Cavour e l’irrigazione. Reti di collegamento e corsi d’acqua nella campagna piemontese (Davide Bobba) Il lavoro si struttura in tre sezioni principali. La prima è costituita da un quadro delle caratteristiche irrigue dell’agro vercellese negli anni Quaranta dell’Ottocento, che ritengo necessario per dare conto delle condizioni materiali e giuridiche che concorsero a determinare la scelta di costituire un’associazione d’irrigazione tra utenti e che spinsero a progettare e realizzare un canale dal Po. La seconda parte ha come argomento la costituzione dell’Associazione di irrigazione all’Ovest della Sesia, approvata con legge n. 1575 del 3 luglio 1853. A partire dalle condizioni irrigue dell’agro vercellese definite nel paragrafo precedente, vengono analizzati gli interventi governativi, in special modo la determinante azione di Cavour, che portarono all’avvio e ai primi successi dell’iniziativa. Vengono esaminati gli obiettivi dell’associazione, ovvero di prendere in affitto le acque demaniali e redistribuirle fra utenti per potenziare l’agricoltura e stimolare il risparmio idrico e la sistemazione dei terreni. Alla luce dei risultati del lavoro, la costituzione dell’associazione si conferma nel ruolo di snodo determinante nella storia irrigua e agricola del Vercellese e del Piemonte che la storiografia precedente le aveva assegnato. Tra i principali strumenti tecnici e normativi, voluti da Cavour ed elaborati concretamente dall’ingegnere demaniale Carlo Noé (1812‐1873), ebbe capitale importanza la norma che regolava l’affitto in esclusiva delle acque demaniali all’associazione d’irrigazione, con l’esclusione dei non aderenti, che ottenne di obbligare indirettamente gli utenti d’acqua irrigua a far parte dell’associazione. La proprietà sociale delle acque vive sovrabbondanti e delle colature post‐irrigatorie costituì il secondo pilastro sul quale si fondò il successo dell’iniziativa. Corredati da un insieme di altre norme, essi ottennero di indirizzare e potenziare la trasformazione dell’agro vercellese in un sistema irriguo integrato, favorendo le pratiche virtuose del risparmio idrico e della sistemazione dei terreni nell’ottica di un più ampio progetto di miglioramento dell’irrigazione piemontese. Il progetto politico di Cavour era infatti più ampio e articolato, e prevedeva nella sistemazione dell’agro vercellese tramite l’associazione una prima tappa, utile non solo per migliorare l’agricoltura della zona interessata, ma anche per preparare nuovi interventi a favore del Novarese e della Lomellina, che si concretizzeranno nel trasporto di acqua sia dalla Dora Baltea sia dal Po. In ultimo, viene analizzato l’aspetto legato al consenso della politica cavouriana nei collegi elettorali dei territori agricoli interessati dall’intervento governativo. In particolare, mi sono concentrato sulle elezioni della V e VI legislatura, rispettivamente nel 1853 e 1857. In breve, ritengo che, pur tenendo conto dell'ambito più generale delle condizioni politiche nazionali ed internazionali che hanno concorso a determinare i risultati elettorali, certamente la questione dell'Ovest Sesia ebbe un ruolo importante, ben maggiore di quanto emerga dall'analisi della campagna elettorale dei candidati, nella quale risulta in misura minima. La terza parte ha come oggetto il canale Cavour, ovvero il corso d’acqua artificiale che prende origine dalla sponda destra del Po per raggiungere il Ticino dopo aver attraversato Vercellese e Novarese. Piuttosto che delle caratteristiche dell’opera e delle sue ricadute sull’agricoltura, cui faccio semplicemente accenno da un lato perché esulano dall’ambito cronologico considerato e dall’altro perché sono già trattate ampiamente nella storiografia, il lavoro si occupa delle fasi di ideazione e di progettazione del canale, tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta dell’Ottocento. I risultati di quest’analisi sono presentati nell’ambito di brevi profili biografici dei due tecnici che maggiormente si occuparono del progetto: Francesco Rossi (1794‐1858) e Carlo Noé. Il primo, agrimensore vercellese, ebbe il merito di dimostrare scientificamente la fattibilità tecnica dell’opera attraverso la sistematica misurazione della pianura del Piemonte orientale e di definire un progetto compiuto nel 1846. Il suo lavoro venne accantonato a causa degli eventi bellici del 1848‐49 e il progetto venne rielaborato con significative variazioni da Noé, su incarico di Cavour, a partire dal 1852. Rallentata da diverse vicissitudini politiche e finanziarie e dalla morte dello statista, la costruzione del canale venne approvata dal Parlamento nel 1862 con la costituzione della Compagnia generale dei canali italiani, che ebbe come direttore dei lavori lo stesso Noé. La difficile situazione determinata dall’esistenza dei due progetti alternativi e dal problematico rapporto tra Rossi da un lato e Cavour e Noé dall’altro diede origine, ancora nel 1870, a una viva polemica basata sul presunto conflitto di interessi dello statista defunto, proprietario di terre nelle zone irrigate dal canale, e sull’opportunismo di Noé che avrebbe plagiato l’idea di Rossi. Tra gli scopi di questo lavoro vi è, dunque, quello di dare un giudizio storico e tecnico su questa polemica di antica data, che non era mai stata analizzata esaustivamente nella storiografia precedente. Le fonti edite utilizzate sono principalmente trattati di irrigazione ottocenteschi, contemporanei o di poco successivi all’epoca considerata, opuscoli e materiale a stampa sull’associazione d’irrigazione, regolamenti, leggi, discorsi parlamentari, periodici locali e l’opuscolo Francesco Rossi e il canale Cavour. Rivelazioni storiche del 1870, scritto da Antonio Rossi, che costituisce il fulcro della polemica sull’opera irrigua. Inoltre, sono stati considerati con attenzione gli epistolari di Cavour e quello di Giacinto Corio, amministratore delle tenute cavouriane. Per quanto riguarda le fonti inedite, le ricerche si sono concentrate presso l’Archivio di Stato di Torino e l’Archivio storico delle acque e delle terre irrigue di Novara. Dai poderi modello ai progetti di legge: il dibattito sull’agricoltura nella stampa e in Parlamento 1. Premessa. (Antonio