è ABRUZZO appennino 02/07 rivista trimestrale dell’appennino abruzzese spedizione in abbonamento postale La Pasqua sulmonese Voci, immagini e retroscena di un evento Protagonisti. L’oro e l’argento. Le meraviglie dei giovani orafi Appuntamenti. Freedom trail: tra memoria e futuro Percorsi. Canto di primavera. Una comunità in festa Sport e natura. Trekking per gli appassionati. Tutti gli appuntamenti dell’agenda di stagione “Ben venga maggio e’l gonfalon selvaggio! Ben venga primavera che vuol l’uomo s’innamori, e voi, donzelle, a schiera con li vostri amadori, che di rose e di fiori vi fate belle il maggio, venite alla frescura delli verdi arboscelli. Ogni bella è sicura fra tanti damigelli, ché le fiere e gli uccelli ardon d’amore il maggio”. da Ben venga maggio di Angelo Poliziano sommario abruzzoèappennino primavera Abruzzoèappennino 4 Editoriale è REGIONE ABRUZZO Link Storia di copertina 6 La Pasqua sulmonese Ritmi, volti e immagini di una festa popolare di Antonio Di Fonso ABRUZZO appennino rivista trimestrale dell’appennino abruzzese spedizione in abbonamento postale numero 2 anno 2007 Registrazione Tribunale di Sulmona n. 3 del 13-12-2006 I retroscena della Settimana Santa Dietro le quinte di un evento di Riziero Zaccagnini, Luca Del Monaco 8 Ben venga maggio 2 Vetrina abruzzese 12 Una storia d’amore 16 Orafi a concorso 18 La presentosa 19 Viaggio al centro della terra 20 Land Art 21 Manganelli e Cocullo 24 Himalaya l’infanzia di un capo 28 Scenari Carte escursionistiche Il manifesto per la qualità turistica Direttore Responsabile Antonio Di Fonso Ricette 28 24, 26 13 di Antonio Carrara Redazione Massimo Colangelo Luca Del Monaco Riziero Zaccagnini Appuntamenti Agenda di stagione Il sentiero della libertà email [email protected] Progetto Editoriale Massimo Colangelo 14 Freedom trail Ecotur Comunità Montana Peligna Progetto grafico e impaginazione Andrea Padovani. ZOEDESIGN Il turismo ambientale guarda all’Europa 14 14 Igioland La nuova città del cinema Teatro Feste e tradizioni Arte Musica Altri eventi Lo scaffale Percorsi Ufficio Stampa Via Debeli 20 Sulmona 67039 (AQ) tel. 0864.31199 fax 0864.206420 email [email protected] 20 in un museo all’aperto la storia di un paesaggio naturale Il parco della terra di F. Galadini, E. Ceccaroni 22 Riti e legende di una comunità in festa Canto di primavera di A. F. Grassi, A.T. Neri Fotografia Luca Del Monaco Hanno collaborato Franco Avallone Antonio Carrara Katia Masci Fabrizio Galadini Emanuela Ceccaroni 015 L’oro e l’argento. Giovani orafi d’Abruzzo: un mestiere che diventa arte iprotagonisti 025 Colori e sapori «lCome una ettera d’amore». Dolci e tradizioni di una stagione di Katia Masci abruzzoeappennino.com Sviluppo sul web Federico Bonasia stampa PUBLISH pre&stampa Sambuceto (CH) Iniziativa comunitaria LEADER PLUS PSL e GAL ABRUZZO ITALICO 27 Sport e natura. Monte Amaro: il trekking per gli appassionati Dalla faggeta alle praterie di altitudiine 029 L’arte dell’arrampicata: i Gechi, un’associaizone no profit per uno sport giovane 28 28 29 30 31 31 4 L’editoriale Arrivano le feste di primavera, si riaprono i balconi e si torna sulla strada, come si diceva una volta, in molti paesi del comprensorio si inaugura la stagione delle celebrazioni religiose, il sacro che si sovrappone al culto pagano – Cocullo e il rito dei serpari del primo giovedì del mese di maggio, per fare un esempio -, oppure si allestiscono i preparativi per celebrare altri riti, quelli del cibo e dei frutti della terra, addirittura sconfinando verso il territorio di Rocca di Mezzo, dove per la sagra del narciso si adornano i carri e si approntano scenografie, in un tripudio dedicato al fiore quanto mai simbolico e rappresentativo di questi tempi. www.abruzzoeappennino.com Arrivano i giorni della Pasqua, la festa regina, rappresentazione religiosa e scenografica itinerante, portatrice sana di una teatralità spontanea, accolta nei luoghi più suggestivi del centro storico di Sulmona, trionfante nelle tradizioni di Lanciano e Chieti, rievocata comunque in ogni borgo e comunità con autentica partecipazione e senso di appartenenza. Il paesaggio, i boschi e i sentieri che s’inerpicano verso le montagne tornano ad essere frequentati alla fine dell’inverno – anche se per la verità la stagione fredda non è stata cosi incombente quest’anno: quindi, arrampicate e trekking sono di nuovo a portata di mano e di gamba, a disposizione dei tanti che vogliono ritemprarsi all’aria aperta. Ma il tempo è propizio anche per altri percorsi, come quello del Freedom Trail in cui memoria e contemporaneità rivivono sulle pendici e sui sentieri dalla bellezza mai scontata momenti di un passato e una storia che meritano attenzione e riconoscimento, perché troppo spesso si tende a dimenticare e a rimuovere; oppure in questi giorni si colgono anche con maggiore attenzione i buoni propositi, le esperienze fresche e volenterose, come il racconto delle esperienze di un gruppo di giovani artigiani, i quali hanno deciso di investire sul proprio talento per provare a costruirsi un futuro: un modo tutto personale, in fondo, di celebrare la stagione della primavera, cesellando pietre preziose e gioielli. Tracce e segnali di altra natura li lasciamo alla curiosità dei lettori. Ma la vera festa, al di là dei percorsi e delle suggestioni che vi proponiamo nel numero di Abruzzo & Appennino che state leggendo, oltre i suggerimenti guidati degli articoli e le segnalazioni di eventi che abbiamo calendarizzato nell’agenda di stagione, sta soprattutto negli occhi e nella mente di chi voglia scoprire semplicemente guardandosi intorno i suoni e le immagini, i contorni e le prospettive di una terra che ancora una volta rinasce, letteralmente rinasce, a nuova vita: perché almeno nelle stagioni del Tempo non ci sono inganni né mistificazioni: i fiori sono fiori, i frutti sono frutti e le promesse il più delle volte mantenute. 5 di Antonio Di Fonso ph. Luca Del Monaco La Pasqua sulmonese Ritmi, volti e immagini di una festa popolare La Pasqua sulmonese è un evento atteso tutto l’anno, una rappresentazione teatrale collettiva, una messinscena di volti, processioni, passi e cori che prendono vita nelle piazze e nelle strade, negli scorci più suggestivi della città. La Pasqua sulmonese ha i tempi e le cadenze antiche della processione del venerdi santo: nell’attimo esatto in cui si aprono le porte della chiesa della SS Trinità, quando cominciano a risuonare le note di Chopin e si muovono ondeggiando i costumi rossi dei trinitari e incedono lentamente i primi fanali, tutto ha inizio. 6 7 E tutto si ripete, come da copione, con le stesse geometrie, con gli identici gesti, le identiche modalità, secondo le prescrizioni di statuti antichi e secolari: sulla base delle regole codificate si predispone il corteo processionale, i due capoprocessionieri ad aprire la strada al Quadrato scorta del Tronco, poi a due a due i fanali fino ad arrivare al Coro che precede i simulacri del Cristo morto e della Madonna Addolorata e, a chiudere, il cappellano con le massime cariche dell’arcisodalizio. Proprio come avvenne la sera del 13 aprile 1827, prima data documentata della rappresentazione. Quindi, si parte: lungo le strade del centro si snoda la processione dei Trinitari, l’arciconfraternita depositaria del rito del Venerdi Santo, caracollando con il suo ritmo particolare, lo struscio, fino ai luoghi simbolici della città, fino alla piazza Maggiore, già Garibaldi, dove avviene lo scambio (secondo un accordo che risale al 1961), la cessione di sovranità temporanea, per cosi dire, allorquando gli arredi processionali cambiano colore, passano dal rosso dei Trinitari al verde dei Lauretani, l’altra Confraternita che organizza invece la Madonna che scappa, la domenica di Pasqua. A questo punto la processione, s’inoltra nei quartieri lauretani, risplende dei bagliori delle luminarie di piazza della Tomba, s’intrufola tra il dedalo di vicoli intorno a Porta Napoli. Finalmente, riprende il corso Ovidio e si dirige, dopo essere tornata nelle mani dei Trinitari, verso la conclusio- ne, quando comincia la fase più suggestiva, quella del rientro. Passando davanti alle scalinate dell’Annunziata, dove si raccolgono e si assiepano i cittadini e i turisti per un ultimo saluto al corteo, mentre risuonano le voci del Miserere del coro e scintillano le fiaccole dai balconi, ciascuno dei protagonisti rivive e riavvolge il battito di una serata in cui il rito religioso ha palpitato con le emozioni prosaiche di una vera e propria rappresentazione scenografica, illuminata dai chiaroscuri e dai riflessi cromatici di una città in stato di grazia, ma contrassegnata pure dalla stanchezza fisica, dalla fatica di aver mantenuto un ritmo sempre uguale, quei passi cadenzati dello struscio che ancora risuonano misteriosamente lungo i selciati di corso Ovidio anche quando tutto si è compiuto, e l’ultimo figurante a tarda notte lascia il luogo della scena di un venerdi santo consacrato alla tradizione. La Pasqua sulmonese ha anche il ritmo di uno scatto nel cielo di mezzogiorno, mentre le campane suonano a festa la domenica mattina, con il sole e la luce che inondano il proscenio di un’altra rappresentazione, unica e originale come poche, quella della Madonna che scappa. La mattina alle ore 11 piazza Maggiore è ricolma di gente che aspetta trepidante di vedere socchiudersi il portale della chiesa di San Filippo, nel frattempo dalla parte opposta, sotto l’acquedotto medievale la statua del Cristo risorto rimane in attesa. La folla attende che dalla chiesa esca la sta- tua della Madonna vestita a lutto, scura e chiusa nel suo dolore, e lentamente si avvii verso il centro della piazza. Ci sono le esitazioni, le pause e le indecisioni che la tradizione attribuisce all’episodio della resurrezione: le statue di San Pietro e San Giovanni che si alternano davanti all’ingresso della chiesa per annunciare la notizia dell’avvenuta resurrezione, ricostruiscono la scena dei dubbi e della diffidenza di Maria che non crede alla lieta novella riportata dai due santi, almeno all’inizio. Poi, si lascia convincere da San Giovanni: finalmente il portale si apre e la statua della Madonna compare sulla soglia, e quindi lentamente si avvia verso la piazza. È all’altezza della fontana monumentale in pietra, il fontanone, che accadrà qualcosa, qualcosa di irripetibile e miracoloso. La folla, intanto, freme, ondeggia, rumoreggia; i balconi, le terrazze, le scalinate che risalgono verso corso Ovidio, le salite di costa dei Sardi sono strapieni. I portatori della statua della Madonna sono arrivati al fontanone, si fermano, la folla trattiene il respiro, loro prendono il tempo giusto: poi, è un attimo: sollevano la statua della vergine [Link] e, sospinti dal boato della folla, cominciano a correre in direzione della statua del Cristo. Il manto della Madonna, quel manto nero e luttuoso cade a terra, svelando una veste ricamata in oro che risplende, mentre un volo di colombi sale nel cielo. Dodici, quindici secondi di corsa, accompagnati dagli sguardi carichi di tensione della folla emozionata e commossa, tra strepiti e urla d’incitamento e scoppiar di petardi che si concludono con l’abbraccio ideale al figlio Gesù. Dodici, quindici secondi che sembrano infiniti, una breve lunghissima interminabile