PER TUTTA LA NOTTE (paura d’amare) SERGIO CASIZZONE (2015) La storia contenuta in questo racconto è frutto della fantasia. ogni riferimento a persone, cose o fatti realmente accaduti è puramente casuale. Chiunque fosse interessato a segnalare errori, richiedere precisazioni, chi vuole dissentire o complimentarsi per il contenuto, può farlo spedendo un’email all’autore: [email protected] __________________________ Libro mai stampato presso alcuna tipografia nel mese di Aprile del 2015. UTILIZZA CARTA RICICLATA PER STAMPARE Mi guardate male perchè sono diverso… io rido perché siete tutti uguali! (Korn) PER TUTTA LA NOTTE 1 Preludio Siamo a tal punto abituati a dare di noi una falsa immagine per mascherare le nostre paure e le nostre insicurezze, che spesso dimentichiamo chi siamo e cosa sentiamo al di là della finzione. Il superamento di questa negazione è sempre il primo passo per scoprire il nostro desiderio di essere onesti e chiari. 2 Che lavoro fai? L’uomo posò il contante sul tavolino accanto alla finestra. «È la prima imbarazzato». volta. Scusa, sono un po’ «Non preoccuparti» gli dissi ostentando sicurezza. Cominciai a sbottonargli con garbo la camicia, per metterlo a suo agio. Gli sfilai anche i pantaloni. «Stai tranquillo, rilassati. Ti insegno io come si fa». «Ma tu, fai tutto?» disse tentando di trovare una posizione comoda sul letto. Non riusciva ancora a rilassarsi «Intendo dire, vieni pure?» «Non sempre. Faccio solo quello che mi và» risposi. «Però, se paghi bene, posso accontentarti». Lo adulai «Dimmi, amore. Cosa vuoi che faccia per te?» «Devi venirmi dentro». Impiegammo in tutto circa un’ora. Era un uomo dall’aspetto cordiale, ma notai che i suoi abiti non erano in buone condizioni mentre si rivestiva in tutta fretta. Non doveva essere un operaio, avendo mostrato una inequivocabile raffinatezza nell’esprimersi. PER TUTTA LA NOTTE «Ho fatto troppo tardi. Devo tornare da mia moglie. Crede che io stia lavorando al momento». «Che lavoro fai?» gli chiesi. «Il cuoco. Oggi però ho finito di lavorare prima. Ora devo proprio andare, scusami di nuovo». 3 4 Il biglietto L’alloggio in cui abitavo era di modesta fattura. Non si trovava in città. Per pagare un ’affitto meno caro, un anno fa circa, avevo dovuto trasferirmi oltre la strada che sancisce il confine della città. Qui funziona così, se abiti un metro oltre il GRA, paghi poco, sempre troppo per le mie tasche. Appena ti sposti di un passo verso il centro urbano gli affitti diventano dei veri e propri salassi, sono scippi resi legali da un contratto. Avevo una ragazza quando cominciai a prostituirmi, a concedere le mie prestazioni. Mi piace definire così quello che faccio. La prostituzione, fare la vita, cioè, è avvilente. In questo modo mi illudo di avere un lavoro degno di nota. Non che io non avessi un lavoro. Ero impiegato in una società che vendeva computer, ma il lavoro dipendente non mi concedeva alcuna soddisfazione. Tuttora, inoltre, non appartiene al mio dna arrivare in orario a qualunque appuntamento. Al lavoro, poi, mi capitava con eccessiva frequenza, quasi ogni giorno e tutte le volte erano feroci discussioni con il capoufficio. Non mi concedevo sempre, solo quando ero a corto di denaro. La prima volta accadde senza il mio espresso volere. Successivamente, mi feci trascinare dal mio amico Valerio dopo avergli visto intascare ogni volta una discreta somma di denaro. PER TUTTA LA NOTTE Tutto cominciò una sera che andai con lui in birreria. Ero stato da poco licenziato, non riuscivo a trovare un altro lavoro che potesse essere degno di quel nome e gli chiesi di sostenere il mio pianto di frustrazione. Non ricordo di cosa parlammo, in realtà non me ne importava affatto. Ricordo solo che litigai col mio amico e lo cacciai. Poggiai la faccia tra le mani e ripresi a bere. Quella sera mandai giù troppi Jack Daniel’s. Non mi sostenevo più in piedi. Provai ad alzarmi poggiando con forza le mani sul tavolino, ma rovinai all'istante facendo fracassare fragorosamente la bottiglia ormai vuota. D’un tratto si avvicinò un uomo distinto, molto ben vestito, che si propose di accompagnarmi a casa. Non ebbi la forza di negargli un aiuto. «In realtà» gli dissi «ho proprio bisogno di un passaggio». Mi condusse fino a casa. Appena aprii, lui entrò con me e chiuse la porta dietro di sé. Mi diressi verso la camera da letto con quell’uomo incollato alle calcagna. Lui cominciò a spogliarmi e nel frattempo mi diede un bacio. Caddi sul letto a peso morto con lui attaccato alle labbra. Facemmo l’amore per tutta la notte. Al mattino mi risvegliai completamente sfatto, stremato, avevo stabile un terribile mal di testa che non mi permise neanche di prepararmi un caffè. Dovetti rimettermi a letto. Solo la sera, svanito l’effetto della sbornia, riuscii ad alzarmi. Vacillando, andai diretto in cucina. Non intendevo sfamarmi, ma avevo una gran voglia di pane e nutella. Presi il barattolo e un coltello 5 6 con una mano e con l’altra sistemai alcune fette già pronte sul tavolo. Solo allora mi accorsi che, in bella mostra, c’era del denaro. Non ricordavo di averli messi lì, eravamo a metà mese ed ero certo che avessi già finito tutti i soldi. Attendevo con ansia che arrivasse – per l’ultima volta – il giorno di paga, infatti, centellinavo ogni acquisto. Presi quelle banconote e, mentre le soppesavo una alla volta facendo il conto di quante fossero ad alta voce, rifacendo con estrema precisione il gesto con ciascuna, dalla mazzetta venne fuori un foglio. “Sei stato molto tenero. Grazie di tutto!” c’era scritto. «Grazie di che? Di chi sono questi soldi?» Barcollai. Dovetti sedermi per riflettere. Ricordai, attonito, tutto. Tutto quello che avevo fatto quella notte. Ero meravigliato di aver fatto l’amore con un uomo, ma ancor più che avessi ricevuto un pagamento per il mio gesto. «Non è possibile!» dissi. Eppure i soldi erano reali, erano tra le mie mani. Non era stato un sogno. Dovetti uscire di casa. Scappai senza meta. Girovagai per diverse ore, senza rendermi conto di dove andassi o del tempo che passava. Ad un tratto mi fermai in un angolo di strada, avevo lo stomaco che implorava di essere assistito. Vomitai tutto quello che avevo in corpo. Dopo il primo violento spruzzo, rigurgitai ancora fino a che gli spasmi non mi fecero cadere in terra. PER TUTTA LA NOTTE Afflitto e angosciato rimasi un’ora intera accasciato sul marciapiede. Dovevo riflettere. Mi distolse dai miei dolorosi pensieri lo squillo del cellulare. Era Anna, la mia ragazza. Aveva telefonato inutilmente diverse volte a casa e cominciava a preoccuparsi visto che avevamo un appuntamento. Insieme, in realtà avrei dovuto fare tutto da solo, dovevamo metterci in contatto con un nuovo pusher. Anna si sosteneva con la coca, la “magica”, così la chiamava lei. 7 8 La ragazza interessante Anna tirava coca da tempo. In principio sniffava solo per divertirsi, qualche volta al mese, di norma il sabato o la domenica quando ci si ritrovava con la comitiva per andare a ballare. Era iniziato per gioco, amici di altri amici portavano la coca e noi ce la spassavamo per un po’. In seguito