Forme tradizionali di agricoltura e silvicoltura in Alto Adige Nuovi spunti per forestali, agricoltori e proprietari forestali Informazioni per gli amanti del paesaggio Prati a larici Boschi cedui Castagneti Libera Università di Bolzano Università di Innsbruck Accademia Europea di Bolzano Museo di Scienze Naturali Alto Adige Ufficio Pianificazione forestale 1 Ufficio Ecologia del paesaggio 2 1 4 5 7 6 9 11 3 8 10 12 13 Gli autori 1 Mag. Veronika Fontana, PhD Ecologa, Dottorato di ricerca all‘ Università di Innsbruck sull‘argomento Prati a larici 2 Dipl.-Biol. Anna Radtke, PhD Ecologa, Dottorato di ricerca al Libera Università di Bolzano sull‘argomento Boschi cedui 3 Dr.ssa Valerie Bossi Fedrigotti, PhD Agronoma, Dottorato di ricerca al Libera Università di Bolzano sull‘argomento Castagneti da frutto 4 Prof. Dr. Stefan Zerbe Ecologo, Professore ordinario in Botanica ambientale e applicata al Libera Università di Bolzano 5 Prof. Dr. Ulrike Tappeiner Ecologa, Professore ordinario in Ecologia all‘Università di Innsbruck e all‘Istituto per l‘Ambiente Alpino dell‘EURAC a Bolzano 6 Dr. Thomas Wilhalm, PhD Botanico, Conservatore della sezione Botanica (piante vascolari) al Museo di Scienze naturali Alto Adige 7 Dr. Juri Nascimbene, PhD Biologo, Esperto di licheni all‘Università di Trieste e al Museo di Scienze naturali Alto Adige 8 Dr. Daniel Spitale, PhD Biologo, Collaboratore ai Musei di Scienze naturali del Trentino e dell‘Alto Adige 9 MSc Magdalena Nagler Ecologa, Tesi di laurea sull‘argomento Bilancio del carbonio nei prati a larici nell‘ambito del progetto, Università di Innsbruck 10 Dipl.-Ing. Stefan Ambraß Ingegnere Forestale, Tesi di laurea sull‘ argomen to Neofite nei boschi cedui nell‘ambito del progetto, Università di Göttingen, Germania 11 Priv.-Doz. Dr. Erich Tasser Ecologo, Ricercatore all‘Istituto per l‘Ambiente Alpino dell‘EURAC a Bolzano 12 Univ.-Prof. Dr. Giustino Tonon Professore ordinario in assestamento forestale e selvicoltura al Libera Università di Bolzano 13 Dr. Joachim Mulser Ecologo, Ufficio Ecologia del paesaggio, Provincia Autonoma di Bolzano 14 Ripartizione Ufficio Pianificazione forestale e forestali di foreste alcune stazioni forestali, Provincia Autonoma di Bolzano 3 Premessa dell‘ Assessore Schuler Il paesaggio culturale disegnato dall’uomo è un elemento naturale particolare. Questa combinazione riuscita fra natura e cultura si rispecchia in forma ideale nei prati di larici, nei boschi cedui e nei castagneti, che garantiscono un alto grado di biodiversità e favoriscono lo sviluppo di un habitat particolare per flora e fauna. Non va però dimenticata la necessità di trovare la giusta misura e fare in modo che una cultura intensiva, specialmente dei prati di larici, non prenda il sopravvento. La compensazione con premi per la cura del paesaggio rappresenta in tal senso un impegno politico. Il castagno è l’albero che simboleggia il connubio fra natura e cultura. Il legname che si ricava serve per riscaldare e per realizzare pergole, il suo frutto è un alimento molto amato. A causa di malattie alcuni castagneti in passato sono stati abbandonati, ma ora vengono rivitalizzati. La legna del bosco davanti a casa torna ad essere utilizzata come combustibile domestico, il bosco ceduo svolge anche una importante funzione di tutela, specie nei tratti di collegamento BolzanoBressanone e Bolzano-Merano. Nel presente opuscolo sono presentati lavori di ricerca delle università di Bolzano e Innsbruck per applicazioni specifiche, lavori che hanno esaminato, in una proficua collaborazione, le prestazioni dei tradizionali sistemi di utilizzo del territorio. Questa attività di ricerca transfrontaliera costituisce la base per la salvaguardia delle strutture tradizionali e preziose per la popolazione nonché concretizza in modo esemplare il concetto di Euregio. L’Assessore per agricoltura e foreste Arnold Schuler Come ha avuto origine quest’opuscolo... Sullo sfondo del cambiamento paesaggistico e sociale delle regioni montane del Sud delle Alpi, tre anni fa un giovane gruppo di ricerca cominciò ad occuparsi di paesaggio tradizionale in Alto Adige. Sotto la guida del Prof. Stefan Zerbe (Libera Università di Bolzano) e della Prof.ssa Ulrike Tappeiner (Università di Innsbruck), Veronika Fontana, Anna Radtke e Valérie Bossi Fedrigotti hanno studiato le prestazioni fornite dalle tradizionali tipologie di uso del suolo: prati e pascoli a larici, boschi cedui e castagneti. La questione fondamentale era se la tradizionale gestione di questi tre tipi di uso del suolo fosse in grado di competere con sistemi moderni o molto più intensivi, se accanto a beni di mercato come cibo o legname, fossero stati contemplati anche beni senza un mercato di riferimento, come la bellezza del paesaggio, la biodiversità o il valore storico-culturale. Questo opuscolo ha lo scopo di rappresentare i risultati più importanti in modo chiaro e di formulare raccomandazioni per la pratica dell‘agricoltura e della silvicoltura, al fine di preservare in modo duraturo sistemi d’uso del suolo storici e di grande significato per l’uomo. Il gruppo di ricerca è stato sostenuto dalle Fondazioni Stemmler e Immerschitt dell’associazione tedesca delle Fondazioni per la Scienza, così come dalla Fondazione della Libera Università di Bolzano. Il progetto è stato realizzato in collaborazione con il Prof. Christian Fischer (LUB), con il Dr. Thomas Wilhalm (Museo di Scienze Naturali Bolzano) e con il Dr. Erich Tasser (Eurac Bolzano). Un sentito ringraziamento va agli Uffici Pianificazione forestale e Ecologia del paesaggio della Provincia di Bolzano per aver sostenuto lo studio attivamente e in modo continuo. 5 Impressum Testo: Anna Radtke Veronika Fontana Valerie Bossi Fedrigotti Grafica: Anna Radtke Veronika Fontana Isabella Voltolini Fotografia: Mirto Fontana (A) Veronika Fontana (B) Anna Radtke (C) Valerie Bossi Fedrigotti (D) Daniel Spitale (E) Thomas Wilhalm (F) Juri Nascimbene (G) Georg Lair (H) Magdalena Nagler (J) André Terwei (K) La lettera maiuscola indica l‘autore della foto. Data: Stampa: Febbraio 2015 Druckstudio Leo S.r.l., Frangarto Contatto:http://pro2.unibz.it/ecoralps Prati e pascoli a larici: [email protected] Boschi cedui: [email protected] Castagneti da frutto: [email protected] Questo opuscolo informativo è stato finanziato dalle Fondazioni Stemmler e Immerschitt dell’associazione tedesca delle Fondazioni per la Scienza e dall’Ufficio di pianificazione forestale della Provincia Autonoma di Bolzano. Gli autori sottolineano esplicitamente che in questo opuscolo le forme maschili comprendono sempre anche quelle femminili. Indice 1 Introduzione al paesaggio rurale Cosa sono i servizi ecosistemici? Le montagne richiedono lavoro manuale 11 Prati e pascoli a larici Sviluppo storico Intensivizzazione e abbandono Biodiversità Riserva di carbonio Muschi e licheni Servizi ecosistemici a confronto Conclusioni per la pratica 28 Boschi cedui Sviluppo storico Biodiversità L‘invasione di Ailanto e Robinia Protezione contro la caduta massi Gestione e servizi ecosistemici Conclusioni per la pratica 42 Castagneti da frutto Sviluppo storico Abbandono e recupero Biodiversità La filiera delle castagne in Alto Adige Servizi ecosistemici e turismo Conclusioni per la pratica 7 Paesaggio rurale - oltre la tradizione Senza l‘uomo, in molte regioni il limite del bosco sarebbe più in alto. Al di sotto, sarebbe tutto bosco, al di là di un paio di torbiere, zone rocciose e aree valanghive. Per sopravvivere, hanno cominciato i nostri predecessori già secoli fa ad eliminare i boschi per far posto a prati, pascoli e campi. Il risultato è un mosaico di boschi, prati e pascoli, siepi, campi, frutteti e vigneti. Il paesaggio rurale tradizionale altoatesino Già per i primi insediamenti la vita nelle aree montane rappresentava una sfida particolare. Terreni scoscesi, inverni rigidi e periodi vegetativi brevi stimolarono l‘uomo a sviluppare nuove forme di gestione, adatte alle condizioni locali. Il paesaggio a quei tempi rispecchiava più fortemente le esigenze dei contadini, rispetto a oggi. In questo modo naquero i prati a larici: dalla necessità di produrre legna resistente agli agenti atmosferici e, contemporaneamente anche di fornire un pascolo al bestiame. I castagni invece non offrivano solo un alimento energetico, bensì anche legname di valore. I boschi cedui nella Bassa Atesina producevano legna da ardere, così come paleria per i vigneti circostanti. Intervallati da numerose strutture particolari, come ad esempio muri a secco, stalle o edifici rurali, si è modellato, nel corso del tempo, un mosaico di paesaggi variegati e ricchi di specie diverse. Tale cosidetto paesaggio rurale, dopo secoli di sviluppo storico comune, è diventato vitale per la sopravvivenza di specie vegetali e animali dalle esigenze più diverse. to, il tradizionale allevamento estensivo in particolare, è molto prezioso per una vasta gamma di specie vegetali e animali e per l’ecosistema nel suo complesso. Questo allevamento interferisce molto meno con i naturali processi ecosistemici rispetto a quanto accade spesso con le gestioni moderne e meccanizzate. Ciononostante il paesaggio cambia, perché anche il “contadino”, in quanto membro della società, cambia. La globalizzazione, la meccanizzazione e l’industrializzazione negli ultimi decenni hanno mutato le esigenze e le opportunità degli agricoltori. Per il futuro, quindi, si pone l’interrogativo riguardo al se e al come potranno essere gestite le forme di uso del suolo tradizionali e quali vantaggi porteranno alla società. Il paesaggio “è mobile” In Alto Adige il paesaggio rurale si è conservato fino a oggi in molti luoghi. È nato grazie agli agricoltori e può essere mantenuto solo per mano loro, dal momento che se il territorio non viene correttamente gestito, il bosco si accresce e se lo riprende. A questo proposi9 Foto: (B) Cosa sono i servizi ecosistemici? Tutto ciò che la natura mette a disposizione per noi uomini gratuitamente... La biodiversità e i processi e le funzioni ecosistemiche come la formazione del suolo o la fotosintesi fanno parte della natura. Sebbene non li percepiamo quasi mai in modo consapevole, sono la base di vari beni e servizi offerti a noi uomini. Si classificano nelle tre categorie sottostanti. Servizi