è
ABRUZZO
appennino
02/07
rivista trimestrale dell’appennino abruzzese
spedizione in abbonamento postale
La Pasqua sulmonese
Voci, immagini e retroscena di un evento
Protagonisti. L’oro e l’argento.
Le meraviglie dei giovani orafi
Appuntamenti. Freedom trail:
tra memoria e futuro
Percorsi. Canto di primavera.
Una comunità in festa
Sport e natura. Trekking per gli appassionati.
Tutti gli appuntamenti dell’agenda di stagione
“Ben venga maggio
e’l gonfalon selvaggio!
Ben venga primavera
che vuol l’uomo s’innamori,
e voi, donzelle, a schiera
con li vostri amadori,
che di rose e di fiori
vi fate belle il maggio,
venite alla frescura
delli verdi arboscelli.
Ogni bella è sicura
fra tanti damigelli,
ché le fiere e gli uccelli
ardon d’amore il maggio”.
da Ben venga maggio di Angelo Poliziano
sommario abruzzoèappennino
primavera
Abruzzoèappennino
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Editoriale
è
REGIONE
ABRUZZO
Link
Storia di copertina
6
La Pasqua sulmonese
Ritmi, volti e immagini di una festa popolare di Antonio Di Fonso
ABRUZZO
appennino
rivista trimestrale dell’appennino abruzzese
spedizione in abbonamento postale
numero 2 anno 2007
Registrazione Tribunale di Sulmona
n. 3 del 13-12-2006
I retroscena della Settimana Santa
Dietro le quinte di un evento
di Riziero Zaccagnini, Luca Del Monaco
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Ben venga maggio
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Vetrina abruzzese
12
Una storia d’amore
16
Orafi a concorso
18
La presentosa
19
Viaggio al centro della terra
20
Land Art
21
Manganelli e Cocullo
24
Himalaya l’infanzia di un capo 28
Scenari
Carte escursionistiche
Il manifesto per la qualità
turistica
Direttore Responsabile
Antonio Di Fonso
Ricette
28
24, 26
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di Antonio Carrara
Redazione
Massimo Colangelo
Luca Del Monaco
Riziero Zaccagnini
Appuntamenti
Agenda di stagione
Il sentiero della libertà
email [email protected]
Progetto Editoriale
Massimo Colangelo
14
Freedom trail
Ecotur
Comunità Montana Peligna
Progetto grafico
e impaginazione
Andrea Padovani. ZOEDESIGN
Il turismo ambientale guarda
all’Europa
14
14
Igioland
La nuova città del cinema
Teatro
Feste e tradizioni
Arte
Musica
Altri eventi
Lo scaffale
Percorsi
Ufficio Stampa
Via Debeli 20
Sulmona 67039 (AQ)
tel. 0864.31199
fax 0864.206420
email [email protected]
20
in un museo all’aperto la storia di
un paesaggio naturale
Il parco della terra
di F. Galadini, E. Ceccaroni
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Riti e legende di una comunità in festa
Canto di primavera
di A. F. Grassi, A.T. Neri
Fotografia
Luca Del Monaco
Hanno collaborato
Franco Avallone
Antonio Carrara
Katia Masci
Fabrizio Galadini
Emanuela Ceccaroni
015 L’oro e
l’argento.
Giovani orafi
d’Abruzzo: un
mestiere che
diventa arte
iprotagonisti
025 Colori e
sapori
«lCome una
ettera d’amore». Dolci e
tradizioni di
una stagione
di Katia Masci
abruzzoeappennino.com
Sviluppo sul web
Federico Bonasia
stampa PUBLISH pre&stampa
Sambuceto (CH)
Iniziativa comunitaria LEADER PLUS PSL e GAL ABRUZZO ITALICO
27 Sport e
natura.
Monte Amaro:
il trekking per
gli appassionati
Dalla faggeta alle
praterie di altitudiine
029 L’arte
dell’arrampicata: i Gechi,
un’associaizone
no profit per
uno sport giovane
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28
29
30
31
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4
L’editoriale
Arrivano le feste di primavera, si riaprono i balconi e si
torna sulla strada, come si
diceva una volta, in molti
paesi del comprensorio si
inaugura la stagione delle
celebrazioni religiose, il sacro
che si sovrappone al culto
pagano – Cocullo e il rito dei
serpari del primo giovedì del
mese di maggio, per fare un
esempio -, oppure si allestiscono i preparativi per celebrare altri riti, quelli del cibo e
dei frutti della terra, addirittura sconfinando verso il territorio di Rocca di Mezzo, dove
per la sagra del narciso si
adornano i carri e si approntano scenografie, in un tripudio
dedicato al fiore quanto mai
simbolico e rappresentativo di
questi tempi.
www.abruzzoeappennino.com
Arrivano i giorni della Pasqua, la festa regina, rappresentazione religiosa e scenografica itinerante, portatrice sana di una
teatralità spontanea, accolta nei luoghi più suggestivi del centro storico di Sulmona, trionfante nelle tradizioni di Lanciano
e Chieti, rievocata comunque in ogni borgo e comunità con
autentica partecipazione e senso di appartenenza.
Il paesaggio, i boschi e i sentieri che s’inerpicano verso le
montagne tornano ad essere frequentati alla fine dell’inverno
– anche se per la verità la stagione fredda non è stata cosi
incombente quest’anno: quindi, arrampicate e trekking sono
di nuovo a portata di mano e di gamba, a disposizione dei
tanti che vogliono ritemprarsi all’aria aperta.
Ma il tempo è propizio anche per altri percorsi, come quello
del Freedom Trail in cui memoria e contemporaneità rivivono
sulle pendici e sui sentieri dalla bellezza mai scontata
momenti di un passato e una storia che meritano attenzione
e riconoscimento, perché troppo spesso si tende a dimenticare e a rimuovere; oppure in questi giorni si colgono anche
con maggiore attenzione i buoni propositi, le esperienze fresche e volenterose, come il racconto delle esperienze di un
gruppo di giovani artigiani, i quali hanno deciso di investire
sul proprio talento per provare a costruirsi un futuro: un
modo tutto personale, in fondo, di celebrare la stagione della
primavera, cesellando pietre preziose e gioielli.
Tracce e segnali di altra natura li lasciamo alla curiosità dei
lettori.
Ma la vera festa, al di là dei percorsi e delle suggestioni che vi
proponiamo nel numero di Abruzzo & Appennino che state
leggendo, oltre i suggerimenti guidati degli articoli e le
segnalazioni di eventi che abbiamo calendarizzato nell’agenda di stagione, sta soprattutto negli occhi e nella mente di
chi voglia scoprire semplicemente guardandosi intorno i suoni
e le immagini, i contorni e le prospettive di una terra che
ancora una volta rinasce, letteralmente rinasce, a nuova vita:
perché almeno nelle stagioni del Tempo non ci sono inganni
né mistificazioni: i fiori sono fiori, i frutti sono frutti e le promesse il più delle volte mantenute.
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di Antonio Di Fonso
ph. Luca Del Monaco
La Pasqua
sulmonese
Ritmi, volti e immagini di una festa popolare
La Pasqua sulmonese è un evento atteso tutto l’anno, una rappresentazione teatrale collettiva, una messinscena di volti, processioni, passi e
cori che prendono vita nelle piazze e nelle strade, negli scorci più suggestivi della città. La Pasqua sulmonese ha i tempi e le cadenze antiche
della processione del venerdi santo: nell’attimo esatto in cui si aprono le
porte della chiesa della SS Trinità, quando cominciano a risuonare le note
di Chopin e si muovono ondeggiando i costumi rossi dei trinitari e incedono lentamente i primi fanali, tutto ha inizio.
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E
tutto si ripete, come da copione, con le stesse geometrie, con gli identici gesti, le identiche modalità, secondo
le prescrizioni di statuti antichi e secolari: sulla base delle
regole codificate si predispone il corteo processionale, i
due capoprocessionieri ad aprire la strada al Quadrato scorta
del Tronco, poi a due a due i fanali fino ad arrivare al Coro che
precede i simulacri del Cristo morto e della Madonna
Addolorata e, a chiudere, il cappellano con le massime cariche
dell’arcisodalizio. Proprio come avvenne la sera del 13 aprile
1827, prima data documentata della rappresentazione. Quindi,
si parte: lungo le strade del centro si snoda la processione dei
Trinitari, l’arciconfraternita depositaria del rito del Venerdi
Santo, caracollando con il suo ritmo particolare, lo struscio, fino
ai luoghi simbolici della città, fino alla piazza Maggiore, già
Garibaldi, dove avviene lo scambio (secondo un accordo che
risale al 1961), la cessione di sovranità temporanea, per cosi
dire, allorquando gli arredi processionali cambiano colore, passano dal rosso dei Trinitari al verde dei Lauretani, l’altra
Confraternita che organizza invece la Madonna che scappa, la
domenica di Pasqua. A questo punto la processione, s’inoltra
nei quartieri lauretani, risplende dei bagliori delle luminarie di
piazza della Tomba, s’intrufola tra il dedalo di vicoli intorno a
Porta Napoli. Finalmente, riprende il corso Ovidio e si dirige,
dopo essere tornata nelle mani dei Trinitari, verso la conclusio-
ne, quando comincia la fase più suggestiva, quella del rientro.
Passando davanti alle scalinate dell’Annunziata, dove si raccolgono e si assiepano i cittadini e i turisti per un ultimo saluto al
corteo, mentre risuonano le voci del Miserere del coro e scintillano le fiaccole dai balconi, ciascuno dei protagonisti rivive e
riavvolge il battito di una serata in cui il rito religioso ha palpitato con le emozioni prosaiche di una vera e propria rappresentazione scenografica, illuminata dai chiaroscuri e dai riflessi cromatici di una città in stato di grazia, ma contrassegnata pure
dalla stanchezza fisica, dalla fatica di aver mantenuto un ritmo
sempre uguale, quei passi cadenzati dello struscio che ancora
risuonano misteriosamente lungo i selciati di corso Ovidio
anche quando tutto si è compiuto, e l’ultimo figurante a tarda
notte lascia il luogo della scena di un venerdi santo consacrato
alla tradizione.
La Pasqua sulmonese ha anche il ritmo di uno scatto nel cielo di
mezzogiorno, mentre le campane suonano a festa la domenica
mattina, con il sole e la luce che inondano il proscenio di un’altra rappresentazione, unica e originale come poche, quella della
Madonna che scappa. La mattina alle ore 11 piazza Maggiore è
ricolma di gente che aspetta trepidante di vedere socchiudersi il
portale della chiesa di San Filippo, nel frattempo dalla parte
opposta, sotto l’acquedotto medievale la statua del Cristo risorto rimane in attesa. La folla attende che dalla chiesa esca la sta-
tua della Madonna vestita a lutto, scura e
chiusa nel suo dolore, e lentamente si
avvii verso il centro della piazza. Ci sono
le esitazioni, le pause e le indecisioni che
la tradizione attribuisce all’episodio della
resurrezione: le statue di San Pietro e San
Giovanni che si alternano davanti all’ingresso della chiesa per annunciare la
notizia dell’avvenuta resurrezione, ricostruiscono la scena dei dubbi e della diffidenza di Maria che non crede alla lieta
novella riportata dai due santi, almeno
all’inizio. Poi, si lascia convincere da San
Giovanni: finalmente il portale si apre e la
statua della Madonna compare sulla
soglia, e quindi lentamente si avvia verso
la piazza. È all’altezza della fontana
monumentale in pietra, il fontanone, che
accadrà qualcosa, qualcosa di irripetibile
e miracoloso. La folla, intanto, freme,
ondeggia, rumoreggia; i balconi, le terrazze, le scalinate che risalgono verso
corso Ovidio, le salite di costa dei Sardi
sono strapieni. I portatori della statua
della Madonna sono arrivati al fontanone, si fermano, la folla trattiene il respiro,
loro prendono il tempo giusto: poi, è un
attimo: sollevano la statua della vergine
[Link]
e, sospinti dal boato della folla, cominciano a correre in direzione della statua
del Cristo. Il manto della Madonna, quel
manto nero e luttuoso cade a terra, svelando una veste ricamata in oro che
risplende, mentre un volo di colombi sale
nel cielo. Dodici, quindici secondi di
corsa, accompagnati dagli sguardi carichi
di tensione della folla emozionata e commossa, tra strepiti e urla d’incitamento e
scoppiar di petardi che si concludono con
l’abbraccio ideale al figlio Gesù. Dodici,
quindici secondi che sembrano infiniti,
una breve lunghissima interminabile
traiettoria durante la quale la piazza, la
città, le migliaia di persone che assistono
all’evento sono concentrati idealmente a
sostenere quella statua che corre, quel
manto verde in movimento che ha fretta
di raggiungere il punto d’arrivo, e nella
corsa, nella frenesia, nella concitazione
mista di paura e allegria si definisce e
sostanzia il senso di questa rappresentazione, il significato di una festa, la festa
della vita che rinasce, di una rievocazione
commovente, semplice e indimenticabile
come una favola popolare, la favola più
bella della Pasqua sulmonese.
