IL POSTMODERNO:
L’ERA DELLA
COMPLESSITÀ
Alcune riflessioni sul valore
formativo dell’arte
contemporanea
Dott.ssa Federica Goffi
[email protected]

“Il modello complessità è emerso con forza (quasi
con prepotenza) nella riflessione culturale degli ultimi
vent’anni, imponendosi come neoparadigma per
pensare, ormai, tutti i saperi e, nel contempo, la
realtà”. (F. Cambi, La complessità come paradigma
formativo, in M. Callari Galli, F. Cambi, M. Ceruti,
Formare alla complessità, Carocci, Roma, 2003, p.
127).

Gli aspetti, che dal punto di vista sociale riguardano
tale paradigma sono lo sviluppo tecnologico e
massmediale,
e
un
concetto
allargato
di
cittadinanza in seguito all’intensificarsi dei fenomeni
migratori. «Così cresce l’incertezza, il nomadismo,
una forma plurale di coscienza, che sono – insieme –
elementi positivi o negativi» (Ivi, p. 125)

Come teorizzato da E. Morin in Francia a partire dalla Testa ben fatta, lo
scenario appena delineato implica una riforma del pensiero e dell’insegnamento
per educare l’uomo postmoderno a formarsi alla complessità, appunto, a partire da
un diverso approccio verso la conoscenza.

(Cfr. E. Morin, La testa ben fatta, cit., p. 6, dove è scritto che “la sfida della globalità
è dunque nello stesso tempo una sfida di complessità. In effetti, c’è complessità
quando sono inseparabili le diverse componenti che costituiscono un tutto […] e
quando c’è un tessuto indipendente, inter-retroattivo fra le parti e il tutto e fra il
tutto e le parti”).

In seguito all’elogio da parte del sociologo francese del disordine e del caos,
accanto ad un’astratta razionalità, incapace appunto di rappresentare la
complessità umana, l’educazione deve avere come obiettivo anche quello di
stimolare il pensiero divergente e la creatività, al fine di agevolare la
transdisciplinarietà, e tale aspetto rende ancora più pertinente la validità e il
contributo dell’educazione estetica, che dovrebbe concentrare il proprio punto di
forza sulla comunicazione.

(Cfr. E. Morin, Educare nell’era planetaria, Raffaello Cortina, Milano, 2001, dove a p.
54 fa notare che da un punto di vista etimologico la parola ‘complessità’ deriva da
complectere, la cui radice è plectere, che significa intrecciare, collegare. Dal
rapporto, invece, tra le parole: ‘perplesso’ e ‘complesso’ (perplexus significava
anche ingarbugliato, aggrovigliato, ecc.) Morin afferma che “la complessità si
presenta sotto l’aspetto inquietante della perplessità, vale a dire di ciò che è
ingarbugliato, inestricabile, del disordine, dell’ambizione e dell’incertezza” (Ivi, p.
55).
L’IDENTITÀ DELL’UOMO
POSTMODERNO

Come evidenzia Cambi, l’identità della persona ha
perduto unità e stabilità, ha acquistato debolezza, così che
“al centro del suo farsi etico si pone la responsabilità, la
scelta di sé, la volontà di volersi, l’azione formativa, ma nel
suo aperto proiettarsi nel mondo, dove abitano altri io e
proprio nella loro diffrattiva differenza, si valorizza la
tensione del dialogo”. (F. Cambi, La complessità come
paradigma formativo, in M. Callari Galli, F. Cambi, M.
Ceruti Formare alla complessità, cit., p. 127

Per un’educazione all’era planetaria c’è dunque da
chiedersi se esista un nucleo essenziale di saperi e
comportamenti, un nucleo etico che possa accomunare e
avvicinare la specie umana, ed è a questa domanda che
la scuola dovrebbe cercare di rispondere.
LA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA COME
SOCIETÀ
DELLA COMPRENSIONE.
 “Si dovrebbe,
pertanto, riflettere sul fatto che
‘la società della conoscenza’ rischia
l’asservimento alle regole ed agli imperativi
del tecnopolio, se non è finalizzata e può
trovare la sua motivazione profonda nella
‘società della comprensione’”.

L’elemento che consentirebbe al soggetto di
far fronte al disorientamento provocato dalla
globalizzazione sarebbe proprio il mantenere
vivo il senso dell’umanità, sviluppare una
forma di intenzionalità etica che abbia per
oggetto ciò che accomuna popoli e culture.
(G. Mollo, Globalizzazione ed espansione
della coscienza, in “Rassegna di pedagogia”,
LXIII, luglio-dicembre, 2005, p. 255).

Il sentimento etico profondo di cui si parla è allora la volontà
di comprensione, allo sviluppo del quale la società odierna
potrebbe frapporre degli ostacoli se, ad esempio, si tengono
presenti “le seduzioni del mondo dell’immagine e le continue
istigazioni al disimpegno, indotte anche dai pervasivi messaggi
centrati sull’apparire e sul consumare”. (Ivi, p. 256)

Difatti, “l’estetico può esercitare una funzione di opposizione
nei confronti di una realtà mortificante in quanto i modelli
esistenziali che esso contiene si dimostrano capaci sia di
denunziare una realtà da respingere sia di contribuire
apprezzabilmente a progettare una realtà umana da
inventare”. (B. Rossi, Parole e linguaggi dell’educazione, p. 100)

Il rischio del ‘nuovo macchinismo’ sollecitato dall’informatica,
dalla telematica ecc. sarebbe quello di stimolare la
formazione dell’uomo ‘technologicus’ che sopprime e
mortifica la propria essenziale ricchezza interiore.
L’ARTE CONTEMPORANEA COME ARTE ERMETICA.
 Per
coscienza estetica, dunque, si intende
una coscienza che si oppone al vivere
all’insegna dello stereotipo,
dell’uniformità, dell’irrazionalismo, traendo
invece dall’arte e dagli artisti la volontà e
il desiderio di una rigenerazione integrale
della personalità.

La forma artistica, di solito, si comunica mediante la sua stessa
struttura ma, come sostiene G. Dorfles, può risultare pienamente
comprensibile proprio attraverso la conoscenza del contesto in cui
è inserita, che ne enfatizza il valore informativo.

Come conseguenze dello sviluppo delle tecnologie nella società
contemporanea, l’involontarietà della fruizione e la diffusione di
opere d’arte false sarebbero responsabili di quella sorta di ‘ascolto
disattento’ da parte del fruitore che, in tal, senso andrebbe
educato.

“La comunicazione – e dunque la stessa comprensione dell’arte –
in definitiva è solo in parte istintiva, autonoma […]. Anche l’arte,
invece, deve essere imparata; anche la comunicazione attraverso
l’arte per avvenire presuppone la presenza di un ‘codice’ in parte
almeno istituzionalizzato”. (G. Dorfles, Le oscillazioni del gusto, Lerici,
Milano, 1966, pp. 81-82).

Dall’altro lato, però, data la tendenza di
rinnovarsi
costantemente,
di
tendere
all’astratto,
al
complicato,
l’arte
contemporanea viene spesso considerata
come un’ottima giustificazione per non
incontrare
l’arte,
poiché
ritenuta
incomprensibile.

“Può, al riguardo, apparire legittima l’ipotesi
di una mancata o errata educazione o di
una insufficiente attenzione alla funzione
dell’artista oggi”. (G. Dorfles, Le oscillazioni
del gusto, Lerici, Milano, 1966, pp. p. 108)
L’EDUCAZIONE ESTETICA COME EDUCAZIONE
AD “APPRENDERE AD APPRENDERE”.

Da qui l’esigenza, insomma, di sostenere la
pertinenza dell’educazione estetica nelle istituzioni
scolastiche, cercando innanzitutto di coniugare
l’estetico all’apprendimento, intendendolo come
proattività creativa.

“Tale concezione dell’apprendimento delinea un
soggetto protagonista del processo apprenditivo,
impegnato totalmente, coinvolto nelle sue funzioni
più profonde, orientato all’affermazione del suo
Io”. (B. Rossi, Parole e linguaggi nell’educazione,
cit., p. 111.) B. Rossi, Parole e linguaggi
nell’educazione, cit., p. 111.

La questione ‘dell’apprendere ad apprendere’, in particolare,
viene connessa all’esperienza estetica, in quanto con Varchetta
possiamo ritenerla una metacompetenza che si avvale della
capacità negativa, cioè “passerebbe attraverso la capacità di
persistere nel sopportare l’incertezza, il mistero, il dubbio […]”. (G.
Varchetta, Organizzazione e management delle istituzioni dell’arte
e della cultura: la sfida delle meta-competenze, in U. Morelli, G. De
Fino (a cura di), Management dell’arte e della cultura, Franco
Angeli, Milano, 2010, p. 139).

È dunque interessante notare come la capacità negativa, nella
prospettiva bioniana, venga esplicitamente connessa alla
capacità di sostenere l’ambiguità, lo stupore e la meraviglia. “Si
vuole, attraverso ‘la capacità negativa’, preservare l’autonomia di
un pensiero orientato da una ragione possibile, contro ogni
totalizzante positività. Attraverso tali prospettive si salvaguardia la
suggestione meta-razionale di un pensiero narrativo, di un
qualcosa non parcellizzato compiutamente e capace di nutrire un
residuo non completamente analizzabile”. (Ivi, p. 141).

Affinché, dunque, l’educazione estetica possa
costituirsi come uno strumento con cui impedire
l’uniformità del gusto, con cui sviluppare una
certa dose di giudizio critico, che spinga
l’educando a reagire contro il conformismo e la
consumazione passiva di forme, è importante che
le forme dell’arte ma anche quelle offerte dai
paesaggi della vita quotidiana non vengano
decodificate secondo schemi prefissati ma in
base alla propria intelligenza creativa.

Si afferma insomma l’esigenza di un’educazione
al potere di discernimento e di apprezzamento
della forma, alla conoscenza dei più svariati
linguaggi artistici, anche quelli ritenuti minori;
come dunque l’arte contemporanea può
assumere in tal senso un ruolo significativo?
IL CONCETTO DI FORMA NELL’ETÀ
POSTMODERNA

Il concetto di forma, con i suoi paradigmi, si trova ad essere il vero
protagonista della nostra condizione postmoderna, ma cosa si intende con
questo termine?

