iLepini
Lepini
6
apagina
Più attenzione
ai centri storici
12
apagina
Cultura
e sviluppo locale
20
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Le “Semprevise”
possibili
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apagina
Alla scoperta
di... Gorga
26
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Ecosistemi
e biodiversità:
questioni che ci
riguardano
29
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Sulle orme
dei dinosauri
Quelle callare
di Italo
32
apagina
Mazzini nel cuore
dei Lepini
Rivista mensile della XIII e della XVIII Comunità Montane dei Monti Lepini a cura della Compagnia dei Lepini S.c.p.A. n° 10 novembre 2005
Comune
di Artena
Provincia
di Latina
Comune
di Priverno
Comune
di Bassiano
Comune
di Prossedi
Comune di
Carpineto Romano
Comune
di Roccagorga
Comune
di Cori
Comune di
Rocca Massima
Comune
di Gorga
Comune di
Roccasecca dei Volsci
Comune
di Maenza
Comune
di Segni
Comune
di Montelanico
Comune
di Sermoneta
Comune
di Sezze
Oralità tra
dinosauri e futuro
Comune
di Norma
Comune
di Sonnino
10
10
Lepini
Compagniadei
la società è strumento operativo dei soggetti privati per:
REALIZZARE servizi di consulenza, assistenza, tutoraggio per la
creazione e lo sviluppo di nuove imprese nel settore turistico;
PROMUOVERE e realizzare processi di sviluppo di sistemi di
qualità per le imprese e per la produzione del territorio a
valenza turistica;
PROMUOVERE e realizzare processi di innovazione e di sviluppo
tecnologico ai fini di una più efficace ed efficiente fruizione
del territorio;
ELABORARE e realizzare programmi formativi adatti alla
qualificazione e riqualificazione degli operatori del settore
turistico;
PROGRAMMARE e realizzare interventi coordinati ed integrati
tra Pubblico e Privato, finalizzati alla valorizzazione turistica
del territorio, delle imprese e delle produzioni.
XIII Comunità Montana
Roberto Campagna Direttore
XVIII Comunità Montana
la società è strumento operativo degli enti locali per:
GESTIRE gli interventi del programma S.T.I.Le. (organizzazione e
gestione welcome point; organizzazione e gestione dei servizi
accessori quali aree parking, aree verdi attrezzate, itinerari
culturali, storici, ambientali);
ORGANIZZARE eventi, manifestazioni, fiere, spettacoli, mostre di
interesse sull’intera area;
ORGANIZZARE e gestire attività di promozione, a fini turistici,
dell’area sui mercati nazionali ed internazionali;
ORGANIZZARE e gestire attività di comunicazione, pubbliche
relazioni ed immagine per l’area dei Monti Lepini;
ELABORARE e realizzare modelli gestionali innovativi del
patrimonio culturale, storico, artistico del territorio.
ralità e scrittura hanno un punto di
contatto nella pagina dove si conserva il
sapere e si salvano le tradizioni”. Così
scriveva Spaesamenti, un’associazione
culturale di Sezze, in uno dei tanti
quaderni che pubblicò, tra la fine degli anni Novanta e
l’inizio del Terzo Millennio, con la collaborazione
dell’Archivio storico dell’oralità dei Monti Lepini. Questo
per dire che sul binomio oralità e letteratura non c’è
niente di nuovo: di esempi è pieno il mondo. E ce ne
sono, come abbiamo visto, anche nel comprensorio
lepino. L’associazione Spaesamenti nacque allo scopo di
“indagare la memoria” di una comunità e di pubblicare
tutte le “scoperte”. Sull’onda di questa esperienza fu
realizzato l’Archivio storico dell’oralità dei Monti lepini,
la cui sede è ancora ospitata nel palazzo comunale di
Bassiano. Gli stessi amministratori bassianesi
finanziarono il progetto. Certo, i quaderni pubblicati non
sono proprio capolavori letterari, ma questo non era
l’intento di Spaesamenti e dell’Archivio dell’oralità, in
“O
cui, tra l’altro, è ancora conservato tanto materiale
raccolto. Dunque, anche se andavano nella stessa
direzione dell’iniziativa sperimentata a Segni (a cui
dedichiamo un ampio servizio nelle pagine seguenti),
sono una cosa profondamente diversa. Comunque, in
passato operazioni simili alla “provocazione” letteraria
segnina sono state già fatte nei Monti Lepini. Ciò non
per sottovalutare l’iniziativa di Segni, ma, ripeto, per
sottolineare che su questo fronte è stato già tutto
inventato. E allora dove sta la novità? La novità sta nel
fatto che, ora, si punta a far diventare la ricerca orale e
l’utilizzo, la pubblicazione e la promozione del materiale
raccolto occasione di sviluppo. Si mira a realizzare nei
Monti Lepini “il distretto dell’oralità” e la manifestazione
segnina è stata solo il primo passo di questo progetto,
organico e sistemico, che dovrebbe camminare di pari
passo con il Programma STILe. Insomma, non si vuole
rischiare di far succedere quello che è accaduto con i
dinosauri, le cui orme, come riportiamo nel Primo Piano,
sono state ritrovate in una cava di Sezze. Se ci fosse
stato qualcuno che avesse raccontato della loro
presenza e qualcun’altro lo avesse scritto, non ci
sarebbero voluti secoli per scoprire il loro passaggio su
questi monti. Ecco, questa storia e tante altre storie del
comprensorio dovranno “produrre” ricchezza.
3
iLepini
il progetto S.T.I.Le.
2
Provincia
di Roma
editoriale
iLepini
ENTI PARTECIPANTI
iLepini
intervento
Le Comunità Montane
non si toccano
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10
Quirino Briganti
Presidente XVIII Comunità
Montana dei Monti Lepini
recenti dichiarazioni di autorevoli
esponenti del governo, secondo cui il
maxiemendamento alla Finanziaria doveva
prevedere l’abolizione delle 356 Comunità
Montane in Italia per un mero calcolo
monetario, rappresentano un fatto grave che, come ha
affermato il Presidente nazionale dell’Uncem Enrico
Borghi, impone una immediata presa di posizione. Alla
fine, nel documento licenziato dal Senato, la proposta di
abolizione non ha trovato posto. Rispetto al 2005 però,
gli enti montani avranno a disposizione 2 milioni di euro
in meno. Le Comunità Montane sono nate per tutelare e
valorizzare parti importanti del territorio italiano, la loro
salvaguardia assume un alto valore civile, sociale e
culturale. La sola idea di volerle cancellare è
completamente sbagliata e fuorviante, infatti non si
possono eliminare così enti che sono stati riconfermati da
una sentenza della Corte Costituzionale come obbligatori
dotati di funzioni proprie. Lo stesso articolo 44 della
Costituzione pone come strategico l’impegno, peraltro non
eludibile, dello Stato per le zone montane. Inoltre il Testo
Unico, approvato con D. Lgs. 267/2000, all’art. 2 individua
inequivocabilmente le Comunità Montane come enti locali
e l’art. 27 determina la natura delle stesse quali unioni di
comuni tra enti montani. Ricordiamo che questo attacco
Le
Franco Solli
Presidente XIII Comunità
Montana dei Monti Lepini e Ausoni
a qualche tempo si è tornato a parlare con
forza del Parco dei Monti Lepini. Il progetto è
ambizioso, non a caso se ne parla da oltre
trent’anni ma ancora nulla di concreto è stato
fatto. Questa volta però la giunta regionale
sembra fare veramente sul serio, vari amministratori
locali, tra cui spicca il presidente della XVIII Comunità
Montana Briganti stanno impegnandosi a fondo per
calamitare l’attenzione sull’iniziativa e sempre più
incontri sono organizzati per sensibilizzare cittadini e
istituzione. La XIII Comunità Montana non può che
guardare con favore a questo movimento.
Pensiamo che l’istituzione del Parco sia una grande
possibilità per tutto il territorio lepino. La disciplina che
verrebbe introdotta con la creazione dell’area protetta
D
sarebbe infatti una garanzia di conservazione e
valorizzazione per tutto il territorio. L’area Lepini, poi,
non si trova affatto impreparata ad un processo di così
grandi proporzioni. Il Programma STILe ha infatti sparso
nel comprensorio i semi di un nuovo modo di pensare
l’ambiente e le risorse storiche, sociali, artistiche,
enogastromiche e tradizionali.
Gli interventi previsti in esso hanno poi contribuito a
creare le infrastrutture indispensabili per il
funzionamento ottimale del Parco. I welcome point, i
lavori di restauro, l’Anello 111, sono solo alcuni dei
progetti che favoriranno non popola creazione di un’area
protetta. Anche il progetto Horst si muove nel campo
della valorizzazione e sul recupero delle peculiarità soprattutto geologiche e ambientali - dei monti Lepini.
Le premesse sono quindi state gettate. Ciò che ora è
necessario è che i cittadini, e soprattutto le istituzioni,
credano veramente nel Parco e lavorino per la sua
realizzazione. Sarebbe un sogno che diviene realtà.
viene rivolto ad istituzioni che rappresentano le aree più
deboli del paese (oltre 10 milioni di abitanti) e che hanno il
compito, così come stabiliscono le normative vigenti, di
promuovere la salvaguardia del territorio montano, con
particolare attenzione all’ambiente naturale, alla
valorizzazione delle risorse umane e culturali, alle attività
economiche, alla conoscenza e alla fruizione del patrimonio
montano. La recente giornata di protesta indetta
dall’Uncem nazionale svoltasi presso il cinema Caprinica a
Roma, dove è stato convocato, in seduta straordinaria, il
consiglio nazionale dell’associazione, allargato ai presidenti
delle Comunità Montane ed a tutti i sindaci dei comuni
Montani, è stata l’occasione per far sentire la voce degli
Amministratori della montagna contrari a tale prospettiva.
Resta aperta la questione relativa al Ddl della Finanziaria
2006 dove non solo il Fondo per la Montagna per gli
investimenti non è stato incrementato, ma è addirittura
scomparso! Il testo non contiene, infatti, alcuna previsione
rispetto a questa voce. Il nostro auspicio è che questo
Fondo venga presto ripristinato e nel contempo si
prevedano la compartecipazione delle Comunità ad un
grande tributo erariale, incentivi finanziari aggiuntivi per lo
svolgimento di funzioni e servizi in forma associata e
l’istituzione di un fondo perequativo in relazione alla
copertura dei maggiori oneri presenti in montagna che
presentano l’esigenza di sopperire ai sovracosti strutturali
permanenti, oggi completamente a carico dei cittadini e
delle istituzioni locali. La montagna è una risorsa per
l’intero paese non si può azzerare.
5
iLepini
intervento
4
Parco, la nostra
occasione
iLepini
10
10
Giancarlo Siddera
Presidente Compagnia dei Lepini
Forum organizzato a Bassiano sabato 29
ottobre sul “Il territorio dei Lepini: come
interpretare
la
complessità
delle
trasformazioni”, è stata un’utile occasione per
analizzare le politiche in atto e indicare
possibili ipotesi di progettazione e programmazione
future per governare le problematiche attinenti ai centri
storici dei monti Lepini. La Compagnia dei Lepini è
direttamente interessata a questo tema anche perchè è
uno dei punti qualificanti dei “Progetti Trasversali”
adottati dal programma STILe.
I centri storici sono un patrimonio di gran pregio da
valorizzare e spendere per lo sviluppo delle nostre
comunità. Le abitazioni lasciate vuote ed abbandonate,
anche secondo il parere degli urbanisti, dei sociologi e
dei politici, sono un problema. Il nostro obiettivo è
passare da questa valutazione negativa alla
consapevolezza che essi sono una risorsa di sviluppo.
Il quesito che ci poniamo è il seguente: perché nei
centri del nostro territorio gli imprenditori non effettuano
investimenti consistenti per la costruzione di strutture
alberghiere? Vi è, e questo mi sembra essere una
ragione fondata, una sorta di sfiducia degli operatori del
settore, nell’investire capitali cospicui in strutture
alberghiere. Questo perché non prevedono una resa
economica certa per gli investimenti effettuati.
E non è questione procedurale di rilascio di concessione
urbanistica. Ogni Piano Regolatore prevede
insediamenti ricettivi. Come Compagnia dei Lepini
avanziamo alcune ipotesi di soluzione per uscire da
questo circuito vizioso. Andranno ovviamente discusse,
ampliate ed emendate per arrivare, eventualmente, ad
una scelta finale condivisa.
