L ICEO DELLE S CIENZE U MANE “C ONTESSA T ORNIELLI B ELLINI ” L A R OSA B IANCA A NNO II, N UMERO I N OVARA , 22 M AGGIO 2012 R IECCOCI ! D opo un lungo periodo di riposo “forzato” viene ripresentato con un nuovo numero il nostro giornale “Rosa Bianca”, nato l’anno scorso come mezzo di comunicazione e informazione tra studenti; frutto di ore di confronto e scambio di opinioni, tenta di raccontare, con i nostri occhi, ciò che ci tocca maggiormente nel mondo e in Italia, andando anche oltre il piccolo universo della nostra scuola, co-educandoci verso una coscienza civile a quelli che sono i problemi della nostra società. Abbiamo deciso così di partire dal quarto numero, al fine di permeare di un senso di continuità tra il lavoro di ieri e quello di oggi. Invitiamo a partecipare numerosi all’attività editoriale scolastica, la quale per storia, dignità e impegno si contraddistingue da qualsiasi altro giornale scolastico. La nascita di tale strumento culturale va infatti accreditata alla lotta consapevole dei rappresentanti e studenti che lo scor- R EDAZIONE : so anno, tra dibattiti e sitin, hanno rivendicato questo “spazio” come NOSTRO. Lotta democratica e partecipazione attiva alla vita caratterizzano il lavoro dei membri della redazione, i quali vogliono onorare i protagonisti dell’originale Rosa Bianca. Per i nuovi lettori, spiegherò sinteticamente la derivazione storica del nome: esso fa riferimento ad un particolare gruppo di ragazzi, all'incirca della nostra età, che vissero a Monaco di Baviera durante la seconda guerra mondiale. Il gruppo era composto da cinque studenti: Hans Scholl, sua sorella Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell, Willi Graf e un loro professore, Kurt Huber. Sebbene i ragazzi fossero tutti studenti all'Università Ludwig Maximilian di Monaco, avevano anche partecipato alla guerra sul fronte francese e su quello russo, dove furono testimoni delle atrocità commesse dai soldati contro gli ebrei e sentirono che il rovesciamento delle sorti che la Wehrmacht soffrì a Stalin- grado avrebbe alla fine portato alla sconfitta della Germania. Questi ragazzi furono accusati di tradimento e quindi incarcerati, torturati e condannati alla pena di morte, poiché si fecero carico di ideali negati a loro e a tutto il popolo dal regime. Si fecero promotori della libertà di stampa, di parola e della tolleranza civile, rifiutando la guerra e indicando il dialogo come strumento di pace tra i popoli. Criticavano la figura di Hitler e la sua politica di odio, connotata da fenomeni di crescente xenofobia e razzismo contro il popolo ebreo, nonché contro il libero pensiero. Pubblicarono tutto questo su degli opuscoli che vennero affissi sui muri della città con il nome del gruppo: Rosa Bianca. Ringraziamo chiunque stia leggendo questo giornalino, frutto di ore di lavoro e impegno di noi ragazzi, desiderosi di informare… e resistere. Un particolare ringraziamento va al Dottor Gianfranco Quaglia, che ha aiutato la redazione nella stesura di questo numero e ai ragazzi di Libera Cesare, Francesco, Chiara, Alessandro che hanno tenuto il progetto ‘Educare alla legalità’ durante il mese di febbraio per sensibilizzare i ragazzi sulle mafie al nord e sulla Costituzione Italiana. • Ossola Margot II I • Selle Emanuele II E • Martinelli Giovanni V C • Giorgio Stella V A • Gatti Letizia IV B S OMMARIO : -R EAL TIME 2 -P ERSONAGGIO : G IULIA T AMAYO 3 -S OCIAL N ETWORK -C RONACA 4 -G ENOVA : LA GIOR- 5 NATA DEL RICOR- -P ER NON DIMENTI- 5 CARE -C ONCORSO 6 -C RUCIVERBA 6 L A R OSA B IANCA P AGINA 2 Su Real Time la crisi non esiste LE di Stella Giorgio o ammetto, anche io guardo Real Time. Puntualissima come sempre è venuta a farmi visita, un lunedì mattina d’autunno, una febbre antipatica, di quelle che non riesci a stare in piedi senza vedere il pavimento che