traiettoria durante la quale la piazza, la città, le migliaia di persone che assistono all’evento sono concentrati idealmente a sostenere quella statua che corre, quel manto verde in movimento che ha fretta di raggiungere il punto d’arrivo, e nella corsa, nella frenesia, nella concitazione mista di paura e allegria si definisce e sostanzia il senso di questa rappresentazione, il significato di una festa, la festa della vita che rinasce, di una rievocazione commovente, semplice e indimenticabile come una favola popolare, la favola più bella della Pasqua sulmonese. “Ecco la Pasqua (…) La piazza è un mar di semoventi, allegra Nei suoi colori fiammeggianti al sole. Le terrazze rigurgitano: ovunque Divoratori di lupini. Attenti! La processione si fa largo. A capo Giovanni e Pietro prendono terreno Coi fratellini tra superbi ceri, ed una filatessa d’altre staue Schierarsi a destra e a manca del Redentore, Lasciando in mezzo libera la strada Che mena al tempio, ov’è la Madre in ansia. Al sopraggiunger dei due Santi, quinci Esce Maria vestita a bruno; in mano Ha la pezzuola, e il crin nei veli accolto. Chiede del Figlio; ha da Giovanni e Pietro Liete novelle, e va con essi in traccia. A mezza via, le sembra di vedere, Vede…e per Dio! Visto Gesù risorto, A tutta corsa incontro a Lui si mette, Quando, caduto il manto, ad uno sciame Di colombi ridà libero il volo, Verdevestita e con le chiome al vento, E in man recando un mazzolin di fiori. Restan Giovanni e Pier filosofando Sull’umane follie, languido l’occhio Dietro i colombi in fuga. Alto lo sparo Crepita e tuona, in quel che altri dàn fiato Alle tartaree trombe cittadine.” Da Sulmona nei riti religiosi. Versi di Francesco Simonetti, Sulmona Tip. E Cartol. Angeletti, 1901 8 9 di R. Zaccagnini, L. Del Monaco ph. Luca Del Monaco I retroscena della Dietro Settimana Santa le quinte di un evento Tutto ha inizio il Lunedì. È passato un anno dall’ultima celebrazione pasquale: dodici mesi in cui i sagrestani d’onore delle due confraternite sulmonesi hanno preso parte a tutte le manifestazioni celebrative, ai momenti di preghiera, le processioni, la questua per i vicoli della città, dando prova di intensa partecipazione e di una condotta irreprensibile. 1 0 11 ra si accingono al sorteggio con cui verranno assegnate le funzioni nelle processioni che chiuderanno la Settima Santa. Nell’urna ognuno ripone con smisurata fede le speranze per i ruoli più ambiti. Nella sala delle adunanze della SS. Trinità si sorteggiano i portatori del crocifisso ligneo, si estrae il “tronco”, i capoprocessionieri, le quadriglie per le statue del Cristo Morto e dell’Addolorata, i mazzieri. Nella cappelletta di Santa Maria della Tomba, i lauretani sorteggiano le quadriglie che porteranno i Santi, il Cristo, lo Stendardo e le rispettive scorte, ma soprattutto la quadriglia della “corsa”, mentre la guida spetta al Capo dei Sagrestani, che ha la facoltà di cederla ad un’altro confratello di provata esperienza. Le sale sono gremite, traboccanti. Il vocìo delle prime file invade l’aria, inizia il passaparola per comunicare gli estratti a chi è rimasto fuori. I compiti sono stati assegnati, tra l’euforia generale e qualche delusione. I giorni seguenti saranno vissuti nell’intimità delle congreghe. In famiglia si preparano gli abiti, si provano i camici, i trinitari elaborano le scarpe perché possa risuonare lo “struscio”. La chiesa della SS. Trinità è stata chiusa. All’interno solo i confratelli addetti ad allestire la processione. Nulla è lasciato al caso: ogni oggetto ha una sua precisa collocazione nella chiesa, si rispetta l’ordine della prima esposizione. L’allestimento si conclude allo scoccare della tredicesima ora del venerdì, quando al rintocco finale del vicino orologio dell’Annunziata, l’ultimo dei trentatré garofani rossi viene posto di fianco al corpo di Cristo. Alle 18 il portone si apre, i confratelli, ancora senza il saio rosso, si apprestano ad entrare. Il momento è toccante, le lacrime agli occhi, gli abbracci, lo stupore nei volti dei più anziani, come se fosse la prima volta che assistono ad un momento che si ripete sempre uguale, da secoli. La Pasqua è sentita come la fine di un anno, si tirano le somme, il pensiero corre al ricordo di chi non c’è più. Si indossano saio, cordone e pettorina bianca. Al collo dei Sagrestani d’onore e del Direttivo una placca d’argento. L’atmosfera è severa, O rispettosa del lutto divino, carica di pathos. Si attende con ansia l’imbrunire, si accendono i fanali, la chiesa in un attimo si vuota. Restano solo le quadriglie che trasporteranno i simulacri, pronte a “gettare la conta”, l’ultimo rituale che designerà chi uscirà di chiesa con la statua in spalla e chi avrà l’ambìto compito di riporla, lungo l’ultimo intensissimo tratto del rientro. D’ora in avanti un religioso silenzio abbraccerà il corteo, guidato dagli sguardi e dai gesti del capoprocessioniere e dei mazzieri, interrotto solo dal canto corale di antichi Miserere. Lo stesso silenzio ha invaso la breve intima processione del pomeriggio lungo i vicoli del quartiere laureano, e il sabato avvolgerà il corteo di scorta alla Madonna vestita a lutto verso la chiesa di San Filippo, in una suggestione di accesi colori, fuochi e profondi bui notturni. Nella confraternità di Santa Maria di Loreto si è provveduto alla vestizione della statua, un rituale carico di emotività e mistero, conservato nel più assoluto riserbo dai sodali; si è provato il meccanismo che permetterà la caduta del manto nero il giorno della corsa; si è allestita la scenografia per la rappresentazione della resurrezione del Cristo alla mezzanotte del sabato. La domenica mattina è un subbuglio, si affidano i ruoli, si infilano saio e mozzetta, si stringono i cordoni. Le parole si caricano di significato. Manca poco alla conclusione. Per molti è la gratificazione di una vita, un momento atteso sin da ragazzini. La tensione è palpabile e spetta alla “guida” trasmettere tranquillità, valutare lo stato d’animo della quadriglia. Un gesto di incitamento, una battuta di spirito per scaricare la pressione emotiva, uno sguardo a scrutare l’ansia negli occhi dei corridori. Poi fuori, i primi dieci metri, i più importanti. Si sussurrano parole di conforto, si impartiscono gli ultimi ordini, mentre i sacrestani della scorta si preparano ad intervenire al minimo segno di cedimento. Si prende il tempo, gli ultimi tre passi: “Uno…due…pronto”. Torna il silenzio, per un attimo. “A puzo…Via”. Vetrina della Pesqua in Abruzzo A Lanciano, l’Arciconfraternita Orazione e Morte San Filippo Neri rievoca ogni anno la Passione del Cristo. Il rito più caro e sicuramente vissuto con maggiore carica religiosa, é quello del Giovedì Santo. Nella serata di questo giorno, infatti, per le vie gremite del centro storico i confratelli sfilano incappucciati al suono struggente del Miserere, del musicista lancianese Masciangelo, accompagnando il cireneo, scalzo e con la croce sulle spalle, in un percorso, poi ripetuto dalla processione del Venerdì Santo, che attraversa la parte più antica e suggestiva della città. Il giorno di Pasqua la statua della Madonna viene portata davanti alla Cattedrale dove incontra la statua di S. Giovanni che le annuncia la resurrezione, e qui sostano fino al martedì. Il Venerdì Santo è anche il giorno della Passione di Cristo morto, processione che si svolge a Chieti. Tra le celebrazioni della settimana santa, questa processione è la più solenne e sontuosa. Tutti i memri della confraternita della Buona Morte indossano l’abito della propria congregazione e procedono incappucciati in segno di penitenza e di lutto. La schola cantorum della cattedrale, accompagnata da un’orchestra di oltre 150 archi, esegue ininterrottamente la mesta marcia funebre di Selecchy, maestro compositore del secolo scorso. La processione avanza tra i suggestivi scorci del centro storico e, dopo un lungo tragitto, rientra, a notte avanzata, nella cattedrale. Il rito pasquale del Venerdì Santo a L’Aquila affonda le proprie origini nei secoli passati. Dopo un lungo periodo di interruzione è stato ripristinato nel 1954. Il nuovo assetto della manifestazione si avvale anche dell’apporto artistico della creatività del pittore Remo Brindisi, che ha realizzato molte delle statue del corteo sacro. La processione del Cristo Morto lungo il percorso delle vie della città, effettuata in notturna, alla luce dei ceri, è molto suggestiva e rappresenta un momento di raccoglimento dell’intera comunità. Al corteo partecipano centinaia di figuranti, che portano in parata simulacri, torce, statue, lampioni, accompagnati dal canto di una corale, che intona il Miserere, al suono degli archi di un’orchestra, anch’essa itinerante. 12 13 Il Manifesto per la qualità turistica Presentata la Carta di Valorizzazione del territorio di Antonio Carrara presidente della Comunità Montana peligna Migliorare la qualità dell’offerta turistica del territorio con il coinvolgimento degli operatori pubblici e privati. Promuovere il territorio attraverso la creazione e la promozione di un marchio d’area. ono questi gli obiettivi del progetto “Carta di Valorizzazione del Territorio”, presentato venerdì 16 marzo presso la Comunità Montana Peligna, l’ente che ha organizzato e promosso il progetto insieme al Comune di Sulmona e alla società di consulenza Sintab, che si avvale di un finanziamento regionale nell’ambito del PIT Sulmona per attività di ricerca. Sono inoltre coinvolte nel progetto l’Università di Teramo e DNV Italia, società accreditata nel settore della certificazione della qualità. L’iniziativa ha ivisto la presenza dei rappresentanti degli enti promotori, dell’assessore alla cultura e al turismo del Comune di Sulmona, Emanuela Ceccaroni, e dell’assessore al turismo della Provincia dell’Aquila, Teresa Nannarone. L’idea alla base del progetto, illustrata da Emilio Chiodo, ricercatore dell’Università di Teramo, è chiara e semplice: la capacità attrattiva e di accoglienza turistica del territorio dipende dal comportamento congiunto dei diversi operatori pubblici e privati che vi operano; insieme concorrono a creare l’esperienza del turista: accoglienza, ricettività, ristorazione, produzioni tipiche, servizi, capacità di offrire informazioni prima, durante e dopo il soggiorno. La competizione oggi non è più tra operatori turistici di una stessa area ma tra destinazioni turistiche diverse, che devono essere in grado di promuovere adeguatamente la loro offerta S ph. Giovanni Cocco per attrarre il turista ed offrire un’esperienza la cui qualità sia pari o superiore alle attese. La “Carta di Valorizzazione del Territorio” prevede un protocollo di intenti in cui sono dichiarati gli obiettivi, la promessa e gli standard qualitativi ai quali un territorio fa riferimento nella sua offerta turistica. Le diverse categorie di operatori, ognuno nel suo specifico, elaboreranno delle Carte dei servizi per offrire un servizio di qualità aderente alle peculiarità del territorio e in grado di soddisfare i bisogni dei turisti. Esperienze analoghe, in corso di realizzazione in altre località turistiche in Italia ed all’estero, sono state presentate da Carmine Lamanna di DNV Italia, che ha lanciato a livello nazionale la proposta delle carte di valorizzazione del territorio. I tavoli di lavoro