iLepini Lepini 6 apagina Più attenzione ai centri storici 12 apagina Cultura e sviluppo locale 20 apagina Le “Semprevise” possibili 22 apagina Alla scoperta di... Gorga 26 apagina Ecosistemi e biodiversità: questioni che ci riguardano 29 apagina Sulle orme dei dinosauri Quelle callare di Italo 32 apagina Mazzini nel cuore dei Lepini Rivista mensile della XIII e della XVIII Comunità Montane dei Monti Lepini a cura della Compagnia dei Lepini S.c.p.A. n° 10 novembre 2005 Comune di Artena Provincia di Latina Comune di Priverno Comune di Bassiano Comune di Prossedi Comune di Carpineto Romano Comune di Roccagorga Comune di Cori Comune di Rocca Massima Comune di Gorga Comune di Roccasecca dei Volsci Comune di Maenza Comune di Segni Comune di Montelanico Comune di Sermoneta Comune di Sezze Oralità tra dinosauri e futuro Comune di Norma Comune di Sonnino 10 10 Lepini Compagniadei la società è strumento operativo dei soggetti privati per: REALIZZARE servizi di consulenza, assistenza, tutoraggio per la creazione e lo sviluppo di nuove imprese nel settore turistico; PROMUOVERE e realizzare processi di sviluppo di sistemi di qualità per le imprese e per la produzione del territorio a valenza turistica; PROMUOVERE e realizzare processi di innovazione e di sviluppo tecnologico ai fini di una più efficace ed efficiente fruizione del territorio; ELABORARE e realizzare programmi formativi adatti alla qualificazione e riqualificazione degli operatori del settore turistico; PROGRAMMARE e realizzare interventi coordinati ed integrati tra Pubblico e Privato, finalizzati alla valorizzazione turistica del territorio, delle imprese e delle produzioni. XIII Comunità Montana Roberto Campagna Direttore XVIII Comunità Montana la società è strumento operativo degli enti locali per: GESTIRE gli interventi del programma S.T.I.Le. (organizzazione e gestione welcome point; organizzazione e gestione dei servizi accessori quali aree parking, aree verdi attrezzate, itinerari culturali, storici, ambientali); ORGANIZZARE eventi, manifestazioni, fiere, spettacoli, mostre di interesse sull’intera area; ORGANIZZARE e gestire attività di promozione, a fini turistici, dell’area sui mercati nazionali ed internazionali; ORGANIZZARE e gestire attività di comunicazione, pubbliche relazioni ed immagine per l’area dei Monti Lepini; ELABORARE e realizzare modelli gestionali innovativi del patrimonio culturale, storico, artistico del territorio. ralità e scrittura hanno un punto di contatto nella pagina dove si conserva il sapere e si salvano le tradizioni”. Così scriveva Spaesamenti, un’associazione culturale di Sezze, in uno dei tanti quaderni che pubblicò, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Terzo Millennio, con la collaborazione dell’Archivio storico dell’oralità dei Monti Lepini. Questo per dire che sul binomio oralità e letteratura non c’è niente di nuovo: di esempi è pieno il mondo. E ce ne sono, come abbiamo visto, anche nel comprensorio lepino. L’associazione Spaesamenti nacque allo scopo di “indagare la memoria” di una comunità e di pubblicare tutte le “scoperte”. Sull’onda di questa esperienza fu realizzato l’Archivio storico dell’oralità dei Monti lepini, la cui sede è ancora ospitata nel palazzo comunale di Bassiano. Gli stessi amministratori bassianesi finanziarono il progetto. Certo, i quaderni pubblicati non sono proprio capolavori letterari, ma questo non era l’intento di Spaesamenti e dell’Archivio dell’oralità, in “O cui, tra l’altro, è ancora conservato tanto materiale raccolto. Dunque, anche se andavano nella stessa direzione dell’iniziativa sperimentata a Segni (a cui dedichiamo un ampio servizio nelle pagine seguenti), sono una cosa profondamente diversa. Comunque, in passato operazioni simili alla “provocazione” letteraria segnina sono state già fatte nei Monti Lepini. Ciò non per sottovalutare l’iniziativa di Segni, ma, ripeto, per sottolineare che su questo fronte è stato già tutto inventato. E allora dove sta la novità? La novità sta nel fatto che, ora, si punta a far diventare la ricerca orale e l’utilizzo, la pubblicazione e la promozione del materiale raccolto occasione di sviluppo. Si mira a realizzare nei Monti Lepini “il distretto dell’oralità” e la manifestazione segnina è stata solo il primo passo di questo progetto, organico e sistemico, che dovrebbe camminare di pari passo con il Programma STILe. Insomma, non si vuole rischiare di far succedere quello che è accaduto con i dinosauri, le cui orme, come riportiamo nel Primo Piano, sono state ritrovate in una cava di Sezze. Se ci fosse stato qualcuno che avesse raccontato della loro presenza e qualcun’altro lo avesse scritto, non ci sarebbero voluti secoli per scoprire il loro passaggio su questi monti. Ecco, questa storia e tante altre storie del comprensorio dovranno “produrre” ricchezza. 3 iLepini il progetto S.T.I.Le. 2 Provincia di Roma editoriale iLepini ENTI PARTECIPANTI iLepini intervento Le Comunità Montane non si toccano 10 10 Quirino Briganti Presidente XVIII Comunità Montana dei Monti Lepini recenti dichiarazioni di autorevoli esponenti del governo, secondo cui il maxiemendamento alla Finanziaria doveva prevedere l’abolizione delle 356 Comunità Montane in Italia per un mero calcolo monetario, rappresentano un fatto grave che, come ha affermato il Presidente nazionale dell’Uncem Enrico Borghi, impone una immediata presa di posizione. Alla fine, nel documento licenziato dal Senato, la proposta di abolizione non ha trovato posto. Rispetto al 2005 però, gli enti montani avranno a disposizione 2 milioni di euro in meno. Le Comunità Montane sono nate per tutelare e valorizzare parti importanti del territorio italiano, la loro salvaguardia assume un alto valore civile, sociale e culturale. La sola idea di volerle cancellare è completamente sbagliata e fuorviante, infatti non si possono eliminare così enti che sono stati riconfermati da una sentenza della Corte Costituzionale come obbligatori dotati di funzioni proprie. Lo stesso articolo 44 della Costituzione pone come strategico l’impegno, peraltro non eludibile, dello Stato per le zone montane. Inoltre il Testo Unico, approvato con D. Lgs. 267/2000, all’art. 2 individua inequivocabilmente le Comunità Montane come enti locali e l’art. 27 determina la natura delle stesse quali unioni di comuni tra enti montani. Ricordiamo che questo attacco Le Franco Solli Presidente XIII Comunità Montana dei Monti Lepini e Ausoni a qualche tempo si è tornato a parlare con forza del Parco dei Monti Lepini. Il progetto è ambizioso, non a caso se ne parla da oltre trent’anni ma ancora nulla di concreto è stato fatto. Questa volta però la giunta regionale sembra fare veramente sul serio, vari amministratori locali, tra cui spicca il presidente della XVIII Comunità Montana Briganti stanno impegnandosi a fondo per calamitare l’attenzione sull’iniziativa e sempre più incontri sono organizzati per sensibilizzare cittadini e istituzione. La XIII Comunità Montana non può che guardare con favore a questo movimento. Pensiamo che l’istituzione del Parco sia una grande possibilità per tutto il territorio lepino. La disciplina che verrebbe introdotta con la creazione dell’area protetta D sarebbe infatti una garanzia di conservazione e valorizzazione per tutto il territorio. L’area Lepini, poi, non si trova affatto impreparata ad un processo di così grandi proporzioni. Il Programma STILe ha infatti sparso nel comprensorio i semi di un nuovo modo di pensare l’ambiente e le risorse storiche, sociali, artistiche, enogastromiche e tradizionali. Gli interventi previsti in esso hanno poi contribuito a creare le infrastrutture indispensabili per il funzionamento ottimale del Parco. I welcome point, i lavori di restauro, l’Anello 111, sono solo alcuni dei progetti che favoriranno non popola creazione di un’area protetta. Anche il progetto Horst si muove nel campo della valorizzazione e sul recupero delle peculiarità soprattutto geologiche e ambientali - dei monti Lepini. Le premesse sono quindi state gettate. Ciò che ora è necessario è che i cittadini, e soprattutto le istituzioni, credano veramente nel Parco e lavorino per la sua realizzazione. Sarebbe un sogno che diviene realtà. viene rivolto ad istituzioni che rappresentano le aree più deboli del paese (oltre 10 milioni di abitanti) e che hanno il compito, così come stabiliscono le normative vigenti, di promuovere la salvaguardia del territorio montano, con particolare attenzione all’ambiente naturale, alla valorizzazione delle risorse umane e culturali, alle attività economiche, alla conoscenza e alla fruizione del patrimonio montano. La recente giornata di protesta indetta dall’Uncem nazionale svoltasi presso il cinema Caprinica a Roma, dove è stato convocato, in seduta straordinaria, il consiglio nazionale dell’associazione, allargato ai presidenti delle Comunità Montane ed a tutti i sindaci dei comuni Montani, è stata l’occasione per far sentire la voce degli Amministratori della montagna contrari a tale prospettiva. Resta aperta la questione relativa al Ddl della Finanziaria 2006 dove non solo il Fondo per la Montagna per gli investimenti non è stato incrementato, ma è addirittura scomparso! Il testo non contiene, infatti, alcuna previsione rispetto a questa voce. Il nostro auspicio è che questo Fondo venga presto ripristinato e nel contempo si prevedano la compartecipazione delle Comunità ad un grande tributo erariale, incentivi finanziari aggiuntivi per lo svolgimento di funzioni e servizi in forma associata e l’istituzione di un fondo perequativo in relazione alla copertura dei maggiori oneri presenti in montagna che presentano l’esigenza di sopperire ai sovracosti strutturali permanenti, oggi completamente a carico dei cittadini e delle istituzioni locali. La montagna è una risorsa per l’intero paese non si può azzerare. 5 iLepini intervento 4 Parco, la nostra occasione iLepini 10 10 Giancarlo Siddera Presidente Compagnia dei Lepini Forum organizzato a Bassiano sabato 29 ottobre sul “Il territorio dei Lepini: come interpretare la complessità delle trasformazioni”, è stata un’utile occasione per analizzare le politiche in atto e indicare possibili ipotesi di progettazione e programmazione future per governare le problematiche attinenti ai centri storici dei monti Lepini. La Compagnia dei Lepini è direttamente interessata a questo tema anche perchè è uno dei punti qualificanti dei “Progetti Trasversali” adottati dal programma STILe. I centri storici sono un patrimonio di gran pregio da valorizzare e spendere per lo sviluppo delle nostre comunità. Le abitazioni lasciate vuote ed abbandonate, anche secondo il parere degli urbanisti, dei sociologi e dei politici, sono un problema. Il nostro obiettivo è passare da questa valutazione negativa alla consapevolezza che essi sono una risorsa di sviluppo. Il quesito che ci poniamo è il seguente: perché nei centri del nostro territorio gli imprenditori non effettuano investimenti consistenti per la costruzione di strutture alberghiere? Vi è, e questo mi sembra essere una ragione fondata, una sorta di sfiducia degli operatori del settore, nell’investire capitali cospicui in strutture alberghiere. Questo perché non prevedono una resa economica certa per gli investimenti effettuati. E non è questione procedurale di rilascio di concessione urbanistica. Ogni Piano Regolatore prevede insediamenti ricettivi. Come Compagnia dei Lepini avanziamo alcune ipotesi di soluzione per uscire da questo circuito vizioso. Andranno ovviamente discusse, ampliate ed emendate per arrivare, eventualmente, ad una scelta finale condivisa. Come prima possibilità proponiamo agli amministratori, ai cittadini ed agli operatori privati, la realizzare di un nuovo modello di ricettività ed accoglienza che possiamo definire “Albergo Diffuso”. È questa una nuova tipologia urbanistica sulla quale si è acceso il dibattito in molte regioni italiane. L’Albergo Diffuso si caratterizza per alcune specifiche caratteristiche: è una Il struttura