Guerra e pace M emoria della Grande Guerra, un po’ idealizzata? o raccontata con realismo a livello del Comelico: fame, malattie, distruzioni, cimiteri…? (Parroci nella Grande Guerra/6 pag. ). Memoria che si trasforma in preghiera: celebrazioni nei luoghi dei combattimenti, pellegrinaggio oltre confine pregando per la pace (Luggau pag.) Bollettino Parrocchiale Trimestrale di Santo Stefano di Cadore Anno LXXXI - 2015 N. 3/AUTUNNO Dopo la preghiera, la pace è costruita con iniziative sul territorio, anche piccole, che meritano di essere segnalate: sportive o benefiche, culturali e parrocchiali, ricreative… fatte col cuore e con grande partecipazione. E per finire un vangelo al femminile, forse insolito ma illuminante! (Le donne di Marco pag.). la Conquista Spedizione in abbonamento postale - DIRETTORE Rossini don Paolino - RESPONSABILE Buzzo Guido - Aut. Trib. 6/84 n. 2539 Stampa: Tipografia Piave - Belluno - C.C.P. 10301323 intestato alla PARROCCHIA DI S. STEFANO DI CADORE - BL Centenario N el centenario dell’inizio della Grande Guerra, rievocazioni sono in atto ovunque. Gli storici – non tutti forse lo sanno – affermano che quella data 1914 ha segnato la fine dell’Epoca “moderna” e l’inizio dell’Epoca “post-moderna”. In questa nuova epoca ci siamo dentro ormai in pieno e a distanza di cento anni ci si vede anche più chiaro. La precedente epoca aveva i suoi miti. Le parole più usate erano progresso, ragione e nazione. Il progresso era diventato un idolo: si pensava che andasse avanti all’infinito e che le risorse fossero inesauribili. Le due guerre mondiali hanno sfrattato questi valori. Nuovi movimenti sono subentrati: per i diritti civili, per la pace… Movimenti femministi, ecumenisti, ambientalisti annunciano una nuova era. Nella nostra epoca post-moderna entrano in voga altre parole come ecologia, globalizzazione, etica… Si è visto a livello mondiale che bisogna darsi una regolata se si vuole che la terra viva ancora. Si vede sempre più che occorre rispettare l’ambiente. La ragione era idolatrata come una dea (la “dea ragione”!). La ragione non è decaduta, anzi va usata ancora di più e meglio che in passato. Va usata insieme, nel dialogo e per il bene di tutti (non solo di alcuni!). La ragione va usata anche al femminile – oggi si dice – visto che al maschile ha fatto abbastanza disastri! E va usata anche con le religioni: infatti si è visto che le religioni hanno resistito ai falsi idoli della modernità e la richiesta del vero Dio torna a farsi sentire a gran voce, non solo nel mondo cristiano, ma soprattutto nell’Islam. Fede e ragione vanno bene insieme e si illuminano a vicenda. “Fides et ratio” è una famosa lettera di papa Giovanni Paolo II che, verosimilmente, è stata stesa dal teologo Ratzinger. Egli diceva in un’intervista che la ragione ha ancora molto da dire e da dare alla nostra epoca. Solo negli ultimi decenni si parla di globalizzazione, ma era chiaro già al tempo della Prima Guerra che i popoli si incontrano e che non ci sono confini o muri che lo impediscano o barriere di sorta. Il concetto di nazione è cambiato: restano i valori della cultura e della storia di un popolo, ma tutti i popoli hanno un patrimonio culturale proprio e originale. Aiutarsi è necessario. Solidarizzare, unirsi non vuol dire diventare tutti > CONTINUA A PAG. 2 Confine italo-austriaco di Forcella Dignas, 1o ottobre 2014. A cento anni di distanza, stretta di mano tra sindaci di Kartitsch, San Pietro di Cadore e Santo Stefano (rappresentato da Lara Zandonella). Ci sono pure gli alpinisti di “Ta Pum” che hanno tracciato l’alta via e rappresentanze Ana. 2 La Conquista CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA uguali e cancellare la propria identità. Non c’è un popolo superiore e altri inferiori, perché anche il più sconosciuto o emarginato tra i gruppi etnici conserva un patrimonio di sapienza che può essere utile a tutti gli altri. Bisogna dire: unità nella diversità, unità ma non uniformità. No al “pensiero unico”. Nel Centenario si visitano i luoghi dei combattimenti. Le etnie una volta in conflitto oggi si stringono la mano. Il mondo è cambiato e tanta strada è stata fatta. Ma di fronte al ripetersi di violenze e ingiustizie e alla vista di Restauri della chiesa I restauri in corso alle facciate esterne della chiesa pievanale di S. Stefano sono stati illustrati alla popolazione per volontà dell’Impresa e del CPAE (Consiglio per gli affari economici della parrocchia), una volta con diapositive dell’architetto Aldo Kratter e una volta aprendo il cantiere a coloro che desideravano visitarlo. La pievanale appartiene alla parrocchia e alla forania. L’edificio sacro racconta la nostra storia dal 1665 ad oggi. Nei decenni passati la chiesa di S. Stefano è stata curata con importanti interventi restaurativi: 1939 pavimento nuovo, 1949 Spiace per qualche disagio recato dal cantiere le colonne, 1960/70 cappella e primo ri- ai passanti. sanamento murario, senza enumerare gli secondo acconto. Si deve con questo arrivare interventi recenti di vetrate, riscaldamento ad allestire il ponteggio sulle facciate laterali biomasse, impianto elettrico, ecc. ed eseguire: pulitura degli intonaci e rappezzi Il presente intervento non era forse così a calce, consolidamento intonaco originale, urgente, ma non era bello vedere tutto quel tinteggiatura a calce e protettivo, sistemazione distacco di intonaci attorno e anche un certo grondaie… degrado dovuto a umidità di risalita, polvere e Per i restanti interventi è in corso la presporco su pareti e parti in pietra, gradini rotti… sentazione della domanda di contributo al fonSiamo partiti prima di tutto con il progetto do 8 x mille, dal quale si avrà risposta certa generale per tutte le facciate e anche per il solo a febbraio 2016. Quindi dobbiamo per campanile. Ottenuto le approvazioni della So- forza sospendere il cantiere in autunno e si printendenza, siamo partiti col primo stralcio penserà dall’anno prossimo ad altri intervendi interventi che concluderà a fine settembre. ti, che sono già programmati, ma per i quali La stagione del gran caldo è stata ideale bisognerà cercar prima qualche finanziamento. perché i muri asciugassero bene e per quanto Il Consiglio parrocchiale frattanto chiede finora l’impresa ha fatto: barriera chimica con- collaborazione a tutti i parrocchiani e amici tro l’umidità, rimozione intonaci esterni fino a che desiderano contribuire ai lavori di restauro m 1,50 di altezza, intonaci a calce e malte spe- in atto. Domande sono state fatte a vari enti, ciali… Finora abbiamo impiegato i fondi che alla Regola, alle banche… Si fa affidamento c’erano da parte nei conti della parrocchia: € soprattutto sulla popolazione: ogni aiuto per 38.940 in un primo acconto e € 27.500 per un quanto modesto è prezioso. C’è anche qualche prestito a tasso zero da privati, che la parrocchia si impegna a restituire appena ci fosse bisogno. Tutte le offerte per i lavori straordinari saranno pubblicate. Barriera chimica: un prodotto naturale denominato “Virostop” viene infiltrato alla base dei muri per fermare l’umidità di risalita. Offe erte e strraorrdin narie e M.a Bice 205, Elsa 50, Simone Ianese 20, Angelina Zandonella 60, Silvana Soravia 30, n.n. 30, Teresa Scalet 105, Giovani di Bajarde 60, Walter 100, n.n. 100, Umberto e Fabrizia 50, Bruno De Candido 200, Norma Ragonesi 50, n.n. 150, due fam. 60, Lucia Topran 100, Dino Zandonella 50, Onoranze “Dolomitica” 100, Gruppo pesca 6060, crocifissi di Danilo 300, un villeggiante 40. conflitti crudeli, vien da dire che siamo ancora da capo. Occorre che tutti gli uomini e le donne responsabili si facciano coraggio, si diano una speranza e facciano catena, per impedire che la storia torni indietro… e per vivere la nostra epoca “post-moderna” senza illusioni. NOTA LITURGICA La messa distrae Pochi ormai ricordano la messa pre-concilio, quando il prete volgeva le spalle alla gente. A volte egli quasi quasi rimpiange quel tempo perché, adesso, è obbligato a guardare al popolo. Egli deve concentrarsi sulle parole del messale, ma non può evitare di accorgersi di tante cose: chierichetti si parlano, all’inizio della lettura due persone conversano tra loro e proprio in quel momento qualcuno va ad accendere candele… Al prete, non sempre gli riesce di vedere tutto il positivo che c’è davanti agli occhi: tanti partecipano con attenzione, col foglietto in mano, la lingua è comprensibile… Lo sguardo invece va ai banchi vuoti e in fondo, sembra stiano con un piede dentro e uno fuori. Ma il messale lo fa pregare per i presenti e per tutti i cristiani “ovunque dispersi”. Non deve distrarsi o infastidirsi e nemmeno farsene una colpa, ma affidare al Signore tutti indistintamente. La liturgia moderna costringe a vedersi (non a guardarsi!). Il prete di una volta, rivolto verso il fondo della chiesa, era certo più raccolto e guardava solo il tabernacolo e le immagini sacre. La messa allora non è un atto di devozione, ma un’azione comunitaria. Bisogna vedersi, interagire e dialogare, pregare gli uni per gli altri… Pur offrendo brevi pause di silenzio, la vera messa distrae un po’ e obbliga a pensare al fratello (e anche ad amarlo!). Se uno vuol pregare devotamente, non cerchi di farlo a messa: è quasi impossibile. La Conquista 3 La vita in parrocchia RIN NGR RAZ ZIA AMENT TO DEL LL’AN NNO O SCOLAS STICO O interesse l’incontro sull’immigrazione… Grazie per la serenità e la gioia con cui ci hai seguito e sostenuto nei nostri compiti quotidiani, a volte difficili e faticosi. Prego perché nel mondo vinca sempre il bene sul male, perché non ci siano più guerre, fame, discriminazioni… Grazie per lo sguardo attento e comprensivo degli insegnanti, dei bidelli ed affettuoso dei compagni. Vorrei pregare perché nel mondo ci siano sempre persone gentili e buone e nelle scuole non ci sia bullismo e dove prevalga l’educazione sulla formazione. Grazie Signore per Papa Francesco di cui abbiamo conosciuto la vita, le opere, i viaggi, l’interesse verso i più deboli: un uomo che ha coraggio di dire la verità e soprattutto misericordioso con tutti noi… Grazie per il