individuati, il cui funzionamento è stato illustrato da Gianpaolo Tronca della Sintab, sono quello dell’accoglienza turistica (proloco, punti informativi, musei, Riserve naturali, ecc.), della ricettività (alberghi, agriturismi, bed & breakfast), della ristorazione e delle produzioni agro-alimentari tipiche. Le altre categorie possono integrarsi se vi è la volontà degli operatori di partecipare, per contribuire a migliorare il sistema turistico in tutti i suoi aspetti. I lavori dei tavoli si concluderanno entro il mese di giugno. Gli operatori che metteranno in pratica gli impegni elaborati nelle Carte dei servizi potranno essere certificati da parte di DNV. I soggetti certificati saranno inclusi nella Carta della qualità della Valle Peligna, uno strumento di comunicazione in cui gli Enti promotori del progetto rendono pubblico il proprio impegno per la qualità (il Manifesto per la qualità della Valle Peligna) e danno visibilità agli operatori economici aderenti, con opuscoli da distribuire nell’area, nelle fiere di settore e attraverso lo strumento informatico. I soggetti certificati potranno utilizzare il marchio di qualità del progetto, che diviene un vero e proprio marchio d’area per la promozione integrata del territorio. Appuntamenti Freedom trail Il sentiero della libertà Ecotur: il turismo ambientale guarda all’Europa Ecotur riapre i battenti anche quest’anno come è tradizione ormai da qualche tempo nella città di Montesilvano, al Palacongressi: dal 13 al 15 aprile prossimi prenderà l’avvio la diciassettesima edizione della manifestazione dedicata al turismo ambientale, che quest’anno ha avuto anche un testimonial mediatico, Klaus Davi, esperto di comunicazione di massa e d’immagine, autore di uno studio sul turismo di settore. Proprio Davi ha rilanciato il ruolo che l’Abruzzo potrebbe ricoprire nel panorama internazionale, assumendo una dimensione strategica all’interno di quella ricerca della qualità dell’offerta che i turisti stranieri negli ultimi tempi privilegiano, guardando con interesse soprattutto le regioni del centro Italia. E della peculiarità di giacimento di bellezza ambientale e paesaggistica di grande fascino, in cui si saldano tutela del patrimonio artistico e rispetto ambientale, la nostra regione potrebbe farne un punto di forza imbattibile. Ecotur punta a divenire una borsa del turismo di qualità, un’occasione per attrarre gli operatori del settore e promuovere cosi a livello europeo la nostra regione. Nell’ ambito della manifestazione sono attesi 120 operatori della domanda internazionale selezionati dall’Eni, che andranno ad animare il previsto work shop. Un settore a parte verrà riservato al Buy Park, incontro tra operatori specializzati della domanda e dell’offerta dei parchi e delle aree protette. 8 settembre 1943: l’Abruzzo si trova improvvisamente al centro della storia. La prigionia e la successiva liberazione di Mussolini a Campo Imperatore, la fuga del re dal porto di Ortona, e infine la “Linea Gustav” che attraversa la regione tagliandola in due. Dal campo di concentramento numero 78, quello di Sulmona, evadono i prigionieri, per lo più militari inglesi catturati sul fronte africano. Incontreranno presto la solidarietà degli abruzzesi e, con loro, prepareranno la fuga verso sud, gli alleati, la libertà. Cos’è Freedom Trail? Lo chiediamo al prof. Mario Setta, presidente dell’Associazione Culturale “Il sentiero della libertà”. «Il Freedom Trail è una manifestazione internazionale, nata dall’iniziativa di alcuni reduci di guerra inglesi, che anni fa decisero di tornare sui luoghi che li videro protagonisti di battaglie, prigionie e fughe durante la seconda guerra mondiale. Pensarono così di scegliere ogni anno un Paese diverso per mantenere viva la memoria di quei giorni». Da noi la prima marcia fu organizzata nel 2001, anticipata da una lunga preparazione, soprattutto da parte dei ragazzi del Liceo Scientifico “E.Fermi” di Sulmona. «Ero insegnante al liceo, quando con gli studenti iniziammo una ricerca storica che portò, nel 1995, alla pubblicazione di E si divisero il pane che non c’era, in cui raccontammo attraverso ricordi e testimonianze dei protagonisti, i giorni trascorsi nascosti nelle soffitte o nei pagliai, l’incontro della gente d’Abruzzo con gli stranieri di ogni nazionalità fuggiti dai campi: episodi drammatici e toccanti, di straordinaria umanità. Quando entrammo in contatto con gli inglesi, tutto era pronto per organizzare l’evento. Fu un momento indimenticabile, reso ancor più intenso dalla presenza dell’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, anch’egli testimone di quei giorni, che della sua traversata da Sulmona fino a Bari scriverà un diario, oggi pubblicato da Laterza nel volume Il sentiero della libertà , curato dal Liceo “Fermi”». Qual era questo sentiero? «Partivano in gruppi, a decine, appena fatto buio, da via Ancinale a Sulmona. Italiani renitenti alla leva, stranieri, ex prigionieri, antifascisti e gente del nord che voleva raggiungere gli alleati e combattere al loro fianco. Cacciatori e gente di montagna dei nostri paesi facevano loro da guida. Si superava Campo di Giove, il Guado di Coccia, il momento più duro, rischioso, l’attraversamento della Linea Gustav, poi Palena, Taranta Peligna e infine Casoli, avamposto degli alleati». Dopo la prima esperienza, avete deciso di proseguire e organizzare la marcia ogni anno, a cavallo del 25 aprile, festa di liberazione. «Decidemmo, insieme ai membri dell’associazione, alla professoressa Adelaide Strizzi e al preside Ezio Pelino, di provare a dare un significato più profondo alla manifestazione, oltre la semplice rievocazione. Oggi viviamo la traversata come metafora del cammino che l’uomo può compiere, verso un mondo senza guerra, un mondo di pace e vera libertà. È diventata un’esperienza di vita in cammino, per ricordare e non ripetere gli sbagli della storia. Ai partecipanti consegnamo una guida con contributi storici. Quest’anno sarà titolata Donne per la libertà, in ricordo di Iride Imperoli Colaprete, morta lo scorso anno, staffetta che accompagnò numerosi fuggiaschi lungo la “via del treno”, un altro sentiero della libertà, verso Roma e il Vaticano. Tornerà una delegazione di reduci inglesi e sarà con noi anche un gruppo di giovani della Normandia ». Si parte, dunque, il 27 aprile, da Piazza XX Settembre, a Sulmona, per la settima marcia internazionale lungo il sentiero della libertà. Due giorni di cammino, tra nuove amicizie, scambi culturali, ricordi e momenti di approfondimento, per giungere il 29 a Casoli. A precedere la manifestazione, per i festeggiamenti del 25 aprile, si svolgerà un breve cammino che dal campo di concentramento giungerà all’Abbazia Celestiniana, proseguendo verso il santuario di Ercole Curino e Sant’Onofrio. Il 26 aprile, alla vigilia della marcia, sarà organizzato un incontro con Rita Borsellino, sul tema “Legalità e libertà”. Il 2 maggio, infine, avverrà la consegna delle borse di studio “Roberto Cicerone”, protagonista di quella che Adolfo Pepe definì “resistenza umanitaria”. Per iscrizioni e ulteriori informazioni: Prof.ssa Adelaide Strizzi, cell. 349.2670922 (pomeriggio) Sig. Antonio Cicerone, tel. 0864.242230 (mattina) siti internet: www.ilsentierodellaliberta.it; www.liceoscientificosulmona.it e-mail: [email protected] La nuova città del cinema Una nuova multisala a Corfino, nel cuore della Valle Peligna, verrà inaugurata a cavallo delle festività pasquali. 50 chilometri di cavi, 3500 Watt di potenza sonora, sistema totalmente automatizzato per la programmazione delle proiezioni, 7 strati di insonorizzazione. Questi sono solo alcuni numeri di Igioland, la nuova città del cinema che sarà anche un centro commerciale. Saranno tre le sale attive da subito, dotate di tutti i confort e le più innovative tecnologie del settore. Promotore del progetto è Sandro D’andrea, gestore cinematografico di lungo corso, che ha fatto del cinema il suo mestiere. Una scommessa, quella di D’andrea, legata ad una tradizione di famiglia (gestori per anni della storica sala di Pratola Peligna), e che si propone di rilanciare sul territorio la passione per la “settima arte”. Info www.igioland.it 1 4 15 L’oro e l’argento Giovani orafi d’Abruzzo: un mestiere che diventa arte L’Abruzzo è terra di tradizioni secolari, memorie che si tramandano da generazioni.Terra di passaggio, lungo le strade che collegavano le periferia del Regno di Napoli, attraverso i tratturi nel tempo della transumanza: qui si incontravano la semplicità delle operose genti d’Abruzzo, la ricchezza dei proprietari di greggi e dei nobili, l’estro di artisti in transito. L’arte orafa abruzzese si è sviluppato così, nei borghi di montagna. di R. Zaccagnini ph. Luca Del Monaco [Link] Una storia d’amore. «La Presentosa» di Gabriele Ciutti (Rocco Carabba Editrice) Novella ispirata al nome di un gioiello,favola sospesa tra storia e leggenda, La Presentosa è un viaggio nel tempo, incontro ad usi, costumi, personaggi di un borgo antico (Scanno) che sorprendono e ammaliano un giovane fotografo straniero. Una storia d’amore, quello di Francesco e Celerina, in un racconto magico «di lupi, serpenti, antichi libri, mestieri dimenticati». Il libro di Ciutti è un ritorno alla fiaba, nell’incanto dell’Abruzzo montano. Le nuove tecnologie hanno rischiato di mettere seriamente in crisi l’artigianato locale. Molte botteghe si convertivano alla commercializzazione, mentre una nuova generazione di orafi tentava di farsi strada recuperando le tecniche del mestiere di una volta. «Per me è anche la volontà di mantenere viva una tradizione che sento mia», ci dice Gianluca Domenicano, originario di Pescocostanzo, dove giovanissimo ha appreso i segreti del mestiere osservando il lavoro dei suoi familiari. «Ho fatto studi artistici, l’Accademia, ma da ragazzo volevo sfuggire ad un destino che sembrava già segnato. Poi il legame con la storia di famiglia, la scoperta di una passione intima per questo mestiere… Ed eccomi qua». Da cinque anni Gianluca ha aperto un laboratorio a Sulmona, dove con pazienza e meticolosità mantiene viva la tradizione orafa di Pescocostanzo. Mentre osserviamo uno splendido calamaio in argento lavorato a mano, gemello di uno ordinato dal presidente Giovanni Leone, Gianluca ci porge alcuni quadernetti sdruciti, consumati dal tempo, in cui sono custoditi i segreti di famiglia. I quaderni più vecchi risalgono alla fine del settecento: all’interno nessun disegno, ma veri e propri calchi, impressi sulla carta con il fumo di candela, annerendo il gioiello su entrambi i lati e stringendolo tra due pagine. Su quegli stessi quaderni, oggi come allora Gianluca calca nuovi modelli, appunta misure e proporzioni. La presentosa, innanzi tutto, che a Pescocostanzo si caratterizza per l’uso della filigrana, due fili intrecciati e poi schiacciati con i quali si orna lo scafo, la struttura che dà forma al gioiello. «La nostra presentosa in filigrana ha radici nella vita quotidiana delle comunità montane dei secoli scorsi. D’inverno le donne trascorrevano molte ore in casa a lavorare il merletto, e dai disegni cui si ispiravano prendevano forma le rielaborazioni che poi venivano adattate all’oro». Un’arte cresciuta nell’atmosfera del focolare familiare, ma che al contempo sapeva trarre ispirazione dalla