ricettiva unitaria a disposizione di chi è interessato a soggiornare in un contesto urbano di pregio, a contatto con i residenti. Può inoltre configurarsi come un albergo orizzontale inserito entro il contesto del centro storico, con camere e servizi in edifici diversi, ma vicini tra loro. Evidenti sono i benefici derivanti da questa nuova impostazione alberghiera. Si evitano gli inconvenienti di nuove costruzioni e si recuperano e valorizzano vecchi edifici non utilizzati. È una soluzione particolarmente adatta ai nostri centri storici dotati di caratteristiche rilevanti. Il secondo modello idoneo alla valorizzazione dei centri storici è l’introduzione di un nuovo sistema di scambi commerciali, che viene definito “centro commerciale naturale”. È ciò che noi stiamo già attivando con preincontri tra alcune amministrazioni e tra gli operatori pubblici e privati. Questa è una formula per il recupero e la riattivazione dei piccoli negozi che sono in possesso già di autorizzazioni e sono già funzionanti. Stiamo davanti ad una vera e propria inversione di rotta. La dirompente espansione della grande distribuzione ha ridimensionato i tradizionali negozi a gestione familiare. Le stesse botteghe di antichi mestieri e di artigianato sono di fatto scomparse dai centri storici. È andato perduto un ricco patrimonio di forte coesione sociale. Il centro commerciale naturale, con la riapertura delle botteghe e la rivitalizzazione dei negozi, ritorna ad essere un investimento produttivo in quanto rilancia tutte le attività del settore. Non solo: potranno tornare a funzionare le vecchie botteghe artigianali e si potrà creare un mercato per i prodotti tipici dell’enogastronomia locale. L’albergo diffuso e il centro commerciale naturale sono soluzioni particolarmente adatte ai Lepini. Bisogna adottare politiche che puntino su di essi. Così facendo si creano le premesse per la rivitalizzazione del territorio editoriale pag. 3 Oralità tra dinosauri e futuro interventi Presidenti CM pag. 4 Parco, la nostra occasione pag. 5 Le Comunità Montane non si toccano pag. 6 Più attenzione ai centri storici pag. 8 Jurassic Setino Park iLepini Nuova serie Edito dal 1989 Numero 10 NOVEMBRE 2005 Direttore Roberto Campagna Condirettore Giacomo Benedetti Fotografia Pietro Mastrantoni Foto copertina, pag.3, pag.8-11 Daniele Raponi e Gaspare Morgante. Foto pag.3, e pag.12-18 Emiliano Spada Progetto Grafico Fabio D’Achille Studio24 Impaginazione Fabio D’Achille Gianna Pellecchia Stampa Grafica’87 Srl Editori XIII Comunità Montana dei Monti Lepini • Priverno (LT) 04015 Piazza Tacconi, 2 [email protected] XVIII Comunità Montana di Monti Lepini • Segni (RM) 00037 Via Petrarca, 4 www.cmmontilepini.it Redazione Compagnia dei Lepini Sezze Via Umberto I, 46/48 Segni (RM) Via Petrarca, 4 www.compagniadeilepini.it primo piano attualità pag. 12 Cultura e sviluppo locale pag. 14 Quando l’oralità incontra la letteratura pag. 16 I posti e le parole: “l’occasione” di Segni pag. 19 I paesi, i volti e le emozioni montagne d’Italia pag. 20 Le “Semprevise” possibili focus pag. 22 Alla scoperta di... Gorga pag. 25 Intervista al sindaco Nadia Cipriani ambiente pag. 26 Ecosistemi e biodiversità: questioni che ci riguardano economia pag. 29 Quelle callare di Italo dal territorio pag. 32 Mazzini nel cuore dei Lepini pag. 34 Il sogno di un grande italiano sommario 7 iLepini intervento 6 Più attenzione ai centri storici iLepini 10 10 Stella Teodonio Molti anni fa i dinosauri calcavano le terre dei monti Lepini. Nella cava di Petrianni a Sezze scalo un gruppo di ricercatori ha scoperto le loro orme. Il rinvenimento coincide con l’avvio del progetto Horst il cui obiettivo è la valorizzazione del patrimonio geologico del comprensorio. luce radente dell’alba, le ombre che conferiscono spessore alle buche, ritrovate per caso in una cava abbandonata, e quello che fino a pochi anni fa sembrava un’eresia persino per la comunità scientifica, diventa realtà. Poco meno di centomila anni fa nel Lazio vivevano i dinosauri. Esemplari di Sauropodi (i giganteschi dinosauri dal collo lungo) e di Teropodi (i dinosauri carnivori di media taglia) passeggiavano placidamente nelle gole dei Monti Lepini, in un ambiente profondamente diverso rispetto a quello attuale, un ambiente tropicale, una laguna marina e fangosa, forse un po’ puzzolente, che di tanto in tanto era raggiunta da un’onda del mare. Su quel fango, su rocce risalenti al Cretaceo superiore, sono rimaste impresse le impronte di decine, forse centinaia di esemplari di dinosauri, sia carnivori che erbivori. Una scoperta che, banalmente, si potrebbe definire eccezionale, ma che nella pratica rischia di aprire nuove ed interessanti prospettive sul passato del nostro pianeta, rimettendo in discussione acquisizioni ed ipotesi scientifiche. In tempi non troppo lontani, infatti, gli studiosi ritenevano l’Italia una terra, dove il ritrovamento dei reperti fossili dei giganteschi rettili estinti fosse inverosimile. Un insieme disaggregato di piccole isolette, una specie di arcipelago dove la sopravvivenza di animali di così grandi dimensioni era giudicata improbabile. Ma da vent’anni a questa parte, i ritrovamenti di Altamura, in Puglia; del Villaggio del Pescatore, nel Carso italiano; di Benevento, in Campania, hanno portato a riconsiderare l’idea che si La aveva del nostro paese. Nel Mesozoico, Era in cui si svilupparono e vissero i dinosauri, l’Italia doveva essere un insieme di grosse isole, collegate da istmi e piattaforme continentali, dove la sopravvivenza era consentita non solo per i piccoli rettili, ma anche per i grandi dinosauri, che potevano spostarsi in cerca di cibo. Da paese inospitale, la nostra penisola si è così trasformata in uno dei luoghi più interessanti e stimolanti per le ricerche scientifiche sugli stili di vita, le dimensioni e la formulazione delle ipotesi sulla scomparsa dei grandi rettili ormai estinti. La scoperta sui Monti Lepini risale ad alcuni mesi fa, quando un gruppo di appassionati di geologia e paleontologia, in visita nella zona per un’escursione di studio, individuò delle buche che assomigliavano ad orme di dinosauro. Immediata la segnalazione agli esperti dell’Università di Roma “La Sapienza”, che isolarono l’area ponendola sotto il vincolo di tutela della Soprintenda archeologica del Lazio. L’obiettivo primario era la difesa del sito da occhi e mani indiscrete, che avrebbero potuto comprometterne l’integrità, in attesa che i rilievi confermassero le prime ipotesi. Un lavoro certosino: scopa e pennello per portare via polvere e detriti dalla roccia, carta velina e pennarelli per ricalcare le impronte e poi di corsa in laboratorio per ricostruire specie, peso, dimensioni, andatura e posizione dei dinosauri. Indagini che sono state svolte dai geologi Daniele Raponi e Gaspare Morgante, ideatori del progetto Horst, coadiuvati dal dottor Fabio Dalla Vecchia, paleontologo di fama internazionale. “Dai primi rilevamenti effettuati nel sito, - affermano i due studiosi - è stato possibile determinare le dimensioni e l'andatura di alcuni dei dinosauri presenti. Il Sauropode che ha lasciato le sue impronte era un erbivoro quadrupede della lunghezza di oltre 10 metri e del peso di circa 8-10 tonnellate. Camminava placidamente alla velocità di appena 2 km/h. I carnivori presenti invece, erano di dimensioni decisamente più contenute, raggiungevano infatti il peso di circa 100kg per una lunghezza di appena 3 metri”. Centinaia di orme isolate e piste (c’è un’area che è stata soprannominata dagli studiosi il bar, poiché in uno spazio piccolissimo si concentrano più di centosettanta impronte) che sono state rilevate su tre differenti superfici, all’interno di una cava in dismissione nel comune di Sezze. Le estrazioni di materiale graniglioso, effettuate nel corso degli ultimi decenni, hanno permesso, infatti, l’individuazione di diverse sedimentazioni stratigrafiche, dalle quali sono emerse le impronte di dinosauro. Ma il sito di Sezze scalo risulta interessante anche per altri ordini di motivazioni. All’interno del territorio comunale sono stati individuati, dai geologi Morgante e Raponi, alcuni affioramenti di rocce risalenti al periodo Giurassico, datate a circa 170 milioni di anni fa, dalle caratteristiche molto peculiari. Si tratta del cosiddetto Plattenkalk di Bassiano, una parola di origine tedesca che letteralmente significa calcare in lastre, ovvero, piatto, in lastre sottili, in altre parole “calcare litografico”. Questo tipo di calcare è chiamato così poiché in passato veniva utilizzato per le litografie e la scrittura. “Giacimenti simili - concludono Morgante e Raponi, in un articolo apparso sul sito Scienzaonline (http://www.scienzaonline.com/geologia/horst.html) sono molto conosciuti in geologia, basti pensare al ‘Calcare litografico di Solnhofen’ in Baviera (Germania meridionale), ricchissimo di resti fossili, fra cui Archeopterix (il primo dinosauro piumato rinvenuto), oppure il ‘Plattenkalk di Pietraroja’ nei pressi di Benevento, in cui è stato ritrovato il primo dinosauro italiano (Scipionix samniticus, detto amichevolmente ‘Ciro’). Il sito di Sezze scalo, come già detto ha caratteristiche simili a quelli citati, per cui è di notevole interesse per i paleontologi. Finora lo studio ha portato alla luce "solo" alcuni pesci ottimamente conservati, resti di conifere, piccoli crostacei e molti coproliti. Si tratta in realtà di feci fossili di vertebrati, alcuni dei quali di notevoli dimensioni, il che, unito alle già citate caratteristiche geologiche del sito, fa sperare i ricercatori nella scoperta di animali di grandi dimensioni, magari proprio un dinosauro”. 9 iLepini primo piano primo piano 8 Jurassic Setino Park iLepini primo piano 10 10 Un progetto tra scienza e divulgazione na “via dei dinosauri” che attraversi longitudinalmente i Monti Lepini e guidi il visitatore alla scoperta dei siti di interesse geologico e paleontologico. Questa l’idea lanciata, nel corso del convegno “La cultura del territorio e la scienza tra didattica e divulgazione”, dal professor Mario Tozzi, volto noto della televisione italiana, conduttore della trasmissione “Gaia, il pianeta che vive”. “Del resto - ha spiegato Tozzi a decine di studenti presenti nella sala del castello di Sermoneta si fanno quelle del vino o dei prodotti tipici, non vedo perché di fronte a scoperte come quelle fatte qui non si possa pensare a un museo all’aperto dedicato ai dinosauri”. Uno spazio esterno, un museo sul territorio che integri la struttura didattico - interattiva dedicata alla geopaleontologia, inaugurata alla fine di settembre nel comune di Bassiano e figlia del progetto Horst. Finanziato dalla Comunità Europea, nell’ambito del programma “Cultura 2000”, Horst ha avuto come obiettivo principale la realizzazione di una serie di strutture interattive e didattico-divulgative (laboratori) dedicate interamente alla geologia e ai suoi molteplici aspetti, per valorizzarne, tutelarne, divulgarne le conoscenze. Come per ogni progetto a livello europeo, anche questo ha visto la compartecipazione di diversi partner: la XIII Comunità Montana dei Monti Lepini ed Ausoni, per l’Italia; le città di Atalanti e Pavliani, per la Grecia; il paese di San Fulgencio, per la Spagna e, U infine, la città di Ain Draham, per la Tunisia, come partner associato. “Il progetto - spiegava Domenico Guidi, allora presidente della XIII Comunità Montana all’atto della sua presentazione nel dicembre del 2004 nasce nell’intento di produrre una sinergia culturale europea nel tentativo di raggiungere una vera cooperazione ‘oltre ogni confine’, mirante a superare i limitati interessi locali e a realizzare un’idea di far vivere, con vera partecipazione, la cooperazione culturale a livello europeo. Tale azione mira quindi a diffondere la cultura e, nel caso specifico, cultura geologica e ambientale, sfruttando le particolarità naturalistiche delle diverse realtà che partecipano al programma”. La difesa del territorio, volta a costruire un