Origine ed evoluzione del genere Homo Dispensa del corso di Preistoria — modulo A — a.a. 2006/2007 ultima revisione: gennaio 2007 prof. Raffaele C. de Marinis Università degli Studi di Milano Dipartimento di Scienze dell’Antichità Sezione di Archeologia v. Festa del Perdono, 7 I–20122 Milano [email protected] Typeset by LATEX 2ε – G. Mantegari Indice 1 Dai alla 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 miti delle origini alla teoria dell’evoluzione biologica e nascita dell’archeologia preistorica Dal Medioevo all’età moderna . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le scienze naturali nell’età dei Lumi . . . . . . . . . . . . . . Due nuove discipline scientifiche: la paleontologia e la geologia Il trasformismo di Lamarck . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Darwin e la teoria dell’evoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . L’origine dell’uomo alla luce della teoria dell’evoluzione . . . . Nascita dell’archeologia preistorica . . . . . . . . . . . . . . . Darwin affronta il tema dell’origine dell’uomo . . . . . . . . . Evoluzionismo e religione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 La Paleontologia umana 2.1 Metodi di datazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.1 Metodo Potassio / Argon . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.2 Le ere geologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Difficoltà insite nello studio dei fossili . . . . . . . . . . . . . 2.3 Classificazione zoologica dell’uomo . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Gli sviluppi della paleontologia umana da Darwin ad oggi . . 2.5 Qualche nozione di anatomia comparata tra scimmie antropomorfe e uomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6 Hominidae, Homo, Homo sapiens . . . . . . . . . . . . . . . 3 La 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 documentazione fossile dei più antichi Ominidi Gli Ominidi pre-umani: i più antichi bipedi . . . . . . Orrorin tugenensis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ardipithecus ramidus . . . . . . . . . . . . . . . . . . Australopithecus anamensis . . . . . . . . . . . . . . Australopithecus afarensis . . . . . . . . . . . . . . . Australopithecus bahrelghazali . . . . . . . . . . . . . i . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 7 11 15 20 21 26 30 33 35 41 41 42 42 44 45 46 . 54 . 57 . . . . . . 63 63 64 65 67 68 74 3.7 Australopithecus africanus . . . . . . . . . . . . 3.8 Le caverne di Sterkfontein . . . . . . . . . . . . 3.9 Il genere Paranthropus (Australopiteco robusto) 3.10 Australopithecus garhi . . . . . . . . . . . . . . 3.11 Il significato evolutivo della bipedia . . . . . . . 3.12 Australopithecus / Homo habilis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 L’Homo erectus 4.1 Homo ergaster ovvero i più antichi Homo erectus africani . . 4.2 L’Homo erectus in Asia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2.1 L’Homo erectus dell’isola di Giava . . . . . . . . . . . 4.2.2 L’Homo erectus in Cina . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3 Il significato evolutivo dell’Homo erectus . . . . . . . . . . . 4.4 Il comportamento culturale dei più antichi membri del genere Homo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.5 Ambrona-Torralba . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.6 Bilzingsleben . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 76 81 86 86 91 . . . . . 96 97 100 100 109 114 . 117 . 124 . 128 5 Gli Ominidi fossili europei della fine del Pleistocene inferiore 130 e del Pleistocene medio 5.1 Gli Ominidi fossili europei della seconda metà del Pleistocene medio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134 6 L’uomo di Neandertal 139 6.1 Un po’ di storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 6.2 Le caratteristiche dell’uomo di Neandertal . . . . . . . . . . . 142 6.3 Indici di umanità per i Neandertal . . . . . . . . . . . . . . . . 145 7 Il destino dell’uomo di Neandertal e l’origine dell’uomo moderno 149 Elenco delle tabelle 1.1 La tassonomia linneana. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 2.1 Suddivisione delle ere geologiche. . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Suddivisione del Quaternario. . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Suddivisione degli animali sulla base degli organi di relazione, di presa e di locomozione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Funzione locomotoria e campo di relazioni anteriore negli animali e nell’uomo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5 La memoria negli animali e nell’uomo. . . . . . . . . . . . . . 43 . 44 . 58 . 59 . 60 3.1 Capacità dei crani rinvenuti a Sterkfontein (tra parentesi sono riportate le stime iniziali successivamente corrette). . . . . . . 81 3.2 Ritrovamenti dell’Africa Orientale relativi a Paranthropus. . . 84 3.3 Capacità craniche calcolate su reperti di Paranthropus. . . . . 85 4.1 Capacità craniche stimate su alcuni reperti di Homo erectus. . 99 4.2 Specchietto riassuntivo dei principali reperti di Giava (crani). . 107 4.3 Specchietto riassuntivo dei principali reperti di Giava (mandibole). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 4.4 Capacità craniche stimate su reperti pertinenti allo stadio classico dell’Homo erectus di Giava. . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 4.5 Capacità craniche stimate su reperti pertinenti allo stadio più evoluto dell’Homo erectus di Giava. . . . . . . . . . . . . . . . 109 4.6 Stratigrafia della caverna maggiore della collina“Ossa del drago”, nei pressi del villaggio di Chu Ku Tien. . . . . . . . . . . . . . 113 iii 1 “ . . . alla ricerca di legami profondi . . . l’uomo è stato considerato sotto l’aspetto zoologico della sua natura. Ne è risultato che l’uomo zoologico non continuava solo ad avere in comune con gli altri mammiferi l’organizzazione propria agli animali a sangue caldo, ma che i suoi comportamenti, con l’umanizzazione, restavano identici a quelli di un mammifero sociale, onnivoro, per il quale i condizionamenti derivanti dal territorio, dalla ricerca del cibo e dalla riproduzione continuavano a essere concepibili e interpretabili in termini zoologici. Un simile atteggiamento che può essere indifferentemente considerato lapalissiano o pieno di un “bestialismo” eccessivo, sembra giustificarsi per due ragioni. La prima è che nel corso della evoluzione umana, soprattutto dopo la scrittura, si è formata una immagine non materializzata, indispensabile allo sviluppo spirituale e al progresso, ma che, in particolare nelle scienze umane, ha fatto sı̀ che l’uomo perdesse qualsiasi legame con il vasto mondo. Sull’esempio dell’antenato scimmia ci siamo sforzati di dimostrare a prezzo di quali difficoltà l’immagine reale dell’antenato umano fosse emersa nell’ultimo secolo. La seconda ragione è che la distanza a cui si è giunti oggi fra l’uomo che tende a divenire l’unico mammifero terrestre di qualche importanza numerica e il resto del globo rende necessaria una presa di coscienza di quello che è realmente l’homo sapiens, nato al tempo delle steppe per la caccia al cavallo selvatico e adattatosi a poco a poco alla locomozione seduta in un’atmosfera di petrolio bruciato. La paleontologia umana e la preistoria, che destano curiosità per motivi che vanno molto al di là del punto di vista scientifico, assumono il valore di scienze applicate quando si arriva alla constatazione che tutta l’ascesa delle civiltà si è realizzata con quello stesso uomo fisico e intellettuale che faceva la posta al mammut e che la nostra cultura elettronica, che ha appena cinquant’anni, si regge su un apparato fisiologico che risale invece a quarantamila anni fa. Se c’è motivo di avere fiducia nelle possibilità di adattamento, tuttavia la distorsione esiste ed è evidente la contraddizione fra una civiltà dai poteri quasi illimitati e un civilizzatore la cui aggressività è rimasta immutata dal tempo in cui uccidere la renna significava sopravvivere.” (A. Leroi – Gourhan, Il gesto e la parola, pp. 463 – 464). c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano CAPITOLO 1 Dai miti delle origini alla teoria dell’evoluzione biologica e alla nascita dell’archeologia preistorica l bisogno di rispondere ai profondi interrogativi sulla nostra identità e origine e sul senso ultimo della nostra esistenza ha certamente assillato la mente umana fin dai tempi più remoti, da quando esiste l’uomo dotato di linguaggio articolato, autocoscienza e facoltà razionali. Anche i popoli senza scrittura, le cd. popolazioni di interesse etnografico, con cui gli Europei sono venuti in contatto nelle Americhe, in Africa, nell’Asia settentrionale, in Australia e in Oceania avevano elaborato sistemi di spiegazione del mondo che li circondava1 , avevano creato cosmogonie, miti della creazione e delle origini, miti escatologici. I cacciatori e raccoglitori del Paleolitico Superiore, vissuti tra 35000 e 10000 anni fa, hanno lasciato traccia del proprio pensiero nell’arte parietale, che André Leroi – Gourhan ha interpretato come “mitogramma”, espressione di un pensiero “religioso” e di una visione del mondo sotto forma di un insieme strutturato di simboli. Ma soltanto a partire dal momento in cui sorgono civiltà urbane complesse, dotate di scrittura, possiamo conoscere direttamente i pensieri che gli uomini avevano elaborato su temi quali l’origine del cosmo, della natura e della stessa umanità. Lo strumento con cui gli uomini della preistoria e delle più antiche civiltà hanno cercato di rispondere alle domande che essi si ponevano di fronte ai grandi fenomeni della natura o agli interrogativi sul significato della vita e della morte, sull’origine del mondo e della società, è quello del mito, un racconto costruito con immaginazione e fantasia, che non intende esporre avvenimenti storici, ma offrire I 1 A. Leroi-Gourhan, Le fil du temps. Ethnologie et Préhistoire, Paris 1983 (Fayard), p. 292 sgg. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3 una spiegazione di ordine filosofico ed etico2 . La verità del mito, quindi, non è di carattere storico o scientifico. Il pensiero speculativo e filosofico dei popoli senza scrittura e delle più antiche civiltà, come quella egizia o quelle mesopotamiche, è un pensiero mitopoieico. Soltanto nel VI secolo a.C. nell’ambiente ricco di fermenti culturali della Jonia greca cominciò a maturare una nuova visione razionale del mondo, nacquero allora la filosofia e la storiografia. La liberazione del pensiero scientifico dalle maglie del mito fu un processo lento e faticoso. La storiografia antica si ferma sempre a un passato molto recente, del quale sono rimaste testimonianze scritte o del quale gli stessi storici sono stati spettatori. Quando gli storici antichi debbono affrontare il tema delle origini o delle epoche più remote della loro stessa storia non possono far altro che utilizzare come fonti i miti, le leggende, le tradizioni, a volte cercando di razionalizzarle e sistemarle criticamente. “Io scrivo qui come mi sembra vero, poiché le tradizioni dei Greci si contraddicono e mi sembrano ridicole”, cosı̀ Ecateo verso il 500 a.C. Pur essendo “arkaiologhia” una parola greca che significa “discorso sulle cose antiche”, gli antichi non hanno mai fatto opera di archeologia, vale a dire non hanno mai interrogato gli archivi storici sepolti sotto terra per ricostruire il passato, anche quello più remoto. Il problema dell’origine dell’umanità e della sua cultura non fu oggetto di studi e ricerche specifici, ma fin dall’Antichità si possono rintracciare due concezioni fondamentali che cercano di dare risposta a questi interrogativi. La prima è quella di una decadenza o di una caduta dell’uomo. Decadenza rispetto a una felice età dell’oro, ormai tramontata per sempre (Esiodo, Le opere e i giorni, 106 sgg.), o caduta da una condizione originaria di bontà e di innocenza, si pensi, ad es., al racconto della Genesi secondo cui l’uomo, collocato da Dio nel paradiso terrestre, è decaduto prestando ascolto alle tentazioni del serpente. Nella Genesi confluiscono due storie sacre, una più antica, detta il racconto dello Yahvista, l’altra più recente, detta il documento sacerdotale. Soltanto lo Yahvista narra la storia del paradiso e del peccato originale, a cui il documento sacerdotale non fa il minimo accenno3 . Naturalmente gli avvenimenti che sono raccontati non hanno alcun carattere storico, si tratta di un mito che ha lo scopo di rispondere a una tremenda domanda: unde malum, qual è l’origine del male. La propensione al male è connaturata nell’uomo fin dalla sua creazione o l’uomo, creato buono, è diventato malvagio? Secondo la Genesi Dio creò l’uomo al sesto giorno, modellandolo con 2 Per una rassegna esemplificativa di miti delle origini e cosmogonie cfr. Origine ed evoluzione dell’Uomo, a c. di Henry de Lumley, ediz. italiana a c. di G. Giacobini, Milano 1985, p. 21 sgg. 3 J. Bottero, Naissance de dieu. La Bible et l’historien, Paris (Gallimard), 1986, p. 155 sgg. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4 della creta tratta dalla terra, soffiandogli poi nelle narici il soffio della vita, di modo che l’uomo divenne un essere vivente; quindi lo pose in Eden, terra pianeggiante e verdeggiante ricca di ogni genere di alberi, belli da vedersi e buoni da mangiare, fra cui l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male. Dio impartı̀ al primo uomo l’ordine di non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza. In seguito, mentre Adamo era immerso in un sonno profondo, Dio creò dalla sua costola la prima donna, Eva. Eva si fece indurre dal serpente, simbolo di Satana, a mangiare il frutto dell’albero proibito e lo fece mangiare anche ad Adamo. Dal quel momento Adamo ed Eva persero la loro condizione originaria di innocenza e di santità. Dio li cacciò dal paradiso e gli uomini furono condannati a vivere del faticoso lavoro dei campi e a sopportare innumerevoli sofferenze. In questo racconto bisogna distillare dall’involucro letterario il contenuto dottrinario: il dolore e la morte sono conseguenza della disobbedienza a Dio. Il racconto biblico, che tanta importanza avrà nella storia della civiltà occidentale, per alcuni aspetti affonda le sue radici nelle letterature mesopotamiche, in particolare in quella sumerica, la più antica di tutte. Nel racconto epico “Enmerkar e il Signore di Aratta” un passo di una ventina di versi descrive una mitica età dell’oro, quando tutti gli uomini parlavano una sola lingua e vivevano in pace e senza pericoli, fino a quando il dio Enki con un malefizio fece cadere l’uomo da quello stato di grazia, suscitando guerre e conflitti. In un altro poema sumerico, “Enki e Ninhursag”, viene descritto un paese puro, pulito e splendente, in cui non si conoscono la malattia e la morte, il paese di Dilmun. Il dio Enki ordina a Utu, il dio sole, di far sgorgare dalla terra l’acqua e di irrigare il paese, che si trasforma in un giardino lussureggiante. Il paese di Dilmun è forse all’origine della concezione ebraica dell’Eden, il paradiso terrestre. Lo stesso poema sumerico getta luce sulla creazione di Eva dalla costola di Adamo. In ebraico Hawwah (Eva) significa “colei che fa vivere”. Nel poema sumerico Enki si ammala e una delle parti ammalate è la costola. Ninhursag crea una dea che guarisce la costola di Enki, Nin – ti, la “signora della costola”, che significa anche “la signora che fa vivere”, poiché ti in sumerico significa tanto costola, quanto far vivere. In ebraico il bisticcio letterario perde significato, ma il fatto che nel racconto dello Yahvista la prima donna, “colei che fa vivere”, nasca dalla costola di Adamo, rivela un influsso della mitologia sumerica4 . La concezione di una duplice natura dell’uomo, formato dall’argilla, e perciò miserabile e caduco, e da qualcosa di divino, dunque superiore a tutti gli altri esseri viventi, trova alcuni riscontri nella letteratura sumerica. La dea 4 S.N. Kramer, I Sumeri agli esordi della storia, Milano 1958, p. 138 sgg. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 5 Nintu mescola all’argilla la carne e il sangue di un dio per far nascere l’uomo5 . Per quanto riguarda il racconto del “peccato originale” è possibile che lo Yahvista abbia utilizzato una storia pre – esistente, ma un vero parallelo nelle letterature mesopotamiche non è ancora stato rintracciato. L’idea della decadenza dell’umanità è presente anche nell’antica Grecia. Ne “Le opere e i giorni” Esiodo (VII secolo a.C.) racconta il mito delle diverse età dell’uomo. Nell’età dell’oro “gli uomini vivevano come dei, avendo il cuore tranquillo, liberi da fatiche e da sventure, né incombeva la miseranda vecchiaia . . . la fertile terra dava spontaneamente numerosi e abbondanti frutti” (vv. 106 – 126). Nella successiva età dell’argento visse una seconda generazione di uomini che non veneravano gli Dei, “peggiore e per nulla simile sia nell’aspetto che nell’animo” a quella precedente (vv. 127 – 142). Nella terza età, l’età del bronzo, gli uomini erano violenti e terribili, in perpetua guerra (vv. 143 – 155). La quarta generazione di uomini, “più giusta e divina”, fu quella dell’età degli eroi, che combatterono a Tebe e a Troia. Infine, venne l’età del ferro, per Esiodo la peggiore di tutte: “mai io avrei voluto trovarmi con la quinta stirpe di uomini: meglio prima morire o essere nato prima. . . di giorno non cessano mai la fatica e l’inganno . . . ” (vv. 174 – 201). L’altra concezione sulle origini è quella secondo cui l’umanità si sarebbe perfezionata a poco a poco grazie a sempre nuove scoperte e invenzioni. L’idea del progressivo sviluppo culturale dell’umanità, implicita anche in alcuni miti come quello di Prometeo, l’eroe civilizzatore (a questo proposito si vedano Esiodo ed Eschilo), si rintraccia nelle riflessioni di storici come Tucidide e Senofonte e di filosofi come Aristotele e soprattutto Epicuro (341 – 270 a.C.). Le concezioni epicuree troveranno espressione poetica in Lucrezio (98 – 54 a.C.), autore del de rerum natura, che contiene in nuce la periodizzazione della storia umana in età della pietra, del bronzo e del ferro (cfr. vv. 951 e sgg., 1280 e sgg.). I primi uomini – scrive Lucrezio – erano di una razza più dura, con ossa più robuste e più grandi, capaci di sopportare maggiormente il freddo e il caldo, vivevano dei prodotti spontanei della natura, davano la caccia agli animali usando clave di legno o lanciando sassi con le fionde, vagavano nudi, non avevano leggi. In seguito scoprirono il fuoco, cominciarono a vestirsi di pelli animali, scoprirono l’agricoltura, costruirono capanne e adottarono l’istituto della famiglia. Nacque la religione, si costruirono altari e templi, sorsero città e sovrani, fece la sua comparsa anche la guerra. Gli uomini scoprirono dapprima l’oro e il bronzo e soltanto in un secondo tempo il ferro: Arma antiqua manus ungues dentesque fuerunt 5 J. Bottero, Naissance de Dieu cit., p. 214. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 6 et lapides et item silvarum fragmina rami et flamma atque ignes, post quam sunt cognita primum. Posterius ferri vis est aerisque reperta. Et prior aeris erat quam ferri cognitus usus, quo facilis magis est natura et copia maior. (libro V, vv. 1283 – 1288). Un’identica concezione, esposta forse con chiarezza ancora maggiore, si trova in Cina nell’opera di Yüan K’ang’s (52 d.C.), che la attribuisce a Feng Hu Tzu, filosofo vissuto qualche secolo prima, all’epoca della dinastia dei Chou orientali (770 – 221 a.C.): Nell’età di Hsüan Yüan, Shen Nung e Ho Hsü, armi e strumenti erano fatti di pietra per tagliare gli alberi e costruire le case e venivano seppellite con i morti. . . Nell’età di Huang Ti le armi e gli strumenti erano fatti di giada per tagliare alberi, costruire case e scavare il terreno . . . e venivano seppellite con i morti; Nell’età di Yü armi e strumenti erano fatti di bronzo per costruire canali . . . e case . . . Nell’epoca attuale armi e strumenti sono fatti di ferro6 . Ma né in Grecia né a Roma e neppure in Cina si giunse mai a fare vera e propria opera di ricerca archeologica7 . Le nozioni intorno al passato più remoto dell’umanità derivavano dalla sopravvivenza di tradizioni di età precedenti, da intuizioni filosofiche e dal confronto con i popoli barbari contemporanei. Per es., Tucidide ritiene che i Greci dei tempi più antichi avessero un grado di civiltà paragonabile a quello dei barbari suoi contemporanei (Guerra del Peloponneso, I, 6). Ebbe invece un certo sviluppo presso i Greci e i Romani l’etnografia: Erodoto descrisse le tribù degli Sciti e degli Etiopi, notando che questi ultimi usavano ancora armi di pietra; Diodoro Siculo descrisse i trogloditi del golfo arabico; Cesare e Tacito i modi di vita, gli usi e i costumi delle popolazioni galliche e germaniche. La nozione che nell’“età degli eroi”, vale a dire all’epoca della civiltà micenea (II millennio a.C.), non si conoscesse ancora il ferro era diffusa nel mondo antico e traeva spunto, oltre che dai poemi omerici, in cui gli eroi combattono esclusivamente con armi di bronzo, anche da occasionali scoperte archeologiche, come, per es., nel 476 – 475 a.C. l’apertura della presunta tomba 6 7 K. Chang, The archaeology of Ancient China, New Haven, Ct., 1968, p. 1 ss. E.D. Phillips, The Greek vision of prehistory, in “Antiquity”, xxxviii, 1964, 171-178. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.1 Dal Medioevo all’età moderna 7 di Teseo nell’isola di Sciro, da parte di Cimone in ossequio alle prescrizioni dell’oracolo di Delfi: la tomba fu identificata in un piccolo tumulo che racchiudeva un corpo di grandi dimensioni e si poté constatare che la spada e la lancia erano di bronzo (Plutarco, Vita di Teseo, 36). D’altro canto, già presso i Romani non si conosceva più l’esatto significato delle punte di freccia in selce scheggiata e delle asce di pietra verde levigata, e si pensava che fossero il prodotto della caduta dei fulmini: per questo motivo venivano denominate “ceraunia”, che significa “pietre del fulmine” (dal gr. keraunós). Utilizzate spesso come amuleti, veniva loro attribuito un valore magico e terapeutico (Plinio, Naturalis historia, libri xxxiii e xxxvii)8 . 1.1 Dal Medioevo all’età moderna Con la fine del mondo antico e la perdita di una buona parte del suo patrimonio storico, scientifico e artistico, i testi sacri diventarono la fonte pressoché esclusiva per conoscere il passato degli uomini. Durante il Medioevo il pensiero storico si cristallizzò intorno al racconto biblico inteso in senso letterale, cioè si riteneva – e molti lo ritengono ancora oggi, ma questa interpretazione letterale non costituisce più dogma di fede – che i fatti, gli avvenimenti e i personaggi del Pentateuco, fossero storicamente veri. Come conseguenza la questione delle origini umane si ridusse a una questione di cronologia biblica, sulla quale esistevano valutazioni disparate. Dai primi padri della Chiesa fino a Lutero si fornirono computi differenti, ma alla fine si realizzò un consenso sulla cifra di circa 6000 anni, che ebbe larga diffusione. In Cosı̀ è se vi pare, commedia scritta da Shakespeare nel 1600, nell’atto IV, scena I, Rosalinda dice: “Questo povero mondo è vecchio di almeno seimila anni e in tutto questo tempo non c’è stato un solo uomo che sia morto di persona, videlicet, per causa d’amore”. James Ussher (1581 – 1656), arcivescovo di Armagh, in un’opera pubblicata postuma nel 1658, Gli Annali del mondo dalle origini dei tempi . . . fino alla dispersione degli Ebrei, stabilı̀ che la creazione del mondo da parte di Dio era avvenuta nel 4004 a.C. Poco dopo il vice – cancelliere dell’università di Cambridge, John Lightfoot, stabilı̀ anche la stagione e il giorno preciso della creazione, il 23 ottobre del 4004 a.C.9 alle nove del 8 Gli studi più importanti sui “ceraunia” nell’antichità e in rapporto alle superstizioni medievali e alle credenze popolari, sono: E. Cartailhac L’âge de la pierre dans les souvenirs et les superstitions populaires, Parigi l877; La France préhistorique, ivi 1889; T. Hamy, Matériaux pour servir à l’histoire de l’archéologie prehistorique, i, Le mémoire de Mahudel sur les pierres de foudre, 1737, in “Revue archéologique”, iv serie, vii, 1906, 239-259; e CH. S. Blinkenberg, The thunderweapon in religion and folklore, a study in comparative archaeology, Cambridge 1911. 9 G. Daniel, The Idea of Prehistory cit., p. 12 sgg. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.1 Dal Medioevo all’età moderna 8 mattino, mentre l’uomo era stato creato venerdı̀ 28 ottobre 4004 a.C., giorno, mese e ora coincidevano con la data di inizio dell’anno accademico! Questa cronologia continuò a essere sostenuta dalle varie chiese cristiane per tutto il XVIII e XIX secolo, ma era destinata a entrare in conflitto con i progressi compiuti dalle scienze naturali. Il problema del passato più remoto dell’umanità tornò ad affacciarsi nella cultura europea con la scoperta dell’America e le grandi esplorazioni e navigazioni dell’età moderna, che misero gli europei in contatto con le popolazioni cosiddette selvagge. Nello stesso tempo cominciarono a svilupparsi le scienze naturali, in particolare quelle della terra. Per la nascita dell’archeologia preistorica10 ebbero particolare importanza le discussioni su “ceraunia” e “glossopetra” (queste ultime erano punte di freccia di selce, che venivano ritenute denti fossili di squali o lingue di serpenti pietrificate). Michele Mercati (1541 – 1593), direttore dell’orto botanico vaticano, fu il primo a sostenere che le selci scheggiate e le asce di pietra levigata, che si scoprivano cosı̀ frequentemente nei campi in seguito ai lavori agricoli, erano prodotti dell’attività umana, risalenti a popolazioni primitive ancora ignare dell’uso del metallo. Purtroppo, la sua opera, un catalogo delle collezioni di minerali, fossili, oggetti archeologici ed etnografici del papa Clemente VIII, fu pubblicata molto tempo dopo la sua morte (Metallotheca, Roma 1717). Parlando dei “ceraunia” Mercati afferma che intorno alla loro natura circolano due opinioni, la prima, che è anche la più diffusa, sostiene che queste pietre siano state prodotte dal fulmine, la seconda, sostenuta dagli storici, ritiene che si tratti invece di manufatti prodotti dall’uomo, prima della conoscenza del ferro, per percussione delle selci. “I più antichi uomini ebbero per coltelli delle schegge di selce”. Mercati cerca poi di conciliare i dati della Bibbia con quelli dell’antiquaria e dell’etnografia. Secondo la Bibbia lo scopritore del ferro fu Tubalcain, appartenente alla settima generazione dopo Adamo, ma anteriore al diluvio universale. Mercati formulò l’ipotesi che la conoscenza del ferro dopo il diluvio fosse rimasta appannaggio di una cerchia ristretta di uomini e che invece le popolazioni che con le loro migrazioni ripopolarono la terra dopo il diluvio avessero perduto questa conoscenza e fossero ritornate all’uso di armi e strumenti di pietra. Stranamente, mentre Mercati riconobbe la vera natura delle cuspidi di freccia in selce, per quanto 10 La storia della nascita dell’archeologia preistorica può essere seguita attraverso i lavori di A. Laming-Emperaire, Origines de l’archéologie préhistorique en France, Parigi 1964; G. Daniel, 150 years of archaelogy, London, 1950; Id., The Idea of Prehistory, London 1962, trad. italiana Firenze 1968; Id., The origins and growth of archaeology, Harmondsworth 1967; Id., A hundred and fifty years of archaelogy, London 1975; Id., A short history of Archaeology, London 1981, trad. italiana Storia dell’archeologia, Milano 1982; O. KlindtJensen, A history of Scandinavian archaeology, Londra 1975. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.1 Dal Medioevo all’età moderna 9 riguarda le asce di pietra levigata non si discostò dall’opinione tradizionale che si trattasse di pietre cadute dal cielo insieme ai fulmini. Il naturalista Ulisse Aldrovandi (1522 – 1607), nonostante il fatto che raffigurasse strumenti di pietra degli Indiani d’America e istituisse un paragone tra gli strumenti e le armi delle popolazioni “selvagge” e i “ceraunia”, rimase fermo all’idea che le punte di freccia in selce fossero prodotte dai fulmini (Musaeum metallicum, Bologna 1648). Ma ormai un numero sempre maggiore di antiquari confrontava i “ceraunia” con i manufatti degli Indiani d’America. Nel corso del Seicento e del Settecento si diffuse, specie in Inghilterra, Francia, Germania e ancor più nei paesi nordici, il gusto per il collezionismo e si formarono, presso antiquari, nobili e sovrani, numerose raccolte o “gabinetti” di curiosità, tra i quali un posto di rilievo era occupato dagli oggetti archeologici provenienti dalle scoperte occasionali. Accanto alla figura dello storico tradizionale comparve cosı̀ quella dell’antiquario, mentre di tanto in tanto venivano effettuati veri e propri scavi, come, per es, nel 1685 quello di una tomba dolmenica a Cocherel nel dipartimento dell’Eure (Francia), che portò al rinvenimento di asce di pietra levigata, fra cui una di giadeite. Il secolo XVIII è ricco di descrizioni di scoperte di sepolture “pagane” (cosı̀ era denominato tutto ciò che risaliva a epoca anteriore alla diffusione del cristianesimo) nell’Europa centrale: in particolare si trattava di tombe rnegalitiche e di campi di urne. L’idea che le “pietre del fulmine” fossero in realtà opera dell’uomo e che le antiche popolazioni europee fossero vissute in condizioni simili a quelle dei selvaggi contemporanei, è sostenuta con grande chiarezza da Antoine de Jussieu (De l’origine et des usages de la pierre de foudre, Parigi 1723). All’Accademia Reale delle Scienze de Jussieu presentò un’ascia di pietra levigata proveniente dai Caraibi e un’altra ascia e tre punte di freccia provenienti dal Canada e le confrontò con le “pietre del fulmine” della collezione reale, dimostrando che si trattava di manufatti prodotti dall’uomo. È questo il primo esempio dell’utilizzo dell’etnografia per la comprensione del significato dei resti archeologici preistorici. De Jussieu si spinse ancora più avanti. Poiché nella maggior parte dei paesi in cui si rinvengono le pietre del fulmine, non vi sono cave o ciottoli che possano essere stati utilizzati per fabbricarle in loco, bisogna ritenere che uomini provenienti da regioni in cui si trovava la materia prima venissero a scambiarle con altri prodotti ed è lo stesso fenomeno che si poteva osservare presso le popolazione selvagge delle Americhe. Larga eco ebbe l’opera del missionario gesuita J.F. Lafitau, Moeurs des sauvages amériquains, comparées aux moeurs des premiers temps, Parigi 1724, 2 voll., lodata da Voltaire. Il padre Lafitau metteva a confronto le no- c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.1 Dal Medioevo all’età moderna 10 tizie tramandate dall’Antichità sulle popolazioni barbare e i fatti che erano stati osservati presso le contemporanee popolazioni “selvagge”. L’idea che lo stato di natura rappresentasse una condizione originaria e un tempo comune a tutta l’umanità è ampiamente diffusa nel pensiero settecentesco insieme al “mito del buon selvaggio”. La cultura illuministica e l’idea di progresso nella storia, le prime concezioni evoluzionistiche della natura e un nuovo concetto di tempo, prepararono il terreno favorevole allo sviluppo della ricerca preistorica (cfr. per es. G.L. Buffon, Les époques de la nature, Parigi 1778, dove si afferma che le pietre ritenute un tempo cadute dalle nuvole e generate dal fulmine altro non sono che i primi monumenti dell’arte dell’uomo allo stato di natura). Le esplorazioni e le navigazioni dell’età moderna, dal doppiaggio del Capo di Buona Speranza alla scoperta dell’America e alla circumnavigazione del globo fecero entrare gli Europei in contatto non solo con popolazioni “selvagge”, ma per la prima volta anche con le scimmie antropomorfe, il gorilla e lo scimpanzé in Africa centrale, l’orang – utang e il gibbone nel sud – est asiatico. In realtà gli Europei conoscevano molto male tutte le scimmie, ma certamente la scoperta delle grandi scimmie antropomorfe rivelò per la prima volta agli Europei animali che mostravano una curiosa ed anche imbarazzante somiglianza con l’uomo, sia dal punto di vista dell’aspetto fisico che ancor più da quello del comportamento: le scimmie antropomorfe, infatti, ridono, sono curiose, manipolano oggetti, giocano e comunicano tra loro, hanno espressioni di gioia e di collera. Nello stesso tempo ciò che li divide dall’uomo è molto profondo: non hanno un linguaggio articolato e l’aspetto, pur presentando molte somiglianze con l’uomo, è comunque troppo “bestiale” per poter ammettere facilmente un legame di parentela. Andrew Battell, un marinaio inglese che, fatto prigioniero dai portoghesi nel 1559 dopo un naufragio, fu costretto ad arruolarsi nelle loro truppe coloniali, visse per diversi anni presso il fiume Maiombe nell’Africa occidentale. In un libro apparso soltanto dopo la sua morte, nel 1625, una raccolta di storie di viaggi pubblicata da Samuel Purchas, viene riportato il racconto di Battell, che parla – in maniera piuttosto confusa – di due grandi scimmie, definite come “mostri” pericolosi che vivevano nelle foreste equatoriali. Nella lingua delle popolazioni locali erano chiamati Pongo ed Engeco. La descrizione del Pongo, pur contenendo alcune notizie poco verosimili, permette di identificarlo con il gorilla. Risale al 1641 la prima descrizione di un orango ad opera del’anatomista olandese Nicolaas Tulp e al 1658 quella di un orango femmina da parte del medico olandese Jakob de Bondt11 . Uno 11 G.B. Schaller, L’anno del gorilla (1964), Bari 1968, p. 12 sgg.; J.C. Greene, La morte di Adamo (1959), Milano 1971, p. 211 sgg. e pp. 235-236. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.2 Le scienze naturali nell’età dei Lumi 11 studio sistematico e comparativo fu realizzato nel 1699 da Eduard Tyson, autore dell’opera Orangutang or the anatomy of a pigmy compared with that of a monkey, an ape and a man, London 1699, 2nd ed. 1751. Il pigmeo in realtà era un piccolo scimpanzé portato a Londra dall’Angola e morto pochi mesi dopo il suo arrivo nella capitale inglese. Tyson individuò 48 caratteri per cui il “pigmeo” assomigliava all’uomo e 34 per cui assomigliava alla scimmia. Tyson analizzò anche un orango venuto dall’Indonesia12 . È a partire da quest’epoca che nella lingua inglese si afferma il termine “ape” per indicare le scimmie antropomorfe, distinguendole dalle comuni scimmie, che sono chiamate “monkey”, distinzione che manca completamente nella lingua italiana. Uno scimpanzé fu portato a Londra nel 1738, mentre nonostante numerose segnalazioni precedenti, la scoperta ufficiale del gorilla avvenne soltanto nel 1846, quando due missionari inglesi spedirono a Londra alcuni scheletri di un primate di dimensioni maggiori dello scimpanzé e appartenenti a una nuova scimmia antropomorfa che aveva la fama di non fuggire l’uomo e di essere particolarmente feroce, il gorilla. Nel 1855 per la prima volta un giovane esemplare di gorilla femmina arrivò vivo a Londra. 1.2 Le scienze naturali nell’età dei Lumi Nel XVIII secolo, l’età dell’Illuminismo, le scienze naturali conobbero un grande sviluppo. Fu allora che si cominciò a conoscere in maniera più approfondita e sistematica il mondo della natura e ad avere un’idea più precisa dell’enorme varietà degli organismi viventi. L’ampliarsi degli orizzonti, l’intensificarsi delle conoscenze, il prevalere di uno spirito razionale nello studio della natura sfociarono nella nascita della sistematica botanica e zoologica. Il merito principale è dello svedese Carlo Linneo (1707 – 1778) che con la sua opera monumentale Systema naturae ideò un sistema gerarchico di classificazione degli organismi viventi fondato sulle somiglianze e differenze, un sistema che dalla distinzione più generale, regno animale e regno vegetale, conduce via via fino alla singola specie13 . Linneo, forma italianizzata di Carl von Linné, dopo aver studiato alle università di Lund e di Uppsala, compı̀ viaggi di ricerca in Lapponia e nella regione di Dalarna, quindi si trasferı̀ in Olanda per completare gli studi 12 J.C. Greene, La morte di Adamo cit., p. 213 sgg.; S.J. Gould, Lo scimpanzè di Tyson, in S.J. Gould, The Flamingo’s smile. Reflections on Natural History, New York 1985, trad. Italiana Il sorriso del fenicottero, Milano, 1987, pp. 211-225; J. Marks 2004, pp. 24-25. 13 Sull’opera di Linneo cfr. J.C. Greene, La morte di Adamo cit., p. 155 sgg. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.2 Le scienze naturali nell’età dei Lumi 12 di medicina e fu in Olanda che diede alle stampe la prima edizione del suo Systema naturae. Fu poi in Inghilterra e in Francia. Nominato professore all’università di Uppsala nel 1741, fece ritorno in patria, dove rimase fino alla sua morte. La sua opera Systema naturae gli procurò larga fama, Linneo lavorò assiduamente per arricchire e completare questo sistema di classificazione della natura, e ne fece ben dodici edizioni diverse. Per quanto non abbia viaggiato molto, Linneo si avvalse di un’ampia schiera di collaboratori, che aveva mandato in giro per il mondo a raccogliere campioni botanici e animali. Alcuni collaboratori di Linneo, ad es., parteciparono ai primi viaggi del capitano James Cook, il grande navigatore ed esploratore inglese (1o viaggio nel 1768 – 1771, 2o viaggio nel 1772 – 1775), altri non fecero più ritorno. Per rendersi conto del graduale e progressivo ingrandirsi dell’opera di Linneo, basti pensare che le specie animali considerate erano 549 nella prima e 5897 nell’undicesima edizione. La più importante è la decima edizione, apparsa negli anni 1758 – 1759 in due volumi, perché vi fu introdotto per la prima volta il sistema della nomenclatura binaria per designare le specie, sistema che fu ben presto universalmente adottato e che rappresentò una svolta nel campo delle scienze naturali. In precedenza, infatti, non vi erano criteri uniformi per definire le specie e da ciò derivava una non piccola confusione: moltiplicazione del numero delle specie partendo da semplici varietà oppure raggruppamento di specie diverse in una sola specie, se si accentuava l’importanza di un carattere piuttosto che di un altro. La nomenclatura binaria comprende il genere e la specie indicati con nomi latini: ad es., il leone nella classificazione scientifica viene designato con la formula binomia Panthera leo, in cui Panthera indica il genere, leo la specie; la tigre è Panthera tigris; l’orango è Pongo pigmaeus, lo scimpanzè Pan paniscus, l’uomo Homo sapiens, e cosı̀ via. La tassonomia linneana comprendeva 6 unità principali disposte in senso gerarchico, da quelle più generali ed estese fino a quelle più particolari che coincidono con la singola specie (tabella 1.1) unità principale Regno Classe Ordine Genere Specie Varietà animali mammiferi carnivori Pantheraoppure Felis Panthera leo, cioè il leone, oppure Felis sylvestris, cioè il gatto corrisponde più o meno al concetto di razza Tabella 1.1 La tassonomia linneana. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.2 Le scienze naturali nell’età dei Lumi 13 La nomenclatura trinomia comprende anche la definizione della varietà o sottospecie, ad es. Homo sapiens sapiens. Nella sistematica di Linneo manca un’importante unità tassonomica, quella della famiglia. Linneo era convinto che ogni specie costituisse una entità fissa creata da Dio e quindi inserire nella sistematica un concetto come quello di famiglia, che implica parentela, non poteva certo essere conforme all’esigenza di armonizzare la scienza con la teologia. Tuttavia, se inizialmente Linneo considerava la specie come il tipo primordiale creato da Dio e immutabile, tranne che per variazioni temporanee prodotte dall’ambiente e dal clima – da qui il concetto di varietà – , nelle sue ultime opere ammise la possibilità che le specie potessero essersi formate per ibridazione di generi diversi. In un altro punto Linneo venne a trovarsi ai confini dell’ortodossia, quando rifletteva sulla durata della storia della terra. Era intimamente convinto che il mondo fosse molto più antico di quanto comunemente si ammettesse in base alle sacre scritture. Già la collocazione dell’uomo fra i quadrupedi, cioè fra i mammiferi, aveva provocato violente reazioni. Alle unità fondamentali di classe, ordine, genere, specie si sono in seguito aggiunte altre unità, innanzitutto la famiglia, un gruppo di generi tra loro imparentati, e in seguito altre unità intermedie come sottotipo, sottoclasse, sotto – ordine, infra – ordine, super – famiglia o sotto – famiglia. La nomenclatura scientifica è in latino e si usa il suffisso – idae per designare la famiglia, ad es. Hominidae, Felidae, il suffisso –ea, per la super – famiglia, ad es. Anthropoidea o Hominoidea e quello –inae per la sottofamiglia, ad es. Ponginae, Homininae. Attualmente si usano le seguenti unità tassonomiche: • Regno • Phylum (un tempo: Tipo) • Sub – phylum • Superclasse • Classe • Sottoclasse • Ordine • Sotto – ordine • Infra – ordine c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.2 Le scienze naturali nell’età dei Lumi 14 • Superfamiglia • Famiglia • Sottofamiglia • Genere • Specie • Varietà, Razza Nella tassonomia linneana si rivela pienamente lo spirito razionale e sistematico dell’età dei lumi. Alla base della classificazione per unità sempre più ampie vi è la maggiore o minore somiglianza che le innumerevoli singole specie presentano tra loro. In questo modo l’incredibile e straordinaria varietà degli organismi viventi animali e vegetali veniva identificata e raggruppata secondo principi logici e razionali, in base ai diversi livelli di affinità che essi presentano tra loro. Per Linneo la specie era una entità fissa creata da Dio, poiché ogni individuo genera soltanto individui simili a se stesso. I diversi livelli di affinità che gli animali mostravano di possedere rispecchiavano una sorta di parentela ideale corrispondente al pensiero di Dio all’atto della creazione. Soltanto un secolo più tardi la teoria evoluzionista di Darwin farà comprende come la tassonomia linneana era molto di più che una semplice classificazione in base alle reciproche somiglianze e differenze, dal momento che rispecchiava un legame ben più profondo esistente fra tutti gli organismi viventi, quello della comune ascendenza. Un altro grande naturalista del XVIII secolo è stato Georges – Louis Leclerc, conte di Buffon (1707 – 1788), autore di una monumentale Histoire naturelle in 44 volumi, pubblicata a partire dal 1749 e a lungo ristampata anche nel corso del XIX secolo. A Buffon si deve la formulazione del concetto biologico di specie, che supera il criterio della somiglianza, criterio che applicato al campo del mondo degli organismi viventi può rivelarsi insufficiente o problematico a causa delle differenze a volte profonde dovute al dimorfismo sessuale o agli stadi di sviluppo per gli invertebrati (larve e individui adulti) o al contrario al fatto che organismi viventi morfologicamente simili possono presentare adattamenti ecologici e comportamenti differenti e costituire quindi specie distinte. La specie è costituita da un gruppo di individui che sono in grado di accoppiarsi e generare una prole fertile, capace a sua volta di riprodursi. Specie diverse possono accoppiarsi tra loro e produrre prole, che tuttavia risulta sterile. L’esempio classico è quello del cavallo che feconda un’asina, c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.3 Due nuove discipline scientifiche: la paleontologia e la geologia 15 da cui nasce il bardotto oppure dell’asino che feconda una cavalla, da cui nasce il mulo. Mulo e bardotto sono sterili. “Ogni specie – ogni successione di individui che si possono riprodurre con successo l’un con l’altro – sarà considerata come un’unità. . . La specie è una successione costante di individui simili che si possono riprodurre l’un con l’altro”. 1.3 Due nuove discipline scientifiche: la paleontologia e la geologia Due nuove discipline scientifiche avranno un’importanza fondamentale per la comprensione del problema dell’origine dell’uomo, la paleontologia, ovvero lo studio dei fossili, e la geologia. La prima citazione di fossili risale a Senofone di Colofone (ca. 570 – 480 a.C.), uno dei filosofi della scuola ionica sorta nel VI secolo a.C. nelle colonie greche dell’Asia Minore. Sembra che Pitagora – secondo quanto riporta Ovidio, Metamorfosi, XV, 60 ss. – ed Erodoto conoscessero il significato dei fossili. Ad es., Erodoto a dimostrazione della sua idea che un tempo la valle del Nilo fosse una grande e lunga insenatura marina, cita il ritrovamento di conchiglie sui monti circostanti (Erodoto, II, 11 – 12). L’idea medievale dei fossili come lusus naturae, giochi o scherzi di natura, si appoggiava ad Aristotele, a cui Avicenna attribuisce la teoria che i fossili fossero formazioni inorganiche prodotte da una forza interna alla terra, una non meglio precisata vis plastica. Nel Medioevo era diffusa anche l’opinione – a lungo sopravvissuta nelle credenze popolari – che i fossili fossero opera del demonio o delle streghe. Ad es., l’impronta di una conchiglia fossile in una roccia era ritenuta l’impronta dello zoccolo del diavolo. La prima comprensione della reale natura dei fossili si deve, in maniera indipendente l’uno dall’altro, a Leonardo da Vinci (1452 – 1514), Girolamo Fracastoro (1478 – 1553) e Bernard Palissy (1510 – 1590). Un appunto di Leonardo da Vinci, nel codice di Leicester, ci mostra chiaramente come egli avesse compreso la vera natura dei fossili: “Il limo dei fiumi ha ricoperto queste conchiglie fossili, penetrando anche nel loro interno, quando erano ancora sul fondo del mare presso la costa. Si pretende che queste conchiglie si siano formate sulle colline per influsso degli astri, ma – mi domando – dove sono oggi le stelle che formano sulle colline conchiglie di età e specie differenti? D’altra parte come potrebbero le stelle spiegare l’origine delle ghiaie, che sembrano essere state arrotondate dal movimento dell’acqua corrente? Come spiegare, infine, per mezzo di una simile causa la pietrificazione su queste stesse colline di foglie di piante e di alberi marini?”. La natura organica dei fossili e la tesi che non potevano essere stati dec 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.3 Due nuove discipline scientifiche: la paleontologia e la geologia 16 positati dal diluvio universale furono sostenute da Palissy, agrimensore e ceramista14 . Il suo mestiere gli fornı̀ l’occasione di compiere molte osservazioni sui terreni, le loro stratificazioni e i fossili che contenevano. Palissy espose le proprie idee sulla natura dei fossili in una serie di lezioni pubbliche tenute a Parigi nel 1575 e 1576 e in uno scritto del 1580, senza incontrare molta fortuna tra le autorità accademiche della Sorbona. Palissy finirà i suoi giorni alla Bastiglia nel 1590. Doveva passare ancora un secolo prima che venisse generalmente accettata l’idea che i fossili sono resti di organismi animali e vegetali un tempo vissuti sulla terra, anche se la loro deposizione era attribuita al diluvio universale. Le scienze naturali erano costrette a cercare di conciliare le osservazioni e i dati di fatto accertati con il racconto biblico dalla creazione del mondo fino al diluvio di Noè, ritenuto il paradigma storico assiomatico, a cui comunque la scienza doveva rimanere subordinata. Nonostante la forza delle osservazioni scientifiche e delle scoperte che andavano sempre più accumulandosi, ci vollero secoli per liberarsi definitivamente da questo paradigma, un processo che si è compiuto molto gradualmente. Il primo passo fu la consapevolezza di una nuova dimensione del tempo geologico e della enorme durata delle diverse tappe in cui si articolava la storia della terra. Il termine “giorno” della Genesi non poteva essere interpretato che in chiave metaforica. Lo sviluppo della geologia darà un contributo fondamentale alla comprensione della storia della vita sulla terra e quindi anche al problema dell’origine dell’uomo. Grazie alla geologia nacque una nuova concezione del tempo. Importante a questo proposito fu l’opera di Buffon, Époques de la nature, Paris 1778. Per stimare l’antichità della terra Buffon fece ricorso a due calcoli. Se un sottile foglietto di ardesia – una roccia argillosa debolmente metamorfosata – corrisponde a una marea, una collina con una formazione di ardesia dello spessore di centinaia di metri può avere impiegato 14000 anni a formarsi. Il secondo calcolo concerne il tempo di raffreddamento dei solidi. La terra in origine era una sfera di materia allo stato incandescente e poi si è progressivamente raffreddata. Buffon fece riscaldare fino al calor bianco alcune sfere di metallo e di pietra nelle sue fucine di Montbard (Côte d’Or), il paese di cui era signore, e poi calcolò il tempo di raffreddamento. In questo modo, facendo le proporzioni con le dimensioni del globo terrestre, arrivò a calcolare per la terra un’età di 75000 anni. Per Buffon era una stima minima, in realtà nei suoi manoscritti si trova la cifra di 3 milioni di anni per l’età della terra. “Il grande operaio della natura è il tempo: . . . egli fa tutto”. Negli Atti dell’Accademia di Digione, presso la quale Buffon presentò il suo libro, è riportata questa frase attribuita a Buffon: “Collochiamo un certo 14 A. Laming-Emperaire, Origines de l’archéologie cit., pp. 129-130. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.3 Due nuove discipline scientifiche: la paleontologia e la geologia 17 numero di pietre miliari lungo la strada eterna del tempo”. Fondamentale per la nascita della moderna geologia e la comprensione dell’enorme durata dei tempi geologici fu la dottrina dell’attualismo di James Hutton (1726 – 1797)15 . Nato a Edimburgo da famiglia benestante, dopo aver studiato legge, intraprese gli studi di medicina, laureandosi all’università di Leida, in Olanda, nel 1749. Non esercitò mai la professione. Dapprima creò insieme a un amico un’impresa per la produzione di sale di ammoniaca secondo un procedimento di loro scoperta, poi si dedicò alla ristrutturazione e gestione del podere ereditato dal padre. In questo periodo crebbe il suo interesse per la storia naturale della terra. Dopo vari viaggi, stabilitosi definitivamente a Edimburgo nel 1767, Hutton divenne un membro di quella cerchia di intellettuali che farà della capitale scozzese uno dei centri più vivaci dell’Illuminismo e che annoverava il filosofo David Hume, lo storico William Robertson, il poeta Robert Burns, il chimico Joseph Black, che per primo isolò l’anidride carbonica, l’economista Adam Smith, James Watt, inventore del primo motore a vapore. Hutton espose pubblicamente le sue teorie sulla storia naturale della terra alla Royal Society di Edimburgo nel 1785 in due conferenze, il cui testo vedrà la luce nei Transactions of the Royal Society del 1788. Le teorie allora vigenti, note come nettunismo, prevedevano la formazione sedimentaria delle rocce primarie in ambiente marino e il loro successivo emergere in seguito al ritirarsi delle acque, conformemente all’interpretazione letterale della Genesi. Successivamente l’erosione delle rocce primarie avrebbe portato alla formazione di quelle secondarie, caratterizzate da una stratificazione orizzontale, mentre le rocce più recenti erano dovute ad alluvioni ed eruzioni vulcaniche. Al contrario, James Hutton era convinto che la spiegazione dei fenomeni geologici, anche di quelli più grandiosi, doveva essere ricercata nelle stesse forze naturali che sono ancora oggi visibili in azione: erosione prodotta dalla forza del vento, dalla pioggia, dai fiumi e dal moto ondoso; trasporto e accumulo dei sedimenti erosi; eruzioni vulcaniche e terremoti; alluvioni. In particolare Hutton dava importanza al calore interno della terra, che produceva il sollevamento e l’inclinazione degli strati rocciosi e l’infiltrazione del magma in strati sedimentari più antichi. Inoltre, sedimentazione, sollevamento, erosione, trasgressione marina formavano cicli che si ripetevano periodicamente. L’attualismo o uniformismo di Hutton in sostanza implicava che piccole cause, purché agenti continuamente per un lunghissimo periodo di tempo, producono effetti di grande portata. Hutton troverà le prove più eclatanti delle sue teorie nell’anno stesso della pubbli15 Sulla vita e opere di James Hutton si può vedere il bel libro di Repcheck recentemente tradotto in italiano: J. Repcheck, L’uomo che scoprı̀ il tempo. James Hutton e l’età della terra, Milano, Raffaello Cortina, 2004. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.3 Due nuove discipline scientifiche: la paleontologia e la geologia 18 cazione delle due conferenze alla Royal Society. Nel giugno 1788 Hutton insieme a John Playfair, professore di matematica all’università di Edimburgo, e sir James Hall, chimico, perlustrarono in barca le coste del mare del Nord a sud di Edimburgo. Al promontorio di Siccar Point la parete della scogliera mostrava dal basso verso l’alto strati grigi di scisti micacei con orientamento verticale, uno strato di grossi frammenti di scisti, strati orizzontali di arenaria rossa. Gli strati grigi con orientamento verticale in origine erano stati deposti orizzontalmente, poi furono sollevati fino quasi ad assumere un orientamento a V capovolta, quindi sottoposti all’erosione e poi nuovamente sommersi dalle acque. Quindi si accumularono le arenarie rosse, che furono poi sollevate sopra il livello del mare ma senza subire inclinazioni. Tutto questo processo aveva richiesto un tempo incommensurabile. Nel 1795 Hutton pubblicò Theory of the Earth, with Proofs and Illustrations, in due volumi. Per quanto dopo la sua morte, avvenuta nel 1797, gli amici Playfair e Hall si prodigassero per sostenere le sue teorie e dimostrarne la validità attraverso nuove importanti prove, le idee di Hutton non fecero molti proseliti, dal momento che erano in contrasto con l’ortodossia, anzi gli valsero l’accusa di essere blasfemo e ateo. Nel frattempo le scoperte paleontologiche di Cuvier gettavano le basi di una nuova visione della storia della terra, incentrata sulla concezione del succedersi di sei grandi catastrofi, l’ultima delle quali era stata il diluvio universale. Il nuovo paradigma divenne il catastrofismo e non mancarono i tentativi di conciliare nettunismo e catastrofismo in un’unica teoria. Georges – Léopold Cuvier (1769 – 1832) è stato uno dei fondatori della moderna paleontologia16 . All’età di 26 anni si stabilı̀ a Parigi, dove trovò lavoro al Jardin des Plantes. Fece una brillante carriera accademica e politica sotto Napoleone e poi anche sotto la monarchia, diventando un’autorità indiscussa e per molti aspetti anche indiscutibile. Prima di lui lo studio dei fossili era in gran parte circoscritto alle conchiglie, Cuvier diede impulso alla paleontologia dei vertebrati e all’anatomia comparata. Lo studio dei fossili, in particolare dei grandi mammiferi del bacino parigino (Recherches sur les ossements fossiles de quadrupèdes, Parigi 1812, 4 voll.), aveva rivelato a Cuvier che un tempo la terra era stata abitata da faune molto diverse da quelle attuali, inoltre lo studio della successione delle faune fossili attraverso le stratificazioni del terreno dimostrava che faune diverse si erano susseguite nel corso del tempo e che l’uomo era assente nei terreni anteriori a quelli contenenti le faune moderne. Cuvier insistette molto sull’importanza dei fossili per datare gli strati geologici. Inoltre, si deve a Cuvier un’osservazione che 16 Sugli sviluppi della paleontologia nel XVIII e XIX secolo cfr. J.C. Greene, La morte di Adamo cit., p. 109 sgg. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.3 Due nuove discipline scientifiche: la paleontologia e la geologia 19 avrà grande peso sulle future ricerche: “le differenze che esistono tra gli animali fossili e quelli attualmente viventi aumentano in relazione all’età degli strati che li racchiudono, in modo che una esposizione di queste differenze diventerebbe una specie di tabella cronologica dei terreni”. O ancora: “più gli strati in cui noi troviamo le ossa fossili sono antichi, più esse sono differenti da quelle degli animali che conosciamo al giorno d’oggi”, un dato di fatto che solo la teoria dell’evoluzione sarà in grado di spiegare scientificamente. Ma per Cuvier, come per Linneo, la specie era un’entità fissa creata da Dio e quindi si poneva il problema di conciliare i dati della scienza con la religione cristiana. Fu cosı̀ che Cuvier, partendo dal presupposto dell’assenza di forme fossili intermedie tra le varie faune che avevano popolato la terra in tempi successivi, si oppose al trasformismo di J. – B. Lamarck e Geoffroy Saint – Hilaire. Cuvier elaborò la teoria delle catastrofi, secondo la quale la storia della terra si articolava in diversi cicli caratterizzati da gruppi differenti di animali, ciascuno di questi cicli si concludeva con un cataclisma naturale che provocava la scomparsa repentina, l’estinzione di tutte le faune, mentre all’inizio del ciclo successivo Dio creava una serie di nuove specie per ripopolare la terra. Fissità della specie, creazionismo e catastrofismo sono i cardini di questa teoria. La paleontologia, comunque, metteva gli studiosi di fronte a un fenomeno che richiedeva spiegazioni più adeguate che non il catastrofismo: attraverso le successive stratificazioni della terra era possibile osservare non solo il continuo cambiamento delle forme di vita, ma anche la comparsa successiva di forme di vita sempre più complesse. Il concetto di stratigrafia fornı̀ un altro potente strumento di conoscenza per la ricostruzione della storia della terra. La geologia stratigrafica si avvale del concetto di fossile – guida, formulato da un contemporaneo di Cuvier, William Smith (1769 – 1839): ogni strato geologico si caratterizza per un insieme di determinati tipi di fossili. La dottrina dell’attualismo di J. Hutton e la geologia stratigrafica saranno utilizzati da Charles Lyell (1797 – 1875) nella prima grande opera di sintesi della geologia moderna, Principles of Geology or the modern changes of the Earth and its Inhabitants as illustrative of Geology, 3 voll., Londra,1830 – 1833, 18727). Scozzese di nascita, Lyell si laureò a Oxford nel 1819 e iniziò una serie di ricerche sul terreno in patria, in Francia e in Italia che lo porteranno dalle iniziali convinzioni ortodosse, anti – huttoniane, a comprendere la validità delle teorie di Hutton e a rivalutarlo come il padre della moderna geologia. In contrasto con la teoria del catastrofismo e della fissità della specie, propugnata da G. Cuvier, l’attualismo o uniformismo, di cui Lyell si fece assertore, affermava che la spiegazione dei fenomeni geologici doveva essere ricercata nelle stesse forze naturali che osserviamo ancor oggi in azione: le piccole cause, purché agenc 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.4 Il trasformismo di Lamarck 20 ti continuamente per un lunghissimo periodo di tempo, producono effetti di grande portata, senza alcuna necessità di ricorrere all’ipotesi di periodiche catastrofi naturali. È l’antico concetto espresso dal detto latino gutta cavat lapidem saepe cadendo. L’età della terra non poteva essere di soli 6000 anni, ma incommensurabilmente più antica. 1.4 Il trasformismo di Lamarck Jean – Baptiste Pierre – Antoine de Lamarck (1744 – 1829) fu il primo naturalista a elaborare una teoria della trasformazione graduale degli organismi viventi. Appartenente a una piccola nobiltà provinciale ormai decaduta e impoverita, Lamarck dopo aver compiuto i primi studi presso i Gesuiti e aver perso il padre, nel 1761 si arruolò nell’esercito, ma ben presto dovette constatare la difficoltà di intraprendere la carriera militare per un giovane senza mezzi. Nel 1768 si congedò e si recò a Parigi, dove pur vivendo con pochi mezzi e facendo diversi lavori, riuscı̀ a continuare gli studi. Conobbe Jean – Jacques Rousseau, sviluppò un grande interesse per la botanica e nel 1778 pubblicò Flore françoise, un’opera che richiamerà su di lui l’attenzione di Buffon. Buffon gli affidò l’educazione del figlio, che sperava di avviare lungo la strada della ricerca scientifica, e lo fece entrare all’Académie des Sciences. Nel 1781 Lamarck ebbe l’incarico di custode dell’erbario al Jardin du Roi, che durante la Rivoluzione Francese cambierà nome, diventando prima Jardin des Plants e poi Musée Nationale d’Histoire Naturelle (1793). Al Musée furono istituite due cattedre di zoologia, affidate una a Lamarck, che si occuperà degli Invertebrati, e l’altra al più giovane Geoffroy Saint – Hilaire, che si dedicherà ai Vertebrati. In otto anni Lamarck compirà un imponente lavoro di revisione e classificazione degli Invertebrati, un campo degli studi fino a quel momento ancora in uno stato di grande confusione. Lamarck definirà dieci classi differenti di Invertebrati, basandosi sulle caratteristiche dei loro organi fondamentali – respirazione, circolazione e sistema nervoso. Nel 1801 i risultati del suo lavoro furono pubblicati nell’opera Système des animaux sans vertèbres. Lo studio degli invertebrati portò Lamarck a concepire la teoria del trasformismo, che espose nel 1802 nell’opuscolo Recherches sur l’organisation des corps vivants e nel 1809 nell’opera Philosophie Zoologique. Lamarck rimase impressionato dalla constatazione che nel regno animale vi erano delle differenze graduali tra le varie classi per quanto concerne la complessità della loro organizzazione, tali da poter formare una sorta di catena della vita, che partiva dalle forme più semplici ed elementari di organizzazione degli organismi c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.5 Darwin e la teoria dell’evoluzione 21 viventi per giungere attraverso una lunga serie continua di gradini fino alle forme di vita più complesse e dotate di intelligenza, che culminano con l’uomo, collocato nel gradino più alto. “Cittadini, andate dal più semplice al più complesso e avrete il filo esatto che unisce tutte le creazioni della natura, avrete un’idea precisa della loro progressione, sarete convinti che il più semplice degli esseri viventi ha dato origine a tutti gli altri”. Questa scala della progressione della vita “indica. . . il cammino percorso dalla natura nel dar vita alle diverse forme animali”. Secondo Lamarck l’idea della stabilità della specie era una falsa impressione generata dalla breve prospettiva temporale considerata, limitata soltanto ai tempi storici. Ma se si considerano le specie estinte che la paleontologia cominciava a far conoscere in maniera sempre più approfondita, si potrà comprendere che le specie moderne discendono da quelle estinte. D’altra parte poiché tutti gli organismi viventi dipendono per la loro esistenza dall’adattamento all’ambiente e poiché la storia della terra dimostra che l’ambiente ha attraversato continue e incessanti trasformazioni, è impensabile ritenere che le specie si siano mantenute fisse e inalterate. Ciò che deve sorprendere non è la trasformazione delle specie, ma il fatto che alcune specie siano rimaste inalterate per lunghissimi periodi di tempo. Lamarck cercò di individuare le cause dell’evoluzione nell’uso e disuso degli organi in rapporto all’ambiente e formulò la discussa teoria secondo cui i caratteri acquisiti potevano essere trasmessi alla prole. I cambiamenti climatici e ambientali determinavano nuovi bisogni e la necessità di adottare nuovi modi di vita, questi ultimi inducevano modificazioni strutturali, in base al principio “la funzione crea l’organo”. Le modificazioni cosı̀ acquisite potevano essere trasmesse ai discendenti. In questo modo una specie mutava gradualmente fino a diventare una nuova specie. L’ereditarietà dei caratteri acquisiti rappresentò il punto debole della teoria di Lamarck e contribuı̀ fortemente al rifiuto dell’intera teoria del trasformismo. 1.5 Darwin e la teoria dell’evoluzione Gli anni fra il 1830 e il 1859 sono quelli in cui gli studi delle scienze naturali avviati nel XVIII secolo giunsero a piena maturazione e le diverse discipline, ormai autonome e ciascuna dotata di una propria metodologia, interagirono tra loro convergendo verso la comprensione del posto dell’uomo nella natura: scienze naturali, in particolare la zoologia, la paleontologia, la geologia e la nascente archeologia preistorica. Charles Darwin (1809 – 1882), un giovane naturalista, dal 7 dicembre 1831 al 2 ottobre 1836 effettuò un viaggio intorno al mondo a bordo del brigantino c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.5 Darwin e la teoria dell’evoluzione 22 Beagle, comandato dal capitano Robert Fitzroy, viaggio durato più di 57 mesi, quasi cinque anni. Il Beagle veleggiò lungo le coste del Brasile, dell’Uruguay e dell’Argentina, fino alla Terra del Fuoco, per poi risalire lungo le coste del Cile, del Perù e dell’Equador e raggiungere l’arcipelago delle Galapagos. Da qui attraversò tutto l’oceano Pacifico, arrivando a Tahiti e poi in Nuova Zelanda, Australia e Tasmania. Il brigantino navigò, quindi, lungo le coste meridionali dell’Australia, da qui puntò verso l’Oceano Indiano, raggiungendo le isole Cocos e poi le Mauritius. Quindi, dopo aver toccato Città del Capo e doppiato il capo di Buona Speranza attraversò l’Oceano Atlantico con tappe a S. Elena, Ascensione e infine nuovamente in Brasile, da cui fece rotta verso l’Inghilterra. Il compito principale del viaggio del Beagle era quello di tracciare una carta dei mari ancora poco conosciuti, di cartografare le coste dell’America meridionale, di effettuare una serie di misurazioni cronometriche e registrare le condizioni meteorologiche di queste parti della Terra. Il compito di Darwin era quello del naturalista, raccogliere campioni geologici ed esemplari della flora e della fauna dei paesi che venivano toccati nel corso del viaggio. Ma, come è stato scritto, questo viaggio doveva dare risultati ben più importanti che tracciare una carta di mari e coste ancora poco conosciuti, doveva dare una risposta nuova, tale da sconvolgere il mondo, ad uno degli enigmi più misteriosi e fondamentali: qual è l’origine dell’uomo e della vita che lo circonda17 . Darwin aveva portato con sé il primo volume dei Principles of Geology di Lyell e il 28 ottobre 1832, quando il Beagle era ormeggiato nel porto di Montevideo ricevette per posta dall’Inghilterra il secondo volume fresco di stampa, mentre il terzo e ultimo volume arrivò mentre il Beagle si trovava alle Falkland. L’opera di Lyell esercitò un influsso decisivo sul giovane Darwin. Durante la lunga sosta a Bahia, in Brasile, Darwin effettuò alcune spedizioni nella foresta amazzonica; a Punta Alta, sempre in Brasile, scoprı̀ un importante giacimento di mammiferi fossili, alcuni di dimensioni gigantesche come il Megatherium; attraversò le pampas e la Patagonia, poté osservare da vicino una popolazione primitiva come i Fuegini della Terra del Fuoco, attraversò le Ande da Valparaiso in Cile a Tucuman in Argentina, ma soprattutto poté fare osservazioni nuove sulle somiglianze e differenze tra le varie specie animali e porsi domande sulle cause dell’estinzione di tante specie e sulla distribuzione geografica di specie diverse ma affini. Ad es., Darwin fu colpito dal numero e dalle differenze tra le specie di topi che aveva trovato lungo la costa atlantica e lungo quella pacifica dell’America meridionale, rispettivamente 13 e 5. I 17 Su Darwin e la nascita della teoria dell’evoluzione cfr. J.C. Greene, La morte di Adamo cit., p. 293 sgg. Per la vita di Darwin cfr. A. Keith, Darwin (1955), Milano 1965. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.5 Darwin e la teoria dell’evoluzione 23 due gruppi erano separati dalla Cordigliera delle Ande ed erano sensibilmente differenti. Secondo la spiegazione tradizionale, queste specie erano differenti perché ciascuna era stata creata da Dio e collocata in diversi ambienti, ma a Darwin si affacciò un’altra possibile spiegazione: “Altrimenti si dovrebbe pensare che la differenza fra le specie nelle due regioni si sia prodotta durante un certo periodo di tempo”. Nella lenta maturazione del pensiero di Darwin svolse un ruolo importantissimo il soggiorno alle Galapagos nel settembre e ottobre del 1835. In questo arcipelago formato da 13 isole, a 500 miglia dalle coste dell’Equador, Darwin ebbe la possibilità di osservare la variabilità della specie, poiché ogni isola aveva una differente varietà di testuggine gigante e di fringuello, qui, inoltre, incontrò 26 specie di uccelli ed enormi lucertole nere, le iguane, 16 specie di conchiglie terrestri e 90 specie di conchiglie marine. Per quanto la fauna e la flora delle Galapagos facessero parte della provincia americana, Darwin fu colpito dall’impressionante numero di specie nuove, proprie ed esclusive di questo arcipelago, anzi di ciascuna isola dell’arcipelago. La soluzione più ragionevole sembrava ammettere che un numero limitato di specie avesse raggiunto le isole dell’arcipelago dal continente e che in seguito ogni specie si fosse sviluppata in ciascuna isola senza più avere contatti fino a divenire una nuova specie distinta da quelle delle isole vicine. Darwin ebbe l’intuizione che alle Galapagos si trovava di fronte alla possibilità di comprendere “il mistero dei misteri: la prima apparizione di nuovi esseri sulla terra”. Al ritorno in Inghilterra, Darwin era ormai un naturalista affermato, conobbe personalmente Lyell ed Owen, il fondatore del Museo di Storia Naturale di Londra, fu nominato membro della Geological Society, di cui sarebbe diventato poco tempo dopo segretario. Nel corso del viaggio intorno al mondo Darwin aveva formato una cospicua raccolta naturalistica, comprendente piante, invertebrati, coleotteri, insetti, mammiferi fossili, pesci, rettili, uccelli e mammiferi, nonché molti campioni geologici. Nei primi tempi lavorò per stendere la relazione da inserire nel volume curato da Fitzroy sul viaggio del Beagle, volume che sarà pubblicato nel 1839 e riscosse un grande successo. Sei anni dopo Darwin pubblicherà una nuova edizione della sua parte, rivedendola e ampliandola, opera che vedrà la luce nel 1845 con il titolo di Viaggio di un naturalista intorno al mondo. Già nel luglio del 1837 Darwin aveva iniziato a mettere per iscritto le sue osservazioni e riflessioni su quella che cominciò a chiamare “la mia teoria”, sono i famosi Notebooks, i Taccuini. Darwin aveva dato a diversi specialisti i materiali della sua collezione per uno studio di ciascun settore in vista di un’opera collettiva sulla zoologia del viaggio del Beagle. Ben presto John Gould, specialista degli uccelli, gli comunicò che i fringuelli e i tordi delle Galapagos, per quanto simili a quelli c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.5 Darwin e la teoria dell’evoluzione 24 del continente sudamericano ed anche strettamente affini tra di loro, costituivano comunque delle specie separate. Appariva chiaro, a questo punto, il ruolo svolto dall’isolamento geografico nel processo di speciazione. La lettura nel 1838 dell’opera di Malthus, Saggio sul principio della popolazione (1798), sarà determinante per la formulazione del concetto di lotta per la sopravvivenza e di selezione naturale. La popolazione, se non è tenuta sotto controllo, continua a raddoppiarsi ogni 25 anni, ossia cresce in proporzione geometrica, quindi con un tasso molto più elevato che non le risorse disponibili. Sono ancora conservate la pagine dei Taccuini in cui Darwin calcolò l’aumento di una popolazione di elefanti a partire da una sola coppia in assenza di ostacoli naturali. Darwin scelse l’esempio dell’elefante perché si tratta di una specie con basso tasso riproduttivo. Nonostante ciò, se tutti i discendenti di una sola coppia di elefanti vivessero e si riproducessero normalmente, dopo 750 anni ci sarebbero più di 18 milioni di elefanti discendenti da quell’unica coppia (226). Nella realtà ce ne sono più o meno soltanto due. Perché? il processo attraverso cui questi due animali sono scelti viene definendosi nella concezione di Darwin come selezione naturale ed è l’ambiente ad operare la scelta. In ogni specie il numero degli individui che sopravvivono e si riproducono è piccolo in rapporto al numero degli individui generati ed è l’ambiente a determinare chi riesce a sopravvivere e a riprodursi. “Poiché nascono più individui di quanti ne possano sopravvivere, deve necessariamente esistere una lotta per l’esistenza tra individui della stessa specie, fra quelli di specie diverse e di tutti gli individui contro le condizioni fisiche della vita”. D’altra parte, nel caso degli animali domestici l’uomo ha operato allo stesso modo della natura, sostituendosi ad essa ed applicando la selezione per mantenere le variazioni per lui più vantaggiose e modificando quindi le specie originarie. Darwin fu un attento osservatore delle tecniche degli allevatori, i quali sanno perfettamente che ogni individuo del branco è diverso da tutti gli altri e selezionano con grande attenzione e cura i capi maschili e femminili per la riproduzione in base alle loro caratteristiche ritenute più vantaggiose per un determinato scopo. In natura, infatti, ogni popolazione presenta variazioni che si verificano spontaneamente, cioè indipendentemente dall’ambiente, e sono del tutto casuali, vale a dire senza uno scopo o una direzione precisa. Alcune variazioni possono essere favorevoli perché danno all’individuo una maggiore capacità di adattamento all’ambiente in cui vive e di conseguenza una maggiore probabilità di sopravvivenza e di lasciare una prole più numerosa fornita di quella vantaggiosa variazione adattiva. Al contrario, gli individui con variazioni sfavorevoli hanno una minore probabilità di sopravvivenza e una minore discendenza, ragion per cui quella variazione tende a scomparire. Con il passare c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.5 Darwin e la teoria dell’evoluzione 25 del tempo, da una generazione all’altra, la variazione favorevole diventerà sempre più comune nell’ambito di una determinata popolazione, producendo una differenza rispetto a un’altra popolazione della stessa specie. Quando le differenze diventano numerose e le popolazioni si separano nello spazio, si originano nuove specie. Questo processo si verifica non solo nello spazio, ma anche nel tempo, per cui la stessa popolazione si modifica fino a diventare una specie differente rispetto alla propria lontana ascendenza. Già nel 1842 Darwin aveva messo per iscritto un primo abbozzo della sua teoria in 35 pagine e due anni dopo scrisse un testo più ampio, di circa 200 pagine. Darwin comunicò i risultati a cui era pervenuto a un gruppo ristretto di amici e colleghi: John S. Henslow, il suo professore di botanica a Cambridge, il geologo Lyell, il botanico Joseph Hooker, l’entomologo Thomas V. Wallaston, l’ornitologo John Gould, il botanico americano Asa Gray. Nel 1856 Darwin fu sollecitato da Lyell a pubblicare in un’opera i risultati delle sue ricerche e i principi della teoria dell’evoluzione degli organismi viventi attraverso la selezione naturale. Darwin si mise al lavoro e contava di avere bisogno ancora di qualche anno. Nel frattempo anche Alfred Russel Wallace (1823 – 1913), un naturalista che stava lavorando in Malesia e in Indonesia, era giunto, del tutto indipendentemente da Darwin, a conclusioni simili e nel 1858 aveva messo per iscritto le sue idee in un articolo di una ventina di pagine, ancora manoscritto, dal titolo Sulla tendenza delle varietà ad allontanarsi indefinitamente dal tipo originario. Wallace inviò a Darwin il suo manoscritto, pregandolo di sottoporlo al giudizio anche di Lyell. Darwin ne fu abbastanza sconvolto, perché l’articolo sembrava un riassunto dell’opera che stava terminando di scrivere. Lyell e Hooker, che da tempo erano a conoscenza della teoria di Darwin, risolsero il problema presentando insieme, il 1 luglio 1858, l’articolo di Wallace e una sintesi del lavoro di Darwin sulla teoria dell’evoluzione alla Linnean Society di Londra, suscitando un enorme interesse e una grande attesa. A questo punto Darwin lavorò ininterrottamente per tredici mesi alla stesura del libro che doveva renderlo celebre. Il 24 novembre 1859 venne finalmente pubblicata Sull’origine delle specie per mezzo della selezione naturale. La tiratura di 1250 copie andò esaurita in un solo giorno. L’opera fu continuamente ristampata e già nel 1876 se ne erano vendute più di 60.000 copie, una cifra incredibilmente alta per l’epoca. Ben presto sarà tradotta in tutte le principali lingue europee. L’impatto prodotto dalla teoria darwiniana sul pensiero e la cultura europei furono enormi. Per la prima volta veniva dimostrato scientificamente come le singole popolazioni appartenenti alle più svariate specie di organismi viventi potevano lentamente modificarsi fino a dare origine a nuove specie grazie al ruolo determinante svolto dall’ambiente. È l’ambiente che attua la selezione naturale e poiché l’ambiente cambia in continuazione, come c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.6 L’origine dell’uomo alla luce della teoria dell’evoluzione 26 era stato ormai dimostrato dalla geologia, i cambiamenti ambientali orientano la direzione dell’evoluzione degli organismi viventi. Senza cambiamenti ambientali non ci sarebbe evoluzione degli organismi viventi. 1.6 L’origine dell’uomo alla luce della teoria dell’evoluzione I primi fossili umani furono scoperti nell’Ottocento (Engis, 1828; Gibilterra, 1848; Neandertal, 1856), ma il loro significato non fu immediatamente compreso, anche se la grande antichità della specie umana era già stata intuita da vari studiosi nel Settecento e nei primi decenni dell’Ottocento. La paleoantropologia ricevette un impulso decisivo soltanto dopo la pubblicazione de L’origine delle specie e l’affermarsi dell’evoluzione degli organismi viventi come teoria scientifica. Nella sua opera Darwin non aveva preso in considerazione il problema dell’origine dell’uomo e si era limitato ad accennare che “molta luce sarà fatta sull’origine dell’uomo e sulla sua storia”. In una lettera indirizzata a Wallace il 22 dicembre 1857 Darwin scriveva che avrebbe evitato di affrontare il problema dell’uomo, perché essendo ancora avvolto da una gran quantità di pregiudizi, avrebbe contribuito a far respingere tutta la teoria. Il tema dell’origine dell’uomo alla luce della teoria evoluzionistica fu affrontato per la prima volta da Thomas Henry Huxley (1825 – 1895) pochi anni dopo la pubblicazione dell’Origine delle specie. Huxley18 , dopo aver compiuto studi di medicina a Londra, entrò nella marina da guerra come medico e nel 1846 si imbarcò sulla fregata Rattlesnake che partiva per una crociera scientifica della durata di quattro anni nella regione malese. In questo modo Huxley ebbe la possibilità di focalizzare i suoi interessi verso l’anatomia e la fisiologia animale, specialmente degli invertebrati. Tornato in Inghilterra si dedicò a tempo pieno agli studi scientifici e nel 1854 ottenne l’insegnamento alla School of Mines e al Geological Survey e spostò i suoi interessi sempre più verso la paleontologia dei vertebrati. Strinse amicizia con il botanico Hooker, con Darwin, con Lyell. Ancor prima della pubblicazione dell’Origine delle specie, Darwin aveva discusso con Huxley della nuova teoria dell’evoluzione degli organismi viventi. Nel 1860 alla riunione dell’Associazione per il Progresso delle Scienze tenuta a Oxford, Huxley difese efficacemente la teoria evoluzionistica di fronte agli attacchi del vescovo Wilberforce. Huxley svolse un importante ruolo come difensore e divulgatore dell’evoluzionismo, perché aveva compreso che era necessario che la discussione uscisse dallo stretto am18 Sulla vita e le opere di Huxley cfr. E. Padoa, Introduzione, in T.H. Huxley, Il posto dell’uomo nella natura e altri scritti, Milano 1956, pp. 5-48. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.6 L’origine dell’uomo alla luce della teoria dell’evoluzione 27 bito degli specialisti per allargarsi a un più ampio pubblico, se si voleva che la teoria venisse accettata. Nel 1863 pubblicò Evidence as to Man’s place in Nature, un libro diviso in tre parti, la prima dedicata alle scimmie antropomorfe e alla classificazione zoologica dell’uomo, la seconda all’uomo in relazione agli altri animali, la terza ai resti fossili dell’uomo. Attraverso l’anatomia comparata Huxley dimostrò che qualunque aspetto si esaminasse – il cranio, la dentatura, lo scheletro, la mano, il piede o l’encefalo – si arrivava ad un’unica conclusione: le differenze tra l’uomo e le scimmie antropomorfe sono più piccole di quelle tra le scimmie antropomorfe e i cercopiteci e le altre scimmie inferiori. Ciò nonostante, la demarcazione tra l’uomo e le scimmie antropomorfe è netta, non ci sono forme intermedie, ma ancora più netta è la demarcazione tra il gorilla o lo scimpanzé e l’orango. “L’uomo differisce meno dagli Antropoidi che non essi dalle altre famiglie dello stesso ordine”. Di conseguenza se è vera la teoria dell’evoluzione darwiniana e le scimmie antropomorfe, i cercopiteci e le platirrine sono rami derivati da un comune gruppo più antico, non è possibile dubitare che anche “l’uomo può essersi originato da modifiche graduali di una scimmia antropomorfa o da un ramo derivato dalle medesime forme primitive dalle quali hanno preso origine gli antropoidi stessi.”. Nella terza parte dell’opera Huxley prese in considerazione i crani scoperti nella grotta di Engis e nella valle di Neander e concluse che non potevano costituire l’anello mancante tra l’uomo e le scimmie antropomorfe. Per quanto più primitivi di qualunque altro cranio finora noto, non erano molto lontani dall’ambito delle variazioni del cranio dell’umanità attuale. “Dove dobbiamo allora cercare questo Uomo primigenio? . . . forse in strati ancora più antichi, le ossa fossilizzate di una scimmia più vicina all’uomo o di un uomo più pitecoide di quanti finora conosciuti attendono le ricerche di un paleontologo che deve ancora nascere?”. La risposta a questa domanda doveva venire più di trent’anni dopo, quando nel febbraio 1895, quattro mesi prima della sua morte, Hooker gli scrisse che gli Olandesi a Giava avevano scoperto qualcosa che sembrava l’anello mancante e che avevano denominato Pithecanthropus erectus Dubois. Nello stesso anno 1863 in cui Huxley pubblicava il suo libro, veniva dato alle stampe un altro importante contributo concernente il problema dell’origine dell’uomo e della sua alta antichità geologica, l’opera di Ch. Lyell, The geological evidences of the Antiquity of Man with remarks on theories of the origin of species by variation, London 1863. Lyell analizzò sistematicamente le prove geologiche, paleontologiche e archeologiche dell’antichità dell’uomo: le scoperte fatte nelle torbiere e nei kjökkenmöddinger della Danimarca, le palafitte della Svizzera e i crannogs dell’Irlanda, i tumuli dell’Ohio nel Nord c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.6 L’origine dell’uomo alla luce della teoria dell’evoluzione 28 America, le scoperte di Tournal, Schmerling e Boucher de Perthes19 , quelle effettuate in Inghilterra e le scoperte di Lartet a Aurignac nella Dordogna. Lyell cercò di valutare la durata dei tempi quaternari, l’età delle glaciazioni, proponendo una cifra minima di 225.000 anni. Dal ventesimo capitolo in poi passò a esaminare la teoria del transformismo o dell’evoluzione degli organismi viventi, mettendo in luce gli apporti forniti da Lamarck, Darwin e Wallace. Bisogna ricordare che nei suoi Principles of Geology, di trent’anni prima, Lyell aveva discusso la teoria di Lamarck rifiutandola. Infine, nell’ultimo capitolo, il XXIV, viene discusso il significato della teoria dell’evoluzione in relazione al problema dell’origine dell’uomo. Lyell si domanda se una volta accettata la teoria evoluzionista per il regno animale, l’uomo debba essere considerato una eccezione alla regola. Per rispondere a questa domanda, Lyell affrontò per prima cosa il problema della classificazione zoologica dell’uomo, esponendo il pensiero di chi come Blumenbach (1779) voleva farne un ordine a parte, o Robert Owen, che addirittura voleva riservare all’uomo una classe a sé distinta da quella dei mammiferi. Dopo aver soppesato attentamente tutte le opinioni e dimostrato la fondatezza delle critiche rivolte da molti autori, da Saint Hilaire fino ad Huxley, a coloro che volevano staccare l’uomo dall’ordine dei Primati, Lyell non prese apertamente posizione sul problema dell’inclusione o meno dell’uomo nel generale processo dell’evoluzione20 . In Germania il medico e zoologo Ernst Haeckel (1834 – 1919), dell’università di Jena, accolse subito con grande favore la teoria darwiniana dell’evoluzione delle specie e della selezione naturale, diffondendola nel mondo di lingua germanica. Nel 1866 pubblicò un’opera in due volumi, Morfologia generale degli organismi, e nel 1868 Storia della creazione naturale, una raccolta di conferenze pubbliche. In entrambe le opere Haeckel applicava i principi dell’evoluzionismo darwiniano a temi quali l’origine delle specie e il significato delle somiglianze morfologiche fra specie diverse. Ad Haeckel si deve l’introduzione di termini destinati a grande diffusione e a divenire di uso corrente quali ecologia, ontogenesi e filogenesi. Attraverso gli studi di embriologia Haeckel formulò una legge secondo cui l’ontogenesi è una ricapitolazione della filogenesi: ogni individuo nelle diverse fasi del suo sviluppo pre – natale attraversa gli stessi stadi del passato evolutivo della sua specie. Nel capitolo XXVII della Storia della creazione naturale Haeckel affrontava il problema dell’origine dell’uomo. “L’ipotetico albero genealogico del genere umano ci si presenterà da se stesso come risultato finale dell’anatomia comparata e della sistematica”. Haeckel classificava l’uomo tra i primati, come già Linneo, ma ipotizzò l’esistenza di uno stadio intermedio tra le scim19 20 Sulle prime ricerche di archeologia preistorica cfr. più avanti al capitolo I, 8. Cfr. J.C. Greene, La morte di Adamo cit., p. 361 sgg. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.6 L’origine dell’uomo alla luce della teoria dell’evoluzione 29 mie antropomorfe e l’uomo, definito Pithecanthropus alalus, cioè uomo scimmia senza parola. Haeckel suppose che attraverso questo “anello mancante” l’uomo derivasse dalle antropomorfe asiatiche anziché da quelle africane. Haeckel ha rappresentato il tipico scienziato positivista, sostenitore del materialismo, convinto che la scienza possa dare una risposta ai problemi della religione, della metafisica, dell’etica. Inoltre, applicando i principi della selezione naturale e della lotta per l’esistenza al campo sociale, contribuı̀ alla creazione di un clima culturale e politico che in seguito si rivelerà nefasto per la Germania della fine del XIX e dei primi decenni del XX secolo. Dopo L’origine delle specie, Darwin lavorò a due nuovi libri, Sui vari modi in cui le orchidee vengono fecondate tramite gli insetti, pubblicato nel 1862, e Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico, che sarà pubblicato nel 1868. Naturalmente seguiva attentamente il dibattito sull’origine dell’uomo, che aveva preso lo spunto dalla sua teoria dell’evoluzione degli organismi viventi. Darwin era in stretti rapporti di amicizia e di dialogo scientifico con Lyell e con Huxley e intrattenne una corrispondenza anche con Haeckel. Nel 1865 fu pubblicato Prehistoric Times di John Lubbock. I Lubbock erano vicini di casa di Darwin. Il padre, sir John, banchiere e matematico, era divenuto amico di Darwin e lo aveva aiutato a risolvere alcuni problemi di matematica. Il giovane Lubbock fece omaggio della sua pubblicazione a Darwin. In Prehistoric Times Lubbock divide il passato preistorico dell’uomo in quattro epoche: l’età della pietra scheggiata, l’età della pietra levigata, l’età del Bronzo e l’età del Ferro. È quindi il primo studioso a suddividere l’età della pietra in Paleolitico, età della pietra scheggiata, di età pleistocenica, epoca in cui l’uomo era vissuto accanto a faune estinte come il mammuth, e Neolitico, età della pietra levigata, corrispondente ai tempi geologici più recenti, post – glaciali, in cui le faune sono come quelle attuali e gli uomini adottano l’agricoltura e l’allevamento. Quest’opera ebbe un grande successo, poiché rappresentava una prima sintesi delle conoscenze conseguite dalla nascente archeologia preistorica. Lubbock ha dedicato alcuni capitoli ai kjökkenmöddinger della Danimarca, alle palafitte della regione alpina, ai monumenti megalitici e a i tumuli, all’uso della pietra e del bronzo, alle faune quaternarie, all’uomo delle caverne e all’industria litica proveniente dalle ghiaie pleistoceniche delle valli fluviali come quella della Somme. Altri capitoli sono dedicati ai cosiddetti selvaggi moderni, che forniscono un utile materiale comparativo per la comprensione delle vestigia preistoriche. Infine, Lubbock discusse anche dell’antichità dell’uomo, dell’origine delle diverse razze umane e dell’applicabilità del concetto di selezione naturale all’uomo. Nel 1865 la preistoria era ormai diventata una disciplina scientifica che c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.7 Nascita dell’archeologia preistorica 30 indaga e cerca di ricostruire gli aspetti culturali dell’umanità anteriore ai tempi storici, dal passato più remoto fino alle soglie della storia. La sua costituzione come disciplina autonoma era lentamente maturata nella prima metà del XIX secolo ed è opportuno soffermarci brevemente a considerare quali sono state le principali tappe che hanno condotto alla nascita dell’archeologia preistorica. 1.7 Nascita dell’archeologia preistorica Il grande sviluppo della ricerca preistorica dalla metà dell’Ottocento in poi si deve al formarsi, nei primi decenni del secolo, di due indirizzi: il primo di carattere naturalistico e il secondo di carattere antiquario, spesso tra loro strettamente intrecciati, come vedremo nel caso di Boucher de Perthes. Il riconoscimento delle selci scheggiate come manufatti prodotti dall’uomo da una parte, il nuovo pensiero geologico rappresentato da Ch. Lyell dall’altra, aprirono la strada alla scoperta dell’uomo paleolitico e quindi alla dimostrazione della grandissima antichità della specie umana. Infatti, nel corso della prima metà del XIX secolo si moltiplicarono le scoperte di manufatti e resti umani associati a ossa di animali estinti in contesti geologici molto antichi, di età “diluviale”, come allora si diceva, corrispondente al nostro Pleistocene, l’età delle glaciazioni. Già nel 1800 John Frere aveva pubblicato21 la notizia del ritrovamento, avvenuto qualche anno prima, a Hoxne nel Suffolk, di selci lavorate insieme con ossa di elefante, in uno strato ghiaioso alla profondità di oltre 3 m. Frere aveva osservato scrupolosamente la sequenza stratigrafica del terreno: 45 cm di terreno vegetale, un potente strato di argilla della potenza di 2,25 m, quindi uno strato di sabbia con conchiglie dello spessore di 30 cm, infine uno strato di ghiaie, quello che conteneva le selci scheggiate, della potenza di oltre 60 cm. Nello strato di sabbie che ricopriva le ghiaie furono rinvenuti i denti e la mascella di un grande animale di una specie estinta e sconosciuta. Non solo Frere riconobbe la natura artificiale delle selci scheggiate, ma ne comprese anche la grande antichità: “Mi sembra evidente che siano armi da guerra, costruite ed usate da una gente che non conosceva l’uso dei metalli”, e ancora: “La situazione in cui furono trovate queste armi può indurci a riferirle a ’a very remote period indeed even beyond that of the present world’ (un’epoca veramente molto remota, perfino al di là di quella del mondo presente)”22 . Nel 1826 un farmacista di Narbonne, Tournal, scavando nella caverna di Bize presso Narbonne (Aude) scoprı̀ ossa umane associate a ossa di mam21 22 In una lettera inviata ad Archaeologia, il periodico della Society of Antiquaries. G. Daniel, The Idea of Prehistory cit. p. 36 sgg. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.7 Nascita dell’archeologia preistorica 31 miferi estinti. Nel 1833 P. – D. Schmerling, di Liegi, pubblicò un’opera23 , in cui si dava notizia delle scoperte fatte nella caverna di Engis: ossa umane, strumenti di pietra e ossa di animali estinti, come il rinoceronte tichorhinus e la iena delle caverne. Altre scoperte simili furono fatte in Inghilterra, nella caverna Kent’s Hole presso Torquay tra il 1825 e il 1841, ma è soltanto grazie all’opera di J. Boucher de Crévecoeur de Perthes che si poté arrivare alla definitiva dimostrazione dell’esistenza dell’uomo “anti – diluviano” (anteriore al diluvio universale) ovvero appartenente all’età “diluviale”, come allora era denominato il Pleistocene. Tra il 1836 e il 1859 Boucher de Perthes condusse ricerche sistematiche lungo i terrazzi della Somme, in particolare nelle cave di ghiaia presso Abbeville. A partire dal 1841 la scoperta di alcune amigdale nella terrazza media della valle della Somme, nelle cave di Menchecourt, associate a fauna estinta come rinoceronte, elefante e orso delle caverne, fornı̀ la prova decisiva dell’alta antichità dell’uomo, dimostrata dalla sua coesistenza con specie animali fossili. Le sue scoperte e i suoi scritti24 furono oggetto di vivaci polemiche e le sue conclusioni vennero respinte dalla maggior parte degli studiosi francesi, ma attirarono l’attenzione dei geologi e archeologi inglesi. Nel 1858 anche in Inghilterra si era raggiunto il medesimo risultato: gli scavi nella grotta di Brixham nel Devonshire condotti da Hugh Falconer portarono alla luce manufatti di selce associati a fauna estinta. H. Falconer nel 1858 si recò ad Abbeville per conoscere Boucher de Perthes e constatare di persona che le selci provenienti dalla terrazza di 30 m erano effettivamente strumenti artificiali, prodotti dalla mano dell’uomo, e che gli strati che le contenevano erano intatti. Era questa la prima autorevole conferma alla giustezza delle tesi di Boucher de Perthes e l’anno seguente, sollecitati da Falconer, si recarono ad Abbeville anche Joseph Prestwich e John Evans. Prestwich ed Evans scoprirono e fotografarono in situ un bifacciale nelle cave di Saint Acheul. Al ritorno in Inghilterra Prestwich lesse una relazione alla Royal Society ed Evans alla Society of Antiquaries. “Quel che sembra stabilito senza alcun dubbio è che in un periodo di antichità remota, anteriore a tutti quelli di cui finora abbiamo trovato tracce, questa parte della terra fu popolata dall’uomo” (Evans). Le loro conclusioni furono pubblicamente sottoscritte da Charles Lyell25 . 23 P. – D. Schmerling, Recherches sur les ossements fossiles découverts dans les cavernes de la province de Liège, 2 voll. più un atlante di tavole. 24 J. Boucher de Perthes, Antiquités celtiques et antédiluviennes. Mémoire sur l’industrie Primitive et les arts à leur origine, Paris 1847-64, 3 voll; De l’homme antédiluvien et de ses oevres, Paris 1860. Su Boucher de Perthes e i suoi scritti cfr. A. Laming-Emperaire, Origine de l’archéologie cit., p. 155 sgg. 25 G. Daniel, The Idea of Prehistory cit., p. 40 sgg. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.7 Nascita dell’archeologia preistorica 32 L’altro grande fı̀lone che portò allo sviluppo dell’archeologia preistorica, quello di origine romantico – antiquaria, trovò il clima culturale più favorevole nei paesi nordici, in particolare in quelli scandinavi. Il Romanticismo valorizzò molto le leggende e le saghe nazionali e gli antichi monumenti, come per es. quelli megalitici, spesso ancora inseriti nel paesaggio dell’Europa occidentale e settentrionale, e che circondati da un alone di mistero, esercitavano fascino e grande suggestione. Gli studiosi nordici, d’altra parte, sapevano che gli oggetti archeologici costituivano l’unica fonte di informazione per ricostruire la storia culturale del proprio paese prima dell’impero romano e dell’avvento del cristianesimo. In Danimarca, grazie anche a una precoce legislazione sulle scoperte archeologiche, si erano formate importanti collezioni, per cui storici e antiquari si trovarono di fronte al problema di raccogliere, classificare e conservare gli antichi manufatti26 . Nel 1807 Rasmus Nyerup, che in una pubblicazione apparsa nell’anno precedente aveva auspicato l’istituzione di un museo nazionale danese delle Antichità Nordiche, divenuto segretario della commissione regia per la raccolta e la conservazione delle antichità nazionali, ebbe a scrivere: “Tutto ciò che è giunto fino a noi dal paganesimo è avvolto in una densa nebbia: esso appartiene a uno spazio di tempo che non possiamo misurare. Sappiamo che è più vecchio del cristianesimo, ma se di un paio d’anni o di un paio di secoli o addirittura di oltre un millennio possiamo solo cercare di indovinarlo”27 . In questa frase di Nyerup è sintetizzata la situazione degli studi agli inizi dell’Ottocento. Poco tempo dopo Nyerup fu sostituito nella sua carica da Christian Jorgensen Thomsen (1788 – 1865), che lavorò alacremente per aprire al pubblico il museo. Per porre ordine tra i reperti archeologici, egli raggruppò i manufatti in tre periodi, della pietra, del bronzo e del ferro, che diventò il celebre sistema delle tre età. Nel 1819 fu inaugurato il museo di antichità nordiche e negli anni seguenti Thomsen espose i criteri che aveva utilizzato nel disporre i materiali in senso cronologico, attribuendoli alle tre età successive della pietra, del bronzo e del ferro28 . Si trattava di una suddivisione basata sul materiale con cui erano fabbricati gli strumenti da taglio: egli vi pervenne osservando che le tombe ormai vicine al periodo storico contenevano armi e strumenti di ferro, le tombe che sembravano le più antiche di tutte, quelle di tipo megalitico, contenevano solo strumenti di pietra, mentre tombe a cremazione in cista litica o in urne fittili chiuse da una lastrina di pietra contenevano soltanto manufatti di bronzo e 26 Sulla nascita e gli sviluppi dell’archeologia preistorica nei paesi scandinavi cfr. O. Klindt-Jensen, A History of Scandinavian Archaeology, London 1975. 27 Su Nyerup, Thomsen e il sistema delle tre età cfr., oltre alla nota precedente, G. Daniel, The Origins and Growth cit., p. 90 ss; Id., The Idea of Prehistory cit., p. 42 sgg. 28 Ch. J. Thomsen, Rapido sguardo sui monumenti e sulle antichità della preistoria nordica, in Guida alle antichità nordiche, Copenaghen 1836, pp. 25-89, in danese. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.8 Darwin affronta il tema dell’origine dell’uomo 33 mai di ferro, per cui furono assegnate a un’età intermedia. Il suo successore, Jens Jacob Asmussen Worsaae (1821 – 1885) fu il primo archeologo professionista nel vero senso della parola: formulò i principi dello scavo archeologico, sostenne la necessità di usare il metodo comparativo e di studiare il passato di un paese non isolatamente, ma in rapporto a quello delle altre nazioni. Fondamentali furono i suoi scavi compiuti dal 1847 nei kjøkkenmøddinger e negli skovmoses (torbiere) con il geologo Forchammer e con lo zoologo Steenstrup, che dimostrarono stratigraficamente la validità del sistema delle tre età. In La preistoria della Danimarca, Copenaghen 1843, in danese, J.J.A. Worsaae suddivise l’età della Pietra in un periodo antico corrispondente ai kjøkkenmøddinger e in uno recente corrispondente all’epoca delle tombe megalitiche; l’età del Bronzo in un periodo antico caratterizzato da tombe a inumazione sotto tumulo, e in uno recente caratterizzato da tombe a cremazione; anche l’età del Ferro venne suddivisa in un periodo antico, coevo all’impero romano, e in uno recente, coevo, alle migrazioni barbariche e all’età vichinga. Il sistema delle tre età si diffuse rapidamente in Inghilterra, in Francia e in Svizzera. La guida del British Museum per il 1866 fa esplicito riferimento alla suddivisione degli antiquari nordici. In Svizzera la scoperta delle palafitte durante l’inverno 1853 – 54 e la loro interpretazione a opera di Ferdinand Keller29 confermarono l’importanza e l’esattezza delle classificazioni degli archeologi danesi. A. Morlot, professore di geologia all’Accademia di Losanna, scrisse un piccolo trattato che diffondeva le nuove concezioni30 . Soltanto in Germania la tripartizione della scuola scandinava fu respinta dagli storici e dagli archeologi, fra cui L. Lindenschmidt, il fondatore nel 1852 del Römisch – Germanisches Zentralmuseum di Mainz, e passarono alcuni anni prima che venisse generalmente accettata. In conclusione, verso la metà del XIX secolo le ricerche geologiche, paleontologiche, archeologiche e quelle di matrice romantico – antiquaria si integrarono tra loro, dando origine alla moderna scienza della preistoria. 1.8 Darwin affronta il tema dell’origine dell’uomo Dopo quasi dodici anni di silenzio sul tema dell’origine dell’uomo, Darwin tornò a scendere in campo e pubblicò nel 1871 The Descent of Man and 29 “Mitteilungen der Antiquarischen Gesellschaft in Zürich”, annate tra il 1853 e il 1879; The lake dwellings of Switzerland and other parts of Europe, Londra 1878, cfr. inoltre 125 Jahre Pfahlbauforschung, in “Archäologie der Schweiz”, II, 1979, 1, e Palafitte: mito e realtà, Verona 1982. 30 A. Morlot, Études géologiques et archéologiques en Danemark et en Suisse, Losanna 1861. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.8 Darwin affronta il tema dell’origine dell’uomo 34 Selection in Relation to Sex. Come già Th. Huxley ed E. Haeckel, anche Darwin sostiene che l’affinità strutturale tra uomo e scimmie antropomorfe doveva significare una loro antica parentela e quindi la derivazione dell’uomo da un ancient member, un antico membro della famiglia delle scimmie antropomorfe. A differenza di Haeckel, Darwin pensa che l’origine dell’uomo debba essere ricercata in Africa, poiché le sue affinità sono maggiori con scimpanzé e gorilla che non con l’orango o i gibboni. Per Darwin l’uomo si distingue da tutti gli altri primati per tre aspetti fondamentali: una grande intelligenza, la grande abilità manuale e la capacità di fabbricare utensili, la stazione eretta e la locomozione bipede. Una scimmia antropomorfa che avesse cominciato a possedere anche in piccola misura queste qualità umane, avrebbe avuto un sicuro vantaggio rispetto agli altri primati e da questo momento la pressione continua della selezione naturale non poteva che condurre alla nascita dell’uomo moderno. Darwin affronta anche il tema dell’origine delle razze attuali, affermando che nella diversificazione delle razze umane il ruolo principale è stato svolto non dalla selezione naturale, ma da quella sessuale, che dipende non tanto dalla lotta per l’esistenza, quanto dalla lotta tra individui della stessa specie, in genere maschi, per il possesso delle femmine. La maggior parte del libro è dedicata ad esaminare la selezione sessuale e i caratteri sessuali secondari in tutto il regno animale, dai crostacei fino ai mammiferi31 . Darwin accentuò l’importanza della selezione in relazione al sesso, poiché riteneva che le differenze tra le diverse razze umane non avessero una qualche particolare utilità, cioè un valore adattivo, e che di conseguenza non potessero essere ricondotte all’azione della selezione naturale. Oggi sappiamo che non è cosı̀: le differenze razziali hanno un valore adattivo e sono quindi frutto della selezione naturale. Soltanto due tipi di caratteristiche possono evolversi in relazione alla selezione sessuale: quelli direttamente coinvolti nella competizione tra i maschi per l’accesso alle femmine e tutta la gamma di ornamentazioni del maschio che servono a influenzare la scelta da parte della femmina. In realtà selezione naturale e selezione sessuale sono più intrecciate tra loro di quanto Darwin ritenesse. A questo punto, dopo la pubblicazione delle opere di Huxley, Haeckel e Darwin, iniziò la ricerca del missing link, l’anello mancante dell’albero genealogico della specie umana, concepito da Haeckel come un essere a metà strada tra le antropomorfe attuali e l’uomo e battezzato Pithecanthropus alalus, cioè uomo – scimmia privo di linguaggio. Nel corso di quasi un secolo e mezzo di ricerche sono stati scoperti in 31 Sul pensiero di Darwin in relazione all’origine dell’uomo cfr. J.C. Greene, La morte di Adamo cit., p. 368 ss. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.9 Evoluzionismo e religione 35 Europa, Asia e Africa migliaia di resti fossili di Ominidi che consentono di tracciare il quadro, sia pure ancora lacunoso, del processo dell’ominazione. 1.9 Evoluzionismo e religione Nel 1543 veniva pubblicata l’opera più importante di Nicolò Copernico, De revolutionibus orbium coelestium, nella quale si affermava, in contrasto con la concezione tolemaica fatta propria da Tommaso d’Aquino e dalla Chiesa, che la terra non era al centro dell’universo, ma ruotava insieme agli altri pianeti intorno al sole. Quasi un secolo dopo Galileo Galilei dimostrava la validità del sistema copernicano nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), ma sarà costretto all’abiura. Un secolo e mezzo dopo, Georges – Louis Buffon (1778) e James Hutton (1788) dimostrarono, con argomenti diversi, che la terra non era vecchia di appena 6000 anni, come si riteneva sulla base della Bibbia, ma incomparabilmente più antica. Nel 1859 con la teoria dell’evoluzionismo Charles Darwin poneva le premesse per dimostrare che l’uomo, lungi dall’essere stato creato direttamente da Dio, discendeva da un antenato scimmiesco. Le conquiste della scienza moderna faticarono molto ad essere ammesse dalla Chiesa. Tuttavia, in nessun passo della Bibbia si sostiene che la terra è posta al centro dell’universo. Galileo fu condannato per eresia perché la Chiesa riteneva che la teoria copernicana fosse contraria all’insegnamento della Bibbia. In realtà i teologi cattolici avevano fatto propria la concezione aristotelico – tolemaica dell’universo ed è questo il motivo per cui Galileo fu condannato. Il racconto biblico secondo cui il mondo, le piante, gli animali e l’uomo sono stati creati in sei giorni può essere tranquillamente inteso in senso metaforico, non certo letterale. Diversa è la questione dell’origine dell’uomo. In questo caso l’accordo tra pensiero religioso ed evoluzionismo si rivela molto più difficile e complesso. I creazionisti e catastrofisti seguaci di Cuvier respinsero la teoria di Darwin, che comunque guadagnò un consenso crescente nel campo degli studiosi per la forza e la solidità delle prove che andavano accumulandosi in suo favore. Innanzitutto, esaminiamo qual’era la posizione di Darwin nei confronti della religione. Per Darwin la selezione naturale ha valore adattivo, cioè determina un migliore adattamento, ma non è teleologica, cioè orientata verso un determinato scopo o fine. “Questo principio per il quale ogni lieve variazione, se utile si mantiene, è stato da me denominato selezione naturale per indicare la sua analogia con la selezione operata dall’uomo”. L’evoluzione è un processo graduale, casuale e imprevedibile, privo di qualsiasi finalità. Darwin si pose il problema della difficoltà di concepire l’uomo come il risultato di c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.9 Evoluzionismo e religione 36 un mero caso e di una cieca necessità. Tuttavia, pur con dubbi e incertezze, alla fine Darwin adottò una posizione agnostica nei confronti della religione. La teologia naturale di W. Paley sosteneva che l’universo con tutte le sue meraviglie e bellezze, e a questo proposito si ricorreva all’argomento della complessità e perfezione di un organo come l’occhio, non poteva che essere la manifestazione del disegno intelligente di un artefice soprannaturale, la prova dell’esistenza di una Causa Prima dotata di intelligenza. Di fronte a queste argomentazioni Darwin manifestò un atteggiamento scettico e razionalista e fece proprio l’antico argomento di Epicuro: “la natura del mondo non è stata affatto disposta per noi dal valore divino, tanto è il male di cui è piena” (Lucrezio, V, 198 – 199). Cfr. la lettera di Darwin a Hooker, 13.07.1856: “quale libro potrebbe scrivere un cappellano del diavolo sulle opere della natura cosı̀ rozze, piena di sprechi, grossolanamente erronee ed orribilmente crudeli”, e quella ad Asa Gray, 22.05.1860: “. . . mi sembra che nel mondo ci sia troppa infelicità”, oppure i Notebooks N, 115: “che le circostanze abbiano dato all’ape il suo istinto non è meno meraviglioso del fatto che abbiano dato all’uomo il suo intelletto”. Accanto alle tendenze di tipo positivistico e materialistico, esemplificate da Haeckel o a quelle agnostiche per quanto riguarda i riflessi dell’evoluzionismo sulle problematiche di tipo filosofico o “metafisico”, proprie ad es. di Huxley e dello stesso Darwin, ebbe non poca importanza un filone che potremmo definire di tipo spiritualistico o finalista. Il botanico americano amico di Darwin e convinto sostenitore della teoria dell’evoluzione, Asa Gray, pubblicò un saggio32 , in cui sosteneva che la dottrina della variazione e della selezione naturale non minava in alcun modo le fondamenta della teologia naturale. L’ipotesi della derivazione delle specie non era contraria, secondo Gray, ad alcuna idea relativa alla creazione del mondo della natura. Infatti, basta ammettere che i meccanismi e le operazioni della natura si compiono in virtù di forze messe in atto fin dal principio della creazione, e inoltre si può anche accettare l’idea che di tanto in tanto vi sia stato un intervento diretto di Dio per orientare il processo dell’evoluzione. Lo stesso Lyell, che esitò a lungo prima di accettare la teoria di Darwin, nel 1863 concludeva il suo libro sull’antichità dell’uomo scrivendo: “Bisognerebbe piuttosto dire che lungi dall’avere una tendenza materialista, l’ipotesi dell’introduzione sulla terra a epoche geologiche successive, prima della vita, poi della sensazione, quindi dell’istinto, infine dell’intelligenza propria dei mammiferi superiori cosı̀ vicini alla ragione e infine della ragione perfettibile dell’Uomo stesso, ci offre il quadro del predominio sempre crescente dello spirito 32 A. Gray, Natural Selection not inconsistent with Natural Theology, London 1861, 55 pp. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.9 Evoluzionismo e religione 37 sulla materia”. Il più convinto assertore di una evoluzione finalistica fu Alfred R. Wallace, che si allontanerà sempre più dal darwinismo. Wallace sostenne che le capacità intellettuali e il senso morale dell’uomo non avrebbero mai potuto svilupparsi soltanto in seguito alle mutazioni e alla selezione naturale. Bisognava ammettere un intervento esterno, soprannaturale, una intelligenza superiore che avrebbe guidato lo sviluppo dell’evoluzione fino all’apparizione dell’uomo33 . Concezioni analoghe saranno in seguito espresse da Robert Broom, lo scopritore di molti fossili di Australopitechi, e dal padre gesuita Teilhard de Chardin (1881 – 1955), secondo cui tutta l’evoluzione della vita sulla terra sarebbe orientata verso la comparsa dell’uomo34 . Paradossalmente, proprio negli Stati Uniti, paese dei più spettacolari progressi scientifici, si è radicato il creazionismo, sostenitore dell’interpretazione letterale del racconto biblico della creazione e della giovane età della terra. Si tratta di un movimento religioso e politico, sostenuto dai fondamentalisti cristiano – evangelici, promotori di vere e proprie crociate contro il darwinismo. Alcuni stati adottarono leggi che vietavano l’insegnamento scolastico delle teorie di Darwin ed è rimasto celebre il processo Scopes, un insegnante che violò queste disposizioni, a Dayton nel Tennessee. Il processo si aprı̀ nel 1925 e Scopes fu condannato a un’ammenda di 100 dollari. Nel 1927 la Corte Suprema annullò la condanna per un cavillo tecnico, ma soltanto nel 1968 la legge che vietava l’insegnamento dell’evoluzionismo venne dichiarata incostituzionale35 . A questo punto il movimento creazionista, invocando la libertà di pensiero, cercò di far passare la tesi delle pari opportunità, cioè chiese che fosse sancito l’obbligo dell’insegnamento nelle scuole della dottrina del creazionismo accanto alla teoria dell’evoluzione. Nel 1987 la Corte suprema federale pose fine alla controversia vietando agli Stati di imporre l’obbligatorietà dell’insegnamento del creazionismo. Negli ultimi quindici anni ha acquistato sempre maggior peso il movimento neo – creazionista, che ammette l’evoluzionismo, ma non la dottrina darwiniana della selezione naturale. L’evoluzione della vita sulla terra sarebbe guidata da un disegno intelligente esterno all’ordine naturale ed avrebbe un fine e una direzione 33 Sulle concezioni di Wallace cfr. l’importante saggio di G. Scarpelli, Il cranio di cristallo. Evoluzione della specie e spiritualismo, Torino 1993, p. 21 ss. e p. 125 ss.; cfr. anche J.C. Greene, La morte di Adamo cit. p. 364 ss. 34 Autore di molte opere dedicate a questo tema, pubblicate per lo più postume: Le phénomène humain, L’apparition de l’homme, La vision du passé, Le milieu divin, L’avenir de l’homme, L’énergie humaine, L’activation de l’énergie, La place de l’homme dans la nature. 35 Non solo nel Tennessee, ma anche in altri stati come la Florida e l’Oklahoma. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.9 Evoluzionismo e religione 38 precisa, la comparsa dell’uomo. Il neo – creazionismo sostiene che le sue tesi sono scientificamente dimostrabili. Il neo – creazionismo è diventato un movimento molto influente, sostenuto oltre che dalla chiesa evangelica di stampo fondamentalista, anche dal movimento politico neo – conservatore, e gode di forti finanziamenti. I neo – creazionisti hanno fatto breccia in alcuni stati come il Kansas, l’Alabama, l’Ohio, il New Mexico, il Nebraska. Recentemente il presidente Bush ha proposto di mettere sullo stesso piano nei programmi scolastici l’insegnamento del darwinismo e del neo – creazionismo. Un riflesso di questa situazione si è avuto anche in Italia, con il tentativo di sopprimere dai programmi scolastici l’insegnamento dell’evoluzionismo di Darwin, tentativo andato per ora a vuoto di fronte all’ondata di proteste del mondo scientifico. Fenomeni simili si sono verificati anche in Inghilterra, dove alcune scuole finanziate dallo stato e sponsorizzate anche da privati hanno tolto l’insegnamento del darwinismo dai programmi scolastici, sostituendolo con il creazionismo. Nonostante le proteste di illustri scienziati, come Richard Dawkins, di Oxford, e perfino di alcuni vescovi anglicani, Blair si è rifiutato di intervenire, invocando la necessità di diversificare il sistema scolastico. La Chiesa cattolica si oppose per lungo tempo alle teorie evoluzionistiche. Il Concilio Vaticano I nel 1870 condannò la teoria dell’origine dell’uomo ab irsuto simio, da un irsuto scimmione. Di fatto, tuttavia, un numero crescente di scienziati di fede cattolica accettava l’evoluzionismo. Nel 1950 con l’enciclica Humani generis Pio XII affermava che l’evoluzionismo poteva essere oggetto di ricerche e di discussioni da parte di scienziati e di teologi per quanto riguarda l’origine del corpo umano, mentre doveva ritenersi vincolante per il cattolico che l’anima fosse stata creata direttamente da Dio. In realtà, di fronte alle sempre più evidenti prove scientifiche della validità della teoria darwiniana, le classi colte del mondo cattolico e protestante hanno accettato l’evoluzionismo. Il 22 ottobre 1996 in un messaggio inviato alla Pontificia Accademia delle Scienze il pontefice Giovanni Paolo II ha sostenuto che il punto di vista scientifico e quello religioso sull’origine dell’uono non sono inconciliabili. L’evoluzionismo viene accettato non più come una semplice ipotesi tra le tante, ma come una teoria pienamente confermata. L’uomo rappresenta comunque “un salto ontologico” nella storia della vita sulla terra. “Tenuto conto dello stato delle ricerche scientifiche a quell’epoca e anche delle esigenze proprie della teologia, l’Enciclica Humani generis considerava la dottrina dell’“evoluzionismo” un’ipotesi seria, degna di una ricerca e di una riflessione approfondite al pari dell’ipotesi opposta. Pio XII aggiungeva due condizioni di ordine metodologico: che non si adottasse questa opinione come se si trattasse di una dottrina certa e dimostrata e come se ci si potesse astrarre completamente dalla Rivelazione riguardo alle questioni da essa sollevate . . . Oggi, circa mezzo secolo dopo la pubblicazione c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.9 Evoluzionismo e religione 39 dell’Enciclica, nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere. La convergenza non ricercata né provocata, dei risultati dei lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria”. “Il Magistero della Chiesa è direttamente interessato alla questione dell’evoluzione, poiché questa concerne la concezione dell’uomo, del quale la Rivelazione ci dice che è stato creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1, 28 – 29) . . . l’individuo umano non deve essere subordinato come un puro mezzo o come un mero strumento né alla specie né alla società; egli ha valore per se stesso. È una persona. Grazie alla sua intelligenza e alla sua volontà, è capace di entrare in rapporto di comunione, di solidarietà e di dono di sé con i suoi simili. . . . È in virtù della sua anima spirituale che la persona possiede, anche nel corpo, una tale dignità. Pio XII aveva sottolineato questo punto essenziale: se il corpo umano ha la sua origine nella materia viva che esisteva prima di esso, l’anima spirituale è immediatamente creata da Dio (“animas enim a Deo immediate creari catholica fides nos retinere iubet”, Enciclica Humani generis, AAS 42, 1950, p.575). Di conseguenza, le teorie dell’evoluzione che, in funzione delle filosofie che le ispirano, considerano lo spirito come emergente dalle forze della materia viva o come un semplice epifenomeno di questa materia, sono incompatibili con la verità dell’uomo. Esse sono inoltre incapaci di fondare la dignità della persona. Con l’uomo ci troviamo dunque dinanzi a una differenza di ordine ontologico, dinanzi a un salto ontologico, potremmo dire. Tuttavia, proporre una tale discontinuità ontologica non significa opporsi a quella continuità fisica che sembra essere il filo conduttore delle ricerche sull’evoluzione dal piano della fisica e della chimica? La considerazione del metodo utilizzato nei diversi ordini del sapere consente di conciliare due punti di vista apparentemente inconciliabili. Le scienze dell’osservazione descrivono e valutano con sempre maggiore precisione le molteplici manifestazioni della vita e le iscrivono nella linea del tempo. Il momento del passaggio all’ambito spirituale non è oggetto di un’osservazione di questo tipo, che comunque può rivelare, a livello sperimentale una serie di segni molto preziosi della specificità dell’essere umano. L’esperienza del sapere metafisico, della coscienza di sé e della propria riflessività, della coscienza morale, della libertà e anche l’esperienza estetica e religiosa, sono però di competenza dell’analisi e della riflessione filosofiche, mentre la teologia ne coglie il senso ultimo secondo il disegno del Creatore”. Ultimamente la polemica sull’inconciabilità tra evoluzionismo darwiniano e religioni rivelate si è riaccesa. Secondo Ratzinger il darwinismo è relativismo nichilistico. E’ possibile conciliare la fede nel Dio provvidenziale e la scienza, c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 1.9 Evoluzionismo e religione 40 che può fornire prove dell’esistenza del disegno intelligente. Il cardinale di Vienna ha pubblicamente sostenuto che il pensiero di Giovanni Paolo II non è stato correttamente inteso e che la teoria dell’evoluzione biologica è una ipotesi, non una certezza. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano CAPITOLO 2 La Paleontologia umana a paleontologia umana o paleoantropologia è la disciplina che studia essenzialmente la morfologia degli Ominidi fossili. Per comprendere e delineare il processo evolutivo bisogna disporre di una datazione dei reperti e collocarli nel loro contesto ecologico originario. La ricostruzione delle condizioni climatiche e ambientali in cui vissero gli Ominidi e la loro datazione relativa e assoluta è possibile grazie all’ausilio di altre scienze come la geologia, la mineralogia, la paleontologia e la palinologia (studio dei pollini fossili); per meglio comprendere lo psichismo, il modo di vita e le forme di relazioni sociali dei più antichi uomini è indispensabile l’archeologia preistorica che studia i manufatti e l’evolversi delle tradizioni culturali. La paleoantropologia fa quindi parte di un complesso sistema di ricerche interdisciplinari, il cui scopo comune è la ricostruzione dell’evoluzione fisica e culturale del genere umano. L 2.1 Metodi di datazione Per lo studio e la ricostruzione del processo evolutivo degli Ominidi i metodi di datazione più importanti sono quelli radiometrici, integrati dalla biostratigrafia e dalla stratigrafia paleomagnetica e più recentemente dalle stime della divergenza evolutiva fatte dalla genetica, il cosiddetto orologio biomolecolare. Le datazioni radiometriche sono datazioni assolute, cioè forniscono date in anni solari a partire da oggi, anche se con un margine di errore statistico più o meno ampio a seconda dei metodi e dei singoli campioni utilizzati. I metodi radiometrici si basano sul fatto che determinati elementi chimici come ad es. il carbonio, l’uranio o il potassio, hanno isotopi naturali instabili, cioè radioattivi, che quindi sono soggetti a decadimento radioattivo con un tempo c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.1 Metodi di datazione 42 di dimezzamento sufficientemente ben conosciuto. Il tempo di dimezzamento o semiperiodo o vita media (half life) è il periodo di tempo in cui il numero degli isotopi radioattivi si riduce della metà. Il decadimento radioattivo è costante per ciascun elemento e non è influenzato da fattori ambientali e neppure dal tipo di sostanza di cui l’elemento fa parte. 2.1.1 Metodo Potassio / Argon Questo metodo si può applicare a ceneri vulcaniche e rocce di origine effusiva come lava, basalti, graniti, tufi, feldspati, trachiti, pomici, andesiti, rioliti. La maggior parte delle rocce e dei minerali contengono potassio. Dei tre isotopi del potassio, uno è radioattivo (40 K) e costituisce lo 0,01167% del potassio. Ha un semiperiodo di un miliardo e duecentocinquanta milioni di anni (T = 1,25 x 109). L’89% del 40 K decade in 40Ca e l’11% decade in 40 A, un isotopo stabile. Alle alte temperature di un’eruzione vulcanica, tutto l’argon accumulato in precedenza in una roccia viene rilasciato, mentre dopo l’eruzione e la solidificazione della roccia eruttata, riprende il processo di decadimento del 40 K in 40 A e l’argon si accumula nuovamente. Il rapporto tra 40 A e 40 K è funzione diretta del tempo trascorso dal momento di raffreddamento della roccia e quindi la misurazione del contenuto di 40 A e 40 K di una roccia consente di stabilire l’epoca in cui è avvenuta la sua solidificazione. Affinché la datazione sia valida è necessario che il campione non abbia acquisito oppure perso 40 A nel corso del tempo. L’atmosfera contiene lo 0,93 di argon e quindi si può verificare contaminazione nel corso del tempo. Il tasso di contaminazione può essere calcolato misurando l’eventuale presenza di due isotopi dell’argon (38 A e 36 A), che sono presenti in percentuali note nell’argon atmosferico. Alcuni minerali, invece, possono perdere argon in seguito a fenomeni di carattere fisico e chimico e quindi sono meno adatti alle datazioni con questo metodo. Il limite inferiore delle datazioni potassio/argon, inizialmente di circa 500 ka, è stato notevolmente abbassato con i perfezionamenti della tecnica, ma tanto più il campione è recente tanto più il metodo diventa impreciso e di scarsa utilità, avendo una deviazione standard che diventa eguale o quasi eguale alla data stessa. Non esiste un limite superiore per questa tecnica di datazione, che trova il suo miglior campo di applicazione in geologia e per stabilire l’età stessa della terra. 2.1.2 Le ere geologiche Nella tabella 2.1 sono indicate le suddivisioni delle ere geologiche. Il Quaternario, da 2 My ad oggi, si suddivide come indicato nella tabella 2.2 c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.1 Metodi di datazione ere e periodi 43 epoche datazione Olocene da 0,01 ad oggi da 2 a 0,01 My al limite tra Pliocene e Pleistocene compare il genere Homo Pliocene da 6 a 2 My al limite tra Miocene e Pliocene compaiono i primi Ominidi Miocene Oligocene Eocene Paleocene da 23 a 6 My da 38 a 23 My da 54 a 38 My da 65 a 54 My Cretacico Giurassico Triassico Paleocene Cretacico da 225 a 65 My Permiano Devoniano Siluriano Ordoviciano Cambriano da 570 a 225 My Quaternario Pleistocene Terziario Mesozoico Paleozoico Precambriano o Proterozooico da 65 a 54 My da 225 a 65 My da 4600 a 570 My Tabella 2.1 Suddivisione delle ere geologiche. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.2 Difficoltà insite nello studio dei fossili ere e periodi epoche datazione Inferiore da 2 My a 0,736 anni da oggi Pleistocene Olocene Medio da 0,736 a 0,130 My Superiore da 0,130 a 10.000 – 9.000 BC 44 al limite tra Pleistocene Medio e Superiore compare l’Homo sapiens da 10.000 – 9.000 anni BC ad oggi Tabella 2.2 Suddivisione del Quaternario. 2.2 Difficoltà insite nello studio dei fossili La paleontologia cerca di ricostruire la filogenesi delle diverse specie, ma mentre in biologia la specie è definibile come una popolazione di individui in grado di accoppiarsi e generare prole fertile, in paleontologia la definizione di specie va incontro a grandi difficoltà, che spiegano in parte la miriade di classificazioni diverse proposte dai vari autori. Innanzitutto, non è possibile la verifica sperimentale, cioè la prova biologica della interfecondità e quindi della appartenenza effettiva di organismi fossili a una medesima specie. La classificazione dei fossili deve basarsi su criteri di carattere morfologico, con tutti i limiti che questi comportano, per di più accentuati dal fatto che la documentazione fossile degli Ominidi è spesso molto frammentaria e raramente si dispone di scheletri completi e ben conservati. Inoltre, mentre la documentazione biologica concerne organismi viventi attuali, quella fossile si dispone lungo un considerevole arco di tempo e in questa ampia escursione cronologica è possibile osservare la gradualità dei cambiamenti, la gradualità con cui le specie si trasformano. Se si disponesse di una documentazione fossile completa, risulterebbe arbitrario delimitare delle unità specifiche in un continuum evolutivo, poiché ciascun individuo risulterebbe co-specifico con i propri immediati antenati e discendenti. La specie paleontologica, quindi, non è soltanto una entità definita nello spazio, ma anche nel tempo, una cronospecie. È molto difficile stabilire con certezza fino a che punto le specie definite in paleontologia siano dei taxa validi. I criteri per definire una specie fossile sono la morfologia, la distribuzione spaziale e la cronologia. Nel caso dei fossili ominidi, il problema risulta ulteriormente aggravato da vari fattori: dall’incompletezza della documentazione c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.3 Classificazione zoologica dell’uomo 45 – ad es. per interi periodi non si dispone di fossili oppure sono in numero troppo esiguo o troppo frammentari – al fatto che non sempre si è in grado di datare i fossili in maniera sufficientemente sicura. 2.3 Classificazione zoologica dell’uomo Un pannello del museo di storia naturale di Londra mostra con chiarezza e semplicità la classificazione zoologica dell’uomo. Tutti gli esseri umani sono dei Vertebrati, infatti come tutti i vertebrati abbiamo una spina dorsale. Gli esseri umani sono mammiferi, infatti come tutti i mammiferi abbiamo peli o capelli, ghiandole che producono latte e tre ossa separate nella parte media dell’orecchio. Gli esseri umani sono primati, infatti come tutti i primati abbiamo unghie alle dita delle mani e dei piedi, un pollice opponibile e quattro incisivi nella mascella superiore e quattro in quella inferiore (mandibola). Gli esseri umani sono apes (scimmie antropomorfe), infatti come tutte le antropomorfe non abbiamo coda, le scapole sono poste sul dorso e non lateralmente ed abbiamo un modello a Y dei solchi sulla superficie masticatoria dei molari. Nella sistematica zoologica, quindi, l’uomo appartiene all’ordine dei primati e per comprendere la filogenesi umana è necessario fornire qualche notizia sulla sistematica dei primati. Il termine “primati”, dal latino primas, –atis primato, superiorità, compare per la prima volta nella decima edizione (1758-1759) del Systema naturae di Linneo per designare un ordine di mammiferi comprendente le scimmie e l’uomo. L’ordine dei Primati si suddivide in due sub-ordini, le Proscimmie e le Scimmie o Antropoidi. Le Proscimmie comprendono i lemuri, i loris e i tarsi suddivisi a loro volta in numerose famiglie. Le Scimmie si suddividono in due infra-ordini, Platyrrhini o Scimmie del Nuovo Mondo, caratterizzate dal setto nasale largo e narici laterali divergenti, e Catarrhini o Scimmie del Vecchio Continente, caratterizzate da setto nasale stretto. Le Scimmie catarrine comprendono due superfamiglie, Cercopithecoidea, scimmie quadrupedi e con coda, ed Hominoidea, che comprendono tre famiglie, Hylobatidae (i gibboni, il siamang ed altre specie che vivono nell’arcipelago indonesiano, nella penisola malese e in Indocina), Pongidae ed Hominidae. I Pongidi, ovvero le grandi scimmie antropomorfe, comprendono l’orango (Pongo pygmaeus), che vive nelle foreste di Sumatra e del Borneo; il gorilla (Gorilla gorilla), lo scimpanzé (Pan troglodytes, Pan satyrus e Pan paniscus). Il gorilla e le diverse specie di scimpanzé abitano le foreste vergini dell’Africa equatoriale. Gli Ominidi sono rappresentati da un’unica specie vivente, Homo sapiens, c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.4 Gli sviluppi della paleontologia umana da Darwin ad oggi 46 distinta in numerose varietà razziali e in grado di occupare tutti gli ambienti naturali della terra. 2.4 Gli sviluppi della paleontologia umana da Darwin ad oggi Per molti decenni dopo la pubblicazione de L’Origine delle specie e de L’origine dell’uomo le scoperte di fossili umani furono molto poche e questo ebbe una’influenza negativa sulle concezioni del processo dell’antropogenesi formulate dagli stessi assertori della teoria dell’evoluzione. A parte le sepolture di uomini di Neandertal rinvenute tra il 1908 e il 1911 in Francia, la paleontologia umana poté disporre solo della calotta cranica e del femore di Trinil (1891), della mandibola di Mauer (1907), del cranio di Broken Hill (1921), mentre il cranio di un bambino di Australopiteco scoperto a Taung nel 1924 non fu ammesso come Ominide dalla scienza ufficiale. A ciò si aggiunse il grave episodio del falso di Piltdown (1912-1915), che disorientò la paleoantropologia per circa quarant’anni. Solo nel 1929 iniziò il primo ventennio d’oro per la paleontologia umana. Nel 1929 si scoprirono i primi resti di fossili umani del Pleistocene Medio a Chu Ku Tien in Cina, dove i ritrovamenti continuarono fino al 1937. Nello stesso tempo ripresero le ricerche degli olandesi a Giava e tra il 1931 e il 1933 si recuperò un’importante serie di crani a Ngandong e tra il 1937 e il 1941 a Sangiran. In Europa risale al 1933 la scoperta del cranio di Steinheim, in Germania, al 1935 quella dei primi frammenti del cranio di Swanscombe in Inghilterra, al 1929 e al 1935 quella dei crani di Saccopastore in Italia. Importanti ritrovamenti di uomini di Neandertal e di uomini anatomicamente moderni furono fatti tra il 1931 e il 1933 nelle grotte del monte Carmelo in Palestina, a Skhul e a Tabun. Infine, Robert Broom riprese le ricerche nel Sudafrica e tra il 1936 e il 1948 scoprı̀ i più antichi fossili di Ominidi allora conosciuti a Sterkfontein, Kromdraai e Swartkrans, mentre R. Dart effettuò nuovi rinvenimenti a Makapansgat. Nel 1959 con il ritrovamento del cranio di Zinjanthopus boisei da parte dei Leakey nello strato I di Olduvai e la sua datazione con il nuovo metodo del K-Ar radioattivi a 1,75 Ma1 iniziò una nuova stagione di grandi scoperte e questa volta soprattutto in Africa, nelle regioni attraversate dalla Great Rift Valley. Le scoperte a Olduvai continuarono ancora per alcuni anni, ma una nuova promettente regione fossilifera fu individuata nel 1967 da Richard Leakey. Mentre stava volando dal Kenya all’Etiopia, fece una deviazione 1 D’ora in poi si useranno queste abbreviazioni: Ma = mega-annum (1 milione di anni fa), Ka = kilo-annum (mille anni fa). c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.4 Gli sviluppi della paleontologia umana da Darwin ad oggi 47 dalla rotta normale e sorvolò il lato orientale del lago Turkana. Guardando dal finestrino, si rese conto che non stava volando sopra una regione vulcanica, come era opinione diffusa, ma su un panorama di rocce sedimentarie incise dai fiumi, una regione ideale per la ricerca dei fossili. Richard Leakey organizzò una serie annuale di campagne di ricerca, che tra il 1968 e il 1976 portarono alla scoperta, a Koobi Fora e a Ileret, di una quantità impressionante di resti di Ominidi pleistocenici e pliocenici. In seguito estese le sue ricerche alla riva occidentale del Turkana, dove fece scoperte altrettanto clamorose, come il cd. cranio nero e il ragazzo del Turkana. Dal 1973 al 1976 una spedizione francoamericana iniziò l’esplorazione delle gole di Hadar, nella depressione dell’Afar in Etiopia, rinvenendo, tra l’altro, il famoso scheletro di Lucy. Dal 1974 al 1979 Mary Leakey diresse le ricerche a Laetoli in Tanzania, che portarono alla scoperta delle impronte lasciate dagli Ominidi pliocenici. Quelle africane sono certamente le scoperte più numerose e più clamorose – e continuano tutt’ora con un ritmo intenso – ma anche in Asia e in Europa si sono verificati importantissimi ritrovamenti: a Giava nella località già nota di Sangiran ed in alcuni nuovi siti; in Cina ancora a Chu Ku Tien e in alcune località della regione di Lantian, a Yunxian, Hexian, Mapa, Dali e Yungniushan; a Petralona e più recentemente a Apidima in Grecia; nella caverna dell’Arago in Francia; ad Atapuerca in Spagna; a Dmanisi in Georgia; a Ceprano e ad Altamura in Italia. Come abbiamo detto in precedenza, per quasi settant’anni i sostenitori dell’estensione della teoria dell’evoluzionismo anche all’uomo avevano ben pochi reperti di Ominidi fossili per convalidare il loro assunto e ricostruire la filogenesi umana, almeno nelle sue linee principali. Nella ricostruzione del processo di ominazione e nell’interpretazione dei fossili comunque disponibili ebbero un peso determinante le diverse correnti del pensiero evoluzionistico, che cominciarono a manifestarsi fin dalla pubblicazione de L’origine delle specie. Accanto alle tendenze di tipo positivistico e materialistico, esemplificate da Haeckel o a quelle agnostiche per quanto riguarda i riflessi dell’evoluzionismo sulle problematiche filosofiche o di tipo “metafisico”, proprie ad es. di Huxley, ebbe non poca importanza un filone che potremmo definire di tipo spiritualistico o finalista. Il botanico americano amico di Darwin e convinto sostenitore della teoria dell’evoluzione, Asa Gray, pubblicò un saggio2 , in cui sosteneva che la dottrina della variazione e della selezione naturale non minava in alcun modo le fondamenta della teologia naturale. L’ipotesi della derivazione delle specie non era contraria, secondo Gray, ad alcuna idea relativa alla creazione del mondo della natura. Infatti, era sufficiente am2 A. Gray, Natural Selection not inconsistent with Natural Theology, London 1861, 55 pp. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.4 Gli sviluppi della paleontologia umana da Darwin ad oggi 48 mettere che i meccanismi e le operazioni della natura si compiono in virtù di forze poste in atto fin dal principio della creazione, e inoltre si poteva anche accettare l’idea che di tanto in tanto vi fosse stato un intervento diretto di Dio per orientare il processo dell’evoluzione. Lo stesso Lyell, che esitò a lungo prima di accettare la teoria di Darwin, nel 1863 concludeva il suo libro sull’antichità dell’uomo scrivendo: “Bisognerebbe piuttosto dire che lungi dall’avere una tendenza materialista, l’ipotesi dell’introduzione sulla terra a epoche geologiche successive, prima della vita, poi della sensazione, quindi dell’istinto, infine dell’intelligenza propria dei mammiferi superiori cosı̀ vicini alla ragione e infine della ragione perfettibile dell’Uomo stesso, ci offre il quadro del predominio sempre crescente dello spirito sulla materia”. Il più convinto assertore di una evoluzione finalistica fu Alfred R. Wallace, che si allontanerà sempre più dal darwinismo. Wallace sostenne che le capacità intellettuali e il senso morale dell’uomo non avrebbero mai potuto svilupparsi soltanto in seguito alle mutazioni e alla selezione naturale. Bisognava ammettere un intervento esterno, soprannaturale, una intelligenza superiore che avrebbe guidato lo sviluppo dell’evoluzione fino all’apparizione dell’uomo3 . Concezioni analoghe saranno in seguito espresse da Robert Broom, lo scopritore di molti fossili di Australopitechi4 , dal paleontologo Jean Piveteau5 e dal padre gesuita Teilhard de Chardin6 (1881-1955). È nel contesto del prevalere dell’idealismo contro il positivismo a cavallo del XIX e del XX secolo, dei continui attacchi portati alla teoria darwiniana dell’evoluzione e dell’affermarsi della concezione di una evoluzione teleorientata, capace di riconciliare scienza e religione, che possiamo comprendere come sia maturato, anche presso ricercatori delle più diverse estrazioni ideologiche, un orientamento metodologico nella paleontologia umana che è possibile definire “pitecofobia”, cioè l’allontanamento in un passato geologico sempre più remoto del momento in cui si è separata una linea ominide indipendente da quella delle antropomorfe. In questo modo la nostra parentela con le scimmie antropomorfe o era negata o risaliva a un’età talmente antica 3 Sulle concezioni di Wallace cfr. l’importante saggio di G. Scarpelli, Il cranio di cristallo. Evoluzione della specie e spiritualismo, Torino 1993, p. 21 ss. e p. 125 ss.; cfr. anche J.C. Greene, La morte di Adamo cit. p. 364 ss. 4 R. Broom, Les origines de l’homme, Payot, Paris, 1934, p. 224. 5 J. Piveteau, Origine et destinée de l’homme, Masson, Paris 1973. 6 Autore di molte opere dedicate a questo tema, pubblicate per lo più postume: Le phénomène humain, L’apparition de l’homme, La vision du passé, Le milieu divin, L’avenir de l’homme, L’énergie humaine, L’activation de l’énergie, La place de l’homme dans la nature. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.4 Gli sviluppi della paleontologia umana da Darwin ad oggi 49 da perdere gran parte del suo significato. I maggiori rappresentanti dell’antropologia agli inizi del XX secolo furono in Inghilterra Arthur Keith (1866-1955) e Grafton Elliott Smith (1871-1937). Inizialmente Keith, medico e anatomista, in base ai suoi studi aveva concluso che il primo carattere umano a comparire doveva essere stata la bipedia e che il processo di encefalizzazione si sarebbe sviluppato soltanto in un momento successivo. Di parere opposto era Elliott Smith, convinto che per prima cosa si fosse sviluppato un grande cervello, quando ancora i nostri antenati vivevano sugli alberi, e che la stazione eretta e l’andatura bipede si fosse sviluppata soltanto in seguito, quando i nostri antenati scesero dagli alberi. Arthur Keith, tratto in inganno dalla errata datazione dell’uomo di Galley Hill, attribuito agli inizi del Pleistocene, abbandonò le sue convinzioni iniziali ed accettò le teoria di Elliott Smith: lo sviluppo di un grande cervello doveva risalire già al Pliocene e la formula “il cervello apre la strada” orientò gli studi di paleoantropologia e l’interpretazione dei fossili di Ominidi. A questo punto il terreno era pronto per la beffa di Piltdown7 . Un avvocato dilettante di paleontologia, Charles Dawson, rinvenne in una cava a Piltdown alcuni frammenti di teca cranica umana che consegnò a Arthur Smith Woodward (1864-1944), conservatore del Dipartimento di Geologia del British Museum e specialista di pesci fossili, con il quale era in contatto. Le ricerche proseguirono nell’estate del 1912 con la partecipazione dello stesso Woodward e occasionalmente anche del padre Teilhard de Chardin. Furono rinvenuti tre frammenti di parietale appartenenti allo stesso cranio e in seguito alla presenza del solo Dawson una mezza mandibola sul fondo della cava. In base al livello degli strati di ghiaia da cui provenivano e alla quota del terrazzo fluviale in cui la cava era ubicata, i resti furono attribuiti al Pleistocene inferiore o al Pliocene. Woodward battezzò un nuovo genere di Ominide, l’Eoanthropus dawsoni 8 , che presentava la singolare caratteristica di possedere un neurocranio di grande capacità e di aspetto moderno e una mandibola completamente scimmiesca, ma con la strana particolarità di possedere molari con un’usura piatta, di tipo umano. La scoperta ebbe una certa risonanza sulla stampa e il 18 dicembre 1912 Woodward e Dawson presentarono ufficialmente la nuova specie di Ominide alla Geological Society di Londra. Nell’agosto del 1913 Teilhard de Chardin rinvenne nella cava il canino che si adattava perfettamente alla mandibola, un canino del tutto scimmiesco, 7 Su Keith, Elliott Smith e la vicenda del falso di Piltdown cfr. J.S. Weiner, The Piltdown Forgery, Oxford University Press, London 1955; J. Reed, Gli anelli mancanti. L’avventura della paleoantropologia, (1981), Milano 1983, p. 51 ss. 8 Eoanthropus l’uomo dell’alba, dawsoni in onore dello scopritore. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.4 Gli sviluppi della paleontologia umana da Darwin ad oggi 50 mentre nel gennaio del 1915 Dawson rinvenne in una località vicina frammenti di occipitale e di frontale che attribuı̀ alla stessa specie. La teoria di Elliott Smith ed ora anche di Arthur Keith secondo cui l’encefalizzazione, l’acquisizione di un grande cervello, costituiva la prima tappa del processo che condurrà all’uomo, sembrava confermata dai ritrovamenti paleontologici. A questo punto Keith collocava l’origine della famiglia degli Ominidi nell’Oligocene, quando si sarebbe verificata la divergenza tra il ramo delle scimmie antropomorfe e quello degli Ominidi, da cui si sarebbero poi staccati alcuni rami secondari destinati all’estinzione, dapprima quello del Pitecantropo di Giava, in seguito quello dei Neanderthaliani, mentre l’Eoanthropus rappresentava un ceppo molto vicino alla linea propriamente umana, che nel corso del Pleistocene avrebbe condotto direttamente all’uomo moderno. Molti autorevoli studiosi di primatologia e paleontologia umana dubitarono seriamente dell’associazione tra il cranio e la mandibola: G. Miller, W. K. Gregory (1876-1970), A. Hrdlicka (1869-1943), M. Boule (1861-1942), H.F. Osborn. In seguito, però, alcuni (Hrdlicka, Boule, Osborn) accettarono la nuova paradossale specie o comunque attenuarono il loro rifiuto, principalmente per il fatto che la strana associazione tra un cranio di tipo umano e una mandibola scimmiesca veniva a ripetersi nel secondo sito individuato da Dawson nel 1915. Per quarant’anni l’uomo di Piltdown creò un quadro falso della filogenesi umana. Nel 1925 la maggior parte della comunità scientifica non comprese il carattere ominide del cranio di Australopiteco scoperto a Taung. Il Pithecanthropus erectus di Giava e l’uomo di Neanderthal diventavano rami secchi dell’evoluzione del genere umano, senza alcun rapporto con la linea che avrebbe condotto all’uomo moderno. Nel 1943 un paleoantropologo di grande caratura, Franz Weidenreich, ammoniva di eliminare Piltdown dal catalogo degli uomini fossili, ma soltanto anni dopo Kenneth Oakley sottopose al dosaggio del fluoro i reperti, dimostrando che il cranio umano e la mandibola scimmiesca erano molto più recenti della fauna estinta proveniente dalle ghiaie del terrazzo fluviale di Piltdown. A questo punto l’associazione di un cranio moderno e una mandibola scimmiesca diventava insostenibile, poiché era fuori discussione che in epoche recenti le scimmie antropomorfe in Inghilterra non erano mai esistite. Nel 1953 John Weiner riesaminò accuratamente i reperti dell’Eoanthropus e scoprı̀ che la mandibola era stata modificata artificialmente, limando i molari e il canino, eliminando il processo coronoideo e limando la sinfisi mandibolare. Inoltre, sia la mandibola che il cranio erano stati colorati artificialmente per dar loro la stessa patina delle ossa fossili che si rinvenivano nella cava di Piltdown. L’Eoanthropus usciva definitivamente di scena. Non è mai stato possibile appurare con certezza chi fosse l’autore del falso. I maggiori sospetti c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.4 Gli sviluppi della paleontologia umana da Darwin ad oggi 51 ricadono ovviamente su Dawson, ma non si è potuto stabilire se egli agı̀ da solo o insieme a qualcun altro. In quest’ultimo caso la lista dei sospettati comprende Elliot Smith, il geologo W. Sollas e perfino lo scrittore Arthur Conan Doyle, ma soprattutto Teilhard de Chardin. Quest’ultimo studiò teologia al seminario dei Gesuiti di Ore Place a Hastings, non distante da Piltdown, dove nel 1912 sarà ordinato sacerdote. Fin dal 1909 era divenuto amico di Dawson e sembra significativo il fatto che nelle sue opere non abbia quasi mai menzionato Piltdown, come se sapesse che si trattava di un falso9 . L’idea che l’origine della linea evolutiva degli Ominidi fosse molto antica sarà il filo conduttore delle ricerche di un allievo di Keith, Louis Leakey. Nel 1932 L. Leakey attribuı̀ ad alcuni crani frammentari di tipo moderno rinvenuti a Kanjera e a una mandibola rinvenuta a Kanam, entrambe località del Kenya occidentale, una datazione all’inizio del Pleistocene, ma le sue conclusioni furono dimostrate errate: i resti di Kanjera erano molto recenti e la mandibola di Kanam non era di un uomo di tipo moderno. In un libro pubblicato nel 1934, Adam’s Ancestors, Leakey presentò un albero genealogico della specie umana in cui la divergenza evolutiva tra Ominidi e scimmie antropomorfe era collocata nell’Oligocene, esattamente come aveva già fatto Arthur Keith. Vent’anni dopo, la posizione di Leakey non era cambiata di molto: nella edizione del 1953 la divergenza evolutiva tra Ominidi e Pongidi era collocata all’inizio del Miocene e soprattutto verso la fine del Miocene si sarebbe verificata una divergenza tra il ramo delle Neoanthropinae, conducente direttamente all’uomo moderno, e i rami delle Australopithecinae e delle Palaeoanthropinae, comprendente quest’ultimo tutti i fossili di Homo erectus e di Homo neanderthalensis, considerati rami secchi destinati all’estinzione. Molto più tardi Leakey attribuı̀ alla famiglia degli Ominidi i resti di una scimmia antropomorfa africana, il Kenyapithecus wickeri, del Miocene medio (circa 14 Ma). Leakey continuò a manifestare l’opinione che gli Australopitechi non appartenevano alla linea evolutiva che avrebbe condotto all’uomo moderno e che un giorno si sarebbe rinvenuto il genere Homo in strati geologici molto antichi, risalenti al Pliocene. Leakey non era l’unico a cercare l’origine della famiglia degli Ominidi cosı̀ indietro nel tempo. Negli anni ’60 e ’70 del XX secolo i pareri sull’epoca in cui avrebbe avuto inizio una distinta linea evolutiva ominide erano molto discordi. Alcuni autori la ponevano nell’Oligocene (teoria delle protocatarrine) o addirittura in epoca più antica (teoria delle proscimmie). 9 La posizione di Teilhard de Chardin in relazione al falso di Piltdown è accuratamente analizzata da S. J. Gould in tre saggi riuniti poi in Quando i cavalli avevano le dita (1983), Milano 1984, pp. 201-252. L’opinione maturata da Gould è che Teilhard abbia architettato la frode insieme a Dawson o perlomeno che fosse a conoscenza del fatto che Piltdown era una frode, ma mantenne il silenzio. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.4 Gli sviluppi della paleontologia umana da Darwin ad oggi 52 Un autorevole paleontologo come Bjorn Kurtén sostenne la tesi che la linea ominide da un lato, quella delle scimmie antropomorfe e delle scimmie catarrine dall’altro si fossero separate più di 35 Ma fa, al passaggio dall’Eocene all’Oligocene10 . Ma la teoria che ebbe il più largo consenso è stata quella dei pre-brachiatori: da Ominoidei primitivi, arboricoli ma pre-brachiatori, si sarebbero sviluppate, da una parte le scimmie antropomorfe, in cui prevalsero la brachiazione, un completo adattamento alla foresta tropicale e una dieta fondamentalmente vegetariana, dall’altra gli Ominidi, a stazione eretta e locomozione bipede, onnivori e progressivamente adattatisi all’ambiente della prateria. La divergenza evolutiva si sarebbe verificata nel corso del Miocene medio e superiore. Nel Miocene superiore venivano ipotizzate quattro linee evolutive distinte: driopiteci, ramapiteci, oreopiteci e gigantopiteci11 . Il Dryopithecus, caratterizzato da grandi canini e robusta mandibola, rappresenta certamente l’antenato diretto dei Pongidi africani, mentre il Ramapithecus (databile a 14 Ma in Africa e a 12-7 Ma in Asia) sarebbe stata la prima specie classificabile come Ominide per la forma dell’arcata dentaria, l’assenza di diastema, la morfologia dei denti. Il Ramapithecus, mangiatore di erbe, semi, radici, bulbi, piante grasse, viveva in un ambiente di foresta rada o savana boscosa, intorno a laghi o lungo fiumi. La savana boscosa era ritenuta – e ancor oggi è ritenuta – l’habitat in cui si sono svolte le tappe iniziali del processo dell’ominazione: né foresta tropicale né aperta prateria, ma un ambiente di transizione, con alberi sufficienti per fornire cibo e rifugio dai pericoli dei carnivori predatori e nello stesso tempo con ampi spazi aperti in cui sperimentare nuovi modi di locomozione e nuove risorse di cibo, “la culla ideale per l’evoluzione degli Ominidi, combinando la sfida e l’incentivo delle praterie aperte con la sicurezza della foresta ” (J.R. Napier). L’origine della famiglia degli Ominidi veniva quindi individuata nel Miocene medio-superiore e si pensava che il Ramapithecus potesse essere alla base della linea evolutiva che avrebbe condotto alle Australopitecine. A questo punto si aprı̀ una controversia tra paleoantropologi e biologi. Dal momento che il meccanismo alla base dell’evoluzione è costituito dalle mutazioni geniche, gli studi di biologia molecolare possono dare un contributo determinante alla ricostruzione delle maggiori o minori affinità e della 10 B. Kurtén, Non dalle scimmie, (1971), Torino 1972. L’Oreopithecus, i cui resti scoperti in Toscana (nella miniera di Baccinello presso Grosseto) mostrano qualche tendenza ominide nel bacino, è stato definito un vero paradosso anatomico; comunque, era certamente un brachiatore e appartiene a una linea estinta. Il Gigantopithecus, noto solo attraverso denti e mandibole ritrovate in Asia (databili tra 10 e 2-1 milioni di anni fa, è in parte contemporaneo di Ominidi già umani, ed è da mettere in relazione con la linea evolutiva che condurrà all’Orango. 11 c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.4 Gli sviluppi della paleontologia umana da Darwin ad oggi 53 maggiore o minore distanza genetica tra le diverse specie. Il numero dei cambiamenti intervenuti nella struttura delle proteine, degli aminoacidi e del DNA in ciascun ramo evolutivo costituisce un’indicazione del tempo trascorso dal momento del formarsi di una divergenza evolutiva, il cosiddetto orologio bio-molecolare. Dal punto di vista genetico uomo, scimpanzé e gorilla sono molto simili, più di quanto non appaia dal punto di vista morfologico. Dai dati biomolecolari emerge chiaramente che essi formano un gruppo nettamente separato dalle scimmie antropomorfe asiatiche, orango e ilobatidi, mentre è più difficile comprendere quali siano le loro precise relazioni. Se l’anatomia comparata induce a classificare l’uomo in una famiglia distinta rispetto a gorilla e scimpanzé, la genetica mostra un quadro differente, in cui non sono del tutto chiare le reciproche relazioni filogenetiche tra uomo, scimpanzé e gorilla. Nel 1967 Vincent Sarich e Allan Wilson12 confermarono, attraverso le analisi immunologiche di una proteina del siero sanguigno, l’albumina, quanto era già stato in precedenza appurato e cioè che l’uomo e le scimmie antropomorfe africane sono più vicini tra loro che non rispetto all’orango, ma non furono in grado di stabilire il preciso grado di affinità tra uomo, gorilla e scimpanzé, per cui proposero che la divergenza evolutiva tra le tre specie si fosse verificata nello stesso momento. Inoltre, basandosi sulla distanza immunologica dell’albumina del sangue nei Primati, proposero che la separazione di una distinta linea evolutiva dell’uomo e delle antropomorfe africane non potesse risalire più indietro di 5 Ma, una data molto più recente di quanto avevano finora proposto i paleantropologi. Gli studi successivi13 hanno utilizzato la comparazione della sequenza degli aminoacidi in proteine omologhe, quella dei cromosomi mediante diverse tecniche di banding, la comparazione della sequenza del DNA nucleare e mitocondriale, l’ibridazione DNA-DNA. I risultati non sono sempre concordanti, ma dalla maggior parte di essi emerge che le maggiori affinità si riscontrano tra uomo e scimpanzé, che dunque costituiscono una stretta unità filo-genetica divergente rispetto a quella del gorilla. In ogni caso le strettissime relazioni genetiche tra uomo, scimpanzé e gorilla sono state ulteriormente confermate, differendo queste tre specie per meno del 3% del loro DNA, una differenza piccola se si pensa che il genoma (l’insieme del corredo cromosomico) umano comprende circa 3,2 miliardi di coppie di basi. Secondo i calcoli di C.G. Sibley e J.E. Ahlquist, basati sull’informazione 12 V. Sarich, A. Wilson, Immunological timescale for hominid evolution, in Science, 158, 1967, pp. 1200-1203. 13 Cfr. i contributi di diversi autori a Genetic clues of relatedness, in The Cambridge Encyclopedia of Human Evolution, Cambridge 1992, pp. 293-321 e bibliografia a pp. 482-483. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.5 Qualche nozione di anatomia comparata tra scimmie antropomorfe e uomo 54 proveniente dall’ibridazione DNA-DNA, la divergenza evolutiva tra scimmie del Vecchio Continente (Cercopitecidi) ed Hominoidea si sarebbe verificata tra 33-32 e 27-26 Ma; il ramo degli Ilobatidi si sarebbe staccato tra 22-21 e 18-17 Ma, la divergenza tra orango e antropomorfe africane risalirebbe a un periodo tra 16 e 13 Ma. Tra 10 e 8 Ma si staccò la linea evolutiva del Gorilla e a un periodo compreso tra 7,7 e 5,8 Ma risale l’ultimo antenato comune tra scimpanzé e uomo. Per quanto l’orologio bio-molecolare esprima soltanto un ordine di grandezza, questi dati portavano ad escludere nella maniera più categorica che abbia potuto esistere una linea evolutiva ominide già nel corso del Miocene. Inizialmente, le conclusioni dei biologi non furono accettate dai paleoantropologi, nella maggior parte dei casi convinti che il Ramapithecus potesse appartenere alla linea ominide, ma in seguito le cose hanno cominciato a cambiare. Grazie anche a nuove scoperte di fossili più completi, è stato possibile stabilire che il Ramapithecus non era affatto un Ominide, bensı̀ la forma femminile del Sivapithecus, una specie con forte dimorfismo sessuale da porre nella diretta ascendenza dell’orango. A questo punto i fossili confermavano le conclusioni raggiunte dai biologi. Nessun fossile di Ominide è stato finora scoperto in strati geologici anteriori al limite tra Miocene e Pliocene. 2.5 Qualche nozione di anatomia comparata tra scimmie antropomorfe e uomo Le problematiche poste dalla paleontologia umana richiedono necessariamente che anche i lettori di formazione non scientifica si familiarizzino con qualche nozione di anatomia comparata tra uomo e scimmie antropomorfe14 . Cominciando dal cranio, è possibile osservare che il rapporto tra neurocranio e ossa facciali (splancnocranio) è completamente diverso nell’uomo e nei Pongidi: nell’uomo il neurocranio è grande in confronto alle ossa facciali, nei Pongidi avviene il contrario. Nell’uomo le ossa facciali sono poste al di sotto del neurocranio, nei Pongidi sporgono molto in avanti rispetto al neurocranio. L’architettura della scatola cranica è differente: nell’uomo il frontale si innalza quasi verticalmente al di sopra delle orbite, la volta cranica è elevata, l’osso occipitale descrive una curva arrotondata, l’area nucale è piccola ed è rivolta verso il basso; nei Pongidi la fronte è appiattita e sfuggente all’indietro, la volta cranica bassa (platicefalia), l’occipitale presenta un’area 14 A questo proposito cfr. W.E. Le Gros Clark, The Fossil Evidence for Human Evolution, Chicago, 19642; B.G. Campbell, Human Evolution: an Introduction to Man’s Adaptations, Chicago 1966, trad. ital. Storia evolutiva dell’uomo, Milano 1974, p. 77 sgg.; L. Aiello, C. Dean, Human Evolutionary Anatomy, London 1990. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.5 Qualche nozione di anatomia comparata tra scimmie antropomorfe e uomo 55 nucale molto estesa e rivolta posteriormente. Questa differenza è espressa dal rapporto tra la distanza tra inion e opisthion e tra inion e lambda, nelle antropomorfe intorno a 1,96 e nell’uomo inferiore a 1. La differenza di altezza della volta cranica è espressa dall’indice di altezza sopra-orbitaria, FB/AB, in cui B è il punto di massima altezza del cranio, A il punto del piano di Francoforte sulla verticale di B, F il punto del piano passante per il margine superiore dell’orbita e parallelo al piano di Francoforte sulla verticale di B: il rapporto è in media 0,69 nell’uomo e 0,45 nello scimpanzé. Il cranio dell’uomo in norma occipitale presenta un profilo quasi pentagonale, con la larghezza massima verso l’alto, quello dei Pongidi ha un profilo a tenda con la larghezza massima verso la base. Nei Pongidi i rilievi sopra-orbitari sono molto spessi e formano un forte toro continuo. Molto importante è la posizione del foro occipitale (foramen magnum): nell’uomo è quasi al centro della base cranica, in modo che la testa possa rimanere in equilibrio al di sopra della colonna vertebrale, nei Pongidi è spostato verso la parte posteriore del cranio, per cui tutto il peso della testa cade in avanti rispetto alla colonna vertebrale ed è quindi necessario possedere muscoli nucali molto potenti in grado di controbilanciare il peso in avanti della testa. Nell’uomo il foro auditivo esterno è posto al disotto dell’arcata zigomatica, nei Pongidi lungo il suo prolungamento. La mandibola nell’uomo presenta la protuberanza del mento, il ramo ascendente ha un’altezza che è circa il doppio della sua larghezza, l’incisura mandibolare è ampia e il condilo mandibolare e il processo coronoideo sono ben sviluppati. Nei Pongidi il mento è assente e la simfisi mandibolare anziché verticale è obliqua verso l’interno e presenta un toro mandibolare e la cosiddetta placca scimmiesca. Il rapporto altezza/larghezza del ramo ascendente è inferiore a 1,5 (uomo 2,06; gorilla 1,44). La forma dell’arcata dentaria è parabolica nell’uomo, a U nei pongidi, per cui nell’uomo i molari sono allineati con i premolari, ma non con il canino, mentre nei pongidi molari, premolari e canini sono allineati e paralleli. Nell’uomo gli incisivi formano con i canini una curva continua, senza alcuna interruzione; nei Pongidi gli incisivi sono posti più in avanti rispetto ai canini e separati da uno spazio vuoto chiamato diastèma. Per quanto riguarda la dentatura, la formula dentaria è la stessa tra uomo e pongidi, 2.1.2.3, cioè considerando una emi-arcata abbiamo due incisivi, un canino, due premolari e tre molari, complessivamente 32 denti. Nell’uomo gli incisivi sono piccoli, nei Pongidi più grandi e più larghi. Il canino dei Pongidi è grande, ha forma conica, punta aguzza e sopravanza tutti gli altri denti; nell’uomo il canino ha una forma spatulata e tende a diventare più simile a un incisivo. Nei Pongidi il canino è un’arma di difesa ed è notevolmente maggiore nei maschi che nelle femmine (dimorfismo c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.5 Qualche nozione di anatomia comparata tra scimmie antropomorfe e uomo 56 sessuale); negli uomini non c’è dimorfismo sessuale per quanto riguarda il canino. Poiché i canini dei Pongidi sono molto sporgenti rispetto agli altri denti, per poter chiudere la bocca i canini devono sovrapporsi e ciò è consentito dal diastèma, lo spazio libero tra canini e incisivi nella mascella e tra canini e P3 nella mandibola. Nei Pongidi i canini mantengono sempre la punta aguzza, mentre presentano delle faccette di usura laterale a causa dello sfregamento tra loro; nell’uomo, invece, la punta del canino è soggetta all’usura piatta al pari della superficie masticatoria di tutti gli altri denti. Nell’uomo i premolari sono bicuspidi ed hanno una sola radice; nei Pongidi il primo premolare inferiore (P 3), correlato funzionalmente con il canino superiore, è unicuspide e P3 e P4 inferiori hanno due radici. Nei Pongidi i molari inferiori hanno cinque cuspidi separate da solchi a forma di Y, mentre i molari superiori hanno quattro cuspidi. Nell’uomo i molari inferiori e superiori hanno quattro cuspidi, tranne M1 inferiore, che ha cinque cuspidi. Nei pongidi le dimensioni dei molari sono crescenti da M1 a M3, cioè dall’avanti all’indietro; nell’uomo si verifica il contrario e M3 è più piccolo di M1 e M2. Un’altra differenza importante è lo spessore dello smalto, nell’uomo maggiore che nei Pongidi. Per quanto riguarda lo scheletro postcranico le principali differenze tra Uomo e Pongidi sono le seguenti: 1. nei Pongidi la lunghezza degli arti superiori è maggiore di quella degli arti inferiori; l’indice intermembrale (omero + radio / femore + tibia x 100) è 66-73 nell’uomo, 104-110 nello scimpanzé, 120-133 nel gorilla, 140-150 nel gibbone. 2. le ossa del bacino (pelvis): nell’uomo la parte superiore (osso iliaco) è più ampia e più corta e tende ad assumere la forma di un bacino per meglio sostenere i visceri addominali, mentre nei pongidi è molto più stretta e più alta; nell’uomo la zona di articolazione con il sacro è più in basso e nello stesso tempo più lontana dall’articolazione con il femore (acetabulo), per cui il peso si scarica sulla gamba in modo più diretto. In veduta laterale si può osservare come l’osso iliaco presenti la cresta superiore accentuatamente incurvata, mentre nei Pongidi è solo leggermente ricurva; nell’uomo l’incisura sacro-iliaca è profonda, nei pongidi è larga e poco profonda. 3. nei Pongidi l’osso ischiatico è più lungo e più stretto, nell’uomo più corto e più largo; nei Pongidi il pube è poco sporgente, nell’uomo è decisamente sporgente. 4. l’articolazione del femore con l’acetabulo e con la tibia è differente tra uomo e Pongidi. Nei Pongidi femore e tibia risultano allineati per cui c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.6 Hominidae, Homo, Homo sapiens 57 il peso si scarica dal collo del femore sul condilo interno del ginocchio, mentre nell’uomo il femore e la tibia formano un angolo, per cui il peso si scarica dal collo del femore al condilo esterno del ginocchio. Di conseguenza, nell’uomo il condilo esterno è più grande di quello interno, nei Pongidi avviene il contrario. 