L ICEO
DELLE
S CIENZE U MANE “C ONTESSA T ORNIELLI B ELLINI ”
L A R OSA B IANCA
A NNO II, N UMERO I
N OVARA , 22 M AGGIO 2012
R IECCOCI !
D
opo un lungo
periodo di riposo “forzato”
viene ripresentato con un nuovo numero
il nostro giornale “Rosa
Bianca”, nato l’anno scorso come mezzo di comunicazione e informazione tra
studenti; frutto di ore di
confronto e scambio di
opinioni, tenta di raccontare, con i nostri occhi, ciò
che ci tocca maggiormente
nel mondo e in Italia, andando anche oltre il piccolo universo della nostra
scuola, co-educandoci
verso una coscienza civile
a quelli che sono i problemi della nostra società.
Abbiamo deciso così di
partire dal quarto numero,
al fine di permeare di un
senso di continuità tra il
lavoro di ieri e quello di
oggi.
Invitiamo a partecipare
numerosi all’attività editoriale scolastica, la quale
per storia, dignità e impegno si contraddistingue da
qualsiasi altro giornale
scolastico. La nascita di
tale strumento culturale va
infatti accreditata alla lotta
consapevole dei rappresentanti e studenti che lo scor-
R EDAZIONE :
so anno, tra dibattiti e sitin, hanno rivendicato questo “spazio” come NOSTRO. Lotta democratica
e
partecipazione attiva
alla vita caratterizzano il
lavoro dei membri della
redazione, i quali vogliono
onorare i protagonisti dell’originale Rosa Bianca.
Per i nuovi lettori, spiegherò sinteticamente la derivazione storica del nome:
esso fa riferimento ad un
particolare gruppo di ragazzi, all'incirca della nostra età, che vissero a Monaco di Baviera durante la
seconda guerra mondiale.
Il gruppo era composto da
cinque studenti: Hans
Scholl, sua sorella Sophie
Scholl, Christoph Probst,
Alexander Schmorell, Willi Graf e un loro professore, Kurt Huber. Sebbene i
ragazzi fossero tutti studenti all'Università Ludwig Maximilian di Monaco, avevano anche partecipato alla guerra sul fronte
francese e su quello russo,
dove furono testimoni delle atrocità commesse dai
soldati contro gli ebrei e
sentirono che il rovesciamento delle sorti che la
Wehrmacht soffrì a Stalin-
grado avrebbe alla fine
portato alla sconfitta della
Germania. Questi ragazzi
furono accusati di tradimento e quindi incarcerati,
torturati e condannati alla
pena di morte, poiché si
fecero carico di ideali negati a loro e a tutto il popolo dal regime. Si fecero
promotori della libertà di
stampa, di parola e della
tolleranza civile, rifiutando
la guerra e indicando il
dialogo come strumento di
pace tra i popoli. Criticavano la figura di Hitler e la
sua politica di odio, connotata da fenomeni di crescente xenofobia e razzismo contro il popolo ebreo, nonché contro il libero
pensiero.
Pubblicarono tutto questo
su degli opuscoli che vennero affissi sui muri della
città con il nome del gruppo: Rosa Bianca.
Ringraziamo chiunque stia
leggendo questo giornalino, frutto di ore di lavoro e
impegno di noi ragazzi,
desiderosi di informare…
e resistere.
Un particolare ringraziamento va al Dottor Gianfranco Quaglia, che ha aiutato la
redazione nella stesura di questo numero e ai ragazzi di Libera Cesare, Francesco,
Chiara, Alessandro che hanno tenuto il progetto ‘Educare alla legalità’ durante
il mese di febbraio per sensibilizzare i ragazzi sulle mafie al nord e sulla Costituzione
Italiana.
•
Ossola Margot II I
•
Selle Emanuele II E
•
Martinelli Giovanni V C
•
Giorgio Stella V A
•
Gatti Letizia IV B
S OMMARIO :
-R EAL TIME
2
-P ERSONAGGIO :
G IULIA T AMAYO
3
-S OCIAL N ETWORK
-C RONACA
4
-G ENOVA : LA GIOR- 5
NATA DEL RICOR-
-P ER NON DIMENTI-
5
CARE
-C ONCORSO
6
-C RUCIVERBA
6
L A R OSA B IANCA
P AGINA 2
Su Real Time la crisi non esiste
LE
di Stella Giorgio
o ammetto, anche io
guardo Real Time.