“Secondo alcuni il postmoderno va identificato col nichilismo (e omologando
il nichilismo stesso) e va visto come l’ultima tentazione di una secolarizzazione
che produce derive, rovine, perdite […] Per altri il postmoderno è un tempo
da accogliere e proprio perché libera, certo, anche da governare,
rimettendo al centro un impegno sociale (la solidarietà) o la formazione dei
soggetti (il soggetto-come-persona), in modo da eclissare ogni lettura del
postmoderno come deriva. In altri ancora la postmodernità è l’avvento della
Tecnica, o nel bene o nel male […]”. (F. Cambi, Abitare il disincanto, Utet,
Torino, 2006, p. 26.)

La società postmoderna, nell’accezione appena esposta, è dunque
caratterizzata dall’avvento della complessità, fatta di pluralismi, di
progettazioni, di confronti, di tensioni e di aperture, un tempo di de-costruzioni
e di ri-costruzioni, come sottolinea Cambi, che vede come protagonista un
soggetto “che si fa carico del proprio orientamento di senso e lo fa
formandosi nell’autonomia/responsabilità/progettualità”. (Ibidem)

È in questo panorama che si è affermata
un’idea di forma nuovissima, fatta di squilibri e
di lacerazioni. “Si può parlare, allora, ancora
di forma? Sì, poiché dà struttura e ha
struttura. Anche se il modello è radicalmente
altro rispetto al passato, storicamente inedito,
proiettato
sul
possibile,
l’incerto,
l’irraggiungibile anche. Una forma tragica? Sì,
se si vuole. Ma senza annichilimenti e
frustrazioni”.

Cambi traduce questa situazione, che si
sarebbe delineata a partire dall’Illuminismo,
con il trionfo della ragione e del giudizio
critico, con il termine di ‘dis-incanto’, preso a
prestito da M. Weber. (F. Cambi, Abitare il
disincanto, cit., p. 28).

Se l’arte astratta tendeva a rappresentare l’essenza del
fenomeno artistico, l’arte contemporanea vede la
scomparsa graduale dell’oggetto con il fine di mettere in
discussione l’arte stessa come istituzione.

“L’apparenza dell’opera e dell’oggetto estetico in
generale si presenta ai nostri occhi nei termini di una forma
o struttura indecidibile, edificata spesso con un’operazione
di bricolage sui resti della tradizione passata […]”. (F.
Carmagnola,
M.
Senaldi,
Synopsis.
Introduzione
all’educazione estetica, Guerini, Milano, 2005, p. 57).

Questi concetti, con cui M. Senaldi e F. Carmagnola
definiscono il concetto di forma ricavabile da tante opere
d’arte contemporanea, sono dunque strettamente
collegati alla tematica della morte di Dio e del nichilismo, il
mondo ultraterreno perde di significato, i valori razionali
moderni cercano di predominare sulla vita e sul mondo e
soddisfano il bisogno di verità insito nell’uomo.
«CHE CI VUOLE, POTEVO
FARLO ANCH’IO!»

«Cercherò di mostrarvi perché non tutti possiamo essere
artisti, anche se può sembrare facile fare certi obrobri».

«Vi invito a guardare all’arte contemporanea […] come a
un’espressione necessaria della realtà del mondo che ci
circonda e del tentativo di comprenderla».
(F. Bonami, Lo sapevo fare anch’io, Mondadori, 2007, p. 5)

«In una società che considera geniali dei programmi
televisivi i cui protagonisti hanno un quoziente
d’intelligenza più basso di quello di un bruco, possiamo
adirarci se esiste qualcuno capace di trasformare la
banalità in arte?».
(Ivi, p. 15)
R. Ryman
Untitled, 1970
G. De Chirico, Enigma
di un pomeriggio
D’autunno, 1909
G. De Dominicis, Mozzerella in
carrozza, 1970
P. Manzoni, Merda d’artista,
1961
GIORGIO DE CHIRICO: molto più di un quadro

«La metafisica in realtà con la pittura ha ben poco a che fare, l’aveva inventata il filosofo Aristotele
[…] De Chirico prende a prestito il termine solo per capire se un dipinto può anche raccontare
qualcosa d’invisibile, qualcosa che, come un’idea, sta solo dentro la mente». (F. Bonami, Lo sapevo
fare anch’io, p. 142)

«Poi comincerà ad invecchiare davvero dichiarandosi antimoderno, senza rendersi conto che stava
anticipando il postmoderno, uno strano termine diventato di moda verso la metà degli anni ‘70 e che
non si è mai ben capito cosa volesse dire, se non la possibilità di mescolare un po’ tutti gli stili
creando delle cose un po’ di cattivo gusto».
GINO DE DOMINICIS e PIERO MANZONI: trovate o capolavori?

«[…] espose mozzarelle in carrozza, che altro non era se non quanto descritto dal titolo, una bella
bufala seduta dentro una carrozza.»; «Il problema di questa arte è che si basa sull’idea, non sulla
tecnica». (Ivi, p. 14; 16)

«Piero Manzoni voleva dirci che essere artisti significa trasformare tutta la propria vita in arte, comprese le
proprie scorie».
ROBERT RYMAN: il nulla che precede ogni creazione.
«Dipinge le sue tele interamente di bianco. […]. L’insegnante in questo caso dice all’allievo: ‘Non ho
idee oltre la tela bianca, e tu?. L’allievo quindi deve affrontare un problema che non riguarda solo Ryman,
ma tutti noi, vale a dire il dramma del vuoto e del modo in cui può essere colmato, nell’arte ma anche
nella nostra vita quotidiana».
«Su un quadro di Ryman la nostra fantasia può proiettare tutto. […]
(Ivi, p. 16; p. 17)
[…]Potevo farlo anch’io, ma non ci ho pensato!
…E ANCHE LA FOTOGRAFIA DIVENTA ‘CONTEMPORANEA’
Bernd and Hilla Becher
Charleroi-Montignies, B
1971
Gabriele Basilico, Roma
U. Mulas, Eugenio Montale,
1962
Luigi Ghirri
D. Perrone, I pensatori
di buchi, 2002
L’ESTETIZZAZIONE DELLA VITA

G. Vattimo, trattando della fine della modernità e della morte dell’arte in seguito al generale
processo di estetizzazione della vita quotidiana, nota come già le avanguardie novecentesche
avessero provocato l’esplosione dell’arte fuori dai limiti imposti dalla tradizione, mentre le
neoavanguardie negano i luoghi ufficialmente deputati all’arte: l’opera, insomma, mette in
discussione il proprio statuto. Questo perché con l’affermarsi della società tecnologica si assiste
all’identificazione dell’estetica con i media, che distribuiscono informazioni e che creano anche il
consenso, uniformando i gusti e il sentire comuni

L’arte, dunque, nella contemporaneità sembra diventare l’antidoto della forma, o come direbbe
Adorno ‘si eguaglia al mondo’ mimando l’apparenza più squallida e banale, a causa
dell’estetizzazione della Lebenswelt. Nell’arte contemporanea si assiste insomma all’indistinguibilità
formale dell’artefatto rispetto alla merce o al consumo, poiché è lo stesso soggetto che “si compone
piuttosto come un bricolage di comportamenti, solo alcuni dei quali, una minoranza, sono
effettivamente motivabili alla luce di scelte coscienti”. (F. Carmagnola, Il consumo delle immagini,
Mondadori, Milano, 2006, p. 152).

Se il concetto di lifestyle, per intendere la progressiva estetizzazione della vita, riempie di senso
eccessivo l’esistenza quotidiana, l’arte si pone come un antidoto all’avvelenamento da stile
attraverso l’indifferenza o l’inapparente inespressività. La nostra società è dominata dall’apparenza,
dalla superficie dei prodotti d’uso che non dipendono più dalla funzione che svolgono; anche in
questo caso l’estetico predomina rispetto all’effettiva sostanza del prodotto dal punto di vista
tecnologico e strutturale. La forma diventa l’elemento che cerca insomma di colpire il fruitore,
indipendentemente dal reale valore funzionale dell’oggetto.
DAL READY-MADE E ALLA POP
ART

Il postmoderno è caratterizzato dalla decostruzione del gusto e la sfera
estetica si allarga sino a raggiungere il mondo delle merci. Duchamp sposta
lo sguardo dell’artista su determinati oggetti, non li produce, poiché il readymade “stabilisce un’equivalenza tra scegliere e fabbricare, consumare e
produrre”. (N. Bourriaud, Postproduction. Come l’arte riprogramma il mondo,
trad. it., Postmedia Books, Milano, 2004, p. 17).

“Ciò che il ready-made mette in evidenza non è solo l’assenza di originalità
della produzione in serie, ma anche il fatto che tale produzione produce un
eccesso di originalità, una serie potenzialmente infinita di ‘originali’ […]”. (M.
Senaldi, Enjoy! Il godimento estetico, Meltemi, Roma, 2006, p. 45).

Un caso emblematico in tal senso è rappresentato dalla Pop art che “è una
reazione a una domanda filosofica sulla natura dell’arte: perché qualcosa è
arte quando qualcosa di esattamente uguale non lo è?”. (A. Mecacci,
Impercettibilmente pop. La “second-hand reality” estetica di Wharol, in F.
Desideri , G. Matteucci (a cura di), Estetiche della percezione, University Press,
Firenze, 2007, p. 199).

Possiamo prendere come oggetto di analisi l’arte di Wharol. Chi non ha
presente le opere che ritraggono in serie il volto di Marylin, le lattine di cocacola o della minestra Campbell?

“L’arte di Wharol ha sempre a che fare con il Merchandising perché è la
nostra stessa vita che si confronta con la superficie del mondo: noi non
vediamo mai le zuppe, ma l’oggetto o la marca di un cibo che non è più
un’elaborazione culturale della natura da parte dell’uomo, ma qualcosa
prodotto dalle macchine”. (Ivi, p. 200)

L’altro aspetto interessante è che l’opera di Wharol conduce anche alla
tematica della maschera, dell’identità dell’individuo, che è esemplare negli
stessi ritratti di Marylin, di cui ne viene rappresentato in serie solo il volto in
quanto simbolo del suo essere diva o star, resa tale dalla stessa cultura di
massa; “di qualsiasi media si tratti, l’intervistato indossa sempre la propria
personalità pubblica e mediatica”, (A. Warhol, America, Donzelli Editore,
Roma, 2009, p. 20.)

I nostri modelli quindi possono essere considerati delle persone a metà. “I
media possono trasformare chiunque in una persona dimezzata, e possono
spingere chiunque a pensare che dovrebbe provare a diventare una
persona dimezzata”. (Ivi, p. 22).