professor Angelo Zanella, nostro insegnante di educazione fisica, che ricorderemo sempre con affetto e che ora è vicino a te, nella tua luce e nel tuo immenso amore… Preghiere dei più piccoli (9 giugno) Caro Gesù, noi ti vogliamo bene. Grazie per la meravigliosa natura. Noi vorremmo tanto che nessuno si faccia più male, che non ci sia più la guerra e che finalmente ci sia la pace… Caro Gesù, grazie che ci stai accanto e non ci abbandoni mai. Grazie per tutte le famiglie, fa che siano sempre unite nel tuo amore e in armonia. Ti ringraziamo di avere degli amici, perché senza di loro ci sentiamo soli. Fa’ che siano sempre sinceri e che ci aiutino nel momento del bisogno. Ci piacerebbe andare sempre d’accordo e che nessuno si senta mai escluso… Per le persone che sono state colpite dal terremoto, affinché ricevano gli aiuti e il sostegno morale per affrontare questo difficile momento… Preghiere dei più grandi (10 giugno): Grazie Signore per quest’anno scolastico pieno di emozioni, speranze, progetti ed obiettivi raggiunti. Le nostre 0° DI SAC CER RDO OZIO: amicizie sono migliorate, anche se ci 60 sono stati alcuni litigi alla fine abbiamo AU UGU URI A fatto pace, che è la cosa più bella al DO ON SER RGIIO TES SSA ARI! mondo! Quest’anno festeggia il traguardo Grazie perché abbiamo imparato molte cose, abbiamo conosciuto insegnanti nuovi che ci hanno accompagnato in un percorso impegnativo e interessante… Grazie per la scuola, quei ragazzi provenienti dai paesi più poveri, che hanno desiderio di studiare, imparare, divertirsi insieme: affinché siano in grado di affermarsi, di essere liberi e padroni del loro futuro… Grazie, Signore, per S. Stefano di Cadore il nostro carissimo paese, dove viviamo, dove siamo comunità viva e operosa. Ricordiamo con Don Sergio alle spalle del Papa, sulle stradine della sua parrocchia. di sessant’anni di sacerdozio, molti dei quali dati in servizio pastorale a Costalissoio. Classe 1929, ha celebrato la prima messa a Altivole (TV) il 26 giugno1955. È salito a S. Stefano come cooperatore parrocchiale negli anni 1970-72. È stato parroco di Costalissoio e Casada per 25 anni, dal dicembre 1979, e anche di Costalta dal 1981. Quassù tutti lo ricordano e anche lui ricorda volentieri la gente del Comelico come mi dice, quando lo vedo, agli incontri dei preti ai quali non manca mai. Lui, così schivo, è diventato famoso al tempo delle visite di Giovanni Paolo II perché compariva sulle foto, specialmente quando il Papa è passato per Costalta. Ora è un po’ distante, a Farra di Feltre, in parrocchia con don Virginio. DO ON BRU UNO BER RSA AGL LIO O Prete feltrino, classe 1914, scrittore… è stato parroco a Costalissoio nel 1979, poi è tornato a Feltre. Quando ha compiuto 80 anni, nel 1994, una delegazione è scesa a trovarlo: erano Riccardo, Gianni e Giovanni. Si trovava ospite in Casa “Padre Kolbe” a Pedavena. Gli hanno detto tra l’altro: «Auguri di ritrovarci al compimento dei cento anni!». Pronta la risposta di don Bersaglio: «Giovanni, no sta miga metter limiti alla Provvidenza!». LA TR RAG GED DIA A GR REC CA Chi avrebbe mai detto che le donne della Corale interparrocchiale si sarebbero dedicate anche al teatro? E a un genere di alto livello culturale? Il debutto è stato a Costalta, nella sala della Regola, il 20 luglio. Hanno messo in scena “Il Canto di Euridice”, riveduto in chiave moderna dalla direttrice stessa della Corale, Martina Casanova, e con canzoni bellissime e significative del repertorio recente. Il sogno della giovinezza e dell’amore viene messo in scacco dalla durezza della vita e dalla tragedia della morte. Le domande che nell’opera si impongono allo spettatore sono quelle decisive che la cultura di oggi, consumistica, preferisce tacere. Sono esattamente le domande che i greci rivolgevano all’apostolo Pao- ▶ 4 lo circa il destino dei nostri morti. Egli rispondeva in modo sobrio, ma chiaro, nella sua lettera più antica, la prima ai Tessalonicesi. Lo spettacolo musico-teatrale del gruppo “Senza Maschera” ha come protagonista principale Martina Casanova Fuga. Le musiche sono a cura di Lorenzo Tonon. Il cast: Ines Bressan, Norma Casanova, Paola Cesco Frare, Giorgia Comis, Silvana Costan, Andreina De Bolfo, Giuliana De Bolfo, Rita De Mario, Giuly De Candido, Milena Doriguzzi, Monica Fabbris e Daniela Puliè. La Conquista IL GREST T DI DON N FA ABIO Il Grest nei prati attigui alla Cappella dei Caduti di Cima Vallona ha radunato anche quest’anno i ragazzi del Comelico. Oltre trecento iscritti per tre settimane indimenticabili. Il tempo è stato bello e caldo, tutta un’altra cosa rispetto allo scorso anno. I giovani animatori si danno molto da fare per i più piccoli. Nella foto, li fanno cantare, danzare, eseguire dei ban agli anziani della Casa di Riposo che sono saliti lassù un pomeriggio. Don Fabio è l’animatore di tutta l’organizzazione. I CR ROCIF FISS SI DI DANIL LO Danilo Comis, oltre che darsi da fare col computer… (tra l’altro mette su internet “La Conquista”), quest’anno ha confezionato a mano con arte molti crocifissi in ferro che sono molto graditi da tutti, ma in particolare dai piccolissimi! Un vivo ringraziamento dalla parrocchia per tutti quelli che ci ha regalato. Molti sono i riconoscimenti ricevuti in internet: «Gentilissimo Danilo, ho ricevuto tramite Francesco i crocifissi, volevo ringraziarti per la cortesia e fare i complimenti miei e di mia moglie per i lavori bellissimi. Grazie di cuore… Caro Danilo, oggi è arrivato il pacco con i crocifissi. Prima di tutto complimenti per la creatività, è stata veramente una bella intuizione; poi grazie per questo dono che mi hai fatto… Buona domenica, ieri come quasi ogni sabato ho passato la giornata nella mia casa di Mare e poi sono andato a Costalta a salutare mio cugino. Lo stesso mi ha mostrato un bellissimo crocifisso da te fatto con del filo di ferro particolare. Se non ti fosse di grande disturbo anch’io sarei lieto di averne uno uguale…». Il “Mercatino delle Meraviglie” in via Udine. LA 24 4 ORE DII AD DOR RAZ ZIO ONE E L’iniziativa dell’adorazione a turno, organizzata dal Gruppo di Preghiera, ha permesso di tenere la chiesa aperta anche durante la notte. Nei giorni 12 e 13 agosto, molte persone hanno potuto partecipare alla manifestazione, in particolare nell’ora comunitaria di inizio e alla conclusione coi vesperi cantati e la messa. UN N GRA AZIE E Un grazie alle signore che curano il decoro della chiesa, in particolare a quelle che si occupano dei fiori… e anche a coloro che ogni tanto danno loro un aiuto finanziario. IL GRU UPPO O PES SCA È recentemente scomparsa a Viterbo la signora Liliana Ragonesi Martino, che da molti anni veniva a S. Stefano e collaborava in varie iniziative. Il Gruppo della pesca si è reso presente alla sorella con una lettera commovente e molto gradita. Nel giardinetto dell’Ex Asilo, il gruppo estivo dei più piccoli con la maestra Giuliana. La Conquista meraviglie le ha create lo stesso Autore della bellezza». Ringraziare e ascoltare in silenzio la voce della natura. Il silenzio per l’ammirazione, per ascoltare la voce della natura, per gustare la musica e il canto che ci fa entrare nell’armonia di Dio e delle attese più autentiche del nostro intimo. Ancora dall’omelia di Papa Wojtyla del 1987: «La festa odierna riguarda in modo speciale voi, operatori forestali, per il problema ecologico che è sotteso al vostro impegno. È noto quanto oggi sia urgente diffondere la coscienza del rispetto per le risorse del nostro pianeta». All’indomani dell’enciclica di Papa Francesco “Laudato sii” sentiamo la forte chiamata della fede cristiana ad abitare con responsabilità la terra, i boschi, i prati… La domanda fondamentale dell’ultima lettera sociale di papa Francesco è: “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?” (LS 160). Questa località magnifica, nel cuore delle Dolomiti, ci richiama per contrapposizione la devastazione di vite e di risorse avvenuta qui cento anni fa, nella Prima guerra mondiale. Domenica 30 agosto sul Monte Cavallino ci sarà l’annuale celebrazione di rappresentanti della vicinissima Austria e della nostra terra nel centenario del conflitto. Sarà presente il vescovo di Innsbruck e un sacerdote cadorino che mi rappresenta essendo io partecipe con l’associazione “Bellunesi nel Mondo” a Mattmark nel 50° della tragedia della montagna (nella quale morirono 88 operai: dei 56 italiani 17 erano bellunesi). Facciamoci riflessivi per vivere questo centenario di tanti disagi, con la volontà di attualizzare nelle relazioni di oggi gli insegnamenti della storia. Anche nelle relazioni tra Comuni e Regole, tra realtà istituzionali e politiche, tra parenti e familiari, per il bene di tutti! Come ho trovato interessante leggere, sugli ultimi numeri del giornale parrocchiale “La ConConcelebrazione in Val Visdende domenica 12 luglio. quista” di S. Stefano, le vicende Non poteva mancare alla fine la “Preghiera del Fore- della guerra qui in Comelico! S. stale” che non possiamo riportare perché recitata a Giovanni Gualberto, presentato memoria dall’anziano incaricato. qui da san Giovanni Paolo II, è 12 luglio 1987: data storica per la presenza, quella volta, del Papa diventato poi San Giovanni Paolo II. I due comuni limitrofi di S. Pietro e di S. Stefano hanno voluto solennizzare la ricorrenza invitando per la concelebrazione i parroci con il vescovo, i forestali e quanti fossero stati interessati all’iniziativa. La cerimonia ha registrato un grande afflusso di gente ed è stata animata dai cori “Monte Sabotino” e “Monte Peralba”. Riportiamo l’omelia del vescovo Andrich: “Nella giustizia contemplerò il tuo volto, al mio risveglio mi sazierò della tua presenza” (introito). Qui a Pramarino, domenica 12 luglio 1987, san Giovanni Paolo II ha celebrato la s. messa nella festa votiva di san Giovanni Gualberto, patrono degli operatori forestali. Sono grato a tutti voi che avete accolto gli inviti dei Comuni di S. Stefano e di S. Pietro e delle Comunità parrocchiali del Comelico a partecipare a questo suggestivo evento religioso organizzato dalle sedici Regole del Comelico, dal CAI Val Comelico