca, la “magica”, così la
chiamava lei.
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La ragazza interessante
Anna tirava coca da tempo. In principio sniffava
solo per divertirsi, qualche volta al mese, di norma il
sabato o la domenica quando ci si ritrovava con la
comitiva per andare a ballare. Era iniziato per gioco,
amici di altri amici portavano la coca e noi ce la
spassavamo per un po’. In seguito la faccenda divenne
più seria, non riusciva a frenarsi, aveva bisogno di
tirare ogni giorno.
Ci conoscemmo ad una festa a casa di Valerio, una
di quelle feste di compleanno in cui quasi tutti hanno
poca voglia di divertirsi e di stare in compagnia. Si
crearono alcuni gruppetti, ciascuno separato dall’altro,
di tre o quattro persone al massimo. Al contrario degli
altri, sembrava fossi l’unico ad avere voglia di
divertirmi. In disparte, vidi tra le tante facce scure una
ragazza bionda, molto carina e dall’esile forma – mi
chiedevo come mai non l’avessi notata fino ad allora –
che gesticolando vistosamente verso altri due ragazzi
raccontava ad alta voce come aveva mandato a quel
paese il suo ultimo corteggiatore. Mi avvicinai a quelle
persone che avevano l'aspetto di essere più vivaci, più
interessanti delle altre. Non volevo che le facce degli
altri invitati presenti mi deprimessero facendomi
pensare alla perenne carenza di contante: avevo
cominciato a lavorare da poco e per avere il primo
stipendio degno di quel nome avrei dovuto aspettare
PER TUTTA LA NOTTE
almeno un mese. Mi presentai e facemmo subito
amicizia.
Conversammo amabilmente per un tempo che mi
sembrò infinito, quando, ad un certo punto della
serata, uno dei due ragazzi scomparve tornando dopo
svariati minuti. Con un gesto della mano, quasi a
significare “svelti, sbrigatevi”, chiamò i suoi amici in
disparte in camera da letto. Anna fece cenno di
seguirla. Accortasi che ero in imbarazzo, mi allungò la
mano ed io gliela strinsi lasciandomi guidare. Li vidi
accomodarsi su un grande letto matrimoniale al centro
della stanza e fu allora che, usando una carta di credito,
uno di loro cominciò a manovrare, sminuzzando con
attenzione i granelli più grossi, quella che era una
sottile striscia di polvere bianca. Dopo quel lavoro
meticoloso, tirò su per il naso la sua dose quasi in un
colpo solo e quand’ebbe finito passò il libro, su cui si
vedevano ben allineate e tutte parallele il resto delle
righe, al suo compagno. Sniffarono tutti e quando fu il
mio turno tirai su anch’io.
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Ritardo
«Cazzo, ma che ore sono?» sbraitai svegliandomi
di soprassalto.
«Uhm...»
Anna bofonchiò qualcosa nel sonno.
«Sono le nove, porca puttana! Devo correre al
lavoro. Non posso arrivare tardi in ufficio, altrimenti
questa è la volta buona che mi licenziano».
Quella notte, io e Anna avevamo davvero
esagerato.
La sera prima era venuta a trovarmi a casa
portando una bustina di coca. Imbufalito, le dissi di
buttare quella roba maledetta, desideravo sul serio che
smettesse. Non era necessario un indovino per
prevedere che prima o dopo avremmo distrutto le
nostre vite.
Ma lei era maestra nell’arte della seduzione. La sua
era una tecnica collaudata e, seppur riconoscendola,
continuavo a cadere (volontariamente) come un insetto
in una tela di ragno.
Cominciò ad adularmi strofinando le parti
prominenti del suo corpo sul mio petto, si avvinghiò
portando il volto accanto al mio e le mani ficcate sotto
la maglietta. Sentivo il lento respiro ansimare sempre
più, mentre cominciava a succhiare e a titillare
delicatamente il lobo dell’orecchio. Il profumo della
PER TUTTA LA NOTTE
sua pelle accaldata mi ubriacava più di una intera
bottiglia d’ottima annata di Brunello di Montalcino. Il
richiamo dell’eros fu più forte di ogni tentativo che
opposi alla sua sfacciataggine, la seduzione della
marmorea polvere era di gran lunga più vigorosa del
moralismo che ostentavo con presunzione. Tirammo
coca e facemmo l’amore per tutta la notte.
Arrivai in ufficio alle dieci passate. Le facce cupe
dei colleghi non presagivano nulla di positivo.
«Il capo ti vuole nel suo ufficio» disse un collega,
uscendo dalla stanza del capoufficio.
Risparmio di raccontare l’amaro rimprovero che
fui costretto a sopportare. Fu l’ultima volta che
arrivavo in ritardo, non avrei avuto più il lusso di farlo.
Non avevo più un lavoro.
Tornai a casa amareggiato e trovai Anna ancora a
letto, spossata dalla notte consumata. La svegliai,
l’obbligai a rivestirsi e la mandai via.
Volevo restare solo.
Rinchiuso in casa, ebbi il convincimento –
disperato – di lasciare all'esterno la sorte avversa che
mi perseguitava.
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L’amico
Un amico con cui parlare era l’unica via d’uscita,
l’unica soluzione che avevo – oltre allo Zoloft – per
provare ad uscire dagli stati di depressione in cui
cadevo frequentemente.
Valerio ed io ci conoscevamo da anni. Eravamo
nella stessa classe alle scuole medie. Insieme,
giocavamo a pallone, guardavamo i cartoni e quando
ne avevamo voglia studiavamo. Insomma, facevamo
quello che i ragazzi di quella età fanno comunemente.
Ho ancora un bellissimo ricordo delle serate
passate a mangiare e a bere salsicce e birra, cercando di
fare bella figura con le ragazze. Non è che avessimo
molto successo e forse le ragazze non ci interessavano
granché. Avevamo solo voglia di innamorarci, il nostro
sogno più grande era l’amore in quanto tale: l’idea del
grande Amore era al centro dei nostri innocenti
pensieri, non era rappresentato di certo da nessuna
creatura in particolare.
Finita la scuola media, mi iscrissi al liceo
scientifico, mentre Valerio, che aveva la vocazione
della cucina, cominciò a frequentare l’istituto
alberghiero. Ci perdemmo di vista, fino a qualche anno
fa, quando ci incontrammo per caso a Villa Borghese.
Vivevo già da diverso tempo da solo e, per
sbarcare il lunario, portavo a spasso dietro misero
PER TUTTA LA NOTTE
compenso i cani di persone troppo anziane che non
erano più in grado di badare ad essi. Ad un tratto mi
sfuggì dalle mani il guinzaglio di un Labrador. Dovetti
inseguirlo per un chilometro buono: ad ogni mio
tentativo di riacciuffarlo riprendeva a scappare. Per il
cane era un gioco, io, al contrario, ero terrorizzato che
potesse smarrirsi. Alla fine si rifugiò tra le gambe di
una coppietta che con veemenza amoreggiava su una
panchina. Uno di loro raccolse il guinzaglio e tenne
fermo il cane in attesa che li raggiungessi.
