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ANNO XXXIX N. 1
GENNAIO 1991
MENSILE DELL'AICCRE
ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI
dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale
L'ombra di
Metternich
di Umberto Serafini
8 Ursula Hirschmann Spinelli è morta a Roma 1'8 gennaio. Antinazista prima, poi antifascista,
i è stata, sin dall'elaborazione del Manifesto di Ventotene, uno dei punti di riferimento dell'azioU)
ne federalista, che l'ha vista concretamente impegnata soprattutto nei difficili giorni della nascita del Movimento federalista europeo e della sua apertura alla dimensione sovranazionale
:
Metternich? Ricordo che nell'estate 1953,
mentre Henri Kissinger preparava la dissertazione che completò all'inizio del 1954 (e pubblicò solo nel 1957, col titolo «A World Restored: Metternich, Castlereagh, and the
Problems of Peace, 1812-1822»), nel consueto «seminario internazionale» di 8 settimane
alla Harvard si svolse un dibattito sull'ammissione della Cina comunista all'ONU:
fummo - se ben ricordo - i soli, lui ed io,
favorevoli all'ammissione. Tenevamo entrambi presente il rapporto Marshall sulla Cina, respinto comicamente come filocomunista da quelli che contavano in una America
intrisa di nevrotico maccartismo: ma lo valutavamo positivamente d a punti di vista alquanto diversi. Henri, che mi fece un terzo
grado sulla complicata situazione interna italiana, aveva poi una caduta di interesse quand o si parlava di Federazione europea. Ecco,
malgrado egli riconosca nel suo studio i limiti
dei due suoi «eroi» - Metternich e Castlereagh -, ne apprezza l'impegno per la pace
in funzione di equilibrio fra le potenze, che
è sembrato nello sviluppo del suo pensiero e
della sua azione l'unico obiettivo a cui si debba mirare per conservare, appunto, la pace.
Egli non amava e - credo - non ama tuttora i profeti ovvero i «rivoluzionari», cioè coloro che secondo lui - nel bene o nel male
- vivono tutti tesi «verso l'eternità, che è
priva per definizione di dimensione temporale»: con costoro è impossibile negoziare un
compromesso stabile, che è alla base di un
equilibrio, il quale a sua volta determina quella pace non «perpetua» ma duratura, l'unica
a cui si possa aspirare. Qui si insinua un equivoco che vale la pena chiarire subito, oggi che
c'è tanta confusione sul concetto di pace.
La pace, che, con Kant, chiameremo ancora «perpetua», non è un concetto trascendentale, che coincida con il nobile irenismo dei
non-violenti - testimoni piu che validi, se
veramente coerenti, del fine a cui si deve, an-
che coi mezzi della politica, fortemente tendere -. No, non è la mitica età dell'oro a cui
si vuole ritornare: è semplicemente l'evoluzione empirica dell'umanità, che dalla famiglia e dal clan ha progredito verso lo Stato e,
abbandonato il concetto che la guerra fra gli
Stati sia un «giudizio di Dio», evolve - e noi
dobbiamo aiutarla - verso un rapporto giuridico, istituzionale, fra gli Stati di tutto il Pianeta. Ci si sottopone - e si può anche usare
la forza per ottenere lo scopo - a una legge
comune e altresì a una polizia comune, perché oltretutto la guerra non è piu la continuazione della politica con altri mezzi, ma la probabile fine della politica, della storia e del genere umano.
Che lo scopo si ottenga piti tranquillamente se non ci si imbatte in «profeti», nel senso
di fanatici esclusivamente di una certa idea o
di un certo credo, è indubbio. L'ecumenismo
religioso può essere, per esempio, una premessa sostanziale, mentre ogni integralismo è
un muro difficile a valicarsi: ma quel che non
possono fare, con la loro mutevolezza e i lacci
e lacciuoli che li imprigionano, i governi, possono fare gli uomini con l'impegno intelligente di ogni giorno, possono farlo i grandi saggi
ascoltati dai popoli e i grandi movimenti democratici. Si dogmatizza troppo spesso sugli
ostacoli: indubbia è la gravità del fondamentalismo islamico, ma - a parte l'esame di coscienza che i «cristiani» e tutti gli occidentali
laicisti dovrebbero fare su alcune delle sue
cause - possibile che non si conoscano le
grandi possibilità dimostrate dall'islamismo
democratico - radicalmente democratico indiano, che ha avuto i1 piu esemplare rappresentante in Abul Kalam Azad, uscito dalla
scuola coranica di El-Azhar e amico di Jawaharlal Nehru?
Ma torniamo a Metternich. Qui lo abbiamo ricordato perché la costruzione dell'equilibrio - e, pi6 in generale, di qualsiasi ordine
internazionale - spettava secondo lui (e ce lo
ha ricordato lo stesso Kissinger, a prescindere dal suo personale punto di vista, pi6 complesso) esclusivamente ai governi e non ai popoli. Di piu: non ai governi in quanto sensibili ai sentimenti dei popoli. Ebbene, questo
(ma non hanno il coraggio di dirlo apertamente) è il punto di vista di molti degli statisti
(statisti? si fa per dire) che trattano oggi i
problemi dell'unità europea e dell'ordine internazionale. La democratizzazione della Comunità europea? un impaccio verso l'unità.
L'Unione europea («ma siamo realisti!») è il
Consiglio europeo, il Vertice dei Capi di Stato e di Governo, il nuovo Congresso di
Vienna.
Naturalmente questo non è il pensiero di
som
ma
rlo
COMUNI D'EUROPA
tutti i governi nazionali europei né di tutti i
loro membri: ma ce ne sono, e parecchi, di attivi e influenti in questo senso, scoperti e coperti. E che faranno i diplomatici a cui, in definitiva, è affidata la Conferenza intergovernativa per l'unione politica (europea)? si ribelleranno ai politici, proporranno una Unione federale, insisteranno per il potere legislativo (codecisione) al Parlamento Europeo, accetteranno di lasciare al Parlamento Europeo
l'ultima parola sul progetto di Unione? Ma
forse prima di tutto dobbiamo rivolgere a noi
stessi alcune domande.
Ci rendiamo ben conto che non vale aspirare a una Unione europea purchessia, perché
oltretutto non gioverebbe neanche alla costruzione della pace? D'altra parte, proprio
mentre la democrazia è un sistema che quasi
ovunque mostra aspetti di senescenza, non si
tratta di trovare un sistema migliore - che
non c'é: essa è, come si dice, il meno cattivo
possibile -, ma di rinnovarne metodi e respiro proprio attraverso la costruzione europea.
Quindi l'impegno per l'Unione federale europea è un impegno per una grande edificazione
democratica, grande ed esemplare: e il momento storico che viviamo non ammette attese o deviazioni; e neanche raggiri.
Azione comune (federale) o soltanto cooperazione? Cerchiamo di vederci chiaro. La
cooperazione - intendiamoci un po' brutalmente - è quella di Metternich e di Castlereagh: lodevole, se prepara l'azione comune;
L'Europa, il federalismo
e la guerra del Golfo
l'Europa e che dall'altra dovrebbe favorire, unche per merito dell'Europa unita, la costruzione
di un governo mondiale. Di fronte alle follie del
tiranno dell'Iraq si è trovato un parere prossimo
all'unanimità delle Nazioni Unite: questo fatto
positivo rischia di perdere il suo valore sia perché poi la guerra è diventata o sta diventando
sempre più non solo e non tanto l'operazione di
polizia contro un assassino, ma anche una gestione particolare, sia nelle concezioni ideologiche che negli interessi da difendere, della pax
americana. Ancora una volta la stessa politica
della NATO non è bipolare, perché manca il
polo autonomo ed efficace europeo, mentre in
realtà prevale l'America col codicillo inglese e
posizioni generiche, attendiste e ambigue degli
altri paesi dell'Europa occidentale. L 'inesistenza dell'Europa, delllEuropademocratica e federale, determina dunque il cattivo sviluppo di
una grande occasione storica: quella di trovare
momentaneamente un accordo mondiale che
rinforzi ilfuturo di una istituzione, I'ONU, dalla quale potrebbe nascere il governo mondiale,
ma che non lo diverrà finché l'istituzione stessa
sia usata al di fuori di un concreto piano di giustizia internazionale.
In un poscritto potremmo aggiungere che se
l'Europa esistesse, cioè fosse un reale potere sovranazionale e democratico, potrebbe gestire
senza accettare ostacoli un piano per una patria
dei palestinesi, garantendo in pari tempo in maniera totale e credibile l'esistenza dello stato di
Israele, assai più di quello che sia in condizione
di fare la lontana America e in essa la lobby
ebraica.
La prima considerazione da fare sulla guerra
del Golfo è l'impotenza dell'Europa derivante
dall'inesistenza di un 'effettivaunione politica e
democratica: c'è una parvenza di unità di intenti della Comunità, subordinata a un accordo
omertoso tra diverse parti contraenti, per cui
ciascuno finge di ignorare le colpe degli altri per
lasciar correre le proprie e tutti sono spinti ad
una azione collettiva che risulta del tutto irrazionale. Lo stesso comportamento frammentario e incerto del Parlamento Europeo sulla vicenda del Golfo dipende dal fatto che i vari
gruppi sono nazional-dipendenti e non si trovano di fronte un Esecutivo o Governo europeo,
con una sua politica, da correggere o da contraddire con una opposizione costruttiva.
In conclusione la guerra nel Golfo è scoppiata senza un piano europeo per il Medio Oriente
che in qualche modo permettesse di evitarla, che
comunque facesse comprendere agli arabi quale
era la giusta prospettiva condivisa dagli europei
e che, scoppiata la guerra, facesse capire - a
parte il provvedimento di polizia di togliere le
mani del tiranno dell'lraq da armi micidiali per
tutta l'umanità, fornitegli del resto in buona
parte e incredibilmente dagli stessi europei quale può essere il dopoguerra secondo i democratici europei che parlino una lingua comune.
Qui si collega un aspetto di quel federalismo
che da una parte dovrebbe unire rapidamente
(segue a pag. 19)
3 - L'appello della Convenzione per l'unione democratica europea
6 - Le basi costituzionali per l'Unione europea
7 - Davvero un successo il Vertice di Roma II? di Pier Virgilio Dastoli
9 - Parlar a suocera perché nuora intenda, di Andrea Chiti-Batelli
13 - Gemellaggi: un bilancio lusinghiero e positivo, di Maria Cossu
14 - Un'esperienza esemplare, di Lorenzo Dellai
15 - Statuti locali: valenza europea delle autonomie, di Paolo Benelli
16 - Ursula, di U.S.
GENNAIO 1991
l'appello della Convenzione per l'Unione democratica europea
No all'unione truffa e alla Santa Alleanza
sì all'unione federale e democratica
L'embrione del fronte democratico europeo
La Convenzione per l'Unione democratica europea ha avuto luogo il 14 dicembre
1990 in Campidoglio, a Roma. Essa trae la
sua origine da una idea contenuta nel Manifesto di Bordeaux del CCRE (1987). Ma si
può risalire agli Stati generali del CCRE a
Roma (1964), dove fu lanciata l'iniziativa di
un fronte o alleanza democratica europea.
Importanti settori della società europea sono
pronti a fare un salto di qualità verso l'Unione federale. L'opinione pubblica è pronta e
disponibile: ma il processo d'unificazione democratica - urta contro l'ostacolo dell'egoismo degli Stati e delle forze conservatrici
- e anche frequentemente dei partiti politici
nazionali - che li sostengono. Che fare?
La promozione della Convenzione è stata
decisa a Strasburgo il 15 febbraio 1990 dall'Unione europea dei federalisti, dal Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa e
da tutte le organizzazionifederaliste, in pieno accordo con il Movimento Europeo. La
Sezione italiana del CCRE (AICCRE) ha assunto la responsabilità dell'organizzazione
su mandato del Comitato direttivo del
CCRE. È stato redatto un testo che potesse
rappresentare il denominatore comune delle
aspirazioni democratiche e federaliste delle
principali organizzazioni sociali, economiche e culturali a livello sovranazionale, e allo stesso tempo dei movimenti per la parità
della donna, per la difesa delle minoranze etniche, religiose e linguistiche, per la protezione dell'ambiente e per la pace, contro il
razzismo, ecc. Si è discusso tutti insieme e si
è emendato il testo per dieci mesi. Ottenute
tutte le adesioni necessarie, il testo, sotto forma d'Appello ai governi nazionali e ai parlamentari europei e nazionali, è stato lanciato
in Campidoglio in occasione del Consiglio
europeo (Vertice) di Roma.
La seduta solenne della Convenzione è
stata presieduta da Valéry Giscard dlEstaing,
in qualità di Presidente del Movimento Europeo. Una versione 'sintetica dell7Appelloè
stata letta da Francesco Rossolillo, presidente dell'unione europea dei federalisti. Le
adesioni sono state portate da Hellermann a
nome della Confederazione europea delle
imprese pubbliche (CEEP), da Zufiaur a nome della Confederazione europea dei sindacati (CES), da Joseph Hofmann presidente
del Consiglio dei Comuni e delle Regioni
d'Europa, da Anita Garibaldi Jallet a nome
della lobby europea delle donne, da Jamis
Papageorgiou a nome dei Giovani federalisti
europei, da Abba Danna per il Forum degli
immigrati europei, da Thomas Philippovich
L'intervento del Presidente del CCRE
Hofmann
- ex Segretario generale del CCRE ed ora
consigliere del governo ungherese - come
rappresentante democratico delllEuropa del
Centro e dell'Est, da Piewe Vanbergen presidente dell'Associazione europea degli insegnanti (AEDE), da Arialdo Banfi presidente
dell'unione europea della Resistenza, dal
borgomastro di Grenzach-Wylhen, Konsler,
che ha letto un messaggio dei parenti dei giovani eroi della Rosa bianca (Weisse Rose),
da John Pinder presidente anziano dellJUEF
e rappresentante dei federalisti britannici, e
da Maria Luisa Cassanmagnago presidente
dell'lntergruppo federalista del Parlamento
Europeo. Le conclusioni sono state tratte da
Umberto Serafini, vicepresidente del CCRE
e segretario del Comitato d'iniziativa della
Convenzione. Sono pervenute numerose altre adesioni, come quelle della Federazione
internazionale delle Case d'Europa (FIME),
della Lega europea della cooperazione economica, dei gruppi dei Verdi, dei teologi cristiani, degli ex combattenti, dei coltivatori
agricoli, del Centro internazionale di formazione europea (CIFE), del Centro italiano di
studi europei, dell'lstituto Robert Schumann, dell'Istituto Altiero Spinelli, del Centro europeo di Tubingen (Baden Wurttembergì, della Confemili (minoranze europee),
dell'Associazione radicale per la lingua e la
cultura transnazionale, della Lega Arc-enciel (difesa dell'ambiente), di diverse Università e personalità dellarte e dello spettacolo,
ecc.
Le forze coordinate dalla Convenzione
dovranno adesso esercitare una pressione permanente su coloro che lavoreranno ccufficialmente» - non si sa in quale spirito e con
quale coerenza - per l'unione europea e la
democrazia sopranazionale.
GENNAIO 1991
Gli interessi costituiti, economici e politici, le vecchie strutture tecniche consolidate,
le burocrazie degli Stati e dei partiti nazionali, quella stessa cultura che è legata a un'organizzazione tradizionale hanno rallentato o
frenato il processo di unificazione europea,
così come possono rallentare o frenare il cammino internazionale verso una costruzione
della pace che oggi, con una strategia federalista, presenta alcuni decisivi e accessibili traguardi. È così che, mentre importanti settori
della società europea sono pronti ad un salto
di qualità verso l'Unione federale e soprattutto la stessa opinione pubblica prevalente si
dimostra disponibile, il processo di unificazione subisce continuamente l'ostacolo dell'egoismo di Stato e delle forze conservatrici
che lo alimentano. In altri termini l'Europa
intergovernativa avanza con intollerabile lentezza e fra molte contraddizioni ed 2 pronta
continuamente ad approfittare dell'esitazione di uno o pochi governi degli Stati consociati nella Comunità europea per arrestare
tutto il processo. Pertanto, oltre le organizzazioni europeiste e federaliste, numerosi movimenti democratici - per la pace, per la tutela
ambientale, in difesa delle minoranze etniche, religiose e linguistiche, contro il razzismo, quello di primaria importanza per la parità della donna, eccetera - e organizzazioni
rappresentative, su scala nazionale ma più ancora comunitaria, di importanti settori sociali, economici, culturali hanno deciso di incontrarsi in occasione della convocazione - al
termine del semestre (luglio-dicembre 1990)
di presidenza italiana della Comunità - delle
Conferenze per l'Unione economica e monetaria e per l'Unione politica, e di verificare la
loro comunità di intenti - il loro minimo comun denominatore - in una Convenzione
per l'Unione democratica europea.
I1 14 febbraio 1984 il Parlamento Europeo, dopo essersi impegnato in una azione autonoma, perché cosciente di essere I'espressione diretta del sentimento e del volere dei
popoli comunitari, approvò a larga maggioranza il «Progetto di Trattato che istituisce
l'Unione europea». A favore del progetto si
dichiarò successivamente la maggioranza del
Comitato Dooge, rappresentativo di Capi di
Stato e di Governo. Poi, la Conferenza intergovernativa convocata nel giugno 1985 ai
Vertice europeo di Milano, costretta a decidere all'unanimità fu frenata nel procedere
verso una costituzione politica europea e pervenne all'atto Unico, rilanciando sì il processo di integrazione, ma limitandolo ancora una
volta all'economia e a un tipo di unione che
non permette ad un primo nucleo di Stati europei di agire come soggetto politico in campo internazionale: le istituzioni della Comunità, del resto, di fronte alla creazione di un
mercato unico rimanevano inadeguate per afCOMUNI D'EUROPA
frontare le esigenze sociali, ambientali e di
equilibrio interregionale, mentre ancora più
vistoso appariva il deficit democratico di tutto il complesso. Soprattutto appariva, come
tuttora appare, sempre più insopportabile l'emarginazione delle istituzioni parlamentari,
sia dei Parlamenti nazionali dei 12, che venivano sempre più tagliati fuori dal processo,
sia del Parlamento Europeo, che non acquisiva i poteri adeguati, rendendo sempre più
vuote di significato le elezioni europee.