Puntualissima come sempre è venuta a farmi visita, un lunedì mattina d’autunno,
una febbre antipatica, di quelle che
non riesci a stare in piedi senza
vedere il pavimento che gira, di
quelle da passare l’intera mattina a
vegetare sul divano, emanando di
tanto in tanto la richiesta disperata
di una Tachipirina.
E dunque, come far passare
una mattinata all’insegna di
fazzoletti e tosse, se non
davanti alla televisione, se
non davanti a quel magico
canale che è Real Time?
Si parte con due programmi
di cucina: il primo di un cuoco italiano, il secondo di un pasticciere
italoamericano, o come vuole spacciarsi, che compone torte sovrumane dai colori sgargianti, forse anche
troppo.
Poi l’immancabile, e adesso celeberrima, coppia di stilisti dal sarcasmo facile, che aiutano una povera
disgraziata che sembra capitata lì
per caso, una che magari voleva
solo chiedere un’indicazione stradale, a cambiare aspetto, e le insegnano a distinguere se una borsa è
chic, cool, trendy, glamour o kitsch
(roba che io non so nemmeno pronunciare i nomi dei panini al
McDonald).
E infine un’altra coppia: un architetto e un’altra donna dai capelli
irreali che presentano e cercano di
vendere o far acquistare case disperatamente.
Non avete notato nulla? Uno degli
aspetti, al di là di Real Time, che ho
osservato nella nostra televisione, è
l’aumento spropositato di programmi di cucina in cui, a proporre ricette e consigli, non è più soltanto la
sempreverde Clerici con allegata la
signora biondina dalla voce stridula, dietro alle quali forse si nasconde il mito della nonna espertissima
che insegna le tradizioni culinarie
alla nipotina impacciata.
L
MIE OPINIONI SUL CANALE
31
Adesso c’è il cuoco italiano di Real
Time, privo del camice da chef, che
lo porrebbe su un livello più elevato
rispetto al telespettatore; c’è la ex
donna dello spettacolo che cucina in
quella che presenta come la sua casa,
che accoglie ospiti e mostra loro le
foto dei figli, che non ha nulla in più
rispetto alle altre migliaia di mamme-cuoche italiane; ci sono uomini e
donne di tutti i giorni che si sfidano a
suon di ricette casalinghe, da loro
inventate.
Oltre ad un discorso di
tendenza che poi si traduce, in televisione, negli
ascolti, forse possiamo
leggere in questa folla di
cuochi fai-da-te un altro
aspetto: la crisi c’è, e non
è vero che i ristoranti sono sempre
pieni, come qualche ex capo del governo ha recentemente sentenziato.
C’è, e per colmare il vuoto che hanno lasciato le serate in famiglia al
ristorante, in cui gustare prelibatezze
dagli abbinamenti impensati, interviene la televisione con programmi
facili e piacevoli di cucina che servono a creare da sé un ristorante in casa, in cui le ricette sono proposte da
uomini e donne di tutti i giorni, ugualmente chef nella loro modestia.
Al contrario, sul canale 31, la crisi
non c’è.
C’è l’opposto, a mio parere. C’è un’ostentazione snobbistica di chi si può permettere di più; prendo come esempio il programma “Cortesie per gli
ospiti”, in cui una persona invita a cena il suo
avversario e altri ospiti
che dovranno giudicare il cibo, la
casa, e la personalità del commensale.
Io non lo capisco. Non capisco la
mentalità del programma, in cui dei
“giudici”, insindacabili nelle loro
scelte, danno un voto alla conversazione durante la cena, in cui ovviamente ospiti e padroni di casa devono sviscerare e raccontare le loro più
eroiche virtù. Non capisco poi i con-
correnti, orgogliosi di mostrare casali
in collina e vini rarissimi, come per
altro avviene nel programma di compravendita delle case.
Al telespettatore, a meno che non sia
un potenziale compratore, o un potenziale padrone di casa che si farà
giudicare, non resta che un amaro
senso di inferiorità.
Mi viene in mente a questo proposito
una novella di Calvino, in cui lo
sventurato e povero Marcovaldo con
la sua famiglia gioca ad andare al
supermercato, e in preda all’euforia
riempie carrelli e carrelli di ogni tipo
di merce; ma alla fine, quando dovrebbe andare a pagare, l’incantesimo svanisce, e si trova di nuovo,
nudo e crudo, allo specchio.