la faccenda divenne più seria, non riusciva a frenarsi, aveva bisogno di tirare ogni giorno. Ci conoscemmo ad una festa a casa di Valerio, una di quelle feste di compleanno in cui quasi tutti hanno poca voglia di divertirsi e di stare in compagnia. Si crearono alcuni gruppetti, ciascuno separato dall’altro, di tre o quattro persone al massimo. Al contrario degli altri, sembrava fossi l’unico ad avere voglia di divertirmi. In disparte, vidi tra le tante facce scure una ragazza bionda, molto carina e dall’esile forma – mi chiedevo come mai non l’avessi notata fino ad allora – che gesticolando vistosamente verso altri due ragazzi raccontava ad alta voce come aveva mandato a quel paese il suo ultimo corteggiatore. Mi avvicinai a quelle persone che avevano l'aspetto di essere più vivaci, più interessanti delle altre. Non volevo che le facce degli altri invitati presenti mi deprimessero facendomi pensare alla perenne carenza di contante: avevo cominciato a lavorare da poco e per avere il primo stipendio degno di quel nome avrei dovuto aspettare PER TUTTA LA NOTTE almeno un mese. Mi presentai e facemmo subito amicizia. Conversammo amabilmente per un tempo che mi sembrò infinito, quando, ad un certo punto della serata, uno dei due ragazzi scomparve tornando dopo svariati minuti. Con un gesto della mano, quasi a significare “svelti, sbrigatevi”, chiamò i suoi amici in disparte in camera da letto. Anna fece cenno di seguirla. Accortasi che ero in imbarazzo, mi allungò la mano ed io gliela strinsi lasciandomi guidare. Li vidi accomodarsi su un grande letto matrimoniale al centro della stanza e fu allora che, usando una carta di credito, uno di loro cominciò a manovrare, sminuzzando con attenzione i granelli più grossi, quella che era una sottile striscia di polvere bianca. Dopo quel lavoro meticoloso, tirò su per il naso la sua dose quasi in un colpo solo e quand’ebbe finito passò il libro, su cui si vedevano ben allineate e tutte parallele il resto delle righe, al suo compagno. Sniffarono tutti e quando fu il mio turno tirai su anch’io. 9 10 Ritardo «Cazzo, ma che ore sono?» sbraitai svegliandomi di soprassalto. «Uhm...» Anna bofonchiò qualcosa nel sonno. «Sono le nove, porca puttana! Devo correre al lavoro. Non posso arrivare tardi in ufficio, altrimenti questa è la volta buona che mi licenziano». Quella notte, io e Anna avevamo davvero esagerato. La sera prima era venuta a trovarmi a casa portando una bustina di coca. Imbufalito, le dissi di buttare quella roba maledetta, desideravo sul serio che smettesse. Non era necessario un indovino per prevedere che prima o dopo avremmo distrutto le nostre vite. Ma lei era maestra nell’arte della seduzione. La sua era una tecnica collaudata e, seppur riconoscendola, continuavo a cadere (volontariamente) come un insetto in una tela di ragno. Cominciò ad adularmi strofinando le parti prominenti del suo corpo sul mio petto, si avvinghiò portando il volto accanto al mio e le mani ficcate sotto la maglietta. Sentivo il lento respiro ansimare sempre più, mentre cominciava a succhiare e a titillare delicatamente il lobo dell’orecchio. Il profumo della PER TUTTA LA NOTTE sua pelle accaldata mi ubriacava più di una intera bottiglia d’ottima annata di Brunello di Montalcino. Il richiamo dell’eros fu più forte di ogni tentativo che opposi alla sua sfacciataggine, la seduzione della marmorea polvere era di gran lunga più vigorosa del moralismo che ostentavo con presunzione. Tirammo coca e facemmo l’amore per tutta la notte. Arrivai in ufficio alle dieci passate. Le facce cupe dei colleghi non presagivano nulla di positivo. «Il capo ti vuole nel suo ufficio» disse un collega, uscendo dalla stanza del capoufficio. Risparmio di raccontare l’amaro rimprovero che fui costretto a sopportare. Fu l’ultima volta che arrivavo in ritardo, non avrei avuto più il lusso di farlo. Non avevo più un lavoro. Tornai a casa amareggiato e trovai Anna ancora a letto, spossata dalla notte consumata. La svegliai, l’obbligai a rivestirsi e la mandai via. Volevo restare solo. Rinchiuso in casa, ebbi il convincimento – disperato – di lasciare all'esterno la sorte avversa che mi perseguitava. 11 12 L’amico Un amico con cui parlare era l’unica via d’uscita, l’unica soluzione che avevo – oltre allo Zoloft – per provare ad uscire dagli stati di depressione in cui cadevo frequentemente. Valerio ed io ci conoscevamo da anni. Eravamo nella stessa classe alle scuole medie. Insieme, giocavamo a pallone, guardavamo i cartoni e quando ne avevamo voglia studiavamo. Insomma, facevamo quello che i ragazzi di quella età fanno comunemente. Ho ancora un bellissimo ricordo delle serate passate a mangiare e a bere salsicce e birra, cercando di fare bella figura con le ragazze. Non è che avessimo molto successo e forse le ragazze non ci interessavano granché. Avevamo solo voglia di innamorarci, il nostro sogno più grande era l’amore in quanto tale: l’idea del grande Amore era al centro dei nostri innocenti pensieri, non era rappresentato di certo da nessuna creatura in particolare. Finita la scuola media, mi iscrissi al liceo scientifico, mentre Valerio, che aveva la vocazione della cucina, cominciò a frequentare l’istituto alberghiero. Ci perdemmo di vista, fino a qualche anno fa, quando ci incontrammo per caso a Villa Borghese. Vivevo già da diverso tempo da solo e, per sbarcare il lunario, portavo a spasso dietro misero PER TUTTA LA NOTTE compenso i cani di persone troppo anziane che non erano più in grado di badare ad essi. Ad un tratto mi sfuggì dalle mani il guinzaglio di un Labrador. Dovetti inseguirlo per un chilometro buono: ad ogni mio tentativo di riacciuffarlo riprendeva a scappare. Per il cane era un gioco, io, al contrario, ero terrorizzato che potesse smarrirsi. Alla fine si rifugiò tra le gambe di una coppietta che con veemenza amoreggiava su una panchina. Uno di loro raccolse il guinzaglio e tenne fermo il cane in attesa che li raggiungessi. Il mio stupore fu enorme quando, ringraziando per il favore, riconobbi Valerio e vidi che la persona accanto a lui era un uomo. 13 14 Natura vera Valerio s’era sposato a 23 anni. Voleva bene alla sua compagna, ma era gay. La sua confessione fu un atto liberatorio. Non l’aveva mai rivelato a nessuno. Io fui il primo “etero” con cui si confidava, l’unico con cui sentiva di avere un legame più che familiare. Della madre ricordo poco, cioè ricordo la sua assenza. Al contrario, suo padre mostrava un continuo interesse per lui e per gli amici che frequentava. Era un personaggio ambiguo, molto severo per un verso, dall’altro era capace di intensi gesti d’affetto. Non seppi mai per certo se avesse subito abusi sessuali. Forse, lasciò a me il compito di comprenderlo. Desiderio del padre, come di tutti i padri, era che si sposasse e che trovasse una buona sistemazione. La ragazza che frequentava e che aveva conosciuto all’università sarebbe stata, quindi, la soluzione migliore: il futuro suocero era proprietario di una catena di ristoranti e avrebbe avuto un lavoro assicurato. Il matrimonio fu organizzato in fretta e furia per l’approssimarsi della fine del genitore. Fu fatto tutto secondo i canoni della religione cristiana nella stessa chiesa dove ricevemmo la prima comunione. PER TUTTA LA NOTTE Nella sua camera da letto spiccava un’enorme fotografia della cerimonia, in cui era ritratto Valerio con l’abito nuziale, il prete al centro e la moglie accanto. Ogni volta che mi capitava di guardarla, ricordavo di quando, quasi quindicenne, serviva la messa la domenica mattina. Ora, dava libero sfogo alla sua vera natura in un boschetto. 