“Ecco la Pasqua (…)
La piazza è un mar di semoventi, allegra
Nei suoi colori fiammeggianti al sole.
Le terrazze rigurgitano: ovunque
Divoratori di lupini. Attenti!
La processione si fa largo. A capo
Giovanni e Pietro prendono terreno
Coi fratellini tra superbi ceri,
ed una filatessa d’altre staue
Schierarsi a destra e a manca del Redentore,
Lasciando in mezzo libera la strada
Che mena al tempio, ov’è la Madre in ansia.
Al sopraggiunger dei due Santi, quinci
Esce Maria vestita a bruno; in mano
Ha la pezzuola, e il crin nei veli accolto.
Chiede del Figlio; ha da Giovanni e Pietro
Liete novelle, e va con essi in traccia.
A mezza via, le sembra di vedere,
Vede…e per Dio! Visto Gesù risorto,
A tutta corsa incontro a Lui si mette,
Quando, caduto il manto, ad uno sciame
Di colombi ridà libero il volo,
Verdevestita e con le chiome al vento,
E in man recando un mazzolin di fiori.
Restan Giovanni e Pier filosofando
Sull’umane follie, languido l’occhio
Dietro i colombi in fuga. Alto lo sparo
Crepita e tuona, in quel che altri dàn fiato
Alle tartaree trombe cittadine.”
Da Sulmona nei riti religiosi. Versi di Francesco Simonetti,
Sulmona Tip. E Cartol. Angeletti, 1901
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di R. Zaccagnini, L. Del Monaco
ph. Luca Del Monaco
I retroscena della Dietro
Settimana
Santa
le quinte di un evento
Tutto ha inizio il Lunedì.
È passato un anno dall’ultima celebrazione pasquale:
dodici mesi in cui i sagrestani d’onore delle due confraternite sulmonesi hanno preso parte a tutte le manifestazioni celebrative, ai momenti di preghiera, le processioni, la questua per i vicoli della città, dando prova di
intensa partecipazione e di una condotta irreprensibile.
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ra si accingono al sorteggio con cui verranno assegnate
le funzioni nelle processioni che chiuderanno la
Settima Santa. Nell’urna ognuno ripone con smisurata
fede le speranze per i ruoli più ambiti. Nella sala delle
adunanze della SS. Trinità si sorteggiano i portatori del crocifisso
ligneo, si estrae il “tronco”, i capoprocessionieri, le quadriglie
per le statue del Cristo Morto e dell’Addolorata, i mazzieri. Nella
cappelletta di Santa Maria della Tomba, i lauretani sorteggiano le
quadriglie che porteranno i Santi, il Cristo, lo Stendardo e le
rispettive scorte, ma soprattutto la quadriglia della “corsa”, mentre la guida spetta al Capo dei Sagrestani, che ha la facoltà di
cederla ad un’altro confratello di provata esperienza. Le sale sono
gremite, traboccanti. Il vocìo delle prime file invade l’aria, inizia
il passaparola per comunicare gli estratti a chi è rimasto fuori.
I compiti sono stati assegnati, tra l’euforia generale e qualche
delusione. I giorni seguenti saranno vissuti nell’intimità delle
congreghe. In famiglia si preparano gli abiti, si provano i camici, i
trinitari elaborano le scarpe perché possa risuonare lo “struscio”.
La chiesa della SS. Trinità è stata chiusa. All’interno solo i confratelli addetti ad allestire la processione. Nulla è lasciato al caso:
ogni oggetto ha una sua precisa collocazione nella chiesa, si rispetta l’ordine della prima esposizione. L’allestimento si conclude allo
scoccare della tredicesima ora del venerdì, quando al rintocco
finale del vicino orologio dell’Annunziata, l’ultimo dei trentatré
garofani rossi viene posto di fianco al corpo di Cristo. Alle 18 il
portone si apre, i confratelli, ancora senza il saio rosso, si apprestano ad entrare. Il momento è toccante, le lacrime agli occhi, gli
abbracci, lo stupore nei volti dei più anziani, come se fosse la
prima volta che assistono ad un momento che si ripete sempre
uguale, da secoli. La Pasqua è sentita come la fine di un anno, si
tirano le somme, il pensiero corre al ricordo di chi non c’è più. Si
indossano saio, cordone e pettorina bianca. Al collo dei Sagrestani
d’onore e del Direttivo una placca d’argento. L’atmosfera è severa,
O
rispettosa del lutto divino, carica di pathos. Si attende con ansia
l’imbrunire, si accendono i fanali, la chiesa in un attimo si vuota.
Restano solo le quadriglie che trasporteranno i simulacri, pronte a
“gettare la conta”, l’ultimo rituale che designerà chi uscirà di chiesa con la statua in spalla e chi avrà l’ambìto compito di riporla,
lungo l’ultimo intensissimo tratto del rientro.
D’ora in avanti un religioso silenzio abbraccerà il corteo, guidato
dagli sguardi e dai gesti del capoprocessioniere e dei mazzieri,
interrotto solo dal canto corale di antichi Miserere.
Lo stesso silenzio ha invaso la breve intima processione del
pomeriggio lungo i vicoli del quartiere laureano, e il sabato
avvolgerà il corteo di scorta alla Madonna vestita a lutto verso la
chiesa di San Filippo, in una suggestione di accesi colori, fuochi
e profondi bui notturni.
Nella confraternità di Santa Maria di Loreto si è provveduto alla
vestizione della statua, un rituale carico di emotività e mistero,
conservato nel più assoluto riserbo dai sodali; si è provato il meccanismo che permetterà la caduta del manto nero il giorno della
corsa; si è allestita la scenografia per la rappresentazione della
resurrezione del Cristo alla mezzanotte del sabato.
La domenica mattina è un subbuglio, si affidano i ruoli, si infilano
saio e mozzetta, si stringono i cordoni. Le parole si caricano di
significato. Manca poco alla conclusione. Per molti è la gratificazione di una vita, un momento atteso sin da ragazzini. La tensione
è palpabile e spetta alla “guida” trasmettere tranquillità, valutare
lo stato d’animo della quadriglia. Un gesto di incitamento, una
battuta di spirito per scaricare la pressione emotiva, uno sguardo a
scrutare l’ansia negli occhi dei corridori. Poi fuori, i primi dieci
metri, i più importanti. Si sussurrano parole di conforto, si impartiscono gli ultimi ordini, mentre i sacrestani della scorta si preparano ad intervenire al minimo segno di cedimento. Si prende il
tempo, gli ultimi tre passi: “Uno…due…pronto”. Torna il silenzio, per un attimo. “A puzo…Via”.
Vetrina della
Pesqua in Abruzzo
A Lanciano,
l’Arciconfraternita Orazione
e Morte San Filippo Neri
rievoca ogni anno la
Passione del Cristo. Il rito
più caro e sicuramente vissuto con maggiore carica
religiosa, é quello del
Giovedì Santo. Nella serata
di questo giorno, infatti, per
le vie gremite del centro
storico i confratelli sfilano
incappucciati al suono
struggente del Miserere,
del musicista lancianese
Masciangelo, accompagnando il cireneo, scalzo e
con la croce sulle spalle, in
un percorso, poi ripetuto
dalla processione del
Venerdì Santo, che attraversa la parte più antica e
suggestiva della città.
Il giorno di Pasqua la statua della Madonna viene
portata davanti alla
Cattedrale dove incontra la
statua di S. Giovanni che le
annuncia la resurrezione, e
qui sostano fino al martedì.
Il Venerdì Santo è anche il
giorno della Passione di
Cristo morto, processione
che si svolge a Chieti. Tra
le celebrazioni della settimana santa, questa processione è la più solenne e
sontuosa. Tutti i memri
della confraternita della
Buona Morte indossano
l’abito della propria congregazione e procedono
incappucciati in segno di
penitenza e di lutto. La
schola cantorum della cattedrale, accompagnata da
un’orchestra di oltre 150
archi, esegue ininterrottamente la mesta marcia
funebre di Selecchy, maestro compositore del secolo scorso.
La processione avanza tra i
suggestivi scorci del centro
storico e, dopo un lungo
tragitto, rientra, a notte
avanzata, nella cattedrale.
Il rito pasquale del Venerdì
Santo a L’Aquila affonda
le proprie origini nei secoli
passati. Dopo un lungo
periodo di interruzione è
stato ripristinato nel 1954.
Il nuovo assetto della manifestazione si avvale anche
dell’apporto artistico della
creatività del pittore Remo
Brindisi, che ha realizzato
molte delle statue del corteo sacro. La processione
del Cristo Morto lungo il
percorso delle vie della
città, effettuata in notturna,
alla luce dei ceri, è molto
suggestiva e rappresenta
un momento di raccoglimento dell’intera comunità.
Al corteo partecipano centinaia di figuranti, che portano in parata simulacri,
torce, statue, lampioni,
accompagnati dal canto di
una corale, che intona il
Miserere, al suono degli
archi di un’orchestra,
anch’essa itinerante.
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Il Manifesto per la qualità turistica
Presentata la Carta di Valorizzazione del territorio
di Antonio Carrara
presidente della Comunità Montana peligna
Migliorare la qualità dell’offerta turistica
del territorio con il coinvolgimento degli
operatori pubblici e privati. Promuovere il
territorio attraverso la creazione e la promozione di un marchio d’area.
ono questi gli obiettivi del progetto “Carta di Valorizzazione del
Territorio”, presentato venerdì 16 marzo presso la Comunità
Montana Peligna, l’ente che ha organizzato e promosso il progetto insieme al Comune di Sulmona e alla società di consulenza
Sintab, che si avvale di un finanziamento regionale nell’ambito del PIT
Sulmona per attività di ricerca. Sono inoltre coinvolte nel progetto
l’Università di Teramo e DNV Italia, società accreditata nel settore della
certificazione della qualità.
L’iniziativa ha ivisto la presenza dei rappresentanti degli enti promotori, dell’assessore alla cultura e al turismo del Comune di Sulmona,
Emanuela Ceccaroni, e dell’assessore al turismo della Provincia
dell’Aquila, Teresa Nannarone.
L’idea alla base del progetto, illustrata da Emilio Chiodo, ricercatore
dell’Università di Teramo, è chiara e semplice: la capacità attrattiva e di
accoglienza turistica del territorio dipende dal comportamento congiunto dei diversi operatori pubblici e privati che vi operano; insieme concorrono a creare l’esperienza del turista: accoglienza, ricettività, ristorazione, produzioni tipiche, servizi, capacità di offrire informazioni prima,
durante e dopo il soggiorno. La competizione oggi non è più tra operatori turistici di una stessa area ma tra destinazioni turistiche diverse, che
devono essere in grado di promuovere adeguatamente la loro offerta
S
ph. Giovanni Cocco
per attrarre il turista ed offrire un’esperienza la cui qualità sia pari o
superiore alle attese.
La “Carta di Valorizzazione del Territorio” prevede un protocollo di
intenti in cui sono dichiarati gli obiettivi, la promessa e gli standard qualitativi ai quali un territorio fa riferimento nella sua offerta turistica. Le
diverse categorie di operatori, ognuno nel suo specifico, elaboreranno
delle Carte dei servizi per offrire un servizio di qualità aderente alle peculiarità del territorio e in grado di soddisfare i bisogni dei turisti.
Esperienze analoghe, in corso di realizzazione in altre località turistiche
in Italia ed all’estero, sono state presentate da Carmine Lamanna di DNV
Italia, che ha lanciato a livello nazionale la proposta delle carte di valorizzazione del territorio.