Il mio stupore fu enorme quando, ringraziando
per il favore, riconobbi Valerio e vidi che la persona
accanto a lui era un uomo.
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Natura vera
Valerio s’era sposato a 23 anni. Voleva bene alla
sua compagna, ma era gay.
La sua confessione fu un atto liberatorio. Non
l’aveva mai rivelato a nessuno. Io fui il primo “etero”
con cui si confidava, l’unico con cui sentiva di avere un
legame più che familiare.
Della madre ricordo poco, cioè ricordo la sua
assenza. Al contrario, suo padre mostrava un continuo
interesse per lui e per gli amici che frequentava. Era un
personaggio ambiguo, molto severo per un verso,
dall’altro era capace di intensi gesti d’affetto. Non
seppi mai per certo se avesse subito abusi sessuali.
Forse, lasciò a me il compito di comprenderlo.
Desiderio del padre, come di tutti i padri, era che
si sposasse e che trovasse una buona sistemazione. La
ragazza che frequentava e che aveva conosciuto
all’università sarebbe stata, quindi, la soluzione
migliore: il futuro suocero era proprietario di una
catena di ristoranti e avrebbe avuto un lavoro
assicurato.
Il matrimonio fu organizzato in fretta e furia per
l’approssimarsi della fine del genitore. Fu fatto tutto
secondo i canoni della religione cristiana nella stessa
chiesa dove ricevemmo la prima comunione.
PER TUTTA LA NOTTE
Nella sua camera da letto spiccava un’enorme
fotografia della cerimonia, in cui era ritratto Valerio
con l’abito nuziale, il prete al centro e la moglie
accanto. Ogni volta che mi capitava di guardarla,
ricordavo di quando, quasi quindicenne, serviva la
messa la domenica mattina.
Ora, dava libero sfogo alla sua vera natura in un
boschetto.
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Sospetto
Erano trascorsi diversi giorni senza vedere né
sentire Anna. L’ultimo litigio, causato dal mio
licenziamento, ci aveva allontanati.
Sentii il bisogno di parlare con Valerio. La costante
situazione di precarietà economica mi opprimeva,
inoltre, anche a seguito della lite avvenuta in birreria,
volevo chiedergli scusa e raccontargli cos’era accaduto
con l’uomo che mi aveva riaccompagnato a casa.
Lo chiamai chiedendo se avessi potuto andare a
casa sua e la risposta fu affermativa.
Un’ora dopo ero da lui. Aprì in fretta la porta e
scappò via lasciandomi sull’uscio. Entrai chiedendogli
cosa stesse combinando e lo trovai immerso nei suoi
pensieri che navigava in internet. Non capii bene cosa
succedeva, sul video comparivano, coprendo quelle
precedenti, alcune finestre che lampeggiavano
fintantoché non le attivava con il mouse. Mi disse che
erano messaggi dei suoi clienti.
L’idea di adescare uomini attraverso internet me la
diede Valerio. Lui si concedeva solo così. In principio
mi aveva detto di non desiderare la compagnia della
birreria, troppo chiassosa per il suo carattere. Inoltre,
voleva evitare di alzare il gomito, visti i suoi precedenti
non proprio felici con l’alcool.
PER TUTTA LA NOTTE
Valerio riceveva i suoi clienti approfittando
dell’assenza di sua moglie. Si alzava al mattino presto
con
lei,
facevano
insieme
colazione,
poi
l’accompagnava a lavoro e, successivamente, rientrava
nel suo appartamento. Ogni gesto era studiato,
calcolato, meticoloso fino all’esasperazione. Non si
concedeva mai per più di una volta al giorno. Ripuliva
l’appartamento di ogni cosa fuori posto e, se la moglie
avesse trovato qualcosa che non gli apparteneva,
poteva sempre dire che era di un amico venuto a fargli
visita. D’altronde anche i vicini avrebbero confermato
che si trattava di un uomo. Lei non sospettò mai nulla.
Non seppe mai cosa accadeva realmente in quella casa.
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Manette
Anch’io tenni Anna all’oscuro di quello che avrei
fatto in seguito. Valerio mi aiutò a registrare il mio
nominativo su un sito che frequentava per poter
accedere al servizio di chat. Prendevo in
considerazione solo le persone che nel proprio profilo
utilizzavano una fotografia: se per guadagnare un po’
di soldi costringevo al sacrificio il mio corpo, pensai,
volevo almeno scegliermi quella dall’aspetto più
gradevole.
Cominciai così a chattare con un architetto
napoletano. Parlammo in buona parte di cose alquanto
inutili. Era assai prolisso e anche molto presuntuoso.
Mi fece l’elenco – che considerai esaustivo già al
secondo lavoro – degli incarichi che aveva svolto in
giro per l’Italia per diverse amministrazioni di beni
pubblici. Mi disse che era molto famoso nel suo settore,
che aveva partecipato a manifestazioni in tutto il
mondo e che di recente aveva progettato il restauro
delle sale del Maschio Angioino, fiore all’occhiello di
tutta la sua produzione. Lo presi in giro, dicendogli
come a Napoli di maschio fosse rimasto ormai solo il
castello.
Una sera mi decisi a fissare un appuntamento. Ci
incontrammo in birreria e rimanemmo per un po’ a
chiacchierare. Ebbi bisogno di bere diversi Jack
Daniel’s per sostenermi, ma avevo bisogno di soldi e
PER TUTTA LA NOTTE
gliene avevo chiesti tanti. Lui aveva accettato senza
fiatare. Non potevo tirarmi indietro a quel punto e mi
feci portare a casa sua.
Fu come entrare in un museo d’arte moderna.
L’ingresso era smisurato, a terra c’era un parquet che
sembrava infinito, in alto erano poste in modo sfarzoso
travi a vista di cemento a forma triangolare che
attraversavano la stanza dal basso verso l’alto. In
fondo, sulla destra, si distingueva una finestra dalla
dimensione che mai avevo visto in passato, riempiva
tutta la parete e affacciava sulle luci della città intera.
Tutto intorno graffiava la vista il bianco abbagliante
delle pareti. Mi offrì di nuovo qualcosa da bere ed
accettai volentieri, mentre ci avvicinavamo alla camera
da letto.
«Voglio farti una sorpresa» mi disse prendendo
dalla tasca un foulard di seta nero che cominciò ad
annodare intorno agli occhi.
Mi fece distendere sull’enorme letto che ero
riuscito appena ad intravedere e iniziò a spogliarmi
con precisa delicatezza. Quand’ebbe finito di togliermi
tutti gli indumenti, sentii scattare sui polsi qualcosa di
metallico.
Mi aveva ammanettato al letto. Sopraggiunse il
panico.
Mi assalì il pensiero che avrebbe potuto trattarsi di
un maniaco che da lì a poco mi avrebbe ucciso e
nessuno mai avrebbe scoperto dove fossi finito.