Wharol insomma sembra farci riflettere sul fatto che ogni
esperienza, oggi, è mediata dalla forza iconica dei nuovi mezzi di
comunicazione, così come l’artista contemporaneo usa l’arte per
riflettere sulla condizione umana dettata dalla contemporaneità.

“Noi infanti simbolici riusciamo forse a narrarci, attraverso l’arte
contemporanea, come non ci siamo mai narrati e ci stupiamo di
vederci; ci stupiamo di smettere almeno per un po’ di ‘non vedere
di non vedere’”. (U. Morelli, La mente del fruitore d’arte.
L’esperienza estetica come avventura affettivo-cognitiva e i
paesaggi mentali del fruitore d’arte, in U. Morelli (a cura di),
Management dell’arte e della cultura, cit., p. 88)

F. De Bartolomeis, quando afferma che: “contro ogni apparenza
anche la pop resta fedele, ma con un rovesciamento, al compito
di sempre dell’arte: rendere visibile l’invisibile. E se l’invisibile fosse
proprio ciò che continuamente abbiamo sotto gli occhi o
abitualmente adoperiamo? È sostanzialmente invisibile in quanto
dispone di noi, sopprime in noi scelta e invenzione”. (Cfr. F. De
Bartolomeis, L’esperienza dell’arte, La Nuova Italia, Scandicci, p.
289).
M. Duchamp, Scolabottiglie, 1914
M. Duchamp, Duchamp come Rose
Sélavy (foto di Man Ray, 1920)
M. Duchamp, Fountain, 1917
A. Wharol, foto di R.
Mappelthorpe
A. Wharol, Marylin
Monroe, 1962
A. Wharol, Minestra
in scatola
Campbell, 1968
DUCHAMP: il maestro dell’ironia…


«Marcel Duchamp, il padre di tutto ciò che vi farà esclamare: ‘Ma
sarà arte questa?’».
«L’arte per Duchamp era il già fatto, quello che egli stesso definiva
‘ready made’, una sorta di arte ‘precotta’.
(F. Bonami, Lo sapevo fare anch’io, pp. 27-28)
WHAROL: un ciarlatano?

«Wharol è un ciarlatano, allora, quando con la sua arte insiste nel
farci credere che la superficie delle cose e la superficialità delle
persone sono le uniche cose che veramente contano?»

«Partendo dalla banalità, invece, Wharol riesce alla fine a farci
afferrare con più chiarezza di cosa la nostra vita, oggi, sia
veramente fatta e quali rischi corriamo».
(Ivi, p. 43)
 A.
Danto, rifacendosi all’opera «Fountain»
di Duchamp, si chiede: «Ma allora qual è
il fulcro concettuale di quest’opera
ancora tanto controversa? La mia idea è
che risieda nell’interrogativo che l’opera
pone […]
 «Duchamp
non si limitò a porre la
domanda «che cos’è l’arte?», ma
piuttosto chiese ‘perché una certa cosa è
opera
d’arte
quando
un’altra
esattamente uguale non lo è?’». (A. Danto,
La destituzione filosofica dell’arte, p. 54)

Poiché oggi l’oggetto artistico ha perduto la sua forma, così come la cultura stessa
è diventata un aggregato di reperti disomogenei, è opportuno riflettere sul
concetto di educazione estetica, “che esce dai suoi confini alti, si configura come
una riflessione rispetto ad un ‘averci a che fare’, un orientarsi dell’essere umano
adulto rispetto alla complessità iconica e narrativa del mondo delle merci e dei
media, là fuori, oltre il testo, oltre l’opera e la sua chiusura formale (F. Carmagnola,
M. Senaldi, Synopsis. Introduzione all’educazione estetica, cit., p. 60.)

Dal periodo delle avanguardie storiche, a partire da Duchamp, entra in crisi la
nozione kantiana di gusto, che può essere sostituita da quella che
precedentemente abbiamo definito lifestyle, collegabile al concetto di
macdonaldizzazione coniato da G. Ritzer nel suo saggio, del 1996, intitolato Il
mondo alla McDonald’s, “un termine del marketing postindustriale, per il quale le
merci sono valori d’uso ma portatrici di mondi di senso”, e pertanto “nulla rimane al
potenziale emancipativo del gusto in questa visione”.

Persino l’immaginario sembra alimentarsi dalle merci, a partire dalla forma stessa
dell’oggetto e, poiché si parla di omologazione del gusto, risulta particolarmente
significativo riflettere di nuovo sul concetto di senso comune kantiano, e su che
cosa esso possa significare nella società odierna. Lo stile e il gusto presentano due
facce, una socializzata e un’altra individualizzata, pertanto l’educazione estetica in
questo senso può anche significare un’educazione a riflettere sul proprio stile, a
quanto cioè di indotto e di autentico ci sia nelle nostre scelte.

“La figura del giudizio riflettente kantiano assume qui tutta la sua importanza come
una sorta di comportamento cognitivo e di auto-orientamento per determinare
l’apprendimento come un processo di scoperta accentrato e reticolare”. (F.
Carmagnola, M. Senaldi, Synopsis. Introduzione all’educazione estetica, cit., p. 60).

Quanto detto sembra sufficiente per tentare un discorso
incentrato
sugli
aspetti
pedagogici
dell’arte
contemporanea, che rifletta sul tipo di rapporto che c’è tra
quest’ultima e l’odierna società consumistica:

caratteristiche quali la reiterabilità, la riproducibilità, la
seriabilità non possono, infatti, non riversarsi sul
comportamento e i gusti del consumatore, bisognoso oggi
più che mai anche di un’educazione all’apprezzamento
estetico.

«L’arte si assume compiti pedagogici: si vuole insegnare a
vedere e perciò si presentano forme che di solito si è
portati a trascurare: più banale è il soggetto e più
accurata, si presume, è la funzione dell’arte che attira
l’attenzione su di esso». (F. De Bartolomeis, L’arte
contemporanea e noi, p. 428).

“I principi della ristorazione fast food vanno imponendosi sempre più in un
numero crescente nei settori della società americana e del resto del mondo”
(Ivi, p. 135), provocando l’affermarsi di aspetti quali la prevedibilità,
l’efficienza e il calcolo che si riflettono anche nel mondo dell’educazione,
quando ad esempio si prediligono dei test a scelta multipla, lezioni e libri di
testo tutti uguali, e lo stesso diffondersi della computerizzazione rischia di
rendere l’apprendimento povero di esperienza, contribuendo a formare delle
menti tutt’altro che creative.

L’attività creatrice dipende dalla precedente esperienza dell’individuo,
“per questo, esperienze in serie, tutte uguali a se stesse, hanno in realtà poco
del valore di esperienza”. (Ivi, p. 142). Quello a cui si sta assistendo, secondo
Regni, è una progressiva perdita di esperienza, un fenomeno provocato dalla
moda, dallo scambio tra illusione e realtà, tra desideri e bisogni: “il consumo è
infatti uno dei diversi surrogati, in cui il guadagno di esperienza è esonerato
dall’esperienza stessa, allontanato dall’esperienza in quanto tale”. (Ivi, p. 183)

La tendenza al continuo cambiamento, generata dall’alternarsi delle
mode, produrrebbe un indebolimento di quelle caratteristiche della
personalità come il gusto, la critica, la capacità di giudicare. Dunque
“l’aumento della potenza tecnologica porta ad un mondo disincantato,
oggettivizzato, razionalizzato” (R. Regni, Geopedagogia, cit., p. 138) con il
rischio di produrre un deficit etico.

«La felicità come godimento totale o interiore, quella felicità
indipendente da segni che potrebbero manifestarla agli occhi
degli altri e ai nostri, quella felicità di prove è dunque decisamente
bandita dall’ideale del consumismo, in cui la felicità è soprattutto
esigenza di uguaglianza (o ben inteso) di distinzione e deve perciò
sempre significarsi con riguardo a criteri visibili». (J. Baudrillard, La
società dei consumi, p. 39, Il Mulino, Bologna, 1976).

«Il colmo […] è raggiunto dall’espressione «personalizzate voi stessi,
il vostro appartenere a voi stessi! […] Quel che dice tutta questa
retorica è che non c’è più nessuna persona. La «persona in valore
assoluto, con i suoi tratti irriducibili, […] con le sue passioni, la sua
volontà, il suo carattere […] è assente, spezzata via da questo
universo funzionale. Ed è questa persona assente che si intende
personalizzare» (Ivi, p. 90).

«Una delle categorie più importanti dell’oggetto moderno, oltre al
gadget, è il kitsch. L’oggetto kitsch è comunemente tutta quella
massa di oggetti senza gusto, in stucco, fasulli, di accessori, […] di
souvenir […] (Ivi, p. 120)

«Mentre tutta l’arte sino alla Pop si fonda su una visione del mondo
in profondità, la Pop vuole essere omogenea a quest’ordine
immanente di segni: omogenea alla loro produzione industriale e
seriale […] (ivi, p. 128)

«Nella panoplia del consumo vi è un oggetto più bello, più
prezioso, più splendente di tutti ancora più ricco di connotazione
dell’automobile – che tuttavia li riassume tutti: il corpo» (ivi, p. 152).

«Il corpo così riappropriato lo è prima di tutto in funzione di obiettivi
capitalistici» (Ibidem).

Con la Body art l’opera si incarna nel corpo dell’artista stesso.
Quest’ultima corrente in particolare, che vede tra i principali
esponenti artisti come G. Pane, V. Acconci, B. Nauman ecc., mette
in scena l’ossessione nevrotica estetizzante della società
contemporanea o la normalizzazione della patologia, che si nota
ad esempio nell’attenzione eccessiva diretta verso l’identità come
apparenza e aspetto fisico. Pane, ad esempio, infliggendosi ferite
sul proprio corpo vuole coinvolgere lo spettatore in un’autentica
esperienza
Vito Acconci e
Gina Pane
LA “TRISTE SCIENZA”, OVVERO
LA CRISI DELL’IMMAGINARIO

L’arte contemporanea mette in luce la crisi del reale e dell’immaginario in
quanto non ha un’alterità a cui rapportarsi; l’Altro dell’arte, come suggerisce
Senaldi, è l’arte stessa come istituzione. Il miscuglio che dunque si è venuto a
creare tra vita quotidiana e arte ha provocato una totale immersione dello
spettatore nella non-arte.