rapporto nuovo ed interattivo tra l’uomo e l’ambiente nel quale vive, nell’ottica di favorire una comprensione profonda dei processi che ne sono all’origine, è stato il minimo comun denominatore che ha guidato i geologi Daniele Raponi e Gaspare Morgante nell’ideazione e realizzazione di Horst. Atto conclusivo del progetto è stato il convegno itinerante, dal tema “La cultura del territorio e la scienza tra didattica e divulgazione”, che si è tenuto dal 24 al 27 settembre scorsi tra Bassiano, Sermoneta e Priverno. Una serie di incontri, cui hanno preso parte esponenti di spicco della comunità scientifica italiana, come il già citato professor Mario Tozzi e il professor Enrico Miccadei dell'Università di Chieti, oltre a numerosi rappresentati della realtà istituzionale, tra i quali l’assessore alla Cultura della regione Lazio, l’onorevole Giulia Rodano, l’assessore alla Cultura della provincia di Latina, Fabio Bianchi, il sindaco della città di Pavliani (Grecia,) Anastasiou Kostantinos, il sindaco della città di Atalanti (Grecia), Lambros Mrekoulakis, il sindaco della città di San Fulgencio (Spagna), il sindaco della città di Ain Draham (Tunisia), Homrani Moncef e il presidente della della XIII Comunità Montana, Franco Solli. Giorni durante i quali è stato, anche, inaugurato il museo geopaleontologico di Bassiano. ‘Vietato non toccare’, questo lo slogan della nuova struttura museale, concepita come un luogo interattivo, basato sulle più moderne tecnologie informatiche, dove il visitatore sarà stimolato a toccare ed utilizzare i macchinari, un contatto dal quale dovrebbe derivare una conoscenza esperienziale, i modo da apprendere e capire le principali tematiche che riguardano lo studio della Terra. Il visitatore potrà utilizzare, oltre all’udito e alla vista, anche il tatto, importantissimo soprattutto nei più piccoli. Non un semplice spettatore, ma parte attiva di un processo entusiasmante, dove la precisione scientifica, nonostante giochi e prove, non viene mai meno. “L'esperienza diretta avviene grazie all'utilizzo di tecnologia multimediale - spiegano Morgante e Raponi - di ultima generazione, attraverso la quale i visitatori potranno interagire direttamente con gli argomenti trattati. Potranno così comprendere facilmente quali sono, ad esempio, i meccanismi che sono alla base della deriva dei continenti o della nascita delle montagne, potranno simulare grazie al computer l'attività di ricerca di un paleontologo e vivere la meraviglia della scoperta”. Un viaggio fantastico, cui però manca ancora un tassello. La concreta possibilità di recarsi nei luoghi di ricerca, dove sono state ritrovate le orme di dinosauro, per poter apprendere sul campo, ciò che è stato fruito tramite la tecnologia multimediale. Sarà questo, dunque, l’obiettivo di Horst 2. “Il convegno - ha spiegato il presidente Franco Solli - per noi è stato l’apice del Progetto Horst ed ha sancito la nascita di Horst 2 che darà nuovi impulsi agli studi geologici e paleontologici della zona e sbocchi turistici a tutto il comprensorio”. Un’integrazione tra scienza, natura e comunicazione per dare nuovo slancio e nuova credibilità all’espansione turistica nel territorio lepino. “Un progetto per il futuro del territorio” Guido Mastrantoni Assessore XIII Comunità Montana Si è da poco conclusa la prima parte del progetto Horst ed è quindi tempo di fare un seppur provvisorio bilancio dell’esperienza. Sono stati giorni intensi ed appassionati che ci hanno riportato indietro nel tempo di decine e decine di migliaia di anni, quando cioè in queste zone passeggiavano i dinosauri. I Lepini, già allora, avevano tanto da raccontare, le sensazionali scoperte dei geologi Raponi e Morganti ne sono testimonianza. Alla XIII comunità montana va il merito di aver visto giusto allorché venne proposta la realizzazione del progetto. In quella circostanza l'allora presidente e i componenti della giunta comunitaria, senza esitazione alcuna, si attivarono per avere i necessari finanziamenti a livello europeo. Il tutto nella consapevolezza di tracciare una direttiva importante per il futuro di questo territorio, non solo in chiave locale, ma anche europeista. L’Ente ha avuto la capacità di coinvolgere la Spagna (S.Fulgenzio), la Grecia (Atalanti e Pavliani) e la Tunisia (Ain Drahan). L'aver realizzato Horst in regime di ristrettezze di bilancio, è la prova di quanto abbiamo creduto nel progetto. Personalmente sono soddisfatto dei risultati raggiunti. Dopo questa esperienza gratificante occorre proseguire; occorre subito mettere in cantiere Horst 2 con nuovi e più numerosi partner stranieri. Abbiamo davanti a noi una grande occasione per far conoscere ulteriormente il nostro territorio, bisogna approfittarne. In conclusione, ringraziando tutti quelli che hanno contribuito alla realizzazione del progetto, auguro a tutti di poter raggiungere risultati ancora più soddisfacenti. 11 iLepini primo piano 10 iLepini Renato Cacciotti Sindaco di Segni 10 10 Si è tenuto a Segni dal 21 al 23 ottobre il Laboratorio di oralità, narrazione e letteratura. L’idea è quella di valorizzare la storia locale, ed in particolare la storia orale, in quanto attività di ricerca collettiva sviluppo locale non è più questione che oggi suscita grande interesse: questo l’incipit di un breve contributo di Sergio Ristuccia (Presidente del consiglio per le scienze sociali) pubblicato qualche settimana fa sul quotidiano Italia Oggi. Una presa d’atto ed una provocazione - al tempo stesso - proposta non per suonare il de profundis di ogni fenomeno o politica di sviluppo locale, bensì per scongiurare il pericolo dice l’autore - che il troppo parlare all’insegna di “identità, pretese e motivazioni localistiche” possa far prevalere il disincanto, la noia, l’indifferenza per questo tema. Qualcuno di recente (ad esempio Vladimiro Giacché) ha annotato maliziosamente che “il calabrone Lo non vola più”, cercando così di confutare in maniera radicale e provocatoria - anche alla luce del recente declino di molti distretti industriali italiani - la suggestiva metafora proposta qualche anno addietro da Fabrizio Galimberti e Luca Paolazzi con il loro fortunato libro titolato, appunto, “Il volo del calabrone”. In termini assai semplificati, il punto di vista di Galimberti e Paolazzi - e di molti altri autorevoli analisti - è stato questo: sono le piccole e medie imprese ad aver reso forte l’economia italiana. L’economia italiana è forte non a dispetto delle modeste dimensioni della maggior parte delle sue imprese, ma grazie a ciò: in questo consiste la assoluta particolarità del caso italiano. Anche grazie al successo di questo filone di studi, proprio in Italia, negli ultimi decenni, si sono affermate politiche pubbliche tese a valorizzare e stimolare gli elementi e le risorse del contesto territoriale. Ed ovviamente la maggior parte delle politiche sono intervenute con modelli sperimentali che restituivano centralità a questi fattori: dalla legislazione sui distretti industriale agli strumenti della programmazione negoziata, dai programmi d’iniziativa comunitaria ai progetti integrati territoriali, eccetera. 13 iLepini attualità attualità 12 Cultura e sviluppo locale D’altronde nomi e sigle come patti territoriali, accordi di programma, Leader, Gal, Pit (e per noi STILe) sono ormai entrati nel linguaggio comune. In effetti, ancora oggi i dati confermano la centralità delle PMI nel tessuto economico italiano ed il peso specifico dei distretti industriali. L’esperienza concreta di centinaia e centinaia di “territori” (impegnati in difficili quanto affascinanti progetti di partenariato locale) conferma poi interesse e fiducia per le finalità dello sviluppo locale, anche se sembra che esso non abbia più il vento in poppa come una volta. Almeno nella letteratura economica e sociologica. Proprio in questo momento, allora, il nostro giornale - un piccolo, ma utile strumento di comunicazione al servizio dello sviluppo territoriale di un’area montana - vuole mettere i piedi nel piatto, come suol dirsi, proponendo ai propri lettori una sorta di rubrica specificamente dedicata ai temi dello sviluppo locale ed invitando ad intervenire direttamente (con contributi scritti) quanti hanno interesse per il tema: analisti, commentatori, studiosi, amministratori locali, attori economici e sociali. Lo facciamo proponendo - per iniziare - una esperienza in itinere che giustifica (per così dire) il titolo adottato per questo scritto: cultura e sviluppo locale. Nessuna teoria, nessuna lezione, nessun modello. Riportiamo solo, nelle prossime pagine, un primo bilancio del Laboratorio di oralità, narrazione e letteratura tenutosi a Segni dal 21 al 23 ottobre scorso, per discuterne più approfonditamente nelle prossime settimane, nei prossimi mesi. Questa inedita “provocazione” recentemente lanciata dalla Compagnia dei Lepini - Oralità e Sviluppo locale: un utile binomio non è facilmente catalogabile nei pure multiformi e fluidi orientamenti contemporanei, ma di sicuro sta catalizzando qualche attenzione all’interno e all’esterno del territorio. La Compagnia ha sostanzialmente annunciato (pur sommessamente, come è d’obbligo in questi casi) che intende promuovere un insieme di iniziative in grado di qualificare, progressivamente, il territorio e i Comuni dei Monti Lepini come una sorta di distretto culturale dell’oralità. L’idea-forza è quella di valorizzare la storia locale, ed in particolare la storia orale, in quanto attività di ricerca collettiva, ma anche di divulgazione innovativa, come un prezioso fattore delle politiche per lo sviluppo locale del comprensorio interessato all’azione del programma STILe. La storia orale viene considerata sia per il suo valore intrinseco di strumento e metodologia di investigazione scientifica, ormai riconosciuti anche dalla storiografia ufficiale ed accademica, dunque come fattore fondante della memoria collettiva, sia per le sue qualità di strumento originale di comunicazione e promozione verso l’esterno della comunità. Un progetto di valorizzazione della storia orale - sostengono gli animatori della Compagnia potrebbe realizzare archivi documentali di grande interesse e spendibilità (per le scuole, per i ricercatori sociali, per le imprese locali, per i registi cinematografici e televisi, per gli scrittori) e parimenti fungere da richiamo turistico e da elemento di forte caratterizzazione identitaria per le produzioni locali, soprattutto artigianali ed agroalimentari. I saperi taciti della cultura (anche produttiva) locale sono pertanto considerati una risorsa importante per un modello di sviluppo compatibile e partecipato. Con la manifestazione segnina - dove hanno dialogato felicemente narratori locali ed apprezzati scrittori, tentando anche di offrire una sorta di risposta al cosiddetto paradosso della storia orale, secondo il quale per essere conservata e divulgata, o anche solo conosciuta, la storia orale ha da essere scritta - l’idea ha iniziato a prendere forma. Ma lo sviluppo locale, si sa, non ha solo una forma. Tante sono le forme e tante sono le incognite. Come in tutte le sfide importanti. (RDL) iLepini 10 10 Piero Cascioli Assessore alla cultura Segni ranco Ferrarrotti, intellettuale e acuto sociologo, denuncia la perdita, nelle società attuali, della quotidianità e insieme della capacità di raccontare un’esperienza, l’arte di raccontare storie. Ecco allora il paradosso dell’oralità che per essere conservata e comunicata, o anche solo per essere conosciuta, ha da essere scritta. È vero. Ma non è poi un fatto così tanto nuovo. L’Iliade e l’Odissea, partorite oralmente, se non fossero state scritte non sarebbero mai arrivate a noi. Ma c’è di più. La parola del Messia, predicata dapprima da Cristo e trasmessa poi oralmente dagli Apostoli, non sarebbe arrivata a noi se gli Evangelisti non l’avessero scritta. L’oralità, dunque, per sua stessa natura, è destinata a dissolversi nel tempo. Certamente oggi più di ieri si è persa l’abitudine di tramandarsi le conoscenze