15 16 Sospetto Erano trascorsi diversi giorni senza vedere né sentire Anna. L’ultimo litigio, causato dal mio licenziamento, ci aveva allontanati. Sentii il bisogno di parlare con Valerio. La costante situazione di precarietà economica mi opprimeva, inoltre, anche a seguito della lite avvenuta in birreria, volevo chiedergli scusa e raccontargli cos’era accaduto con l’uomo che mi aveva riaccompagnato a casa. Lo chiamai chiedendo se avessi potuto andare a casa sua e la risposta fu affermativa. Un’ora dopo ero da lui. Aprì in fretta la porta e scappò via lasciandomi sull’uscio. Entrai chiedendogli cosa stesse combinando e lo trovai immerso nei suoi pensieri che navigava in internet. Non capii bene cosa succedeva, sul video comparivano, coprendo quelle precedenti, alcune finestre che lampeggiavano fintantoché non le attivava con il mouse. Mi disse che erano messaggi dei suoi clienti. L’idea di adescare uomini attraverso internet me la diede Valerio. Lui si concedeva solo così. In principio mi aveva detto di non desiderare la compagnia della birreria, troppo chiassosa per il suo carattere. Inoltre, voleva evitare di alzare il gomito, visti i suoi precedenti non proprio felici con l’alcool. PER TUTTA LA NOTTE Valerio riceveva i suoi clienti approfittando dell’assenza di sua moglie. Si alzava al mattino presto con lei, facevano insieme colazione, poi l’accompagnava a lavoro e, successivamente, rientrava nel suo appartamento. Ogni gesto era studiato, calcolato, meticoloso fino all’esasperazione. Non si concedeva mai per più di una volta al giorno. Ripuliva l’appartamento di ogni cosa fuori posto e, se la moglie avesse trovato qualcosa che non gli apparteneva, poteva sempre dire che era di un amico venuto a fargli visita. D’altronde anche i vicini avrebbero confermato che si trattava di un uomo. Lei non sospettò mai nulla. Non seppe mai cosa accadeva realmente in quella casa. 17 18 Manette Anch’io tenni Anna all’oscuro di quello che avrei fatto in seguito. Valerio mi aiutò a registrare il mio nominativo su un sito che frequentava per poter accedere al servizio di chat. Prendevo in considerazione solo le persone che nel proprio profilo utilizzavano una fotografia: se per guadagnare un po’ di soldi costringevo al sacrificio il mio corpo, pensai, volevo almeno scegliermi quella dall’aspetto più gradevole. Cominciai così a chattare con un architetto napoletano. Parlammo in buona parte di cose alquanto inutili. Era assai prolisso e anche molto presuntuoso. Mi fece l’elenco – che considerai esaustivo già al secondo lavoro – degli incarichi che aveva svolto in giro per l’Italia per diverse amministrazioni di beni pubblici. Mi disse che era molto famoso nel suo settore, che aveva partecipato a manifestazioni in tutto il mondo e che di recente aveva progettato il restauro delle sale del Maschio Angioino, fiore all’occhiello di tutta la sua produzione. Lo presi in giro, dicendogli come a Napoli di maschio fosse rimasto ormai solo il castello. Una sera mi decisi a fissare un appuntamento. Ci incontrammo in birreria e rimanemmo per un po’ a chiacchierare. Ebbi bisogno di bere diversi Jack Daniel’s per sostenermi, ma avevo bisogno di soldi e PER TUTTA LA NOTTE gliene avevo chiesti tanti. Lui aveva accettato senza fiatare. Non potevo tirarmi indietro a quel punto e mi feci portare a casa sua. Fu come entrare in un museo d’arte moderna. L’ingresso era smisurato, a terra c’era un parquet che sembrava infinito, in alto erano poste in modo sfarzoso travi a vista di cemento a forma triangolare che attraversavano la stanza dal basso verso l’alto. In fondo, sulla destra, si distingueva una finestra dalla dimensione che mai avevo visto in passato, riempiva tutta la parete e affacciava sulle luci della città intera. Tutto intorno graffiava la vista il bianco abbagliante delle pareti. Mi offrì di nuovo qualcosa da bere ed accettai volentieri, mentre ci avvicinavamo alla camera da letto. «Voglio farti una sorpresa» mi disse prendendo dalla tasca un foulard di seta nero che cominciò ad annodare intorno agli occhi. Mi fece distendere sull’enorme letto che ero riuscito appena ad intravedere e iniziò a spogliarmi con precisa delicatezza. Quand’ebbe finito di togliermi tutti gli indumenti, sentii scattare sui polsi qualcosa di metallico. Mi aveva ammanettato al letto. Sopraggiunse il panico. Mi assalì il pensiero che avrebbe potuto trattarsi di un maniaco che da lì a poco mi avrebbe ucciso e nessuno mai avrebbe scoperto dove fossi finito. Nessuno sapeva dove fossi andato. Non avevo detto ad anima viva con chi e cosa andavo a fare. Cominciai a 19 20 tremare come una foglia, mi si accapponò la pelle. La sensazione di allegria dovuta all’alcool, che mi aveva accompagnato fino a quel momento, svanì di colpo. Feci appena in tempo a dire «Che cosa stai facendo?» che lui diede inizio al suo gioco. Promisi a me stesso che, se fossi sopravvissuto, non mi sarei comportato più in maniera così stupida. Atterrito e inquieto le ore trascorsero interminabili. Scopammo per tutta la notte. Il mattino seguente, mi svegliai sfinito. Mi alzai a fatica dal letto senza più le manette ai polsi. Cercai il mio seduttore per l’intera abitazione, ma lui era come volatilizzato. PER TUTTA LA NOTTE 21 Confessione Anna bussò di pomeriggio inoltrato alla mia porta. Entrò trafelata chiedendomi scusa per essere stata la causa del mio licenziamento. «Ho già trovato un altro lavoro, non devi preoccuparti per me» dissi mentendo. Annuì senza proferire verbo. Prese una birra dal frigo e si adagiò sul divano. Continuavo a covare ancora rabbia per la sua debolezza e l’aggredii, le urlai contro che doveva smettere, le feci promettere che non avrebbe usato più quella robaccia. La situazione economica di ciascuno era a dir poco disperata, tutto quello che guadagnava lei, al di fuori di quello che spendevo io per sopravvivere, veniva consumato in cocaina. La necessità di drogarsi era diventata una vera e propria ossessione. Per troppe volte l’avevo vista in balia del delirio di onnipotenza alimentato dalla polvere miracolosa. Quella sera Anna parlava in modo diverso, più serio, aveva fatto tante volte quel giuramento, ma stavolta sembrava sincera. Cominciai ad osservarla con attenzione, dedicando maggior interesse al movimento nervoso delle sue mani. L’osservai dritto negli occhi che iniziavano a lacrimare. 