L’esperienza estetica nell’era contemporanea (Cfr. M. Carboni, P. Montani,
Lo stato dell’arte. L’esperienza estetica nell’era della tecnica, Laterza, RomaBari, 2005) …è caratterizzata da una labile separazione tra reale e
immaginario, che viene emblematicamente definito da Carmagnola con
l’espressione di ‘triste scienza’: “l’immaginario con come sporgenza utopica,
motivo di speranza rispetto all’effettuale, ma come velo o sintomo spettrale”.
(F. Carmagnola, La triste scienza, Meltemi, Roma, 2002, p. 42.)

«Dietro tutto il movimento convulsivo dell’arte contemporanea c’è una
specie di inerzia, qualcosa che non riesce più a superare se stessa»; L’arte
oggi non ci invita più alla dimensione estetica dello sguardo, ma […] ad un
assorbimento vertigionoso, esattamente come il mondo che ci circonda». (J.
Baudrillard, La sparizione delll’arte, p. 45).
J. Pollock, n. 5,
1948
R. Rauschenberg,
Combines, 1960 ca.
R. Rauschenberg, Rebus, 1955
C. Oldenburg, Giant
Hamburger, 1962
JACKSON POLLOCK: la pittura è azione
 «Capisce che non può più stare, come un gonzo, davanti alla tela ma deve
entrarci dentro, come si entra nella vita e nel mondo. Nasce così quella che
sarà chiamata la pittura d’azione, dove l’artista si getta sopra la sua
creazione».

«Pollock seguiva un percorso spirituale, un istinto, una direzione precisi,
sapendo benissimo quando era giunto il momento dell’ultima goccia da
lasciar cadere sulla tela distesa sul pavimento. […[ La poderosa energia che
ha sprigionato sulla tela è come un vortice che lo risucchia negli abissi»
(F. Bonami, Lo sapevo fare anch’io, p. 38; p. 39)
ROBERT RAUSCHENBERG: guardatevi intorno!
«Esperimenti sull’origine del mondo che ci circonda, fatto di cose, di
aggeggi, ammennicoli vari, che tolleriamo se li troviamo sul cassettone di casa
nostra ma che disprezziamo se li vediamo esposti in un museo».
(Ivi, p. 67)
LA DIDATTICA DELL’ARTE
CONTEMPORANEA

Merita rimarcare, inoltre, che approcci costruttivisti nella didattica si pongono in linea con
il paradigma della complessità, si configurano ovvero come quella metodologia capace di
prospettare applicazioni didattiche che traducono nella pratica il pensiero complesso.

“Per i metodi va fissato il valore del metodo costruttivista che guarda all’impresa della
conoscenza fondata sul principio della ricerca, e di una ricerca che tiene costantemente
aperta la rosa dei propri metodi, implicando una costante meta-cognizione di se stessa”. (F.
Cambi, La complessità come paradigma formativo, in M. Callari Galli, F. Cambi, M. Ceruti,
Formare alla complessità, cit., p. 133.)

Quanto affermato basta per evidenziare il ruolo attivo del soggetto nella formazione delle
sue conoscenze, in quanto “il soggetto che conosce è proteso non ad accumulare
informazioni, ma a coglierne l’organizzazione: le parti vengono coniugate con il tutto”. (Ivi,
p. 61)

Numerose e tra le più svariate sono state le esperienze didattiche con l’arte
contemporanea che si sono svolte in Italia, tanto per ritornare al contesto dei nostri studi
nazionali. Esemplificativa in tal senso l’esperienza narrata da C. Francucci presso la galleria
d’arte Moderna di Bologna, e che pone l’enfasi proprio sull’uso dei materiali anomali, di cui
si sono avvalsi gli artisti soprattutto a partire dagli ultimi quarant’anni; si pensi ai sacchi di A.
Burri, ai tagli di L. Fontana.
A. Kapoor,
Cloudgate,
2004, Millenium
Park, Chicago.
L. Fontana, Concetto
spaziale, 1961
A. Kapoor,
Untitled, 2007
A. Kapoor, Leviathan, 2011,
Parigi, Grand Palais
ANISH KAPOOR: l’angoscia si trasforma in meraviglia


«Il suo successo è dovuto al fatto che una sua opera, in un sol
colpo, si presenta come un monumento, architettura, quadro
monocromo e attrazione da luna park»
«Si potrebbe dire che Kapoor parla, con la sua arte, della
superficialità dell’anima e della voragine del pensiero».
(F. Bonami, Lo sapevo fare anch’io, pp. 54; 55)
LUCIO FONTANA: che ci vuole a fare un taglio?
 «Avere il coraggio di distruggere il proprio lavoro trasformandolo in
qualcosa di migliore non è cosa da poco!»

«L’idea di concetto spaziale rinvia chiaramente al fatto che
tagliando una superficie si crea uno spazio, quello che attraversa
da una parte all’altra la tela».
(Ivi, p. 34; 35)

Da questi esempi insomma risulta palese come la nozione di quadro sia ormai
ristretta e obsoleta, e che l’artista contemporaneo desideri più che altro
avere a che fare con il dato reale, allo stesso modo anche le esperienze
didattiche che si ispirano all’arte contemporanea accantonano matite, colori
e pennelli, o meglio, questi strumenti sono applicati ad oggetti e materiali
reali, ad ambienti, a spazi veri e propri.

“Ecco allora che l’approccio all’arte contemporanea sarà plurisensoriale;
dovremmo, davanti a un’opera, ‘riaprire’ tutti i nostri sensi, perché per poter
entrare in contatto con lei potremmo doverla ascoltare, toccare, odorare,
gustare o vedere”;

Queste esperienze plurisensoriali consentono, tra le altre cose, di considerare
da altri punti di vista quegli oggetti e materiali di uso comune che ormai
fanno parte dei nostri contesti quotidiani, tanto che Francucci può
concludere che se da queste esperienze didattiche con l’arte
contemporanea, svolte con bambini delle scuole di ogni ordine e grado,
dovesse consentire “anche solo ad alcuni di loro, di toccare, guardare e
ascoltare gli oggetti che quotidianamente li circondano, dopo aver
partecipato a questa esperienza, riscoprendoli come nuovi, noi avremmo
vinto una grande scommessa”.
(C. Francucci, Spazio, in M. Dallari, C. Francucci (a cura di), L’esperienza
pedagogica
dell’arte, cit., p. 144. Cfr. anche, M. Squillaciotti, Laborarte, Meltemi Roma, 2004; S. Gori, B.
Guarducci, Il bambino e l’arte contemporanea, Gli ori, Prato, 2005).
D. Hirst:
For the love of God,
2007.
D. Hirst, The physical
impossibility of death in the
mind of someone living, 1991
D. Hirst, parte
dell’installazione Thousands
years, 1989
Christo,
Impacchettamento del
Reichstag di Berlino, 1971
Christo, Impacchettamento
del monumento a Vittorio
Emanuele II a Milano, 1970
CHRISTO: la città si trasforma in atelier!
 «Nel 1969 hanno impacchettato con tela di plastica e corde il Museo d’arte
contemporanea di Chicago, nel 1970 il Monumento a Vittorio Emanuele in
piazza Duomo e quello di Leonardo da Vinci in piazza della Scala, come se
avesse deciso di portarsi via un pezzo della storia d’Italia e un pezzo della
storia dell’arte.»


«Ma il più simbolico di tutti gli impacchettamenti rimane il Reichstag di Berlino
[…]».
«Per Christo e Jeanne-Claude la natura diventa la tela dove ambientare il
gesto dei loro astratti interventi […] dove noi diventiamo per un attimo, se ci
va, i protagonisti».
(Ivi, p. 75; p. 77; p. 78)
DAMIEN HIRST: la tensione tra la vita e la morte
«Lo squalo e le teste marce di Hirst forse appartengono a questo tipo di storia,
quella che ci guida in un territorio sconosciuto e poi ci abbandona alla nostra
curiosità, alle nostre emozioni e ai nostri ricordi».
«Hirst in ogni suo lavoro si assume il compito di far emergere la vita dal marcio,
mettendo a nudo l’assurdità della nostra esistenza, fatta delle più banali idiozie e
delle più terribili tragedie».
(Ivi, p. 85)
R. Mappelthorp,
R. Prince
M. Barney, 1996-2003
ROBERT MAPPELTHORPE: l’amore per il corpo
 «Le visioni superfinite di Mappelthorpe, invece, provano a farci scordare che
solo pochi fortunati muscoli non sono sostenuti da quello scheletro, unisex,
che il tempo fa venire inevitabilmente alla luce. […] Negli anni Ottanta le
anime e i corpi venivano smerciati all’ingrosso[…]».
(Ivi, p. 58; p. 59)
RICHARD PRINCE: la pubblicità diventa arte
 «La serie di fotografie più belle e riuscite sono quelle copiate dalla pubblicità
delle Marlboro, quelle con i cowboy […] Rifotografando quella pubblicità ed
esponendola ingrandita e incorniciata in un museo e in una galleria l’artista la
trasforma in arte».
 «La società contemporanea è diventata schiava di una mitologia del
consumo e ha perso i suoi miti originari, quelli che l’avevano spinta, oltre che
a consumare, anche e soprattutto a costruire».
(Ivi, p. 61; p. 62; p. 63)
MATTHEW BARNEY: il cinema come arte
«La sua saga di cinque film intitolata Cremaster […] si riferisce al muscolo
cremastico che fa salire i testicoli di un maschio. […] L’artista è quindi
interessato all’incertezza dell’identità, all’ambiguità del genere».
(Ivi, p. 80)
IL RUOLO ATTIVO DELLO
SPETTATORE

Quello che ci interessa comunque dell’arte contemporanea è
tende a sollecitare “un certo sforzo interpretativo da parte del
fruitore […], la collaborazione nel portare a termine, nell’esplicitare
e fare emergere il senso di quel ‘pezzo semilavorato’ che viene
prodotto da parte dell’autore”. (F. Carmagnola, M. Senaldi,
Synopsis. Introduzione all’educazione estetica, cit., p. 169).

L’opera d’arte contemporanea “non può essere fruita senza
anche essere agita”, si parla dunque del carattere performativo
delle arti che, come vedremo, può essere sfruttato anche a livello
didattico. Quello che importa è che l’essenza dell’opera, non
essendo più necessariamente legata ad artefatti materiali, si
identifica con il processo, può cioè essere costituita anche da
gesti, eventi, azioni.
M. Merz, Igloo, 1962
ca.
J. Kounellis, Senza titolo,
1988
L. Fabro, Il giorno mi pesa sulla
notte, 1995
G. Paolini,
Senza Titolo, 1962
MARIO MERZ , JANNIS KOUNELLIS, GINO PAOLINI […]: il
movimento dell’arte povera

Nel 1967 G. Celant lanciava il movimento dell’arte povera,
nome che di per sé garantiva un certo risparmio di mezzi e
di spese. «Alcuni sostengono che il nome fosse un
riferimento ai materiali usati dagli artisti […] come il
carbone, la paglia, l’acqua, un cesto di insalata, la terra
[…]»

«Jannis Kounellis usava il cotone grezzo, Mario Merz che
usava il suo impermeabile e la sua macchina […] Giulio
Paolini che esponeva il retro delle tele».