Come prima possibilità proponiamo agli amministratori,
ai cittadini ed agli operatori privati, la realizzare di un
nuovo modello di ricettività ed accoglienza che
possiamo definire “Albergo Diffuso”. È questa una
nuova tipologia urbanistica sulla quale si è acceso il
dibattito in molte regioni italiane. L’Albergo Diffuso si
caratterizza per alcune specifiche caratteristiche: è una
Il
struttura ricettiva unitaria a disposizione di chi è
interessato a soggiornare in un contesto urbano di
pregio, a contatto con i residenti. Può inoltre configurarsi
come un albergo orizzontale inserito entro il contesto
del centro storico, con camere e servizi in edifici diversi,
ma vicini tra loro. Evidenti sono i benefici derivanti da
questa nuova impostazione alberghiera.
Si evitano gli inconvenienti di nuove costruzioni e si
recuperano e valorizzano vecchi edifici non utilizzati.
È una soluzione particolarmente adatta ai nostri centri
storici dotati di caratteristiche rilevanti.
Il secondo modello idoneo alla valorizzazione dei centri
storici è l’introduzione di un nuovo sistema di scambi
commerciali, che viene definito “centro commerciale
naturale”. È ciò che noi stiamo già attivando con preincontri tra alcune amministrazioni e tra gli operatori
pubblici e privati. Questa è una formula per il recupero
e la riattivazione dei piccoli negozi che sono in possesso
già di autorizzazioni e sono già funzionanti.
Stiamo davanti ad una vera e propria inversione di rotta.
La dirompente espansione della grande distribuzione ha
ridimensionato i tradizionali negozi a gestione familiare.
Le stesse botteghe di antichi mestieri e di artigianato
sono di fatto scomparse dai centri storici. È andato
perduto un ricco patrimonio di forte coesione sociale.
Il centro commerciale naturale, con la riapertura delle
botteghe e la rivitalizzazione dei negozi, ritorna ad
essere un investimento produttivo in quanto rilancia
tutte le attività del settore.
Non solo: potranno tornare a funzionare le vecchie
botteghe artigianali e si potrà creare un mercato per i
prodotti tipici dell’enogastronomia locale.
L’albergo diffuso e il centro
commerciale naturale
sono soluzioni particolarmente
adatte ai Lepini. Bisogna adottare
politiche che puntino su di essi.
Così facendo si creano le premesse
per la rivitalizzazione del territorio
editoriale
pag.
3
Oralità tra dinosauri e futuro
interventi Presidenti CM
pag.
4
Parco, la nostra occasione
pag.
5
Le Comunità Montane non si toccano
pag.
6
Più attenzione ai centri storici
pag.
8
Jurassic Setino Park
iLepini
Nuova serie
Edito dal 1989
Numero 10
NOVEMBRE 2005
Direttore
Roberto Campagna
Condirettore
Giacomo Benedetti
Fotografia
Pietro Mastrantoni
Foto copertina, pag.3, pag.8-11
Daniele Raponi
e Gaspare Morgante.
Foto pag.3, e pag.12-18
Emiliano Spada
Progetto Grafico
Fabio D’Achille Studio24
Impaginazione
Fabio D’Achille
Gianna Pellecchia
Stampa
Grafica’87 Srl
Editori
XIII Comunità Montana
dei Monti Lepini • Priverno (LT)
04015 Piazza Tacconi, 2
[email protected]
XVIII Comunità Montana
di Monti Lepini • Segni (RM)
00037 Via Petrarca, 4
www.cmmontilepini.it
Redazione
Compagnia dei Lepini
Sezze Via Umberto I, 46/48
Segni (RM) Via Petrarca, 4
www.compagniadeilepini.it
primo piano
attualità
pag. 12
Cultura e sviluppo locale
pag. 14
Quando l’oralità incontra la letteratura
pag. 16
I posti e le parole: “l’occasione” di Segni
pag. 19
I paesi, i volti e le emozioni
montagne d’Italia
pag.
20
Le “Semprevise” possibili
focus
pag.
22
Alla scoperta di... Gorga
pag.
25
Intervista al sindaco Nadia Cipriani
ambiente
pag.
26
Ecosistemi e biodiversità:
questioni che ci riguardano
economia
pag.
29
Quelle callare di Italo
dal territorio
pag.
32
Mazzini nel cuore dei Lepini
pag.
34
Il sogno di un grande italiano
sommario
7
iLepini
intervento
6
Più attenzione
ai centri storici
iLepini
10
10
Stella Teodonio
Molti anni fa i dinosauri
calcavano le terre dei monti
Lepini. Nella cava di Petrianni
a Sezze scalo un gruppo di
ricercatori ha scoperto le loro
orme. Il rinvenimento coincide
con l’avvio del progetto Horst
il cui obiettivo è la valorizzazione
del patrimonio geologico del comprensorio.
luce radente dell’alba, le ombre che
conferiscono spessore alle buche,
ritrovate per caso in una cava
abbandonata, e quello che fino a pochi
anni fa sembrava un’eresia persino per la
comunità scientifica, diventa realtà. Poco meno di
centomila anni fa nel Lazio vivevano i dinosauri.
Esemplari di Sauropodi (i giganteschi dinosauri dal collo
lungo) e di Teropodi (i dinosauri carnivori di media taglia)
passeggiavano placidamente nelle gole dei Monti
Lepini, in un ambiente profondamente diverso rispetto a
quello attuale, un ambiente tropicale, una laguna marina
e fangosa, forse un po’ puzzolente, che di tanto in tanto
era raggiunta da un’onda del mare. Su quel fango, su
rocce risalenti al Cretaceo superiore, sono rimaste
impresse le impronte di decine, forse centinaia di
esemplari di dinosauri, sia carnivori che erbivori.
Una scoperta che, banalmente, si potrebbe definire
eccezionale, ma che nella pratica rischia di aprire nuove
ed interessanti prospettive sul passato del nostro
pianeta, rimettendo in discussione acquisizioni ed
ipotesi scientifiche. In tempi non troppo lontani, infatti,
gli studiosi ritenevano l’Italia una terra, dove il
ritrovamento dei reperti fossili dei giganteschi rettili
estinti fosse inverosimile. Un insieme disaggregato di
piccole isolette, una specie di arcipelago dove la
sopravvivenza di animali di così grandi dimensioni era
giudicata improbabile. Ma da vent’anni a questa parte, i
ritrovamenti di Altamura, in Puglia; del Villaggio del
Pescatore, nel Carso italiano; di Benevento, in
Campania, hanno portato a riconsiderare l’idea che si
La
aveva del nostro paese. Nel Mesozoico, Era in cui si
svilupparono e vissero i dinosauri, l’Italia doveva essere
un insieme di grosse isole, collegate da istmi e
piattaforme continentali, dove la sopravvivenza era
consentita non solo per i piccoli rettili, ma anche per i
grandi dinosauri, che potevano spostarsi in cerca di
cibo. Da paese inospitale, la nostra penisola si è così
trasformata in uno dei luoghi più interessanti e
stimolanti per le ricerche scientifiche sugli stili di vita, le
dimensioni e la formulazione delle ipotesi sulla
scomparsa dei grandi rettili ormai estinti. La scoperta
sui Monti Lepini risale ad alcuni mesi fa, quando un
gruppo di appassionati di geologia e paleontologia, in
visita nella zona per un’escursione di studio, individuò
delle buche che assomigliavano ad orme di dinosauro.
Immediata la segnalazione agli esperti dell’Università di
Roma “La Sapienza”, che isolarono l’area ponendola
sotto il vincolo di tutela della Soprintenda archeologica
del Lazio. L’obiettivo primario era la difesa del sito da
occhi e mani indiscrete, che avrebbero potuto
comprometterne l’integrità, in attesa che i rilievi
confermassero le prime ipotesi. Un lavoro certosino:
scopa e pennello per portare via polvere e detriti dalla
roccia, carta velina e pennarelli per ricalcare le impronte
e poi di corsa in laboratorio per ricostruire specie, peso,
dimensioni, andatura e posizione dei dinosauri. Indagini
che sono state svolte dai geologi Daniele Raponi e
Gaspare Morgante, ideatori del progetto Horst,
coadiuvati dal dottor Fabio Dalla Vecchia, paleontologo
di fama internazionale. “Dai primi rilevamenti effettuati
nel sito, - affermano i due studiosi - è stato possibile
determinare le dimensioni e l'andatura di alcuni dei
dinosauri presenti. Il Sauropode che ha lasciato le sue
impronte era un erbivoro quadrupede della lunghezza di
oltre 10 metri e del peso di circa 8-10 tonnellate.
Camminava placidamente alla velocità di appena 2
km/h. I carnivori presenti invece, erano di dimensioni
decisamente più contenute, raggiungevano infatti il
peso di circa 100kg per una lunghezza di appena 3
metri”. Centinaia di orme isolate e piste (c’è un’area che
è stata soprannominata dagli studiosi il bar, poiché in
uno spazio piccolissimo si concentrano più di
centosettanta impronte) che sono state rilevate su tre
differenti superfici, all’interno di una cava in dismissione
nel comune di Sezze. Le estrazioni di materiale
graniglioso, effettuate nel corso degli ultimi decenni,
hanno permesso, infatti, l’individuazione di diverse
sedimentazioni stratigrafiche, dalle quali sono emerse le
impronte di dinosauro. Ma il sito di Sezze scalo risulta
interessante anche per altri ordini di motivazioni.
All’interno del territorio comunale sono stati individuati,
dai geologi Morgante e Raponi, alcuni affioramenti di
rocce risalenti al periodo Giurassico, datate a circa 170
milioni di anni fa, dalle caratteristiche molto peculiari. Si
tratta del cosiddetto Plattenkalk di Bassiano, una parola
di origine tedesca che letteralmente significa calcare in
lastre, ovvero, piatto, in lastre sottili, in altre parole
“calcare litografico”. Questo tipo di calcare è chiamato
così poiché in passato veniva utilizzato per le litografie
e la scrittura. “Giacimenti simili - concludono Morgante
e Raponi, in un articolo apparso sul sito Scienzaonline
(http://www.scienzaonline.com/geologia/horst.html) sono molto conosciuti in geologia, basti pensare al
‘Calcare litografico di Solnhofen’ in Baviera (Germania
meridionale), ricchissimo di resti fossili, fra cui
Archeopterix (il primo dinosauro piumato rinvenuto),
oppure il ‘Plattenkalk di Pietraroja’ nei pressi di
Benevento, in cui è stato ritrovato il primo dinosauro
italiano (Scipionix samniticus, detto amichevolmente
‘Ciro’). Il sito di Sezze scalo, come già detto ha
caratteristiche simili a quelli citati, per cui è di notevole
interesse per i paleontologi. Finora lo studio ha portato
alla luce "solo" alcuni pesci ottimamente conservati,
resti di conifere, piccoli crostacei e molti coproliti. Si
tratta in realtà di feci fossili di vertebrati, alcuni dei quali
di notevoli dimensioni, il che, unito alle già citate
caratteristiche geologiche del sito, fa sperare i
ricercatori nella scoperta di animali di grandi
dimensioni, magari proprio un dinosauro”.
9
iLepini
primo piano
primo piano
8
Jurassic Setino Park
iLepini
primo piano
10
10
Un progetto tra scienza
e divulgazione
na “via dei dinosauri” che attraversi
longitudinalmente i Monti Lepini e guidi il
visitatore alla scoperta dei siti di interesse
geologico e paleontologico. Questa l’idea
lanciata, nel corso del convegno “La cultura del
territorio e la scienza tra didattica e divulgazione”, dal
professor Mario Tozzi, volto noto della televisione
italiana, conduttore della trasmissione “Gaia, il pianeta
che vive”. “Del resto - ha spiegato Tozzi a decine di
studenti presenti nella sala del castello di Sermoneta si fanno quelle del vino o dei prodotti tipici, non vedo
perché di fronte a scoperte come quelle fatte qui non si
possa pensare a un museo all’aperto dedicato ai
dinosauri”. Uno spazio esterno, un museo sul territorio
che integri la struttura didattico - interattiva dedicata
alla geopaleontologia, inaugurata alla fine di settembre
nel comune di Bassiano e figlia del progetto Horst.