La nuova stagione che si è aperta nell'Unione Sovietica, l'avvio democratico che si è
cominciato a produrre al Centro e all'Est
d'Europa nello straordinario 1989, la riunificazione tedesca, i minacciosi eventi del Vicino Oriente, la coscienza emergente dell'insopportabile disparità di condizione umana
tra il Nord e il Sud del Pianeta - coi connessi problemi di una crescente trasmigrazione
in massa dei popoli - hanno spinto governi,
istituzioni parlamentari e opinione pubblica
della Comunità europea a riconsiderare il
processo di integrazione e a indicare come attuale anzi urgente e non rinviabile il tema
delllUnione politica. Questa, in un primo
tempo, è sembrata avviarsi razionalmente
verso la forma di una Unione federale: una
Unione federale soddisfa l'esigenza prioritaria di democrazia; rispetta la complessità delle nazioni, delle etnìe, dei territori così diversi che vogliono unirsi; ha un carattere aperto
verso il resto d'Europa, evitando un neonazionalismo della «piccola Europa», e risulta
esemplare e di irresistibile attrazione nei riguardi di quei Paesi europei che, riacquistata
la libertà, sembrano talvolta scivolare verso
un risvegliato nazionalismo e, complessivamente, minacciano la balcanizzazione dell'Est europeo; è in condizione di partecipare
come efficace e fondamentale soggetto politico alla trasformazione della fine della guerra
fredda in momento essenziale di costruzione
della pace e di salvezza dell'ecosistema planetario. La Casa comune e - più chiaramente
- America, Europa e compiesso sovietico
possono veramente accordarsi e determinare
ia messa in comune delle armi atomiche, in
attesa di far valere a livello mondiale il disar-
mo atomico e l'impedimento di ogni e qualsiasi guerra chimica e batteriologica col determinare una radicale riforma delle Nazioni
Unite - oggi anacronisticamente legate alla
realtà del 1945: ma solo una Europa federata
- cioè una Europa veramente nuova, lontana da quello che è stato il continente del nazionalismo, dell'imperiali.smo, del colonialismo, del fascismo, del nazismo e ha scatenato
due conflitti mondiali -- può giuocare un
ruolo siffatto da protagonista credibile e trascinare il Sud del mondo. Ciò esige che 1'Europa dei 12 - o di «coloro che vorranno» si avvii con decisione verso la soluzione federale: nessun singolo Paese o gruppo minoritario dei 12 può ostacolare la missione storica
dell'Europa e la sua iniziativa Federalista con
veti, che vogliono perpetuare un eurocentrismo guidato da una tradizionale Santa Alleanza («cooperazione sempre più stretta fra
Stati sovrani e indipendenti»).
Con queste premesse politiche, culturali e
morali la Convenzione fa presenti quegli
obiettivi, che le sembrano immediati e irrinunciabili, ai Capi di Stato e di Governo, ma
altresì ai parlamentari europei e nazionali.
I - Conferenza per l'unione Economica
e monetaria.
La moneta unica e la banca federale sono
un traguardo politico irrinunciabile da raggiungere a tempo determinato: si può ammettere l'avvenuto spostamento dell'inizio della
seconda fase dell'unione dal 1993 (entrata in
vigore del «grande mercato») al I o gennaio
1994, anno in cui si svolgeranno le prossime
elezioni europee, ma non sono accettabili altre dilazioni.
D'altra parte il passaggio alla terza fase quella che porterà definitivamente alla moneta unica - è previsto nel 1996: dobbiamo
sottolineare che la piena attuazione dell'Unione si vuole in tempi brevi e chiaramente
stabiliti. Chi non è d'accordo sulla moneta
unica si mette fuori, per il momento, dallo
stesso processo di costruzione dell'unione
politica.
Gonfaloni in piazza del Campidoglio durante la Convenzione
COMUNI D'EUROPA
La moneta unica è un riferimento obbligato per le forze che chiedono particolarmente
un'Europa sociale (fu chiesta dal congresso di
Stoccolma della Confederazione europea sindacale) e altresi per coloro che sono preoccupati per la finanza regionale e locale e specialmente per le regioni economicamente più deboli (come hanno affermato a Lisbona i
XVIII Stati generali del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa); d'altra parte per
la moneta unica si sono battuti da tempo i
produttori.
La moneta unica è un punto d'onore della
Germania riunificata, ~ e r c h èé una dimostrazione tangibile di voler collocare Ia riunificazione nel quadro comunitario.
La moneta unica è un elemento essenziale
di una politica estera europea, ivi inclusa la
politica verso il Sud del mondo.
Ovviamente la moneta unica implica una
adeguata armonizzazione fiscale comunitaria
e, in generale, un coerente impegno verso la
coesione economica (oltre un leale e tempestivo riordinamento della finanza pubblica di
diversi Stati della Comunità). In pari tempo
va tradotto in precise norme di indirizzo e in
norme cogenti quanto in linea di principio è
stabilito dalla Carta Comunitaria dei diritti
sociali fondamentali. Accanto all'unione monetaria si deve rivedere il bilancio comunitario sulla base delle analisi che portarono al
vecchio rapporto McDougall (l'aumento del
bilancio comunitario al 2,5% del PIL europeo è in realtà un minimo inadeguato ai compiti da attribuire a una Unione europea anche
in fase pre-federale), conditi0 sine qua non di
una politica regionaie e ambientale sovranazionale ed efficace.
Comunque la moneta unica e anche una
banca federale «indipendente» implicano un
Esecutivo comunitario dotato di poteri sufficienti e responsabile nei riguardi del Parlamento Europeo.
II
- Conferenza per l'Unione Politica.
Se si vuole una autentica Unione politica
democratica, occorre rimettere al centro del
processo l'istituto parlamentare. I1 rifiuto di
ciò porta al suo contrario, cioè ad una falsa
Unione, in cui le decisioni finali spettano al
complesso, collegialmente irresponsabile, degli Esecutivi nazionali (Consiglio europeo:
riunione dei Capi di Stato e di Governo): soluzione antidemocratica e giuridicamente
mostruosa, se le decisioni fossero prese a
maggioranza e con efietti cogenti (altrimenti
si tratterebbe di pura accademia). I1 Consiglio europeo dovrà limitarsi al ruolo di impulso della costruzioiie europea.
Una Unione politica (e non un Atto Unico
bis, che noi respingiamo) non può rinunciare
a un Esecutivo unico, organo di governo e di
proposta; i poteri legislativi e di controllo politico - ma anche di iniziativa - dovranno
essere esercitati da un sistema bicamerale costituito:
- da una Assemblea dei popoli (il Parlamento Europeo)
- da una Camera Alta o Senato, che rappresenti gli Stati tendendo ad assicurare gradualmente una rappresentanza dell'ordinamento
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costituzionale di ciascuno (cioè non solo rappresentativo degli Esecutivi, ma anche degli
istituti parlamentari e delle assemblee delle
autonomie territoriali).
All'Esecutivo comunitario, che dovrà essere designato dalle due Camere, spetterà la
programmazione politica complessiva (politica economica, sociale, ambientale, estera e di
sicurezza): ma, con accentuazione in un periodo «confederale» transitorio, la Camera
Alta svolgerebbe un ruolo prevalente nella
realizzazione della politica estera e di sicurezza. Sarebbe in ogni caso escluso un Segretariato politico, espressione diretta dei Governi
nazionali, che tenderebbe inevitabilmente ad
emarginare l'Esecutivo comunitario e il Parlamento Europeo, rendendo altresì problematica la coerenza tra la politica economica e
sociale e quella estera e di sicurezza.
È del tutto inconcludente limitarsi ad indicare gli obiettivi ed è necessario far chiarezza
sulle procedure e sui tempi del processo.
Quindi:
a) La Conferenza intergovernativa sull'Unione politica, che non potrà essere prigioniera dell'art. 236 del Trattato C E E (decisioni
unanimi), dovrà lavorare in stretto collegamento col Parlamento Europeo. Quest'ultimo non può abbandonare quanto ha esaminato, sui temi istituzionali e di procedura, discusso e approvato (rapporti Colombo, Martin, Giscard d'Estaing, Duverger). D'altra
parte il Parlamento Europeo contribuirà a ridare la sua dignità all'istituto parlamentare
attraverso la consultazione periodica, nella
fase costituente, dei Parlamenti nazionali
(Assise europee), che del resto risulteranno
gli organi a cui, di regola, saranno affidate le
ratifiche nazionali del Trattato sull'unione
europea (l'entrata in vigore del Trattato non
dovrà essere legata all'unaminità delle ratifiche, ma dovrà ripetere l'orientamento dell'articolo 82, secondo comma, del Progetto di
Trattato del Parlamento Europeo del 1984).
Particolarmente scandaloso è il tentativo di
provocare una alleanza dei Parlamenti nazionali coi rispettivi Esecutivi e contro l'ampliamento dei poteri del Parlamento Europeo: è
una manovra in favore di una Europa definitivamente confederale, insomma contraria a
una autentica Unione politica, che rappresenti un'Europa (o, per ora, una sua parte) come
vero soggetto politico.
L'ultima parola sul Trattato - cioè la redazione del testo definitivo da sottoporre alle
ratifiche - dovrà spettare al Parlamento Europeo. Non pare con ciò di chiedere troppo,
se si pensa (a parte il Referendum italiano sul
mandato costituente) all'orientamento prevalente dei Governi e dei Parlamenti nazionali
al momento delle ultime elezioni europee.
b) I1 Trattato dovrà essere entrato in vigore
al momento delle prossime elezioni europee
(1994): nel frattempo dovrà essere approvato
il progetto di elezione a suffragio universale
diretto secondo una procedura uniforme in
tutti gli Stati membri. La Convenzione europea, che sa di rappresentare tanta parte della
pubblica opinione qualificata e generica, ritiene che sarebbe una vera e propria sfida,
provocatoria, alle popolazioni delle ComuniGENNAIO 1991
tà il chiamarle ancora una volta a eleggere un
Parlamento che non legifera e non controlla
il potere esecutivo. Ciò implica un rinnovato
senso di responsabilità da parte dei Governi
nazionali dei 12, ciò implica il procedere alla
non unanimità nella Conferenza intergover-
nativa, ma soprattutto ciò implica - lo ripetiamo - il lavorare in stretto collegamento
col Parlamento Europeo, senza dubbio più
capace - come ha già dimostrato - di compromessi costruttivi.
Novembre '90
Lo striscione dell'.AEDE in piazza del Campidoglio durante la Convenzione
al X Congresso dell'AEDE
Impegno a sostegno della Convenzione
Il X Congresso della Sezione italiana dell'AEDE (Lecce, 13 - 15 Gennaio 1991).
AUSPICA
che la pace, come vulore primario della convivenza tra i popoli, venga tutelata in tutte le sedi istituzionali e politiche nazionali ed internazionali, proprio nel momento in cui essa è sempre piu fortemente
turbata;
FA VOTI
affinchè la Comunità Europea, dopo gli impegni assunti dal vertice di Roma del 13 e 14 Dicembre
1990, realizzi appieno l'Unione economica e monetaria, nonchè politica, secondo i tempi prefissati;
SI IMPEGNA
a rendere sempre piu concreto l'impegno assunto dalla Convenzione per la democrazia europea dello
stesso Dicembre 1990 circa la transizione dalla Comunità alla Federazione Europea;
RIBADISCE
la sua ferma volontà nel rafforzamento del suo progetto politico-educativo in direzione soprattutto:
a) della strutturazione di un sistema educativo sovrannazionale attraverso un nuovo rapporto tra
scuola e società civile ed attraverso un'effettiva integrazione tra scuola e territorio ai vari livelli della
comunità sociale:
b) di unazione sempre piu concreta ed incisiva da calare nell'ambito dell'AEDE L A B O R A T O R I O
da concepire come espressione di coscienza civica di carattere culturale, pedagogico e politico atta
a sconfiggere, tra l'altro, tutte le forme di nazionalismo, di xenofobia e di razzismo e tutti i tentativi
assurdi di violazione dei diritti dell'uomo e delle minoranze etniche nelle varie aree geografiche del
nostro pianeta;
C) di un sempre pi2 stretto vincolo associativo all'interno delllAEDE ed interassociativo soprattutto
con il Movimento Europeo, con il Movimento Federalista Europeo, con l'Associazione dei Comuni
e delle Regioni d'Europa, con il Centro italiano di formazione europea, con le «Case d'Europa», con
le associazioni professionali degli insegnanti e con le forze politiche e sociali.
Il X Congresso nazionale delllAede, nel concludere i suoi lavori, fissa negli Anni Novanta la prospettiva di crescita etica, politica e sociale della società europea come effettiva possibilità di realizzazione della pace e della solidarietà umana e civile tra tutti gli individui e tutti i popoli nel mondo.
m
COMUNI D'EUROPA
Parlamento Europeo e progetto Colombo
I cittadini e gli Stati soggetti del'unione
Ruoli chiari per l'Esecutivo e le Regioni
Una lusinghiera valutazione delle Assise dei parlamenti nazionali ed europeo. All'Assem blea di Strasburgo il compito
di elaborare la Costituzione dell'unione. Un preambolo che esplicita i fini dell'unione. Diritti fondamentali, cittadinanza, diritti e obblighi degli Stati. Le istituzioni e gli organi. Le novità del Comitato delle regioni e delle autonomie
locali e della Banca centrale. L'elezione del Parlamento con procedura uniforme. L'iniziativa legislativa e il bilancio
Nella sessione di dicembre l'Assemblea d i
Strasburgo ha esaminato i risultati della Conferenza dei parlamenti della Comunità, tenutasi a Roma a fine novembre, e la relazione
della commissione istituzionale che contiene
le basi costituzionali per l'Unione europea.
Il presidente dell'Assemblea, Enrique Baron Crespo, ha ricordato come la Conferenza
dei Parlamenti abbia costituito un avvenimento storico riunendo per la prima volta le
venti camere dei dodici stati membri e il Parlamento europeo e come la dichiarazione finale sia andata oltre ad ogni più rosea aspettativa, sottolineando l'unità di intenti delle
diverse Assemblee.
I1 relatore della commissione istituzionale,
Emilio Colombo (Dc), ha sottolineato come
l'Unione europea si riallacci alla tradizione
federalista e si basi su due soggetti: i cittadini
e gli Stati, prevedendo un ruolo chiaro per
l'Esecutivo comunitario ma anche per le Regioni. L'oratore ha poi espresso la propria
soddisfazione per l'esito della Conferenza dei
parlamenti ed ha giudicato positivamente la
recente iniziativa Kohl-Mitterrand, anche se
bisognosa di ulteriori chiarimenti, specie per
quanto concerne il processo decisionale e il
ruolo dell'Esecutivo.
I n dettaglio il documento elaborato dalla
commissione istituzionale chiede ai governi
degli Stati membri di concretare la loro volontà di trasformare l'insieme delle relazioni
fra i paesi della Comunità in Unione europea
e di assegnare all'Assemblea il compito di elaborare la costituzione.
Nel preambolo del progetto elaborato dalla
commissione istituzionale si stabiliscono i fini dell'unione:
fame e d i esercitare i propri diritti politici,
economici e sociali.
L'Unione agirà esclusivamente per espletare i compiti previsti dalla costituzione e dai
trattati. I n caso di conflitto di competenze
con gli Stati membri l'Unione agirà per perseguire quegli obiettivi che meglio possono essere conseguiti a livello comune piuttosto che
dai singoli paesi.
La dichiarazione sui diritti e le libertà fondamentali approvata dal Parlamento europeo
nell'aprile del 1989 diventa parte integrante
della costituzione e gli Stati membri sono tenuti al rispetto d i tali diritti, pena la loro
esclusione dell'unione.
Tutti i cittadini degli Stati membri sono
anche cittadini dell'unione e fra essi non sono ammesse discriminazioni, specie per ragioni d i nazionalità. Ad essi è riconosciuta la libertà di svolgere qualsiasi attività d i carattere
politico, economico, sociale, artistico o religioso. Per gli stranieri legalmente residenti
sono previsti analoghi diritti.
Gli Stati membri rispettano la costituzione
e le leggi dell'unione.
I1 diritto dell'unione prevale su quello degli Stati.
Le istituzioni dell'unione saranno il Parlamento europeo, il Consiglio europeo (capi di
Stato e di governo e presidente della Commissione), il Consiglio (ministri), la Commis-
- sviluppo armonioso della società, tramite il progresso economico e sociale, la ricerca della piena occupazione, l'eliminazione degli squilibri regionali, la protezione dell'ambiente, il progresso scientifico e tecnologico;
- creazione di uno spazio economico senza frontiere e miglior adeguamento di strutture ed attività alle trasformazioni economiche;
- promozione, nelle relazioni internazionali, della pace, della cooperazione, del disarmo, della sicurezza reciproca, della libera circolazione delle persone e delle idee, del miglioramento delle relazioni commerciali e monetarie:
- sviluppo armonioso e giusto d i tutti i
popoli del mondo, consentendo a quelli in
difficoltà di uscire dal sottosviluppo e dalla
COMUNI D'EUROPA
La manifestazione in Piazza del Campidoglio
durante la Convenzione
sione e la Corte di giustizia; tra gli organi dell'Unione figureranno il Comitato economico
e sociale, il Comitato delle regioni e delle autonomie locali (proposto dal CCRE), la Banca centrale (da creare), la Corte dei Conti e
la Banca europea degli Investimenti. Per
quanto riguarda i due nuovi organi - Banca
centrale e Comitato delle regioni - al primo
viene garantita la necessaria autonomia per
attuare una politica monetaria interna ed
esterna, il cui obiettivo è la stabilità monetaria, mentre il secondo avrà carattere consultivo e sarà composto di membri degli organi
elettivi a livello regionale e locale.
I1 Consiglio europeo ha compiti di indirizzo e di stimolo. I1 Parlamento è eletto con
procedura elettorale uniforme e decide votando a maggioranza semplice tranne nei seguenti casi: modifiche della costituzione,
adesione di nuovi Stati, elezione del presidente della Commissione e voto d i sfiducia
contro l'Esecutivo, decisione di esercitare
per la prima volta una competenza attribuita
all'unione, parere conforme sulle nomine dei
membri della Corte d i giustizia. Corte dei
conti e degli organi della Banca centrale, regolamento interno. I n tutti questi casi il voto
avverrà a maggioranza dei membri che compongono l'Assemblea.
I1 Consiglio, composto dai rappresentanti
degli Stati, decide invece d i norma alla maggioranza dei membri che lo compongono, salvo nei seguenti casi, per i quali è prevista una
speciale maggioranza qualificata: politica
estera e di sicurezza, alcuni casi delle procedure legislative e di bilancio, ratifica di trattati internazionali, nomina di membri delle
Corti di giustizia e dei conti e dell'organo direttivo della Banca centrale, regolamento interno. È invece necessaria l'unanimità per le
modifiche alla costituzione e l'adesione di
nuovi Stati.
I1 presidente della Commissione è eletto
dal Parlamento europeo su proposta del Consiglio europeo. I membri della Commissione
sono nominati dal presidente della stessa. La
Commissione, organo di governo dell'unione
deve ricevere il voto di fiducia del Parlamento. La Commissione attua le leggi e le decisioni di sua competenza ed esegue il bilancio
sotto il controllo politico di Parlamento e
Consiglio.