I tavoli di lavoro individuati, il cui funzionamento è stato illustrato da
Gianpaolo Tronca della Sintab, sono quello dell’accoglienza turistica (proloco, punti informativi, musei, Riserve naturali, ecc.), della ricettività
(alberghi, agriturismi, bed & breakfast), della ristorazione e delle produzioni agro-alimentari tipiche. Le altre categorie possono integrarsi se vi è
la volontà degli operatori di partecipare, per contribuire a migliorare il
sistema turistico in tutti i suoi aspetti. I lavori dei tavoli si concluderanno
entro il mese di giugno.
Gli operatori che metteranno in pratica gli impegni elaborati nelle
Carte dei servizi potranno essere certificati da parte di DNV. I soggetti
certificati saranno inclusi nella Carta della qualità della Valle Peligna, uno
strumento di comunicazione in cui gli Enti promotori del progetto rendono pubblico il proprio impegno per la qualità (il Manifesto per la qualità
della Valle Peligna) e danno visibilità agli operatori economici aderenti,
con opuscoli da distribuire nell’area, nelle fiere di settore e attraverso lo
strumento informatico. I soggetti certificati potranno utilizzare il marchio
di qualità del progetto, che diviene un vero e proprio marchio d’area per
la promozione integrata del territorio.
Appuntamenti
Freedom trail
Il sentiero della libertà
Ecotur: il turismo
ambientale guarda
all’Europa
Ecotur riapre i battenti anche quest’anno come è tradizione ormai da
qualche tempo nella città di
Montesilvano, al Palacongressi: dal
13 al 15 aprile prossimi prenderà
l’avvio la diciassettesima edizione
della manifestazione dedicata al
turismo ambientale, che quest’anno ha avuto anche un testimonial
mediatico, Klaus Davi, esperto di
comunicazione di massa e d’immagine, autore di uno studio sul turismo di settore. Proprio Davi ha
rilanciato il ruolo che l’Abruzzo
potrebbe ricoprire nel panorama
internazionale, assumendo una
dimensione strategica all’interno di
quella ricerca della qualità dell’offerta che i turisti stranieri negli
ultimi tempi privilegiano, guardando con interesse soprattutto le
regioni del centro Italia. E della
peculiarità di giacimento di bellezza ambientale e paesaggistica di
grande fascino, in cui si saldano
tutela del patrimonio artistico e
rispetto ambientale, la nostra
regione potrebbe farne un punto di
forza imbattibile. Ecotur punta a
divenire una borsa del turismo di
qualità, un’occasione per attrarre
gli operatori del settore e promuovere cosi a livello europeo la
nostra regione. Nell’ ambito della
manifestazione sono attesi 120
operatori della domanda internazionale selezionati dall’Eni, che
andranno ad animare il previsto
work shop. Un settore a parte
verrà riservato al Buy Park, incontro tra operatori specializzati della
domanda e dell’offerta dei parchi e
delle aree protette.
8 settembre 1943: l’Abruzzo si trova improvvisamente al
centro della storia. La prigionia e la successiva liberazione di Mussolini a Campo Imperatore, la fuga del re dal
porto di Ortona, e infine la “Linea Gustav” che attraversa la regione tagliandola in due. Dal campo di concentramento numero 78, quello di Sulmona, evadono i prigionieri, per lo più militari inglesi catturati sul fronte africano. Incontreranno presto la solidarietà degli abruzzesi
e, con loro, prepareranno la fuga verso sud, gli alleati, la
libertà.
Cos’è Freedom Trail? Lo chiediamo al prof.
Mario Setta, presidente dell’Associazione
Culturale “Il sentiero della libertà”.
«Il Freedom Trail è una manifestazione internazionale,
nata dall’iniziativa di alcuni reduci di guerra inglesi, che
anni fa decisero di tornare sui luoghi che li videro protagonisti di battaglie, prigionie e fughe durante la seconda
guerra mondiale. Pensarono così di scegliere ogni anno
un Paese diverso per mantenere viva la memoria di quei
giorni».
Da noi la prima marcia fu organizzata nel 2001,
anticipata da una lunga preparazione, soprattutto da parte dei ragazzi del Liceo Scientifico
“E.Fermi” di Sulmona.
«Ero insegnante al liceo, quando con gli studenti iniziammo una ricerca storica che portò, nel 1995, alla
pubblicazione di E si divisero il pane che non c’era, in
cui raccontammo attraverso ricordi e testimonianze dei
protagonisti, i giorni trascorsi nascosti nelle soffitte o nei
pagliai, l’incontro della gente d’Abruzzo con gli stranieri
di ogni nazionalità fuggiti dai campi: episodi drammatici
e toccanti, di straordinaria umanità. Quando entrammo
in contatto con gli inglesi, tutto era pronto per organizzare l’evento.
Fu un momento indimenticabile, reso ancor più intenso
dalla presenza dell’allora presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi, anch’egli testimone di quei giorni,
che della sua traversata da Sulmona fino a Bari scriverà
un diario, oggi pubblicato da Laterza nel volume Il sentiero della libertà , curato dal Liceo “Fermi”».
Qual era questo sentiero?
«Partivano in gruppi, a decine, appena fatto buio, da via
Ancinale a Sulmona. Italiani renitenti alla leva, stranieri,
ex prigionieri, antifascisti e gente del nord che voleva
raggiungere gli alleati e combattere al loro fianco.
Cacciatori e gente di montagna dei nostri paesi facevano loro da guida. Si superava Campo di Giove, il Guado
di Coccia, il momento più duro, rischioso, l’attraversamento della Linea Gustav, poi Palena, Taranta Peligna e
infine Casoli, avamposto degli alleati».
Dopo la prima esperienza, avete deciso di proseguire e organizzare la marcia ogni anno, a cavallo del 25 aprile, festa di liberazione.
«Decidemmo, insieme ai membri dell’associazione, alla
professoressa Adelaide Strizzi e al preside Ezio Pelino, di
provare a dare un significato più profondo alla manifestazione, oltre la semplice rievocazione. Oggi viviamo la
traversata come metafora del cammino che l’uomo può
compiere, verso un mondo senza guerra, un mondo di
pace e vera libertà. È diventata un’esperienza di vita in
cammino, per ricordare e non ripetere gli sbagli della
storia. Ai partecipanti consegnamo una guida con contributi storici. Quest’anno sarà titolata Donne per la
libertà, in ricordo di Iride Imperoli Colaprete, morta lo
scorso anno, staffetta che accompagnò numerosi fuggiaschi lungo la “via del treno”, un altro sentiero della
libertà, verso Roma e il Vaticano. Tornerà una delegazione di reduci inglesi e sarà con noi anche un gruppo di
giovani della Normandia ».
Si parte, dunque, il 27 aprile, da Piazza XX Settembre,
a Sulmona, per la settima marcia internazionale lungo il
sentiero della libertà. Due giorni di cammino, tra nuove
amicizie, scambi culturali, ricordi e momenti di approfondimento, per giungere il 29 a Casoli. A precedere la
manifestazione, per i festeggiamenti del 25 aprile, si
svolgerà un breve cammino che dal campo di concentramento giungerà all’Abbazia Celestiniana, proseguendo
verso il santuario di Ercole Curino e Sant’Onofrio.
Il 26 aprile, alla vigilia della marcia, sarà organizzato
un incontro con Rita Borsellino, sul tema “Legalità e
libertà”. Il 2 maggio, infine, avverrà la consegna delle
borse di studio “Roberto Cicerone”, protagonista di
quella che Adolfo Pepe definì “resistenza umanitaria”.
Per iscrizioni e ulteriori informazioni: Prof.ssa Adelaide
Strizzi, cell. 349.2670922 (pomeriggio)
Sig. Antonio Cicerone, tel. 0864.242230 (mattina)
siti internet: www.ilsentierodellaliberta.it; www.liceoscientificosulmona.it
e-mail: [email protected]
La nuova città del cinema
Una nuova multisala a Corfino, nel cuore della Valle Peligna, verrà inaugurata a cavallo delle festività pasquali. 50
chilometri di cavi, 3500 Watt di potenza sonora, sistema totalmente automatizzato per la programmazione delle proiezioni, 7 strati di insonorizzazione. Questi sono solo alcuni numeri di Igioland, la nuova città del cinema che sarà anche
un centro commerciale. Saranno tre le sale attive da subito, dotate di tutti i confort e le più innovative tecnologie
del settore. Promotore del progetto è Sandro D’andrea, gestore cinematografico di lungo corso, che ha fatto
del cinema il suo mestiere. Una scommessa, quella di D’andrea, legata ad una tradizione di famiglia
(gestori per anni della storica sala di Pratola Peligna), e che si propone di rilanciare sul territorio la passione per la “settima arte”.
Info www.igioland.it
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L’oro e l’argento
Giovani orafi d’Abruzzo: un mestiere che diventa arte
L’Abruzzo è terra di tradizioni secolari, memorie che si tramandano da
generazioni.Terra di passaggio, lungo le strade che collegavano le periferia del Regno di Napoli, attraverso i tratturi nel tempo della transumanza: qui si incontravano la semplicità delle operose genti d’Abruzzo,
la ricchezza dei proprietari di greggi e dei nobili, l’estro di artisti in transito. L’arte orafa abruzzese si è sviluppato così, nei borghi di montagna.
di R. Zaccagnini
ph. Luca Del Monaco
[Link]
Una storia d’amore.
«La Presentosa» di Gabriele
Ciutti
(Rocco Carabba Editrice)
Novella ispirata al nome di un
gioiello,favola sospesa tra storia
e leggenda, La Presentosa è un
viaggio nel tempo, incontro ad
usi, costumi, personaggi di un
borgo antico (Scanno) che sorprendono e ammaliano un giovane fotografo straniero.
Una storia d’amore, quello di
Francesco e Celerina, in un racconto magico «di lupi, serpenti,
antichi libri, mestieri dimenticati».
Il libro di Ciutti è un ritorno alla
fiaba, nell’incanto dell’Abruzzo
montano.
Le nuove tecnologie hanno
rischiato di mettere seriamente in crisi l’artigianato
locale. Molte botteghe si convertivano alla commercializzazione, mentre una nuova generazione di orafi tentava di farsi strada recuperando le tecniche del
mestiere di una volta.
«Per me è anche la volontà di mantenere viva una tradizione che
sento mia», ci dice Gianluca Domenicano, originario di
Pescocostanzo, dove giovanissimo ha appreso i segreti del mestiere osservando il lavoro dei suoi familiari.
«Ho fatto studi artistici, l’Accademia, ma da ragazzo volevo
sfuggire ad un destino che sembrava già segnato. Poi il legame con
la storia di famiglia, la scoperta di una passione intima per questo
mestiere… Ed eccomi qua».
Da cinque anni Gianluca ha aperto un laboratorio a Sulmona,
dove con pazienza e meticolosità mantiene viva la tradizione orafa
di Pescocostanzo. Mentre osserviamo uno splendido calamaio in
argento lavorato a mano, gemello di uno ordinato dal presidente
Giovanni Leone, Gianluca ci porge alcuni quadernetti sdruciti,
consumati dal tempo, in cui sono custoditi i segreti di famiglia. I
quaderni più vecchi risalgono alla fine del settecento: all’interno
nessun disegno, ma veri e propri calchi, impressi sulla carta con il
fumo di candela, annerendo il gioiello su entrambi i lati e stringendolo tra due pagine. Su quegli stessi quaderni, oggi come allora Gianluca calca nuovi modelli, appunta misure e proporzioni. La
presentosa, innanzi tutto, che a Pescocostanzo si caratterizza per
l’uso della filigrana, due fili intrecciati
e poi schiacciati con i quali si orna lo
scafo, la struttura che dà forma al gioiello.
«La nostra presentosa in filigrana ha radici
nella vita quotidiana delle comunità montane
dei secoli scorsi. D’inverno le donne trascorrevano
molte ore in casa a lavorare il merletto, e dai disegni cui
si ispiravano prendevano forma le rielaborazioni che poi venivano adattate all’oro».
Un’arte cresciuta nell’atmosfera del focolare familiare, ma che
al contempo sapeva trarre ispirazione dalla natura. Così è nata, ad
esempio, la cannatora, collana a stretto girocollo, formata da chicchi d’oro che riproducono il disegno dell’uva spina. Poi ci sono le
cioccaglie, orecchini a forma di bacca, e il brillocco, ciondolo
vistoso che si usava indossare in accoppiata alla cannatora.