Nessuno sapeva dove fossi andato. Non avevo detto ad
anima viva con chi e cosa andavo a fare. Cominciai a
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tremare come una foglia, mi si accapponò la pelle. La
sensazione di allegria dovuta all’alcool, che mi aveva
accompagnato fino a quel momento, svanì di colpo.
Feci appena in tempo a dire «Che cosa stai
facendo?» che lui diede inizio al suo gioco.
Promisi a me stesso che, se fossi sopravvissuto,
non mi sarei comportato più in maniera così stupida.
Atterrito e inquieto le ore trascorsero interminabili.
Scopammo per tutta la notte.
Il mattino seguente, mi svegliai sfinito. Mi alzai a
fatica dal letto senza più le manette ai polsi. Cercai il
mio seduttore per l’intera abitazione, ma lui era come
volatilizzato.
PER TUTTA LA NOTTE
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Confessione
Anna bussò di pomeriggio inoltrato alla mia porta.
Entrò trafelata chiedendomi scusa per essere stata la
causa del mio licenziamento.
«Ho già trovato un altro lavoro, non devi
preoccuparti per me» dissi mentendo. Annuì senza
proferire verbo. Prese una birra dal frigo e si adagiò sul
divano. Continuavo a covare ancora rabbia per la sua
debolezza e l’aggredii, le urlai contro che doveva
smettere, le feci promettere che non avrebbe usato più
quella robaccia.
La situazione economica di ciascuno era a dir poco
disperata, tutto quello che guadagnava lei, al di fuori
di quello che spendevo io per sopravvivere, veniva
consumato in cocaina. La necessità di drogarsi era
diventata una vera e propria ossessione. Per troppe
volte l’avevo vista in balia del delirio di onnipotenza
alimentato dalla polvere miracolosa.
Quella sera Anna parlava in modo diverso, più
serio, aveva fatto tante volte quel giuramento, ma
stavolta sembrava sincera.
Cominciai ad osservarla con attenzione, dedicando
maggior interesse al movimento nervoso delle sue
mani. L’osservai dritto negli occhi che iniziavano a
lacrimare.
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Mi disse che aveva intenzione di trovarsi un
lavoro perbene. Voleva iniziare a vivere una vita più
serena, senza tutti i casini in cui eravamo soliti
cacciarci. Lavorando in due avremmo potuto
permetterci una casetta migliore, sicuramente meno
umida di quella in cui vivevo.
L’ascoltai concentrato, annuendo ogni tanto con
un cenno della testa. Non capivo il motivo della sua
redenzione, mentre ragionava, riflettevo sui motivi che
l’avevano spinta a fare quelle affermazioni. Disperata e
penosa fu la sua confessione, un test di gravidanza
fatto il giorno prima aveva dato esito positivo: Anna
era incinta.
Le
lacrime
cominciarono
a
sgorgare
abbondantemente congestionandole il viso, gli occhi si
contornarono di un rosso color sangue. Temeva che le
chiedessi di abortire e si precipitò a sostenere che
voleva tenere il bambino, che sarebbe stata felice se noi
avessimo vissuto insieme e cresciuto il piccino che da lì
a qualche mese sarebbe nato. Avremmo dovuto
scegliere un nome, l’avremmo educato e insieme ci
saremmo fatti carico dei suoi pianti e dei suoi bisogni.
Il suo discorso mi convinse. Non ci voleva poi
tanto. Quella sera – credo – fu la prima ed anche unica
volta che l’intesi parlare in maniera talmente seria che
non me la sentii di abbandonarla a se stessa.
Credevo d’amarla, ma, oltre a ciò, volevo che quel
bambino avesse un padre.
PER TUTTA LA NOTTE
23
Interludio
Spesso l’attrazione erotica ha fatto da catalizzatore
per la nascita di un rapporto intimo, ma non era un
segno d’amore. Il sesso era eccitante e piacevole anche
con persone che non conoscevo. Eppure, ero convinto
che l’attrazione erotica indicasse chi dovevo e potevo
amare, come per la stragrande maggioranza degli
uomini.
Anch’io fra questi, guidato dal pene, sedotto dal
desiderio erotico, spesso mi sono ritrovato legato a un
partner di cui non condividevo né gli interessi né i
valori. Questo accadeva in quanto non ero predisposto
ad accettare la mia natura più autentica, soprattutto
quando
viverla
con
integrità
richiedeva
l’allontanamento da mondi che mi erano familiari.
Spesso, quando ho intrapreso un percorso di autoguarigione, è successo che per qualche tempo mi sono
sentito più solo. A questo punto sono sorte molte idee
sbagliate sull’amore, che me lo dipingevano ad
esempio come uno stato di costante beatitudine da cui
la sofferenza era bandita. Bisognava smascherare
l’ipocrisia di un punto di vista del genere, che mi
facesse capire (e accettare) la semplice verità che
sofferenza e dolore non svanivano automaticamente
quando cominciavo ad amare. In molti casi, quando ho
ripercorso all’indietro il lungo cammino che mi
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avrebbe fatto ritrovare l’amore che ritenevo perduto, la
sofferenza è diventata addirittura più intensa.
Come diceva sapientemente il protagonista di un
film cult degli anni novanta: “non può piovere per
sempre”. L’accettazione della sofferenza è parte
integrante di ogni scelta d’amore; bisogna, però, saper
distinguere tra la sofferenza costruttiva e la tendenza a
crogiolarsi nel dolore. Se nella mia vita la promessa
d’amore non si era ancora – mai – realizzata, l’aspetto
forse più complesso della pratica d’amore era credere
che il passaggio attraverso l’abisso del dolore
conducesse al paradiso.
È probabile che avessi talmente paura di affrontare
la sofferenza emotiva che per così tanto tempo avevo
tenuto chiusa dentro di me, da scegliere
consapevolmente di rinunciare all’amore. Avevo
deciso semplicemente di non mettermi in gioco, perché
non ce la facevo ad affrontare il supplizio sentimentale
dell’amore e il conflitto che ne sarebbe nato.
PER TUTTA LA NOTTE
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Il segreto
Valerio incarnava il classico amico a cui si può
confidare di tutto. Da sempre sopportava con
rassegnazione ogni mia lamentela senza batter ciglio,
ascoltava le confessioni di tutti i miei peccati, quelli più
segreti e altro ancora. Questa volta, però, quando gli
raccontai di Anna e del bambino fu diverso.
Divenne scuro in volto, cominciò a gridare che
avrei dovuto farla abortire, che non potevo permettere
che si mettesse al mondo una creatura destinata alla
sventura. Questo bambino era già sciagurato alla
nascita, avrebbe avuto una madre cocainomane e un
padre omosessuale. Aggiunse inoltre, che i medici
avrebbero di certo scoperto che Anna si drogava, le
avrebbero tolto il bambino e, se anche avesse partorito,
non avremmo potuto allevarlo.