e dal Consorzio turistico Val Comelico Dolomiti. Val Visdende: “Valle da vedere” ha detto Karol Wojtyla 28 anni fa; da vedere e ammirare quando diventa contesto mirabile di una comunità di persone in atteggiamento di contemplazione umile, come vogliamo essere tutti noi in questo primo momento di silenzio davanti a Dio Creatore che ci conosce e ci ama. Benedetto sia Dio… (2a lettura). Papa Wojtyla disse: «Questa montagne suscitano nel cuore il senso dell’infinito, con il desiderio di sollevare la mente verso ciò che è sublime. Queste 5 I ragazzi del Seminario di Belluno per tre giorni a S. Stefano. Sono Lorenzo, Luca, Sandro, Enrico e don Luciano. Qui hanno preso di mira il Peralba dallo Spallone ovest. tipo esemplare che ha saputo opporsi alla vendetta e all’odio. Disse ancora Papa Wojtyla: «Chiedo a Dio per tutti voi, operatori forestali, uomini e donne della montagna, appassionati cultori delle solide tradizioni di queste terre, che le vostre comunità conservino sempre le preziose eredità della cultura che vi riguarda. La gente della montagna possiede il gusto della contemplazione della natura e, con questa, una conseguente profonda religiosità, che investe tutti i settori della vita, suscitando laboriosità, spirito di sacrificio, attaccamento alla famiglia e alla propria terra. Può essere che la forza da cui traete il sostentamento vi appaia talvolta dura ed esigente per il lavoro che vi chiede; ma voi amatela come un dono di Dio, come un meraviglioso ambiente nel quale egli si rivela ai vostri occhi nello splendore delle cose da lui create». Che san Giovanni Paolo II interceda per noi, per vivere quanto qui ci ha proposto. Le intenzioni della preghiera dei fedeli sono state proposte da Lara, consigliere comunale di S. Stefano, e da Ileana, vice sindaco di S. Pietro: Per i Comuni, le Regole, gli enti amministrativi, il Corpo forestale e le altre forze dell’ordine, affinché procedano sempre insieme sulla via della collaborazione, per favorire la crescita e lo sviluppo della montagna, perché essa sia luogo di vita e di lavoro, soprattutto per le nuove generazioni… Per la popolazione della montagna, perché unita trovi la forza di continuare ad adoperarsi per lo sviluppo del territorio, per conquistare e mantenere i propri diritti, così che i giovani possano scegliere di ritornare e restare a vivere, costruire la propria famiglia e lavorare in montagna… 6 La Conquista Le donne di MARCO, La suocera di Pietro (1,29-31) Gesù ha ressa attorno, nella sinagoga e all’aperto. Allora entra in una casa dove, in un angolo discosto, una povera donna è a letto con la febbre. Lo circondano protagonisti di primo piano: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, ma per Gesù è importante in quel momento una persona insignificante e sofferente. Poche parole potenti. Gesù si avvicina alla suocera di Pietro. Non si limita a sfiorarla, la prende per mano e la fa alzare: è una parola che esprime risurrezione, rialzamento e vita nuova. Non finisce qui perché la donna, appena guarita dalla febbre, si mette a servire e precisamente a distribuire il pranzo festivo del sabato ai presenti. Nel suo umile e prezioso servire, quella donna si realizza. Il malato non si realizza perché è bloccato dal male. Di fronte al male Gesù si irrita. Vuole che tutti si ribellino ai mali, all’iniquità e alle ingiustizie che bloccano i progetti di Dio. Con la lunga serie di guarigioni, elencate in questo primo capitolo di Marco, Gesù non cerca il successo della popolarità e infatti fugge. Lo vanno poi a cercare in luoghi solitari dove si è nascosto a pregare. La donna sofferente (5,25.34) Una donna anonima, sofferente di emorragia, ha sentito parlare di Gesù. Le resta un’ultima speranza di salvezza, dopo aver fatto ricorso a molti medici (anche troppi!) ed essendo andata di male in peggio, rimettendoci in soldi e salute. «Se solo riesco a toccare il suo mantello – dice tra sé – sarò guarita». Si avvicina da dietro, mimetizzata tra la folla, e raggiunge il suo intento. Si sente guarita all’istante. Se non che Gesù si accorge. Vuol vedere quella persona in volto e, con evidente imbarazzo per lei, vuol rendere di pubblico dominio la grazia di una guarigione che, altrimenti, sarebbe rimasta segreta. Gesù ci tiene ad affermare davanti a tutti: «Figlia, la tua fede ti ha salvata». Vuol far risaltare il fiducioso abbandono di quell’umile persona, emarginata e sfruttata, alla faccia dei discepoli e di tutta quella gente. Non è l’unica volta che una donna si trova più credente e più in sintonia a confronto di persone importanti e di capi religiosi che, spesso, non sono capaci di comprendere Gesù e di seguire il suo insegnamento avendo di mira altro: la carriera e una vita senza problemi. La donna libanese (7,24-30) Gesù si sposta verso nord, in territori pagani. Vuol restare nascosto e concentrarsi nell’istruzione dei discepoli, ma non ci riesce perché si sparge la voce della sua presenza. Ecco un’altra delle donne anonime di Marco: cerca Gesù e lo supplica di liberare sua figlia da uno spirito cattivo. Gesù si mostra restio a far miracoli, per motivi che restano inspiegabili. La risposta alla donna è dura: «Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Lei pronta a rispondere: «Signore, sotto la tavola i cagnolini mangiano le briciole dei figli». Anziché risentirsi, la donna accetta di essere identificata coi cagnolini sotto la tavola. Gesù le dice: «Per questa tua parola va: il demonio è uscito da tua figlia». In territorio pagano Gesù trova molta fede e vivo desiderio di salvezza, al contrario che nella sua patria, dove molti lo giudicano dall’alto in basso e restano scettici su quanto dice. Ormai i pagani possono sedersi alla stessa tavola dei figli del regno. Tutti i credenti in Cristo si siedono alla pari per ricevere il suo pane, cioè la sua parola e i suoi doni risananti. Anche questa volta è una umile donna sofferente che apre la porta a Gesù, quasi costringendolo a farle la grazia, e dà esempio a tanti che sono vicini al Signore ma sono lontani spiritualmente. La donna di Betania (14,3-9) All’inizio della sua ultima settimana Gesù si trova nella cerchia dei suoi intimi. Di giorno sta in città, a Gerusalemme, ma la notte esce e trova ospitalità a Betania, in casa di Simone il lebbroso. In questo luogo ritirato, entra all’improvviso una donna con un vaso di profumo prezioso, spezza il collo della bottiglietta e versa il contenuto sui capelli di Gesù. Il gesto affettuoso e gentile trova però le critiche dei presenti. Sono proprio i discepoli che maltrattano la donna, addirittura! Insensibili e gretti, gridano allo spreco magari in nome della carità ai poveri. Hanno già individuato l’alta qualità dell’unguento e anche il prezzo: trecento denari, la paga di trecento giornate lavorative, in pratica un anno di lavoro. Qui si ragiona in termini utilitaristici. Non si condivide certo il gusto di donare in pura perdita. L’incomprensione tra Gesù e i suoi è totale e Gesù difende l’operato della donna: lei ha unto il suo corpo in anticipo per la sua sepoltura, quando non ci sarà neanche tempo per farlo. Però i discepoli sono ben lungi dal pensare al destino del loro maestro, per apprezzare il dono totale di sé che egli sta per fare. Gesù dice che il gesto della donna sarà ricordato come vangelo, cioè come lieta notizia della morte e risurrezione. Marco non ricorda neanche il nome di quella donna, né l’origine, né lo stato sociale eppure il suo gesto è indimenticabile: lei dà per Gesù quello che ha di più prezioso, lo dà totalmente e senza rimpianti. Quello che si dà per Gesù non è mai troppo. Non è uno spreco! La vedova al tempio (12,41-44) Gesù passa i suoi ultimi giorni all’interno del tempio. Lì vede passare molta gente: tante persone umili del popolo e persone importanti con lunghe vesti, che si fanno riverire e notare per le lunghe preghiere. Gesù va al cuore della religiosità e comincia dalla cacciata dei mercanti. I capi religiosi evitano di mettere in questione il loro modo di rapportarsi con Dio e deviano su domande oziose: «Con quale autorità fai queste La Conquista cose?». Ma Gesù li mette alle strette con argomenti decisivi: Che cos’è la pietra scartata dai costruttori e scelta da Dio? che rapporto c’è tra Dio e Cesare? qual è il comandamento più importante? c’è la risurrezione? Questi personaggi, se vogliono, ne hanno abbastanza per valutare e prender posizione. Ma restano chiusi alla novità di Gesù e quindi non c’è niente da fare. Gesù osserva attentamente le persone. Ci sono ricchi che gettano molti soldi nelle offerte… (infatti la religiosità non è mica fatta solo di preghiere, ma si traduce in opere o, come dice Papa Francesco, la conversione è vera se passa anche attraverso il portamonete…). Tra i tanti, Gesù vede passare una vedova povera che getta due spiccioli, cioè tutto quello che ha per vivere, e lo fa notare ai suoi. Come spesso accade nel vangelo, Gesù capovolge la situazione: «La vedova ha donato più di tutti, perché tutti hanno gettato del loro superfluo ma lei, nella sua povertà, ha gettato tutto quanto aveva». Pare che Gesù riconosca se stesso, in quella povera vedova. Alla vigilia della morte in croce egli affida la sua vita al Padre e agli uomini, dona totalmente se stesso. Solo donne nel finale (16,1-8) Il racconto della passione dice che le donne erano presenti sia alla crocifissione di Gesù sia alla sua sepoltura. Questa volta non sono donne anonime. Sono Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses e Salome. È detto anche che seguivano Gesù dalla Galilea e lo servivano. Certo lo hanno seguito come i discepoli e anche meglio. La fedeltà delle donne non indietreggia neppure di fronte allo smacco e all’umiliazione. I discepoli invece hanno abbandonato Gesù e sono fuggiti. Le donne fedeli adesso diventano testimoni della sua morte, della sepoltura e della sua risurrezione. I Dodici erano stati chiamati da Gesù per stare con lui e per andare a predicare. Ora essi mancano: lì dove dovrebbero essere non ci sono. Al loro posto ci sono le donne. Alla conclusione di tutta la storia sono loro l’esempio per tutti i discepoli. 