con l’oralità: c’è più alfabetizzazione, sono aumentati a dismisura i mezzi di comunicazione alternativi all’oralità, è diminuito, dall’altro, il contatto umano, i rapporti faccia a faccia, dove la parola era il mezzo naturale di comunicazione. Ecco allora che riscoprire il valore dell’oralità si traduce subito in un recupero di quella dimensione più umana dei rapporti sociali, significa recuperare un modo naturale di rapportarsi; ma è anche restituire alla memoria un pezzo importante delle nostre tradizioni. L’esperimento fatto a Segni, con il primo laboratorio di oralità e letteratura, realizzato nei quattro giorni di sagra, oltre ad essere una grande sfida, soprattutto per il futuro, rappresenta un chiaro segnale di interesse per il recupero di una tradizione orale che in passato ha caratterizzato non solo la cultura segnina, ma l’intero territorio lepino. Ecco allora l’idea di fare dell’oralità una sorta di marchio distintivo dell’area e la Compagnia dei Lepini ci crede a tal punto da progettarne la realizzazione. Anche il Comune di Segni ci crede e si tuffa nell’avventura offrendo la suggestiva cornice della sagra del marrone. I dubbi non mancano, le paure sono tante. Le difficoltà legate all’organizzazione, al reclutamento dei narratori, all’ambientazione e poi, cosa potranno e sapranno scrivere gli scrittori! tante storie F frammentate, scollegate tra loro, quale sarà il risultato? Nei giorni di sagra, nel trambusto della festa, gli scrittori girano per la città e osservano, parlano, dialogano con la gente, entrano nelle fraschette e ascoltano i racconti. Tutto avviene sottovoce, in un’atmosfera quasi surreale.Poi ecco la domenica, e nel tepore di un’insolita ottobrata segnina, gli scrittori ci raccontano e si raccontano, ed è un grande successo.Ognuno, con il proprio stile, ha reinterpretato le storie, rivestendole di nuovi e pregiati abiti. Il folto pubblico presente nel cortile del Centro Culturale M. Spigone, è rapito dalla sequenza dei racconti che parlano di segninità, di San Bruno, degli antichi mestieri, della fabbrica di Colleferro che sconvolge un millenario sistema di valori. Tutto tace, a parlare è solo l’oralità. Alla fine il pubblico presente esplode in un applauso interminabile: la grande sfida è stata vinta. Ora, l’orizzonte che si apre è davvero ampio. I frammenti della grande tradizione orale di casa nostra raccolti nei quattro giorni di sagra potranno diventare romanzi, satire, poesie, novelle e chissà cosaltro. Per il momento saranno raccolti in un libro che sarà pubblicata a breve. Poi, tanti altri racconti, tante storie dell’immenso patrimonio dell’oralità lepina, potranno essere raccontati da altri scrittori per creare grandi momenti di letteratura. Un grazie, dunque, a quanti hanno creduto e collaborato a questo progetto. Migliaia di persone per il marrone setino È calato il sipario sulla quarantottesima sagra del marrone segnino, un’edizione senza precedenti per la ricchezza del programma e le tante iniziative. Ciò che più quest’anno ha caratterizzato l’evento, è stato senz’altro il deciso taglio culturale ma soprattutto la sua qualità. Due momenti che hanno dato un decisivo valore aggiunto all’evento di quest’anno. Sotto l’aspetto culturale, fiore all’occhiello è stato il primo laboratorio di oralità e letteratura, una iniziativa che apre ampi orizzonti non solo alla sagra ma all’intera cultura lepina con opportunità per grandi momenti di letteratura. I racconti si sono trasferiti dal capanno lepino alle cantine gastronomiche e ad ascoltarli, qualificati scrittori che nelle loro diverse elaborazioni ne hanno reinterpretato e qualche volta stravolto i contenuti, facendolo sempre con grande stile e professionalità. Ma non è stato solo questo. Numerose e qualificate mostre di scultura, fra tutte quella del maestro Egidio Ambrosetti, il “poeta del bronzo”; esposizioni di artigianato locale, fotografia e poi la grande mostra di pittura dell’associazione artisti segnini presso il Palazzo Vescovile e la Chiesa di San Lorenzo. Il grande spettacolo in Piazza del sabato sera è stata una efficacissima attrattiva con le gradinate della cattedrale gremite di gente incuriosita e divertita. La ricca vetrina letteraria con la presentazione di ben quattro volumi che hanno dato lustro alla città per i valori culturali che è riuscita ad esprimere. Questa la cultura della sagra. Non da meno è stata l’offerta gastronomica con le decine di fraschette che hanno fatto degustare alle migliaia di visitatori i sapori delle terre lepine. E poi una gran quantità di caldarroste offerte gratuitamente in piazza insieme a migliaia di sacchetti di marroni freschi, un bel biglietto di benvenuto con il quale l’amministrazione comunale ha voluto omaggiare le numerosissime presenze. Così, insieme al prodotto è stata promossa la città nella sua interezza, la sua storia, la sua arte, il suo paesaggio, i suoi sapori. Questo è la sagra del marrone, un evento che ha ormai acquisito una risonanza regionale, ne parlano quotidiani, riviste di cucina, radio, televisioni. Ma il dato più importante è che parlano dei maroni e ne parlano in termini più che positivi: il pregiato frutto del bosco segnino è diventato di fatto un prodotto di esclusiva qualità; ora si tratta di assicurargli una tutela giuridica con una denominazione o comunque un riconoscimento di origine e di qualità. 15 iLepini attualità attualità 14 Quando l’oralità incontra la letteratura iLepini 10 10 Lanfranco Caminiti Direttore della rivista “Accattoni” di Roma i ha sempre intrigato l’idea che le reti che attraversano un territorio siano anche reti di parole. Un territorio, una regione, una provincia ha strade, binari, corsi d’acqua, ponti, stazioni, caselli, tunnel dove passano continuamente uomini e mezzi, macchine e merci. In genere, pensiamo a queste reti come luoghi della mobilità, dell’accelerazione, dell’attraversamento, e in effetti a questo sono state pensate, costruite e vengono mantenute. A contrarre il tempo. Il tempo della velocità è un tempo muto. O del rumore. Una volta non era così, una volta il viaggio era lento, ed era quasi d’obbligo intraprenderlo insieme ad altri, proprio per poter M mantenere l’esercizio della parola, della lingua talvolta, come conforto in terre che si conoscevano poco e nulla, straniere. Bastava poco perché la lingua risultasse altra, non era necessario attraversare confini di nazione, una volta bastava anche superare una provincia per non capirsi più. Ora non è certo così. E in genere pensiamo alla mobilità come un tempo in cui la parola è sospesa perché secondaria, quando non proprio di intralcio, un fardello. Il tempo della velocità è un tempo muto. O del rumore. Comunque, è un tempo solitario, della solitudine, dello stare silenti, presi come siamo dall’arrivare, dalla meta. Il tempo delle parole è invece il tempo di un «posto». Si parte da parole e si arriva alle parole: nel viaggio, rimaniamo zitti, pensierosi. A pensarci bene, io non so se le cose stiano proprio così. A pensarci bene, quando ci muoviamo diciamo un mondo di parole. Incontriamo altri viaggiatori, prendiamo un caffè, prendiamo il resto d’un pedaggio, parliamo con qualche compagno di viaggio, se c’è. Penso che le parole che noi diciamo quando attraversiamo un posto rimangano lì, non so, finiscano sui cigli della strada, ruzzolino fra i binari, galleggino sull’acqua, si anneriscano in un tunnel, si fermino a un casello, in un vagone o in un bar. E poi, in qualche modo che non conosco, si rimettano in moto con un altro viaggiatore. Come se un altro viaggiatore finisse la frase che aveva cominciato qualcun altro prima di lui e le rimettesse in moto, le parole, le portasse con sé. Che so, si infileranno nelle tasche, si appoggeranno nelle borse, dondoleranno fra gli orecchini, si mescoleranno agli accendini e alle agendine. Insomma, un territorio è una rete di parole, non importa quali accenti abbiano. E le parole portano storie, portano vite. Poi, penso pure che quando stiamo in un posto, con le parole noi arriviamo in un mondo di posti. Noi stiamo qui, e basta dire, che so, America, e siamo lì. Oppure, Cina, e siamo lì. Oppure Roma. Ecco, basta dire Roma, e siamo lì. Anche per chi sta vicino Roma, se incontra qualcuno gli dice: vado a Roma. C’è un mondo di gente che la mattina e la sera dice vado a Roma, torno da Roma. E poi torna al suo posto delle parole, quello dove sei sicuro che non ruzzolano via ma si appoggiano ai muri delle case, ai davanzali delle finestre, alle piazzette, ai vicoli. Ma anche queste sono parole che ti trascinano lontano, perché ci sono le storie di quando si andava lontano, per lavorare, o dei nostri amici che hanno cercato fortuna qui o là, e le parole di chi ci è tornato da quei posti e se l’è portato dietro le parole di quei posti e ora le dice qua e noi possiamo andare là. Questa è la “provincia di Roma”, un posto delle parole. Una rete di parole, di trame, di storie, di vite. Non solo memoria, non solo tradizione, non solo sopravvivenza, non solo resistenza. Quando noi le diciamo, le parole, quando le tiriamo fuori dalle nostre tasche o rovistando nelle nostre borse, quelle cominciano a volare, quelle ci prendono e ci portano via, lontano. Ci portano qui, dove siamo, a dare consistenza ai nostri luoghi. Senza le parole, i nostri luoghi sono solo fondali. L’ipotesi con cui siamo partiti per questa avventurosa e faticosa sperimentazione - che abbiamo con una certa importanza chiamato laboratorio di oralità, narrazioni e letteratura - è che esiste una trama fatta di parole che resistono all’usura del tempo. Per resistere esse non possono restare ferme e non possono essere conservate in una scatola. Il tempo è sicuramente più forte delle parole. Se resti fermo con le tue parole, il tempo arriva e ti porta via. Le parole devono camminare, devono scambiarsi, devono modificarsi. Le parole devono essere dette, ma devono pure essere lette. Per essere lette, devono essere scritte. Non le stesse parole, non la copia delle parole dette, ma la trama delle parole, il loro disegno - come un mandala tibetano, che quando hai finito, tutto perfetto, si cancella. Se dovessi trovare una sola parola con cui spiegare a chi qui non c’è stato ma vuole sapere quello che è successo nei tre giorni a Segni in cui giovani e anziani narratori hanno raccontato, in modi diversi, con gli stornelli o con le strofe, con la voce lenta o la voce veloce, le loro memorie, i loro ricordi, l’idea stessa di un ricordo, insomma tutte le cose che sono state organizzate nelle cantine, nelle fraschette, una buona parola che mi viene in mente è: occasione. Non mi riferisco a questa o quella narrazione, a questo o quel narratore ma all’intero evento, all’intera ‘cosa’ che è stata messa in piedi. Ma l’occasione è arrivata gratis, senza neanche averci pensato, senza neanche averlo calcolato. L’occasione è venuta di suo. È un’occasione non soltanto per una intera comunità che è capace di mettere in bella mostra le sue cose, ma è un’occasione per singole persone, per singole storie di venire alla luce, di restare fissate. Ogni singolo narratore è prezioso, ogni singola sua parola è preziosa, ogni singola sua storia è preziosa, perché non la dirà mai due volte allo stesso modo e non sarà mai due volte la stessa storia, la stessa vita. Nell’epoca della riproducibilità tecnica della vita, la parola ci restituisce una sua dimensione imperfetta. Forse non tutto è filato liscio, qualcosa era troppo indietro o troppo avanti, qualcosa non c’era proprio, qualcosa c’era di troppo. Credo che per noi stessi che abbiamo organizzato la ‘cosa’ ci sia di che pensare, migliorare, affinare, mettere a punto. Sicuramente già adesso sapremmo farla meglio di come l’abbiamo fatta. Qualcosa poteva più 17 iLepini attualità attualità 16 I posti e le parole: “l’occasione” di Segni iLepini 10 10 avere un modo diverso. Qualcosa è andata proprio come doveva essere. In realtà, forse tutta la cosa è andata proprio come doveva andare, tutta la cosa è stata come