Forme tradizionali
di agricoltura e
silvicoltura
in Alto Adige
Nuovi spunti per
forestali, agricoltori e
proprietari forestali
Informazioni per gli
amanti del paesaggio
Prati a larici
Boschi cedui
Castagneti
Libera Università di Bolzano
Università di Innsbruck
Accademia Europea di Bolzano
Museo di Scienze Naturali Alto Adige
Ufficio Pianificazione forestale
1
Ufficio Ecologia del paesaggio
2
1
4
5
7
6
9
11
3
8
10
12
13
Gli autori
1 Mag. Veronika Fontana, PhD
Ecologa, Dottorato di ricerca all‘ Università di
Innsbruck sull‘argomento Prati a larici
2 Dipl.-Biol. Anna Radtke, PhD
Ecologa, Dottorato di ricerca al Libera Università
di Bolzano sull‘argomento Boschi cedui
3 Dr.ssa Valerie Bossi Fedrigotti, PhD Agronoma, Dottorato di ricerca al Libera
Università di Bolzano sull‘argomento
Castagneti da frutto
4 Prof. Dr. Stefan Zerbe
Ecologo, Professore ordinario in Botanica
ambientale e applicata al Libera Università di
Bolzano
5 Prof. Dr. Ulrike Tappeiner
Ecologa, Professore ordinario in Ecologia
all‘Università di Innsbruck e all‘Istituto per
l‘Ambiente Alpino dell‘EURAC a Bolzano
6 Dr. Thomas Wilhalm, PhD
Botanico, Conservatore della sezione Botanica
(piante vascolari) al Museo di Scienze naturali
Alto Adige
7 Dr. Juri Nascimbene, PhD
Biologo, Esperto di licheni all‘Università di
Trieste e al Museo di Scienze naturali Alto Adige
8 Dr. Daniel Spitale, PhD
Biologo, Collaboratore ai Musei di Scienze
naturali del Trentino e dell‘Alto Adige
9 MSc Magdalena Nagler
Ecologa, Tesi di laurea sull‘argomento Bilancio
del carbonio nei prati a larici nell‘ambito del
progetto, Università di Innsbruck
10 Dipl.-Ing. Stefan Ambraß
Ingegnere Forestale, Tesi di laurea sull‘ argomen
to Neofite nei boschi cedui nell‘ambito del progetto, Università di Göttingen, Germania
11 Priv.-Doz. Dr. Erich Tasser
Ecologo, Ricercatore all‘Istituto per l‘Ambiente
Alpino dell‘EURAC a Bolzano
12 Univ.-Prof. Dr. Giustino Tonon
Professore ordinario in assestamento forestale e
selvicoltura al Libera Università di Bolzano
13 Dr. Joachim Mulser
Ecologo, Ufficio Ecologia del paesaggio, Provincia
Autonoma di Bolzano
14 Ripartizione Ufficio Pianificazione forestale e forestali di
foreste
alcune stazioni forestali, Provincia Autonoma
di Bolzano
3
Premessa dell‘ Assessore Schuler
Il paesaggio culturale disegnato
dall’uomo è un
elemento naturale particolare.
Questa combinazione riuscita
fra natura e cultura si rispecchia in forma
ideale nei prati di larici, nei boschi cedui e
nei castagneti, che garantiscono un alto grado di biodiversità e favoriscono lo sviluppo di
un habitat particolare per flora e fauna.
Non va però dimenticata la necessità di trovare la giusta misura e fare in modo che una
cultura intensiva, specialmente dei prati di
larici, non prenda il sopravvento. La compensazione con premi per la cura del paesaggio rappresenta in tal senso un impegno
politico.
Il castagno è l’albero che simboleggia il connubio fra natura e cultura. Il legname che si
ricava serve per riscaldare e per realizzare
pergole, il suo frutto è un alimento molto
amato. A causa di malattie alcuni castagneti in passato sono stati abbandonati, ma ora
vengono rivitalizzati. La legna del bosco davanti a casa torna ad essere utilizzata come
combustibile domestico, il bosco ceduo svolge anche una importante funzione di tutela,
specie nei tratti di collegamento BolzanoBressanone e Bolzano-Merano.
Nel presente opuscolo sono presentati lavori di ricerca delle università di Bolzano e
Innsbruck per applicazioni specifiche, lavori
che hanno esaminato, in una proficua collaborazione, le prestazioni dei tradizionali sistemi di utilizzo del territorio. Questa attività
di ricerca transfrontaliera costituisce la base
per la salvaguardia delle strutture tradizionali e preziose per la popolazione nonché
concretizza in modo esemplare il concetto di
Euregio.
L’Assessore per agricoltura e foreste
Arnold Schuler
Come ha avuto origine quest’opuscolo...
Sullo sfondo del cambiamento paesaggistico
e sociale delle regioni montane del Sud delle
Alpi, tre anni fa un giovane gruppo di ricerca
cominciò ad occuparsi di paesaggio tradizionale in Alto Adige.
Sotto la guida del Prof. Stefan Zerbe (Libera
Università di Bolzano) e della Prof.ssa Ulrike Tappeiner (Università di Innsbruck), Veronika Fontana, Anna Radtke e Valérie Bossi Fedrigotti hanno studiato le prestazioni
fornite dalle tradizionali tipologie di uso del
suolo: prati e pascoli a larici, boschi cedui e
castagneti. La questione fondamentale era
se la tradizionale gestione di questi tre tipi
di uso del suolo fosse in grado di competere con sistemi moderni o molto più intensivi, se accanto a beni di mercato come cibo
o legname, fossero stati contemplati anche
beni senza un mercato di riferimento, come
la bellezza del paesaggio, la biodiversità o il
valore storico-culturale.
Questo opuscolo ha lo scopo di rappresentare i risultati più importanti in modo chiaro e
di formulare raccomandazioni per la pratica
dell‘agricoltura e della silvicoltura, al fine di
preservare in modo duraturo sistemi d’uso
del suolo storici e di grande significato per
l’uomo.
Il gruppo di ricerca è stato sostenuto dalle
Fondazioni Stemmler e Immerschitt dell’associazione tedesca delle Fondazioni per la
Scienza, così come dalla Fondazione della
Libera Università di Bolzano. Il progetto è
stato realizzato in collaborazione con il Prof.
Christian Fischer (LUB), con il Dr. Thomas
Wilhalm (Museo di Scienze Naturali Bolzano)
e con il Dr. Erich Tasser (Eurac Bolzano). Un
sentito ringraziamento va agli Uffici Pianificazione forestale e Ecologia del paesaggio
della Provincia di Bolzano per aver sostenuto lo studio attivamente e in modo continuo.
5
Impressum
Testo: Anna Radtke
Veronika Fontana
Valerie Bossi Fedrigotti
Grafica:
Anna Radtke
Veronika Fontana
Isabella Voltolini
Fotografia:
Mirto Fontana (A)
Veronika Fontana (B)
Anna Radtke (C)
Valerie Bossi Fedrigotti (D)
Daniel Spitale (E)
Thomas Wilhalm (F)
Juri Nascimbene (G)
Georg Lair (H)
Magdalena Nagler (J)
André Terwei (K)
La lettera maiuscola indica
l‘autore della foto.
Data:
Stampa: Febbraio 2015
Druckstudio Leo S.r.l., Frangarto
Contatto:http://pro2.unibz.it/ecoralps
Prati e pascoli a larici:
[email protected]
Boschi cedui:
[email protected]
Castagneti da frutto:
[email protected]
Questo opuscolo informativo è stato finanziato dalle
Fondazioni Stemmler e Immerschitt dell’associazione tedesca delle Fondazioni per la Scienza e
dall’Ufficio di pianificazione forestale della Provincia
Autonoma di Bolzano.
Gli autori sottolineano esplicitamente che in questo
opuscolo le forme maschili comprendono sempre
anche quelle femminili.
Indice
1
Introduzione al paesaggio rurale
Cosa sono i servizi ecosistemici?
Le montagne richiedono lavoro manuale
11
Prati e pascoli a larici
Sviluppo storico
Intensivizzazione e abbandono
Biodiversità
Riserva di carbonio
Muschi e licheni
Servizi ecosistemici a confronto
Conclusioni per la pratica
28
Boschi cedui
Sviluppo storico
Biodiversità
L‘invasione di Ailanto e Robinia
Protezione contro la caduta massi
Gestione e servizi ecosistemici
Conclusioni per la pratica
42
Castagneti da frutto
Sviluppo storico
Abbandono e recupero
Biodiversità
La filiera delle castagne in Alto Adige
Servizi ecosistemici e turismo
Conclusioni per la pratica
7
Paesaggio rurale - oltre la tradizione
Senza l‘uomo, in molte regioni il limite del bosco sarebbe più in alto. Al di sotto, sarebbe
tutto bosco, al di là di un paio di torbiere, zone rocciose e aree valanghive. Per sopravvivere, hanno cominciato i nostri predecessori già secoli fa ad eliminare i boschi per far posto
a prati, pascoli e campi. Il risultato è un mosaico di boschi, prati e pascoli, siepi, campi,
frutteti e vigneti.
Il paesaggio rurale tradizionale altoatesino
Già per i primi insediamenti la
vita nelle aree montane rappresentava una sfida particolare. Terreni scoscesi, inverni
rigidi e periodi vegetativi brevi
stimolarono l‘uomo a sviluppare nuove forme di gestione,
adatte alle condizioni locali. Il
paesaggio a quei tempi rispecchiava più fortemente le esigenze dei contadini, rispetto a
oggi. In questo modo naquero i
prati a larici: dalla necessità di
produrre legna resistente agli
agenti atmosferici e, contemporaneamente anche di fornire
un pascolo al bestiame. I castagni invece non offrivano solo
un alimento energetico, bensì
anche legname di valore. I boschi cedui nella Bassa Atesina
producevano legna da ardere,
così come paleria per i vigneti
circostanti.
Intervallati da numerose strutture particolari, come ad esempio muri a secco, stalle o edifici
rurali, si è modellato, nel corso del tempo, un mosaico di
paesaggi variegati e ricchi di
specie diverse. Tale cosidetto
paesaggio rurale, dopo secoli
di sviluppo storico comune, è
diventato vitale per la sopravvivenza di specie vegetali e animali dalle esigenze più diverse.
to, il tradizionale allevamento
estensivo in particolare, è molto prezioso per una vasta gamma di specie vegetali e animali e per l’ecosistema nel suo
complesso. Questo allevamento interferisce molto meno con
i naturali processi ecosistemici
rispetto a quanto accade spesso con le gestioni moderne e
meccanizzate.
Ciononostante il paesaggio
cambia, perché anche il “contadino”, in quanto membro della società, cambia. La globalizzazione, la meccanizzazione e
l’industrializzazione negli ultimi decenni hanno mutato le
esigenze e le opportunità degli
agricoltori. Per il futuro, quindi,
si pone l’interrogativo riguardo
al se e al come potranno essere
gestite le forme di uso del suolo tradizionali e quali vantaggi
porteranno alla società.
Il paesaggio “è mobile”
In Alto Adige il paesaggio rurale si è conservato fino a oggi in
molti luoghi. È nato grazie agli
agricoltori e può essere mantenuto solo per mano loro, dal
momento che se il territorio
non viene correttamente gestito, il bosco si accresce e se
lo riprende. A questo proposi9
Foto: (B)
Cosa sono i servizi ecosistemici?