gira, di quelle da passare l’intera mattina a vegetare sul divano, emanando di tanto in tanto la richiesta disperata di una Tachipirina. E dunque, come far passare una mattinata all’insegna di fazzoletti e tosse, se non davanti alla televisione, se non davanti a quel magico canale che è Real Time? Si parte con due programmi di cucina: il primo di un cuoco italiano, il secondo di un pasticciere italoamericano, o come vuole spacciarsi, che compone torte sovrumane dai colori sgargianti, forse anche troppo. Poi l’immancabile, e adesso celeberrima, coppia di stilisti dal sarcasmo facile, che aiutano una povera disgraziata che sembra capitata lì per caso, una che magari voleva solo chiedere un’indicazione stradale, a cambiare aspetto, e le insegnano a distinguere se una borsa è chic, cool, trendy, glamour o kitsch (roba che io non so nemmeno pronunciare i nomi dei panini al McDonald). E infine un’altra coppia: un architetto e un’altra donna dai capelli irreali che presentano e cercano di vendere o far acquistare case disperatamente. Non avete notato nulla? Uno degli aspetti, al di là di Real Time, che ho osservato nella nostra televisione, è l’aumento spropositato di programmi di cucina in cui, a proporre ricette e consigli, non è più soltanto la sempreverde Clerici con allegata la signora biondina dalla voce stridula, dietro alle quali forse si nasconde il mito della nonna espertissima che insegna le tradizioni culinarie alla nipotina impacciata. L MIE OPINIONI SUL CANALE 31 Adesso c’è il cuoco italiano di Real Time, privo del camice da chef, che lo porrebbe su un livello più elevato rispetto al telespettatore; c’è la ex donna dello spettacolo che cucina in quella che presenta come la sua casa, che accoglie ospiti e mostra loro le foto dei figli, che non ha nulla in più rispetto alle altre migliaia di mamme-cuoche italiane; ci sono uomini e donne di tutti i giorni che si sfidano a suon di ricette casalinghe, da loro inventate. Oltre ad un discorso di tendenza che poi si traduce, in televisione, negli ascolti, forse possiamo leggere in questa folla di cuochi fai-da-te un altro aspetto: la crisi c’è, e non è vero che i ristoranti sono sempre pieni, come qualche ex capo del governo ha recentemente sentenziato. C’è, e per colmare il vuoto che hanno lasciato le serate in famiglia al ristorante, in cui gustare prelibatezze dagli abbinamenti impensati, interviene la televisione con programmi facili e piacevoli di cucina che servono a creare da sé un ristorante in casa, in cui le ricette sono proposte da uomini e donne di tutti i giorni, ugualmente chef nella loro modestia. Al contrario, sul canale 31, la crisi non c’è. C’è l’opposto, a mio parere. C’è un’ostentazione snobbistica di chi si può permettere di più; prendo come esempio il programma “Cortesie per gli ospiti”, in cui una persona invita a cena il suo avversario e altri ospiti che dovranno giudicare il cibo, la casa, e la personalità del commensale. Io non lo capisco. Non capisco la mentalità del programma, in cui dei “giudici”, insindacabili nelle loro scelte, danno un voto alla conversazione durante la cena, in cui ovviamente ospiti e padroni di casa devono sviscerare e raccontare le loro più eroiche virtù. Non capisco poi i con- correnti, orgogliosi di mostrare casali in collina e vini rarissimi, come per altro avviene nel programma di compravendita delle case. Al telespettatore, a meno che non sia un potenziale compratore, o un potenziale padrone di casa che si farà giudicare, non resta che un amaro senso di inferiorità. Mi viene in mente a questo proposito una novella di Calvino, in cui lo sventurato e povero Marcovaldo con la sua famiglia gioca ad andare al supermercato, e in preda all’euforia riempie carrelli e carrelli di ogni tipo di merce; ma alla fine, quando dovrebbe andare a pagare, l’incantesimo