doveva essere. Questo è stato un laboratorio, questa è stata una sperimentazione. Così, sono venuti narratori, da Roma, da Milano, che raccontano delle nostre vite metropolitane, ma anche narratori di altre province, perché non importa da dove vieni, i posti delle parole sono dappertutto se sai ascoltare. Questo è stato un laboratorio, questa è stata una sperimentazione. Dove forse era difficile mettere d’accordo una urgenza improvvisa, che aveva il carattere della velocità, con una esigenza diversa, che aveva il carattere della lentezza. La parola è veloce. La parola scappa. Più d’una volta ho avuto la sensazione che i narratori avessero l’urgenza della velocità. Qualcuno aveva apparecchiato una pista veloce su cui correre, ecco, era il momento. Qualcuno aspettava lo sparo dello starter con impazienza. Mi è capitato, nelle fraschette, di incontrare narratori pronti, che scaldavano i muscoli sul punto di partenza, che non vedevano l’ora di partire, di sentire lo sparo. Quando senti lo sparo, poi vai, poi la tensione accumulata si scioglie, poi corri senza più stare a pensarci. I narratori sono dei velocisti. E come gli atleti della pista, i narratori hanno bisogno di un pubblico sugli spalti che li guardi, li inciti verso la meta. Che soffra con lui, rida con lui, insieme in quel preciso momento. La bella corsa di un atleta è un dono che viene fatto agli spettatori; la bella narrazione di un narratore è un dono che viene fatto a chi lo ascolta. La scrittura invece è lenta, la scrittura è appartata, la scrittura è una stanza silenziosa riempita di parole che solo tu senti, che gli altri sentiranno in un altro momento. E le parole sulla carta sembrano sempre scivolare via piuttosto che fissarsi, sembra che devi sempre ricominciare come fosse il primo rigo. E poi, a un certo punto, invece le parole sono lì. Hanno trovato la loro occasione. Credo che in qualche modo noi dobbiamo costruire altre occasioni perché narrazioni e letteratura trovino modo di ‘stare vicino’. Forse si farà altrimenti, forse abbiamo messo su solo un pastrocchio e invece bisognerebbe fare così così e così. Però continuiamo, allarghiamo, ampliamo. Chi ha avuto l’intelligenza, la sensibilità, la disponibilità a organizzare tutto questo, deve riprovarci ancora. E ancora. E ancora. Paolo Mastrantoni Grande successo per il Laboratorio di immagine e fotografia organizzato dalla Compagnia dei Lepini. 24 fotoamatori hanno presentato i loro scatti che ritraggono gli angoli più nascosti del comprensorio. Quelle foto sono diventate una mostra itinerante che ha già toccato diversi ristoranti dell’area er promuovere un territorio bisogna mostrarlo. Per mostrarlo c’è bisogno di immagini di qualità. La Compagnia dei Lepini ha quindi deciso di “puntare l’obiettivo” sui fotografi e ha organizzato il Laboratorio lepino di immagine e fotografia. Ventiquattro i fotoamatori selezionati che, dopo un seminario introduttivo, hanno avuto dieci giorni di tempo per spulciare i loro archivi - e/o produrre nuovi scatti - e presentare il materiale alla Compagnia. Circa 400 foto sono state selezionate e hanno iniziato un lungo cammino che le sta portando in diversi ristoranti del comprensorio. Visto che si tratta di un Laboratorio, anche nell’allestimento delle mostre si è voluta ricreare quell’atmosfera un po’ farraginosa che abita le camere oscure: le foto sono state “stese” con delle mollette di legno a dei fili per il bucato. Le prime due mostre sono state organizzate a Segni presso l’albergo ristorante la Pace (20 - 23 ottobre) e a Sezze presso il ristorante “Da Santuccio ai Colli” (24 - 27 ottobre). In questi locali il progetto è stato presentato alla stampa. È stata poi la volta di Norma (Villa del Cardinale e La piccola fontana), Carpineto (La Sbirra e la Strada Nova), Priverno (Antica osteria Fanti e Gliò montano) e Bassiano (La Bella Lisa “Hostaria le grotte” e il Torrione). Prossimamente la mostra sarà allestita a Prossedi (Osteria Persei), Sermoneta (Al lagetto) e a Segni (Panorama). Le date aggiornate degli appuntamenti si possono trovare sul sito della Compagnia (www.compagniadeilepini.it). P Ci troviamo di fronte ad una situazione che mai si era vista prima: fotografi che girano i Lepini alla ricerca del soggetto giusto, ristoratori che non esitano a mettere a disposizione i loro locali per le mostre, clienti che, prima di sedersi o appena finito, gironzolano incuriositi tra le foto “stese”. Una scelta particolarmente felice è stata quella di aprire il Laboratorio anche ai fotografi non professionisti. La tecnica non è tutto, bisogna anche conoscere un territorio per mostrarlo al meglio. Per questo si è deciso di puntare sulle forze locali, su coloro che hanno imparato a scattare scrutando i Lepini. Non a caso, molto di frequente, gli stessi abitanti del comprensorio che visionavano gli scatti, chiedevano spiegazione su cosa fosse ritratto e dove si trovasse. Il Laboratorio è quindi stato anche un mezzo per conoscere meglio il territorio. È quindi stato un esperimento perfettamente riuscito, un esperimento in cui la Compagnia, i fotografi e i ristoratori hanno creduto fin dall’inizio. 19 iLepini attualità attualità 18 I paesi, i volti e le emozioni iLepini 10 10 Antonio Ciaschi Direttore Generale dell’Istituto Nazionale della Montagna Docente di “Organizzazione del territorio montano” presso l’ Università degli Studi “La Sapienza” di Roma aree montane costituiscono un patrimonio ambientale unico: la montagna oggi, ricca di biodiversità, è e si deve sempre più caratterizzare come un grande progetto culturale, economico e sociale. La valorizzazione di questo vastissimo patrimonio anche monumentale, storico e delle tradizioni locali può davvero rappresentare la chiave di volta di un futuro diverso per la montagna italiana, di uno sviluppo sostenibile ed ecocompatibile, di una migliore qualità della vita, di un radicamento delle popolazioni sul territorio. Perché la cultura è un bene che si accresce attraverso la condivisione e della sua valorizzazione ne possono beneficiare davvero tutti: l’essenziale è che protagonisti attivi di questo processo siano gli stessi abitanti della montagna, magari con l’ausilio oggi indispensabile delle nuove tecnologie. Le La montagna possibile di domani è quel luogo dove si potrà coniugare la tutela e la valorizzazione dell’ambiente, la qualità della vita, la scienza, la ricerca e lo sviluppo economico: si tratta di costruire un percorso variegato e complesso (come variegata e complessa è la civiltà della montagna italiana) che, partendo dalla tradizione, arrivi a realizzare un sistema integrato (montagna-pianura) dove la montagna e i suoi abitanti rivestano un ruolo essenziale, non accessorio. Un sistema integrato che ricalchi nella dinamica, tenendo conto delle profonde trasformazioni intervenute (storiche, politiche, sociali, economiche, culturali, ecc.), il rapporto di interdipendenza che da sempre ha unito il territorio montano con quello di pianura e di città: in un sistema economico di valle che ha rappresentato per secoli una realtà di notevole rilevanza e significato in diverse aree del nostro Paese. Nel sistema integrato sopra citato, la montagna può esprimere saperi e intelligenze, che possono portare un valore aggiunto al progresso solo se opportunamente inseriti anche in un circuito economico, in un processo progettuale ed equilibrato, senza forzature o fughe in 21 iLepini montagned’Italia montagned’Italia 20 Le “Semprevise” possibili La montagna possibile di domani è quel luogo dove si potrà coniugare la tutela e la valorizzazione dell’ambiente, la qualità della vita, la scienza, la ricerca e lo sviluppo economico avanti. In un contesto multifunzionale dove la scienza, la formazione e la ricerca rivestono, e dovranno rivestire sempre più nel futuro, un ruolo preponderante, anche per indirizzare le scelte di gestione del territorio. Quotidianamente ci si confronta con chi, con competenza e dedizione opera, vive o si occupa da molti anni di montagna. La montagna nel suo complesso ha bisogno di persone competenti e appassionate che la amino e che la facciano amare e che sappiano trasmettere un tale amore alle nuove generazioni. Il fragile sistema montano ha bisogno di coccole. Dobbiamo ripagarlo per l’abbandono in cui lo hanno costretto, anno dopo anno, le esigenze di crescita del Paese, legate a un’economia che si è sviluppata in pianura e lungo le grandi vie di percorrenza. Come può oggi un territorio montano sentirsi contemporaneo? E’ la stessa domanda che si posero i paesi di montagna negli anni ’60 sull’onda del boom economico. Allora la modernizzazione causò l’inizio della cancellazione della cultura contadina attraendo braccia e cervelli verso le città. Quella marginalità che ha tenuto per molti anni i territori montani fuori dal progresso economico oggi rappresenta diversità, specificità, ricchezza: il luogo dove si sono preservate e ora sono pronte a essere valorizzate le risorse di qualità del territorio. In questo contesto la montagna italiana e i suoi abitanti partecipano a pieno titolo alla realizzazione della montagna d’Europa. E’ proprio da qui che bisogna partire per costruire un unico progetto culturale che prendendo le mosse da uno scenario di dimensioni pluriregionali, senza avere l’ambizione di unificare le multiformi realtà delle valli alpine e appenniniche si limiti a renderle reciprocamente compatibili e instaurare fra loro una rete di contatti. La montagna, che ha dato i suoi figli per lo sviluppo industriale della pianura, soffre oggi di un pericoloso spopolamento e abbandono. Una volta, la cura e il lavoro individuale di una piccola particella di terra era la condizione fondamentale non solo economica ma istituzionale per gli abitanti delle comunità montane. Una sorta di identità originaria che aveva come base naturale e indispensabile per l’organizzazione sociale la terra come laboratorio di lavoro, risorsa di cibo e di materie prime. Il contributo che possiamo concretamente fornire ai territori di montagna non può prescindere da un progetto che, strutturato su una solida impalcatura formativa, poggi solidamente su una profonda conoscenza della cultura locale. L’orgoglio di essere popoli di montagna è la carta vincente per affrontare la sfida di questi anni. L’innovazione e le tecnologie informatiche possono contribuire strumentalmente a risolvere molti dei problemi della gestione del territorio e della fruizione dei servizi, ma non bastano a posizionare gli abitanti della montagna su standard Europei. La carta vincente è dunque la consapevolezza di contribuire con le proprie risorse, cariche di tradizione, alla costruzione del proprio benessere non vissuto come isolamento, pur se di qualità, ma inserito in un contesto più ampio dove l’identità di montagna si sovrappone e quasi si confonde con l’identità dell’ Europa. Un progetto culturale unificante, un sistema che metta in correlazione le singole comunità, valorizzandole, senza mai svilire le identità locali. iLepini 10 10 Giacomo Benedetti orga domina dall’alto dei 766 di altezza sul livello del mare, tutta l’alta e media Valle del fiume Sacco. Sorge su uno spuntone di roccia che è una sorta di balcone naturale da cui si gode uno splendido ed ampio panorama. Nei giorni in cui il cielo è particolarmente terso lo sguardo si spinge a vedere il profilo dei Colli Albani ad occidente e dei Monti Predestini a Nord e degli Ernici ad oriente. E sotto, quasi a perpendicolare, si osserva l’ondulata pianura formata dal corso tormentato del fiume Sacco, attraversata dalla linea ferroviaria dell’Alta Velocità della tratta Roma-Napoli, dal lungo nastro d’asfalto e dell’autostrada del Sole. E qua e là si scorgono le ciminiere dei pochi stabilimenti ancora in produzione. G Gorga nel tempo gli abitanti autoctoni dei monti Lepini, circa 5000 anni a.C., si unirono i bellicosi e fieri Volsci che, nel V sec., si opposero energicamente ai Romani. Nel succedersi delle guerre tra i due popoli si colloca la nota saga