22 Mi disse che aveva intenzione di trovarsi un lavoro perbene. Voleva iniziare a vivere una vita più serena, senza tutti i casini in cui eravamo soliti cacciarci. Lavorando in due avremmo potuto permetterci una casetta migliore, sicuramente meno umida di quella in cui vivevo. L’ascoltai concentrato, annuendo ogni tanto con un cenno della testa. Non capivo il motivo della sua redenzione, mentre ragionava, riflettevo sui motivi che l’avevano spinta a fare quelle affermazioni. Disperata e penosa fu la sua confessione, un test di gravidanza fatto il giorno prima aveva dato esito positivo: Anna era incinta. Le lacrime cominciarono a sgorgare abbondantemente congestionandole il viso, gli occhi si contornarono di un rosso color sangue. Temeva che le chiedessi di abortire e si precipitò a sostenere che voleva tenere il bambino, che sarebbe stata felice se noi avessimo vissuto insieme e cresciuto il piccino che da lì a qualche mese sarebbe nato. Avremmo dovuto scegliere un nome, l’avremmo educato e insieme ci saremmo fatti carico dei suoi pianti e dei suoi bisogni. Il suo discorso mi convinse. Non ci voleva poi tanto. Quella sera – credo – fu la prima ed anche unica volta che l’intesi parlare in maniera talmente seria che non me la sentii di abbandonarla a se stessa. Credevo d’amarla, ma, oltre a ciò, volevo che quel bambino avesse un padre. PER TUTTA LA NOTTE 23 Interludio Spesso l’attrazione erotica ha fatto da catalizzatore per la nascita di un rapporto intimo, ma non era un segno d’amore. Il sesso era eccitante e piacevole anche con persone che non conoscevo. Eppure, ero convinto che l’attrazione erotica indicasse chi dovevo e potevo amare, come per la stragrande maggioranza degli uomini. Anch’io fra questi, guidato dal pene, sedotto dal desiderio erotico, spesso mi sono ritrovato legato a un partner di cui non condividevo né gli interessi né i valori. Questo accadeva in quanto non ero predisposto ad accettare la mia natura più autentica, soprattutto quando viverla con integrità richiedeva l’allontanamento da mondi che mi erano familiari. Spesso, quando ho intrapreso un percorso di autoguarigione, è successo che per qualche tempo mi sono sentito più solo. A questo punto sono sorte molte idee sbagliate sull’amore, che me lo dipingevano ad esempio come uno stato di costante beatitudine da cui la sofferenza era bandita. Bisognava smascherare l’ipocrisia di un punto di vista del genere, che mi facesse capire (e accettare) la semplice verità che sofferenza e dolore non svanivano automaticamente quando cominciavo ad amare. In molti casi, quando ho ripercorso all’indietro il lungo cammino che mi 24 avrebbe fatto ritrovare l’amore che ritenevo perduto, la sofferenza è diventata addirittura più intensa. Come diceva sapientemente il protagonista di un film cult degli anni novanta: “non può piovere per sempre”. L’accettazione della sofferenza è parte integrante di ogni scelta d’amore; bisogna, però, saper distinguere tra la sofferenza costruttiva e la tendenza a crogiolarsi nel dolore. Se nella mia vita la promessa d’amore non si era ancora – mai – realizzata, l’aspetto forse più complesso della pratica d’amore era credere che il passaggio attraverso l’abisso del dolore conducesse al paradiso. È probabile che avessi talmente paura di affrontare la sofferenza emotiva che per così tanto tempo avevo tenuto chiusa dentro di me, da scegliere consapevolmente di rinunciare all’amore. Avevo deciso semplicemente di non mettermi in gioco, perché non ce la facevo ad affrontare il supplizio sentimentale dell’amore e il conflitto che ne sarebbe nato. PER TUTTA LA NOTTE 25 Il segreto Valerio incarnava il classico amico a cui si può confidare di tutto. Da sempre sopportava con rassegnazione ogni mia lamentela senza batter ciglio, ascoltava le confessioni di tutti i miei peccati, quelli più segreti e altro ancora. Questa volta, però, quando gli raccontai di Anna e del bambino fu diverso. Divenne scuro in volto, cominciò a gridare che avrei dovuto farla abortire, che non potevo permettere che si mettesse al mondo una creatura destinata alla sventura. Questo bambino era già sciagurato alla nascita, avrebbe avuto una madre cocainomane e un padre omosessuale. Aggiunse inoltre, che i medici avrebbero di certo scoperto che Anna si drogava, le avrebbero tolto il bambino e, se anche avesse partorito, non avremmo potuto allevarlo. Disapprovò dal principio la mia scelta, ma non gli diedi ascolto. Non potevo. Avevo giurato alla mia donna che le sarei stato vicino, avrei badato a lei ad ogni costo. Feci quella promessa con il convincimento di riuscire a trarla via dalla tossicodipendenza. Speravo sul serio che fosse quella l’occasione giusta per provare a redimerci, che stavolta saremmo riusciti a mettere, come si suol dire, la testa sulle spalle. Finalmente, era giunta la nostra occasione, avevamo la possibilità di dare una svolta alle nostre vite. 26 Con l’accusa di essere un folle ed un incosciente, Valerio mi instillò un sentimento di inquietudine. Iniziai a dare sempre meno peso alle sue parole, fino a quando, giunse inaspettato il vero motivo della sua rabbia. «Non puoi fare un figlio con una donna. Tu sei gay!? Capisci questa parola? Comprendi cosa significa tutto questo?» Continuava ad agitarsi, percorrendo in lungo e in largo la stanza. «A noi gay piace il cazzo! Ti rendi conto del casino che stai combinando?» Non riusciva a controllarsi in nessun modo, proseguì nel suo monologo per un buon quarto d’ora. «Quella troia! Ti ha incastrato e tu sei stato proprio un idiota a farti mettere in trappola», disse ad un certo punto. Non ci vidi più dalla rabbia, avevo a portata di mano un posacenere di metallo e glielo lanciai contro, mancandolo d’un soffio. Venimmo alle mani come non facevamo più dai tempi delle scuole. Ruzzolammo più volte in terra, frantumando tutto ciò che urtavamo. Infine, Valerio non riuscì più a frenare in sé, a tener celata la riflessione, il pensiero che segretamente aveva custodito per tutti questi anni. Emise un urlo misto ad angoscia e pazzia, rotto dal pianto «Io ti amo! Non puoi farmi questo. Io… ti amo…» L’abbandonai chino sulle ginocchia, mentre colpiva furiosamente con le mani il pavimento. Intanto che mi allontanavo, lo ascoltai finché non fu travolto da un pianto irrefrenabile. Non volevo che intralciasse i PER TUTTA LA NOTTE miei piani. Volevo un figlio e non gli avrei permesso di ostacolarmi. Non mi chiamò, né io lo cercai per i mesi a seguire. 