di approvvigionamento come legname, aqua potabile o alimento Molto di quello che mangiamo e beviamo, molto di quello con cui nutriamo gli animali e addirittura molto di ciò su cui ci sediamo proviene letteralmente dagli ecosistemi. Infatti anche boschi, prati e campi sono ecosistemi. La natura ci mette abbondanti prodotti a disposizione. Servizi culturali come bellezza del paesaggio, educazione o ricreazione Un aspetto importante del concetto dei servizi ecosistemici sono i servizi culturali, che sono tuttavia molto difficili da misurare. Spesso alcuni valori come la bellezza di un paesaggio, il suo valore ricreativo o ancora il significato storico di un ecosistema sono dati per scontati. Nell’approccio dei servizi ecosistemici però rivestono un ruolo importante. Servizi regolativi come impollinazione, protezione dalle inondazioni o regolazione del clima Un bosco in estate offre ombra e in inverno limita il pericolo di valanghe. In breve, gli ecosistemi e le specie vegetali e animali presenti al loro interno, regolano processi ambientali come forti piogge o periodi di siccità. I servizi regolativi comprendono anche l’impollinazione, da cui dipende la produzione di frutta in tutto il mondo. Acqua pulita e terreno intatto: ma quanto valgono? Il concetto dei servizi ecosistemici è stato reso noto nel 2005 grazie allo studio mondiale “Millennium Ecosystem Assessment”. A cavallo del millennio gli scienziati hanno rivolto la loro attenzione al sempre più crescente tasso di distruzione ambientale e di perdita della biodiversità. Il messaggio chiave dello studio era che in questo modo l’uomo danneggiava se stesso. Tutti i servizi che è in grado di offrire un ecosistema intatto, con la sua distruzione, vanno persi. Così un bosco più naturale e più riccamente strutturato offre contemporaneamente protezione contro pericoli naturali, ri- creazione per gli uomini e habitat per animali e piante. Se si dovessero sostituire questi servizi artificialmente, sarebbe necessaria una gran quantità di denaro. L‘approccio dei servizi ecosistemici mira ad accrescere la consapevolezza del valore economico di questi servizi e, quindi, a sottolineare la necessità di preservare gli ecosistemi di valore. Priorità differenti: se si chiede ad un agricoltore quali siano i servizi offerti dalla natura per lui più importanti – qui rappresentati con una bilancia – la risposta sarà certamente diversa da quella ad esempio di una famiglia di gitanti in cerca di svago. Gli interessi della società Gli interessi dei singoli (agricoltori) La società nel suo complesso dipende da tutti i servizi ecosistemici, siano essi acqua pulita, aria pulita, protezione contro le inondazioni o un terreno fertile. Quali servizi e quanto di essi sia fornito da un ecosistema, però, spesso dipende se e come viene gestito il suolo. Pertanto, anche se per la società la bellezza del paesaggio e l’aria pulita sono più importanti, l’agricoltore potrebbe avere altre priorità. Dal momento che l’agricoltore è colui che deve occuparsi della gestione dell’ecosistema, le sue decisioni vengono influenzate anche da aspetti economici. Il proprietario di un terreno agricolo o boschivo ha spesso altri interessi rispetto alla società. Per lui conta soprattutto che la gestione del suo bosco o del suo prato gli renda qualcosa. Per questo motivo si concentrerà principalmente sui servizi di approvvigionamento come fieno o legname, per cui esiste anche un mercato. Se grazie alla sua gestione, vengono forniti anche altri servizi quali la ricreazione o l’aumento della biodiversità, per cui non esiste (ancora) un mercato, è per lui secondario. 11 Le montagne richiedono lavoro manuale Molte delle forme di utilizzo del suolo, come prati di montagna o prati a larici, richiedono ancora oggi molto lavoro manuale. In certe zone i pendii sono troppo ripidi per poterli lavorare con le macchine, da altre parti il terreno è troppo bagnato, oppure troppo sassoso, o con troppi alberi. Per certi lavori, come per esempio la raccolta delle castagne, le macchine per farlo non sono ancora molto in uso. Ma cosa succede se il tempo per svolgere i lavori manuali diventa insufficiente, oppure se nessuno è disponibile ad eseguire lavori manuali, talvolta anche molto pesanti? Quali sono le alternative? Foto: (A) Dalla gestione agricola tradizionale ci guadagnano tutti Negli ultimi decenni sono stati abbandonati diversi masi isolati e campi di eccessiva pendenza. Per invertire questa tendenza e per frenare il rimboschimento spontaneo dei prati in Alto Adige furono costruite molte strade di accesso ai masi e spesso anche fino alle malghe. Nel ricco Alto Adige questa politica è riuscita a mantenere la realtà agricola ma ha portato anche, in molti posti, ad una intensificazione delle colture. Grazie al miglioramento delle condizioni di accesso è stato possibile spianare molti terreni e bonificare le zone umide. Ciò ha comportato in molti casi un maggiore sfruttamento della terra, rendendo possibile tra l’altro lo spargimento meccanico dei liquami e l’introduzione della tecnica dell’insilaggio. In certi casi i prati di montagna estensivi, che in passato venivano falciati a mano una sola volta all’anno, sono stati trasformati in prati grassi intensivi con sfalcio due o anche tre volte all’anno. Ciò comporta maggiore di- sponibilità di foraggio ma nel cambiamento sopravvive soltanto una frazione delle specie di piante e di animali. Di conseguenza le erbe aromatiche nel foraggio calano e quindi anche la biodiversità. Se i prati sono meno colorati chi passeggia ha meno piacere, non trova più erbe aromatiche o medicinali da raccogliere, i resti delle concimazioni possono finire nelle acque. In altre parole i terreni producono più foraggio ma noi come società abbiamo a disposizione un ecosistema con meno prestazioni. Gestione agricola tradizionale, legata a lavoro manuale molto dispendioso e pochi guadagni Foto: (A) Abbandono della gestione perché non rende più, dovendo privilegiare un’altra attività e quindi per mancanza del tempo necessario. Foto: (B) Intensivizzazione della gestione per aumentare la produttività tramite un impiego massiccio di macchinari per guadagnare tempo Foto: (C) 13 Prati e pascoli a larici Gioielli del paesaggio rurale in Alto Adige L’utilizzo di prati e di pascoli a larici è una tradizione rurale sudtirolese vecchia di secoli e forse di millenni. Questo tipo di agricoltura è presente solo nelle zone montane comprese tra i 1000 e i 2000 metri sul livello del mare. In Alto Adige si sono potuti mantenere ancora alcuni degli ultimi e sempre più rari insediamenti. I prati e i pascoli con presenza di larici sono una combinazione unica di due diversi ecosistemi nell’ambito del paesaggio agricolo montano dell’Alto Adige. Elementi boschivi si incontrano con l’ecosistema prato o pascolo e tale combinazione si presta particolarmente bene ad un doppio utilizzo dell’economia, sia agricola che forestale. Grazie alla caduta annuale degli aghi il larice in primavera lascia filtrare molta luce, permettendo in tal modo una maggiore resa della copertu- ra erbosa sottostante. Grazie alle radici a forma di cuore il larice resiste bene al calpestio del bestiame e difficilmente subisce danni dovuti al pascolo. Inoltre, nelle zone soggette a siccità estiva, i larici provvedono con la loro ombra a proteggere il terreno da eccessiva aridità. Hopfenbuche Il larice europeo (Larix decidua) Il larice in Alto Adige è il secondo albero più diffuso ed è anche l’unica conifera decidua del nostro territorio. In Europa cresce principalmente nelle Alpi ma in piccole zone è presente anche sui monti Carpazi e nei Sudeti. Questo tipo particolare di conifera, che lascia filtrare molta luce attraverso la sua chioma leggera, può raggiungere un’età di diversi secoli e superare i 50 metri di altezza. Il larice in quanto specie pioniera cresce su qualsiasi Foto: (A) terreno nudo, indipendentemente dal ph, in particolare nelle zone libere più alte e senza concorrenti, fino al limite superiore dei boschi. In posizioni particolarmente favorevoli nel giro di qualche decennio si riescono a formare anche delle laricete quasi pure. Nelle zone più basse subisce invece la concorrenza di altri tipi di alberi che diventano spesso dominanti, in particolare l’abete rosso. Ogni larice porta fiori sia maschili che femminili, nella foto si vedono i fiori femminili color rosa porpora, mentre i fiori maschili sono gialli e più piccoli. L’impollinazione è essenzialmente anemofila. Foto: (A) Foto: (A) 15 Lo sviluppo storico di prati e pascoli a larici, un’eredità lasciata dai nostri antenati Ciò che in passato valeva come salvadanaio del maso agricolo di montagna, e come tale sempre ben custodito, oggi è diventato un paesaggio in via di estinzione. Un tempo i preziosi alberi di larice venivano abbattuti solo in caso di estrema necessità. Oggi invece è rimasta soltanto una frazione dei prati e dei pascoli a larici originari. Foto: (A) L e prime forme di prati e pascoli a larici risalgono probabilmente ai primi insediamenti umani permanenti. Il ritrovamento di pollini di erbe e piante tipiche, avvenuto nella vicina Svizzera, confermerebbe lo sfruttamento di tali forme agricole già nell’età del bronzo (attorno al 3000 a.C.). In epoca romana l’attività agricola cresce progressivamente come anche il numero di prati e pascoli a larici. Lo sviluppo massimo avviene nell’Alto Medioevo nel quale a causa della sempre maggiore crescita demografica, la ricerca di nuovi prati e pascoli viene estesa anche ai boschi. La creazione di prati a larici in quel tempo fu un compromesso che permetteva di avere contemporaneamente una discreta riserva di legname e una maggiore disponibilità di foraggio, estremamente necessaria. Le superfici scelte molto spesso non erano adatte ad impieghi agricoli diversi e pertanto vennero creati pascoli e prati eliminando alberi e cespugli mediante incendi co n t ro l lati. La consistenza di prati e pascoli iniziò a calare quando la popolazione, nel tardo Medioevo, si è ridotta a causa di ripetute epidemie di peste e di inverni molto freddi. Cessò pertanto la continua ricerca di nuove superfici agricole e i masi furono abbandonati. Un secondo e ulteriore grande calo avvenne nel ventesimo secolo in seguito all’industrializzazione. L’in- Attualmente l’estensione di prati e pascoli a larici in Alto Adige ammonta a circa 30 km² il che corrisponde al 20 % di quanto era nel 1975 (circa 140 km²). venzione dei motori a scopp i o , d e l le m a cc h i n e agricole e dei fertilizzanti chimici ebbe effetti pesanti nelle Alpi a partire dagli anni cinquanta. Inizia così non solo la fine del lavoro manuale nei campi, ma anche la fine dell‘agricoltura tradizionale. Lerget, Lörget oppure trementina veneta Foto: (J) Una tradizione antichissima, già praticata dai Reti, era la raccolta della resina di larice. Il “Pechklauber”, detto anche Lergetsammler, era il contadino che spillava la resina da un foro di qualche centimetro di diametro che veniva praticato alla base del tronco e subito richiuso con un tappo di legno. La raccolta della resina che si formava nel foro veniva eseguita di solito una o due volte all’anno. La resina era un noto rimedio naturale contro le infezioni e altre malattie, si usava come gomma da masticare, per impregnare le “Goasln” le fruste dei pastori, oppure trasformata in trementina. Dopo ogni prelievo il foro veniva accuratamente richiuso. Questa tradizione è ancora presente in qualche zona, così per esempio si possono notare i tappi nei larici dalle parti di Trodena. 