Tutto ciò che la natura mette a
disposizione per noi uomini
gratuitamente...
La biodiversità e i processi e le funzioni ecosistemiche come la formazione del suolo o la fotosintesi fanno
parte della natura. Sebbene non li percepiamo quasi
mai in modo consapevole, sono la base di vari beni
e servizi offerti a noi uomini. Si classificano nelle tre
categorie sottostanti.
Servizi di approvvigionamento
come legname, aqua potabile o alimento
Molto di quello che mangiamo e beviamo, molto di quello
con cui nutriamo gli animali e addirittura molto di ciò su cui
ci sediamo proviene letteralmente dagli ecosistemi. Infatti
anche boschi, prati e campi sono ecosistemi. La natura ci
mette abbondanti prodotti a disposizione.
Servizi culturali
come bellezza del paesaggio, educazione o ricreazione
Un aspetto importante del concetto dei servizi ecosistemici
sono i servizi culturali, che sono tuttavia molto difficili da
misurare. Spesso alcuni valori come la bellezza di un paesaggio, il suo valore ricreativo o ancora il significato storico
di un ecosistema sono dati per scontati. Nell’approccio dei
servizi ecosistemici però rivestono un ruolo importante.
Servizi regolativi
come impollinazione, protezione dalle inondazioni o
regolazione del clima
Un bosco in estate offre ombra e in inverno limita il pericolo
di valanghe. In breve, gli ecosistemi e le specie vegetali e
animali presenti al loro interno, regolano processi ambientali come forti piogge o periodi di siccità. I servizi regolativi
comprendono anche l’impollinazione, da cui dipende la
produzione di frutta in tutto il mondo.
Acqua pulita e terreno
intatto: ma quanto valgono?
Il concetto dei servizi ecosistemici è stato reso noto nel
2005 grazie allo studio mondiale “Millennium Ecosystem Assessment”. A cavallo del millennio gli scienziati
hanno rivolto la loro attenzione al sempre più crescente tasso di distruzione
ambientale e di perdita della biodiversità. Il messaggio
chiave dello studio era che
in questo modo l’uomo danneggiava se stesso. Tutti i
servizi che è in grado di offrire un ecosistema intatto,
con la sua distruzione, vanno persi. Così un bosco più
naturale e più riccamente
strutturato offre contemporaneamente protezione
contro pericoli naturali, ri-
creazione per gli uomini e
habitat per animali e piante.
Se si dovessero sostituire
questi servizi artificialmente, sarebbe necessaria una
gran quantità di denaro.
L‘approccio dei servizi ecosistemici mira ad accrescere
la consapevolezza del valore
economico di questi servizi
e, quindi, a sottolineare la
necessità di preservare gli
ecosistemi di valore.
 Priorità differenti: se si chiede ad un agricoltore quali siano i servizi offerti dalla natura
per lui più importanti – qui rappresentati con
una bilancia – la risposta sarà certamente
diversa da quella ad esempio di una famiglia
di gitanti in cerca di svago.
Gli interessi della società
Gli interessi dei singoli (agricoltori)
La società nel suo complesso dipende da tutti i servizi ecosistemici, siano
essi acqua pulita, aria pulita, protezione
contro le inondazioni o un terreno fertile.
Quali servizi e quanto di essi sia fornito
da un ecosistema, però, spesso dipende
se e come viene gestito il suolo. Pertanto,
anche se per la società la bellezza del paesaggio e l’aria pulita sono più importanti,
l’agricoltore potrebbe avere altre priorità.
Dal momento che l’agricoltore è colui che
deve occuparsi della gestione dell’ecosistema, le sue decisioni vengono influenzate anche da aspetti economici.
Il proprietario di un terreno agricolo o
boschivo ha spesso altri interessi rispetto
alla società. Per lui conta soprattutto che
la gestione del suo bosco o del suo prato
gli renda qualcosa. Per questo motivo si
concentrerà principalmente sui servizi di
approvvigionamento come fieno o legname, per cui esiste anche un mercato. Se
grazie alla sua gestione, vengono forniti
anche altri servizi quali la ricreazione o
l’aumento della biodiversità, per cui non
esiste (ancora) un mercato, è per lui secondario.
11
Le montagne richiedono lavoro manuale
Molte delle forme di utilizzo del suolo, come prati di montagna o prati a larici, richiedono
ancora oggi molto lavoro manuale. In certe zone i pendii sono troppo ripidi per poterli lavorare con le macchine, da altre parti il terreno è troppo bagnato, oppure troppo sassoso,
o con troppi alberi.
Per certi lavori, come per esempio la raccolta delle castagne, le macchine per farlo non
sono ancora molto in uso. Ma cosa succede se il tempo per svolgere i lavori manuali diventa insufficiente, oppure se nessuno è disponibile ad eseguire lavori manuali, talvolta
anche molto pesanti? Quali sono le alternative?
Foto: (A)
Dalla gestione agricola
tradizionale ci guadagnano tutti
Negli ultimi decenni sono
stati abbandonati diversi
masi isolati e campi di eccessiva pendenza. Per invertire questa tendenza e per
frenare il rimboschimento
spontaneo dei prati in Alto
Adige furono costruite molte
strade di accesso ai masi e
spesso anche fino alle malghe.
Nel ricco Alto Adige questa
politica è riuscita a mantenere la realtà agricola ma ha
portato anche, in molti posti,
ad una intensificazione delle
colture.
Grazie al miglioramento
delle condizioni di accesso
è stato possibile spianare
molti terreni e bonificare le
zone umide. Ciò ha comportato in molti casi un maggiore sfruttamento della terra,
rendendo possibile tra l’altro
lo spargimento meccanico
dei liquami e l’introduzione
della tecnica dell’insilaggio.
In certi casi i prati di montagna estensivi, che in passato
venivano falciati a mano una
sola volta all’anno, sono stati trasformati in prati grassi
intensivi con sfalcio due o
anche tre volte all’anno.
Ciò comporta maggiore di-
sponibilità di foraggio ma
nel cambiamento sopravvive soltanto una frazione
delle specie di piante e di
animali. Di conseguenza le
erbe aromatiche nel foraggio calano e quindi anche la
biodiversità. Se i prati sono
meno colorati chi passeggia
ha meno piacere, non trova
più erbe aromatiche o medicinali da raccogliere, i resti
delle concimazioni possono
finire nelle acque.
In altre parole i terreni producono più foraggio ma noi
come società abbiamo a disposizione un ecosistema con
meno prestazioni.
 Gestione agricola tradizionale,
legata a lavoro
manuale molto
dispendioso e
pochi guadagni
Foto: (A)
 Abbandono della gestione perché
non rende più, dovendo privilegiare
un’altra attività e quindi per mancanza
del tempo necessario.
Foto: (B)
 Intensivizzazione della gestione per
aumentare la produttività tramite un
impiego massiccio di macchinari per
guadagnare tempo
Foto: (C)
13
Prati e pascoli a larici
Gioielli del paesaggio rurale in Alto Adige
L’utilizzo di prati e di pascoli a larici è una tradizione rurale sudtirolese vecchia di secoli e
forse di millenni. Questo tipo di agricoltura è presente solo nelle zone montane comprese
tra i 1000 e i 2000 metri sul livello del mare. In Alto Adige si sono potuti mantenere ancora
alcuni degli ultimi e sempre più rari insediamenti.
I
prati e i pascoli con presenza di larici sono una combinazione unica di due diversi ecosistemi nell’ambito del
paesaggio agricolo montano dell’Alto Adige. Elementi boschivi si incontrano con
l’ecosistema prato o pascolo
e tale combinazione si presta
particolarmente bene ad un
doppio utilizzo dell’economia,
sia agricola che forestale.
Grazie alla caduta annuale
degli aghi il larice in primavera lascia filtrare molta luce,
permettendo in tal modo una
maggiore resa della copertu-
ra erbosa sottostante. Grazie
alle radici a forma di cuore
il larice resiste bene al calpestio del bestiame e difficilmente subisce danni dovuti
al pascolo. Inoltre, nelle zone
soggette a siccità estiva, i larici provvedono con la loro
ombra a proteggere il terreno
da eccessiva aridità.
Hopfenbuche
Il larice europeo (Larix decidua)
Il larice in Alto Adige è il secondo albero più diffuso ed è anche l’unica conifera decidua del nostro territorio.
In Europa cresce principalmente nelle Alpi ma in piccole zone è presente
anche sui monti Carpazi e nei Sudeti.
Questo tipo particolare di conifera, che
lascia filtrare molta luce attraverso la
sua chioma leggera, può raggiungere un’età di diversi secoli e superare
i 50 metri di altezza. Il larice in quanto specie pioniera cresce su qualsiasi
Foto: (A)
terreno nudo, indipendentemente dal
ph, in particolare nelle zone libere più alte e senza concorrenti, fino al limite superiore dei boschi. In posizioni particolarmente favorevoli nel giro di qualche decennio si riescono a
formare anche delle laricete quasi pure. Nelle zone più basse
subisce invece la concorrenza di altri tipi di alberi che diventano spesso dominanti, in particolare l’abete rosso.

Ogni larice porta
fiori sia maschili
che femminili, nella
foto si vedono i fiori
femminili color rosa
porpora, mentre i
fiori maschili sono
gialli e più piccoli.
L’impollinazione
è essenzialmente
anemofila.
Foto: (A)
Foto: (A)
15
Lo sviluppo storico di prati e pascoli a larici,
un’eredità lasciata dai nostri antenati
Ciò che in passato valeva come salvadanaio del maso agricolo di montagna, e come tale
sempre ben custodito, oggi è diventato un paesaggio in via di estinzione. Un tempo i preziosi alberi di larice venivano abbattuti solo in caso di estrema necessità. Oggi invece è
rimasta soltanto una frazione dei prati e dei pascoli a larici originari.
Foto: (A)
L
e prime forme di prati e
pascoli a larici risalgono
probabilmente ai primi insediamenti umani permanenti.
Il ritrovamento di pollini di
erbe e piante tipiche, avvenuto nella vicina Svizzera,
confermerebbe lo sfruttamento di tali forme
agricole già nell’età
del bronzo (attorno al 3000 a.C.). In
epoca romana l’attività agricola cresce
progressivamente
come anche il numero di prati e pascoli a larici. Lo sviluppo massimo avviene nell’Alto Medioevo nel
quale a causa della sempre
maggiore crescita demografica, la ricerca di nuovi prati
e pascoli viene estesa anche
ai boschi.
La creazione di prati a larici in quel tempo fu un compromesso che permetteva
di avere contemporaneamente una discreta riserva
di legname e una maggiore disponibilità di foraggio,
estremamente necessaria.
Le superfici scelte molto spesso non erano adatte
ad impieghi agricoli diversi
e pertanto vennero creati
pascoli e prati eliminando
alberi e cespugli
mediante
incendi
co n t ro l lati.