27 28 Ricevimento La mia occupazione principale divenne quella di trovare un lavoro. Avevo messo da parte un po’ di soldi concedendomi a pagamento, ma desideravo cambiare aria. La faccenda stava prendendo il sopravvento sulla mia vita, mentre io volevo fortemente darle una scossa, per dirigerla in direzione opposta. Pensieri cupi mi affliggevano: tra qualche mese sarei diventato padre e quale futuro avrei offerto a mio figlio continuando su quella strada? Valerio, in fin dei conti, aveva ragione quando affermava che non avrei potuto crescere un figlio in quelle condizioni, ma ero determinato a cambiare atteggiamento, ero ostinatamente deciso a dare una svolta alla mia vita. Io ero determinato, ma lo era ancor più il territorio in cui vivevo. Crudele, spietato e insensibile alle richieste di aiuto di un uomo che necessitava di un lavoro per la sopravvivenza sua e della sua famiglia. Trascorsi due mesi con il tormento di quella che sembrava un’inutile ricerca. Avevo girato tutta la città invano, inviato curriculum e fatto decine di colloqui. Tutto senza successo. Anna iniziò a non stare bene. Aveva smesso di assumere cocaina e pensai che l’astinenza avesse cominciato a manifestare i suoi effetti. Fu allora che trovai il disperato coraggio di tornare in birreria. Dopo PER TUTTA LA NOTTE aver vagato a vuoto per la città, mi fermai sul marciapiede dirimpetto a contemplarne l’insegna luminosa. Quel luccichio intermittente fu un richiamo più forte di qualunque stupefacente avessi provato prima d’allora. L’esperienza maturata attraverso internet mi aveva scosso. Pensai che non era possibile conoscere nel dettaglio le persone attraverso il mezzo informatico, così freddo, restava sempre un mondo virtuale. La vera conoscenza si poteva approfondire solo dal vivo, volevo poter parlare alle persone guardandole dritto negli occhi. Pensai che le volte precedenti mi era andata bene, avrei potuto, quindi, continuare fintantoché non avessi trovato un lavoro decente. Decisi di non avere altra scelta. Cominciai a bere sempre più di frequente, soprattutto per farmi coraggio. Iniziai anche a mentire ad Anna, quando si accorse che avevo sempre una discreta somma di denaro in tasca. Le dissi che avevo trovato un lavoro come cameriere e che dovevo occuparmi di servire ai tavoli durante il turno di notte. Tra finzione e realtà la differenza non esisteva. Avevo un lavoro di servizi, offrivo a commensali squattrinati e distratti, impiegati facoltosi e impacciati, operai mal vestiti e determinati, tutto quello che mi veniva richiesto. Ero cameriere, impiegato ed operaio anch’io. La mia mensa apriva tutte le sere alla stessa ora e chiudeva i battenti quando il veloce pasto era stato consumato dal banchettante di turno. Tornavo a casa quando Anna era già a letto a riposare. Di giorno facevamo qualche compera, discutevamo del nome da 29 30 dare al bambino, se fosse stato maschio o femmina; poi alle venti ero già pronto per cominciare una nuova notte di inferno e piacere. Passavo con disinvoltura dagli hotel mediamente lussuosi ai bagni pubblici della metropolitana. Non feci più lo schizzinoso, mi abituai a ricevere individui di ogni genere e razza. Anna non ebbe sospetti di alcun genere, non facevamo più l’amore da settimane e a casa potevo dedicare maggior tempo al riposo del mio corpo logorato. Portai avanti questo comportamento per diversi mesi, di notte scendevo agli inferi, di giorno il viaggio di ritorno alla realtà virtuale della coppia. Custodii il mio segreto con estrema attenzione. Anna, infine, partorì. Era una femmina e la chiamammo Gilda. PER TUTTA LA NOTTE 31 Pausa Era poco probabile che il mio atteggiamento in campo sentimentale si potesse modificare se non avessi corretto il mio linguaggio. Le espressioni convenzionali usate per parlare d’amore mi mettevano a disagio. Sentivo che questi modi di dire e le forme di pensiero che gli stavano dietro erano una delle ragioni per cui andavo a infilarmi in rapporti che non funzionavano. A posteriori, mi rendevo conto che il modo di ragionare sull’amore prefigurava minacciosamente ciò che poi sarebbe accaduto nel rapporto. Benché nella ricerca di qualcuno da amare e da cui essere riamato io avessi avuto molte delusioni, continuavo a credere nel potere di trasformazione dell’amore. Ciò che voglio dire è che nel corso di una vita si incontrano moltissime persone con le quali si sente scattare quello speciale “non so che”, che potrebbe condurci sulla strada dell’amore. Ma la connessione fra due anime è un’altra cosa. Spesso questo legame più profondo si instaura indipendentemente dalla nostra volontà. A volte capita di essere attratti verso qualcuno senza saperne il motivo, anche se non desideriamo che il contatto si crei. Molte coppie che hanno trovato il vero amore amano raccontare la storia di come, al primo incontro, uno dei due non trovasse per niente attraente l’altro, pur sentendo che tra loro c’era una 32 misteriosa intesa. In ogni caso, chi sente di aver conosciuto il vero amore conferma che mettersi insieme non è stato né facile né semplice. Per molti questo dato è sconcertante proprio perché le nostre fantasie sul vero amore lo immaginano, appunto, semplice e facile. PER TUTTA LA NOTTE 33 L’ammiratore Incontrai Tonia per caso in un bar all’aperto durante l’estate. Fui costretto ad assistere ad un penoso spettacolo di cabaret, che fortunatamente finì presto. In seguito, apparve sulla scena una donna. Era bella, alta, mora dai capelli lunghi e ricci. Aveva gli occhi verdi e quel suo sguardo insolente e al tempo stesso malinconico raccontava patite sofferenza mal celate. Alla fine dello spettacolo musicale mi fermai davanti all’ingresso di una tenda adattata a camerino. Ebbi un’emozione strana, una sensazione che mi intimidiva. Durante l’intera esibizione non avevo tolto lo sguardo dagli occhi di quella donna: avevo la convinzione di averla già vista in passato. Non volevo apparire il solito ammiratore screanzato dicendole – cosa che mi sembrava ovviamente scontata – di averla incontrata da qualche altra parte. Impacciato, provai ad entrare, ma lei mi tolse subito dall’imbarazzo. «Ciao Fede» mi disse. Non capii. Conosceva il mio nome. «Allora è vero che ci siamo già incontrati?» pensai ad alta voce, non feci in tempo a trattenere le parole. «Quindi non hai capito chi sono?» disse e aggiunse «Che stronzo!» 34 «Scusami, ma...» proseguii ancora più impacciato. «Sì, in effetti hai ragione, sono uno stupido a non ricordarmi dove abbiamo fatto conoscenza». «Sono Antonio. Tonia, ricordi? Eravamo vicini di banco al liceo». PER TUTTA LA NOTTE 35 Invidia In prima liceo scoprii di essere invidioso di un mio compagno di classe. Aveva di continuo intorno a sé tante ragazze. Era capace addirittura di passare ore nascosto nel bagno delle donne circondato da ragazzine. Non capivo come tutte quelle adolescenti potessero dedicargli tanta attenzione. Non lo consideravo così attraente. Non era affatto virile. Pensai che tutta quell’attenzione derivasse dal fatto che dimostrava molta tenerezza. Forse quelle giovinette desideravano un cucciolo da accudire. Non capivo, o forse, non volevo vedere che quel ragazzo si intrufolava in compagnia delle sue coetanee nei bagni femminili per fare tutt’altro di quello che sospettavo, truccava i suoi occhi, imparava ad applicare il fondotinta, studiava come mettere il rossetto sulle labbra. Il suo nome di battesimo era Antonio, ma in classe tutti lo chiamavano Tonia. E lui andava fiero di quel nome. Provavo invidia per quel corpo così esile, io, al contrario, ero sovrappeso e provavo vergogna per le mie dimensioni. Il volto di Tonia era semplice, eppure carico di sensualità. Da ragazzo appariva di frequente nei miei sogni erotici, il suo aspetto femmineo mi intrigava. 