natura. Così è nata, ad esempio, la cannatora, collana a stretto girocollo, formata da chicchi d’oro che riproducono il disegno dell’uva spina. Poi ci sono le cioccaglie, orecchini a forma di bacca, e il brillocco, ciondolo vistoso che si usava indossare in accoppiata alla cannatora. Le giornate in laboratorio trascorrono lente, spesso in compagnia dei soli arnesi del mestiere. Si aspetta il momento giusto, con pazienza e concentrazione. Tra fusioni e trafilature ci si prepara così a costruire gli scafi, a tessere la filigrana. « Ho imparato da mio padre una tecnica antica e semplice: con due tavole di legno, una usata come base, l’altra da far scorrere sui fili con leggerezza e decisione, in modo da farli intrecciare». E intanto , tra un passaggio e l’altro, il metallo deve essere mantenuto elastico e morbido attraverso cotture continue, fino al momento di realizzare il disegno scelto. Si intessono allora farfalle, riccioli, arabeschi dai riflessi cangianti: con minuzia e precisione prendono forma gioielli unici, ricchi, leggeri. Ma fare l’orafo significa anche manualità e sforzo fisico. Come 1 6 17 quando si realizza la cannatora, tagliando l’oro con punzoni tracciatori e ponendo i dischi ottenuti nella bottoniera, un basamento con coppe incassate di varie dimensioni. Qui si dà forma alle semisfere, in un continuo, ipnotico martellìo. Con punzoni su cui è scolpito il disegno del gioiello, battendo con vigore su un disco di piombo, poi su uno più duro, in rame, l’oro prende la sua conformazione. Si torna a banco, per montare le due coppe, pulirle e dar loro lucentezza. E così si va avanti, chicco dopo chicco. E al momento della vendita spesso la separazione è sofferta: «Come lasciare un pezzo di sé». Ce lo conferma Giuseppe D’Orazio, artigiano di Sulmona, che spesso ha rinunciato a riprodurre gioielli e monili a cui era particolarmente legato: un bracciale ispirato a un modello romano, un gioiello disegnato su un frammento di scavo dell’antica città di Ebla; e poi collane e ornamenti creati per la rievocazione della Giostra Cavalleresca, gli anelli con cui ha vinto l’ambìto concorso di Guardiagrele, un’audace rielaborazione della “croce pettorale”. Orafo di prima generazione, originario di Villetta Barrea ma cresciuto a Roma, Giuseppe D’Orazio è l’esempio di come un’arte antica possa stimolare passioni e creatività anche in chi non ha alle spalle una tradizione familiare. «Non ho frequentato scuole specifiche, l’Istituto d’Arte ad esempio. Certo la manualità non mi mancava: da piccolo mi costruivo i giocattoli da solo, era probabilmente una dote naturale». Poi l’incontro con un’amica di famiglia, un libro sulle pietre preziose nel mondo, l’idea del viaggio…e la curiosità di frequentare un corso di oreficeria. Ma la vera formazione sarà a Sulmona, “facendo bottega” presso un artigiano locale. Non sfugge, passando davanti alla vetrina di Giuseppe D’Orazio, la ricercatezza delle sue lavorazioni, opere di artigianato che lasciano trasparire un prezioso lavoro di pensiero, di studio, di ideazione. La tradizione locale, di cui è oggi un formidabile interprete, Giuseppe l’ha scoperta girando per i paesi d’Abruzzo, tra Sulmona, Pescocostanzo e Scanno, studiando e lavorando con gli orafi del posto, assorbendone i segreti per poi rielaborarla, dandole freschezza e originalità. Così la presentosa, impreziosita di smalti e incastonature, acquista una vivacità inedita, mentre i lavori in filigrana si arricchiscono di volute, ricci, morbide onde, cercando sempre nuove contaminazioni (come la granulazione, tecnica caratteristica dell’oreficeria etrusca che consiste nell’in- serimento di microsfere nel filato d’oro). Alla tradizione, poi, Giuseppe D’Orazio affianca la ricerca etnica, creando anelli con rubini in stile egiziano, fedi sarde, monili precolombiani. Tutto conservando le tecniche di lavorazione e utilizzando gli strumenti di una volta: un crogiulo per la fusione, le lingottiere, il laminatoio, i punzoni. «Nella fase produttiva c’è bisogno di tranquillità, di serenità. Il metallo richiede attenzione, controllo della temperatura e dell’elasticità: mentre lo lavori non puoi permetterti distrazioni. Avendo il laboratorio all’interno dell’oreficeria, devo ritagliarmi dei momenti liberi, nelle ore di chiusura, a volte di notte, perché quello che fa un gioiello sono le finiture, il tempo e la pazienza, la cura dei particolari». E basta vedere come Giuseppe presenta i suoi lavori, giocando con le luci, facendoli sorgere dalla loro stessa materia d’origine, da un guscio di cocco o una scheggia d’osso, per percepire quanto impegno ci sia dietro. E tutto questo si riflette nel rapporto con i clienti, nel tentavo di assecondarne le esigenze, di disegnarne la personalità, e modellargli attorno un gioiello unico. La passione per i viaggi è diventata per Giuseppe D’Orazio ulteriore motivo di ricerca: nuove idee, stimoli esterni che possano nutrire la fantasia e lo spirito ed essere confrontati al rientro con i giovani colleghi, in un clima di vera collaborazione che le nuove generazioni di orafi sono riuscite ad istaurare. Domenicano e D’Orazio hanno un rapporto solido da anni, ed è quest’ultimo che ci ha presentato Eugenio Di Rienzo, ventinovenne artigiano di Scanno, conosciuto la prima volta ad una fiera, quando, ancora bambino, accompagnò il padre per un’esposizione. «La competizione tra noi è concorrere a stimolarci a vicenda», ci dice Eugenio accogliendoci nel suo laboratorio. Luci tenui, sul fondo un manichino veste il costume tipico di Scanno e indossa i gioielli della tradizione locale, mentre dagli altoparlanti ci investe il ritmo festoso del samba. «Sono diversi viaggi che faccio in Brasile. Notti e giorni ad assorbire sensazioni, forme, colori. Al ritorno poi aspetto che quello che ho dentro venga fuori, prenda forma, disegno». Non c’è dubbio, anche per Eugenio Di Rienzo la tradizione è un punto di partenza per approdare su altri lidi. Nelle sue mani il merletto di Scanno, gioiello caratteristico del borgo abruzzese il cui disegno ripropone il merletto a filo che decorava il collo e i polsini dei costumi tipici, prende forme nuove, prospettive inattese. Non solo la classica spilla, ma anche ciondolo, orecchini, bracciali, spesso arricchiti di pietre colorate, cristalli. Tutto senza distorcere la ricca tradizione locale, che al merletto affianca le circeglie e le manucce, un anello a due braccia che chiudono un cuore, simbolo dell’unione tra gli innamorati. Ci sono poi la presentosa, in oro e in argento; la bottoniera, ricordo delle fibbie e dei bottoni argentei per le vesti delle donne del luogo; la pigna, realizzata in argento come quattrocento anni fa, un scudo su cui viene rievocata la Passione di Cristo, una via crucis che culmina nel segreto del fondo del gioiello, dove si nasconde un’incisione della resurrezione, mentre all’interno si custodiscono una ciocca di capelli o un drappo d’abito della persona da proteggere. Gioiello unico,oggi brevettato, è l’amorino, a [Link] Orafi a concorso Dal primo al venti agosto di quest’anno, l’Ente Mostra dell’ Artigianato Artistico Abruzzese organizza il 12° Concorso nazionale di oreficeria intitolato a Nicola Da Guardiagrele, protagonista del panorama dell’oreficeria italiana nel corso della prima metà del Quattrocento. Il tema del concorso, suddiviso in tre categorie (Gioiello d’avanguarda, di moda, tradizionale) è libero, così pure le tecniche di realizzazione. Il concorso è riservato agli orafi della Regione Abruzzo, agli insegnanti, ai diplomati degli Istituti d’Arte pubblici e privati ad indirizzo professionale. Tre borse di studio verranno riservate agli allievi di scuole pubbliche o private. La manifestazione avrà luogo come sempre a Guardiagrele, all’interno della 37° Mostra di artigianato artistico. Info Ente Mostra dell’ Artigianato Artistico Abruzzese Ex Istituto S.Giuseppe - Via Roma 28 - 66016 GUARDIAGRELE (CH) tel. 0871.83829; fax. 0871.83829 sito internet: www.emaaa.it; e-mail: [email protected] spilla o ciondolo, realizzato per la prima volta nel 1926 dal nonno come dono per la futura sposa. Orafo di quattordicesima generazione, Eugenio Di Rienzo è cresciuto in bottega, « a rompere e distruggere: così si impara a costruire». A nove anni la prima storta incisione, per la quale il nonno gli regalò cinquantamila lire. «Era l’ottantasette. Due anni dopo mio nonno morì. Per lui quel giorno fu una gioia enorme; per me resta un ricordo indimenticabile. Molte cose che faccio le rielaboro sui suoi modelli, cercando di aggiungergli valore senza snaturarli. La sfida è riuscire ad essere originale conservando la tradizione». Il tavolo da lavoro è lo stesso su cui ha mosso i primi passi: sul banco gli arnesi del nonno, in un angolo una trafila degli anni cinquanta, il ferro scurito dal tempo, un pezzo da museo con cui ancora oggi Eugenio modella l’oro manualmente, girando la pesantissima leva, per il gusto di sentire sulle braccia il filo che si tende e prende forma. Anche per Eugenio il lavoro sul cliente è fondamentale. «A volte capita di appassionarsi troppo ad un oggetto, di non volersene staccare. Allora aspetto che venga la persona giusta, che entri in sintonia con quello che il gioiello ha significato per me». Come nel caso di un lavoro a cui il giovane 1 8 19 artigiano è particolarmente affezionato: un bottone tradizionale di Scanno, trafitto da una lamina d’oro, un filo unico che lo avvolge in un’intrico di orbite e lo proietta oltre la sua dimensione. « È uno sguardo sul mondo», l’esigenza di uno spazio libero tutto da inventare che spinge Eugenio Di Rienzo a desiderare a volte di portare la propria tradizione altrove. Un pensiero che manifesta tutta la preoccupazione per un lavoro sacrificato che le nuove generazioni stentano a proseguire. Prospettive incerte, dunque, che contrastano con un momento di forte rilancio dell’artigianato orafo locale. Le opere dei tre protagonisti della nostra storia sono sparse in tutto il mondo. Su Domenicano è stato scritto addirittura un libro stampato in Giappone; D’Orazio ha partecipato a mostre internazionali a Parigi, Toronto, Londra; Di Rienzo spedisce i suoi gioielli a Boston, in Texas, mentre una giovane d’oltreoceano arriva a Scanno dopo aver letto un articolo sui suoi gioielli su una rivista di New York. È il segnale più evidente, la promessa di un futuro per un mestiere antico ed affascinante. [Link] La Presentosa, un gioiello abruzzese Ciondolo a forma di stella, diventato famoso per la descrizione che ne fa Gabriele D’Annunzio ne «ll trionfo della morte», la presentosa è indiscutibilmente il gioiello più famoso della tradizione abruzzese. I luoghi di produzione più antichi sono stati individuati a Guardiagrele e ad Agnone (oggi in territorio molisano), poi a L’Aquila, Sulmona, Pescocostanzo e Scanno. Lungo i sentieri della transumanza, migrazione stagionale che i pastori abruzzesi effettuavano verso sud, questo gioiello giunge anche in alcuni paesi dell’ltalia meridonale, soprattutto nel territorio pugliese del Gargano. Nella sua forma classica, la presentosa è composta da un telaio (o scafo) di forma stellare, riempito al centro e negli spazi attorno da stilemi in filigrana o in oro laminato semplice. Al centro uno o due cuori, a simboleggiare il nubilato di chi lo indossava, oppure la