«A volte rimanevano ermetici e intraducibili […] tra i lavori
che hanno attraversato l’oceano troviamo gli Igloo di Mario
Merz, che si vede proprio che sono degli Igloo […]».
(Ivi, pp. 108-110)

L’arte contemporanea ha un carattere performativo: a partire ad esempio
dagli happenings di J. Cage, che portarono alle estreme conseguenze
l’amplificazione del caso e della non-intenzionalità duchampiana, superando
la frattura arte-vita. Con la sonata 4’ 33’’ del ’52 anche l’udire il silenzio
diventa un’esperienza estetica, e nel ’77, l’opera teatrale Empty words è
costituita interamente da un monologo di non-sense, rappresentando, così, il
puro vuoto.

In tal senso risultano particolarmente significative le considerazioni di
Dorfles che giustificano in qualche modo l’esigenza del vuoto espressa
dall’arte contemporanea, connettendola al bisogno dell’uomo di recuperare
quello che egli definisce ‘l’intervallo perduto’. “Perdere l’intervallo (e,
soprattutto, la coscienza dell’intervallo) significa ottundere la nostra sensibilità
temporale e accostarsi a una situazione di annichilimento della propria
cronoestesia: della propria sensibilità per il passare del tempo e per la
discontinuità del suo procedere”.

Recuperare dunque la capacità di ritrovare il tempo per soffermarsi e
riflettere, non sarebbe solo congeniale per liberarsi dalle continue
sollecitazioni sensoriali offerte dalla nostra società, ma anche per
riappropriarsi di quelle funzioni che non hanno nulla a che vedere con il
mondo consumistico che, invece, incute nell’uomo l’horror vacui e di
conseguenza un annichilimento dell’immaginazione, come dimostrano molte
opere di arte concettuale o di Land art.
(G. Dorfles, L’intervallo perduto, Einaudi, Torino, 1980, p. 3).

L’arte contemporanea, quindi, richiede un approccio e un
impegno particolare da parte del fruitore, che deve
distaccarsi dagli stereotipi della visione che condizionano il
suo sguardo. “Lo strumento che aiuta però lo spettatore, il
fruitore d’arte contemporanea, a penetrare questo senso,
a dargli una direzione trasformandolo in significato, è la
didattica dell’arte”. (A. Centonze, Arte contemporanea: la
ricerca identitaria, in “Quaderno di comunicazione”,
volume 7, 2007, p. 89).

Insomma, interessanti percorsi di riflessione dal punto di
vista educativo potrebbero delinearsi nel considerare il
ruolo dello spettatore richiesto da un’opera d’arte
contemporanea; in tal senso l’educazione all’arte si
dimostra indispensabile per acquisire il bagaglio necessario
per intraprendere dei percorsi di interpretazione. “In questo
modo ‘il contemporaneo’ è aiutato a trasformare la
propria sensibilità in cognizione e l’arte può diventare uno
strumento di conoscenza della contemporaneità”.
(Ibidem)

Il ruolo della mediazione sta nel guidare, nell’accompagnare lo spettatore con tutta una
serie di informazioni che lo aiutino ad instaurare una giusta relazione con l’opera. Tali
interventi possono consistere nel diffondere informazioni sull’artista e l’opera, oppure
nell’incontrare l’artista al lavoro, o in ultimo nel lavorare sulla scenografia, ovvero
sull’atmosfera in cui il fruitore percepisce l’opera. (Cfr. M. L. Ceva, L’art contemporain
demande-t-il de nouvelles formes de mediation?, in “Culture e Musées”, 2004, in
www.persee.fr/.../pumus_1766-292..., accesso web: 10/09/2012).

Su questo aspetto cfr. anche M. Giosi, Attraversare i mondi dell’arte, cit., in cui a p. 132 si
tratta esplicitamente dell’intellettualizzazione dell’arte contemporanea, ovvero della
tendenza di quest’ultima di fondersi sempre più con il pensiero critico sull’arte, con
quell’istanza metariflessiva che accompagna l’artista nell’atto stesso del processo creativo.

“E questo è anche il risultato di quella perdita del carattere di ‘immediatezza’ dell’opera
d’arte, ossia il suo darsi a noi come oggetto/evento connotato da un’organica fusione di
forma e contenuto, e il subentrare di quella ‘mediazione’ che appare essere esattamente il
segno del superamento dell’arte ad opera della filosofia e che trasforma ogni atto di
creazione artistica in una riflessione critica nei riguardi del suo stesso processo di produzione
in atto” (Ibidem).

La situazione appena descritta contribuirebbe a rendere l’arte contemporanea
particolarmente adatta ad instaurare uno ‘spazio dialogico’ tra autore, opera e fruitore,
“chiamati a loro volta a sviluppare habitus di riflessività critica e non soltanto di empatia e
distanziamento nei confronti dell’oggetto-arte” (Ivi, p. 134). Tale spazio dialogico sarebbe
particolarmente carico di implicazione pedagogiche, rispecchiando il dialogo con se stessi
e con gli altri, tipico di ogni percorso educativo. Inoltre, il lettore/fruitore viene chiamato ad
assumere un ruolo interpretativo attivo e compartecipe, di cui possiede una chiara
consapevolezza.

Il contributo a cui faccio riferimento colloca la mediazione artistica non tanto in un oggetto
artistico, ma in un processo; prendendo un termine da A. Bonito Oliva, si parla, nell’ambito
di un’educazione attraverso l’arte, di Aesthetic operations, diverse a seconda dell’opera o
dell’artista preso in considerazione; quindi ad esempio in ambito educativo possiamo
attuare l’Operazione Duchamp, Operazione Warhol ecc., in cui si sfrutta per l’appunto il
metodo, o meglio il processo messo in pratica da un artista per formare una mentalità
estetica, quanto mai necessaria per combattere la mentalità economica e consumistica.
Così si individua il metodo di un artista e, usandolo, si può anche ottenere come risultato
quello di dirigersi in una direzione totalmente opposta. (Cfr. P. Maset, Aesthetic operations,
in S. Sonvilla Weiss, (e) pedagogy, Visual Knowledge Building, Peter Lang, 2005, pp.59-66)

Il concetto di mediazione quando si parla di arte contemporanea ed educazione risulta
avere un ruolo centrale perché il più delle volte certe creazioni hanno un senso che si
determina proprio in rapporto ad un contesto e a delle situazioni comunicative ben precise.
Si può infatti determinare un senso esplicito che è, possiamo dire, quello letterale e mostrato
dall’opera, poi vi sono i significati impliciti che necessitano di alcune conoscenze
supplementari, e in ultimo l’opera richiede un’azione condotta con degli interlocutori e non
delle verità affermate unilateralmente.

Le opere d’arte contemporanea si augurano di agire sul mondo servendosi dell’azione
dello spettatore; l’azione dell’artista quindi si trasforma in interazione, gli artisti cioè
chiamano gli spettatori a collaborare nella ‘costruzione’ del senso dell’opera per
completarne il significato, che dunque si costruisce in rapporto ad un mondo esterno sul
quale essa getta una sorta di sguardo critico in grado di coinvolgere. La conseguenza per
così dire rischiosa di tale operazione è che se i fruitori non comprendono ciò che vuole dire
l’artista, l’opera non è riuscita, ed è per questo che “un lavoro di mediazione tra l’arte
contemporanea e gli spettatori può diventare necessario”.

L’arte contemporanea è infatti “una forma d’arte la cui intersoggettività forma il substrato
e che assume come tema centrale l’essere-insieme, l’incontro tra osservatore e quadro,
l’elaborazione collettiva del senso”. (N. Bourriaud, Estetica relazionale, Postmedia Books,
Milano, 2010, p. 11). «Nell’arte contemporanea “è proprio la relazione sociale che
costituisce la forma […], non il materiale fisico eventualmente impiegato”. (Ivi, p. 9)

Bourriaud sostiene che un’esposizione d’arte contemporanea sarebbe capace di
produrre quella che lui stesso definisce la civiltà della prossimità, delle zone di
comunicazione che favoriscono spazi e tempi diversi da quelli della vita quotidiana. Questi
concetti si comprendono appieno se si intende la forma come “un incontro durevole che
offre nuove possibilità di vita”, allo stesso modo l’arte attuale dimostra che non vi è forma se
non nell’incontro: “L’individuo quando crede di guardarsi oggettivamente, in fin dei conti
non contempla null’altro che il risultato di perpetue transazioni con la soggettività altrui”.
(Ivi, p. 21).

Il produrre una forma, così, si carica di una forte intenzionalità etica, perché in tale ottica
può anche significare creare incontri possibili, in quanto è la rappresentazione di un
desiderio che, a sua volta, attraverso lo sguardo dello spettatore può portare a nuovi ed
ulteriori sviluppi.