Chiavistelli) Inizio con una citazione: “parmi incontestabile essere da tutti riconosciuta la poca utilità che produrrebbe la fondazione d’uno stabilimento diretto al solo scopo di porgere un modello o tipo alle operazioni agricole che si esercitano in circostanze analoghe”: sono parole di Cavour e sono tratte da un denso articolo che egli scrisse agli inizi degli anni ’40, pubblicate sulla Gazzetta dell’Associazione agraria di Torino e, significativamente, riproposte dal Giornale Agrario Lombardo­Veneto nel fascicolo del maggio 1844. Lo scritto da cui ho estratto il breve passaggio è parte di un dibattito di più lunga durata e che – come è noto ‐ coinvolgeva ampi segmenti del pubblico della penisola sul tema‐problema dell’istituzione di poderi‐modello per la diffusione del sapere agrario. La posizione di Cavour, lo si intuisce, è fermamente contraria e, proprio rivolgendosi a chi invece qui poderi perorava [ed era forse in maggioranza] egli replicava: “al par di [voi favorevoli] loro sostengo essere importante anzi indispensabile al progresso agricolo il fare esperimenti […] [e] quei che con me combattono i poderi sperimentali sono lontani dal credere l’agricoltura piemontese giunta all’apice della perfezione […] [noi] siamo al contrario grandi parteggiatori degli esperimenti; solamente, siamo fermi nel credere che le nuove colture, i nuovi metodi le nuove macchine subiranno prove assai più conchiudenti e ben soddisfacienti qualora in vece di eseguirle solo nei poderi esercitati per conto del governo o di una società, vengano messe in pratica nelle tenute da gran tempo dirette da quei pratici che tanto fiorente resero l’agricoltura nostra”. Ecco, senza volere ripercorrere le tappe di un dibattito di lunga durata e in parte già ricostruito e che comunque in questa sede richiederebbe troppo spazio, credo però che, ai fini dello svolgimento della mia ricerca, sia importante soffermarsi su quest’ultimo passaggio: quello cioè in cui il nostro conte si dichiarava avverso a ogni progetto di podere‐modello perché da lui identificato come ulteriore occasione di intervento dello Stato nella società e segnatamente nel settore agricolo. Anche in questo caso non aggiungo molto a quanto a tutti noto sulle posizioni ‘liberiste’ di Cavour, ma daccapo, ai fini del mio discorso giova notare come tali posizioni centrate su temi – solo apparentemente (e sottolineo solo apparentemente) agronomici o meglio legate all’economia avessero in realtà un contenuto pienamente politico. A conferma delle proprie posizioni, e soprattutto della centralità del nesso – nel suo discorso – tra libertà ‘agronomica’ e libertà politica, dopo averne discusso e anche scritto in moltissime sedi ‘piemontesi’ Cavour ne scriveva, sempre in quegli anni, sia su fogli francesi (ad esempio sul parigino Journal d’agricolture pratique de jardinage et d’economie) sia su fogli ‘italiani’ dalla ricaduta europea come gli Annali Universali di Statistica dove, dal maggio al dicembre 1845, con ben 5 articoli su 5 numeri distinti per un totale di quasi cento pagine, commentava in chiave storico‐politica comparata la legislazione inglese in materia di commercio di cereali. Al di là del tema specifico, l’evidente intenzione di Cavour era quella di ribadire gli effetti deleteri di ogni scelta pubblica contraria ai principi della ‘economia politica’ classica, e di Smith principalmente. “Non v’ha parte alcuna dell’edifizio scientifico innalzato da Adamo Smith che riposi sopra basi più solide, più rigorosamente logiche, che la teoria della libertà del commercio” diceva appunto il conte polemizzando con chi invece sosteneva la necessità anche di un blando intervento statale a sostegno delle industrie ‘nazionali’. “La rivoluzione commerciale che si prepara in Inghilterra [proseguiva riferendosi alla desiderata fine del sistema mercantile] […] avrà attiva influenza sulla condizione economica del continente aprendo alle materie alimentari [dell’agricoltura] il mercato più ricco del mondo e favorirà lo sviluppo della loro produzione, scopo principale dell’industrie agricole che sono fra tutte le più importanti”. Ripeto, ai fini della mia ricerca che deve partire dal dibattito sui poderi‐
modello è interessante notare come tale dibattito, in realtà avesse un forte gradiente politico, oltre che scientifico‐agronomico. E sempre ai fini del mio discorso mi pare di un certo rilievo il coinvolgimento di Cavour all’interno di un quadro europeo che, appunto dalla seconda metà degli anni ’20 in avanti, coinvolgeva su posizioni non sempre coincidenti (lo abbiamo appena accennato sopra) personaggi di grande caratura intellettuale come, per citare solo alcuni dei nomi più noti, Cosimo Ridolfi, Gino Capponi, Raffaello Lambruschini, Matteo Dombasle, il conte di Gasparin, Michel St. Martin e Matteo Bonafous direttore dell’orto sperimentale di Torino e in grande relazione con la scuola toscana giudicata, a ragione, la più avanzata della penisola. Tutti personaggi che, come è noto, oltre a distinguersi su scala europea per le loro proposte colturali, agricole e agronomiche, avevano riversato molta parte della propria scienza nella politica e nell’amministrazione della cosa pubblica senza peraltro distinguere i vari piani del proprio agire. Anzi costoro, come molti altri nel periodo, facevano della sovrapposizione di questi diversi saperi la cifra specifica del proprio discorso e un modo ‘alto’ per proporsi all’attenzione del pubblico come opinion leader in grado di raccogliere consensi sia da parte della comunità scientifica sia della sfera pubblica sulla via della scoperta della politica. Se in alcuni casi – è stato osservato – qualche soggetto coinvolto dal dibattito sull’agricoltura non andava oltre una forma di eruditismo di periferia per altro in linea con l’esiguità dei circuiti economici e la debole integrazione fra i mercati ‘regionali’, al contrario, nel caso del dibattito sui poderi‐modello sopra richiamato e dei personaggi citati si era invece di fronte a un ‘discorso’ di notevole importanza dove saperi agricoli, saperi agronomici si fondevano in un più profondo e più ampio discorso sicuramente sovra‐regionale dagli evidenti contenuti politici . E appunto, in