promessa di un amore corrisposto. Il nome stesso del gioiello ci ricorda il valore simbolico che aveva: era un “presente”, un “dono” ricevuto dalle giovani donne come pegno d’amore. Negli anni il motivo classico ha subito molte varianti, legate alla creatività degli orafi, al costume di ogni paese, alle esigenze dei committenti, mantenendo comunque intatto l’originario incanto. INFORMAZIONI Gianluca Domenicano Laboratorio orafo, via Cesare Battisti 22, Sulmona (Aq) tel. 0864.31381, cell. 339.5495612 e-mail: [email protected] Giuseppe D’Orazio Oreficeria, Corso Ovidio 114, Sulmona (Aq) tel. 0864.53360 sito web: www.giuseppedorazio.com; e-mail: [email protected] Eugenio Di Rienzo Lavori artistici, via Degli Alpini, Scanno (Aq) tel. 0864.74366, cell. 347.1542075 e-mail: [email protected] Il parco della terra In un museo all’aperto la storia di un paesaggio naturale di Emanuela Ceccaroni, Fabrizio Galadini l panorama della conca peligna regala le sensazioni tipiche dei paesaggi che uniscono ampiezza a varietà delle forme. Dai punti più alti del grande bacino montano si resta colpiti dal contrasto tra pianura e corona di monti e dalle forme mai uguali del rilievo. Più in basso lo sguardo si muove alla ricerca dei luoghi della vita: i paesi di pietra, come rocce esumate dall’erosione. È dall’alto che si può guardare alla conca col senso della storia e tornare indietro di due millenni, agli antichi abitati, nei cui nomi è l’origine della toponomastica odierna. Difficile pensare ad uno spazio come all’integrale di eventi geologici, ma pianura, versanti e creste, i fiumi che chiudono Sulmona altro non sono che resti ed espressione di una storia di milioni di anni, composta da immagini che scorrono in successione. I Viaggio al centro della terra di Henry Levin con James Manson. Dopo aver letto una scritta su un pezzo di lava, il prof. Lindenbrook di Edimburgo con tre compagni decide di entrare nel cratere vulcanico dello Stromboli per raggiungere il centro della Terra. Divertente riduzione cinematografica di un romanzo (1864) di Jules Verne. Cinema avventuroso alla vecchia maniera, ma di classe. Ottimo finale spettacolare. Musiche di B. Herrmann. È probabilmente il miglior film di H. Levin (1909 -80), prolifico regista che bisognerebbe esplorare, se non rivalutare. ph. Luca Del Monaco, Fabrizio Galadini Il racconto comincia con il mare mesozoico (a partire da circa 180 milioni di anni fa) ed un grande ambiente biocostruito, che i geologi chiamano “piattaforma carbonatica”, simile all’odierno arcipelago delle isole Bahamas. Le tracce di questo oceano si trovano nei luoghi ove le rocce sono ricche dei resti fossili della vita di milioni di anni fa: coralli, molluschi, briozoi, foraminiferi ed alghe calcaree affiorano in vari settori del Morrone e nella parte meridionale della Maiella, a suggerire la presenza di questo mare che è all’inizio della formazione delle nostre montagne. Il moto di avvicinamento delle placche africana ed euroasiatica ha portato poi alla progressiva riduzione dell’oceano mesozoico con conseguente deformazione dei sedimenti in esso contenuti e loro traslazione verso nordest. In questa deriva nordorientale, dalla fine del Miocene (da ca. 10 a 5 milioni di anni fa) e nel corso del Pliocene (da ca. 5 a 2 milioni di anni fa), le rocce carbonatiche della piattaforma, che costituiscono oggi i rilievi più alti, si sono sovrapposte ai sedimenti argillosi e arenacei in cui sono scolpite molte valli abruzzesi (Val Roveto, Sangro, Giovenco, Sagittario, area di Caramanico e altre). L’elevata erodibilità delle argille della valle del Sagittario, nella zona di Anversa, è il motivo della formazione dello spettacolare paesaggio calanchivo, una profonda incisione dai colori cangianti nei diversi momenti del giorno e dell’anno. I sedimenti, trasformati in rocce, col loro carico di testimoni fossili della vita del mare, hanno subito il sollevamento. Con l’inizio di questo processo, a partire dal Pliocene, comincia quell’elaborazione del paesaggio il cui termine provvisorio è costituito dall’attuale fisiografia. Al sollevamento della catena appenninica si accompagna anche la formazione delle grandi fratture nella crosta terrestre, le faglie, formidabili agenti di modellazione del paesaggio. Se si guarda alla conca peligna, in effetti, la sua attuale forma (e soprattutto il sistema pianura-versante orientale) è sostanzialmente condizionata dalla storia dei movimenti avvenuti lungo la faglia del Monte Morrone; come in altri casi nell’Appennino abruzzese, anche questa è una faglia normale, cioè una frattura il cui piano, con pendenza dal Monte Morrone verso il sottosuolo della pianura, è caratterizzato da movimenti di ribassamento del settore sudoccidentale (la pianura) e di sollevamento del settore nordorientale (la montagna). Tale è il processo di formazione anche di numerosi bacini intermontani abruzzesi come il Fucino, l’alta valle dell’Aterno a nord dell’Aquila, la conca di Fossa-San Demetrio ne’ Vestini, l’altopiano delle Cinque Miglia, Campo Felice, la conca di Pescasseroli. I laghi e i fiumi sono una conseguenza, durante il Quaternario (ultimi due milioni di anni circa), della storia del sollevamento della cate- 20 21 na appenninica, della contemporanea fagliazione e dell’articolazione del paesaggio in aree depresse e montane. I fiumi, soprattutto nei periodi in cui la dinamica erosiva è stata dominante, hanno contribuito ad articolare il paesaggio, aumentando i dislivelli tra aree depresse e montane. Le faglie, quindi, possono essere viste come gli elementi geologici alla base degli ambienti vitali odierni. Nel bacino di Sulmona, il ribassamento progressivo dell’attuale pianura, per l’attività della faglia durante il Quaternario, ha portato alla formazione di un bacino lacustre. La soglia che limitava il lago doveva essere ubicata ad est di Popoli in un’area dominata, negli ultimi 100.000 anni circa, dalla deposizione di travertino di ambiente palustre e fluviale e, in misura minore, di cascata. Il lago condizionava anche la presenza di una fauna oggi tipica di altre zone del mondo: alcune centinaia di migliaia di anni fa, elefanti ed ippopotami vivevano al margine del bacino. Nel lungo periodo dominato dalla presenza dell’ambiente lacustre, i versanti sempre più alti hanno alimentato frane, in alcuni casi di enormi proporzioni, come quelle di Campo di Giove e di Pacentro. Le acque del lago hanno occupato la conca di Sulmona fino a circa 35.000 anni fa, quando l’erosione del Pescara ha definitivamente inciso la soglia in travertino e provocato il completo drenaggio della conca. Oggi, i sedimenti limosi di colore chiaro, spesso visibili nelle sezioni delle zone interne al bacino, sono la testimonianza del lago ormai scomparso, mentre gli affioramenti di travertino della zona di Popoli-Bussi, utilizzati nell’anti- chità per l’estrazione di materiali da costruzione, sono i resti della soglia rocciosa che sbarrava il lago. L’antico fondo lacustre è stato poi coperto dai depositi fluviali che formano l’attuale superficie pianeggiante nota come “terrazza alta di Sulmona”, la quale è stata incisa, a partire dalla parte finale del Pleistocene superiore (cioè all’incirca negli ultimi 20.000-30.000 anni), dai fiumi che scorrono nella conca peligna. I più evidenti ritocchi fluviali al paesaggio lacustre sono riferibili al Gizio e al Vella che isolano il lembo di terrazzo su cui è fondata Sulmona. Nella prospettiva sopra delineata, la faglia del Monte Morrone si pone come elemento geologico primario per la formazione del bacino attuale. Le suggestioni che il paesaggio genera, la sua bellezza, ma ancor più il fatto che nel bacino sono stati edificati insediamenti stabili e si collocano fonti per il sostenimento e lo sviluppo della società fanno pensare alla faglia che modifica il paesaggio come ad un elemento geologico benefico. Questa attività geologica, tuttavia, non è un processo continuo, ma ha piuttosto un andamento a scatti. Ad ogni movimento verticale lungo la faglia, ad ogni incremento del rilievo corrisponde un terremoto catastrofico, come quello documentato per fonti archeologiche e attribuibile alla prima metà del II secolo d.C. o quello del 1706. Il primo sarebbe proprio riferibile al movimento della faglia del Morrone, la frattura responsabile della formazione del bacino (e dei terremoti coi quali la conca si è evoluta), esposta in più punti lungo il versante del Morrone: nelle zone di Roccacasale e di Pacentro è visibile come una sorta di cicatrice nella roccia. Il piano di questa cicatrice, perfettamente levigato dal movimento, è ben riconoscibile anche a ridosso del santuario di Ercole Curino, a Sulmona, del quale dovette determinare la distruzione proprio nel II secolo d.C. Il terremoto del 1706 sarebbe stato causato da una faglia più a sud che interessa gran parte del Monte Porrara, lungo il versante occidentale. Forse agli scuotimenti sismici più antichi sono riferibili i già citati accumuli di frana dell’alto corso del Vella che si osservano lungo la strada che da Pacentro conduce a Passo San Leonardo; gli affioramenti di grandi massi lungo la strada provincia- le prima dell’ingresso a Pacentro chiariscono che l’intero abitato è fondato sull’antico deposito di frana alimentato dalla testata del Vallone di Mileto. Questo paesaggio dispensatore di emozioni ha quindi acquisito le sue forme per il cumulo di improvvisi e brevi (al massimo decine di secondi) cataclismi legati a scosse sismiche. I segni lasciati dagli eventi geologici conducono attraverso un percorso che racconta la storia di un territorio, indagandone le più antiche origini e restituendocele con il loro carico di suggestione che travasa anche nel presente gli effetti e le successive evoluzioni. Di questa storia così articolata e con effetti di segno opposto, la conca peligna è ricca di testimonianze, visibili in vari punti come in un grande museo all’aperto: un’insolita esposizione, estranea alle abitudini del visitatore, non racchiusa in vetrina, ma pronta a mostrare in maniera diretta la continua metamorfosi dell’ambiente naturale. Questo museo all’aperto, il primo di così ampio respiro in Abruzzo, non necessita di ulteriori interventi, se non della capacità di saperlo riconoscere e raccontare, attraverso le parole della scienza e i discreti suggerimenti nei luoghi dove tornano a vivere il mare delle scogliere coralline, il lago con i grandi mammiferi sulle sponde, i movimenti delle faglie e le frane. L’ingresso è libero, i protagonisti sono soltanto l’uomo e la natura. Land art La Land Art o Earth Art nasce negli Stati Uniti tra gli anni 60 e 70 come esperienza creativa nell’ambito dell’arte concettuale, ma la definizione viene utilizzata per la prima volta soltanto nel 1969, in California, da Gerry Schum, autore di un famoso video sull’argomento, in riferimento al lavoro di artisti come Richard Long, Barry Flanagan, Robert Smithson, Dennis Oppenheim, Walter de Maria, Cristo ecc. che agiscono direttamente sul paesaggio, modificandone l’aspetto mediante interventi temporanei o facendo uso di materiali naturali. L’azione prevede quindi l’obsolescenza delle opere, programmata dall’artista o affidata all’indomita vitalità degli agenti naturali, che rende il tempo, cioè il nemico principale dell’arte