Il co-creare relazioni, infatti, si configura come uno dei principali punti di riferimento della
postmodernità. “L’unica realtà a cui possiamo appellarci non è il nostro dentro, ma il nostro
entrare in contatto con l’altro, con il diverso, è il farsi della relazione l’unico punto di
riferimento possibile nella nostra società post-moderna”. (R.G. Romano, Ciclo di vita e
dinamiche educative nella società postmoderna, Franco Angeli, Milano, 2005, p. 213.)
J. Beyus, I like America
and America likes me,
1974
M. Cattelan:
La nona ora, 1999
M. Cattelan,
Him, 2001
A. Pomodoro, Sfera Grande,
1998
M. Cattelan,
La rivoluzione
siamo noi,
2000
MAURIZIO CATTELAN: tra rivoluzione estetica e sovversione sociale
 «Ha ripiegato su animali impigliati e scheletri. […] […] Dopo gli animali ha
preso in giro se stesso. Eccolo appeso a un attaccapanni con il vestito di
feltro del famoso artista Joseph Beuys».
 «il povero Woytila, colpito da un meteorite su un lungo tappeto rosso. […] Ha
catturato Hitler riducendolo a un povero bambino inerme che prega con gli
occhi gonfi e languidi».
 «L’arte di Cattelan funziona perché davanti ad un suo personaggio non ci
colpisce la forma, ma la psicologia, la sua anima, i suoi pensieri, i suoi
dubbi». (Ivi, p. 103; p. 104)
JOSEPH BEUYS: l’impegno nel sociale
 «[…] parlava di energia e spiritualità, piantava alberi, dormiva con i coyote…
raccontava di essere stato vittima di un incidente aereo in Crimea, poi
salvato dai tartari locali che lo avevano coperto di grasso e avvolto nel feltro,
due materiali che avranno un ruolo fondamentale nelle sue opere». (Ivi, p.
70).
ARNALDO POMODORO: lo sfogo urbanistico
 «[…] se per sfogo urbanistico si intende una specie di acne artistica che si
manifesta in un grande numero di piazze e viali d’Italia […] Forse Pomodoro
piace perché ci ricorda sempre qualcosa, che siano le antiche civiltà o i
caduti, di qualsiasi tipo […]» (Ivi, p. 133)
L. Freud, Riflesso con
due bambini, 1965
R. Botero, Ballerina
In movimento, 1988
R. Guttuso,
Crocefissione, 1944
Mimmo Paladino,
Medusa, 1984
LUCIAN FREUD: non a tutti piace fare la rivoluzione
 «Le pennellate, con le quali costruisce la creta umana dei suoi soggetti, sono come i
minuti che si accumulano su di noi giorno dopo giorno […] in ogni suo quadro
Lucien Freud ci ricorda che […] s’invecchia […]». (Ivi, pp. 45-46)
MIMMO PALADINO, ENZO CUCCHI, SANDRO CHIA…: la transavanguardia
 «Mentre il linguaggio creativo dell’arte povera non ha mia cessato di influenzare gli
artisti di mezzo mondo, la Transavanguardia è stata una brutta influenza di stagione
[…] incapace di scrollarsi di dosso il peso della storia dell’arte passata». (Ivi, p.114).
RENATO GUTTUSO: il pittore ufficiale della corte del Pci
«La Crocefissione del 1941 mandò su tutte le furie il vaticano perché raffigurava Maria
Maddalena e la Madonna nude, intente a pulire il corpo di Cristo sulla croce.
[…] Il suo genuino bisogno di descrivere, più che di rappresentare i dintorni della realtà»
(Ivi, p. 137-138)
BOTERO: ci fa gonfiare, gonfiare, ma non ci fa scoppiare!
«Le sue figure, non grasse ma gonfie, danno pace e tranquillità, ispirano simpatia come
un tempo l’omino Michelin […] Di Botero invece ricordiamo tutto quello che si vede,
nulla, se mai ci fosse, di ciò che rappresenta»
(Ivi, p. 127-128)
Alcuni artisti di
Fluxus
B. Vautier,
W. Vostell
Daniel Spoerri
DANIEL SPOERRI: i ristoranti e le cene con gli amici si trasformano
nel suo atelier!
«Negli anni sessanta poteva succedere di vedere appese alle
pareti di una galleria d’arte tavole apparecchiate con avanzi di
cibo appiccicati sopra».
«Spoerri faceva parte del famoso gruppo di Fluxus, ai cui
esponenti piaceva improvvisare le proprie opere lasciando che
tutto «fluisse», da qui il nome «fluxus».
L’EAST VILLAGE
«Gli anni Ottanta si avviano alla fine […] e gli artisti invece che in
movimenti e gruppi preferiscono radunarsi dentro un nuovo
quartiere: L’East Village»
«Così nel giugno del 1981 aprì la Fun Gallery, dove iniziarono ad
esporre graffitari doc come Kenny Scharf, Keith Haring e Samo,
destinato a diventare una celebrità con il nome di Basquiat».
M. Basquiait
Kate Haring
Takashi Murakami
G. Richter,
Eule, 1992
G. Richter,
Confrontation,
2, 1988
KATE HARING: un dolce tristissimo fumetto
«[…] Nessuna parola, nessuna frase, solo tanti geroglifici che anche gli analfabeti
potevano contemplare senza il timore di ritrovarsi poi a saper leggere».

«[…] i graffiti realizzati sui vagoni della metropolitana newyorkese. Immediatamente sente il
destino di immergersi negli intestini della città e inventa il suo linguaggio di figurine,
cagnetti e dischi volanti». (Ivi, pp. 91-92)
MURAKAMI: il super-flat

«[…] la popolarità dei graffiti di Haring, dopo quasi vent’anni, sembrano trovare la loro
reincarnazione nel lavoro di Murakami. […] Super-flat […] di cosa stiamo parlando? Un
orologio? Un cellulare? […] Superflat è una società dove arte popolare e arte colta si
mischiano e si confondono, anzi non vengono quasi mai divise».

I personaggi […] sono esseri ambigui, a metà tra bestie mitologiche e animali domestici,
eroi della fanstascienza. […]fluttuano […] in questo universo irreale, a metà tra programma
televisivo per bambini e fantascienza. […] Il pubblico di Murakami è costituito da […]
ragazzi che divorano fumetti e comunicano solo con sms […]. (Ivi, pp. 97-98)
GERARD RICHTER: l’universo delle immagini

«Ha capito che tutto quello che ci circonda sarebbe diventato parte di una realtà parallela,
il mondo delle immagini e delle fotografie».

Richter realizza i quadri astratti con molteplici tonalità di colore, mentre quelli figurativi
hanno toni grigi».

«vi accorgerete della sua grandezza e di quanto sia difficile oggi, rimbambiti da jpg e mms
e dei telefonini, fare un quadro, bello o brutto che sia, che dica verità sulla vita.
(Ivi, p. 49, p. 52)
L’ARTE CONTEMPORANEA E I
NUOVI MEDIA

C’è inoltre da considerare “la medialità come legittimo campo di esercizio
della creatività e della fruizione estetica: la medialità costituisce infatti l’ultima
dilatazione del territorio estetico”. (Ivi, p. 143)

I media interattivi, e con essi l’idea di spazio virtuale o di cyberspazio,
hanno infatti contribuito ad abbattere la distanza della contemplazione,
propria dell’esperienza estetica tradizionalmente intesa, per favorire una
forma di immersione ‘colpevole’ di provocare due atteggiamenti
contrapposti: da una parte la perdita di orientamento, dall’altra lo sviluppo di
un senso di onnipotenza, favorito dalla sensazione di vivere in un tempo
continuo, di ‘infinita prossimità’. I confini tra vivente e non vivente tendono a
sfumare, con la conseguenza che è ancora più difficile per il soggetto
pronunciare giudizi, anche per la confusione tra sentire e capire.

Le nuove tecnologie hanno dunque lanciato una nuova indagine sulla
funzione delle immagini, si veda ad esempio la Net art che sfrutta Internet
come materiale artistico. La teoria dell’Art education postmoderna si basa
sull’utilizzo di software digitali che rendono più semplice l’uso delle immagini,
che spesso sono reinventate a partire da altre.

La conseguenza è che lo spettatore non
cerca più il dialogo con le immagini offerte
dai diversi media, ma si abbandona ad esse,
e tale fenomeno sembra che sia stato messo
in evidenza proprio dalla video-arte, ovvero:

“l’uso artistico del video, le cui immagini
spesso evocano quegli effetti di ‘deriva’ e di
‘dissoluzione’, di fluidità che richiamano
l’operazione di sfaldamento di senso e di
struttura messo in atto dalla neo-televisione”.
(A. Piromallo Gambardella, Al di là dello sguardo di medusa ovvero al
di là del reale, in A. Piromallo Gambardella (a cura di), Luoghi
dell’apparenza. Mass media e formazione del sapere, cit., p. 64).

Con Dallari, possiamo individuare uno stretto rapporto tra il sapere
narrativo e le nuove tecnologie, quando per esempio afferma che
“il sapere narrativo contemporaneo è senz’altro rappresentato dal
mondo della multimedialità e in particolare della comunicazione
massmediologica”, e definisce gli artisti, proprio per la capacità
che hanno di mediare tra lo spazio reale e l’immaginario, i tecnici
della comunicazione di massa.

Il pedagogista si concentra sull’importanza che ha per il bambino
assumere un occhio critico, che consisterebbe, rapportato
all’educazione estetica, nella volontà di ridefinire i significati di
un’opera in base al contesto e al significato.

Nella società odierna il bambino è dunque immerso in una grande
quantità di stimoli visivi di natura massmediologica e di fronte
all’opera d’arte l’educatore dovrebbe prima di tutto invitare
l’educando a descrivere ciò che vede, così da offrire la possibilità
di innescare percorsi metaforici e interpretativi propri di un
narratore. (M. Dallari , a cura di, Guardare intorno, La Nuova Italia,
Scandicci, 1986).

«La videoarte, in Italia così come in tutto il resto del
mondo, è conosciuta nella forma della
videoinstallazione: una struttura fatta di monitor e
videoproiezioni all’interno di uno spazio museale,
di una galleria o anche di un luogo meno
convenzionale

Le immagini, frazionate nello spazio, accolgono lo
spettatore in un ambiente che può avere anche
componenti tecnologicamente interattive […]
con le quali chi guarda deve o può intraprendere
delle relazioni. (A. Amaducci, Banda anomala,
Lindau, Torino, 2003)

La data di nascita ufficiale della videoarte è il
1963, quando Nam June Paik che realizza la
mostra 13 Distorted TV Sets presso la galleria
Wuppertall in Germania.

In Germania Vostell adopera carcasse di televisori… in Italia
Fabrizio Plessi nel 1974 realizza il video Travel, legato ad un’attività
artistica performativa… è l’epoca in cui gli artisti usano se stessi
come opera d’arte in movimento (Si veda l’attività di Vito
Acconci).

Theo Eshetu, Monica Pietrazzi ecc.: il corpo vissuto diventa «luogo
dell’azione artistica da un lato, mercificazione del mercato
dell’audiovisivo dall’altro, e ancora il culto del corpo, eccessivo ed
estetizzato oltre ogni misura». (Ivi, p. 121).

G. Barberi e De Castri riprendono le sculture installazioni di un altro
artista del video: «Claudio Parmiggiani. Una scultura (1991)».