Finanziato dalla Comunità Europea, nell’ambito del
programma “Cultura 2000”, Horst ha avuto come
obiettivo principale la realizzazione di una serie di
strutture interattive e didattico-divulgative (laboratori)
dedicate interamente alla geologia e ai suoi molteplici
aspetti, per valorizzarne, tutelarne, divulgarne le
conoscenze. Come per ogni progetto a livello europeo,
anche questo ha visto la compartecipazione di diversi
partner: la XIII Comunità Montana dei Monti Lepini ed
Ausoni, per l’Italia; le città di Atalanti e Pavliani, per la
Grecia; il paese di San Fulgencio, per la Spagna e,
U
infine, la città di Ain Draham, per la Tunisia, come
partner associato. “Il progetto - spiegava Domenico
Guidi, allora presidente della XIII Comunità Montana
all’atto della sua presentazione nel dicembre del 2004 nasce nell’intento di produrre una sinergia culturale
europea nel tentativo di raggiungere una vera
cooperazione ‘oltre ogni confine’, mirante a superare i
limitati interessi locali e a realizzare un’idea di far
vivere, con vera partecipazione, la cooperazione
culturale a livello europeo. Tale azione mira quindi a
diffondere la cultura e, nel caso specifico, cultura
geologica e ambientale, sfruttando le particolarità
naturalistiche delle diverse realtà che partecipano al
programma”. La difesa del territorio, volta a costruire un
rapporto nuovo ed interattivo tra l’uomo e l’ambiente nel
quale vive, nell’ottica di favorire una comprensione
profonda dei processi che ne sono all’origine, è stato il
minimo comun denominatore che ha guidato i geologi
Daniele Raponi e Gaspare Morgante nell’ideazione e
realizzazione di Horst. Atto conclusivo del progetto è
stato il convegno itinerante, dal tema “La cultura del
territorio e la scienza tra didattica e divulgazione”, che
si è tenuto dal 24 al 27 settembre scorsi tra Bassiano,
Sermoneta e Priverno. Una serie di incontri, cui hanno
preso parte esponenti di spicco della comunità
scientifica italiana, come il già citato professor Mario
Tozzi e il professor Enrico Miccadei dell'Università di
Chieti, oltre a numerosi rappresentati della realtà
istituzionale, tra i quali l’assessore alla Cultura della
regione Lazio, l’onorevole Giulia Rodano, l’assessore alla
Cultura della provincia di Latina, Fabio Bianchi, il
sindaco della città di Pavliani (Grecia,) Anastasiou
Kostantinos, il sindaco della città di Atalanti (Grecia),
Lambros Mrekoulakis, il sindaco della città di San
Fulgencio (Spagna), il sindaco della città di Ain Draham
(Tunisia), Homrani Moncef e il presidente della della XIII
Comunità Montana, Franco Solli. Giorni durante i quali è
stato, anche, inaugurato il museo geopaleontologico di
Bassiano. ‘Vietato non toccare’, questo lo slogan della
nuova struttura museale, concepita come un luogo
interattivo, basato sulle più moderne tecnologie
informatiche, dove il visitatore sarà stimolato a toccare
ed utilizzare i macchinari, un contatto dal quale
dovrebbe derivare una conoscenza esperienziale, i
modo da apprendere e capire le principali tematiche che
riguardano lo studio della Terra. Il visitatore potrà
utilizzare, oltre all’udito e alla vista, anche il tatto,
importantissimo soprattutto nei più piccoli. Non un
semplice spettatore, ma parte attiva di un processo
entusiasmante, dove la precisione scientifica,
nonostante giochi e prove, non viene mai meno.
“L'esperienza diretta avviene grazie all'utilizzo di
tecnologia multimediale - spiegano Morgante e Raponi
- di ultima generazione, attraverso la quale i visitatori
potranno interagire direttamente con gli argomenti
trattati. Potranno così comprendere facilmente quali
sono, ad esempio, i meccanismi che sono alla base della
deriva dei continenti o della nascita delle montagne,
potranno simulare grazie al computer l'attività di ricerca
di un paleontologo e vivere la meraviglia della
scoperta”. Un viaggio fantastico, cui però manca ancora
un tassello. La concreta possibilità di recarsi nei luoghi
di ricerca, dove sono state ritrovate le orme di
dinosauro, per poter apprendere sul campo, ciò che è
stato fruito tramite la tecnologia multimediale. Sarà
questo, dunque, l’obiettivo di Horst 2. “Il convegno - ha
spiegato il presidente Franco Solli - per noi è stato
l’apice del Progetto Horst ed ha sancito la nascita di
Horst 2 che darà nuovi impulsi agli studi geologici e
paleontologici della zona e sbocchi turistici a tutto il
comprensorio”. Un’integrazione tra scienza, natura e
comunicazione per dare nuovo slancio e nuova
credibilità all’espansione turistica nel territorio lepino.
“Un progetto per il futuro del territorio”
Guido Mastrantoni
Assessore XIII Comunità Montana
Si è da poco conclusa la prima parte del progetto Horst ed è quindi tempo di fare un seppur provvisorio bilancio
dell’esperienza. Sono stati giorni intensi ed appassionati che ci hanno riportato indietro nel tempo di decine e decine
di migliaia di anni, quando cioè in queste zone passeggiavano i dinosauri. I Lepini, già allora, avevano tanto da
raccontare, le sensazionali scoperte dei geologi Raponi e Morganti ne sono testimonianza. Alla XIII comunità montana
va il merito di aver visto giusto allorché venne proposta la realizzazione del progetto. In quella circostanza l'allora
presidente e i componenti della giunta comunitaria, senza esitazione alcuna, si attivarono per avere i necessari
finanziamenti a livello europeo. Il tutto nella consapevolezza di tracciare una direttiva importante per il futuro di questo
territorio, non solo in chiave locale, ma anche europeista. L’Ente ha avuto la capacità di coinvolgere la Spagna
(S.Fulgenzio), la Grecia (Atalanti e Pavliani) e la Tunisia (Ain Drahan). L'aver realizzato Horst in regime di ristrettezze di
bilancio, è la prova di quanto abbiamo creduto nel progetto. Personalmente sono soddisfatto dei risultati raggiunti.
Dopo questa esperienza gratificante occorre proseguire; occorre subito mettere in cantiere Horst 2 con nuovi e più
numerosi partner stranieri. Abbiamo davanti a noi una grande occasione per far conoscere ulteriormente il nostro
territorio, bisogna approfittarne. In conclusione, ringraziando tutti quelli che hanno contribuito alla realizzazione del
progetto, auguro a tutti di poter raggiungere risultati ancora più soddisfacenti.
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iLepini
Renato Cacciotti
Sindaco di Segni
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Si è tenuto a Segni dal 21 al 23 ottobre
il Laboratorio di oralità, narrazione
e letteratura. L’idea è quella
di valorizzare la storia locale,
ed in particolare la storia orale,
in quanto attività di ricerca collettiva
sviluppo locale non è più questione che
oggi suscita grande interesse: questo
l’incipit di un breve contributo di Sergio
Ristuccia (Presidente del consiglio per le
scienze sociali) pubblicato qualche
settimana fa sul quotidiano Italia Oggi. Una presa d’atto
ed una provocazione - al tempo stesso - proposta non
per suonare il de profundis di ogni fenomeno o politica
di sviluppo locale, bensì per scongiurare il pericolo dice l’autore - che il troppo parlare all’insegna di
“identità, pretese e motivazioni localistiche” possa far
prevalere il disincanto, la noia, l’indifferenza per questo
tema. Qualcuno di recente (ad esempio Vladimiro
Giacché) ha annotato maliziosamente che “il calabrone
Lo
non vola più”, cercando così di confutare in maniera
radicale e provocatoria - anche alla luce del recente
declino di molti distretti industriali italiani - la suggestiva
metafora proposta qualche anno addietro da Fabrizio
Galimberti e Luca Paolazzi con il loro fortunato libro
titolato, appunto, “Il volo del calabrone”. In termini assai
semplificati, il punto di vista di Galimberti e Paolazzi - e
di molti altri autorevoli analisti - è stato questo: sono le
piccole e medie imprese ad aver reso forte l’economia
italiana. L’economia italiana è forte non a dispetto delle
modeste dimensioni della maggior parte delle sue
imprese, ma grazie a ciò: in questo consiste la assoluta
particolarità del caso italiano. Anche grazie al successo
di questo filone di studi, proprio in Italia, negli ultimi
decenni, si sono affermate politiche pubbliche tese a
valorizzare e stimolare gli elementi e le risorse del
contesto territoriale. Ed ovviamente la maggior parte
delle politiche sono intervenute con modelli sperimentali
che restituivano centralità a questi fattori: dalla
legislazione sui distretti industriale agli strumenti della
programmazione negoziata, dai programmi d’iniziativa
comunitaria ai progetti integrati territoriali, eccetera.
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iLepini
attualità
attualità
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Cultura
e sviluppo locale
D’altronde nomi e sigle come patti territoriali, accordi di
programma, Leader, Gal, Pit (e per noi STILe) sono ormai
entrati nel linguaggio comune. In effetti, ancora oggi i
dati confermano la centralità delle PMI nel tessuto
economico italiano ed il peso specifico dei distretti
industriali. L’esperienza concreta di centinaia e
centinaia di “territori” (impegnati in difficili quanto
affascinanti progetti di partenariato locale) conferma poi
interesse e fiducia per le finalità dello sviluppo locale,
anche se sembra che esso non abbia più il vento in
poppa come una volta. Almeno nella letteratura
economica e sociologica. Proprio in questo momento,
allora, il nostro giornale - un piccolo, ma utile strumento
di comunicazione al servizio dello sviluppo territoriale di
un’area montana - vuole mettere i piedi nel piatto, come
suol dirsi, proponendo ai propri lettori una sorta di
rubrica specificamente dedicata ai temi dello sviluppo
locale ed invitando ad intervenire direttamente (con
contributi scritti) quanti hanno interesse per il tema:
analisti, commentatori, studiosi, amministratori locali,
attori economici e sociali. Lo facciamo proponendo - per
iniziare - una esperienza in itinere che giustifica (per
così dire) il titolo adottato per questo scritto: cultura e
sviluppo locale. Nessuna teoria, nessuna lezione,
nessun modello. Riportiamo solo, nelle prossime pagine,
un primo bilancio del Laboratorio di oralità, narrazione e
letteratura tenutosi a Segni dal 21 al 23 ottobre scorso,
per discuterne più approfonditamente nelle prossime
settimane, nei prossimi mesi. Questa inedita
“provocazione” recentemente lanciata dalla Compagnia
dei Lepini - Oralità e Sviluppo locale: un utile binomio non è facilmente catalogabile nei pure multiformi e fluidi
orientamenti contemporanei, ma di sicuro sta
catalizzando qualche attenzione all’interno e all’esterno
del territorio. La Compagnia ha sostanzialmente
annunciato (pur sommessamente, come è d’obbligo in
questi casi) che intende promuovere un insieme di
iniziative in grado di qualificare, progressivamente, il
territorio e i Comuni dei Monti Lepini come una sorta di
distretto culturale dell’oralità. L’idea-forza è quella di
valorizzare la storia locale, ed in particolare la storia
orale, in quanto attività di ricerca collettiva, ma anche di
divulgazione innovativa, come un prezioso fattore delle
politiche per lo sviluppo locale del comprensorio
interessato all’azione del programma STILe. La storia
orale viene considerata sia per il suo valore intrinseco di
strumento e metodologia di investigazione scientifica,
ormai riconosciuti anche dalla storiografia ufficiale ed
accademica, dunque come fattore fondante della
memoria collettiva, sia per le sue qualità di strumento
originale di comunicazione e promozione verso l’esterno
della comunità. Un progetto di valorizzazione della storia
orale - sostengono gli animatori della Compagnia potrebbe realizzare archivi documentali di grande
interesse e spendibilità (per le scuole, per i ricercatori
sociali, per le imprese locali, per i registi cinematografici
e televisi, per gli scrittori) e parimenti fungere da
richiamo turistico e da elemento di forte
caratterizzazione identitaria per le produzioni locali,
soprattutto artigianali ed agroalimentari. I saperi taciti
della cultura (anche produttiva) locale sono pertanto
considerati una risorsa importante per un modello di
sviluppo compatibile e partecipato. Con la
manifestazione segnina - dove hanno dialogato
felicemente narratori locali ed apprezzati scrittori,
tentando anche di offrire una sorta di risposta al
cosiddetto paradosso della storia orale, secondo il quale
per essere conservata e divulgata, o anche solo
conosciuta, la storia orale ha da essere scritta - l’idea ha
iniziato a prendere forma. Ma lo sviluppo locale, si sa,
non ha solo una forma. Tante sono le forme e tante sono
le incognite. Come in tutte le sfide importanti. (RDL)
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Piero Cascioli
Assessore alla cultura Segni
ranco Ferrarrotti, intellettuale e acuto sociologo,
denuncia la perdita, nelle società attuali, della
quotidianità e insieme della capacità di
raccontare un’esperienza, l’arte di raccontare
storie. Ecco allora il paradosso dell’oralità che
per essere conservata e comunicata, o anche solo per
essere conosciuta, ha da essere scritta. È vero. Ma non
è poi un fatto così tanto nuovo. L’Iliade e l’Odissea,
partorite oralmente, se non fossero state scritte non
sarebbero mai arrivate a noi. Ma c’è di più. La parola del
Messia, predicata dapprima da Cristo e trasmessa poi
oralmente dagli Apostoli, non sarebbe arrivata a noi se
gli Evangelisti non l’avessero scritta. L’oralità, dunque,
per sua stessa natura, è destinata a dissolversi nel
tempo. Certamente oggi più di ieri si è persa l’abitudine
di tramandarsi le conoscenze con l’oralità: c’è più
alfabetizzazione, sono aumentati a dismisura i mezzi di
comunicazione alternativi all’oralità, è diminuito,
dall’altro, il contatto umano, i rapporti faccia a faccia,
dove la parola era il mezzo naturale di comunicazione.