Disapprovò dal principio la mia scelta, ma non gli
diedi ascolto. Non potevo. Avevo giurato alla mia
donna che le sarei stato vicino, avrei badato a lei ad
ogni costo. Feci quella promessa con il convincimento
di riuscire a trarla via dalla tossicodipendenza. Speravo
sul serio che fosse quella l’occasione giusta per provare
a redimerci, che stavolta saremmo riusciti a mettere,
come si suol dire, la testa sulle spalle. Finalmente, era
giunta la nostra occasione, avevamo la possibilità di
dare una svolta alle nostre vite.
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Con l’accusa di essere un folle ed un incosciente,
Valerio mi instillò un sentimento di inquietudine.
Iniziai a dare sempre meno peso alle sue parole, fino a
quando, giunse inaspettato il vero motivo della sua
rabbia.
«Non puoi fare un figlio con una donna. Tu sei
gay!? Capisci questa parola? Comprendi cosa significa
tutto questo?»
Continuava ad agitarsi, percorrendo in lungo e in
largo la stanza.
«A noi gay piace il cazzo! Ti rendi conto del casino
che stai combinando?»
Non riusciva a controllarsi in nessun modo,
proseguì nel suo monologo per un buon quarto d’ora.
«Quella troia! Ti ha incastrato e tu sei stato proprio
un idiota a farti mettere in trappola», disse ad un certo
punto. Non ci vidi più dalla rabbia, avevo a portata di
mano un posacenere di metallo e glielo lanciai contro,
mancandolo d’un soffio. Venimmo alle mani come non
facevamo più dai tempi delle scuole. Ruzzolammo più
volte in terra, frantumando tutto ciò che urtavamo.
Infine, Valerio non riuscì più a frenare in sé, a tener
celata la riflessione, il pensiero che segretamente aveva
custodito per tutti questi anni. Emise un urlo misto ad
angoscia e pazzia, rotto dal pianto «Io ti amo! Non puoi
farmi questo. Io… ti amo…»
L’abbandonai chino sulle ginocchia, mentre
colpiva furiosamente con le mani il pavimento. Intanto
che mi allontanavo, lo ascoltai finché non fu travolto da
un pianto irrefrenabile. Non volevo che intralciasse i
PER TUTTA LA NOTTE
miei piani. Volevo un figlio e non gli avrei permesso di
ostacolarmi.
Non mi chiamò, né io lo cercai per i mesi a seguire.
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Ricevimento
La mia occupazione principale divenne quella di
trovare un lavoro. Avevo messo da parte un po’ di
soldi concedendomi a pagamento, ma desideravo
cambiare aria. La faccenda stava prendendo il
sopravvento sulla mia vita, mentre io volevo
fortemente darle una scossa, per dirigerla in direzione
opposta.
Pensieri cupi mi affliggevano: tra qualche mese
sarei diventato padre e quale futuro avrei offerto a mio
figlio continuando su quella strada? Valerio, in fin dei
conti, aveva ragione quando affermava che non avrei
potuto crescere un figlio in quelle condizioni, ma ero
determinato
a
cambiare
atteggiamento,
ero
ostinatamente deciso a dare una svolta alla mia vita.
Io ero determinato, ma lo era ancor più il territorio
in cui vivevo. Crudele, spietato e insensibile alle
richieste di aiuto di un uomo che necessitava di un
lavoro per la sopravvivenza sua e della sua famiglia.
Trascorsi due mesi con il tormento di quella che
sembrava un’inutile ricerca. Avevo girato tutta la città
invano, inviato curriculum e fatto decine di colloqui.
Tutto senza successo.
Anna iniziò a non stare bene. Aveva smesso di
assumere cocaina e pensai che l’astinenza avesse
cominciato a manifestare i suoi effetti. Fu allora che
trovai il disperato coraggio di tornare in birreria. Dopo
PER TUTTA LA NOTTE
aver vagato a vuoto per la città, mi fermai sul
marciapiede dirimpetto a contemplarne l’insegna
luminosa. Quel luccichio intermittente fu un richiamo
più forte di qualunque stupefacente avessi provato
prima d’allora.
L’esperienza maturata attraverso internet mi
aveva scosso. Pensai che non era possibile conoscere
nel dettaglio le persone attraverso il mezzo
informatico, così freddo, restava sempre un mondo
virtuale. La vera conoscenza si poteva approfondire
solo dal vivo, volevo poter parlare alle persone
guardandole dritto negli occhi. Pensai che le volte
precedenti mi era andata bene, avrei potuto, quindi,
continuare fintantoché non avessi trovato un lavoro
decente. Decisi di non avere altra scelta.
Cominciai a bere sempre più di frequente,
soprattutto per farmi coraggio. Iniziai anche a mentire
ad Anna, quando si accorse che avevo sempre una
discreta somma di denaro in tasca. Le dissi che avevo
trovato un lavoro come cameriere e che dovevo
occuparmi di servire ai tavoli durante il turno di notte.
Tra finzione e realtà la differenza non esisteva.
Avevo un lavoro di servizi, offrivo a commensali
squattrinati e distratti, impiegati facoltosi e impacciati,
operai mal vestiti e determinati, tutto quello che mi
veniva richiesto. Ero cameriere, impiegato ed operaio
anch’io. La mia mensa apriva tutte le sere alla stessa
ora e chiudeva i battenti quando il veloce pasto era
stato consumato dal banchettante di turno. Tornavo a
casa quando Anna era già a letto a riposare. Di giorno
facevamo qualche compera, discutevamo del nome da
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30
dare al bambino, se fosse stato maschio o femmina; poi
alle venti ero già pronto per cominciare una nuova
notte di inferno e piacere. Passavo con disinvoltura
dagli hotel mediamente lussuosi ai bagni pubblici della
metropolitana. Non feci più lo schizzinoso, mi abituai a
ricevere individui di ogni genere e razza.
Anna non ebbe sospetti di alcun genere, non
facevamo più l’amore da settimane e a casa potevo
dedicare maggior tempo al riposo del mio corpo
logorato. Portai avanti questo comportamento per
diversi mesi, di notte scendevo agli inferi, di giorno il
viaggio di ritorno alla realtà virtuale della coppia.
Custodii il mio segreto con estrema attenzione.
Anna, infine, partorì. Era una femmina e la
chiamammo Gilda.
PER TUTTA LA NOTTE
31
Pausa
Era poco probabile che il mio atteggiamento in
campo sentimentale si potesse modificare se non avessi
corretto il mio linguaggio. Le espressioni convenzionali
usate per parlare d’amore mi mettevano a disagio.
Sentivo che questi modi di dire e le forme di pensiero
che gli stavano dietro erano una delle ragioni per cui
andavo a infilarmi in rapporti che non funzionavano. A
posteriori, mi rendevo conto che il modo di ragionare
sull’amore prefigurava minacciosamente ciò che poi
sarebbe accaduto nel rapporto.
Benché nella ricerca di qualcuno da amare e da cui
essere riamato io avessi avuto molte delusioni,
continuavo a credere nel potere di trasformazione
dell’amore.