I video degli artisti spesso sono una proposta di una televisione
migliore […] sfruttano «l’idea di flusso, di magma suggerito
dall’analogico […]e il calcolo discreto del digitale […] la grana
dell’immagine spappola le forme e i colori diventano protagonisti
di uno stadio di realtà differente, magico e misterioso (Ivi, p. 133134).
J. Naum Paik, Aunt and uncle, 1986 J. Naum Paik, TV Buddha, 1974
F. Plessi, Water, 1976
Monica Petracci, Appunti
per un esserci, 2006

Cfr. anche A. Tursi, Sull’arte digitale, in D. Parmigiani (a cura di),
Tecnologie per la didattica, Franco Angeli, Milano, 2004, pp. 60-75;
A.M. Repetto, L’interattività del video: percorsi di riflessione, in D.
Parmigiani (a cura di), Tecnologie per la didattica, Franco Angeli,
Milano, 2004, pp. 84-104, dove si approfondisce la questione del
rapporto tra educazione estetica e nuove tecnologie, mettendo in
evidenza come il simultaneo impiego di immagini, musica,
animazione e testi aumenti il coinvolgimento personale del fruitore,
che risponde agli stimoli del video con delle risposte irriflesse del
proprio corpo.

Quello che ci interessa ai fini del nostro discorso è la necessità di
porre attenzione all’alterazione dei vincoli relazionali tra uomo e
interfaccia elettronico. A tal proposito D. De Kerchove, ne La pelle
della cultura, ha affermato la presenza di risposte neuromuscolari
del fruitore di fronte al video, che dunque intrattiene un vero e
proprio dialogo comunicativo con l’utente. Tuttavia il montaggio
del video, essendo imposto da un ente esterno, esercita un forte
potere persuasivo sull’utente, è come se ne catturasse lo sguardo
sfruttando un canale di comunicazione visiva.

“Il bambino di oggi, nella società della rete, viene continuamente stimolato dai
media a costruire percorsi soggettivi. La sua curiosità, se non sorretta da criteri
selettivi, lo mette in condizione di navigare a vuoto, di essere vittima di nuove
seduzioni di cui non è consapevole”. (C. Volpi (a cura di), I rischi dell’educazione,
Armando, Roma, 2003, p. 9).

In particolare, due sono gli elementi che contribuiscono a formare l’identità
dell’uomo contemporaneo: Internet, che soddisfa l’esigenza “di comunicare,
sempre e da qualunque luogo”, e il consumo, anche quest’ultimo fattore, infatti,
può essere usato per comunicare agli altri il proprio modo di essere.

Internet e il consumo esprimono e soddisfano la ‘voglia di comunità’, l’esigenza di
condividere le stesse esperienze. Se dunque da una parte la mediazione
tecnologica rende possibile e crea nuove forme di socialità, dall’altra “la funzione
aggregativa della rete […] segnala una certa debolezza dell’area relazionale […]”.
(M.G. Simone, Nuovi media, consumo sociale e identità personale, in P. Limone (a
cura di), Nuovi media e formazione, cit., p. 241.)

Si veda Z. Bauman, Conversazioni sull’educazione, Erickson, Trento, 2012, p. 116,
dove, nel tentativo di dimostrare il rapporto tra il consumismo e l’indebolimento dei
legami interumani, l’Autore sostiene che “svuotare il portafoglio o saccheggiare la
propria carta di credito prende il posto dell’abbandono e del sacrificio di sé che la
responsabilità dell’Altro richiede”.
Rirkrirt Tiravanija

Rirkrirt Tiravanija: il ristorarte

«Tiravanija decise di rispolverare lo spirito di Fluxus.
Organizzò una mostra dove l’opera d’arte non era né
una scultura né un quadro e nemmeno avanzi di
cena, ma l’artista medesimo impegnato ogni giorno
a cucinare per i visitatori che seduti, impegnati a
divorare i fusilli asiatici, diventavano sculture viventi
[…]».

«Anche l’artista thailandese vede nel cibo, nella
cucina e nel dividere un buon pasto con gli spettatori
un modo per celebrare le cose e il tempo della
quotidianità […] ci offre l’occasione di goderci la vita
così com’è, in modo artistico, trasformando momenti
comuni in momenti unici, che è poi quello che
un’opera d’arte che si rispetti dovrebbe essere in
grado di fare». (Ivi, p. 120, p. 121)
LA COMUNITÀ ESTETICA

Ora l’aspetto interessante è che in una società come la nostra, caratterizzata da un
dominio di esteticità diffusa, sarebbe proprio il concetto di forma a costituire comunità, a
consentire il passaggio dall’estetica all’etica. La tendenza a valorizzare tutti quegli aspetti
del quotidiano che fanno leva sull’apparenza contribuisce, infatti, a creare un ideale
comunitario proprio veicolato dalla dimensione estetica.

I media dunque hanno fatto sì che la ‘massa’ possa definire un orizzonte comune di
senso, di gusto, di sensibilità e la dimensione estetica allora diventa sinonimo di emozione
condivisa, di quel ‘sentire comune’ che fa leva sull’immaginario, sull’emotività, che dando
modo di considerare la postmodernità come cultura della forma.

Z. Bauman parla della “voglia di comunità”, appunto, del soggetto postmoderno. La
comunità estetica, secondo il sociologo, sarebbe quella più adatta a soddisfare le esigenze
dell’identità dell’uomo contemporaneo, in quanto consente di costruire un’identità per così
dire flessibile: “la possibilità di disfarsi di un’identità nel momento in cui cessa di soddisfare o
perde attrattiva rispetto alle altre e più seducenti identità disponibili è più importante che
non ‘il realismo’ dell’identità attualmente ricercata o momentaneamente acquistata e
goduta”. (Z. Bauman, Voglia di comunità, trad. it., Laterza, Roma, 2001, p. 63).

La funzione di guida in tale comunità sembra essere assolta
dall’industria dello spettacolo, con a capo dei leader che sono
personaggi pubblici senza alcuna autorità morale. Nella comunità
estetica emergono i divi, i personaggi famosi che si mostrano
carismatici quanto pronti a scomparire qualora non rientrino più nei
canoni delle mode e delle tendenze dominanti. “Il trucco attuato
dalle comunità estetiche fondate sugli idoli consiste nel trasformare
la ‘comunità’ da temuto nemico della libertà di scelta individuale
in dimostrazione pratica e riconfermata (reale o illusoria)
dell’autonomia individuale”. (Ivi, p. 69).

Risulta spontaneo collegare tali considerazioni di Bauman ad
alcune opere d’arte contemporanea, basti pensare ai già citati
ritratti di Warhol, o ai simulacri di Koons, che sembrano mettere il
fruitore davanti a quella che è l’essenza della comunità estetica.
Quest’ultimo artista, attraverso le sue opere ‘banali’, è come se ci
suggerisse di appropriarci degli eroi che la nostra società produce.

Su questo aspetto si veda anche F. De Bartolomeis, L’esperienza
dell’arte, cit., p. 284, dove si afferma che “la banalizzazione […]
stimola l’attenzione a concentrarsi su cose che hanno grande
peso, ci determinano, ma che pure lasciamo scorrere indifferenti
nella visione e nell’uso”.
Jeff Koons:
Jeff and Ilona,
1991
Jeff Koons:
Micheal Jackson
and Bubbles,
1991
Jeff Koons:
Buster Keaton,
1998
Jeff Koons, Ushering
In banality, 1988
Jeff Koons:
Balloon Dog, 1994
JEFF KOONS: La banalità si trasforma in estasi del
consumo
 «Koons ha pensato che forse sarebbe stato
possibile trasformare in capolavori cose comuni e
insignificanti. […] Come? Traducendo in materiali
preziosi e sofisticati materiali poveri e comuni, ad
esempio la plastica. […] Un esempio di questo è
Rabbit, dove l’artista vede una forma classica che
si nasconde all’occhio del consumatore comune»

«Se anche il corpo è ormai interamente
mercificato, si comprende allora il significato del
matrimonio di Jeff Koons con Ilona Staller».
(Ivi, p. 88; 89)

Koons, insomma, ci mostra come il compito
più difficile dell’artista oggi è quello di
mediare tra la realtà di essere un piccolo sé e
il sistema massmediale che ci impone di
crescere, di raggiungere necessariamente il
successo.

Da questo punto di vista, il sistema
massmediale sembra restituirci la nostra
immagine, e Koons ci vuole comunicare che
la più grande opera d’arte siamo noi stessi, e
lo fa esponendo pubblicità ed icone kitsch,
confermando il fatto che gli oggetti sono
vettori del desiderio e contribuiscono a
forgiare l’identità dell’individuo.

“Jeff Koons celebra la felicità e l’amore per l’individuo
attraverso l’immenso universo degli oggetti, trasformando
la banalità in una specie di estasi del consumo”. (Cfr. F.
Bonami, Lo sapevo fare anch’io. Perché l’arte
contemporanea è davvero arte, Mondadori, Milano, 2007,
p. 87).

Koons, insomma, ci mostra come il compito più difficile
dell’artista oggi è quello di mediare tra la realtà di essere
un piccolo sé e il sistema massmediale che ci impone di
crescere, di raggiungere necessariamente il successo. Da
questo punto di vista, il sistema massmediale sembra
restituirci la nostra immagine, e Koons ci vuole comunicare
che la più grande opera d’arte siamo noi stessi, e lo fa
esponendo pubblicità ed icone kitsch, confermando il
fatto che gli oggetti sono vettori del desiderio e
contribuiscono a forgiare l’identità dell’individuo.

In realtà Koons aveva la speranza che attraverso le sue opere i
fruitori diventassero più sicuri del proprio giudizio e del proprio
gusto. Come sostiene A. Danto, nella serie Banality il messaggio è
“sii te stesso, non pretendere di essere un altro superiore a te stesso.
Il tuo gusto va bene così com’è”. (A. Danto, Banale e celebrativa;
l’arte di J. Koons, in E. Molinaro, G. Romano, Retrospettivamente,
Postmedia Books, Milano, 2007.)

Ritornando all’analisi di Bauman, per divi possiamo intendere, non
solo i personaggi del mondo dello spettacolo, ma qualsiasi
problematica o aspetto fondato sull’apparenza, come il peso
forma, o ogni evento mondano e occasionale. “Qualunque sia il
loro asse portante, il tratto comune a tutte le comunità estetiche è
la natura superficiale e frivola, nonché transitoria, dei legami che si
instaurano tra i rispettivi membri”. Il carattere per così dire negativo
che accomuna le comunità estetiche è per Bauman la volontà di
non creare legami stabili, che implicherebbero un forte senso di
responsabilità etica.