La
consistenza di prati e pascoli
iniziò a calare quando la popolazione, nel tardo Medioevo, si è ridotta a causa di ripetute epidemie di peste e di
inverni molto freddi. Cessò
pertanto la continua ricerca
di nuove superfici agricole
e i masi furono abbandonati. Un secondo e ulteriore grande calo avvenne nel
ventesimo secolo in seguito
all’industrializzazione. L’in-
 Attualmente l’estensione di
prati e pascoli a larici in Alto
Adige ammonta a circa 30 km²
il che corrisponde al 20 %
di quanto era nel
1975 (circa
140 km²).
venzione
dei motori
a scopp i o ,
d e l le
m a cc h i n e
agricole e dei fertilizzanti chimici ebbe effetti
pesanti nelle Alpi a partire
dagli anni cinquanta. Inizia
così non solo la fine del lavoro manuale nei campi, ma
anche la fine dell‘agricoltura tradizionale.
Lerget, Lörget oppure trementina veneta
Foto: (J)
Una tradizione antichissima, già praticata dai Reti, era la
raccolta della resina di larice.
Il “Pechklauber”, detto anche Lergetsammler, era il
contadino che spillava la resina da un foro di qualche
centimetro di diametro che veniva praticato alla base del
tronco e subito richiuso con un tappo di legno.
La raccolta della resina che si formava nel foro veniva
eseguita di solito una o due volte all’anno. La resina era
un noto rimedio naturale contro le infezioni e altre malattie, si usava come gomma da masticare, per impregnare
le “Goasln” le fruste dei pastori, oppure trasformata in
trementina. Dopo ogni prelievo il foro veniva accuratamente richiuso. Questa tradizione è ancora presente in
qualche zona, così per esempio si possono notare i tappi
nei larici dalle parti di Trodena.
17
Intensivizzazione
Attraverso l’estirpazione od il livellamento, le superfici
vengono convertite in prati intensivi e senza alberi.
Foto: (A)
Abbandono
Un’interruzione della gestione porta ad una rapida crescita spontanea prima di cespugli e poi del bosco.
Foto: (B)
Una questione di carico
di lavoro...
I prati, ma anche i pascoli
con larici, oggi come oggi
rendono poco. Le superfici
richiedono una manutenzione impegnativa, la raccolta della ramaglia secca,
lo sfalcio manuale attorno agli alberi, i posti non
sempre facilmente raggiungibili e, in quanto a risorse di foraggio, ci sono alternative migliori. Mentre una
volta le famiglie erano molto numerose, oggi i masi
vengono lavorati da poche
persone e spesso soltanto
come attività secondaria.
Per il futuro siamo pertanto
davanti a due decisioni aziendali opposte: aumentare
la resa dei prati oppure abbandonarli.
…e una questione
economica
In Alto Adige per contrastare questa tendenza si sta
cercando di incentivare il
mantenimento degli attuali prati e pascoli attraverso dei contributi economici
per la cura del paesaggio
agricolo. Tali sovvenzioni
non vanno però viste esclusivamente quale contributo per il lavoro a carico del
contadino. Si tratta infatti
soprattutto di una forma di
risarcimento: la coltura tradizionale infatti non rende
soltanto più colorati i prati,
ma protegge anche i terreni
e le acque e mantiene paesaggi e spazi ricreazionali
unici. Di questo ne trae vantaggio tutta la società - sia la
gente locale che i turisti.
Contributi per la manutenzione del paesaggio relativi a prati e pascoli a larici
La coltivazione di prati e pascoli a larici richiede un particolare impegno, che però è estremamente prezioso per il mantenimento di flora e fauna.
Per questo esistevano fino al 2014 per gli agricoltori che facevano domanda, dei premi
incentivanti per la cura ed il mantenimento del paesaggio. Il pagamento dei premi era
condizionato dai seguenti criteri: nessuno spianamento dei terreni, nessun uso di concimi minerali nè di liquame o colaticcio. A seconda del tipo di gestione i premi potevano
ammontare a cifre diverse.
 Pascoli alberati: concimazione ammessa soltanto
con letame maturo, pascolamento appropriato per il
sito.
 Prati alberati ricchi di
specie: nessuna concimazione.
­­ Prati alberati grassi:
concimazione ammessa
soltanto con letame maturo.
Foto: (B)
A partire dal 2015, entreranno in vigore nuove disposizioni finanziarie. Gli agricoltori
che possiedono prati a larici ricchi di specie possono informarsi sulle nuove modalità
di contributo presso l‘Ufficio Ecologia del paesaggio o presso le stazioni forestali locali.
19
Raponzolo e orchidea moscaria, la biodiversità fa la differenza
I prati e i pascoli con larici sono particolarmente ricchi di specie perché la combinazione
dei due ecosistemi, prato e bosco, offre nicchie e possibilità di vita a piante con esigenze
e caratteristiche diverse. In media negli attuali prati in uso si possono contare oltre 50
specie diverse.
Prato magro
Foto: (B)
Prato grasso
Che cosa contribuisce
alla formazione di un
prato colorato e ricco di
specie?
Nei prati e pascoli a larici,
coltivati in maniera estensiva, dominano erbe come la
gramigna bionda (Trisetum
flavescens), la festuca rossa
(Festuca nigrescens), il forasacco eretto (Bromus erectus) vicino a diverse erbe
aromatiche come l’ambretta
alpina (Knautia longifolia), la
Salvia pratense, il raponzolo montano (Phyteuma betonicifolium) oppure il timo
Raponzolo
montano
precoce (Thymus praecox).
Il prato più ricco di specie
è stato notato nella zona di
Tesimo dove furono contate ben 68 specie. Oltre a 12
specie di erbe diverse crescono numerose piante officinali come il cumino dei
prati (Carum carvi), il caglio
zolfino (Galium verum) e la
piccola pimpinella (Sanguisorba minor). Questa ricchezza di specie è possibile
soltanto tramite una coltivazione estensiva povera di
sostanze nutritive.
Più sfalci meno specie
I prati coltivati in forma intensiva presentano mediamente il 20-30% di specie in
meno. Se confrontati tutta-
via con prati intensivi non alberati, i quali in casi estremi
ospitano soltanto una dozzina di piante diverse, sono in
Garofano dei Certosini
ogni caso più ricchi di specie. Essi presentano infatti
piccole zone più asciutte alla
base dei larici e condizioni di
vita più favorevoli alla biodiversità. Accanto alle specie
tipiche dei prati grassi, con
alto tasso di azoto, trovano
un rifugio sicuro anche il caglio boreale (Galium boreale), la Campanula barbata o
lo sparviere dei boschi (Hieracium murorum).
Quando lo sfalcio viene
a mancare
Nei vecchi prati a larici, abbandonati da 10 a 50 anni fa,
lo spazio vitale si riduce e
ritorna nuovamente all’ecosistema bosco. Il numero di
specie mediamente scende
sotto a 30.
Giglio di
Le superfici
monte
abbandonate
si prestano
p a r t i co l a r mente alla
dominazione da parte
di
singole
specie. Per esempio il bra(Brachypodium
chipodio
pinnatum) è una graminacea che copre il terreno in
modo particolarmente fitto,
come anche altre specie del
sottobosco quali l’erica (Eri-
ca carnea), il mirtillo rosso
(Vaccinium vitis-idaea), la
fragola di bosco (Fragaria
vesca), oppure la gramigna
di Parnasso (Maianthemum
bifolium), che si propagano
rapidamente e prendono il
posto delle specie più deboli
e adatte allo sfalcio.
Un rifugio per le specie
della lista rossa
La coltivazione dei prati e
pascoli a larici contribuisce
in modo significativo al mantenimento di una ricca biodiversità, comprese anche
alcune specie della lista rossa. In zona
Ofride indi Dobbiaco
settifera
per esempio
è stata notata l’ofride
insettifera
(Ophrys insectifera),
nella zona
di Fontanefredde il giglio di monte
(Paradisea
liliastrum)
oppure, nella
zona di Tesimo e di San
Vigilio, l’orchidea dei pascoli
(Traunsteinera globosa).
Foto: (B)
Orchidea dei pascoli
21
Prati e pascoli a larici come riserva di carbonio
Molti ecosistemi possono fissare il carbonio temporaneamente o in forma permanente
attraverso al vegetazione che assorbe l’anidride carbonica presente nell’atmosfera. Attraverso la fotosintesi vengono prodotte diverse sostanze che vanno a depositarsi nei tessuti
delle piante. Quando la pianta muore la sostanza organica residua viene trasferita al terreno dove, dopo diversi processi, il carbonio viene nuovamente immagazzinato.
Foto: (A)
Le piante assorbono CO2
I combustibili fossili bruciando liberano anidride
carbonica (CO2), aumentando di conseguenza
l’effetto serra naturale,
il quale può causare un
cambiamento imprevedibile del clima. L’assorbimento di CO2 da parte
delle piante è uno dei
meccanismi più efficaci
per ridurre l’effetto serra,
immagazzinando carbonio
in forma permanente.
Dove si trova il carbonio?
Per stimare la quantità di
carbonio sono stati prelevati
diversi campioni di terreno
da prati e pascoli in uso e
censito la vegetazione. In tal
modo si è potuto stabilire il
contenuto di carbonio nella
parte minerale del terreno e nelle radici e, sopra la
superficie, quello contenuto
negli alberi e nello strato erboso.
I risultati dicono che soprattutto nella parte minerale
dei terreni di prati e pascoli, coltivati in modo tradizionale, le riserve di carbonio
sono notevoli. In totale prati
e pascoli a larici contengono
circa 200 tonnellate di carbonio per ettaro, dove invece
i prati grassi ne hanno circa
la metà.
Il bosco: deposito oppure fonte di carbonio?
Quando un prato a larici
viene abbandonato, innanzitutto rimane sospesa la
concimazione del terreno e
pertanto il carbonio intromesso artificialmente viene
ridotto. Ulteriormente, con
la crescita del bosco, la fauna
e le colonie di microrganismi
presenti nel terreno riscontrano buone condizioni: più
il terreno é umido e caldo,
più vengono decomposti gli
elementi organici da parte
di funghi e batteri, liberando
anidride carbonica e quindi
riducendo le riserve di carbonio. Con lo stabilimento
del bosco si viene a ripristinare un nuovo equilibrio e il
bosco si sviluppa ad essere
una riserva di carbonio. Se il
bosco diventa poi molto vecchio può tornare ad essere
una fonte di produzione di
carbonio poiché si accumula legno in decomposizione.
Tramite la coltivazione tradizionale dei prati a larici
è possibile mantenere nel
tempo la quantità di carbonio presente nel terreno ad
un’alto livello, contribuendo
in tal modo alla riduzione
delle emissioni di anidride
carbonica.
 Stoccaggio di carbonio da parte di prati e pascoli a larici, a confronto con un prato convenzionale non alberato. Le cifre corrispondono ai valori medi in tonnellate di carbonio per
ettaro.
Prato
a larici
intensivo,
sfalciato
Prato
a larici
estensivo,
sfalciato
Pascolo a
larici
Prato a
larici abbandonato
Prato
senza
larici
30
39
41
55
10
Fusti, rami, aghi
67,0
64,6
76,6
101,2
0
Vegetazione spontanea
0,9
0,7
0,6
0,9
2,5
Radici grosse
36,9
34,3
42,4
50,5
0
Radici fini (0-20 cm)
6,3
8,9
10,1
10,4
3,9
105,5
90,2
99,8
80,2
80,7
215,6
196,3
228,2
241,4
87,1
Numero di appezzamenti
esaminati
Stoccaggio nelle piante
Stoccaggio nella sostanza organica del suolo
Orizzonte organico e
suolo minerale (0-20 cm)
Stoccaggio complessivo
23
Muschi e licheni – un mondo nascosto
Soltanto con un’osservazione attenta si può notare quanta vita ci sia su un tronco di
larice. Ad esempio, molti licheni prediligono proprio il substrato acido della corteccia
di questi alberi, dove crescono ogni anno di pochi millimetri. Essi non tolgono alla
pianta acqua o elementi nutritivi, ma la usano soltanto come substrato di supporto.