2.6 Hominidae, Homo, Homo sapiens Con un’opera che ha fatto epoca, Le geste et la parole, I. Technique et langage, Paris 1964; II. La mémoire et les rhytmes, Paris 1965 (traduz. italiana, Torino 1977), André Leroi-Gourhan ci conduce a “una presa di coscienza di ciò che è realmente l’Homo sapiens, nato al tempo delle steppe per la caccia al cavallo selvatico e adattatosi a poco a poco alla locomozione seduta in un’atmosfera di petrolio bruciato”. Il ragionamento di Leroi-Gourhan, volto a definire le strutture antropologiche fondamentali, parte da lontano, alla ricerca delle condizioni che hanno gradualmente reso possibile, nel lento dipanarsi della storia della vita sulla terra, l’emergere dell’umanità. Negli animali vi è una organizzazione funzionale basata su organi di relazione e orientamento, deputati alla raccolta delle informazioni, organi di presa per l’acquisizione del cibo e organi di locomozione per potersi muovere nell’ambiente. Si tratta di un insieme sinergico sottoposto alla legge delle correlazioni, per cui ogni modificazione di un termine presuppone quello degli altri due. Tra gli animali è possibile osservare una distinzione fondamentale (tabella 2.3) tra: 1. organismi a disposizione radiale, che hanno, in genere, forma circolare o a vaso di fiori, nei quali gli organi di presa e di relazione sono distribuiti su gran parte della superficie del corpo, mentre gli organi di locomozione appaiono poco sviluppati; 2. organismi a simmetria bilaterale e campo di relazione anteriore: in questo caso gli organi di presa e di relazione sono collocati nella parte anteriore del corpo, che ha forma allungata, mentre gli organi di locomozione hanno una disposizione simmetrica bilaterale nella parte medio-posteriore del corpo lungo un asse longitudinale. Negli animali a simmetria bilaterale si sviluppano forme di tecnicità legate alla cattura e alla dissezione del cibo e nelle forme più evolute anche alla costruzione di ripari. Nell’evoluzione dei Mammiferi si verifica una netta divergenza di tendenze funzionali per quanto concerne il campo di relazione anteriore. La c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.6 Hominidae, Homo, Homo sapiens 58 prima è quella degli erbivori, animali che si specializzano nel consumo di erbe e piante erbacee e nella locomozione veloce. Gli erbivori perdono del tutto l’integrazione degli arti anteriori con il campo anteriore di relazione e si specializzano per la marcia veloce. Questo ha comportato la perdita di qualunque tecnicità manuale: tutte le operazioni tecniche si concentrano intorno alla bocca e i denti si specializzano uniformemente (cfr. incisivi dei ruminanti e degli equidi, zanne degli elefanti e dei cinghiali, corni nasali e frontali dei rinoceronti, ecc.). In alcuni casi l’esclusione degli arti anteriori dalle operazioni tecniche ha come conseguenza lo sviluppo di strumenti facciali, ad es. la proboscide degli elefanti. La seconda tendenza funzionale è propria dei carnivori e degli onnivori, animali con prensione locomotrice, caratterizzati cioè da organi di presa poco specializzati, che svolgono nello stesso tempo anche una funzione locomotrice. Questi animali hanno denti multiuso e differenziati e mantengono la primitiva pentadattilia. Gli arti anteriori vengono utilizzati a fini di tecnicità manuale e non solo di locomozione. In ogni ordine, le specie che sviluppano maggiormente le capacità di presa, tendono ad acquisire la possibilità di una stazione eretta. Il legame tra la parte anteriore (la testa) e gli arti anteriori (le mani) è molto stretto, ma la tecnicità manuale rimane tributaria di quella facciale. Radiata organismi a disposizione radiale degli organi di relazione, di presa e di locomozione distribuiti su gran parte della superficie del corpo ad es. echinodermi Bilateralia organismi a simmetria bilaterale e campo di relazione anteriore disposizione simmetrica bilaterale degli organi di locomozione organi di relazione e di presa nella parte anteriore del corpo Tabella 2.3 Suddivisione degli animali sulla base degli organi di relazione, di presa e di locomozione. pesci anfibi Invertrebati Cordati rettili Insetti uccelli Chelicerati mammiferi Crostacei Perdita dell’integrazione tra gli arti anteriori hanno funzione campo di relazione anteriore locomotrice e nello stesso tempo e arti anteriori, che si specializzano di organi di presa, la cui tecnicità nella marcia veloce rimane tributaria di quella ad es. tutti gli Ungulati (Perissodattili facciale e Artiodattili) ad es. Carnivori, Roditori Primati c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.6 Hominidae, Homo, Homo sapiens 59 Nei Primati, a differenza di tutti gli altri Mammiferi, la presa manuale diventa l’azione dominante, anche se la locomozione è quadrupede, quadrumane o del tipo knuckle-walking (tabella 2.4). Tutti i primati sono capaci di raddrizzarsi e di liberare braccia e mani per compiere gesti di carattere tecnico. Esiste una significativa correlazione tra sviluppo del pollice della mano e radice del canino: più il pollice è sviluppato in lunghezza, più è sviluppata la stazione eretta e più sono ridotte le dimensioni dei canini e più la faccia appare meno “bestiale”. Soltanto collocandola lungo queste tendenze evolutive, possiamo comprendere l’assoluta originalità organica dell’uomo. Nell’uomo avviene la separazione completa tra gli arti anteriori e la funzione locomotoria: la mano si specializza per la presa e le azioni tecniche, il piede si specializza per la marcia in stazione eretta sul suolo. Di conseguenza nel campo anteriore la mano compie le azioni tecniche senza più intervento degli organi facciali, che possono specializzarsi in un’altra direzione, quella del linguaggio. La traiettoria evolutiva che ha condotto all’uomo può sintetizzarsi nella formula: il piede libera la mano, la mano libera la parola. Campo di relazioni anteriore Funzione locomotoria Scimmie e scimmie antropomorfe uomo arti anteriori organi facciali Si svolge mediante gli arti anteriori e posteriori La presa manuale è dominante, ma non esclusiva, gli arti anteriori sono utilizzati anche per la locomozione Hanno funzioni tecniche, anche se ridotte rispetto agli altri mammiferi È svolta interamente dagli arti posteriori La presa manuale è esclusiva e compie azioni tecniche senza intervento degli organi facciali, gli arti anteriori non servono più alla locomozione Si specializzano nel linguaggio Tabella 2.4 Funzione locomotoria e campo di relazioni anteriore negli animali e nell’uomo. La catena delle operazioni compiute mediante la mano costituisce una tecnica che viene memorizzata (tabella 2.5). Nell’animale la memoria tecnica è un automatismo determinato dall’istinto, cioè è ereditaria, geneticamente c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.6 Hominidae, Homo, Homo sapiens 60 determinata, e quindi è caratteristica non tanto del singolo individuo quanto della specie. Anche negli animali, specialmente nei mammiferi e negli uccelli, esiste un altro tipo di memoria, che Leroi-Gourhan chiama di educazione: i singoli individui apprendono determinate tecniche per esperienza personale o attraverso l’esempio di altri individui della stessa specie e nel corso della vita accumulano una serie di conoscenze che vengono memorizzate, ma che non sono trasmissibili per via genetica alla discendenza. Negli animali la memoria è soprattutto ereditaria e in misura minore conseguenza dell’apprendimento. Nell’uomo vi sono proporzioni totalmente differenti tra memoria istintiva e memoria di educazione: la prima rappresenta soltanto l’infrastruttura dei processi operativi ed è ridotta, la memoria di educazione costituisce la quasi totalità della memoria, per cui l’individuo dipende totalmente dal gruppo sociale. La memoria di educazione è la somma delle conoscenze possedute dal gruppo sociale, è interamente calata nel linguaggio e si trasmette da una generazione all’altra non più come una sequenza di gesti da imitare, ma come una serie di simboli e di valori attraverso l’uso del linguaggio articolato. La parola è un utensile verbale, isolabile dalla bocca che l’emette, cosı̀ come l’utensile artificiale è isolabile dalla mano che l’ha prodotto. Memoria tecnica animale uomo È ereditaria ed è caratteristica di ogni singola specie; è un automatismo determinato dall’istinto Costituisce la maggior parte della memoria È ridotta e rappresenta solo l’infrastruttura dei processi operativi Si forma per apprendimento e non è trasmissibile per via genetica ai discendenti È presente nei mammiferi e negli uccelli, ma è ridotta Costituisce la quasi totalità della memoria e si trasmette solo per via extragenetica attraverso il linguaggio Rappresenta la somma delle conoscenze possedute dal gruppo sociale, per cui l’individuo dipende totalmente dal gruppo sociale memoria Memoria di educazione Tabella 2.5 La memoria negli animali e nell’uomo. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.6 Hominidae, Homo, Homo sapiens 61 Le strutture antropologiche fondamentali sono, quindi, da una parte il tecnicismo manuale, la capacità di fabbricare utensili (l’Homo faber ) – ricordiamo a questo proposito l’affermazione di Benjamin Franklin: “Man is a tool-maker” – , dall’altra il linguaggio verbale, la capacità di astrazione e l’attività simbolica insite nelle proprietà del linguaggio umano (Homo sapiens). La formula sintetica di Leroi-Gourhan, il gesto e la parola, esprime efficacemente queste due strutture fondamentali della condizione umana. Leroi-Gourhan ha dimostrato lo stretto legame tra il gesto tecnico e il linguaggio. L’attività tecnica è stata resa possibile dalla stazione eretta e dalla locomozione bipede, che hanno liberato la mano da qualunque necessità diversa dalla tecnicità, la mano ha liberato la parola, quindi inseparabilità tra attività motoria, attività tecnica e attività verbale. Le caratteristiche essenziali della condizione umana sia biologiche che comportamentali e culturali, non sono apparse all’improvviso tutte insieme, ma si sono formate gradualmente nel corso di un processo evolutivo durato qualche milione di anni, uno spazio di tempo che ci sembra enorme, ma in realtà molto piccolo rispetto a quanto normalmente si verifica nell’evoluzione degli animali. Alla luce di questa presa di coscienza di che cosa è realmente l’uomo, possiamo cercare di definire con più precisione che cosa dobbiamo intendere per Ominide e che cosa per Homo in quanto genere. Gli Ominidi sono una famiglia di Primati che hanno acquisito la stazione eretta e una locomozione fondamentalmente bipede, nonché una dentatura di dimensioni ridotte rispetto alle scimmie antropomorfe, in particolare per quanto riguarda il canino. La famiglia degli Ominidi comprende diversi generi: Ardipithecus, Australopithecus, Paranthropus e Homo. Homo è un genere di Ominide che ha acquisito un neurocranio di dimensioni maggiori rispetto a tutti gli altri generi di Ominidi e la capacità di fabbricare utensili, dando con ciò origine al formarsi di una tradizione culturale. Con la fabbricazione degli utensili ha inizio l’evoluzione culturale prima ancora che l’evoluzione biologica abbia condotto all’uomo anatomicamente moderno. Per circa due milioni di anni l’evoluzione culturale procederà parallela a quella biologica e sarà molto lenta, perché dominata dai ritmi biologici, in particolare dal processo di accrescimento del neurocranio. Homo sapiens è la specie umana attuale ed alcuni dei suoi immediati antenati, con cui il processo di “modernizzazione” dell’anatomia umana giunge a conclusione e vengono acquisite tutte le facoltà psichiche che contraddistinguono l’umanità attuale: un linguaggio verbale con una struttura grammaticale e sintattica complessa, capace di organizzare la realtà esterna ed interna secondo esigenze logiche insite nel linguaggio stesso, di compiere cioè opera di astrazione e di produzione di simboli. Dal momento in cui la documentazione archeologica dimostra l’esistenza dell’attività simbolica e della creazione arc 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 2.6 Hominidae, Homo, Homo sapiens 62 tistica e di tutta una serie di preoccupazioni, come ad es. la sepoltura dei propri defunti, che non sono strettamente inerenti al procacciamento del cibo e alla riproduzione, l’evoluzione culturale dominata dai ritmi biologici viene sostituita da un’evoluzione culturale dominata dai fenomeni sociali. L’uomo è l’unica specie di Ominide e l’unico membro del genere Homo attualmente esistente sulla terra. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano CAPITOLO 3 La documentazione fossile dei più antichi Ominidi 3.1 Gli Ominidi pre-umani: i più antichi bipedi primati sono animali di clima tropicale. Circa 40 milioni di anni fa comInaturale parvero in Africa i più antichi primati superiori o scimmie; al loro habitat esclusivamente arboreo, i primati devono lo sviluppo di un cervello di grandi dimensioni, di un corpo con struttura in grado di adattarsi alla stazione eretta, di una mano col pollice opponibile alle altre dita e di una visione binoculare stereoscopica. Infatti, una vita condotta permanentemente a 20 o 30 m dal suolo esige una vista, una prensione manuale, una locomozione e una capacità mentale di grande efficacia e precisione. L’evento di speciazione che condurrà alla formazione di una distinta linea ominide si colloca alla fine del Miocene e nel corso dei Pliocene, tra 7 e 5 milioni di anni fa, quando il clima del globo cominciò a raffreddarsi. La progressiva riduzione della foresta e l’estensione della savana e della prateria costituiranno in seguito, tra 3 e 2 Ma1 , il periodo critico nella storia evolutiva degli Ominidi, durante il quale si verificherà una rapida selezione naturale a favore degli Ominidi a più avanzata bipedia, capaci di camminare a grandi passi, di correre e di procurarsi una maggiore varietà di cibo, in particolare la carne, o praticando lo sciaccallaggio o sviluppando tecniche di caccia. Soltanto nel 1959, grazie alla datazione effettuata con il nuovo metodo del K-Ar dello strato I di Olduvai, si ebbe per la prima volta un’idea abbastanza precisa della effettiva durata dei periodi geologici più recenti della storia della terra, interessati dalla comparsa degli Ominidi e poi del genere Homo. Il 1 D’ora in poi si utilizzeranno le seguenti abbreviazioni: My/Ma = Mega-anno, 1 milione di anni; ky/ka = kilo-anno, 1000 anni; quindi 3 Ma significa tre milioni di anni fa, 200 ka significa 200.000 anni fa. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.2 Orrorin tugenensis 64 periodo tra 4 e 2 milioni di anni cominciò ad essere conosciuto nel corso degli anni ’70 grazie alle sensazionali scoperte del Turkana e di Hadar, fra cui il celebre scheletro di Lucy, ma per il periodo immediatamente precedente, tra 6 e 4 milioni di anni, fino a pochi anni fa si aveva soltanto qualche reperto frammentario, come un piccolo frammento di mandibola da Lothagam, scoperto nel 1967 e datato a 5,6 Ma o un frammento di omero scoperto nel 1965 a Kanapoi e un primo molare inferiore da Lukeino, scoperto nel 1974. Tra il 1992 e il 2001 si è verificata una serie di importanti scoperte che gettano nuova luce sulla più antica storia degli Ominidi e sull’evento cladogenetico che ha separato le linee evolutive degli scimpanzé e degli Ominidi. Trattandosi di scoperte recentissime, le classificazioni proposte sono ancora incerte e non è possibile disporre per ora di un chiaro quadro tassonomico né tanto meno di una sicura comprensione del significato filogenetico di questi reperti. 3.2 Orrorin tugenensis I paleontologi francesi Brigitte Senut e Martin Pickford hanno annunziato nel dicembre 2000 di avere scoperto nei precedenti mesi di ottobre e novembre nella regione delle Tugen Hills, distretto di Baringo, in Kenya, in strati geologici della formazione di Lukeino datati tra 6,2 e 5,6 Ma, tre frammenti di femore, un frammento di omero, due frammenti di mandibola, una falange e diversi denti isolati, in tutto tredici resti appartenenti ad almeno cinque individui. Gli autori della scoperta hanno assegnato questi fossili a un nuovo genere di Ominide, Orrorin tugenensis, soprannominato “Millennium man” o “Millennium Ancestor”. Nella locale lingua Tugen Orrorin significa “l’uomo delle origini”, mentre il nome della specie si riferisce alla regione in cui è stata effettuata la scoperta. La parte prossimale del femore è robusta, la testa del femore è molto larga e di aspetto umano in rapporto al collo. Queste caratteristiche dimostrano che il femore apparteneva a una creatura bipede. Le dimensioni, inoltre, indicano una dimensione del corpo maggiore di quanto ci si potesse attendere per un’epoca cosı̀ remota e per il più antico Ominide finora conosciuto. I molari sono piccoli e con smalto spesso. Gli autori della scoperta ritengono che Orrorin sia sulla linea diretta che condurrà al genere Homo attraverso un genere intermedio, battezzato Praeanthropus, che include Australopithecus anamensis, qualche esemplare di Hadar già attribuito all’Australopithecus afarensis e il celebre cranio KNMER 1460, Homo rudolfensis. Questa interpretazione si basa sulla convinzione che per comprendere la filogenesi umana debba essere data maggiore importanza c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.3 Ardipithecus ramidus 65 all’evoluzione dello scheletro piuttosto che a quella del cranio e dei denti. B. Senut e il suo gruppo vedono due linee divergenti nei più antichi bipedi, una Orrorin – Praeanthropus – Homo, caratterizzata da una andatura bipede perfettamente eretta, l’altra caratterizzata da una andatura bipede con le gambe flesse e dall’abilità di arrampicarsi sugli alberi, tipica della maggior parte delle specie dei generi Australopithecus e Paranthropus. L’Ardipithecus ramidus non solo sarebbe da escludere dalla filogenesi umana, ma sarebbe addirittura da collegare alla linea evolutiva delle scimmie antropomorfe africane, scimpanzé e gorilla. Queste affermazioni sembrano ancora premature sia per l’assenza di prove a favore della teoria proposta sia per l’incertezza che domina nella classificazione dei più antichi Ominidi a causa delle condizioni frammentarie dei resti finora scoperti. 3.3 Ardipithecus ramidus Ad Aramis, nella regione del medio Awash (Etiopia) 17 resti di Ominidi fossili sono stati scoperti nel 1992 e 1993 in formazioni geologiche comprese tra i tufi vetrosi di Gàala, datati 4,39 ± 0.03 Ma, e i tufi basaltici di Daam-Aatu, ancora non datati2 . I resti sono stati attribuiti a una nuova specie denominata in un primo momento Australopithecus ramidus (ramid nella lingua Afar significa radice) e comprendono numerosi denti, frammenti di omero, radio e ulna, la parte destra di una mandibola, frammenti della base del cranio (occipitale e temporale). All’inizio del 1995 sono stati rinvenuti più di cento resti, comprendenti resti cranici e postcranici di un unico individuo conservato per circa il 45%, fra cui le ossa di un piede praticamente completo. La nuova specie di Australopiteco presenta molte caratteristiche nei denti, nel cranio e nello scheletro postcranico prossime allo scimpanzé e sembra quindi essere la più simile allo scimpanzé fra tutte quelle finora conosciute. Ad es., il foro auditivo esterno è piccolo, la dentatura anteriore è robusta, adatta a mordere e strappare. I molari sono più grandi che in uno scimpanzé, ma più piccoli di quelli degli Australopiteci, e la dimensione degli incisivi rispetto ai molari indica che ha avuto inizio un processo di riduzione della dentatura anteriore. I canini sono più grandi rispetto a quelli degli Australopiteci, ma hanno uno smalto più spesso rispetto a quelli degli scimpanzé. La posizione dei condili occipitali e del foramen magnum 3 indica che il ramidus era un 2 La polarità magnetica negli strati sottostanti i tufi basaltici è inversa ed è quindi possibile stabilire che i sedimenti contenenti i fossili di ominidi si sono depositati nell’intervallo tra gli episodi con polarità positiva di Nunivak (4,48 Ma) e Cochiti (4,29 Ma). 3 Nella parte anteriore e non posteriore della base cranica. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.3 Ardipithecus ramidus 66 bipede, quindi un Ominide. Le ossa del braccio e dell’avambraccio per la loro robustezza dimostrano un’abilità di arrampicatore sugli alberi. I nuovi resti del 1995, ancora in corso di studio, sembrano indicare una locomozione bipede, ma differente rispetto a quella di qualunque altro Ominide conosciuto. Per questo motivo T. White e la sua équipe hanno ritenuto necessario attribuire questi resti fossili non solo a una nuova specie, ma anche a un nuovo genere, battezzato Ardipithecus ramidus. Dallo studio dei resti di legni fossilizzati, dei semi e della fauna è stato possibile stabilire che l’ambiente in cui visse il ramidus era boscoso e non aperta savana. Le ossa del ramidus, al pari di quelle di altre specie di mammiferi fossili, recano i segni lasciati dai denti dei carnivori. Tra il 1997 e il 2001 nuovi importanti resti di Ardipithecus sono stati scoperti nella regione del medio Awash, lungo il bordo occidentale della Rift Valley, nelle località di Digiba Dora, Asa Koma, Alayla VP-2, Saitune Dora e Amba East, in strati geologici databili tra 5,8 e 5,2 Ma, in parte quindi contemporanei con l’Orrorin tugenensis del Kenya. I resti comprendono una emi-mandibola destra, frammenti di clavicola, omero e ulna, frammenti di falange della mano e del piede e denti isolati. Y. Haile-Selassie, che ha studiato i reperti, ritiene che i denti presentino un mosaico di caratteristiche primitive e derivate, queste ultime condivise con i successivi Ominidi ed assenti in tutte le scimmie antropomorfe fossili e attuali. In particolare il canino inferiore costituirebbe la più antica documentazione dell’evoluzione verso un canino “incisiviforme”, carattere esclusivo degli Ominidi. Al contrario, il canino superiore di Orrorin tugenensis è ancora abbastanza primitivo e privo di caratteri derivati. L’Ardipithecus ramidus rappresenta, perciò, un taxon ominide che per le sue caratteristiche primitive è ancora molto prossimo all’antenato comune di scimpanzé e uomo, ma ormai posteriore all’evento cladogenetico che ha prodotto le due linee evolutive divergenti che condurranno all’uomo e allo scimpanzé. Sono probabilmente da ricollegare all’Ardipithecus alcuni resti frammentari rinvenuti negli anni ’60. Innanzitutto, un frammento di corpo mandibolare destro, che conserva il primo molare, e le cavità alveolari del P 4 e degli altri due molari, rinvenuto a Lothagam (West Turkana). La sua età è compresa tra 5,8 e 5,6 Ma. Dal punto di vista metrico e morfologico non si differenzia dal ramidus e dall’afarensis. Da Mabaget proviene un frammento della parte prossimale dell’omero di un individuo sub-adulto, probabilmente femminile, rinvenuto nelle formazioni di Chemeron, a occidente del lago Baringo (Kenya). La datazione è verso 5,1 Ma. Le dimensioni sono piccole, la morfologia, caratterizzata da una testa ellittica e non globosa come nelle antropomorfe, sembra indicare l’appartenenza a un Ominide. Da Tabarin, sempre nella formazione geologic 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.4 Australopithecus anamensis 67 ca di Chemeron, proviene un frammento di corpo mandibolare che conserva il primo e secondo molare. Lo smalto dei denti è ispessito e le cuspidi sono basse. Dall’usura della superficie masticatoria è stato dedotto che l’individuo poteva effettuare un movimento rotatorio delle arcate e che di conseguenza il canino doveva essere ridotto. La datazione di questo frammento è verso 5,0 Ma. Come per l’Orrorin, anche per l’Ardipithecus non è possibile formulare giudizi sicuri, finché il materiale non sarà pubblicato in maniera completa e non soltanto conosciuto attraverso brevi notizie preliminari. La definizione di una esatta tassonomia e posizione filogenetica dei resti fossili attributi ad Ominidi vissuti tra 6 e 4 Ma è inoltre particolarmente ardua per il fatto che secondo gli studi di genetica bio-molecolare la separazione da un antenato comune della linea ominide e della linea dello scimpanzé si sarebbe verificata esattamente in questo arco di tempo, tra 7 e 5 Ma. Ora, noi non sappiamo se l’antenato comune fosse più simile allo scimpanzé attuale oppure più simile a un ominide e questo fatto genera una grande incertezza nell’interpretazione dei resti fossili molto prossimi all’evento cladogenetico. 3.4 Australopithecus anamensis Da Kanapoi, sul lato occidentale del lago Turkana, proviene un frammento di omero scoperto nel 1965. In seguito ulteriori resti comprendenti una mandibola, un mascellare incompleto, un frammento di tibia e una serie di denti sono stati scoperti nel 1994 da Meave Leakey. I livelli fossiliferi appartengono alla parte inferiore di una serie di sedimenti di origine fluviale. Le argilliti di base (claystones) sono state datate a 4,121 ± 0.004 Ma. I livelli sedimentari con i fossili umani sono sigillati dal tufo di Kanapoi, che si trova 20 m al di sotto del tufo di Lokochot datato a 3,5 Ma e del basalto di Kalokwanya datato a 3,41 ± 004 e 3,11 ± 0,004 Ma. In base a correlazioni con le sequenze del bacino del Turkana è stato stabilito che la parte inferiore della sequenza di Kanapoi doveva essere anteriore al tufo di Moiti, datato a 3,9 Ma e quindi l’età degli ominidi di Kanapoi è stata circoscritta al periodo tra 4,121 e 3,9 Ma. Una dozzina di resti di Ominidi della stessa epoca e molto simili a quelli di Kanapoi sono stati scoperti nel 1982, 1988 e 1995, sempre dall’équipe di Meave Leakey, a Allia Bay, lungo il lato orientale del lago Turkana. Questi resti comprendono frammenti di mandibola e di mascellare, di radio e diversi denti. Successivamente è stato possibile datare anche il tufo di Kanapoi a 4,07 ± 0.02 Ma, ottenendo la conferma delle precedenti valutazioni cronologiche. Solo la mandibola KNM-KP 29287 proviene da un paleosuolo immediata- c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.5 Australopithecus afarensis 68 mente sopra il tufo di Kanapoi e quindi ha una data leggermente posteriore. Tra il 1995 e il 1997 nuovi resti di Ominidi fossili sono stati rinvenuti sia a Kanapoi che a Allia Bay. In base ai fossili di Kanapoi e di Allia Bay, Meave Leakey e collaboratori hanno definito una nuova specie di Australopiteco, denominato Australopithecus anamensis (nella lingua turkana anam significa lago). La mandibola dell’anamensis ha una forma a U, con molari, premolari e canino allineati e paralleli, l’arcata dentaria del mascellare ha la classica forma quasi a ferro di cavallo come nelle scimmie antropomorfe. La simfisi mandibolare è fortemente inclinata posteriormente e forma un lungo piano dietro gli incisivi, con un toro superiore sviluppato e uno inferiore ben sviluppato (placca scimmiesca). Tuttavia, a differenza che nelle scimmie antropomorfe i canini non sopravanzano fortemente gli altri denti e non hanno forma conica, ma spatulata come negli Ominidi, inoltre è assente qualsiasi forma di diastèma. Lo smalto dei molari è più spesso che nel ramidus. La morfologia della tibia indica una locomozione bipede. Il capitato, il più voluminoso osso della regione carpale, è di tipo ominide e si differenzia nettamente da quello delle antropomorfe. Le dimensioni dei denti e della mandibola mostrano un chiaro dimorfismo sessuale, evidente soprattutto nella dimensione dei canini. L’Australopithecus anamensis è certamente un Ominide per l’acquisizione della locomozione bipede e per le caratteristiche dei denti, ma presenta ancora molti caratteri primitivi comuni alle antropomorfe mioceniche ed attuali. 3.5 Australopithecus afarensis Resti di Ominidi databili al periodo compreso tra 3,8 e 3 Ma sono stati scoperti in diverse zone della depressione dell’Afar in Etiopia: Hadar e medio Awash nelle località di Belohdelie e Maka; a Koobi Fora (Turkana orientale) e a Lomekwi (Turkana occidentale) in Kenya; a Laetoli nel nord della Tanzania. Questi Ominidi sono stati classificati come appartenenti alla specie afarensis del genere Australopithecus. Alla stessa epoca appartengono le impronte di Ominidi rinvenute a Laetoli. L’area di Laetoli si trova 25 km a sud di Olduvai, nella parte meridionale della piana di Serengeti. In precedenza era conosciuta con il nome di Garusi, il fiume che da Laetoli scorre verso sud gettandosi nel lago Eyasi. Nel 1935 Louis Leakey vi raccolse un canino che attribuı̀ a un cercopiteco e che soltanto nel 1979 venne riconosciuto come appartenente a un Australopiteco adulto. Nel 1939 l’antropologo tedesco L. Kohl-Larsen rinvenne un frammento di mascellare di ominide conservante due premolari e separatamente un M3 in uno strato di arenaria lungo una falesia 500 m a nord-ovest del punto in c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.5 Australopithecus afarensis 69 cui il fiume Garusi entra nel lago. Nel 1974 Mary Leakey riprese le ricerche nella regione. Nel 1975 e 1976 furono scoperti numerosi resti di Ominidi, soprattutto denti, ma anche due mandibole (LH 4) e resti di scheletro di un bambino di quattro anni (LH 21). I fossili provengono dall’unità superiore degli strati di Laetoli, una formazione dello spessore di 50 m, ricca di orizzonti a lapilli e blocchi vulcanici e di strati di tufo, ed erano compresi tra due strati di tufo datati rispettivamente 3,77 Ma e 3,59 Ma. Nel 1976 Andrew Hill per primo riconobbe impronte di uccelli e di mammiferi su una superficie esposta dall’erosione. Negli anni 1977-1979 furono individuate sette zone con impronte sulla sinistra del fiume Garusi dislocate su una lunghezza di 4,5 km. Non tutte sono state indagate. Impronte di Ominidi sono venute alla luce nel 1977 nel sito A, datato a 3,6 Ma, e nel 1978 e 1979 nel sito G, dove sono state rinvenute due file di impronte lunghe 50 m e distanti circa 25 cm l’una dall’altra. Queste ultime sono state scavate prima da Tim White e poi da Ron Clarke e Mary Leakey. La conservazione delle impronte è dovuta a un complesso di circostanze del tutto particolari. Il vicino vulcano Sadiman ha eruttato ceneri leggere contenenti grandi quantità di natrocarbonatite, subito dopo l’eruzione una serie di precipitazioni atmosferiche ha raffreddato le ceneri appena deposte e subito dopo animali e Ominidi hanno camminato sopra gli strati di cenere ancora bagnata, lasciando le loro impronte. La superficie con le impronte si è poi asciugata al sole e la natrocarbonatite reagendo con l’acqua si è cementificata, conservando le impronte. Questa dinamica si è ripetuta più volte e il succedersi della caduta di ceneri e della pioggia atmosferica ha creato in uno spessore di soli 20 cm quindici superfici sovrapposte in cui si sono conservate le impronte. Sulle superfici con impronte fossili sono state osservate orme di antilopi, gazzelle, giraffe, elefanti, rinoceronti, cavallo tridattilo, suidi, iena, babbuino, lepre, uccelli, insetti. Su alcune superfici è possibile riconoscere perfino le impronte delle gocce di pioggia. Nel sito G le orme lasciate dagli Ominidi sono 22 in una fila e 12 nell’altra. Le prime sono lunghe 18,5 e larghe 8,8 cm e la distanza tra loro è di 38,7 cm. Nella seconda fila le impronte sono lunghe 21,5 e larghe 10 cm, mentre la falcata è di 47,2 cm; all’interno delle impronte ve ne sono altre più piccole appartenenti a un bambino. Le impronte lasciate dagli Ominidi hanno un contorno e una sagoma di tipo umano. Il tallone è arrotondato, l’arco plantare ben sviluppato, l’alluce rivolto in avanti e non divergente. L’andatura è quella di un individuo bipede che procede a grandi passi. Tenendo conto che la lunghezza del piede in genere corrisponde al 15% dell’altezza di un individuo, si può calcolare che l’individuo adulto più grande fosse alto 140 cm, quello più piccolo 120 cm. Sembra quindi possibile concludere che queste impronte siano state lasciate c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.5 Australopithecus afarensis 70 da due adulti, uno di dimensioni maggiori dell’altro, probabilmente maschio e femmina, e forse anche da un bambino che seguiva le orme dell’adulto più grande. Tuttavia, questa interpretazione non è certa, poiché secondo la testimonianza di Ron Clarke l’impronta di un tallone più piccolo all’interno dell’orma di maggiori dimensioni sarebbe stata prodotta artificialmente nel corso della rimozione del riempimento delle impronte a mazzuolo e scalpello da parte di Mary Leakey. Secondo Clarke il fatto che queste impronte fossero maggiori si doveva al leggero scivolamento del piede sulla cenere resa sdrucciolevole dalla pioggia. Per Ron Clarke le impronte hanno una morfologia simile a quella che possono lasciare anche le antropomorfe. Nelle impronte dell’individuo di maggiori dimensioni dietro la punta dell’alluce vi è un’altra impronta simile a quella di un dito, che potrebbe essere stata lasciata dalla giunzione metatarso – falangi. Lo studio dei calchi presi da Clarke ha condotto Yvette Deloison, del Museo di Storia Naturale di Parigi, a riconoscere nelle impronte le tracce di un piede simile a quello di una scimmia antropomorfa, ad es. il peso è scaricato sul lato del piede, il calcagno è appuntito e sono assenti le impronte delle singole dita tranne l’alluce. Nel 1985 Clarke effettuò un esperimento con due scimpanzé, un maschio e una femmina, costringendoli a camminare su due piedi sulla sabbia umida. La femmina camminò nervosamente affondando le dita nella sabbia e con l’alluce divaricato, il maschio, al contrario, camminò più tranquillo con l’alluce molto spesso allineato alle altre dita. Secondo Clarke l’esperimento ha dimostrato che le impronte di Laetoli possono essere state lasciate da un piede con alluce leggermente divergente. Questa posizione sembra ipercritica e la maggior parte degli studiosi attribuisce le impronte di Laetoli ad Ominidi, che considerata l’epoca non potevano che essere Australopiteci della specie afarensis. La specie afarensis è stata definita per la prima volta da Donald Johanson e Tim White nel 1978 al simposio di Stoccolma per il bicentenario della morte di Linneo, utilizzandolo i fossili di Laetoli e di Hadar, questi ultimi di gran lunga più numerosi. Le scoperte più importanti sono state effettuate a Hadar negli anni 19731979 da parte di una missione franco-americana diretta da Maurice Taieb, Donald Johanson e Yves Coppens. Le ricerche condotte nelle gole dei fiumi Kada Hadar, Sidi Hakoma, Garsela Dora e Ounda Hadar, tutti affluenti dell’Awash, hanno portato alla scoperta di circa 350 fossili di Ominidi, che sono riferibili da un minimo di 35 a un massimo di 65 individui. La gola scavata dall’Hadar è profonda 140 m ed ha portato in esposizione i sedimenti (argille, sabbie, ghiaie, limi) accumulatisi per circa un milione di anni in un bacino lacustre il cui fondo era formato da eruzioni basaltiche di lava. La c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.5 Australopithecus afarensis 71 formazione geologica di Hadar comprende tre membri principali denominati dall’alto verso il basso Kada Hadar, Denen Dora e Sidi Hakoma. Agli strati di sedimentazione fluviale e lacustre sono intercalati livelli di tuffiti e di basalti che hanno consentito di eseguire datazioni radiometriche con il metodo del K-Ar. L’abbinamento delle date radiometriche con la stratigrafia paleomagnetica ha permesso di stabilire una cronologia più dettagliata delle formazioni geologiche di Hadar. Inizialmente l’unità inferiore, SH, è stata datata tra 4,05 e 3,6 Ma, quella media, DD, tra 3,6 e 3,2 Ma e quella superiore, KH, tra 3,2 e 2,7 Ma. In seguito, nuove datazioni effettuate con tecniche più avanzate4 , hanno condotto a una revisione della cronologia: l’unità inferiore si colloca tra 3,4 e 3,22 Ma, quella media tra 3,22 e 3,18 e quella superiore tra 3,18 e 2,92 Ma. I fossili di Hadar sono quindi più recenti di quelli di Laetoli. I reperti di Ominidi fossili di Hadar recano la sigla AL. I più importanti sono i seguenti: 1. AL 128-33: frammento di mandibola sinistra, dalla parte inferiore dell’unità SH; 2. AL 199 e 200: frammento di palato e palato con tutta l’arcata dentaria completa dallo strato inferiore dell’unità Sidi Hakoma (SH 1), databile tra 3,4 e 3,22 Ma; 3. AL 128 e 129: “giuntura del ginocchio”, da SH 1; 4. AL 277-1: frammento di mandibola sinistra dalla parte superiore di SH 3; 5. AL 266: mandibola frammentaria, conservante i molari e i premolari, dalla parte basale dello strato SH upper; 6. AL 333: “la prima famiglia”, resti di almeno tredici individui dallo strato Denen Dora 2, databile tra 3,2 e 3,18 Ma; vi sono mandibole, mascelle, ossa craniche, ossa del piede, frammenti di omero, femori, ossa della mano, ecc. 7. AL 188: mandibola da DD 3, databile tra 3,2 e 3,18 Ma; 8. AL 288: “Lucy”, scheletro conservato per circa il 40% di un individuo femminile giovane, dallo strato più basso dell’unità Kada Hadar (KH 1), databile poco dopo 3,18 Ma. 9. AL 444-2: un cranio maschile quasi completo, privo della mandibola, dalla parte superiore dell’unità KH 4 Single crystal 40 Ar/39 Ar. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.5 Australopithecus afarensis 72 I resti più primitivi provengono da SH 1. L’arcata dentaria di AL 200 ha una forma ad U e presenta il diastema tra canino e incisivi e gli incisivi sono larghi e a spatola, tuttavia il canino è fortemente ridotto rispetto a quello dello scimpanzè e non sporge oltre la linea degli altri denti. Per quanto la forma dell’arcata sia complessivamente a U, si osserva l’inizio di una curvatura, come è dimostrato dal fatto che la larghezza del palato all’altezza del P3 è minore che all’altezza di M2, mentre nello scimpanzè è eguale. AL 128-129 comprendono la parte distale del femore e quella prossimale della tibia, e poiché la giuntura del ginocchio è di tipo umano e non scimmiesco, dimostrano che era già stata acquisita la stazione eretta e la locomozione bipede. Di straordinario interesse è il gruppo AL 333, comprendente circa 200 resti riferibili ad almeno 9 adulti e 4 bambini, rinvenuti in uno strato sottile di argilla fine limosa, insieme a resti di pesci e di roditori, ma non di altri animali. La concentrazione di un numero cosı̀ elevato di resti di Ominidi è un fatto eccezionale. Non è un accumulo causato da animali carnivori, poiché mancano i segni che normalmente i predatori lasciano sulle ossa delle loro vittime. Potrebbe trattarsi di un gruppo di Ominidi sorpreso da una improvvisa alluvione, e i cui corpi sono stati trascinati fino a un’area aperta e pianeggiante, dove le ossa si sono poi depositate, ricoprendosi lentamente di argilla fine. AL 288, soprannominato Lucy, comprende 52 resti frammentari di una giovane donna. Di particolare importanza è la conservazione delle ossa del bacino (sacro, ileo, ischio). Dall’esame della dentatura è stata calcolata un’età intorno ai vent’anni. La statura è stata valutata intorno ai 100/110 cm. La conservazione di consistenti parti dell’omero e del femore ha permesso di calcolarne la lunghezza in 23,5 e 28 cm, con un indice omero-femorale di 83,9, più prossimo ai valori umani che a quelli delle scimmie antropomorfe (nell’uomo è 68-73, nello scimpanzé 104-110, nel gorilla 120-133). L’afarensis presenta un polimorfismo di caratteri, in parte scimmieschi, in parte umani in proporzioni eguali. Innanzitutto nei fossili attribuiti a questa specie si riscontrano individui adulti dell’altezza di ca. 130-140 cm e 45 kg di peso ed altri di circa 100-110 cm di altezza e 27-30 kg di peso, nonché notevoli differenze nella dimensione dei canini. Secondo D. Johanson, T. White e B. Kimbel si tratta di una sola specie caratterizzata ancora da dimorfismo sessuale, come nelle scimmie antropomorfe; secondo altri autori (Y. Coppens, R. Leakey, P. Tobias) sarebbero presenti due specie distinte di Ominidi. L’afarensis aveva certamente stazione eretta ed andatura bipede. Lo dimostrano tutte le caratteristiche del bacino, l’angolo del collo femorale, la giuntura del ginocchio. Nel complesso la pelvi è decisamente più simile a c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.5 Australopithecus afarensis 73 quella dell’uomo che non a quella dei Pongidi: l’osso iliaco è corto e largo, incurvato lateralmente, ma non in maniera cosı̀ ampia come nell’uomo, l’osso sacro è largo e ricurvo, l’incisura sacro-sciatica è ampia, l’acetabulo ha una posizione obliqua; caratteri ancora primitivi sono la curvatura meno marcata del bordo anteriore dell’ileo, che è piatto rispetto a quello dell’uomo. Gli arti presentano aspetti pitecoidi. Le articolazioni della spalla sono maggiormente rivolte verso l’alto, come negli arrampicatori. Il femore è ancora corto, mentre l’omero è di aspetto più simile a quello dell’uomo. Le gambe risultavano, quindi, più corte, ma non come nei Pongidi. Le dita della mano sono sottili e leggermente ricurve, cosı̀ come sono ancora ricurve quelle del piede. Anche nel piede troviamo la coesistenza di aspetti umani e pitecoidi: le ossa del calcagno e dell’astragalo sono ben sviluppate, le dita del piede sono corte e l’alluce è allineato con le altre dita come nell’uomo, ma i metatarsi sono più lunghi, come nelle scimmie antropomorfe. Questo polimorfismo di caratteri è stato valutato in maniera differente. Secondo O. Lovejoy e B. Latimer i caratteri primitivi rappresentano l’eredità evolutiva del passato, ma non avevano implicazioni funzionali particolarmente significative e la bipedia dell’afarensis era ottima. Secondo R. Susman, J. Stern e W. Jungers l’afarensis si arrampicava molto agilmente sugli alberi e la sua bipedia era imperfetta. Braccia lunghe, gambe corte, statura bassa, dita delle mani e dei piedi ricurve sono caratteri che facilitano l’arrampicarsi sugli alberi, abilità che doveva avere ancora grande importanza. Certamente l’afarensis passava molto tempo sugli alberi e soprattutto dormiva sugli alberi. La migliore prova dell’esistenza di Ominidi bipedi tra 4 e 3 milioni di anni fa è stata fornita dalle impronte di Laetoli. Il cranio è stato ricostruito da T. White e B. Kimbel utilizzando tredici frammenti del gruppo AL 333. La scoperta nel 1993 di un cranio quasi completamente conservato (AL 444-2) ha mostrato che questa ricostruzione era sostanzialmente valida. Il cranio è l’aspetto più chiaramente pitecoide dell’afarensis: neurocranio piccolo e forte prognatismo facciale, la capacità cranica dell’esemplare ricostruito è valutata in ca. 350 cm3 , ma il cranio maschile quasi completo scoperto in seguito ha una capacità di poco più di 500 cm3 . La mandibola è molto robusta e mostra ancora la placca scimmiesca, la curvatura dell’arcata dentaria non è più a U come nelle scimmie antropomorfe, ma non è ancora arrotondata e regolarmente parabolica come nell’uomo: presenta uno stadio intermedio, come dimostrano le mandibole AL 266 e AL 400. Quella di Lucy ha una forma a V. La dentatura mostra aspetti tipicamente ominidi nella forma dei molari e dei premolari. Il P3 di Lucy non è unicuspide come nei Pongidi, ma presenta c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.6 Australopithecus bahrelghazali 74 un abbozzo di metaconide, quindi un inizio di un processo di molarizzazione. Il canino di AL 333 X-3 è più simile a quello dell’uomo che non a quello dello scimpanzé. Gli aspetti più primitivi si incontrano nei resti provenienti dallo strato SH 1 (AL 199 e 200), con forma dell’arcata dentaria a U, presenza di diastema, dentatura anteriore molto robusta, canino sporgente e più simile a quello dello scimpanzé che non a quello dell’uomo. L’esame microscopico delle usure della superficie masticatoria ha mostrato che l’afarensis era sostanzialmente erbivoro e si cibava prevalentemente di frutta e di fogliame. Le caratteristiche ancora in parte primitive del piede sono state confermate dalla scoperta di un Ominide datato verso 3,3 Ma – quindi contemporaneo dell’afarensis – a Sterkfontein presso Krugersdorp nel Sud Africa, soprannominato Little Foot. Nel 1978 il prof. P. Tobias decise di iniziare l’esplorazione dei depositi più antichi, le unità 3 e 2 della formazione di Sterkfontein. Nel 1992 fu fatto saltare con la dinamite un ampio campione di breccia ricca di fossili di carnivori e di cercopiteci. Ron Clarke nel 1994 esaminando i fossili provenienti da questa breccia identificò alcune ossa del piede di un Ominide, con caratteristiche in parte pitecoidi in parte umane. Il nuovo Ominide fu etichettato StW 573. Tre anni dopo Clarke trovò altre ossa del piede e frammenti delle due tibie dello stesso individuo sempre tra i fossili recuperati negli anni precedenti. A questo punto Clarke pensò che il resto dello scheletro fosse ancora intrappolato nella breccia della grotta e fece ispezionare la superficie in esposizione per cercare se fosse visibile la sezione di una tibia di Ominide. Dopo due giorni furono individuate le sezioni di due tibie e di una fibula incassate nella breccia. Il lavoro di rimozione della breccia portò alla luce nel 1998 le due tibie, la fibula, due femori, e in seguito un omero, una mandibola e un cranio. Il proseguimento dei lavori nel 1999 ha portato alla luce le ossa di un avambraccio e della mano. Nella breccia del membro 2 di Sterkfontein vi è quindi lo scheletro completo di un Ominide con ogni probabilità simile all’afarensis, che attende di essere completamente recuperato. Per ora si conoscono le caratteristiche delle ossa del piede e della mano. Il piede aveva ancora delle capacità prensili ed era adatto ad arrampicarsi sugli alberi. Le falangi della mano hanno una curvatura simile a quella dell’afarensis. Nel cranio l’occipite presenta un inion pronunciato e appuntito. L’arco zigomatico è massiccio a differenza che nel successivo africanus. 3.6 Australopithecus bahrelghazali Recentemente M. Brunet ha scoperto presso Koro Toro nella regione di Bahr el Ghazal nel Ciad un frammento di mandibola di Australopithecus databile c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.7 Australopithecus africanus 75 sulla base del contesto bio-stratigrafico tra 3,5 e 3 Ma. Il frammento comprende la parte anteriore della mandibola con tutti i premolari, i canini e un incisivo, nonché gli alveoli degli altri tre incisivi. I canini sono grandi e di forma spatulata, i premolari sono bicuspidi, la faccia interna della regione della sinfisi ha un piano alveolare sub-verticale con due tori trasversali piccoli. Vi sono quindi affinità, ma anche differenze con l’afarensis. La scoperta dimostra che nel Pliocene medio-avanzato gli ominidi erano distribuiti attraverso la fascia dei terreni boscosi e della savana dall’Africa orientale fino all’Africa centro-occidentale, oltre che dall’Africa orientale fino al Sud Africa. 3.7 Australopithecus africanus Per l’arco di tempo tra 3 e 2,5 Ma la più importante documentazione di Ominidi fossili proviene dal Sudafrica, mentre quella dell’Africa orientale, cosı̀ ampia e significativa per le epoche precedenti, è del tutto lacunosa e frammentaria tra 3 e 2,5 Ma. Negli strati della fine del Pliocene del Sudafrica sono stati scoperti numerosi resti di Ominidi, databili tra 3 e 2,4 Ma e attribuibili per la maggior parte a un’unica specie, l’Australopithecus africanus. Il nome fu introdotto da Raymond Dart, professore di anatomia all’università del Witwatersrand, che nel 1925 pubblicò il cranio fossile di un bambino rinvenuto l’anno prima a Taung. Le ricerche sugli Ominidi sudafricani furono riprese da un medico di origine scozzese, Robert Broom (1868-1951). Dopo aver esercitato la professione di medico in Australia, Broom si trasferı̀ nel 1897 nel Sudafrica, dove per molti anni fece il medico condotto, ma nello stesso tempo coltivò anche gli studi di anatomia comparata e di paleontologia. La scoperta di Taung aveva stimolato il suo interesse per la paleoantropologia. Broom condivideva l’interpretazione che del fossile di Taung era stata data da R. Dart. Insegnò per cinque anni zoologia e geologia al Victoria College di Stellenbosch, costituendo importanti raccolte di fossili provenienti dai bacini del Karoo. Nel 1934, all’età di 66 anni, ritiratosi definitivamente dall’attività di medico, fu nominato conservatore paleontologo del Transvaal Museum di Pretoria. Allo scopo di ottenere nuovi fossili di Ominidi condusse ricerche nelle cave di calcare dei dintorni di Pretoria e in quelle nei pressi di Krugersdorp, una sessantina di km a ovest di Pretoria. In cima alla collina di Sterkfontein, a 10 km da Krugersdorp, vi erano alcune caverne con brecce ossifere ed in una di queste era attiva una cava di calcare. Due studenti di R. Dart, G.W.H. Schepers e H. le Riche vi recuperarono diversi resti fossili di babbuino e di c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.8 Le caverne di Sterkfontein 76 altri animali, che mostrarono a Broom. Le ricerche furono quindi indirizzate nella caverna principale di Sterkfontein, destinata a diventare uno dei luoghi fondamentali per lo studio delle origini umane. 3.8 Le caverne di Sterkfontein Sterkfontein è una bassa collina sulla destra del fiume Bloubank, all’interno della riserva naturalistica Isaac Edwin Stegmann, 9,5 km a nord-ovest di Krugersdorp nel Gauteng. A poco più di un km verso sud-ovest si trova Swartkrans e a 1,6 km verso nord-est Kromdraai, entrambe importanti località fossilifere. Le caverne di Sterkfontein sono ubicate a 1480 m di quota, presso la sommità della collina che raggiunge i 1486 m. Il nome significa “strong fountain” e deriva dal nome del vecchio ufficio postale posto all’incrocio stradale. Sulle colline dolomitiche intorno a Krugersdorp vi sono altre tre importanti località che hanno restituito fossili di Ominidi: Gladysvale, Drimolen e Coopers. Nel 1999 tutta quest’area è stata iscritta dall’Unesco nella “World Heritage List”. Le caverne di Sterkfontein e di altre località della valle del Bloubank e della regione del Gauteng si aprono nel calcare dolomitico pre-Cambriano e sono di origine carsica; la loro formazione risale a circa 20-30 milioni di anni fa in seguito alla lenta azione dell’acqua della falda freatica contenente in soluzione ossido di carbonio, che con l’acqua forma acido carbonico, e che infiltrandosi nelle spaccature e nelle fessurazioni scioglie lentamente il carbonato di calcio della roccia dolomitica dando origine a cavità sotterranee. Quando all’incirca cinque milioni di anni fa la falda freatica si abbassò, le acque superficiali continuarono la loro azione di dissolvimento della dolomite e percolando nelle cavità precedentemente formatesi depositarono il carbonato di calcio sotto forma di stalattiti e stalagmiti, mentre al di sotto della falda si formavano nuove cavità più profonde. In seguito i processi di erosione e di dilavamento della superficie portarono alla formazione di aperture, attraverso cui penetravano nelle caverne sotterranee terra, detriti rocciosi e ossa di animali, che si accumulavano costituendo un deposito di versante (talus). Lo stillicidio del carbonato di calcio ha cementato lentamente il deposito, trasformandolo in una roccia di colore arancio bruno denominata breccia. Alla fine, con il progredire dell’erosione della superficie, la volta delle caverne è parzialmente crollata e spazzata via, portando in esposizione i depositi di breccia. Le caverne di questa regione non furono quindi abitate dagli Ominidi, ma le ossa degli Ominidi come di altri animali quali iene, felini, scimmie e antilopi, sono finite nelle caverne in seguito ai fenomeni di dilavamento o c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.8 Le caverne di Sterkfontein 77 in seguito a cadute accidentali nelle strette aperture che funzionavano da inghiottitoio. Le caverne di Sterkfontein si sviluppano per un centinaio di metri su due livelli. Quello superiore è in collegamento con la superficie attraverso numerose aperture, quello inferiore, a 40 m di profondità, ospita un lago sotterraneo e presenta numerose formazioni stalattitiche e stalagmitiche. Una parte delle caverne è visitabile dal pubblico: attraverso l’ingresso meridionale si scende in un’ampia camera (tourist cave), che conduce a una sala con grandi stalattiti che pendono dal soffitto e un lago sotterraneo dalle acque di una chiarezza cristallina. Le popolazioni locali attribuiscono a queste acque proprietà medicamentose, in particolare per la cura della cecità. Prima di raggiungere il lago vi è un deposito di breccia collassato dal livello superiore. Proprio al di sopra di questo deposito si trova un pozzo lungo e stretto che conduce alla vecchia cava di calcare e ai massicci depositi di breccia che sono oggetto delle ricerche da parte della Palaeo-Anthropological Research Unit dell’università del Witwatersrand. La scoperta delle brecce ossifere di Sterkfontein è avvenuta tra il 1895 e il 1897. Nel 1895 Hans P. Thomasset aprı̀ una cava per il calcare. Nel 1896 l’italiano Guglielmo Martinaglia, cercatore d’oro e di calcare, per la prima volta trovò l’ingresso della caverna facendo brillare con l’esplosivo il deposito che l’ostruiva. Un gruppo di collegiali del Marist Brothers College di Johannesburg vi recuperò nel 1895 i primi fossili di animali. Una compagnia mineraria aprı̀ una cava per lo sfruttamento della breccia, che veniva estratta con la dinamite e bruciata nei forni per produrre calce, mentre la breccia che non aveva valore commerciale veniva accumulata in scarichi nei pressi della cava. Fin dal 1897 David Draper indusse la compagnia a proteggere il livello inferiore delle caverne dalle distruzioni vandaliche da parte di cercatori di stallattiti e di fossili. Già a Dart, in seguito alla scoperta di Taung, erano state inviate ossa fossili di Sterkfontein, ma avendole giudicate più recenti rispetto a Taung R. Dart non vi intraprese alcuna ricerca. Quando Robert Broom visitò per la prima volta Sterkfontein il 9 agosto 1936 vide su un tavolo una piccola esposizione di fossili che erano offerti in vendita ai visitatori domenicali delle caverne. Le ricerche a Sterkfontein hanno conosciuto quattro fasi. La prima tra il 1936 e il 1939 fu condotta da R. Broom con l’aiuto di Schepers e portò alla scoperta dei primi fossili di Ominidi. Il 17 agosto del 1936 venne alla luce un calco endocranico naturale, che conservava i 2/3 anteriori e la sommità del cranio. Nei giorni successivi furono recuperati la base del cranio, parte dei parietali e del frontale, del mascellare e la mandibola. Nel settembre del 1937 sempre nella stessa cava, ma in un punto differente e stratigraficamente inferiore furono scoperti un mascellare femminile con quattro denti ben conc 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.8 Le caverne di Sterkfontein 78 servati, parte della faccia di un adulto maturo con i denti molto consumati, la parte distale di un femore, un osso del polso. La scoperta nel 1937 di una mandibola infantile, giudicata da Broom differente da quella di Taung, lo indusse ad attribuire i fossili di Sterkfontein a un nuovo genere denominato Plesianthropus transvaalensis, letteralmente “quasi uomo del Transvaal”. Nel 1939 i lavori della cava di Sterkfontein furono interrotti a causa della caduta del prezzo della calce. La seconda fase delle ricerche vede ancora protagonista R. Broom, che dietro incoraggiamento del generale Jan Smuts e con l’assistenza di John T. Robinson, riprese le indagini nel 1947 nel luogo in cui era stato scoperto il primo cranio. Furono subito trovati nuovi resti di Australopithecus, fra cui un cranio quasi completo (Sts 5), rotto in due pezzi durante la sua estrazione dalla breccia e soprannominato Mrs. Ples perché ritenuto femminile. La scoperta fece epoca, poiché finalmente si aveva il cranio ben conservato di un individuo adulto di Australopithecus africanus e si poteva stabilire con sicurezza che l’aspetto del bambino di Taung una volta divenuto adulto non sarebbe stato quello di uno scimpanzé o di un gorilla, come pretendevano gli oppositori di R. Dart, ma di un vero Ominide. Una placchetta di metallo sulla parete della “Old Lime Quarry” ricorda il punto della scoperta del cranio 5 e all’uscita della visita turistica delle caverne di Sterkfontein è stata collocata una statua in bronzo di R. Broom che tiene fra le mani il cranio di Mrs. Ples. Gli Ominidi scoperti in queste due prime fasi sono contrassegnati dalla sigla STS, assommano a circa un centinaio e sono conservati al Transvaal Museum di Pretoria. Nuove ricerche a Sterkfontein furono condotte tra il 1956 e il 1958 da C. K. Brain e J. T. Robinson. Brain scoprı̀ nei livelli superiori utensili di pietra scheggiata e nuovi resti di Ominidi che saranno attribuiti a un nuovo genere, Telanthropus, e in seguito al genere Homo. Con il 1966 ebbe inizio la quarta fase delle ricerche a Sterkfontein sotto la direzione del prof. P. V. Tobias, successore di Dart nella cattedra di anatomia all’università del Witwatersrand, con l’assistenza sul campo di Alun Hughues fino al 1991, e in seguito, dal 1991 sotto la direzione del dr. Ron Clarke. Dal 1966 ad oggi le ricerche non si sono mai interrotte. La famiglia Stegmann ha donato all’università del Witwatersrand le caverne di Sterkfontein, che sono aperte al pubblico per una visita turistica. E’ possibile osservare l’area degli scavi ed è stato allestito un piccolo museo. Gli Ominidi scoperti dal 1966 in poi ammontano ad oltre 600 e recano la sigla STW. Gli scavi dell’università del Witwatersrand hanno inoltre recuperato migliaia di ossa di animali fossili, oltre 300 frammenti di legno fossilizzato e qualche migliaio di utensili litici, per la maggior parte provenienti dagli strati superiori. Tra le scoperte più importanti, oltre a quelle c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.8 Le caverne di Sterkfontein 79 recentissime avvenute nel membro 2 già precedentemente ricordate, vi è un cranio relativamente ben conservato di Australopithecus africanus, rinvenuto nel 1989 nel membro stratigrafico 4 (STW 505) ed uno scheletro parziale di adulto maschio (STW 431), sempre dal membro 4. Dal più recente membro 5 proviene il cranio STW 53, scoperto nel 1976 ed attribuito ad Homo habilis. La precisa datazione degli Ominidi fossili scoperti nelle brecce ossifere delle caverne sudafricane ha sempre costituito un problema di difficile soluzione. Innanzitutto, bisogna tenere presente che molti ritrovamenti effettuati prima del 1966 sono privi di precise indicazioni stratigrafiche. Quando Broom volle riprendere le sue ricerche nel 1947, la Historical Monuments Commission negò il permesso, poiché Broom non aveva nella sua équipe “un geologo competente”. Broom riteneva di essere lui stesso un competente geologo e di conoscere le caverne con brecce ossifere del Sudafrica meglio di qualunque altro. Forse aveva ragione, tuttavia la geologia dei riempimenti di queste caverne si rivelerà di estrema complessità. Broom iniziò egualmente le sue ricerche e la questione venne appianata con l’intervento del generale Smuts e con la scoperta del cranio di Mrs. Ples. La geologia delle caverne sudafricane fu in seguito studiata accuratamente da T.C. Partridge e C. K. Brain, mentre la fauna venne studiata da R.F. Ewer, F. Lavocat e in seguito da Elisabeth Vrba. Nelle caverne di Sterkfontein sono stati distinti 6 membri o unità, 5 in quelle di Makapansgat, Swartkrans e Kromdraai B est. La caverna di Taung venne completamente distrutta prima che potessero essere effettuati studi geologici e paleontologici. I riempimenti delle cavità carstiche sono molto complessi, poichè in seguito ai crolli strati recenti possono trovarsi sia al di sotto che al di sopra di strati più antichi, e in seguito a infiltrazioni nelle fenditure dei depositi a breccia resti fossili recenti possono apparire allo stesso livello di altri più antichi. Ciò spiega l’aspetto a volte eterogeneo della fauna, con miscuglio di forme più antiche e più recenti. A queste difficoltà si aggiunge il fatto che mancano materiali di origine vulcanica per effettuare datazioni radiometriche. Le indicazioni cronologiche più sicure vengono dalla combinazione del metodo bio-stratigrafico con quello del paleomagnetismo. I più antichi Ominidi sudafricani sono stati scoperti nel membro 2 di Sterkfontein, che è possibile datare tra 3,6 e 3,2 Ma. I resti di Australopithecus africanus provengono dal membro 3 di Makapansgat, che la polarità inversa e le faune collocano tra 3,3 e 2, 9 Ma, e dal membro 4 di Sterkfontein, caratterizzato da polarità normale e da faune confrontabili con quelle databili tra 2,9 e 2,4 Ma in Africa orientale. Recentemente è stato fatto un tentativo di datazione del membro 4 di Sterkfontein con il metodo ERS (risonanza elettromagnetica dello spin), utilizzando lo smalto dei denti dei bovidi, ma il risultato di 2,1 ± 0,5 Ma appare un po’ recente rispetto a quanto sembrerebbe indicato dalla fauna. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.8 Le caverne di Sterkfontein 80 I resti di Australopithecus/Paranthropus robustus provengono dal membro 5 di Sterkfontein, dal membro 3 di Kromdraai, dal membro 1 di Swartkrans e da Drimolen, caratterizzati da polarità inversa e da fauna collocabile alla transizione Pliocene-Pleistocene e all’inizio del Pleistocene, quindi tra 2 e 1,5 Ma. Alcuni resti di Paranthropus dalle unità 2 e 3 di Swartkrans sono ancora più recenti e possono scendere fino a 1 Ma. Anche se numerosi problemi circa la sua esatta datazione e la sua eventuale contemporaneità, almeno a partire da un certo momento, con altre forme più avanzate di Ominidi, non possono per ora essere risolti in modo definitivo, gli esempi più notevoli di Australopithecus africanus (o gracilis), quelli di Makapansgat e Sterkfontein, databili al periodo di polarità normale di Gauss tra 2,92 e 2,6 Ma, presentano una bipedia permanente, dimostrata dal bacino di tipo umano, largo e svasato, con l’osso iliaco corto e ampio, un’incisura sciatica ben sviluppata e una spina iliaca antero-inferiore molto robusta. Altri aspetti del bacino differiscono dall’uomo, come la marcata svasatura verso l’esterno dell’osso iliaco e la proeizione in avanti della spina iliaca antero-superiore, che sembrano indicare una bipedia meno perfetta che nell’uomo. La morfologia del femore e la posizione del foramen magnum del cranio confermano la bipedia dell’Australopithecus africanus. Particolarmente importante è STS 14, poiché comprende oltre al bacino anche molte vertebre. Le vertebre lombari sono sei, una più che nell’uomo. L’altezza di questo australopiteco è calcolata intorno a 1-1,25 m; il peso sui 20-30 kg. L’Australopithecus africanus aveva ancora braccia molto lunghe – l’indice omero-femorale è in media 88 – e dita della mano e dei piedi ricurve, tutti aspetti pitecoidi che indicano una abilità di arrampicatore sugli alberi. Il cranio mostra tendenze umane più modeste: la faccia è proiettata in avanti rispetto al neurocranio, il rapporto tra neurocranio e splancnocranio è più simile a quello delle scimmie antropomorfe che non a quello dell’uomo, la capacità cranica (che oscilla tra i 370 e i 518 cm3 ) è molto bassa, ma più alta, relativamente alle dimensioni corporee, che in qualsiasi Pongide (tabella 3.2). Nonostante questi aspetti primitivi, vi sono anche caratteri morfologici più evoluti rispetto all’Australopithecus afarensis e di tipo prettamente umano: l’arcata dentaria è parabolica, la dentatura, con premolari e molari ridotti rispetto agli incisivi e ai canini, delinea per la prima volta una chiara tendenza verso l’onnivoria. Rispetto all’afarensis premolari e molari sono più grandi, e i denti anteriori un po’ più piccoli, mentre l’usura dei canini, che sono di dimensioni più ridotte, non produce margini taglienti ed è assente il diastèma canino-incisivo. Le dimensioni dei denti denunciano l’esistenza di un dimorfismo sessuale. L’ingrossamento della dentatura posteriore indica un cambiamento nella dieta, con cibo più duro da masticare. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.9 Il genere Paranthropus (Australopiteco robusto) STS 71 STS 19/58 STS 37-38 STS 5 STW 505 Makap 1 Taung 370 cm3 436 435 485 518 500 ± 20 440 81 (428) (625) Tabella 3.1 Capacità dei crani rinvenuti a Sterkfontein (tra parentesi sono riportate le stime iniziali successivamente corrette). L’analisi microscopica della superficie dei molari mostra graffiature e fossette che sembrano prodotte dalla masticazione di sottili particelle abrasive contenute in molte foglie e frutti, un modello di usura della superficie masticatoria simile a quello degli scimpanzé e dei gorilla, che come è noto si nutrono sopratutto di fogliame e frutta. Tuttavia, l’analisi della composizione chimica dello smalto dei denti condotta su quattro campioni da Matt Sponheimer e Julia Lee-Thorp, dell’università di Città del Capo, in particolare la determinazione del tasso di 13C, ha mostrato valori intermedi tra quelli dei mangiatori di frutta e inferiori a quelli degli animali che si nutrono di erbe e di carici. Il dato sembra dimostrare che gli Australopiteci non mangiavano soltanto frutta e fogliame, ma anche piante erbacee oppure animali erbivori e di conseguenza bisogna ritenere che si muovessero dagli alberi nella savana per nutrirsi di radici o di semi di qualche pianta erbacea o per praticare lo sciaccallaggio. È incerto se l’Australopithecus africanus fabbricasse strumenti, ma è molto probabile che usasse strumenti naturali, in particolare pietre naturalmente scheggiate, ossa lunghe e pesanti, denti e corna animali, bastoni di legno (la cosiddetta cultura osteodentocheratica di R. Dart o fase protoculturale), anche se nessuna conclusione definitiva è stata raggiunta su questo argomento. 3.9 Il genere Paranthropus (Australopiteco robusto) Dalle caverne con brecce ossifere del Sudafrica proviene anche un Ominide diverso dall’Australopiteco, per il quale Robert Broom coniò il termine di Paranthropus, individuando una specie robustus a Kromdraai e una specie crassidens a Swartkrans. In seguito queste due specie vennero riunite in un’unica specie attribuita al genere Australopiteco e si parlò di tipo robusto in contrapposizione al tipo gracile rappresentato dall’africanus. Più recen- c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.9 Il genere Paranthropus (Australopiteco robusto) 82 temente si è tornati ad adottare la vecchia denominazione di Paranthropus creata da Broom, ma riunendo gli esemplari di Kromdraai e Swartkrans in un’unica specie robustus. Ominidi fossili simili al Paranthropus robustus sono stati scoperti, a partire dal 1959, anche nell’Africa orientale, dapprima nel livello I di Olduvai, da cui proviene il cranio classificato da Louis Leakey come Zinjanthropus boisei, e poi in altre località, sopratuttto del Turkana. Questi esemplari sono ora riuniti in una specie ritenuta diversa da quella sudafricana, ma attribuita allo stesso genere, Paranthropus boisei. Le prime scoperte furono effettuate nel 1938 a Kromdraai da parte di un ragazzo, Gert Terblanche, e vennero a conoscenza di R. Broom che riuscı̀ ad acquistare un palato, una mandibola priva del ramo ascendente, alcuni denti e a recuperare sul luogo del rinvenimento frammenti di temporale ed altri due denti. Con questi materiali Broom potè ricostruire parzialmente un cranio. Nel febbraio del 1941 a brevissima distanza dal punto del primo ritrovamento Broom scoprı̀ una mandibola di bambino dell’età di circa tre anni, non ben conservata, ma con l’intera serie dei denti da latte tranne il primo incisivo. Venne alla luce anche una serie di ossa post-craniche: frammenti di un omero e di un’ulna, metacarpi, falangi e un astragalo. Nel 1948 Broom lavorò a Swartkrans insieme a Wendell Philipps dell’università della California. Qui furono scoperti gran parte di una mandibola, molari e incisivi superiori isolati, parte di un palato e delle ossa della faccia di un individuo probabilmente femminile. Continuando i lavori con l’assistenza di John Robinson, nell’aprile 1949 venne alla luce una mandibola e nel giugno dello stesso anno i resti di tre crani. Broom attribuı̀ questi fossili a una nuova specie, Paranthropus crassidens, che significa “quasi uomo dai grossi denti”. Nel 1992 una nuova caverna con resti di Ominidi è stata scoperta da A. W. Keyser a Drimolen, circa 7 km a nord di Sterkfontein. Fino ad ora sono stati rinvenuti più di 80 resti di Ominidi, fra cui un cranio completo anche di mandibola (DNH 7), scoperto nell’ottobre 1994, una mandibola con tutti i denti (DNH 8), diversi frammenti di mandibole e mascellari e di ossa del bacino e degli arti. Molti sono i denti isolati. La quasi totalità dei reperti appartiene al Paranthropus robustus, ma alcuni frammenti del cranio e della mandibola di un individuo giovane sono di Homo non meglio specificato. Nell’Africa orientale sono stati scoperti resti appartenenti al genere Paranthropus a Olduvai e a Peninj in Tanzania, a Chesowanja e a Ileret (Turkana orientale) in Kenya, nella valle dell’Omo e a Konso in Etiopia. I ritrovamenti dell’Africa orientale sono meglio databili di quelli sudafricani. Nel 1959 la scoperta del cosiddetto Ziniantropo nel sito FLK I dello strato I di Olduvai fornı̀ l’occasione per la prima datazione di un Ominide con il nuovo metodo del K-Ar. La sua età risultò di circa 1,7 Ma. Dal sito TK-BK c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.9 Il genere Paranthropus (Australopiteco robusto) 83 II nello strato superiore, datato tra 1,4 e 1,2 Ma, provengono altri resti di Parantropo (OH 28). Nella regione di Ileret, lungo la costa orientale del lago Turkana, R. Leakey ha scoperto tre importanti crani di Parantropo nel sito 10, databili tra 2 e 1,5 Ma (KNM-ER 406, 407 e 732). Sempre R. Leakey nel 1964 aveva scoperto a Peninj, a ovest del lago Natron, una magnifica mandibola di Parantropo in strati della formazione Humbu, databili verso 1,6 Ma. Resti di Parantropo sono stati rinvenuti nella bassa valle dell’Omo nella formazione di Shungura. Dal livello F del sito 57, datato tra 1,99 e 1,93 Ma, proviene una mandibola frammentaria e dal livello D del sito 18, datato tra 2,6 e 2,12, una mandibola quasi completa. Quest’ultima, già definita come Paraustralopithecus aethiopicus, ed ora Paranthropus aethiopicus, rappresenta una forma ancestrale del Parantropo, al pari del cosiddetto cranio nero scoperto da R. Leakey a Lomekwi nel West Turkana (KNM-WT 17000) e datato verso 2,5 Ma. I ritrovamenti dell’Africa orientale dimostrano che il genere Paranthropus ha cominciato a comparire verso 2,5 Ma e che le specie robustus del Sudafrica e boisei dell’Africa orientale erano diffuse soprattutto tra 2 e 1,5 Ma, ma hanno continuato a persistere fino a 1 Ma, dopo di che si sono estinte. Erano quindi contemporanee delle più antiche forme di Homo. La caratteristica fondamentale del Parantropo è il potente apparato masticatore, caratterizzato da molari e premolari molto grandi, di dimensioni maggiori di qualsiasi altro Ominide, da premolari molarizzati, e da una forte riduzione della dentatura anteriore: incisivi e canini sono molto piccoli sia rispetto alla dentatura iugale sia in assoluto. Correlate a questo potente apparato masticatore – lo Ziniantropo fu soprannominato nut-cracker, schiaccianoci – sono la forma e le dimensioni della mandibola, dal momento che denti grandi hanno radici grandi: l’aspetto è massiccio, con un corpo mandibolare molto robusto e ramo ascendente largo e alto. Le arcate zigomatiche sono robuste, lunghe ed espanse in fuori. La macrodontia del Parantropo richiedeva necessariamente una muscolatura di notevole robustezza: i muscoli temporali, avendo a disposizione come superficie di attacco un piccolo neurocranio, dovevano incontrarsi sulla sommità del cranio agganciandosi a una cresta ossea, mentre i masseteri richiedevano arcata zigomatica e mandibola dalla struttura massiccia. La potenza dei muscoli temporali è dimostrata dalla presenza di una cresta sagittale e quella dei masseteri dalla larghezza e robustezza delle ossa zigomatiche. Questo apparato masticatore cosı̀ potente è tipico di una dieta vegetariana coriacea. Anche l’aumento della superficie masticatoria dei molari e premolari, le loro cuspidi basse e tozze e l’aspetto piatto in seguito all’usura c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.9 Il genere Paranthropus (Australopiteco robusto) Località Stato Anno scopsigla erta Kromdraai Sudafrica1938 Kromdraai Sudafrica1941 Swartkrans Sudafrica1948 Swartkrans Sudafrica1949 DrimolenSudafrica1994 DNH 7 DNH 8 Olduvai Tanzania1959 OH 5 Olduvai Tanzania1959 OH 28 Peninj Ileret Tanzania1964 Kenya Valle delEtiopia l’Omo Lomekwi Kenya (WT) ER 406 ER 407 ER 732 Palato, mandibola, denti, frr.i temporale Mandibola di bambino, frr.i di omero e ulna, metacarpi, falangi, astragalo Mandibola, frr.i ossa facciali Mandibola, resti di 3 crani Cranio con mandibola Mandibola completa Cranio dal sito FLK I Dal sito TK-BK II Mandibola completa WT 17000 Denominazione originaria Età Paranthropus robustus 2,0 – 1,5 Paranthropus robustus 2,0 – 1,5 Paranthropus crassidens Paranthropus crassidens 2,0 – 1,0 2,0 – 1,0 Paranthropus robustus 2,0 – 1,5 Zinjanthropus boisei 1,75 1,4 – 1,2 1,6 Tre crani mandibola 84 2,0 – 1,5 Paraustralopithecus aethiopicus 2,6 – 2,12 “cranio nero” 2,5 Tabella 3.2 Ritrovamenti dell’Africa Orientale relativi a Paranthropus. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.9 Il genere Paranthropus (Australopiteco robusto) 85 indicano una dieta vegetariana comprendente non solo fogliame ed erbe, ma anche radici, tuberi e bacche. Il parantropo aveva dimensioni corporee maggiori dell’Australopithecus africanus e poteva raggiungere un’altezza di 1,5 m, e un peso di ca 40-60 kg. Anche la capacità cranica è in media maggiore di quella dell’africanus (tabella 3.3). KNM-WT 17000 KNM-ER 732 KNM-ER 406 OH 5 SK 1585 KNM-ER 1805 410 cm3 506 510 ± 10 530 530 582 Tabella 3.3 Capacità craniche calcolate su reperti di Paranthropus. Tuttavia, questo dato deve essere considerato in relazione alle maggiori dimensioni corporee. Nel complesso vi è un maggiore aumento della dimensione delle ossa facciali e della mandibola che non del neurocranio. Nel Parantropo si riscontra un chiaro dimorfismo sessuale, maggiore che nell’africanus. La cresta sagittale del cranio è tipica dei maschi (ad es. SK 46, 48, 83, KNM-ER 406 e 1805, OH 5) e risulta assente nelle femmine (ad es. KNM-ER 407 e 732, DNH 7, TM 1517). Inoltre, nei maschi le ossa della faccia hanno una forma “scodellata”, nelle femmine sono piatte. Le dimensioni dei denti, in particolare del canino superiore e del primo molare, sono maggiori nei soggetti maschili. Per quanto riguarda lo scheletro post-cranico non vi sono differenze sostanziali rispetto all’Australopithecus africanus, a parte le dimensioni e la maggiore robustezza delle ossa. Il Parantropo aveva senza dubbio una stazione eretta e un’andatura bipede, come è dimostrato dalla posizione avanzata del foro occipitale e dalla morfologia del bacino e del femore. Paranthropus robustus e Paranthropus boisei costituiscono una linea ominide divergente da quella umana e destinata a estinguersi. Da un esame statistico dei resti di Australopithecus africanus e di Paranthropus robustus risulta che nel parantropo era maggiore la mortalità infantile o in età molto giovane. Per gli esemplari di africanus da Taung, Sterkfontein e Makapansgat è stata calcolata una durata media della vita di 22 anni circa, per il Paranthropus da Swartkrans e da Kromdraai la media scende a 17 anni circa. È dimostrabile poi da fori riscontrati sulla scatola cranica (per es. a Swartkrans sull’esemplare SK 54, appartenente a un in- c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.10 Australopithecus garhi 86 dividuo giovanile) che i parantropi erano preda frequente dei felini come il leopardo. 3.10 Australopithecus garhi Le ricerche nella regione del medio corso del fiume Awash, nella depressione desertica dell’Afar (Etiopia), condotte dall’Università di Berkeley (J. D. Clark e T. White), hanno portato alla scoperta di alcuni resti di Ominidi databili a circa 2,5 Ma, un periodo ancora mal documentato in Africa orientale. I ritrovamenti sono stati effettuati nella zona di Bouri e provengono dal membro Hatayae della formazione di Bouri. Nel 1996 sono stati rinvenuti frammenti di femore e di omero di un individuo che doveva essere alto poco meno di 1,5 m; nel novembre 1997 Y. Haile-Selassie rinvenne a 275 m di distanza, sempre nella stessa formazione geologica, i frammenti del cranio di un secondo individuo, comprendenti parte della scatola cranica e del mascellare. Il cranio è stato utilizzato per definire una nuova specie, Australopithecus garhi, “l’Australopiteco della sorpresa” (garhi nella lingua Afar significa sorpresa). La sorpresa consiste nel fatto che questo Ominide possedeva molari e premolari molto grandi, ma anche incisivi e canini di dimensioni superiori a quelle di tutti gli Australopiteci finora conosciuti. Il rapporto tra la dimensione della dentatura anteriore e la dimensione della dentatura iugale è paragonabile a quello che si riscontra nell’afarensis, nell’africanus ed anche nelle più antiche specie di Homo. Il cranio presenta un marcato restringimento post-orbitario e una capacità bassa, di circa 450 cm3 . Non è possibile stabilire se ossa post-craniche e il cranio appartengano alla stessa specie, anche se la cosa sembrerebbe probabile. Il femore è più lungo di quello dell’afarensis e dell’africanus e si avvicina a dimensioni umane, mentre le dimensioni dell’omero dimostrano che questo Ominide aveva ancora braccia molto lunghe, come l’afarensis e l’africanus. Nei pressi dell’area in cui sono venuti alla luce i resti dei due Ominidi e sempre nella stessa formazione geologica, sono state trovate ossa di antilope frantumate con una pietra per estrarne il midollo. 3.11 Il significato evolutivo della bipedia Per quanto la bipedia avvicini l’afarensis e l’africanus all’uomo, le differenze con il genere Homo, pur senza considerare neurocranio e statura, sono ancora molto significative: gli Australopiteci hanno gambe relativamente corte, le articolazioni del ginocchio meno sviluppate, piedi ancora abbastanza piatti e con falangi leggermente incurvate, braccia ancora molto lunghe, spalle più c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.11 Il significato evolutivo della bipedia 87 mobili, dita della mano lunghe e ricurve. Erano, quindi, creature a stazione eretta e locomozione bipede, ma che si muovevano con un’andatura diversa dalla nostra e ancora capaci di utilizzare gli arti anteriori per arrampicarsi e muoversi rapidamente sugli alberi. La comparsa della bipedia ha segnato l’inizio di un percorso evolutivo che condurrà al genere Homo e alla nostra stessa specie. “In principio era il piede”, con questa affermazione si apre il libro “Our species”, dell’antropologo americano Marvin Harris. La differenziazione del piede dalla mano ha reso possibile l’andatura bipede al suolo, la caratteristica fondamentale di tutti gli Ominidi. Già Darwin nel 1871 aveva compreso che questo era stato il cambiamento decisivo, poiché consentiva di avere le mani libere per trasportare cibo e oggetti. “Le mani e le braccia difficilmente avrebbero potuto perfezionarsi in maniera tale da poter costruire armi o scagliare con precisione pietre e lance fino a quando fossero state utilizzate in maniera abituale per la locomozione e per sostenere il peso del corpo”. A differenza degli Ominidi, le grandi scimmie antropomorfe, scimpanzé, gorilla, orango, sono quadrumani, hanno cioè un piede prensile, che si differenzia poco dalla mano e sono perciò brachiatori o camminatori sulle nocche, non quadrupedi. L’antenato comune degli Scimpanzè e degli Ominidi non era certamente un quadrupede, sarà stato un brachiatore o un “knuckle walking”. La comparsa dell’andatura bipede, che rappresenta l’inizio della storia evolutiva degli Ominidi, si ricollega alle modifiche ambientali verificatesi in Africa verso la fine del Miocene e nel corso del Pliocene: l’areale delle foreste si ridusse e si espanse quello delle praterie erbose e della savana. In questo nuovo habitat non potevano sopravvivere brachiatori o camminatori sulle nocche, che infatti rimasero confinati nella foresta pluviale a occidente della Rift Valley. Nell’ambiente aperto della savana potevano sopravvivere soltanto primati quadrupedi, come i babbuini, oppure grandi scimmie antropomorfe che avessero adottato un nuovo modo di locomozione, la bipedia, e questi furono gli Ominidi. Il percorso dell’evoluzione è determinato non solo dalla pressione selettiva dell’ambiente, ma anche da ciò che un organismo vivente è nella sua realtà effettiva, in altri termini dal suo passato evolutivo. Poiché i nostri antenati non erano quadrupedi, ma brachiatori o camminatori sulle nocche, la via obbligata per adattarsi a vivere in un ambiente aperto come la savana era la bipedia. “Giù dagli alberi” : cfr. il romanzo di Roy Lewis, Il più grande uomo scimmia del Pleistocene, 1960, che racconta esperienze e tribolazioni di una famiglia: il padre ambizioso è proiettato verso il futuro, lo zio Vania è convinto che scendere dagli alberi sarebbe un grave errore e insiste a rimanere arboricolo. La documentazione fossile ci insegna che gli Ominidi diventarono bipedi molto tempo prima di essere dotati di un grande cervello, cioè di diventare intelligenti, ma qual è il significato della bipedia dal punto c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.11 Il significato evolutivo della bipedia 88 di vista di un migliore adattamento all’ambiente, quali vantaggi adattivi e quindi di sopravvivenza procurava la nuova forma di deambulazione? Le ossa delle dita delle mani e dei piedi ancora leggermente ricurve, la lunghezza dell’omero di poco inferiore a quella del femore, quindi braccia lunghe e gambe corte, statura ancora bassa sono tutte caratteristiche che rendono più agevole arrampicarsi velocemente sugli alberi e dimostrano che per i più antichi bipedi arrampicarsi sugli alberi era ancora estremamente importante. Ma nello stesso tempo la morfologia del femore e del bacino, l’articolazione del ginocchio e la morfologia delle ossa del piede ci parlano del fatto che gli Ominidi vissuti tra 5 e 3 Ma erano capaci di andatura bipede al suolo e che acquisirono questa capacità prima ancora di sviluppare un cervello di dimensioni maggiori rispetto a quello di una scimmia antropomorfa. Anche la dentatura aveva cominciato ad acquistare caratteristiche umane, allontanandosi per forma e dimensioni, per lo spessore dello smalto e per le dimensioni relative di alcuni denti in rapporto ad altri dalla dentatura tipica delle grandi scimmie antropomorfe. Ciò indica anche funzioni masticatorie differenti e quindi una dieta differente. Qual’è il significato evolutivo della bipedia? Quali vantaggi comporta l’acquisizione della bipedia ai fini del procacciamento del cibo, della difesa dai predatori, della possibilità di avere una discendenza più numerosa? La differenziazione del piede dalla mano vuol dire avere le mani liberate dalle funzioni della locomozione e quindi libere di manipolare, fabbricare utensili e trasportare cose e cibo, come già Darwin aveva compreso. Tuttavia, la fabbricazione di utensili comparirà soltanto dopo qualche milione di anni dalla comparsa della bipedia e inoltre abbiamo visto come i più antichi Ominidi fossero ancora legati, almeno in parte, a una vita arboricola e avessero una grande abilità e necessità di arrampicarsi sugli alberi. La bipedia non solo si è affermata prima della capacità di fabbricare utensili, ma anche prima che gli Ominidi si diffondessero nella savana. Se un primate avesse dovuto diventare bipede dopo essersi diffuso nella savana, non ne avrebbe mai avuto la possibilità, perché si sarebbe rapidamente estinto in quanto facile preda per i carnivori. La bipedia, infatti, non è il modo di locomozione più efficiente per spostarsi rapidamente in un habitat aperto, i quadrupedi sono di gran lunga più veloci dei bipedi. Nel 1981 Owen Lovejoy ha proposto una teoria sul perché della stazione eretta e della bipedia. Secondo Lovejoy il sistema di locomozione non può essere considerato separatamente da tutte le altre caratteristiche del comportamento, perché fa parte di una strategia globale di sopravvivenza ed è soltanto in quest’ottica che possiamo comprenderne il significato. Per quanto riguarda la riproduzione nel mondo animale esiste una stretta correlazione tra tasso di natalità e cure parentali: più è basso il tasso di natalità, più intense c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.11 Il significato evolutivo della bipedia 89 sono le cure parentali, e viceversa più alto è il tasso di natalità, più scarse sono le cure parentali. Le grandi scimmie antropomorfe hanno un tasso di natalità minimo, un figlio ogni cinque o sei anni, e quindi le cure parentali assumono grande importanza, perché da esse dipende la sopravvivenza dei piccoli. All’estremo opposto, gli animali che producono enormi quantità di uova, ad es. i molluschi o i pesci, non prestano alcuna cura parentale alla prole. In questo caso l’unica possibilità di perpetuare la specie è quella di produrre grandissime quantità di uova, la quasi totalità andranno perdute, ma almeno alcune potranno giungere fino alla maturità. Inoltre, c’è un rapporto anche tra basso numero di nascite e maggiori cure parentali da una parte e un cervello di maggiori dimensioni, maggiore intelligenza ed una dipendenza più prolungata della prole dai genitori dall’altra. In altre parole, piccolo numero di figli, più intense cure parentali, maggiore sviluppo del quoziente di intelligenza, infanzia prolungata e comportamenti sociali complessi sono strettamente collegati e interagiscono tra loro con un effetto di feed-back. Poiché le scoperte paleontologiche hanno dimostrato che la bipedia è comparsa qualche milione di anni prima della fabbricazione di utensili artificiali, la vecchia ipotesi che collegava locomozione bipede e fabbricazione di utensili deve essere accantonata. Le ragioni della bipedia devono essere altre. Gli scimpanzé hanno un figlio ogni 5-6 anni, perché una femmina non può allevare più di un figlio per volta. Un tasso di natalità cosı̀ basso costituisce un rischio di estinzione. Secondo Lovejoy la bipedia degli Ominidi è strettamente connessa a un maggiore tasso di natalità. Gli Ominidi hanno aumentato la natalità, le nascite sono diventate più ravvicinate e una madre è stata in grado di allevare due o tre figli per volta. Questo ha comportato una forte diminuzione della mobilità della femmina e richiesto una maggiore cooperazione sociale all’interno del gruppo. Se la femmina si sposta di meno, ha bisogno dell’aiuto del maschio per l’approvvigionamento del cibo. La spartizione del cibo consente questa nuova strategia riproduttiva. I maschi si sarebbero fatti carico di rifornire le femmine di cibo, liberandole dal gravoso compito della ricerca del cibo e consentendo loro di avere più tempo per curare la prole. Ma per trasportare il cibo e condividerlo, il maschio deve possedere l’andatura bipede e avere le mani libere. Poiché la sopravvivenza dei piccoli dipende dal livello delle cure parentali, la capacità di trasportare il cibo e di condividerlo aumenta notevolmente il livello delle cure che la madre può fornire ai figli. Se i maschi nutrono le femmine e i piccoli, l’intervallo tra le gestazioni può essere notevolmente ridotto. Ma perché mai un maschio dovrebbe approvvigionare di cibo la femmina e i suoi cuccioli? Ciò è possibile soltanto se si formano dei legami permanenti tra il maschio e la femmina e il legame di coppia presuppone altri cambiamenti significativi: la scomparsa dell’estro nella femmina, e quindi c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.11 Il significato evolutivo della bipedia 90 la scomparsa della competizione violenta tra i maschi per l’accesso alle femmine, una ricettività sessuale permanente della femmina, una differenziazione epigamica che favorisca le scelte individuali, ad es. la comparsa di un seno voluminoso nelle femmine che compensa la perdita dell’estro visibile, tipico dei primati. Da qui a dire che nasce l’amore tra l’uomo e la donna il passo è breve. Questa teoria è stata in voga per alcuni anni, ma è contraddetta da una serie di fatti. Se fosse vero che già in quest’epoca remota fosse scomparso nelle femmine l’estro, non si spiegherebbe la permanenza di un forte grado di dimorfismo sessuale, documentato dai resti fossili degli Australopiteci. Un seno femminile voluminoso, tipico della specie umana anatomicamente moderna, non può che essere in relazione all’allattamento della prole: infatti, una volta scomparso il prognatismo facciale, il neonato rischiava il soffocamento durante la suzione, quindi esiste una correlazione precisa tra seno piatto e prognatismo facciale e seno voluminoso e faccia ortognata. Il seno femminile nella nostra specie non può che essere un’acquisizione recente. Più convincenti sembrano altre teorie proposte per spiegare l’adozione della stazione eretta e della locomozione bipede da parte degli Ominidi. Verso la fine del Miocene e nel corso del Pliocene la compatta e densa foresta pluviale è andata incontro a una progressiva riduzione e frammentazione, gli spazi lasciati liberi dalla foresta sono stati occupati dalla savana boscosa, un ambiente di transizione, e dalla savana aperta. Per una specie arboricola e frugivora come i nostri antenati la riduzione degli alberi ha comportato una dispersione delle risorse alimentari in tanti nuclei separati l’uno dall’altro da spazi aperti più o meno estesi. Per ottenere la stessa quantità di cibo era necessario spostarsi frequentemente da un sito all’altro attraversando spazi aperti e per questi spostamenti la locomozione bipede a grandi passi era senza dubbio un modo di deambulazione più efficiente del camminare sulle nocche tipico dello scimpanzè e del gorilla. Col diffondersi delle praterie e delle savane a spese della foresta molte grandi scimmie antropomorfe andarono incontro all’estinzione e soltanto una specie riuscı̀ ad adattarsi alle nuove condizioni, frequentando più abitualmente il suolo e camminando velocemente su due piedi per raggiungere i gruppi isolati di alberi e i nuclei residui di foresta. La bipedia ha certamente consentito altri vantaggi, come poter trasportare cibo sugli alberi, trasportare i piccoli durante gli spostamenti, guardare al di sopra delle erbe alte della prateria per meglio controllare l’ambiente e segnalare la presenza di eventuali pericoli, diminuire lo stress termico riducendo la superficie corporea esposta alla radiazione solare. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.12 Australopithecus / Homo habilis 91 3.12 Australopithecus / Homo habilis Il periodo tra 2,4 e 1,8 Ma non è ancora ben conosciuto per quanto riguarda gli Ominidi fossili. I ritrovamenti finora effettuati sono in genere molto frammentari e manca un reperto sufficientemente completo come Lucy, Little Foot o altri Australopiteci di Sterkfontein. Dalla documentazione disponibile appare comunque chiaro che in questo periodo si è verificato il secondo grande avvenimento nell’evoluzione degli Ominidi, l’espansione della capacità cranica. Poiché l’encefalizzazione è una caratteristica fondamentale del genere Homo, gli Ominidi vissuti in questo periodo che non siano riconducibili all’Australopiteco robusto vengono classificati nel genere Homo. La più antica specie del genere Homo finora conosciuta fu definita da Louis Leakey, Philip Tobias e John Napier in un articolo pubblicato su Nature del 4 aprile 1964. L’identificazione di questa nuova specie si basava su una serie di resti frammentari rinvenuti da L. e M. Leakey nella gola di Olduvai tra il 1960 e il 1963. I resti provenivano dal Bed I e dalla parte inferiore e media del Bed II e comprendevano i seguenti esemplari: • OH 7: una mandibola quasi completa con 13 denti conservati (manca solo il secondo molare sul lato destro, mentre il terzo molare non era ancora spuntato), un molare superiore, frammenti di ossa parietali fra cui il parietale sinistro quasi completo, 21 ossa della mano e del polso, riferibili a un individuo giovane, un ragazzo di ca. 11-12 anni, rinvenuto nel 1960 nel sito FLK NN 1, parte media del Bed I, con un’età quindi di poco posteriore a 1,75 ± 0.03 Ma; • OH 8: ossa quasi complete di un piede e una clavicola di un individuo ritenuto in un primo tempo adulto, rinvenute a breve distanza di OH 7, ora si pensa che possano appartenere allo stesso individuo di OH 7; stessa età del precedente; • OH 6: un premolare inferiore, un molare superiore e frammenti di cranio dal sito FLK I, lo stesso che ha restituito il cranio di Zinjantropo, parte mediana del Bed I, datato 1,75 ± 0.03 Ma; • OH 13, soprannominato “Cinderella”: mandibola quasi completa, frammento di mascellare destro con cinque denti, frammenti della volta cranica (parietale destro e occipitale), di un individuo di ca. 15-16 anni, rinvenuti nel 1963 nel sito MNK II, nella parte mediana del Bed II, poco sopra il tufo eolico II A; la datazione è posteriore a 1,7 Ma; • OH 16: cranio parzialmente conservato con parte dei due parietali, dell’occipitale e del frontale, un frammento della parte prossimale delc 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.12 Australopithecus / Homo habilis 92 l’ulna, riferibili a un individuo in età tardo adolescenziale, ca. 15-16 anni, soprannominato “George”, rinvenuto nel 1963 nel sito FLK II, nella parte inferiore del Bed II, circa un metro al di sopra del tetto del Bed I, datato verso 1,7 Ma. In seguito, altre scoperte sono state effettuate a Olduvai. Nel sito DK I, alla base del Bed I, con una datazione intorno a 2 /1,9 Ma, Nel 1968 sono venuti alla luce i resti molto frammentari di un cranio (OH 24), che fu soprannominato “Twiggy”, industria litica olduvaiana e un circolo di pietre che secondo i Leakey furono intenzionalmente collocate per predisporre un riparo. Ben presto altri reperti fossili di Ominidi sono stati attribuiti all’Homo habilis. Innanzitutto quelli scoperti da Richard Leakey a Koobi Fora nell’East Turkana: – la mandibola KNM-ER 1802 e il cranio KNM-ER 1470, rinvenuti nel membro inferiore della formazione di Koobi Fora, 35 m sotto il tufo KBS, datato tra 1,87 e 1,60 Ma, e quindi con un’età intorno ai 2/1,8 Ma. Il cranio è stato rinvenuto nel 1972 in circa 300 frammenti sparsi in superficie e la sua posizione stratigrafica è stata stabilita in base al sedimento ancora aderente alle ossa. – il cranio KNM-ER 1813, proveniente dalla base del membro superiore della formazione di Koobi Fora, al di sopra del tufo KBS, datato tra 1,8 e 1,6 Ma. Conserva il mascellare con il palato e undici denti. Inizialmente molti studiosi non hanno accettato la nuova specie, ritenendo che l’habilis non fosse altro che un Australopiteco con una capacità cranica leggermente superiore. In effetti, le capacità craniche degli Ominidi di Olduvai sono state calcolate a partire da reperti molto frammentari. Ma in seguito la scoperta del cranio KNM-ER 1470, splendidamente conservato e di notevole capacità, ha contribuito a far accettare la nuova specie. Resti molto frammentari di Ominidi fossili rinvenuti nei depositi fluvio-lacustri delle formazioni di Shungura, nella valle dell’Omo, sono stati attribuiti a Homo habilis. Provengono dalle unità E, datata intorno a 2,12 /2,06 Ma; F, datata tra 1,99 e 1,93 Ma (una mandibola e denti isolati); G, datata tra 1,93 e 1,8 Ma (cranio L 894-1). Da tutti questi livelli proviene anche industria litica di tipo olduvaiano (siti 57, 71, 84 e 123). Nel 1985 Donald Johanson e Tim White hanno scoperto a Olduvai, nel sito DDH (Dik-Dik Hill), alla base del Bed I, frammenti di cranio, un omero, ulna, radio, femore e un frammento di tibia di un individuo femminile adulto (OH 62), che sono stati attribuiti all’Homo habilis. Per la prima volta era disponibile un buon numero di parti dello scheletro post-cranico che con i suoi caratteri ancora primitivi dimostrava che l’habilis era effettivamente molto simile all’Australopiteco gracile. Infine, nel 1992 il riesame da parte di Andrew Hill di un frammento di temporale, scoperto a Chemeron nella c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.12 Australopithecus / Homo habilis 93 regione del lago Baringo nel 1967 e datato a 2,4 Ma, ha permesso la sua attribuzione al genere Homo, mentre nel 1996 il team dell’Institute of Human Origins diretto da D. Johanson ha rinvenuto a Hadar nella regione dell’Afar in un livello geologico poco al di sotto di ceneri vulcaniche datate a 2,33 ± 0.07 Ma una mascella di Homo (AL 666-1), associata a industria litica di tipo olduvaiano. Anche una mandibola rinvenuta a Uraha nel Malawi, in un deposito datato tra 2,5 e 2,3 Ma, e un primo molare inferiore scoperto nel West Turkana (WT 42718) in un contesto datato intorno ai 2,3-2,4 Ma, sono stati attribuiti al genere Homo. Inoltre, l’Homo habilis è stato identificato anche nel Sud-Africa. Un cranio frammentario proviene dal membro 5 di Sterkfontein (STW 53) ed un altro da Swartkrans (SK 80/847). La comparsa del genere Homo è stata quindi retrodatata da 1,8 fino a 2,4 Ma, ma non è ancora chiaro se per ca. 600.000 anni vi sia stata un’unica specie di Homo, l’Homo habilis, oppure più specie, come sono inclini a ritenere molti studiosi. Infatti, gli Ominidi di questo periodo presentano molte differenze tra loro. Inizialmente interpretate come segno della persistenza di un forte dimorfismo sessuale, la maggior parte degli studiosi attualmente ritiene che costituiscano la prova dell’esistenza di almeno due specie diverse di Homo. Dal punto di vista morfologico, ed anche per quanto riguarda la sua posizione cronologica, Homo habilis rappresenta uno stadio intermedio tra le Australopithecine e l’Homo erectus. La caratteristica decisiva per includerlo nel genere Homo è la maggiore capacità cranica rispetto alle Australopitecine. Per quanto il cd. Rubicone cerebrale sia stato collocato diversamente a seconda degli autori (700 cm3 per Franz Weidenreich, 750 per Arthur Keith, 800 per Henry Vallois) e per quanto non esistano chiare linee di divisione per questo aspetto tra Pongidi, Ominidi non umani e forme più arcaiche di Homo, in considerazione del forte grado di variabilità all’interno di ogni singola specie, è comunque chiaro che con Homo habilis si è verificato un forte aumento della capacità cranica, tale da giustificare la sua inclusione nel genere Homo. I valori calcolati sono i seguenti: • OH 7: 647 cm3 secondo P. Tobias (710 secondo R. Holloway e 590 secondo M. Wolpoff) • OH 24: 594 cm3 (secondo Tobias e Holloway) • OH 13: 500 cm3 (638 secondo Tobias) • ER 1470: 752 cm3 secondo Holloway, 775 secondo altre stime • ER 1813: 510 cm3 (secondo Holloway) c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.12 Australopithecus / Homo habilis 94 La media risulta nettamente superiore a quella delle Australopitecine. Ma anche altri aspetti morfologici dimostrano che Homo habilis era un Ominide più avanzato di Australopithecus africanus: la diminuzione della dimensione dei molari, che sono di forma meno larga e più allungata, un minore prognatismo facciale, la mascella e la mandibola sono più piccole rispetto alle Australopitecine. La scoperta di parte delle ossa dello scheletro post-cranico di un individuo femminile avvenuta nel 1985 ad Olduvai (OH 62) ha dimostrato, tuttavia, che gli arti superiori erano ancora relativamente lunghi, il femore corto, la statura molto bassa. Quindi Homo habilis doveva essere ancora un agile arrampicatore degli alberi, come le Australopitecine. Che il corpo dell’Homo habilis non fosse molto diverso da quello dell’Australopiteco gracile è dimostrato anche dalle ossa della mano e del piede rinvenute a Olduvai. Le falangi di OH 7 e OH 8 non sono incurvate come quelle dei Pongidi, ma neppure diritte come quelle dell’uomo, bensı̀ presentano una moderata curvatura che li pone a un livello intermedio. La falange terminale del pollice, piuttosto larga, è più simile a quella dell’uomo che non a quella di un Pongide ed anche l’angolo formato dal pollice con l’indice mostra un grado intermedio tra quello di un Pongide e quello di un uomo. Le ossa del piede di OH 8 hanno metatarsi molto robusti e il calcagno spostato verso il lato esterno del piede invece che allineato al centro di gravità ed anche la posizione dell’astragalo indica che la trasmissione del peso del corpo al piede non avveniva come nell’uomo. Caratteri tipicamente umani sono invece la curvatura longitudinale e transversale dell’arco plantare e l’allineamento dell’alluce alle altre dita del piede. L’habilis era quindi un bipede, ma la sua andatura non era ancora del tutto simile a quella dell’uomo. Grande importanza per l’inclusione dell’habilis nel genere Homo ha avuto la scoperta che la più antica industria litica risale allo stesso arco cronologico, tra 2,4 e 1,8 Ma, e la constatazione a Olduvai dell’associazione tra questa industria litica, denominata olduvaiana, e i resti attribuiti all’Homo habilis. Da questo fatto deriva il nome attribuito alla specie, dietro suggerimento di Raymond Dart, che voleva sottolineare come questo Ominide fosse in grado di fabbricare utensili artificiali. Un altro fatto rilevante è stata la dimostrazione della coesistenza di due specie di Ominidi, l’habilis e il Parantropo, che si evolsero una accanto all’altra. Ma ormai la maggior parte dei paleoantropologi concorda sul fatto che i reperti attribuiti a Homo habilis presentano un tale grado di variabilità da non poter essere attribuiti a un’unica specie. Bernard Wood ha attribuito il celebre cranio ER 1470 e il frammento cranico del lago Baringo a una nuova specie, Homo rudolfensis, contemporanea dell’habilis. Rispetto all’habilis c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 3.12 Australopithecus / Homo habilis 95 l’Homo rudolfensis ha denti di maggiori dimensioni, la faccia notevolmente più larga e un potente apparato masticatorio e per quanto possa sembrare paradossale anche un cervello più grande. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano CAPITOLO 4 L’Homo erectus el 1891 il medico olandese E. Dubois scoprı̀ a Trinil nell’isola di Giava una calotta cranica e l’anno successivo nello stesso strato un femore che attribuı̀ a una specie intermedia tra le scimmie antropomorfe e l’uomo e che nel 1894 battezzò – utilizzando per il genere il termine creato da Haeckel – Pithecanthropus erectus. La denominazione era giustificata dai caratteri primitivi della calotta cranica, che permetteva comunque di stimare una capacità cranica di circa 900 cm3 , quindi intermedia fra quella delle scimmie antropomorfe e quella dell’uomo, e dalle caratteristiche perfettamente umane del femore che senza ombra di dubbio apparteneva a un individuo capace di stazione eretta e di locomozione bipede. Tra il 1929 e il 1937 numerosi resti fossili di un Ominide simile furono rinvenuti negli scavi di Chu Ku Tien presso Pechino e furono assegnati alla specie Sinanthropus pekinensis. Nel frattempo a partire dal 1936 e fino al 1941 si effettuarono nuove scoperte a Giava nelle località di Sangiran e Modjokerto da parte di Ralph von Koenigswald. Negli anni ’50 diversi studiosi (Weidenreich, Mayr, Le Gros Clark, Howell) sostennero che l’uomo di Giava e quello di Pechino appartenevano alla stessa specie e che inoltre non vi erano motivi per considerarli membri di un genere differente da quello dell’uomo. Venne cosı̀ definito il taxon Homo erectus, a cui saranno attribuiti anche fossili umani venuti alla luce in Africa, a Ternifine in Algeria e nella gola di Olduvai in Tanzania, nonché reperti europei di vecchia scoperta come la mandibola di Mauer. Homo erectus fu quindi considerato una specie umana diffusa in tutto il vecchio continente e intermedia tra gli Australopiteci e l’uomo di Neanderthal. A partire dal 1973 le ricerche condotte nella regione del lago Turkana portarono al rinvenimento di fossili umani attribuiti all’Homo erectus di età N c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.1 Homo ergaster ovvero i più antichi Homo erectus africani 97 considerevolmente più antica di tutti quelli in precedenza conosciuti. In seguito alcuni studiosi hanno ritenuto che queste più antiche forme di Homo erectus presentassero differenze rispetto agli esemplari asiatici tali da giustificare la loro attribuzione a una specie distinta denominata Homo ergaster, limitando quella di Homo erectus ai soli fossili asiatici, in base ai quali il taxon fu definito per la prima volta. Inoltre, anche i reperti europei attribuiti in un primo tempo a Homo erectus, come la mandibola di Mauer, il cranio e le mandibole dell’Arago o i reperti frammentari di Bilzingsleben, sono stati attribuiti a una specie distinta, che riprende la vecchia denominazione originariamente creata per la mandibola di Mauer, Homo heidelbergensis. A questa ulteriore suddivisione hanno contribuito anche le nuove importanti scoperte di Atapuerca in Spagna. Quindi, mentre un tempo si riunivano molti fossili asiatici, africani ed europei in una sola specie, ora vengono attribuiti a tre specie distinte di Homo: ergaster, heidelbergensis ed erectus. Al contrario, secondo altri autori le differenze tra reperti africani e asiatici sono espressione di una varietà geografica di una medesima specie. 4.1 Homo ergaster ovvero i più antichi Homo erectus africani Lasciando da parte le molteplici e diversificate opinioni sulla tassonomia dell’Homo erectus, è certo il fatto che esso costituisce il secondo grande stadio evolutivo del genere umano, per il quale erano in passato di uso corrente varie denominazioni, tutte equivalenti come protoantropi, arcantropi, pitecantropi. Fino a poco tempo fa si pensava che le forme più arcaiche di Homo erectus derivassero dall’Homo habilis, oggi si conoscono fossili attribuiti ad Homo erectus che sono antichi quanto l’Homo habilis e quindi questa derivazione viene messa in dubbio. I primi rappresentanti di una nuova specie del genere Homo successiva al rudolfensis e solo in parte anche all’habilis sono conosciuti finora soltanto nella regione del lago Turkana in un periodo che è compreso tra l’episodio del reversal magnetico di Olduvai (1.87 – 1.67 Ma) e il tufo Okote datato a 1,57 / 1,48 Ma. Questi resti di Ominidi umani sono stati rinvenuti nel membro superiore della formazione di Koobi Fora nell’East Turkana, che è divisa dal membro inferiore dal celebre e controverso tufo KBS, correlabile grazie alle date radiometriche e al paleomagnetismo con l’episodio di Olduvai. Al tetto del membro superiore si trovano i tufi di Karari a Koobi Fora e di Chari a Ileret, che sono stati datati a 1.32 ± 0.10 e 1.22 ± 0.01 Ma ed è in questo intervallo che sono compresi alcuni reperti come KNM-ER 3833 e a Olduvai OH 9. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.1 Homo ergaster ovvero i più antichi Homo erectus africani 98 Altri esemplari appartenenti alla stessa formazione geologica provengono dal West Turkana. I principali reperti sono: • KNM-ER 3733, un cranio frammentario, ritenuto femminile, comprendente anche parte della faccia e della mascella, ma privo della mandibola, rinvenuto a Koobi Fora nella parte inferiore del membro superiore, può avere un’età intorno a 1.7 – 1.6 Ma; • KNM-ER 1808, uno scheletro incompleto di un individuo giudicato femminile, rinvenuto in sedimenti sottostanti ai tufi di Okote a Koobi Fora (sito 103), quindi più antico di 1.48 – 1.57 Ma; • KNM-ER 730, mandibola frammentaria e frammenti di cranio rinvenuti nell’area 103, nei pressi della riva del lago, nella stessa posizione stratigrafica del precedente; – KNM-WT 15000, uno scheletro quasi completo di un ragazzo di età stimata intorno a 11-12 anni, rinvenuto nel 1984 a Nariokotome, sul lato occidentale del Turkana, in sedimenti depositatisi su un tufo datato a 1.63 Ma; • KNM-ER 992, mandibola da Ileret, sito 3, dalla parte superiore della formazione superiore di Koobi Fora; • KNM-ER 3883, un cranio comprendente tutte le orbite ma privo del mascellare, rinvenuto a Ileret nella parte superiore del membro superiore di Koobi Fora, compresa tra tufi datati a 1,48 ± 0.17 / 1,57 Ma e i tufi di Chari e Karari datati 1.32 ± 0.10 e 1.22 ± 0.01 Ma; • SK 847, cranio frammentario; • OH 9, calotta cranica scoperta nel 1960 nel sito LLK II, nel Bed II superiore di Olduvai, datato verso 1.4 – 1.3 Ma; • Konso (Etiopia), una mandibola associata a industria acheuleana, con un’età di 1.4 Ma. I reperti OH 13 e OH 14 dal Bed II medio di Olduvai, con un’età di circa 1.65 – 1.60 Ma, attribuiti da L. Leakey e P. Tobias ad Homo habilis, secondo altri autori potrebbero appartenere già ad Homo erectus arcaico. Le caratteristiche principali dei più antichi Homo erectus sono le dimensioni corporee notevolmente accresciute rispetto agli Australopiteci e all’Homo habilis e rudolfensis e paragonabili a quelle dell’uomo moderno e l’inizio di un marcato processo di encefalizzazione, cioè di aumento delle dimensioni del cervello. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.1 Homo ergaster ovvero i più antichi Homo erectus africani 99 Le ossa degli arti superiori, soprattutto quelle dell’avambraccio (ulna e radio), si accorciano, mentre il femore e la tibia si allungano un poco. Si raggiungono cosı̀ le proporzioni propriamente umane e nello stesso tempo si raggiungono anche le dimensioni dell’uomo moderno per quanto riguarda l’altezza. Il ragazzo di Nariokotome, un soggetto maschile di circa 11-12 anni, era già alto 168 cm ed avrebbe raggiunto un’altezza di poco più di 180 cm. La robustezza delle ossa è però maggiore rispetto a quella dell’uomo moderno. Il cranio diventa più lungo, l’osso frontale più ampio, le ossa craniche più spesse, la faccia più verticale, le orbite più grandi, l’apertura nasale più ampia e le ossa nasali più prominenti, cioè si forma un naso esterno come nell’uomo moderno. Il rapporto tra neurocranio e splancnocranio è ormai radicalmente cambiato rispetto alle scimmie antropomorfe e ai più antichi Ominidi come gli Australopiteci e le ossa facciali si collocano al di sotto della scatola cranica. Queste caratteristiche differenziano profondamente i primi Homo erectus da tutti gli Ominidi precedenti, compresi Homo rudolfensis e Homo habilis, e ne fanno i primi veri rappresentanti del genere Homo. Peculiare di Homo erectus è uno spesso toro sopraorbitario. La volta cranica è bassa, il frontale è separato dal toro sopraorbitario da un solco ed è sfuggente all’indietro. L’occipitale forma un angolo acuto, la squama occipitale è più grande di quella nucale e tra le due corre una protuberanza trasversale (toro occipitale), a cui si attaccavano i muscoli del collo. Le capacità craniche stimate sono riportate nella tebella 4.1. KNM-ER 3733 KNM-ER 3883 KNM-WT 15000 OH 9 848 cm3 804 cm3 (minimo) 909 cm3 (stima come adulto) 1067 cm3 Tabella 4.1 Capacità craniche stimate su alcuni reperti di Homo erectus. A partire da 1,6 Ma e forse anche un poco prima, si erano ormai sviluppate quasi tutte le caratteristiche dell’uomo moderno tranne una, quella che ci distingue da tutti gli altri animali, il nostro cervello. Il ragazzo di Nariokotome è il più completo Ominide finora rinvenuto. L’età è stata stimata inizialmente in circa 11-12 anni per il fatto che le suture craniche non erano ancora saldate e fuse, le cartilagini del femore non ancora saldate e soprattutto perché era appena spuntato il secondo molare. L’area di c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.2 L’Homo erectus in Asia 100 Broca nel cervello – uno dei centri che presiedono alle facoltà del linguaggio – era già sviluppata, ma il canale della spina dorsale è piccolo rispetto alle dimensioni dell’uomo moderno. Ciò significa che aveva una minore quantità di tessuto nervoso e quindi un controllo meno sofisticato e meno flessibile di alcuni muscoli e di alcune funzioni, in particolare è improbabile che potesse emettere i suoni articolati che caratterizzano il linguaggio umano. L’Homo erectus è il primo uomo uscito dai confini dell’Africa, come dimostra la sua diffusione nell’Asia orientale. Durante il Pleistocene medio, tra 1,0 e 0,3 Ma circa, vissero le forme classiche dell’Homo erectus, la cui diffusione viene ora a comprendere anche l’Europa. Dall’associazione più volte riscontrata tra Homo erectus e manufatti di pietra scheggiata, sappiamo che Homo erectus/Homo ergaster creò la cultura del bifacciale (o amigdala) (ritrovamenti di Olduvai, Melka Konturè e Ternifine). Poiché le culture a bifacciali sono note in Europa fin dalle fasi antiche, dobbiamo dedurre che vi furono portate da uomini appartenenti alla specie Homo erectus/ergaster. Nell’Asia orientale, al contrario, non è attestata la cultura del bifacciale, almeno durante il Pleistocene medio, e ciò può interpretarsi come prova del fatto che la diffusione degli Ominidi in Asia sia avvenuta prima che in Africa si passasse dalla pebble culture a quella del bifacciale. I più importanti reperti di Homo erectus del Pleistocene medio sono tra l’altro, per il loro numero e la loro completezza, proprio quelli asiatici, di Giava e della Cina. 4.2 L’Homo erectus in Asia 4.2.1 L’Homo erectus dell’isola di Giava Un gran numero di crani e di mandibole di Homo erectus è stato scoperto nell’isola di Giava. La loro precisa datazione è stata ed è oggetto di controversie, sia perché le possibilità di datazioni radiometriche sono minori rispetto alle formazioni geologiche dell’Africa orientale, ricche di materiali di origine vulcanica, sia perché i resti fossili non sempre sono stati rinvenuti nel corso di ricerche e scavi da parte di studiosi, bensı̀ a volte consegnati o venduti da raccoglitori locali, con conseguente grande incertezza sulla loro effettiva posizione stratigrafica. Eugène Dubois (1855-1940), lo scopritore dei primi Ominidi fossili di Giava, coltivò la passione per la paleontologia fin da bambino; dopo aver studiato medicina per sette anni, nel 1882 diventò lettore di anatomia all’università di Amsterdam, ma entrato in contrasto con il proprio professore, nel 1887 diede le dimissioni e si arruolò come sottotenente medico nell’esercito olandese coloniale. La sua scelta era stata dettata da una precisa intenzione, c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.2 L’Homo erectus in Asia 101 quella di condurre ricerche paleontologiche in Indonesia, allora sotto il dominio coloniale dell’Olanda. Nell’autunno 1887 si imbarcò con la famiglia alla volta di Sumatra, iniziando a prestare servizio presso l’ospedale militare di Pajakoemboe. Nello stesso tempo si dedicava alle ricerche di fossili nelle vicine grotte di Boea. Ben presto convinse le autorità governative a concedergli di passare alla riserva attiva e di dedicarsi a tempo pieno alle sue ricerche paleontologiche, ottenendo anche i mezzi necessari per condurle su larga scala. Nel marzo 1890 si trasferı̀ nell’isola di Giava, stabilendo la sua base a Tulang Agung e iniziò ad effettuare una serie di prospezioni del territorio per individuare i siti fossiliferi più promettenti. Ottenuti come mano d’opera i condannati ai lavori forzati e come assistenti due sergenti dell’esercito, si mise subito al lavoro. L’anno prima in una caverna presso Wadjak era stato scoperto un cranio umano fossile, Dubois vi riprese le ricerche e nel maggio 1890 scoprı̀ un secondo cranio ed altri frammenti, ma questi resti umani erano associati a fauna recente ed erano troppo moderni per costituire l’anello mancante che Dubois andava cercando. Ben presto la sua attenzione fu attirata dai depositi fossiliferi della zona del vulcano Lawu-Kukusan, attorno al quale scorrono il fiume Solo-Bengawan e il suo affluente Madiun. Nel novembre 1890 a Kedung Brubus venne alla luce un frammento di mandibola con il P3 destro e la cavità del canino. Poco a sud del villaggio di Trinil presso un’ansa del fiume Solo l’attenzione di Dubois fu attirata da un deposito dello spessore di 15 m che l’erosione del fiume aveva portato in esposizione e lı̀ concentrò le sue ricerche, iniziando gli scavi nell’agosto-ottobre 1891. Fece aprire una trincea quasi circolare di 12 m di diametro, entro cui lavoravano 50 forzati sotto la sorveglianza dei sergenti Kriele e de Winter, che ogni 1520 giorni imballavano i fossili scoperti e li spedivano a Tulang Agung, dove Dubois li esaminava e classificava. In settembre fu trovato un dente e in ottobre una calotta cranica di Ominide. Non è chiaro se Dubois fosse presente al momento della scoperta. Inizialmente egli pensò che i due reperti fossero da attribuire a uno scimpanzé fossile. I lavori furono ripresi nel maggio 1892 e continuarono fino ad ottobre. Fu aperta una nuova trincea a monte della precedente, lunga 24 m e profonda 8 m. Nel mese di agosto, nello stesso strato della calotta cranica, a circa 12-15 m di distanza, fu scoperto un femore e nell’ottobre un altro dente. Nonostante che le ricerche proseguissero nel 1893 e nel 1894 su scala ancora maggiore non fu più trovato alcun resto di Ominide. La scoperta del femore, che era di tipo perfettamente umano, fece comprendere a Dubois che la calotta e i denti non potevano appartenere a una scimmia antropomorfa, ma dovevano essere attribuiti a una creatura intermedia tra l’uomo e la scimmia, l’anello mancante ipotizzato da Haeckel. Nel 1894 Dubois descrisse il ritrovamento in un opuscolo pubblicato a Batavia, c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.2 L’Homo erectus in Asia 102 l’attuale Gjakarta, dal titolo Pithecanthropus erectus. Eine menschenähnliche Übergangsform aus Java. Rientrato in Olanda nel 1895, Dubois presentò i suoi ritrovamenti a diversi congressi internazionali: nel 1895 a Leida, nel 1896 a Berlino, nel 1898 a Cambridge. Tutti riconobbero la grande importanza della scoperta – si trattava dei primi fossili di Ominide scoperti al di fuori dell’Europa – , ma non tutti furono convinti dell’interpretazione che ne aveva dato Dubois: secondo alcuni si trattava di una scimmia antropomorfa, secondo altri di un vero membro del genere umano, altri ancora mettevano in dubbio l’associazione tra la calotta cranica, i denti e il femore. Dubois ottenne un posto di professore di mineralogia e geologia all’università di Amsterdam, ma di fronte alle critiche rivoltegli si isolò sempre di più dalla comunità scientifica, rendendo difficile la consultazione diretta dei reperti da parte di altri studiosi. Importanti scoperte di Ominidi fossili ripresero a Giava nel 1931. Il geologo ter Haar stava lavorando alla carta geologica delle colline Kendeng ed aveva posto la sua base a Ngandong, un piccolo villaggio sul fiume Solo, 10 km a nord di Trinil. Nell’agosto 1931 scoprı̀ casualmente un importante deposito ricco di fossili nella terrazza di 20 m al di sopra del fiume. Nel settembre furono condotti i primi scavi e la fauna fossile venne inviata a Bandung, sede del Servizio Geologico. Qui, W.F.F. Oppenoorth aprendo le casse trovò due crani umani e si recò quindi subito a Ngandong per un sopralluogo: al suo arrivo era già stato trovato un terzo cranio. Gli scavi continuarono nel 1932 e tra gennaio e novembre vennero alla luce altri otto crani. Nel mese di giugno, nel corso di un sopralluogo al sito, ter Haar e von Koenigswald poterono scavare personalmente il cranio n. VI, uno dei più completi. Oltre ad undici crani, furono rinvenute due tibie, ma nessun’altra parte dello scheletro e neppure una mandibola. Gli scavi di Ngandong fruttarono 25000 fossili animali, fra cui molti bufali d’acqua e buoi selvatici. La fauna appariva più recente di quella di Trinil e gli stessi resti umani mostravano di essere più evoluti rispetto al Pithecanthropus erectus. Il protagonista delle successive scoperte fu il paleontologo tedesco Gustav Heinrich Ralph von Koenigswald. Nato a Berlino nel 1903, studiò in diverse università tedesche e nel 1931 fu assunto come paleontologo dal governo coloniale olandese per la redazione della carta geologica di Giava. Nel 1934 von Koenigswald scoprı̀ il sito di Sangiran, 60 km a occidente di Trinil e ne comprese le grandi potenzialità per la ricerca di fossili umani. Sangiran era già conosciuta per la sua abbondanza di fossili ed era stata visitata anche da Dubois nel 1893. La collina di Sangiran si trova ai margini nord-occidentali del vulcano Lawu, nella valle del fiume Solo e presenta al centro una vasta depressione circolare, una conca del diametro di 4 km, come se fosse il cratere di un vulcano. Gli agenti atmosferici ed un piccolo fiume, il Kali Tjemoro, c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.2 L’Homo erectus in Asia 103 che si era aperto un passaggio attraverso la collina, avevano portato in esposizione tutta la sequenza stratigrafica, comprendente cinque unità principali: le ghiaie superiori, tufi, conglomerati e arenarie con la fauna di Trinil, le argille lacustri nere con la fauna di Djetis, uno strato di breccia vulcanica, le sabbie e argille marine di colore verde azzurro. Qui era finalmente possibile avere un quadro chiaro della successione dei depositi dalla fine del Pliocene a tutto il Pleistocene. Von Koenigswald iniziò subito le ricerche a Sangiran, ma alla fine del 1934 vennero meno i finanziamenti per la nuova carta geologica e i lavori furono interrotti. Dietro consiglio di Teilhard de Chardin, che proprio in quel periodo era di passaggio a Giava per visitare i luoghi in cui era stato scoperto il pitecantropo, von Koenigswald si rivolse alla Carnegie Institution di Washington, il cui presidente, J. C. Merriam, era un paleontologo. Divenuto Research Associate della Carnegie Institution, von Koenigswald poté riprendere i lavori nel 1937 con un congruo finanziamento e le scoperte non si fecero attendere: nel 1937 vennero alla luce prima un frammento di mandibola e poi una calotta cranica, nel 1938 l’occipitale e i parietali di un nuovo cranio, nel 1939 la parte posteriore di un cranio e parte del mascellare e della mandibola e poi un nuovo frammento di mandibola, nel 1941 il frammento di una mandibola di grandi dimensioni. La seconda guerra mondiale portò all’interruzione delle ricerche, Giava fu occupata dai Giapponesi e von Koenigswald inviato in un campo di internamento (von Koenigswald aveva la nazionalità danese). Finita la guerra, dopo un breve periodo di lavoro all’American Museum of Natural History, all’inizio del 1948 von Koenigswald accettò la cattedra di paleontologia all’università di Utrecht e fece ritorno in Olanda. Le ricerche a Sangiran continuarono solo occasionalmente: una nuova mandibola fu scoperta nel 1952 ed un’altra ancora nel 1960. A von Koenigswald si deve la formazione dei primi specialisti indonesiani di paleoantropologia, come l’antropologo Teuku Jakob e il geologo S. Sartono, che continuarono le ricerche a Sangiran. Tra il 1963 e il 1981 sono venuti alla luce quasi 30 nuovi reperti, fra cui quattro crani e una mandibola. Nuovi siti fossiliferi di Giava hanno restituito resti di Ominidi: Sambungmacan, da cui provengono due calotte craniche e un frammento di tibia, e Ngawi, dove è stata scoperta una calotta cranica nel 1988. Molto singolare è il recupero nel 1999 della calotta cranica Sambungmacan 3. Il proprietario di un negozio di minerali, fossili e cose di storia naturale in New York acquistò una partita proveniente dall’Indonesia nel marzo 1999. Ripulendo un fossile tutto incrostato di fango, si trovò tra le mani la calotta cranica di un uomo fossile. Secondo T. Jakob il cranio sarebbe stato scoperto nel 1997 tra Poloyo e Chemeng nel distretto di Sambungmacan nel corso di lavori di estrazione di sabbia dal letto del fiume Solo ed esportato clandestinamente. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.2 L’Homo erectus in Asia 104 Le formazioni pleistoceniche dell’area di Surakarta nella parte centrale dell’isola di Giava, dove sono state effettuate tutte le scoperte di Ominidi fossili, comprendono tre grandi unità, che nelle linee generali sembrano corrispondere al Pleistocene Inferiore, Medio e Superiore. Durante il Pliocene l’isola di Giava era ancora sommersa e a quest’epoca risalgono le formazioni superiori di Kalibeng, costituite da marne gialle, argille blu, argille sabbiose di colore verde azzurro, sigillate da un banco calcareo a conchiglie di Balano. La soprastante breccia vulcanica contiene ancora diatomee e conchiglie marine. Alla base delle argille blu è stato individuato un reversal magnetico che dovrebbe corrispondere al limite Gauss/Matuyama, datato a 2,45 Ma, mentre un episodio di polarità normale è presente nel banco calcareo a Balano, che dovrebbe corrispondere all’episodio di Olduvai (1,87 – 1,67 Ma). La formazione geologica successiva, denominata di Pucangan, è costituita da circa 80-100 m di argille nere di sedimentazione lacustre, suddivise in una parte medio-superiore ed in una inferiore da uno strato intermedio giallo di origine marina. La parte superiore delle argille nere ha una polarità inversa e quindi dovrebbe corrispondere ancora alla crono-zona Matuyama. Dalla formazione di Pucangan proviene una fauna fossile denominata di Djetis. Tra quest’ultima formazione e quella soprastante di Kabuh vi è uno strato di separazione (Grenzhorizont), formato da un conglomerato calcificato molto duro. Poco sotto il Grenzhorizont vi è un reversal magnetico che dovrebbe corrispondere all’episodio di Jaramillo (0,97/0,90 Ma). Gli strati di Kabuh hanno spessore variabile da 6 a 50-70 m e sono costituiti da sabbie e argille di deposizione fluviale, intercalati con arenarie e strati di tufo. Il tufo intermedio separa la parte inferiore da quella medio-superiore della formazione di Kabuh. Quest’ultima presenta polarità positiva e al tufo intermedio corrisponde un reversal magnetico che dovrebbe essere il limite Matuyama/Brunhes, datato a 0,787 Ma. Un nuovo dettagliato studio della geologia di Sangiran è stato effettuato da un’équipe indonesiana e giapponese, che ha individuato il reversal magnetico che segna l’inizio del Pleistocene medio non nel tufo intermedio ma in quello superiore. È stata inoltre stabilita la posizione stratigrafica delle tectiti, già scoperte da von Koenigswald ed utilizzata per una datazione dell’Homo erectus di Giava. Queste tectiti appartengono a uno sciame australo-asiatico originatosi dall’impatto di un grande asteroide nell’area della penisola indocinese, tra Laos e Cambogia, uno dei più recenti eventi catastrofici che hanno colpito la terra.. A seguito dell’impatto, questi oggetti di vetro sono stati proiettati nell’atmosfera e sono poi ricaduti su un’area piuttosto vasta comprendente l’Asia sud-orientale, parte dell’Oceania e l’Australia. È stato possibile datare la formazione di queste tectiti, e quindi anche dell’impatto c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.2 L’Homo erectus in Asia 105 dell’asteroide, mediante i metodi del K/Ar e dell’Ar/Ar, nonché delle tracce di fissione, che hanno fornito concordemente un’età compresa tra 710 e 830 ka. La posizione stratigrafica di queste tectiti è ben conosciuta grazie a due carote sottomarine ottenute al largo delle Filippine, nelle quali sono state rinvenute verso la fine dell’OIS 20, circa 12000 anni prima del limite Brunhes/Matuyama, reversal magnetico con cui ha inizio l’OIS 19. La posizione stratigrafica delle tectiti rinvenute a Sangiran tra il tufo superiore e quello medio ben si accorda quindi con lo spostamento del reversal dal tufo medio a quello superiore. La fauna fossile rinvenuta negli strati di Kabuh è denominata fauna di Trinil. Un limite erosivo separa la formazione di Kabuh da quella di Notoporo, costituita da sabbie e brecce vulcaniche. La polarità magnetica è normale. La fauna fossile è denominata fauna di Ngandong. Datazioni effettuate su ossa della fauna di Ngandong con il metodo dei rapporti isotopici dell’uranio hanno confermato la pertinenza al Pleistocene superiore degli strati di Notoporo. Sono controverse le datazioni ottenute con il metodo del 40 Ar/39 Ar per un orizzonte ricco di pomice vulcanica posto 2 m al di sopra del punto di ritrovamento dei crani S 27 e S 31 nelle argille nere inferiori della formazione di Pucangan: il risultato di 1,65 ± 0,03 Ma mal si accorda con lo schema geologico sopra illustrato e quindi il materiale su cui è stata effettuata la datazione potrebbe essere ridepositato, ma la stessa posizione stratigrafica dei fossili umani a Sangiran è molto incerta. Infine, è stato datato, sempre con il metodo 40 Ar/39 Ar, lo strato di breccia vulcanica di Modjokerto da cui proviene il cranio infantile rinvenuto nel 1936. Già attribuito alla base della formazione di Pucangan, era stato poi assegnato alla formazione di Kabuh per la sua polarità normale. Pomici vulcaniche provenienti da questo strato hanno dato un’età di 1,81 ± 0.04 Ma, un’età accettabile per la base della formazione di Pucangan, correlabile con l’episodio di Olduvai, ma anche in questo caso il problema non risolvibile è la effettiva provenienza stratigrafica del cranio di Modjokerto. L’ominide più antico rinvenuto a Giava sarebbe appunto il cranio infantile di Modjokerto (P V), se si accetta la sua provenienza da un’arenaria conglomeratica di origine vulcanica corrispondente alla breccia vulcanica alla base della formazione di Pucangan, provenienza sostenuta da von Koenigswald. Il raccoglitore locale autore della scoperta in un sopralluogo insieme a T. Jacob – effettuato a distanza di 39 anni – ha riconfermato questa provenienza. Secondo Sartono in base alle note prese al momento della scoperta la fauna associata al cranio sarebbe stata di tipo Trinil e non di tipo Djetis e quindi P V sarebbe da associare alla formazione di Kabuh. La datazione della breccia vulcanica alla base della formazione di Pucangan effettuata con il metodo c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.2 L’Homo erectus in Asia 106 40 Ar/39 Ar ha fornito un’età di 1,81 ± 0,04 Ma e la polarità positiva confermerebbe la correlazione con l’episodio di Olduvai. In questo caso non solo il cranio infantile P V sarebbe coevo dell’Homo habilis e dell’Homo rudolfensis, ma la migrazione dei primi Ominidi umani fuori dall’Africa avrebbe dovuto verificarsi in data ancora anteriore. Tutto ciò sembra in contrasto con le caratteristiche del cranio infantile di Modjokerto. La sua età è stata valutata da 2 fino a 5 anni ed avendo una capacità cranica di circa 650-700 cm3 , da adulto avrebbe potuto raggiungere una capacità di 800-950 cm3 (a secondo dell’età che viene assegnata al soggetto), che appare più compatibile con le forme più antiche di Homo erectus che non con Homo habilis o rudolfensis. È quindi possibile che sia più fondata l’attribuzione alla formazione di Kabuh, come sostenuto da Sartono. Dalle argille nere inferiori della formazione di Pucangan proverrebbero le mandibole S 5, S 6 e i crani S 27 e S 31, dalle argille nere medio-superiori la mandibola S 9. In realtà i fossili umani di Sangiran la cui posizione stratigrafica è stabilita con una certa sicurezza provengono dalla parte superiore della formazione di Pucangan, che è stato accertato contenere materiale più antico ridepositato e questo spiegherebbe le datazioni più antiche di 1 Ma. La polarità normale della parte superiore della formazione e il fatto di trovarsi al di sotto del cd. Grenzbank con cui inizia una polarità negativa, che caratterizza tutta la parte medio-inferiore della formazione di Kabuh, suggerisce fortemente una correlazione con l’episodio di Jaramillo, per cui nessun fossile umano a Sangiran sarebbe più antico di 1,07 Ma. La maggior parte dei fossili umani trovati a Sangiran si data quindi tra 1,07 e 0,787 Ma. Dagli strati inferiori della formazione di Kabuh provengono la calotta cranica di Trinil e quelle di Sangiran S 2, S 3, S 10, S 12, a cui andrebbe assegnata un’età verso 0,9 Ma. Dagli strati medio-superiori provengono la mandibola di Kedung Brubus e il cranio S 17, databili quindi alla fine del Pleistocene inferiore e all’inizio del Pleistocene medio, vale a dire tra 0,9 e 0,7 Ma. I dodici crani di Ngandong sono stati rinvenuti in strati appartenenti alla formazione di Notopuro, del Pleistocene superiore, tuttavia tenendo conto che i crani presentano un certo grado di abrasione superficiale, è possibile che siano stati trasportati da correnti fluviali che hanno eroso strati più antichi. Gli Ominidi fossili di Giava hanno ricevuto denominazioni differenti. Pithecanthropus erectus fu sostituito a partire dagli anni ’50 da Homo erectus. In precedenza R. von Koenigswald aveva attribuito al cranio del bambino di Modjokerto il nome di Pithecanthropus modjokertensis e F. Weidenreich designò il cranio rinvenuto a Sangiran nel 1939 come Pithecanthropus dubius. Ancora R. von Koenigswald nel 1945 classificò la mandibola rinvenuta a Sangiran nel 1941 come Meganthropus palaeojavanicus ed il termine di Megantropo c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.2 L’Homo erectus in Asia 107 è stato in seguito applicato ad altri fossili di Giava come la mandibola S 8 e i crani S 27 e 31. Sartono e/o Jacob hanno coniato il termine di Homo palaeojavanicus per indicare il Megantropo. Alcuni autori hanno visto nel Megantropo un Australopiteco robusto. Tutte queste denominazioni sono attualmente cadute in disuso e i fossili di Giava vengono tutti attribuiti a un’unica specie Homo erectus e nelle differenze di robustezza e di dimensioni che avevano portato alla definizione del Megantropo oggi si tende a riconoscere un fenomeno di dimorfismo sessuale. Inizialmente i crani di Giava sono stati designati con la sigla P (= Pithecanthropus) I-VIII e le mandibole con la sigla P A-F. Poiché la quasi totalità delle scoperte si è verificata a Sangiran, oggi si utilizza una numerazione progressiva con la sigla della località, S 1, S 2, S 3 ecc. Per orientarsi nelle vecchie e nuove denominazioni è utile uno specchietto riassuntivo dei principali reperti (tabelle 4.2 e 4.3). crani località anno Trinil Sangiran Sangiran Sangiran Modjokerto Sangiran Sangiran Sangiran Sangiran Sangiran 1891 1937 1938 1939 1936 1963 1965 1969 1979 1981 vecchie denominazioni sigle PI P II P III P IV PV P VI P VII P VIII T2 S2 S3 S4 S S S S S Pithecanthropus erectus Pithecanthropus erectus Pithecanthropus erectus Pithecanthropus robustus Pithecanthropus modjokertensis 10 12 17 31 38 Tabella 4.2 Specchietto riassuntivo dei principali reperti di Giava (crani). Per quanto in passato i numerosi resti di Ominidi rinvenuti a Giava abbiano ricevuto differenti denominazioni e collocazioni tassonomiche, la maggior parte degli studiosi è attualmente concorde nel ritenere che appartengano tutti a una sola specie, Homo erectus, nella quale è possibile riconoscere tre stadi di sviluppo. Lo stadio più antico comprende i fossili provenienti dalla parte inferiore della formazione di Pucangan, databili quindi intorno a 1,6 – 1,4 Ma. Per questo stadio non si dispone di alcun cranio completo. La parte posteriore del cranio S 31 mostra caratteri primitivi, come uno spessore molto forte (in media più di 12 mm), una carenatura sagittale che ha fatto supporre la presenza di una vera e propria cresta sagittale (in realtà la regione sagittale c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.2 L’Homo erectus in Asia 108 mandibole località Kedung Brubus Sangiran Sangiran Sangiran Sangiran Sangiran Sangiran Sangiran anno vecchie denominazioni sigle 1890 PA 1936 1939 1941 1952 1960 1973 1973 PB MA MB PC PE PF S1 S5 S6 S8 S9 S 21 S 22 Pithecanthropus erectus Pithecanthropus dubius Meganthropus palaeojavanicus Meganthropus palaeojavanicus Tabella 4.3 Specchietto riassuntivo dei principali reperti di Giava (mandibole). presenta due fratture parallele, che possono dare questa impressione, ma la presenza di un forte toro angolare sembra escludere una cresta sagittale), un toro occipitale fortemente sviluppato, una volta cranica larga e piatta. Il frammento di mandibola S 6 ha un’altezza e una robustezza fuori del comune per un membro del genere Homo, ma per il resto la morfologia è tipicamente umana (la dimensione relativa dei denti, come ad es. P4, tra l’altro con una sola radice, è la metà di M1, presenza di un rudimentale tuberculum geniale, una spina per l’inserzione dei muscoli che regolano i movimenti della lingua, compresi quelli che consentono il linguaggio). I resti di Ominidi provenienti dagli strati superiori della formazione di Pucangan (ca. 1,4 – 0,9 Ma), dal Grenzbank e dalla formazione di Kabuh (ca. 0.9 – 0,5 Ma) costituiscono lo stadio classico dell’Homo erectus di Giava. La forma del cranio presenta una volta lunga e appiattita, un frontale sfuggente, un occipitale nettamente angoloso con un forte toro trasversale, una carena sagittale, linee temporali alte, larghezza massima spostata verso il basso e verso la parte posteriore del cranio, profilo a tenda in norma occipitale, e infine un forte toro sopra-orbitario con restringimento post-orbitario del frontale e contorno birsoide del cranio in norma verticale. Soltanto S 17 conserva quasi completamente le ossa della faccia, mentre S 4 comprende la parte posteriore del cranio e il mascellare e gli si potrebbe adattare la mandibola S 1. Il mascellare S 4 presenta tratti primitivi come il diastema tra canino e incisivo, il secondo molare maggiore del primo (ma il terzo è più piccolo), il canino sporgente dalla fila dei denti. Le capacità craniche sono riportate nella tabella 4.4. Lo stadio più evoluto comprende i crani di Sambungmacan 1 e 3, quello di Nagwi, tutti senza preciso contesto geologico, e gli undici crani di Ngandong, c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.2 L’Homo erectus in Asia S4 T2 S2 S 10 S 12 S 17 109 908 cm3 940 813 855 1059 1004 Tabella 4.4 Capacità craniche stimate su reperti pertinenti allo stadio classico dell’Homo erectus di Giava. provenienti dalla terrazza di 20 m sul fiume Solo. La forma del cranio pur essendo ancora lunga mostra caratteri più evoluti: il frontale è maggiormente curvo, la volta cranica è più alta e più ampia, l’occcipitale più arrotondato. Anche la capacità cranica è decisamente aumentata, come mostra la tabella 4.5. Sambungmacan 1 Sambungmacan 3 Ngandong 1 Ngandong 6 Ngandong 12 1035/1100 cm3 917 1172 1251 1090 Tabella 4.5 Capacità craniche stimate su reperti pertinenti allo stadio più evoluto dell’Homo erectus di Giava. 4.2.2 L’Homo erectus in Cina In Cina la farmacopea tradizionale fa ricorso a “ossa di drago” (Lung Ku) e a “denti di drago” (Lung Ya), che non sono altro che ossa e denti fossili, che vengono ridotti in polvere e utilizzati per preparare pozioni medicamentose. Questa tradizione ha alimentato lo scavo e il commercio dei fossili. Nel 1903 Max Schlosser pubblicando la collezione di fossili formata dal naturalista tedesco K.A. Haberer con l’acquisto di ossa e denti di drago nelle drogherie cinesi, segnalò la presenza di un molare superiore di Ominide. Era la prima prova dell’esistenza di un uomo fossile in Cina. Lo svedese J. G. Andersson, geologo poi dedicatosi anche all’archeologia e stabilitosi a Pechino nel 1914 come esperto minerario al servizio del governo cinese, nel 1921 iniziò scavi alla ricerca di resti fossili nella collina Chi Ku San (osso del pollo) nei pressi del villaggio di Chu Ku Tien, 42 km a sud-ovest di Pechino. Durante un sopralluogo i locali gli segnalarono un’altra collina dalla parte opposta, dove c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.2 L’Homo erectus in Asia 110 era possibile trovare fossili di maggiori dimensioni, Lung Ku San, ovvero collina osso del drago. Andersson trasferı̀ subito gli scavi in questa collina. Il materiale raccolto sotto la direzione del connazionale dr. Otto Zdansky, paleontologo, fu poi trasferito in Svezia per essere classificato e studiato. Soltanto nel 1926, in occasione di una riunione per la visita del principe ereditario di Svezia a Pechino, Zdansky rese noto il fatto che tra i fossili provenienti da Chu Ku Tien erano stati trovati due denti umani. Il ritrovamento destò un fortissimo interesse nel dr. Davidson Black (18841934), professore di anatomia all’Union Medical College di Pechino, un’istituzione sovvenzionata dalla fondazione Rockfeller. Black, dopo aver studiato in Canada, suo paese natale, e in Inghilterra con il prof. Elliot Smith, si era trasferito in Cina e coltivava una vera passione per la ricerca dell’uomo fossile. Aveva già effettuato scavi senza successo in alcune grotte in Cina e nel Siam. Egli convinse l’istituto Rockfeller a sovvenzionare con larghezza di mezzi gli scavi a Chu Ku Tien per due anni. I lavori sul campo erano condotti dal dr. B. Bohlin. La prima campagna si svolse nel 1927 e portò alla scoperta di un molare inferiore di Ominide, non molto distante dal punto in cui erano stati ritrovati gli altri due da O. Zdansky. In base a questo solo ritrovamento Black definı̀ una nuova specie, Sinanthropus peckinensis, letteralmente uomo cinese di Pechino. Nonostante che dopo due anni di scavi i resti umani ritrovati fossero nel complesso piuttosto modesti (frammenti di mandibole, un frammento di omero, altri denti, frammenti di frontale e di parietale), Black riuscı̀ a convincere la fondazione a creare a Pechino un centro studi per le ricerche geologiche e paleontologiche in Cina (Cenozoic Research Laboratory), rinunciando per parte sua all’ambizioso progetto di una spedizione svedese-americana-cinese nel Turkmenistan. Bohlin, partito per il Turkmenistan, fu sostituito nella terza campagna, quella del 1929, dal dr. C. Pei Wen-Chung, a cui si deve la scoperta della prima calotta cranica completa, che venne ufficialmente presentata a una riunione della Società Geologica della Cina il 28 dicembre dello stesso anno. In questo periodo giunse a Pechino il padre Pierre Teilhard de Chardin, che collaborò agli scavi e alle ricerche a Chu Ku Tien. Gli scavi continuarono ogni anno. Il 14 marzo 1934 il dr. Black morı̀ improvvisamente per un infarto e la direzione delle ricerche fu assunta da Teilhard de Chardin. Nel 1935 fu chiamato come Visiting Professor di anatomia all’Union Medical College e come direttore del Laboratorio il prof. Franz Weidenreich (1873-1948). Weidenreich aveva studiato con il prof. Schwalbe in Germania ed era stato professore a Strasburgo, Heidelberg e Frankfurt an Main. Nel 1933 quando il nazismo salı̀ al potere in Germania, Weidenreich si trovava negli Stati Uniti per una serie di conferenze e decise di non rientrare in Germania. Ottenne un incarico come professore all’università di Chicago e nel c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.2 L’Homo erectus in Asia 111 1935 accettò l’offerta che veniva da Pechino. Weidenreich continuò l’opera di Black e si accinse a studiare accuratamente l’ingente materiale paleoantropologico che era andato accumulandosi con le campagne di scavo. La situazione politica della Cina costrinse ad interrompere gli scavi nel 1937 e Weidenreich si dedicò al completamento degli studi nel Laboratorio. Nel 1941 lasciò la Cina per gli Stati Uniti, portando con sé i calchi dei fossili e tutta la documentazione. Nel dicembre del 1941 i fossili, che erano custoditi al Cenozoic Research Laboratory di Pechino, furono presi in consegna, dietro richiesta cinese, da un reparto di marines dell’ambasciata americana a Pechino, che doveva imbarcarsi a Chinwangtao sulla President Harrison che navigava al largo della Cina. Nel frattempo – era il 7 dicembre 1941 – avvenne l’attacco giapponese a Pearl Harbour e il reparto americano, arrivato a Chinwangtao fu fatto prigioniero dai giapponesi. Da questo momento nessuno ha più visto i fossili di Chu Ku Tien e nessuno è in grado di dire che fine abbiano fatto. Ad occidente di Pechino si trovano le colline occidentali, una serie di bassi rilievi con direzione nord-est – sud-ovest. Si tratta di una zona ricca di cave di pietra, di miniere di carbone ed anche di templi (gli otto Grandi Templi). Ai piedi di queste colline, 42 km a sud-ovest di Pechino, abbiamo il piccolo villaggio di Chu Ku Tien. La collina “Ossa del drago”, costituita da roccia calcarea, è subito a nord del villaggio. Lungo la sua fronte settentrionale erano state aperte cave di pietra che avevano portato in esposizione i depositi di riempimento delle caverne e delle fenditure prodotte dall’azione delle acque sul calcare. La caverna maggiore (località 1) appariva ormai come un’ampia e profonda fenditura aperta sul versante settentrionale per una lunghezza di 140 m e riempita da depositi della potenza di una cinquantina di metri, su una profondità di 40 m a est e di soli 2,5 m ad ovest. L’entrata originaria della caverna doveva essere rivolta verso nord-est e il soffitto era già in gran parte crollato in età pleistocenica. Nel deposito (tabella 4.6) sono stati riconosciuti 17 strati principali. Alla base del terzo strato a partire dall’alto vi sono grossi blocchi di crollo. Tra lo strato 7 e 8 un crostone stalagmitico divide la parte superiore da quella inferiore del deposito. Gli strati dall’11 in poi si trovano solo in un diverticolo verticale profondo almeno una ventina di metri. Il deposito è costituito prevalentemente da brecce, limi, sabbie e ghiaie, che comprendono molte lenti di ceneri, anche di considerevole spessore, e abbondante fauna fossile. Lo strato 13 ha polarità negativa ed è quindi anteriore a 787 ka (limite Brunhes/Matuyama). Nello strato 7 è stato riscontrato un reversal megnetico, che in un primo momento si è ritenuto potesse corrispondere all’episodio di Biwas III, datato 390 ka, ma che alla luce delle ultime datazioni radiometriche dovrebbe essere più antico. Le analisi polliniche indicano che gli strati c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.2 L’Homo erectus in Asia 112 11-13 si sono depositati in un periodo con freddo in aumento e NAP > AP; gli strati 8-10 indicano un periodo temperato caldo; lo strato 7 si è deposto in un periodo più caldo dell’attuale, lo strato 6 segna un picco di freddo, lo strato 4 è temperato caldo, mentre negli strati superiori la temperatura appare in netta diminuzione. I primi resti umani compaiono con lo strato 11, da cui provengono i crani 2 e 3, e poi si trovano in quasi tutti gli strati tranne lo strato 6, che però ha restituito un focolare con ceneri, e nei primi due. La maggiore frequenza di resti umani si ha negli strati 8-9, al di sotto del crostone stalagmitico, e negli strati 3 e 4. Una prima serie di datazioni ottenute con diverse tecniche (serie dell’uranio, tracce di fissione, termoluminescenza, risonanza elletromagnetica) sembrava indicare che il deposito risaliva nel suo insieme al Pleistocene medio, fatta eccezione per gli strati più bassi, a partire dallo strato 13, che però non avevano restituito resti umani. Le più recenti datazioni radiometriche indicano, invece, che il deposito risale al Pleistocene Medio soltanto per la parte posteriore al crostone stalagmitico che separa gli strati 7 e 8 e che di conseguenza tutti i resti umani provenienti dagli strati 8-11 debbono essere datati al Pleistocene inferiore, forse tra l’episodio di Jaramillo (1,07 Ma) e il limite Brunhes/Matuyama (0,787 Ma). c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano cranio IV, fr.o di mandibola caldo secco 13 c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano Tabella 4.6 Stratigrafia della caverna maggiore della collina “Ossa del drago”, nei pressi del villaggio di Chu Ku Tien. erosione freddo crani II e III 12 polarità negativa ESR 578 11 freddo caldo 10 FT 462 ± 45 TL 417-592 10 cranio XIII, una mandibola temperato fresco ESR 418 caldo 9 crani VI, X, XI, XII e tre mandibole U/Th > 300 8 crostone caldo Reversal magnetico (limite Brunhes/Matuyama ?) temperato caldo 7 486 +34 – 28 524 +104 – 61 cranio I freddo FT 299 ± 55 TL 292 ± 26 TL 312 ± 28 freddo, alla base grossi blocchi di crollo, OIS 12 ? 6 5 4 3 cranio V, due mandibole temperato 421+100 – 40 414 ± 13 256 + 62/-40 260 + 80/-50 clima 2 resti umani fresco e secco nuove date radiometriche U/Th 230 + 30/-23 Prime date radiometriche 1 strati 4.2 L’Homo erectus in Asia 113 4.3 Il significato evolutivo dell’Homo erectus 114 Già von Koenigswald e Weidenreich avevano riconosciuto le strette affinità tra Pithecanthropus erectus e Sinanthropus pekinensis e la appartenenza di entrambi al genere Homo. In seguito furono attribuiti a una sola specie, Homo erectus. Dopo la fine della seconda guerra mondiale le ricerche condotte in Cina hanno portato alla scoperta di nuovi documenti riferibili all’Homo erectus in diverse località. Nel 1964 nella collina di Gongwangling, 17 km a est della città di Lantian nello Shaanxi, sono stati rinvenuti una calotta cranica, frammenti di mascellare e di mandibola, in uno strato di argilla limosa grigia laminata dello spessore di 2,6 m. La fauna e le analisi polliniche indicano un clima più caldo dell’attuale e la polarità negativa attribuisce lo strato al Pleistocene inferiore con un’età maggiore di 787 ka. E’ questo il più antico Ominide finora rinvenuto in Cina. Un cranio completo, privo della faccia, un frammento di mandibola e una serie di denti sono stati scoperti nel 1980 nella grotta Longtandong, sul versante settentrionale dei monti Wanjiashan, nello Hexian. Il deposito di riempimento della grotta risale al Pleistocene Medio e lo strato da cui provengono i resti umani è stato datato a 194 ± 16 ka con la TL e tra 150 e 270 ka con l’U/Th. Due crani piuttosto deformati sono stati scoperti nel 1989 e nel 1990 in un terrazzo del fiume Quyuan nello Yunxi, insieme a industria litica scheggiata e a fauna della parte centrale del Pleistocene medio. Nel 1993 nella caverna Tangshan presso Nanjing, 250 km a nord-ovest di Shanghai, sono venuti alla luce due crani di Homo erectus, uno M ed uno F. Mentre in un primo tempo erano stati datati 150 ka, è stata recentemente effettuata la datazione U/Th dello strato di calcite al di sotto del quale sono stati rinvenuti i due crani. La datazione è stata effettuata all’università del Queensland dal prof. Ken Collerson utilizzando una nuova spettrometria di massa a ionizzazione termica. E’ risultato che i crani sono più antichi di 580 ka e probabilmente hanno un’età minima di 620 ka. In conclusione, le più recenti datazioni indicano che l’Homo erectus in Cina è più antico di quanto finora comunemente ammesso e nello stesso tempo l’idea che l’Homo erectus nelle sue forme tipiche fosse presente in Cina fino ad epoche relativamente recenti, quali ad es. 250 ka, deve essere abbandonata. 4.3 Il significato evolutivo dell’Homo erectus L’Homo erectus, dalle forme africane più arcaiche, il cd. Homo ergaster, a quelle asiatiche – secondo alcuni l’Homo erectus “stricto sensu” – e a quelle europee, il cd. Homo heidelbergensis, si caratterizzano principalmente per l’acquisizione di una corpo sostanzialmente di tipo umano in senso moderno, c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.3 Il significato evolutivo dell’Homo erectus 115 e di un cervello di maggiori dimensioni rispetto a tutti i precedenti Ominidi, anche se ancora inferiori rispetto all’umanità attuale. Sono, quindi, uomini a capacità cranica ridotta, in altre parole non erano più Ominidi simili a una scimmia antropomorfa, ma neppure uomini come noi. Il processo di encefalizzazione che osserviamo in Homo erectus si accompagna anche ad una più prolungata dipendenza della prole dai genitori. Nelle scimmie antropomorfe il periodo di dipendenza dalla madre, l’età dello svezzamento, il periodo di sviluppo infantile e giovanile e l’età di raggiungimento della maturità sono molto più rapidi che non nell’uomo e questa differenza dei ritmi di sviluppo è dimostrata dai differenti modelli di eruzione della dentatura permanente e dal diverso tasso di accrescimento del cervello dopo la nascita. Una più prolungata dipendenza della prole dai genitori è strettamente correlata alla necessità di un più prolungato periodo di apprendimento: è l’apprendimento del linguaggio, della cultura e delle complesse regole della vita sociale che consente all’individuo di diventare adulto e di sopravvivere. Poiché tutti gli aspetti che regolano il cosiddetto corso di vita, cioè le varie tappe del ciclo vita-morte, sono correlati tra loro, la conoscenza del modello di eruzione della dentatura permanente può consentire inferenze anche su altri aspetti del ciclo, come dimensioni del cervello, età di raggiungimento della maturità sessuale e perfino longevità media. Nelle scimmie antropomorfe il primo molare permanente della mandibola spunta tra i 3 e i 4 anni, nell’uomo soltanto tra i 5 e i 7 anni. Nelle antropomorfe tra 5 e 7 anni sono spuntati i due incisivi e tra 5,5 e 7 anni il secondo molare, tra 5,5 e 8,5 anni i due premolari, mentre il canino spunta soltanto tra 6,5 e 9 anni, il terzo molare è l’ultimo dente a spuntare tra 8,5 e 11 anni. Nell’uomo il modello è differente sia per quanto riguarda la durata del periodo di formazione della dentatura permanente sia per quanto riguarda l’ordine con cui i denti spuntano. Anche nell’uomo M1 è il primo dente permanente a spuntare e M3 l’ultimo, ma l’ordine degli altri denti è differente, in particolare il secondo molare spunta solo dopo il canino e i premolari tra i 10 e i 14 anni, mentre nelle antropomorfe M2 spunta prima dei premolari tra 5,5 e 7,5 anni. Il terzo molare spunta molto tardi, tra i 15 e i 22 anni. In base ai dati finora acquisiti possiamo dire che il modello di sviluppo della dentatura permanente nei più antichi Ominidi come gli Australopiteci, era sostanzialmente simile a quello delle scimmie antropomorfe, mentre l’Homo erectus si trova in una posizione intermedia: il primo molare nel ragazzo di Nariokotome era spuntato intorno a 4,6 anni, in media un anno più tardi che nelle antropomorfe e nell’Australopiteco, ma un anno prima che nell’uomo; il secondo molare era spuntato verso i 9 anni, in media 2,5 anni dopo che in un antropomorfa e 2-3 anni prima che nell’uomo attuale. Tutti gli altri denti erano già spuntati prime del secondo molare tranne che il dente del c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.3 Il significato evolutivo dell’Homo erectus 116 giudizio, esattamente come nell’uomo ma diversamente dalle antropomorfe e dagli Australopiteci. Altri aspetti dimostrano che Homo erectus era realmente intermedio tra i più antichi Ominidi e l’uomo moderno: ad es., la riduzione del dimorfismo sessuale, che è ancora molto forte nei più antichi Ominidi, mentre ora rientra nei valori prossimi a quelli dell’uomo attuale. Ciò significa che presso l’Homo erectus la competizione violenta tra i maschi per accedere all’accoppiamento con le femmine doveva essere diminuita o scomparsa del tutto. Un altro aspetto importante che collega l’Homo erectus all’umanità attuale è la forma della cassa toracica. Le antropomorfe e i più antichi Ominidi, come l’Australopiteco e lo stesso Homo habilis, avevano costole a sezione arrotondata e una cassa toracica a forma di imbuto, stretta in alto e molto larga in basso. Questa forma è in relazione alle dimensioni molto grandi degli intestini. L’uomo, invece, ha costole a sezione appiattita e una cassa toracica a forma di botte, con intestini di dimensioni ridotte. Gli intestini molto grandi sono tipici degli animali che hanno una dieta vegetariana, perché devono digerire una grande quantità di cibo vegetale. I carnivori hanno intestini più piccoli. L’uomo moderno è onnivoro ed ha intestini che sono più piccoli rispetto a quelli delle scimmie antropomorfe. Lo scheletro di Nariokotome ha permesso per la prima volta di comprendere con precisione che il corpo dell’Homo erectus era fondamentalmente simile a quello dell’uomo moderno – a parte la robustezza – tanto per le dimensioni quanto per la forma. La gabbia toracica è di tipo umano e di conseguenza bisogna ritenere che anche la dieta non fosse più esclusivamente vegetariana. Questi fatti, più l’accertato allungamento del periodo di dipendenza infantile, dimostrano che il modo di vita dell’Homo erectus si era allontanato da quello dei più antichi Ominidi e aveva imboccato una strada che andava nella direzione dell’umanità attuale. Dal punto di vista culturale l’Homo erectus africano ed europeo è l’autore di una industria litica, denominata acheuleana, che si contraddistingue per la produzione di bifacciali, a volte accuratamente ed elegantemente lavorati. Questa industria compare per la prima volta in Africa circa 1,5 Ma e per più di 1 Ma permane più o meno inalterata, senza apprezzabili cambiamenti. I ritmi dell’evoluzione tecnologica furono quindi straordinariamente lenti. Molto controversa è la questione se l’erectus fosse capace di controllare ed utilizzare il fuoco. Prove sicure in questo senso mancano prima di 500 – 400 ka, quindi è possibile che soltanto le più tarde ed avanzate forme di Homo erectus abbiano imparato a controllare il fuoco, una delle maggiori conquiste culturali dell’umanità. Le lentezze dell’evoluzione culturale dell’erectus, anzi la sua sostanziale staticità, indicano abbastanza chiaramente che le capacità intellettive e linc 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.4 Il comportamento culturale dei più antichi membri del genere Homo 117 guistiche, per quanto dovessero essere notevolmente superiori a quelle delle scimmie antropomorfe, dovevano essere ancora ben lontane da quelle dell’umanità moderna. A questo punto, considerando gli alti costi in termini metabolici richiesti all’organismo per mantenere un cervello di grandi dimensioni – e quello dell’erectus era tale rispetto non solo alle antropomorfe ma anche ai primi Ominidi – , ci si può domandare quale fosse il vantaggio evolutivo di questa prima importante tappa del processo di encefalizzazione. Una maggiore intelligenza significa maggiore capacità di elaborare informazioni e maggiore capacità di interazioni sociali e ciò comporta una più elevata capacità di sfruttamento delle risorse dell’ambiente e una più alta probabilità di sopravvivenza. L’aumento delle dimensioni del cervello deve essere stato strettamente correlato anche alla capacità di percorrere rapidamente lunghe distanze. Spostarsi più rapidamente significa percorrere più ampi spazi e avere maggiori probabilità di trovare cibo, ma anche – in un ambiente tropicale come quello della savana – andare incontro al rischio di uno stress termico. Per evitare questo rischio l’Homo erectus ha sviluppato un nuovo modo per mantenere la temperatura corporea stabile. Innanzitutto, la stazione eretta e l’andatura bipede riducono la superficie corporea colpita direttamente dalla radiazione solare, ma di per sé non erano sufficienti: per poter percorrere velocemente lunghe distanze nella savana è stato necessario acquisire un sistema di termoregolazione basato sulla perdita del mantello peloso, l’aumento delle ghiandole sudoripare e un’abbondante sudorazione. Per riprendere il titolo di un celebre libro di un antropologo, Desmond Morris, l’Homo erectus ha cominciato a diventare una “scimmia nuda”. L’evaporazione del sudore abbassa la temperatura corporea e produce un effetto refrigerante. Grazie a questo meccanismo era possibile aumentare senza rischi il livello di attività in un ambiente tropicale. Secondo il biologo polacco Konrad Fialkowski anche l’aumento delle dimensioni del cervello ha contribuito a diminuire il rischio di stress termico per gli uomini che si erano adattati a vivere nella savana1 . 4.4 Il comportamento culturale dei più antichi membri del genere Homo A partire da 2,4 Ma compaiono in Africa orientale le più antiche industrie litiche, in particolare a Kada Gona nella zona dell’Hadar (sito 72) (regione dell’Afar in Etiopia) e nella valle dell’Omo, sempre in Etiopia (siti 71 e 84 1 K. Fialkowski, A Mechanism for the Origin of the Human Brain: A Hypothesis, in Current Anthropology, 27, 1986, pp. 288-290; ID., On the Origin of the Human Brain: Preadaptation versus Adaptation, in Current Anthropology, 28, 1987, pp. 540-543. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.4 Il comportamento culturale dei più antichi membri del genere Homo 118 nel membro E, siti 57 e 123 nel membro F), oltre che nel Turkana occidentale (formazione di Nachukui). Anche se si tratta di piccoli ciottoli scheggiati e di schegge, ancora poco caratterizzati dal punto di vista morfologico e tecnologico, costituiscono i primi strumenti artificiali fabbricati da un Ominide, che si ritiene fosse l’Homo habilis. L’industria olduvaiana, rinvenuta in diversi livelli del Bed I di Olduvai, datato tra 1,9/1,85 e 1,7 Ma, e a Koobi Fora nel tufo KBS (1,88 – 1,7), è caratterizzata da choppers, poliedri, pezzi sferoidali, schegge ritoccate e denota un nuovo grado di complessità culturale. Dagli stessi livelli che hanno restituito l’industria olduvaiana provengono due Ominidi, il Paranthropus boisei e l’Homo habilis, ma si ritiene che solo quest’ultimo sia l’autore dei manufatti litici. L’Olduvaiano è ora attestato anche a Dmanisi in Georgia, unitamente a consistenti resti di Homo erectus arcaico, in un contesto datato verso 1,7 Ma. Sempre ad Olduvai, dal Bed II inferiore e medio, tra 1,7 e 1,6 Ma, proviene l’industria dell’Olduvaiano evoluto, che accanto al persistere dei tipi precedenti di manufati, si caratterizza per l’aumento degli sferoidi e dei chopping-tools e la comparsa dei primi proto-bifacciali. Dal Bed II inferiore e medio provengono resti di Ominidi attribuiti ancora a Homo habilis (OH 16, 13, 14), ma a Koobi Fora livelli della stessa età hanno restituito i primi esemplari di Homo ergaster/erectus (cfr. ER 3733). A partire da 1,5/1,4 Ma si diffondono le industrie a bifacciali dell’Acheuleano inferiore, che sono associate all’Homo ergaster/erectus. Sia l’Olduvaiano che l’Olduvaiano evoluto e l’Acheuleano inferiore sono spesso associati a grandi quantità di ossa animali, specialmente erbivori, e di pietre. Sull’interpretazione di questi accumuli è stato formulato un ampio ventaglio di proposte. L’ Homo habilis e l’Homo ergaster/erectus erano cacciatori oppure erano scavangers in competizione con iene ed avvoltoi? La risposta a questa domanda può venire, oltre che dalle considerazioni sulle implicazioni relative al modo di sussistenza che l’anatomia dei più antichi rappresentanti del genere Homo presuppone, anche e sopratutto dall’archeologia. Il modo di vita tipicamente umano prima della rivoluzione neolitica è quello dei cacciatori-raccoglitori. Poiché l’apparizione delle prime industrie litiche coincide con la comparsa dei primi segni di un processo di espansione delle dimensioni del cervello e del nuovo genere Homo, e l’associazione tra utensili artificiali e accumuli di ossa, si è pensato inizialmente che questi siti corrispondessero a campi-base in cui veniva portato cibo vegetale e carne per spartire il cibo tra i vari membri del gruppo sociale. Gli scavi di Olduvai, condotti da Louis e Mary Leakey, hanno fornito la prima importante documentazione di paleosuperfici con accumuli di industria litica e ossa spezzate di diverse specie di erbivori. Mary Leakey ha interpretato questi ritrovamenc 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.4 Il comportamento culturale dei più antichi membri del genere Homo 119 ti come siti di macellazione (ad es. il sito FLK N 6, del Bed I superiore, con resti di elefanti) o come superfici di abitato pertinenti a un campo-base degli antichi Ominidi, che avevano acquisito un comportamento da cacciatoriraccoglitori (ad es. i siti DK 3 del Bed I inferiore; FLK NN 1 e 3 e FLK del Bed I medio, FLK N 1-2 del Bed I superiore). Il sito FLK I ha restituito 40000 ossa e 2647 pietre scheggiate. Un cerchio di pietre nel livello I inferiore del sito DK3 sarebbe stato la base di una capanna costruita con ramaglie e frasche. Non viene neppure escluso l’uso del fuoco. Fino alla metà degli anni ’70, partendo dal presupposto che la caccia era la fondamentale forma di adattamento dell’uomo all’ambiente, il comportamento dei primi membri del genere Homo era considerato completamente umano. La teoria della caccia fu consacrata al convegno della Wenner-Gren Foundation a Chicago nel 1966, Man the Hunter, e l’adozione di un modo di sussistenza basato sulla caccia sarebbe stata la principale forza direttrice dell’evoluzione degli ominidi umani. Verso la metà degli anni ’70 con Glynn Isaac, che ha condotto ricerche nei siti del Turkana orientale, muovendosi inizialmente nell’ottica delle concezioni di Mary Leakey, comincia a manifestarsi una nuova impostazione del problema del comportamento dei primi membri del genere Homo. Isaac ha definito tre tipi di siti: • tipo A, siti in cui si trova industria litica, ma scarsi resti animali. Sarebbero delle officine litiche, luoghi in cui si fabbricavano gli strumenti di pietra scheggiata. • Tipo B, siti in cui l’industria litica è associata ai resti ossei di un solo animale, in genere di grandi dimensioni. In questo caso si tratterebbe di siti in cui gli Ominidi sfruttavano le carcasse di animali morti di morte naturale o abbandonate dai predatori, macellandole e asportando le diverse parti. • Tipo C, siti caratterizzati da accumulo di industria litica e di ossa di animali diversi, che costituivano i campi-base degli Ominidi, in cui i maschi trasportavano i resti animali e le donne i prodotti della raccolta (frutti, semi, vegetali commestibili). Nel campo-base si praticava la spartizione del cibo. La nuova proposta di G. Isaac è la teoria della spartizione del cibo, teoria con la quale l’accento viene messo non tanto sull’uomo cacciatore quanto sulla capacità di cooperazione, che è un aspetto ben più fondamentale della condizione umana che non la caccia. La spartizione del cibo portato quotidianamente al campo-base, luogo sociale per eccellenza, implica una grande c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.4 Il comportamento culturale dei più antichi membri del genere Homo 120 capacità di cooperazione tra tutti i membri del gruppo. Se poi la carne fosse ottenuta per mezzo della caccia o piuttosto per mezzo di un’attività di sciaccallaggio rimaneva una questione difficile da risolvere. Per una corretta interpretazione dei siti con accumulo di ossa animali e utensili artificiali è indispensabile che siano condotti scavi scientifici molto accurati. Il sito 50 di Karari, nella pianura alluvionale a est del lago Turkana, scavato da Glynn Isaacs negli anni 1978-1980, è uno di questi siti, scelto per dare risposta agli interrogativi precedentemente posti ed è stato da subito al centro del dibattito. Ubicato nei pressi di un fiume con andamento meandreggiante, lungo le cui rive crescevano alberi e cespugli, vi è stata portata alla luce una paleosuperficie di circa 200 m2 , risalente a 1,5 Ma, quindi all’epoca dei più antichi Homo ergaster/erectus. Sono stati recuperati 2000 frammenti di ossa animali e 1500 reperti di pietra lavica. L’industria litica appariva concentrata in due “aree di attività”. È stato possibile operare qualche refitting e questo fatto indica che gli utensili erano stati fabbricati in loco, sfruttando i ciottoli di lava. Le ossa non soltanto erano state spezzate a colpi di pietra per aprirle, ma recavano anche segni di taglio prodotti dal margine tagliente degli utensili di pietra. I segni di taglio lasciati sulle ossa indicano un’attività di macellazione. Le ossa animali erano state portate in quel luogo dagli uomini e tutta l’area scavata è interpretabile come un campo-base temporaneo di un piccolo gruppo di una dozzina di individui. L’ipotesi centrale formulata da Glynn Isaacs è quella della spartizione del cibo e della divisione del lavoro tra maschi e femmine: i primi si dedicavano alla ricerca della carne, le femmine praticavano la raccolta del cibo vegetale e probabilmente anche di larve di insetti e uova di uccelli. L’ipotesi della spartizione del cibo presuppone non solo una divisione del lavoro, ma un contesto sociale del tutto diverso da quello delle scimmie antropomorfe e dei più antichi Ominidi, un contesto caratterizzato da una rete di interazioni e di reciprocità, di legami “familiari” e di scambi, possibili solo grazie a una comunicazione più complessa e più intensa di quella di tutti gli altri Primati. Rimane aperto e di difficile soluzione per questi periodi cosı̀ antichi il problema dei modi in cui gli Ominidi si procuravano la carne. Sono possibili diverse ipotesi: caccia, sciacallaggio, ma anche una combinazione di entrambi. Grazie alla capacità di cooperazione e all’uso di utensili di pietra, gli uomini potevano avere successo nella competizione con gli animali “spazzini”. Ad es., avvistata una carcassa osservando il volteggiare nel cielo degli avvoltoi, potevano raggiungerla rapidamente e mentre alcuni tenevano lontano con bastoni o con lancio di pietre gli avvoltoi o le iene, altri con utensili di pietra dal bordo tagliente, operavano la dissezione della carcassa, asportando soprattutto gli arti superiori e inferiori, per poi rientrare velocemente al campo-base portando con sé le parti staccate dalla carcassa. Gli utensili di pietra come c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.4 Il comportamento culturale dei più antichi membri del genere Homo 121 choppers, chopping tools e vari tipi di schegge erano indispensabili per poter lacerare la pelle molto dura di animali dalle grandi dimensioni e per poter dissezionare rapidamente una carcassa. L’aumento delle dimensioni del cervello rispondeva quindi alla necessità di comportamenti tecnologici, culturali e sociali più complessi rispetto a quelli dei primi Ominidi, derivanti in ultima analisi da una dieta non più esclusivamente vegetariana, ma onnivora, una dieta in cui la carne cominciava a svolgere un ruolo di primo piano. Non avrebbe senso ridurre il comportamento dei primi Homo ergaster/erectus per quanto riguarda la sussistenza a un puro e semplice sciaccallaggio, paragonabile a quello degli animali che vivono recuperando cibo dalle carogne degli animali uccisi e abbandonati dai predatori o morti per cause naturali. L. Binford, con un libro che fece epoca, Bones, ancient men and modern myths (1981), sottopose a critica radicale le interpretazioni delle paleosuperfici di Olduvai, sostenendo che erano