7 Sala della Regola di Costalissoio. Omaggio a don Fiorelmo. Costalissoio ha espresso riconoscenza a don Fiorelmo che da vent’anni viene in vacanza non da semplice turista, ma da pastore, avendo instaurato un rapporto di amicizia con tutti. La sera di ferragosto lo hanno salutato, prima del suo ritorno a Baiano, in provincia di Avellino. Il saluto di Diego: «Meravigliati e riconoscenti ricapitoliamo un percorso missionario storico ad alta quota, particolarmente significativo sul piano religioso ed umano delle relazioni sociali. Ad alta quota, non tanto e non solo ambientale dunque, ma soprattutto sul piano dei rapporti personali, della partecipazione e della condivisione. La presenza di don Fiorelmo è storica, ventennale e forse ancora più in là nel tempo. Le prime decadi agostane del nostro paese sono segnate da questa bella e significativa ministerialità, non solo liturgico-missionaria, ma anche amicale e possiamo aggiungere fraterna. Ferialità ferragostana per noi arricchita e benedetta da questa sacerdotale fedele presenza venuta da tanto lontano. Raccogliamo tutte le voci della vallata, quasi solenne e festosa sinfonia alpina per dirle il nostro fraterno affettuoso grazie con il consueto arrivederci. I paesani». Il saluto di Cristian: «I chierichetti e il coro parrocchiale desiderano ringraziarla perché con la sua presenza, simpatia e professionalità ravviva sempre questo breve periodo di unione fraterna perché il sacerdote è uomo della parola di Dio, uomo del sacramento e del mistero della fede, simboli che lei riesce a trasmettere a tutti noi durante la celebrazione della messa. Ma anche quando la incontriamo semplicemente per strada lei ha sempre una bella parola per tutti. Speriamo di averla tra noi ancora per tantissimi anni. Grazie di cuore». Pinuccia: «… Nell’eucaristia del mattino ci ha dato ogni giorno le coordinate per vivere alla sequela di Gesù. Ci hai omogeneizzato la parola di Dio affinché noi fossimo in grado di passare dall’ascolto a viverla. Grazie!». Il capo regola, Valerio De Bettin, ha fatto omaggio di un quadro raffigurante il paese e di una targa ricordo. Il sindaco Alessandra Buzzo, presente all’incontro, ha sottolineato che si aggiunge al nostro grazie quello che viene dall’alto. Ambulanza Continua l’elenco di offerenti pro ambulanza: Zandonella Assicurazioni sas 500, Luxottica Group spa in memoria Pompeo Pellizzaroli 282, DBA Progetti spa 3.000, Sergio Coluzzi e Susy De Candido in ricordo di Walter 125, De Zolt Annamaria in memoria Walter De Zolt 100, Elvira De Zolt in memoria Walter 25, Comis Alfredo Bar 2000 vendita quadri 630, Gruppo Ragazze 2^ media di S. Stefano110, Wilma Anvidalfarei in ricordo dell’insegnante De Villa Palù 300, Valentino De Lorenzo Buffolo Bernardi 100, Associazione E-state a Mare 2.784, mercatino De Candido Elisa e Lovullo 50, Alimentari De Candido 128,50. 8 La Conquista SEBASTIAN: PRIMO CLASSIFICATO TRA I DIPLOMATI DEL GIUGNO SCORSO È sfuggito il nome di Luca Alfarè Lovo, che è diventato Perito Edile all’ITI di Pieve di Cadore. PER CONOSCERE IL PATRIMONIO STORICO-ARTISTICO RIAPERTURA IN TEMPO RECORD A Costalissoio gli Alimentari De Mario hanno riaperto e rinnovato il negozio. Dopo l’incendio avvenuto il 17 aprile scorso, senza pensarci due volte e con grande coraggio i proprietari hanno reso operativo il punto vendita per l’inizio della stagione estiva, sabato 27 giugno, ringraziando anche le tantissime persone – si legge nel volantino – che in qualsiasi modo hanno dimostrato la loro vicinanza e hanno offerto il loro aiuto. Martedì 28 luglio Valentina Comis, laureata di recente in Conservazione dei Beni Culturali, ha reso pubblici i risultati della sua tesi di ricerca. In una serata estiva, un pubblico interessato ha seguito la descrizione del- I DONATORI DI SANGUE Anche quest’anno la sezione la casa cinquecentesca dei Vecellio a ABVS di S. Stefano di Cadore ha Pieve di Cadore. L’ambiente era intonato perfet- collaborato all’organizzazione della tamente: era l’atrio d’ingresso della “Festa dello Sport” delle scuole eleVilla Janesi – Bettini, in piazza Bal- mentari di S. Stefano che si è svolta il dissarutti, e corrispondeva bene al 26 maggio. Al termine della giornatipo di abitazione di rango esistente ta, ai 74 alunni sono stati consegnati in quell’epoca nel Veneto. altrettanti marsupi personalizzati La relatrice si è servita di proie- ABVS con opuscoli per far conoscere zioni per descrivere ogni piano della l’associazione. Si sono aggregate alla casa del Vecellio, le varie stanze con festa anche le scuole elementari di S. l’arredo caratteristico e quindi ha co- Nicolò di Comelico e ai 24 ragazzi municato qualcosa del modo di vi- presenti sono stati dati degli zainetti. vere, di lavorare e di pensare di quel (Franco De Candido) tempo. Un particolare interessante è Va aggiunto che la sezione AVBS stato anche l’oratorio, cioè l’angolo di S. Stefano è sempre molto attiva. privato, piccolo e raccolto, che era Anche per l’acquisto della nuova riservato alla preghiera personale ambulanza ha contribuito con 1.500 davanti a un crocifisso prezioso con euro. (n.d.r.) q altre immagini sacre e a un’acquaforte rappresentante la città di Gerusalemme e il Santo Sepolcro. Brava Valentina a far conoscere un pezzo di storia del Cadore. Da ringraziare anche l’Assessorato alle politiche giovanili del Comune che ha promosso l’incontro. Dalla storia si viene a sapere, tra l’altro, che forse un paio di quadri famosi del Tiziano sarebbero passati per S. Stefano e vi avrebbero soggiornato per qualche secolo nel Palazzo Pellizzaroli. Infine sarebbero stati svenduti perché considerati privi di valore. Donatori di Sangue: festa dello sport. Un concorso nazionale ha premiato Sebastian Agostini, allieva della Scuola del Legno di S. Stefano, primo classificato per il miglior design. Si trattava di progettare un appendiabiti, dice con semplici parole l’interessato, e poi di realizzarlo col legno. Complimenti al giovane studente, a onore anche del buon livello della nostra scuola Ipsia! RIUSCITA VITA NELLE VIE Vita nelle Vie 2015 si è chiusa, bisogna proprio riconoscere, si è chiusa in bellezza! È stata proprio una manifestazione di vita, vita, vita nelle vie equivalente all’entusiasmo. Pianificata, rinnovata, condotta da un’equipe organizzata e puntuale. I venerdì si sono susseguiti con interessanti attrazioni tra musiche, spettacoli, artigiani e creazioni artigianali simpatiche, prodotti locali: miele, erbe aromatiche, salse, formaggi, esposizioni d’arte di pittori e scultori, un ventaglio piacevole che ha interessato. Un folto pubblico ha raccolto la performance dei boscaioli nella pulitura e squadratura dei tronchi, nell’abile impiego delle motoseghe e non più, o meno, dell’uso delle “manere”, mannaie. Segno dei tempi. Ma per i bambini, oltre ai giochi a loro riservati, l’attrazione è stata in via Udine negli spazi riservati agli La Conquista asinelli, alla mucca con i due vitellini. Occhi sbarrati e molto interessati su di essi, col desiderio di avvicinarli e toccarli. Perché? Perché mai visti prima. Il terzo venerdì, la terza ed ultima serata è stata veramente spettacolare con l’esibizione dal campanile del soccorso alpino e con le acrobatiche prodezze di Armin Holzer, sciatore e slackliner, sui nastri tesi a grandi altezze, una star internazionale. Sono seguiti i tradizionali, sempre attesi, fuochi d’artificio, festosi. E nella centralissima piazza Roma i cuochi di strada hanno assicurato la possibilità di rifocillarsi con tipicità sia seduti che con Pip, piatti in piedi. In questo contesto c’è stato il risvolto di beneficenza per le attività di “Insieme si può”. Ed è da sottolineare che l’associazione “Forza Comelico”, nata dopo le frane della valle, ecc., ha dedicato due serate, nell’ambito di Vita nelle Vie, ad iniziative e giochi il cui incasso è stato devoluto in favore del Comune di San Vito di Cadore colpito dalla frana dell’Antelao, raccogliendo l’invito di Nives Milani di Radio Cortina. Dunque Vita nelle vie rinnovata ha fatto uscire la gente del paese, ha attratto gente del Comelico, del Cadore e gli ospiti villeggianti. Che cosa ci si deve augurare? Una continuazione, nel continuo rinnovamento, nel pensatoio di programmazione, nella valutazione delle varie idee che scaturiscono dai componenti il comitato, nel volontariato e nell’ottica dello slogan Vita, Vita, Vita, (nelle vie) che significa entusiasmo. (Guido Buzzo) MOSTRE ESTIVE Aldo Buzzo, maestro di sci in pensione (ma non del tutto!), si diletta a scolpire quadri su legno. Recentemente ha fatto una mostra a Tarvisio con una dozzina di opere ed è anche presente nelle sere di Vita nelle Vie. Il soggetto che va molto, quanto pare, è il quadro del Monte Lussari. Luciano De Barba ha esposto una personale di scultura presso l’albergo Krissin dal titolo “Scolpendo nelle Dolomiti”. Pittori locali hanno esposto dall’8 al 23 agosto nella nuova sala della Regola di Casada: sono Renzo Doch e Augusto De Lenart. Aldo Buzzo, oltre gli hobby di sciare, fare il nonno, ecc. ha anche quello di scolpire. Qui ha rappresentato il Santuario del Monte Lussari. La moglie collabora come buon critico d’arte e stende la cera. “TRE COSTE TRAIL” A Costalissoio si organizzano e, ogni tanto, si lanciano delle simpatiche feste e manifestazioni. I tre paesi in costa, Costa – Costalissoio – Costalta, sono uniti da una bella strada panoramica molto adatta alle passeggiate domenicali, magari anche d’inverno. Perché Podio della corsa. non farne l’itinerario anche di una corsa non competitiva? Il folto gruppo organizzatore non ci ha pensato due volte e, sabato 27 giugno, i partecipanti sono stati numerosi: 118. (Grazie a Mattia della foto!) Sta per partire la Bajarde bike in piazza Roma, dietro all’ape ammiraglia di Leo. PRESTIGIOSO CONCERTO Un pubblico numeroso, e decisamente entusiasta, ha assistito al concerto d’organo e violino offerto a S. Stefano sabato 8 agosto. Organista era Stephan Kofler, di Merano, e col violino barocco Elisa Citterio. La manifestazione è stata fatta nell’ambito della rassegna “Organi storici in Cadore” che si ripete ogni estate, col patrocinio della Magnifica Comunità di Cadore e anche col contributo della parrocchia. Ogni volta un tecnico mette a punto l’accordatura del prezioso strumento perché l’esecuzione riesca al meglio. 