estrema sintesi, questa vorrebbe essere la linea lungo la quale svolgere la mia ricerca: verificare l’esistenza e ricostruire il passaggio ‘dall’agricoltura alla politica’, ‘dall’agronomia al liberalismo’ ovviamente all’interno del discorso cavouriano. Il nesso a cui si fa riferimento, del resto, mi pare che esca confermato anche dallo spoglio di alcune delle maggiori riviste culturali del periodo (dagli Annali universali di Statistica, al Giornale agrario Lombardo‐Veneto, al Giornale Agrario Toscano, agli Atti dell’Accademia dei Georgofili, al Politecnico fino alla Gazzetta agraria) e che proprio la connotazione ‘scientifica’ e agronomica in epigrafe rendeva possibile la pubblicazione superando il vaglio delle varie censure della penisola tutte impegnate nell’espungere dal dibattito pubblico la ‘politica’. Cioè, si poteva parlare e soprattutto pubblicare riviste concernenti vari argomenti culturali purché non vi fosse riferimento alla situazione politica coeva. Ed allora, tornando al dibattito ‘scientifico’ tra le varie riviste a cui si accennava, si può rimanere sorpresi dalla straordinaria ricorrenza di articoli riguardanti appunto i poderi‐modello, la botanica sperimentale, l’economia sociale ecc., tutti temi trattati anche da Cavour, ma che travalicavano i confini del Piemonte e dei vari Stati regionali in cui le riviste erano pubblicate contaminando un po’ tutti gli ambienti avvertiti della cultura della penisola e che in quel dibattito sempre più consapevolmente facevano filtrare aspirazioni, suggestioni o critiche politiche. Tali ambienti, in cui il nostro conte era noto e circolava con grande disinvoltura, infatti, all’altezza di quegli anni, erano in larga parte accomunati da un immaginario che potremmo definire ‘liberale’ e latamente juste milieu. Il panorama delle mentalità collettive coinvolte, del resto, più che dalla specificità dei contenuti agronomici mi pare fosse caratterizzato da un idem sentire attorno al culto del progresso e dove alla già accennata commistione tra saperi, ad esempio, il profilo individualistico del diritto borghese si sommava al costituzionalismo; il tutto, poi percepito come elemento distintivo di un’identità ‘liberale’ a tutto tondo (moderata o progressista che fosse). L’occasione che giunge da questa ricerca mi consente, dunque, oltre che di approfondire il contributo di Cavour al dibattito sui poderi‐modello ‐ andando ad analizzare le diverse strategie comunicative messe in atto dal nostro conte nei diversi ambiti della sfera pubblica e della scena più propriamente politica come appunto il parlamento, anche e – soprattutto direi ‐ di sottoporre a ulteriore verifica questa mia ipotesi di un discorso pubblico – quello del primo Ottocento – composito e risultato dalla fusione di molteplici saperi, contenuti e aspettative dei vari animatori che via via acquisì una forte connotazione politica. Il Conte Cavour, da questo punto di vista, costituisce un banco di prova ideale, dato che alle riflessioni in materia agricola da subito aggiunse considerazioni che allargavano a discipline sociali, economiche e poi alla politica, imponendosi come leader di un ampio segmento della sfera pubblica fino a divenire poi lo statista di grande livello che tutti noi sappiamo; e soprattutto colui che con grande lucidità, dalla fine del 1847, si fece sostenitore di un progetto politico e istituzionale che finalmente poneva al centro del sistema subalpino (e poi ‘italiano’) il soggetto nuovo: l’opinione pubblica; quel soggetto, cioè, che, nei decenni precedenti – grazia anche ai vari dibattiti letterari, culturali e anche agronomici a cui sopra si è accennato,si era imposto sulla scena pubblica fino a percepirsi come referente dei governi restaurati. Opinione pubblica che, giunta a acquisire una elevata ‘densità politica’, nel progetto cavouriano avrebbe dovuto vedersi riconosciuto una collocazione centrale nell’architettura istituzionale dello Stato. In questo senso sono pertanto da interpretare i frequenti interventi pubblici del nostro conte, sui giornali, in pamphlet e fogli volanti a favore di una costituzione esemplata sul modello liberale classico con un parlamento bicamerale elettivo ed un sistema elettorale censitario (qui è appunto evidente l’influsso della cultura francese degli anni Trenta‐Quaranta dell’Ottocento e segnatamente delle teorie di Francois Guizot e degli altri doctrinaries orleanisti. E allora, andando per punti, discorso pubblico composito si diceva, poco sopra: infatti a me pare che il dibattito sull’agricoltura e sui miglioramenti da apportare all’intero sistema sociale economico e produttivo degli Stati della Restaurazione possa a pieno titolo considerarsi come parte di quel più ampio discorso nazionale (o proto‐nazionale) che a partire dalla metà degli anni ’20 coinvolse ampi strati della nascente opinione pubblica della penisola. Dibattito i cui protagonisti presero ad immaginarsi come una comunità che potesse affermarsi come referente (e alternativa) dei vari governi della penisola e a prefigurare un rinnovamento, un ‘progresso’ e uno scarto rispetto allo stato vigente che sul terreno politico poi, l’idea nazionale avrebbe finito per incarnare. Dall’agricoltura alla politica, dunque, dovrebbe essere il percorso lungo il quale la mia ricerca si snoda. Un percorso che dal punto di vista storiografico è – a mio avviso – ancora in parte da svolgere dato che a lungo gli studi sull’agricoltura, sulla circolazione delle idee in campo agricolo sono rimasti chiusi all’interno di un circuito per specialisti lasciando spesso fuori sensibilità ‘altre’ e trascurando le contaminazioni – che io trovo molto interessanti – che dal settore agricolo si sono irradiate all’ambito più propriamente sociale e politico. Solo di recente si è verificata una crescita di interesse per gli aspetti del sapere agronomico e del dibattito pubblico da questi derivato. Esempi importanti di questa accresciuta sensibilità sono ad esempio riscontrabili nei ponderosi atti del convegno sulle conoscenze agrarie e la loro diffusione in Italia nell’Ottocento svoltosi a Trento sul finire degli anni ’80 (pubblicati per cura di S. Zaninelli presso Giappichelli nel 1990) ed anche nella Storia