Allo stesso modo si comportano i muschi che si sviluppano di preferenza più in basso,
alla base dei tronchi.
Foto: (A)
Quando un fungo e
un‘alga vivono insieme
Licheni e muschi sono due
gruppi di organismi poco
appariscenti, ma che negli
ecosistemi giocano un ruolo molto importante nella
gestione dell’acqua e delle
sostanze nutritive. I licheni in particolare, organismi
derivanti dall’associazione
tra un fungo e un’alga (o
un cianobatterio), sono dei
bioindicatori
significativi.
Essi infatti reagiscono rapidamente ai cambiamenti
delle condizioni ambientali
e sono molto utili per la vigilanza sulla qualità dell’aria o
sull’inquinamento da metalli
pesanti.
Sul tronco dei larici in prati e pascoli coltivati in modo
tradizionale sono state censite in media 35 specie di
licheni, tra i quali anche Letharia vulpina, specie molto
Letharia
vulpina
Foto: (E)
appariscente per il suo colore giallo limone. Si tratta
di una specie molto sensibile all’eutrofizzazione che
è presente soltanto in luoghi
caratterizzati da un basso
utilizzo di fertilizzanti.
Troppo concime danneggia
Per contro, sia sui tronchi
di larici appartenenti a prati
coltivati in modo intensivo,
che su quelli relativi a pra-
Foto: (B)
 I licheni sono molto sensibili alla concimazione intensa e
all’inquinamento dell’aria. Il lichene giallo illustrato a sinistra
è uno dei pochi che resistono in tali condizioni. Se il liquame
colpisce anche i tronchi dei larici il loro habitat viene distrutto
completamente (immagine a destra).
ti abbandonati, sono state
contate in media 10 specie
in meno.
Tra gli altri è stata rinvenuta
anche la Xanthoria candelaria, un lichene giallo indicatore di luoghi molto concimati oppure inquinati. In
questi prati a larici, coltivati
in modo intensivo, cambia
innanzitutto la composizione delle specie, con un’evidente aumento di quelle resistenti all’azoto.
Una questione di luce
ta riscontrata una quantità
simile di specie sui tronchi
delle tre tipologie di prati a
larici.
La varietà di muschi a terra
invece si è rivelata maggiore nei prati abbandonati ma
con crescita debole e di poco
peso. Lo sviluppo dei muschi
in peso risulta invece essere
massimo nei prati e pascoli
tradizionali in uso.
I muschi trovano migliori
condizioni di luce nel prato
magro con tappeto erboso
basso, rispetto a prati con
erba alta oppure a boschi di
abeti, dove la scarsità di luce
sul terreno ne limita la crescita.
La ricchezza specifica dei licheni sui tronchi di larice è
piuttosto scarsa anche nei
prati e pascoli abbandonati.
L’abbassamento del numero di specie è dovu- Dicranum scoparium
to innanzitutto alla
minore disposizione
di luce legata alla
lenta chiusura delle
chiome degli alberi.
I muschi reagiscono in maniera meno
sensibile rispetto ai
licheni: infatti è sta-
Foto: (G)
25
Chi offre di più? Un confronto
Che cosa succede quando un prato tradizionale a larici viene abbandonato
oppure destinato ad una coltura intensiva? Nelle prestazioni di un ecosistema vale di più la riforestazione naturale oppure
un prato molto concimato e senza larici?
Foto: (A)
P
er avere un quadro completo circa il significato e
l’importanza dei prati a larici abbiamo confrontato, con
l’aiuto di un metodo economico ambientale, i servizi degli ecosistemi prato a
larici, prato non alberato e
bosco.
In seguito sono stati stabiliti i singoli servizi in una discussione tra esperti e infine
è stata calcolata la quantità
dei servizi forniti sulla base
di diversi indicatori (vedi tabella).
Dato che un gruppo di 10
esperti ha dato la maggio-
re importanza alla funzione
di protezione, l’ecosistema
con le migliori prestazioni
è risultato essere il bosco.
Tuttavia il maggior numero
di singoli servizi lo offre il
prato a larici.
 In una discussione tra esperti sono state scelte le 6 prestazioni più importanti degli ecosistemi
relative al paesaggio rurale. Le 6 voci della tabella sono state ordinate per importanza in seguito alla valutazione emersa dalla compilazione di un questionario da parte di 30 rappresentanti di
gruppi di interesse. Le prestazioni sono state valutate considerando da 1 a 3 indicatori, in parte
qualitativi e in parte quantitativi. In tal modo i 3 sistemi di uso del terreno considerati sono stati
classificati in base alle loro prestazioni.
Servizio ecosistemico
(Categoria)
Indicatorei
Prato
Prato a
larici
Bosco
Protezione da valanghe, erosione
e caduta massi
bassa
bassa
alta
Biodiversità (habitat)
Specie della lista rossa
0
10
0
Biodiversità (habitat)
Ricchezza media delle specie
24
47
21
Regolazione del clima
Fissaggio del carbonio
basso
medio
alto
Qualità dell‘aria
Filtrazione aerosol
bassa
media
alta
Regolazione dell‘aqua
Intercettazione, penetrazione delle
radici, evapotraspirazione
media
alta
alta
1 Protezione potenziale (Servizi di regolazione)
Protezione potenziale
conto pericoli naturali
2 Biodiversità (Servizi di base)
3 Servizi di regolazione
4 Valore storico-culturale (Servizi culturali)
Tradizione, Identità
Numero di piante officinali
24
55
26
Sentimento di
appartenenza
Valore di rarità (% delle superfici
in Alto Adige, più raro più prezioso)
7.9
0.14
9.1
-426
-97
252
5 Produttività (Servizi di approvvigionamento, spiegazione sotto)
Fieno e legname
(Prodotti)
Produttività netta [€ / ha] (incluse
le rese di fieno e legname)
6 Valore estetico (Servizi culturali)
Ricreazione
Fascino paesaggistico
alto
molto alto alto
Ispirazione
Cromatismo del prato
medio
alto
basso
Info - La resa economica: confronto tra un prato a larici e un prato convenzionale
Un bilancio economico complessivo è molto difficile perché i singoli terreni non si possono valutare disgiunti dall’ insieme di tutta l’azienda agricola. Tuttavia, considerando
oltre al fieno e al legname anche il numero di sfalci, la meccanizzazione, la manodopera manuale e il contributo finanziario, il bilancio è a favore del prato a larici rispetto al
normale prato non alberato. In un prato a larici il carico di lavoro è circa 4 volte maggiore
rispetto a quello di un prato intensivo, ma i costi della meccanizzazione sono molto più
bassi. Inoltre i premi per la conservazione del paesaggio (620 Euro/ha) sono un po’ più
alti rispetto al contributo base (214 Euro/ha; entrambi valori del 2014).
27
Il mantenimento in uso di prati e pascoli a larici non è utile sol-
tanto a piante e animali ma anche all’uomo. La forma tradizionale di coltura infatti offre
tutto l’anno, alla gente del posto e ai turisti, un ambiente attrattivo per le attività del tempo
libero e un paesaggio unico ed affascinante. Il mantenimento e l’incentivazione dei prati
a larici rimasti, in particolare quelli coltivati in modo poco intensivo, dovrebbe essere un
patrimonio che riguarda noi tutti.
Foto: (A)
La coltivazione dei prati e pascoli a larici
- cosa c‘è da tenere a mente?
2 sfalci per anno al
massimo
Non falciare troppo presto
Falciando al massimo 2 volte all’anno il rapporto tra
erbe e piante aromatiche rimane in equilibrio, evitando
in tal modo che erbe come il
cerfoglio dei prati o l’acetosa
diventino dominanti.
Il periodo dello sfalcio va
determinato in base allo
sviluppo della vegetazione.
La biodiversità aumenta lasciando crescere il prato
fino a maturazione dei semi
della maggior parte di erbe
e piante aromatiche.
Foto: (A)
Non usare come pascolo
permanente
Un pascolo continuo di più
mesi alla lunga danneggia lo
strato erboso e rimangono
soltanto le piante resistenti
al calpestio degli animali.
Non troppi capi di bestiame
Il numero di capi di bestiame
va adeguato alla superficie,
al foraggio e non deve essere troppo elevato. Ciò vale
in particolare per i cavalli, i
quali brucano l’erba molto in
basso.
Foto: (A)
Meglio concimare con
il letame
Non concimare troppo
La concimazione più protettiva si ottiene con il letame
maturo. Il liquame al contrario viene sopportato soltanto
da poche piante e animali in
quanto contiene una parte
consistente di urea.
Una concimazione leggera
in autunno favorisce la crescita delle piante.
Fare attenzione a non coprire di letame i tronchi dei larici in modo da rispettare la
vita di licheni e muschi.
Foto: (B)
Piantare nuovi larici
Foto: (B)
Il larice germoglia soltanto
nel terreno nudo e pertanto non si riproduce naturalmente in prati e pascoli. Se
vengono abbattuti dei larici,
perché vecchi o colpiti dal
fulmine, si dovrebbero piantare dei nuovi alberi.
Eliminare gli alberi
concorrenti
Soprattuto nei pascoli a larici si propagano numerosi
abeti rossi. Tali piante vanno periodicamente estirpate
onde mantenere le condizioni ideali.
29
Boschi cedui in Alto Adige
Una sola pianta per tanti polloni
Il governo di un bosco ceduo si basa sulla capacità delle latifoglie di ricacciare spontaneamente dei polloni dalla ceppaia dopo il taglio. In pratica dal taglio di un solo fusto si
ottengono un cospicuo numero di nuovi polloni, ma del grande numero di giovani polloni
derivanti dalla ceppaia, nel corso della crescita, ne sopravvivono solo pochi. Questi polloni
multipli (circa 5-15 polloni per ceppaia) sono una caratteristica importante dei boschi cedui. Vengono utilizzati come legna da ardere e offrono un’eccellente funzione di protezione
nei pendii ripidi.
I
boschi cedui sono boschi
di latifoglie che ogni 10-30
anni vengono tradizionalmente tagliati a raso. Nei
boschi ad alto fusto invece
le piante crescono per 100 e
più anni; di conseguenza le
piante nei boschi cedui non
raggiungono altezze superiori ai 20 m, né un diametro superiore ai 20 cm. Per questo
motivo il legname viene impiegato principalmente come
legna da ardere. Un tempo i
piccoli fusti regolari trovavano il loro utilizzo ideale anche
come paleria per le pergole
nei vigneti. Oggigiorno questi
sono stati sostituiti da pali in
cemento.
La caratteristica predominante della gestione di un
bosco ceduo è il popolamento che avviene mediante riproduzione vegetativa dopo
il taglio della ceppaia, il ché
rende inutile il reimpianto. Le
riserve immagazzinate nelle
radici accelerano la crescita
all’inizio di ogni ciclo.