svanisce, e si trova di nuovo, nudo e crudo, allo specchio. Oppure, al contrario, si risveglia nel telespettatore il sentimento opposto, cioè di superiorità, in quanto, come accade nei programmi di cucina, a sfidarsi ci sono uomini e donne comuni, verso i quali possiamo essere spietatamente critici; e dunque tutti diventiamo potenziali giudici della cena che si svolge proprio sotto i nostri occhi, come tutti possiamo ridere della battutine spietate di Enzo e Carla davanti alla povera ragazza di millenni fuori moda. Un dato è certo: Real Time non fa pensare. Fa trascorrere piacevoli ore davanti a programmi di cui siamo sia vittime che giudici, fa venire voglia di assomigliare ai protagonisti dei programmi, programmi tante volte basati sulla celebrazione del lusso che noi, italiani medi con l’incubo dello spread, possiamo limitarci a guardare dalla televisione, invidiosi di chi può permettersi la villa in Sardegna, oppure indifferenti. Perché c’è ancora chi crede che la ricchezza non abiti in una villa colossale, ma sia solo nascosta in qualche angolo, forse. A NNO II, N UMERO I P AGINA 3 Il personaggio: Giulia Tamayo Grazie a lei il mondo ha saputo che il governo dell’ex presidente Fujimori ha sterilizzato a forza un milione e mezzo di peruviane. E oggi il caso si riapre. di Margot Ossola Il governo peruviano di Ollanta Humala ha deciso di riaprire il caso delle sterilizzazioni forzate perpetuate tra il 1995 e il 2000 dal governo di Alberto Fujimori che sterilizzò con la forza, e nel silenzio, quasi un milione e mezzo di donne. Solo una voce si alzò all’epoca contro questo crimine e fu quella dell’avvocato del popolo Giulia Tamayo, dal suo piccolo ufficio di Lima. I sostenitori di Fujimori cercarono di abbatterla in tutti i modi e forse ci sarebbero anche riusciti, se in qualche giornalista straniero non si fosse risvegliato un sopito senso etico. Il profondo senso di giustizia di quella donna e le sue capacità professionali riuscirono ad inchiodare il presidente Fujimori davanti al tribunale internazionale per i diritti umani. Questo grido di giustizia e l’abitudine alla verità, le costarono l’esilio. Scappò dal Perù una mattina di maggio del 2000, mentre il governo di Fujimori compiva le ultime atrocità sul suo popolo e minacciava di morte la donna e la sua famiglia. L’ambasciata spagnola la chiamò offrendole asilo e Giulia, per difendere i suoi figli e suo marito, abbandonò il suolo peruviano. Oggi ha 53 anni e vive a Madrid, dove ha vinto numerose battaglie per i diritti delle donne in Spagna, in Europa e nel mondo. Nonostante queste vittorie, Giulia non si è mai data pace sulla questione peruviana, perché i colpevoli delle sterilizzazioni non sono mai stati puniti. Il precedente governo ha perfino tentato di prescrivere il reato definendolo un “disservizio” del sistema sanitario. Ma le parole più giuste sarebbero crimine di lesa umanità, di guerra e genocidio. Agli inizi degli anni novanta il Paese era martoriato dalla guerra di Sendero Luminoso. Nei suoi primi anni di attivismo in Perù, Giulia era ben presto diventata l’avvocato delle donne, denunciando senza paura le violenze di mariti, padri, generali o presidenti. Nel 1992 l’arrivo di Alberto Fujimori segnò la fine delle stragi senderiste, con un bilancio di circa 70.000 vittime civili. Fujimori e il suo gabinetto, allarmati per l’alta mortalità delle gestanti e l’incremento delle nascite in Perù adottarono una “strategia integrale di pianificazione familiare”. Medici e infermiere furono inviati negli angoli più remoti del Paese sottoponendo a sterilizzazioni e vasectomie come si fosse trattato di vaccinazioni, costringendo donne e uomini, completamente all’oscuro di quanto stesse succedendo, a rimanere sterili per il resto della loro vita. L’informazione e la prevenzione non facevano parte del pacchetto e