Ecco allora che riscoprire il valore dell’oralità si traduce
subito in un recupero di quella dimensione più umana
dei rapporti sociali, significa recuperare un modo
naturale di rapportarsi; ma è anche restituire alla
memoria un pezzo importante delle nostre tradizioni.
L’esperimento fatto a Segni, con il primo laboratorio di
oralità e letteratura, realizzato nei quattro giorni di
sagra, oltre ad essere una grande sfida, soprattutto per
il futuro, rappresenta un chiaro segnale di interesse per
il recupero di una tradizione orale che in passato ha
caratterizzato non solo la cultura segnina, ma l’intero
territorio lepino. Ecco allora l’idea di fare dell’oralità una
sorta di marchio distintivo dell’area e la Compagnia dei
Lepini ci crede a tal punto da progettarne la
realizzazione. Anche il Comune di Segni ci crede e si
tuffa nell’avventura offrendo la suggestiva cornice della
sagra del marrone. I dubbi non mancano, le paure sono
tante. Le difficoltà legate all’organizzazione, al
reclutamento dei narratori, all’ambientazione e poi, cosa
potranno e sapranno scrivere gli scrittori! tante storie
F
frammentate, scollegate tra loro, quale sarà il risultato?
Nei giorni di sagra, nel trambusto della festa, gli scrittori
girano per la città e osservano, parlano, dialogano con la
gente, entrano nelle fraschette e ascoltano i racconti.
Tutto avviene sottovoce, in un’atmosfera quasi
surreale.Poi ecco la domenica, e nel tepore di un’insolita
ottobrata segnina, gli scrittori ci raccontano e si
raccontano, ed è un grande successo.Ognuno, con il
proprio stile, ha reinterpretato le storie, rivestendole di
nuovi e pregiati abiti. Il folto pubblico presente nel cortile
del Centro Culturale M. Spigone, è rapito dalla sequenza
dei racconti che parlano di segninità, di San Bruno, degli
antichi mestieri, della fabbrica di Colleferro che
sconvolge un millenario sistema di valori. Tutto tace, a
parlare è solo l’oralità. Alla fine il pubblico presente
esplode in un applauso interminabile: la grande sfida è
stata vinta. Ora, l’orizzonte che si apre è davvero ampio.
I frammenti della grande tradizione orale di casa nostra
raccolti nei quattro giorni di sagra potranno diventare
romanzi, satire, poesie, novelle e chissà cosaltro. Per il
momento saranno raccolti in un libro che sarà
pubblicata a breve. Poi, tanti altri racconti, tante storie
dell’immenso patrimonio dell’oralità lepina, potranno
essere raccontati da altri scrittori per creare grandi
momenti di letteratura. Un grazie, dunque, a quanti
hanno creduto e collaborato a questo progetto.
Migliaia di persone
per il marrone setino
È calato il sipario sulla quarantottesima sagra del marrone segnino,
un’edizione senza precedenti per la ricchezza del programma e le
tante iniziative. Ciò che più quest’anno ha caratterizzato l’evento, è
stato senz’altro il deciso taglio culturale ma soprattutto la sua
qualità. Due momenti che hanno dato un decisivo valore aggiunto
all’evento di quest’anno. Sotto l’aspetto culturale, fiore all’occhiello è
stato il primo laboratorio di oralità e letteratura, una iniziativa che
apre ampi orizzonti non solo alla sagra ma all’intera cultura lepina
con opportunità per grandi momenti di letteratura. I racconti si sono
trasferiti dal capanno lepino alle cantine gastronomiche e ad
ascoltarli, qualificati scrittori che nelle loro diverse elaborazioni ne
hanno reinterpretato e qualche volta stravolto i contenuti, facendolo
sempre con grande stile e professionalità. Ma non è stato solo
questo. Numerose e qualificate mostre di scultura, fra tutte quella del
maestro Egidio Ambrosetti, il “poeta del bronzo”; esposizioni di
artigianato locale, fotografia e poi la grande mostra di pittura
dell’associazione artisti segnini presso il Palazzo Vescovile e la
Chiesa di San Lorenzo. Il grande spettacolo in Piazza del sabato sera
è stata una efficacissima attrattiva con le gradinate della cattedrale
gremite di gente incuriosita e divertita. La ricca vetrina letteraria con
la presentazione di ben quattro volumi che hanno dato lustro alla
città per i valori culturali che è riuscita ad esprimere. Questa la
cultura della sagra. Non da meno è stata l’offerta gastronomica con
le decine di fraschette che hanno fatto degustare alle migliaia di
visitatori i sapori delle terre lepine. E poi una gran quantità di
caldarroste offerte gratuitamente in piazza insieme a migliaia di
sacchetti di marroni freschi, un bel biglietto di benvenuto con il quale
l’amministrazione comunale ha voluto omaggiare le numerosissime
presenze. Così, insieme al prodotto è stata promossa la città nella
sua interezza, la sua storia, la sua arte, il suo paesaggio, i suoi sapori.
Questo è la sagra del marrone, un evento che ha ormai acquisito una
risonanza regionale, ne parlano quotidiani, riviste di cucina, radio,
televisioni. Ma il dato più importante è che parlano dei maroni e ne
parlano in termini più che positivi: il pregiato frutto del bosco segnino
è diventato di fatto un prodotto di esclusiva qualità; ora si tratta di
assicurargli una tutela giuridica con una denominazione o comunque
un riconoscimento di origine e di qualità.
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Quando l’oralità
incontra la letteratura
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Lanfranco Caminiti
Direttore della rivista “Accattoni” di Roma
i ha sempre intrigato l’idea che le reti che
attraversano un territorio siano anche reti di
parole. Un territorio, una regione, una
provincia ha strade, binari, corsi d’acqua,
ponti, stazioni, caselli, tunnel dove passano
continuamente uomini e mezzi, macchine e merci. In
genere, pensiamo a queste reti come luoghi della
mobilità, dell’accelerazione, dell’attraversamento, e in
effetti a questo sono state pensate, costruite e vengono
mantenute. A contrarre il tempo. Il tempo della velocità
è un tempo muto. O del rumore. Una volta non era così,
una volta il viaggio era lento, ed era quasi d’obbligo
intraprenderlo insieme ad altri, proprio per poter
M
mantenere l’esercizio della parola, della lingua talvolta,
come conforto in terre che si conoscevano poco e nulla,
straniere. Bastava poco perché la lingua risultasse altra,
non era necessario attraversare confini di nazione, una
volta bastava anche superare una provincia per non
capirsi più. Ora non è certo così. E in genere pensiamo
alla mobilità come un tempo in cui la parola è sospesa
perché secondaria, quando non proprio di intralcio, un
fardello. Il tempo della velocità è un tempo muto. O del
rumore. Comunque, è un tempo solitario, della
solitudine, dello stare silenti, presi come siamo
dall’arrivare, dalla meta. Il tempo delle parole è invece il
tempo di un «posto». Si parte da parole e si arriva alle
parole: nel viaggio, rimaniamo zitti, pensierosi. A
pensarci bene, io non so se le cose stiano proprio così.
A pensarci bene, quando ci muoviamo diciamo un
mondo di parole. Incontriamo altri viaggiatori,
prendiamo un caffè, prendiamo il resto d’un pedaggio,
parliamo con qualche compagno di viaggio, se c’è.
Penso che le parole che noi diciamo quando
attraversiamo un posto rimangano lì, non so, finiscano
sui cigli della strada, ruzzolino fra i binari, galleggino
sull’acqua, si anneriscano in un tunnel, si fermino a un
casello, in un vagone o in un bar. E poi, in qualche modo
che non conosco, si rimettano in moto con un altro
viaggiatore. Come se un altro viaggiatore finisse la frase
che aveva cominciato qualcun altro prima di lui e le
rimettesse in moto, le parole, le portasse con sé. Che so,
si infileranno nelle tasche, si appoggeranno nelle borse,
dondoleranno fra gli orecchini, si mescoleranno agli
accendini e alle agendine. Insomma, un territorio è una
rete di parole, non importa quali accenti abbiano. E le
parole portano storie, portano vite.
Poi, penso pure che quando stiamo in un posto, con le
parole noi arriviamo in un mondo di posti. Noi stiamo
qui, e basta dire, che so, America, e siamo lì. Oppure,
Cina, e siamo lì. Oppure Roma. Ecco, basta dire Roma, e
siamo lì. Anche per chi sta vicino Roma, se incontra
qualcuno gli dice: vado a Roma. C’è un mondo di gente
che la mattina e la sera dice vado a Roma, torno da
Roma. E poi torna al suo posto delle parole, quello dove
sei sicuro che non ruzzolano via ma si appoggiano ai
muri delle case, ai davanzali delle finestre, alle
piazzette, ai vicoli. Ma anche queste sono parole che ti
trascinano lontano, perché ci sono le storie di quando si
andava lontano, per lavorare, o dei nostri amici che
hanno cercato fortuna qui o là, e le parole di chi ci è
tornato da quei posti e se l’è portato dietro le parole di
quei posti e ora le dice qua e noi possiamo andare là.
Questa è la “provincia di Roma”, un posto delle parole.
Una rete di parole, di trame, di storie, di vite. Non solo
memoria, non solo tradizione, non solo sopravvivenza,
non solo resistenza. Quando noi le diciamo, le parole,
quando le tiriamo fuori dalle nostre tasche o rovistando
nelle nostre borse, quelle cominciano a volare, quelle ci
prendono e ci portano via, lontano. Ci portano qui, dove
siamo, a dare consistenza ai nostri luoghi. Senza le
parole, i nostri luoghi sono solo fondali. L’ipotesi con cui
siamo partiti per questa avventurosa e faticosa
sperimentazione - che abbiamo con una certa
importanza chiamato laboratorio di oralità, narrazioni e
letteratura - è che esiste una trama fatta di parole che
resistono all’usura del tempo. Per resistere esse non
possono restare ferme e non possono essere
conservate in una scatola. Il tempo è sicuramente più
forte delle parole. Se resti fermo con le tue parole, il
tempo arriva e ti porta via. Le parole devono camminare,
devono scambiarsi, devono modificarsi. Le parole
devono essere dette, ma devono pure essere lette. Per
essere lette, devono essere scritte. Non le stesse parole,
non la copia delle parole dette, ma la trama delle parole,
il loro disegno - come un mandala tibetano, che quando
hai finito, tutto perfetto, si cancella. Se dovessi trovare
una sola parola con cui spiegare a chi qui non c’è stato
ma vuole sapere quello che è successo nei tre giorni a
Segni in cui giovani e anziani narratori hanno
raccontato, in modi diversi, con gli stornelli o con le
strofe, con la voce lenta o la voce veloce, le loro
memorie, i loro ricordi, l’idea stessa di un ricordo,
insomma tutte le cose che sono state organizzate nelle
cantine, nelle fraschette, una buona parola che mi viene
in mente è: occasione. Non mi riferisco a questa o quella
narrazione, a questo o quel narratore ma all’intero
evento, all’intera ‘cosa’ che è stata messa in piedi. Ma
l’occasione è arrivata gratis, senza neanche averci
pensato, senza neanche averlo calcolato. L’occasione è
venuta di suo. È un’occasione non soltanto per una
intera comunità che è capace di mettere in bella mostra
le sue cose, ma è un’occasione per singole persone, per
singole storie di venire alla luce, di restare fissate. Ogni
singolo narratore è prezioso, ogni singola sua parola è
preziosa, ogni singola sua storia è preziosa, perché non
la dirà mai due volte allo stesso modo e non sarà mai
due volte la stessa storia, la stessa vita. Nell’epoca della
riproducibilità tecnica della vita, la parola ci restituisce
una sua dimensione imperfetta. Forse non tutto è filato
liscio, qualcosa era troppo indietro o troppo avanti,
qualcosa non c’era proprio, qualcosa c’era di troppo.
Credo che per noi stessi che abbiamo organizzato la
‘cosa’ ci sia di che pensare, migliorare, affinare, mettere
a punto. Sicuramente già adesso sapremmo farla
meglio di come l’abbiamo fatta. Qualcosa poteva più
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I posti e le parole:
“l’occasione” di Segni
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avere un modo diverso. Qualcosa è andata proprio come
doveva essere. In realtà, forse tutta la cosa è andata
proprio come doveva andare, tutta la cosa è stata come
doveva essere. Questo è stato un laboratorio, questa è
stata una sperimentazione. Così, sono venuti narratori,
da Roma, da Milano, che raccontano delle nostre vite
metropolitane, ma anche narratori di altre province,
perché non importa da dove vieni, i posti delle parole
sono dappertutto se sai ascoltare. Questo è stato un
laboratorio, questa è stata una sperimentazione. Dove
forse era difficile mettere d’accordo una urgenza
improvvisa, che aveva il carattere della velocità, con una
esigenza diversa, che aveva il carattere della lentezza.