Le giornate in laboratorio trascorrono lente, spesso in compagnia dei soli arnesi del mestiere. Si aspetta il momento giusto, con
pazienza e concentrazione. Tra fusioni e trafilature ci si prepara
così a costruire gli scafi, a tessere la filigrana. « Ho imparato da
mio padre una tecnica antica e semplice: con due tavole di legno,
una usata come base, l’altra da far scorrere sui fili con leggerezza e
decisione, in modo da farli intrecciare». E intanto , tra un passaggio e l’altro, il metallo deve essere mantenuto elastico e morbido
attraverso cotture continue, fino al momento di realizzare il disegno scelto. Si intessono allora farfalle, riccioli, arabeschi dai
riflessi cangianti: con minuzia e precisione prendono forma
gioielli unici, ricchi, leggeri.
Ma fare l’orafo significa anche manualità e sforzo fisico. Come
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quando si realizza la cannatora, tagliando l’oro con punzoni tracciatori e ponendo i dischi ottenuti nella bottoniera, un basamento
con coppe incassate di varie dimensioni. Qui si dà forma alle semisfere, in un continuo, ipnotico martellìo. Con punzoni su cui è
scolpito il disegno del gioiello, battendo con vigore su un disco di
piombo, poi su uno più duro, in rame, l’oro prende la sua conformazione. Si torna a banco, per montare le due coppe, pulirle e dar
loro lucentezza. E così si va avanti, chicco dopo chicco.
E al momento della vendita spesso la separazione è sofferta:
«Come lasciare un pezzo di sé».
Ce lo conferma Giuseppe D’Orazio, artigiano di Sulmona, che
spesso ha rinunciato a riprodurre gioielli e monili a cui era particolarmente legato: un bracciale ispirato a un modello romano, un
gioiello disegnato su un frammento di scavo dell’antica città di
Ebla; e poi collane e ornamenti creati per la rievocazione della
Giostra Cavalleresca, gli anelli con cui ha vinto l’ambìto concorso
di Guardiagrele, un’audace rielaborazione della “croce pettorale”.
Orafo di prima generazione, originario di Villetta Barrea ma cresciuto a Roma, Giuseppe D’Orazio è l’esempio di come un’arte antica possa stimolare passioni e creatività anche in chi non ha alle
spalle una tradizione familiare. «Non ho frequentato scuole specifiche, l’Istituto d’Arte ad esempio. Certo la manualità non mi mancava: da piccolo mi costruivo i giocattoli da solo, era probabilmente
una dote naturale». Poi l’incontro con un’amica di famiglia, un
libro sulle pietre preziose nel mondo, l’idea del viaggio…e la curiosità di frequentare un corso di oreficeria. Ma la vera formazione
sarà a Sulmona, “facendo bottega” presso un artigiano locale.
Non sfugge, passando davanti alla vetrina di Giuseppe D’Orazio,
la ricercatezza delle sue lavorazioni, opere di artigianato che
lasciano trasparire un prezioso lavoro di pensiero, di studio, di
ideazione. La tradizione locale, di cui è oggi un formidabile interprete, Giuseppe l’ha scoperta girando per i paesi d’Abruzzo, tra
Sulmona, Pescocostanzo e Scanno, studiando e lavorando con gli
orafi del posto, assorbendone i segreti per poi rielaborarla, dandole freschezza e originalità. Così la presentosa, impreziosita di
smalti e incastonature, acquista una vivacità inedita, mentre i
lavori in filigrana si arricchiscono di volute, ricci, morbide onde,
cercando sempre nuove contaminazioni (come la granulazione,
tecnica caratteristica dell’oreficeria etrusca che consiste nell’in-
serimento di microsfere nel filato d’oro). Alla tradizione, poi,
Giuseppe D’Orazio affianca la ricerca etnica, creando anelli con
rubini in stile egiziano, fedi sarde, monili precolombiani. Tutto
conservando le tecniche di lavorazione e utilizzando gli strumenti
di una volta: un crogiulo per la fusione, le lingottiere, il laminatoio, i punzoni.
«Nella fase produttiva c’è bisogno di tranquillità, di serenità. Il
metallo richiede attenzione, controllo della temperatura e dell’elasticità: mentre lo lavori non puoi permetterti distrazioni.
Avendo il laboratorio all’interno dell’oreficeria, devo ritagliarmi
dei momenti liberi, nelle ore di chiusura, a volte di notte, perché
quello che fa un gioiello sono le finiture, il tempo e la pazienza, la
cura dei particolari».
E basta vedere come Giuseppe presenta i suoi lavori, giocando con
le luci, facendoli sorgere dalla loro stessa materia d’origine, da un
guscio di cocco o una scheggia d’osso, per percepire quanto impegno ci sia dietro. E tutto questo si riflette nel rapporto con i clienti, nel tentavo di assecondarne le esigenze, di disegnarne la personalità, e modellargli attorno un gioiello unico.
La passione per i viaggi è diventata per Giuseppe D’Orazio ulteriore motivo di ricerca: nuove idee, stimoli esterni che possano
nutrire la fantasia e lo spirito ed essere confrontati al rientro con
i giovani colleghi, in un clima di vera collaborazione che le nuove
generazioni di orafi sono riuscite ad istaurare.
Domenicano e D’Orazio hanno un rapporto solido da anni, ed
è quest’ultimo che ci ha presentato Eugenio Di Rienzo, ventinovenne artigiano di Scanno, conosciuto la prima volta ad una
fiera, quando, ancora bambino, accompagnò il padre per un’esposizione.
«La competizione tra noi è concorrere a stimolarci a vicenda»,
ci dice Eugenio accogliendoci nel suo laboratorio. Luci tenui, sul
fondo un manichino veste il costume tipico di Scanno e indossa i
gioielli della tradizione locale, mentre dagli altoparlanti ci investe
il ritmo festoso del samba. «Sono diversi viaggi che faccio in
Brasile. Notti e giorni ad assorbire sensazioni, forme, colori. Al
ritorno poi aspetto che quello che ho dentro venga fuori, prenda
forma, disegno».
Non c’è dubbio, anche per Eugenio Di Rienzo la tradizione è un
punto di partenza per approdare su altri lidi. Nelle sue mani il
merletto di Scanno, gioiello caratteristico del borgo abruzzese il
cui disegno ripropone il merletto a filo che decorava il collo e i
polsini dei costumi tipici, prende forme nuove, prospettive inattese. Non solo la classica spilla, ma anche ciondolo, orecchini,
bracciali, spesso arricchiti di pietre colorate, cristalli. Tutto senza
distorcere la ricca tradizione locale, che al merletto affianca le circeglie e le manucce, un anello a due braccia che chiudono un
cuore, simbolo dell’unione tra gli innamorati.
Ci sono poi la presentosa, in oro e in argento; la bottoniera,
ricordo delle fibbie e dei bottoni argentei per le vesti delle donne
del luogo; la pigna, realizzata in argento come quattrocento anni
fa, un scudo su cui viene rievocata la Passione di Cristo, una via
crucis che culmina nel segreto del fondo del gioiello, dove si
nasconde un’incisione della resurrezione, mentre all’interno si
custodiscono una ciocca di capelli o un drappo d’abito della persona da proteggere. Gioiello unico,oggi brevettato, è l’amorino, a
[Link]
Orafi a concorso
Dal primo al venti agosto di quest’anno, l’Ente Mostra dell’ Artigianato
Artistico Abruzzese organizza il 12° Concorso nazionale di oreficeria
intitolato a Nicola Da Guardiagrele, protagonista del panorama dell’oreficeria italiana nel corso della prima metà del Quattrocento.
Il tema del concorso, suddiviso in tre categorie (Gioiello d’avanguarda,
di moda, tradizionale) è libero, così pure le tecniche di realizzazione.
Il concorso è riservato agli orafi della Regione Abruzzo, agli insegnanti,
ai diplomati degli Istituti d’Arte pubblici e privati ad indirizzo professionale. Tre borse di studio verranno riservate agli allievi di scuole pubbliche o private.
La manifestazione avrà luogo come sempre a Guardiagrele, all’interno
della 37° Mostra di artigianato artistico.
Info
Ente Mostra dell’ Artigianato Artistico Abruzzese
Ex Istituto S.Giuseppe - Via Roma 28 - 66016 GUARDIAGRELE (CH)
tel. 0871.83829; fax. 0871.83829
sito internet: www.emaaa.it; e-mail: [email protected]
spilla o ciondolo, realizzato per la prima volta nel 1926 dal nonno
come dono per la futura sposa.
Orafo di quattordicesima generazione, Eugenio Di Rienzo è cresciuto in bottega, « a rompere e distruggere: così si impara a
costruire». A nove anni la prima storta incisione, per la quale il
nonno gli regalò cinquantamila lire. «Era l’ottantasette. Due anni
dopo mio nonno morì. Per lui quel giorno fu una gioia enorme;
per me resta un ricordo indimenticabile. Molte cose che faccio le
rielaboro sui suoi modelli, cercando di aggiungergli valore senza
snaturarli. La sfida è riuscire ad essere originale conservando la
tradizione». Il tavolo da lavoro è lo stesso su cui ha mosso i primi
passi: sul banco gli arnesi del nonno, in un angolo una trafila degli
anni cinquanta, il ferro scurito dal tempo, un pezzo da museo con
cui ancora oggi Eugenio modella l’oro manualmente, girando la
pesantissima leva, per il gusto di sentire sulle braccia il filo che si
tende e prende forma. Anche per Eugenio il lavoro sul cliente è
fondamentale. «A volte capita di appassionarsi troppo ad un
oggetto, di non volersene staccare. Allora aspetto che venga la
persona giusta, che entri in sintonia con quello che il gioiello ha
significato per me». Come nel caso di un lavoro a cui il giovane
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artigiano è particolarmente affezionato: un bottone tradizionale
di Scanno, trafitto da una lamina d’oro, un filo unico che lo avvolge in un’intrico di orbite e lo proietta oltre la sua dimensione. « È
uno sguardo sul mondo», l’esigenza di uno spazio libero tutto da
inventare che spinge Eugenio Di Rienzo a desiderare a volte di
portare la propria tradizione altrove. Un pensiero che manifesta
tutta la preoccupazione per un lavoro sacrificato che le nuove
generazioni stentano a proseguire.
Prospettive incerte, dunque, che contrastano con un momento
di forte rilancio dell’artigianato orafo locale. Le opere dei tre protagonisti della nostra storia sono sparse in tutto il mondo. Su
Domenicano è stato scritto addirittura un libro stampato in
Giappone; D’Orazio ha partecipato a mostre internazionali a
Parigi, Toronto, Londra; Di Rienzo spedisce i suoi gioielli a
Boston, in Texas, mentre una giovane d’oltreoceano arriva a
Scanno dopo aver letto un articolo sui suoi gioielli su una rivista di
New York. È il segnale più evidente, la promessa di un futuro per
un mestiere antico ed affascinante.
[Link]
La Presentosa, un gioiello abruzzese
Ciondolo a forma di stella, diventato famoso per la descrizione che
ne fa Gabriele D’Annunzio ne «ll trionfo della morte», la presentosa
è indiscutibilmente il gioiello più famoso della tradizione abruzzese.
I luoghi di produzione più antichi sono stati individuati a
Guardiagrele e ad Agnone (oggi in territorio molisano), poi a
L’Aquila, Sulmona, Pescocostanzo e Scanno. Lungo i sentieri della
transumanza, migrazione stagionale che i pastori abruzzesi effettuavano verso sud, questo gioiello giunge anche in alcuni paesi dell’ltalia meridonale, soprattutto nel territorio pugliese del Gargano.
Nella sua forma classica, la presentosa è composta da un telaio (o
scafo) di forma stellare, riempito al centro e negli spazi attorno da
stilemi in filigrana o in oro laminato semplice. Al centro uno o due
cuori, a simboleggiare il nubilato di chi lo indossava, oppure la promessa di un amore corrisposto.
Il nome stesso del gioiello ci ricorda il valore simbolico che aveva:
era un “presente”, un “dono” ricevuto dalle giovani donne come
pegno d’amore.
Negli anni il motivo classico ha subito molte varianti, legate alla
creatività degli orafi, al costume di ogni paese, alle esigenze dei
committenti, mantenendo comunque intatto l’originario incanto.