tradizionale, indissolubilmente connessa al concetto della sua persistenza, un protagonista positivo e previsto fin dall’inizio del linguaggio artistico. La Land art manifesta un’attenzione ecologica per la natura, per la sua armonica vitalità, per i ritmi e per l’ordine che la caratterizzano e coi quali l’uomo è chiamato a interagire. Il paesaggio diventa per questi artisti l’orizzonte biologico per l’esercizio della creatività. Canto di primavera. Riti e leggende di una comunità in festa di Anna Filomena Grassi, Anna Tranquilla Neri ph. Giovanni Cocco, Luca Del Monaco 22 23 a vita agricola, le attività produttive, le ciclicità stagionali che regolavano l’esistenza umana, scandendo i periodi della semina, della trebbiatura, della vendemmia, dell’uccisione di animali a seconda del periodo dell’anno, permettevano al popolo di sentirsi parte integrante di una comunità, le cui ritualità erano caratterizzate da una cultura magico-religiosa. Nel mondo agro-pastorale i riti praticati erano tramandati per secoli, di generazione in generazione. Il rito sottolineava e attribuiva significato ai vari momenti dell’esistenza: il risveglio, la festa e il lavoro, la nascita e la morte, il vivere comune. Ogni paese, celebrava riti magico-religiosi per scongiurare le avversità atmosferiche, per prevedere l’andamento dei raccolti al fine di propiziare un nuovo ciclo agricolo. La festa scandisce tutt’ora le fasi del calendario agricolo che sono state inglobate dal cristianesimo insieme ai rituali arcaici precristiani, rigenerando e dando nuovo significato al senso del sacro. Il solstizio di primavera indica la resurrezione, la rinascita, il cambiamento, la transizione “a vita nuova”, il trapasso ad una diversa esistenza, rigenerante e ricreata, con la stagione primaverile. Le feste cristiane di primavera, che partono dalla Pasqua di Resurrezione, incorporano tradizioni precristiane legate al cambio di stagione e alla fertilità. Tali feste e le leggende connesse alla loro origine erano comuni nelle religioni antiche. Basti pensare agli antichi Greci, per i quali il mito del ritorno dal mondo sotterraneo alla luce del giorno di Persefone, figlia di Demetra, dea della terra, simbolizzava il rinascere della vita a primavera, dopo la desolazione dell’inverno. Tutti i paesi della valle Peligna, oltre alla Pasqua cristiana, celebrano feste primaverili legate sia al calendario agricolo sia alla transumanza. La protezione divina, dunque, era sentita e invocata dal contadi- L no e dal pastore transumante e questo carattere è riscontrabile sin dai secoli più antichi palesandosi prima come espressione pagana e poi trasformandosi in fede cristiana. Il culto di Ercole, divinità protettrice degli armenti, è senz’altro anteriore alla romanizzazione come testimonia la regione Peligna ricca di luoghi di culto a lui dedicati. Nella stessa regione sono stati rinvenuti anche luoghi sacri dedicati ad altre divinità come Giove, Cerere ed altri. L’aspetto più evidente di questa sovrapposizione cultuale, ma anche dell’importanza del tratturo, è la diffusione nel territorio, di cappelle, chiesette e santuari cristiani, dedicati a San Michele Arcangelo, a San Nicola e a molti culti rivolti alle Madonne Arboree. Se in epoca arcaica abbiamo visto manifestarsi soprattutto fra le comunità pastorali una sentita devozione per il dio Ercole Clavigero, con la diffusione del Cristianesimo, grazie prima alla mediazione bizantina poi a quella longobarda, si vede manifestarsi il nuovo culto ispirato all’Arcangelo Michele, figura protettrice, guerriero di Cristo contro il male. Iconograficamente è stato ravvisato un rapporto diretto tra l’Arcangelo Michele raffigurato con la spada sguainata e la precedente figura di Ercole Clavigero i cui bronzetti rinvenuti lo rappresentano con la clava. Un altro legame tra le due figure sacre è stato riscontrato nei luoghi dove il culto era praticato, ossia nelle grotte e in prossimità di corsi d’acqua e ancora lungo il percorso del tratturo. La festa di San Michele Arcangelo viene celebrata solennemente con processione, banda, fuochi artificiali a Roccacasale l’8 maggio. San Nicola, le cui reliquie sono custodite a Bari, è conosciuto sia in oriente sia in occidente ed è commemorato due volte nel corso dell’anno: il 6 Dicembre, giorno della sua morte e il 9 Maggio, giorno della traslazione delle sue reliquie a Bari. Il primo giovedì di Maggio, a Cocullo, si svolge la suggestiva festa di San Domenico, conosciuta anche come festa dei serpari. Il giorno della commemorazione del Santo tantissime serpi vengono utilizzate per adornare la statua di San Domenico. Durante la processione sfilano anche giovani recanti sul capo cesti contenenti i pani benedetti e le insegne sacre, la banda, la moltitudine di fedeli e i numerosi turisti provenienti da tutto il mondo. San Domenico è subentrato alla dea preromana, Angizia, che proteggeva dal morso dei serpenti. Si narra che i fedeli in segno di devozione e per ottenere la guarigione, si spostavano in ginocchio all’interno della chiesa fino a raggiungere il Santo e chi soffriva di mal di denti usava tirare la catena della campanella della chiesa di San Domenico con i denti. Ogni anno l’11 Maggio gli abitanti di San Sebastiano, paese che ha dato i natali a Santa Gemma nel 1374, compiono il pellegrinaggio a ricordare il tragitto che la Santa compì fino al paese di Goriano Sicoli. La leggenda vuole, infatti, che Santa Gemma, rimasta orfana, venne ospitata presso una comare a Goriano Sicoli. Il Corteo è preceduto da una ragazza che rappresenta la Santa. Ad attendere la giovane donna vi è tutto il paese di Goriano ma il momento più importante è quando la comare, rappresentata dalla moglie del procuratore della festa, accoglie nella sua casa la ragazza. Per l’occasione vengono benedetti i pani che saranno distribuiti a tutta la comunità. L’ultimo Sabato di Maggio, si svolge a Rocca di Mezzo una manifestazione folcloristica che richiama molti visitatori: La Festa del Narciso che si origina nel secondo dopoguerra proprio per allontanare i tristi ricordi del conflitto mondiale. Per l’occasione si allestiscono carri allegorici adorni di narcisi. Questi fiori che nascono spontaneamente nel mese di Maggio nella piana delle rocche, sono i veri protagonisti di questa singolare manifestazione. Altre feste importanti del periodo primaverile sono quelle dedicate [Link] LA RICETTA Marmellata di Ciliegie. Ingredienti: 1 Kg di ciliegie, 300 gr. di zucchero semolato, 1 limone Procedimento: snocciolate le ciliegie, mescolatele allo zucchero semolato e lasciatele riposare in frigo per 3 ore. Ponetele quindi su fuoco aggiungendo tutto il succo del limone e cuocete per un’ora e più, sino a che la sarà ben densa. Non dimenticate di mescolarla di frequente durante la cottura, affinchè non si attacchi al fondo della casseruola. Tolta dal fuoco, versatela in vasi o barattoli in vetro che lascerete aperti fino a raffreddamento. Chiudete i contenitori avvitando bene il tappo, e fateli bollire in acqua per 5 minuti. La marmellata sarà così pronta per essere conservata a lungo. alla Madonna; tra le più significative quella della Madonna della Libera a Pratola Peligna, la prima Domenica di Maggio. La leggenda narra che un uomo di nome Fortunato nel 1550, anno in cui la peste dilagava in maniera aggressiva, fuggì per non essere contagiato. Mentre si allontanava, nei pressi di una cappella non distante dal paese, gli apparve in sogno la Madonna che lo avvertì della fine della peste. Quando si svegliò trovò un dipinto dove vi era impresso lo stesso volto della madonna che aveva sognato. Gli abitanti di Pratola decisero di spostare il quadro in paese ma i buoi che lo trasportavano si bloccarono sul posto. Si decise allora di costruire lì una chiesa, ampliata poi nei secoli, tutt’oggi meta di pellegrinaggi. Il santuario oltre al quadro, conserva una statua del 1741, donata per grazia ricevuta, portata in processione e ricoperta di oro nei giorni della festa. A Raiano, il 18 di Maggio, si svolge il suggestivo pellegrinaggio presso l’eremo di S. Venanzio. L’eremo di San Venanzio risale al XII secolo e la leggenda narra che il Santo si rifugiò in queste gole rocciose e selvagge per sfuggire alle persecuzioni. La sua presenza sembra testimoniata dalle impronte che lasciò impresse sulle rocce. I pellegrini usano strofinarsi nella roccia dove sono segnate le impronte del Santo e bagnarsi nelle acque dell’Aterno in segno di devozione. Sempre a Raiano nel mese di giugno si celebra la Sagra delle ciliegie, con sfilata e corteo di carri allegorici. Altre feste sono: S. Marco ad Aprile a Pacentro; S. Alessandro il 3 Maggio a Corfinio; Santa Petronilla il 30-32 Maggio ad Acciano; La Madonna di Pietrabona, il martedì di Pasqua a Castel di Ieri; Santa Barbara, il lunedì di Pasqua a Castevecchio Subequo; La SS. Trinità nell’ottava di Pasqua a Fagnano Alto; Il calende, il primo Maggio a Villalago; S. Antonio di Padova, il 13 Giugno a Prezza e a Scanno. Cocullo “ Si arriva a Cocullo il primo Giovedì di Maggio. È il giorno dei serpari, la processione di San Domenico con un collare di serpenti. Fa freddo, un freddo sgarbato, acre, a tratti nevischia. Un freddo abruzzese, in una terra che pare specializzata nella produzione di freddo. Una strada in salita accompagna al paese: oggi è un corridoio di bancarelle: panini, porchetta, oggetti in finto-abruzzo, anche bastoni a forma di fascio e immagini del Santo Padre: di tutto. Poi si arriva nella piazza davanti alla Chiesa e lo spettacolo è come suol dirsi, duro e forte. La piazzetta, percorsa da un vento carogna, è affollata di due tipi di essere umani: gli indigeni e i turisti. I cocullesi sono carichi di serpenti; bambini con impermeabili di plastica esibiscono braccini da seconda elementare avvolti in monili torpidamente agitati di serpi: giovanotti robusti se li mettono al collo, a mazzi di una mezza dozzina; ragazzette calme e senza complessi, ignare di simbologie isteriche, maneggiano i serpenti verdastri, che oscillano le testoline disorientate. (…) Poi mi accorgo di quel che a me pare il meglio, il riassunto antropologico del rito in onore della dea marsicana Angizia. I cocullesi affittano, noleggiano, prestano i loro sacri serpenti ai turisti che vogliono farsi fotografare carichi di onesti rettili. Il cocullese si riprende i serpenti. Magari il turista, che non è abituato alla collana di serpenti, tradisce un qualche imbarazzo: ma nessuno sviene, eccetto, forse i serpenti”. Giorgio Manganelli, La favola pitagorica, Adelphi edizioni. 