di Coriolano. Il territorio lepino fu alla fine colonizzato dai Romani. Nei territori montani di Gorga e del confinante Carpineto si rinvengono tracce di mura poligonali come in contrada Tolfo. Nel periodo feudale il monastero benedettino di Villamagna acquistò una parte del castello e Gorga divenne “castrum” e vassallo di tale monastero. Ma, per volere di Bonifacio VIII, passò sotto la giurisdizione del Capitolo di Anagni. Dopo varie vicissitudine il centro fu acquistato prima dal Duca Camillo Conti di Segni, quindi dai Conti di Ceccano e poi dai Pamphili e dai Doria. A Itinerari naturalistici ed ambientali lle spalle di chi osserva questo incantevole scorcio panoramico, nella direzione sud, si distende un altipiano parimenti ondulato che forma il territorio ambientale e naturalistico di Gorga di incontaminata bellezza. Partendo dal centro abitato, il visitatore può scegliere itinerari escursionistici di facile percorrenza, in uno scenario che continuamente cambia prospettiva e che evoca sempre nuove suggestioni ed emozioni. Si possono attraversare boschi di querce, cerri, e nelle pendici più elevate del monte S. Marino (1387 metri) e del monte Alto (1416 metri), di faggi splendidi per l’eleganza della loro struttura lignea e l’ombratilità delle fronde. In un contesto ambientale a struttura carsica, si attraversano avvallamenti, doline e si incontrano anche grotte ipogee di interesse speleologico. La grotta più citata è quella censita come “Inghiottitoio di Campo di Caccia”. La tappa più affascinante in questo itinerario naturalistico è il fontanile di Canai (1134 metri), alimentato dalla A sorgente del monte S. Marino (1210). Le acque di questa sorprendente oasi nel l’arido territorio carsico lepino sono state e sono un punto di ristoro prezioso per le greggi e per gli stessi cittadini. Sembra che il nome di Gorga sia derivato proprio dalla presenza abbondante di acqua. Scrive lo storico Epifanio Mazzocchi: “Etimologicamente, il nome di Gorga potrebbe derivare dal latino “gurges” , ovvero dalla trasmutazione, nel tempo, del termine dialettale Resoria-iòria-òria-gòria. Ciò in riferimento alla piccola sorgente, formante una pozza d’acqua, ossia “òria d’acqua”, esistente nei pressi del paese ed identificabile con l’odierno Lago”. Paese della musica innovando una secolare tradizione, a Gorga operano due complessi musicali: il Coro Polifonico diretto da Pierino Cefaloni e il complesso bandistico “ Vincenzo Cipriani”. Le origini della Banda risalgono all’anno 1857, allorché l’allora Arcivescovo di Perugina e futuro LeoneXIII si recò a Gorga per far visita al Cardinale Vincenzo Cantucci, il diplomatico nativo di Gorga che avviò difficili relazioni diplomatiche tra la Stato Italiano e la Santa Sede. Dopo alterne vicende, il complesso fu rilanciato nel 1971 per opera di Vincenzo Cipriani. La direzione artistica fu affidata all’allora ventenne studente di conservatorio Remo Amici. Grazie alla competenza e sensibilità artistica di Amici, la banda ha raggiunto altissimi livelli qualitativi e si esibisce oltre i confini regionali. R Affrancazione delle terre el corso dei secoli, i gorgani hanno dovuto difendere i propri diritti, i propri confini e le proprie sorgenti, con dure lotte ricorrendo a lunghe controversie, sia con i paesi confinanti (Carpineto, Sgurgola, Morolo) e con i padroni di N Villamagna che con lo strapotere della classe baronale. Dure lotte hanno poi sostenuto i contadini per la divisione e l’assegnazione delle fertili terre pianeggianti (negli anni 1869, 1914, 1915, 1921) di Villamagna contro la Sgurgola e di Montelungo contro Montelanico. Viene ancora ricordata l’ultima invasione delle terre di Villamagna nel 1945 allorché “57 gorgani - scrive il già citato storico Epifanio Mazzocchi - occuparono quei terreni ed il giorno successivo alcuni di loro furono arrestati. Dopo 28 giorni di galera furono rilasciati ed ottennero, da vincitori, l’assegnazione delle terre”. Flora e fauna a struttura del territorio si distende su tre diversi livelli morfologici. La zona montana caratterizzata da bellezze ambientali e naturalistiche uniche, e ricoperta da un patrimonio boschivo dal valore incalcolabile, utilizzato non solo e non tanto come legna da ardere ma principalmente come materiale primario per la falegnameria e per l’artigianato. Un tempo questo era il regno della caccia dei selvatici, sia stanziali, come lepri, cinghiali, starne e pernici, che migratori, come tordi, beccacce, colombacci. La fascia collinare consente la coltivazione dell’uva, delle olive e degli alberi da frutta. La zona pianeggiante di Montelungo e di Villamagna ha da sempre rappresentato il serbatoio che ha rifornito la popolazione di grano, d’orzo, di granturco, di foraggi, di legumi e di ortaggi. L Gastronomia e prodotti caratteristici n tempo Gorga era rinomata per le prelibate carni di abbacchi e di capretti alimentati dal latte delle greggi che pascolavano allo stato brado e si cibavano dei sapidi foraggi di montagna. Anche i prodotti caseari avevano U 23 iLepini focus focus 22 Alla scoperta di... Gorga iLepini 10 10 profumi e sapori tipici. Come in tante altre località montane l’allevamento degli ovini, dei caprini e dei suini, nonché la coltura di viti ed ulivi è in fortissima contrazione. Tutti i prodotti sono di nicchia. Si acquistano solo dietro ordinazione. Nel sottobosco dei lecci, querce, dei faggi, nelle stagioni favorevoli crescono funghi porcini, galletti, ovoli. Ad essi si possono abbinare tartufi estivi e i costosissimi tartufi neri pregiati invernali. Nei ristoranti vengono servite le fettuccine lavorate a mano ed impastate con farina di grano duro e con uova di produzione casereccia. La cucina gorgana offre delle gustose specialità, tramandate di generazione in generazione: gli gnocchitti, i talini, la coratella, le carni di abbacchi e capretti al forno e alla griglia, il marito, un piatto dei poveri e che viene riproposto nelle sagre. Il pranzo si conclude di norma con un saporitissimo dolce tipicamente gorgano: la mantovana. Ristoranti Il Cavallino Via Filippo Turati Tel. 06.9775182 La Pastorella Via Case Sparse, 8 Tel. 06.9775071 Eventi&Sagre Estate gorgana (luglio-agosto) Festa della Montagna Sagra degli Gnocchitti e delle Fregnacce Presepe vivente. Nata a Colleferro il 16 Marzo 1973. Si è laureata in ingegneria nucleare nel 1997. Lavora in Apat - Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e i Servizi Tecnici, organo tecnico del Ministero dell'Ambiente. È Consigliere Comunale dal1995; dal 1999 al 2004 ha ricoperto l'incarico di Assessore ai Servizi Sociali, Sanità, Ambiente e Urbanistica. Dal 13 giugno 2004 è primo cittadino di Gorga. È la prima donna sindaco nella storia di questo comune dei Monti Lepini Quali iniziative avete intrapreso per il rilancio turistico di Gorga? u questo piano siamo stati molti attenti: Abbiamo ad esempio rilanciato un vasto programma dell’Estate Gorgano. Sono state riaperte alcune cantine e botteghe artigianali del centro storico, ove si praticavano gli antichi mestieri del vasaio, del falegname, del sarto e del ciabattino. Intendiamo incrementare la ricerca e la valorizzazione dell’enogastronomia delle nostre genti. In più ci stiamo muovendo anche sul fronte degli scambi culturali. In particolare, in collaborazione con l'Aiccre, stiamo definendo le attività per un gemellaggio con altri paesi europei. S Secondo Lei oggi le politiche amministrative gestite dai singoli Comuni, sono ancora praticabili o servono strategie di programmazione e di gestione sistemiche sovracomunali? strutture sovracomunali sono molto importanti. I piccoli comuni devono collaborare fattivamente con tali strutture: Noi siamo stati tra i nove comuni fondatori del Consorzio Gaia, abbiamo aderito da Le subito al Programma STILe, al Consorzio Ecetra e all’Asp. Siamo convinti che tutti questi strumenti siano importanti per il decollo turistico delle nostre comunità. Nell’ambito del Programma STILe abbiamo ottenuto i finanziamenti per la realizzazione di una Welcome Area. Nell’ambito dei finanziamenti dell’Asp stiamo attivando un sito Internet. Abbiamo dato mandato all’Agenzia Sviluppo Provincia di stilare un piano di fattibilità per esperienze di Albergo diffuso. In seguito con la Compagnia dei Lepini potremo valutarne la realizzazione. Dal punto di vista sociale, con gli altri comuni, stiamo lavorando per la progettazione e la realizzazione del Piano di Zona Socio-Sanitario di cui Gorga è Comune capofila. Importante è condividere e gestire insieme gli altri servizi che i comuni riterranno opportuno istituire. Già il presidente della XVIII Comunità Montana Briganti si era fatto promotore di un corpo di polizia municipale territoriale integrato tra comuni. Come intendete valorizzare la figura del cardinale Cantucci e del palazzo che porta il suo nome? er il Palazzo abbiamo sottoscritto un comodato con il Vaticano e abbiamo ottenuto due contributi. Un contributo per il consolidamento strutturale pari a 700 milioni delle vecchie lire per cui abbiamo già appaltato i lavori. L’altro di 740mila euro per il restauro intero, grazie alla disponibilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e all’intervento dell’On. Santori. Prevedo che entro il 2006 potremo inaugurare i locali. Inoltre organizzeremo una serie di iniziative per riscoprire il pensiero e l’azione del Cardinal Santucci”. P “Intendiamo incrementare la ricerca e la valorizzazione dell’enogastronomia delle nostre genti” 25 iLepini focus focus 24 Intervista al sindaco Nadia Cipriani iLepini 10 10 Emanuela Ferretti Il Lea Cave ha partecipato al terzo congresso mondiale di Educazione a cui hanno aderito 115 paesi. Al centro del dibattito la sostenibilità dello sviluppo. è tenuto a Torino dal 2 al 6 ottobre 2005 il 3° Congresso Mondiale di Educazione Ambientale. In questo terzo appuntamento (il percorso è cominciato nel 2003 in Portogallo), la comunità mondiale di pratica e di ricerca dell’educazione ambientale ha potuto constatare con soddisfazione l’interesse suscitato dall’inizativa. Hanno, infatti, partecipato tremila persone provenienti da 115 Paesi. Hanno, poi, aderito non solo università e associazioni ambientaliste, ma anche amministrazioni locali, governi, imprese, sindacati, mass media. È questo un indice del coinvolgimento di tutti i settori sociali nelle Si strategie educative per la sostenibilità. I Laboratori della provincia di Roma erano presenti in quanto sono stati invitati dalla Regione Lazio a rappresentare i Comuni, le Comunità Montane, le scuole, le associazioni locali, e la Provincia di Roma in toto. Il Lea Cave ha voluto ritrarre i 27 comuni di sua competenza con un cd rom nel quale sono stati presentati tutti i progetti ambientali intrapresi, a 2 anni dalla sua istituzione, con alcuni comuni, associazioni, enti istituzionali e non, e comunità montane del territorio. Lavorare subito al riassetto della terra, dedicare più attenzione agli ecosistemi e alla biodiversità, dare ai 6 miliardi di persone e soprattutto alle generazioni future una vita più pacifica, sicura e dignitosa, richiede un grande cambiamento culturale. Dal Congresso è, quindi, emerso un forte bisogno di strumenti culturali per affrontare l’intreccio di aspetti ecologici, economici e sociali che caratterizzano l’attuale crisi dell’umanità del pianeta. L’educazione ambientale serve davvero a dare un futuro alla Terra? Molta attenzione è stata riservata ala riduzione dell’impatto ambientale del Congresso. Nei cinque giorni di Congresso si sono tenute 12 sessioni parallele ognuna delle quali ha affrontato, in maniera diversa, il tema centrale dell’ “educazione ad uno Sviluppo Sostenibile”. Le sessioni riguardavano: Ricerca e valutazione in Educazione Ambientale Un’Educazione Sostenibile Formare i formatori La rilevanza dei saperi della comunità Promuovere partecipazione e “governance” e “fare rete” Comunicazione e ambiente Le vie della sostenibilità Economia ed ecologia: un unione da creare Ambiente e salute Il ruolo chiave