La parola è veloce. La parola scappa. Più d’una volta ho
avuto la sensazione che i narratori avessero l’urgenza
della velocità. Qualcuno aveva apparecchiato una pista
veloce su cui correre, ecco, era il momento. Qualcuno
aspettava lo sparo dello starter con impazienza. Mi è
capitato, nelle fraschette, di incontrare narratori pronti,
che scaldavano i muscoli sul punto di partenza, che non
vedevano l’ora di partire, di sentire lo sparo. Quando
senti lo sparo, poi vai, poi la tensione accumulata si
scioglie, poi corri senza più stare a pensarci. I narratori
sono dei velocisti. E come gli atleti della pista, i narratori
hanno bisogno di un pubblico sugli spalti che li guardi, li
inciti verso la meta. Che soffra con lui, rida con lui,
insieme in quel preciso momento. La bella corsa di un
atleta è un dono che viene fatto agli spettatori; la bella
narrazione di un narratore è un dono che viene fatto a
chi lo ascolta. La scrittura invece è lenta, la scrittura è
appartata, la scrittura è una stanza silenziosa riempita di
parole che solo tu senti, che gli altri sentiranno in un
altro momento. E le parole sulla carta sembrano sempre
scivolare via piuttosto che fissarsi, sembra che devi
sempre ricominciare come fosse il primo rigo. E poi, a
un certo punto, invece le parole sono lì. Hanno trovato la
loro occasione. Credo che in qualche modo noi
dobbiamo costruire altre occasioni perché narrazioni e
letteratura trovino modo di ‘stare vicino’. Forse si farà
altrimenti, forse abbiamo messo su solo un pastrocchio
e invece bisognerebbe fare così così e così. Però
continuiamo, allarghiamo, ampliamo. Chi ha avuto
l’intelligenza, la sensibilità, la disponibilità a organizzare
tutto questo, deve riprovarci ancora. E ancora. E ancora.
Paolo Mastrantoni
Grande successo per il
Laboratorio di immagine e
fotografia organizzato
dalla Compagnia dei Lepini.
24 fotoamatori hanno
presentato i loro scatti che
ritraggono gli angoli più
nascosti del comprensorio.
Quelle foto sono diventate una
mostra itinerante che ha già toccato
diversi ristoranti dell’area
er promuovere un territorio bisogna mostrarlo.
Per mostrarlo c’è bisogno di immagini di qualità.
La Compagnia dei Lepini ha quindi deciso di
“puntare l’obiettivo” sui fotografi e ha
organizzato il Laboratorio lepino di immagine e
fotografia. Ventiquattro i fotoamatori selezionati che,
dopo un seminario introduttivo, hanno avuto dieci giorni
di tempo per spulciare i loro archivi - e/o produrre nuovi
scatti - e presentare il materiale alla Compagnia. Circa
400 foto sono state selezionate e hanno iniziato un
lungo cammino che le sta portando in diversi ristoranti
del comprensorio. Visto che si tratta di un Laboratorio,
anche nell’allestimento delle mostre si è voluta ricreare
quell’atmosfera un po’ farraginosa che abita le camere
oscure: le foto sono state “stese” con delle mollette di
legno a dei fili per il bucato. Le prime due mostre sono
state organizzate a Segni presso l’albergo ristorante la
Pace (20 - 23 ottobre) e a Sezze presso il ristorante “Da
Santuccio ai Colli” (24 - 27 ottobre). In questi locali il
progetto è stato presentato alla stampa. È stata poi la
volta di Norma (Villa del Cardinale e La piccola fontana),
Carpineto (La Sbirra e la Strada Nova), Priverno (Antica
osteria Fanti e Gliò montano) e Bassiano (La Bella Lisa
“Hostaria le grotte” e il Torrione). Prossimamente la
mostra sarà allestita a Prossedi (Osteria Persei),
Sermoneta (Al lagetto) e a Segni (Panorama). Le date
aggiornate degli appuntamenti si possono trovare sul
sito della Compagnia (www.compagniadeilepini.it).
P
Ci troviamo di fronte ad una situazione che mai si era
vista prima: fotografi che girano i Lepini alla ricerca del
soggetto giusto, ristoratori che non esitano a mettere a
disposizione i loro locali per le mostre, clienti che, prima
di sedersi o appena finito, gironzolano incuriositi tra le
foto “stese”. Una scelta particolarmente felice è stata
quella di aprire il Laboratorio anche ai fotografi non
professionisti. La tecnica non è tutto, bisogna anche
conoscere un territorio per mostrarlo al meglio. Per
questo si è deciso di puntare sulle forze locali, su coloro
che hanno imparato a scattare scrutando i Lepini. Non a
caso, molto di frequente, gli stessi abitanti del
comprensorio che visionavano gli scatti, chiedevano
spiegazione su cosa fosse ritratto e dove si trovasse. Il
Laboratorio è quindi stato anche un mezzo per
conoscere meglio il territorio. È quindi stato un
esperimento perfettamente riuscito, un esperimento in
cui la Compagnia, i fotografi e i ristoratori hanno creduto
fin dall’inizio.
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attualità
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I paesi, i volti
e le emozioni
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Antonio Ciaschi
Direttore Generale dell’Istituto Nazionale della Montagna
Docente di “Organizzazione del territorio montano”
presso l’ Università degli Studi “La Sapienza” di Roma
aree montane costituiscono un patrimonio
ambientale unico: la montagna oggi, ricca
di biodiversità, è e si deve sempre più
caratterizzare come un grande progetto
culturale, economico e sociale.
La valorizzazione di questo vastissimo patrimonio anche
monumentale, storico e delle tradizioni locali può
davvero rappresentare la chiave di volta di un futuro
diverso per la montagna italiana, di uno sviluppo
sostenibile ed ecocompatibile, di una migliore qualità
della vita, di un radicamento delle popolazioni sul
territorio. Perché la cultura è un bene che si accresce
attraverso la condivisione e della sua valorizzazione ne
possono beneficiare davvero tutti: l’essenziale è che
protagonisti attivi di questo processo siano gli stessi
abitanti della montagna, magari con l’ausilio oggi
indispensabile delle nuove tecnologie.
Le
La montagna possibile di domani è quel luogo dove si
potrà coniugare la tutela e la valorizzazione
dell’ambiente, la qualità della vita, la scienza, la ricerca
e lo sviluppo economico: si tratta di costruire un
percorso variegato e complesso (come variegata e
complessa è la civiltà della montagna italiana) che,
partendo dalla tradizione, arrivi a realizzare un sistema
integrato (montagna-pianura) dove la montagna e i suoi
abitanti rivestano un ruolo essenziale, non accessorio.
Un sistema integrato che ricalchi nella dinamica,
tenendo conto delle profonde trasformazioni intervenute
(storiche, politiche, sociali, economiche, culturali, ecc.),
il rapporto di interdipendenza che da sempre ha unito il
territorio montano con quello di pianura e di città: in un
sistema economico di valle che ha rappresentato per
secoli una realtà di notevole rilevanza e significato in
diverse aree del nostro Paese.
Nel sistema integrato sopra citato, la montagna può
esprimere saperi e intelligenze, che possono portare un
valore aggiunto al progresso solo se opportunamente
inseriti anche in un circuito economico, in un processo
progettuale ed equilibrato, senza forzature o fughe in
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montagned’Italia
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Le “Semprevise”
possibili
La montagna possibile
di domani è quel luogo
dove si potrà coniugare
la tutela e la valorizzazione
dell’ambiente, la qualità
della vita, la scienza,
la ricerca e lo sviluppo
economico
avanti. In un contesto multifunzionale dove la scienza, la
formazione e la ricerca rivestono, e dovranno rivestire
sempre più nel futuro, un ruolo preponderante, anche
per indirizzare le scelte di gestione del territorio.
Quotidianamente ci si confronta con chi, con
competenza e dedizione opera, vive o si occupa da molti
anni di montagna. La montagna nel suo complesso ha
bisogno di persone competenti e appassionate che la
amino e che la facciano amare e che sappiano
trasmettere un tale amore alle nuove generazioni.
Il fragile sistema montano ha bisogno di coccole.
Dobbiamo ripagarlo per l’abbandono in cui lo hanno
costretto, anno dopo anno, le esigenze di crescita del
Paese, legate a un’economia che si è sviluppata in
pianura e lungo le grandi vie di percorrenza. Come può
oggi un territorio montano sentirsi contemporaneo? E’ la
stessa domanda che si posero i paesi di montagna negli
anni ’60 sull’onda del boom economico. Allora la
modernizzazione causò l’inizio della cancellazione della
cultura contadina attraendo braccia e cervelli verso le
città. Quella marginalità che ha tenuto per molti anni i
territori montani fuori dal progresso economico oggi
rappresenta diversità, specificità, ricchezza: il luogo
dove si sono preservate e ora sono pronte a essere
valorizzate le risorse di qualità del territorio.
In questo contesto la montagna italiana e i suoi abitanti
partecipano a pieno titolo alla realizzazione della
montagna d’Europa. E’ proprio da qui che bisogna
partire per costruire un unico progetto culturale che
prendendo le mosse da uno scenario di dimensioni
pluriregionali, senza avere l’ambizione di unificare le
multiformi realtà delle valli alpine e appenniniche si
limiti a renderle reciprocamente compatibili e instaurare
fra loro una rete di contatti. La montagna, che ha dato i
suoi figli per lo sviluppo industriale della pianura, soffre
oggi di un pericoloso spopolamento e abbandono. Una
volta, la cura e il lavoro individuale di una piccola
particella di terra era la condizione fondamentale non
solo economica ma istituzionale per gli abitanti delle
comunità montane. Una sorta di identità originaria che
aveva come base naturale e indispensabile per
l’organizzazione sociale la terra come laboratorio di
lavoro, risorsa di cibo e di materie prime.
Il contributo che possiamo concretamente fornire ai
territori di montagna non può prescindere da un
progetto che, strutturato su una solida impalcatura
formativa, poggi solidamente su una profonda
conoscenza della cultura locale. L’orgoglio di essere
popoli di montagna è la carta vincente per affrontare la
sfida di questi anni. L’innovazione e le tecnologie
informatiche possono contribuire strumentalmente a
risolvere molti dei problemi della gestione del territorio
e della fruizione dei servizi, ma non bastano a
posizionare gli abitanti della montagna su standard
Europei. La carta vincente è dunque la consapevolezza
di contribuire con le proprie risorse, cariche di
tradizione, alla costruzione del proprio benessere non
vissuto come isolamento, pur se di qualità, ma inserito
in un contesto più ampio dove l’identità di montagna si
sovrappone e quasi si confonde con l’identità dell’
Europa. Un progetto culturale unificante, un sistema che
metta in correlazione le singole comunità,
valorizzandole, senza mai svilire le identità locali.
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Giacomo Benedetti
orga domina dall’alto dei 766 di
altezza sul livello del mare,
tutta l’alta e media Valle del
fiume Sacco. Sorge su uno
spuntone di roccia che è una
sorta di balcone naturale da cui si gode
uno splendido ed ampio panorama. Nei
giorni in cui il cielo è particolarmente terso lo sguardo si
spinge a vedere il profilo dei Colli Albani ad occidente e
dei Monti Predestini a Nord e degli Ernici ad oriente.
E sotto, quasi a perpendicolare, si osserva l’ondulata
pianura formata dal corso tormentato del fiume Sacco,
attraversata dalla linea ferroviaria dell’Alta Velocità della
tratta Roma-Napoli, dal lungo nastro d’asfalto e
dell’autostrada del Sole. E qua e là si scorgono le
ciminiere dei pochi stabilimenti ancora in produzione.
G
Gorga nel tempo
gli abitanti autoctoni dei monti Lepini, circa
5000 anni a.C., si unirono i bellicosi e fieri
Volsci che, nel V sec., si opposero
energicamente ai Romani. Nel succedersi
delle guerre tra i due popoli si colloca la nota
saga di Coriolano. Il territorio lepino fu alla fine
colonizzato dai Romani. Nei territori montani di Gorga e
del confinante Carpineto si rinvengono tracce di mura
poligonali come in contrada Tolfo. Nel periodo feudale il
monastero benedettino di Villamagna acquistò una parte
del castello e Gorga divenne “castrum” e vassallo di tale
monastero. Ma, per volere di Bonifacio VIII, passò sotto
la giurisdizione del Capitolo di Anagni. Dopo varie
vicissitudine il centro fu acquistato prima dal Duca
Camillo Conti di Segni, quindi dai Conti di Ceccano e poi
dai Pamphili e dai Doria.