24 25 “Come una lettera d’amore” Dolci e tradizioni di una stagione di Katia Masci Spesso è proprio la segnalazione in rosso sul calendario a ricordarci che il cibo non svolge solo una funzione alimentare. È il mezzo più bello per riscoprire tradizioni e ricordi e ritrovare attorno ad un tavolo la gioiosa sensazione della festa. La settimana santa si presenta ricca di tradizioni legate alla gastronomia. La Pasqua, di tutte le feste religiose è quella che più si presta a una serie di rituali legati alla gastronomia. Cassata Sulmonese Ingredienti 1 pan di Spagna di 300 gr. Circa, 150 gr. di burro, 100 gr. di zucchero a velo, 1 bicchierino di liquore «Centerba», 50 gr. di torrone, 30 gr. di croccante, 30 gr. di cacao amaro, 30 gr. di cioccolato al latte, 6 uova. Preparazione Tritare separatamente il torrone, il croccante ed il cioccolato. Mettere in una zuppiera il burro un poco ammorbidito e, con un cucchiaio di legno, lavorarlo sino ad ottenere una crema ben soffice. Unirvi allora, uno alla volta ed alternandoli con lo zucchero a velo fatto cadere da un setaccino, i tuorli delle uova, amalgamando bene ognuno prima di mettere il successivo. Ad operazione ultimata, dividere la crema in tre parti: unire alla prima parte il cacao, alla seconda il torrone ed il cioccolato, all’ultima il croccante. In un recipiente a parte, mettere una cucchiaiata di ognuna delle tre creme e mescolare bene. Dividere ora il pan di Spagna in 4 dischi di uguale spessore; collocarne uno sul piatto di portata, spruzzarlo con un poco di liquore e versarvi sopra la crema di cacao, stendendola bene con una spatola; posare sopra un secondo disco di pan di Spagna, spruzzarlo col liquore e stendervi la crema al croccante; mettere il terzo disco, spruzzarlo di liquore e spalmarvi la crema al cioccolato e torrone. Collocare infine l’ultimo disco di pan di Spagna, spruzarlo con il liquore e versarvi il composto ottenuto con le tre creme mischiate, coprendo bene sia la superficie che i bordi della cassata. Collocare il dolce in frigorifero per alcune ore o, meglio ancora, per un’intera notte. Al momento di servirlo si può decorare, a piacere, con ciliegine candite e zucchero a velo.... buon appetito!!! Durante la settimana santa, in particolare dal giovedì alla domenica di Pasqua, il cibo viene ricoperto di molti significati simbolici e religiosi. Il digiuno o l’astinenza dal mangiare carne accompagnano la penitenza e sono parte integrante di un cammino spirituale che termina proprio nella giornata della Pasqua. Ancor più che a Natale, la Pasqua presenta molte tradizioni gastronomiche. Una di queste è la consumazione della colazione la mattina di Pasqua con uova sode e frittata. Assieme a queste, vengono consumate i fiadoni, tipici di tutta la tradizione dolciaria abruzzese. È un composto a base di pasta, zucchero e uova, con ripieno di formaggio fresco, ornato all’esterno con la stessa pasta della forma. I dolci rituali invece dedicati ai bambini sono le pupe e cavalli. Sono realizzati con una base di pasta dolce e mandorle. La loro bellezza consiste nella guarnizione, spesso opera degli stessi bambini, con bianco d’uovo e praline colorate. Nella tradizione le pupe, per le bambine, e i cavalli, destinati ai maschi, contenevano sulla pancia delle uova sode trattenute dagli incroci fatti con la pasta. In alcuni casi veniva messo nella pupa o nel cavallo un uovo per ogni figlio. Originariamente però la pupa veniva regalata dalla suocera alla novella sposa in segno di prosperità. Per questo motivo sulla pancia della pupa veniva incastonato l’uovo, come simbolo di fertilità. Lo stesso rituale si ripeteva per lo sposo con il regalo del cavallo, simbolo di virilità. L’uovo, in tutte le sue forme, è un protagonista indiscusso della gastronomia pasquale. L’uovo al cioccolato, con l’avvento della modernità, ha scalzato le vecchie tradizioni, ma il significato simbolico rimane lo stesso. Aldilà della bontà, l’uovo rappresenta sempre un segno di prosperità e la sorpresa al suo interno è la magia più bella tanto attesa dai bambini. Il cuore di mandorle era invece il dolce che si scambiavano gli innamorati ed era la stessa sposa a realizzarlo e regalarlo allo sposo. Il soffione, dolce con ripieno di ricotta, è un altro dolce pasquale. In tutto il territorio abruzzese viene chiamato soffione, mentre nel pescarese il suo nome è “lettera d’amore” per la sua particolare forma. Gli angoli della pasta sono ripiegati verso l’interno. Come una lettera d’amore che contiene parole dolci il soffione contiene un dolce impasto. La colomba pasquale è il simbolo per eccellenza della pace. Nella tradizione veniva regalata la domenica delle Palme insieme al ramoscello d’ulivo benedetto, in segno di prosperità e pace. Nella tradizione abruzzese è composta da pasta di mandorle. Oggi, come dolce simbolo della Pasqua, si trova per lo più con la pasta lievitata. Fiadone abruzzese Il fiadone è prodotto, con alcune varianti, in tutto il territorio regionale. Molto simile ad una torta rustica, è costituita da un involucro di pasta sottile che contiene un composto di formaggio, ricotta e uova. In seguito alla cottura assume un colore dorato molto allettante. La farcitura interna è compatta e molto profumata, poiché costituita da formaggi molto stagionati. Le sue origini risalgono al rinascimento. La ricetta, non originaria dell’Abruzzo, arrivò nella nostra regione dal ferrarese, poiché aveva come ingrediente lo zafferano, spezia già prodotta all’epoca nell’Aquilano. Negli anni la ricetta si è modificata assumendo caratteristiche diverse a seconda della province. 26 27 Monte Amaro: il trekking per gli appassionati Dalla faggeta alle praterie di altitudine Si tratta di uno dei più classici e spettacolari itinerari del versante occidentale della Majella per l’ascesa alla vetta di Monte Amaro. Il percorso è molto lungo e copre un notevole dislivello, ma nonostante questo è sempre ben segnato e comodo da seguire. Questo permette quasi a tutti di salire sempre in modo graduale senza eccessivi sforzi. L’escursione inizia in un ampio prato che si trova lungo la strada che da Campo di Giove va verso Pacentro, poco dopo aver superato il bivio per Fonte Romana dove un cartello (1249m) indica l’inizio del sentiero. Qui, lasciata la macchina, si segue il sentiero n. 13, sempre ben tracciato, che in breve comincia una ripida salita nella faggeta. Quando il bosco finisce, prima di raggiungere lo stazzo abbandonato di Fondo Majella, si incontra la piccola sorgente di Fonte dell’Orso (1705m). Dopo lo stazzo si arriva ad un bivio segnato da cartelli metallici dal quale si prende il sentiero 1E per Forchetta di Majella. Quello che ci si trova di fronte è uno dei più grandi e caratteristici ghiaioni della Majella. Fonte Romana – Monte Amaro Dislivello: 1580m Tempo di salita: 5.30 h Tempo di discesa: 3.30 h Segnaletica: giallo-rossa n. 13,1E, ed 1 del CAI Carte: IGM 1:25.000 370 III Campo di Giove CAI 1:25.000 Carta dei Sentieri Gruppo della Majella [ Link] Il Film “Himalaya- l’infanzia di un capo” (L’enfance D’un Chef) Regia: Eric Valli Sceneggiatura: Olivier Dazat, Louis Gardel, Eric Valli Anno: 1999 Durata: 104’ L’unica ricchezza del paese Dolpo, nel cuore dell’Himalaya, è il sale dell’alto Tibet che viene scambiato con il grano al di là delle montagne. Il vecchio capo carismatico Tinlé si rifiuta di lasciare la guida del gruppo al giovane Karma che lui sospetta essere responsabile della morte di suo figlio, e decide di guidare personalmente l’annuale carovana di yak per il trasporto del sale. Oltre alla lotta fra gli uomini è la lotta con le forze della natura che farà crescere il piccolo Tsering, futuro capo. Candidato all’Oscar come migliore film straniero, Himalaya è un film asciutto, sospeso tra il documentario antropologico e il racconto di formazione, basato su una drammaturgia semplice, essenziale. Per realizzarlo Eric Valli, già documentarista e fotoreporter per il “National Geographic”, ha vissuto per mesi nei luoghi dell’azione, conoscendo a fondo i futuri protagonisti del suo film, i veri abitanti del villaggio nepalese. Salendo ci si stupirà nel vedere che anche in questo particolarissimo habitat si rinvengono numerose specie di piante. Ai ginepreti che si trovano ai margini delle colate di detrito maggiori si arriva ai festuceti che colonizzano proprio la parte più mobile delle pietraie. Qui una lunga diagonale porta veso il centro del vallone cosparso di piccoli spuntoni rocciosi. Arrivati ad un piccolo ripiano cosparso di massi il sentiero diviene più ripido e un susserguirsi di vari strappi in diagonale sul grande ghiaione portano all’emozionante spettacolo che si ha nello scavalcare la Forchetta della Majella (2390m). Da qui ci si inoltra verso il più piccolo anfiteatro di Fondo di Femmina Morta che all’imbocco della spettacolare Valle di Femmina Morta presenta un bivio nel quale si svolta a sinistra e si procede verso Nord lungo il sentiero n. 1, in direzione di Monte Amaro. Il vasto altopiano, di origina carsica, è lungo 5 Km e largo quasi 1, e costituisce uno degli ambienti più spettacolari del Parco Nazionale della Majella. Compreso tra i 2400 e i 2500m si presenta inciso da doline e circhi glacialie e ospita, nel periodo primaverile, numerosi laghetti formati dal discioglimento della neve. Particolarissima qui è la vegetazione, caraterizzata dalla struttura a mosaico e dalla forma a cuscinetto che gli permette di resistere al forte vento ed alle ampie escursioni termiche. Passeggiando in questo desolate distese di pietra si possono incontrare chiazze di vegetazione che ospitano la Stella Alpina «Appenninica» (Leontopodium nivalis) endemismo delle montagne Abruzzesi, la Silene a cuscinetto (Silene acaulis), la Viola della Majella (Viola magellensis) e tantissima altre piante rare che costituiscono una parte del grande con- tingente di piante del Parco Nazionale della Majella che conta oltre 2100 specie. Questi aspri e desolati ambienti ospitano anche molti animali, tra i quali meritano di essere segnalati il Piviere Tortolino, la Vipera dell’Orsini, l’Arvicola delle nevi, l’Aquila reale e il Fringuello Alpino. Da questo punto si prosegue verso Monte Macellaro che appare in fondo alla grande valle. Arrivati a questo si abbandona la valle che qui si allarga e si sale verso destra, ai piedi del Monte Macellaro per sbucare sul pianoro dell’Altare dello Stincone (2550m). Si percorre il pianoro verso Nord e si arriva presso la cavità di Grotta Canosa (2605m). Qui ci troviamo alla base della cresta che sale verso Monte Amaro (2795m) segnato da una croce metallica e dove si trova il bivacco Pelino, sempre aperto. [Link] Carte escursionistiche La Comunità Montana Peligna ha realizzato tre carte dedicate agli escursionisti che vogliono esplorare le nostre bellezze naturali. Le carte riguardano le tre riserve naturali regionali che interessano il territorio della Comunità Montana: RISERVA NATURALE REGIONALE GOLE DI S. VENANZIO Carta escursionistica Scala 1:11:000 Ed. Il Lupo - Sulmona RISERVA NATURALE REFIONALE MONTE GENZANA ALTO GIZIO Carta escursionistica Scala 1:15.000 Ed. Il Lupo - Sulmona RISERVA NATURALE REGIONALE GOLE DEL SAGITTARIO Carta escursionistica Scala 1:10.000 Ed. Il Lupo - Sulmona Le carte sono disponibili presso la sede della Comunità Montana Peligna e presso le sedi delle rispettive riserve. 