17 Intensivizzazione Attraverso l’estirpazione od il livellamento, le superfici vengono convertite in prati intensivi e senza alberi. Foto: (A) Abbandono Un’interruzione della gestione porta ad una rapida crescita spontanea prima di cespugli e poi del bosco. Foto: (B) Una questione di carico di lavoro... I prati, ma anche i pascoli con larici, oggi come oggi rendono poco. Le superfici richiedono una manutenzione impegnativa, la raccolta della ramaglia secca, lo sfalcio manuale attorno agli alberi, i posti non sempre facilmente raggiungibili e, in quanto a risorse di foraggio, ci sono alternative migliori. Mentre una volta le famiglie erano molto numerose, oggi i masi vengono lavorati da poche persone e spesso soltanto come attività secondaria. Per il futuro siamo pertanto davanti a due decisioni aziendali opposte: aumentare la resa dei prati oppure abbandonarli. …e una questione economica In Alto Adige per contrastare questa tendenza si sta cercando di incentivare il mantenimento degli attuali prati e pascoli attraverso dei contributi economici per la cura del paesaggio agricolo. Tali sovvenzioni non vanno però viste esclusivamente quale contributo per il lavoro a carico del contadino. Si tratta infatti soprattutto di una forma di risarcimento: la coltura tradizionale infatti non rende soltanto più colorati i prati, ma protegge anche i terreni e le acque e mantiene paesaggi e spazi ricreazionali unici. Di questo ne trae vantaggio tutta la società - sia la gente locale che i turisti. Contributi per la manutenzione del paesaggio relativi a prati e pascoli a larici La coltivazione di prati e pascoli a larici richiede un particolare impegno, che però è estremamente prezioso per il mantenimento di flora e fauna. Per questo esistevano fino al 2014 per gli agricoltori che facevano domanda, dei premi incentivanti per la cura ed il mantenimento del paesaggio. Il pagamento dei premi era condizionato dai seguenti criteri: nessuno spianamento dei terreni, nessun uso di concimi minerali nè di liquame o colaticcio. A seconda del tipo di gestione i premi potevano ammontare a cifre diverse. Pascoli alberati: concimazione ammessa soltanto con letame maturo, pascolamento appropriato per il sito. Prati alberati ricchi di specie: nessuna concimazione. Prati alberati grassi: concimazione ammessa soltanto con letame maturo. Foto: (B) A partire dal 2015, entreranno in vigore nuove disposizioni finanziarie. Gli agricoltori che possiedono prati a larici ricchi di specie possono informarsi sulle nuove modalità di contributo presso l‘Ufficio Ecologia del paesaggio o presso le stazioni forestali locali. 19 Raponzolo e orchidea moscaria, la biodiversità fa la differenza I prati e i pascoli con larici sono particolarmente ricchi di specie perché la combinazione dei due ecosistemi, prato e bosco, offre nicchie e possibilità di vita a piante con esigenze e caratteristiche diverse. In media negli attuali prati in uso si possono contare oltre 50 specie diverse. Prato magro Foto: (B) Prato grasso Che cosa contribuisce alla formazione di un prato colorato e ricco di specie? Nei prati e pascoli a larici, coltivati in maniera estensiva, dominano erbe come la gramigna bionda (Trisetum flavescens), la festuca rossa (Festuca nigrescens), il forasacco eretto (Bromus erectus) vicino a diverse erbe aromatiche come l’ambretta alpina (Knautia longifolia), la Salvia pratense, il raponzolo montano (Phyteuma betonicifolium) oppure il timo Raponzolo montano precoce (Thymus praecox). Il prato più ricco di specie è stato notato nella zona di Tesimo dove furono contate ben 68 specie. Oltre a 12 specie di erbe diverse crescono numerose piante officinali come il cumino dei prati (Carum carvi), il caglio zolfino (Galium verum) e la piccola pimpinella (Sanguisorba minor). Questa ricchezza di specie è possibile soltanto tramite una coltivazione estensiva povera di sostanze nutritive. Più sfalci meno specie I prati coltivati in forma intensiva presentano mediamente il 20-30% di specie in meno. Se confrontati tutta- via con prati intensivi non alberati, i quali in casi estremi ospitano soltanto una dozzina di piante diverse, sono in Garofano dei Certosini ogni caso più ricchi di specie. Essi presentano infatti piccole zone più asciutte alla base dei larici e condizioni di vita più favorevoli alla biodiversità. Accanto alle specie tipiche dei prati grassi, con alto tasso di azoto, trovano un rifugio sicuro anche il caglio boreale (Galium boreale), la Campanula barbata o lo sparviere dei boschi (Hieracium murorum). Quando lo sfalcio viene a mancare Nei vecchi prati a larici, abbandonati da 10 a 50 anni fa, lo spazio vitale si riduce e ritorna nuovamente all’ecosistema bosco. Il numero di specie mediamente scende sotto a 30. Giglio di Le superfici monte abbandonate si prestano p a r t i co l a r mente alla dominazione da parte di singole specie. Per esempio il bra(Brachypodium chipodio pinnatum) è una graminacea che copre il terreno in modo particolarmente fitto, come anche altre specie del sottobosco quali l’erica (Eri- ca carnea), il mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea), la fragola di bosco (Fragaria vesca), oppure la gramigna di Parnasso (Maianthemum bifolium), che si propagano rapidamente e prendono il posto delle specie più deboli e adatte allo sfalcio. Un rifugio per le specie della lista rossa La coltivazione dei prati e pascoli a larici contribuisce in modo significativo al mantenimento di una ricca biodiversità, comprese anche alcune specie della lista rossa. In zona Ofride indi Dobbiaco settifera per esempio è stata notata l’ofride insettifera (Ophrys insectifera), nella zona di Fontanefredde il giglio di monte (Paradisea liliastrum) oppure, nella zona di Tesimo e di San Vigilio, l’orchidea dei pascoli (Traunsteinera globosa). Foto: (B) Orchidea dei pascoli 21 Prati e pascoli a larici come riserva di carbonio Molti ecosistemi possono fissare il carbonio temporaneamente o in forma permanente attraverso al vegetazione che assorbe l’anidride carbonica presente nell’atmosfera. Attraverso la fotosintesi vengono prodotte diverse sostanze che vanno a depositarsi nei tessuti delle piante. Quando la pianta muore la sostanza organica residua viene trasferita al terreno dove, dopo diversi processi, il carbonio viene nuovamente immagazzinato. Foto: (A) Le piante assorbono CO2 I combustibili fossili bruciando liberano anidride carbonica (CO2), aumentando di conseguenza l’effetto serra naturale, il quale può causare un cambiamento imprevedibile del clima. L’assorbimento di CO2 da parte delle piante è uno dei meccanismi più efficaci per ridurre l’effetto serra, immagazzinando carbonio in forma permanente. Dove si trova il carbonio? Per stimare la quantità di carbonio sono stati prelevati diversi campioni di terreno da prati e pascoli in uso e censito la vegetazione. In tal modo si è potuto stabilire il contenuto di carbonio nella parte minerale del terreno e nelle radici e, sopra la superficie, quello contenuto negli alberi e nello strato erboso. I risultati dicono che soprattutto nella parte minerale dei terreni di prati e pascoli, coltivati in modo tradizionale, le riserve di carbonio sono notevoli. In totale prati e pascoli a larici contengono circa 200 tonnellate di carbonio per ettaro, dove invece i prati grassi ne hanno circa la metà. Il bosco: deposito oppure fonte di carbonio? Quando un prato a larici viene abbandonato, innanzitutto rimane sospesa la concimazione del terreno e pertanto il carbonio intromesso artificialmente viene ridotto. Ulteriormente, con la crescita del bosco, la fauna e le colonie di microrganismi presenti nel terreno riscontrano buone condizioni: più il terreno é umido e caldo, più vengono decomposti gli elementi organici da parte di funghi e batteri, liberando anidride carbonica e quindi riducendo le riserve di carbonio. Con lo stabilimento del bosco si viene a ripristinare un nuovo equilibrio e il bosco si sviluppa ad essere una riserva di carbonio. Se il bosco diventa poi molto vecchio può tornare ad essere una fonte di produzione di carbonio poiché si accumula legno in decomposizione. Tramite la coltivazione tradizionale dei prati a larici è possibile mantenere nel tempo la quantità di carbonio presente nel terreno ad un’alto livello, contribuendo in tal modo alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Stoccaggio di carbonio da parte di prati e pascoli a larici, a confronto con un prato convenzionale non alberato. Le cifre corrispondono ai valori medi in tonnellate di carbonio per ettaro. Prato a larici intensivo, sfalciato Prato a larici estensivo, sfalciato Pascolo a larici Prato a larici abbandonato Prato senza larici 30 39 41 55 10 Fusti, rami, aghi 67,0 64,6 76,6 101,2 0 Vegetazione spontanea 0,9 0,7 0,6 0,9 2,5 Radici grosse 36,9 34,3 42,4 50,5 0 Radici fini (0-20 cm) 6,3 8,9 10,1 10,4 3,9 105,5 90,2 99,8 80,2 80,7 215,6 196,3 228,2 241,4 87,1 Numero di appezzamenti esaminati Stoccaggio nelle piante Stoccaggio nella sostanza organica del suolo