A
Itinerari naturalistici
ed ambientali
lle spalle di chi osserva questo incantevole
scorcio panoramico, nella direzione sud, si
distende un altipiano parimenti ondulato che
forma il territorio ambientale e naturalistico di
Gorga di incontaminata bellezza. Partendo dal
centro abitato, il visitatore può scegliere itinerari
escursionistici di facile percorrenza, in uno scenario che
continuamente cambia prospettiva e che evoca sempre
nuove suggestioni ed emozioni. Si possono attraversare
boschi di querce, cerri, e nelle pendici più elevate del
monte S. Marino (1387 metri) e del monte Alto (1416
metri), di faggi splendidi per l’eleganza della loro
struttura lignea e l’ombratilità delle fronde. In un
contesto ambientale a struttura carsica, si attraversano
avvallamenti, doline e si incontrano anche grotte ipogee
di interesse speleologico. La grotta più citata è quella
censita come “Inghiottitoio di Campo di Caccia”. La
tappa più affascinante in questo itinerario naturalistico è
il fontanile di Canai (1134 metri), alimentato dalla
A
sorgente del monte S. Marino (1210).
Le acque di questa sorprendente oasi
nel l’arido territorio carsico lepino
sono state e sono un punto di ristoro
prezioso per le greggi e per gli stessi
cittadini. Sembra che il nome di
Gorga sia derivato proprio dalla presenza abbondante di
acqua. Scrive lo storico Epifanio Mazzocchi:
“Etimologicamente, il nome di Gorga potrebbe derivare
dal latino “gurges” , ovvero dalla trasmutazione, nel
tempo, del termine dialettale Resoria-iòria-òria-gòria.
Ciò in riferimento alla piccola sorgente, formante una
pozza d’acqua, ossia “òria d’acqua”, esistente nei pressi
del paese ed identificabile con l’odierno Lago”.
Paese della musica
innovando una secolare tradizione, a Gorga
operano due complessi musicali: il Coro
Polifonico diretto da Pierino Cefaloni e il
complesso bandistico “ Vincenzo Cipriani”. Le
origini della Banda risalgono all’anno 1857,
allorché l’allora Arcivescovo di Perugina e futuro
LeoneXIII si recò a Gorga per far visita al Cardinale
Vincenzo Cantucci, il diplomatico nativo di Gorga che
avviò difficili relazioni diplomatiche tra la Stato Italiano
e la Santa Sede. Dopo alterne vicende, il complesso fu
rilanciato nel 1971 per opera di Vincenzo Cipriani. La
direzione artistica fu affidata all’allora ventenne
studente di conservatorio Remo Amici. Grazie alla
competenza e sensibilità artistica di Amici, la banda ha
raggiunto altissimi livelli qualitativi e si esibisce oltre i
confini regionali.
R
Affrancazione delle terre
el corso dei secoli, i gorgani hanno dovuto
difendere i propri diritti, i propri confini e le
proprie sorgenti, con dure lotte ricorrendo a
lunghe controversie, sia con i paesi confinanti
(Carpineto, Sgurgola, Morolo) e con i padroni di
N
Villamagna che con lo strapotere
della classe baronale. Dure lotte
hanno poi sostenuto i contadini per la
divisione e l’assegnazione delle fertili
terre pianeggianti (negli anni 1869,
1914, 1915, 1921) di Villamagna
contro la Sgurgola e di Montelungo contro Montelanico.
Viene ancora ricordata l’ultima invasione delle terre di
Villamagna nel 1945 allorché “57 gorgani - scrive il già
citato storico Epifanio Mazzocchi - occuparono quei
terreni ed il giorno successivo alcuni di loro furono
arrestati. Dopo 28 giorni di galera furono rilasciati ed
ottennero, da vincitori, l’assegnazione delle terre”.
Flora e fauna
a struttura del territorio si distende su tre diversi
livelli morfologici. La zona montana
caratterizzata da bellezze ambientali
e
naturalistiche uniche, e ricoperta da un
patrimonio boschivo dal valore incalcolabile,
utilizzato non solo e non tanto come legna da ardere ma
principalmente come materiale primario per la
falegnameria e per l’artigianato. Un tempo questo era il
regno della caccia dei selvatici, sia stanziali, come lepri,
cinghiali, starne e pernici, che migratori, come tordi,
beccacce, colombacci. La fascia collinare consente la
coltivazione dell’uva, delle olive e degli alberi da frutta.
La zona pianeggiante di Montelungo e di Villamagna ha
da sempre rappresentato il serbatoio che ha rifornito la
popolazione di grano, d’orzo, di granturco, di foraggi, di
legumi e di ortaggi.
L
Gastronomia e prodotti
caratteristici
n tempo Gorga era rinomata per le prelibate
carni di abbacchi e di capretti alimentati dal
latte delle greggi che pascolavano allo stato
brado e si cibavano dei sapidi foraggi di
montagna. Anche i prodotti caseari avevano
U
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Alla scoperta
di... Gorga
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profumi e sapori tipici. Come in tante altre località
montane l’allevamento degli ovini, dei caprini e dei
suini, nonché la coltura di viti ed ulivi è in fortissima
contrazione. Tutti i prodotti sono di nicchia. Si
acquistano solo dietro ordinazione. Nel sottobosco dei
lecci, querce, dei faggi, nelle stagioni favorevoli
crescono funghi porcini, galletti, ovoli. Ad essi si
possono abbinare tartufi estivi e i costosissimi tartufi
neri pregiati invernali. Nei ristoranti vengono servite le
fettuccine lavorate a mano ed impastate con farina di
grano duro e con uova di produzione casereccia. La
cucina gorgana offre delle gustose specialità,
tramandate di generazione in generazione: gli
gnocchitti, i talini, la coratella, le carni di abbacchi e
capretti al forno e alla griglia, il marito, un piatto dei
poveri e che viene riproposto nelle sagre. Il pranzo si
conclude di norma con un saporitissimo dolce
tipicamente gorgano: la mantovana.
Ristoranti
Il Cavallino
Via Filippo Turati Tel. 06.9775182
La Pastorella
Via Case Sparse, 8 Tel. 06.9775071
Eventi&Sagre
Estate gorgana (luglio-agosto)
Festa della Montagna
Sagra degli Gnocchitti
e delle Fregnacce
Presepe vivente.
Nata a Colleferro il 16 Marzo 1973.
Si è laureata in ingegneria nucleare
nel 1997. Lavora in Apat - Agenzia per la
Protezione dell'Ambiente e i Servizi Tecnici,
organo tecnico del Ministero dell'Ambiente.
È Consigliere Comunale dal1995;
dal 1999 al 2004 ha ricoperto l'incarico
di Assessore ai Servizi Sociali, Sanità,
Ambiente e Urbanistica. Dal 13 giugno
2004 è primo cittadino di Gorga.
È la prima donna sindaco nella storia
di questo comune dei Monti Lepini
Quali iniziative avete intrapreso
per il rilancio turistico di Gorga?
u questo piano siamo stati molti attenti: Abbiamo
ad esempio rilanciato un vasto programma
dell’Estate Gorgano. Sono state riaperte alcune
cantine e botteghe artigianali del centro storico,
ove si praticavano gli antichi mestieri del vasaio,
del falegname, del sarto e del ciabattino.
Intendiamo incrementare la ricerca e la valorizzazione
dell’enogastronomia delle nostre genti. In più ci stiamo
muovendo anche sul fronte degli scambi culturali.
In particolare, in collaborazione con l'Aiccre, stiamo
definendo le attività per un gemellaggio con altri paesi
europei.
S
Secondo Lei oggi le politiche
amministrative gestite dai singoli
Comuni, sono ancora praticabili o
servono strategie di programmazione e
di gestione sistemiche sovracomunali?
strutture sovracomunali sono molto
importanti. I piccoli comuni devono
collaborare fattivamente con tali strutture:
Noi siamo stati tra i nove comuni fondatori
del Consorzio Gaia, abbiamo aderito da
Le
subito al Programma STILe, al Consorzio Ecetra e
all’Asp. Siamo convinti che tutti questi strumenti siano
importanti per il decollo turistico delle nostre comunità.
Nell’ambito del Programma STILe abbiamo ottenuto i
finanziamenti per la realizzazione di una Welcome Area.
Nell’ambito dei finanziamenti dell’Asp stiamo attivando
un sito Internet. Abbiamo dato mandato all’Agenzia
Sviluppo Provincia di stilare un piano di fattibilità per
esperienze di Albergo diffuso.
In seguito con la Compagnia dei Lepini potremo
valutarne la realizzazione. Dal punto di vista sociale, con
gli altri comuni, stiamo lavorando per la progettazione e
la realizzazione del Piano di Zona Socio-Sanitario di cui
Gorga è Comune capofila. Importante è condividere e
gestire insieme gli altri servizi che i comuni riterranno
opportuno istituire. Già il presidente della XVIII Comunità
Montana Briganti si era fatto promotore di un corpo di
polizia municipale territoriale integrato tra comuni.
Come intendete valorizzare la figura
del cardinale Cantucci e del palazzo
che porta il suo nome?
er il Palazzo abbiamo sottoscritto un comodato
con il Vaticano e abbiamo ottenuto due
contributi. Un contributo per il consolidamento
strutturale pari a 700 milioni delle vecchie lire
per cui abbiamo già appaltato i lavori.
L’altro di 740mila euro per il restauro intero, grazie alla
disponibilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e
all’intervento dell’On. Santori. Prevedo che entro il 2006
potremo inaugurare i locali. Inoltre organizzeremo una
serie di iniziative per riscoprire il pensiero e l’azione del
Cardinal Santucci”.
P
“Intendiamo incrementare
la ricerca e la valorizzazione
dell’enogastronomia
delle nostre genti”
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Intervista al sindaco
Nadia Cipriani
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Emanuela Ferretti
Il Lea Cave ha partecipato al terzo
congresso mondiale di Educazione
a cui hanno aderito 115 paesi. Al centro
del dibattito la sostenibilità dello sviluppo.
è tenuto a Torino dal 2 al 6 ottobre 2005 il 3°
Congresso Mondiale di Educazione
Ambientale. In questo terzo appuntamento (il
percorso è cominciato nel 2003 in Portogallo),
la comunità mondiale di pratica e di ricerca
dell’educazione ambientale ha potuto constatare con
soddisfazione l’interesse suscitato dall’inizativa. Hanno,
infatti, partecipato tremila persone provenienti da 115
Paesi. Hanno, poi, aderito non solo università e
associazioni ambientaliste, ma anche amministrazioni
locali, governi, imprese, sindacati, mass media. È questo
un indice del coinvolgimento di tutti i settori sociali nelle
Si
strategie educative per la sostenibilità. I Laboratori della
provincia di Roma erano presenti in quanto sono stati
invitati dalla Regione Lazio a rappresentare i Comuni, le
Comunità Montane, le scuole, le associazioni locali, e la
Provincia di Roma in toto. Il Lea Cave ha voluto ritrarre i
27 comuni di sua competenza con un cd rom nel quale
sono stati presentati tutti i progetti ambientali intrapresi,
a 2 anni dalla sua istituzione, con alcuni comuni,
associazioni, enti istituzionali e non, e comunità montane
del territorio. Lavorare subito al riassetto della terra,
dedicare più attenzione agli ecosistemi e alla
biodiversità, dare ai 6 miliardi di persone e soprattutto
alle generazioni future una vita più pacifica, sicura e
dignitosa, richiede un grande cambiamento culturale.
Dal Congresso è, quindi, emerso un forte bisogno di
strumenti culturali per affrontare l’intreccio di aspetti
ecologici, economici e sociali che caratterizzano l’attuale
crisi dell’umanità del pianeta. L’educazione ambientale
serve davvero a dare un futuro alla Terra?
Molta attenzione è stata riservata ala riduzione
dell’impatto ambientale del Congresso. Nei cinque giorni
di Congresso si sono tenute 12 sessioni parallele ognuna
delle quali ha affrontato, in maniera diversa, il tema
centrale dell’ “educazione ad uno Sviluppo Sostenibile”.