dell’agricoltura italiana pubblicata per cura di Piero Bevilacqua agli inizi degli anni ’90, tuttavia spesso – e anche di recente – ha continuato ad avvertirsi quel limite settoriale ad una migliore contestualizzazione del ‘momento’ agricolo manifestato dalla forte prevalenza di analisi di storia economica rispetto ad indagini di più ampio respiro. Ad esempio la più recente Storia dell’agricoltura pubblicata per cura dell’Accademia dei Georgofili di Firenze (2002) ha riproposto la più tradizionale immagine basata sul ritardo e sul torpore dell’agronomia italiana ottocentesca senza peraltro soffermarsi sul ruolo di alcune figure portanti della cultura italiana che molto si dedicarono a quel settore. Insomma, ci pare che ad oggi non siano molti gli studi che attraverso una dettagliata analisi del dibattito agronomico mirino a ricostruire anche il parallelo discorso sulla politica che coinvolse numerosi attori non solo legati agli ambienti dell’agronomia ma della cultura a tutto tondo. Agricoltura, agronomia e politica, insomma, a quanto mi è dato di capire indagando sulle fonti fino ad oggi utilizzate, possono essere letti come aspetti di un unico discorso – quello nazionale o proto‐nazionale – portato avanti da soggetti solo in apparenza slegati o facenti parte di ambienti culturali, scientifici diversi ma in realtà inseriti in una rete di relazioni che proprio grazie anche a tematiche agronomiche trovava numerose occasioni per attivarsi e consolidarsi e non solo su scala sovra‐regionale. Si pensi – solo a titolo d’esempio – ai congressi degli scienziati o alle cosiddette ‘corse agrarie’ che – organizzate dai georgofili fiorentini coinvolse molti di questi soggetti tra cui – ad esempio, Bonafous e lo stesso Cavour. Si trattava di visite solo in apparenza ‘amicali’ ma delle quali poi spesso si ritrovavano circostanziati resoconti sulle riviste citate sopra e in cui in filigrana, dietro al tema agronomico, si potevano leggere più o meno raffinate considerazioni politiche. Penso, in questo caso, alla visita che il toscano Cosimo Ridolfi fece proprio a Cavour, nel 1858, e di cui lo stesso toscano appena ritornato in patria, nella Toscana del neoassolutismo lorenese, pubblicò sul Giornale agrario toscana come resoconto della sua “corsa agraria” torinese in occasione della quale – scriveva – era rimasto “convinto dei progressi dell’agricoltura piemontese” progressi – diceva ancora Ridolfi – dovuti al grande afflusso di capitali per “la fiducia e il coraggio che ispirano le libere istituzioni” e le riforme sostenute da Cavour. Insomma, un milieu in cui sempre più spesso si parlava di agricoltura ma si pensava alla politica! In tale contesto, ruolo di grande rilievo, ebbe – lo abbiamo detto – il nostro conte di Cavour il quale passando anche attraverso proposte impopolari o poco condivise (lo vedremo meglio nello svolgimento della ricerca relativamente al dibattito interno all’Associazione agraria) seppe conquistarsi la patente di leader ‘pubblico’ che poté poi spendere in ambito politico. Il problema che si pone a chi intenda studiare oggi il Risorgimento, infatti, non è solo quello di ricostruire le tappe consecutive di una improbabile epopea risorgimentale e/o al contempo di delineare profili biografici più o meno agiografici ma anche e soprattutto quello di capire perché si arrivò al consolidamento di un discorso che progressivamente si fece politico e se, e come, questo abbia realmente preso forma sulla base di un’opinione condivisa attorno uno spirito di appartenenza nazionale. Dal nostro punto di vista, dunque, ci pare che anche un’attenta ricostruzione del dibattito che coinvolse ampi strati degli ambienti della cultura del Regno di Sardegna e/o che da questo prese le mosse per coinvolgere i più avanzati settori della cultura scientifica della penisola sulle soluzioni da adottare in agricoltura, sugli strumenti che i principali attori utilizzarono per imporsi sulla scena pubblica nonché le retoriche da questi adottati (Cavour in primis) possa contribuire non poco ad una più credibile ricostruzione del processo risorgimentale. 2. Obiettivi. La ricerca si propone di ricostruire il contributo di Cavour al dibattito sull’agricoltura tra gli anni ’40 e ’50 nella consapevolezza che tale contributo, per i temi trattati, per gli strumenti che egli utilizzò e per le forme che assunse sia da osservarsi soprattutto, per le ricadute che ebbe in termini di discorso politico e ‘nazionale’. L’idea sarebbe dunque quella di poter pervenire ad un modello interpretativo con cui – proprio attraverso la lente del discorso agricolo – contribuire a spiegare le modalità attraverso le quali Cavour, nel medio periodo, pur in presenza di argomenti spesso non condivisi negli stessi ambienti ‘liberali’ riuscì ad imporsi quale leader di ampi segmenti della sfera pubblica. 3. Metodo. La nostra ricerca sul nesso tra agricoltura e politica nel ‘discorso’ cavouriano si basa essenzialmente su tre linee di indagine. La prima è finalizzata alla ricostruzione del background culturale all’interno del quale il nostro conte maturò una propria particolare culturale e politica La seconda linea d’indagine è invece finalizzata alla ricostruzione del ‘discorso’ vero e proprio che Cavour portò avanti negli anni ’40‐’50 sia analizzando – ove possibile – le fonti archivistiche (ad esempio quelle interne all’Associazione agraria subalpina conservate presso l’Archivio di Stato di Torino), sia soprattutto quelle relative al dibattito sui diversi giornali coinvolti, da quelli direttamente collegati agli ambienti cavouriani e piemontesi (Gazzetta dell’Associazione agraria, Repertorio d’agricoltura, Letture di Famiglia) sia quelle di altre realtà locali, ma egualmente toccate da tale dibattito, come il Giornale Agrario Toscano e gli Atti dell’accademia dei Georgofili, fino ai primi fogli periodici (piemontesi e non) a cui dal 1847 fu consentito parlare di politica e che certo non a caso riportavano ampli stralci delle vicende relative all’Associazione e al dibattito regionale e sovra‐regionale che da quella prendeva alimento. La terza linea di analisi è finalizzata alla ricostruzione del contributo parlamentare di Cavour in materia di agricoltura. Qui le fonti privilegiate saranno, ovviamente, gli atti del parlamento subalpino e, quale strumento per seguirvici da vicino l’attività cavouriana, la raccolta dei discorsi parlamentari di Cavour relativa agli anni considerati. In questo ambito, ad una prima sommaria ricognizione pare che, dal 1850 al 1860, almeno 22 siano gli interventi significativi del nostro conte che – per citare solo alcuni esempi – si pronunciò sulla coltivazione del riso, sui finanziamenti all’Istituto agrario‐forestale di Venaria, sulla tenuta dei boschi, sull’organizzazione dei canali irrigui, sulle tariffe dei dazi sui prodotti agricoli e sull’organizzazione dello stesso Ministero dell’Agricoltura. 