dell’agricoltura e le sue problematiche L’etica Coinvolgimenti emotivi Da Berlino, arriva la testimonianza di forti collaborazioni Tedesca-Nipponica e la continua caduta delle frontiere e della “scomparsa” di molti stati (dal punto di vista culturale), quindi, per il campo educativo arriva una grande sfida: imparere a vivere insieme. La comunità Francese ha sottolineato quanto sia fondamentale dare un equilibrio maggiore fra Economia, Società e Ambiente in modo da aumentare le responsabilità intragenerazionali. Il governo Francese ha aggiunto una nuova Carta dell’Ambiente alla Costituzione Europea al fine di abbattere (anche se molte difficile) i compartimenti stagni delle varie discipline di insegnamento delle materie. In Europa come da tutto il mondo la domanda a cui dare risposta è la stessa: “Perché l’Educazione ambientale è così importante?” Il concetto di apprendimento trasformativo implica un educazione alle problematiche generali ed i bambini devono imparare ad essere una parte integrante del mondo e non una cosa a parte. Abbiamo tutti bisogno di una concezione nuova dell’ambiente. In Grecia la struttura dell’Educazione Ambientale è un pochino avanti a noi: esiste un Ministero dell’Educazione Ambientale e questa rientra nel piano didattico nazionale anche se non ancora nella forma di una vera e propria materia. Nelle aule si svolgono programmi di Educazione Ambientale con scadenze regolari di 2-4 ore ogni 15 giorni. Anche dall’Australia come dall’Italia e dalle Americhe emerge l’importanza di attuare programmi di Educazione Ambientale cercando di migliorare le concezioni esistenti operando con un approccio multidisciplinare: Dal 1970 l’approccio è cambiato, seppur lentamente, da una concezione dell’ Educazione Ambientale dal punto di vista di un’unica materia di insegnamento ad un punto di vista globale fondato da tutte le discipline ambientali. Negli ultimi anni, inoltre l’Educazione Ambientale si è espansa a tal punto da non poter più parlare di Sviluppo Sostenibile considerando l’Educazione Ambientale come una forma di insegnamento all’Ecologia Ambientale, se questa non è coordinata e coadiuvata da Economia e Società. In Italia tutte le regioni attuano programmi di Educazione Ambientale in modo coordinato dal 2000 ed il 23 settembre 2005 c’è stato il primo Meeting del Res (Regioni Europee per la Sostenibilità) organizzato da Umbria ed Emilia Romagna a cui hanno partecipato molte regioni tra cui il Lazio. Anche quì, come dalle esperienze riportate dai vari paesi stranieri, ad esempio quello del Burkina Faso (che ha ospitato il 3° Forum mondiale sull’ Educazione Ambientale) è emerso che per colmare lo scarto tra ricchi e poveri bisogna rafforzare l’istruzione sia dei bambini che degli adulti. 27 iLepini ambiente ambiente 26 Ecosistemi e biodiversità: questioni che ci riguardano iLepini economia 10 10 Francesco Scacchetti Il ramaio è uno degli antichi mestieri che ancora esiste nell’area lepini. A Roccagorga questa storiva attività è portata avanti dalla famiglia Nicodemi. Nel loro vecchio laboratorio l’arte e la professione si uniscono per plasmare prodotti unici Attualmente 115 milioni di bambini non vanno a scuola e cominciano la vita con questo handicap che virtualmente li condanna ad una povertà abietta. Riconoscendo ciò, le Nazioni Unite, hanno proposto come obiettivo di sviluppo di questo decennio, l’istruzione primaria universale. È tuttavia evidente come in tutto il mondo stanno aumentando le scuole che decidono di impegnarsi per costruire un futuro sostenibile per i propri studenti, iniziando dall’ambiente che gli è più vicino: la scuola stessa e la comunità in cui si trova. Abbiamo così in Ungheria le “Forest schools” in corrispondenza ad un’iniziativa ministeriale che prevede che gli alunni debbano avere almeno un’opportunità nel corso del loro percorso scolastico di passare una settimana a contatto con la natura. In Corea con lo stesso nome le scuole impiantano e mantengono boschi nelle zone vicine in quanto vittime spesso di uno sviluppo edilizio frenetico. Nei paesi nordici esistono “green schools” che dimostrano con sforzi concreti una integrazione dei temi ambientali nei curricula e le “Eco-schools” che si impegnano a utilizzare all’interno della scuola procedure e tecnologie ispirate allo sviluppo sostenibile. Secondo l’Unesco l’Educazione per la Sostenibilità non consiste in un nuovo programma, ma in un processo per orientare le politiche educative, i programmi, le pratiche, in modo che l’Educazione giochi il suo ruolo nella costruzione delle capacità di tutti i membri della società di lavorare insieme per un futuro sostenibile. Nella nostra civiltà la cultura e l’educazione hanno avuto uno sviluppo diverso e hanno raggiunto livelli di complessità notevoli costringendo l’uomo a confrontarsi con il suo pianeta e a recuperare (come avviene oggi) il concetto antico di Educazione Ambientale che dovrebbe avere un unico fondamentale scopo: farci sentire tutti abitanti della Terra e responsabili di questa unica risorsa. Il progetto acqua È partito ad Ottobre il progetto pilota sul tema dell'acqua che il Lea Cave coordinerà in collaborazione con la s.m.s. Mazzini e la s.e.s. di Gavignano, la s.m.s. Leonardo da Vinci di Colleferro ed il 1° circolo didattico di Colleferro, e che vedrà coinvolti scuole ed associazioni del territorio come la cooperativa Lo Scarabocchio ed il Gruppo di Ricerche Naturalistiche H.G. Alexander, il Museo Antiquarium e la Biblioteca comunale di Colleferro. Il progetto coinvolgerà tutti gli aspetti legati all'acqua dalla letteratura alla drammaturgia, passando per scienza e tecnica, cercando così di dimostrare come l'Educazione Ambientale possa coinvolgere tutti gli aspetti della nostra vita, noi compresi. un epoca caratterizzata da continue trasformazioni sia nel campo sociale che nei settori della tecnologia e dell’industria, il rame, il primo metallo di cui l’uomo ha iniziato a servirsi continua ad avere un ruolo di vitale importanza nella vita di tutti i giorni. Esistono infatti nei lepini botteghe di ramai ancora attive. Una di queste si trova a Roccagorga ed è di proprietà di Italo Nicodemi classe 1920, una vita a In lavorare il rame. Quando gli chiediamo l’età a cui ha cominciato a fare l’artigiano, lui risponde con un sorriso e dice che la sua vita è cominciata in bottega. Negli anni 40 s’inscrive alla Camera di Commercio come artigiano con licenza commerciale. La sua esperienza lavorativa attraversa quasi un secolo di storia. Anni di intenso lavoro interrotti solo dal periodo della guerra, che Italo ricorda come un momento in cui non c’era richiesta ma soprattutto non c’era rame poiché doveva essere dato alla patria. L’attività del ramaio attraversa tutta la famiglia Nicodemi, la bottega era la loro casa, il padre Ludovico ed il nonno Antonio erano mastri nell’arte del rame, allo stesso modo il figlio di Italo, Fernando e un mastro nella lavorazione dei metalli. Italo ci racconta che al fianco di suo padre vicino al fuoco ha iniziato a girare “il ventilatore a mano” per mantenere una caloria costante nella forgia. Con la stessa funzione il figlio di Italo dall’età di sei anni ha cominciato a lavorare nella bottega. La forgia racconta Italo era alimentata da carbone di quercia poiché per le sue caratteristiche di 29 iLepini ambiente 28 Quelle callare di Italo iLepini economia 10 10 dolcezza non causa noie e mantiene un fuoco sempre vivo. Il rame scaldato con incudine e martello veniva lavorato per realizzare pentole, tinelli, recipienti per cuocere il vino, caldaie, conche, questi sono i prodotti maggiormente richiesti. La conca in dialetto viene chiamata callara e da qui il soprannome di callararo che dalla comunità rocchiggiana e stato dato a tutti gli membri della famiglia. Gli strumenti che utilizza per lavorare il rame sono martelli di ferro chiamati zappette, vari tipi di forbici e pinze necessari per posizionare i cerchi nelle caldaie. Inoltre nelle diverse fasi della lavorazioni si usano anche martelli di legno sempre a zappetta, il compasso strumento di precisione che serviva per fare il fondo e per dare l’altezza al manufatto. Il fuoco ed il suono del martello sull’incudine ha scandito il tempo tra le mura della bottega, che ancora oggi mantiene tutta la sua funzionalità piena di strumenti e con tutto ciò che occorre per lavorare, quei rumori tanto abitudinari oggi sono scomparsi non solo nella vita di Italo, che ogni giorno si reca nella bottega ma sempre meno per lavorare. Fernando ha cercato negli anni di continuare il mestiere ma non è riuscito a far fronte alle esigenze della vita moderna ed ha scelto di percorrere altre strade. Ci dice però che quando arriverà alla pensione ricomincerà a fare il ramaio. Fino agli anni settanta era fiorente la produzione di suppellettili da cucina in rame: scaldini, bracieri, pentole, tinelli, etc. Attualmente i ramai rimasti si sono orientati verso una produzione più artistica rappresentata da soggetti sacri, piatti da parete, lastre ornamentali a sbalzo. Fare l’artigiano significa acquisire una identità che oggi è più che mai diventata una soluzione per distinguersi nella società moderna. Per questo, la valorizzazione di questi mestieri, non è solo necessaria a delle esigenze materiali ma bensi culturali. Il rame e l’uomo rame apri una nuova era dell’umanità, segnando la fine dell’età della pietra (paleolitico, neolitico) per lasciare spazio all’ inizio dell’era dei metalli. L’età del rame è chiamata da alcuni studiosi “Calcolitico”, termine che deriva dalle parole greche rame (Khalkos) e pietra (Lithos), e rappresenta un passaggio rivoluzionario nella storia dell’uomo. Il rame unisce in se i pregi e lima i difetti dei precedenti utensili, avendo la Il morbidezza dell’argilla se scaldato ma essendo più duro della pietra quando si raffredda. Il più antico oggetto di rame a noi noto è un piccolo pendaglio ottenuto col minerale non lavorato, scoperto nella grotta di Shanidar in Kurdistan e risalente a ben 12.000 anni fa, mentre circa 10.000 anni fa si attesta un primo uso del rame lavorato e trasformato in utensili, nella civiltà Mesopotamica. In Italia abbiamo tracce dell’utilizzo del rame solo alcuni millenni più tardi. L' evoluzione delle tecniche di lavorazione durò diversi millenni, la più antica nota descrive una lavorazione a freddo del rame puro proveniente da filoni o pepite e solo alcuni millenni dopo fu inventata la tecnica del martellamento a caldo, che portò in poco tempo gli abili artigiani del mondo mesopotamico a raggiungere con i loro forni la temperatura necessaria per la fusione, che permise di ottenere fili, lamine da ribattere ed anche direttamente oggetti di ogni forma. Dalla fusione di rame e stagno si ottiene il Bronzo. Nello scorrere dei secoli nel territorio del Lazio si sono sviluppati due tipi di artigianato, il primo ruotava intorno alla Chiesa e alla nobiltà e contribuiva alla realizzazione delle immense opere d’arte che ancora oggi ammiriamo. Accanto a questo c’era il cosiddetto artigianato di provincia, che soddisfaceva le esigenze della gente comune, con una produzione legata alle esigenze di tutti i giorni e proprio per rispondere meglio a questo tipo di richiesta le botteghe artigiane nacquero ovunque nei centri dei piccoli paesi. Come si lavora avorazione a caldo richiede il taglio delle barre di ferro in segmenti della dimensione desiderata. I frammenti così ottenuti sono collocati nella forgia (forno aperto a carbon coke in cui la combustione è ravvivata per mezzo di mantici o ventilatori), ove sono riscaldati sino a temperature prossime ai 1.000 gradi centigradi. Raggiunta la temperatura desiderata, il rame è adagiato sull'incudine e lavorato con il martello. La tecnica di lavorazione tradizionale richiede poi che i pezzi forgiati a caldo siano uniti tramite chiodatura. Il prodotto quasi ultimato è infine sottoposto alle lavorazioni di finitura: sabbiatura, verniciatura e zincatura. Un'ulteriore fase di lavorazione, cui si ricorre