stati proiettati in un passato remoto modelli di comportamento culturale tipici dell’uomo anatomicamente moderno. Binford è convinto che l’uomo cacciatore sia un fenomeno molto recente, strettamente connesso all’invenzione del linguaggio articolato e all’uomo anatomicamente moderno. Per quanto ricca di spunti metodologicamente importanti, l’opera di Binford si spinge tuttavia a un estremo opposto, quando nega perfino agli uomini di Neandertal un comportamento da veri cacciatori. Secondo Binford i più antichi rappresentanti del genere Homo non sarebbero stati in competizione con le iene per lo sfruttamento delle carogne, sarebbero stati soltanto dei “profittatori marginali”, ovvero avrebbero frequentato i luoghi in cui i carnivori avevano abbandonato le carcasse delle loro prede, frantumando le ossa con le pietre per estrarne il midollo. Binford, inoltre, respinge anche la nozione di “campo-base” poiché non ci sarebbero prove che il cibo veniva trasportato in questi presunti campi-base e le paleosuperfici di Olduvai non sarebbero affatto suoli di abitato. A seguito dell’opera di Binford, Glyn Isaac ha parzialmente rivisto le sue concezioni, adottando una posizione più cauta. “Fare archeologia di periodi estremamente remoti può essere paragonato abbastanza bene a un viaggio di esplorazione. Quando troviamo strati risalenti a 2 milioni di anni e contenenti resti archeologici, abbiamo attraversato un oceano di tempo e siamo arrivati all’equivalente di un nuovo mondo.. I nostri ritrovamenti suscitano meraviglia e curiosità, ma in primo luogo noi, come Colombo, siamo pronti a interpretarli nei termini dei nostri preconcetti. Possiamo pensare di essere nelle Indie, quando in realtà siamo ai margini di un continente sconosciuto. Spostandoci verso un’immagine differente di ciò che è in causa, immaginiamo di guardare dentro un pozzo profondo. Al di là dell’orlo superiore c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.4 Il comportamento culturale dei più antichi membri del genere Homo 122 debolmente illuminato, l’oscurità si estende lontano da chi osserva. . . ma in queste profondità c’è uno sprazzo di luce sull’acqua. Se il pozzo non è troppo profondo, aguzzando la vista possiamo forse vedere una figura – una figura collocata in un contesto poco familiare, ma pur sempre una figura familiare. Familiare, poiché è il nostro stesso riflesso. La ricerca archeologica del passato più remoto ha recentemente sperimentato momenti simili di verità. Sta sorgendo la coscienza che in parte noi abbiamo usato l’archeologia e la più antica documentazione come uno specchio con cui ottenere immagini più o meno familiari di noi stessi.”2 Il concetto di campo-base è stato sostituito con quello di central place foraging system, un luogo centrale di approvvigionamento del cibo, che corrisponde a quei siti maggiori con dense concentrazioni di strumenti, ossa complete e ossa spezzate, mentre non è del tutto dimostrabile la spartizione del cibo e neppure una occupazione di lunga durata da parte degli Ominidi. I dati certi finora acquisiti sembrano dimostrare che vi è coincidenza tra comparsa dei primi strumenti artificiali di pietra e comparsa dei primi membri del genere Homo, cioè di Ominidi dotati di un cervello di maggiori dimensioni. Homo habilis e poi Homo ergaster/erectus hanno sfruttato l’economia naturale utilizzando la tecnologia, ma senza quelle interazioni sociali complesse rese possibili dal linguaggio. Le pietre hanno cominciato a essere spezzate e scheggiate per produrre margini taglienti, cioè strumenti adatti a tagliare. Le analisi microscopiche dei manufatti hanno mostrato attraverso lo studio delle tracce d’uso che gli utensili erano impiegati principalmente per macellare carcasse di animali e per tagliare il legno, cioè per fabbricare altri utensili di legno, e in misura minore per tagliare steli di vegetali o per procurarsi del cibo o per confezionare dei giacigli. Tagliare il legno poteva servire a fabbricare bastoni da scavo, strumenti che consentivano di accedere a risorse sotterranee come tuberi e radici sepolti in profondità, di cui la savana è particolarmente ricca, e non accessibili ad altri primati. Le analisi delle ossa, di animali di piccole dimensioni come le gazzelle e di animali di grandi dimensioni come elefanti e ippopotami, hanno evidenziato segni dovuti ai tagli della macellazione, tagli di distacco della carne dalle ossa, tagli effettuati per asportare pelli. I più antichi uomini avevano accesso alle carcasse di grandi animali erbivori, ne asportavano pezzi e li trasportavano in quei luoghi centrali, in cui si sono accumulate ossa e utensili. Ciò è stato reso possibile dall’invenzione di utensili con un margine tagliente. Quindi, è evidente il vantaggio adattivo dei primi strumenti artificiali nell’approvvigionamento di un cibo di grande 2 (G. Isaac), Early stages in the evolution of human behavior: the adaptive significance of stone tools, Zesde Kroon-Voordracht, Harlem, 1983 c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.4 Il comportamento culturale dei più antichi membri del genere Homo 123 valore nutritivo come la carne e il midollo osseo. L’uso di un equipaggiamento tecnologico anche semplice ha rappresentato una differenza significativa nelle strategie di adattamento e sopravvivenza rispetto ad altri primati e ad altri animali. I più antichi utensili non sono armi. Le armi a disposizione dei primi uomini rimanevano pietre da lancio e grossi bastoni di legno da usare come una clava. Quali sono le implicazioni sociali e culturali dei primi strumenti? La fabbricazione di anche semplici strumenti avrebbe richiesto concetti e abilità da apprendere durante il processo di crescita. Ciò sarebbe stato facilitato dal prolungamento della dipendenza infantile e giovanile, il che significa un legame con la madre più lungo e più intenso. Il sistema sociale che comincia a svilupparsi con l’uso di utensili è una sorta di luogo centrale di raccolta del cibo. La comunicazione di informazioni diventa più vantaggiosa che nella vita di qualunque altro primate non umano. La selezione cominciò a favorire l’evoluzione delle abilità mentali che rendono il linguaggio possibile. I grandi siti in cui si trovano concentrazioni di ossa e di strumenti sono focolai di vita sociale. In questi luoghi il cibo era stato più volte portato per il suo consumo. Sono stati indicati come campi-base, basi domestiche, luoghi centrali di raccolta del cibo. Inizialmente non è necessario il linguaggio per trasmettere le cognizioni necessarie alla fabbricazione degli strumenti. Si impara a fabbricare strumenti innanzitutto alternando osservazione e tentativi personali. Gli strumenti più antichi indicano un comportamento socialmente appreso? Sono strumenti opportunistici piuttosto che oggetti fabbricati conformandosi a un modello socialmente prescritto, non vi sono segni di forme fissate arbitrariamente e segni di stile, quindi una mentalità di tipo ancora non- umano, anche se queste creature sono coinvolte in comportamenti che ora sono caratteristici soltanto degli esseri umani. Questi nostri antenati non erano umani, ma gli aspetti del loro sistema di sopravvivenza (fabbricazione di strumenti, consumo di carne, luogo centrale di raccolta e consumo del cibo) hanno creato una situazione in cui gli individui erano sottoposti a modelli di selezione naturale che trasformano i loro discendenti in ciò che noi ora siamo. I fabbricanti dei più antichi strumenti hanno cominciato a lasciare immondezzai, a formare un record archeologico. Probabilmente il lancio di pietre come proiettili per allontanare avvoltoi da una carcassa è stata la strada che ha condotto alla fabbricazione degli strumenti. Le pietre a volte si spaccavano ed era possibile osservare che si produceva un margine tagliente. Le pietre spaccate fornite di margine tagliente cominciarono a essere usate per tagliare la pelle degli animali morti e per staccare la carne dalle ossa. Il passo successivo è stato quello di battere con forza una pietra contro un’altra e di utilizzare le schegge affilate e taglienti come strumento per macellare una carcassa. Una scheggia di roccia può tagliare come un’affilata lama d’acciaio. Gli utensili di pietra consentivano agli Ominidi di fare con le mani ciò che gli c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.5 Ambrona-Torralba 124 altri animali facevano con i denti. Quando si è passati dallo sciacallaggio alla caccia? L’Homo erectus è il protagonista del passaggio dall’Olduvaiano all’Acheuleano intorno a 1,5/1,4 milioni di anni fa, ma l’industria del bifacciale rimane poi statica per almeno un milione di anni. Con i bifacciali compaiono nella tecnologia due fattori determinanti: ideazione di un modello e fabbricazione non secondo il principio del minimo sforzo, ma secondo uno schema prestabilito. La capacità di visualizzare oggetti che ancora non esistono è il marchio distintivo della cultura umana e si chiama “immaginazione”. Combinata con i ricordi del passato e l’esperienza del presente, permette di formulare piani per il futuro. Per il Pleistocene Medio i siti più significativi ai fini della comprensione del comportamento culturale dell’Homo erectus e delle sue varietà più evolute sono non tanto quelli africani quanto quelli europei, come ad es. Boxgrove nel sud dell’Inghilterra, la caverna dell’Arago in Francia, Nortarchirico in Basilicata, Bilzingsleben in Germania e soprattutto Torralba e Ambrona in Spagna. 4.5 Ambrona-Torralba I due siti all’aperto di Ambrona e Torralba si trovano, a due km di distanza l’uno dall’altro, nella piccola valle del fiume Ambrona, nella Vecchia Castiglia, 156 km a nord-est di Madrid. Sono ubicati sulla terrazza di 40 m sulla sinistra il primo e sulla destra del fiume il secondo, a ca. 1115 m slm. Torralba è vicino alla sorgente del Jalon, un affluente dell’Ebro. Il fiume ha intagliato un massiccio calcareo che costituisce una delle poche connessioni tra la Vecchia e la Nuova Castiglia. La valle dell’Ambrona rappresenta una via di comunicazione naturale tra la Meseta centrale e la valle dell’Ebro. Le prime scoperte furono effettuate a Torralba nel 1888 per la messa in opera di condutture idriche in occasione della costruzione della ferrovia. Dal 1907 al 1913 vi effettuò scavi sistematici il marchese di Cerralbo, che scoprı̀ anche il vicino sito di Ambrona, dove si limitò ad eseguire soltanto qualche sondaggio. La fauna, che comprendeva una trentina di elefanti – fra cui l’Elephas antiquus e in misura minore l’E. meridionalis – , e inoltre rinoceronte, bovidi, cervidi e cavallo, fu studiata da E. Harlé, la geologia dell’area da F. Palacios. Dal 1961 al 1963 F.C. Howell riprese le ricerche nella valle dell’Ambrona, scavando a Torralba un’area di 5000 m2 , e conducendo ad Ambrona uno scavo di dimensioni più limitate. Nel 1980-1981 Howell insieme a L.G. Freeman completò lo scavo di Ambrona, raggiungendo un’estensione complessiva di c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.5 Ambrona-Torralba 125 6000 m2 . Dell’équipe facevano parte E. Aguirre per lo studio paleontologico e K.W. Butzer per quello geologico. Le formazioni pleistoceniche che racchiudono i resti paleontologici e archeologici poggiano su marne di età triassica. Vi sono stati distinti tre complessi, inferiore, medio e superiore. I complessi medio e superiore sono sterili dal punto di vista paleontologico e archeologico e sono separati da quello inferiore da un suolo rosso di forte spessore, attribuito all’interglaciale Mindel-Riss. Il complesso inferiore si articola in quattro unità sedimentarie dello spessore complessivo di una dozzina di metri. Le unità I e II sono formate da ghiaie, argille e limi di origine colluviale, l’unità III da marne palustri e l’unità IV da ghiaie, sabbie e limi. I livelli archeologici sono documentati dalla fase Ic-Id fino alla fase IVd. La fauna pubblicata comprende Elephas antiquus, E. trogontherii, Dicerorhinus hemitoechus, Bos primigenius (pochi esemplari), Equus, Cervus, Rangifer, Dama, Predama, Felis cf. leo, Canis cf. lupus e molta microfauna (uccelli, roditori, piccoli mammiferi). Le analisi palinologiche indicano un paesaggio dominato da Pinus silvestris, Artemisia e graminacee. Le percentuali di pino variano da livello a livello, e da 50 o 70% arrivano fino a 90% nelle fasi più temperate. Anche alcuni resti di legno trovati a Torralba durante gli scavi del marchese de Cerralbo sono di pino. L’industria litica rinvenuta a Torralba è in selce, quarzite e calcare, più raramente in calcedonio e diaspro, e comprende un’alta percentuale di bifacciali e di hacheraux. Le schegge sono per la maggior parte prive di ritocco, vi sono raschiatoi laterali, grattatoi, lame ritoccate, perforatori e qualche caso di bulino. Il rapporto strumenti su scheggia – bifacciali è di 3 a 1. I nuclei sono rari. Sembra quindi che gli strumenti fossero confezionati altrove e portati dagli uomini sul sito. La maggior parte dei bifacciali sono stati fabbricati con la tecnica della percussione diretta, ma sono stati osservati anche diversi casi di bifacciali rifiniti con la tecnica del percussore tenero. La forma più comune dei bifacciali a Torralba e ad Ambrona è quella amigdaloide con l’estremità distale irregolare. In entrambi i siti il numero degli hacheraux è superiore a quello dei bifacciali. Alcune ossa sono state deliberatamente scheggiate per farne degli strumenti. Negli scavi Cerralbo sono stati raccolti diversi frammenti di legno lavorato. Uno, conservato per la lunghezza di 1,5 m, ha l’estremità appuntita e una sezione rettangolare dello spessore di 2 cm, altri frammenti hanno sezione piatta o piano-convessa. Secondo Cerralbo un frammento di legno con la punta indurita dal fuoco sarebbe stato trovato dentro le ossa di un elefante. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.5 Ambrona-Torralba 126 Non sono stati rinvenuti focolari, ma sono numerosi i carboni, i legni e le ossa bruciate, che potrebbero documentare la conoscenza del controllo del fuoco. Per quanto concerne la datazione, i dati geologici e biostratigrafici indicano concordemente il Pleistocene Medio. Secondo Howell e Butzer i due siti di Torralba e Ambrona sono da collocare nel Mindel avanzato, mentre secondo F. Bordes e F. Prat risalirebbero a un’età più recente, il Riss I, in base alle caratteristiche dell’industria litica e dei cavalli. Tuttavia, l’assenza di tecnica levalloisiana tenderebbe a escludere una datazione posteriore alla fine del Mindel/Riss. I nuovi studi condotti dai geologi spagnoli sembrano avvalorare la data più antica. C. Gamble ha collocato i due siti nell’ambito degli stadi isotopici 11-10-9, corrispondenti all’interglaciale Holstein (Mindel-Riss) con l’intermezzo di un glaciale di breve durata (OIS 10). La quantità delle ossa animali rinvenute e la loro distribuzione e associazione con strumenti di pietra scheggiata, osso e legno, nonché la natura stessa dei luoghi dimostrano che Ambrona e Torralba erano siti di macellazione degli animali da parte degli uomini. A Torralba sono stati rinvenuti i resti di almeno 75 elefanti, per lo più E. antiquus dalle zanne lunghe e diritte. Soltanto un cranio era pressoché integro e nei suoi pressi sono stati trovati allineati due femori e una zanna. Gli altri crani erano tutti frantumati probabilmente per estrarne il cervello. Durante gli scavi del 1909-1911 a Torralba sarebbe stato rinvenuto un semicerchio formato da crani di elefante. Gli accumuli formati dalle ossa disarticolate e spezzate degli elefanti non possono spiegarsi con cause naturali. Negli scavi condotti da Howell è stato effettuato il rilievo planimetrico di tutti i manufatti in pietra scheggiata, hacheraux, bifacciali, raschiatoi laterali, schegge e utensili su scheggia, di tutte le ossa animali, dei resti di legno, delle concentrazioni di carboni, delle pietre. In un rilievo pubblicato si può osservare in un’area di una dozzina di m2 , i resti disarticolati di un elefante. A breve distanza due altre concentrazioni di ossa comprendono parti di elefanti più piccoli e di altri animali distribuiti casualmente. Evidentemente gli animali di dimensioni minori venivano completamente fatti a pezzi, mentre agli animali di grandi dimensioni come un elefante adulto era prelevata la carne, ma la carcassa veniva lasciata in situ. In un caso a Torralba sono state rinvenute le ossa del lato sinistro di un elefante, mentre quelle del lato destro erano sparse nelle vicinanze. Howell ha interpretato questa inusuale disposizione, immaginando che gli uomini dopo avere macellato il lato destro, devono avere rivoltato l’elefante. Nello scavo di Ambrona nel 1963 furono trovati allineati una zanna, due femori e due tibie appartenenti a un unico grande elefante. Questa disposizione è chiaramente intenzionale e può essere dovuta unicamente all’azione dell’uomo. Una possibile spiegazione è stata fornita da Howell: poiché gli elefanti erano afc 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.5 Ambrona-Torralba 127 fondati nel fango e la zona era paludosa, l’allineamento di queste grosse ossa rassodava il terreno e forniva agli uomini una sorta di passerella. Se appare certo che gli animali rinvenuti a Torralba e ad Ambrona sono stati macellati dagli uomini, più problematico è rispondere alla domanda: come sono morti gli elefanti? Torralba e Ambrona sono la prova dell’esistenza della caccia ai grandi mammiferi durante il Pleistocene? Negli stessi strati che hanno restituito i resti animali e gli strumenti di pietra scheggiata sono stati rinvenuti numerosi carboni sparsi ampiamente per tutta l’area e che documentano inequivocabilmente l’uso del fuoco. Non vi sono veri focolari, d’altra parte l’area era a quell’epoca paludosa. Clark Howell ha prospettato una ricostruzione di ciò che può essere accaduto. In autunno gli animali erbivori cominciavano a migrare verso sud, alla ricerca di terre più calde, passando attraverso il corridoio naturale della valle del fiume Ambrona. Due bande di uomini della specie Homo erectus, comprendenti ciascuna pochi adulti maschi, una mezza dozzina di donne, numerosi adolescenti, ragazzi e bambini, per un totale di più o meno una trentina di persone, si incontravano sulle pendici della valle e riunivano le loro forze per una battuta di caccia grossa. Sul fondo valle il fiume scorreva formando una serie di meandri e vi erano aree paludose e aree a prateria. Sfruttando la direzione del vento che soffiava da nord-ovest, un gruppo di cacciatori paleolitici con l’uso del fuoco spinge una mandria di elefanti verso le zone paludose, mentre un altro gruppo di cacciatori dà fuoco alla vegetazione lungo la riva del fiume per impedire agli elefanti di attraversare il fiume e raggiungere il terreno asciutto. Gli elefanti che finiscono sul terreno paludoso affondano nel fango e non riescono più a liberarsi. I cacciatori devono solo aspettare che l’animale sia esausto per i tentativi di uscire dalla palude e a questo punto lo finiscono a colpi di lance di legno e con lanci di pietre. Altri ricercatori hanno contestato questa interpretazione, ritenendo che gli uomini del Pleistocene Medio fossero ancora fermi allo stadio del sciacallaggio, cioè si limitavano a sfruttare le carogne abbandonate dai predatori. Nel caso di Torralba e Ambrona, questi potevano essere i luoghi dove gli elefanti andavano a morire. L’interpretazione di Howell è certamente la più convincente. Infatti, gli elefanti non erano prede di carnivori e nella fauna rinvenuta sono rappresentati elefanti di diversa età, adulti e giovani. La conformazione dei luoghi, una valle che costituiva la via naturale di comunicazione tra la Meseta e la valle dell’Ebro, dimostra che si trattava certamente di un punto di passaggio per le mandrie di erbivori che migravano. Inoltre, alcuni fortunati ritrovamenti dimostrano l’esistenza già a quest’epoca di lance di legno e quindi indirettamente la pratica della caccia ai grandi mammiferi. A questo proposito sono significativi i recenti ritrovamenti di Schöningen c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.6 Bilzingsleben 128 in Germania, tra Hannover e Magdeburgo, al limite tra il bassopiano settentrionale e i primi rilievi ercinici. Depositi torbosi risalenti all’interglaciale Mindel-Riss (OIS 9-11) hanno conservato fauna e manufatti di legno, oltre naturalmente a industria litica. Nel sito 13 di Schöningen sono state rinvenute una lancia appuntita a entrambe le estremità, lunga 78 cm; tre lance in legno di abete rosso (Picea excelsa) lunghe 2,3 – 2,5 m. La punta accuratamente lavorata era ricavata dalla parte del legno più duro e più denso della base dell’albero. Una di queste lance è stata trovata accanto all’osso pelvico di un cavallo. Un’altra lancia in legno della medesima epoca venne scoperta nel 1911 a Clacton on Sea nell’Essex: si tratta di un frammento comprendente la punta e lungo 38,5 cm, in legno di tasso. In conclusione, gli uomini del Pleistocene Medio dell’Europa centro-occidentale praticavano la caccia grossa, di conseguenza dovevano avere sviluppato delle tecniche di caccia e una organizzazione sociale che prevedesse la cooperazione tra bande, la distribuzione dei compiti tra uomini, donne, anziani e adolescenti, la spartizione del cibo. Un altro interrogativo di grande importanza concerne il fatto se questi uomini fossero in grado di accendere il fuoco oppure se sapevano soltanto ottenerlo da fonti naturali e poi conservarlo, trasportando le braci in un contenitore adatto, ad es. in una palla di argilla. 4.6 Bilzingsleben Il sito paleolitico presso Bilzingsleben, ubicato su un promontorio che domina la valle del fiume Wipper, tributario della Saale, principale affluente dell’Elba, in Turingia (Germania orientale), è venuto alla luce in una cava sfruttata fin dall’inizio del XX secolo ed era noto ai paleontologi per i resti di fossili animali e vegetali conservati dai suoi strati di tufo. Nel 1969 D. Mania vi individuò un livello archeologico importante e iniziò scavi sistematici. Nel 1974 e nel 1976 furono scoperti frammenti di cranio di Homo erectus, in seguito anche denti, appartenenti a tre individui, due adulti e un bambino. Bilzingsleben risale alla fase più recente dell’interglaciale di Holstein. Gli uomini vivevano ai bordi di un piccolo lago e i resti della loro frequentazione del sito sono stati conservati dalla deposizione di sabbie e di carbonati lacustri da parte di una fonte e infine sigillati da una crosta molto dura di travertino. Lo scavo ha interessato un’area di 600 m2 e al suo interno 355 m2 , ricchi di resti di rinoceronti ed elefanti, sono stati oggetto di una indagine più esaustiva. In questo caso la distribuzione dei manufatti, che giacevano in deposizione primaria, ha consentito una serie di osservazioni importanti. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 4.6 Bilzingsleben 129 Dalle ossa lunghe di elefanti e rinoceronti si ricavavano schegge di osso per percussione su un’incudine. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano CAPITOLO 5 Gli Ominidi fossili europei della fine del Pleistocene inferiore e del Pleistocene medio a famiglia degli Ominidi si è formata in Africa e da lı̀ gli Ominidi si sono diffusi in Asia e in Europa. Quando i primi Ominidi sono passati L dall’Africa in Asia e di quale genere e specie di Ominidi si trattava? Non si ha fino ad ora alcuna prova che una qualche specie di Australopitecina o l’Homo habilis abbiano lasciato l’Africa disperdendosi anche in Asia o in Europa. I più antichi fossili di Ominidi al di fuori dell’Africa che sia possibile datare con sicurezza risalgono a 1 Ma o poco prima in Asia e a 1 Ma o poco dopo in Europa, ma nell’area più prossima all’Africa, il Vicino Oriente e la regione del Caucaso si hanno documenti decisamente più antichi. A Ubeidiya, sulla riva destra del Giordano, poco a sud del lago Tiberiade, un deposito del Pleistocene inferiore della potenza di 150 m, ha restituito una industria di tipo Olduvaiano nei livelli inferiori e di tipo Acheuleano in quelli superiori. Tutta la serie stratigrafica presenta polarità inversa ed è più antica di 1 Ma. In base alla fauna l’età è stimata intorno a 1,4 Ma. Sono stati scoperti anche resti umani, ma troppo frammentari per essere classificati con sicurezza (due frammenti di parietale, uno di temporale e due denti). Sette km più a sud è stato scoperto un nuovo sito, Erk-el-Ahmar, in cui antichi depositi lacustri di argilla, limo e sabbia, hanno restituito oltre a ossa animali una industria litica comprendente nuclei e schegge di selce, e utensili di tipo olduvaiano. Il deposito non contiene materiale vulcanico adatto a datazioni radiometriche, ma è stato possibile ricostruire il profilo magnetico che presenta diversi reversal e datare la formazione con i manufatti olduvaiani a un periodo tra 2 e 1,7 Ma. Infine, a Dmanisi, in Gerogia, sono stati rinvenuti industria litica di tipo olduvaiano e resti umani, fra cui quattro crani, databili verso 1,75 Ma. L’uomo di Dmanisi è classificabile come Homo habilis o come c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 131 una forma molto arcaica di Homo erectus. L’Europa ha iniziato a essere popolata dagli Ominidi molto tempo dopo l’Africa e l’Asia, ma si discute ancora in quale preciso momento del Pleistocene siano comparsi in Europa i primi Ominidi. Secondo i sostenitori della cronologia corta ciò si sarebbe verificato soltanto a partire dal Pleistocene Medio, cioè da 778 ka, ma sopratutto nel corso dell’OIS 13, tra 528 e 478 ka. I sostenitori della cronologia lunga affermano, invece, che gli Ominidi sono comparsi in Europa già nel corso del Pleistocene inferiore. A sostegno di questa tesi vengono addotti siti in Spagna, Francia, Italia, Belgio, Germania, Boemia e Russia da cui proverrebbero industrie su ciottolo del tipo Pebble culture rinvenute in formazioni geologiche con date comprese tra 1.5 e 1.0 Ma o tra 1.0 e 0.5 Ma. Tuttavia, nella maggior parte dei casi la natura di manufatti di questi utensili su ciottolo appare dubbia e a volte le stesse date non sono stabilite con sicurezza. Il dibattito si è riacceso recentemente con la scoperta degli Ominidi della Grande Dolina di Atapuerca in Spagna, associati a un’industria su ciottolo, e del cranio di Ceprano nel Lazio. Ad Atapuerca gli scavi iniziati nel 1981 nella Trinchera Dolina hanno portato alla scoperta nel 1994 di un importante gruppo di resti di Ominidi. Il giacimento della Trinchera Dolina presenta una sequenza stratigrafica di undici livelli. I più recenti, TD 11 e 10, hanno restituito una ricca industria litica del Paleolitico Inferiore di tecnica levalloisiana; TD 8 è un livello ricco di resti di carnivori ed erbivori del Pleistocene Medio; TD 7 è formato da sabbie di deposizione fluviale; TD 6 ha restituito indutria litica su ciottolo ed anche bifacciali (cosı̀ si pensava in un primo momento), fossili umani e abbondante fauna. TD 5 e 4 sono stati investigati su un’area molto ristretta, ma si sono rivelati ricchissimi di fauna del Pleistocene Inferiore; da TD 4 provengono quattro manufatti relativi a industria litica scheggiata, che sarebbero le più antiche testimonianze della presenza dell’uomo nel sito. In un primo tempo il livello TD 6 era stato datato verso 500 ka, dal momento che il limite Matuyama-Brunhes veniva identificato nel sottostante livello TD 2/3. Il fatto che in TD 6 si verificasse la scomparsa del genere Mimomys, sembrava confermare questa cronologia. Studi successivi hanno rivisto la stratigrafia paleomagnetica del sito, collocando il livello TD 6 nel Pleistocene Inferiore, poichè la polarità magnetica è inversa, quindi presumibilmente anteriore al limite M/B ed è presente Mimomys savini. Inoltre, sembra che i bifacciali inizialmente attribuiti al livello TD 6 non abbiano una provenienza del tutto sicura. La datazione di TD 6 sarebbe quindi anteriore a 787 ka. Da TD 6 provengono numerosi frammenti umani riferibili ad almeno 6 individui. I resti comprendono un frammento di mandibola con due molari c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 132 di un individuo di circa 14 anni; un frammento di frontale e di mascellare, quasi certamente appartenenti allo stesso individuo, un bambino di circa 1011 anni, forse femminile; un frammento di mascellare di bambino di circa 3-4 anni; un frammento di temporale; diversi denti isolati; una ottantina di frammenti di parti dello scheletro (costole, clavicole, vertebre, ossa lunghe degli arti superiori e inferiori e ossa del piede) di almeno sei individui differenti. Il frontale e mascellare del bambino di 10-11 anni (ATD 6-3) sono stati utilizzati da J.L. Arsuaga per definire una nuova specie, Homo antecessor, che sarebbe il più antico uomo penetrato in Europa, fatta eccezione per Dmanisi in Georgia. La creazione di una nuova specie non sembra giustificata, tanto più che è stata effettuata in base a resti piuttosto frammentari e per di più appartenenti a un soggetto non adulto. Le caratteristiche degli Ominidi della TD 6 sono volta cranica bassa con fronte appiattita, marcato torus sopraorbitario, corpo mandibolare di spessore ridotto e denti iugali piccoli. La capacità cranica è stimata intorno ai 1000 cm3 e il soggetto potrebbe essere femminile. Le striature dello smalto dei denti denunciano stress dovuti a deficienze nutritive o a malattie. Diversi resti umani recano segni di taglio. Ad es. su un frammento di parietale (ATD 6-16) sono stati osservati 12 segni di taglio paralleli. Sono gli stessi segni di macellazione e di scarnificazione osservabili sui resti di fauna dello stesso livello, è quindi probabile che si tratti di cannibalismo, il più antico caso sicuramente attestato. Per quanto la maggior parte dei frammenti del cranio di Ceprano siano stati raccolti nel 1994 fuori contesto in seguito a lavori di scasso del terreno con un bulldozer, è stato possibile individuare lo strato di giacitura originaria grazie al rinvenimento di alcuni frammenti in situ. Il cranio proviene da uno strato argilloso di origine colluviale praticamente sterile. A. G. Segre ed E. Segre Naldini hanno ricostruito la sequenza stratigrafica del bacino di Ceprano, da cui risulta che lo strato argilloso è sottostante alla serie di sabbie, argille e ghiaie con clasti vulcanici di leucite-augite databili fino a 700 ka, e soprastante alla serie senza piroclasti leucitici, anteriore a 700 ka e databile fino a 1060 ± 110 ka. La datazione del cranio si colloca quindi intorno a 800-900 ka. Uno strato sottostante alle argille contenenti il cranio ha restituito una industria litica arcaica, a choppers, e con una fauna comprendente Mammutus trogontherii, datato verso 980 ± 100 ka. I ritrovamenti di Atapuerca e di Ceprano dimostrano che le regioni mediterranee dell’Europa sono state raggiunte e popolate dagli Ominidi molto prima che non l’Europa continentale. Mentre in quest’ultima gli Ominidi si sono diffusi nell’interglaciale o interstadiale tra 528 e 478 ka (OIS 13), a sud dei Pirenei e a sud delle Alpi il popolamento può avere avuto inizio anche 300 ka prima. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 133 Il cranio appartiene a un soggetto adulto, di circa 20-40 anni, probabilmente maschile. La capacità cranica è di circa 1185 cm3 . La volta cranica è bassa, il frontale sfuggente all’indietro, l’occipitale forma un angolo marcato e vi è un toro occipitale transverso. Il toro sopraorbitale è massiccio e continuo, la costrizione post-orbitale è moderata. Il cranio non è molto lungo, mentre è piuttosto largo per cui l’indice cefalico indica brachicrania, un fatto del tutto insolito a questo livello cronologico e specifico. La volta cranica non presenta carenatura sagittale e i parietali sono solo debolmente inclinati verso l’alto. I fossili di Ominidi appartenenti al genere Homo rinvenuti in Europa in contesti databili al Pleistocene Medio, un arco di tempo di più di 600 ka, possono suddividersi fondamentalmente in due gruppi, quelli pertinenti alla prima metà del Pleistocene Medio, tra 775 e 427 ka, e quelli pertinenti alla seconda metà, tra 427 e 127 ka. Al primo gruppo appartengono un frammento di tibia e alcuni denti da Boxgrove un deposito con bifacciali, fauna e aree di attività, databile intorno a 500 ka (OIS 13), (West Sussex, England); la mandibola di Mauer; l’occipitale di Vertesszöllös e i reperti della Caune de l’Arago. Mauer, presso Heidelberg: una mandibola rinvenuta nel 1907 in una cava di sabbia a 24 m dal pdc; la polarità magnetica normale, la fauna e la microfauna indicano una fase di clima caldo nella prima parte del Pleistocene Medio, probabilmente lo stadio OIS 13. La mandibola di Mauer è molto grande e robusta, con ramo ascendente largo e basso rispetto a quello dell’uomo moderno, l’apofisi coronoide ottusa, l’insenatura tra processo coronoideo e condilo mandibolare poco profonda a differenza che nell’uomo moderno, le branche orizzontali alte e massicce, con assenza completa di mento. La sinfisi mandibolare è molto spessa, obliqua verso l’interno anziché diritta e presenta un toro mandibolare. Per quanto le dimensioni dei molari siano ridotte rispetto a ominidi più antichi, sono ancora molto robusti e il secondo molare è maggiore del primo e del terzo, un aspetto primitivo. I molari conservano, sia pure in forma ridotta, la quinta cuspide. Compare in forma incipiente il taurodontismo, che sarà poi tipico delle popolazioni europee neandertaliane. L’occipitale di Verteszollos presenta forte spessore, forma angolata e un toro occipitale continuo, tutte caratteristiche che rimandano a Homo erectus, da cui si differenzia per le dimensioni che sembrano indicare una scatola cranica di capacità nettamente maggiore. Arago, caverna dell’nei pressi di Tautavel (Francia sud-occidentale): 35 denti, 2 mandibole (A II e XIII), 1 cranio incompleto (A XXI + A XLVII), un mascellare sinistro, un osso iliaco s. (A XLIV), 3 femori, 3 peroni, un metatarso e una falangetta, 35 denti, pertinenti ad almeno 7 individui, di cui 4 adulti e 3 bambini, rispettivamente di circa 3, 7 e 10 anni. Nel deposito della c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 5.1 Gli Ominidi fossili europei della seconda metà del Pleistocene medio 134 caverna dell’Arago sono state distinte cinque unità fondamentali, comprese tra un crostone stalagmitico alla base ed un secondo crostone stalagmitico al tetto. Nelle unità IV-I sono presenti dodici livelli e suoli d’abitato. I resti umani provengono dal livello G alla base dell’unità III e sono asociati a un’industria di tipo Tayaciano antico. Le datazioni effettuate con diversi metodi (U/Th, ERS, TL) hanno dato risultati contrastanti. L’unità III nel suo complesso, comprendente quattro strati di sabbie interstratificate con quattro livelli di occupazione, è collocabile allo stadio OIS 12 (0.478 – 0.427 kyr) in base alla fauna, tipica del Pleistocene Medio ma con persistenza di forme arcaiche, indicante un clima freddo e secco. La microfauna, ad es., comprende specie di roditori che vivono attualmente in ambiente artico. Il livello E, soprastante quello con i resti umani, ha restituito un’industria litica dell’Acheuleano medio, con bifacciali amigdaloidi, ovalari e lanceolati, molti raschiatoi e manufatti ottenuti con tecnica levallois. 5.1 Gli Ominidi fossili europei della seconda metà del Pleistocene medio Tra 427 ka e 300 ka (OIS 11-9) abbiamo alcuni ritrovamenti di resti di Homo ben datati, come Swanscombe in Inghilterra, Bilzingsleben e Steinheim in Germania, e Sima de los Huesos ad Atapuerca. Alla fine di questo periodo è probabile che appartenga il cranio di Petralona e forse anche quello di Apidima in Grecia. I frammenti del cranio di un soggetto femminile adulto giovane sono stati rinvenuti a più riprese nella cava di Barnfield Pit presso Swanscombe, tra Dartford e Gravesend nel Kent, sulla sponda meridionale del Tamigi circa 30 km a sud di Londra. Un occipitale fu scoperto nel giugno 1935 e nel marzo del 1936 a 7 m di distanza un parietale sinistro; il parietale destro, completo, venne alla luce nello stesso livello a 15 m di distanza nell’agosto 1955. I tre frammenti provengono dallo stesso livello, presentano lo stesso grado di mineralizzazione, e le ricerche sul dosaggio del fluoro hanno confermato la loro associazione con la fauna del Pleistocene medio rinvenuta nello stesso livello. La dispersione dei frammenti si spiega con la natura stessa del sito, un terrazzo fluviale: le ossa del cranio, non ancora ben saldate tra loro, sono state trascinate dalla corrente del fiume e depositate in punti differenti. Il deposito della terrazza di 30 m sopra il livello attuale del Tamigi comprende una sequenza della potenza di 14 m che poggia su sabbie di età terziaria ed è articolata in nove unità principali. Dall’alto verso il basso abbiamo: 1. terreno superficiale, con resti di industria neolitica; c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 5.1 Gli Ominidi fossili europei della seconda metà del Pleistocene medio 135 2. Ghiaie superiori con industria litica del Musteriano di tradizione acheuleana e fauna di clima freddo (gl. di Würm); 3. limi e franco-sabbioso superiori (upper brick earth) con fauna di clima caldo nella parte superiore (igl. Riss-Würm) e freddo in quella inferiore (gl. Riss), industria del Paleolitico inferiore con bifacciali ovalari dell’Acheuleano superiore; 4. deposito di soliflussione, sterile, inizi della gl. di Riss; 5. ghiaie medio-superiori, clima fresco; 6. ghiaie medio-inferiori con fauna di clima caldo, i resti umani e industria litica dell’Acheuleano medio, con bifacciali lanceolati, schegge ritoccate e rare schegge di tecnica Levallois; 7. superficie di erosione; 8. limo di esondazione fluviale, clima temperato; 9. franco-sabbioso inferiore (lower loam), con fauna clada, conchiglie terrestri e industria acheuleana e clactoniana; 10. ghiaie inferiori con fauna di clima caldo e industria litica clactoniana; 11. ghiaie basali con fauna di clima freddo e industria litica clactoniana. Il livello che ha restituito i resti umani è databile a una fase avanzata dell’igl. Mindel-Riss, correlabile con l’OIS 9 (334 – 300 ka). Una datazione sulle ossa animali effettuata con il metodo del disequilibrio dell’uranio ha fornito una data maggiore di 272 ka. Del cranio di Swanscombe si conservano l’occipitale e i due parietali perfettamente combacianti, con le dentellature delle suture ben conservate. Mancano il frontale e le ossa della faccia. La curvatura del parietale indica che la volta cranica era ancora bassa e in veduta occipitale il cranio mostra un contorno con la massima larghezza a metà altezza, cioè verso la base del parietale, quasi sub-circolare e non pentagonale come nell’uomo moderno. La larghezza dell’occipitale è notevole, anche questa un’indicazione che allontana il cranio di Swanscombe dall’uomo anatomicamente moderno. Il profilo dell’occipitale è arrotondato, come nell’uomo moderno e diversamente dall’uomo di Neanderthal, e il toro occipitale è poco sviluppato, ma presenta una fossa sopra-iniaca come nell’uomo di Neanderthal. La capacità cranica stimata è di circa 1275-1325 cm3 , ma potrebbe essere anche inferiore, intorno ai 1250 cm3 . c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 5.1 Gli Ominidi fossili europei della seconda metà del Pleistocene medio 136 Il cranio di Steinheim offre l’opportunità di conoscere anche la parte facciale di un Homo della stessa epoca. Steinheim an der Murr si trova pochi km a sud-est di. . . Nelle cave di ghiaia e di sabbia aperte sul terrazzo della Murr si scoprivano frequentemente ossa di mammiferi pleistocenici che il proprietario K. Sigrist donava regolarmente alla Wurttembergische Naturaliensammlung di Stoccarda. Il 24 luglio 1933 il signor Sigrist comunicò a F. Berckhemer, conservatore capo delle collezioni naturalistiche del museo, il rinvenimento di un cranio umano. Fu inviato immediatamente sul posto un assitente del museo che estrasse il cranio dalla sua posizione originale. Il deposito del terrazzo nel punto della scoperta presentava la seguente startigrafia: 1. terreno superficiale; 2. strato di loess, dello spessore variabile da 1,5 a 2 m; 3. strato di ghiaie fluviali, di spessore variabile fino a 4 m abbondanti, a fauna fredda, con abbondanti resti di Mammuthus trogontherii e Mammuthus primigenius; 4. sabbie miste a ghiaia, dello spessore fino a 2,6 m, con numerosi resti di fauna di clima caldo: Elephas antiquus, Rhinoceros merckii, Bos primigenius, Bufalus arni; in questo strato, alla profondità di 7,5 m dal piano di campagna, fu rinvenuto il cranio umano; 5. potente formazione di ghiaie inframezzate a letti marnosi e sabbiosi, a fauna calda come le sabbie soprastanti, dello spessore di 8 m; nella parte più bassa a pietrisco riappare la fauna fredda. La datazione dello strato da cui proviene il cranio è, in base a considerazioni paleontologiche, uno stadio avanzato dell’igl Mindel-Riss (OIS 9). Il cranio è privo della mandibola, per il resto è quasi completo, ma mentre il lato destro è intatto, quello sinistro è lacunoso ed ha subito una leggera distorsione insieme al palato. Sembra trattarsi di un sogetto femminile di età adulta, ma giovane, intorno ai 25 anni. La volta cranica è bassa, il frontale sfuggente all’indietro, anche se di forma leggermente bombata. L’occipitale mostra una curvatura arrotondata – manca del tutto lo chignon neanderthaliano – e manca uno spesso toro trasversale, mentre è presente la depressione sopra-iniaca. In norma occipitale il profilo del cranio appare intermedio tra quello dei neanderthaliani e quello dell’uomo anatomicamente moderno, la larghezza massima si colloca verso la parte inferiore dei parietali, e la volta cranica mostra una leggera carenatura saggitale. Vi è un forte toro sopraorbitario continuo, che si estende fino alla parte più esterna c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 5.1 Gli Ominidi fossili europei della seconda metà del Pleistocene medio 137 delle orbite. In norma verticale si può osservare un restringimento postorbitario ababstanza marcato, ma non cosı̀ forte come nell’Homo erectus. L’apofisi mastoide è ridotta, come nel Neanderthal. La capacità cranica è stimata intorno ai 1100 cm3 (1145-1175 secondo Howell, 1070 secondo altri autori). La faccia è piuttosto piccola e il prognatismo appare di grado modesto, come nell’uomo moderno. Sotto l’orbita la mascella presenta la fossa canina. L’apertura nasale è molto larga, come nel Neanderthal, ma le ossa nasali sono piccole. Le dimensioni dei denti sono di tipo moderno, in particolare il M3 è notevolmente ridotto. La parte basale dell’occipitale è incompleta e manca tutta l’area intorno al foramen magnum. Sembra trattarsi di un allargamento artificiale, dal momento che il cranio fu raccolto con molta cura e nell’area in cui giaceva non vi era alcuna delle porzioni mancanti. Di conseguenza F. Berchkemer ritenne che si trattasse di una mutilazione intenzionale. Anche la lacuna della regione temporale destra è stata attribuita a un colpo violento inferto prima della morte. Il più importante sito europeo del Pleistocene medio per i fossili umani è senza dubbio la Sierra de Atapuerca, una piccola collina dell’altezza massima di 1079 m, 15 km ad est di Burgos nel nord della Meseta spagnola, in un punto strategico per il passaggio dal bacino dell’Ebro a quello del Duero. Lungo i fianchi di questa collina si aprono alcune caverne che hanno restituito importanti testimonianze di vita preistorica. La Cueva Mayor è un complesso sistema carsico che si sviluppa per più di un km. Un percorso difficile che passa da grandi sale alte 20 m fino a una galleria bassa in cui bisogna strisciare lungo il suolo conduce a mezzo km dall’entrata a una grande sala detta Sala dei Ciclopi, in un angolo della quale si apre un pozzo verticale di 13 m di profondità in fondo al quale si accede a una piccola cavità, la Sima de los Huesos (il pozzo delle ossa). Il suolo è formato da argilla molto fine. Vi sono state rinvenute migliaia di ossa di orso ridotte a frammenti piccoli e irriconoscibili. Un ingegnere minerario, Trinidad Torres, studioso di orsi fossili, è stato il primo a condurre ricerche nella Sima de los Huesos nel 1976, ma tra i resti di orso recuperati emerse un frammento di mandibola umana (AT-1), poi altri due frammenti di mandibola (AT-2, AT-3), alcuni denti e frammenti di ossa craniche. A tutt’oggi sono stati scoperti più di mille resti umani nella Sima de los Huesos, pertinenti a tutte le diverse parti dello scheletro. In base ai denti il numero minimo di individui rappresentati è di 32. Tutti i resti sono più o meno contemporanei, essendo stati rinvenuti nello stesso strato. L’importanza eccezionale di questa scoperta consiste non solo nell’avere fornito un cranio completo di mandibola ed altri distretti scheletrici completi, ma anche e sopratutto nel fatto di dare la possibilità di c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 5.1 Gli Ominidi fossili europei della seconda metà del Pleistocene medio 138 studiare la variabilità di un’intera popolazione del Pleistocene medio. Infatti, il campo di variabilità sia nelle dimensioni che nella morfologia si è dimostrato abbastanza ampio ed è molto istruttivo dal punto di vista metodologico; infatti, se alcuni degli Ominidi de la Sima de los Huesos fossero stati scoperti in siti differenti sarebbero stati attribuiti, da antropologi di tendenza splitter, a specie diverse. Tra i reperti più importanti vi sono tre crani scoperti nel 1992: il cranio 5 (AT-700) comprende anche la mandibola ed appartiene a un soggetto femminile, il cranio 4 (AT-600), privo della faccia e della mandibola, è probabilmente un individuo maschile, mentre il cranio 6 è di un bambino di circa 11 anni. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano CAPITOLO 6 L’uomo di Neandertal urante l’ultimo stadio della glaciazione rissiana (OIS 6, ca. 186-130.000 anni fa), l’interglaciale Riss-Würm (OIS 5e, ca. 130-115.000 anni fa), la prima parte della glaciazione di Würm (OIS 5d-4, ca. 115-58.000 anni fa) e l’interpleniglaciale würmiano (OIS 3, tra 58.000 e 30.000 anni fa), i documenti degli uomini fossili diventano molto più abbondanti e completi, soprattutto in Europa. In tutta Europa, nel Vicino Oriente e in parte dell’Asia centrale (fino all’Uzbekistan) è diffuso l’uomo di Neandertal. I reperti più significativi sono quelli scoperti in Francia (almeno 25 località, fra cui La Chapelle-aux-Saints, La Ferrassie, La Quina, Le Moustier, Saint Césaire), nella penisola iberica (almeno 8 località, fra cui Gibilterra), in Italia (una dozzina di località, fra cui Saccopastore e il Circeo), nel Belgio (4 località, fra cui Engis e Spy), in Germania (7 località, fra cui la valle di Neander), in Moravia e Slovacchia (almeno 5 località), in Croazia (Krapina, grotta di Vindija), in Ucraina (5 località), nei Monti Zagros iracheni a Shanidar, in Palestina (caverne di Tabun, Amud, Kebara) e nell’Uzbekistan a Teshik-Tash. D 6.1 Un po’ di storia Il nome deriva dalla gola di Neander, un orrido pittoresco tra Elberfeld e Düsseldorf, profondo 53 m, sul cui fondo scorre un affluente di destra del Reno, il Düssel1 . In questa gola amava ritirarsi a scrivere e a comporre Joachim Neumann (1650-1680), autore di canti liturgici, che adottò come secondo 1 Sulla storia della scoperta e delle prime interpretazioni cfr. J. READER 1983, p. 19 e ss.; Cacciatori neandertaliani, pp. 12-16 (G. Giacobini); J. TATTERSALL 1995, pp. 74 e ss. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 6.1 Un po’ di storia 140 nome una forma grecizzata del proprio cognome, Neander, ed è in suo onore che quella parte della valle del Düssel venne chiamata Neanderthal2 . Lungo i fianchi dirupati della valle si aprono diverse caverne, la maggiore delle quali, posta a circa 20 m di altezza sopra il fondovalle – Neandershöhle o Feldhofer Grotto – era destinata a diventare celebre. Nell’agosto 1856 vi furono condotti lavori per sfruttarla come cava di calcare. Un deposito di argilla di due metri di spessore la ostruiva quasi completamente. Gli operai cominciarono a rimuovere il deposito e alla profondità di circa 1,5 m si imbatterono in un gruppo di ossa. Il proprietario pensò che si trattasse di ossa di orso delle caverne e ordinò di tenerle da parte, comunicando la notizia al dr. Johann K. Fuhlrott, insegnante presso il ginnasio di Elberfeld ed appassionato di scienze naturali. Fuhlrott (1804-1877) prese in consegna i reperti, comprendenti una calotta cranica, una clavicola, una scapola, due omeri, due femori, parte del bacino, alcune costole, e fece un sopralluogo alla caverna, interrogando gli operai, per raccogliere tutte le notizie sulle circostanze della scoperta. La caverna era stata ormai completamente svuotata del deposito originario. È probabile che le ossa recuperate appartenessero a una singola sepoltura, come si può evincere anche dalle notizie orali sulla scoperta raccolte da Fuhlrott presso gli operai. Sembra, infatti, che per primo sia apparso il cranio nei pressi dell’entrata della grotta e subito dopo le altre ossa poste sullo stesso piano del cranio. Fuhlrott studiando le ossa comprese che si trattava di un tipo umano primitivo, ancora sconosciuto, e si rivolse ad Hermann Schaffhausen, professore di anatomia all’università di Bonn, per avere un parere autorevole. Nel giugno 1857 entrambi presentarono l’eccezionale ed enigmatico ritrovamento a una riunione della Società di Storia Naturale del Reno Prussiano e della Westfalia a Bonn3 . Fuhlrott sostenne l’antichità dell’uomo di Neandertal, basandosi su due argomenti, la profondità alla quale era stato rinvenuto, criterio certamente inaffidabile, e la profonda mineralizzazione delle ossa, argomento di maggior peso, poiché ne dimostrava lo stato fossile. L’assenza di qualsiasi contesto – dalla caverna non furono recuperate ossa di animali o manufatti – poneva comunque difficoltà insormontabili per una datazione precisa. Schaffhausen, che era convinto che 2 Secondo la grafia dell’epoca, quando in tedesco valle si scriveva con l’h: thal. Per molto tempo i paleoantropologi hanno utilizzato la forma originaria del nome e scritto uomo di Neanderthal” o Homo neanderthalensis”, come si può leggere nella maggior parte dei testi della prima metà del XX secolo. In seguito si è progressivamente imposto l’uso di scrivere Neandertal, secondo quella che è la moderna grafia del termine valle in tedesco. 3 FÜHLROTT e SCHAAFHAUSEN, Korrespondenzblatt, n. 2, pp. 50-52, in Verhandlungen des naturhistorischen Vereins der Preussischen Rheinlande und Westfaliens, 1857; SCHAAFHAUSEN, in Verhandlungen des naturhistorischen Vereins der Preussischen Rheinlande und Westfaliens, t. 14, 1857, pp. XXXVIII-XLII. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 6.1 Un po’ di storia 141 non fosse dimostrata la concezione della fissità della specie, mise in rilievo che pur essendo umano, lo scheletro era differente da qualunque altro finora conosciuto. Gli aspetti che colpirono maggiormente erano la calotta cranica, di grandi dimensioni, ma bassa e fornita di inusuali rilievi sopraorbitari quali si ritrovano soltanto nel gorilla, e la robustezza delle ossa. La conclusione fu che i resti dovevano appartenere a un membro di un’antica popolazione di aspetto primitivo e selvaggio che aveva abitato la regione insieme ad animali ora estinti prima che venisse occupata dagli antenati degli attuali abitanti. La successiva pubblicazione di Schaaffhausen, corredata da accurati disegni delle ossa, attirò l’attenzione degli studiosi inglesi e il suo articolo venne tradotto nel 1861 dall’anatomista George Busk4 . Già nel 1860 Charles Lyell, l’eminente geologo inglese, aveva visitato la caverna di Neandertal, accompagnato dal dr. Fuhlrott, che gli mostrò l’originale della calotta cranica e gli donò un calco5 . Lyell mostrò il calco ad Huxley, che lo commenterà nella sua celebre opera del 1863, Man’s Place in Nature. Nel 1864 il geologo William King, un allievo di Ch. Lyell, utilizzò il ritrovamento per definire una nuova specie umana, Homo neanderthalensis. Nello stesso anno G. Busk e H. Falconer riconobbero le strette affinità tra il fossile di Neandertal e un cranio scoperto fin dal 1848 nella caverna Forbes a Gibilterra. Al contrario, in Germania l’interpretazione di Schaaffhausen venne generalmente respinta e sotto l’influsso di F. Mayer, un collega di Schaafhausen a Bonn, prima e di Rudolf Virchow poi prevalse l’opinione che i resti dovessero attribuirsi a un individuo di età recente affetto da deformazioni patologiche. Secondo Mayer, anche in considerazione di presunti aspetti mongoloidi, poteva trattarsi di un cavaliere cosacco ferito in combattimento durante le guerre napoleoniche e rifugiatosi nella caverna di Feldhofer, dove trovò la morte. Queste interpretazioni furono spazzate via definitvamente dal paleoantropologo tedesco Gustav Schwalbe nel 1901, che ribattezzò i resti dell’uomo di Neandertal Homo primigenius. Nel frattempo numerosi nuovi ritrovamenti dimostrarono l’antichità e l’effettiva esistenza di un tipo umano differente da quello attuale. Negli anni 1911-1913 Marcelin Boule pubblicò uno studio dettagliato ed esaustivo della sepoltura de La Chapelle-aux-Saints, fornendo una interpretazione che per molti anni resterà come un punto di riferimento fondamentale6 . Purtroppo, Boule esasperò gli aspetti primitivi e “scimmieschi” del Neandertal, ricostruendo in modo non esatto le parti mancanti dello scheletro ed attribuendogli un’andatura non perfettamente eretta come quella dell’uomo moderno: il 4 D. SCHAAFHAUSEN, On the Crania of the most Ancient Races of Man, in Natural History Review, 1861, 1, p. 283 e ss. 5 C. LYELL 1863, p. 76. 6 M. BOULE, L’Home fossile de la Chapelle-aux-Saints, Annales de Paléontologie Humaine, tomi 6-8, Paris, 1911-1913. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 6.2 Le caratteristiche dell’uomo di Neandertal 142 collo e la testa piegati in avanti, le gambe un po’ flesse, il piede poco arcuato che appoggiava al suolo solo sul lato esterno, l’alluce divaricato. L’uomo di Neandertal veniva, quindi, escluso dalla diretta ascendenza umana, opinione che sarà condivisa anche da Arthur Keith. Paradossalmente, mentre nel XIX secolo vi era chi vedeva nei resti di Neandertal deformazioni patologiche, ora studiosi come Boule, Keith ed Elliott Smith non si resero conto che l’uomo della Chapelle-aux-Saints era affetto da gravi deformazioni artritiche che avevano colpito la colonna vertebrale, fatto che li condurrà a interpretazioni del tutto errate. Inizialmente la discussione sull’uomo di Neandertal si è accentrata intorno al fatto se potesse essere considerato un membro del genere Homo e se si trattasse di una specie differente dall’uomo attuale o di un individuo affetto da gravi patologie. Una volta acclarata la sua pertinenza al nostro stesso genere, il neandertal fu considerato come una specie a sé stante, che occupava nella filogenesi umana una posizione intermedia tra quella dell’erectus e quella dell’uomo attuale. I sostenitori della grande antichità della specie sapiens e della validità dell’uomo di Piltdown consideravano che tanto l’erectus quanto il Neandertal non potevano essere antenati dell’uomo moderno, ma costituivano rami collaterali destinati all’estinzione. La scoperta degli uomini fossili della Palestina diede l’avvio a nuove interpretazioni. Theodosius Dobzhansky propose che gli uomini della Palestina costituivano la prova di una ibridazione tra Neandertal e sapiens, tesi che fu accolta anche da Ernst Mayer7 . In questo caso Neandertal e sapiens dovevano essere sottospecie di un’unica specie e si cominciò a designarle come Homo sapiens neanderthalensis e Homo sapiens sapiens , mentre gli uomini del Pleistocene medio avanzato furono designati come Homo sapiens “arcaico”. Entrò in uso anche la distinzione tra Neandertal “classici”, quelli dell’Europa occidentale con caratteri fortemente specializzati di adattamento a un clima glaciale, e Neandertal orientali o progressivi, quelli del Vicino Oriente, con caratteri di maggiore affinità con il sapiens. Più recentemente, in seguito a numerose scoperte archeologiche ed anche paleoantropologiche, è stato meglio messo a fuoco il problema della transizione dal Neandertal all’uomo attuale in Europa e si è tornati a considerarli come due specie distinte, interpretazione rafforzata dalle prime analisi del DNA dell’uomo di Neandertal. 