Orizzonte organico e suolo minerale (0-20 cm) Stoccaggio complessivo 23 Muschi e licheni – un mondo nascosto Soltanto con un’osservazione attenta si può notare quanta vita ci sia su un tronco di larice. Ad esempio, molti licheni prediligono proprio il substrato acido della corteccia di questi alberi, dove crescono ogni anno di pochi millimetri. Essi non tolgono alla pianta acqua o elementi nutritivi, ma la usano soltanto come substrato di supporto. Allo stesso modo si comportano i muschi che si sviluppano di preferenza più in basso, alla base dei tronchi. Foto: (A) Quando un fungo e un‘alga vivono insieme Licheni e muschi sono due gruppi di organismi poco appariscenti, ma che negli ecosistemi giocano un ruolo molto importante nella gestione dell’acqua e delle sostanze nutritive. I licheni in particolare, organismi derivanti dall’associazione tra un fungo e un’alga (o un cianobatterio), sono dei bioindicatori significativi. Essi infatti reagiscono rapidamente ai cambiamenti delle condizioni ambientali e sono molto utili per la vigilanza sulla qualità dell’aria o sull’inquinamento da metalli pesanti. Sul tronco dei larici in prati e pascoli coltivati in modo tradizionale sono state censite in media 35 specie di licheni, tra i quali anche Letharia vulpina, specie molto Letharia vulpina Foto: (E) appariscente per il suo colore giallo limone. Si tratta di una specie molto sensibile all’eutrofizzazione che è presente soltanto in luoghi caratterizzati da un basso utilizzo di fertilizzanti. Troppo concime danneggia Per contro, sia sui tronchi di larici appartenenti a prati coltivati in modo intensivo, che su quelli relativi a pra- Foto: (B) I licheni sono molto sensibili alla concimazione intensa e all’inquinamento dell’aria. Il lichene giallo illustrato a sinistra è uno dei pochi che resistono in tali condizioni. Se il liquame colpisce anche i tronchi dei larici il loro habitat viene distrutto completamente (immagine a destra). ti abbandonati, sono state contate in media 10 specie in meno. Tra gli altri è stata rinvenuta anche la Xanthoria candelaria, un lichene giallo indicatore di luoghi molto concimati oppure inquinati. In questi prati a larici, coltivati in modo intensivo, cambia innanzitutto la composizione delle specie, con un’evidente aumento di quelle resistenti all’azoto. Una questione di luce ta riscontrata una quantità simile di specie sui tronchi delle tre tipologie di prati a larici. La varietà di muschi a terra invece si è rivelata maggiore nei prati abbandonati ma con crescita debole e di poco peso. Lo sviluppo dei muschi in peso risulta invece essere massimo nei prati e pascoli tradizionali in uso. I muschi trovano migliori condizioni di luce nel prato magro con tappeto erboso basso, rispetto a prati con erba alta oppure a boschi di abeti, dove la scarsità di luce sul terreno ne limita la crescita. La ricchezza specifica dei licheni sui tronchi di larice è piuttosto scarsa anche nei prati e pascoli abbandonati. L’abbassamento del numero di specie è dovu- Dicranum scoparium to innanzitutto alla minore disposizione di luce legata alla lenta chiusura delle chiome degli alberi. I muschi reagiscono in maniera meno sensibile rispetto ai licheni: infatti è sta- Foto: (G) 25 Chi offre di più? Un confronto Che cosa succede quando un prato tradizionale a larici viene abbandonato oppure destinato ad una coltura intensiva? Nelle prestazioni di un ecosistema vale di più la riforestazione naturale oppure un prato molto concimato e senza larici? Foto: (A) P er avere un quadro completo circa il significato e l’importanza dei prati a larici abbiamo confrontato, con l’aiuto di un metodo economico ambientale, i servizi degli ecosistemi prato a larici, prato non alberato e bosco. In seguito sono stati stabiliti i singoli servizi in una discussione tra esperti e infine è stata calcolata la quantità dei servizi forniti sulla base di diversi indicatori (vedi tabella). Dato che un gruppo di 10 esperti ha dato la maggio- re importanza alla funzione di protezione, l’ecosistema con le migliori prestazioni è risultato essere il bosco. Tuttavia il maggior numero di singoli servizi lo offre il prato a larici. In una discussione tra esperti sono state scelte le 6 prestazioni più importanti degli ecosistemi relative al paesaggio rurale. Le 6 voci della tabella sono state ordinate per importanza in seguito alla valutazione emersa dalla compilazione di un questionario da parte di 30 rappresentanti di gruppi di interesse. Le prestazioni sono state valutate considerando da 1 a 3 indicatori, in parte qualitativi e in parte quantitativi. In tal modo i 3 sistemi di uso del terreno considerati sono stati classificati in base alle loro prestazioni. Servizio ecosistemico (Categoria) Indicatorei Prato Prato a larici Bosco Protezione da valanghe, erosione e caduta massi bassa bassa alta Biodiversità (habitat) Specie della lista rossa 0 10 0 Biodiversità (habitat) Ricchezza media delle specie 24 47 21 Regolazione del clima Fissaggio del carbonio basso medio alto Qualità dell‘aria Filtrazione aerosol bassa media alta Regolazione dell‘aqua Intercettazione, penetrazione delle radici, evapotraspirazione media alta alta 1 Protezione potenziale (Servizi di regolazione) Protezione potenziale conto pericoli naturali 2 Biodiversità (Servizi di base) 3 Servizi di regolazione 4 Valore storico-culturale (Servizi culturali) Tradizione, Identità Numero di piante officinali 24 55 26 Sentimento di appartenenza Valore di rarità (% delle superfici in Alto Adige, più raro più prezioso) 7.9 0.14 9.1 -426 -97 252 5 Produttività (Servizi di approvvigionamento, spiegazione sotto) Fieno e legname (Prodotti) Produttività netta [€ / ha] (incluse le rese di fieno e legname) 6 Valore estetico (Servizi culturali) Ricreazione Fascino paesaggistico alto molto alto alto Ispirazione Cromatismo del prato medio alto basso Info - La resa economica: confronto tra un prato a larici e un prato convenzionale Un bilancio economico complessivo è molto difficile perché i singoli terreni non si possono valutare disgiunti dall’ insieme di tutta l’azienda agricola. Tuttavia, considerando oltre al fieno e al legname anche il numero di sfalci, la meccanizzazione, la manodopera manuale e il contributo finanziario, il bilancio è a favore del prato a larici rispetto al normale prato non alberato. In un prato a larici il carico di lavoro è circa 4 volte maggiore rispetto a quello di un prato intensivo, ma i costi della meccanizzazione sono molto più bassi. Inoltre i premi per la conservazione del paesaggio (620 Euro/ha) sono un po’ più alti rispetto al contributo base (214 Euro/ha; entrambi valori del 2014). 27 Il mantenimento in uso di prati e pascoli a larici non è utile sol- tanto a piante e animali ma anche all’uomo. La forma tradizionale di coltura infatti offre tutto l’anno, alla gente del posto e ai turisti, un ambiente attrattivo per le attività del tempo libero e un paesaggio unico ed affascinante. Il mantenimento e l’incentivazione dei prati a larici rimasti, in particolare quelli coltivati in modo poco intensivo, dovrebbe essere un patrimonio che riguarda noi tutti. Foto: (A) La coltivazione dei prati e pascoli a larici - cosa c‘è da tenere a mente? 2 sfalci per anno al massimo Non falciare troppo presto Falciando al massimo 2 volte all’anno il rapporto tra erbe e piante aromatiche rimane in equilibrio, evitando in tal modo che erbe come il cerfoglio dei prati o l’acetosa diventino dominanti. Il periodo dello sfalcio va determinato in base allo sviluppo della vegetazione. La biodiversità aumenta lasciando crescere il prato fino a maturazione dei semi della maggior parte di erbe e piante aromatiche. Foto: (A) Non usare come pascolo permanente Un pascolo continuo di più mesi alla lunga danneggia lo strato erboso e rimangono soltanto le piante resistenti al calpestio degli animali. Non troppi capi di bestiame Il numero di capi di bestiame va adeguato alla superficie, al foraggio e non deve essere troppo elevato. Ciò vale in particolare per i cavalli, i quali brucano l’erba molto in basso. Foto: (A) Meglio concimare con il letame Non concimare troppo La concimazione più protettiva si ottiene con il letame maturo. Il liquame al contrario viene sopportato soltanto da poche piante e animali in quanto contiene una parte consistente di urea. Una concimazione leggera in autunno favorisce la crescita delle piante. Fare attenzione a non coprire di letame i tronchi dei larici in modo da rispettare la vita di licheni e muschi. Foto: (B) Piantare nuovi larici Foto: (B) Il larice germoglia soltanto nel terreno nudo e pertanto non si riproduce naturalmente in prati e pascoli. Se vengono abbattuti dei larici, perché vecchi o colpiti dal fulmine, si dovrebbero piantare dei nuovi alberi. Eliminare gli alberi concorrenti Soprattuto nei pascoli a larici si propagano numerosi abeti rossi. Tali piante vanno periodicamente estirpate onde mantenere le condizioni ideali. 29 Boschi cedui in Alto Adige Una sola pianta per tanti polloni Il governo di un bosco ceduo si basa sulla capacità delle latifoglie di ricacciare spontaneamente dei polloni dalla ceppaia dopo il taglio. In pratica dal taglio di un solo fusto si ottengono un cospicuo numero di nuovi polloni, ma del grande numero di giovani polloni derivanti dalla ceppaia, nel corso della crescita, ne sopravvivono solo pochi. Questi polloni multipli (circa 5-15 polloni per ceppaia) sono una caratteristica importante dei boschi cedui. Vengono utilizzati come legna da ardere e offrono un’eccellente funzione di protezione nei pendii ripidi. I boschi cedui sono boschi di latifoglie che ogni 10-30 anni vengono tradizionalmente tagliati a raso. Nei boschi ad alto fusto invece le piante crescono per 100 e più anni; di conseguenza le piante nei boschi cedui non raggiungono altezze superiori ai 20 m, né un diametro superiore ai 20 cm. Per questo motivo il legname viene impiegato principalmente come legna da ardere. Un tempo i piccoli fusti regolari trovavano il loro utilizzo ideale anche come paleria per le pergole nei vigneti. Oggigiorno questi sono stati sostituiti da pali in cemento. La caratteristica predominante della gestione di un bosco ceduo è il popolamento che avviene mediante riproduzione vegetativa dopo il taglio della ceppaia, il ché rende inutile il reimpianto. Le riserve immagazzinate nelle radici accelerano la crescita all’inizio di ogni ciclo. In Alto Adige vengono gestiti a ceduo soprattutto boschi di carpino nero ed orniello a basse altitudini (fino a 800 m s.l.m.). Sui pendii più ripidi, con caduta massi, la struttura del bosco ceduo si forma anche naturalmente. Hopfenbuche Il carpino nero (Ostrya carpinifolia) Foto: (C) Foto: (A) Foto: (C) Diffusione: Il carpino nero è diffuso nell’area mediterranea e si estende fino al sud delle Alpi, ma non prosegue al nord. Caratteristiche: I frutti ricordano il luppolo, altrimenti la pianta è molto simile al carpino bianco. Utilizzo: Legno duro con buon potere calorifico. Ottima capacità pollonifera, per cui sovente gestito a ceduo. Consociazione legnosa: orniello, roverella, acero campestre, ciliegio canino, pero corvino, lantana. Hopfenbuche L‘orniello (Fraxinus ornus) Foto: (C) Diffusione: L’orniello si estende per tutta l’Europa centrale e meridionale. Caratteristiche: simile al frassino comune, ma la corteccia è liscia e le grandi infiorescenze sono bianche e a pannocchia. Utilizzo: contiene mannitolo, sostanza dal sapore dolce, conosciuta anche per usi medicinali. Consociazione legnosa: carpino nero e le altre specie del box soprastante. 