In Alto Adige vengono gestiti a ceduo soprattutto boschi
di carpino nero ed orniello a
basse altitudini (fino a 800 m
s.l.m.). Sui pendii più ripidi,
con caduta massi, la struttura del bosco ceduo si forma
anche naturalmente.
Hopfenbuche
Il carpino nero (Ostrya carpinifolia)
Foto: (C)
Foto: (A)
Foto: (C)
Diffusione: Il carpino nero è diffuso
nell’area mediterranea e si estende
fino al sud delle Alpi, ma non prosegue
al nord.
Caratteristiche: I frutti ricordano il
luppolo, altrimenti la pianta è molto
simile al carpino bianco.
Utilizzo: Legno duro con buon potere
calorifico. Ottima capacità pollonifera,
per cui sovente gestito a ceduo.
Consociazione legnosa: orniello, roverella, acero campestre, ciliegio canino,
pero corvino, lantana.
Hopfenbuche
L‘orniello (Fraxinus ornus)
Foto: (C)
Diffusione: L’orniello si estende per
tutta l’Europa centrale e meridionale.
Caratteristiche: simile al frassino
comune, ma la corteccia è liscia e le
grandi infiorescenze sono bianche e a
pannocchia.
Utilizzo: contiene mannitolo, sostanza dal sapore dolce, conosciuta anche
per usi medicinali.
Consociazione legnosa: carpino nero
e le altre specie del box soprastante.
31
Foto: (C)
I boschi cedui come fonte di legna da ardere – ieri e oggi?
Legna da ardere accatastata nel bosco comunale di Cortaccia (foto sopra) scalda la stufa
in salotto oppure il forno per le pizze al ristorante. Talvolta, come qui a Termeno (foto sotto), la legna viene venduta già pronta all’uso.
A partire dell’inizio del ventesimo secolo, con l’uso di
combustibili fossili, la ri Le carbonaie venivano usate
per convertire la legna (spesso di
boschi cedui) in carbone. Oggi è
sempre più raro vederne.
i
25
an
nn
3a
gestione
tradizionale del
bosco ceduo
io
Ceduo invecchiato
no
gl
an
1
A partire dal tardo medioevo, in Europa, la richiesta di
legna da ardere e di carbone
aumentò fortemente. Per rispondere ai bisogni, i boschi
cedui venivano tagliati a raso
ogni 8-15 anni, accorciando di molto il turno. Inoltre
era uso comune portare il
bestiame in bosco e raccogliere il fogliame per farne
lettiera per le stalle. A causa
di quest’utilizzo intensivo il
naturale ciclo dei nutrienti
venne alterato: in molte aree
il suolo si impoverì e la vigoria diminuì. Per contrastare
questo andamento l’uso del
bosco venne fortemente regolamentato. Cominciò ad
essere applicato il principio
di sostenibilità, il che significa, in parole povere, che era
permesso prelevare solo la
quantità di legname che sarebbe ricresciuta.
Conversione in fustaia
ni
Un tempo i boschi cedui
venivano spesso sfruttati eccessivamente…
ta
 Tradizionalmente i boschi cedui in Alto Adige venivano tagliati
all’incirca ogni 25 anni. Durante gli ultimi decenni molti sono stati
attivamente convertiti in fustaie o passivamente lasciati allo sviluppo
naturale (e ai sensi di un bosco ceduo, sono invecchiati). Questi processi erano soprattutto legati all’abbassamento del prezzo della legna
da ardere. Negli ultimi anni invece, la domanda di legna da ardere è
nuovamente cresciuta e il legname come fonte di energia rinnovabile è
sempre più attuale, il che porta ad una rivalutazione anche dei boschi
cedui.
chiesta di fusti dal diametro
ridotto dei boschi cedui diminuì progressivamente. Di
conseguenza molti boschi
cedui non vennero nemmeno più utilizzati, oppure furono convertiti in fustaie per
la produzione di legname da
costruzione.
Oggigiorno, con le ricerca
di fonti energetiche rinnovabili, i boschi cedui acquistano nuovamente interesse anche dal punto di vista
economico. Nello specifico,
proprio i boschi di carpino
nero e di orniello situati ad
altitudini inferiori (300-800
m s.l.m.), che già in passa-
to erano governati a ceduo,
potrebbero essere utilizzati
per contribuire all’ottenimento di energia locale.
In Alto Adige alcuni boschi
cedui sono ormai molto invecchiati, altri vengono gestiti tradizionalmente con
turni di circa 25 anni. Nelle
prossime pagine verranno
confrontati questi due tipi di
gestione, vale a dire tradizionale e invecchiata, in riferimento ad alcuni parametri
boschivi, come ad esempio
la protezione contro la caduta massi oppure l’invasione
dell’ailanto.
 La vasta rete
altoatesina di 71
impianti di teleriscaldamento a biomassa (situazione
2012) – “affamati”
di legna da ardere,
che al momento
l’Alto Adige non
può accontentare. I
boschi cedui sarebbero d’aiuto?
33
Foto: (C)
Cosa cresce sul terreno in un bosco ceduo?
I boschi di latifoglie a basse altitudini rappresentano in Alto Adige un habitat importante per le specie sub-mediterranee, sia animali che vegetali, poiché la maggior parte
dei nostri boschi sono invece dominati da conifere. Proprio in questo contesto un ruolo
chiave lo gioca la gestione dei boschi cedui; abbiamo quindi voluto studiare l’influenza di
quest’ultima sulle piante.
Un gioco di luce e
ombra
I periodi ciclici tra una raccolta di legname e l’altra
danno luogo ad un continuo
alternarsi di luce e ombra.
Nei primi 10 anni dopo il taglio, si manifesta una flora
molto caratteristica, formata da specie pioniere. In questo lasso di tempo il numero
di specie di piante presenti
è al suo massimo con circa
25 specie per 100 m². In seguito si chiudono le chiome,
filtra meno luce sul terreno
e il numero di specie diminuisce fino a 15-20. In questa fase sono avvantaggiate
specie più competitive come
le elleborine (Cephalanthera
sp.) o il ciclamino (Cyclamen
purpurascens). Questi si trovano anche in boschi cedui
invecchiati, di oltre 40 anni.
Con lo sfruttamento più intensivo dei boschi cedui e
quindi con tagli più frequenti, si creano regolarmente
fasi con tanta luce, il che
permette la sopravvivenza
di piante bisognose di luce
tra cui le “specie dei boschi
radi”. Prima della fase di
germogliamento delle latifoglie in primavera, nel terreno boschivo spuntano una
gran quantità di fiori precoci.
Cosa sono le specie pioniere?
Foto: (F)
Le specie pioniere sono quelle
specie di piante che colonizzano per
prime superfici vergini o di recente
formazione. Con i loro semi, che si
diffondono lontani e che possiedono
una capacità di germinazione duratura nel tempo, conquistano superfici quasi prive di concorrenza prima
di tutte le altre specie. Tra le specie
pioniere si annoverano in modo
particolare molte neofite, specie non
autoctone, che possono soppiantare
specie autoctone come la saeppola
canadese (Erigeron canadensis).
Tagli recenti offrono un ambiente pieno di luce e di sostanze nutritive. Ciò non viene sfruttato solo da specie
pioniere autoctone come la
belladonna (Atropis belladonna) o le more, bensì anche da alcune specie non
autoctone. In particolare le
specie eliofile ailanto e ro-
binia usano le superfici tagliate per infiltrarsi nella
struttura boschiva. Il nostro
studio a Gargazzone ha dimostrato come la robinia si
sia ormai stabilita nella stazione boschiva. Negli ultimi
20-30 anni anche la presenza di ailanto è aumentata
fortemente.
Ogni taglio corrisponde ad  un repentino cambiamento
delle condizioni dell’ambiente: da fresco e ombroso a pieno di luce.
Il terreno si scalda
e rilascia sostanze
nutritive dal suolo. La
competizione con altre
piante sul terreno forestale rado è limitata.
In Alto Adige,  laddove i boschi cedui
vengono ancora gestiti,
troviamo un mosaico
di superfici dal taglio
recente e di superfici
dai popolamenti più o
meno vecchi. Questa
diversità di strutture
e di condizioni ambientali offre un habitat
a numerose specie di
piante e di animali con
esigenze diverse.
35
Foto: (K)
La Robinia
Foto: (C)
Ailanthus altissima Foto: (C)
Robinia pseudoacacia
L‘ailanto
La gestione dei boschi cedui ne promuove l’invasione
nei boschi di latifoglie dell’Alto Adige?
Nel bosco comunale di Gargazzone la risposta è decisamente SÌ. Su superfici
aperte, tagliate di recente, sono stati contati numerosi giovani ailanti, mentre
all’interno del bosco quasi non ne sono stati trovati. In alcuni boschi di 20 anni
l’ailanto si è già stabilito nel popolamento arboreo. La robinia già domina gran
parte del bosco comunale di Gargazzone. Gli effetti di entrambe le piante sulle
specie autoctone risulta per ora difficile da prevedere.
Foto: (C)
Con ogni taglio si apre
loro la porta
Nelle parti meridionali del
paese si possono osservare
l’ailanto e la robinia lungo
le linee ferroviarie, strade e piste forestali praticamente ovunque. Da lì i loro
semi possono essere diffusi
ad ampio raggio. I boschi di
latifoglie adiacenti costituiscono un habitat adeguato
grazie al loro clima mite.
L’unica condizione necessaria per entrambe le specie
pioniere è l’adeguata presenza di luce, possono germinare infatti anche nelle
condizioni più avverse. Ogni
apertura della vegetazione
offre quindi loro l’occasione
per stabilirsi ed affermarsi. Nell’uso dei boschi cedui
dovrebbero pertanto essere
adottate delle misure che
riducano al minimo l’inci-
denza della luce. Tradotto in
pratica, ciò significa aree di
taglio ridotte, in modo che
il restante popolamento arboreo ombreggi le superfici
aperte. Inoltre dovrebbero
essere rilasciate sul terreno molte matricine (alberi
del vecchio popolamento,
spesso piante da seme, che
restano per più di un ciclo).
 L’ailanto dalla Cina, la robinia dall’America: la tabella mette a confronto le esigenze di habitat, le particolarità e i dettagli legati alla loro riproduzione. Risulta chiaro il motivo per cui si possono diffondere così
fortemente in Alto Adige. Misure di controllo meccaniche, come ad esempio il taglio delle piantine, promuove
solo la formazione di nuovi germogli e rende la pianta ancora più competitiva.