solo per prodotti destinati a contenere alimenti, è quella della stagnatura delle superfici interne, resa indispensabile dalla tossicità dei composti chimici derivanti dall'ossidazione del rame. La stagnatura, che sempre più spesso è sostituita dalla ricopertura delle superfici interne effettuata, per gli usi professionali, con acciaio o alluminio, è seguita dalla pulitura. Questa ultima fase di lavorazione è compiuta, ancora oggi, prevalentemente a mano e senza l'ausilio di prodotti chimici. L 31 iLepini economia 30 10 iLepini 10 In occasione del bicentenario della nascita del grande patriota, diversi paesi del comprensorio hanno celebrato la sua figura. A Montelanico, dove ha vissuto ed operato il suo seguace don Francesco Raimondi, è giunto anche un telegramma del presidente Ciampi in cui si esprime apprezzamento per l’iniziativa Luigi Roberti padre della Patria e dell’Europa dei Popoli, a colui che tenne in cima ai suoi interessi politici l’unificazione italiana, l’integrazione europea e la fratellanza fra i popoli, Giuseppe Mazzini, la XVIII Comunità Montana, i Comuni di Montelanico, Carpineto, Artena e Segni, hanno dedicato una serie incontri di studio valorizzandone la portata politica del suo pensiero e la sua ideologia assai condivisa e vissuta in terra lepina. Un impegno cominciato il 22 giugno, giorno della nascita di Mazzini, in quel di Montelanico, Comune che si è fatto promotore di tale iniziativa, spinto da un dovere civico legato alla figura del prete-sindaco don Francesco Raimondi, mazziniano irremovibile, prete patriota come pochi altri, esponente del Circolo Popolare di Ciceruacchio (Angelo Brunetti) a favore della Costituente, il quale per gli ideali unitari mazziniani “impugnò le armi” contro Pio IX e, per la polizia pontificia, “molto si distinse nelle vicende della Repubblica Romana del 1849” e con lui Mazzini, Garibaldi, Pisacane, Mameli. Espulso da Roma torna a Montelanico dove fu a capo dei movimenti clandestini mazziniani a sud di Roma e nei monti lepini, sicuro che “la Repubblica presto dovrà tornare”. La figura di don Francesco Raimondi è un raro esempio di come il potere temporale e quello spirituale non fossero antagonisti, ma ambedue espressione della civiltà italica. Nell’ultimo consiglio comunale da lui presieduto (luglio 1874) ci ha lasciato un testamento politico di rara fede mazziniana e di sublime patriottismo: “Martire della libertà, prigioniero di quindici anni per la causa più giusta del Al mondo, voi mi avete visto soffrire ed impoverire senza emettere neppure un lamento e senza il conseguimento di un premio. Che dissi! Io lo ebbi questo premio e fu il trionfo della Patria oppressa, superba che dopo quasi 14 secoli io sia stato il primo nel suolo natio a segnare il nome nei fasti della gran Patria Italiana, risorta a liberta. Sì, di questo io mi consolo, come faro a cui possono illuminarsi tutti coloro che ne risiedono anche qui, pei quali era simbolo d’ignominia il soffrire per il nobil pensiero, ed erano invece simboli di gloria e virtù!” A testimonianza del vasto movimento mazziniano operante nei monti Lepini, nella direttrice MontelanicoPriverno, nell’opuscolo “Le idee di Giuseppe Mazzini nei monti Lepini” edito dalla XVIII Comunità Montana è stata appositamente riportata la “Causa Romana Commissaria”, documento conservato presso l’Archivio di Stato di Roma che riporta le accuse di cospirazione e la condanna dei maggiori seguaci di Mazzini distintisi per la loro intrepida difesa a favore della repubblica nelle comunità di Montelanico, Roccacorga, Priverno e Carpineto. Gli incontri di studio si sono svolti nelle comunità lepine di Montelanico, Carpineto, Artena e Segni e hanno visto la partecipazione di eminenti studiosi locali, professori universitari, direttori di istituti culturali. È da rilevare anche l’assidua partecipazione dell’Associazione Mazziniana Italiana nella persona del suo presidente Massimo Scioscioli e dei rappresentanti di diversi enti locali che hanno contribuito a dare nuovi apporti alla storiografia locale. Queste prime manifestazioni per onorare la memoria di Mazzini, sono terminate l’8 ottobre a Montelanico, comune nel quale è in corso di preparazione un Museo del Risorgimento lepino e della Bandiera italiana. Per l’occasione è stata allestita una prima parziale esposizione comprendente 24 bandiere appartenenti agli Stati preunitari (Repubblica di Genova e Ligure, Repubblica Partenopea, Repubblica di Noli, Principato di Seborga, Repubblica di Lucca, Regno di Napoli, Regno delle Due Sicilie, dei Ducati di Lucca, Modena, Reggio, Piacenza e Guastalla, Repubblica Anconetana, Repubblica di Compaia, Granducato di Toscana, Regno di Sardegna e di Etruria, Repubblica Piemontese). Queste realtà nacquero dopo la campagna di Napoleone che sgretolò l’antico sistema di stati in cui era divisa la Penisola. Al posto di quest’ultime sorsero numerose repubbliche giacobine, di chiara impronta democratica, che rappresentarono la prima espressione di quegli ideali d’indipendenza che alimentarono il nostro Risorgimento. Proprio in quegli anni la bandiera venne avvertita non più come segno dinastico o militare, ma come simbolo del popolo, delle libertà conquistate e quindi della nazione stessa, quel territorio che Mazzini chiamerà Patria: “La Patria non è un territorio; il territorio non ne è che la base. La Patria è l’idea che sorge su quello; è il pensiero d’amore, il senso di comunione che stringe in uno, tutti i figli di quel territorio”. È in fase di ultimazione la ricostruzione in stoffa di tutta la storia del tricolore italiano, dalla bandiera della Repubblica Cispadana del 7 gennaio 1797 finemente ricamata a mano, a quella della Repubblica Cisalpina, del Regno Italico nel periodo napoleonico, e i vari tricolori appartenuti al Regno delle Due Sicilie, al Regno di Sardegna, al Granducato di Toscana, al Regno d’Italia e molte altre ancora, fino agli stendardi presidenziali per i quali è stato ottenuta l’autorizzazione alla riproduzione da parte del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica. Oltre a tutte le bandiere degli attuali Paesi membri dell’Unione Europea, il Comune di Montelanico ha chiesto le bandiere alle Regioni, Province, e Capoluoghi. Si vuole con questo riassaporare quel sentimento unitario di cui Mazzini ne fu padre, attraverso il recupero, la conoscenza e la valorizzazione delle bandiere degli italiani, che sono il simbolo più sentito e riconosciuto di identità culturale, territoriale e nazionale. A ripagare l’impegno di tutti coloro che hanno contribuito alla buona riuscita degli incontri e, in particolare, il lavoro del presidente della XVIII Comunità Montana Quirino Brigantive del sindaco di Montelanico Simone Temofonte è giunto dal Quirinale un telegramma del presidente Ciampi ad onorare tutta la terra lepina e particolarmente il Comune di Montelanico. “In occasione delle celebrazioni indette per il bicentenario di Giuseppe Mazzini ed in onore della memoria del primo sindaco di Montelanico, il sacerdote mazziniano don Francesco Raimondi, il Presidente della Repubblica esprime apprezzamento all’Amministrazione Comunale per il valore storico e civile dell’iniziativa. Padre della Patria secondo il moderno concetto di nazione, inteso come consapevolezza di comuni radici di lingua, tradizione, cultura, Mazzini ha creduto per primo ad una Europa unita intorno ai valori della democrazia e del reciproco rispetto fra popoli diversi. Rinnovare e promuovere la conoscenza del pensiero mazziniano e di seguaci patrioti, come Don Francesco Raimondi contribuisce a consolidare soprattutto nei giovani un sentimento di cittadinanza autentico e condiviso, aperto ai principi dell’accoglienza e dell’integrazione. Con questi sentimenti il Capo dello Stato rivolge agli organizzatori, ai partecipanti e a tutta la Comunità di Montelanico, un augurio cordiale cui unisco il mio personale.” Gaetano Gifuni - Segretario Generale Presidenza Repubblica 33 iLepini dal territorio dal territorio 32 Mazzini nel cuore dei Lepini iLepini dal territorio 34 Il sogno di un grande italiano 10 Italo Campagna erito della XVIII Comunità Montana, area romana, e del suo presidente Quirino Briganti, l’aver iniziato un ragionamento e una esplorazione della storia della nostra gente in cui potessero ritrovarsi quei comuni ideali e quelle esigenze sopralocali, che consentirono anche qui alle una crescita culturale e politica, ancor che faticosa e aspra. Simbolo, paradigma ed evento al tempo stesso,l’occasione del bicentenario mazziniano e il conseguente sviluppo delle “Idee di Giuseppe Mazzini nei monti Lepini”. Un tema che si è subito presentato come sfida nella sfida contro quegli scettici convinti che le grandi idealità politiche, come quelle sviluppate dal profeta dell’unità d’Italia, non abbiano riscontro nelle piccole realtà umane e che comunità apparentemente lontane dai grandi circuiti culturali, politici e artistici non possano aver patria tra le nostre popolazioni lepine una volta esclusiva classe di pastori, di contadini, di artigiani. Una concezione snob e superficiale già ieri sconfitta da una attenta e straordinaria ricerca archivistica condotta negli anni ’70 dal prof. Giovanni Battista Ronzoni, che ebbe ad innamorarsi delle disgrazie umane e politiche di un prete montelanichese, don Francesco Raimondi, primo sindaco di Montelanico dopo l’unità d’Italia, che, dopo la parentesi della repubblica Romana del 1849, ebbe l’ardire di attivare sui monti Lepini(tra Albano,Velletri, Montelanico, Carpineto, Roccagorga e Piperno) una cospirazione tutta repubblicana e mazziniana dando l’avvio alla “Causa Romana ossia Montelanico, Roccagorga, Piperno e Carpineto di cospirazione contro don Francesco Raimondi e Giuseppe De Santis di Alfeo Montelanico, Teccardi e Mucci di M Roccagorga, Bernardino Pecci Caldarozzi di Carpineto, Ercoli Felici di Piperno ed altri.” Tra il 1852 ed il 1854 vennero riconosciuti colpevoli di “impugnare armi a sostener la repubblica, l’appartenenza ad una consorteria rivoluzionaria, cioè il verbo mazziniano,di cui l’apostolo ne andava distribuendo le lettere colle quali avvertitasi di star pronti perché fra poco sarebbe tornata la repubblica”. Quella Repubblica Romana del 1849 che aveva acceso tante speranze ed aveva al tempo stesso lasciato tanti rimpianti in diversi strati della popolazione lepina. Così numerosi sacerdoti, medici, possidenti terrieri, notai, caffettieri ed anche contadini e perfino disoccupati vennero coinvolti dalla parola del profeta dell’unità italiana. Ne è sortita una serie di dibattiti estivi nelle piazze di Segni, Montelanico, Artena e Carpineto con studiosi coinvolgendo numeroso pubblico posto a contatto con eventi di ieri, ma capaci al tempo stesso ancora capaci di raccontarci oggi un’esperienza dei nostri avi che oltre un secolo fa dibatteva il verbo repubblicano tra carte cifrate e osterie, case private e perfino fiere patronali per non dare all’occhio all’onnipresente polizia pontificia. Un evento-simbolo, paradigma di eventi nazionali ancor più sentiti di un diffuso richiamo all’unità e alla identità nazionale, dibattuto con apprezzabile interesse tra questi nostri monti Lepini. Un’esperienza collettiva delle nostre amministrazioni che si spera aver un suo seguito per le comuni tematiche espresse e per i soggetti stessi chiamati a raccontarci esperienze culturali, umane e politiche della nostra gente ancora troppo sconosciute o sepolte negli archivi e nella memoria ma che dovrà divenire un permanente campo di ricerche scientifiche e di interessi culturali per una comune storia ed un comune sentire. È l’augurio espresso dal presidente della XVIII Comunità Montana nel dare alle stampe un prezioso opuscoletto di 32 pagine, sintesi del lungo dibattito estivo, già distribuito nelle scuole, nelle biblioteche e nelle piazze dopo aver coinvolto “l’Associazione Artisti dei Lepini con un gruppo dei suoi storici, visto l’impegno ultraventennale dell’associazione stessa su queste tematiche”.