31 Foto: (C) I boschi cedui come fonte di legna da ardere – ieri e oggi? Legna da ardere accatastata nel bosco comunale di Cortaccia (foto sopra) scalda la stufa in salotto oppure il forno per le pizze al ristorante. Talvolta, come qui a Termeno (foto sotto), la legna viene venduta già pronta all’uso. A partire dell’inizio del ventesimo secolo, con l’uso di combustibili fossili, la ri Le carbonaie venivano usate per convertire la legna (spesso di boschi cedui) in carbone. Oggi è sempre più raro vederne. i 25 an nn 3a gestione tradizionale del bosco ceduo io Ceduo invecchiato no gl an 1 A partire dal tardo medioevo, in Europa, la richiesta di legna da ardere e di carbone aumentò fortemente. Per rispondere ai bisogni, i boschi cedui venivano tagliati a raso ogni 8-15 anni, accorciando di molto il turno. Inoltre era uso comune portare il bestiame in bosco e raccogliere il fogliame per farne lettiera per le stalle. A causa di quest’utilizzo intensivo il naturale ciclo dei nutrienti venne alterato: in molte aree il suolo si impoverì e la vigoria diminuì. Per contrastare questo andamento l’uso del bosco venne fortemente regolamentato. Cominciò ad essere applicato il principio di sostenibilità, il che significa, in parole povere, che era permesso prelevare solo la quantità di legname che sarebbe ricresciuta. Conversione in fustaia ni Un tempo i boschi cedui venivano spesso sfruttati eccessivamente… ta Tradizionalmente i boschi cedui in Alto Adige venivano tagliati all’incirca ogni 25 anni. Durante gli ultimi decenni molti sono stati attivamente convertiti in fustaie o passivamente lasciati allo sviluppo naturale (e ai sensi di un bosco ceduo, sono invecchiati). Questi processi erano soprattutto legati all’abbassamento del prezzo della legna da ardere. Negli ultimi anni invece, la domanda di legna da ardere è nuovamente cresciuta e il legname come fonte di energia rinnovabile è sempre più attuale, il che porta ad una rivalutazione anche dei boschi cedui. chiesta di fusti dal diametro ridotto dei boschi cedui diminuì progressivamente. Di conseguenza molti boschi cedui non vennero nemmeno più utilizzati, oppure furono convertiti in fustaie per la produzione di legname da costruzione. Oggigiorno, con le ricerca di fonti energetiche rinnovabili, i boschi cedui acquistano nuovamente interesse anche dal punto di vista economico. Nello specifico, proprio i boschi di carpino nero e di orniello situati ad altitudini inferiori (300-800 m s.l.m.), che già in passa- to erano governati a ceduo, potrebbero essere utilizzati per contribuire all’ottenimento di energia locale. In Alto Adige alcuni boschi cedui sono ormai molto invecchiati, altri vengono gestiti tradizionalmente con turni di circa 25 anni. Nelle prossime pagine verranno confrontati questi due tipi di gestione, vale a dire tradizionale e invecchiata, in riferimento ad alcuni parametri boschivi, come ad esempio la protezione contro la caduta massi oppure l’invasione dell’ailanto. La vasta rete altoatesina di 71 impianti di teleriscaldamento a biomassa (situazione 2012) – “affamati” di legna da ardere, che al momento l’Alto Adige non può accontentare. I boschi cedui sarebbero d’aiuto? 33 Foto: (C) Cosa cresce sul terreno in un bosco ceduo? I boschi di latifoglie a basse altitudini rappresentano in Alto Adige un habitat importante per le specie sub-mediterranee, sia animali che vegetali, poiché la maggior parte dei nostri boschi sono invece dominati da conifere. Proprio in questo contesto un ruolo chiave lo gioca la gestione dei boschi cedui; abbiamo quindi voluto studiare l’influenza di quest’ultima sulle piante. Un gioco di luce e ombra I periodi ciclici tra una raccolta di legname e l’altra danno luogo ad un continuo alternarsi di luce e ombra. Nei primi 10 anni dopo il taglio, si manifesta una flora molto caratteristica, formata da specie pioniere. In questo lasso di tempo il numero di specie di piante presenti è al suo massimo con circa 25 specie per 100 m². In seguito si chiudono le chiome, filtra meno luce sul terreno e il numero di specie diminuisce fino a 15-20. In questa fase sono avvantaggiate specie più competitive come le elleborine (Cephalanthera sp.) o il ciclamino (Cyclamen purpurascens). Questi si trovano anche in boschi cedui invecchiati, di oltre 40 anni. Con lo sfruttamento più intensivo dei boschi cedui e quindi con tagli più frequenti, si creano regolarmente fasi con tanta luce, il che permette la sopravvivenza di piante bisognose di luce tra cui le “specie dei boschi radi”. Prima della fase di germogliamento delle latifoglie in primavera, nel terreno boschivo spuntano una gran quantità di fiori precoci. Cosa sono le specie pioniere? Foto: (F) Le specie pioniere sono quelle specie di piante che colonizzano per prime superfici vergini o di recente formazione. Con i loro semi, che si diffondono lontani e che possiedono una capacità di germinazione duratura nel tempo, conquistano superfici quasi prive di concorrenza prima di tutte le altre specie. Tra le specie pioniere si annoverano in modo particolare molte neofite, specie non autoctone, che possono soppiantare specie autoctone come la saeppola canadese (Erigeron canadensis). Tagli recenti offrono un ambiente pieno di luce e di sostanze nutritive. Ciò non viene sfruttato solo da specie pioniere autoctone come la belladonna (Atropis belladonna) o le more, bensì anche da alcune specie non autoctone. In particolare le specie eliofile ailanto e ro- binia usano le superfici tagliate per infiltrarsi nella struttura boschiva. Il nostro studio a Gargazzone ha dimostrato come la robinia si sia ormai stabilita nella stazione boschiva. Negli ultimi 20-30 anni anche la presenza di ailanto è aumentata fortemente. Ogni taglio corrisponde ad un repentino cambiamento delle condizioni dell’ambiente: da fresco e ombroso a pieno di luce. Il terreno si scalda e rilascia sostanze nutritive dal suolo. La competizione con altre piante sul terreno forestale rado è limitata. In Alto Adige, laddove i boschi cedui vengono ancora gestiti, troviamo un mosaico di superfici dal taglio recente e di superfici dai popolamenti più o meno vecchi. Questa diversità di strutture e di condizioni ambientali offre un habitat a numerose specie di piante e di animali con esigenze diverse. 35 Foto: (K) La Robinia Foto: (C) Ailanthus altissima Foto: (C) Robinia pseudoacacia L‘ailanto La gestione dei boschi cedui ne promuove l’invasione nei boschi di latifoglie dell’Alto Adige? Nel bosco comunale di Gargazzone la risposta è decisamente SÌ. Su superfici aperte, tagliate di recente, sono stati contati numerosi giovani ailanti, mentre all’interno del bosco quasi non ne sono stati trovati. In alcuni boschi di 20 anni l’ailanto si è già stabilito nel popolamento arboreo. La robinia già domina gran parte del bosco comunale di Gargazzone. Gli effetti di entrambe le piante sulle specie autoctone risulta per ora difficile da prevedere. Foto: (C) Con ogni taglio si apre loro la porta Nelle parti meridionali del paese si possono osservare l’ailanto e la robinia lungo le linee ferroviarie, strade e piste forestali praticamente ovunque. Da lì i loro semi possono essere diffusi ad ampio raggio. I boschi di latifoglie adiacenti costituiscono un habitat adeguato grazie al loro clima mite. L’unica condizione necessaria per entrambe le specie pioniere è l’adeguata presenza di luce, possono germinare infatti anche nelle condizioni più avverse. Ogni apertura della vegetazione offre quindi loro l’occasione per stabilirsi ed affermarsi. Nell’uso dei boschi cedui dovrebbero pertanto essere adottate delle misure che riducano al minimo l’inci- denza della luce. Tradotto in pratica, ciò significa aree di taglio ridotte, in modo che il restante popolamento arboreo ombreggi le superfici aperte. Inoltre dovrebbero essere rilasciate sul terreno molte matricine (alberi del vecchio popolamento, spesso piante da seme, che restano per più di un ciclo). L’ailanto dalla Cina, la robinia dall’America: la tabella mette a confronto le esigenze di habitat, le particolarità e i dettagli legati alla loro riproduzione. Risulta chiaro il motivo per cui si possono diffondere così fortemente in Alto Adige. Misure di controllo meccaniche, come ad esempio il taglio delle piantine, promuove solo la formazione di nuovi germogli e rende la pianta ancora più competitiva. Ailanto Robinia Introduzione in Europa Metà del 18. secolo Inizio del 17. secolo Aree di diffusione spontanea Aree calde, soprattutto zone mediterranee e submediterranee Aree calde, soprattutto zone (sub-)continentali e submediterranee Presenza urbana Presenze incolte, bordi stradali, argini, muri Presenze incolte, bordi stradali, argini Ecosistemi particolarmente a rischio a cusa della loro invasione - Prati magri, falesie, boschi ripariali, boschi da mediamente a molto secchi - In Alto Adige: praterie steppose della Val Venosta - Prati magri, boschi secchi - In Alto Adige: praterie steppose, boschi misti in burroni e pendii scoscesi Valore economico Limitato (principalmente ornamentale in città) Alto (legname da costruzione, da ardere e produzione mellifera) Età riproduttiva 3-5 anni ca. 6 anni (di rado 3 anni) Modalità di diffusione Vento, acqua Gravità, vento Distanza di dispersione dei semi Oltre 200 m Solitamente pochi metri, con bacelli dei frutti fino a 100 m Capacità di germinazione Ca. 1 anno Più anni Velocità di crescita delle piantine da seme Oltre 1 m all‘anno Oltre 1 m all‘anno Velocità di crescita del pollone dalla ceppaia Fino a 3 m all‘anno Fino a 5 m all‘anno Moltiplicazione vegetativa Molto forte (germogli vegetativi) Molto forte (polloni radicali) Tolleranza al caldo e alla siccità Alta fino a molto alta Alta Resistenza al freddo Moderata (bassa nelle piante giovani) Moderata (sensibile alle gelate primaverili) Esigenza di luce Alta Alta Particolarità Rilascia nel terreno sostanze che danneggiano le altre piante (allelopatia) In grado di fissare l‘azoto (N) con cui “fertilizza” in modo naturale suoli poveri in N 37 Foto: (C) Foto: (C) Boschi cedui come protezione dalla caduta massi La regola generale è: più il masso è grande, più energia possiede e più la pianta deve essere grossa per fermarlo. Per questo motivo singole matricine (rilasci), ossia fusti o polloni singoli più grossi, che vengono lasciati per più di un ciclo di 30 anni, migliorano fortemente la protezione contro massi di grandi dimensioni. Pertanto, giovani boschi cedui, caratterizzati da molti polloni di piccolo diametro, offrono buona protezione contro massi di piccole dimensione, ma praticamente nessuna protezione contro massi più grandi. Foto: (L) La circonferenza e la densità delle piante determinano la protezione contro la caduta massi La maggior parte dei boschi cedui crescono lungo i ripidi fianchi della valle Isarco e della valle dell’Adige, dove sono di estrema importanza come protezione contro la caduta massi. La domanda però è: cedui giovani e cedui vecchi proteggono ugualmente bene dalla caduta massi? Per rispondere al quesito, sono state rilevate, nelle aree di studio di Cortaccia e Gargazzone, tutte le strutture del bosco su un totale di 30 superfici; ossia, Il li ei singo d o r t e diam lloni di po mero Il nu poco dopo il taglio ti nella protezione contro la caduta massi. Ciò comporta che, dal punto di vista della protezione contro la caduta massi, si potrebbe allungare senza problemi il ciclo dei boschi cedui, ad es. da 25 a 40-50 anni. Quando, tuttavia, le piante invecchiano troppo, perdono stabilità e minacciano di rovesciarsi insieme con l’intera ceppaia o di spezzarsi. Tale stadio di invecchiamento nei boschi di protezione deve essere assolutamente evitato per fornire un’adeguata protezione contro l’erosione. per ogni pianta sono stati misurati il diametro a petto d’uomo, la specie, la posizione e la circonferenza del ceppo. Questo ha permesso per ogni bosco rilevato di riportare al computer la struttura su di un piano inclinato. Grazie ad un modello informatico sono state simulate delle cadute massi su queste superfici (dimensioni del masso 0,25 m³ e 0,5 m³) ed è risultato che i boschi cedui più vecchi di 25 anni sono stati più efficien- polloni le ceppaie ricacciano enta um ma a ) pri nsità e po (d ep per c e la o. mentan cie au superfi tradizionale “maturità” dopo ca. 30 anni ep oi d imi nui sce . bosco ceduo invecchiato L’età di un bosco ceduo influenza anche la struttura del bosco. Nei pendii scoscesi i boschi cedui sono spesso importanti per la funzione di protezione contro l’erosione e la caduta massi. Se vengono lasciati al loro naturale sviluppo per troppo tempo gli alberi possono diventare instabili e addirittura rovesciarsi (vedi foto sotto a sinistra). Al contrario regolari e naturali movimenti di massa (come la caduta di sassi, ecc.) favoriscono la rinnovazione naturale di tali boschi. Il carpino nero e l’orniello ricacciano spontaneamente dopo una scheggiatura da caduta massi. 39 Ogni quanto bisognerebbe tagliare il bosco ceduo? Nelle pagine precedenti abbiamo discusso dell’influenza della lunghezza del turno sulla biodiversità delle piante, dell’effetto sull’invasione di piante quali l’ailanto e la robinia così come della protezione contro la caduta massi. Il 4. punto, e per molti, parlando di servizi ecosistemici forniti dal bosco ceduo, sicuramente il più importante è la produzione di legna da ardere. Ma come agiscono dunque l’invecchiamento e l’intensivizzazione, se paragonati all’uso tradizionale, su tutti e quattro i criteri contemporaneamente? Foto: (C) Nel complesso, il governo a ceduo tradizionale ottiene il miglior risultato Confrontando la gestione tradizionale del bosco ceduo (turno di circa 30 anni) con boschi cedui invecchiati o con possibili usi intensivi dai turni più brevi, ne emerge che la gestione tradizionale ottiene in media i risultati migliori in tutti i criteri (vedi sotto). La gestione più intensiva con turni brevi quasi non porta vantaggi. Accanto ad una limitata produzione di legname e ad una cattiva protezione contro la caduta massi, favorirebbe oltre tutto di molto l’invasione di ailanto e robinia. Dal momento che i boschi di latifoglie in Alto Adige sono relativamente rari, è doveroso impedire che ailanto e robinia vadano a soppiantare specie arboree autoctone. L’invecchiamento non sembra presentare grossi problemi, ma la produzione di legname è inferiore rispetto a quella di un turno tradizionale. sfruttato ogni 50 anni (raro) Diver sfruttato ogni 30 anni (tradizionale) e sit à di piant sfruttato ogni 10 anni (intensivo) Pr name leg zion odu e Prote ut a massi Protezio ailan iae to vs. robin ne zio ne cad basso gering medio mittel alto hoch Confronto fra boschi cedui con turni diversi: una buona protezione contro la caduta massi è offerta dai boschi cedui solo a partire da un’età di 30 anni. L’invasione di ailanto e robinia viene contenuta meglio dall’uso tradizionale e da quello raro, mentre l’uso intensivo con turni di 10 anni la favorisce fortemente. La produzione di legname* è maggiore nella gestione tradizionale, poiché nei primi 30 anni l’accrescimento è molto forte. La diversità di piante nel sottobosco invece è massima nell’uso intensivo, data l’alta disponibilità di luce. *La produzione di legna da ardere è stata calcolata con l’uso di formule allometriche dal Trentino. Lì sono stati abbattuti un certo numero di carpini neri e ne è stata determinata la massa legnosa. Quindi si sono impostati il diametro e l’altezza rispetto alla massa e, infine, si sono ottenute delle formule che permettono di ottenere la massa a partire da altezza e diametro 41 la vo Cervi iv ecc hi Foto: (C) nt r is be l ono a legati a In alcune aree dell’Alto Adige, il governo del bosco ceduo vanta una lunga tradizione e si colloca bene sia come ubicazione che come composizione di specie arboree. Il bosco ceduo offre molti tipi di servizi agli uomini e la sua conservazione dovrebbe riguardarci tutti. Una parte della biomassa (rami, ecc.) dovrebbe essere lasciata come concime sulla superficie, per ottenere buone prestazioni anche su terreni poveri di nutrienti. Piante vecchie, in particolare querce, con alcuni rami morti, costituiscono un prezioso rifugio per picchi, per piccoli animali che vivono nelle cavità e per alcuni coleotteri. Foto: (A) Foto: (C) Governo del bosco ceduo – cosa c‘è da tenere a mente? Lasciare alberi da seme Rilasci per il legname A seconda della stazione, dovrebbero essere lasciate dalle 60 alle 80 matricine (piante del vecchio popolamento), così che attraverso i semi viene assicurata anche la riproduzione gamica. Inoltre, dai ceppi più grossi dei rilasci, si può ottenere un buon legname. Le querce in particolare sono molto adatte e formano nel bosco misto fusti dritti e regolari. Ombra contro gli intrusi I rilasci forniscono ombra. In questo modo rendono difficoltosa la crescita di ailanto e robinia, piante non autoctone che esigono molta luce. Ciò protegge le specie arboree autoctone. Anellare anziché cavare Robinia: Anellare il 90% della circonferenza Ailanto: Anellare < 90% (cioè lasciare un passaggio più largo) La lotta meccanica come il taglio non è efficace e, nel caso di ailanto e robinia, non fa che aumentarne la presenza. Il metodo dell’anellatura però funziona abbastanza bene. Aree di taglio ridotte No ai tagli “squadrati“ Nei boschi cedui di protezione i tagli devono estendersi al massimo 600 m² fino a 0,5 ha. Per evitare la caduta massi, i tagli devono essere fatti in modo trasversale alla pendenza. Il mosaico che si crea offre una grande diversità di habitat. Per far sì che il bosco abbia l’aspetto più naturale possibile, i bordi dell‘area di taglio dovrebbero essere mantenuti irregolari e non geometrici. Nel bosco restante dovrebbe filtrare la minore luce solare possibile. Proteggere ciò che è raro Specie rare come il sorbo ciavaredello (sinistra), il sorbo montano (centro) e il sorbo comune (destra), dovrebbero essere lasciate come rilasci. Oltre ad avere bei colori in autunno, le loro bacche sono un alimento per molti animali del bosco. 