le coppie si sarebbero rese conto che non avrebbero più potuto avere figli solo col tempo. Il primo allarme arrivò a Giulia nel 1996 dalle sue amate comunità andine. Si recò nella piccola cittadina di Huancabamba, vicino a Cuzco, e capì tutto. Il governo aveva organizzato dei veri e propri festival, con giochi, cibo, musica e lo striscione con scritto “Festival della legatura delle tube”. “Poi domani si possono slegare” dicevano i medici alle donne. Ma la scelta era obbligatoria per tutte e per le più reticenti ci pensavano i soldati a convincerle. Montavano una tenda e rastrellavano giovanissime, minorenni, madri o appena sposate, senza distinzione o sconti per nessuno. Grazie al coraggioso passaparola clandestino, Giulia fu portata in ogni città, villaggio e comunità del Paese. Presto iniziarono a testimoniare medici e infermiere che non volevano essere complici di quel crimine, ma che vi erano stati costretti. Più Giulia indagava, più la morsa intorno alla sua vita si stringeva. Minacce, furti, violenze, la casa distrutta, i telefoni sotto controllo,… fu solo grazie alla stampa internazionale, alle denunce delle Nazioni Unite e al supporto di Amnesty International che lanciarono un’azione urgente per proteggere la sua vita, che riuscì a salvarsi e proteggere la sua famiglia. Oggi 17 anni dopo quel massacro, è diventata realtà ciò che Giulia aveva intuito e che allora non poteva essere detto di fronte all’urgenza di salvare delle vite umane. Oggi intere città sono senza bambini e i banchi nelle scuole sono vuoti. Solo ora è finalmente chiara la volontà di voler compiere un vero e proprio genocidio. Ora è cominciata l’opera di indennizzo per le vittime e il governo peruviano che dovrà far fronte a migliaia di richieste. Le cifre per la compensazione sono però ridicole di fronte al danno fisico e psicologico subito: i primi casi risolti hanno ricevuto l’equivalente di somme tra i 150 e gli 800 euro, a seconda della complessità del caso. Nonostante migliaia di donne e uomini siano stati barbaramente privati di generare nuove vite, nonostante questo massacro sia stato denunciato apertamente solo 17 anni dopo l’accaduto, nonostante questo crimine sia stato ignorato e taciuto per troppo tempo, credo che questa storia abbia una sua morale. Questo racconto, che non ha nulla di fantastico o immaginario, vuole sottolineare quanto anche una sola, ma coraggiosa voce, sia riuscita a sollecitare l’interesse dell’umanità, sempre presente alle tragedie umane, ma troppo lontano per prendervi realmente parte. Questo racconto vuole dimostrare che davanti alla violenza e all’orrore morale, anche solo la rabbia e la sete di verità e giustizia di una singola donna siano riuscite cambiare il destino di migliaia di persone, che sarebbero state altrimenti cancellate nell’ombra. L A R OSA B IANCA P AGINA 4 Narcisisti allo sbando di Margot Ossola uattro nuovi commenti, tre messaggi non letti, una chiamata persa, quattro notifiche. Francesca ha pubblicato una nuova foto, Marco ha stretto amicizia con Giacomo, Martina ha partecipato a un evento, Nicola ti ha taggato in una foto, Luca ha condiviso un link, e ancora fiumi di parole, immagini poetiche, citazioni famose e pagine di commenti. Che affascinante mondo quello dei social network! Ormai possiamo essere tutto e il suo contrario, basta qualche aggettivo per descrivere la complessità di una persona e ormai aggiungere un amico significa semplicemente includere quel tale alla nostra sala privata dove tutti possono intervenire. Mezzi avatar e mezzi zombie siamo presenti ovunque ma lontani dalla realtà. Tutta questa sconfinata immensità della rete ci lascia disorientati e perplessi e arriva un momento dove un istinto sopito di privacy e voglia di evasione sopraffà quel perpetuo brusio di “io”, “io”, “io” che molesto e incessante non si