Ciò che voglio dire è che nel corso di una vita si
incontrano moltissime persone con le quali si sente
scattare quello speciale “non so che”, che potrebbe
condurci sulla strada dell’amore. Ma la connessione fra
due anime è un’altra cosa. Spesso questo legame più
profondo si instaura indipendentemente dalla nostra
volontà. A volte capita di essere attratti verso qualcuno
senza saperne il motivo, anche se non desideriamo che
il contatto si crei. Molte coppie che hanno trovato il
vero amore amano raccontare la storia di come, al
primo incontro, uno dei due non trovasse per niente
attraente l’altro, pur sentendo che tra loro c’era una
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misteriosa intesa. In ogni caso, chi sente di aver
conosciuto il vero amore conferma che mettersi
insieme non è stato né facile né semplice. Per molti
questo dato è sconcertante proprio perché le nostre
fantasie sul vero amore lo immaginano, appunto,
semplice e facile.
PER TUTTA LA NOTTE
33
L’ammiratore
Incontrai Tonia per caso in un bar all’aperto
durante l’estate. Fui costretto ad assistere ad un penoso
spettacolo di cabaret, che fortunatamente finì presto. In
seguito, apparve sulla scena una donna. Era bella, alta,
mora dai capelli lunghi e ricci. Aveva gli occhi verdi e
quel suo sguardo insolente e al tempo stesso
malinconico raccontava patite sofferenza mal celate.
Alla fine dello spettacolo musicale mi fermai
davanti all’ingresso di una tenda adattata a camerino.
Ebbi un’emozione strana, una sensazione che mi
intimidiva. Durante l’intera esibizione non avevo tolto
lo sguardo dagli occhi di quella donna: avevo la
convinzione di averla già vista in passato. Non volevo
apparire il solito ammiratore screanzato dicendole –
cosa che mi sembrava ovviamente scontata – di averla
incontrata da qualche altra parte. Impacciato, provai ad
entrare, ma lei mi tolse subito dall’imbarazzo.
«Ciao Fede» mi disse.
Non capii. Conosceva il mio nome.
«Allora è vero che ci siamo già incontrati?» pensai
ad alta voce, non feci in tempo a trattenere le parole.
«Quindi non hai capito chi sono?» disse e aggiunse
«Che stronzo!»
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«Scusami, ma...» proseguii ancora più impacciato.
«Sì, in effetti hai ragione, sono uno stupido a non
ricordarmi dove abbiamo fatto conoscenza».
«Sono Antonio. Tonia, ricordi? Eravamo vicini di
banco al liceo».
PER TUTTA LA NOTTE
35
Invidia
In prima liceo scoprii di essere invidioso di un mio
compagno di classe. Aveva di continuo intorno a sé
tante ragazze. Era capace addirittura di passare ore
nascosto nel bagno delle donne circondato da
ragazzine. Non capivo come tutte quelle adolescenti
potessero dedicargli tanta attenzione. Non lo
consideravo così attraente. Non era affatto virile.
Pensai che tutta quell’attenzione derivasse dal fatto che
dimostrava molta tenerezza. Forse quelle giovinette
desideravano un cucciolo da accudire.
Non capivo, o forse, non volevo vedere che quel
ragazzo si intrufolava in compagnia delle sue coetanee
nei bagni femminili per fare tutt’altro di quello che
sospettavo, truccava i suoi occhi, imparava ad
applicare il fondotinta, studiava come mettere il
rossetto sulle labbra.
Il suo nome di battesimo era Antonio, ma in classe
tutti lo chiamavano Tonia. E lui andava fiero di quel
nome.
Provavo invidia per quel corpo così esile, io, al
contrario, ero sovrappeso e provavo vergogna per le
mie dimensioni.
Il volto di Tonia era semplice, eppure carico di
sensualità. Da ragazzo appariva di frequente nei miei
sogni erotici, il suo aspetto femmineo mi intrigava.
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Errori pericolosi
Dopo aver fatto sesso, facevo sempre una doccia
bollente e lunga. Provavo repulsione per i gesti
consumati se conservavo addosso per troppo tempo il
mio sudore mischiato ad altro. Restavo per qualche
minuto in silenzio, sotto lo spruzzo caldo dell’acqua,
con la speranza che bastasse un semplice
bagnoschiuma a lavare via l’inquietudine che
sopportavo nell’anima. Come un automa, replicavo
puntualmente il rito di purificazione, un battesimo in
acqua profana per detergere ogni elemento estraneo
dalla mia pelle. Il cerimoniale si concludeva solo dopo
essermi cosparso minuziosamente di olio Johnson’s,
quello che viene adoperato per i bambini. L’odore mi
piaceva terribilmente, forse perché credevo sul serio di
tornare ad essere un bambino.
Mentre ero sotto la doccia, un giorno, squillò il
telefono. Uscii senza asciugarmi, con l’acqua che
gocciolava in terra e solo al secondo tentativo di
chiamata alzai la cornetta, con sufficienza, senza
preoccuparmi di chi ci fosse all’altro capo della linea.
Non capii sul momento chi fosse, la voce rotta dal
pianto era confusa. Subito dopo riconobbi Anna.
Chiamava dalla stazione dei carabinieri, ma non disse
il motivo per cui veniva trattenuta. Riuscì solo a dire
che le avevano portato via la bambina ed affidata ad un
militare. Trasalii, non volevo credere a quello che mi
PER TUTTA LA NOTTE
diceva, piuttosto pensavo ad uno scherzo di pessimo
gusto.
«Ma dove sei? Che ci fai dai carabinieri? Dov’è la
bambina? Cosa hai combinato?»
Anna era sconvolta e non era riuscita a spiegarmi
nulla di concreto. Mille dubbi mi assalirono. Mi si
accapponò la pelle al pensiero che avesse fatto del male
a Gilda.
Mi avviai di corsa alla stazione dei carabinieri, ma
quando giunsi a destinazione non mi fecero parlare con
Anna che restò sotto interrogatorio per alcune ore.
Seppi solo allora che la trattenevano perché
sorpresa a spacciare cocaina davanti una scuola; le
avevano sequestrato qualche decina di dosi di cocaina
pura e un bilancino di precisione. Che amara notizia. Io
avevo vissuto per mesi una doppia vita in gran segreto
e lei aveva ripreso a mia insaputa a drogarsi e a
spacciare. Sapeva che non avrei mai accettato una
situazione del genere e che avrei avuto anche il
coraggio di usarle violenza nel tentativo di farle
cambiare idea.
La bimba, nel frattempo, era rimasta in custodia
nelle mani di una guardia che se ne stava occupando
amorevolmente. Non piangeva, era tranquilla. Non mi
perdonavo che avessi lasciato indifesa mia figlia nelle
mani di una pazza. Che bisogno aveva di spacciare?
Poteva continuare a farsi di cocaina, ma perché
spacciare? Quale necessità l’aveva spinta ad un gesto
simile? Di soldi, forse, non gliene davo a sufficienza?