4. Fonti. Le fonti utilizzate per la ricerca – oltre a quelle manoscritte eventualmente reperibili nei giacimenti cavouriani e altre sedi e/o altri fondi presso archivi di altre sedi – potrebbero essere dunque 1. Scritti e discorsi di Cavour  Tutti gli scritti di Camillo Cavour, raccolti e curati da C. Pischedda e G. Talamo, 4 voll., Torino, Centro Studi Piemontesi, 1976‐1978.  Discorsi parlamentari usciti in periodi diversi dal 1932 al 1973 per cura di A. Omodeo (1848‐1851, 1853‐1854, 1854 ); L. Russo (1851‐1853, 1854); A. Saitta (1855‐1861). 2. fonti epistolari e diaristiche  Epistolario uscito dal 1962 ad oggi.  Diari (1833­1856), a cura di A. Bogge, 2 voll., Roma, Ministero per i Beni culturali, 1991.  G. Silengo, Le lettere del fattore di Camillo da Grinzazne 1847­1852, Torino, Toso, 1979.  Cavour agricoltore. Lettere inedite di Camillo Cavour a Giacinto Corio, precedute da un saggio di Ezio Visconti, Firenze, Barbera, 1913.  C. Ridolfi, Tra Toscana e Alta Italia. Diario di viaggio (1828), con introduzione e a cura di V. Gabbrielli, Firenze, Fondazione Spadolini Nuova Antologia, Le Monnier, 2003.  C. Ridolfi, Viaggio in Svizzera. Diario (1854). Con appendice di scritti e carteggio inedito con P. Guicciardini, con introduzione e a cura di V. Gabbrielli, Firenze, Fondazione Spadolini Nuova Antologia, Le Monnier, 2005  Roma, Parigi, Torino: tra agronomia e tecnologia. Diari di viaggio di Cosimo Ridolfi (1850, 1856, 1858), con introduzione e a cura di V. Gabbrielli, Firenze, Fondazione Spadolini Nuova Antologia, Le Monnier, 2006. 3. fonti a stampa – su cui, come detto, il saggio molto si soffermerà  Gazzetta dell’Associazione agraria subalpina  Repertorio d’agricoltura e di scienze economiche ed industriali  Giornale Agrario Toscano  Letture di Famiglia  Il Risorgimento  Atti della Reale Accademia dei Georgofili  Giornale agrario lombardo­veneto (e successive testate)  Annali universali di statistica economia pubblica, storia e viaggio (e successive testate) ANTONIO CHIAVISTELLI Cavour e l’agricoltura tra accademia e associazionismo (Emanuele Faccenda) A differenza di altri argomenti, quali per esempio il Cavour sperimentatore sul campo di nuove coltivazioni e tecniche agricole, o il conte imprenditore agrario che rende più moderne le sue tenute, o il grande innovatore di opere irrigue, o ancora i viaggi all’estero e l’osservazione dei modelli stranieri, il tema di cui mi occupo può sembrare a prima vista molto arido. Con l’argomento Cavour e l’agricoltura tra accademia e associazionismo, del resto, ci si trova in ambito principalmente teorico, lontano dall’affascinante figura del Cavour pratico. Tuttavia, a ben guardare, ciò non rende la materia meno interessante delle altre. Prima di tutto perché essa è trasversale, cioè lambisce molti aspetti del rapporto generale tra il conte e l’agricoltura, e poi perché passando al setaccio i dibattiti, gli interventi e le polemiche scaturiti in seno all’Associazione agraria, cui Cavour prende parte attiva dal 1843 al 1846, e analizzando il rapporto tra il conte ormai ministro e l’Accademia di agricoltura, che si sviluppa negli anni Cinquanta, si toccano con mano la vitalità e l’efficacia della sua azione, la dialettica con gli altri soci, le strategie messe in campo attraverso i due sodalizi. I miei obiettivi sono individuare e ricostruire la presenza, il ruolo e il peso di Cavour all’interno dei due istituti e delineare i princìpi su cui egli si basa, le discussioni cui prende parte e le linee d’intervento che attua, in modo da definire cosa pensasse il conte dell’Associazione e dell’Accademia, come e con che frequenza intrattenesse i rapporti con gli altri soci, quali obiettivi si prefiggesse con i suoi interventi, quali strategie adottasse per centrarli e quali risultati abbia effettivamente raggiunto. Il lavoro segue un andamento cronologico e inizia perciò dal 1842, con la nascita formale dell’Associazione agraria, di cui Cavour è tra i soci fondatori. Gli strumenti utilizzati sono essenzialmente un esame analitico della “Gazzetta dell’Associazione agraria”, il settimanale interno e, dove necessario, anche i verbali delle riunioni della direzione centrale cui il conte prende parte. Dopo aver ricostruito il più ampio quadro del tempo, soprattutto dal punto di vista economico e sociale, e aver calato l’adesione di Cavour all’istituto all’interno del più intimo contesto privato, sia familiare e che personale, procedo con l’esame dell’organizzazione dell’Agraria e delle prime esperienze del conte come socio. Ciò fa da opportuno preambolo alla sua partecipazione alle grandi discussioni di problemi legati non solo al progresso dell’agricoltura, come quella relativa alla costituzione o meno di poderi modello, ma anche e soprattutto sulla condotta interna degli affari della società. I componenti della direzione, sempre più professionisti slegati dal mondo dell’agricoltura e sempre meno coltivatori pratici, approfittano di quel primo spazio di relativa libertà d’espressione concesso dal re e ne fanno una palestra di democrazia in cui dividersi sulla struttura più o meno rappresentativa dell’istituto. Si discute in maniera sempre più accalorata di questioni di bilancio e di rappresentanza delle sezioni periferiche in seno alla direzione centrale, fino ad arrivare al problema legato all’elezione di un nuovo presidente e alla durata dell’incarico. A differenza di altri, però, il conte non perde mai di vista il vero, primo obiettivo della società, il miglioramento dell’agricoltura, più