interrompe mai. Milioni di bocche che ripetono questo mantra rassicurante che ci tranquillizza sul fatto di esistere in un mondo spietato che non aspetta nessuno e in una società che consuma, una vita che spende e che conta solo se sei attraente. Sui nostri profili virtuali vogliamo mostrare il meglio di noi stessi, forse per dimenticare i nostri difetti e angosce, facilmente modificabili nell’era della tecnologia. Ogni commento, ogni ‘mi piace’, ci Q fa sentire amati e apprezzati, illudendoci di aver controllo su tutto dal nostro smartphone all’ultimo grido. Più persone commentano ogni nostro atto quotidiano e banale, più siamo soddisfatti e convinti di essere unici e irripetibili, degni di essere seguiti e ascoltati. Alcune vite, piatte e monotone nella realtà quotidiana si rivelano ricche ed appaganti in quella ‘virtuale’. Conoscenti e amici dicono, o meglio scrivono, cose che non intraprenderebbero mai e poi mai nel mondo reale; nonostante il confine tra realtà fisica, tangibile ed esistenza online stia diventando sempre più labile E i social network diventano uno specchio di una realtà distorta, ma meno spietata. Dove tutti sono desiderabili e padroni della loro immagine. Stiamo diventando troppo narcisisti e gli esperti tirano il campanello d’allarme. La tendenza all’incessante egocentrismo colpisce anche i libri come un’epidemia. Ultimamente tutti scrivono aneddoti e riflessioni personali, condividono gusti e pensieri. Lo scrittore diventa narratore e personaggio principale di un romanzo autobiografico, dove la realtà e la fantasia si mescolano freneticamente. Niente più epica, niente più trama e morale, rimane solo l’eredità di un personaggio immortale da mitizzare e venerare. Tutto questo egotismo di massa non può che nascondere una crescente incertezza e paura nel futuro, soprattutto in tempi incerti come questi, segnati dalle continue tragedie che ci ricordano spietatamente la nostra fragilità e caducità. Sordi e ciechi dimentichiamo che nel mondo un numero sempre maggiore di persone necessita ancora di beni primari ed essenziali, per noi ormai scontati. Sapere che, per esempio, un quarto della popolazione mondiale non ha accesso all’acqua oppure che ogni tre secondi qualcuno nel mondo muoia di fame ci dovrebbe far indignare e seriamente risvegliare dal nostro torpore celebrativo. E allora perché non ritornare all’elogio della modestia? Il mondo e soprattutto il nostro Paese necessitano di una società civile che agisca e reagisca, dimostrando che attraverso la testimonianza e la partecipazione concreta possiamo contrastare quei poteri e quei sistemi che ci privano di risorse umane ed economiche. Mostri che si nutrono di vite, speranze, e bisogno. Abbiamo bisogno di ridiventare comuni cittadini, unici nella nostra umiltà, pronti a rinunciare alla fama e alla gloria per cambiare la nostra realtà quotidiana. Senza necessariamente diventare degli eroi a tutti i costi. M ACABRE GITE , IL BUSINESS DELL ’ ORRORE . Tratto dall’inchiesta del giornale tedesco Sudddeutsche che racconta da vicino le tappe della nuova via crucis della morbosità. di Margot Ossola Il flusso delle persone continua ad essere costante all’isola del Giglio. Viaggiatori e semplici ‘curiosi’ continuano a passeggiare su quel lungomare, protagonista della morte di decine di turisti a bordo della Costa Concordia, vittime di una manovra troppo azzardata di un comandante forse troppo viveur e donnaiolo. Armati di smartphone e macchine fotografiche, cartoline e souvenir, italiani, tedeschi e anche qualche finlandese, dopo essersi ristorati al locale Bar “Del Fausto”, si preparano per una passeggiata a piedi verso il Nord del porto. Una folla compatta e rumorosa si accalca sulle rocce frastagliate. Finalmente ecco il relitto più famoso d’Italia che si inabissa sempre di più. Tra i pellegrini di