Ailanto
Robinia
Introduzione in Europa
Metà del 18. secolo
Inizio del 17. secolo
Aree di diffusione
spontanea
Aree calde, soprattutto zone mediterranee e submediterranee
Aree calde, soprattutto zone
(sub-)continentali e submediterranee
Presenza urbana
Presenze incolte, bordi stradali,
argini, muri
Presenze incolte, bordi stradali,
argini
Ecosistemi particolarmente a rischio a cusa
della loro invasione
- Prati magri, falesie, boschi
ripariali, boschi da mediamente
a molto secchi
- In Alto Adige: praterie steppose
della Val Venosta
- Prati magri, boschi secchi
- In Alto Adige: praterie steppose,
boschi misti in burroni e pendii
scoscesi
Valore economico
Limitato (principalmente ornamentale in città)
Alto (legname da costruzione, da
ardere e produzione mellifera)
Età riproduttiva
3-5 anni
ca. 6 anni (di rado 3 anni)
Modalità di diffusione
Vento, acqua
Gravità, vento
Distanza di dispersione
dei semi
Oltre 200 m
Solitamente pochi metri, con
bacelli dei frutti fino a 100 m
Capacità di germinazione
Ca. 1 anno
Più anni
Velocità di crescita delle
piantine da seme
Oltre 1 m all‘anno
Oltre 1 m all‘anno
Velocità di crescita del
pollone dalla ceppaia
Fino a 3 m all‘anno
Fino a 5 m all‘anno
Moltiplicazione vegetativa
Molto forte (germogli vegetativi)
Molto forte (polloni radicali)
Tolleranza al caldo e alla
siccità
Alta fino a molto alta
Alta
Resistenza al freddo
Moderata (bassa nelle piante
giovani)
Moderata (sensibile alle gelate
primaverili)
Esigenza di luce
Alta
Alta
Particolarità
Rilascia nel terreno sostanze
che danneggiano le altre piante
(allelopatia)
In grado di fissare l‘azoto (N) con
cui “fertilizza” in modo naturale
suoli poveri in N
37
Foto: (C)
Foto: (C)
Boschi cedui come protezione dalla caduta massi
La regola generale è: più il masso è grande, più energia possiede e più la pianta deve
essere grossa per fermarlo. Per questo motivo singole matricine (rilasci), ossia fusti o
polloni singoli più grossi, che vengono lasciati per più di un ciclo di 30 anni, migliorano fortemente la protezione contro massi di grandi dimensioni. Pertanto, giovani boschi cedui,
caratterizzati da molti polloni di piccolo diametro, offrono buona protezione contro massi
di piccole dimensione, ma praticamente nessuna protezione contro massi più grandi.
Foto: (L)
La circonferenza e la
densità delle piante determinano la protezione
contro la caduta massi
La maggior parte dei boschi
cedui crescono lungo i ripidi fianchi della valle Isarco
e della valle dell’Adige, dove
sono di estrema importanza
come protezione contro la
caduta massi. La domanda
però è: cedui giovani e cedui
vecchi proteggono ugualmente bene dalla caduta
massi? Per rispondere al
quesito, sono state rilevate,
nelle aree di studio di Cortaccia e Gargazzone, tutte
le strutture del bosco su un
totale di 30 superfici; ossia,
Il
li
ei singo
d
o
r
t
e
diam
lloni
di po
mero
Il nu
poco dopo il
taglio
ti nella protezione contro la
caduta massi. Ciò comporta
che, dal punto di vista della
protezione contro la caduta
massi, si potrebbe allungare senza problemi il ciclo dei
boschi cedui, ad es. da 25 a
40-50 anni.
Quando, tuttavia, le piante
invecchiano troppo, perdono stabilità e minacciano di
rovesciarsi insieme con l’intera ceppaia o di spezzarsi.
Tale stadio di invecchiamento nei boschi di protezione
deve essere assolutamente
evitato per fornire un’adeguata protezione contro l’erosione.
per ogni pianta sono stati
misurati il diametro a petto
d’uomo, la specie, la posizione e la circonferenza del
ceppo. Questo ha permesso per ogni bosco rilevato
di riportare al computer la
struttura su di un piano inclinato. Grazie ad un modello informatico sono state
simulate delle cadute massi
su queste superfici (dimensioni del masso 0,25 m³ e
0,5 m³) ed è risultato che i
boschi cedui più vecchi di 25
anni sono stati più efficien-
polloni
le ceppaie
ricacciano
enta
um
ma a
) pri
nsità
e
po (d
ep
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superfi
tradizionale “maturità”
dopo ca. 30 anni
ep
oi d
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nui
sce
.
bosco ceduo invecchiato
 L’età di un bosco ceduo influenza anche la struttura del bosco. Nei pendii scoscesi i boschi
cedui sono spesso importanti per la funzione di protezione contro l’erosione e la caduta massi. Se
vengono lasciati al loro naturale sviluppo per troppo tempo gli alberi possono diventare instabili e
addirittura rovesciarsi (vedi foto sotto a sinistra).
Al contrario regolari e naturali movimenti di massa (come la caduta di sassi, ecc.) favoriscono la
rinnovazione naturale di tali boschi. Il carpino nero e l’orniello ricacciano spontaneamente dopo
una scheggiatura da caduta massi.
39
Ogni quanto bisognerebbe tagliare il bosco ceduo?
Nelle pagine precedenti abbiamo discusso dell’influenza della lunghezza del turno sulla
biodiversità delle piante, dell’effetto sull’invasione di piante quali l’ailanto e la robinia
così come della protezione contro la caduta massi. Il 4. punto, e per molti, parlando di
servizi ecosistemici forniti dal bosco ceduo, sicuramente il più importante è la produzione di legna da ardere. Ma come agiscono dunque l’invecchiamento e l’intensivizzazione,
se paragonati all’uso tradizionale, su tutti e quattro i criteri contemporaneamente?
Foto: (C)
Nel complesso, il governo a ceduo tradizionale
ottiene il miglior risultato
Confrontando la gestione
tradizionale del bosco ceduo
(turno di circa 30 anni) con
boschi cedui invecchiati o
con possibili usi intensivi dai
turni più brevi, ne emerge
che la gestione tradizionale
ottiene in media i risultati
migliori in tutti i criteri (vedi
sotto). La gestione più intensiva con turni brevi quasi
non porta vantaggi. Accanto
ad una limitata produzione
di legname e ad una cattiva
protezione contro la caduta
massi, favorirebbe oltre tutto di molto l’invasione di ailanto e robinia. Dal momento che i boschi di latifoglie
in Alto Adige sono relativamente rari, è doveroso impedire che ailanto e robinia
vadano a soppiantare specie
arboree autoctone. L’invecchiamento non sembra presentare grossi problemi, ma
la produzione di legname è
inferiore rispetto a quella di
un turno tradizionale.
sfruttato ogni 50 anni (raro)
Diver
sfruttato ogni 30 anni (tradizionale)
e
sit
à di piant
sfruttato ogni 10 anni (intensivo)
Pr
name
leg
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odu e
Prote
ut
a massi
Protezio
ailan
iae to
vs. robin
ne
zio
ne cad
basso
gering
medio
mittel
alto
hoch
 Confronto fra boschi cedui con turni diversi: una buona protezione contro la caduta massi è
offerta dai boschi cedui solo a partire da un’età di 30 anni. L’invasione di ailanto e robinia viene contenuta meglio dall’uso tradizionale e da quello raro, mentre l’uso intensivo con turni di 10 anni la
favorisce fortemente. La produzione di legname* è maggiore nella gestione tradizionale, poiché nei
primi 30 anni l’accrescimento è molto forte. La diversità di piante nel sottobosco invece è massima
nell’uso intensivo, data l’alta disponibilità di luce.
*La produzione di legna da ardere è stata calcolata con l’uso di formule allometriche dal Trentino. Lì sono stati abbattuti
un certo numero di carpini neri e ne è stata determinata la massa legnosa. Quindi si sono impostati il diametro e l’altezza
rispetto alla massa e, infine, si sono ottenute delle formule che permettono di ottenere la massa a partire da altezza e
diametro
41
la
vo
Cervi
iv
ecc
hi
Foto: (C)
nt
r
is
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l
ono
a
legati a
In alcune aree dell’Alto Adige, il governo del bosco ceduo vanta una
lunga tradizione e si colloca bene sia come ubicazione che come composizione di
specie arboree. Il bosco ceduo offre molti tipi di servizi agli uomini e la sua conservazione
dovrebbe riguardarci tutti. Una parte della biomassa (rami, ecc.) dovrebbe essere lasciata come concime sulla superficie, per ottenere buone prestazioni anche su terreni poveri
di nutrienti. Piante vecchie, in particolare querce, con alcuni rami morti, costituiscono un
prezioso rifugio per picchi, per piccoli animali che vivono nelle cavità e per alcuni coleotteri.
Foto: (A)
Foto: (C)
Governo del bosco ceduo –
cosa c‘è da tenere a mente?
Lasciare alberi da seme
Rilasci per il legname
A seconda della stazione,
dovrebbero essere lasciate
dalle 60 alle 80 matricine
(piante del vecchio popolamento), così che attraverso i
semi viene assicurata anche
la riproduzione gamica.
Inoltre, dai ceppi più grossi
dei rilasci, si può ottenere
un buon legname. Le querce in particolare sono molto
adatte e formano nel bosco
misto fusti dritti e regolari.
Ombra contro gli intrusi
I rilasci forniscono ombra.
In questo modo rendono
difficoltosa la crescita di
ailanto e robinia, piante
non autoctone che esigono
molta luce. Ciò protegge le
specie arboree autoctone.
Anellare anziché cavare
Robinia:
Anellare il 90%
della circonferenza
Ailanto:
Anellare < 90%
(cioè lasciare
un passaggio
più largo)
La lotta meccanica come
il taglio non è efficace e,
nel caso di ailanto e robinia, non fa che aumentarne la presenza. Il metodo
dell’anellatura però funziona abbastanza bene.
Aree di taglio ridotte
No ai tagli “squadrati“
Nei boschi cedui di protezione i tagli devono estendersi
al massimo 600 m² fino a
0,5 ha. Per evitare la caduta
massi, i tagli devono essere
fatti in modo trasversale
alla pendenza. Il mosaico
che si crea offre una grande
diversità di habitat.
Per far sì che il bosco abbia l’aspetto più naturale
possibile, i bordi dell‘area
di taglio dovrebbero essere mantenuti irregolari e
non geometrici. Nel bosco
restante dovrebbe filtrare la
minore luce solare possibile.
Proteggere ciò che è raro
Specie rare come il sorbo
ciavaredello (sinistra), il
sorbo montano (centro) e
il sorbo comune (destra),
dovrebbero essere lasciate
come rilasci. Oltre ad avere
bei colori in autunno, le loro
bacche sono un alimento
per molti animali del bosco.
43
Il castagneto da frutto tradizionale
Fonte di sostentamento dalla forte identità culturale
Il castagneto da frutto tradizionale è costituito da elementi prativi destinati in genere al
pascolo ovino e da esemplari di castagno europeo, innestati. In Alto Adige i castagneti
tradizionali sono situati in zone spesso scoscese, di difficile gestione. La densità media
dei castagni è di 54 piante per ettaro e circa la metà dei castagneti attivi oggi sono dotati
di impianti irrigui.
Il castagno in Alto Adige
Nonostante l’Italia sia ca­po­
lista della classifica europea
dei paesi produttori di castagne, in Alto Adige la superficie di castagneti è esigua e
la castanicoltura considerata
solo marginale rispetto ad
altre colture dominanti.
Negli ultimi 15 anni, tuttavia, si assiste ad un tentativo
di rivitalizzazione del settore
castanicolo. Il fenomeno del
Törggelen riaccende un interesse anche economico verso
il castagno e alcune iniziative
di recupero di castagneti abbandonati hanno preso piede
con successo.
Le castagne accontentano tutti
In generale, tra i consumatori,
si sta diffondendo sempre
più la richiesta di prodotti
“naturali”, sani, sostenibili,
regionali, biologici. A questo
si aggiunge la componente
culturale e paesaggistica che
convoglia turisti e residenti
sui sentieri tematici e alle
tavole imbandite dei numerosi
Buschenschänke. Se la na­
tu­
ra multifunzionale del
casta­gneto venisse percepita
positivamente dalla società
e dagli stessi castanicoltori,
allora la tradizione potrebbe
tornare ad essere attuale
nelle zone più vocate.