36 Errori pericolosi Dopo aver fatto sesso, facevo sempre una doccia bollente e lunga. Provavo repulsione per i gesti consumati se conservavo addosso per troppo tempo il mio sudore mischiato ad altro. Restavo per qualche minuto in silenzio, sotto lo spruzzo caldo dell’acqua, con la speranza che bastasse un semplice bagnoschiuma a lavare via l’inquietudine che sopportavo nell’anima. Come un automa, replicavo puntualmente il rito di purificazione, un battesimo in acqua profana per detergere ogni elemento estraneo dalla mia pelle. Il cerimoniale si concludeva solo dopo essermi cosparso minuziosamente di olio Johnson’s, quello che viene adoperato per i bambini. L’odore mi piaceva terribilmente, forse perché credevo sul serio di tornare ad essere un bambino. Mentre ero sotto la doccia, un giorno, squillò il telefono. Uscii senza asciugarmi, con l’acqua che gocciolava in terra e solo al secondo tentativo di chiamata alzai la cornetta, con sufficienza, senza preoccuparmi di chi ci fosse all’altro capo della linea. Non capii sul momento chi fosse, la voce rotta dal pianto era confusa. Subito dopo riconobbi Anna. Chiamava dalla stazione dei carabinieri, ma non disse il motivo per cui veniva trattenuta. Riuscì solo a dire che le avevano portato via la bambina ed affidata ad un militare. Trasalii, non volevo credere a quello che mi PER TUTTA LA NOTTE diceva, piuttosto pensavo ad uno scherzo di pessimo gusto. «Ma dove sei? Che ci fai dai carabinieri? Dov’è la bambina? Cosa hai combinato?» Anna era sconvolta e non era riuscita a spiegarmi nulla di concreto. Mille dubbi mi assalirono. Mi si accapponò la pelle al pensiero che avesse fatto del male a Gilda. Mi avviai di corsa alla stazione dei carabinieri, ma quando giunsi a destinazione non mi fecero parlare con Anna che restò sotto interrogatorio per alcune ore. Seppi solo allora che la trattenevano perché sorpresa a spacciare cocaina davanti una scuola; le avevano sequestrato qualche decina di dosi di cocaina pura e un bilancino di precisione. Che amara notizia. Io avevo vissuto per mesi una doppia vita in gran segreto e lei aveva ripreso a mia insaputa a drogarsi e a spacciare. Sapeva che non avrei mai accettato una situazione del genere e che avrei avuto anche il coraggio di usarle violenza nel tentativo di farle cambiare idea. La bimba, nel frattempo, era rimasta in custodia nelle mani di una guardia che se ne stava occupando amorevolmente. Non piangeva, era tranquilla. Non mi perdonavo che avessi lasciato indifesa mia figlia nelle mani di una pazza. Che bisogno aveva di spacciare? Poteva continuare a farsi di cocaina, ma perché spacciare? Quale necessità l’aveva spinta ad un gesto simile? Di soldi, forse, non gliene davo a sufficienza? Non avrei comunque accettato che riprendesse 37 38 l’attività di autodistruzione, ma almeno avrebbe fatto male solo a se stessa. Non le avrei perdonato neanche quest’ultima azione, ma non avrebbe messo così a repentaglio la vita di mia figlia. Quella donna rappresentava un pericolo per sé, per me e per la bambina. Guidato dall’ira pensai che fosse giunto il momento di farle pagare i suoi errori. Restare chiusa per un po’ in cella forse sarebbe servito a farle cambiare idea. Fui assalito da mille dubbi, come potevo badare da solo alla bambina? Non potevo di certo con il lavoro che facevo. PER TUTTA LA NOTTE 39 I sogni Uscii di casa puntuale alle venti. Avvicinandomi all’auto, da lontano, scorsi un foglietto infilato sotto il tergicristallo. «Un’altra multa?» esclamai, «porca miseria, ma allora ce l’hanno proprio con me?» Con rabbia strappai quel maledetto foglio da sotto il tergicristallo e lo buttai in terra. Mi infilai in macchina e mi avviai verso casa di Tonia fumando a più non posso nel tentativo di sbollire la rabbia per l’ennesima contravvenzione che non avrei pagato. Giunsi da lei in ritardo, mi persi e mi feci guidare passo dopo passo, curva dopo curva sempre in comunicazione al telefono. Si era trasferita da poco in un appartamento isolato dal resto delle abitazioni del centro urbano. «Ho lasciato le luci accese in terrazza. Riesci a vederle?» mi disse dopo che avevo svoltato ancora una volta dietro sua indicazione. Non vedevo nessuna luce, ai lati della strada c’erano solo lunghe file di alberi di cipressi. Ad un tratto fu lei che vide la mia macchina. Era affacciata al balcone e dimenava le mani salutando. Dall’ultimo incontro avvenuto al bar, quell’estate, quello era il primo invito a cena che avevo ricevuto. Erano trascorse alcune settimane da allora, ma non 40 avevo fatto altro durante questo periodo che pensare a lei. Era bella, luminosa, raggiante, divertente. La sua voce dell’anima penetrava come musica nell’universo del mio amore. L’emozione di incontrarla nuovamente fu enorme. Chiacchierammo per qualche ora dopo cena. Parlammo di come eravamo ai tempi del liceo e di fatti più recenti. Lei lavorava in un lussuoso negozio di abbigliamento e mi offrì di lavorare con la sua azienda. Ci spostammo in salotto e continuammo a conversare. Ho dominato qualche volta le mie azioni, molto di meno i pensieri, per nulla i miei sogni. Mi era capitato di pensare in quei giorni che sarei stato, forse, più sereno se l’avessi incontrata prima. Ad un tratto nessuno dei due parlò più. La sua mano era scivolata sulla mia stringendo forte. Rimanemmo in silenzio in mistico ascolto della musica proveniente dentro di noi. Sulla superficie dei nostri corpi nudi il respiro echeggiava nel silenzio. Ci avvicinammo ancora di più, il suo fiato sul collo mi diede i brividi. Facemmo l’amore per tutta la notte. PER TUTTA LA NOTTE 41 La contravvenzione Durante il breve sonno, fui assalito da antichi dubbi che mi perseguitavano dall’infanzia: avevo il timore che questa relazione sarebbe stata l’ennesima destinata al naufragio. Fare l’amore con Tonia fu meraviglioso, ma non era stato suggellato con un “ti amo”. Io mi stavo innamorando, ma non conoscevo – ancora – i suoi reali intendimenti. Al mattino mi risvegliai tra le sue braccia tranquillo, ma in preda ancora agli oscuri pensieri della notte appena passata. Mentre scorrevo con un dito il profilo in controluce del naso sottile e delle labbra carnose, Tonia schiuse gli occhi e mi chiese: «Toglimi una curiosità, sciocco. Come hai fatto a non capire che mi sono innamorata di te? Non hai letto il bigliettino?» «Quale biglietto?» dissi meravigliato. «Quello che ho lasciato sulla tua auto, ieri mattina!» «Cosa c’era scritto?» «Nulla di importante!» Tornai a casa guidando in tutta fretta e fermai la macchina nello stesso punto dove il giorno precedente 42 avevo parcheggiato. La curiosità aveva preso il sopravvento, desideravo ardentemente capire cosa avesse scritto Tonia su quel foglietto che come un ingenuo avevo creduto fosse una contravvenzione. Fortunatamente né gli spazzini né il vento l’avevano portato via, avevo ritrovato il foglio accartocciato dal gesto d’ira. A lettere cubitali c’era scritto: “MI FAI IMPAZZIRE! Se credi nel destino questo è il nostro momento. Amami e ti renderò felice!” PER TUTTA LA NOTTE 43 Paradigma Per troppe volte avevo negato a me stesso di vivere come volevo. Affermavo che la società moderna non era pronta ad accettare che si potesse amare chi si voleva. I canoni imposti dalla cultura negavano l’evidenza della realtà, si ponevano a paradigma di relazioni che si dimostravano vuote. Per paura del giudizio altrui fingevo di essere felice, ma la mia anima soffriva in silenzio. La gioia della vita si manifestava solo in concomitanza di fatti che contraddicevano l’archetipo che solo uomo e donna sono fatti l’uno per l’altra. In realtà, quei pochi attimi felici vissuti con Anna mi erano sembrati reali, ma non appartenevano più al mondo in cui cominciavo ad integrarmi. Sentivo di dover prendere una decisione definitiva. Fu Tonia a trarmi in salvo, fu lei a guidarmi fuori dall’abisso. 