Le sessioni riguardavano:
Ricerca e valutazione in Educazione Ambientale
Un’Educazione Sostenibile
Formare i formatori
La rilevanza dei saperi della comunità
Promuovere partecipazione e “governance”
e “fare rete”
Comunicazione e ambiente
Le vie della sostenibilità
Economia ed ecologia: un unione da creare
Ambiente e salute
Il ruolo chiave dell’agricoltura e le sue problematiche
L’etica
Coinvolgimenti emotivi
Da Berlino, arriva la testimonianza di forti collaborazioni
Tedesca-Nipponica e la continua caduta delle frontiere e
della “scomparsa” di molti stati (dal punto di vista
culturale), quindi, per il campo educativo arriva una
grande sfida: imparere a vivere insieme. La comunità
Francese ha sottolineato quanto sia fondamentale dare
un equilibrio maggiore fra Economia, Società e
Ambiente in modo da aumentare le responsabilità
intragenerazionali. Il governo Francese ha aggiunto una
nuova Carta dell’Ambiente alla Costituzione Europea al
fine di abbattere (anche se molte difficile) i
compartimenti stagni delle varie discipline di
insegnamento delle materie. In Europa come da tutto il
mondo la domanda a cui dare risposta è la stessa:
“Perché l’Educazione ambientale è così importante?” Il
concetto di apprendimento trasformativo implica un
educazione alle problematiche generali ed i bambini
devono imparare ad essere una parte integrante del
mondo e non una cosa a parte. Abbiamo tutti bisogno di
una concezione nuova dell’ambiente.
In Grecia la struttura dell’Educazione Ambientale è un
pochino avanti a noi: esiste un Ministero dell’Educazione
Ambientale e questa rientra nel piano didattico
nazionale anche se non ancora nella forma di una vera
e propria materia. Nelle aule si svolgono programmi di
Educazione Ambientale con scadenze regolari di 2-4 ore
ogni 15 giorni. Anche dall’Australia come dall’Italia e
dalle Americhe emerge l’importanza di attuare
programmi di Educazione Ambientale cercando di
migliorare le concezioni esistenti operando con un
approccio multidisciplinare:
Dal 1970 l’approccio è cambiato, seppur lentamente, da
una concezione dell’ Educazione Ambientale dal punto
di vista di un’unica materia di insegnamento ad un
punto di vista globale fondato da tutte le discipline
ambientali. Negli ultimi anni, inoltre l’Educazione
Ambientale si è espansa a tal punto da non poter più
parlare di Sviluppo Sostenibile considerando
l’Educazione Ambientale come una forma di
insegnamento all’Ecologia Ambientale, se questa non è
coordinata e coadiuvata da Economia e Società.
In Italia tutte le regioni attuano programmi di Educazione
Ambientale in modo coordinato dal 2000 ed il 23
settembre 2005 c’è stato il primo Meeting del Res
(Regioni Europee per la Sostenibilità) organizzato da
Umbria ed Emilia Romagna a cui hanno partecipato
molte regioni tra cui il Lazio. Anche quì, come dalle
esperienze riportate dai vari paesi stranieri, ad esempio
quello del Burkina Faso (che ha ospitato il 3° Forum
mondiale sull’ Educazione Ambientale) è emerso che
per colmare lo scarto tra ricchi e poveri bisogna
rafforzare l’istruzione sia dei bambini che degli adulti.
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Ecosistemi e biodiversità:
questioni che ci riguardano
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Francesco Scacchetti
Il ramaio è uno degli antichi
mestieri che ancora esiste
nell’area lepini. A Roccagorga
questa storiva attività
è portata avanti dalla famiglia
Nicodemi. Nel loro vecchio
laboratorio l’arte e la professione
si uniscono per plasmare prodotti unici
Attualmente 115 milioni di bambini non vanno a scuola
e cominciano la vita con questo handicap che
virtualmente li condanna ad una povertà abietta.
Riconoscendo ciò, le Nazioni Unite, hanno proposto
come obiettivo di sviluppo di questo decennio,
l’istruzione primaria universale.
È tuttavia evidente come in tutto il mondo stanno
aumentando le scuole che decidono di impegnarsi per
costruire un futuro sostenibile per i propri studenti,
iniziando dall’ambiente che gli è più vicino: la scuola
stessa e la comunità in cui si trova. Abbiamo così in
Ungheria le “Forest schools” in corrispondenza ad
un’iniziativa ministeriale che prevede che gli alunni
debbano avere almeno un’opportunità nel corso del loro
percorso scolastico di passare una settimana a contatto
con la natura. In Corea con lo stesso nome le scuole
impiantano e mantengono boschi nelle zone vicine in
quanto vittime spesso di uno sviluppo edilizio frenetico.
Nei paesi nordici esistono “green schools” che
dimostrano con sforzi concreti una integrazione dei temi
ambientali nei curricula e le “Eco-schools” che si
impegnano a utilizzare all’interno della scuola
procedure e tecnologie ispirate allo sviluppo sostenibile.
Secondo l’Unesco l’Educazione per la Sostenibilità non
consiste in un nuovo programma, ma in un processo per
orientare le politiche educative, i programmi, le pratiche,
in modo che l’Educazione giochi il suo ruolo nella
costruzione delle capacità di tutti i membri della società
di lavorare insieme per un futuro sostenibile. Nella
nostra civiltà la cultura e l’educazione hanno avuto uno
sviluppo diverso e hanno raggiunto livelli di complessità
notevoli costringendo l’uomo a confrontarsi con il suo
pianeta e a recuperare (come avviene oggi) il concetto
antico di Educazione Ambientale che dovrebbe avere un
unico fondamentale scopo: farci sentire tutti abitanti
della Terra e responsabili di questa unica risorsa.
Il progetto acqua
È partito ad Ottobre il progetto pilota sul
tema dell'acqua che il Lea Cave
coordinerà in collaborazione con la s.m.s.
Mazzini e la s.e.s. di Gavignano, la s.m.s.
Leonardo da Vinci di Colleferro ed il 1°
circolo didattico di Colleferro, e che vedrà
coinvolti scuole ed associazioni del
territorio come la cooperativa Lo
Scarabocchio ed il Gruppo di Ricerche
Naturalistiche H.G. Alexander, il Museo
Antiquarium e la Biblioteca comunale di
Colleferro. Il progetto coinvolgerà tutti gli
aspetti legati all'acqua dalla letteratura
alla drammaturgia, passando per scienza
e tecnica, cercando così di dimostrare
come l'Educazione Ambientale possa
coinvolgere tutti gli aspetti della nostra
vita, noi compresi.
un epoca caratterizzata da continue
trasformazioni sia nel campo sociale che
nei settori della tecnologia e dell’industria,
il rame, il primo metallo di cui l’uomo ha
iniziato a servirsi continua ad avere un
ruolo di vitale importanza nella vita di tutti i giorni.
Esistono infatti nei lepini botteghe di ramai ancora
attive. Una di queste si trova a Roccagorga ed è di
proprietà di Italo Nicodemi classe 1920, una vita a
In
lavorare il rame. Quando gli chiediamo l’età a cui ha
cominciato a fare l’artigiano, lui risponde con un sorriso
e dice che la sua vita è cominciata in bottega. Negli anni
40 s’inscrive alla Camera di Commercio come artigiano
con licenza commerciale. La sua esperienza lavorativa
attraversa quasi un secolo di storia. Anni di intenso
lavoro interrotti solo dal periodo della guerra, che Italo
ricorda come un momento in cui non c’era richiesta ma
soprattutto non c’era rame poiché doveva essere dato
alla patria. L’attività del ramaio attraversa tutta la
famiglia Nicodemi, la bottega era la loro casa, il padre
Ludovico ed il nonno Antonio erano mastri nell’arte del
rame, allo stesso modo il figlio di Italo, Fernando e un
mastro nella lavorazione dei metalli. Italo ci racconta
che al fianco di suo padre vicino al fuoco ha iniziato a
girare “il ventilatore a mano” per mantenere una caloria
costante nella forgia. Con la stessa funzione il figlio di
Italo dall’età di sei anni ha cominciato a lavorare nella
bottega. La forgia racconta Italo era alimentata da
carbone di quercia poiché per le sue caratteristiche di
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28
Quelle callare
di Italo
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economia
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dolcezza non causa noie e mantiene un fuoco sempre
vivo. Il rame scaldato con incudine e martello veniva
lavorato per realizzare pentole, tinelli, recipienti per
cuocere il vino, caldaie, conche, questi sono i prodotti
maggiormente richiesti. La conca in dialetto viene
chiamata callara e da qui il soprannome di callararo che
dalla comunità rocchiggiana e stato dato a tutti gli
membri della famiglia. Gli strumenti che utilizza per
lavorare il rame sono martelli di ferro chiamati zappette,
vari tipi di forbici e pinze necessari per posizionare i
cerchi nelle caldaie. Inoltre nelle diverse fasi della
lavorazioni si usano anche martelli di legno sempre a
zappetta, il compasso strumento di precisione che
serviva per fare il fondo e per dare l’altezza al
manufatto. Il fuoco ed il suono del martello sull’incudine
ha scandito il tempo tra le mura della bottega, che
ancora oggi mantiene tutta la sua funzionalità piena di
strumenti e con tutto ciò che occorre per lavorare, quei
rumori tanto abitudinari oggi sono scomparsi non solo
nella vita di Italo, che ogni giorno si reca nella bottega
ma sempre meno per lavorare. Fernando ha cercato
negli anni di continuare il mestiere ma non è riuscito a
far fronte alle esigenze della vita moderna ed ha scelto
di percorrere altre strade. Ci dice però che quando
arriverà alla pensione ricomincerà a fare il ramaio. Fino
agli anni settanta era fiorente la produzione di
suppellettili da cucina in rame: scaldini, bracieri,
pentole, tinelli, etc. Attualmente i ramai rimasti si sono
orientati verso una produzione più artistica
rappresentata da soggetti sacri, piatti da parete, lastre
ornamentali a sbalzo. Fare l’artigiano significa acquisire
una identità che oggi è più che mai diventata una
soluzione per distinguersi nella società moderna. Per
questo, la valorizzazione di questi mestieri, non è solo
necessaria a delle esigenze materiali ma bensi culturali.
Il rame e l’uomo
rame apri una nuova era dell’umanità,
segnando la fine dell’età della pietra
(paleolitico, neolitico) per lasciare spazio all’
inizio dell’era dei metalli. L’età del rame è
chiamata da alcuni studiosi “Calcolitico”,
termine che deriva dalle parole greche rame (Khalkos) e
pietra (Lithos), e rappresenta un passaggio
rivoluzionario nella storia dell’uomo. Il rame unisce in se
i pregi e lima i difetti dei precedenti utensili, avendo la
Il
morbidezza dell’argilla se scaldato ma essendo più duro
della pietra quando si raffredda. Il più antico oggetto di
rame a noi noto è un piccolo pendaglio ottenuto col
minerale non lavorato, scoperto nella grotta di Shanidar
in Kurdistan e risalente a ben 12.000 anni fa, mentre
circa 10.000 anni fa si attesta un primo uso del rame
lavorato e trasformato in utensili, nella civiltà
Mesopotamica. In Italia abbiamo tracce dell’utilizzo del
rame solo alcuni millenni più tardi. L' evoluzione delle
tecniche di lavorazione durò diversi millenni, la più
antica nota descrive una lavorazione a freddo del rame
puro proveniente da filoni o pepite e solo alcuni millenni
dopo fu inventata la tecnica del martellamento a caldo,
che portò in poco tempo gli abili artigiani del mondo
mesopotamico a raggiungere con i loro forni la
temperatura necessaria per la fusione, che permise di
ottenere fili, lamine da ribattere ed anche direttamente
oggetti di ogni forma. Dalla fusione di rame e stagno si
ottiene il Bronzo. Nello scorrere dei secoli nel territorio
del Lazio si sono sviluppati due tipi di artigianato, il
primo ruotava intorno alla Chiesa e alla nobiltà e
contribuiva alla realizzazione delle immense opere
d’arte che ancora oggi ammiriamo. Accanto a questo
c’era il cosiddetto artigianato di provincia, che
soddisfaceva le esigenze della gente comune, con una
produzione legata alle esigenze di tutti i giorni e proprio
per rispondere meglio a questo tipo di richiesta le
botteghe artigiane nacquero ovunque nei centri dei
piccoli paesi.
Come si lavora
avorazione a caldo richiede il taglio delle barre di
ferro in segmenti della dimensione desiderata. I
frammenti così ottenuti sono collocati nella
forgia (forno aperto a carbon coke in cui la
combustione è ravvivata per mezzo di mantici o
ventilatori), ove sono riscaldati sino a temperature
prossime ai 1.000 gradi centigradi. Raggiunta la
temperatura desiderata, il rame è adagiato sull'incudine
e lavorato con il martello. La tecnica di lavorazione
tradizionale richiede poi che i pezzi forgiati a caldo siano
uniti tramite chiodatura. Il prodotto quasi ultimato è
infine sottoposto alle lavorazioni di finitura: sabbiatura,
verniciatura e zincatura. Un'ulteriore fase di lavorazione,
cui si ricorre solo per prodotti destinati a contenere
alimenti, è quella della stagnatura delle superfici
interne, resa indispensabile dalla tossicità dei composti
chimici derivanti dall'ossidazione del rame. La
stagnatura, che sempre più spesso è sostituita dalla
ricopertura delle superfici interne effettuata, per gli usi
professionali, con acciaio o alluminio, è seguita dalla
pulitura. Questa ultima fase di lavorazione è compiuta,
ancora oggi, prevalentemente a mano e senza l'ausilio
di prodotti chimici.