Non avrei comunque accettato che riprendesse
37
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l’attività di autodistruzione, ma almeno avrebbe fatto
male solo a se stessa. Non le avrei perdonato neanche
quest’ultima azione, ma non avrebbe messo così a
repentaglio la vita di mia figlia.
Quella donna rappresentava un pericolo per sé,
per me e per la bambina.
Guidato dall’ira pensai che fosse giunto il
momento di farle pagare i suoi errori. Restare chiusa
per un po’ in cella forse sarebbe servito a farle
cambiare idea.
Fui assalito da mille dubbi, come potevo badare da
solo alla bambina? Non potevo di certo con il lavoro
che facevo.
PER TUTTA LA NOTTE
39
I sogni
Uscii di casa puntuale alle venti. Avvicinandomi
all’auto, da lontano, scorsi un foglietto infilato sotto il
tergicristallo.
«Un’altra multa?» esclamai, «porca miseria, ma
allora ce l’hanno proprio con me?»
Con rabbia strappai quel maledetto foglio da sotto
il tergicristallo e lo buttai in terra. Mi infilai in
macchina e mi avviai verso casa di Tonia fumando a
più non posso nel tentativo di sbollire la rabbia per
l’ennesima contravvenzione che non avrei pagato.
Giunsi da lei in ritardo, mi persi e mi feci guidare
passo dopo passo, curva dopo curva sempre in
comunicazione al telefono. Si era trasferita da poco in
un appartamento isolato dal resto delle abitazioni del
centro urbano.
«Ho lasciato le luci accese in terrazza. Riesci a
vederle?» mi disse dopo che avevo svoltato ancora una
volta dietro sua indicazione.
Non vedevo nessuna luce, ai lati della strada
c’erano solo lunghe file di alberi di cipressi. Ad un
tratto fu lei che vide la mia macchina. Era affacciata al
balcone e dimenava le mani salutando.
Dall’ultimo incontro avvenuto al bar, quell’estate,
quello era il primo invito a cena che avevo ricevuto.
Erano trascorse alcune settimane da allora, ma non
40
avevo fatto altro durante questo periodo che pensare a
lei.
Era bella, luminosa, raggiante, divertente. La sua
voce dell’anima penetrava come musica nell’universo
del mio amore.
L’emozione di incontrarla nuovamente fu enorme.
Chiacchierammo per qualche ora dopo cena. Parlammo
di come eravamo ai tempi del liceo e di fatti più
recenti. Lei lavorava in un lussuoso negozio di
abbigliamento e mi offrì di lavorare con la sua azienda.
Ci spostammo in salotto e continuammo a conversare.
Ho dominato qualche volta le mie azioni, molto di
meno i pensieri, per nulla i miei sogni. Mi era capitato
di pensare in quei giorni che sarei stato, forse, più
sereno se l’avessi incontrata prima. Ad un tratto
nessuno dei due parlò più. La sua mano era scivolata
sulla mia stringendo forte. Rimanemmo in silenzio in
mistico ascolto della musica proveniente dentro di noi.
Sulla superficie dei nostri corpi nudi il respiro
echeggiava nel silenzio. Ci avvicinammo ancora di più,
il suo fiato sul collo mi diede i brividi. Facemmo
l’amore per tutta la notte.
PER TUTTA LA NOTTE
41
La contravvenzione
Durante il breve sonno, fui assalito da antichi
dubbi che mi perseguitavano dall’infanzia: avevo il
timore che questa relazione sarebbe stata l’ennesima
destinata al naufragio.
Fare l’amore con Tonia fu meraviglioso, ma non
era stato suggellato con un “ti amo”. Io mi stavo
innamorando, ma non conoscevo – ancora – i suoi reali
intendimenti. Al mattino mi risvegliai tra le sue braccia
tranquillo, ma in preda ancora agli oscuri pensieri della
notte appena passata.
Mentre scorrevo con un dito il profilo in
controluce del naso sottile e delle labbra carnose, Tonia
schiuse gli occhi e mi chiese:
«Toglimi una curiosità, sciocco. Come hai fatto a
non capire che mi sono innamorata di te? Non hai letto
il bigliettino?»
«Quale biglietto?» dissi meravigliato.
«Quello che ho lasciato sulla tua auto, ieri
mattina!»
«Cosa c’era scritto?»
«Nulla di importante!»
Tornai a casa guidando in tutta fretta e fermai la
macchina nello stesso punto dove il giorno precedente
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avevo parcheggiato. La curiosità aveva preso il
sopravvento, desideravo ardentemente capire cosa
avesse scritto Tonia su quel foglietto che come un
ingenuo avevo creduto fosse una contravvenzione.
Fortunatamente né gli spazzini né il vento l’avevano
portato via, avevo ritrovato il foglio accartocciato dal
gesto d’ira. A lettere cubitali c’era scritto:
“MI FAI IMPAZZIRE!
Se credi nel destino questo è il nostro momento.
Amami e ti renderò felice!”
PER TUTTA LA NOTTE
43
Paradigma
Per troppe volte avevo negato a me stesso di
vivere come volevo. Affermavo che la società moderna
non era pronta ad accettare che si potesse amare chi si
voleva. I canoni imposti dalla cultura negavano
l’evidenza della realtà, si ponevano a paradigma di
relazioni che si dimostravano vuote. Per paura del
giudizio altrui fingevo di essere felice, ma la mia anima
soffriva in silenzio. La gioia della vita si manifestava
solo in concomitanza di fatti che contraddicevano
l’archetipo che solo uomo e donna sono fatti l’uno per
l’altra. In realtà, quei pochi attimi felici vissuti con
Anna mi erano sembrati reali, ma non appartenevano
più al mondo in cui cominciavo ad integrarmi. Sentivo
di dover prendere una decisione definitiva. Fu Tonia a
trarmi in salvo, fu lei a guidarmi fuori dall’abisso.
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Il dolore
Tonia perse la madre qualche mese dopo. Il padre
era scomparso quando era un bambino che si avviava a
scoprire la sua sessualità. Aveva tanti amici che le
stettero vicino ed anch’io feci la mia parte.
Affrontò il dolore con inaspettata forza, resse allo
stress con disinvoltura. Un amico riuscì addirittura a
farla ridere, mentre si trovava ad un passo dal feretro.
La mia ammirazione per la forza interiore espressa era
in continua ascesa. Tuttavia, da lì a poco, avrebbe
cominciato a manifestare i primi segni del tormento
che celava nel profondo dell’anima. Due mesi dopo la
scomparsa del genitore, cadde in depressione.
Da anni veniva seguita da un’analista che l’aveva
accompagnata attraverso tutto il percorso di
transizione da gay a donna. Il supplizio dell’animo
inquieto le aveva donato pochi istanti di allegria e
questo si ripercuoteva nel suo modo di pensare. Spesso
l’avevo vista divertita e commossa per un niente. La
delicatezza del suo spirito mi faceva supporre che le
sue azioni fossero mosse da uno spontaneo candore,
ma la sofferenza vissuta nel fisico si rendeva manifesta
nel suo sguardo malinconico.