9 Picnic di ferragosto a Ravanel. Come un patriarca biblico, Antonio Polato è circondato da nipoti e pronipoti, amici e parenti. e d r a i a B È stata la 14a edizione. Dall’alto una croce di Dario Buzzetto continua a sorridere Sorride ai giovani che l’hanno conosciut aai più piccoli che hanno sentito parlare di lui o che Il gioc tu vano! tti pro B Bajarde è il posto ideale per una festa estiva. p po e l’aria del bosco garantiscono l’ottima riu Numerose squadrette squadrettte accorse e si co cont ont La Conquista croce e la foto dere alla vita. sciuto e anche i lui. iva. Il bel tema riuscita. contendono co onten ndon no il 11 trofeo di calcio a cinque. L’organizzazione è precisa (Marco), l’arbitraggio è puntuale (Luca) e il ristoro è garantito sotto il tendone. Sabato mattina presto, alle 8, la manifestazione ha avuto il via con la messa, molto sentita e ben partecipata. La benedizione diceva: «Salga a te la nostra lode, Padre. Che nella tua provvidenza guidi a un fine di bontà e di grazia le fatiche e i progetti umani… ». Il vivaio c’è! la ra del d a u q La s cina è cu te vincen e r p m se 12 Papa Luciani. l celebre e controverso teologo svizzero Hans Küng parla del breve pontificato di Papa Luciani nelle sue note autobiografiche dal titolo “Una battaglia lunga una vita… Il mio racconto del secolo” (2014, pp 649 ss). Il teologo, che fu protagonista al Concilio Vaticano II e in seguito ha sempre spinto avanti il rinnovamento della Chiesa (a volte anche troppo!), è molto critico nei riguardi dei papi ad eccezione solo di Papa Giovanni, di Papa Francesco e del “nostro” Giovanni Paolo I. ecco che cosa ha scritto… I Il papa dei trentatré giorni: Giovanni Paolo I Dopo la morte di Paolo VI, che nonostante i suoi continui compromessi non è mai stato veramente accettato dai falchi della curia e del collegio cardinalizio, il conclave è profondamente diviso. Ci sono i «montiniani» sulla linea di Paolo VI, il cui candidato è Giovanni Benelli, divenuto da pochi mesi arcivescovo di Firenze e cardinale, che prima era stato per dieci anni capo di stato maggiore del papa («sostituto») presso la Segreteria di Stato. A questa fazione mediatrice si oppongono i «falchi», il cui candidato è il card. Giuseppe Siri di Genova, poco amato già durante il Concilio. Entrambi i gruppi si bloccano a vicenda nel corso dei primi scrutini. Infine si trova un candidato italiano di compromesso, gradito ad ambedue le fazioni: l’allora patriarca di Venezia, card. Albino Luciani, un uomo amabile e umile della cui elezione, avvenuta il 26 agosto 1978 e da lui certo La Conquista non cercata, io sono sinceramente felice. Vuole essere esplicitamente il papa della riconciliazione e prende, per questo motivo – è una novità! – il nome dei suoi predecessori, tra loro così doversi: Giovanni Paolo. Già il giorno dopo l’elezione rilascia alla televisione svizzera un’intervista dai toni positivi. Non molto tempo prima, infatti, il direttore musicale della nostra università, Alexander Šumski, era stato a Venezia con il Collegium musicum di Tubinga per dare un grande concerto nella basilica di San Marco in presenza del patriarca. Mi racconta che il patriarca teneva sulla sua scrivania il mio libro Essere cristiani, che aveva chiesto mie notizie e mi mandava a salutare. Rispondo poco dopo con una lettera e l’invio dell’edizione italiana di Essere cristiani con una dedica. Mi ringrazia con molta cortesia e mi rivela che era stato il vescovo Gargitter di Bressanone (un ex alunno del Collegium Germanicum) a dargli il mio libro, poco dopo la sua uscita in Germania. Albino Luciani mi scrive testualmente: «Ho letto alcune parti del libro (non conosco perfettamente il tedesco) e ho trovato passaggi molto belli. Lei ha il dono della scrittura: può fare del bene. Confesso di essere rimasto nel dubbio su alcuni punti (non sono uno specialista), su altri sono di parere diverso». La lettera mi impressiona. Esprime umiltà discernimento e serenità. Alla lettera allega il suo scritto Illustrissimi. Lettere del patriarca (Messaggero, Padova 1976), tra i quali annovera, accanto a santi e dotori della Chiesa, anche illuministi come Voltaire. Queste lettere mi mostrano comunque una persona di profonda umanità, tollerante, con un ampio orizzonte intellettuale, che evidentemente non vuole impormi formule dogmatiche. Rispondo al patriarca in italiano: «Sono sorpreso dalla Sua opera: un teologo e patriarca che non sa solo scrivere lettere pastorali e sermoni, ma lettere (quasi encicliche) ai grandi del passato, con uno stile, inoltre, elegante e molto umano». Il patriarca, con una lettera manoscritta, il 15 aprile 1977 ringrazia affettuosamente il «caro professore» per gli auguri di Pasqua e, con riferimento al mio complimento, scrive: «Quasi encicliche? Ohimè! Si tratta solo di scarabocchi scherzosi, anche se con intenzioni pastorali». Si capirà, dopo questa premessa, che vedo l’elezione di Luciani con ottimismo. Il fatto che non prenda il nome di Pio, ma i nomi dei due papi conciliari, è un buon segno. Subito dopo l’elezione gli invio il mio libro Dio esiste? Con la dedica: «Caro papa Giovanni Paolo I, sono molto contento della Sua elezione e spero che il Suo pontificato sappia e possa rispondere alle pressanti attese di milioni di persone che hanno sete di Dio». Subito dopo appare sulla stampa la notizia secondo la quale Giovanni Paolo I avrebbe fatto la «mostruosa» affermazione che Dio non è solo padre, ma «anche madre»! «Dio Madre»! non occorre conoscere molto bene la curia romana per immaginare come questa affermazione sembri, a molti monsignori, in parte fanatici difensori del celibato, blasfema. In ogni caso questo papa, che poco dopo la sua elezione fu chiamato «il papa sorridente», appare già il 3 settembre 1978, giorno del suo solenne insediamento, stranamente serio, senza il suo solito sorriso. Anche il suo discorso risulta molto convenzionale, è evidente che sia stato rivisto, se non addirittura steso, dal Sant’Uffizio. Iniziano a sorgere i primi dubbi: papa Luciani si saprà imporre alla curia? Ancora è troppo presto per un giudizio, poiché è in carica da neanche trenta giorni. La misteriosa morte del papa e altri misteri vaticani Per quanto mi riguarda, dal 23 settembre al 7 ottobre 1978 partecipo a un viaggio di studio, programmato da tempo, della Facoltà cattolica in «Terra Santa», dove finalmente era stato fatto un importante passo verso la pace. (…) Il nostro viaggio si svolge in armonia, ma improvvisamente prende una svolta drammatica: appena una trentina di giorni dopo l’elezione del papa, il 29 settembre 1978, ci raggiunge a Gerusalemme una notizia che sconvolge tutti: papa Giovanni Paolo I è morto! Aveva soltanto 65 anni ed era sul Soglio solo da trentatré giorni! Al mio ritorno ricevo un messaggio dal suo segretario, don Lorenzi, che mi ringrazia per l’invio di Dio esiste?: il mio libro è arrivato purtroppo solo dopo la morte del papa. Le domande che sorgono riguardo a questo decesso non sono poche. La causa della morte improvvisa del relativamente giovane papa dei trentatré giorni – è stato trovato la mattina nel suo letto – non viene indagata: non si esegue un’autopsia né si fanno accertamenti di polizia. Non sorprende quindi se fino a oggi circolano al riguardo le voci più disparate. Tutti mi chiedono cosa pensi di questa morte improvvisa. Così redigo un La Conquista comunicato che invio a tutto il mondo e che culmina con l’affermazione: ritengo che i curiali, molti dei quali conosco di persona, possano combinarne tante, ma non assassinare un papa. Altri sono di parere diverso, per esempio David A. Yallop, autore del best-seller In nome di Dio. La morte di papa Luciani (1984), che fa riferimento più volte anche a me come testimone, purtroppo non sempre in modo corretto. (…) Subito dopo la morte di Giovanni Paolo I, in Vaticano, viene diffusa una menzogna pietosa: il papa è morto leggendo il messale tardo medioevale di Tommaso da Kempen De imitazione Christi. Dall’entourage dell’arcivescovo di Milano, card. Giovanni Colombo, il miglior amico di Luciani nel collegio cardinalizio, apprendo che la sera prima di morire papa Giovanni Paolo I aveva chiamato Colombo dicendogli: «Mi prendono in giro». In verità il papa morirà con accanto una lista di nomi d’alto rango da promuovere; suggerimento probabilmente da lui non condiviso. Chissà, forse le decisioni personali che si pretesero da lui divennero il peso (sembra che pensasse anche alla destituzione di Marcinkus) che oppresse questo papa notoriamente sensibile? Anche l’infarto del card. Döfner, quasi coetaneo del papa, è collegato da molti allo stress psichico. Molti vedevano comunque in Giovanni Paolo I il rappresentante di una Chiesa umanitaria, nello spirito del Concilio Vaticano II. E io sono convinto che sotto questo papa non mi sarebbe occorso nulla di male. Adesso, però, deve essere eletto un nuovo papa. E in conclave, dopo tutte le difficoltà riscontrate per l’elezione di Albino Luciani, sarà ancora più complicato. 