Oppure, al contrario, si risveglia nel
telespettatore il sentimento opposto,
cioè di superiorità, in quanto, come
accade nei programmi di cucina, a
sfidarsi ci sono uomini e donne comuni, verso i quali possiamo essere
spietatamente critici; e dunque tutti
diventiamo potenziali giudici della
cena che si svolge proprio sotto i
nostri occhi, come tutti possiamo
ridere della battutine spietate di Enzo
e Carla davanti alla povera ragazza
di millenni fuori moda.
Un dato è certo: Real Time non fa
pensare. Fa trascorrere piacevoli ore
davanti a programmi di cui siamo sia
vittime che giudici, fa venire voglia
di assomigliare ai protagonisti dei programmi, programmi tante volte basati
sulla celebrazione del lusso
che noi, italiani medi con
l’incubo dello spread, possiamo limitarci a guardare
dalla televisione, invidiosi
di chi può permettersi la villa in Sardegna, oppure indifferenti. Perché
c’è ancora chi crede che la ricchezza
non abiti in una villa colossale, ma
sia solo nascosta in qualche angolo,
forse.
A NNO II, N UMERO I
P AGINA 3
Il personaggio: Giulia Tamayo
Grazie a lei il mondo ha saputo
che il governo dell’ex presidente
Fujimori ha sterilizzato a forza un
milione e mezzo di peruviane. E
oggi il caso si riapre.
di Margot Ossola
Il governo peruviano di Ollanta
Humala ha deciso di riaprire il
caso delle sterilizzazioni forzate
perpetuate tra il 1995 e il 2000 dal
governo di Alberto Fujimori che
sterilizzò con la forza, e nel silenzio, quasi un milione e mezzo di
donne. Solo una voce si alzò all’epoca contro questo crimine e fu
quella dell’avvocato del popolo
Giulia Tamayo, dal suo piccolo
ufficio di Lima. I sostenitori di
Fujimori cercarono di abbatterla in
tutti i modi e forse ci sarebbero
anche riusciti, se in qualche giornalista straniero non si fosse risvegliato un sopito senso etico. Il profondo senso di giustizia di quella
donna e le sue capacità professionali riuscirono ad inchiodare il
presidente Fujimori davanti al
tribunale internazionale per i diritti
umani. Questo grido di giustizia e
l’abitudine alla verità, le costarono
l’esilio. Scappò dal Perù una mattina di maggio del 2000, mentre il
governo di Fujimori compiva le
ultime atrocità sul suo popolo e
minacciava di morte la donna e la
sua famiglia. L’ambasciata spagnola la chiamò offrendole asilo e
Giulia, per difendere i suoi figli e
suo marito, abbandonò il suolo
peruviano.
Oggi ha 53 anni e vive a Madrid,
dove ha vinto numerose battaglie
per i diritti delle donne in Spagna,
in Europa e nel mondo. Nonostante queste vittorie, Giulia non si è
mai data pace sulla questione peruviana, perché i colpevoli delle
sterilizzazioni non sono mai stati
puniti. Il precedente governo ha
perfino tentato di prescrivere il
reato definendolo un “disservizio”
del sistema sanitario. Ma le parole
più giuste sarebbero crimine di
lesa umanità, di guerra e genocidio.
Agli inizi degli anni novanta il
Paese era martoriato dalla guerra
di Sendero Luminoso. Nei suoi primi
anni di attivismo in Perù, Giulia era
ben presto diventata l’avvocato delle
donne, denunciando senza paura le
violenze di mariti, padri, generali o
presidenti. Nel 1992 l’arrivo di Alberto Fujimori segnò la fine delle
stragi senderiste, con un bilancio di
circa 70.000 vittime civili.
Fujimori e il suo gabinetto, allarmati
per l’alta mortalità delle gestanti e
l’incremento delle nascite in Perù
adottarono una “strategia integrale di
pianificazione familiare”. Medici e
infermiere furono inviati negli angoli
più remoti del Paese sottoponendo a
sterilizzazioni e vasectomie come si
fosse trattato di vaccinazioni, costringendo donne e uomini, completamente all’oscuro di quanto stesse
succedendo, a rimanere sterili per il
resto della loro vita. L’informazione
e la prevenzione non facevano parte
del pacchetto e le coppie si sarebbero
rese conto che non avrebbero più
potuto avere figli solo col tempo.