44 Il dolore Tonia perse la madre qualche mese dopo. Il padre era scomparso quando era un bambino che si avviava a scoprire la sua sessualità. Aveva tanti amici che le stettero vicino ed anch’io feci la mia parte. Affrontò il dolore con inaspettata forza, resse allo stress con disinvoltura. Un amico riuscì addirittura a farla ridere, mentre si trovava ad un passo dal feretro. La mia ammirazione per la forza interiore espressa era in continua ascesa. Tuttavia, da lì a poco, avrebbe cominciato a manifestare i primi segni del tormento che celava nel profondo dell’anima. Due mesi dopo la scomparsa del genitore, cadde in depressione. Da anni veniva seguita da un’analista che l’aveva accompagnata attraverso tutto il percorso di transizione da gay a donna. Il supplizio dell’animo inquieto le aveva donato pochi istanti di allegria e questo si ripercuoteva nel suo modo di pensare. Spesso l’avevo vista divertita e commossa per un niente. La delicatezza del suo spirito mi faceva supporre che le sue azioni fossero mosse da uno spontaneo candore, ma la sofferenza vissuta nel fisico si rendeva manifesta nel suo sguardo malinconico. Spesso la perdita di un genitore ha per conseguenza lo smarrimento dei punti di riferimento che apparivano capisaldi fino ad allora. Si viene sbalzati nel parapiglia di azioni quotidiane e tutto ciò PER TUTTA LA NOTTE che si compie si realizza nella più totale incertezza. Gesti abituali che prima venivano concretizzati con relativa determinazione, assumono un gravame maggiore, si ha un più intenso senso di responsabilità. Con la guida sapiente dell’analista, Tonia riuscì a riprendere una vita più serena, sebbene solo dopo qualche mese. Il dolore, che l’accompagnava da tutta la vita, la condusse ad una svolta decisiva. 45 46 Metamorfosi Aveva deciso. La mano tremante stringeva forte la mia. L’accompagnai fino alla porta della sala operatoria. Era giunto il momento di mettere una pietra sul passato. Tutto quello che aveva fatto fino ad oggi doveva finire nel dimenticatoio. D’ora in poi sarebbe esistita solo Tonia. L’uomo che aveva vissuto in lei per tutto questo tempo stava per essere definitivamente e inesorabilmente sepolto. L’atrio della camera chirurgica, un sotterraneo, era tetro e la luce rarefatta. Non credevo si potesse operare in quelle condizioni. «Andrà tutto per il meglio. Stai tranquilla, tra un po’ sarà tutto passato» le dissi. Attesi cinque interminabili ore. Ebbi tutto il tempo di andare indietro nel tempo con la mente agli anni in cui le era stato imposto di interpretare un ruolo che non aveva mai sentito suo. Con la madre, con i compagni di scuola e al lavoro il suo aspetto era quello di un uomo, ma sapeva in cuor suo di essere una donna. I suoi gesti e i suoi pensieri erano quelli di una donna. Al mattino, nello specchio rifletteva l’immagine di una persona che non riconosceva, salutava tutti i giorni quell’uomo dall’aspetto familiare, ma che odiava ogni volta di più. Finché, un giorno, decise di cambiare del tutto il suo aspetto. Fece una cura di ormoni, si operò al seno e al PER TUTTA LA NOTTE volto per non far crescere la barba. Il suo corpo si gonfiava e sgonfiava a seconda del dosaggio ormonale che era costretta ad assumere ogni giorno per evitare la ricomparsa dei peli. Vomitava di continuo, si riprendeva per brevi periodi poi ricominciava a stare male. La scomparsa della madre le diede il coraggio della scelta definitiva. L’affetto di una madre è il desiderio d’amore di cui un figlio sente il bisogno dalla nascita. La debolezza nel sostenere il peso di questo amore, diciamo pure la paura del distacco dall’amore materno può comportare, in contraddizione alla propria volontà, l’alienazione dall’ambito familiare, la negazione di se stessi prende il sopravvento pur di compiacere il bisogno del genitore, si crea un mondo di menzogna pur di evitare di vivere la propria libertà, il rifiuto di sé, in questi casi rappresenta la via di fuga verso il male che si confida essere minore. La madre di Tonia era una donna d’altri tempi. Aveva cresciuto suo figlio per molti anni senza il padre ed aveva sacrificato se stessa per educarlo e iniziarlo alla vita. Era una donna determinata che si “era fatta da sé”. Non volle più prendere marito, anche se dopo la perdita del coniuge aveva avuto molti corteggiatori, ma lei preferì conservare il ruolo di madre piuttosto che quello di amante, forse perché questo le permise di amministrare con cura la sua vita e quella di Tonia. Una nuova relazione avrebbe potuto infrangere il legame patologico con il figlio, questo non le avrebbe dato il pieno controllo sulla sua esistenza. I desideri di Tonia non vennero presi mai nella dovuta 47 48 considerazione dalla madre, che sperò sempre – in cuor suo – che il figlio potesse cambiare idea. Ma Tonia non aveva alcuna possibilità di scelta, era un bambino creato male, Dio aveva sbagliato il suo dosaggio, aveva somministrato una mente di donna in un corpo maschile. Immerso nei miei pensieri non mi accorsi che il chirurgo aveva varcato la porta della sala operatoria. Mi rassicurò sull’esito positivo dell’operazione. Ebbi un breve trasalimento di gioia, fui tiepido nell’assorbire quella notizia. Tonia avrebbe dovuto attraversare un periodo di ulteriore sofferenza prima della sua completa guarigione e metamorfosi, prima della sua completa restituzione alla vita. PER TUTTA LA NOTTE 49 Vendetta «Buongiorno professore», dissi. Stavo osservando quell’uomo da un minuto, mentre lui non aveva ancora spostato lo sguardo da alcuni abiti messi in bella mostra in vetrina. Tonia aveva un negozio di abbigliamento molto esclusivo. Con lei lavoravano due ragazze, due bravissime sarte, che l’aiutavano nella preparazione degli abiti su misura e due ragazzi che si occupavano dei clienti. Io cominciai prima a sostituirla qualche volta, quando non stava bene, poi acquisii dimestichezza con il lavoro e talvolta andavamo insieme alle fiere ad acquistare la merce. Dopo qualche secondo, durante i quali sembrò mostrare un leggero imbarazzo, il professore rispose con il suo tipico accento partenopeo: «Salve guagliò, comme staje?» Mi aveva riconosciuto. L’avevo incontrato spesso nei bagni pubblici della metropolitana. Era un tipo sbrigativo e anche un po’ avaro, chiedeva sempre e solo un veloce hand-job. «Molto provarlo!» bello quest’abito, vero? Dovreste Feci tutto senza premeditazione. Quando lo vidi interessato a quell’abito che mai avrebbe potuto indossare se non in maniera imbarazzante, non riuscii 50 a trattenermi. Dovevo venderglielo. Con l’aiuto dell’altro commesso convinsi il professore a fare una prova