13 Matrimonio: discussione in atto (da “Vangelo della Famiglia”, contributo al Sinodo dato della Diocesi di BellunoFeltre e scritto da don Luigi Del Favero) DICHIARAZIONI DI NULLITÀ Lo snellimento della prassi canonica in ordine al riconoscimento della dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale potrebbe offrire un reale contributo positivo alla soluzione delle problematiche delle persone coinvolte? Innanzitutto occorre chiarire la differenza tra il divorzio e la dichiarazione di nullità. Il primo è atto del tribunale civile che scioglie un vincolo; il secondo è atto della Chiesa che riconosce invalido il patto stretto in maniera non completa. La proposta di avviare un processo canonico per il riconoscimento di nullità appare ai più troppo gravosa, anche perché le dicerie la dipingono accessibile soltanto a chi ha adeguate possibilità economiche. E questo timore tanto più pesa, quanto più si considerino gli oneri che già gravano sui coniugi che si separano, tanto da ingenerare una nuova forma di povertà proprio tra queste persone. Inoltre l’esito è stato spesso frustrante. È rilevato che gli addetti dei tribunali ecclesiastici oggi sanno mostrare più attenzione alle persone che al diritto, ma si vorrebbe far capire ai giudici che la scelta matrimoniale è oggi molto complessa e che molto spesso chi la compie non è veramente cosciente dell’impegno che assume. Tra i sacerdoti è emersa la convinzione che alcune giovani coppie non sappiano neppure che cosa vogliono, quando chiedono il matrimonio. Molte Antonietta e Romano Petris hanno festeggiato il 50° dii matrimonio circondati da familiari e amici. volte il matrimonio è stato contratto con scarsa consapevolezza; spesso c’è dietro una insufficiente educazione affettiva e/o morale; il nutrimento affettivo è talora mancato nelle famiglie di origine. Molte persone vivono in condizioni di «analfabetismo affettivo», per cui, prima del matrimonio, andrebbero incentivati percorsi che portano il singolo a fare scelte mature e consapevoli, prima ancora di accedere alla vita di coppia. Si riscontra quell’analfabetismo, per esempio, quando si confonde innamoramento e amore, quando non si riesce a percepire che la fatica e il sacrificio fanno parte dell’amore, che la persona è un mistero che non si può mai pensare di esaurire (e tanto meno scartare), che lo spessore di una persona è tale che non basta una vita per onorarlo. Si cresce con un cuore piagato che cerca affetti, relazioni amorose: e queste così diventano ricerca del proprio benessere, non del benessere dell’altro, come dono di sé in Dio. In ogni caso, uno snellimento delle procedure e una maggior flessibilità parrebbero auspicabili. Spesso a frenare la decisione di intraprendere una causa di nullità sono i tempi. L’esperto assicura che, se tutto va bene, ci vogliono poco più di tre anni, quando siano conformi le due sentenze diocesana e di appello. Le cose si allungano, quando è necessario adire alla Rota romana. Lo stesso esperto intravede la possibilità di modificare la legislazione canonica sul merito dei due o tre gradi di giudizio. Paola Pellizzaroli e Francesco Joppi ringraziano Paol il Signore dei 50 anni vissuti insieme. La Conquista 14 4a -puntata) La leva militare Nel 1962 avevo venti anni (mi sarei sposato l’anno dopo). A quei tempi si faceva la leva militare e si risultava abili o revisibili. In paese si faceva una grande festa. Tutti i coscritti salivano su un carro trainato dai cavalli e ornato di alberelli e rose. Ricordo anche qualche slogan: «Brilla la luna, brillan le stelle, ma le ragazze del ’42 son le più belle». Naturalmente io non ho potuto partecipare a questa manifestazione perché mi trovavo in Svizzera. Per festeggiare anch’io mi sono messo d’accordo con un amico di Comelico Superiore, Aldo Zanantonio Talè, che lavorava pure lui in Svizzera e aveva quattro anni più di me. Aveva la- Bruno ha fatto il coscritto a Parigi (con Aldo Zanantonio da vorato anche a Parigi e ab- Casamazzagno). Non poteva rientrare in Italia per il servizio biamo deciso di andarci. Io militare, perché emigrante in Svizzera. veramente volevo fermarmi Di giorni a Parigi ne sono passati alla a Parigi a lavorare… avevo messo in fine non quattro, ma dieci. Per fortuna valigia anche qualche abito da lavoro. avevamo il biglietto di andata e ritorno, Abbiamo preso i quattro giorni di perché eravamo rimasti senza soldi. ferie pasquali e anche un giorno in Tornati in Svizzera, ci siamo accorti che più. Sul treno abbiamo conosciuto un l’avevamo fatta grossa. I nostri padroni, austriaco che viaggiava solo e abbianon vedendoci tornare, avevano messo mo fatto amicizia. In albergo ci siamo in moto l’Interpool. Tutto è finito bene messi in camera assieme tutti e tre. comunque. Eravamo nel quartiere di lusso: Monparnasse, via de La Gheté, hotel De l’Amie. Abbiamo passato tutti i giorni a Nascita del primo figlio visitare Parigi, usando la metrò. AbbiaTorniamo al 1963, anno del matrimomo visitato anche il famoso complesso nio. Il 10 dicembre è nato Sergio. Ho commerciale. accompagnato Antonietta in ospedale L’amico austriaco dopo tre giorni è e ho detto agli infermieri di avvisarmi rientrato. Non era abituato a cammina- perché avevo piacere di assistere al re a piedi ed ha accusato un forte mal parto. Non c’erano telefonini e quando di schiena. Noi siamo rimasti e abbia- ho saputo, Sergio era già nato. Con mo anche conosciuto due di Comelico grande gioia di entrambi, era nato un Superiore dei quali oggi non ricordo il maschio, proprio come desideravamo. nome. Nel frattempo cercavo lavoro: La settimana in cui la moglie è stata ho chiesto in un ristorante italiano e il in ospedale ho sempre dormito sul gestore mi ha detto se sapevo suonare divano della “stua” e non nel letto maqualche strumento musicale. Gli ho trimoniale. Quando è tornata a casa, risposto di no. Mi avrebbe impiegato sono partito a prendere i genitori di qualche sera a intrattenere gli ospiti. Antonietta in Italia. I suoceri hanno voluto venir a vedere il nipote e ad aiutare la figlia che era giovane mamma. Sono partito il 24 dicembre mattina presto, alle quattro, e sono ripartito di ritorno da Laste verso mezzogiorno. Verso le 17 ero sul Voralberg. A un paio di chilometri dalla cima ho visto una nuvola di vapore uscire dal cofano e la macchina si è spenta. Era la sera del 24 dicembre ed era già buio. Si era rotto il manicotto del radiatore ed era uscita tutta l’acqua. Là non c’era nessuno. Dopo un po’ un’auto scendeva verso St. Jackob. Si è fermata e ho spiegato la situazione: mi occorrevano un nastro adesivo per aggiustare il manicotto e dell’acqua da mettere nel radiatore. Il signore, molto gentile, m’ha detto che andava in stazione a prendere dei clienti e vedeva di fare qualcosa. Siamo rimasti lì ad aspettare al freddo. Il signore è tornato con del nastro isolante e una tanichetta d’acqua. Dopo un’ora, ho riparato il manicotto e ho potuto proseguire. Dovevo andare lentamente e ogni tanto fermarmi a mettere acqua. Ci è andata bene così perché in Austria e in Svizzera il 24 dicembre è tutto chiuso. Siamo arrivati tardi, verso le dieci, e si può immaginare la preoccupazione di Antonietta! Abbiamo festeggiato il Natale tranquilli, tutti insieme, con la cognata Apollonia, Tullio e nipoti che erano già lì, in Svizzera, tutti piccoli: Fabio nato nel 1961, Sandro nel 1962 e ora Sergio nel 1963. La sorella di Antonietta li teneva tutti e tre. «Io andavo a lavorare in fabbrica», dice Antonietta, e Bruno conclude: «Siamo stati fortunati ad avere una cognata che accudiva tutti i bambini. Auto kaputt La vita continuava regolarmente. Lavoravo sempre come gessino. L’anno seguente, a dicembre, sono venuto in ferie passando un po’ di giorni a Laste e un po’ a S. Stefano. Qualche giorno prima di tornare in Svizzera mi sono accorto che non avevo più soldi… e pensare che guadagnavo bene e anche la moglie lavorava. «Lavoravo a cottimo e guadagnavo bene – dice Antonietta -, in stireria, e il lavoro mi piaceva!». A quel punto mi sono vergognato. Non volevo chieder soldi ai genitori e mi sono rivolto al mio amico Ivo Baldissarutti. Me li ha La Conquista imprestati e così ho potuto tornare e poi, alla prima paga, ho restituito. Era il primo anno di matrimonio, ma io continuavo la vita come uno scapolone. Eravamo andati in ferie anche d’estate, con la macchina. Una sera ero coi miei amici che, essendo militari, dovevo portarli a Monte Croce al campo. Eravamo Ivo, Bruno, Giampaolo e Remo… Ci siamo fermati a giocare alla mora a Sega Digon. Però Bruno doveva rientrare in caserma a S. Stefano e sono sceso a portarlo. A metà strada sono andato a capottarmi . Da quella volta l’auto non è più andata bene e anche per questo ho speso tanti soldi. L’esperienza di trovarmi senza soldi mi ha fatto riflettere e mi ha spinto a fare la vita normale di marito e di padre. Facendo una vita più regolare, ho cominciato a risparmiare qualche soldino ed è nato in me un obiettivo: realizzarmi, fare qualcosa… non sapevo neanch’io che cosa. Ho cercato qualche occupazione in proprio, ma non era possibile: occorrevano dieci anni di residenza e poi farsi svizzeri. Avevo un amico più anziano che aveva intenzione di metter su commercio di vino e prodotto italiani. Era titubante e io, col mio carattere, l’ho incitato: «Qui il vino lo vendono caro! Poi ti do una mano anch’io… » e così è stato. L’ho aiutato per alcuni mesi: io facevo come rappresentante, andavo dagli italiani. Ma a lungo andare la cosa poteva essere pericolosa per me e non potevo esercitare un’attività in nero. Ho smesso e lui, già avviato, ha fatto fortuna. Era Tonin Balota, di Rocca Pietore. 