che il libero dibattito. Ciononostante è, questa, la discussione che segna la svolta a favore dell’ala democratizzante, fazione avversaria a Cavour, ma che in contemporanea vede anche lo stesso conte compiere un salto di qualità decisivo in termini di dialettica con gli altri soci e che più di altre occasioni contribuisce a formare la sua coscienza e la sua esperienza come futuro leader politico. Perso in ogni caso quello scontro, Cavour ne usce apertamente sconfessato dalle decisioni finali che il governo di Carlo Alberto assume in ragione degli eccessi del dibattito scaturito, al punto da esser di fatto estromesso dalla vita dell’Agraria. Giunti così alle soglie del 1848, mi pare poi opportuno contestualizzare l’adesione del conte all’Accademia, che si sviluppa dal 1849, con un sintetico sguardo ai tumultuosi e importanti avvenimenti del periodo 1846‐1849 e con il necessario esame della struttura dell’istituto. Cavour non partecipa alla vita dell’antico e prestigioso sodalizio con la stessa assiduità con cui aveva preso parte alle riunioni dell’Agraria. La natura accademica del consesso, più scientifico‐teorico, è un grave ostacolo che egli scavalca solo in poche occasioni, in cui peraltro fa emergere il suo costante lato pratico. In questa seconda parte del lavoro utilizzo come fonte primaria anzitutto i verbali delle adunanze dell’Accademia per ricostruire le proposte del conte e i dibattiti cui è presente. Per il periodo successivo, dopo la sua nomina a ministro dell’Agricoltura (ottobre 1850), quando i rapporti di forza con l’istituto mutano nel senso che sarà più che altro quest’ultimo a dover assecondare Cavour, occorre invece servirsi delle numerose lettere che il conte scrive all’Accademia, ora per farla collaborare col ministero, ora per fornire informazioni, ora per effettuare ricerche, esperimenti o analisi in relazione soprattutto, ma non solo, a un paio di problemi: la crittogama, malattia della vite, e il drenaggio di acqua in eccesso dai terreni. In conclusione, quindi, è un’azione già pienamente politica quella che Cavour imbastisce sin dalle infuocate discussioni, scritte o a voce, emerse nell’Agraria e che prosegue poi più propriamente negli anni Cinquanta, quando egli conduce in porto una linea a tutti gli effetti politica, resa solida dalla pratica svolta nel decennio precedente e dal suo personale e ambizioso disegno in fatto di agricoltura che egli, a differenza di altri, può portare avanti con cognizione di causa, affondando il suo bagaglio di esperienza in materia sin negli anni Trenta. Cavour e la terra. L’amministrazione delle tenute di famiglia. (Pierangelo Gentile) Suddividendo geograficamente l’area delle tenute cavouriane, per affrontare in completezza il progetto è stato necessario scindere la tematica profilando da un lato la storia della costituzione del patrimonio e della sua gestione, dall’altro l’attività di amministrazione vera e propria condotta da Camillo Cavour. Partendo dai feudi e in un’ottica comparativa dunque non si potuto prescindere anzitutto dalla complessa ricostruzione storica della fortuna di famiglia, per merito principalmente del marchese Michele di Cavour, a partire dalla vicenda dell’importante acquisizione nel 1818 del nucleo forte del patrimonio immobiliare, ovvero quel quarto della tenuta di Lucedio, già proprietà del principe Camillo Borghese, costituita dalla grange di Leri e Montarucco estese per complessive 2.436 giornate piemontesi. L’opportunità di quell’investimento, al limite delle possibilità finanziarie della famiglia, dopo la caduta dell’impero napoleonico, fu la base della successiva azione e fortuna di Camillo, da quando cioè, a partire dall’inizio degli anni Trenta, il marchese Michele, sempre più assorbito dagli impegni istituzionali (fu sindaco di Torino nel 1833 e 1834), divenuto vicario di polizia della capitale nel 1835, ma anche perché deluso da una gestione poco proficua, si trovò nell’impossibilità di procedere ad una oculata e diretta amministrazione dei vasti possedimenti agrari. Fu per questo motivo che al figlio cadetto Camillo, in quel momento disoccupato per aver lasciato l’esercito e “pericolosamente” assorbito da interessi di matrice liberale ben lontani dall’armamentario culturale paterno, venne data la possibilità di impegnarsi e di “distrarsi” intraprendendo la gestione delle tenute agricole per conto del padre. Sul piano pratico, su questa linea nel 1832 si pose inizialmente la candidatura del ventiduenne Camillo a sindaco del piccolo comune di 350 anime di Grinzane, carica che gli diede la possibilità di principiare la sua esperienza come amministratore della significativa tenuta di 475 giornate piemontesi affittata dalla zia Victoire Clermont‐Tonnerre dal 1818 e delle 67 giornate acquistate nel 1829 dalla liquidazione del fallito cavaliere Giuseppe Antonio Veglio di Castelletto. Proprio nello studio di Grinzane la ricerca ha dato ottimi risultati permettendo di scoprire quando effettivamente la tenuta, suddivisa ancora a fine Settecento tra le famiglie Argentero e Dal Pozzo, pervenne nell’orbita cavouriana. Una vicenda legata allo sfortunato matrimonio tra Victoire de Sellon e Luigi Blancardi de La Turbie. L’esperienza condotta da Camillo nelle Langhe fu preambolo a quella molto più vasta condotta a Leri. La costituzione della società con il padre il 24 gennaio 1837, che perfezionava una situazione stabilitasi dal 1835, avviò l’esperienza di Cavour come amministratore della grande tenuta vercellese, ulteriormente ingranditasi nel 1836 con l’acquisto personale della tenuta del Torrone di 779 giornate in concorso con il barone Duport, dal quale il conte avrebbe rilevato le quote di società nel 1845. Misurandosi così nel governo della propria casa, fu tra gli anni Trenta e Quaranta che si venne a forgiare l’indole politica cavouriana. Come ha scritto significativamente Rosario Romeo (Cavour e il suo tempo, vol. I, pp. 624‐25) attraverso gli impegni amministrativi dei beni della sua famiglia, tagliato fuori dall’azione pubblica per ancora molti anni, il conte «poté salvarsi dalla degradazione intellettuale e psicologica alla quale lo avrebbe condannato un così lungo periodo di inerzia; e acquistare proprio