Il primo allarme arrivò a Giulia nel
1996 dalle sue amate comunità andine. Si recò nella piccola cittadina di
Huancabamba, vicino a Cuzco, e
capì tutto. Il governo aveva organizzato dei veri e propri festival, con
giochi, cibo, musica e lo striscione
con scritto “Festival della legatura
delle tube”. “Poi domani si possono
slegare” dicevano i medici alle donne. Ma la scelta era obbligatoria per
tutte e per le più reticenti ci pensavano i soldati a convincerle. Montavano una tenda e rastrellavano giovanissime, minorenni, madri o appena
sposate, senza distinzione o sconti per
nessuno.
Grazie al coraggioso passaparola clandestino, Giulia fu portata in ogni città,
villaggio e comunità del Paese. Presto
iniziarono a testimoniare medici e infermiere che non volevano essere complici di quel crimine, ma che vi erano
stati costretti. Più Giulia indagava, più
la morsa intorno alla sua vita si stringeva. Minacce, furti, violenze, la casa
distrutta, i telefoni sotto controllo,… fu
solo grazie alla stampa internazionale,
alle denunce delle Nazioni Unite e al
supporto di Amnesty International che
lanciarono un’azione urgente per proteggere la sua vita, che riuscì a salvarsi
e proteggere la sua famiglia. Oggi 17
anni dopo quel massacro, è diventata
realtà ciò che Giulia aveva intuito e che
allora non poteva essere detto di fronte
all’urgenza di salvare delle vite umane.
Oggi intere città sono senza bambini e i
banchi nelle scuole sono vuoti. Solo ora
è finalmente chiara la volontà di voler
compiere un vero e proprio genocidio.
Ora è cominciata l’opera di indennizzo
per le vittime e il governo peruviano
che dovrà far fronte a migliaia di richieste. Le cifre per la compensazione
sono però ridicole di fronte al danno
fisico e psicologico subito: i primi casi
risolti hanno ricevuto l’equivalente di
somme tra i 150 e gli 800 euro, a seconda della complessità del caso.
Nonostante migliaia di donne e uomini
siano stati barbaramente privati di generare nuove vite, nonostante questo
massacro sia stato denunciato apertamente solo 17 anni dopo l’accaduto,
nonostante questo crimine sia stato
ignorato e taciuto per troppo tempo,
credo che questa storia abbia una sua
morale. Questo racconto, che non ha
nulla di fantastico o immaginario, vuole sottolineare quanto anche una sola,
ma coraggiosa voce, sia riuscita a sollecitare l’interesse dell’umanità, sempre
presente alle tragedie umane, ma troppo lontano per prendervi realmente
parte. Questo racconto vuole dimostrare che davanti alla violenza e all’orrore
morale, anche solo la rabbia e la sete di
verità e giustizia di una singola donna
siano riuscite cambiare il destino di
migliaia di persone, che sarebbero state
altrimenti cancellate nell’ombra.
L A R OSA B IANCA
P AGINA 4
Narcisisti allo sbando
di Margot Ossola
uattro nuovi commenti, tre messaggi non letti, una chiamata
persa, quattro notifiche.
Francesca ha pubblicato una
nuova foto, Marco ha stretto amicizia con
Giacomo, Martina ha partecipato a un
evento, Nicola ti ha taggato in una foto,
Luca ha condiviso un link, e ancora fiumi
di parole, immagini poetiche, citazioni
famose e pagine di commenti.
Che affascinante mondo quello dei social
network! Ormai possiamo essere tutto e il
suo contrario, basta qualche aggettivo per
descrivere la complessità di una persona e
ormai aggiungere un amico significa semplicemente includere quel tale alla nostra
sala privata dove tutti possono intervenire.
Mezzi avatar e mezzi zombie siamo presenti ovunque ma lontani dalla realtà.
Tutta questa sconfinata immensità della
rete ci lascia disorientati e perplessi e arriva un momento dove un istinto sopito di
privacy e voglia di evasione sopraffà quel
perpetuo brusio di “io”, “io”, “io” che
molesto e incessante non si interrompe
mai. Milioni di bocche che ripetono questo mantra rassicurante che ci tranquillizza sul fatto di esistere in un mondo spietato che non aspetta nessuno e in una società che consuma, una vita che spende e che
conta solo se sei attraente.