Spesso la perdita di un genitore ha per
conseguenza lo smarrimento dei punti di riferimento
che apparivano capisaldi fino ad allora. Si viene
sbalzati nel parapiglia di azioni quotidiane e tutto ciò
PER TUTTA LA NOTTE
che si compie si realizza nella più totale incertezza.
Gesti abituali che prima venivano concretizzati con
relativa determinazione, assumono un gravame
maggiore, si ha un più intenso senso di responsabilità.
Con la guida sapiente dell’analista, Tonia riuscì a
riprendere una vita più serena, sebbene solo dopo
qualche mese. Il dolore, che l’accompagnava da tutta la
vita, la condusse ad una svolta decisiva.
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46
Metamorfosi
Aveva deciso. La mano tremante stringeva forte la
mia. L’accompagnai fino alla porta della sala
operatoria. Era giunto il momento di mettere una
pietra sul passato. Tutto quello che aveva fatto fino ad
oggi doveva finire nel dimenticatoio. D’ora in poi
sarebbe esistita solo Tonia. L’uomo che aveva vissuto
in lei per tutto questo tempo stava per essere
definitivamente e inesorabilmente sepolto. L’atrio della
camera chirurgica, un sotterraneo, era tetro e la luce
rarefatta. Non credevo si potesse operare in quelle
condizioni.
«Andrà tutto per il meglio. Stai tranquilla, tra un
po’ sarà tutto passato» le dissi.
Attesi cinque interminabili ore.
Ebbi tutto il tempo di andare indietro nel tempo
con la mente agli anni in cui le era stato imposto di
interpretare un ruolo che non aveva mai sentito suo.
Con la madre, con i compagni di scuola e al lavoro il
suo aspetto era quello di un uomo, ma sapeva in cuor
suo di essere una donna. I suoi gesti e i suoi pensieri
erano quelli di una donna. Al mattino, nello specchio
rifletteva l’immagine di una persona che non
riconosceva, salutava tutti i giorni quell’uomo
dall’aspetto familiare, ma che odiava ogni volta di più.
Finché, un giorno, decise di cambiare del tutto il suo
aspetto. Fece una cura di ormoni, si operò al seno e al
PER TUTTA LA NOTTE
volto per non far crescere la barba. Il suo corpo si
gonfiava e sgonfiava a seconda del dosaggio ormonale
che era costretta ad assumere ogni giorno per evitare la
ricomparsa dei peli. Vomitava di continuo, si
riprendeva per brevi periodi poi ricominciava a stare
male. La scomparsa della madre le diede il coraggio
della scelta definitiva.
L’affetto di una madre è il desiderio d’amore di cui
un figlio sente il bisogno dalla nascita. La debolezza nel
sostenere il peso di questo amore, diciamo pure la
paura del distacco dall’amore materno può
comportare, in contraddizione alla propria volontà,
l’alienazione dall’ambito familiare, la negazione di se
stessi prende il sopravvento pur di compiacere il
bisogno del genitore, si crea un mondo di menzogna
pur di evitare di vivere la propria libertà, il rifiuto di
sé, in questi casi rappresenta la via di fuga verso il
male che si confida essere minore.
La madre di Tonia era una donna d’altri tempi.
Aveva cresciuto suo figlio per molti anni senza il padre
ed aveva sacrificato se stessa per educarlo e iniziarlo
alla vita. Era una donna determinata che si “era fatta
da sé”. Non volle più prendere marito, anche se dopo
la perdita del coniuge aveva avuto molti corteggiatori,
ma lei preferì conservare il ruolo di madre piuttosto
che quello di amante, forse perché questo le permise di
amministrare con cura la sua vita e quella di Tonia.
Una nuova relazione avrebbe potuto infrangere il
legame patologico con il figlio, questo non le avrebbe
dato il pieno controllo sulla sua esistenza. I desideri di
Tonia non vennero presi mai nella dovuta
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48
considerazione dalla madre, che sperò sempre – in cuor
suo – che il figlio potesse cambiare idea. Ma Tonia non
aveva alcuna possibilità di scelta, era un bambino
creato male, Dio aveva sbagliato il suo dosaggio, aveva
somministrato una mente di donna in un corpo
maschile.
Immerso nei miei pensieri non mi accorsi che il
chirurgo aveva varcato la porta della sala operatoria.
Mi rassicurò sull’esito positivo dell’operazione. Ebbi
un breve trasalimento di gioia, fui tiepido
nell’assorbire quella notizia. Tonia avrebbe dovuto
attraversare un periodo di ulteriore sofferenza prima
della sua completa guarigione e metamorfosi, prima
della sua completa restituzione alla vita.
PER TUTTA LA NOTTE
49
Vendetta
«Buongiorno professore», dissi.
Stavo osservando quell’uomo da un minuto,
mentre lui non aveva ancora spostato lo sguardo da
alcuni abiti messi in bella mostra in vetrina. Tonia
aveva un negozio di abbigliamento molto esclusivo.
Con lei lavoravano due ragazze, due bravissime sarte,
che l’aiutavano nella preparazione degli abiti su misura
e due ragazzi che si occupavano dei clienti. Io
cominciai prima a sostituirla qualche volta, quando
non stava bene, poi acquisii dimestichezza con il lavoro
e talvolta andavamo insieme alle fiere ad acquistare la
merce.
Dopo qualche secondo, durante i quali sembrò
mostrare un leggero imbarazzo, il professore rispose
con il suo tipico accento partenopeo:
«Salve guagliò, comme staje?»
Mi aveva riconosciuto. L’avevo incontrato spesso
nei bagni pubblici della metropolitana. Era un tipo
sbrigativo e anche un po’ avaro, chiedeva sempre e
solo un veloce hand-job.
«Molto
provarlo!»
bello
quest’abito,
vero?
Dovreste
Feci tutto senza premeditazione. Quando lo vidi
interessato a quell’abito che mai avrebbe potuto
indossare se non in maniera imbarazzante, non riuscii
50
a trattenermi. Dovevo venderglielo. Con l’aiuto
dell’altro commesso convinsi il professore a fare una
prova in camerino. Venne fuori un omino goffo che
sembrava un pagliaccio. A quel punto cominciammo
tutti a ridere cercando di mantenere nonostante tutto
un comportamento dignitoso, ma bastava lo sguardo
complice di uno di noi che dovevamo coprirci il volto
con le mani emettendo forti colpi di tosse per
dissimulare le risate. Alla fine, riuscii a fargli acquistare
il vestito a prezzo di cartellino, al contrario la mia
soddisfazione non aveva prezzo. Fu una sorta di
vendetta.
Festeggiavo con i miei colleghi, ai quali avevo
raccontato solo di un vecchio professore molto
antipatico, quando ricevetti una mail che mi lasciò
senza parole, si spense l’euforia della vendetta. Era
Valerio.
Il nostro rapporto si era modificato, era capitato
qualche volta di incontrarci per caso e l’imbarazzo era
stato grande. Io con Gilda nel passeggino e lui con un
ragazzetto mano nella mano. L’ultima volta che lo vidi
ci fermammo a prendere un caffè in un bar al centro.