su quel terreno delle cose concrete alle quali più erano volti il suo spirito e il suo ingegno» esperienze che sarebbero state preziose anche per l’uomo politico. Quando confessava nei suoi scritti di economia di voler esercitare «une véritable domination morale sur une population agricole» al fine di farsi riconoscere «comme le plus habile agriculteur du canton», prendeva forma il carattere dell’uomo che avrebbe condotto gli italiani all’Unità. Sarà necessario suddividere la materia metodologicamente in tre parti: LE TENUTE; L’AMMINISTRAZIONE; GLI UOMINI LE TENUTE Prima di procedere all’analisi dell’amministrazione delle singole tenute, è stato opportuno ricostruire con esattezza il campo di indagine facendo riferimento alla consistenza globale del patrimonio familiare in un confronto tra l’asse ereditario di Michele Cavour (1850) e specialmente di Camillo Cavour (1861), analizzando le secolari flessioni patrimoniali positive e negative. Attraverso le procure, gli atti, le convenzioni di vendita, è stato possibile ricostruire la geografia di un patrimonio che nel 1826‐27 era già valutato 2 milioni di lire (giunto a 7 nel 1856), e che era costituito per metà dalle proprietà vercellesi, e per l’altra metà da un insieme di possedimenti sparsi per mezzo Piemonte: dalla già citata tenuta di Grinzane, ai possedimenti nei Comuni di Cavour, Bibiana e Barge; dalle tenute dell’astigiano, Isolabella e Cellarengo, a quelle importantissime che facevano capo alla residenza avita di Santena, e dislocate su un territorio vastissimo che abbracciava Trofarello, Revigliasco, Chieri, Poirino. L’AMMINISTRAZIONE: nella seconda parte è stata presa in esame la conduzione imprenditoriale delle tenute da parte del marchese Michele e del conte Camillo. L’obiettivo è stato quello di far emergere come la diretta gestione cavoriana si fosse imposta come un modello di modernizzazione e come il giovane Camillo si espresse in questa prima importante “palestra” amministrativa. Per quanto riguarda gli affari, l’attitudine al calcolo e all’analisi, l’innata spregiudicatezza, l’immaginazione vivacissima sorretta da una logica rigorosa, la capacità combinatoria e l’amore per il rischio, furono caratteri che fornirono a Cavour gli strumenti per affrontare con successo il mercato (Cfr. la lettera del padre del 19 aprile 1838). Sotto questo punto di vista si sono esemplificati alcuni affari conclusi dal conte con la vendita dei prodotti della sua terra. GLI UOMINI: Cavour nella sua attività di amministratore fu coadiuvato negli anni da diversi segretari e agenti di tenuta. La ricostruzione dei rapporti con i suoi fattori permetterà di mettere in luce le competenze amministrative acquisite e le eventuali deleghe poste in atto. A questo proposito sarà interessante il confronto con i due agenti delle tenute di Grinzane e Leri, grazie anche all’edizione degli epistolari a cura di Giovanni Silengo, per quanto riguarda Giovanni Bosco fattore di Grinzane, e Alfonso Bogge, per quanto riguarda Giacinto Corio, fattore a Leri. Se la semplicità dell’accorto Bosco si misurava nelle missive inviate non direttamente al conte ma al segretario di Casa Cavour, Martino Tosco, eccezionale testimonianza di un rapporto antico instaurato con il signore che amministrava dalle sale del castello medievale, sarà senz’altro nei rapporti epistolari con Giacinto Corio, intelligente agricoltore appartenente ad una famiglia del ceto dei grandi affittuari originaria di Casalborgone, che andranno ricercati i termini focali e finali del Cavour amministratore. La stipula del contratto di affitto nel 1849 del Corio in società con i fratelli Cavour si pose come esempio di moderna concezione imprenditorial‐capitalistica nei rapporti pari ed economici tra impresa conduttrice e proprietà. Dalla teoria alla sperimentazione: successi e fallimenti di Cavour agricoltore (Paola Gullino) Per individuare le sperimentazioni condotte da “Cavour Agricoltore”, in questo studio, si è fatto riferimento alla bibliografia pervenuta privilegiando le fonti dirette. Si sono considerati principalmente gli articoli pubblicati dalla Gazzetta dell’Associazione Agraria e dalla Reale Accademia di Agricoltura di Torino. In particolare, si è deciso di analizzare nel dettaglio tutte le sperimentazioni pubblicate in questi due periodici da altri Autori e confrontarle con l’epistolario per comprendere quali di queste abbiano condizionato le scelte di Cavour o viceversa. Così come nei suoi tenimenti, anche nell’Orto Sperimentale della Crocetta, si avviarono numerose sperimentazioni volte a perfezionare le tecniche di coltivazione adottate ad ampliare i mercati con nuove varietà. Dall’analisi si evince come ci siano state delle influenze tra le sperimentazioni condotte nell’Orto Sperimentale dell’Accademia, diretto prima dal Dott. Bonafous e successivamente dal Dott. Delponte, e quelle condotte da Cavour a Santena, Leri e Grinzane. Le sperimentazioni agricole vennero seguite da Cavour direttamente, sia in prima persona, sia tramite i suoi fattori e riguardarono diversi settori. Dalla loro copiosa corrispondenza, si evince l’interessamento del conte a queste tematiche; nonostante si occupasse personalmente delle vendite dei suoi prodotti e degli acquisti di materiali, sementi e macchinari in primis, Cavour quasi quotidianamente indicava puntualmente le operazioni colturali da condurre, con precise modalità e tempistiche. Le sue innovazioni non si limitarono infatti ai campi agronomici e zootecnici ma ampliarono anche le conoscenze chimiche e meccaniche. Tutte queste attività avevano l’obiettivo di incrementare la produzione agricola, migliorare la produttività dei terreni agrari, creare le condizioni necessarie affinché ci fosse il più possibile una vera efficienza produttiva. Inoltre erano volte al perfezionamento dei sistemi di coltivazione e all’introduzione di nuove colture in ambito agronomico. Cavour con i fattori promosse le rotazioni colturali e fece prove di macchinari appena fabbricati, concimi e nuove colture agrarie da inserire nei cicli produttivi. Le tenute in cui si avviarono nuove tecniche agricole e sperimentazioni, erano principalmente ad indirizzo cerealicolo, ma Cavour, valutando