15 Foto di emigranti in Svizzera, tutti del Comelico. Voglia di progredire In me è sempre rimasta la voglia di realizzarmi, di progredire… un giorno mi è arrivato in cantiere un impresario e mi ha chiesto di andare con lui: mi avrebbe dato un franco in più all’ora. A me dispiaceva andar via da Strehler, però l’interesse economico ha prevalso. Ho fatto le ferie a Natale e sono rientrato cambiando ditta. Antonietta era contraria: «Ma lui ha fatto sempre quello che ha voluto! Io invece sono rimasta nove anni sempre con la stessa ditta». Sono andato bene con la nuova impresa per setto, otto mesi. Poi il nuovo 1965. Papà Agostino, nonna Pina e nonno Gigi, Bruno con in braccio il figlio Sergio e la moglie Antonietta, fratelli Berto e Rino, il più piccolo. padrone ha preso un cantiere lontano e avrei dovuto star fuori casa tutta la settimana. Mi sono licenziato e sono andato nel Canton Zurigo, a Winterthur, da una ditta che già conoscevo perché da un paio d’anni vi andavo a lavorare il sabato. Ho chiesto e mi hanno assunto. Però c’era un problema: questa ditta non poteva assumere stranieri. Il padrone mi ha detto: «Intanto cominci a lavorare. Poi facciamo domanda per il permesso di lavoro. Da agosto a dicembre ho lavorato e tutto è andato liscio. Tornato a gennaio, dopo venti giorni, è arrivata la lettera della polizia degli stranieri con l’ordine di presentarmi. Il datore di lavoro mi ha detto: «Tu vai lì tranquillo. Non sai niente. Dici che fa tutto il padrone». Conclusione: avendo lavorato senza permesso, sono stato espulso dal Canton Zurigo. Rimasto senza lavoro (lavorava solo la moglie), mi trovavo un giorno davanti alla posta. Ho incontrato Strehler, il mio ex datore di lavoro. Ci siamo salutati. Essendo un giorno feriale, mi ha chiesto come mai non lavorassi e gli ho raccontato tutta la storia. M’ha detto: «Guarda, io adesso non ho bisogno di operai. Però penso io a trovarti un lavoro». Ha trovato a Romanshorn, vicino al lago di Costanza. Erano una trentina di chilometri e ci andavo in auto. Veramente Strehler è stato un secondo padre per me! (continua) La Conquista 16 Affresco nella sede degli Alpini di S. Stefano. Anno dei divini flagelli…” Non sono d’accordo con il Pievano don Giovan Battista De Martin quando mette il titolo dell’Anno 1918: «Anno dei divini flagelli, vera fame e peste meritate dai nostri peccati». Per quanto ci sia del vero nella frase, che è un’espressione apocalittica e riflette la tragicità di quell’annus horribilis, ma a ben pensarci non c’entrano né Dio né i cosiddetti divini flagelli. La guerra è provocata dagli uomini (nel caso dell’Italia dal gruppo degli Interventisti) ed è un grande peccato comunitario: un peccato europeo… visto che la Grande Guerra era europea e non così mondiale da abbracciare il mondo! A farne le spese poi non furono tanto coloro che la scatenarono, ma il popolo, la povera gente che vide partire i suoi figli in armi e pianse lo spreco di tante vite umane e di risorse d’ogni genere. Fossero state ascoltate le parole dei Papi in quegli anni: «Guerra: inutile strage… Tutto è perduto con la guerra: tutto è salvato con la pace»! Ma la strage di vite umane non finì coi caduti in battaglia (furono, come si sa, 600mila solo gli italiani!); essa continuò in mezzo alla popolazione stremata da privazioni e da epidemie che la guerra provocò. Per finire con un altro Papa, S. Giovanni Paolo II: «La guerra è il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti». Il pensiero di pré Tita oggi andrebbe corretto così: non «i divini flagelli meritati dai nostri peccati» ma i peccati di molti hanno provocato flagelli e sofferenze a valanga sui popoli. Che a pagare poi sia stata soprattutto la gente inerme e innocente, lo dimostra bene il tragico elenco del Registro dei Morti della Pievania che andremo a sfogliare …e intanto Dio continua a piangere, anche lui, con le vittime: le accompagna con la croce del Figlio che precede i funerali e ed è piantata sulle tombe! “Fame crudele, spaventosa, orrenda…” Sorprende leggere che molti siano morti per fame, almeno una ventina, in quell’anno 1918 nel nostro paese di montagna dove la terra ha sempre dato un sostentamento, per quanto magro e sudato, almeno sufficiente. In mancanza di un esame diagnostico più attendibile, bisogna accettare la valutazione del pievano che constatava la morte e la attribuiva in questi casi alla grave denutrizione, alla fame appunto, che qualifica di volta in volta con aggettivi diversi (e sempre terribili!): fame crudele, fame orrenda, spaventosa, nefanda… altrove parla di fame e stenti o di stato di abbandono… La morte per fame capitava a persone di una certa età. C’erano giovani deceduti per altre cause… Un soldato, Attilio De Candido di 20 anni, rimasto nelle terre invase, è morto di febbre tifoidea (21 gennaio 1918). Un uomo, Attilio De Mario Sartor di 26 anni, è morto di crepacuore per l’abbandono dell’intera famiglia profuga in Italia (22 febbraio). Una ragazza di 24 anni, Clementina De Mario Sartor, è morta di spavento provato in Cadore coi profughi e di stenti nel ritorno in Comelico (4 marzo). Un reduce di 22 anni, Benigno Puliè, è morto di malattia contratta in guerra (22 marzo). Un prigioniero, Giuseppe De Mario Caprin, sposato con Giovanna Zaccaria Lucco, è morto a 37 anni di spavento incussogli dalla gendarmeria austriaca. I morti per fame generalmente non erano giovani: un contadino di Casada Valentino De Lenart Mela di anni 65 (3 luglio 1918); una casalinga nubile di 71 anni Marianna Zaccaria Lucco di Costalissoio (5 luglio); un cantore di chiesa Luigi Bettina Piazza vedovo di Costalissoio (10 luglio); un operaio anziano e vedovo Prosdocimo De Bernardin del paese di anni 87 (10 luglio); il fabbro – meccanico di Campolongo Basilio De Bernardin Scorzon di anni 78 vedovo e abbandonato da tutti (11 luglio); una vedova di 76 anni Vincenza Casanova Cabarè di Campolongo (16 luglio); Valentino Buzzo Tataratti di 84 anni, stradino, vedovo (8 agosto)… L’elenco di morti per fame continua tutta l’estate del 1918 e anche nell’autunno e la dieta di erbe cotte evidentemente non bastava: un boscaiolo Giovanni Pomarè di anni 82, di Campolongo (8 agosto); Giacomo De Mario di professione carradore di 70 anni di Costalissoio (12 settembre); una mamma, Maria Somià Pasqualon di 44 anni, con sei bambini senza cibo di sorta (14 settembre); il cantore di chiesa di Costalissoio Luigi De Lenart Rocchio, di anni 77, vedovo (16 settembre); Pietro Pomarè Borgnucco di anni 86 (17 settembre); Luigi De Mario Caprin di Costalissoio, di anni 78 (25 settembre); Giuseppe De Mario Calligher di Costalissoio di anni 85, morto di peste e fame in totale abbandono (5 ottobre)… e l’elenco continua monotono con diversi casi analoghi. La Conquista 17 Il tragico elenco continua Il Registro dei Morti sforna un vero bollettino di guerra. Esso documenta drammi umani della miseria in cui la gente si trovò un quel triste 1918. Ci furono quelli che morirono mentre si recavano in Friuli a cercar viveri per sé e la famiglia… 18 maggio, Gregogio Comis de Libera celibe, di anni 75, morto di cancrena ai piedi e alle mani ghiacciati lo scorso gennaio in Valle Frison, di ritorno dalla Carnia, dove s’era recato per viveri onde sopperire alla fame crudele che percuoteva il Comelico e dove rimase due notti e due giorni affondato nella neve. 9 agosto, Valentino Cimavilla Suvesila di Leonardo e di Giovanna De Bettin Padolin, di anni 6, morto a Pesaris in Carnia di fame e stenti mendicando; suo padre lo trasportò qui attraverso la montagna in una gerla e fu sepolto l’11 corr. nel cimitero di Costalissoio assistendovi il sottoscritto prè Batt. De Martin. 26 agosto, Umberto Doriguzzi di Pietro e di Felicita Comis Ronchin, di anni 18, è morto oggi di dissenteria sanguigna contratta in Friuli dove suo padre andò a prenderlo con un carretto a mano preso a nolo in Carnia, al prezzo di una lira al giorno, e lo trasportò qui a casa dove morì. 16 ottobre, Maria De Bernardin Bolifur contadina di anni 17, di Campolongo, morta di bronchite presa nel viaggio del Friuli, esclusa da ogni casa di Forni e Sappada sibene gravemente ammalata… 28 gennaio 1919, Luigi Buzzo Piazzetta di anni 18, febbre malarica contratta l’estate scorsa a Monfalcone ove si era recato a lavorare costretto dalla fame. Fu sepolto a S. Stefano un soldato austriaco, innominato perché suicida: 13 giugno, oggi fu sepolto in questo cimitero un povero soldato boemo che s’era impiccato ad un albero, spinto dal terrore del Grappa dove veniva mandato a combattere. Il Comando austriaco, geloso del nome dei suoi soldati morti, non lo comunica ad alcuno (Pre Giov. Battista pievano). Incolpati gli Austriaci anche di cure mediche sbagliate: 25 agosto Marcello De Bettin Lelo, fu Valentino e di Maria De Mario levatrice di Costalissoio, studente di anni 13, è morto di cura Scolari col maestro Zaccaria: qualcuno ha i piedi scalzi. (Raccolta di Riccardo Zaccaria) sbagliata dei dottori ungheresi , sepolto a Costalissoio. Capitò più volte che mancassero addirittura uomini per lo scavo delle fosse: 11 ottobre, Teresa De Mario Croz casalinga di anni 61, moglie del maestro Osvaldo Zaccaria di Costalissoio, morta di peste e fame… il suo corpo fu trasportato la sera dopo nella cella mortuaria di quel cimitero mancandovi la fossa necessaria in difetto di uomini e di forze, ciò che avvenne più volte in questo misero anno a Costalissoio. Le famiglie stesse dei poveri morti dovevano scavare le fosse per inumare i loro defunti. E venne il 4 Novembre della vittoria! Stando al “resoconto” del Registro dei Morti, non è che la vittoria del 4 novembre 1918 e la fine della guerra abbiano cambiato granché la vita di quei giorni in Comelico. Il bollettino di guerra continuava con l’elenco di vittime che portavano in sé le conseguenze pesanti del conflitto… Un prigioniero italiano ritornava verso casa: 13 novembre 1918, Giuseppe Torresantucci, caporale del 22° fanteria di Lanciano degli Abruzzi, prigioniero di guerra sul Grappa gloriosissimo e condotto a Sillian nella Pusteria, il 4 corrente crollata l’Austria e ritornando in Patria per Visdende, sfinito e famelico fu accolto pietosamente nella casa dei coniugi Giuseppe ed Eugenia Pomarè Boratta, ma la polmonite acuta lo spense oggi , sepolto a Campolongo. Un ferito di guerra: 28 novembre, Simone Casanova Stua di anni 32, soldato mutilato di guerra di Costalta, morto oggi in questa infermeria militare assistito dal P. Domenico Taglierini cappellano del 216° fanteria… e un reduce vittorioso: 27 dicembre, Agostino Quattrer alpino, reduce dalla guerra vittoriosa contro l’Austria, di anni 21, deceduto per influenza. Il tragico bollettino continua con la moria causata dalla “Spagnola”: la febbre influenzale che sarebbe stata innocua se non avesse trovato le persone così debilitate dalla fame e debolissime al contagio. La parola “Spagnola” neanche è nominata nel registro, ma si tratta certo di questa epidemia quando si legge: «peste sanguigna… dissenteria sanguigna» e spesso solo «influenza» almeno in sette casi. I colpiti questa volta erano per lo più giovani: bambini di 3 o 4 anni, 10… e pure un ragazzo di 17. Anche dopo la vittoria italiana si lamentano le conseguenze dell’invasione: 17 dicembre, Beniamino Coluzzi, falegname di anni 45, morto di fame e spavento provato sotto l’invasore barbaro e… 19 dicembre pure la figlia Lucia, di anni 16, morta di miseria e spaventi austriaci. Fin qui le vicende sconvolgenti che sono documentate nel Registro dei Morti di S. Stefano. Un resoconto simile, ma che riguarda specialmente il Comelico Superiore, si trova nel libro FONTANA G., Notizie storiche del Comelico e di Sappada, pp 256-62. 