28 29 L’arte dell’arrampicata I Gechi, un’associazione no-profit per uno sport giovane. Nata da una costola dell’alpinismo, l’arrampicata sportiva è diventata, ormai, un’attività del tutto indipendente. Con la primavera gli appassionati dell’arrampicata possono tornanare a sfidare le pareti e falesie. In Abruzzo, numerosi sono i luoghi deputati a questo avventuroso ma sicuro sport. Un luogo storico, che rappresenta un punto di riferimento a livello nazionale è senz’altro la palestra di roccia di Roccamorice. Qui ci sono 250 vie aperte e perfettamente attrezzate, su roccia compatta e vie con ogni grado di difficoltà tecnica, immersi nello slendido contesto naturalistico della Majella. In totale nella nostra regione le pareti attrezzate sono una ventina: Pennapiedimonte, Pennadomo, Arsita, Corvara, Pizzoferrato, Pietracamela, Monticchio, Madonna D’Appari, Prati di Tivo, Carpineto della Nora, Scanno, Castevecchio, Capestrano, Petrella Liri... Poche però sono le strutture e le associazioni che permettono un corretto avvicinamento a questo sport. A Sulmona dal 2002 è nata l’associazione sportiva no profit i «Gechi», che oggi conta ben 80 iscritti. Presidente dell’associazione è Luca Fluttuante, istruttore FASI. L’associazione ha svolto attività di preparazione e formazione in una palestra appositamente attrezzata. Oggi l’associazione sta allestendondo una nuova struttura che, per dimensioni ed altezza delle pareti, punta ad essere un punto di riferimento per questa disciplina, nell’Italia centrale. Oltre che svolgere attività di formazione e accompagnamento delle persone che si avvicinano a questo sport, i Gechi sono alla continua ricerca di nuove pareti naturali da attrezzare. Attualmente c’è in programma l’apertura di una nuova falesia a Raiano. ESCURSIONISMO Iniziano le passeggiate tra i nostri monti organizzate dalle sezioni locali del CAI (Club Alpino Italiano). Vi segnaliamo le prime, indicandovi gli indirizzi per conoscere l’intero programma. CAI Popoli Info: tel. 085 9870528 – Fax 085 9870539 6 Maggio 30° Marcia Ecologica Montana dell’Amicizia Difficoltà F 2 Giugno 22° Escursione Guidata a “Monte Rotondo” mt. 1.735 Difficoltà EE 16-17 giugno Pernottamento Rifugio V. Sebastiani, Vetta Monte Velino Difficoltà EE CAI Sulmona Info: tel.0864.210635; sito: www.caisulmona.it 15 Aprile Eremo di S.Erasmo-S.Maria del Ponte 13 Maggio Monte Godi-Scanno 27 Maggio Rifugio Sebastiani. Dai piani di Prezza a Roccadimezzo 10 Giugno San Potito-Serra di Celano Informazioni: Luca Fluttuante 329 - 9642044 Agenda di stagione 3031 festetradizionali Sulmona Nel pomeriggio del Venerdì Santo, lungo i vicoli del quartiere “lauretano”, si svolge una breve 6 Aprile, ore 16,00 e intima processione. I sodali, in abito nero, porteranno a spalla la statua del Cristo seguita Processione del Cristo Morto dalla Madonna vestita a lutto. Info: Confraternita di Santa Maria di Loreto, tel/fax: 0864 52723; sito: www.madonnachescappainpiazza.it , e-mail: [email protected] Sulmona Una tra le più suggestive tradizioni religiose di Sulmona. Alle 18 si apre il portone 6 Aprile, ore 18,00 dell’Annunziata, ma si aspetterà l’imbrunire per dare inizio al corteo accompagnato dal canto Processione del Venerdì Santo corale del Miserere. Le luci dei “fanali”, l’incedere dei mazzieri, l’omaggio al confine territoriale Info: Arciconfraternita SS.Trinità, tel. 0864.33370; sito: www.arci- tra le due confraternite, il rientro: tutto in una geometria di gesti e sguardi carichi di pathos e partecipazione. confraternitasstrinita.it Pratola Peligna Il Venerdì Santo, la processione notturna per le vie del paese, del Cristo Morto, con la sequela 6 Aprile dei lampioni ed il funereo suono del tamburo, accompagnata dal canto del Miserere eseguito Processione del Venerdì Santo dalla Corale Polifonica di Pratola. Info: Comune, tel. 0864.274141 Scanno 7 Aprile Lungo un percorso a tappe che tocca tutte le chiese dell’antico borgo, si ripete la rituale pro- Processione del Sabato Santo cessione degli incappucciati, con cui i partecipanti testimoniano il lutto e la penitenza per la Info: Parrocchia, tel. 0864.747924. morte di Cristo. Sulmona Suggestiva processione notturna per accompagnare la Vergine, ancora vestita a lutto, dalla 7 Aprile, ore 23,00 chiesa della “Madonna della Tomba” alla chiesa di S.Filippo, da dove uscirà la mattina seguen- Traslazione della Madonna te per la tradizionale “corsa”. Sulmona 8 Aprile, ore 11,00 Probabilmente è la manifestazione pasquale più originale e conosciuta d’Abruzzo. Nella piazza Madonna che scappa in piazza gremita di gente, in pochi secondi la Madonna, sorretta dai sacrestani d’onore della confrater- Info: Confraternita di Santa Maria di Loreto, tel. 0864.52723; nita di Santa Maria di Loreto, perde il manto nero del lutto, scopre l’abito verde sgargiante e, sito: www.madonnachescappainpiazza.it; e-mail: info@confrater- in mezzo a un volo di colombe, inizia la corsa: pochi attimi di straordinaria intensità, fino all’abbraccio ideale con Gesù risorto, tra due ali di folla emozionata e commossa. nitasmdiloreto.it Introdacqua A Introdacqua il periodo pasquale si apre con la processione del Cristo morto. Ma l’appunta- 8 Aprile, ore 11,30 mento più atteso è quello della mattina di Pasqua con la manifestazione della Madonna che Madonna che “vele” “vele”, che qualcuno sostiene essere più antica di quella sulmonese. Info: Comune, tel.0864.47116 Cocullo la liturgia cattolica si fonde e si alterna con quella popolare, nella manifestazione più famosa 3 Maggio d’Abruzzo per il carattere rituale e folklorico insieme. È la “festa dei serpari”, i paesani che nei San Domenico giorni precedenti stanano dal letargo centinaia di serpenti con i quali copriranno la statua del Info: Comune, tel. 0864.49117 santo in processione. Pratola I festeggiamenti in onore della Madonna della Libera durano praticamente per tutto il mese di a partire dal 4 Aprile Maggio. La festa si apre la prima domenica di maggio, preceduta il sabato dall’ esposizione Madonna della Libera della statua della Madonna, un rito che da sempre suscita profonde emozioni nei fedeli. Si pro- Info: Comune, tel. 0864.274141 segue con messe, processioni, mercati di piazza e numerosi spettacoli musicali. Raiano La festa di San Venanzio prende il via dall’eremo: i pellegrini recano in mano dei ciuffi di cin- 16/18 Maggio ciapallante, un’erba che simboleggia il “grano di San Venanzio” o i suoi “capelli”. la processio- San Venanzio ne fa il giro del paese e, all’altezza degli Zoccolanti,si dà inizio allo “sparo”. La festa si conclu- Info: Comune, tel. 0864.72314 de col l’usanza di bruciare un fantoccio di carta che viene chiamato pantàseme, fantasma. Lo scaffale Raiano La prima domenica di giugno si svolge, da oltre cinquanta anni, la Sagra delle 10 Giugno ciliegie.Accanto all’esibizione dei cori folcloristi in costume tipico sfilano, lungo Maggiolata (sagra delle ciliegie) le vie dei paese, i carri allegorici, inghirlandati di ciliegie, che ogni anno concor- Info: Comune, tel. 0864.72314 rono al palio dei quartieri. Bugnara Qualità, tradizione e gusto sono le caratteristiche del Pecorino di Bugnara. L’ 9 o 16 Giugno evento sarà caratterizzato da stands dove, oltre al formaggio, si potranno degu- Sagra del pecorino stare prodotti enogastronomici tipici del luogo, e assistere alla preparazione Info:Comune, tel. 0864.46114 della “cagliata”. musica e teatro Aprile – Maggio 15 Aprile, ore 18,00 - Teatro Sulmona CAMERATA MUSICALE SULMONESE Comunale “M. Caniglia” Info: tel. 0864.212207-210216, sito internet: Orchestra, coro e solisti del Teatro www.cameratamusicalesulmonese.it Marrucino di Chieti Madama Butterfy, tragedia in tre atti musiche di Giacomo Puccini, direttore Marzio Conti, scene, costumi e allestimento del Teatro Marrucino, prenotazione obbligatoria 6 Maggio, ore 18,00 - Teatro Comunale “M. Caniglia” Orchestra, coro e solisti del Teatro Marrucino di Chieti, Messa di gloria, per soli coro e orchestra, Cavalleria rusticana, melodramma in un atto musiche di Pietro Mascagni, direttore Marzio Conti, scene, costumi e allestimento del Teatro Marrucino di Chieti altri eventi Sulmona Inaugurazione del Museo, all’interno delle cele- 26 Maggio, ore 18,00 brazioni per il centenario della morte di Antonio De Museo Civico Archeologico Nino. Valle Peligna e dintorni Nell’ambito delle celebrazioni per il centenario Aprile-Giugno della morte di Antonio De Nino, vi segnaliamo alcuni eventi in programma nel 2007 Anno deniniano prossimo mese. Per il resto del programma vi rinviamo al nostro sito. Info: Comune di Sulmona, tel.0864.210216; sito:www.comune.sulmona.aq.it Pratola Peligna, Centro Internazionale Studi “A.De Nino” 11 Aprile, ore 18,00 - De Nino e gli amici toscani, incontro con Giuseppe Papponetti - Sulmona, Sala Lignea Biblioteca Comunale 14 Aprile, ore 18,00 L’impegno di De Nino per l’unificazione della lingu a-Incontro con Francesco Sabatini (Accademia della Crusca) e Marcello Di Givanni (Università D’Annunzio) Castelvecchio Subequo, Sala conferenze Padre Pio Grannonio 21 Aprile, ore 18,00 - Le madonne fittili abruzzesi. Ricognizione a cento anni dalla morte di De Nino. Incontro con Enrichetta Santilli, storica dell’arte. Sulmona Decima edizione del concorso europeo di traduzione dal latino, dedicato agli 19-20-21 Aprile studenti dei licei.. Il tema di quest’anno, attorno al quale ruoteranno manifes- Certamen Ovidianum tazioni e convegni durante i tre giorni, è “Ovidio e la cultura Europea”. Il con- Info:Liceo Classico “Ovidio”, tel. 086451205 corso si chiuderà con la premiazione e uno spettacolo di poesia e musica. Il programma dettagliato sul nostro sito. Anversa degli Abruzzi 19° Concorso di poesia e composizione pittorica in memoria di Alessandra 17 Giugno Schiarini.Il tema di quest’anno è “Il fuoco: luce e calore, sofferenza ed espi- Concorso artistico “Alessandra Schiarini” azione”. Il concorso è riservato ai giovani delle scuole medie superiori, originari Info: tel. 0864.49486 – 06.44246287 o residenti in Abruzzo. I libri in ordine di apparizionedi questo numero sono: j Viaggiatori e scrittori nell’Abruzzo del Novecento a cura di G. Papponetti, Collana di studi abruzzesi 2005 j La passione dei Trinitari a cura dell’Arciconfraternita SS. Trinità di Sulmona j Pasqua a Sulmona di M. Pacifico e G. Papponetti, Fos 1991 j Inchiesta su Gesù di C.Augias e M. Pesce, Mondadori 2006 j Un anno, una vita di D. V. Fucinese, Tracce 2003 j Sulmona nei riti religiosi. Versi di F. Simonetti, Sulmona Angeletti 1901 j E si divisero il pane che non c’era. A cura Liceo scientifico Fermi, Qualevita 1995 j Il sentiero della libertà. A cura Liceo scientifico Fermi, Laterza 2003 j I banditi della libetà. La straordinaria storia della Brigata Maiella di M.Patricelli, UTET 2005 j Il partigiano Jonnhy di B. Fenoglio, Einaudi 2004 j Tango e gli altri. Storia di una raffica, anzi tre di L. Macchiavelli, F. Guccini, Mondadori 2007 jIl Morandini 2001. Dizionario di film, Zanichelli j Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo di G. Pansa, Sulmona 1924 j Tradizioni popolari dell’Abruzzo di E. Giancristofaro, Roma 1995 j Calendario abruzzese. Cento feste popolari per un anno di Maria Concetta Nicolai, Edizioni Menabò 1996 j Poesia italiana di A. Poliziano, Rizzoli Bur 1994 j La favola pitagorica di G. Manganelli, Adelphi 2005 j Ori e Argenti d’Abruzzo, dal medioevo fino al XX secolo di E. Mattiocco e A. Gandolfi, CARSA Edizioni 1996 j La presentosa di G. Ciutti, Rocco Carabba Editrice 2003 jI l trionfo della morte di G. D’Annunzio, Mondadori Oscar 1984 j Storie del bosco antico di M. Corona, Mondadori 2007 j Nel legno e nella pietra di M.Corona, Mondadori 2005 j Mary Miss. Costruire i luoghi a cura diC. Zapatka, Motta editore1996 j Land And Environmental Art, di J. Kastner, Pahidon 2002 j Artscapes di Luca Garofalo, GG 2003 j Arrampicare in Abruzzo di S. Di Renzo, BAG 1996 j Himalaya di E. Valli, La Martinière 2001 Abruzzoèappennino la rivista dell’appennino abruzzese abruzzoeappennino.com