INFORMAZIONI
Gianluca Domenicano
Laboratorio orafo, via Cesare Battisti 22, Sulmona (Aq)
tel. 0864.31381, cell. 339.5495612
e-mail: [email protected]
Giuseppe D’Orazio
Oreficeria, Corso Ovidio 114, Sulmona (Aq)
tel. 0864.53360
sito web: www.giuseppedorazio.com; e-mail: [email protected]
Eugenio Di Rienzo
Lavori artistici, via Degli Alpini, Scanno (Aq)
tel. 0864.74366, cell. 347.1542075
e-mail: [email protected]
Il parco della terra
In un museo all’aperto
la storia di un paesaggio naturale
di Emanuela Ceccaroni, Fabrizio Galadini
l panorama della conca peligna regala le sensazioni tipiche dei paesaggi che uniscono ampiezza a varietà delle forme. Dai punti più alti del
grande bacino montano si resta colpiti dal contrasto tra pianura e corona di monti e dalle forme
mai uguali del rilievo. Più in basso lo sguardo si
muove alla ricerca dei luoghi della vita: i paesi di
pietra, come rocce esumate dall’erosione.
È dall’alto che si può guardare alla conca col senso
della storia e tornare indietro di due millenni, agli
antichi abitati, nei cui nomi è l’origine della toponomastica odierna.
Difficile pensare ad uno spazio come all’integrale
di eventi geologici, ma pianura, versanti e creste, i
fiumi che chiudono Sulmona altro non sono che
resti ed espressione di una storia di milioni di
anni, composta da immagini che scorrono in successione.
I
Viaggio al centro della terra di Henry Levin con
James Manson. Dopo aver letto una scritta su un
pezzo di lava, il prof. Lindenbrook di Edimburgo
con tre compagni decide di entrare nel cratere vulcanico dello Stromboli per raggiungere il centro
della Terra. Divertente riduzione cinematografica
di un romanzo (1864) di Jules Verne. Cinema
avventuroso alla vecchia maniera, ma di classe.
Ottimo finale spettacolare. Musiche di B.
Herrmann. È probabilmente il miglior film di H.
Levin (1909 -80), prolifico regista che bisognerebbe esplorare, se non rivalutare.
ph. Luca Del Monaco, Fabrizio Galadini
Il racconto comincia con il mare mesozoico (a partire da circa 180 milioni di anni fa) ed un grande
ambiente biocostruito, che i geologi chiamano
“piattaforma carbonatica”, simile all’odierno arcipelago delle isole Bahamas. Le tracce di questo
oceano si trovano nei luoghi ove le rocce sono ricche dei resti fossili della vita di milioni di anni fa:
coralli, molluschi, briozoi, foraminiferi ed alghe
calcaree affiorano in vari settori del Morrone e
nella parte meridionale della Maiella, a suggerire
la presenza di questo mare che è all’inizio della
formazione delle nostre montagne.
Il moto di avvicinamento delle placche africana ed
euroasiatica ha portato poi alla progressiva riduzione dell’oceano mesozoico con conseguente
deformazione dei sedimenti in esso contenuti e
loro traslazione verso nordest. In questa deriva
nordorientale, dalla fine del Miocene (da ca. 10 a
5 milioni di anni fa) e nel corso del Pliocene (da
ca. 5 a 2 milioni di anni fa), le rocce carbonatiche
della piattaforma, che costituiscono oggi i rilievi
più alti, si sono sovrapposte ai sedimenti argillosi
e arenacei in cui sono scolpite molte valli abruzzesi (Val Roveto, Sangro, Giovenco, Sagittario, area
di Caramanico e altre).
L’elevata erodibilità delle argille della valle del
Sagittario, nella zona di Anversa, è il motivo della
formazione dello spettacolare paesaggio calanchivo, una profonda incisione dai colori cangianti nei
diversi momenti del giorno e dell’anno.
I sedimenti, trasformati in rocce, col loro carico di
testimoni fossili della vita del mare, hanno subito
il sollevamento. Con l’inizio di questo processo, a
partire dal Pliocene, comincia quell’elaborazione
del paesaggio il cui termine provvisorio è costituito dall’attuale fisiografia.
Al sollevamento della catena appenninica si
accompagna anche la formazione delle grandi fratture nella crosta terrestre, le faglie, formidabili
agenti di modellazione del paesaggio.
Se si guarda alla conca peligna, in effetti, la sua
attuale forma (e soprattutto il sistema pianura-versante orientale) è sostanzialmente condizionata
dalla storia dei movimenti avvenuti lungo la faglia
del Monte Morrone; come in altri casi
nell’Appennino abruzzese, anche questa è una
faglia normale, cioè una frattura il cui piano, con
pendenza dal Monte Morrone verso il sottosuolo
della pianura, è caratterizzato da movimenti di
ribassamento del settore sudoccidentale (la pianura) e di sollevamento del settore nordorientale (la
montagna).
Tale è il processo di formazione anche di numerosi
bacini intermontani abruzzesi come il Fucino, l’alta
valle dell’Aterno a nord dell’Aquila, la conca di
Fossa-San Demetrio ne’ Vestini, l’altopiano delle
Cinque Miglia, Campo Felice, la conca di
Pescasseroli. I laghi e i fiumi sono una conseguenza, durante il Quaternario (ultimi due milioni di
anni circa), della storia del sollevamento della cate-
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na appenninica, della contemporanea fagliazione e
dell’articolazione del paesaggio in aree depresse e
montane. I fiumi, soprattutto nei periodi in cui la
dinamica erosiva è stata dominante, hanno contribuito ad articolare il paesaggio, aumentando i dislivelli tra aree depresse e montane.
Le faglie, quindi, possono essere viste come gli
elementi geologici alla base degli ambienti vitali
odierni.
Nel bacino di Sulmona, il ribassamento progressivo dell’attuale pianura, per l’attività della faglia
durante il Quaternario, ha portato alla formazione
di un bacino lacustre. La soglia che limitava il lago
doveva essere ubicata ad est di Popoli in un’area
dominata, negli ultimi 100.000 anni circa, dalla
deposizione di travertino di ambiente palustre e
fluviale e, in misura minore, di cascata. Il lago
condizionava anche la presenza di una fauna oggi
tipica di altre zone del mondo: alcune centinaia di
migliaia di anni fa, elefanti ed ippopotami vivevano al margine del bacino.
Nel lungo periodo dominato dalla presenza dell’ambiente lacustre, i versanti sempre più alti
hanno alimentato frane, in alcuni casi di enormi
proporzioni, come quelle di Campo di Giove e di
Pacentro.
Le acque del lago hanno occupato la conca di
Sulmona fino a circa 35.000 anni fa, quando l’erosione del Pescara ha definitivamente inciso la
soglia in travertino e provocato il completo drenaggio della conca. Oggi, i sedimenti limosi di colore
chiaro, spesso visibili nelle sezioni delle zone
interne al bacino, sono la testimonianza del lago
ormai scomparso, mentre gli affioramenti di travertino della zona di Popoli-Bussi, utilizzati nell’anti-
chità per l’estrazione di materiali da costruzione,
sono i resti della soglia rocciosa che sbarrava il
lago.
L’antico fondo lacustre è stato poi coperto dai
depositi fluviali che formano l’attuale superficie
pianeggiante nota come “terrazza alta di Sulmona”,
la quale è stata incisa, a partire dalla parte finale
del Pleistocene superiore (cioè all’incirca negli
ultimi 20.000-30.000 anni), dai fiumi che scorrono nella conca peligna. I più evidenti ritocchi fluviali al paesaggio lacustre sono riferibili al Gizio e
al Vella che isolano il lembo di terrazzo su cui è
fondata Sulmona.
Nella prospettiva sopra delineata, la faglia del
Monte Morrone si pone come elemento geologico
primario per la formazione del bacino attuale. Le
suggestioni che il paesaggio genera, la sua bellezza, ma ancor più il fatto che nel bacino sono stati
edificati insediamenti stabili e si collocano fonti
per il sostenimento e lo sviluppo della società
fanno pensare alla faglia che modifica il paesaggio
come ad un elemento geologico benefico.
Questa attività geologica, tuttavia, non è un processo continuo, ma ha piuttosto un andamento a
scatti. Ad ogni movimento verticale lungo la faglia,
ad ogni incremento del rilievo corrisponde un terremoto catastrofico, come quello documentato per
fonti archeologiche e attribuibile alla prima metà
del II secolo d.C. o quello del 1706.
Il primo sarebbe proprio riferibile al movimento
della faglia del Morrone, la frattura responsabile
della formazione del bacino (e dei terremoti coi
quali la conca si è evoluta), esposta in più punti
lungo il versante del Morrone: nelle zone di
Roccacasale e di Pacentro è visibile come una sorta
di cicatrice nella roccia.
Il piano di questa cicatrice, perfettamente levigato
dal movimento, è ben riconoscibile anche a ridosso del santuario di Ercole Curino, a Sulmona, del
quale dovette determinare la distruzione proprio
nel II secolo d.C.
Il terremoto del 1706 sarebbe stato causato da una
faglia più a sud che interessa gran parte del Monte
Porrara, lungo il versante occidentale.
Forse agli scuotimenti sismici più antichi sono
riferibili i già citati accumuli di frana dell’alto corso
del Vella che si osservano lungo la strada che da
Pacentro conduce a Passo San Leonardo; gli affioramenti di grandi massi lungo la strada provincia-
le prima dell’ingresso a Pacentro chiariscono che
l’intero abitato è fondato sull’antico deposito di
frana alimentato dalla testata del Vallone di Mileto.
Questo paesaggio dispensatore di emozioni ha
quindi acquisito le sue forme per il cumulo di
improvvisi e brevi (al massimo decine di secondi)
cataclismi legati a scosse sismiche.
I segni lasciati dagli eventi geologici conducono
attraverso un percorso che racconta la storia di un
territorio, indagandone le più antiche origini e
restituendocele con il loro carico di suggestione
che travasa anche nel presente gli effetti e le successive evoluzioni.
Di questa storia così articolata e con effetti di
segno opposto, la conca peligna è ricca di testimonianze, visibili in vari punti come in un grande
museo all’aperto: un’insolita esposizione, estranea
alle abitudini del visitatore, non racchiusa in vetrina, ma pronta a mostrare in maniera diretta la continua metamorfosi dell’ambiente naturale.
Questo museo all’aperto, il primo di così ampio
respiro in Abruzzo, non necessita di ulteriori interventi, se non della capacità di saperlo riconoscere
e raccontare, attraverso le parole della scienza e i
discreti suggerimenti nei luoghi dove tornano a
vivere il mare delle scogliere coralline, il lago con
i grandi mammiferi sulle sponde, i movimenti delle
faglie e le frane.
L’ingresso è libero, i protagonisti sono soltanto
l’uomo e la natura.
Land art
La Land Art o Earth Art nasce negli Stati Uniti tra gli anni
60 e 70 come esperienza creativa nell’ambito dell’arte concettuale, ma la definizione viene utilizzata per la prima
volta soltanto nel 1969, in California, da Gerry Schum,
autore di un famoso video sull’argomento, in riferimento al
lavoro di artisti come Richard Long, Barry Flanagan, Robert
Smithson, Dennis Oppenheim, Walter de Maria, Cristo ecc.
che agiscono direttamente sul paesaggio, modificandone
l’aspetto mediante interventi temporanei o facendo uso di
materiali naturali. L’azione prevede quindi l’obsolescenza
delle opere, programmata dall’artista o affidata all’indomita
vitalità degli agenti naturali, che rende il tempo, cioè il
nemico principale dell’arte tradizionale, indissolubilmente
connessa al concetto della sua persistenza, un protagonista
positivo e previsto fin dall’inizio del linguaggio artistico. La
Land art manifesta un’attenzione ecologica per la natura,
per la sua armonica vitalità, per i ritmi e per l’ordine che la
caratterizzano e coi quali l’uomo è chiamato a interagire. Il
paesaggio diventa per questi artisti l’orizzonte biologico per
l’esercizio della creatività.
Canto di primavera.
Riti e leggende di una comunità in festa
di Anna Filomena Grassi, Anna Tranquilla Neri
ph. Giovanni Cocco, Luca Del Monaco
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a vita agricola, le attività produttive, le ciclicità stagionali che
regolavano l’esistenza umana, scandendo i periodi della
semina, della trebbiatura, della vendemmia, dell’uccisione di
animali a seconda del periodo dell’anno, permettevano al popolo di sentirsi parte integrante di una comunità, le cui ritualità
erano caratterizzate da una cultura magico-religiosa. Nel mondo
agro-pastorale i riti praticati erano tramandati per secoli, di generazione in generazione.