La Corte di giustizia giudica della legittimità costituzionale degli atti dell'unione,
delle controversie fra istituzioni, fra Stati
membri e fra istituzioni e Stati: dell'applica(segue a pag. 8)
GENNAIO 1991
davvero un successo il Vertice di Roma II?
Dalle Assise parlamentari e dalla Convenzione
la richiesta per una Unione su base federale
di Pier Virgilio Dastoli*
L'ingiustificato ottimismo generale a seguito del Vertice di dicembre a Roma. Le velleità e le miserie della politica
estera comune europea nell'occasione della crisi del Golfo Persico. La posizione e le proposte del Parlamento Europeo sull'argomento. L'inizio delle due conferenze intergovernative. I compiti e le richieste dellYIntergruppofederalista del Parlamento Europeo. Il consenso scaturito dalle Assise parlamentari. Patto politico con la Commissione
.
,
"
la destinazione finale dell'Europa federale o
verso quel nuovo Eldorado europeo che ci fu
promesso qualche mese fa da Gianni De Michelis (intervista a «La Repubblica» del 3 1 luglio 19901, poche ore prima che l'invasione
- preannunciata - del Kuwait rendesse
questa prospettiva almeno prematura.
È bastata tuttavia la prima, difficile prova
internazionale della nuova Comunità, per
mostrare la rapidità di tutti i governi dei paesi membri nell'abbandonare la nave europea,
salpata il 14 dicembre 1990, per tornare alle
vecchie abitudini di dodici politiche estere
poco coordinate fra loro, ma ben integrate
sotto il «controllo operativo» degli Stati
Uniti.
È stato così che abbiamo potuto assistere
alle ripetute dichiarazioni di fermezza dei ministri degli esteri (e del Consiglio europeo)
sulla questione degli ostaggi e, contemporaneamente, alla processione di personalità più o meno autorizzate dagli stessi ministri
degli esteri - che si recavano a Bagdad per
i contratti di vendita
rinnovare ... non
delle armi che hanno caratterizzato le relazioni occidentali con l'Iraq, ma le richieste umanitarie della comunità internazionale.
È stato così che il Consiglio dei Ministri
della Comunità (la cui convocazione, all'inizio della crisi, è stata provocata dal dinamismo del segretario generale dell'UEO, van
Ekelen) ha tentato invano di definire una po-
* Segretario dell'Intergruppo federalista del Parlamento Europeo
GENNAIO I991
La sala della Protomoteca in Campidoglio durante la Convenzione
sizione comune, con il solo risultato di essere
sbeffeggiato dal ministro degli esteri iracheno
Aziz alla vigilia dell'inutile incontro di Ginevra con James Baker.
È stato cosi che il Parlamento europeo le cui posizioni in materia di politica estera
sono normalmente condizionate da quelle dei
governi, come avviene in ognuno dei nostri
regimi nazionali -- ha taciuto per un mese e
mezzo, ha balbettato poi proposte inintelligibili, è stato trascinato quindi nel ridicolo della lobby apro-Strasburgo» che ha preteso
l'annullamento di una riunione straordinaria
a Bruxelles, ed ha infine ritrovato dignità e
senso di responsabilità adottando a larghissima maggioranza - il 24 gennaio 1991 - una
posizione netta sulle ragioni del conflitto ed
una serie di proposte precise per il «dopoguerra» e riunendosi infine in seduta straordinaria il 30 gennaio ed il 6 febbraio 1991,
nonostante le proteste dei francesi e dei lussemburghesi.
Le Conferenze intergovernative sono iniziate «bene» secondo Giulio Andreotti; e tuttavia taluni ministri delle finanze (non solo
l'inglese, portavoce del nuovo stile «Major»,
ma anche l'olandese, il lussemburghese, il
portoghese ed il danese) hanno riaperto sbadatamente il vaso di Pandora, pieno di due
anni di lavori preparatori (dal rapporto Delors, deciso dal Consiglio europeo di Madrid,
agli ultimi testi preparati dalla Commissione
europea e dal Comitato dei governatori). Le
Conferenze intergovernative sono iniziate
«bene»; e tuttavia i ministri degli esteri hanno rinnovato l'impegno ad elaborare un «Atto Unico-bis», che consentirà di rafforzare la
legittimità e l'efficacia decisionale di questa
nuova «Santa Alleanza» rappresentata dal
Consiglio europeo (organo di governo dell'economia europea, secondo la proposta francese sull'UEM, presentata al Consiglio ECOFIN del 28 gennaio 1991), mettendo in condizioni di non nuocere il Parlamento europeo
e la Commissione esecutiva.
Non spetta ai federalisti nel Parlamento
europeo esprimere censure sulla politica economica del governo italiano, anche se molti
in Europa nutrono fondate preoccupazioni
sulle capacità dell'Italia di ottemperare alle
condizioni obiettive previste per il passaggio
dalla prima alla seconda fase dell'unione economica e monetaria.
Non spetta ai federalisti nel Parlamento
europeo esprimere censure sulla politica internazionale deil'attuale ministro degli esteri,
Gianni De Michelis, piir dovendo sottolineare con rammarico le sue dichiarazioni sul ruolo del Parlamento europeo e senza nascondere una certa simpatia per l'opinione del presidente del Senato, Giovanni Spadolini, che da storico raffinate. - siiole parsgoriarlo a
COMUNI D7EUROPA
Uh\i
Galeazzo Ciano, conte d i Cortellazzo, genero
e ministro degli esteri di Benito Mussolini.
Spetta invece ai federalisti nel Parlamento
europeo lanciare un appello aila coerenza d i
chi ha proclamato, fin dai primi giorni successivi alla caduta del Muro di Berlino, il suo impegno a favore della «trasformazione della
Comunità europea in un'unione su base federale, a partire da un progetto di Costituzione elaborato dal Parlamento europeo con la
partecipazione dei Parlamenti nazionali» (così afferma la Dichiarazione finale delle Assise, svoltesi a Roma a fine novembre 1990 e
così si è espressa la Convenzione per 1'Unione democratica dell'Europa, riunita a Roma
il 14 dicembre 1990).
I federalisti nel Parlamento europeo chiedono che - rispettando lo spirito ed il metod o delle proposte che hanno portato la Comunità europea fino alla soglia del Grande
Mercato e alle fasi conclusive del negoziato
per l'Unione economica e monetaria - la
Conferenza intergovernativa sulllUnione politica stabilisca al più presto un calendario preciso, automatico e vincolante - per la
realizzazione di un'autentica Unione europea
su base federale.
I federalisti nel Parlamento europeo sono
convinti che - per ragioni che concernono lo
sviluppo interno del processo di integrazione
comunitaria (le scadenze del Grande Mercato, delle elezioni europee del 1994 e della seconda fase dell'unione economica e monetaria) e per ragioni che concernono lo sviluppo
delle relazioni fra la Comunità ed il resto dell'Europa (in particolare le prospettive d i allargamento ai paesi che hanno già presentato
o si apprestano a presentare domande di adesione) - , l'ultima fase della realizzazione
dell'unione europea deve coincidere con le
terze elezioni europee del giugno 1994.
I federalisti nel Parlamento europeo ritengono che, per realizzare tale Unione, l'unico
«Comitato di saggi» capace di elaborare l'atto
costitutivo è il Parlamento euroDeo,
. . che ha
dato prova d i questa sua capacità approvando
nel febbraio 1984 il «progetto Spinelli» ed
elaborando nel 1990 - su proposta di Emilio
Colombo - le basi costituzionali dell'unione
europea.
I1 Parlamento europeo ha già suscitato un
consenso molto ampio - e per molti inatteso
- fra gli eletti nazionali in occasione delle
Assise parlamentari d i Roma. Esso ha ora bisogno di alleati sicuri che lavorino per la realizzazione di questa prospettiva dall'interno
delle Conferenze intergovernative.
I federalisti nel Parlamento europeo si attendono che il governo italiano, legato ai risultati del referendum costituzionale del 18
giugno 1989, presenti un memorandum conforme a queste indicazioni e sulla base delle
proposte precise formulate più volte dalla Camera e dal Senato prima delle ultime riunioni
del Consiglio europeo.
I federalisti nel Parlamento europeo si attendono infine che il presidente della Commissione europea, Jacques Delors, proponga
al Parlamento europeo - prima del voto di
febbraio sul programma d'azione della Commissione per l'anno 1991 - un patto politico
per la realizzazione dell'unione europea. W
COMUNI D'EUROPA
Parlamento Europeo e..
.
(segue da pag. 6)
zione del principio della sussidiarietà; delle
sanzioni da applicare agli Stati inadempienti;
dell'interpretazione del diritto comunitario. I
giudici e gli avvocati generali della Corte sono nominati dal Consiglio, previo parere del
Parlamento.
L'iniziativa legislativa spetta alla Commissione; tuttavia, in caso di rifiuto o di grave ritardo, anche il Parlamento può presentare
proposte di legge.
Le leggi dell'unione sono adottate da Parlamento e Consiglio: se dopo una prima lettura vi è divergenza fra le due istituzioni, una
commissione di conciliazione paritetica avanza un'ulteriore proposta che può essere adottata senza possibilità d i emendamento. La
funzione legislativa può essere esercitata sia
attraverso leggi-quadro (la cui concreta attuazione può essere affidata espressamente alla
legge degli Stati membri o delle entità minori) sia attraverso leggi specifiche (che obbligano in tutti i loro elementi i cittadini e gli Stati
membri). Qualora uno Stato non provveda
all'emanazione delle necessarie disposizioni
nei termini stabiliti, l'Unione può rimediare
a tale lacuna con sue leggi.
La Commissione decentra, nella misura del
possibile, i propri compiti alle amministrazioni nazionali che possono, a loro volta, demandarli alle amministrazioni regionali e locali.
I1 bilancio è approvato secondo la procedura legislativa. Oltre alle risorse attualmente
attribuite alla Comunità, la legge di approvazione del bilancio può stabilire nuove aliquot e di imposte nazionali o imposte appropriate
al livello dell'unione, nei limiti fissati da una
legge di programmazione finanziaria pluriennale.
L'Unione dispone di tutte le competenze
previste o attribuitele dalla costituzione e dai
trattati, ivi compresa la politica estera, di sicurezza e di difesa (incluso il controllo degli
armamenti). Gli orientamenti generali della
politica estera e d i sicurezza sono definiti dal
Consiglio con la partecipazione della Commissione, ed il Parlamento li approva.
L'Unione promuove lo sviluppo della cultura, dell'istruzione e della ricerca scientifica
e si conforma al principio del pieno rispetto
delle differenze nazionali e locali.
La costituzione dovrebbe entrare in vigore
entro un anno dall'approvazione del Parlamento europeo e dal deposito degli strumenti
di ratifica di tutti gli Stati membri, ovvero di
almeno 9 di essi che rappresentino 213 della
popolazione della Comunità. I paesi che non
avessero ancora proceduto alla ratifica potranno farlo in un periodo successivo che sarà
fissato nella costituzione.
La larga convergenza di vedute fra 1'Esecutivo ed il Parlamento su molte questioni relative al futuro della Comunità, quale ad esempio la creazione di un efficace sistema di codecisione, è stata ribadita dal presidente dell'Esecutivo, Jacques Delors. A tale proposito
la relazione Colombo, che disegna lo stadio
finale dell'unione politica, è importante ed
utile per tre ragioni. I n primo luogo, mantiene il cammino intrapreso in quanto ricorda
come tale Unione sia necessaria per dare una
risposta ai cambiamenti in corso a livello
mondiale. Secondariamente chiarisce il significato dell'approccio federale da applicare all'Unione (ciò significa che si manterrà la differenza fra i vari Stati e si aumenterà la partecipazione dei cittadini). Infine la relazione
Colombo stabilisce l'equilibrio dei poteri fra
le tre istituzioni comunitarie conciliando l'efficacia con la democrazia. Su tale ultimo punto Delors ha sottolineato l'esigenza di non
rompere l'attuale equilibrio istituzionale, togliendo il potere di iniziativa all'Esecutivo.
m
I1 tavolo della presidenza alla Convenzione. Da sinistra: Serafini, vicepresidente del CCRE e
segretario del Comitato d'iniziativa della Convenzione, Giscard dPEstaing,presidente del Movimento Europeo, Molenaar, segretario generale del Movimento Europeo, Zagari, presidente del
Consiglio italiano del Movimento Europeo, Cassanmagnago, presidente dell'Intergruppo federalista del Parlamento Europeo, Rossolillo, presidente dell'unione europea dei federalisti
GENNAIO 1991
parlar a suocera perché nuora intenda
Una lettera immaginaria a James Buchanan
a proposito di un manifesto di europeisti ''~oc"
di Andrea Chiti-Batelli
La visione europea del premio Nobel per l'economia del 1986, James Buchanan. I «lacci e lacciuoli» che frenano
integrazione europea e unificazione dei mercati. Deregulation o totale anarchia? La moneta unica condizione fondamentale per un mercato che sia tale. La linea di politica economica del fiscal federalism. L 'attualità del vecchio «Rapporto MacDougall». L'unificazione europea vista come ((imperativo di civiltà», non solo come affare economico
Alla memoria di Ernesto Rossi
Nel «Sole-24 Ore)>del 20 dicembre 1990 (Inserto «Europa»), è stato pubblicato, a pag. 17, un
({Manifesto per un'Europa libera» - definito
anche <{Manifestoper una Unione degli Europei» - il quale, dice ilquotidiano milanese, sostiene la «visione europea)),ispirata a un «autentico federalismo~, del prof: James Buchanan:
Manifesto - qui riprodotto alla pagina 11 firmato dai più begl'ingegni al di qua e al di là
della Manica, la cui lista occupa ben tre mezze
colonne del prefato quotidiano.
Il singolare Manifesto formula anzitutto varie
critiche agli eccessi dirigistici di molte normative comunitarie e di diverse politiche comuni anzi ad avviso degli autori di tutte - decise dai
burocrati di Bruxelles: critiche a cui sarebbe difficile trovar qualcosa da ridire. Ma esso prosegue
poi con affermazioni che sembrano meno ovvie,
e che il Manifesto presenta come diretta conseguenza delle critiche or ora accennate. Ad esempio, vi si legge, proprio ora che i Paesi dell'est
si aprono alla libertà e all'Europa, «sarebbe più
che mai assurdo adottar un progetto giacobino
che costruirehhe un potere statuale supplementare ed un diritto artijiciale» (sic). È la critica
pretestuosa che veniva sollevata negli anni '50
contro il progetto di Comunità di difesa, e di
Comunità politica, a Sei: «un progetto che non
unisce, ma divide l'Europa», dicevano i nazionalisti, i comunisti, gli anti-europei, i protogollisti (e... gl'lnglesi). Così quello che avrebbe
potuto essere il primo nucleo dell'unione veniva disinvoltamente calunniato come un'ulteriore e perniciosa disgregazione del vecchio continente.
O ancora: «Per assicurare la stabilità monetaria noi respingiamo l'idea di una moneta unica
gestita da una banca centrale o da un sistema
monetario federale europeo e chiediamo il diritto per ogni cittadino ed ogni impresa di poter
utilizzare come unità di conto o come mezzo di
pagamento la moneta che gode della fiducia
propria e delle controparti. [.. .] Per assicurare la
migliore informazione del consumatore non crediamo a norme unijicatrici europee [. . .] Di conseguenza le politiche comunitarie devono esser
abbandonate».
«Un point c'est tout)), si dice in francese.
Prosegue il Manifesto «autenticamente fedevalista»:
«Noi esprimiamo il nostro scetticismo nei
confvonti di ogni sviluppo della regolamentazione comunitaria sull'ambiente. .. Il vero deficit
democratico non è colmato dallapparizione o
dalla riorganizzazione di nuovi poteri politici
GENNAIO 1991
europei, ma dal riconoscimento e dalla protezione dei diritti individuali degli europei)).E così via.
Appare naturale che il quotidiano della Confindustria faccia sue, pur senza dirlo apertamente (anch'esso si rende conto dell'opinabilità, per
usar un eufemismo, di simili affermazioni), tesi
che hanno come uno dei loro punti fermi la più
assoluta deregulation e il rifiuto di qualsiasi intervento cowettivo di alcune conseguenze negative che, accanto a molte positive, tale deregulation 1993 non potrà non avere: gl'industriali
hanno tutto l'interesse al primo punto, che porterà loro sicuri vantaggi, e ne hanno altrettanto
al secondo, che eviterà loro fastidiosi oneri.
Appare invece meno naturale che tanti illustri personaggi, studiosi, accademici, intellettuali e teste d'uovo abbiano dato il loro incondizionato avallo a proposte così singolari, e soprattutto all'assai pretestuosa vernice europeistica sotto la quale vetzgono contrabbandate. Ed è
proprio questo che mi ha suggerito la presente
«lettera semi-seria», indirizzata idealmente
allJ«inspirateur»di tali tesi; lettera con la quale
l'autore, pur senza pretendere di far concorrenza
al Berchet, vuol dir la sua fuori dai denti, facendo proprio un distico dei Paralipomeni della
Batracomiomachia leopardiana:
Diwovi il parer mio da mabensante,
qual da non molto in qua son divenuto.
Egregio Professore,
sarà perché io non capisco molto di economia - lo ammetto francamente - ma ho
l'impressione che in quello che Lei afferma,
o che i Suoi turiferari affermano in Suo nome, vi sia una certa confusione.
È vero, certo - su questo sono interamente d'accordo con Lei - che varie politiche
economiche e molteplici regolamenti e direttive della Comunità Europea sono - troppo
spesso, purtroppo .- manifestazione di tendenze dirigistiche che nulla hanno a che vedere con l'integrazione europea e con I'unificazione dei mercati: anzi creano «lacci e lacciuoli», direbbe Guido Carli, che la impediscono, la ritardano, la stravolgono. L'esempio più cospicuo, e meno commendevole, è
dato dalla politica agricola comune, voluta
dalla Francia, ma con la complicità di tutti gli
altri. Il fatto che, a quel che pare, si abbia ora
l'intenzione di correggerla (bisogna però vedere se è vero, e quando, e quanto si farà realmente) non costituisce un attenuante: piuttosto una conferma.
Se, partendo da tali critiche - che, nel
complesso, evidenziano un'imponente massa
d i assurdità e d'insipienza - Lei canta le lodi
della piena libertà di mercato e pronunzia
una condanna inappellabile di tutto ciò che la
burocrazia europea, messa in piedi dagli Stati
nazionali, escogita per ostacolarla, io non vedo ragioni per non associarmi senza riserve:
salvo, forse, una, che chiamerò la «riserva
MacDougall~e di cui dirò più avanti.