Un futuro anche senza
Indicazione Geografica
Protetta?
L’assenza di certificazioni di
qualità per le castagne altoatesine, non impedisce quindi
ai produttori più ambiziosi di
farsi strada nel mercato locale. Iniziative legate al turismo
autunnale sono presenti da
anni in tutto il territorio. Le
poche associazioni di castanicoltori sono infatti oggigiorno molto attive e guardano
al futuro con rinnovato entusiasmo.
Hopfenbuche
Il castagno europeo (Castanea sativa, Mill.)
Foto: (D)
Il castagno è una pianta eliofila,
Foto: (C)
ama i climi temperati pur tollerando freddi invernali anche intensi.
Predilige i terreni profondi, leggeri,
permeabili e tendenzialmente acidi; lo si trova in genere tra i 400 e
i 700 m s.l.m., ma se le condizioni clima­
tiche lo consentono, può
spingersi oltre i 1000 m s.l.m. Il
castagno è una pianta molto longeva e la sua altezza tocca facilmente i 25 metri. Fiorisce tra giugno e
luglio mentre i suoi frutti maturano tra inizio ottobre e metà
novembre. L‘impollinazione può essere anemofila (per mezzo
del vento) o entomofila (mediante insetti). Apprezzato per il suo
aroma pungente e il sapore amarognolo, il miele di ­castagno è
un prodotto assai pregiato: la presenza di sostanze tanniche e
la percentua­­le di melata ne costituiscono la tipicità.
45
Dalla ghianda del Zeus al pane dei poveri
Il castagno era noto per i suoi frutti sin dall’antichità, tant’è vero che si trova citato sia
nelle opere di Omero che in quelle di Virgilio. Il bota­nico e filosofo greco Teo­fra­sto (IV
a.C.) nei suoi scritti si riferisce al frutto del ca­sta­gno come alla “ghianda di Zeus”, proprio per la bontà “divina” del suo sapore. A partire dal XIV secolo la castagna assume un
ruolo essenziale nell‘alimentazione contadina, aiutando a superare il lungo inverno e
guadagnandosi la nomea di „pane di poveri“.
Foto: (A)
Diffuso dai Romani
Il declino
Il ruolo determinante nella
diffusione del castagno, tuttavia, l’hanno avuto i Romani
che lo introdussero in tutta
l’Europa centro-meridionale
e quindi anche in Alto Adige
a partire dal I secolo a.C., sia
per ricavarne frutti nutrienti
per i legionari che per ottenere paleria utile per i loro
vigneti. L’innesto del casta­
gno invece sembra risalire
all’epoca dei Longobardi, nel
570 circa, ma la vera cultura sudtirolese del castagno
ebbe inizio solo in tempi più
“recenti”, verso il XIII – XIV
secolo.
Dopo alcuni secoli di gloria,
a partire dal XVIII secolo per
la castanicoltura ebbe però
inizio il lento declino. L’ im-
Fonte di vari prodotti
Il bisogno di massimizzare da un lato le calorie
prodotte, dall’altro la biomassa, portarono alla diffusione dei due rispettivi
sistemi d’allevamento: il
castagneto da frutto con piante innestate e il bosco di
castagni selvatici.
Alcuni contadini co­
min­
ciarono ad integrare la
produzione di castagne
e legname in un si­­
stema
economico misto: all’interno
dello stesso castagneto,
alcune
piante
venivano
innestate
mentre
altre
venivano lasciate crescere
liberamente.
Inoltre
si
sfruttavano i polloni che
spuntavano dai ceppi di
alberi abbattuti per farne
paleria per i vigneti. Iniziò
così il periodo di gloria per il
castagno in Alto Adige.
 L‘Illustrazione medievale proveniente dal Tacuinum
sanitatis dimostra l‘uso diffuso
della castagna come alimento e
rimedio terapeutico.
portazione di nuovi alimenti,
come la patata e il mais, resero la castagna marginale
e poco competitiva, mentre
la grande rivoluzione indu­
striale portò all’esodo dalle
campagne. Molti castagneti
vennero sacrificati per produrre carbone prima e tannini poi. La fase discendente
durò per tutto il Novecento,
acutizzandosi nel secondo
dopoguerra. In Alto Adige
ini­ziò l’intensivizzazione (e il
successo) della melicoltura;
di conseguenza l’agricoltura,
da attività di sussistenza, divenne un’attività economica
performante e proficua.
 Superfici ricoperte a castagneto in Alto Adige. A testimonianza di un florido passato castanicolo, oggi i castagneti sono presenti soprattutto in Valle Isarco e nel Burgraviato. Nella cartina
sono evidenziati i corsi d’acqua lungo i quali si trovano (in blu) i
castagneti e (in marrone) i centri urbani. I dati sulle superfici a
castagneto sono molto contrastanti, ma possono essere stimate
tra i 160 e i 300 ettari (fonte: Censimento agricoltura 2010, Ispettorato forestale Merano).
47
Il mantenimento rappresenta una sfida per molti, l’abbandono una
sconfitta per tutti
I castagneti tradizionali richiedono molta manodopera. Il suolo deve essere mantenuto pulito da foglie, rami e ricci. La raccolta viene fatta manualmente e spesso questa coincide
per molti agricoltori con il periodo di raccolta delle mele autunnali e con la vendemmia.
La mancanza di tempo e risorse è quindi il motivo principale che spinge molti agricoltori a
trascurare i castagneti.
Foto: (D)
Patrimonio varietale a
rischio
esistono degli aiuti provinciali ed europei (vedi box).
Nei castagneti tradizionali
è presente anche una grande varietà genetica di cultivar, selezionate dall’uomo
in secoli di storia contadina.
Alla base della struttura varietale del castagneto vi era
la diversificazione, sia delle
­caratter­i­­­­­­stiche ecologiche
della pianta (cicli fenologici), che del prodotto (caratteristiche merceologiche).
Il che, tradotto in pratica,
significava produzione protratta nella stagione e frutti
atti ad ogni uso. Mantenere
attivi e gestiti i castagneti permette quindi di evitare che la diversità varietale
vada perduta, in favore delle
varietà più adatte alla commercializzazione.
Da coltivatore a manutentore del territoio
Il castagneto da frutto, fortunatamente, conserva una
precisa identità culturale
anche dopo un lungo abbandono. Ripristinare antichi
castagneti abbandonati è
possibile anche attraverso il
recupero di sentieri, di muri
a secco e di canali di irrigazione, oltre che mediante
potature straordinarie.
 Un castagneto attivo
viene gestito con piante
selezionate e innestate.
Tale situazione artificiale, insieme ad una
ridotta biomassa e alla
natura aperta della
struttura, nel momento
dell’abbandono rende il
castagneto tradizionale
particolarmente suscettibile all’invasione
di altre specie.
Foto: (C)
Aiuti contro l‘abbandono
In assenza di gestione il castagneto viene invaso velocemente da specie arbustive
e arboree, dando origine (in
circa 35-40 anni) ad un bosco misto. Per far fronte alle
difficoltà dei castanicoltori,
Foto: (C)
 Se abbandonato, un castagneto va
incontro a dinamiche
post-culturali. Queste
danno origine ad una
trasformazione dell’ecosistema consistendo
in una rapida invasione
da parte di altre specie
arboree, nella riduzione della biodiversità e
nella diminuzione della
fornitura di servizi ecosistemici.
Premi incentivanti per la cura ed il mantenimento dei castagneti
La gestione dei castagneti da frutto è relativamente onerosa; questi però costituiscono
degli habitat tra i più preziosi in Alto Adige. Per questo fino al 2014 esistevano per gli
agricoltori che ne facevano richiesta, dei premi incentivanti per la cura ed il mantenimento dei castagneti. Il pagamento dei premi era condizionato dai seguenti criteri: nessuno spianamento dei terreni , nessun uso di concimi minerali nè di liquame o colaticcio.
Dal 2015 entrano in vigore nuove direttive finanziarie. Gli agricoltori che possiedono
castagneti da frutto possono rivolgersi all‘Ufficio ecologia del paesaggio o alle stazioni
forestali locali per ottenere informazioni sulle attuali modalità di contributo.
Inoltre, il forestale di riferimento saprà informare chi lo desidera sul contributo unico
(una tantum) per rivitalizzare un castagneto abbandonato o trascurato.
49
Un mosaico di nicchie e di rifugi
L’ambiente aperto del castagneto e la presenza di vecchi alberi cavi costituiscono il rifugio
ideale per uccelli e pipistrelli insettivori. Questi ultimi riescono a cacciare agevolmente
le loro prede in luoghi dove la densità di piante è minore e non ostacola l‘ecolocazione.
Foto: (C)
Chi vive nel castagneto?
La combinazione di elemen­ti
prativi con elementi forestali, tipica dei castagneti tradizionali, costituisce l’uni­ci­tà
di questo ecosistema e ne
aumenta i servizi prodotti.
Quando un castagneto viene
abbandonato, le specie animali e vegetali tipiche degli
ambienti prativi non trovano
più l’habitat adatto, mentre
la diversità genetica dei castagni e la varietà degli ele-
menti paesaggistici vengono
meno.
Sono specie di uccelli che
abitano nel castagneto: il
picchio verde (Picus viri­dis),
il codirosso (Phoenicurus
phoenicurus), il pigliamosche (Muscicapa striata), lo
zigolo muciatto (Emberiza
cia), l’upupa (Upupa epops).
Altre specie che trovano rifugio negli anfratti degli alberi
più vecchi sono i pipistrelli,
tra cui la Nottola di Leisler
(Nyctalus leisleri), e altri
piccoli roditori quali ghiri e
scoiattoli. Tra gli invertebrati che prediligono l’ecosistema castagneto: i neurotteri
Mantispa styriaca e Nineta
flava, l’imenottero Ceratina
cyanea. Infine, alcune specie erbacee frequenti nei
castagneti gestiti: la lassana comune (Lapsana communis), il ranuncolo lanuto
(Ranunculus lanuginosus) e
la prunella dai fiori grandi
(Prunella grandiflora).
 Il castagneto tradizionale ben gestito rappresenta un ecosistema silvo-pastorale e conta un maggior numero di specie rispetto ai singoli ecosistemi (pascolo o foresta)
Chi minaccia il castagno?
Oltre all’incuria e all’abbandono, esistono anche altri tipi di avversità.
Foto: (C)
 Mal dell’inchiostro.
Causato da due specie appar­
te­nenti al genere Phytophtho­
ra, interessa principalmente
l’apparato radicale ed è letale.
Come prevenzione è indispensabile evitare ristagni d’acqua
intorno alla pianta.
 Cancro corticale.
L’agente responsabile del cancro
corticale è Cryphonectria parasitica (Murr.). Si combatte con
potature di risanamento e mediante inoculazione, sulle parti
colpite, di preparati composti da
ceppi del fungo ipovirulenti.
Fotos: forestryimages.com
 Vespa galligena asiatica.
Dryocosmus kuriphilus ha fatto
la sua comparsa solo in tempi
recentissimi, ma è considerato
il parassita più aggressivo del
ca­sta­gno. Si può contenere con
la diffusione del parassitoide
antagonista Torymus sinensis.