le condizioni ambientali e climatiche e le vocazioni diverse dei terreni, differenziò la produzione rendendole specializzate. In particolare, a Santena (To) si fecero prove per migliorare l’attività zootecnica e si selezionarono i migliori capi di bestiame da allevare, a Leri (Vc) si perfezionò il sistema colturale e la risicoltura ed infine a Grinzane (Cn) si sperimentarono nuovi vitigni e tecniche di vinificazione. Per comprendere le innovazioni, i successi ed i fallimenti di “Cavour Agricoltore”, si è deciso di approfondire tutte le tematiche da lui sperimentate nelle sue tenute, molte delle quali riconosciute ancora oggi nell’agricoltura tradizionale. Le tematiche approfondite riguardano diversi settori, di seguito brevemente descritte: L’introduzione di nuove colture. Cavour decise di sperimentare diverse coltivazioni agrarie e forestali e di incrementarne alcune, particolarmente redditizie, come la canapa, il noce e il gelso. Le foglie di questa pianta, pregiate e ricercate sul mercato, venivano vendute nei mesi primaverili in diversi mercati piemontesi. I bozzoli, derivati dall’allevamento del baco da seta, che avveniva nella stesse tenute di Grinanze e Leri, venivano venduti anche essi a caro prezzo. Una di quelle introdotte ex novo fu la barbabietola; nel 1835 infatti, decise di coltivare sulle colline di Grinzane questa coltivazione con il tentativo di produrre zucchero nostrano limitandone così le importazioni con l’estero. Oltre alle sue proprietà zuccherine, il conte decise di sperimentarla dapprima come pianta foraggera per il bestiame. Nel tenimento di Leri si sperimentò invece una nuova varietà di riso: il riso Bertone. Dalle sperimentazioni condotte dal suo fattore, si evince come nonostante questa varietà depauperasse molto il terreno e la sua produttività fosse influenzata dalla fertilità del suolo in cui veniva seminato, questa semente permetteva ai risicoltori di coltivare il trifoglio, utilizzato comunemente nell’alimentazione del bestiame. Cavour infatti introdusse nel sistema colturale il trifoglio. Questa leguminosa venne introdotta come pianta in rotazione dapprima a Santena nel 1841 e successivamente a Leri. A Santena, questa leguminosa veniva coltivata prima della semina del mais permettendo così di avere una raccolta anticipata. La viticoltura e le tecniche di vinificazione La coltivazione della vite e le nuove tecniche di vinificazione furono sperimentate da Cavour nelle Langhe, nel suo tenimento a Grinzane. Si possono evidenziare due principali tematiche correlate alla viticoltura che furono sperimentate nel castello di Grinzane: la prima riguarda l’introduzione di nuovi vitigni, che avvenne principalmente con l’enologo Oudart, la seconda invece la lotta all’oidio che coinvolse Cavour all’epoca in cui era Ministro di Marina Agricoltura e Commercio. Le operazioni colturali in agricoltura Con l’intento di migliorare il sistema produttivo, Cavour incoraggiò e sperimentò nuovi concimi ed ammendanti. Oltre ad impiegare la debbiatura, pratica colturale rudimentale di fertilizzazione del terreno che consisteva nell'incendiare i residui colturali o della vegetazione rimasti sul terreno agrario, per favorire così lo sviluppo vegetale e la qualità dell’erba, Cavour impiegò inizialmente a Leri, la calce e la marna, come ammendanti e correttivi. Successivamente i cenci di lana ed infine il guano. In tutti i suoi tenimenti, Cavour sperimentò in modo rudimentale questi concimi ed ammendanti, alternandoli e mescolandoli tra loro, per migliorare i diversi raccolti. Il terzo cardine delle innovazioni generali nella conduzione del podere promosse ed esperimentate da Cavour, fu il metodico rispetto della rotazione delle colture. In particolare, decise di sperimentare non solo i vantaggi di alternare le colture seguendo uno schema predefinito, ma di identificare le migliori consociazioni. La praticoltura e l’allevamento del bestiame Fortemente correlate tra loro, la praticoltura e l’allevamento del bestiame furono due attività che con il conte acquisirono un’importanza notevole. Seguendo il modello praticato in diversi paesi europei, il conte decise di sperimentare e mettere in rotazione nel tenimento di Leri, i prati irrigui con le colture di rinnovo e quelle cerealicole. Le potenzialità della praticoltura che permetteva di potenziare l’attività zootecnica, furono subito comprese da Cavour, dapprima come imprenditore agricolo, e successivamente come Ministro. Come si evince dalla corrispondenza, in tutti i suoi tenimenti era praticata la zootecnia. Sicuramente per la tenuta di Santena rappresentava la principale attività e fonte di reddito. Il fattore di Santena, decideva ogni anno i capi da ordinare che venivano acquistati in diverse località piemontesi e destinati agli altri tenimenti. Nel tenimento di Leri fu uno dei primi ad importare anche i maiali di razza inglese, nel 1839; decise di sperimentare l’incrocio di questi suini con le razze locali nella speranza di incrementare la produzione di carne. Nella tenuta vercellese venivano allevati questi maiali ed alcuni di questi venivano annualmente poi venduti ad altri proprietari terrieri. Gli animali venivano acquistati in diversi mercati durante le fiere e i più rinomati erano quello di Demonte in Valle Stura in provincia di Cuneo e quello di Châtillon in Valle d’Aosta. Un altro allevamento che venne riconosciuto e valorizzato da Cavour fu quello ovino nella tenuta di Santena. La meccanizzazione Con l’aumento delle produzioni agricole, l’introduzione di nuove coltivazioni e la crescente specializzazione colturale, ne derivò la necessità di una meccanizzazione sempre più spinta o comunque l’adozione di tecniche in grado di ridurre le ore di lavoro per unità di superficie. Per questo motivo, nel 1846, Cavour decise di introdurre la macchina per trebbiare il grano, costruito dall’ingegnere Colli. Nello stesso anno, arrivarono dall’Inghilterra a Leri anche delle macchine per tagliare la paglia ed un aratro adatto alle lavorazioni profonde del terreno. Nel 1856 arrivarono a Leri, acquistate direttamente da Cavour un anno prima a Novara, quattro macchine per sgranellare la meliga. 
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