Il rito sottolineava e attribuiva significato ai vari momenti
dell’esistenza: il risveglio, la festa e il lavoro, la nascita e la morte, il
vivere comune. Ogni paese, celebrava riti magico-religiosi per scongiurare le avversità atmosferiche, per prevedere l’andamento dei
raccolti al fine di propiziare un nuovo ciclo agricolo. La festa scandisce tutt’ora le fasi del calendario agricolo che sono state inglobate
dal cristianesimo insieme ai rituali arcaici precristiani, rigenerando e
dando nuovo significato al senso del sacro.
Il solstizio di primavera indica la resurrezione, la rinascita, il cambiamento, la transizione “a vita nuova”, il trapasso ad una diversa esistenza, rigenerante e ricreata, con la stagione primaverile. Le feste
cristiane di primavera, che partono dalla Pasqua di Resurrezione,
incorporano tradizioni precristiane legate al cambio di stagione e
alla fertilità. Tali feste e le leggende connesse alla loro origine erano
comuni nelle religioni antiche. Basti pensare agli antichi Greci, per i
quali il mito del ritorno dal mondo sotterraneo alla luce del giorno
di Persefone, figlia di Demetra, dea della terra, simbolizzava il rinascere della vita a primavera, dopo la desolazione dell’inverno.
Tutti i paesi della valle Peligna, oltre alla Pasqua cristiana, celebrano
feste primaverili legate sia al calendario agricolo sia alla transumanza. La protezione divina, dunque, era sentita e invocata dal contadi-
L
no e dal pastore transumante e questo carattere è riscontrabile sin
dai secoli più antichi palesandosi prima come espressione pagana e
poi trasformandosi in fede cristiana. Il culto di Ercole, divinità protettrice degli armenti, è senz’altro anteriore alla romanizzazione
come testimonia la regione Peligna ricca di luoghi di culto a lui dedicati. Nella stessa regione sono stati rinvenuti anche luoghi sacri
dedicati ad altre divinità come Giove, Cerere ed altri. L’aspetto più
evidente di questa sovrapposizione cultuale, ma anche dell’importanza del tratturo, è la diffusione nel territorio, di cappelle, chiesette
e santuari cristiani, dedicati a San Michele Arcangelo, a San Nicola
e a molti culti rivolti alle Madonne Arboree. Se in epoca arcaica
abbiamo visto manifestarsi soprattutto fra le comunità pastorali una
sentita devozione per il dio Ercole Clavigero, con la diffusione del
Cristianesimo, grazie prima alla mediazione bizantina poi a quella
longobarda, si vede manifestarsi il nuovo culto ispirato all’Arcangelo
Michele, figura protettrice, guerriero di Cristo contro il male.
Iconograficamente è stato ravvisato un rapporto diretto tra
l’Arcangelo Michele raffigurato con la spada sguainata e la precedente figura di Ercole Clavigero i cui bronzetti rinvenuti lo rappresentano con la clava. Un altro legame tra le due figure sacre è stato
riscontrato nei luoghi dove il culto era praticato, ossia nelle grotte e
in prossimità di corsi d’acqua e ancora lungo il percorso del tratturo. La festa di San Michele Arcangelo viene celebrata solennemente
con processione, banda, fuochi artificiali a Roccacasale l’8 maggio.
San Nicola, le cui reliquie sono custodite a Bari, è conosciuto sia in
oriente sia in occidente ed è commemorato due volte nel corso dell’anno: il 6 Dicembre, giorno della sua morte e il 9 Maggio, giorno
della traslazione delle sue reliquie a Bari.
Il primo giovedì di Maggio, a Cocullo, si svolge la suggestiva festa
di San Domenico, conosciuta anche come festa dei serpari. Il giorno
della commemorazione del Santo tantissime serpi vengono utilizzate per adornare la statua di San Domenico. Durante la processione
sfilano anche giovani recanti sul capo cesti contenenti i pani benedetti e le insegne sacre, la banda, la moltitudine di fedeli e i numerosi turisti provenienti da tutto il mondo. San Domenico è subentrato alla dea preromana, Angizia, che proteggeva dal morso dei serpenti. Si narra che i fedeli in segno di devozione e per ottenere la
guarigione, si spostavano in ginocchio all’interno della chiesa fino a
raggiungere il Santo e chi soffriva di mal di denti usava tirare la catena della campanella della chiesa di San Domenico con i denti.
Ogni anno l’11 Maggio gli abitanti di San Sebastiano, paese che ha
dato i natali a Santa Gemma nel 1374, compiono il pellegrinaggio a
ricordare il tragitto che la Santa compì fino al paese di Goriano Sicoli.
La leggenda vuole, infatti, che Santa Gemma, rimasta orfana, venne
ospitata presso una comare a Goriano Sicoli. Il Corteo è preceduto da una ragazza che rappresenta la Santa. Ad attendere la giovane
donna vi è tutto il paese di Goriano ma il momento più importante è
quando la comare, rappresentata dalla moglie del procuratore della
festa, accoglie nella sua casa la ragazza. Per l’occasione vengono
benedetti i pani che saranno distribuiti a tutta la comunità.
L’ultimo Sabato di Maggio, si svolge a Rocca di Mezzo una manifestazione folcloristica che richiama molti visitatori: La Festa del
Narciso che si origina nel secondo dopoguerra proprio per allontanare i tristi ricordi del conflitto mondiale. Per l’occasione si allestiscono carri allegorici adorni di narcisi. Questi fiori che nascono spontaneamente nel mese di Maggio nella piana delle rocche, sono i veri
protagonisti di questa singolare manifestazione.
Altre feste importanti del periodo primaverile sono quelle dedicate
[Link]
LA RICETTA
Marmellata di Ciliegie.
Ingredienti: 1 Kg di ciliegie,
300 gr. di zucchero semolato, 1 limone
Procedimento:
snocciolate le ciliegie, mescolatele allo zucchero semolato e lasciatele riposare in frigo
per 3 ore.
Ponetele quindi su fuoco aggiungendo
tutto il succo del limone e cuocete per un’ora e più, sino a che la sarà ben densa. Non
dimenticate di mescolarla di frequente
durante la cottura, affinchè non si attacchi
al fondo della casseruola. Tolta dal fuoco,
versatela in vasi o barattoli in vetro che
lascerete aperti fino a raffreddamento.
Chiudete i contenitori avvitando bene il
tappo, e fateli bollire in acqua per 5 minuti.
La marmellata sarà così pronta per essere
conservata a lungo.
alla Madonna; tra le più significative quella della Madonna della
Libera a Pratola Peligna, la prima Domenica di Maggio. La leggenda narra che un uomo di nome Fortunato nel 1550, anno in cui
la peste dilagava in maniera aggressiva, fuggì per non essere contagiato. Mentre si allontanava, nei pressi di una cappella non distante
dal paese, gli apparve in sogno la Madonna che lo avvertì della fine
della peste. Quando si svegliò trovò un dipinto dove vi era impresso
lo stesso volto della madonna che aveva sognato. Gli abitanti di
Pratola decisero di spostare il quadro in paese ma i buoi che lo trasportavano si bloccarono sul posto. Si decise allora di costruire lì una
chiesa, ampliata poi nei secoli, tutt’oggi meta di pellegrinaggi. Il
santuario oltre al quadro, conserva una statua del 1741, donata per
grazia ricevuta, portata in processione e ricoperta di oro nei giorni
della festa.
A Raiano, il 18 di Maggio, si svolge il suggestivo pellegrinaggio
presso l’eremo di S. Venanzio. L’eremo di San Venanzio risale al XII
secolo e la leggenda narra che il Santo si rifugiò in queste gole rocciose e selvagge per sfuggire alle persecuzioni. La sua presenza sembra testimoniata dalle impronte che lasciò impresse sulle rocce. I pellegrini usano strofinarsi nella roccia dove sono segnate le impronte
del Santo e bagnarsi nelle acque dell’Aterno in segno di devozione.
Sempre a Raiano nel mese di giugno si celebra la Sagra delle ciliegie, con sfilata e corteo di carri allegorici. Altre feste sono: S. Marco
ad Aprile a Pacentro; S. Alessandro il 3 Maggio a Corfinio; Santa
Petronilla il 30-32 Maggio ad Acciano; La Madonna di Pietrabona,
il martedì di Pasqua a Castel di Ieri; Santa Barbara, il lunedì di
Pasqua a Castevecchio Subequo; La SS. Trinità nell’ottava di
Pasqua a Fagnano Alto; Il calende, il primo Maggio a Villalago; S.
Antonio di Padova, il 13 Giugno a Prezza e a Scanno.
Cocullo
“ Si arriva a Cocullo il primo Giovedì di Maggio. È il
giorno dei serpari, la processione di San Domenico con
un collare di serpenti. Fa freddo, un freddo sgarbato,
acre, a tratti nevischia. Un freddo abruzzese, in una
terra che pare specializzata nella produzione di freddo. Una strada in salita accompagna al paese: oggi è
un corridoio di bancarelle: panini, porchetta, oggetti in finto-abruzzo, anche bastoni a forma di fascio e
immagini del Santo Padre: di tutto. Poi si arriva nella
piazza davanti alla Chiesa e lo spettacolo è come suol
dirsi, duro e forte. La piazzetta, percorsa da un vento
carogna, è affollata di due tipi di essere umani: gli
indigeni e i turisti. I cocullesi sono carichi di serpenti; bambini con impermeabili di plastica esibiscono braccini da seconda elementare avvolti in monili
torpidamente agitati di serpi: giovanotti robusti se
li mettono al collo, a mazzi di una mezza dozzina;
ragazzette calme e senza complessi, ignare di simbologie isteriche, maneggiano i serpenti verdastri, che
oscillano le testoline disorientate. (…) Poi mi accorgo di quel che a me pare il meglio, il riassunto antropologico del rito in onore della dea marsicana Angizia.
I cocullesi affittano, noleggiano, prestano i loro
sacri serpenti ai turisti che vogliono farsi fotografare carichi di onesti rettili. Il cocullese si riprende i serpenti. Magari il turista, che non è abituato
alla collana di serpenti, tradisce un qualche imbarazzo: ma nessuno sviene, eccetto, forse i serpenti”.
Giorgio Manganelli, La favola pitagorica, Adelphi edizioni.
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“Come
una
lettera
d’amore”
Dolci e tradizioni di una stagione
di Katia Masci
Spesso è proprio la segnalazione in rosso sul calendario a ricordarci che il cibo
non svolge solo una funzione alimentare. È il mezzo
più bello per riscoprire tradizioni e ricordi e ritrovare
attorno ad un tavolo la
gioiosa sensazione della
festa. La settimana santa si
presenta ricca di tradizioni
legate alla gastronomia. La
Pasqua, di tutte le feste religiose è quella che più si
presta a una serie di rituali
legati alla gastronomia.
Cassata Sulmonese
Ingredienti
1 pan di Spagna di 300 gr. Circa, 150 gr. di burro, 100 gr. di zucchero a
velo, 1 bicchierino di liquore «Centerba», 50 gr. di torrone, 30 gr. di croccante, 30 gr. di cacao amaro, 30 gr. di cioccolato al latte, 6 uova.
Preparazione
Tritare separatamente il torrone, il croccante ed il cioccolato. Mettere in
una zuppiera il burro un poco ammorbidito e, con un cucchiaio di legno,
lavorarlo sino ad ottenere una crema ben soffice. Unirvi allora, uno alla
volta ed alternandoli con lo zucchero a velo fatto cadere da un setaccino, i
tuorli delle uova, amalgamando bene ognuno prima di mettere il successivo.
Ad operazione ultimata, dividere la crema in tre parti: unire alla prima
parte il cacao, alla seconda il torrone ed il cioccolato, all’ultima il croccante.
In un recipiente a parte, mettere una cucchiaiata di ognuna delle tre creme
e mescolare bene.
Dividere ora il pan di Spagna in 4 dischi di uguale spessore; collocarne uno
sul piatto di portata, spruzzarlo con un poco di liquore e versarvi sopra la
crema di cacao, stendendola bene con una spatola; posare sopra un secondo disco di pan di Spagna, spruzzarlo col liquore e stendervi la crema al
croccante; mettere il terzo disco, spruzzarlo di liquore e spalmarvi la crema
al cioccolato e torrone. Collocare infine l’ultimo disco di pan di Spagna,
spruzarlo con il liquore e versarvi il composto ottenuto con le tre creme
mischiate, coprendo bene sia la superficie che i bordi della cassata.