Sui nostri profili virtuali vogliamo mostrare il meglio di noi stessi, forse per
dimenticare i nostri difetti e angosce, facilmente modificabili nell’era della tecnologia. Ogni commento, ogni ‘mi piace’, ci
Q
fa sentire amati e apprezzati, illudendoci di aver controllo su tutto dal
nostro smartphone all’ultimo grido.
Più persone commentano ogni nostro atto quotidiano e banale, più
siamo soddisfatti e convinti di essere
unici e irripetibili, degni di essere
seguiti e ascoltati.
Alcune vite, piatte e monotone nella
realtà quotidiana si rivelano ricche
ed appaganti in quella ‘virtuale’.
Conoscenti e amici dicono, o meglio
scrivono, cose che non intraprenderebbero mai e poi mai nel mondo
reale; nonostante il confine tra realtà fisica, tangibile ed esistenza online stia diventando sempre più labile
E i social network diventano uno
specchio di una realtà distorta, ma
meno spietata. Dove tutti sono desiderabili e padroni della loro immagine.
Stiamo diventando troppo narcisisti
e gli esperti tirano il campanello
d’allarme.
La tendenza all’incessante egocentrismo colpisce anche i libri come un’epidemia. Ultimamente tutti scrivono aneddoti e riflessioni personali,
condividono gusti e pensieri. Lo
scrittore diventa narratore e personaggio principale di un romanzo
autobiografico, dove la realtà e la
fantasia si mescolano freneticamente. Niente più epica, niente più trama
e morale, rimane solo l’eredità di un
personaggio immortale da mitizzare
e venerare.
Tutto questo egotismo di massa
non può che nascondere una crescente incertezza e paura nel futuro,
soprattutto in tempi incerti come
questi, segnati dalle continue tragedie che ci ricordano spietatamente
la nostra fragilità e caducità. Sordi
e ciechi dimentichiamo che nel
mondo un numero sempre maggiore di persone necessita ancora di
beni primari ed essenziali, per noi
ormai scontati. Sapere che, per esempio, un quarto della popolazione mondiale non ha accesso all’acqua oppure che ogni tre secondi
qualcuno nel mondo muoia di fame
ci dovrebbe far indignare e seriamente risvegliare dal nostro torpore
celebrativo.
E allora perché non ritornare all’elogio della modestia? Il mondo e
soprattutto il nostro Paese necessitano di una società civile che agisca
e reagisca, dimostrando che attraverso la testimonianza e la partecipazione concreta possiamo contrastare quei poteri e quei sistemi che
ci privano di risorse umane ed economiche. Mostri che si nutrono di
vite, speranze, e bisogno.
Abbiamo bisogno di ridiventare
comuni cittadini, unici nella nostra
umiltà, pronti a rinunciare alla fama
e alla gloria per cambiare la nostra
realtà quotidiana.
Senza necessariamente diventare
degli eroi a tutti i costi.
M ACABRE GITE , IL BUSINESS DELL ’ ORRORE .
Tratto dall’inchiesta del giornale tedesco Sudddeutsche che racconta da vicino le tappe della nuova via crucis della
morbosità.
di Margot Ossola
Il flusso delle persone continua ad essere costante all’isola del Giglio. Viaggiatori e semplici ‘curiosi’ continuano
a passeggiare su quel lungomare, protagonista della morte di decine di turisti a bordo della Costa Concordia, vittime di una manovra troppo azzardata di
un comandante forse troppo viveur e
donnaiolo.
Armati di smartphone e macchine fotografiche, cartoline e souvenir, italiani,
tedeschi e anche qualche finlandese,
dopo essersi ristorati al locale Bar
“Del Fausto”, si preparano per una
passeggiata a piedi verso il Nord del
porto. Una folla compatta e rumorosa
si accalca sulle rocce frastagliate.
Finalmente ecco il relitto più famoso
d’Italia che si inabissa sempre di più.
Tra i pellegrini di queste macabre
processioni c’è chi si mette in posa e
chi tenta di farsi intervistare dagli
studi televisivi improvvisati sul posto, ignorando o non ricordando che
all’interno del relitto ci siano ancora
dei cadaveri intrappolati.