La confusione comincia però - e almeno
così pare ai miei modesti lumi e alla mia ancor
più limitata competenza - quando si cerca
surretiziamente d'insinuare (come mi sembra
che Lei faccia) che un mercato unico sussiste
davvero solo là dove non vi sia alcun genere
di disciplina, quasi che economia di mercato
fosse sinonimo non solo della più piena derugulation, come oggi si dice, ma anche della
più totale anarchia: col che Lei butta via, con
l'acqua sporca, anche il bambino. Per esser
più preciso: Lei sfrutta una giusta reazione
contro gli eccessi del welfare state e in favore
di un neo-liberismo da attuarsi nell'ambito
delle istituzioni statali nazionali - queste,
ovviamente, non contestate - per incanalarla, a livello continentale, verso una contestazione tutta diversa (non economica, ma politica) di tutte le possibili istituzioni europee
esistenti o future, quasi che tale radicale rifiuto si reggesse sugli stessi argomenti economici che giustificano la critica neo-liberista
dello stato di benessere. Un bel tour de passepasse, o gioco delle tre carte.
Invero, per quel poco che ne sa un profano
come me, tutti gli economisti, anche i più liberisti, cominciando da Adam Smith per arrivare fino a Luigi Einaudi, a Lione1 Robbins,
a James Meade e a Maurice Allais (anche quest'ultimo è stato, almeno per un certo tempo,
e credo sia tuttora un convinto europeista)
hanno sempre riconosciuto, invece, che un
mercato unico è condizionato da un solido
«quadro» giuridico, come dicono i Francesi;
da una complessa disciplina che va d a un codice commerciale uniforme, se non unico, a
una uniforme, o almeno armonizzata, fiscalità; da regole di concorrenza e anti-trust a varie altre condizioni di uguaglianza, di trasparenza e di parità: tutte cose che Lei accetta
tacitamente e senza discutere a livello nazionale, ma rifiuta, senza allegarne ragioni valide, a livello europeo (l).
'
Non ultima di tali norme - che evidentemente Lei non ha
presente e di cui farebber invece bene a tener conto - è quella
che fa obbligo d'indicare chiaramente nell'involucro il contenuto
della merce, in modo che non capiti all'acquirente sprovveduro
come me di creder di acquistare merce «europea,>e di trovarsi invece fra le mani un manifesto anti-europeo.
COMUNI D'EUROPA
Se questo «quadro» non c'è, il mercato comune cessa di esistere, o funziona altrettanto
male e imperfettwnente - per difetto di «dirigismo», se cosi vogliamo impropriamente
esprimerci, per restar nella confusione in cui
al su non lodato Manifesto piace avvolgersi
- come funziona male, all'inverso, per quell'eccesso di dirigismo in esso, come dicevo,
così perspicuamente denunziato. Ma non bisogna prender pretesto da tale denunzia per
far passare sotto banco merce di contrabbando: la confusione, ripeto, deve esser evitata,
perché la chiarezza fa parte della serietà e
dell'abito scientifico. Devo insegnarGlie10
proprio io?
Ebbene: fra tali condizioni fondamentali
perché un mercato comune sia, per dir così,
«vertebrato» c'è anche l'esistenza di una comune moneta: la sola che può consentir a chi
vende e compra di calcolare con sicurezza costi e ricavi: giacché politiche internazionali
volte ad assicurar la stabilità dei cambi possono, sì, attenuare gli svantaggi dell'assenza di
una moneta comune, ma non eliminarli in
radice.
Ora quando Lei afferma che l'Europa non
avrebbe affatto bisogno di una moneta, e che
la libertà sarebbe assicurata al meglio se tutti
potessero far uso della moneta che preferiscono, Lei fa un'affermazione analoga a quella di
chi dicesse che gli Stati Uniti avrebbero, al
loro interno, maggior libertà di mercato (anzi, a rigore, solo allora godrebbero di una piena libertà di mercato) se abolissero il dollaro
e istituissero, o ripristinassero, tante monete
quanti sono i loro 50 o più Stati. (E il discorso potrebbe, e anzi a fil di logica dovrebbe esser ulteriormente continuato all'interno almeno dei più grandi di tali Stati, come, poniamo, la California, ipoteticamente auspicando la creazione di più monete anche in seno a ciascuno di essi).
O r a baggianate simili - scusi la mia franchezza - Lei non può darle a bere neppure
a uno sprovveduto come me: perché dir questo significa, ancora una volta, confondere: e
cioè scambiare (lascio decidere a Lei se intenzionalmente o meno) la libertà - che è conseguenza della legge - con l'anarchia, che
della legge è l'assenza. E questa non è davvero una concezione liberale, perché l'alternativa liberale all'Europadegli Stati - di cui anch'io sono, mi creda, un nemico non meno
fiero di Lei - non è l'Europa anarchica: è
l'Europa federata. Lei non ha letto, evidentemente, né Einaudi né Robbins. «Torna a tua
scienza», Le dirò con Dante. O almeno: rilegga I'apologo di Menenio Agrippa.
Una citazione (a memoria) mi servirà a
concludere su questo punto: «La colomba che
vola nell'aria leggera - dice Kant nei Prole-
gomeni ad ogni metafisica futura che voglia presentarsi come scienza - potrebbe credere, se
avesse intelligenza, che senza la resistenza
dell'aria il suo volo sarebbe molto più facile.
I n realtà, nel vuoto, essa non potrebbe neppur sollevarsi da terra». Ebbene, Lei cade, secondo me, nell'errore della colomba. Con
questa aggravante: che qui, eliminando l'aria
(fuor di metafora: le strutture europee, perché anche queste Lei vorrebbe veder soppresse in radice, e non solo la moneta comune e
COMUNI D'EUROPA
la Banca) non si avrebbe il vuoto, perché resterebbero, intatte, le strutture nazionali. Se
si vuole un'Europa degli Stati, alla de Gaulle
o alla Thatcher, nulla di male: ma lo si deve
dire sinceramente, e non di farci credere che
si vogliono promuovere, come si afferma nel
Suo Manifesto, «le quattro libertà economiche fondamentali». Cà nisciuno è fesso, dicono a Napoli. Si dà prova, altrimenti, di quel
dilettantismo in cui a volte cadono anche personaggi illustri, quando parlano di ciò su cui
non hanno sufficientemente riflettuto: come
appunto in tema di unione economica europea faceva fra gli altri, mezzo secolo addietro
- e anche lui con superficialità pari alla burbanza - Wilhelm Ropke: sì che le Sue tesi
non hanno neppur il pregio della novità, sia
pur strampalata.
C'è un secondo errore, una seconda confusione in cui Lei incorre, oltre a quello della
colomba. Darò per motto a quanto dirò su tale errore la celebre frase - che, Le confesso,
cito anche questa a memoria - di Francesco
De Sanctis (un grande liberale, come Lei certamente sa: se avessi la siia penna, vorrei che
questa mia lettera avesse la stessa verve della
celebre recensione che appunto quel grand'uomo scrisse di uno sciagurato romanzo
reazionario del padre Bresciani, recensione
che piaceva in modo particolare al Manzoni).
Ecco, a un dipresso, quella frase desanctisiana: «La reazione non si è mai presentata dicendo: I o sono la reazione. La dgesa dell'ordine,
la garanzia della libertà, i rischi di salti nel buio
sono stati i pretesti grazie ai quali sono sempre
state giustificate le peggiori ingiustizie».
Non diversamente nel corso dei processi
storici che hanno portato all'unificazione di
determinati Paesi o gruppi di Paesi (per es.
nel corso del Risorgimento, o del movimento
di unificazione degli Stati Uniti, ecc.) vi sono
sempre stati personaggi ostili a tale unità, i
quali hanno capito che il modo migliore e
subdolamente più efficace per opporsi a quei
processi non era di dichiararlo apertamente,
ma di porre condizioni impossibili.
Invero quel che si può e si deve chiedere ai
fautori di simili unificazioni - come appunto
quella dell'Europa - è la dimostrazione che
vi sono ragioni valide e argomenti sufficienti
per ritenere che nell'ambito di tale nuova
unità molti dei problemi più gravi che oggi ci
travagliano troveranno condizioni migliori e
più facili per una soluzione meno insoddisfacente: sempre che, ovviamente, la situazione
non sia, per cause imprevedibili, del tutto
sfavorevole e l'insipienza di chi guiderà la
nuova costruzione politica non sia cosi profonda da aver effetti controproducenti, più
che compensativi di quei vantaggi.
Non si può, onestamente, pretender di più:
non è sincero, voglio dire, chieder la certezza
assoluta che non solo si sarà creato un ambito
più adatto alla soluzione di quei problemi, ma
che questa soluzione ci sarà con sicurezza matematica, e sarà perfetta. Queste garanzie assolute non possono esser mai date, perché il
futuro ha sempre una parte d'imprevedibilità.
Perciò quando Lei pone come condizione
essenziale della realizzazione di una moneta
comune europea la certezza che le autorità
chiamate a gestirla faranno una politica non
inflattiva - una certezza che nessuno può
dare - Le mi ricorda il D e Sanctis. Voglio
dire che chi argomenta come Lei non s'ispira
a un «autentico federalismo», come «I1 Sole
24 Ore» vorrebbe far credere, e non è neppure un europeista un pò meno «autentico»: è,
puramente e semplicemente, u n antieuropeo, che non solo erifugge da ogni tipo di
di centralismo burocratico» (è sempre il
«Sole-24 Ore» che vorrebbe darlo a bere), ma
rifugge sic et simpliciter dal federalismo, perché di coordinamenti non ne ammette in realtà alcuno, e in ogni caso non di natura sovranazionale.
A voler proprio giustificare un tale tipo di
anti-europeo, quale Lei e i Suoi accoliti indiscutibilmente siete, si può dire che egli, più
o meno subconsciamente, accampa pretesti
economici per mascherare le vere ragioni politiche della sua avversione all'unità del continente (esse sì assai più giustificabili). Che mi
si dica: «Per accettar l'Unione politica dell'Europa voglio la garanzia che essa sarà assolutamente perfetta, sempre e in ogni suo
aspetto», è manifestamente assurdo. Pensare
invece, sotto sotto (come fa la Sua connazionale sig.ra Thatcher, e sicuramente anche
Lei): «Unirsi con questi europei, infidi, ipocriti e ambigui, che anche di fronte alla crisi
del Golfo - quasi non fossero in gioco i loro
interessi oggi e la loro sicurezza domani non contenti dell'«armiamoci e partite», a cui
si limitano, fanno anche di peggio: sabotano,
trattano sotto banco, fanno marce della pace
e non hanno nerbo alcuno» (stavo per metterLe in bocca una parolaccia, ma mi sono fermato a tempo), «e, in perfetta coerenza, assisteranno altrettanto passivamente alla normalizzazione, se ci sarà, dei Paesi balticio -;
pensare questo, dicevo, è invece perfettamente comprensibile e anche da me molto apprezzato.
Certo, io credo, che una politica estera decisa da un'autorità federale europea sarà profondamente diversa da quella, cinica e meschina, del Governo francese, o subdolament e e altrettanto meschinamente «mediterranea» del Governo italiano, perché la lotta politica europea selezionerà statisti di un'altra
tempra (e questo vale anche per la politica
economica e monetaria). Ma come faccio a
garantirGlielo per iscritto e in carta da bollo?
È poi un altro errore - questo di gusto
tecnocratico e da esperto coi paraocchi - dal
quale mi preserva la conoscenza di Einaudi e
di Robbins (oltre che, se Lei me lo consente,
di Ernesto Rossi e di Altiero Spinelli) quello
di credere che, per assicurar la moneta perfetta, basterebbe una perfetta «costituzione monetaria» (intesa come un certo numero di regole a cui l'autorità bancaria che guiderà la
Banca federale europea dovrebbe attenersi).
I n realtà una moneta unica - strumento
fondamentale, come le forze armate, della sovranità, dello Stato - non può sussistere
senza una solida struttura politica - una vera Costituzione -, proprio come la Banca federale americana e il dollaro non potrebbero
sussistere senza il Presidente, il Congresso, la
Corte federale. Sì che quanto ho detto poche
(segue a pag. 12)
GENNAIO 1991
I L'EUROPA DEI PROGETTI
IL SOIE-24
.1
ORE- 20 DICEMBRE
1990
Appello di intellettuali italiani e stranieri per un federalismo autentico in vista della revisione dei Trattati di Roma
1
Un gruppo di intellettuali
(J. Garello, Università di
Aix-en-Provence; V. Curzon-Price, Istituto di studi
europei, Ginevra; B. Bouckaert, Università di Gand;
H. k p a g e , Institut Euro
'92, Parigi; P. Salin, Università di Parigi; A. M.
Petroni, Centro Einaudi,
Torino) ha recentemente
redatto un "Manifesto per
una unione degli europei",
che ha onenuto l'adesione
di numerose personalità. Il
manifesto sostiene la visione europea di James
Buchanan (Premio Nobel
1986 per l'Economia), che
aspira ad un autentico lederalismo e rifugge da
ogni tipo di centralismo
burocratico.
Un'Europa
ideale non protezionista e
chiusa nei suoi privilegi
ma aperta verso l'esterno,
e in primo luogo verso le
nuove democrazie del Centro e dell'Est. Principi
ispiratori: la libertà e la
dignità degli individui.
più sicuro per garantire la
democrazia per le generazioni a venire. Nello stesso
tempo bisogna rispondere
alla sfida della globalizzazione, e mantenere una durevole prosperità generale.
Più che mai sarebbe assurdo adottare oggi un progetto giacobino che costruirebbe un potere statuale s u g
plementare ed un diritto artificiale.
In questo spirito, noi
chiediamo che si proweda
senz'altro a rafforzare le
qualtro libertà fondamentali
del Trattato di Roma, che
le politiche contrarie alla libertà ed al mercato siano
abbandonate, che le istituzioni comunitarie siano ben
ridisegnate al fine di meglio
tutelare in pratica i diritti
individuali.
-
r . .r
menta11 sono quelle del libero scambio dei beni, della
libera circolazione dei servizi, dei capitali e degli uomini (inclusa la libertà di stabilirsi ove si preferisce). Esse devono andare al di là
dei dodici Paesi della Cee.
e di esse devono beneficiare
tutti i cittadini europei.
Queste libertà ci sembrano sufficienti per pervenire
ad una autentica armonia
europea. Per i sostenitori
dell'Europa
d i Bruxelles
I'armonizzazione
significa
una uniformimzione imposta ed artificiale. Per noi
I'armoniuazione è l'unione
atbaverso la libertà e la
concorrenza.
vedere il Trattato d i Roma
e di dare un nuovo volto
alle istituzioni ed alle politiche europee, i firmatari di
questo manifesto invitano
tutti gli europei alla vigilanza. I govemanti non devono accentuare la deriva verso un'Europa dirigista, burocratica e chiusa, e devono
al contrario operare per
un'Europa delle libertà.
Noi vogliamo un9Europa
per gli europei, e non per
gli Stati. L'integrazione europea non deve essere il
pretesto per nuove usurpazioni delle libertà individuali da parte dei governanti e dei burocrati. Essa
deve essere, al contrario,
una occasione per nmettere
in questione il potere degli
Stati nazionali, instaurando
una libera scelta istituzionale per gli europei.
Noi vogliamo un'Europa
per tutti gli europei, e non
soltanto per dodici Paesi.
Bisogna progettare delle
condizioni di ammissione
per tutti i Paesi europei, invece di considerare I'Europa come una fortezza gelosamente custodita da un
potere politico rafforzato.
RIALLACCIARSI ALLA
TRADIZIONE EUROPEA
GENNAIO 1991
Ecco perché, per assicurare la migliore informazione
del consumatore, non crediamo a delle norme uniticatrici europee, ma sosteniamo il principio del mutuo riconoscimento delle diverse norme, C O S ~ come
previsto nel- progetto di
Mercato unico.
1
EUROPEA
I1 L'ARMONIA
Le auanro libertà fonda-
-..-~~- -. ..
Soltanto queste opzioni fondamentali sono conformi
alla tradizione europea, che
è fatta di valori comuni e
di diversità culturali ed istituzionali. 1 valori comuni
dell'Europa sono il rispetto
della libertà e della dignita
della persona umana, la
proprietà individuale. l'economia di mercato e lo stato
di diritto. L'Europa è ricca
anche delle sue diversità,
propizie alla creazione intellettuale, artistica ed economica, che favorisce la ricerca empirica delle vie del
progresso.
Oggi I'Europa si riallaccia alla sua tradizione: i popoli dei Paesi dell'Est possono finalmente ritrovare la
comune eredità della libertà
Contro il centralismoburocratico,
la C ~ ~ U vemi
S U ~l'e~telIl0ed i!
protezionismo, per un'unione
ideale aperta alle nuove
democrazie dell'Est
1
I
Ecco perché. per assicurare la migliore protezione
degli europei, noi rifiutiamo
una Carta Sociale irrealistica e tecnocratica. In questo
campo come in altri noi
crediamo alle virtù della libera scelta individuale tra i
sistemi privati o pubblici di
previdenza sociale.
Ecco perché, per assicurare la stabilità monetaria,
Florin Ajialion (Parigi); Esperanza
Aguirre (Madrid); Luis Albi01 (Madrid); Antonio Argandona (Madrid);
Fredborg. Arvid (Stoccolma); Christian Atias (Aix-en-Provence); Piero
Bairati (Torino); Francesco Barone
(Pisa); Peter Bernholz (Basilea);
Francois Bil er (Strasbur o); Baudouin Boucfaert (Gandi Hard
Bouillon (Treviri Gdrard Bramouli
(Aix-en-Provence]' John B. BracewellMiles (Londrai John Burton (Leeds);
Francisco Ga rillo (Madrid); Dominique Cariofillo (Aix-en-Provence);
Javier Casanova (Madrid); William
Cash (Londra); Giorgio, Cavllo (Torino); Jean-Pzerre Centi (Aix-en-Provence); Enrico Colombatto (Torino);
Francisco Corona (Barcellona); Max
Crochat (Lione); Victoria Curzon-Price (Ginevra); Liliane Debroas (Aixen-Provence);Enrique de Diego (Madrid); Philippe Delebecque (Aix-enProvence); Fabio del Prete (Bari); Enrico di Robilant (Torino); Roland
Drago (Parigi); Gérard-Francois Dumont (Parigi); Pierre Dussol (Aix-enProvence); Gabriel Elloriaga (Madrid, Jose Manuel Fernandez Norn i e d (Madrid); Domenico Fisichella
Giorgio .Frankel (Torino);
Miche e Fratianni (Bloomingion Usa, Indiana University); Tomasz
Gabis (Varsavia); Sylvain Gallais
(Tours); George Gallais-Hamonno
(Orleans); Otto Gandenberger (Monaco); Jacques Garello (Aix-en-Provence Herbert Giersch (Kiel); JeanCliude Giverdon (ParigF Carlos Gomez-Belard (Valenza); rancrsco Go-
(Remai;
1
1
noi
l una
respingiamo d e a di
moneta unica gestita
da una banca centrale o da
un sistema monetario federale europeo, e chiediamo il
diritto per ogni cittadino ed
ogni impresa di poter utilizzare come unità di conto o
come mezzo di Pagamento
la moneta che gode della fiducia ProPna e delle controparti.
l
ALLARGARE
LA CONCORRENZA
Noi affermiamo che non
vi è ragione perché certi
campi di attività sfuggano a
queste libertà fondamentali.