43 Il castagneto da frutto tradizionale Fonte di sostentamento dalla forte identità culturale Il castagneto da frutto tradizionale è costituito da elementi prativi destinati in genere al pascolo ovino e da esemplari di castagno europeo, innestati. In Alto Adige i castagneti tradizionali sono situati in zone spesso scoscese, di difficile gestione. La densità media dei castagni è di 54 piante per ettaro e circa la metà dei castagneti attivi oggi sono dotati di impianti irrigui. Il castagno in Alto Adige Nonostante l’Italia sia capo lista della classifica europea dei paesi produttori di castagne, in Alto Adige la superficie di castagneti è esigua e la castanicoltura considerata solo marginale rispetto ad altre colture dominanti. Negli ultimi 15 anni, tuttavia, si assiste ad un tentativo di rivitalizzazione del settore castanicolo. Il fenomeno del Törggelen riaccende un interesse anche economico verso il castagno e alcune iniziative di recupero di castagneti abbandonati hanno preso piede con successo. Le castagne accontentano tutti In generale, tra i consumatori, si sta diffondendo sempre più la richiesta di prodotti “naturali”, sani, sostenibili, regionali, biologici. A questo si aggiunge la componente culturale e paesaggistica che convoglia turisti e residenti sui sentieri tematici e alle tavole imbandite dei numerosi Buschenschänke. Se la na tu ra multifunzionale del castagneto venisse percepita positivamente dalla società e dagli stessi castanicoltori, allora la tradizione potrebbe tornare ad essere attuale nelle zone più vocate. Un futuro anche senza Indicazione Geografica Protetta? L’assenza di certificazioni di qualità per le castagne altoatesine, non impedisce quindi ai produttori più ambiziosi di farsi strada nel mercato locale. Iniziative legate al turismo autunnale sono presenti da anni in tutto il territorio. Le poche associazioni di castanicoltori sono infatti oggigiorno molto attive e guardano al futuro con rinnovato entusiasmo. Hopfenbuche Il castagno europeo (Castanea sativa, Mill.) Foto: (D) Il castagno è una pianta eliofila, Foto: (C) ama i climi temperati pur tollerando freddi invernali anche intensi. Predilige i terreni profondi, leggeri, permeabili e tendenzialmente acidi; lo si trova in genere tra i 400 e i 700 m s.l.m., ma se le condizioni clima tiche lo consentono, può spingersi oltre i 1000 m s.l.m. Il castagno è una pianta molto longeva e la sua altezza tocca facilmente i 25 metri. Fiorisce tra giugno e luglio mentre i suoi frutti maturano tra inizio ottobre e metà novembre. L‘impollinazione può essere anemofila (per mezzo del vento) o entomofila (mediante insetti). Apprezzato per il suo aroma pungente e il sapore amarognolo, il miele di castagno è un prodotto assai pregiato: la presenza di sostanze tanniche e la percentuale di melata ne costituiscono la tipicità. 45 Dalla ghianda del Zeus al pane dei poveri Il castagno era noto per i suoi frutti sin dall’antichità, tant’è vero che si trova citato sia nelle opere di Omero che in quelle di Virgilio. Il botanico e filosofo greco Teofrasto (IV a.C.) nei suoi scritti si riferisce al frutto del castagno come alla “ghianda di Zeus”, proprio per la bontà “divina” del suo sapore. A partire dal XIV secolo la castagna assume un ruolo essenziale nell‘alimentazione contadina, aiutando a superare il lungo inverno e guadagnandosi la nomea di „pane di poveri“. Foto: (A) Diffuso dai Romani Il declino Il ruolo determinante nella diffusione del castagno, tuttavia, l’hanno avuto i Romani che lo introdussero in tutta l’Europa centro-meridionale e quindi anche in Alto Adige a partire dal I secolo a.C., sia per ricavarne frutti nutrienti per i legionari che per ottenere paleria utile per i loro vigneti. L’innesto del casta gno invece sembra risalire all’epoca dei Longobardi, nel 570 circa, ma la vera cultura sudtirolese del castagno ebbe inizio solo in tempi più “recenti”, verso il XIII – XIV secolo. Dopo alcuni secoli di gloria, a partire dal XVIII secolo per la castanicoltura ebbe però inizio il lento declino. L’ im- Fonte di vari prodotti Il bisogno di massimizzare da un lato le calorie prodotte, dall’altro la biomassa, portarono alla diffusione dei due rispettivi sistemi d’allevamento: il castagneto da frutto con piante innestate e il bosco di castagni selvatici. Alcuni contadini co min ciarono ad integrare la produzione di castagne e legname in un si stema economico misto: all’interno dello stesso castagneto, alcune piante venivano innestate mentre altre venivano lasciate crescere liberamente. Inoltre si sfruttavano i polloni che spuntavano dai ceppi di alberi abbattuti per farne paleria per i vigneti. Iniziò così il periodo di gloria per il castagno in Alto Adige. L‘Illustrazione medievale proveniente dal Tacuinum sanitatis dimostra l‘uso diffuso della castagna come alimento e rimedio terapeutico. portazione di nuovi alimenti, come la patata e il mais, resero la castagna marginale e poco competitiva, mentre la grande rivoluzione indu striale portò all’esodo dalle campagne. Molti castagneti vennero sacrificati per produrre carbone prima e tannini poi. La fase discendente durò per tutto il Novecento, acutizzandosi nel secondo dopoguerra. In Alto Adige iniziò l’intensivizzazione (e il successo) della melicoltura; di conseguenza l’agricoltura, da attività di sussistenza, divenne un’attività economica performante e proficua. Superfici ricoperte a castagneto in Alto Adige. A testimonianza di un florido passato castanicolo, oggi i castagneti sono presenti soprattutto in Valle Isarco e nel Burgraviato. Nella cartina sono evidenziati i corsi d’acqua lungo i quali si trovano (in blu) i castagneti e (in marrone) i centri urbani. I dati sulle superfici a castagneto sono molto contrastanti, ma possono essere stimate tra i 160 e i 300 ettari (fonte: Censimento agricoltura 2010, Ispettorato forestale Merano). 47 Il mantenimento rappresenta una sfida per molti, l’abbandono una sconfitta per tutti I castagneti tradizionali richiedono molta manodopera. Il suolo deve essere mantenuto pulito da foglie, rami e ricci. La raccolta viene fatta manualmente e spesso questa coincide per molti agricoltori con il periodo di raccolta delle mele autunnali e con la vendemmia. La mancanza di tempo e risorse è quindi il motivo principale che spinge molti agricoltori a trascurare i castagneti. Foto: (D) Patrimonio varietale a rischio esistono degli aiuti provinciali ed europei (vedi box). Nei castagneti tradizionali è presente anche una grande varietà genetica di cultivar, selezionate dall’uomo in secoli di storia contadina. Alla base della struttura varietale del castagneto vi era la diversificazione, sia delle caratteristiche ecologiche della pianta (cicli fenologici), che del prodotto (caratteristiche merceologiche). Il che, tradotto in pratica, significava produzione protratta nella stagione e frutti atti ad ogni uso. Mantenere attivi e gestiti i castagneti permette quindi di evitare che la diversità varietale vada perduta, in favore delle varietà più adatte alla commercializzazione. Da coltivatore a manutentore del territoio Il castagneto da frutto, fortunatamente, conserva una precisa identità culturale anche dopo un lungo abbandono. Ripristinare antichi castagneti abbandonati è possibile anche attraverso il recupero di sentieri, di muri a secco e di canali di irrigazione, oltre che mediante potature straordinarie. Un castagneto attivo viene gestito con piante selezionate e innestate. Tale situazione artificiale, insieme ad una ridotta biomassa e alla natura aperta della struttura, nel momento dell’abbandono rende il castagneto tradizionale particolarmente suscettibile all’invasione di altre specie. Foto: (C) Aiuti contro l‘abbandono In assenza di gestione il castagneto viene invaso velocemente da specie arbustive e arboree, dando origine (in circa 35-40 anni) ad un bosco misto. Per far fronte alle difficoltà dei castanicoltori, Foto: (C) Se abbandonato, un castagneto va incontro a dinamiche post-culturali. Queste danno origine ad una trasformazione dell’ecosistema consistendo in una rapida invasione da parte di altre specie arboree, nella riduzione della biodiversità e nella diminuzione della fornitura di servizi ecosistemici. Premi incentivanti per la cura ed il mantenimento dei castagneti La gestione dei castagneti da frutto è relativamente onerosa; questi però costituiscono degli habitat tra i più preziosi in Alto Adige. Per questo fino al 2014 esistevano per gli agricoltori che ne facevano richiesta, dei premi incentivanti per la cura ed il mantenimento dei castagneti. Il pagamento dei premi era condizionato dai seguenti criteri: nessuno spianamento dei terreni , nessun uso di concimi minerali nè di liquame o colaticcio. Dal 2015 entrano in vigore nuove direttive finanziarie. Gli agricoltori che possiedono castagneti da frutto possono rivolgersi all‘Ufficio ecologia del paesaggio o alle stazioni forestali locali per ottenere informazioni sulle attuali modalità di contributo. Inoltre, il forestale di riferimento saprà informare chi lo desidera sul contributo unico (una tantum) per rivitalizzare un castagneto abbandonato o trascurato. 49 Un mosaico di nicchie e di rifugi L’ambiente aperto del castagneto e la presenza di vecchi alberi cavi costituiscono il rifugio ideale per uccelli e pipistrelli insettivori. Questi ultimi riescono a cacciare agevolmente le loro prede in luoghi dove la densità di piante è minore e non ostacola l‘ecolocazione. Foto: (C) Chi vive nel castagneto? La combinazione di elementi prativi con elementi forestali, tipica dei castagneti tradizionali, costituisce l’unicità di questo ecosistema e ne aumenta i servizi prodotti. Quando un castagneto viene abbandonato, le specie animali e vegetali tipiche degli ambienti prativi non trovano più l’habitat adatto, mentre la diversità genetica dei castagni e la varietà degli ele- menti paesaggistici vengono meno. Sono specie di uccelli che abitano nel castagneto: il picchio verde (Picus viridis), il codirosso (Phoenicurus phoenicurus), il pigliamosche (Muscicapa striata), lo zigolo muciatto (Emberiza cia), l’upupa (Upupa epops). Altre specie che trovano rifugio negli anfratti degli alberi più vecchi sono i pipistrelli, tra cui la Nottola di Leisler (Nyctalus leisleri), e altri piccoli roditori quali ghiri e scoiattoli. Tra gli invertebrati che prediligono l’ecosistema castagneto: i neurotteri Mantispa styriaca e Nineta flava, l’imenottero Ceratina cyanea. Infine, alcune specie erbacee frequenti nei castagneti gestiti: la lassana comune (Lapsana communis), il ranuncolo lanuto (Ranunculus lanuginosus) e la prunella dai fiori grandi (Prunella grandiflora). Il castagneto tradizionale ben gestito rappresenta un ecosistema silvo-pastorale e conta un maggior numero di specie rispetto ai singoli ecosistemi (pascolo o foresta) Chi minaccia il castagno? Oltre all’incuria e all’abbandono, esistono anche altri tipi di avversità. Foto: (C) Mal dell’inchiostro. Causato da due specie appar tenenti al genere Phytophtho ra, interessa principalmente l’apparato radicale ed è letale. Come prevenzione è indispensabile evitare ristagni d’acqua intorno alla pianta. Cancro corticale. L’agente responsabile del cancro corticale è Cryphonectria parasitica (Murr.). Si combatte con potature di risanamento e mediante inoculazione, sulle parti colpite, di preparati composti da ceppi del fungo ipovirulenti. Fotos: forestryimages.com Vespa galligena asiatica. Dryocosmus kuriphilus ha fatto la sua comparsa solo in tempi recentissimi, ma è considerato il parassita più aggressivo del castagno. Si può contenere con la diffusione del parassitoide antagonista Torymus sinensis. 