L’imbarazzo fu reciproco, le nostre idee non
cambiarono, i nostri sguardi bassi, non avevamo
null’altro da dirci né da aggiungere.
Non ricordo di preciso cosa scrisse in quella mail,
ma il senso fu questo:
“Ciao, non so se sei al corrente, ma adesso vivo
fuori Roma. A me dispiace moltissimo della situazione
di imbarazzo e freddezza che c’è fra noi. Credimi se ti
PER TUTTA LA NOTTE
dico che mi manchi, mi mancano le serate con te alla
birreria, mi manca il rapporto intimo che avevamo.
Non so proprio cosa dirti di tutta questa faccenda.
Sicuramente sarò stato superficiale quando non ho
considerato i tuoi sentimenti, ma penso di non averti
mai mancato di rispetto.
Non so come la cosa possa evolvere, ma spero di
rivederti presto. Un bacio.”
Rimasi assorto in me stesso per cinque minuti
circa. L’eccitazione per l’episodio del professore era
scemata un po’ alla volta ad ogni rigo che andavo
leggendo.
Vagliai
con
attenzione
l’eventualità
di
rispondergli. Eravamo stati per tanto tempo amici, ma
sentii il bisogno di attendere qualche settimana prima
di replicare, forse per smaltire gli ultimi stimoli di
rabbia. Infine, mi arresi e gli diedi un’altra opportunità.
“Mi preme riottenere – se possibile – la tua
amicizia. Tra due settimane mia figlia compie un anno.
Mi ha già cambiato l’esistenza e continuerà a
stravolgerla ancora.
Pensare di non poter condividere queste emozioni
con chi voglio bene mi ferisce, però voglio che il velo di
protezione creato attorno alla mia famiglia resti
indissolubile. Alla luce di quanto accaduto è difficile
coniugare entrambe le cose.
Non prevedo il futuro e nemmeno io so come
possa evolvere la situazione.
Dovrai inventarti qualcosa.”
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52
Overdose
Dopo l’arresto di Anna avevo fatto il possibile per
allontanarmi da lei, ma non dovetti faticare molto.
Andai a colloquio in carcere una prima volta e fu
anche l’ultima in cui volle vedermi. Avevo Gilda in
affidamento e la portai con me. Anna non volle
neanche prenderla in braccio, ho paura che cada, di
farle del male, disse. In quel luogo, non avrei mai
pensato di trovare un’area attrezzata per far giocare i
bambini, eppure c’era. La invitai ad andarci, ma Anna
volle salutarmi in tutta fretta, si voltò e andò via.
Pur avendone la possibilità, non volle vedermi
successivamente né chiese mai della bambina. Non
capivo a cosa attribuire questo comportamento. Aveva
commesso una sciocchezza e rovinato tutto ciò che di
buono avevamo costruito insieme. In galera il suo
recupero non sembrava per nulla facile. Non
partecipava a nessuna attività sportiva, né culturale, né
ad alcuna attività lavorativa che facesse presupporre
un suo recupero. Evidentemente, la cocaina (che
riusciva a procurarsi facilmente all’interno) aveva
continuato a spegnerla giorno dopo giorno.
Una mattina, una di quelle mattine luminose,
calde, ma rinfrescate da un vento piacevole, ebbi una
telefonata dalla polizia. Era mezzogiorno. Una voce
sconosciuta e cacofonica – dopo capii che si trattava di
un maldestro tentativo di sembrare addolorato – mi
PER TUTTA LA NOTTE
annunciava che Anna era morta. Le guardie
penitenziarie se n’erano accorte al mattino presto, dopo
che erano risultati vani i tentativi di risvegliarla e
quindi di rianimarla. La causa sarebbe stata da
imputare, secondo loro, a un'overdose.
La notizia non mi scosse molto, fui freddo e
distaccato mentre parlavo al telefono. Forse – e qui
penso di scavare nel più profondo del mio animo –
avevo desiderato addirittura quella morte. Quando
riagganciai il ricevitore, mi sentii quasi sollevato dal
tormento accumulato per tutti quei mesi in cui Anna
era stata in detenzione.
Durante quel periodo, avevo temuto – carico
d’angoscia – che all’uscita dal carcere Anna avrebbe
potuto volere indietro con sé la bambina. Io, al
contrario, non avrei mai accettato di affidargliela. Mi
sentivo pienamente responsabile di Gilda, inoltre mai
avrei potuto considerare di riprendere una relazione
con lei. Ormai vivevo felicemente con Tonia e lei si
sentiva rinata nel prendersi cura di Gilda, si dedicava
anima e corpo alla bimba come fosse sua figlia.
53
54
Compleanno
Eravamo tutti e tre intorno al tavolo da pranzo. Al
centro era sistemata una pantagruelica torta con due
candeline che rischiaravano il volto di Gilda che,
pericolosamente, avvicinava il viso alla fiamma.
«Fai attenzione al fuoco!» disse Tonia.
«Mamma, mamma. Papi».
Non parlava ancora, pronunciava bene solo quelle
parole, ma si faceva capire. Il dito più volte era
sprofondato nella soffice copertura di panna della torta
per finire nella bocca golosa di una bambina che si
affacciava alla vita. L’amavo, ed anche Tonia l’amava.
Eravamo felici.
«Soffia sulle candeline» dissi io preparando la
macchina fotografica.
Valerio s’era presentato alla festa, diversamente
dal solito, in ritardo. Forse aveva cominciato a
prendermi a modello, pensai ridendo. Avevamo fatto
pace durante il funerale di Anna. Più volte ho provato
a mettere nero su bianco quell’episodio, più volte ho
tentato di fornirmi una motivazione, ma non ci sono
riuscito. Tutte le volte che iniziavo a scrivere qualcosa
di lui nel mio diario la penna cominciava a girare a
zonzo tra le righe disegnando ghirigori senza senso. A
distanza di tempo, dico solo che ci guardammo negli
occhi e ci abbracciammo. Da lì in poi fu tutto più
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semplice. Le parole dette furono dimenticate, i pugni
presi e ricevuti altrettanto. Portò in regalo un peluche
ed un cd.
«Insolito per una bimba di due anni» gli dissi
accentuando sul volto l’espressione di perplessità e
ilarità.
«Non è per Gilda, scemo, ma per noi» rispose
accendendo l’impianto stereo e inserendo il cd nel
lettore.
La musica era di un cantante arabo e faceva più o
meno così:
“Vieni, mettiamo in fuga la paura
sistemiamoci al sole e non al buio.
Qualche volta piangerai
quando qualcosa ti farà male nel cuore.
Parlami un po’ delle tue paure:
è molto più facile essere forti se si è uniti.
Quando il freddo vento soffierà lì fuori
sarò con te per stringerti al caldo.
Un giorno, forse, potrai smettere
di nasconderti tra le ombre della tua anima.”
Ballammo e cantammo per tutta la notte.
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