L
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economia
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In occasione del bicentenario della nascita
del grande patriota, diversi paesi del
comprensorio hanno celebrato la sua
figura. A Montelanico, dove ha vissuto
ed operato il suo seguace don Francesco
Raimondi, è giunto anche un telegramma
del presidente Ciampi in cui si esprime
apprezzamento per l’iniziativa
Luigi Roberti
padre della Patria e dell’Europa dei Popoli,
a colui che tenne in cima ai suoi interessi
politici l’unificazione italiana, l’integrazione
europea e la fratellanza fra i popoli,
Giuseppe Mazzini, la XVIII Comunità
Montana, i Comuni di Montelanico, Carpineto, Artena e
Segni, hanno dedicato una serie incontri di studio
valorizzandone la portata politica del suo pensiero e la
sua ideologia assai condivisa e vissuta in terra lepina.
Un impegno cominciato il 22 giugno, giorno della
nascita di Mazzini, in quel di Montelanico, Comune che
si è fatto promotore di tale iniziativa, spinto da un dovere
civico legato alla figura del prete-sindaco don Francesco
Raimondi, mazziniano irremovibile, prete patriota come
pochi altri, esponente del Circolo Popolare di
Ciceruacchio (Angelo Brunetti) a favore della
Costituente, il quale per gli ideali unitari mazziniani
“impugnò le armi” contro Pio IX e, per la polizia
pontificia, “molto si distinse nelle vicende della
Repubblica Romana del 1849” e con lui Mazzini,
Garibaldi, Pisacane, Mameli. Espulso da Roma torna a
Montelanico dove fu a capo dei movimenti clandestini
mazziniani a sud di Roma e nei monti lepini, sicuro che
“la Repubblica presto dovrà tornare”. La figura di don
Francesco Raimondi è un raro esempio di come il potere
temporale e quello spirituale non fossero antagonisti,
ma ambedue espressione della civiltà italica. Nell’ultimo
consiglio comunale da lui presieduto (luglio 1874) ci ha
lasciato un testamento politico di rara fede mazziniana
e di sublime patriottismo: “Martire della libertà,
prigioniero di quindici anni per la causa più giusta del
Al
mondo, voi mi avete visto soffrire ed impoverire senza
emettere neppure un lamento e senza il conseguimento
di un premio. Che dissi! Io lo ebbi questo premio e fu il
trionfo della Patria oppressa, superba che dopo quasi 14
secoli io sia stato il primo nel suolo natio a segnare il
nome nei fasti della gran Patria Italiana, risorta a liberta.
Sì, di questo io mi consolo, come faro a cui possono
illuminarsi tutti coloro che ne risiedono anche qui, pei
quali era simbolo d’ignominia il soffrire per il nobil
pensiero, ed erano invece simboli di gloria e virtù!”
A testimonianza del vasto movimento mazziniano
operante nei monti Lepini, nella direttrice MontelanicoPriverno, nell’opuscolo “Le idee di Giuseppe Mazzini nei
monti Lepini” edito dalla XVIII Comunità Montana è stata
appositamente riportata la “Causa Romana
Commissaria”, documento conservato presso l’Archivio
di Stato di Roma che riporta le accuse di cospirazione e
la condanna dei maggiori seguaci di Mazzini distintisi
per la loro intrepida difesa a favore della repubblica
nelle comunità di Montelanico, Roccacorga, Priverno e
Carpineto. Gli incontri di studio si sono svolti nelle
comunità lepine di Montelanico, Carpineto, Artena e
Segni e hanno visto la partecipazione di eminenti
studiosi locali, professori universitari, direttori di istituti
culturali. È da rilevare anche l’assidua partecipazione
dell’Associazione Mazziniana Italiana nella persona del
suo presidente Massimo Scioscioli e dei rappresentanti
di diversi enti locali che hanno contribuito a dare nuovi
apporti alla storiografia locale. Queste prime
manifestazioni per onorare la memoria di Mazzini, sono
terminate l’8 ottobre a Montelanico, comune nel quale è
in corso di preparazione un Museo del Risorgimento
lepino e della Bandiera italiana. Per l’occasione è stata
allestita una prima parziale esposizione comprendente
24 bandiere appartenenti agli Stati preunitari
(Repubblica di Genova e Ligure, Repubblica Partenopea,
Repubblica di Noli, Principato di Seborga, Repubblica di
Lucca, Regno di Napoli, Regno delle Due Sicilie, dei
Ducati di Lucca, Modena, Reggio, Piacenza e Guastalla,
Repubblica Anconetana, Repubblica di Compaia,
Granducato di Toscana, Regno di Sardegna e di Etruria,
Repubblica Piemontese). Queste realtà nacquero dopo
la campagna di Napoleone che sgretolò l’antico sistema
di stati in cui era divisa la Penisola. Al posto di
quest’ultime sorsero numerose repubbliche giacobine,
di chiara impronta democratica, che rappresentarono la
prima espressione di quegli ideali d’indipendenza che
alimentarono il nostro Risorgimento. Proprio in quegli
anni la bandiera venne avvertita non più come segno
dinastico o militare, ma come simbolo del popolo, delle
libertà conquistate e quindi della nazione stessa, quel
territorio che Mazzini chiamerà Patria: “La Patria non è
un territorio; il territorio non ne è che la base. La Patria
è l’idea che sorge su quello; è il pensiero d’amore, il
senso di comunione che stringe in uno, tutti i figli di quel
territorio”. È in fase di ultimazione la ricostruzione in
stoffa di tutta la storia del tricolore italiano, dalla
bandiera della Repubblica Cispadana del 7 gennaio
1797 finemente ricamata a mano, a quella della
Repubblica Cisalpina, del Regno Italico nel periodo
napoleonico, e i vari tricolori appartenuti al Regno delle
Due Sicilie, al Regno di Sardegna, al Granducato di
Toscana, al Regno d’Italia e molte altre ancora, fino agli
stendardi presidenziali per i quali è stato ottenuta
l’autorizzazione alla riproduzione da parte del
Segretariato Generale della Presidenza della
Repubblica. Oltre a tutte le bandiere degli attuali Paesi
membri dell’Unione Europea, il Comune di Montelanico
ha chiesto le bandiere alle Regioni, Province, e
Capoluoghi. Si vuole con questo riassaporare quel
sentimento unitario di cui Mazzini ne fu padre,
attraverso il recupero, la conoscenza e la valorizzazione
delle bandiere degli italiani, che sono il simbolo più
sentito e riconosciuto di identità culturale, territoriale e
nazionale. A ripagare l’impegno di tutti coloro che hanno
contribuito alla buona riuscita degli incontri e, in
particolare, il lavoro del presidente della XVIII Comunità
Montana Quirino Brigantive del sindaco di Montelanico
Simone Temofonte è giunto dal Quirinale un telegramma
del presidente Ciampi ad onorare tutta la terra lepina e
particolarmente il Comune di Montelanico.
“In occasione delle celebrazioni indette per il
bicentenario di Giuseppe Mazzini ed in onore
della memoria del primo sindaco di
Montelanico, il sacerdote mazziniano don
Francesco Raimondi, il Presidente della
Repubblica
esprime
apprezzamento
all’Amministrazione Comunale per il valore
storico e civile dell’iniziativa. Padre della Patria
secondo il moderno concetto di nazione, inteso
come consapevolezza di comuni radici di
lingua, tradizione, cultura, Mazzini ha creduto
per primo ad una Europa unita intorno ai valori
della democrazia e del reciproco rispetto fra
popoli diversi. Rinnovare e promuovere la
conoscenza del pensiero mazziniano e di
seguaci patrioti, come Don Francesco
Raimondi contribuisce a consolidare
soprattutto nei giovani un sentimento di
cittadinanza autentico e condiviso, aperto ai
principi dell’accoglienza e dell’integrazione.
Con questi sentimenti il Capo dello Stato
rivolge agli organizzatori, ai partecipanti e a
tutta la Comunità di Montelanico, un augurio
cordiale cui unisco il mio personale.”
Gaetano Gifuni - Segretario Generale
Presidenza Repubblica
33
iLepini
dal territorio
dal territorio
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Mazzini
nel cuore
dei Lepini
iLepini
dal territorio
34
Il sogno
di un grande italiano
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Italo Campagna
erito della XVIII Comunità Montana, area
romana, e del suo presidente Quirino
Briganti, l’aver iniziato un ragionamento e
una esplorazione della storia della nostra
gente in cui potessero ritrovarsi quei comuni
ideali e quelle esigenze sopralocali, che consentirono
anche qui alle una crescita culturale e politica, ancor che
faticosa e aspra. Simbolo, paradigma ed evento al tempo
stesso,l’occasione del bicentenario mazziniano e il
conseguente sviluppo delle “Idee di Giuseppe Mazzini nei
monti Lepini”. Un tema che si è subito presentato come
sfida nella sfida contro quegli scettici convinti che le
grandi idealità politiche, come quelle sviluppate dal
profeta dell’unità d’Italia, non abbiano riscontro nelle
piccole realtà umane e che comunità apparentemente
lontane dai grandi circuiti culturali, politici e artistici non
possano aver patria tra le nostre popolazioni lepine una
volta esclusiva classe di pastori, di contadini, di artigiani.
Una concezione snob e superficiale già ieri sconfitta da
una attenta e straordinaria ricerca archivistica condotta
negli anni ’70 dal prof. Giovanni Battista Ronzoni, che
ebbe ad innamorarsi delle disgrazie umane e politiche di
un prete montelanichese, don Francesco Raimondi,
primo sindaco di Montelanico dopo l’unità d’Italia, che,
dopo la parentesi della repubblica Romana del 1849,
ebbe l’ardire di attivare
sui monti Lepini(tra
Albano,Velletri,
Montelanico, Carpineto,
Roccagorga e Piperno)
una cospirazione tutta
repubblicana
e
mazziniana dando l’avvio
alla “Causa Romana ossia
Montelanico, Roccagorga,
Piperno e Carpineto di
cospirazione contro don
Francesco Raimondi e
Giuseppe De Santis di
Alfeo
Montelanico,
Teccardi e Mucci di
M
Roccagorga, Bernardino Pecci Caldarozzi di Carpineto,
Ercoli Felici di Piperno ed altri.” Tra il 1852 ed il 1854
vennero riconosciuti colpevoli di “impugnare armi a
sostener la repubblica, l’appartenenza ad una consorteria
rivoluzionaria, cioè il verbo mazziniano,di cui l’apostolo ne
andava distribuendo le lettere colle quali avvertitasi di
star pronti perché fra poco sarebbe tornata la
repubblica”. Quella Repubblica Romana del 1849 che
aveva acceso tante speranze ed aveva al tempo stesso
lasciato tanti rimpianti in diversi strati della popolazione
lepina. Così numerosi sacerdoti, medici, possidenti
terrieri, notai, caffettieri ed anche contadini e perfino
disoccupati vennero coinvolti dalla parola del profeta
dell’unità italiana. Ne è sortita una serie di dibattiti estivi
nelle piazze di Segni, Montelanico, Artena e Carpineto con
studiosi coinvolgendo numeroso pubblico posto a
contatto con eventi di ieri, ma capaci al tempo stesso
ancora capaci di raccontarci oggi un’esperienza dei nostri
avi che oltre un secolo fa dibatteva il verbo repubblicano
tra carte cifrate e osterie, case private e perfino fiere
patronali per non dare all’occhio all’onnipresente polizia
pontificia. Un evento-simbolo, paradigma di eventi
nazionali ancor più sentiti di un diffuso richiamo all’unità
e alla identità nazionale, dibattuto con apprezzabile
interesse tra questi nostri monti Lepini. Un’esperienza
collettiva delle nostre amministrazioni che si spera aver
un suo seguito per le comuni tematiche espresse e per i
soggetti stessi chiamati a raccontarci esperienze
culturali, umane e politiche della nostra gente ancora
troppo sconosciute o sepolte negli archivi e nella
memoria ma che dovrà divenire un permanente campo di
ricerche scientifiche e di interessi culturali per una
comune storia ed un comune sentire. È l’augurio
espresso dal presidente della XVIII Comunità Montana nel
dare alle stampe un prezioso opuscoletto di 32 pagine,
sintesi del lungo dibattito estivo, già distribuito nelle
scuole, nelle biblioteche e nelle piazze dopo aver
coinvolto “l’Associazione Artisti dei Lepini con un gruppo
dei suoi storici, visto l’impegno ultraventennale
dell’associazione stessa su queste tematiche”.
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Novembre 2005 - Compagnia dei Lepini