Sembra dunque che il compito dell’educazione estetica, nel XXI
secolo, sia proprio quello di tentare di sostituire all’idolo l’icona, in
quanto strumento di rinvio, di rimando all’altro da sé, e pertanto
capace di generare una molteplicità di punti di vista. Per resistere
alla seduzione degli idoli ci vogliono le icone e compito
dell’educatore “è educare a uno ‘sguardo’ non idolatrico ma
iconico […]”; (A. Nanni, Una nuova paideia: prospettive educative
per il XXI secolo, Bologna, EMI, 2000, p. 152) se possiamo definire la
seduzione idolatrica devastante, quella iconologica al contrario è
educativa, perché si dimostra capace di produrre uno sguardo
che ha voglia ed è capace di trascendere il dato immediato.

“La nostra società dei consumi conosce bene la potenza
dell’aisthesis pathos e la utilizza per rendere sempre più appetibili i
propri prodotti, fino alla più smaccata seduzione”, (E. Bottero, Il
sapere didattico, Clueb, Bologna, 2003, p. 249)

[…] pertanto, secondo Bottero, il didatta dovrebbe sfruttare questo
pathos estetico per infondere nell’educando il senso di stupore
verso
l’oggetto
da
conoscere
o
per
coinvolgerlo
nell’apprendimento di aspetti eticamente rilevanti. (E. Bottero, Il
sapere didattico, Clueb, Bologna, 2003, p. 249).
INCONTRI DIDATTICI ISPIRATI ALLA
PERFORMANCE

Rivoltella parla dell’azione didattica come di una performance:
“la didattica è tecnologia della performance […] e si può
considerare allo stesso titolo del teatro come una tecnologia dello
sguardo”. (P.C. Rivoltella, Neurodidattica, p. 159).

Cfr. anche R. Barilli, Il ciclo del post-moderno, Milano, Feltrinelli,
1987, dove si afferma che tutte le arti tendono alla performance,
poiché in particolare l’arte visiva negli ultimi anni ha visto
“l’abbandono del quadro, o più in generale della superficie, e
l’invasione dello spazio e del tempo reali” (Ivi, p. 79). L’interesse per
il movimento reale offerto dall’energia muscolare del corpo trova
come alleate paradossalmente proprio le tecnologie, come il film,
il videonastro, che permettono di registrare fedelmente le
performance.

Un utile contributo in tal senso si può ricavare, dal concetto di
performatività, intesa come quella serie di comportamenti sociali
che costituiscono l’identità di ciascuno, e performance,
rappresentata, invece, dai comportamenti inscenati e costruiti
liberamente da un individuo.

Quest’ultimo concetto ci ha permesso di analizzare il modo un cui
alcune video-installazioni sono state percepite o meglio rivissute nei
contesti didattici.

Tali incontri estetici sono stati capaci di generare nei ragazzi delle
esperienze che essi stessi hanno definito immediate, che li ha
coinvolti in una sorta di ‘sentire totale’. La sfida didattica dell’arte
contemporanea nell’età postmoderna vede “da una parte
l’opera non concepita come oggetto ma come una forma di
relazione sociale, e dall’altra la formazione concepita come
autocostruzione dell’individuo”.
(Cfr. H. Illeris, Il corpo nell’incontro didattico con l’arte contemporanea. Processi di formazione
estetica come atti performativi, in www.humanamente.eu/PDF/Issue14_Paper_Illeris.pdf,
accesso web 20/09/2012).

L’arte contemporanea utilizza la performance, ed è
questo, altresì, che dev’essere sfruttato, per così dire anche
in sede didattica, alimentando un diverso concetto di
corporeità anche nell’incontro tra l’opera d’arte e lo
studente.

Corpo contemplativo: nelle lezioni tradizionali al museo, ci si
avvaleva di un corpo contemplativo, quello tipico dello
studente che, come un qualunque visitatore, passeggia e
contempla con ammirazione ma piuttosto passivamente le
varie opere d’arte…

Corpo che apprende: …a partire dagli anni ’70 già si parla
di un corpo che apprende, in seguito a quelle brevi lezioni
frontali che gli insegnanti impartiscono nei musei di fronte
alle opere prese a riferimento. In questo secondo caso il
corpo costituisce il ricevitore e riproduttore del sapere
trasmesso dall’insegnante, ma è sveglio e attento.

Corpo pseudo-produttivo: che accetta le sfide che l’arte
contemporanea lancia alla stessa didattica dell’arte. Sotto
quest’ottica l’opera d’arte instaura una relazione con il
corpo dello spettatore, dando adito ad un insegnamento
in cui è lo studente ad essere il protagonista e dove l’opera
contribuisce a rafforzare il senso di identità personale.
L’opera d’arte consiste dunque sempre di più nelle relazioni
sociali che è in grado di instaurare tra artisti, ragazzi,
materiali e lavoro. Le installazioni, e più in generale la video
arte, consentono agli studenti dl fare esperienza di un
corpo diverso da quello posizionato in un museo o
dall’insegnante, un corpo che diventa tutt’uno con
l’esperienza.

Ora, la mediazione attraverso l’arte contemporanea può
andare oltre il classico concetto di interpretazione e
concentrarsi su lavori produttivi e relazioni corporee tra arte
e pubblico. Le performance degli artisti, dunque, possono
costituire un fattore di ispirazione per come organizzare
incontri didattici tra coinvolgimento e riflessione.
IL CONTESTO DIDATTICO DEL
LABORATORIO

F. Cambi afferma che “nel Novecento il panorama estetico (e
artistico) muta completamente. Si va alla demolizione della forma.
Viene rotta la sua unità e declassata la sua funzione. Le forme sono
infrante: dipendono dai punti di vista, dalla tipologia percettiva,
dalla struttura della mente”. (F. Cambi, Il valore formativo dell’arte
contemporanea, in “Rassegna di pedagogia”, n. 3-4, 2005, p. 247.

Da qui la necessità che la scuola possa assumersi il compito di
educare all’arte di oggi, diversa da quella del passato in quanto
richiede al fruitore di vedere, analizzare e comprendere per potersi
aprire al nuovo che caratterizza il mondo odierno, che “ci
raggiunge da ogni parte e che ci costituisce come soggetti
storici”.

Cambi a tal proposito, con l’intento di applicare sul piano
didattico
quanto
esposto
in
teoria,
oltre
che
dell’inserimento della storia dell’arte contemporanea nei
curricoli, parla del fatto che “nella scuola si può e si deve
pensare un laboratorio (anche extracurricolare) che si
disponga su queste frontiere. Un laboratorio che ne
sperimenti i linguaggi, ne ‘analizzi’ e ‘copi’ le forme, che
metta i giovani in condizione di stimolare la propria
creatività, con percorsi guidati da un mondo di esperti in
modo da entrare nel ‘magma’ dell’arte contemporanea”.
(Ivi, p. 251).

Un laboratorio speciale è proprio il museo, che può e anzi
dovrebbe collaborare con la scuola: Cambi definisce
infatti il museo ‘un cantiere di laboratori’, che inquadra
l’opera in uno spazio ideale, facilitandone la comprensione
riflessiva, stimolata dai valori estetici e dunque espressivi e
formali, e una lettura aperta alle svariate interpretazioni,
poiché l’arte contemporanea è una sorta di specchio
della nostra società ‘complessa’.

«Il museo è, ancora più, un modo di vedere.
[…] L’arte contemporanea indica al visitatore
una direzione da seguire […] suggerendo
itinerari e significati che vengono modificati e
selezionati nell’incontro con il pubblico. J.M.
Labelle parla di reciprocità educativa:
conduzione semiotica a due sensi. (M.
Squillaciotti, Laborarte, cit., p. 66).

«L’attività di laboratorio è intesa come
esperienza aggiuntiva e diversifica rispetto
alla visita guidata e ruota sulla convinzione
che la conoscenza abbia anche un carattere
pratico-costruttivo» (Ivi, p. 85)

Compito
dell’educatore
è
programmare
l’incontro con le opere d’arte, favorire la
contemplazione e il silenzio, senza suggerire
l’interpretazione. È importante “mettere il
bambino davanti al fenomeno, un’apparizione
che provoca uno scompenso, una rottura del
flusso ordinario di percezione”.

Il laboratorio, pertanto, non va tanto intesto come
spazio fisico, in quanto potrebbe iniziare in un
luogo e finire in un altro, ma come un
atteggiamento mentale che dall’incontro con
l’opera d’arte sviluppi la ‘terza dimensione’,
quello che Dallari definisce il commento, con il
quale non si intende solo un discorso orale, ma
anche appunti visivi o ispirati ad altri linguaggi
artistici. (M. Dallari, Un modo di vedere le cose. Arte e stupore infantile, in
http://www.irre.toscana.it/scuolaebeniculturali/.../contributi/dallari.htm,
accesso web: 3/07/2012).
…E PER CONCLUDERE
P. Picasso,
Guernica, 1937

Ogni volta che scoppia una guerra nel
mondo dell’arte si torna a discutere di
Guernica, ultima capacità dell’arte di essere
ancora politica e di non sottomettersi alle
logiche commerciali […]. (Ivi, p. 146, p. 148)

«Chi afferma che l’arte, ossessionata solo dal
mercato, non ha più impatto sulla società,
s’informi meglio e più che altro si chieda se non è
la società, superficialmente coinvolta con il
mondo, a non avere più impatto sull’arte». (p.
148)

«Molto popolare oggi è il brutto, che ha da
sempre avuto il suo seguito, ma che si questi tempi
sembra diventato il nuovo bello. […] spesso non ci
si accorge che si infiltra nel vivere comune» (Ivi, p.
153)

«Spesso dimentichiamo la guerra che è necessario
combattere contro il letargo sociale e culturale, la
stagnazione delle idee, l’avidità del brutto, tutti
batteri che ammalano il futuro» (Ivi, p. 156)

Quindi, per concludere, il creare relazioni
estetiche e sperimentali tra allievo e l’arte
contemporanea può significare, nello stesso
tempo, favorire la comprensione del mondo
contemporaneo e «risvegliare l’esperienza»

Su questo aspetto cfr. anche M. Senaldi, Art
as experience e l’arte contemporanea, in L.
Russo (a cura di), L’esperienza estetica. A
partire da John Dewey, cit., pp. 49-70, in cui
l’Autore sostiene che l’arte contemporanea,
focalizzandosi sul processo e non solo sul
prodotto, realizza il concetto deweyeano di
arte come esperienza.
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Presentazione power point lezione dott.sa Goffi