in camerino. Venne fuori un omino goffo che sembrava un pagliaccio. A quel punto cominciammo tutti a ridere cercando di mantenere nonostante tutto un comportamento dignitoso, ma bastava lo sguardo complice di uno di noi che dovevamo coprirci il volto con le mani emettendo forti colpi di tosse per dissimulare le risate. Alla fine, riuscii a fargli acquistare il vestito a prezzo di cartellino, al contrario la mia soddisfazione non aveva prezzo. Fu una sorta di vendetta. Festeggiavo con i miei colleghi, ai quali avevo raccontato solo di un vecchio professore molto antipatico, quando ricevetti una mail che mi lasciò senza parole, si spense l’euforia della vendetta. Era Valerio. Il nostro rapporto si era modificato, era capitato qualche volta di incontrarci per caso e l’imbarazzo era stato grande. Io con Gilda nel passeggino e lui con un ragazzetto mano nella mano. L’ultima volta che lo vidi ci fermammo a prendere un caffè in un bar al centro. L’imbarazzo fu reciproco, le nostre idee non cambiarono, i nostri sguardi bassi, non avevamo null’altro da dirci né da aggiungere. Non ricordo di preciso cosa scrisse in quella mail, ma il senso fu questo: “Ciao, non so se sei al corrente, ma adesso vivo fuori Roma. A me dispiace moltissimo della situazione di imbarazzo e freddezza che c’è fra noi. Credimi se ti PER TUTTA LA NOTTE dico che mi manchi, mi mancano le serate con te alla birreria, mi manca il rapporto intimo che avevamo. Non so proprio cosa dirti di tutta questa faccenda. Sicuramente sarò stato superficiale quando non ho considerato i tuoi sentimenti, ma penso di non averti mai mancato di rispetto. Non so come la cosa possa evolvere, ma spero di rivederti presto. Un bacio.” Rimasi assorto in me stesso per cinque minuti circa. L’eccitazione per l’episodio del professore era scemata un po’ alla volta ad ogni rigo che andavo leggendo. Vagliai con attenzione l’eventualità di rispondergli. Eravamo stati per tanto tempo amici, ma sentii il bisogno di attendere qualche settimana prima di replicare, forse per smaltire gli ultimi stimoli di rabbia. Infine, mi arresi e gli diedi un’altra opportunità. “Mi preme riottenere – se possibile – la tua amicizia. Tra due settimane mia figlia compie un anno. Mi ha già cambiato l’esistenza e continuerà a stravolgerla ancora. Pensare di non poter condividere queste emozioni con chi voglio bene mi ferisce, però voglio che il velo di protezione creato attorno alla mia famiglia resti indissolubile. Alla luce di quanto accaduto è difficile coniugare entrambe le cose. Non prevedo il futuro e nemmeno io so come possa evolvere la situazione. Dovrai inventarti qualcosa.” 51 52 Overdose Dopo l’arresto di Anna avevo fatto il possibile per allontanarmi da lei, ma non dovetti faticare molto. Andai a colloquio in carcere una prima volta e fu anche l’ultima in cui volle vedermi. Avevo Gilda in affidamento e la portai con me. Anna non volle neanche prenderla in braccio, ho paura che cada, di farle del male, disse. In quel luogo, non avrei mai pensato di trovare un’area attrezzata per far giocare i bambini, eppure c’era. La invitai ad andarci, ma Anna volle salutarmi in tutta fretta, si voltò e andò via. Pur avendone la possibilità, non volle vedermi successivamente né chiese mai della bambina. Non capivo a cosa attribuire questo comportamento. Aveva commesso una sciocchezza e rovinato tutto ciò che di buono avevamo costruito insieme. In galera il suo recupero non sembrava per nulla facile. Non partecipava a nessuna attività sportiva, né culturale, né ad alcuna attività lavorativa che facesse presupporre un suo recupero. Evidentemente, la cocaina (che riusciva a procurarsi facilmente all’interno) aveva continuato a spegnerla giorno dopo giorno. Una mattina, una di quelle mattine luminose, calde, ma rinfrescate da un vento piacevole, ebbi una telefonata dalla polizia. Era mezzogiorno. Una voce sconosciuta e cacofonica – dopo capii che si trattava di un maldestro tentativo di sembrare addolorato – mi PER TUTTA LA NOTTE annunciava che Anna era morta. Le guardie penitenziarie se n’erano accorte al mattino presto, dopo che erano risultati vani i tentativi di risvegliarla e quindi di rianimarla. La causa sarebbe stata da imputare, secondo loro, a un'overdose. La notizia non mi scosse molto, fui freddo e distaccato mentre parlavo al telefono. Forse – e qui penso di scavare nel più profondo del mio animo – avevo desiderato addirittura quella morte. Quando riagganciai il ricevitore, mi sentii quasi sollevato dal tormento accumulato per tutti quei mesi in cui Anna era stata in detenzione. Durante quel periodo, avevo temuto – carico d’angoscia – che all’uscita dal carcere Anna avrebbe potuto volere indietro con sé la bambina. Io, al contrario, non avrei mai accettato di affidargliela. Mi sentivo pienamente responsabile di Gilda, inoltre mai avrei potuto considerare di riprendere una relazione con lei. Ormai vivevo felicemente con Tonia e lei si sentiva rinata nel prendersi cura di Gilda, si dedicava anima e corpo alla bimba come fosse sua figlia. 53 54 Compleanno Eravamo tutti e tre intorno al tavolo da pranzo. Al centro era sistemata una pantagruelica torta con due candeline che rischiaravano il volto di Gilda che, pericolosamente, avvicinava il viso alla fiamma. «Fai attenzione al fuoco!» disse Tonia. «Mamma, mamma. Papi». Non parlava ancora, pronunciava bene solo quelle parole, ma si faceva capire. Il dito più volte era sprofondato nella soffice copertura di panna della torta per finire nella bocca golosa di una bambina che si affacciava alla vita. L’amavo, ed anche Tonia l’amava. Eravamo felici. «Soffia sulle candeline» dissi io preparando la macchina fotografica. Valerio s’era presentato alla festa, diversamente dal solito, in ritardo. Forse aveva cominciato a prendermi a modello, pensai ridendo. Avevamo fatto pace durante il funerale di Anna. Più volte ho provato a mettere nero su bianco quell’episodio, più volte ho tentato di fornirmi una motivazione, ma non ci sono riuscito. Tutte le volte che iniziavo a scrivere qualcosa di lui nel mio diario la penna cominciava a girare a zonzo tra le righe disegnando ghirigori senza senso. A distanza di tempo, dico solo che ci guardammo negli occhi e ci abbracciammo. Da lì in poi fu tutto più PER TUTTA LA NOTTE semplice. Le parole dette furono dimenticate, i pugni presi e ricevuti altrettanto. Portò in regalo un peluche ed un cd. «Insolito per una bimba di due anni» gli dissi accentuando sul volto l’espressione di perplessità e ilarità. «Non è per Gilda, scemo, ma per noi» rispose accendendo l’impianto stereo e inserendo il cd nel lettore. La musica era di un cantante arabo e faceva più o meno così: “Vieni, mettiamo in fuga la paura sistemiamoci al sole e non al buio. Qualche volta piangerai quando qualcosa ti farà male nel cuore. Parlami un po’ delle tue paure: è molto più facile essere forti se si è uniti. Quando il freddo vento soffierà lì fuori sarò con te per stringerti al caldo. Un giorno, forse, potrai smettere di nasconderti tra le ombre della tua anima.” Ballammo e cantammo per tutta la notte. 55 PER TUTTA LA NOTTE