51
Dal produttore al consumatore... purché locale
La filiera delle castagne in Alto Adige è stata analizzata, per la prima volta, con il coinvolgimento dei tre gruppi di interesse principali: 138 produttori, 60 distributori e 300 consumatori sono stati intervistati, con questionari specifici per ogni categoria, su: produzioni,
vendite, acquisti, consumi e percezioni personali riguardo il mercato delle castagne nostrane.
Foto: (D)
Pochi, ma buoni!
Secondo il sondaggio svolto presso 138 castanicoltori
equamente distribuiti per
il territorio, la totalità degli
intervistati considera la castanicoltura un’attività se­
con­
daria rispetto a colture
più competitive, quali mele
e uva. In generale, infatti,
la superficie agricola utilizzata per la castanicoltura in
Alto Adige costituisce poco
più del 3,5% della superficie
aziendale totale.
Gli stessi castanicoltori, ultimamente, cominciano a
riconoscere nel castagno un
importante elemento pae­
saggis­
tico e ricreativo del
territorio, tanto che il 40%
di loro è consapevole del
legame esistente tra una
corretta gestione dei propri
castagneti e la presenza di
turisti durante il periodo del
Törggelen.
Protagonisti sul campo
A coordinare le attività di promozione della castanicoltura altoatesina si adoperano
le due associazioni di produttori locali (l’associazione
“Vinschgau” e l’associazione
“Keschtnriggl” di Tesimo:
www.kastanien.it) e il circolo
di lavoro “Castagne della Val
d’Isarco”.
 Ai castanicoltori altoatesini è stato chiesto: “Per quale
motivo lei si dedica alla coltivazione di castagne?”
 Caratteristiche aziendali dei castanicoltori altoatesini secondo guadagno, età e irrigazione.
Media
Alto
Adige
Hanno un
guadagno
con casta­
gne
Non hanno
un guada­
gno con
casta­gne
Proprie­
tario
< 45 anni
Proprie­
tario
> 45 anni
Castagneti
irrigati
Casta­
gneti
non
irrigati
% dei castanicoltori
100
50
50
30
70
30
70
Castagni/Azienda
27
34
10
35
18
28
20
Castagni/ha
58
75
39
72
53
76
49
kg/Azienda
300
518
86
541
221
494
222
kg/ha
940
1513
310
1236
853
1577
661
Consumi e distribuzioni
In ge­ne­rale tra i consumatori
si avverte una forte esigenza
di castagne nostra­
ne e ciò
si riflette chiaramente nelle abitudini d’acquisto degli
altoatesini: nonostante sia
estesa la perce­zione che la
castagne locali siano anche
le più costose, quasi l’80%
dei consumatori intervistati
predilige i prodotti made in
Alto Adige.
Anche i distributori credono
nel prodotto locale, sebbene sottolineino la mancanza di una certificazione di
qualità legata al territorio.
Il 79% dei rivenditori dichiara di continuare a vendere
ca­sta­gne nostrane, perché
convinto della bontà del prodotto, mentre il 55% è ottimista sul futuro del mercato
locale. Nuove strategie di
comunicazione tra produttori, rivenditori e ristoratori,
oltre ad eventi gastronomici
di rilievo, aumenterebbero il
consumo di castagne locali
negli anni a venire, secondo
la totalità dei distributori.
 “Vietato raccogliere
castagne, grazie.“ Raccogliere castagne altrui,
vanifica il duro lavoro dei
castanicoltori.
Foto: (D)
53
Un solo albero, molteplici talenti
Un castagneto tradizionale viene gestito per l’ottenimento dei frutti. Tuttavia esso è in
grado di offrire svariati altri servizi ecosistemici, di approvvigionamento, di regolazione, di
supporto e culturali.
Foto: (D)
Il legame col turismo e
la cultura
Il castagneto tradi­
zionale
racconta la storia di un popolo come pochi altri ecosistemi al mondo. La simbiosi tra
uomo e pianta ha aiutato intere generazioni a far fronte
ai lunghi inverni. Imbattersi
in un castagno secolare oggi
significa trovare una sorta di
capsula del tempo, capace
di legare presente e passato
e di celebrarne l’alto valore
culturale. Ma il castagneto è
anche portatore di biodiversità, di educazione, di ricreazione e di estetica. Il legame col turismo territoriale è
stato infatti la spinta per la
realizzazione dei due sentieri tematici in Valle Isarco e a
Foiana, che rappresentano
oggi una risorsa turistica di
rilievo, anche per i residenti.
Secondo un sondaggio effettuato nell’autunno del
2011 tra 60 avventori dei due
sentieri tematici, solo il 20%
dei residenti erano alla pri-
ma visita, contro il 70% dei
turisti. Ciò dimostra che il
paesaggio costituito da castagneti è un bene di uso
continuo (riuso) e che l’estetica è un servizio ecosistemico molto apprezzato dalla
società locale.
Foto: (D)
 Quando i produttori intendono valorizzare l’estetica dei
castagneti, nascono i sentieri del castagno che attirano turisti
e residenti in quantità. In Alto Adige sono due: il sentiero del castagno in Valle Isarco e il sentiero didattico sul castagno a Foiana
(Lana).
 Una questione di gestione
i
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le
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funzionalità di
un castagneto cu
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diver
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ali
e
m
na
hi
La quantità e la diversificazione
delle funzioni espletate dal
castagno dipendono dall’ecosistema in cui esso si
inserisce. A seconda
del tipo di gestione
e della struttura
dell’ecosistema,
saranno pri­vi­le­
gia­ti al­cu­ni ser­vi­
zi e li­mi­ta­ti al­tri,
o vice­versa. È
l’indirizzo produttivo na­tu­ral­
mente a determinarne il tipo
di gestione e la
forma di governo. In Alto Adige
sono presenti
soprattutto casta­
gne­ti tradizionali
(attivi, abbandonati
o semi-abbandonati)
e boschi cedui (talvolta
in fase di conversione a
fustaia, come nei dintorni del
lago di Monticolo).
55
I castagneti tradizionali in Alto Adige, oltre a produrre frutti e legname,
contribuiscono al benessere della società, fornendo una serie di servizi culturali ed educativi e mantenendo elevato il livello di biodiversità; la loro gestione perciò deve tenere
conto non solo dell’aspetto produttivo, bensì anche di tutto l’insieme di benefici che da
essi derivano, per fare sì che la popolazione ne percepisca il maggior numero possibile.
Foto: (D)
Castagneti da frutto tradizionali Che cosa c‘è da tenere a mente?
Pulire il sottobosco
Non solo per facilitare la
raccolta, ma anche per salvaguardare animali e piante
che vivono in questo connubio di prato e bosco.
Proteggere i castagni
Piante giovani e sane
Eliminare le specie invadenti che sottraggono
ai castagni luce, acqua e
nutrimento, oltre ad alterare la struttura agroforestale
dell’ecosistema.
Piantare castagni giovani
ed effettuare regolari potature di mantenimento sugli
adulti mantengono alta la
produzione attuale e futura,
aumentano la pezzatura dei
frutti ed evitano fenomeni di
alternanza.
Foto: (D)
Foto: (D)
Irrigare opportunamente
Concimare poco e bene
Sistemare le vie di accesso al terreno e optare per
un’ eventuale impianto di
irrigazione: la produzione
di castagne aumenta più
del doppio in un castagneto
adeguatamente irrigato.
Evitare l’uso di fertilizzanti chimici e liquidi, poiché
alterano la biodiversità vegetale e animale. Preferire
letame maturo ed eventualmente sfruttare il sottobosco per il pascolo.
Lasciare alcuni veterani
Cure agronomiche al posto
dei pesticidi
Alberi vecchi, con taluni
rami morti, rappresentano
un rifugio ideale per alcune
specie di uccelli, pipistrelli,
insetti o anche mammiferi.
È pertanto fondamentale
lasciarne alcuni in loco.
Foto: (C)
Sfalciando e tenendo il
sottobosco libero da rami,
foglie e ricci, si impedisce
lo sviluppo di infestanti e si
limitano gli attacchi parassitari; l’uso di pesticidi
diventa marginale.
57
Pubblicazioni nel progetto EcoRAlps
Articoli sull‘argomento Prati e Pascoli a larici:
Fontana, V., Radtke, A., Walde, J., Tasser, E., Wilhalm, T., Zerbe, S., Tappeiner, U. (2014): What
plant traits tell us: consequences of land-use change of a traditional agro-forest system on
biodiversity and ecosystem service provision. Agriculture, Ecosystems and Environment 186:
44-53.
Nascimbene, J., Fontana, V., Spitale, D. (2014): A multi-taxon approach reveals the effect of
management intensity on biodiversity in Alpine larch grasslands. Science of The Total Environment 487: 110-116.
Fontana, V., Radtke, A., Bossi Fedrigotti, V., Tappeiner, U., Tasser, E., Zerbe, S., Buchholz, T.
(2013): Comparing land-use alternatives: Using the ecosystem services concept to define a
multi-criteria decision analysis. Ecological Economics 93: 128-136.
Nagler, M. (2013): Veränderungen der Kohlenstoffpools in Böden landwirtschaftlich genutzter und aufgelassener Lärchenwiesen in Südtirol. Diplomarbeit Universität Innsbruck.
Zoderer, B. (2013): Social preferences regarding ecosystem service categories. A non-economic case study of three South Tyrolean cultural landscapes. Bachelorarbeit Eurac Bozen.
Articoli sull‘argomento Boschi cedui:
Ambrass, S., Radtke, A., Zerbe, S., Fontana, V., Ammer, C. (2014): Ausbreitung und Management von Götterbaum und Robinie in Niederwäldern. Erkenntnisse aus einer Fallstudie zu
invasiven Baumarten in Südtirol. Naturschutz und Landschaftsplanung 46(2): 45-51.
Radtke, A., Fontana, V., Wilhalm, T., Tappeiner, U., Zerbe, S. (submitted): Let’s coppice again?
The ground flora’s response to coppice over-aging and coppice resuming.
Radtke, A., Toe, D., Bourrier, F., Zerbe, S., Berger, F. (2014): Managing coppice forests for
rockfall protection – lessons from modeling. Annals of Forest Science 71(4): 485-494.
Radtke, A., Ambraß, S., Zerbe, S., Tonon, G., Fontana, V., Ammer, C. (2013): Traditional coppice forest management drives the invasion of Ailanthus altissima and Robinia pseudoacacia
into deciduous forests. Forest Ecology and Management 291: 308-317.
Articoli sull‘argomento Castagneti da frutto:
Bossi Fedrigotti, V., Fischer, C. (2014): The supply chain of sweet chestnuts in South Tyrol.
Rivista di Economia Agro-Alimentare 1: 117-137.
Bossi Fedrigotti, V., Fischer, C., (in revision): Sustainable development options for the
chestnut supply chain in South Tyrol, Italy. Chiang Mai Journal of Science
Bossi Fedrigotti, V., Radtke, A., Zerbe, S., Conedera, M., (2014): Measuring multifuncionality
of Sweet chestnut-related agroforestry systems: how did the provision of ecosystem services change in the last century? submitted to Sociologia ruralis.
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Una cooperazione fra
Quest‘opuscolo è stato finanziato dalla
Fondazione Stemmler all‘interno del
e
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Forme tradizionali di agricoltura e silvicoltura in Alto Adige