queste macabre processioni c’è chi si mette in posa e chi tenta di farsi intervistare dagli studi televisivi improvvisati sul posto, ignorando o non ricordando che all’interno del relitto ci siano ancora dei cadaveri intrappolati. Franco è alla guida di uno di quei pulmini blu che trasportano i ‘pendolari dell’orrore’. Il carismatico cinquantenne sorride alle signore e racconta con fierezza di aver trasportato centinaia di naufraghi terrorizzati e bagnati nella notte dell’incidente. Cerca di intrattenere il suo pubblico come farebbe una guida turistica, perché in fondo sa che tra poco queste processioni termineranno, perché i riflettori televisivi illumineranno altre tragedie e luoghi di crimine. E allora perché non approfittare di questo appuntamento con la celebrità e guadagnarci qualcosa? A NNO II, N UMERO I P AGINA 5 G ENOVA 17 MARZO : LA GIORNATA DEL RICORDO di Emanuele Selle abato 17 Marzo, nella città di Genova si è svolta la XVII Giornata in memoria di tutte le vittime di mafia, giornata all’insegna del ricordo e della memoria per questi EROI che hanno giustamente deciso di scontrarsi con quello che è il fenomeno mafioso e che hanno perso la loro vita per difendere la legalità. La giornata è iniziata con il Corteo, formato da più 100 mila persone (330 solo da Novara) con in testa i parenti delle vittime di mafia, che si è diretto fino al porto antico S P ER dove si è svolto il momento più toccante di tutta la mattinata cioè la lettura dei nomi delle vitti- me di mafia, che hanno lasciato un’atmosfera triste ma allo stesso tempo piena di orgoglio tra tutte le persone. Dopo la lettura dei nomi e il discorso del presidente di Libera, Don Luigi Ciotti, Genova ha aperto i suoi auditorium, le sue sale e i suoi teatri per lasciare la possibilità a chi volesse di farsi una cultura su quello che è il fenomeno mafioso e sulle differenti storie di mafia. A giornata conclusa, tutti gli ospiti di Genova sono tornati a casa e anche noi siamo tornati a Novara, con i nostri 5 pullman, tutti con una frase intesta, la stessa detta da Don Luigi Ciotti, durante il discorso, “la mafia fa schifo!” NON DIMENTICARE di Margot Ossola N on era mai accaduto. Nessuno aveva mai osato colpire in questo modo così vigliacco. Sabato mattina è morta una ragazza che non doveva morire. Melissa Bassi, 16 anni, è stata ammazzata da tre bombole a gas piazzate, ancora non si sa da chi né perché, nella notte di venerdì 18 davanti all’Istituto professionale statale per i servizi sociali “Morvillo Falcone” a Brindisi. Veronica Capodieci riporta gravissime ferite e altre quattro ragazze sono state ospedalizzate a causa di estese ustioni sul viso e sul corpo. Al momento gli inquirenti non escludono nessuna ipotesi, e stanno raccogliendo gli indizi necessari per ricostruire la vicenda in maniera più chiara. Non potendo ricevere risposte alle domande, rimangono solo rabbia e dolore. Il 19 maggio 2012 è stata colpita la speranza che nasce da noi giovani. Queste ragazze che si sono impegnate in prima linea per la lotta alla mafia , attente a temi così preziosi come la legalità (avevano infatti vinto un premio per un percorso su questo tema) e la democrazia sono rimaste ferite e un intero Paese con loro. Noi, ragazzi, giovani, studenti, non possiamo restare indifferenti davanti a un simile dramma, perché le ustioni di Veronica, Azzurra, Vanessa e Selene bruciano dolorosamente i nostri animi. È nostro dovere testimoniare la nostra solidarietà alle famiglie e ricordare quello che è avvenuto. È nostro dovere fare in modo che simili drammi non accadano mai più. L ICEO DELLE S CIENZE U MANE “C ONTESSA T ORNIELLI B ELLINI ” B.do La Marmora, 10 - 28100 Novara tel: +390321627125 Fax: +390321399618 e-mail: [email protected] S IAMO SU INTERNET WWW.LICEOBELLINI.IT/ BENVENUTI. ASP L UDE CUM VERBIS ! di Sofia Perona