Di conseguenza le politiche
comunitarie che riducono
queste libertà devono esserc
abbandonate.
Noi, ricordiamo la nostra
opposizione alla politica
agricola comune, che ha
sempre penalizzato il potere
d'acquisto
degli europei,
che ha comportato degli
sprechi scandalosi e creato
dei privilegi enormi ad alcuni senza apportare alla
massa degli agricoltori la
benché minima soluzione ai
loro problemi, e che oggi
rappresenta una minaccia
di esclusione economica per
i Paesi dell'Est.
Noi denunziamo parimenti i grandi programmi industriali, che hanno i1 solo effetto di sterilizzare l'innovazione e la creatività, e non
hanno altra ragion d'essere
che di falsare la concorrenza.
~ , iesprimiamo il nostro
scetticismo nei confronti di
ogni s"iluppo della regolamentazione
comunitana
sulrambiente, perché trediamo in questo campo come in'altri, ai benefici della
decentra1izzazio"e
della
responsabilità giundica, nei
quadro di un mercato dove
e
mez-Martinez (Aadrid); Guillermo
Gortazar (Madrid); Jean-Pierre Hamilius (Lussemburgo Lord Harris o/
Hight Cross ( L o n k = ) Paul Hatry
(Bruxelles); Ernst H&
(Freiburg);
Ole-Jacob Hoff (%me, Errch Hoppman (Freibury Riciird W H e
warth (Londra , Juan Huarte (Madrid); Jesus Huerta de Soto (Madrid);
Bertrand Jacquillat (Parigi); Martin
J~~~~~~ (zurigo); A~~~~~ de J~~~
(Caen); Frederico Jimenez-ios Santos (Madrid); Mats Johan~on(Stoccolma); A. JOPPO~O (Messina): Dimi'
,
,
'
possano negoziarsi i diritti
di proprieb. Così, ad
un'Europa che è stata troppo spesso concepita in passato come un cartello di
Stati, noi vogliamo sostituire una Europa della concorrenza. Noi vogliamo l'Europa della competizione, non
I'Europa dei privilegi. Noi
vogliamo meno cartelli, meno monopoli creati, voluti
o sostenuti dagli Stati. Vogliamo meno nomenklature
burocratiche. meno caste
politiche dirigenti.
Noi vogliamo un settore
privato più grande. Il principio della privatizzazione
della maggior parte dei servizi detti "pubblici'; deve
venir messo in pratica nei
tempi più brevi. Queste
aspirazioni alla concorrenza
ed alla privatizzazione sono
proprie degli europei recentemente liberati dal giogo
comunista come di coloro
che da cinquant'anni subiscono i disastri del dirigismo. Esse sono tali da evitare il risveglio dei nazionalismi aggressivi e da far ancorare durevolmente le naz/oni europee alla democrazia.
PIÙ DIRITTO,
MENO LEGGI
Noi approviamo senza riserve gli sforzi per rafforzare una vera democrazia europea. Questa non può fondarsi sulla moltiplicazione
ed il rafforzamento di istituzioni usurpatnci delle libertà individuali. I1 monopolio di un governo, o anche di un Parlamento europeo, non aggiunge nulla alla
democrazia, ma le sottrae
qualcosa. Il vero deficit democratico non e colmato
dall'apparizione
o
dalla
norganizzazione di nuovi
poteri politici, ma dal riconoscimento e dalla protezione dei diritti individuali
degli europei.
In questo spirito noi
chiediamo che il, Trattato di
Roma sia amcchito per
meglio proteggere i diritti
dell'uomo. Noi reputiamo
che una Corte suprema europea. risultante dalla fusione delle Corti di Strasbur o
e del Lussemburgo. dovrekbe scoprire progressivamente, attraverso una giurisprudenza evolutiva, quali sarebbero i principi giuridici
da adottare. I cittadini dovrebbero avere la possjbilità
di far rispettare le Iiberta
del Trattato di Roma nei
confronti di qualsiasi persona o istituzione. pubblica o
privata. che li minacciasse.
Noi desideriamo per tutti
gli europei che l'Europa diventi cosi uno spazio di diritto, un libero mercato. dove circolino con grande facilita gli europei ricchi delle
loro diversità e , della loro
mutua comprensione.
Noi auspichiamo con forza un'Europa che eviti i pericoli del socialismo e del
nazionalismo. z che possa
trovare la via della Iiberta.
Invitiamo
coloro che
condividono qiicsro appello
ad iinirsi a noi per sensibili?.znrc I'opinionc pubblica.
convincire gli europei che
essi hanno una opportunità
st»ric;i da co liere c che
non devono alida; il proprio futuro ncile mani di
coloro che pci. interesse, per
ideologia o pcr Lradizione
hanno i i i passatd ridotto le
liberti e distrutto le spcrnn~c cii proprcsso c di pace.
COMUNI D'EUROPA
pagine innanzi, circa l'esigenza di un solido
«quadro» giuridico per garantire un mercato
unico, va inteso anche - anzi soprattutto e
in primis - in tale fondamentale significato
politico. E d è questa, e non la Sua, la vera e
capitale obiezione - il difetto di «funzionalismo» - che si può e si deve rivolgere alle
proposte ufficiali di Banca e di moneta europea: che non possono sussistere senza un sistema politico, una politica economica, finanziaria e di bilancio, e insomma tutte quelle
condizioni e strutture politiche che consentono l'esistenza e il funzionamento del dollaro,
e che i progetti ufficiali di moneta europea
non contemplano, o contemplano in proporzione del tutto insufficiente. Era questa, ripeto, la critica che Lei avrebbe dovuto svolgere, e su cui invece - e non a caso - è rimasto muto come un pesce. (Anzi secondo
Lei si dovrebbero smantellare anche le strutture istituzionali esistenti, già troppo fragili).
Troppe affermazioni più che arbitrarie,
perché possano esser tutte in buona fede: attenuante che sono disposto a concedere solo
a quelli, fra i firmatari continentali del Manifesto da Lei ispirato, che sono digiuni di economia almeno quanto me, e nei confronti dei
quali gli autori del Manifesto hanno messo in
atto una vera e propria «circonvenzione d'incapace».
Un'altra mia obiezione, e non di minor peso, è qnella che chiamerò delfiscal federalism.
Anche in Paesi che tutti gli economisti liberisti d.0.c. considerano modelli di libertà
economica, come gli Stati Uniti, si è andata
sviluppando, almeno a partire da Roosvelt,
una linea di politica economica che allora si
chiamava new deal e che ha assunto il nome
di fttcal federalism. Farei torto alla Sua inconcussa competenza d i premio Nobel col pedigree se avessi l'imperdonabile presunzione di
spiegarle nei particolari in cosa tale politica
consista. Per dirla nel mio linguaggio grossolano e degno di Bertoldo: prender qualcosa di
più a chi ha di più e alle Regioni che hanno
di più, e darlo a chi ha di meno e alle Regioni
che hanno di meno. Rammenterò solo che un
esempio ragguardevole di proposta globale
europea in tal senso, e che ha avuto solo il
torto d i restar sulla carta (ma questa non è
colpa degli autori, è colpa degli eurocrati e
dei governi che fingono di far l'Europa, ma
non si decidono mai a cedere la propria sovranità, come Bertoldo non trovava mai l'albero
a cui esser impiccato) è costituita dal «Rapporto MacDougall», richiesto dalla Commissione delle Comunità, nel 1977, a un gruppo
di qualificatissimi esperti reclutati al di qua e
al di là dell'Atlantico (voglio menzionare almeno, fra questi, il più eminente, tra gli autori europei di esso, e tuttora attivissimo nel
campo dell'«europeismo fiscale»: il tedesco, e
Suo collega universitario, prof. Dieter Biehl,
che non è Premio Nobel, ma che sui problemi
dell'economia federale europea ha certamente riflettuto più di Lei ed ha idee più chiare
delle Sue 2 ) .
Sugli svantaggi - squilibri crescenti - che, senza il correttivo del federalismo fiscale, la semplice dereguhtion può avere su
Paesi periferici e meno sviluppati come il Portogallo o la Grecia
(«la liberalizzazione rafforza soprattutto i più forti») si veda il
saggio di Wolfgang Merkel su Grecia, Spagna e Portogallo nel
Mercato comune (e in specie il capitolo 111, su «Costi e vantaggi
COMUNI D'EUROPA
I1 nocciolo di quel rapporto era ed è che:
- occorre una politica di «perequazione
regionale», attivamente promossa dalle autorità europee, per controbattere le tendenze
che la sola realizzazione del Mercato comune
fatalmente avrà: quella di aumentar le distanze tra regioni ricche e regioni povere;
- occorre a tal fine decuplicare il bilancio
comunitario (o almeno, come primo passo,
aumentarlo considerevolmente, rispetto alla
sua consistenza attuale che si aggira sull'l%
della somma dei bilanci degli Stati membri).
Si può davvero affermare, come Lei sembra fare, che a tutto ciò si può dare un calcio
solo perchè l'obiettivo primo e unico è ridurre la fiscalità, e se l'Europa significa aumento
di questa, al diavolo l'Europa? O non è questo il vero «materialismo» - non so se storico
o meno - che rimproveravamo al fu «socialismo reale»
L'argomento che ho svolto per ultimo può
e deve esser generalizzato: ed è, in tale generalizzazione, di gran lunga il più importante
fra quelli che ho avuto l'onore d i sommessamente prospettarle fin qui. I fini che la politica e io Stato perseguono non sono fini essenzialmente e in primi~economici, sì che alle
esigenze dell'economia tutti gli altri dovrebbero essere sussunti. L'unificazione europea,
in particolare, è «un'imperativo di civiltà»
(l'espressione è di Altiero Spinelli), volta a
stabilire un sistema di convivenza più pacifico e umano fra gli Europei, e non soltanto, né
soprattutto, un mezzo per garantir loro maggiori ricchezza e meno tasse. La difesa (ieri
contro la minaccia sovietica, oggi contro non
meno pericolosi dittatori terzomondisti); lo
sviluppo di un'adeguata politica di sostegno e
di associazione all'Europa dei Paesi europei
che escono dal disastro comunista; l'aiuto al
mondo sottosviluppato, e così via, possono
costituire obiettivi prioritari - dico possono, non necessariamente debbono - tali da
giustificare anche, a ragion veduta, una fiscalità più elevata e da render degna di approvazione l'unità europea anche se essa dovesse
implicare, per ciascuno di noi, un onere contributivo più elevato di quello, già più che
esoso, a cui ci sottopone lo Stato italiano, e
in genere sacrifici che il solo perseguimento
di fini economici renderebbe superflui, o farebbe addirittura apparir assurdi.
Certo, anche qui ci sono ragioni serie per
dire che è assai improbabile che ciò si produca nell'ambito di un grande mercato e di una
economia continentale, entro cui vi sono
buone probabilità che l'onere fiscale complessivo sia meno elevato: metter in comune determinate funzioni evita molti doppi impieghi e rende possibili molti risparmi. Ma anche qui non vi sono garanzie assolute.
L'economista, ad ogni modo, fa bene a
prospettare le sue esigenze: come se esse fossero le uniche; e così il cultore di strategia, e
'.
economici dell'appartenenza alla C.E.E.») in «Aus Politik und
Zeitgeschichte», inserto nel settimanale di Bonn «Das Parlament», 14 dicembre 1990: saggio che fornisce gli argomenti più
importanti, i dati più recenti e la bibliografia essenziale.
Si dimentica fra l'altro, cosl, che la fiscalità europea non si
sommerà sic et rimpliciter a quella dello stato nazionale: il quale,
nella futura Federazione, sarà liberato, a beneficio di questa, di
molte funzioni - quali la politica estera e la difesa - e di altrettanto ridotti saranno pertanto la sua capacità impositiva come il
suo fabbisogno di entrate.
'
lo specialista di politica estera, o educativa, o
giudiziaria, e così via: ciascuno vedendo il
proprio settore, e prospettando le esigenze di
quello, senza tener conto né della gerarchia
fra quei vari fini, né della generale compatibilità. Ma il ~ o l i t i c odeve valutar attentamente
tutto ciò: i mezzi indispensabili per realizzare
quegli obiettivi, i necessari compromessi e le
priorità da stabilire, tenuto conto delle risorse disponibili e dell'imposizione accettabile.
Insomma egli deve decidere, in conformità
della nota massima francese: «gouverner c'est
choisir». E, contrariamente a quello che Lei
mostra di credere, la competenza dell'economista, nel consigliare al politico la scelta da
compiere (per definizione fondata su criteri e
priorità prevalentemente non economici) non
è maggiore di quella d i altri, specializzati in
altre discipline, come appunto - dicevo un
momento fa - la difesa, o l'educazione, o
l'amministrazione della giustizia.
Mi scusi se ho avuto tanta presunzione, nei
confronti di un Premio Nobel: ma vorrei concludere proprio con l'invito, anche a Lei, alla
modestia, implicito nelle mie ultime parole:
invito contenuto in un noto detto latino: su-
tor ne supra crepidam.
Faccia, egregio Professore e illustre Premio
Nobel, il Suo mestiere di scienziato e di ricercatore, e non si dia alla propaganda politica
con Manifesti manifestamente eccedenti la
Sua competenza di economista e volti, direbbe Geppetto, a «insegnar I'abbaco alle formicoie». Soprattutto non me ne voglia troppo,
egregio Professore, per la mia eccessiva sincerità fiorentina d'impenitente spirito bizzarro,
che nemmeno l'età è riuscita a moderare; e
gradisca i miei molto distinti ma non altrettanto rispettosi saluti.
P.S. - Alla fine di tutti gli scritti inglesi o
americani che si rispettino c'è sempre un
summary, o abstract. Non mi voglio sottrarre
a tale buona abitudine, e la sintesi di quanto
Le ho detto potrebbe esser questa.
Lei ed io abbiamo, almeno in apparenza,
un punto o due in comune. Proviamo tutti e
due una forte antipatia per le Comunità Europee e per i Governi nazionali che, sotto
l'apparenza di una costruzione sovrannazionale, ne tirano i fili e fanno finta di far 1'Europa - peggio, fanno un'Europa che non somiglia affatto a quella che Lei ed io auspichiamo. Abbiamo anche in comune molte critiche
particolari - ma non tutte - che rivolgiamo
a ciò che fanno detti Governi a Bruxelles, in
proprio o attraverso quel loro semplice portavoce che è la Commissione: p. es. la loro politica agricola e molta della loro normativa,
inutilmente - ma, in molti casi, innocuamente - dirigistica. Ma il nostro consenso
finisce qui.
Lei è contro le istituzioni comunitarie perché Le sembrano già troppe: ~ e r f i n oun
Parlamento-fantoccio come quello Europeo
Le fa arricciar il naso. I o sono contro perché
vorrei invece che a Bruxelles e a Strasburgo
vi fosse un vero Governo federale (nel senso
che ha in inglese la parola gouernment): e cioè
una vera e propria struttura statale europea,
con poteri limitati ma, entro tali limiti, sovrani: e quindi con un suo vero Esecutivo, un
(segue a pag. 18)
GENNAIO 1991
oltre un anno di attività dell'AICCRE
Gemellaggi: un bilancio lusinghiero e positivo
Promozione, formazione, assistenza e prospettive
di Maria Cossu
La sintetica storia dei gemellaggi e dell'aiuto comunitario agli stessi. Le dotazioni finanziarie. L 'impatto sulla realtà
italiana e l'impegno degli Enti locali. L'azione dell'AICCREper l'informazione e la documentazione. I seminari per
la formazione e animazione dei gemellaggi. Il volume «I gemellaggi per l'Unione europea e la pace». Le giornate
regionali di informazione sui gemellaggi e sull'aiuto comunitario. Un elenco dei Comuni gemellati ed una banca dati
I gemellaggi di comuni o città europee sono
sorti all'indomani della guerra 1939-1945,
per iniziativa dell'allora Consiglio dei Comuni d'Europa, per cancellarne gli strascichi e le
profonde ferite attraverso contatti umani
fondati sulla conoscenza reciproca e sull'amicizia. Da quel momento non hanno cessato di
svilupparsi e continuano ad estendersi al ritmo di un centinaio all'anno.
Nell'arco di circa 40 anni i gemellaggi sono
divenuti una realtà estremamente viva che,
attraverso più di 6000 comuni e città, coinvolge parecchie decine di milioni di europei
in una serie di iniziative che si prefiggono come obiettivo i1 ravvicinamento dei popoli, la
comprensione delle rispettive culture e dei diversi modi di vivere, gli scambi culturali, I'attuazione di progetti comuni.
«I fondatori dell'Europa comunitaria hanno perseguito questa unione dei nostri popoli
al di là del mezzo costituito dal ravvicinamento economico. Ora, è importante che la
mobilitazione di intenti affianchi il movimento accelerato di instaurazione del quadro
regolamentare che la scadenza del 1992 esige.
In tale contesto, i gemellaggi, che rientrano
nel quadro dell'attività esterna degli enti territoriali, possono costituire uno dei più importanti veicoli decentrati di ravvicinamento
sul piano umano, di conoscenza reciproca e di
simpatia, tutti elementi necessari per quell'adeguamento delle mentalità che è condizione
indispensabile per la realizzazione dell'Europa economica e, a fortiori, di quella delle istituzioni e della difesa comune».
Questo è quanto affermava l'on. Nicole
Fontaine nel maggio 1988 davanti al Parlamento Europeo, per chiedere che 1'Assemblea di Strasburgo non solo aiutasse il movimento dei gemellaggi europei ad ampliarsi,
ma proponesse iniziative atte ad assicurare la
continuità dell'impegno, e contribuisse ad
eliminare i più ricorrenti ostacoli ai gemellaggi.
Un ampio dibattito in seno all'Istituzione
e l'approvazione di una risoluzione sui gemellaggi hanno dato il via al17«Aiutocomunitario
ai gemellaggi», divenuto operante dalla metà
del 1989. La dotazione finanziaria complessiva assegnata a questo sostegno della Comunità è stata di 300.000.000 ECU,sia per la gestione 1989, che per i1 1990 e il 1991.