Franco è alla guida di uno di quei
pulmini blu che trasportano i
‘pendolari dell’orrore’. Il carismatico cinquantenne sorride alle signore e racconta con fierezza di
aver trasportato centinaia di naufraghi terrorizzati e bagnati nella
notte dell’incidente. Cerca di intrattenere il suo pubblico come
farebbe una guida turistica, perché
in fondo sa che tra poco queste
processioni termineranno, perché i
riflettori televisivi illumineranno
altre tragedie e luoghi di crimine.
E allora perché non approfittare di
questo appuntamento con la celebrità e guadagnarci qualcosa?
A NNO II, N UMERO I
P AGINA 5
G ENOVA 17 MARZO : LA GIORNATA DEL RICORDO
di Emanuele Selle
abato 17 Marzo,
nella città di Genova si è svolta
la XVII Giornata
in memoria di tutte le vittime di mafia, giornata
all’insegna del ricordo e
della memoria per questi
EROI che hanno giustamente deciso di scontrarsi
con quello che è il fenomeno mafioso e che hanno perso la loro vita per
difendere la legalità.
La giornata è iniziata con
il Corteo, formato da più
100 mila persone (330
solo da Novara) con in
testa i parenti delle vittime di mafia, che si è diretto fino al porto antico
S
P ER
dove si è svolto il momento più toccante di tutta la mattinata cioè la lettura dei nomi delle vitti-
me di mafia, che hanno
lasciato un’atmosfera triste ma allo stesso tempo
piena di orgoglio tra tutte
le persone.
Dopo la lettura dei nomi e
il discorso del presidente
di Libera, Don Luigi
Ciotti, Genova ha aperto i
suoi auditorium, le sue
sale e i suoi teatri per lasciare la possibilità a chi
volesse di farsi una cultura su quello che è il fenomeno mafioso e sulle differenti storie di mafia.
A giornata conclusa, tutti
gli ospiti di Genova sono
tornati a casa e anche noi
siamo tornati a Novara,
con i nostri 5 pullman,
tutti con una frase intesta,
la stessa detta da Don
Luigi Ciotti, durante il
discorso, “la mafia fa
schifo!”
NON DIMENTICARE
di Margot Ossola
N
on era mai accaduto.
Nessuno aveva
mai osato colpire in questo modo così vigliacco.
Sabato mattina è morta una
ragazza che non doveva
morire. Melissa Bassi, 16
anni, è stata ammazzata da
tre bombole a gas piazzate,
ancora non si sa da chi né
perché, nella notte di venerdì 18 davanti all’Istituto
professionale statale per i
servizi sociali “Morvillo
Falcone” a Brindisi. Veronica Capodieci riporta gravissime ferite e altre quattro
ragazze sono state ospedalizzate a causa di estese
ustioni sul viso e sul corpo.
Al momento gli inquirenti
non escludono nessuna
ipotesi, e stanno raccogliendo gli indizi necessari
per ricostruire la vicenda
in maniera più chiara.
Non potendo ricevere risposte alle domande, rimangono solo rabbia e
dolore.
Il 19 maggio 2012 è stata
colpita la speranza che
nasce da noi giovani.
Queste ragazze che si sono
impegnate in prima linea
per la lotta alla mafia ,
attente a temi così preziosi
come la legalità (avevano
infatti vinto un premio per
un percorso su questo tema) e la democrazia sono
rimaste ferite e un intero
Paese con loro.
Noi, ragazzi, giovani, studenti, non possiamo restare
indifferenti davanti a un
simile dramma, perché le
ustioni di Veronica, Azzurra, Vanessa e Selene bruciano dolorosamente i nostri animi.
È nostro dovere testimoniare la nostra solidarietà alle
famiglie e ricordare quello
che è avvenuto.
È nostro dovere fare in modo che simili drammi non
accadano mai più.
L ICEO DELLE S CIENZE
U MANE “C ONTESSA
T ORNIELLI B ELLINI ”
B.do La Marmora, 10 - 28100
Novara
tel: +390321627125
Fax: +390321399618
e-mail: [email protected]
S IAMO
SU INTERNET
WWW.LICEOBELLINI.IT/
BENVENUTI. ASP
L UDE
CUM VERBIS !
di Sofia Perona
Scarica

Ultima versione[1].pub - Istituto Magistrale Bellini