18 La Conquista Don Angelo Arnoldo ritorna due volte Il pievano annota che don Angelo dopo il 4 novembre è «reduce da Milano» per due volte, come mai? Il Registro informa che egli era presente a Costalissoio il 17 novembre 1918: Antonio Zaccaria Lucco, operaio anni 34 di Costalissoio, marito di Maria Menia è morto di miseria assistito dal mansionario Arnoldo e sepolto dal medesimo don Angelo reduce da Milano, ivi profugo da un anno. Quasi un mese dopo la presenza di don Angelo a Costalissoio è documentata così: 13 dicembre, Giambattista Pomarè Montin, operaio di anni 43, morto in seguito alle fatiche di guerra, assistito da don Angelo Arnoldo mansionario reduce per la seconda volta da Milano. Come già si sa, don Arnoldo si era rifugiato a Milano seguendo la truppa nella ritirata dopo Caporetto e si sa pure che lì si era dato da fare nell’assistere feriti e malati di “Spagnola”. Quando tornò nella sua parrocchia con l’euforia della vittoria, dovette scontrarsi con la miseria triste in cui versava il Comelico che era assediato dalla fame e dall’epidemia. Don Angelo non ci pensò due volte e tornò a Milano a chiedere aiuto a quanti conosceva. Fece poi ritorno portando aiuti consistenti in parrocchia… più o meno come disse l’arcidiacono Fiori nel famoso discorso: «…una colonna di camion carichi di ogni ben di Dio, di farina, di pasta, di riso, di biancheria, di vestiti, di grassi, di formaggi, d’insaccato, e soprattutto di vino, di grappa, di cognac e di marsala, da poter rifornire tutte le dispense e tutti i guardaroba delle famiglie spogliate prima dai tedeschi, ciò fu tutto frutto di quella riconoscenza che i milanesi sentivano per il prete cadorino che tanto si era prodigato durante il contagio». In quel momento di sollievo, la comunità di Costalissoio ebbe da soffrire un altro lutto importante: 30 gennaio, Osvaldo Zaccaria maestro, di anni 70, vedovo, è morto di miseria acutissima; per 44 anni aveva insegnato e educato tre generazioni del natio Costalissoio, nella scuola senza perdere un gior- Il maestro Zaccaria con la famosa medaglia d’oro. (raccolta di Riccardo Zaccaria) no e nella chiesa quale capo cantore esemplare. Nell’anno della maledizione austriaca soffrì la fame, costretto ad offrire la medaglia d’oro guadagnata nei 40 anni d’insegnamento per un pugno di farina che gli fu negata. Perdette in quest’anno terribile di peste e fame e spaventi la moglie, un figlio e tre nipoti. Fu sepolto assistendovi il sottoscritto pievano e tutto il suo paese scolaro. Bilancio dell’anno 1918 a S. Stefano A margine del Registro dei Morti il pievano De Martin annotò un suo giudizio, che posso anche comprendere nella drammaticità e nelle sofferenze del momento, ma dal quale ancora una volta devo dissentire sia per motivi storici e sia soprattutto per motivi teologici e biblici. Eccolo: «Fine dell’anno 1918 della fame, della peste, della guerra e soprattutto dell’invasione militare austriaca apportatrice di tutti i mali, sacrilega, rapinatrice di tutti i sacri bronzi della parrocchia, dei tetti metallici dei campanili e delle chiese epperciò scomunicati e fulminati dall’ira e dalla vendetta divina». È vero che il governo austriaco asportò «i sacri bronzi» dai campanili avendo bisogno del metallo per far cannoni, ma non riservò l’onta «sacrilega» solo ai paesi occupati perché, nel dopoguerra, furono rifuse le campane a spese dello Stato anche a paesi austriaci come S. Vigilio di Marebbe e lo stesso duomo di Bressanone. Lo si vede negli elenchi delle fonderie venete e friulane prese d’assalto, dopo la guerra, perché tutti avevano premura di riavere le campane e invece dovevano mettersi in lista d’attesa, per cui a molti dei nostri paesi il Ministero delle Terre liberate offrì un fornitore molto lontano, a Lucca. Ovunque l’iniziativa improvvida di gettare le campane dai campanili suscitò profondo risentimento e molta avversione al nemico invasore, ora anche per un motivo di carattere religioso. Da più parti si disse subito che una tale profanazione segnava ormai la sicura sconfitta. Per anni si dovette aspettare le campane nuove e il dolore si rinnovava ogni volta che dai campanili vuoti si sentivano tetri rintocchi metallici, magari di un grosso bidone o di una sbarra di ferro. Le parole del pievano testimoniano il dolore morale inflitto alla gente che era già tanto provata da fame e malattie. Non è accettabile tuttavia il discorso dei fulmini «dell’ira e della vendetta divina» che fa parte di un linguaggio vecchio e apocalittico. La Bibbia parla dell’ira di Dio verso i nemici del suo popolo, ma in realtà Dio insegna ad aver pazienza e ad amare i nemici addirittura! Se Dio si adira, si arrabbia con se stesso al vedere che gli uomini si rovinano e si fanno del male con le loro mani. Quando il Creatore vede la rovina delle sue opere, e dell’uomo che è suo capolavoro, allora «si accende la sua ira»! Dopo le parole inopportune, dettate dall’esasperazione di una dura prova affrontata alla testa del suo popolo, il Pievano scrisse come titolo dell’anno nuovo: «Anno della libertà – della redenzione – della pace 1919». A pasqua riciclò i santini della comunione pasquale di qualche anno prima e aggiunse a penna: “1919: Pasqua 1919 della vittoria e della pace”. (continua) La Conquista In una vecchia cartolina, si presenta così il grande albergo di Santo Stefano sulla via San Candido. Si intravede sulla sinistra il capitello di via Ante. R isale al 1840 la costruzione del Grand Hotel Aquila d’Oro a Santo Stefano in Via San Candido. Era l’hotel frequentato dalla nobiltà veneziana e della Marca trevigiana. Le radici del turismo sanstefanese risalgono a quelle frequentazioni. Da allora e ancora oggi il principale bacino turistico di Santo Stefano è la Marca trevigiana e il Veneziano. Incredibile un Grand Hotel del genere a Santo Stefano con cinquanta camere, piano terra e tre piani con acqua corrente, dotato di stalle con cavalli di razza, carrozze e i famosi landò! Tra gli ospiti illustri ebbe nel 1881 la Regina Margherita di Savoia con il figlio Vittorio Emanuele, principe di Napoli, e il seguito, la contessa Persico e la contessa de Blaas. Nel 1906 ospitò il principe romano Scipione Borghese e la sua famiglia. L’hotel dava lavoro a molte persone impegnate nelle cucine, nelle lavanderie, nelle pulizie, nelle stalle… 19 conduttori delle carrozze e dei landò, cameriere ragazze in costume provenienti anche da Auronzo, infatti alcune si sono sposate e rimaste a Santo Stefano. Ma c’era anche l’indotto per l’hotel con la fornitura di ortaggi, patate, orzo, fagioli e naturalmente le primizie: fragole, mirtilli neri e rossi, ecc., funghi, erba e fieno per i cavalli. E latte, formaggi, uova, carne… “La Conquista” ricorda l’esistenza e l’attività del Grand Hotel Aquila d’Oro per due motivi: 1) Le istituzioni e le associazioni celebrano il centenario del Primo Conflitto mondiale 1915-1918. Ebbene è da ricordare la distruzione dell’hotel avvenuta nel 1918 con un incendio dovuto ai soldati (in quell’anno era occupato dagli austriaci!). 2) Per incoraggiare nuove forme di turismo in favore del paese attraverso la messa a punto di programmi, prospettive nelle specificità locali secondo le vocazioni effettive, dirette a conseguire un corposo ritorno economico. Guido Buzzo Cosa è rimasto del Grand Hotel Aquila d’Oro dopo l’incendio del 1918. ANAGRAFE HANNO COMINCIATO A VIVE ERE IN CRISTO O COL BATTESIMO O • COMIS VIOLA di Antonio e Raffaella Pradetto, nato a Belluno il 20 gennaio 2015 e battezzato il 25 luglio 2015 a S. Stefano. • BUZZO DAVID di Andrea e Tiziana De Zolt, nato a S. Candido il 22 novembre 2014 e battezzato il 9 agosto 2015 a S. Stefano. SONO RIS SALITI ALLA SORGENT TE DELLA VITA • DORIGUZZI PAOLO di anni 83 è mancato il 2 luglio 2015. Di Casada, si trovava da diversi anni in Casa di Soggiorno. Raccontano che non si decideva a lasciare la casa per scendere a S. Stefano perché non voleva lasciare le galline. Pare che abbia dovuto il sindaco pro- mettergli di prendersene cura personalmente e solo allora si sarebbe persuaso. • BIANCHI CESIDIO di anni 82, morto il 3 agosto 2015. Abitava a Treviso ma veniva spesso a S. Stefano. Era colonnello di Artiglieria. Ha voluto essere sepolto nel nostro cimitero dove ci sono la mamma e i parenti De Candido. La Conquista 20 21 giugno 2015. Il pellegrinaggio dal Comelico si ripete per la 19^ volta. Tutto era cominciato quando tre giovani avevano partecipato al pellegrinaggio di Sappada, molti anni fa. Erano Gianni di Danta, Bruno di Dosoledo e Gianluigi di Padola e si chiedevano perché non si potesse farlo anche partendo dal Comelico. L’itinerario ormai si ripete ininterrottamente negli anni ed è ben collaudato negli orari e nelle tappe. La lunga camminata, col passo scandito dalle Ave Marie, è un’esperienza spiritualmente intensa e si conclude con la Messa nel santuario. I punti di partenza erano due, Sega Digon e Pra Marino, e il punto d’incontro al laghetto Klapfsee, al termine della discesa da forcella Dignas e da forcella Cima Vallona. Il tempo era migliore del previsto, fresco e quindi non si sudava. I partecipanti sono stati più volte contati e pare siano stati ben 176. Mistero Luigi Tonon: il più anziano partecipante al pellegrinaggio a piedi, che l’anno scorso aveva 86 anni, quest’anno dice di averne 88. Come mai? Li compie tra un paio di mesi. Lo scorso anno si teneva basso e quest’anno aumentava… comunque si tratta sempre di un’età ragguardevole! In cima alla forcella tira un vento freddo che si porta via il canto “Dio del cielo...”. Prati fioriti verso Malga Dignas. La lunga discesa in preghiera Ora ci sono tutti: la Cros va davanti e la processione se ingruma. La meta ormai è vicina, in vista del poderoso campanile che ci dà il benvenuto. Anche questa volta la gentile Frau Anna ha preparato il caffè ai pellegrini