Tale importo è destinato a:
- l'aiuto diretto a Comuni e Città per le
loro attività di promozione di nuovi gemellaggi o per scambi nell'ambito di rapporti già
costituiti;
GENNAIO 1991
- l'organizzazione di Colloqui e Seminari
(attività di lavoro nell'ambito di gemellaggi
costituiti e attività di formazione sia da parte
delle Associazioni di enti locali - CCRE che degli stessi Comuni);
- campagne di informazione e sensibilizzazione sull'aiuto comunitario ai gemellaggi e
pubblicazioni aventi lo stesso scopo.
Dopo un anno e mezzo di operatività intendiamo tracciare un bilancio, per verificare
l'impatto avuto sulla realtà italiana e la risposta e l'impegno delle nostre collettività locali.
Ma prima di passare all'analisi dei risultati è
opportuno analizzare quanto il CCRE e
I'AICCRE hanno fatto per far conoscere a
tutti i Comuni italiani, non solo agli associati,
questo nuovo strumento comunitario. Dal luglio 1989 I'AICCRE, e in particolare il suo
Servizio gemellaggi, sono costantemente impegnati nel:
- fornire documentazione sui gemellaggi
e sull'Aiuto comunitario;
- fornire informazioni sul funzionamento del19Aiuto;
- fornire la modulistica per la conoscenza
e la corretta presentazione della domanda;
- assistere i Comuni italiani e i loro partners nella compilazione e nell'inoltro della
domanda;
- assistere i Comuni italiani nella presentazione della relazione sull'uso della sovvenzione e dei documenti finanziari richiesti dai
Servizi della Comunità;
- partecipare alle iniziative promosse dal
CCRE internazionale (in particolare per la
formazione);
- partecipare alle riunioni di lavoro dei
Responsabili dei Servizi Gemellaggi di tutte
le Sezioni nazionali del CCRE;
- partecipare alle riunioni del «Comitato
di esperti dei gemellaggi» promosso dalla Comunità europea.
Nel 1989 l'attività dell'AICCRE per I'informazione e la formazione si è sviluppata nel
seguente modo:
- invio di lettera circolare a tutti Comuni
d'Italia per informarli dell'istituzione
dell'«Aiuto comunitario»;
- riunioni con i responsabili delle Federazioni regionali dell'AICCRE per il coordinamento delle attività di informazione;
- organizzazione di tre Seminari nazionali per la formazione e animazione dei gemellaggi (Firenze 15-16111/89, Milano 272811 1/89, Napoli, 4-5112189);
- pubblicazione del volume «I gemellaggi
per l'Unione europea e la pace», di un de-
pliant sui gemellaggi, di 2 note sull'Aiuto comunitario.
In risposta, i Comuni italiani ci hanno inviato 22 domande, di cui 17 sono state inoltrate e delle quali soltanto una è stata rifiutata perché non pervenuta entro i termini.
Nel 1990 il nostro impegno è stato soprattutto di tipo informativo, creando numerose
occasioni di incontro con gli eletti locali in
varie regioni italiane. Segnaliamo:
- la partecipazione di una rappresentanza italiana al «Seminario di formazione europea», promosso dal CCRE internazionale a
Bruxelles nel marzo '90;
- l'organizzazione di 6 Giornate regionali di informazione sui gemellaggi e sull'Aiuto
comunitario, rispettivamente a Udine, Bari,
Firenze, Perugia, Bologna, Napoli;
- la collaborazione all'organizzazione e la
partecipazione di qualificati relatori delI'AICCRE e del CCRE ai Convegni svoltisi
ad Arco (TN) nel settembre '90 e a Bolzano
nel novembre '90;
- la collaborazione all'organizzazione e la
partecipazione di relatori dell'AICCRE al
Seminario di formazione «pensare europeo»
per animatori della Regione Lazio, promosso
dalla Casa d'Europa di Bassiano (LT);
- il lancio di un'inchiesta presso tutti i
Comuni d'Italia per conoscere la realtà della
rete di gemellaggi intessuta da enti locali italiani, in vista della pubblicazione di un elenco
di Comuni europei gemellati e della creazione
di una banca dati sui gemellaggi.
ANNO 1990
ITALIA
EUROPA
Domande Ricevute
Domande Ammissibili
Domande Accolte
Domande Rifiutate
35
32
27
5
947
888
548
281
Domande Decadute
(per inadempienza
enti candidati)
- Comuni italiani
beneficiari (Grazie
anche alle domande
presentate dal partner
straniero)
-
59
52
Importo erogato
all'Italia L. 208.087.500
-
(segue a
pag. l>)
COMUNI D'EUROPA
un'esperienza esemplare
Gemellaggio: nel ««villaggioglobale» processo
di &~cazione nel rispetto delle autonomie
di Lorenzo Dellai*
L'esperienza maturata dal Comune di
Trento nel campo dei gemellaggi dura ormai
da quasi venticinque anni. Iniziata dapprima
con Berlino Charlottenburg nel 1966, l'esperienza è poi proseguita nel 1987 con Kempten, altra città tedesca, e si è ampliata infine
con la città basca di San Sebastian, nel 1988.
Si tratta di realtà urbane molto diverse.
C h a r l ~ t t e n b u r ~rione
,
centrale di Berlino,
con quasi duecentomila abitanti, presentava
allora la necessità di intessere contatti e stabilire relazioni anche in conseguenza dell'isolamento a cui era costretta, in particolare dopo
la costruzione del muro nel 1961. Anche in
ragione della sua durata, il gemellaggio con
Charlottenburg è stato un fatto di grande importanza. Inizialmente sono stati interessati i
giovani, attraverso le scuole, con numerosi
scambi che hanno permesso a molti studenti
trentini di approfondire personalmente la
realtà berlinese, le sue floride condizioni di
vita, le eccezionali offerte culturali, ma anche
i problemi che derivavano dallo stato di isolamento cui la città era sottoposta. Poi l'esperienza degli scambi si è via via allargata:
scambi culturali, sportivi, di associazioni operanti nei più svariati settori, confronti a livello politico ed amministrativo; occasioni di accrescimento culturale per noi, di riparo dai rischi dell'isolamento per i berlinesi. Oggi siamo in procinto di festeggiare i 25 anni di gemellaggio, con prospettive certamente rinnovate, dopo gli ultimi avvenimenti che si sono
conclusi con la riunificazione della Germania.
Su di un piano parzialmente diverso si è
sviluppato il gemellaggio con Kempten, città
di poco più di sessantamila abitanti a soli 350
Km. da Trento e quindi con possibilità di interscambio facilitate, soprattutto in campo
studentesco, le cui nuove esigenze suggeriscono la conoscenza del tedesco e quindi la
necessità di approfondimento e di contatti
costanti. Le possibilità offerte da queste relazioni sono state molto apprezzate dai giovani,
soprattutto per la forte disponibilità della città gemella nel favorire questi rapporti.
Con la città basca di San Sebastian il gemellaggio era stato deciso già nel 1983 dal
Consiglio comunale, ma si è giunti alla firma
ufficiale solo nel 1988. In questo caso hanno
avuto un ruolo importante le tradizioni e gli
ordinamenti di particolare autonomia della
Regione basca e della Regione Trentino-Alto
Adige. I contatti non si sono limitati alle due
città, ma hanno coinvolto in termini concreti
anche le due provincie. Nonostante la distanza - oltre 1500 Km. da Trento - con sorpresa ma anche con soddisfazione abbiamo
constatato che lo scambio, fin dal giorno dell'ufficializzazione, si è sviluppato in maniera
* Sindaco di Trento. Relazione svolta al Convegno organizzato dal CCRE a Bolzano nel novembre 1990
COMUNI D'EUROPA
molto ampia e positiva. Anche in questa circostanza la partecipazione della scuola alle
varie proposte ha avuto un ruolo determinante.
Ciò che ha accomunato e continua ad accomunare i tre gemellaggi è lo sforzo del Comune di favorire principalmente gli scambi tra
giovani, che ancora attualmente interessano
1'80% delle persone coinvolte. Sono circa
2000 le persone delle quattro città che ogni
anno complessivamente partecipano in qualche forma alle diverse iniziative promosse
nell'ambito dei gemellaggi. Di esse circa 800
sono di Trento e rappresentano quindi quasi
l' 1% della popolazione. Un calcolo approssimativo ci consente di stimare che fino ad oggi, alle varie occasioni, sia stato interessato
almeno il 15% della cittadinanza: una cifra
che da sola basta a qualificare l'importanza di
queste forme di relazioni tra le città ed il ruolo che i Comuni hanno avuto per favorire
scambi sempre più proficui tra le rispettive
comunità.
Parlare dei gemellaggi di Trento non significa solo rifarsi alle relazioni stabilite dal Comune in quanto tale. È necessario ricordare
anche l'esperienza che su questo terreno è
stata sviluppata dai Consigli circoscrizionali.
Delle dodici Circoscrizioni in cui è oggi articolato il Comune di Trento, due hanno
compiuto un'esperienza degna di menzione
anche in questa sede. Si tratta delle circoscrizioni di Gardolo e del suo gemellaggio con il
Comune tedesco di Neufahrn che dura ormai
da 7 anni e della Circoscrizione di Mattare110
che ha stabilito un gemeUaggio nel 1989 con
il Comune tedesco di Ergolding, dopo una
decina d'anni di relazioni di amicizia. Sono
state e sono tuttora esperienze non dissimili
da quelle condotte dal Comune. La particolarità che le qualifica è forse quella che nella dimensione delle circoscrizioni periferiche di
Trento permane ancora fortemente l'identità
del sobborgo da cui esse traggono origine.
Questa identità, intessuta di relazioni vitali
tra le persone ed i gruppi che agiscono nel
sobborgo, ha alimentato tra le comunità gemellate rapporti di amicizia e di solidarietà
molto profondi, che hanno permeato istituzioni, associazioni, famiglie, le stesse Chiese
locali.
È una rassegna sommaria quella che ho cercato di illustrare, a cui vorrei far seguire ora
alcune riflessioni di sintesi sul significato che
mi pare di assegnare, soprattutto in prospettiva, all'esperienza dei gemellaggi tra le comunità locali.
I gemellaggi, come del resto ogni forma di
relazione sociale, politica, economica, riflettono indubbiamente l'evoluzione della storia
e delle storie delle comunità che si incontrano.
I1 modello originario è più orientato all'esi-
genza di stabilire rapporti tra realtà che non
si conoscono. È quindi occasione di conoscere ed apprendere, anche di viaggiare, di facilitare gli scambi e l'amicizia, tra popoli che
hanno alle spalle le tragiche esperienze di due
conflitti mondiali terribili, alimentati dai nazionalismi esasperati di questo secolo. I1 geme!laggio è quindi strumento per sconfiggere
pregiudizi, per accostare popoli storicamente
diffidenti. Oggi possiamo dire che tutto questo appartiene al patrimonio acquisito, almeno a livello europeo. E ciò grazie alle vicinanze, grazie agli scambi, grazie alle nuove opportunità di viaggiare, di conoscere, di mettersi in raffronto; grazie - occorre dirlo alla televisione che ha divelto confini e
barriere.
Viviamo, come dicono gli esperti di mass
media, nel «villaggio globale»: un unico linguaggio televisivo, una vera cultura (con i
suoi pregi e i tanti difetti), che ha consentito
di demolire molte barriere. I1 modello originario dei gemellaggi va ripensato nel «villaggio globale»? Come ripensarlo, verso quali fini orientarlo?
Io credo che non ci sia alcuna tecnologia
capace di porsi come sostituto integrale del
rapporto interpersonale diretto e di surrogare
quindi la ricchezza e la profondità dell'incontro immediato tra le persone. Fino a quando
pertanto i gemellaggi aiuteranno l'incontro
tra le persone e i gruppi, essi continueranno
ad avere un senso.
È necessario però che le istituzioni si sforzino di vedere più in avanti, di proporsi e di
proporre mete più ambiziose, per riguardare
cioè queste esperienze alla luce dei processi
che hanno mutato e stanno mutando 1'Europa: il processo di unificazione politica dell'Europa dei dodici e quello di costruzione di
assetti di libertà e di democrazia nell'Europa
dell'Est, processi che preludono a quella «casa comyne europea», che è nell'auspicio di
molti. E questa, io credo, la grande sfida da
raccogliere, è questo i1 terreno sul quale le
municipalità hanno un ruolo insostituibile da
svolgere.
Si deve partire da una convizione che sta
emergendo con chiarezza neu'ambito del dibattito sull'unità europea.
L'Europa unita dovrà essere un'Europa
dei popoli. Un'Europa che deve tener conto
delle specificità, delle identità, delle diversità, un'Europa che sappia valorizzare il ricco
pluralismo di cui essa è plasmata. Solo in questa maniera si potrà evitare che, di fronte alle
esigenze della nuova organizzazione politicoamministrativa sovranazionale, esplodano i
localismi e - gran male del vecchio continente - i naziondismi esasperati.
Per costruire l'Europa dei popoli e quella
sua tappa di avvicinamento che è l'Europa
delle regioni, si sono moltiplicate in questi
anni le iniziative istituzionali. Diffusa a livello istituzionale è infatti la consapevolezza che
il nazionalismo ha bisogno dell'antidoto della
salvaguardia della specificità. Cercare questa
salvaguardia attraverso la valorizzazione delle specificità è compito degli organi politici,
a tutti i livelli. Ma è necessario fare un ulteriore passo in avanti: favorire la reciproca
comprensione delle diversità, che deve avere
come protagonisti e referenti, i popoli, la gente, le persone. E questo il nuovo compito dei
gemellaggi. Conoscere le specificità è il primo
passo per rispettarle e valorizzarle, in un processo che diventa, davvero, di «unificazione
nel rispetto delle autonomie».
Si tratta insomma della consapevolezza che
ogni popolo ha una propria storia, proprie
tradizioni, aspirazioni e modelli di vita. Ai
gemellaggi dunque i1 compito di mettere a
confronto queste diversità e di favorirne la
conoscenza ed il rispetto.
Per concludere mi pare quindi di poter affermare con sicurezza che la nuova Europa
cui guardiamo con fiducia e speranza, sarà
l'Europa dei popoli solo se sarà anche 1'Europa delle città e dei loro municipi. Non è solo
un desiderio ingenuo; è piuttosto una convinzione che si fonda su un teorema che la storia
ha abbondantemente confermato e cioè che
le città restano, anche se gli Stati, i loro confini, i loro regimi spesso sono destinati a
H
cambiare.
Un bilancio lusinghiero
(segue da pag. 13)
Dalle cifre esposte, risalta in maniera molto evidente la debole risposta dei Comuni italiani agli sforzi compiuti dalle istituzioni europee e dall'AICCRE per permettere loro di
accedere al finanziamento comunitario. Una
richiesta prepotente e numerosa da presentare ai parlamentari di Strasburgo ci avrebbe
dato il supporto necessario per sostenere con
maggior vigore la domanda di aumento della
dotazione finanziara di questa linea di bilancio. Purtroppo così non è stato e nel prossimo
autunno dovremo impegnarci tutti, Associazione, amministratori locali, elettori, nell'opera di sensibilizzazione e di spinta popolare
nei confronti dei nostri rappresentanti a Strasburgo affinché ai gemellaggi siano date maggiori possibilità. Sarà questo l'impegno principale della nostra Organizzazione nel '91,
mentre continueremo nell'azione di informazione e di formazione, tanto necessaria anche
a seguito dei cambiamenti intervenuti nelle
Amministrazioni locali dopo le elezioni amministrative del '90.
Per il 1991 abbiamo in calendario diversi
importanti appuntamenti, fra cui:
- i Convegni regionali dei Comuni gemellati del Lazio e della Lombardia e dei loro
partners;
- le Giornate di informazione in alcune
Regioni italiane (Liguria, Marche, Basilicata,
Veneto, Abruzzo, Sicilia, Sardegna);
- il 7 O Congresso europeo dei Comuni
gemellati a Losanna il 3-5 ottobre 1991.
GENNAIO 1991
Statuti locali: valenza europea
delle autonomie temitoriali
di Paolo Benelli
*
Gli aspetti politico ed economico-monetari dell'integrazione. La visione della legge 142 come momento di riconoscimento e di esaltazione delle autonomie locali. La ricaduta delle norme del Trattato di Roma sugli statuti locali
Ho accolto con piacere l'invito ad una breve introduzione ai rapporti tra gli statuti degli enti locali e l'Unione Europea, perchè sono convinto che, accanto alla costruzione di
un mercato comune, inteso come integrazione delle economie nazionali e delle rispettive
monete, occorra promuovere un nuovo assetto istituzionale e politico dell'Europa, reso
oggi più urgente dai profondi mutamenti dei
regimi dell'Est.
Occorre cioè superare l'attuale ordinamento comunitario, fondato prevalentemente su
rapporti e vincoli intergovernativi, per conseguire una reale unione politica che costituisca
l'espressione democratica della volontà dei
popoli dell'Europa.
In tale contesto una concezione federalista
delle nazionalità e delle etnie, che sia capace
di valorizzare l'apporto, l'originalità e la ricchezza delle Comuriità autonome in ambito
europeo, costituisce la carta vincente per superare l'attuale fase di cooperazione intergovernativa verso una reale unione politica.
Se dunque le autonomie locali rappresentano un momento imprescindibile nella costruzione della nuova Europa, noi dobbiamo cogliere con sensibilità lungimirante l'opportunità che ci offre la I,. 142, quale momento di
riconoscimento e di esaltazione delle autonomie comunali e provinciali, e in particolare
l'attuale fase di redazione dei loro statuti.
Oggi è possibile, ma anche auspicabile, che
gli statuti recepisca110 la valenza europea delle autonomie locali, al fine di inserirle in un
processo dinamico di integrazione europea
che nasca «ab intus» e non solo per decisione
degli Stati nazionali.
E noto al riguardo che gli statuti costituiscono fonti di diritto gerarchicamente subordinate alle fonti superiori, tra le quali devono
essere inserite, oltre alle fonti del diritto italiano, anche le fonti comunitarie.
È noto inoltre che, secondo le norme del
Trattato di Roma, regolamenti, decisioni e
direttive costituiscono atti vincolanti, classificabili come tali tra le fonti del diritto internazionale.
Non vi sono quindi ostacoli giuridici al recepimento negli statuti di norme che sottolineino il duplice aspetto dell'operatività interna del diritto comunitario e dell'estensione in
ambito europeo delle opportunità offerte dall'ordinamento italiano.
In questo senso notevole interesse rivestono le norme del Trattato di Roma e in parti* Presidente del Consiglio regionale della Toscana e
presidente della Federazione regionale dell'AICCRE.
Introduzione all'incontro sugli statuti locali delllAICCRE con gli Enti locali toscani (dicembre 1990).
colare l'art. 7 che vieta ogni discriminazione
dei soggetti in base alla nazionalità, l'art. 8
che prevede un mercato comunitario senza
frontiere, nel quale sia assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, l'art. 48 che assicura la libera circolazione dei lavoratori all'interno
della Comunità e l'art. 52 che sopprime le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini europei in un altro stato membro.