6.2 Le caratteristiche dell’uomo di Neandertal Gli uomini di Neandertal avevano statura di 1,5-1,65 m ca., con andatura perfettamente eretta; le ossa del femore, del radio, della clavicola sono molto 7 E. MAYR 1970, pp. 703-705. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 6.2 Le caratteristiche dell’uomo di Neandertal 143 più robuste di quelle dell’uomo attuale e denotano una potente muscolatura. Come conseguenza di una forma di adattamento a un clima freddo, il corpo era di aspetto tozzo, con spalle molto larghe e gambe e avambraccio corti. L’indice crurale, che esprime il rapporto tra lunghezza della tibia e quella del femore, era poco meno di 79 presso i Neanderthaliani, un valore prossimo a quello di popolazioni attuali che vivono in climi particolarmente rigidi, come i Lapponi e gli Esquimesi, mentre presso popolazioni che vivono in ambienti di clima caldo tropicale, come i Masai, l’indice crurale può raggiungere il valore di 87. La struttura corporea dei Neanderthaliani era, quindi, adatta a conservare il calore e denota un tipo umano specializzato per la vita in ambienti dal clima molto rigido come quelli dell’ultima glaciazione. Altri aspetti morfologici confermano questo fatto, ad es. la grande ampiezza delle cavità nasali, che permetteva all’aria inspirata di riscaldarsi più rapidamente prima di pervenire ai polmoni. La differenza con l’uomo moderno si coglie non tanto nella struttura del corpo, per quanto vi siano differenze, ad es. in alcuni aspetti dell’osso iliaco e dell’osso pubico, della scapola e della clavicola, ma soprattutto nella morfologia del cranio. Caratteri salienti del neurocranio sono il frontale non elevato, basso e sfuggente, la platicefalia, grande lunghezza e larghezza con notevole capacità (da 1300 a 1740 cm3 , la media è stimata in ca. 1520 cm3 , quindi superiore a quella dell’uomo attuale), il contorno subcircolare in norma occipitale con larghezza massima a livello della metà altezza dei parietali, l’occipite a forma di chignon, cioè con un profilo angoloso e la protuberanza occipitale alta, un forte toro occipitale orizzontale e non incurvato come nell’uomo moderno, una caratteristica depressione soprainiaca, il processo mastoide piccolo. L’iper-sviluppo dei seni frontali e mascellari ha determinato la formazione di una massiccia arcata sopra-orbitaria continua e un forte sviluppo della regione naso-mascellare, cioè una mascella molto grande e proiettata in avanti (forte prognatismo mediofacciale). Molto caratteristica ed esclusiva del Neandertal è la morfologia della regione facciale, in cui il profilo del mascellare in norma frontale è quasi diritto e non concavo come nell’Homo erectus e nell’uomo moderno. La mandibola, molto robusta, è priva di mento. Gli incisivi sono più grandi che nell’uomo attuale ed hanno una caratteristica forma a paletta; i premolari e i molari presentano un ingrandimento della cavità pulpare (taurodontismo) e radici in genere fuse. Tra il M3 e il ramo ascendente della mandibola c’è un caratteristico spazio libero (diastema retromolare). Mentre i reperti dell’interglaciale R/W presentano ancora una certa variabilità, quelli di età würmiana dell’Europa occidentale, compresa l’Italia, hanno un altissimo grado di somiglianza morfologica, superiore a quanto in genere si riscontra in una varietà razziale dell’uomo moderno. Questa grande c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 6.2 Le caratteristiche dell’uomo di Neandertal 144 uniformità potrebbe essere stata una delle cause che portarono all’estinzione dell’uomo di Neandertal. Con l’uomo di Neandertal si trovano per la prima volta resti fossili di adulti in età avanzata, il che significa certo un miglioramento delle condizioni di vita legato allo sviluppo culturale, e inoltre appaiono le prime chiare testimonianze di sepolture intenzionali e di riti magico-religiosi. L’uomo di Neandertal viveva di caccia e di raccolta del cibo. La dieta di un animale è rivelata dal tasso di concentrazione di 13C e di 15Nitrogeno, nei carnivori è alto quello di 15Nitrogeno, negli erbivori quello di 13C. Le analisi condotte sul collagene delle ossa di neanderthaliani per determinare le concentrazioni di 13C e di 15Nitrogeno hanno dimostrato che la loro dieta era quella di un carnivoro a metà strada tra un lupo, che consuma quasi esclusivamente carne, e una volpe, che accanto alla carne consuma occasionalmente anche frutti, grani e fogliame. Si è discusso molto e si discute tuttora sulle tecniche di caccia utilizzate dal Neandertal. Tra la tesi estrema di L. Binford, che il Neandertal fosse ancora un animale spazzino, necrofago, più che un cacciatore, e quella opposta che fosse un cacciatore altamente specializzato, la documentazione archeologica sembra indicare una via di mezzo: i Neanderthal erano dei veri cacciatori, ma non molto specializzati, potevano cacciare o anche sfruttare come sciacalli qualunque preda si trovasse nel loro territorio, senza praticare una forma specializzata di caccia, come seguire le migrazioni dei branchi, per es. delle renne – il che sarebbe stata una fonte inesauribile di cibo – e concentrarsi su alcune specie piuttosto che su altre. Erano piuttosto stanziali e rimanendo permanentemente tutto l’anno nella stessa area potevano andare incontro a forti stress nutrizionali in determinate stagioni dell’anno. Questo fatto sembra confermato dall’analisi dei denti. Un’analisi condotta su 300 resti neanderthaliani ha riscontrato un tasso del 40% di ipoplasia, una patologia che consiste in un mancato sviluppo completo dei denti e che è causata da stress nutrizionali nei primi sette anni di vita. I Neanderthaliani cacciavano utilizzando lance di legno, sulle quali potevano essere montate delle punte di selce. Non avendo tecniche di lancio a distanza, quali quelle consentite dall’arco o dal propulsore, dovevano affrontare gli animali a distanza piuttosto ravvicinata, quasi in un corpo a corpo. Se ciò era possibile grazie alla loro straordinaria robustezza, è anche vero che probabilmente a questa pratica si deve l’alto numero di lesioni traumatiche riscontrate sulle ossa degli uomini di Neanderthal. Il riparo di La Quina in Francia documenta l’utilizzo di un’altra tecnica di caccia, che consisteva nello spingere gli animali verso punti ristretti o verso un dirupo al cui piede si trovavano appostati in agguato altri cacciatori. Infatti, alla base del dirupo di La Quina sono state rinvenute ammucchiate molte c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 6.3 Indici di umanità per i Neandertal 145 ossa di bovidi, cavallo e renna, macellati sul posto dopo essere stati uccisi molto probabilmente in questa maniera. In Europa occidentale i Neandertaliani cacciavano soprattutto cervidi nella prima fase del Würm, bue primigenio, bisonte e cavalli durante la seconda fase più fredda e secca, mentre alle latitudini più meridionali la principale preda era lo stambecco. Del mammuth nei depositi archeologici sono rappresentate soprattutto le ossa di individui giovani. Occasionalmente anche l’orso poteva essere oggetto di caccia. I mammiferi di media taglia come cervo, renna, stambecco, camoscio, erano trasportati interi al campo base e qui scuoiati e macellati. Animali di dimensioni maggiori come il Bos primigenius e il bisonte venivano macellati nel luogo di abbattimento, dove veniva poi abbandonata la colonna vertebrale, mentre gli arti erano trasportati al campo base. La presenza di bruciature all’estremità delle ossa lunghe fa ritenere che a volte la carne venisse cotta alla brace. Il ritrovamento di focolari ben strutturati nei siti di abitazione dimostra che gli uomini di Neandertal non solo avevano il pieno controllo dell’uso del fuoco, ma che erano in grado di riprodurlo. 6.3 Indici di umanità per i Neandertal Numerosi documenti archeologici dimostrano che gli uomini di Neandertal si prendevano cura dei propri simili nel caso in cui fossero rimasti feriti o disabili, e che, inoltre, seppellivano i propri morti. La Chapelle-aux-Saints è una piccola grotta di forma sub-circolare in cui nel 1908 fu scoperto lo scheletro di un individuo adulto maturo, dell’età di ca. 40 anni, deposto in una fossa scavata nel substrato calcareo, lunga 1,45 e larga 1 m, profonda 30 cm, una sepoltura intenzionale. Lo scheletro era disteso sul dorso, la testa rivolta verso ovest, il braccio destro ripiegato e quello sinistro diritto, mentre le gambe erano ripiegate verso il lato destro. Vicino alla testa vi erano ossa animali, molte delle quali recavano segni dell’azione del fuoco, al pari del sedimento circostante. L’uomo di questa sepoltura era ormai vecchio per l’epoca e aveva subito una serie di traumi e malattie: una frattura alla mandibola, la perdita di gran parte dei denti, una grave forma di artrite deformante. Per sopravvivere cosı̀ a lungo in quelle condizioni, qualcuno doveva provvedere a fornirgli il cibo, poiché certamente non poteva più andare a caccia, e probabilmente era necessario pre-masticare il cibo prima di darglielo, nonché assisterlo nei movimenti e negli eventuali spostamenti. Non si tratta di un caso isolato. Recentemente, nel luglio 2000, a Bau c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 6.3 Indici di umanità per i Neandertal 146 l’Aubesier, una caverna della Vaucluse, in Provenza, è stata scoperta una mandibola appartenuta a un individuo che aveva perso i denti a causa di un’infezione e che era sopravvissuto a questa patologia per diversi anni. La sopravvivenza sarebbe stata impossibile senza l’aiuto del gruppo al quale apparteneva. Il cibo per un individuo cosı̀ debole doveva essere preparato, cotto, tagliato e forse anche pre-masticato da qualcuno che lo assisteva. È vero che una persona senza denti può consumare cibo molto soffice, come molluschi, lumache ed anche vermi, se necessario, ma non risulta che i Neandertaliani facessero uso di questo genere di cibo. La caverna di Bau l’Aubesier ha restituito anche una importante documentazione sull’uso controllato del fuoco e sull’organizzazione dello spazio domestico, nonché sull’industria litica. Il livello di occupazione risale all’ultimo interstadiale rissiano (OIS 7), ca. 200.000 anni fa. L’individuo n. 1 della caverna di Shanidar sopravvisse fino a ca. 40 anni nonostante le sue gravi infermità: cieco all’occhio sinistro, affetto da artropatia grave, il braccio destro atrofizzato ed amputato dell’avambraccio. Certamente non avrebbe potuto sopravvivere fino a 40 anni, se non fosse stato assistito e nutrito. In cambio forse faceva qualche lavoro con la mano sinistra e con la bocca, la fortissima usura della dentatura anteriore, letteralmente fino alla radice, indica che probabilmente masticava le pelli per conciarle. Questi esempi sono la chiara testimonianza di forti vincoli sociali e affettivi tra i membri dei gruppi neandertaliani, la cui esistenza è ulteriormente avvalorata dal fatto che l’uomo di Neanderthal seppelliva i propri morti ed aveva già elaborato un rituale funerario. Le più importanti sepolture neandertaliane sono state scoperte nella caverna di Shanidar in Iraq, in quella di Kebara in Palestina, a Teshik Tash nell’Uzbekistan, a La Chapelle aux Saints, La Ferrassie, Le Moustier, Régourdou e al Roc de Marsal in Francia. Tutte le sepolture neandertaliane finora conosciute risalgono al Würm, a partire da ca. 70.000 anni fa. Infine, uno dei casi più straordinari è la sepoltura IV di Shanidar, poiché l’analisi pollinica dei campioni prelevati in diversi punti dell’area della sepoltura, ubicata a 15 m dall’entrata della grotta, ha rivelato in corrispondenza dello scheletro una forte concentrazione di pollini di diversi fiori di colore giallo (Achillea, Senecio, Centaurea), blu (Muscari) ed alcune Malvacee. Alcuni pollini erano come incollati insieme a dozzine o a centinaia e l’unica spiegazione dell’anomala concentrazione non può che essere l’introduzione da parte dell’uomo e non la dispersione casuale da parte di animali o dall’azione del vento. Quindi, i Neandertaliani avevano deposto fiori in una tomba. È fuori discussione che gli uomini di Neandertal avevano strutture sociali molto più complesse di tutti gli Ominidi precedenti. I legami sociali e affettivi di cui la pratica della sepoltura dei morti e l’assistenza fornita ai propri c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 6.3 Indici di umanità per i Neandertal 147 simili colpiti da gravi traumatismi o da gravi malattie invalidanti documentano concordemente l’esistenza, pongono in maniera acuta il problema delle capacità linguistiche degli uomini di Neanderthal. I suoni del linguaggio articolato dell’uomo moderno sono resi possibili dalle corde vocali poste nella laringe, le quali imprimono delle vibrazioni al flusso d’aria espirata, vibrazioni che sono poi ulteriormente modulate nella bocca producendo le vocali, mentre le consonanti sono prodotte articolando le vocali con le labbra (labiali), la lingua e i denti (dentali), la lingua e il palato ( gutturali). Negli uomini moderni la laringe è posta più in basso rispetto all’uomo di Neandertal e quindi la faringe, cioè il canale che sta tra il palato molle e l’epiglottide e nel quale avviene la fonazione risonante, è molto più lunga che nel Neanderthal. Nello scheletro della sepoltura di Kebara si è conservato integralmente l’osso ioide, a cui si attaccano i muscoli della gola e che quindi svolge una importante funzione nel linguaggio. L’osso ioide di Kebara è del tutto simile a quello umano. Certamente i Neandertaliani avevano un linguaggio verbale, ma probabilmente con suoni differenti da quelli dell’uomo moderno. Il linguaggio verbale non consiste soltanto nell’emissione di suoni articolati, bensı̀ nell’associare a determinati suoni un determinato significato e la codificazione di questa associazione avviene nella corteccia cerebrale. Il linguaggio verbale richiede quindi facoltà elevate di astrazione e simbolizzazione. A favore del fatto che l’uomo di Neandertal possedesse un linguaggio verbale abbastanza sofisticato, anche se differente da quello dell’uomo moderno, parlano altre evidenze, alcune di carattere biologico, altre di carattere archeologico. Il suono articolato richiede precisi movimenti da parte della lingua che sono controllati da due fasci di nervi che passano attraverso i canali ipoglottidi alla base del cranio. Questi due fori nell’uomo moderno sono più grandi che nel gorilla, nello scimpanzè, negli Australopiteci e nell’Homo erectus, perché devono alloggiare un fascio di nervi più consistente. La larghezza di questi canali nel Neandertal è paragonabile a quella dell’uomo moderno. È quindi probabile che l’uomo di Neandertal fosse dotato di linguaggio, ma probabilmente non nella stessa maniera con cui parliamo noi. Nel 1996 a Divje Babe I, una caverna nella valle della Idrijca (Slovenia occidentale) presso Sebrelje, è stato scoperto un flauto ricavato da un femore di un giovane orso. La caverna ha un deposito della potenza di 12 m, risalente al Pleistocene superiore e in corso di scavo dal 1980. Dallo strato 2, datato 35300 ± 700 e 36000 ± 1000 BP, provengono punte d’osso e altri reperti aurignaciani. Gli strati 3-7, costituiti da pietrisco e con numerosi fenomeni c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 6.3 Indici di umanità per i Neandertal 148 di crioturbazione nella parte superiore (strati 3-5), hanno restituito industria litica musteriana. Lo strato 6 ha una datazione radiocarbonica di 43400 ± 1200/1400 BP. Gli strati 2-7 appartengono all’interpleniglaciale (OIS 3). Lo strato 8 ha restituito industria litica musteriana ed ha due datazioni radiocarboniche: 45100 ± 1500/1800 e 46000 ± 2000 BP. La parte più profonda del deposito è attribuibile al periodo tra il primo pleniglaciale würmiano (OIS 4) e l’ultimo interglaciale. Il flauto, scoperto nel 1995, proviene dalla parte superiore dello strato 8 ed è stato rinvenuto a una profondità di 2,7 – 2,8 m dalla superficie, a 15 m dall’entrata della caverna e a breve distanza da un focolare, con resti di carboni, ceneri e ossa animali bruciate. Non vi sono dubbi sulla sua pertinenza al Musteriano e sulla sua datazione. Il reperto ha una lunghezza di 11,5 cm – la lunghezza originaria doveva essere intorno ai 14 cm – e conserva ancora due fori circolari intatti e altri due frammentari alle due estremità. I fori sono regolari ed allineati tra loro, hanno un diametro di 9 mm. È incerto quale sia la parte prossimale e quella distale dello strumento a causa delle rotture delle due estremità. Il centro del primo foro è distante 1,75 cm dal centro del secondo foro, che a sua volta dista dal centro del terzo foro 3,45 cm. La distanza tra terzo e quarto foro è di 2,6 oppure di 3 cm: l’esatta posizione del quarto foro è incerta a causa delle lacune del reperto. Sulla faccia opposta in corrispondenza del terzo foro si trova un altro foro, conservato solo parzialmente, ma è incerto se si tratti effettivamente del foro del pollice. Se cosı̀ fosse, l’imboccatura dello strumento andrebbe collocata dalla parte di quello che abbiamo descritto come quarto foro. In linea generale, la disposizione dei fori corrisponde bene alla posizione delle dita ed è del tutto verosimile che si tratti del più antico strumento musicale finora ritrovato. È notevole il fatto che la distanza tra il secondo e il terzo foro sia il doppio di quella tra il primo e il secondo. In questo caso avremmo una scala diatonica minore con quattro note: “mi, fa, sol, la”. Alcuni autori (Nowell, d’Errico) hanno espresso l’opinione che i fori non siano stati prodotti dall’uomo, ma dal rosicchiamento dell’osso da parte di animali. A sostegno di questa ipotesi vengono addotti numerosi esempi di ossa animali che recano fori circolari prodotti dalle morsicature di animali. Tuttavia, la considerazione che sicuramente tre, ma molto probabilmente quattro fori sono allineati, che il diametro dei fori è eguale, che la distanza dei fori corrisponde alla spaziatura di una scala musicale, che nonostante la presunta masticazione dell’osso da parte degli animali non vi sono altri segni che comprovino questo fatto, rendono questa ipotesi estremamente improbabile. Un flauto presuppone che i Neandertaliani producessero musica e quindi possedessero facoltà di astrazione e simbolizzazione come quelle richieste dal linguaggio verbale. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano CAPITOLO 7 Il destino dell’uomo di Neandertal e l’origine dell’uomo moderno ra 200 e 100 ka vi era una relativamente grande varietà di Ominidi umani in diverse parti del Vecchio Continente: uomini di Neandertal in T Europa, uomini anatomicamente moderni in Africa, Homo erectus di forme evolute nell’Estremo Oriente. Dopo 30 ka in tutto il Vecchio Continente troviamo soltanto uomini anatomicamente moderni. Per spiegare questa trasformazione sono state proposte due teorie. La prima è nota come modello della continuità multiregionale o teoria del candelabro. Fu avanzata per la prima volta da Franz Weidenreich nel 1939, in seguito sostenuta da Carleton Coon (1962) ed ora da Milford Wolpoff, dell’università del Michigan. Secondo Weidenreich l’evoluzione dell’Homo erectus di Chu Ku Tien avrebbe dato origine alla moderna razza mongoloide, l’Homo erectus di Giava, di cui si conoscono forme più arcaiche (Trinil e Sangiran) e forme più evolute (Ngandong) sarebbe all’origine della razza australoide, mentre l’attuale razza negroide subsahariana discenderebbe dall’Homo erectus africano. Le tesi di Weidenreich furono riprese da Coon nel suo libro The Origin of Races, pubblicato nel 1962 e dedicato alla memoria di Franz Weidenreich. Coon sosteneva che tutta l’umanità attuale poteva essere suddivisa in cinque sottospecie, caucasoidi (la cd. razza bianca), negroidi, mongoloidi, australoidi e capoidi (Boscimani e Ottentotti) e che questa suddivisione poteva essere riconosciuta già nell’Homo erectus del Pleistocene medio e superiore. Le cinque sottospecie si sarebbero evolute in maniera parallela e indipendente l’una dall’altra fino a raggiungere il grado di Homo sapiens, ma con ritmi differenti. Il phylum dei Caucasoidi sarebbe stato il primo a pervenire allo stadio di Homo sapiens, seguito da quello dei mongoloidi, poi dai negroidi e per ultimo dai capoidi e dagli australoidi. È forse superfluo c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 150 sottolineare le chiare implicazioni razzistiche delle tesi di Coon, dal momento che le differenze dei livelli di civiltà riscontrate nelle differenti popolazioni venivano implicitamente ricondotte al precoce o tardivo raggiungimento dello stato sapiens da parte delle cinque sottospecie. Non a caso negli U.S.A. i fautori della segregazione razziale cercarono di trovare nell’opera di Coon un sostegno scientifico alle loro tesi. Tuttavia, il mondo scientifico americano reagı̀ abbastanza concordemente all’opera di Coon, che caduto in totale discredito fu costretto ad abbandonare il suo insegnamento a Yale. La teoria del candelabro è oggi sostenuta da Milford Wolpoff, ma con argomentazioni sostanzialmente differenti da quelle di Coon. L’Homo erectus (o ergaster ) si sarebbe diffuso dall’Africa in Asia e in Europa a partire da 2 Ma e in seguito si sarebbe verificata una evoluzione parallela che alla fine condusse alle diverse varietà razziali attuali: da Homo erectus. dell’Indonesia alle popolazioni australiane, da Homo erectus della Cina ai moderni Asiatici orientali, da Homo erectus/ergaster dell’Africa alle moderne popolazioni africane a sud del Sahara, mentre Homo erectus/heidelbergensis attraverso l’uomo di Neandertal avrebbe contribuito geneticamente in maniera significativa alle moderne popolazioni europee, unitamente a popolazioni immigrate dall’Africa e dall’Asia occidentale. A supporto di questa teoria si adduce il fatto che nelle diverse regioni del Vecchio Continente è possibile riconoscere una continuità morfologica nell’arco degli ultimi 2 Ma. Il fenomeno della comparsa della nuova specie Homo sapiens non si sarebbe verificato in una sola regione e una sola volta, bensı̀ in tutte le principali regioni in cui si era diffuso l’Homo erectus attraverso uno stadio intermedio spesso denominato Homo sapiens arcaico. La differenza importante rispetto alle tesi di Coon consiste nel ritenere che vi sia stato un costante flusso genico tra le popolazioni vicine, altrimenti popolazioni geograficamente del tutto isolate una dall’altra avrebbero finito per produrre specie differenti. In sostanza, un’evoluzione parallela di popolazioni con diversa dislocazione geografica, ma all’interno di un’unica specie. In conclusione i sostenitori della continuità multiregionale ritengono che la documentazione fossile dimostri che nelle diverse regioni del Vecchio Continente sia possibile osservare l’identica traiettoria evolutiva Homo erectus – Homo sapiens arcaico – Homo sapiens anatomicamente moderno e che inoltre le peculiari caratteristiche che distinguono le attuali razze umane si comincino ad intravedere nelle singole regioni attraverso tutto questo percorso evolutivo, per cui sarebbero non tanto fenomeni recenti dovuti alla dispersione dell’uomo moderno nel mondo, quanto il risultato di una lunga storia evolutiva in loco. Un’altra teoria sull’origine dell’uomo moderno fu esposta per la prima volta da William Howells: l’Homo sapiens anatomicamente moderno sarebbe comparso in epoca abbastanza recente in Africa per evoluzione dalle locali c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 151 forme avanzate di Homo erectus e in seguito si sarebbe diffuso in Asia e in Europa rimpiazzando tutte le locali popolazioni di Ominidi, dall’uomo di Neandertal dell’Europa occidentale alle più tarde forme di Homo erectus dell’Asia orientale. Howells denominò questo modello “ipotesi dell’arca di Noè”. Nel 1986 gli studi di genetica condotti da Allan Wilson, Rebecca Cann e Mark Stoneking, dell’università di Berkeley, sembrarono corroborare questa ipotesi. La ricerca venne condotta sul DNA mitocondriale, poiché ha soltanto 16500 coppie di basi a differenza del DNA del nucleo contenuto nei cromosomi, che comprende qualcosa come tre miliardi di coppie di basi. Inoltre, il DNA mitocondriale è trasmesso soltanto dalla madre. Lo studio del DNA mitocondriale delle attuali popolazioni umane indicava una omogeneità molto forte con scarsa variazione genetica e poiché il più alto tasso di variazione era riscontrato nelle popolazioni africane attuali, ciò significa che nell’Africa a sud del Sahara gli uomini moderni hanno avuto più tempo per accumulare le variazioni e di conseguenza che l’uomo moderno in queste regioni è più antico. Poiché la nascita dell’uomo moderno si sarebbe verificata in Africa, la teoria venne ribattezzata teoria dell’“Eva africana”, per il fatto che il DNA mitocondriale si trasmette per via materna. Nel 1988 gli antropologi Christopher Stringer e Peter Andrews, del British Museum, utilizzarono i nuovi dati genetici e quelli paleontologici per sostenere l’origine africana dell’uomo moderno, sviluppando il modello out of Africa, basato essenzialmente su pochi punti: 1. le popolazioni di Homo erectus originarie dell’Africa e diffusesi in Asia ed Europa, rimasero geneticamente isolate e la loro evoluzione locale condusse alla formazione di nuove specie: il Neandertal in Europa, le forme classiche di Homo erectus nell’Asia orientale e sud-orientale; 2. l’uomo anatomicamente moderno è comparso in un’area che comprende l’Africa meridionale, l’Africa orientale e il Vicino Oriente; 3. l’uomo anatomicamente moderno è migrato fuori dall’Africa ed ha occupato progressivamente tutto il Vecchio Continente, rimpiazzando completamente le locali popolazioni senza alcuna forma di ibridazione. I primi studi sul DNA mitocondriale furono eseguiti su un campione numericamente piuttosto ridotto, ma in seguito il numero degli individui testati è salito a 4000 unità e il risultato non è cambiato: nelle moderne popolazioni umane dell’Europa, dell’Asia, dell’Australia, dell’Oceania e delle Americhe il tasso di variazione del DNA mitocondriale è più basso che nelle popolazioni africane a sud del Sahara. Per valutare l’epoca di formazione della specie c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 152 umana anatomicamente moderna e la sua diffusione fuori dall’Africa si considerò un tasso di mutazione del 2-4% ogni milione di anni e di conseguenza l’origine dell’uomo moderno poteva essere collocata tra 140 e 290 ka e la sua uscita dall’Africa tra 90 e 180 ka. Si tratta di stime approssimative e non bisogna trascurare il fatto che se si adotta un tasso di mutazione un po’ più basso l’epoca in cui visse l’Eva africana viene a cadere nel range cronologico dell’Homo erectus e questo potrebbe essere un argomento a favore della teoria della continuità multiregionale. A favore della teoria del rimpiazzamento totale sono intervenuti gli studi sul DNA del Neandertal. Svante Paabo ed altri ricercatori sono riusciti ad estrarre segmenti di DNA dalle ossa di alcuni scheletri di Neandertal e confrontandolo con quello dell’umanità attuale ritengono che la differenza sia tale da dover escludere che Neandertal ed uomo anatomicamente moderno possano aver fatto parte di un’unica specie. La divergenza evolutiva tra Neandertal ed uomo moderno risalirebbe a più di 400 ka. Mentre in Europa i primi resti di uomini anatomicamente moderni – gli uomini di Cro Magnon, nella valle della Vézère in Dordogna e delle grotte dei Balzi Rossi nella Liguria di Ponente, e gli uomini di Mladec e di Velika Pecina in Moravia – venivano fatti risalire a circa 32-28 ka, nel Vicino Oriente le grotte della Palestina hanno restituito sepolture di uomini moderni molto più antiche di quelle europee. Gli scavi condotti da B. Vandermeersch nella grotta di Qafzeh hanno portato alla luce le sepolture di 6 adulti e 8 bambini nei livelli XXII e XXI del vestibolo, caratterizzati da industria litica musteriana. Inizialmente datati tra 59 e 68 ka, successive datazioni con il metodo della termoluminescenza hanno assegnato a queste sepolture un’età compresa tra 100 e 90 ka. Negli anni 1931-1932 furono scoperte le sepolture di 7 adulti e 3 bambini nella grotta di Skhul nel monte Carmelo. Anche in questo caso uomini di tipo moderno, definibili come Proto-Cro Magnon, erano associati a industria musteriana. Già datati verso 55-35 ka, le nuove datazioni assegnano loro un’età compresa tra 93 e 65 ka (ESR) oppure intorno a 119 ka (TL). Le sepolture neandertaliane della Palestina, venute alla luce nelle grotte di Tabun, di Amud e di Kebara, sempre in contesti culturali di tipo levalloisomusteriano o di musteriano evoluto, sarebbero in parte più antiche (Tabun) e in parte più recenti (Amud e Kebara, databili nell’ambito della prima parte della glaciazione würmiana, tra 70 e 45 ka). Sembrerebbe quindi che con il raffreddamento climatico gli uomini moderni abbiano abbandonato la Palestina e vi si siano insediati gli uomini di Neandertal provenienti dall’Europa orientale. Questa ipotesi può essere valida per i Neandertaliani di Amud, datati mediante TL e ESR a 50 ka, e di Kebara, datati mediante TL a 60 ± 4 ka, mentre i Neandertaliani del livello C della grotta di Tabun, già datati con il 14 C a 40,8 e 51 ka, alla luce delle date ESR (100 ka) e TL (170 ka), sembrano c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 153 molto più antichi. Quindi l’alternanza uomo di Neandertal / uomo moderno si sarebbe verificata più volte nella stessa regione. Per quanto riguarda l’Europa bisogna precisare che le attribuzioni di resti scheletrici di tipo Cro-Magnon ad età aurignaciana non è sicura, trattandosi sempre di vecchie scoperte prive di controllo scientifico. In realtà, anche se tutti i ricercatori sono concordi nel ritenere che l’Aurignaciano sia in trodotto in Europa da uomini anatomicamente moderni, fino ad oggi non vi è una sola sepoltura attribuibile con sicurezza all’Aurignaciano. In Africa orientale e meridionale abbiamo documenti paleontologici e archeologici dell’uomo moderno più antichi che in ogni altra parte del Vecchio Continente. Il cranio KNM-ER 3884, rinvenuto a Ileret nel membro Chari della formazione di Koobi Fora, comprende gran parte dei parietali, dei temporali e dell’occipitale, la regione sopraorbitaria quasi completa e parte della mascella con tutti i denti. Appartenente a un individuo adulto, ha una capacità cranica di ca. 1400 cm3 . Il toro sopra-orbitario, per quanto non molto forte, è l’unico tratto arcaico, per il resto il cranio ha un aspetto moderno. Dallo stesso livello del cranio proviene un femore (KNM-ER 999), che a parte la sua robustezza, presenta caratteristiche moderne. Le datazioni U-Th e U-Pa effettuate su due frammenti del cranio e sul femore indicano una data tra 250 e 300 ka. Morfologicamente simili al cranio di Ileret sono quelli di Florisbad, nel Sudafrica, e di Laetoli OH 18, in Tanzania. Florisbad è un cranio frammentario attribuito a un soggetto femminile ed è stato recentemente datato mediante ESR a ca. 250 ka. Il cranio di Laetoli proviene dalla formazione di Ngaloba ed è stato datato mediante U-Th al periodo compreso tra 129 e 108 ka. Al periodo compreso tra 200 e 130 ka risale, probabilmente, il cranio frammentario di Eyasi. Uno dei ritrovamenti più importanti per questo periodo cruciale dell’evoluzione del genere Homo è quello fatto nel 1967 nella valle dell’Omo in Etiopia dalla spedizione congiunta franco-americana-kenyota diretta, per quanto riguarda il gruppo kenyota, da Richard Leakey. Negli strati della formazione di Kibish fu rinvenuto un cranio (Omo 1), mentre altri due furono scoperti in superficie. La formazione di Kibish comprende 5 unità numerate da V a I a partire dall’alto. Il cranio Omo 1 è stato rinvenuto nella parte superiore dell’unità I, i cui tufi erano troppo recenti per una datazione U-Th. Le conchiglie di un livello inferiore a quello del cranio sono state datate con la serie U-Th a ca. 130 ka, mentre la parte superiore dell’unità III è al di là delle possibilità di datazione con il radiocarbonio e le conchiglie dell’unità IV sono state datate con il 14 C a 37 ka. Una data tra 130 e 100 ka è quindi possibile per il cranio Omo 1, che presenta caratteristiche moderne: frontale c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 154 elevato, volta cranica alta, regioni parietali espanse, occipite arrotondato; la mandibola presenta il mento, i denti sono moderni per forma e dimensioni. La capacità cranica è superiore a 1400 cm3 . Le ossa dello scheletro postcranico provenienti dallo stesso livello (costole, vertebre, ossa della mano e del piede, omero, tibia, ecc.) hanno una morfologia completamente moderna. Il cranio Omo 2, il cui contesto stratigrafico non è sicuro, nonostante la grande capacità cranica (1430 cm3 ) ha un aspetto più arcaico per la maggiore robustezza, l’occipite a chignon, la volta cranica più bassa. Nel 1999 e poi negli anni 2001-2003 il sito del ritrovamento dei crani Omo I e II è stato nuovamente investigato da un’équipe delle università di New York, dello Utah e di Canberra. Oltre al ritrovamento di altri resti dell’inidividuo Omo I, è stato possibile datare con precisione un livello di ceneri vulcaniche di poco sottostanti al livello da cui provengono i resti umani, ottenendo una data di 196 ka. Quindi la data di Omo I e II è intorno ai 190-195 ka, più antica di quanto finora si riteneva. Poco tempo prima era stata effettuata un’importante scoperta a Herto nella regione dell’Afar in Etiopia. Da livelli databili a 154-160 ka provengono un cranio pressoché completo, frammenti di un secondo cranio e un cranio parziale di un bambino di ca. 6-7 anni. Il cranio completo ha una capacità di 1450 cm3 e la sua morfologia appare quasi del tutto moderna: il toro sopraorbitario è poco sviluppato, il frontale è alto, la volta cranica convessa e arrotondata, mentre l’occipitale forma un angolo. Pienamente moderni appaiono i resti umani scoperti in alcune grotte intorno alla foce del fiume Klasies (Sudafrica) in un contesto culturale attribuibile alla Middle Stone Age africana. I resti umani, comprendenti 5 mandibole frammentarie, due frammenti di mascellare, alcuni frammenti di calotta cranica, denti e resti scheletrici postcranici, provengono dai più antichi livelli di occupazione, caratterizzati da un’industria litica di débitage levallois, denominata tipo Pietersburg, e datati all’ultimo interglaciale, ca. 125 – 115 ka, e intorno a 90 ka. Le conchiglie marine provenienti da questi livelli hanno un rapporto isotopico dell’ossigeno (180/160) tipico di acque molto calde come quelle di un periodo interglaciale. La maggior parte dei resti umani provengono dai livelli datati verso 90 ka. Le mandibole hanno un mento chiaramente definito, mentre il frontale è privo dello spesso torus sopra-orbitario caratteristico dell’Homo erectus e dell’uomo di Neandertal. Una sepoltura di uomo anatomicamente moderno è stata scoperta nel 1994 a Taramsa, una collina presso Dendera in Egitto, nel corso degli scavi diretti da Pierre M. Vermeersch, dell’università di Lovanio in Belgio. La località era in età preistorica un centro di estrazione di chert, una varietà di selce utile per la fabbricazione di strumenti. All’interno di un pozzo, era stata collocata la sepoltura di un bambino di circa 8-10 anni di età; la posizione c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 155 in cui era stato deposto è molto singolare: appoggiato contro la parete in posizione seduta, con la faccia rivolta verso est e la testa rivolta verso l’alto, il braccio sinistro disteso lungo il fianco e quello destro piegato dietro il dorso. La sepoltura è stata datata verso 55 ka e l’analisi preliminare condotta sullo scheletro indica che si tratta di un individuo pienamente moderno, anche se presenta ancora qualche tratto arcaico nella morfologia dell’avambraccio e della faccia. L’importanza del ritrovamento, oltre che per l’epoca a cui risale, dipende anche dal fatto che si trova lungo la rotta che l’uomo moderno ha dovuto percorrere nella sua diffusione al di fuori dell’Africa verso il Vicino Oriente e l’Europa. Altrettanto importanti sono le precoci documentazioni in Africa di aspetti culturali quali l’industria litica su lama, lo sviluppo dell’industria su osso, il microlitismo, l’utilizzo sistematico delle risorse delle acque interne e di quelle marine lungo le coste, ad es. la pesca e la raccolta dei molluschi, e infine segni materiali di comportamenti altamente simbolici, tutti elementi che denotano un comportamento “moderno” solitamente associato al Paleolitico superiore europeo e all’uomo anatomicamente moderno. Per quanto siamo ancora ben lontani dall’avere un quadro chiaro degli sviluppi culturali durante la Middle e la Late Stone Age in Africa, alcuni siti ben datati e scientificamente indagati forniscono alcuni sicuri punti di riferimento. Tra i siti più importanti vi è la caverna di Blombos, lungo la costa sudafricana, 100 miglia a ovest del fiume Klasies. Gli scavi sono diretti dal prof. Chris Henshilwood. La parte superiore del deposito è di età recente, quindi uno strato sterile di sabbia gialla, residuo di un’antica duna, copre il deposito della Middle Stone Age. Da questi livelli, datati tra 100 e 70 ka, provengono 7 denti di tipo moderno, fra cui alcuni decidui e un incisivo non ancora spuntato di un bambino di circa 5 mesi attestano la presenza di bambini piccoli e quindi indirettamente delle donne nella caverna. Sempre in questi livelli sono stati rinvenuti migliaia di pezzi di ocra (ematite rossa), molti dei quali mostrano segni di raschiatura per produrre evidentemente polvere. Vi sono anche pezzi di ocra che hanno la forma di gessetti. L’uso dell’ocra in polvere o in gessetti è strettamente connesso a un comportamento di tipo simbolico caratteristico dell’uomo moderno: con l’ocra ci si dipingeva il corpo, oppure si coloravano le vesti, l’ocra aveva anche un significato rituale nei riti di passaggio e nelle cerimonie della sepoltura dei defunti. Inoltre, l’ocra poteva servire per conciare le pelli. Recentemente nella caverna di Blombos è stato rinvenuto un pezzo rettangolare di ocra su cui erano stati incisi con una punta di pietra una serie di rombi in modo da formare un motivo ornamentale. E’ questo il più antico documento di arte figurativa finora scoperto. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 156 Nella caverna di Blombos è stata rinvenuta industria litica su lama ed anche industria su osso, ad es. punteruoli d’osso che potevano essere usati per fare fori nelle pelli. La materia prima dei manufatti litici è una roccia dura che si trova solo a una ventina di miglia di distanza. Fra i resti di pasto vi sono ossa di pesci di grandi dimensioni e gusci di molluschi marini. Gli uomini che vivevano nelle caverne alla foce del fiume Klasies avevano una dieta comprendente selvaggina, molluschi, vegetali. Cacciavano antilopi, foche, pinguini. I resti umani sono stati rinvenuti mescolati ai resti di pasto e ai rifiuti di cucina, alcuni frammenti di cranio erano anneriti dal fuoco ed alcune ossa mostravano chiari segni di taglio. Tutto ciò ha fatto pensare a pratiche di cannibalismo. Nel corso di una fase fredda datata ca. 70-65 ka le caverne del Klasies furono abitate da una popolazione che praticava una scheggiatura laminare e lamellare, fabbricava strumenti a dorso su lame sottili e strumenti microlitici come segmenti a dorso. La materia prima utilizzata proveniva da ca. 20 km di distanza. Questa industria è stata denominata Howieson’s Poort ed è conosciuta in diverse località del Sudafrica (Nelson Bay Cave, Paardeberg). Una importante industria su osso, con arpioni, coltelli e ami, e una pratica diffusa della pesca documentata dai rifiuti di pasto, in cui abbondano i resti di pesci, è stata scoperta in due siti vicini nei pressi di Katanda, nello Zaire orientale, verso il confine con l’Uganda, lungo i terrazzi del fiume Semliki, che scorre subito a ovest del Ruwenzori e si immette nel lago Alberto. I due siti, scavati da J. Yellen e A. Brooks, sono stati datati a 90-80 ka. In conclusione, in Africa l’uomo anatomicamente moderno e gli aspetti culturali ad esso collegati sarebbero più antichi che in ogni altra parte del mondo. Quindi, i documenti paleontologici, le industrie litiche nonché altri aspetti culturali e gli studi del DNA convergerebbero per confermare la teoria out of Africa: l’Homo sapiens ha avuto origine in Africa e da lı̀ si è diffuso in altre parti del mondo, rimpiazzando completamente altre specie di Ominidi, dall’uomo di Neandertal in Europa alle forme piè recenti di Homo erectus nell’Estremo Oriente asiatico. Quest’ultimo aspetto della teoria è forse quello che ha suscitato le maggiori controversie. Soltanto in Europa la documentazione archeologica è cosı̀ ampia da poter studiare in maniera approfondita la diffusione dell’uomo anatomicamente moderno e i problemi della scomparsa dell’uomo di Neandertal, mentre in altre regioni come l’Asia orientale, l’Indonesia e l’Australia il quadro è ancora fortemente lacunoso. Da un punto di vista teorico la sostituzione dell’uomo di Neandertal da parte dell’uomo moderno può essere avvenuta secondo processi differenti: 1. evoluzione locale dal Neandertal all’uomo moderno; 2. immigrazione dell’uomo moderno, che venendo in contatto con il Neandertal ne determina la rapida e totale scomparsa come conseguenza della sua superiorità tecnologica c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 157 o come conseguenza della diffusione di malattie verso le quali il Neandertal non aveva difese immunitarie; 3. dopo l’immigrazione dell’uomo moderno in Europa, il suo contatto con le popolazioni neandertaliane determina fenomeni di acculturamento e di ibridazione o di assorbimento. La prima ipotesi non è più accettabile alla luce sia dei dati archeologici che di quelli paleoantropologici. La seconda ipotesi è quella che gode attualmente del maggior numero di sostenitori, ma anche la terza ipotesi contiene elementi che sembrano trovare conferma nella documentazione archeologica. Innanzitutto, appare ormai chiaro che non vi è stato un rimpiazzamento rapido e totale e una scomparsa più o meno improvvisa dell’uomo di Neandertal. Il processo è stato lento e di lunga durata – almeno quindicimila anni – e differente da una parte all’altra dell’Europa. Sulla ricostruzione del quadro di questo processo permangono molti elementi di incertezza, dovuti sostanzialmente al fatto che le datazioni radiocarboniche anteriori a 30-35 ka non sono molto affidabili. Si ritiene in genere che l’Aurignaciano, a cui è strettamente associata la diffusione dell’uomo moderno, abbia un’origine medio-orientale e sia comparso dapprima nell’Europa sud-orientale, a partire da 45 ka: grotte di Bacho Kiro, livello 11, e di Temnata in Bulgaria e siti di Istallöskó in Ungheria e di Willendorf in Austria. Le datazioni tra 46 e 40 ka di questi siti non sono comunque sicure, ad es. il livello 11 di Bacho Kiro è stato datato a > 43 ka con il 14 C, ma nuove datazioni effettuate con l’AMS hanno fornito date comprese tra 38 e 34 ka. Comunque tra 40 e 35 ka l’Aurignaciano sembra essersi diffuso lungo la via danubiana fino all’Europa centrale e dall’area medio danubiana all’Italia settentrionale e quindi alla Francia meridionale e alla Spagna settentrionale (Catalogna e regione cantabrica). A nord e a sud di questo asse di diffusione est-ovest troviamo complessi culturali, definiti di transizione tra Paleolitico Medio e Paleolitico Superiore, come lo Szeletiano nell’Ungheria settentrionale, in Moravia e in Slovacchia; l’Uluzziano nella penisola italiana; lo Chatelperroniano diffuso in Francia dal sud-ovest fino allo Yonne. Questi complessi di transizione si sono sviluppati certamente dai precedenti complessi musteriani, ma si caratterizzano per la presenza di aspetti di novità, che possono ricondursi a un influsso esercitato dalla cultura aurignaciana (ad es. adozione della scheggiatura laminare e comparsa di oggetti di ornamento). Cosa sappiamo sulle popolazioni umane dei complessi di transizione e su quelle dei più antichi complessi aurignaciani? Purtroppo molto poco. L’unico individuo riferibile con sicurezza allo Chatelperroniano è stato scoperto a St. Césaire in Francia: datato a 36 ka, è senza dubbio un neandertaliano. Anche i denti rinvenuti nei livelli chatelperroniani della grotta della Renna ad Arcy sur Cure sono di tipo neandertaliano. Analogamente alcuni denti decidui provenienti dai livelli uluzziani della Grotta del Cavallo in Puglia c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 158 sono attribuibili all’uomo di Neandertal. Per quanto riguarda i complessi di transizione dell’Europa centrale, i ritrovamenti di resti umani sono più frammentari e problematici. Un frammento di mascellare attribuibile all’uomo di Neandertal è stato rinvenuto nel livello inferiore della grotta di Sipka in Cecoslovacchia, insieme a un’industria di tipo musteriano denticolato, quasi del tutto priva di scheggiatura levalloisiana ma con una forte componente anche di tipi del Paleolitico superiore. Il complesso si data all’interstadiale di Hengelo (ca. 40000 BP). Anche la mandibola neandertaliana di Sveduv Stul, in Moravia, proviene da un livello musteriano datato all’interstadiale di Hengelo. Nella grotta di Kulna, sempre in Moravia, il livello 6-a, caratterizzato da un’industria litica musteriana senza scheggiatura levalloisiana, ma con presenza di scheggiatura laminare e di grattatoi spessi, non ha restituito resti umani, ma dal sottostante livello musteriano 7-a provengono frammenti di un mascellare e di parietali e molari decidui, che sono stati attribuiti all’uomo di Neandertal, mentre secondo altri autori non presenterebbero caratteri neandertaliani. Infine, alcuni resti di Neandertal sono stati rinvenuti nel livello G 1 della grotta di Vindija, in Croazia, caratterizzato da un complesso a punte foliate bifacciali e dalla compresenza di tipi musteriani e del Paleolitico superiore, quali grattatoi frontali su lama, bulini, due zagaglie d’osso, una tipo Mladec ed un’altra a base fessa. Lo strato G 1 è stato datato mediante AMS a 33000 ± 400 BP. In conclusione, i complessi di transizione dell’Europa centrale, databili tra 40 e 33 ka sono da riferire all’uomo di Neandertal, come d’altra parte è ipotizzabile anche in considerazione del loro legame filetico con le culture del Paleolitico Medio. Anche lo Chatelperroniano e l’Uluzziano sono da riferire all’uomo di Neandertal. Per lo Chatelperroniano rimane il dubbio dell’uomo di Combe Capelle. Nel riparo del Roc de Combe Capelle, in Dordogna, nel 1909 fu scoperta una sepoltura umana nei livelli chatelperroniani, ma i dati precisi di scavo fanno difetto e la fossa per la sepoltura potrebbe essere stata scavata entro i livelli chatelperroniani e quindi essere posteriore allo Chatelperroniano. L’uomo di Combe Capelle, già conservato al museo di Berlino e distrutto durante la seconda guerra mondiale, pur essendo senza dubbio un uomo di tipo anatomicamente moderno, presenta alcuni tratti più arcaici, quali il frontale un po’ sfuggente, un certo spessore dei rilievi sopra-orbitari e una mandibola praticamente priva di mento prominente. L’uomo dei complessi Proto-Aurignaciani è quasi del tutto sconosciuto. Un frammento di mandibola sinistra con un molare, appartenente a un soggetto giovane, proviene dal livello 11 della grotta di Bacho Khiro, già datato a > 43 ka ed ora tra 38 e 34 ka (AMS). Dei resti umani – due adulti e un giovane – scoperti nei livelli proto-aurignaciani della grotta di el Castillo, nella regione cantabrica, non sappiamo nulla, perché sono ormai perduti. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 159 Dai livelli aurignaciani della caverna del Vogelherd, nella Germania sudoccidentale, che hanno restituito alcune tra le più antiche opere d’arte mobiliare, provengono anche resti umani di tipo anatomicamente moderno. Un cranio e una mandibola dal livello V, datato 31.400 ± 1100 BP, e un cranio dal successivo livello IV, datato 30.730 ± 750 BP. Quest’ultimo presenta un forte spessore dei rilievi sopra-orbitari e inoltre ha la caratteristica di essere brachicefalo, ragione per cui è stato in genere ritenuto più recente. Recenti datazioni effettuate con il 14 C hanno confermato che i resti umani sono di età recente, postglaciale. Il gruppo più consistente di resti umani attribuibili all’Aurignaciano dell’Europa centrale proviene dalle grotte di Mladec, in Moravia. Scoperti tra il 1881 e il 1922, la loro esatta posizione cronologica rimane incerta, ma è probabile che risalgano all’interstadiale di Denekamp, tra 32 e 28 ka, ed erano comunque associati a manufatti di tipo aurignaciano. La maggior parte di questi reperti è stata distrutta alla fine della seconda guerra mondiale dai nazisti in ritirata, che diedero alle fiamme il castello di Mikulov, in cui erano conservati. La popolazione di Mladec si caratterizza per uno spiccato dimorfismo sessuale: i soggetti maschili hanno una volta cranica non molto elevata, un occipitale che ricorda la morfologia neandertaliana, ossa craniche molto spesse, arcate sopraccigliari di forte spessore; quelli femminili sono di aspetto più gracile e non presentano tratti arcaici. Nell’Europa occidentale all’Aurignaciano viene associato l’uomo di Cro Magnon. Il ritrovamento eponimo, avvenuto nel 1868, non è ben datato. Le sepolture di quattro adulti – 3 maschi e una femmina – e di un neonato si trovavano in fondo alla grotta, nel livello J o I, nella parte più alta del deposito archeologico. Sicuramente posteriori all’Aurignaciano II, possono essere attribuiti all’Aurignaciano tardo, ma potrebbero essere anche più recenti. Anche le numerose sepolture delle grotte dei Balzi Rossi, attribuite all’Aurignaciano, non sono databili con grande precisione. La complessa situazione dei ritrovamenti a cavallo tra Paleolitico Medio e Superiore ha dato luogo a differenti interpretazioni. Sembra, comunque, innegabile, che i contatti tra uomo di Neandertal ed uomo moderno, definibile forse come proto-Cro Magnon, abbiano dato luogo non solo a fenomeni di acculturamento, con la formazione di quei complessi misti di cui abbiamo parlato, ma anche a fenomeni di ibridazione, almeno occasionali. La cultura proto-aurignaciana fa una precoce comparsa nella regione cantabrica e in Catalogna, ma in tutto il resto della penisola iberica a sud della valle dell’Ebro la cultura musteriana e l’uomo di Neandertal si sono mantenuti fino a ca. 27 ka. L’Ebro sembra aver costituito una vera e propria frontiera biologica e culturale. Non ci sono stati fenomeni di acculturamento e una cultura tardo musteriana ha continuato a persistere per diecimila anni. Dalla caverna di Figueira Brava in Portogallo provengono resti neandertalc 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 160 iani datati a 31 ka, mentre nella caverna di Zafarraya è stata scoperta una mandibola neandertaliana completa, in un livello di poco più antico di 27 ka: è “l’ultimo Neandertal” finora conosciuto. Dopo 28 ka, anche nella penisola iberica si diffonde una cultura aurignaciana evoluta, che porta alla definitiva scomparsa del musteriano. A questo punto in tutta Europa si è affermato l’uomo moderno. Una recente scoperta ha riaperto il problema delle forme di contatto e della permeabilità della frontiera genetica tra uomo moderno e uomo di Neandertal, riproponendo l’interrogativo se l’uomo di Neandertal abbia contribuito al pool genico dell’umanità attuale. A Lagar Velho, nella valle di Lapedo, nel Portogallo centrale, lavori di terrazzamento condotti con un escavatore meccanico hanno portato in esposizione il deposito archeologico di un riparo sotto roccia. Nel dicembre 1998 è stata rinvenuta la sepoltura di un bambino nella parte occidentale del riparo e sono iniziati gli scavi diretti dal dott. Joao Zilhao, dell’Istituto Portoghese di Archeologia, mentre per l’analisi dei resti umani è stato invitato a collaborare il prof. Erik Trinkaus. Le ricerche condotte nel sito durante il 2000 e il 2001 hanno portato alla luce un ricco deposito stratificato del Gravettiano e del Solutreano, 15 m più a est rispetto al luogo della sepoltura. Il deposito al di sotto della sepoltura è risultato sterile. La sepoltura risale a ca. 24,5 ka ed è contemporanea dei livelli gravettiani. Gli scavi hanno documentato accuratamente il rituale funerario: dopo aver scavato una fossa poco profonda, vi è stato bruciato sul fondo un ramo di pino, poi è stato deposto il piccolo defunto avvolto in una pelle tinta di ocra rossa, in posizione distesa, con il piede sinistro sopra quello destro. Al collo il bambino portava un pendaglio ricavato da una valva di Littorina obtusata, mentre in origine doveva avere un copricapo con cuciti canini di cervo. Poiché i lavori di terrazzamento avevano asportato il cranio della sepoltura, frammenti del cranio e quattro canini di cervo forati sono stati trovati a tre metri di distanza dalla sepoltura. Attorno alla spalla destra e ai piedi vi erano ossa di cervo, mentre fra le gambe sono state ritrovate le ossa di un coniglio, che costituivano offerte funerarie. Si stima che al momento della morte il bambino avesse circa 4 – 5 anni. La singolarità del ritrovamento consiste nel fatto che lo scheletro mostra una mescolanza di caratteri moderni, predominanti, come ad es. il mento prominente, ed altri che possono essere ricondotti a un’eredità neandertaliana, come la grande robustezza delle ossa e il valore basso dell’indice crurale, cioè del rapporto tra la lunghezza della tibia e quella del femore. Anche il rapporto tra la lunghezza del radio e quella dell’omero è di tipo neandertaliano. Per un bambino di quell’età le ossa appaiono di straordinaria robustezza. Un altro aspetto singolare è l’angolo formato dalla sinfisi mandibolare con la linea delle gengive, che, analogamente a quanto si verifica nei Neandertal, appare c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano 161 molto meno ampio che nell’uomo moderno. La sepoltura di Lagar Velho sembra quindi documentare che tra uomo moderno e Neandertal si sono verificati incroci. Poiché tra “l’ultimo Neandertal” della penisola iberica e il bambino di Lagar Velho intercorre una distanza di alcune migliaia di anni, Lagar Velho non può essere la conseguenza di un incrocio diretto – e come tale avrebbe potuto essere sterile, come avviene quando si incrociano due specie diverse – , ma può soltanto discendere da una popolazione ibrida che è persistita per migliaia di anni. Se il Neandertal e l’uomo moderno hanno dato luogo a ibridi fecondi, vuole dire che non costituiscono due specie distinte, ma soltanto due varietà razziali, sia pure molto distanti l’una dall’altra, all’interno della stessa specie. c 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A degli Studi di Milano