51 Dal produttore al consumatore... purché locale La filiera delle castagne in Alto Adige è stata analizzata, per la prima volta, con il coinvolgimento dei tre gruppi di interesse principali: 138 produttori, 60 distributori e 300 consumatori sono stati intervistati, con questionari specifici per ogni categoria, su: produzioni, vendite, acquisti, consumi e percezioni personali riguardo il mercato delle castagne nostrane. Foto: (D) Pochi, ma buoni! Secondo il sondaggio svolto presso 138 castanicoltori equamente distribuiti per il territorio, la totalità degli intervistati considera la castanicoltura un’attività se con daria rispetto a colture più competitive, quali mele e uva. In generale, infatti, la superficie agricola utilizzata per la castanicoltura in Alto Adige costituisce poco più del 3,5% della superficie aziendale totale. Gli stessi castanicoltori, ultimamente, cominciano a riconoscere nel castagno un importante elemento pae saggis tico e ricreativo del territorio, tanto che il 40% di loro è consapevole del legame esistente tra una corretta gestione dei propri castagneti e la presenza di turisti durante il periodo del Törggelen. Protagonisti sul campo A coordinare le attività di promozione della castanicoltura altoatesina si adoperano le due associazioni di produttori locali (l’associazione “Vinschgau” e l’associazione “Keschtnriggl” di Tesimo: www.kastanien.it) e il circolo di lavoro “Castagne della Val d’Isarco”. Ai castanicoltori altoatesini è stato chiesto: “Per quale motivo lei si dedica alla coltivazione di castagne?” Caratteristiche aziendali dei castanicoltori altoatesini secondo guadagno, età e irrigazione. Media Alto Adige Hanno un guadagno con casta gne Non hanno un guada gno con castagne Proprie tario < 45 anni Proprie tario > 45 anni Castagneti irrigati Casta gneti non irrigati % dei castanicoltori 100 50 50 30 70 30 70 Castagni/Azienda 27 34 10 35 18 28 20 Castagni/ha 58 75 39 72 53 76 49 kg/Azienda 300 518 86 541 221 494 222 kg/ha 940 1513 310 1236 853 1577 661 Consumi e distribuzioni In generale tra i consumatori si avverte una forte esigenza di castagne nostra ne e ciò si riflette chiaramente nelle abitudini d’acquisto degli altoatesini: nonostante sia estesa la percezione che la castagne locali siano anche le più costose, quasi l’80% dei consumatori intervistati predilige i prodotti made in Alto Adige. Anche i distributori credono nel prodotto locale, sebbene sottolineino la mancanza di una certificazione di qualità legata al territorio. Il 79% dei rivenditori dichiara di continuare a vendere castagne nostrane, perché convinto della bontà del prodotto, mentre il 55% è ottimista sul futuro del mercato locale. Nuove strategie di comunicazione tra produttori, rivenditori e ristoratori, oltre ad eventi gastronomici di rilievo, aumenterebbero il consumo di castagne locali negli anni a venire, secondo la totalità dei distributori. “Vietato raccogliere castagne, grazie.“ Raccogliere castagne altrui, vanifica il duro lavoro dei castanicoltori. Foto: (D) 53 Un solo albero, molteplici talenti Un castagneto tradizionale viene gestito per l’ottenimento dei frutti. Tuttavia esso è in grado di offrire svariati altri servizi ecosistemici, di approvvigionamento, di regolazione, di supporto e culturali. Foto: (D) Il legame col turismo e la cultura Il castagneto tradi zionale racconta la storia di un popolo come pochi altri ecosistemi al mondo. La simbiosi tra uomo e pianta ha aiutato intere generazioni a far fronte ai lunghi inverni. Imbattersi in un castagno secolare oggi significa trovare una sorta di capsula del tempo, capace di legare presente e passato e di celebrarne l’alto valore culturale. Ma il castagneto è anche portatore di biodiversità, di educazione, di ricreazione e di estetica. Il legame col turismo territoriale è stato infatti la spinta per la realizzazione dei due sentieri tematici in Valle Isarco e a Foiana, che rappresentano oggi una risorsa turistica di rilievo, anche per i residenti. Secondo un sondaggio effettuato nell’autunno del 2011 tra 60 avventori dei due sentieri tematici, solo il 20% dei residenti erano alla pri- ma visita, contro il 70% dei turisti. Ciò dimostra che il paesaggio costituito da castagneti è un bene di uso continuo (riuso) e che l’estetica è un servizio ecosistemico molto apprezzato dalla società locale. Foto: (D) Quando i produttori intendono valorizzare l’estetica dei castagneti, nascono i sentieri del castagno che attirano turisti e residenti in quantità. In Alto Adige sono due: il sentiero del castagno in Valle Isarco e il sentiero didattico sul castagno a Foiana (Lana). Una questione di gestione i ità d s r e div te pian i g le lo e o La multipasc gio g fora funzionalità di un castagneto cu ltur tradizionale tradi a e zione fu ng le mie zione ricrea ni i nn ta frutt io di cagg stoc nio o carb ità rs ca ve ti di ene g diver si anim tà di ali e m na hi La quantità e la diversificazione delle funzioni espletate dal castagno dipendono dall’ecosistema in cui esso si inserisce. A seconda del tipo di gestione e della struttura dell’ecosistema, saranno privile giati alcuni servi zi e limitati altri, o viceversa. È l’indirizzo produttivo natural mente a determinarne il tipo di gestione e la forma di governo. In Alto Adige sono presenti soprattutto casta gneti tradizionali (attivi, abbandonati o semi-abbandonati) e boschi cedui (talvolta in fase di conversione a fustaia, come nei dintorni del lago di Monticolo). 55 I castagneti tradizionali in Alto Adige, oltre a produrre frutti e legname, contribuiscono al benessere della società, fornendo una serie di servizi culturali ed educativi e mantenendo elevato il livello di biodiversità; la loro gestione perciò deve tenere conto non solo dell’aspetto produttivo, bensì anche di tutto l’insieme di benefici che da essi derivano, per fare sì che la popolazione ne percepisca il maggior numero possibile. Foto: (D) Castagneti da frutto tradizionali Che cosa c‘è da tenere a mente? Pulire il sottobosco Non solo per facilitare la raccolta, ma anche per salvaguardare animali e piante che vivono in questo connubio di prato e bosco. Proteggere i castagni Piante giovani e sane Eliminare le specie invadenti che sottraggono ai castagni luce, acqua e nutrimento, oltre ad alterare la struttura agroforestale dell’ecosistema. Piantare castagni giovani ed effettuare regolari potature di mantenimento sugli adulti mantengono alta la produzione attuale e futura, aumentano la pezzatura dei frutti ed evitano fenomeni di alternanza. Foto: (D) Foto: (D) Irrigare opportunamente Concimare poco e bene Sistemare le vie di accesso al terreno e optare per un’ eventuale impianto di irrigazione: la produzione di castagne aumenta più del doppio in un castagneto adeguatamente irrigato. Evitare l’uso di fertilizzanti chimici e liquidi, poiché alterano la biodiversità vegetale e animale. Preferire letame maturo ed eventualmente sfruttare il sottobosco per il pascolo. Lasciare alcuni veterani Cure agronomiche al posto dei pesticidi Alberi vecchi, con taluni rami morti, rappresentano un rifugio ideale per alcune specie di uccelli, pipistrelli, insetti o anche mammiferi. È pertanto fondamentale lasciarne alcuni in loco. Foto: (C) Sfalciando e tenendo il sottobosco libero da rami, foglie e ricci, si impedisce lo sviluppo di infestanti e si limitano gli attacchi parassitari; l’uso di pesticidi diventa marginale. 57 Pubblicazioni nel progetto EcoRAlps Articoli sull‘argomento Prati e Pascoli a larici: Fontana, V., Radtke, A., Walde, J., Tasser, E., Wilhalm, T., Zerbe, S., Tappeiner, U. (2014): What plant traits tell us: consequences of land-use change of a traditional agro-forest system on biodiversity and ecosystem service provision. Agriculture, Ecosystems and Environment 186: 44-53. Nascimbene, J., Fontana, V., Spitale, D. (2014): A multi-taxon approach reveals the effect of management intensity on biodiversity in Alpine larch grasslands. Science of The Total Environment 487: 110-116. Fontana, V., Radtke, A., Bossi Fedrigotti, V., Tappeiner, U., Tasser, E., Zerbe, S., Buchholz, T. (2013): Comparing land-use alternatives: Using the ecosystem services concept to define a multi-criteria decision analysis. Ecological Economics 93: 128-136. Nagler, M. (2013): Veränderungen der Kohlenstoffpools in Böden landwirtschaftlich genutzter und aufgelassener Lärchenwiesen in Südtirol. Diplomarbeit Universität Innsbruck. Zoderer, B. (2013): Social preferences regarding ecosystem service categories. A non-economic case study of three South Tyrolean cultural landscapes. Bachelorarbeit Eurac Bozen. Articoli sull‘argomento Boschi cedui: Ambrass, S., Radtke, A., Zerbe, S., Fontana, V., Ammer, C. (2014): Ausbreitung und Management von Götterbaum und Robinie in Niederwäldern. Erkenntnisse aus einer Fallstudie zu invasiven Baumarten in Südtirol. Naturschutz und Landschaftsplanung 46(2): 45-51. Radtke, A., Fontana, V., Wilhalm, T., Tappeiner, U., Zerbe, S. (submitted): Let’s coppice again? The ground flora’s response to coppice over-aging and coppice resuming. Radtke, A., Toe, D., Bourrier, F., Zerbe, S., Berger, F. (2014): Managing coppice forests for rockfall protection – lessons from modeling. Annals of Forest Science 71(4): 485-494. Radtke, A., Ambraß, S., Zerbe, S., Tonon, G., Fontana, V., Ammer, C. (2013): Traditional coppice forest management drives the invasion of Ailanthus altissima and Robinia pseudoacacia into deciduous forests. Forest Ecology and Management 291: 308-317. Articoli sull‘argomento Castagneti da frutto: Bossi Fedrigotti, V., Fischer, C. (2014): The supply chain of sweet chestnuts in South Tyrol. Rivista di Economia Agro-Alimentare 1: 117-137. Bossi Fedrigotti, V., Fischer, C., (in revision): Sustainable development options for the chestnut supply chain in South Tyrol, Italy. Chiang Mai Journal of Science Bossi Fedrigotti, V., Radtke, A., Zerbe, S., Conedera, M., (2014): Measuring multifuncionality of Sweet chestnut-related agroforestry systems: how did the provision of ecosystem services change in the last century? submitted to Sociologia ruralis. 59 Una cooperazione fra Quest‘opuscolo è stato finanziato dalla Fondazione Stemmler all‘interno del e