L'economia di questa breve introduzione
non consente di approfondire l'analisi delle
norme avanti citate, ma in questa sede non
posso prescindere dalla constatazione di una
immediata ricaduta delle stesse sugli statuti.
Penso a titolo esemplificativo all'istituto
della partecipazione popolare (art. 6 L. 142)
che ,gli statuti devono disciplinare compiutamente, estendendone i relativi diritti anche
ai cittadini europei, siano essi residenti in
Italia, prestatori d'opera autonomi o subordinati, o semplicemente fruitori di servizi erogati dagli enti locali.
Penso ancora al diritto di accesso agli atti
amministrativi (art. 7 L. 142) che in virtù del
principio di non discriminazione deve essere
assicurato ai cittadini europei, anche perchè
è strumentale al diritto di difesa.
Né può essere tralasciato il diritto di assunzione ai pubblici impieghi dei cittadini europei, materia regolata dalla legge statale, ma di
cui gli statuti devono disciplinare le modalità
per il conferimento degli uffici nonché i ruoli
organici (art. 51 L. 142).
In tale contesto si può individuare uno spazio statuario che indichi i posti soggetti a riserva di cittadinanza secondo i criteri dettati
dalla Corte di Giustizia della CEE.
Avviandomi alla conclusione, in questa fase costituente, dobbiamo essere consapevoli
che la strada verso l'unione politica europea
passa anche attraverso l'apporto originale
delle autonomie locali.
È questa l'esortazione che rivolgo a me
stesso, ancor prima degli amministratori comunali e provinciali della Toscana.
ELENCO DELLE NUOVE ADESIONI
DI ENTI LOCALI ALL'A.1.C.C.R.E.
AGOSTO/SETTEMBRE/OTTOBRE
1990
Ab.
Comuni
Budrio (BO) ..............................
Pontremoli (MS) ..........................
S. Sebastiano da Po (TO) ...........
Monsano (AN) ...........................
Drana (TN) ..................................
Ottati (SA) .................................
13.475
10.069
1.3784
1.985
396
1.217
COMUNI D'EUROPA
Noi senzapatria
di Ursula Hirschmann
Se dovessi in una parola esprimere la caratteristica principale di questa donna incredibile sarebbe «naturalezza». Una naturalezza che mi ha
messo a lungo in soggezione: mi diceva «ma diamoci del tu» e io mi ostinavo a darle del Lei.
Certo che una donna, tra l'altro bellissima, fosse
capace di fare, senza dar l'impressione del minimo sforzo, ka moglie - e direi la moglie «tradizionale», dall'apparenza devota e condiscendente -, la madre (di sei figlie), la rivoluzionaria,
la scrittrice, I'organizzatrice di una modesta sezione federalista in tempo di pace e di democrazia, sembrava addirittura innaturale: ma per lei
tutto era semplice. In mezzo a questa perfezione
suonava come un vezzo una lingua italiana, dopo tanti anni vissuti da noi, di forte accento straniero. Personalmente mi affascinava il fatto
che, oltre che tedesca, era ebrea: era una di quelle ebree laiche, pe$ettamente integrate, ma l'ebreo ha sempre, per me, qualcosa in più. Mi
sembra che al di là del ragionar comune, sul
quale ci si incontra, abbia in serbo, nel profondo, una conoscenza dell'infinito dovuta a una
sapienza per me sconosciuta, o di fronte alla
mia ingenuità e al mio ottimismo cosh-uito pazientemente sia pronto a ridimensionarmi con
uno degli interrogativi dell'Ecclesiaste.
Ma I'Ecclesiaste fra di noi non è mai comparso. Ho conosciuto viceversa sempre meglio una
donna semplice, ma di ferro; intelligente e colta,
ma non intellettuale, amante del buon senso.
Sorridendo e tranquillamente era senza dubbio
la gran moderatrice di Altiero. Dotata di senso
pratico, si lavorava bene insieme: e mi ha fatto
sempre ubbidire, anche quando siamo passati
dal Lei al tu. Mi ordinò, con la sua consueta naturalezza, di occuparmi della Sezione di Roma
del Movimento federalista: io ero pieno di impegni, proprio federalisti, nazionali ed europei, ma
chinai la testa. Era così persuasiva...
Certo in questi ultimi anni, dopo il malore
che l'aveva minorata, i rapporti con lei erano diventati eterei: Ursula ormai faceva una grande
tenerezza. Era diventata per me quasi un monito sulla caducità della vita, di ogni vita. E se ne
è andata, questa volta sì, lasciandomi a pensare
sul pessimismo dell'Ecclesiaste.
u. S.
COMUNI D'EUROPA
Giorni fa, in una riunione politica, ho capito di colpo perché per me fosse tanto più facile essere «europea» che per gli altri. Dovevo
parlare e mi sono accorta che non avevo nemmeno più una lingua a mia disposizione. L'italiano che parlo da tanti anni mi è rimasto
sempre estraneo; non ho mai voluto addentrarmici troppo per non ~ e r d e r ela mia lingua: il tedesco. Eppure l'ho persa; anni di
amorevole conservazione me l'hanno resa incolore e rigida, come accade con i ricordi.
Questa mancanza di lingua non è tutto:
non sono italiana benché abbia figli italiani,
non sono tedesca benché la Germania una
volta fosse la mia patria. E non sono nemmeno ebrea, benché sia un puro caso se non sono stata arrestata e poi bruciata in uno dei
forni di qualche campo di sterminio.
Mi vien fatto di pensare a un nostro amico
belga e ebreo, di vivissima e irritante intelligenza, che anche lui è un «europeo errante),
come me. Viaggiava un giorno con due piccoli
borghesi francesi, marito e moglie, e parlava
contro il nazionalismo con quella veemenza
libertina con cui può parlare solo un déraciné.
La piccola francese gli ribatté, con una punta
di malignità: «Pour vous c'est facile d';tre européen; vous etes ju$> I1 nostro amico se ne è
offeso profondamente (anche perchè si offende volentieri e tira nuove forze dalle sue umiliazioni), ma la piccola francese aveva perfettamente ragione.
Già Marx ha detto che gli operai sfruttati
avrebbero preso su di loro la lotta contro i capitalisti perché non avevano nulla da perdere
fuorché le loro catene (e infatti, da quando
sono diventati, in questo secolo, comproprietari dello Stato e avrebbero perciò parecchie
cose da perdere, la loro lotta si è affievolita
alquanto).
Noi déracinés dell'Europa che abbiamo
«cambiato più volte di frontiera che di scarpe» - come dice Brecht, questo re dei déracinés - anche noi non abbiamo altro da perdere che le nostre catene in un'Europa unita e
perciò siamo federalisti.
Ho una figlia forte e volitiva e che ha il
senso, molto italiano, di non voler fare «brutta figura),. È in molte cose l'opposto di me e
soffre quando - secondo lei - faccio «brutta figura» io. Io invece non me ne accorgo,
perché nel mio repertorio morale non c'è il
senso delle «questioni d'onore), o dell'«amor
proprio),. Non ho mai nemmeno ben capito
che cosa siano queste cose.
Qualche tempo fa mi è capitato un caso assai caratteristico: per ragioni illogiche una
amicizia tra me e un'altra persona ha cessato
di esistere. Non ne avevo colpa e ho cercato
di riavvicinare la persona. H o avuto la porta
sbattuta in faccia. Non ho voluto crederci e
mi accingevo nuovamente a «spiegare la vera
situazione), d'amico perduto.
In quel momento sopraggiungeva mia figlia. Era indignata con me: perché non m'ero
In «Tempo presente)), anno VI, n. 12, dicembre 1961
accorta dell'offesa che mi era stata fatta, perché insistevo, perché non volevo riconoscere
la «ineluttibilità» della rottura.
Mentre l'avevo davanti a me, bella nel suo
sdegno e con quel realismo vigoroso che viene
prima dell'esperienza, i miei pensieri andavano indietro, ai tempi e luoghi lontani della
mia gioventù.
Avrei voluto spiegarle perché ero diversa
da lei. Ma dove cominciare? Tanti, tanti anni
addietro, quando in Germania avevo amato
quel paese e quei poeti di quell'amore confidenziale che si ha per le cose che ci sono intorno nell'infanzia? Quel Moricke, per esempio, con le sue poesie pazze di bellezza, chiuse in un mondo piccolo come un guscio di noce. O cominciare più tardi: descrivere l'esperienza del mio incontro con gli operai del partito socialista, negli anni dal '32 al '34? La loro forza e la loro intelligenza, i loro giudizi
sobri e la loro solidarietà. Non ho più conosciuto niente di così puro, e ancora oggi la parola Heimat mi fa pensare anzitutto alle buie
strade di Berlino-Nord, con le case alte e
strette, dentro la sera le camere illuminate,
dove mio fratello e io andavamo ad ascoltare
le parole sulla liberazione dell'uomo e ci lasciavamo guidare da questi uomini della morale sicura e disinteressata.
Poi tutto questo si è rotto, prima di colpo
con la fuga, poi in lunghi anni di attesa, dapprima impaziente, in seguito sempre più
diluita.
Da allora cerco di ritrovare la Germania, il
mio paese. Quando si è perso tutto, un mondo intero, o «i tratti si induriscono), oppure
si lavora per tutta la vita a ricomporre nella
loro iniziale figura le cose che sono andate
rotte. Perché nell'animo più segreto c'è la sicurezza che nessuna rottura è «ineluttabile»
ma avviene per sbaglio. Ecco l'atteggiamento
che dà fastidio a mia figlia: questo voler comprendere e ricomporre dopo che si è stati offesi e cacciati. È lo stesso fastidio che prova
la gioventù israeliana verso i padri che si sono
lasciati deportare e uccidere quasi senza
rivolta.
Anche loro avevano nell'animo più segreto
il senso che tutto avvenisse per un terribile
sbaglio, e questo senso impediva l'erompere
della rivolta.
Chi di noi non ha sognato una volta in questi terribili anni di trovarsi fra quattro mura
a tu per tu con Hitler - o chi per lui - per
«spiegargli» da uomo a uomo quali erano i
suoi «sbagli»?
E non c'è, d'altra parte, nella mia generazione, gente più triste da incontrare di quei
tedeschi che hanno cancellato la Germania
dai loro cuori. Gente che non vuole più parlare e sentire parlare in tedesco, che odia i tedeschi come i nazisti odiavano gli ebrei, povera gente che per salvare l'«onore» ha buttato via l'anima. Dico «nella mia generazione),
perché quel che in noi ha qualcosa di falso e
cattivo nella generazione dei figli non ha più
GENNAIO 1991
quel substrato di odio ricambiato e può essere
un senso di fierezza nato dalla felicità.
Ma noi possiamo soltanto amare. Non per
bontà, non per senso religioso, ma perché è
l'unico nostro modo di restare nella realtà.
Perché Moricke c'è sempre e non possiamo
seppellirlo, e nessun Eichmann ce lo può to-
gliere. Perché anche in Brecht ritroviamo
quei momenti di poesia perfetta, chiusi in un
mondo piccolo come un guscio di noce. Perché sono sicura che vi sono ancora da qualche
parte quegli operai gravi e giusti, privi di
egoismo e grandi nel sacrificio, che ho conosciuti a Berlino nel '32-'34.
W
Un'europea della prima ora
di Altiero Spinelli
Negli ultimi anni della Repubblica di Weimar, Ursula Hirschmann, giovanissima studentessa berlinese, aveva aderito alla SAJ
(Sozialistische Arbeiter-Jugend). Sperava
contribuire in tal modo alla resistenza contro
l'avanzata nazista. All'inizio del 1933, la polizia procedette ai primi rastrellamenti che
riempirono i campi di concentramento; Ursula riuscì appena in tempo a sottrarsi all'arresto, ed a fuggire in Francia con suo fratello.
A Parigi dovete interrompere gli studi e
cercarsi un lavoro. Partecipò attivamente ai
dibattiti interminabili ed esasperanti fra emigrati politici relativi agli errori del passato, alle delusioni del presente, alle speranze dell'avvenire.
Non rimase chiusa negli ambienti dell'emigrazione tedesca. A Parigi, conobbe anche
l'emigrazione italiana, l'altra grande emigrazione politica di quell'epoca. Entrò così in
contatto col giovane socialista Eugenio Colorni che, nel 1944, sarebbe caduto nella resistenza a Roma. Ogni tanto, egli giungeva
clandestinamente da Milano allo scopo d'informare i compagni all'estero di ciò che avveniva nelia cospirazione italiana. Si sposarono
ed Ursula venne in Italia. A Milano ed a Trieste prese parte assieme al marito all'azione
clandestina antifascista, fino al momento in
cui, nel 1938, egli venne arrestato ed esiliato
a Ventotene.
Ursula ottenne l'autorizzazione di vivere
col marito e con la loro figliuola al confino di
Ventotene. Tuttavia. non essendo ella stessa
confinata, poteva recarsi liberamente sul
«continente». Approfittò pertanto del tempo
libero di cui disponeva per iscriversi alla facoltà di lingue di Venezia ed ottenervi la laurea di dottore in lingua tedesca.
Nel luglio 1939, dopo esser stato trasportato per dodici anni da una prigione all'altra, da
un'isola all'altra, sbarcai anch'io a Ventotene, dove la conobbi. Pur non avendo allora
che 26 anni di età, aveva già vissuto e maturato una intensa vita politica e personale.
Ridotti al ruolo di spettatori, i «confinati»
assistettero dallo strano loggione costituito
dal loro isolotto nel Mediterraneo, al dramma
del crollo dell'intero sistema europeo, sotto i
colpi forsennati di Hitler. Fu allora che alcuni fra noi incominciarono a meditare circa la
possibilità di un avvenire diverso da quello al
quale pensavano i nostri compagni di prigionia, radicali, socialisti, comunisti od anarchici. L'unione federale dei popoli liberi d'Europa, che per secoli aveva frequentato come un
utopistico spettro la mente di alcuni poeti, filosofi, profeti, avventurieri non soltanto poDa «Donne europee parlano dell'Europa», in «Testi e
ti)), numero speciale, ~
i
~affari
i esteri
~
t
belga, Bruxelles 1979
GENNAIO 1991
teva, ma doveva diventare d'ora in poi un
obiettivo da raggiungere nella nostra generazione, per dare ai nostri popoli un avvenire
diverso e migliore.
Non eravamo numerosi - Ernesto Rossi,
i Colorni, io e due o tre altri - a dibattere
e ad approvare il «Manifesto per un'Europa
libera ed unita», da me scritto nell'estate del
1941 in collaborazione con Rossi. I nostri
compagni di prigionia consideravano un atto
di imperdonabile superbia, la nostra pretesa
di dire - dal fondo di una lunga prigione, distaccati dalla vita reale - in quale maniera si
sarebbe dovuto riorganizzare l'Europa dopo
aver abbattuto le dittature fasciste.
Ursula fece parte di questo piccolo gruppo
che accettò di essere considerato visionario.
La sua tendenza a tradurre ogni impegno
ideale in azione pratica, le fece percepire immediatamente dove risiedesse l'originalità
della nostra posizione. Allorché parlavamo di
Federazione Europea, altro non facevamo se
non ripetere idee antiche, ma eravamo probabilmente fra i primi a pensare che la nostra
generazione, avendo vuotato fino in fondo il
calice dell'Europa dei nazionalismi, aveva il
dovere di assumersi il compito di condurre i
nostri popoli fuori da siffatto sistema infernale, a dire come il Goetz di Sartre: <Lettebataille il faut la faire et je feraio.
Nel nostro piccolo gruppo, Ursula era l'unica a potersi recare in Italia. Ella fu la nostra
prima messaggera nella cospirazione italiana.
l'ortò ai
amici di
e di
quello che da allora venne chiamato il «Manifesto di Ventoteneo; suscitò dibattiti intorno
ad esso; cercò e trovò adesioni; redasse, stampò e fece distribuire dai suoi adepti il giornale
clandestino «L'Europa Unita», destinato a
diffondere le nostre idee ed il nostro appello.
Fu "
arazie al suo lavoro che alla caduta di
Mussolini, una decina di giorni dopo la liberazione dei prigionieri politici, e precisamente il 27 agosto 1943 a Milano, una conferenza
clandestina potè procedere alla creazione del
«Movimento Federalista Europeo» (MFE). I1
terreno era stato degnamente preparato.
La conferenza di Milano incaricò Rossi e
me di recarci in Svizzera onde prendere contatto con i federalisti di altri paesi che non
conoscevamo, ma che sicuramente dovevano
esistere. H o sempre considerato questa decisione come uno degli atti di maggior presunzione intellettuale che ci sia stato dato di
compiere.
1Von avevamo nessuna relazione con la resistenza in Europa. Ciò nonostante, eclusivamente in base ad un ragionamento avevamo,
per così dire, deciso che in altri paesi d'Europa doveva essere sorta una volontà d'azione
analoga alla nostra e partivano alla sua
scoperta.
Ursula decise allora di unire la propria vita
alla mia e partimmo insieme per la Svizzera
dove, simili a pescatori, cominciammo con
Ernesto Rossi, a gettare le nostre fragili reti:
lettere, appelli ciclostilati, incontri, dibattiti.
Le nostre previsioni si rivelarono giuste. Nelle fila dei movimenti di resistenza degli altri
paesi, incontrammo effettivamente uomini e
donne di cui avevamo indovinato l'esistenza.
Fra questi, vorrei fare qui solo il nome di Hilda Monte, socialista tedesca, che nei suoi
transiti clandestini tra la Svizzera e la Germania fu uccisa dalle SS, alcuni mesi prima
della fine della guerra.
Poichè la Svizzera teneva alla propria neutralità, i1 primo incontro europeo, all'inizio
del '44 a Ginevra, fu clandestino tanto a causa del suo tema quanto in ragione della sua
L'UIITA' EUROPEA
199
Vocs del Y v ~ t m r n lPwI~r*ifstn
~
EUIVPBZ
Ilou 1.
IL MOVIMENTO F E D E R A L I S T A
Due testimonianze dell'azione di Ursula Hirschmann Spinelli (citate in questa pagina): il primo
numero del periodico «Unità Europea», preparato clandestinamente nel 1943 insieme a Guglielmo
~ Usellini
~
~ e Cerilo Spinelli durante la dittatura fascista; l'opuscolo con il resoconto della prima
conferenza federalista sopranazionale organizzata a Parigi nel 1945 insieme ad Altiero
COMUNI D'EUROPA
composizione. La storia di questa conferenza
e l'appello che ne derivò è narrato nell'autobiografia dell'ex segretario generale del consiglio ecumenico Vizer't Hofft, che aveva
ospitato presso di sé le nostre riunioni illegali.