Collocare il dolce in frigorifero per alcune ore o, meglio ancora, per un’intera notte.
Al momento di servirlo si può decorare, a piacere, con ciliegine candite e
zucchero a velo.... buon appetito!!!
Durante la settimana santa, in particolare dal giovedì alla
domenica di Pasqua, il cibo viene ricoperto di molti significati
simbolici e religiosi. Il digiuno o l’astinenza dal mangiare carne
accompagnano la penitenza e sono parte integrante di un
cammino spirituale che termina proprio nella giornata della
Pasqua. Ancor più che a Natale, la Pasqua presenta molte tradizioni gastronomiche. Una di queste è la consumazione della
colazione la mattina di Pasqua con uova sode e frittata.
Assieme a queste, vengono consumate i fiadoni, tipici di tutta
la tradizione dolciaria abruzzese. È un composto a base di
pasta, zucchero e uova, con ripieno di formaggio fresco, ornato all’esterno con la stessa pasta della forma. I dolci rituali
invece dedicati ai bambini sono le pupe e cavalli. Sono realizzati con una base di pasta dolce e mandorle. La loro bellezza
consiste nella guarnizione, spesso opera degli stessi bambini,
con bianco d’uovo e praline colorate. Nella tradizione le pupe,
per le bambine, e i cavalli, destinati ai maschi, contenevano
sulla pancia delle uova sode trattenute dagli incroci fatti con la
pasta. In alcuni casi veniva messo nella pupa o nel cavallo un
uovo per ogni figlio. Originariamente però la pupa veniva regalata dalla suocera alla novella sposa in segno di prosperità. Per
questo motivo sulla pancia della pupa veniva incastonato l’uovo, come simbolo di fertilità. Lo stesso rituale si ripeteva per lo
sposo con il regalo del cavallo, simbolo di virilità. L’uovo, in
tutte le sue forme, è un protagonista indiscusso della gastronomia pasquale. L’uovo al cioccolato, con l’avvento della
modernità, ha scalzato le vecchie tradizioni, ma il significato
simbolico rimane lo stesso. Aldilà della bontà, l’uovo rappresenta sempre un segno di prosperità e la sorpresa al suo interno è la magia più bella tanto attesa dai bambini. Il cuore di
mandorle era invece il dolce che si scambiavano gli innamorati
ed era la stessa sposa a realizzarlo e regalarlo allo sposo. Il
soffione, dolce con ripieno di ricotta, è un altro dolce pasquale.
In tutto il territorio abruzzese viene chiamato soffione, mentre
nel pescarese il suo nome è “lettera d’amore” per la sua particolare forma. Gli angoli della pasta sono ripiegati verso l’interno. Come una lettera d’amore che contiene parole dolci il soffione contiene un dolce impasto.
La colomba pasquale è il simbolo per eccellenza della pace.
Nella tradizione veniva regalata la domenica delle Palme insieme al ramoscello d’ulivo benedetto, in segno di prosperità e
pace. Nella tradizione abruzzese è composta da pasta di
mandorle. Oggi, come dolce simbolo della Pasqua, si trova
per lo più con la pasta lievitata.
Fiadone abruzzese
Il fiadone è prodotto, con alcune varianti, in tutto il territorio regionale. Molto
simile ad una torta rustica, è costituita da
un involucro di pasta sottile che contiene
un composto di formaggio, ricotta e uova. In seguito alla cottura assume un colore dorato molto allettante. La farcitura interna è compatta e molto profumata, poiché costituita da formaggi molto stagionati. Le sue origini risalgono al rinascimento. La
ricetta, non originaria dell’Abruzzo, arrivò nella nostra regione dal ferrarese, poiché aveva come ingrediente lo zafferano,
spezia già prodotta all’epoca nell’Aquilano. Negli anni la ricetta si è modificata assumendo caratteristiche diverse a seconda
della province.
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Monte Amaro:
il trekking per gli appassionati
Dalla faggeta alle praterie di altitudine
Si tratta di uno dei più classici e spettacolari itinerari del versante occidentale
della Majella per l’ascesa alla vetta di Monte Amaro.
Il percorso è molto lungo e copre un notevole dislivello, ma nonostante questo
è sempre ben segnato e comodo da seguire. Questo permette quasi a tutti di
salire sempre in modo graduale senza eccessivi sforzi.
L’escursione inizia in un ampio prato che si trova lungo la strada che da Campo di Giove va
verso Pacentro, poco dopo aver superato il bivio per Fonte Romana dove un cartello
(1249m) indica l’inizio del sentiero.
Qui, lasciata la macchina, si segue il sentiero n. 13, sempre ben tracciato, che in breve
comincia una ripida salita nella faggeta. Quando il bosco finisce, prima di raggiungere lo
stazzo abbandonato di Fondo Majella, si incontra la piccola sorgente di Fonte dell’Orso
(1705m). Dopo lo stazzo si arriva ad un bivio segnato da cartelli metallici dal quale si
prende il sentiero 1E per Forchetta di Majella.
Quello che ci si trova di fronte è uno dei più grandi e caratteristici ghiaioni della Majella.
Fonte Romana – Monte Amaro
Dislivello: 1580m
Tempo di salita: 5.30 h
Tempo di discesa: 3.30 h
Segnaletica: giallo-rossa n. 13,1E, ed 1 del
CAI
Carte: IGM 1:25.000 370 III Campo di
Giove
CAI 1:25.000 Carta dei Sentieri Gruppo
della Majella
[
Link]
Il
Film
“Himalaya- l’infanzia di un capo”
(L’enfance D’un Chef)
Regia: Eric Valli
Sceneggiatura: Olivier Dazat, Louis Gardel, Eric Valli
Anno: 1999
Durata: 104’
L’unica ricchezza del paese Dolpo, nel cuore dell’Himalaya, è il sale
dell’alto Tibet che viene scambiato con il grano al di là delle montagne. Il vecchio capo carismatico Tinlé si rifiuta di lasciare la guida del
gruppo al giovane Karma che lui sospetta essere responsabile della
morte di suo figlio, e decide di guidare personalmente l’annuale
carovana di yak per il trasporto del sale. Oltre alla lotta fra gli uomini
è la lotta con le forze della natura che farà crescere il piccolo Tsering,
futuro capo.
Candidato all’Oscar come migliore film straniero, Himalaya è un film
asciutto, sospeso tra il documentario antropologico e il racconto di
formazione, basato su una drammaturgia semplice, essenziale.
Per realizzarlo Eric Valli, già documentarista e fotoreporter per il
“National Geographic”, ha vissuto per mesi nei luoghi dell’azione,
conoscendo a fondo i futuri protagonisti del suo film, i veri abitanti
del villaggio nepalese.
Salendo ci si stupirà nel vedere che anche in questo particolarissimo habitat si rinvengono numerose specie di piante. Ai
ginepreti che si trovano ai margini delle colate di detrito maggiori si arriva ai festuceti che colonizzano proprio la parte più
mobile delle pietraie.
Qui una lunga diagonale porta veso il centro del vallone
cosparso di piccoli spuntoni rocciosi. Arrivati ad un piccolo ripiano cosparso di massi il sentiero diviene più ripido e un
susserguirsi di vari strappi in diagonale sul grande ghiaione
portano all’emozionante spettacolo che si ha nello scavalcare
la Forchetta della Majella (2390m). Da qui ci si inoltra verso il
più piccolo anfiteatro di Fondo di Femmina Morta che all’imbocco della spettacolare Valle di Femmina Morta presenta un
bivio nel quale si svolta a sinistra e si procede verso Nord
lungo il sentiero n. 1, in direzione di Monte Amaro.
Il vasto altopiano, di origina carsica, è lungo 5 Km e largo
quasi 1, e costituisce uno degli ambienti più spettacolari del
Parco Nazionale della Majella. Compreso tra i 2400 e i 2500m
si presenta inciso da doline e circhi glacialie e ospita, nel periodo primaverile, numerosi laghetti formati dal discioglimento
della neve. Particolarissima qui è la vegetazione, caraterizzata
dalla struttura a mosaico e dalla forma a cuscinetto che gli
permette di resistere al forte vento ed alle ampie escursioni
termiche. Passeggiando in questo desolate distese di pietra si
possono incontrare chiazze di vegetazione che ospitano la
Stella Alpina «Appenninica» (Leontopodium nivalis) endemismo delle montagne Abruzzesi, la Silene a cuscinetto (Silene
acaulis), la Viola della Majella (Viola magellensis) e tantissima
altre piante rare che costituiscono una parte del grande con-
tingente di piante del Parco Nazionale della Majella che conta
oltre 2100 specie.
Questi aspri e desolati ambienti ospitano anche molti animali,
tra i quali meritano di essere segnalati il Piviere Tortolino, la
Vipera dell’Orsini, l’Arvicola delle nevi, l’Aquila reale e il
Fringuello Alpino.
Da questo punto si prosegue verso Monte Macellaro che
appare in fondo alla grande valle. Arrivati a questo si abbandona la valle che qui si allarga e si sale verso destra, ai piedi
del Monte Macellaro per sbucare sul pianoro dell’Altare dello
Stincone (2550m). Si percorre il pianoro verso Nord e si arriva
presso la cavità di Grotta Canosa (2605m). Qui ci troviamo alla
base della cresta che sale verso Monte Amaro (2795m) segnato da una croce metallica e dove si trova il bivacco Pelino,
sempre aperto.
[Link]
Carte escursionistiche
La Comunità Montana Peligna ha realizzato tre carte dedicate agli escursionisti che
vogliono esplorare le nostre bellezze naturali.
Le carte riguardano le tre riserve naturali regionali che interessano il territorio della
Comunità Montana:
RISERVA NATURALE REGIONALE GOLE DI S. VENANZIO
Carta escursionistica Scala 1:11:000 Ed. Il Lupo - Sulmona
RISERVA NATURALE REFIONALE MONTE GENZANA ALTO GIZIO
Carta escursionistica Scala 1:15.000 Ed. Il Lupo - Sulmona
RISERVA NATURALE REGIONALE GOLE DEL SAGITTARIO
Carta escursionistica Scala 1:10.000 Ed. Il Lupo - Sulmona
Le carte sono disponibili presso la sede della Comunità Montana Peligna e presso le sedi
delle rispettive riserve.
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L’arte dell’arrampicata
I Gechi, un’associazione no-profit per uno sport giovane.
Nata da una costola dell’alpinismo, l’arrampicata sportiva è
diventata, ormai, un’attività del tutto indipendente.
Con la primavera gli appassionati dell’arrampicata possono
tornanare a sfidare le pareti e falesie.
In Abruzzo, numerosi sono i luoghi deputati a questo avventuroso ma sicuro sport.
Un luogo storico, che rappresenta un punto di riferimento a
livello nazionale è senz’altro la palestra di roccia di
Roccamorice. Qui ci sono 250 vie aperte e perfettamente
attrezzate, su roccia compatta e vie con ogni grado di difficoltà tecnica, immersi nello slendido contesto naturalistico
della Majella. In totale nella nostra regione le pareti attrezzate sono una ventina: Pennapiedimonte, Pennadomo, Arsita,
Corvara, Pizzoferrato, Pietracamela, Monticchio, Madonna
D’Appari, Prati di Tivo, Carpineto della Nora, Scanno,
Castevecchio, Capestrano, Petrella Liri...
Poche però sono le strutture e le associazioni che permettono un corretto avvicinamento a questo sport.
A Sulmona dal 2002 è nata l’associazione sportiva no profit i
«Gechi», che oggi conta ben 80 iscritti. Presidente dell’associazione è Luca Fluttuante, istruttore FASI.
L’associazione ha svolto attività di preparazione e formazione in una palestra appositamente attrezzata. Oggi l’associazione sta allestendondo una nuova struttura che, per
dimensioni ed altezza delle pareti, punta ad essere un punto
di riferimento per questa disciplina, nell’Italia centrale.
Oltre che svolgere attività di formazione e accompagnamento delle persone che si avvicinano a questo sport, i Gechi
sono alla continua ricerca di nuove pareti naturali da attrezzare. Attualmente c’è in programma l’apertura di una nuova
falesia a Raiano.
ESCURSIONISMO
Iniziano le passeggiate tra i nostri monti
organizzate dalle sezioni locali del CAI (Club
Alpino Italiano). Vi segnaliamo le prime,
indicandovi gli indirizzi per conoscere l’intero programma.
CAI Popoli
Info: tel. 085 9870528 – Fax 085 9870539
6 Maggio
30° Marcia Ecologica Montana dell’Amicizia
Difficoltà F
2 Giugno
22° Escursione Guidata a “Monte Rotondo”
mt. 1.735
Difficoltà EE
16-17 giugno
Pernottamento Rifugio V. Sebastiani, Vetta
Monte Velino
Difficoltà EE
CAI Sulmona
Info: tel.0864.210635; sito:
www.caisulmona.it
15 Aprile
Eremo di S.Erasmo-S.Maria del Ponte
13 Maggio
Monte Godi-Scanno
27 Maggio
Rifugio Sebastiani. Dai piani di Prezza a
Roccadimezzo
10 Giugno
San Potito-Serra di Celano
Informazioni:
Luca Fluttuante 329 - 9642044
Agenda di stagione
3031
festetradizionali
Sulmona
Nel pomeriggio del Venerdì Santo, lungo i vicoli del quartiere “lauretano”, si svolge una breve
6 Aprile, ore 16,00
e intima processione. I sodali, in abito nero, porteranno a spalla la statua del Cristo seguita
Processione del Cristo Morto
dalla Madonna vestita a lutto.
Info: Confraternita di Santa Maria di Loreto, tel/fax: 0864 52723;
sito: www.madonnachescappainpiazza.it , e-mail: [email protected]
Sulmona
Una tra le più suggestive tradizioni religiose di Sulmona. Alle 18 si apre il portone
6 Aprile, ore 18,00
dell’Annunziata, ma si aspetterà l’imbrunire per dare inizio al corteo accompagnato dal canto
Processione del Venerdì Santo
corale del Miserere. Le luci dei “fanali”, l’incedere dei mazzieri, l’omaggio al confine territoriale
Info: Arciconfraternita SS.Trinità, tel. 0864.33370; sito: www.arci- tra le due confraternite, il rientro: tutto in una geometria di gesti e sguardi carichi di pathos e
partecipazione.
confraternitasstrinita.it
Pratola Peligna
Il Venerdì Santo, la processione notturna per le vie del paese, del Cristo Morto, con la sequela
6 Aprile
dei lampioni ed il funereo suono del tamburo, accompagnata dal canto del Miserere eseguito
Processione del Venerdì Santo
dalla Corale Polifonica di Pratola.
Info: Comune, tel. 0864.274141
Scanno
7 Aprile
Lungo un percorso a tappe che tocca tutte le chiese dell’antico borgo, si ripete la rituale pro-
Processione del Sabato Santo
cessione degli incappucciati, con cui i partecipanti testimoniano il lutto e la penitenza per la
Info: Parrocchia, tel. 0864.747924.
morte di Cristo.
Sulmona
Suggestiva processione notturna per accompagnare la Vergine, ancora vestita a lutto, dalla
7 Aprile, ore 23,00
chiesa della “Madonna della Tomba” alla chiesa di S.Filippo, da dove uscirà la mattina seguen-
Traslazione della Madonna
te per la tradizionale “corsa”.
Sulmona
8 Aprile, ore 11,00
Probabilmente è la manifestazione pasquale più originale e conosciuta d’Abruzzo. Nella piazza
Madonna che scappa in piazza
gremita di gente, in pochi secondi la Madonna, sorretta dai sacrestani d’onore della confrater-
Info: Confraternita di Santa Maria di Loreto, tel. 0864.52723;
nita di Santa Maria di Loreto, perde il manto nero del lutto, scopre l’abito verde sgargiante e,
sito: www.madonnachescappainpiazza.it; e-mail: info@confrater- in mezzo a un volo di colombe, inizia la corsa: pochi attimi di straordinaria intensità, fino
all’abbraccio ideale con Gesù risorto, tra due ali di folla emozionata e commossa.
nitasmdiloreto.it
Introdacqua
A Introdacqua il periodo pasquale si apre con la processione del Cristo morto. Ma l’appunta-
8 Aprile, ore 11,30
mento più atteso è quello della mattina di Pasqua con la manifestazione della Madonna che
Madonna che “vele”
“vele”, che qualcuno sostiene essere più antica di quella sulmonese.
Info: Comune, tel.0864.47116
Cocullo
la liturgia cattolica si fonde e si alterna con quella popolare, nella manifestazione più famosa
3 Maggio
d’Abruzzo per il carattere rituale e folklorico insieme. È la “festa dei serpari”, i paesani che nei
San Domenico
giorni precedenti stanano dal letargo centinaia di serpenti con i quali copriranno la statua del
Info: Comune, tel. 0864.49117
santo in processione.
Pratola
I festeggiamenti in onore della Madonna della Libera durano praticamente per tutto il mese di
a partire dal 4 Aprile
Maggio. La festa si apre la prima domenica di maggio, preceduta il sabato dall’ esposizione
Madonna della Libera
della statua della Madonna, un rito che da sempre suscita profonde emozioni nei fedeli. Si pro-
Info: Comune, tel. 0864.274141
segue con messe, processioni, mercati di piazza e numerosi spettacoli musicali.
Raiano
La festa di San Venanzio prende il via dall’eremo: i pellegrini recano in mano dei ciuffi di cin-
16/18 Maggio
ciapallante, un’erba che simboleggia il “grano di San Venanzio” o i suoi “capelli”. la processio-
San Venanzio
ne fa il giro del paese e, all’altezza degli Zoccolanti,si dà inizio allo “sparo”. La festa si conclu-
Info: Comune, tel. 0864.72314
de col l’usanza di bruciare un fantoccio di carta che viene chiamato pantàseme, fantasma.
Lo scaffale
Raiano
La prima domenica di giugno si svolge, da oltre cinquanta anni, la Sagra delle
10 Giugno
ciliegie.Accanto all’esibizione dei cori folcloristi in costume tipico sfilano, lungo
Maggiolata (sagra delle ciliegie)
le vie dei paese, i carri allegorici, inghirlandati di ciliegie, che ogni anno concor-
Info: Comune, tel. 0864.72314
rono al palio dei quartieri.
Bugnara
Qualità, tradizione e gusto sono le caratteristiche del Pecorino di Bugnara. L’
9 o 16 Giugno
evento sarà caratterizzato da stands dove, oltre al formaggio, si potranno degu-
Sagra del pecorino
stare prodotti enogastronomici tipici del luogo, e assistere alla preparazione
Info:Comune, tel. 0864.46114
della “cagliata”.
musica e teatro
Aprile – Maggio
15 Aprile, ore 18,00 - Teatro
Sulmona
CAMERATA MUSICALE
SULMONESE
Comunale “M. Caniglia”
Info: tel. 0864.212207-210216, sito internet:
Orchestra, coro e solisti del Teatro
www.cameratamusicalesulmonese.it
Marrucino di Chieti
Madama Butterfy, tragedia in tre
atti
musiche di Giacomo Puccini, direttore Marzio Conti, scene, costumi e allestimento del Teatro Marrucino, prenotazione obbligatoria
6 Maggio, ore 18,00 - Teatro Comunale “M. Caniglia”
Orchestra, coro e solisti del Teatro Marrucino di Chieti, Messa di gloria, per soli
coro e orchestra, Cavalleria rusticana, melodramma in un atto
musiche di Pietro Mascagni, direttore Marzio Conti, scene, costumi e allestimento del Teatro Marrucino di Chieti
altri eventi
Sulmona
Inaugurazione del Museo, all’interno delle cele-
26 Maggio, ore 18,00
brazioni per il centenario della morte di Antonio De
Museo Civico Archeologico
Nino.
Valle Peligna e dintorni
Nell’ambito delle celebrazioni per il centenario
Aprile-Giugno
della morte di Antonio De Nino, vi segnaliamo alcuni eventi in programma nel
2007 Anno deniniano
prossimo mese. Per il resto del programma vi rinviamo al nostro sito.
Info: Comune di Sulmona, tel.0864.210216;
sito:www.comune.sulmona.aq.it
Pratola Peligna, Centro Internazionale Studi “A.De Nino”
11 Aprile, ore 18,00 - De Nino e gli amici toscani, incontro con Giuseppe
Papponetti - Sulmona, Sala Lignea Biblioteca Comunale
14 Aprile, ore 18,00
L’impegno di De Nino per l’unificazione della lingu a-Incontro con Francesco
Sabatini (Accademia della Crusca) e Marcello Di Givanni (Università D’Annunzio)
Castelvecchio Subequo, Sala conferenze Padre Pio Grannonio
21 Aprile, ore 18,00 - Le madonne fittili abruzzesi. Ricognizione a cento anni
dalla morte di De Nino. Incontro con Enrichetta Santilli, storica dell’arte.
Sulmona
Decima edizione del concorso europeo di traduzione dal latino, dedicato agli
19-20-21 Aprile
studenti dei licei.. Il tema di quest’anno, attorno al quale ruoteranno manifes-
Certamen Ovidianum
tazioni e convegni durante i tre giorni, è “Ovidio e la cultura Europea”. Il con-
Info:Liceo Classico “Ovidio”, tel. 086451205
corso si chiuderà con la premiazione e uno spettacolo di poesia e musica. Il programma dettagliato sul nostro sito.
Anversa degli Abruzzi
19° Concorso di poesia e composizione pittorica in memoria di Alessandra
17 Giugno
Schiarini.Il tema di quest’anno è “Il fuoco: luce e calore, sofferenza ed espi-
Concorso artistico
“Alessandra Schiarini”
azione”. Il concorso è riservato ai giovani delle scuole medie superiori, originari
Info: tel. 0864.49486 – 06.44246287
o residenti in Abruzzo.
I libri in ordine di apparizionedi questo
numero sono:
j Viaggiatori e scrittori nell’Abruzzo del Novecento a cura
di G. Papponetti, Collana di studi abruzzesi 2005
j La passione dei Trinitari a cura dell’Arciconfraternita
SS. Trinità di Sulmona
j Pasqua a Sulmona di M. Pacifico e G. Papponetti,
Fos 1991
j Inchiesta su Gesù di C.Augias e M. Pesce, Mondadori
2006
j Un anno, una vita di D. V. Fucinese, Tracce 2003
j Sulmona nei riti religiosi. Versi di F. Simonetti,
Sulmona Angeletti 1901
j E si divisero il pane che non c’era. A cura Liceo scientifico Fermi, Qualevita 1995
j Il sentiero della libertà. A cura Liceo scientifico
Fermi, Laterza 2003
j I banditi della libetà. La straordinaria storia della
Brigata Maiella di M.Patricelli, UTET 2005
j Il partigiano Jonnhy di B. Fenoglio, Einaudi 2004
j Tango e gli altri. Storia di una raffica, anzi tre di L.
Macchiavelli, F. Guccini, Mondadori 2007
jIl Morandini 2001. Dizionario di film, Zanichelli
j Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo di G. Pansa,
Sulmona 1924
j Tradizioni popolari dell’Abruzzo di E. Giancristofaro,
Roma 1995
j Calendario abruzzese. Cento feste popolari per un anno
di Maria Concetta Nicolai, Edizioni
Menabò 1996
j Poesia italiana di A. Poliziano, Rizzoli Bur 1994
j La favola pitagorica di G. Manganelli, Adelphi 2005
j Ori e Argenti d’Abruzzo, dal medioevo fino al XX secolo
di E. Mattiocco e A. Gandolfi, CARSA Edizioni 1996
j La presentosa di G. Ciutti, Rocco Carabba Editrice
2003
jI l trionfo della morte di G. D’Annunzio, Mondadori
Oscar 1984
j Storie del bosco antico di M. Corona, Mondadori
2007
j Nel legno e nella pietra di M.Corona, Mondadori
2005
j Mary Miss. Costruire i luoghi a cura diC. Zapatka,
Motta editore1996
j Land And Environmental Art, di J. Kastner, Pahidon
2002
j Artscapes di Luca Garofalo, GG 2003
j Arrampicare in Abruzzo di S. Di Renzo, BAG 1996
j Himalaya di E. Valli, La Martinière 2001
Abruzzoèappennino
la rivista dell’appennino abruzzese
abruzzoeappennino.com
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