Mentre l'appello europeo di Ginevra proseguiva per la sua strada lenta, tortuosa ed incerta nella Resistenza, soprattutto in Francia,
che era i1 paese a noi più vicino, io rientravo
a Milano per partecipare alla resistenza; UTsula, invece, rimaneva a Bellinzona per dedicarsi alle sue bambine e mantenere i nuovi
contatti che avevamo stabiliti.
Verso la fine dell'estate '44, ricevetti da lei
un messaggio clandestino. I1 nostro appello
era giunto a Lione, prima che avvenisse la liberazione della Francia, era stato portato a
Parigi dopo la liberazione, ed il MLN (Movimento di Liberazione Nazionale) aveva inviato ovunque inviti al primo congresso federalista europeo che doveva riunirsi nella prima
capitale liberata d'Europa. Riattraversai le
Alpi, raggiunsi Ursula, ed insieme ci recammo a Lione. Una volta ancora - l'ultima della nostra vita - ci camuffammo sotto falsi
nomi, onde evitare che la polizia francese ci
ostacolasse, vedendo sorgere dalla Svizzera,
con le migliori intenzioni del mondo, una Tedesca ed un Italiano, vale a dire formalmente
due nemici. A Lione gli amici della Resistenza trassero due carte d'identità, dai loro
stocks di documenti falsi, ormai per loro inutili e diventammo la Signora Antonelli, algerina, e il Signor Antonelli, corso. In caso di
necessità, il nostro accento sarebbe stato giustificato.
Arrivammo a Parigi in pieno inverno. I1 segretario generale del MLN, Baumel, ci guard 6 sbalordito: «Si, disse, ricordo di aver spedito inviti a questa conferenza internazionale
che saremmo stati lieti di riunire. Ma prima
del vostro arrivo inatteso di questa mattina,
nessuno aveva risposto. E non ci si era più
pensato. Dovete comprendere che in
giorni, le iniziative senza seguito abbondano». Accorgendosi che accoglievamo piuttosto male la sua noncuranza, aggiunse: «Ditemi, cari amici, che cosa possiamo fare per voi
in queste spiacevoli circostanze, il MLN può
aiutarvi». Le parole di Baumel significavano
con ogni evidenza che il MLN avrebbe potuto farci nuovamente varcare senza difficoltà
le frontiere della Svizzera o dell'Italia. Personalmente fremevo di rabbia imwotente e non
sapevo che cosa rispondere, ma Ursula decise
d'interpretare diversamente l'offerta di Baume1 al quale propose di non lasciar cadere I'idea della Conferenza. Giacché il MLN era
disposto ad aiutarci, avremmo organizzato
noi due, con il suo aiuto, la progettata
riunione.
Sollevato. Baumel dichiarò che l'intero
MLN era a nostra disposizione, e questa era
un'offerta da apprezzarsi giacché esso occupava allora un intero palazzo della rue des Pyramides.
Sbalordito, guardavo Ursula, chiedendomi
in quale pasticcio ci aveva messi. Avevo immaginato l'avvenire dell'Europa, ma conservavo le timidezze di un uomo vissuto al di
fuori della società normale tra i 20 e i 36 anni. E non conoscevo questa immensa città in
cui avremmo dovuto metterci al lavoro. Ma
Ursula era tranquilla, sicura di sé, delle sue
COMUNI D'EUROPA
capacità animatrici ed organizzative, della
sua tenacia, della sua antica conoscenza di
Parigi.
Da un ufficio della rue des Pyramides,
prendemmo contatto con quelli di «Combat»
e di «Esprit», con intellettuali inglesi di sinistra incontrati nell'armata britannica a Parigi, con alcuni emigrati tedeschi ed italiani che
avevano combattuto nella Resistenza francese; e due o tre mesi dopo, all'inizio del 1945,
con grande meraviglia dei nostri amici parigini, la Conferenza ebbe luogo e fu un vero successo. Camus, Mounier, Orwell, André Philip, e molti altri vi parteciparono.
Rientrati in Italia. Ursula dovette dedicarsi per due o tre anni al pesante compito di organizzare, nella Roma affamata del dopo
guerra, cominciando dal nulla, la casa e la vita
familiare, mentre io cercavo invano, nella politica italiana, un posto atto a consentirmi di
condurre la battaglia europea.
Nel 1948, ripresi la direzione italiana del
MFE di cui mi ero praticamente disinteressato sin dalla sua fondazione, e vi rimasi fino all'inizio degli anni 60, partecipando anche all'azione federalista a livello europeo. In tutto
questo periodo, Ursula fu la mia principale
collaboratrice e divenne la segretaria della sezione romana del movimento.
Nel 1965, fondai a Roma l'Istituto degli
Affari Internazionali. Una volta ancora. Ursula fu presente per organizzare gli uffici, gli
incontri, le conferenze.
Allorché nel 1970 venni nominato Commissario della Comunità Europèa, fui, per la
prima volta, costretto a rinunziare alla sua
collaborazione così efficace. Ne soffrimmo
molto tutti e due.
La sua curiosità intellettuale e wolitica sempre sveglia fu attratta dall'esplosione del movimento femminista, di cui sentì l'importanza per lo sviluppo della democrazia. Ella riteneva che impegnandosi a fondo nella politica,
tale movimento avrebbe potuto promuovere
riforme profonde nella società.
Auspicava soprattutto di vederlo cogliere
le possibilità che gli venivano offerte in quella grande creazione politica in corso che era
la costruzione delllEurowa. E si accinse con la
sua abituale energia a persuadere, riunire
donne. intorno a sé. Così nacque «Donne per
l'Europa». Convinta che un movimento di
idee poteva affermarsi solo con l'azione, lanciò il piccolo gruppo in una serie d'iniziative:
colloqui, appello alle donne inglesi in occasione del referendum, incontro con Tindemans
nelle sue consultazioni preliminari alla redazione della sua relazione all'unione politica,
manifestazione accompagnata da scritte dinanzi al Consiglio della CEE in occasione di
una direttiva s i i diritti delle donne.
La sua mente era piena di progetti ambiziosi allorché. nel dicembre 1975. fu colwita
da una grave emorragia cerebrale che le tolse
a lungo l'uso del linguaggio parlato e scritto.
Lentamente, con quella sua solita tenacia,
riprese progressivamente possesso delle sue
facoltà di comunicazione.
Non appena potè ricominciare ad esprimersi, mi parlò di «Donne per l'Europa» e
delle amiche che vi avevano collaborato.
E pur non potendo collaborare alla rèdazione di questo opuscolo, ne ha seguito con
interesse e attenzione la redazione.
M
Lettera immaginaria
(segue du pag. 12)
suo vero Parlamento, una sua vera Corte di
Giustizia indipendenti dai Governi nazionali
e con una loro legittimazione autonoma.
Dissenso ancora più grave: per me l'unità
europea è - lo dirò ancora con Spinelli «un imperativo di civiltà»; per Lei è un liberismo economico che ammette solo controlli e
disciplina nazionali, ma che a livello europeo
è sinonimo di anarchia.
Una quarantina di anni fa uno storico della
filosofia francese, Aimé Patri, aveva trovato,
in una sua recensione apparsa in «Monde
Nouveau», una definizione tanto spiritosa
quanto calzante dell'essenza del cristianesimo secondo Feuerbach, ipostatizzazione, per
quest'ultimo, dei supremi ideali etici dell'umanità. Dio, secondo il filosofo tedesco diceva Patri - è l'uomo stesso, «commettant
la gigantesque erreur de se prende pour quelqu'un d'autre».
Ecco, anche uno di noi due, prendendosi
per europeista, commette un errore quasi altrettanto gigantesco. Quale dei due.. . Dibs
epi gozinasi keitai, diceva Omero dell'avvenire.
Chi vorrà decidere chi è il vero europeista,
Lei o io, dovrà tener conto che:
- io sto col Suo conterraneo Roland L.
Watts, il quale ha scritto, nel suo volume Regionalism and Supranationalism, a cura di D.
Cameron (Policy Studies Institute, Londra,
1981): «In the search for the middle ground
that would permit the mutua1 accommodation of pressures for unity and diversity, the
federa1 form of organization, in spite of its
complexities and rigidities, appears to provide a dynamic politica1 technique that permits
perhaps the closest politica1 approximation to
contemporary reality;» Lei invece, ed i Suoi
accoliti, ritenete che di tale dynamic political
technique si possa, e anzi si debba fare, a livello europeo (ma non a livello nazionale),interamente a meno.
La sola cosa che non si capisce - o si capisce troppo bene - è proprio quella: perché
non proponete che lo Stato debba esser
smantellato anche a livello nazionale, e poi
regionale, e così via, fino a un ritorno al belb m omnium contra omnes? E lo stesso per
tutte le monete anche al di sotto del livello
nazionale, fino ad un ritorno al baratto?
Mistero di un «Manifesto» che su questo
punto - decisivo - si è scordato di manifestarci la cosa più importante: a che punto bisogna fermarsi, e perché? Come mai, per quali ragioni economiche - perché voi non parlate che di quelle - ciò che va bene in America va male in Europa?
Anche De Gaulle affermava di voler la «vera» Europa: cioè nessuna: solo la grandeur
francese. Col risultato ... che abbiamo ora la
Grande Germania.. .
Analogamente, con la vostra «vera» Europa, anche in futuro, in casi come quelli del
«Golfo», le castagne dal fuoco continueranno
a levarcele gli Americani (se vorranno ancora
renderci questo grazioso favore), con gli Europei a far da prezzemolo.
M
GENNAIO 1991
L'ombra di Metternich
(segue da pag. 2)
nefasta, se vuole esserne una alternativa. Se
l'intesa avviene esclusivamente fra gli Stati
(si, piu o meno è il confederalismo stabile),
chi è in disaccordo o lascia l'intesa o si sottopone al giudizio degli altri, senza possibilità
di modificarlo risalendo alle sue origini (si
tratta, nel nostro caso, di intesa fra democrazie: quindi le «origini» sono i mandati popolari che hanno determinato i governi antagonisti). Se al contrario l'intesa si sviluppa nell'ambito di una democrazia sovranazionale
(federalismo), accanto alla espressione autonoma dell'orientamento di ciascuna nazione
ci sarà l'espressione comune dei popoli di tutti gli Stati (nazionali) partecipanti, con la possibilità di discutere insieme sul punto di vista
di ciascuno: inoltre si spezzeranno i monoliti
rappresentati dalle rispettive «ragioni di stato» e certi tedeschi si accorderanno con italiani, francesi, spagnoli, eccetera, mentre altri si
accorderanno con altri italiani, altri francesi,
altri spagnoli, eccetera. Di fronte alle sconfitte della propria posizione si sarà indotti non
a «rompere» ma a «persuadere». L'intesa sarà
assai piu solida e credibile e, creduta, potrà
piu efficacemente contribuire alla costruzione della pace. Anche perché il metodo della
persuasione, basato sulle possibilità offerte
dalle istituzioni democratiche comuni, può
essere contagioso: è l'antidoto politico alla
cultura della guerra.
Ecco l'importanza e il ruolo del Parlamento Europeo; ecco l'importanza e il ruolo delle
elezioni europee; ecco la responsabilità dei
partiti politici nazionali, oggi così spesso nazionalizzati e corporativi. Ecco infine la nostra responsabilità di ogni giorno, la responsabilità delle comunità democratiche di base
- le autonomie territoriali -, dei varii'gruppi sociali vòlti a fini non corporativi ma all'interesse generale, ecco la responsabilità
della cultura e della scuola ... I1 federalismo
non è, o non è soltanto, un obiettivo giuridico: esso implica una autentica rivoluzione
morale, culturale, sociale. Esso implica che,
come diceva Altiero Spinelli, non lo si faccia
cadere dal cielo, cioè dai governi («ci pensano
loro! D).
Ma caliamoci a nostra volta nella realtà che
ci sovrasta immediatamente. Dopo la proclamazione dell'interdipendenza planetaria, che
resta al di sopra delle lotte ideologiche, proclamata da Gorbaciov - e che mi pare si possa considerare quel che resterà anche se Gorbaciov cade o viene inghiottito dalla reazione, che sarà conservatrice e forse reazionaria
ma non piu «profetica» - e dopo o durante
la «liberazione» del centro e dell'est europeo,
i governi della Comunità dei 12 cominciarono a insistere sull'unione europea, che sovente definivano «federale». Istituzioni europee,
governi nazionali, forze sociali democratiche
ed europeiste sembravano marciare all'unisono; l'idea di una Assemblea Costituente europea non scandalizzava piu nessuno. Poi c'è
stata la unificazione tedesca: accettata da tutti col sorriso, non potendo fare altrimenti.
Non potendo impedirla, meglio accattivarseGENNAIO 1991
la: ma il rospo era difficile da digerire. Kohl
si è affrettato ad affermare a ogni pie' sospinto, non contraddetto dall'opposizione costituzionale, che la agrande Germania» è solidamente legata al quadro europeo: espediente
tattico o lungimirante strategia di un autentico statista?
Sta di fatto che a partire da questo momento (Vertice straordinario di Dublino) si è parlato sempre piu - da parte dei governi - di
Unione politica e sempre meno di democrazia
europea. Solo il concerto delle nazioni poteva
e «può» trovare rimedio - è sembrato che
pensassero - a questo g a n d e incomodo della «grande Germania», che fa paura anche a
molti tedeschi. Anche l'avvio alla moneta
unica - con l'opposizione del Regno Unito
e mille condizioni «ritardatrici», per cui si potrebbe proiettare in un infinito domani - si
presenta molto ambiguamente: la Banca centrale europea, a parte i suoi compiti istituzionali di stabilità monetaria, dipenderà politicamente dal Direttorio europeo, cioè dall'antidemocratico concerto delle Nazioni. Più
che un passo avanti del federalismo potrebbe
essere un incontrollato e potente strumento
operativo messo in mano alla vecchia Europa:
quella che ha mostrato a proposito dei problemi del Golfo e, più in generale, del Medio
Oriente la faccia giustamente odiata da Israele e simultaneamente dagli Arabi.
Cerchiamo di spiegarci per i non addetti ai
lavori e per gli addetti ai lavori che fanno finta di non capire. È legittimo non rinunciare
a uno sfondamento sul terreno economico e
monetario: ma proprio questo campo esige
che si arrivi presto a una politica estera e a
una politica di sicurezza (non di pura difesa
ma anche di disarmo bilanciato) comuni. Naturalmente il Consiglio dei Ministri comunitario - che dovrà diventare i1 Consiglio dell'Unione o Senato degli Stati - potrà avere
in un primo tempo, nella ponderazione degli
istituti dell'unione e nel merito della politica
estera e di quella della sicurezza, un peso ancor maggiore di quello che ha il Senato degli
Stati federati nelle Federazioni autentiche:
avrà l'ultima parola, voterà con maggioranze
estremamente qualificate, potrà perfino avvalersi, in certi casi e provvisoriamente, dei
veti nazionali. Momento confederale? Lasciamo le questioni lessicali alle tesi di laurea in
giurisprudenza e in scienze politiche: la sostanza è che tutta la programmazione, la proposta anche nella politica estera e di difesa
deve partire da un unico Esecutivo comunitario, responsabile a un Parlamento sovranazionale. Niente Segretariato politico al servizio
del Direttorio delle Nazioni. I1 Direttorio o
Consiglio europeo, «costituito dai Capi di
Stato o di Governo degli Stati membri e dal
Presidente della Commissione» (ammesso,
Targa del Consiglio
d'Europa
ad Adria
Riconoscimento per l'europeismo milita~rte
Dopo la consegna della «Bandiera d'Europa», avvenuta nel lontano 1971,1'8 dicembre scorso,
alla presenza di delegazioni ufficiali delle gemellate città di Ermont (F), Lampertheim (D) e Rovini (Yu), l'on. Gunther Muller, per espresso incarico dell'Assemblea Parlamentare Europea,
ha ufficialmente consegnato alla città di Adria la «Plaquette d9Honneur»(Targa d'Onore) del
Consiglio d'Europa, «per la meritoria azione promossa in favore della diffusione dell'ideale d'Unione europea». Da sinistra nella foto: Jacques Berthod, Sindaco di Ermont, Franco Grotto,
Sindaco di Adria, Gunther Muller, Rappresentante del Consiglio d'Europa, Raffaele Guerriero,
Prefetto di Rovigo, Riccardo Monesi, Presidente della Provincia di Rovigo, Gianfranco Martini,
Segretario generale del17AICCRE
bontà loro), dovrà limitarsi, dice spiritosamente l'articolo 30 del progetto Colombo
adottato il 12 dicembre 1990 dal Parlamento
Europeo, a «stimolare» l'azione dell'unione.
Insomma non va istituzionalizzato, come si
dice.
E allora che facciamo, ci domanderà il pover'uomo europeo? e se lo domandano anche
tutte le organizzazioni della «forza federalista», di cui - in maniera un po' anomala anche il CCRE fa parte.
Ebbene, non farà male a nessuno se diamo,
pubblicamente (ma i mass media ci ignorano),
buoni consigli ai governi. Scherzi a parte, ci
sono uomini d i Stato, ministri e alti burocrati
che ci ascoltano; coi quali è possibile dialogare fruttuosamente. Ma, per carità, non lasciamoci condizionare dal ruolo d i mosche cocchiere: «questo non lo possiamo chiedere,
tanto i governi non lo attuerebbero e il nostro
dialogo si interromperebbe». Dobbiamo ricordarci severamente, invece, che, di fronte
all'Europa intergovernativa, noi siamo pur
sempre l'«opposizione europea»: un'opposizione costruttiva, che tuttavia esige l'avvento
d i una democrazia sovranazionale.
Quindi la nostra prima incombenza è la difesa e l'incoraggiamento del Parlamento Europeo. La Conferenza intergovernativa sull'Unione politica fingerà di ignorare quel che
ha fatto la commissione istituzionale del Parlamento Europeo, il rilevante progetto Colombo d i Costituzione europea verrà considerato come un «importante pezzo d i carta»: e
invece per noi e di fronte ai governi è più importante quel che propone l'Assemblea europea che quello che deciderà una conferenza d i
lorsignori. Bisogna appoggiare efficacemente,
dunque, gli Intergruppi federalisti del Parlamento Europeo e dei Parlamenti nazionali: il
piano di creare una frizione tra Parlamento
Europeo e i Parlamenti nazionali attraverso
le Assise europee è fallito. Ebbene, la nostra
battaglia è d i rivalutare l'istituto parlamentare e attaccare il monopolio degli Esecutivi:
noi non vogliamo l'Europa degli Esecutivi,
ma l'Europa dei popoli. Anche nei nostri partiti, nei partiti democratici abbiamo il dovere
d i agire: essi non possono dedicare tutta la loro attenzione al governo nazionale o al compito di opposizione d i Sua Maestà, ma debbono occuparsi della valorizzazione dell'istituto
parlamentare a tutti i livelli, quindi a quello
europeo. Viceversa i parlamentari europei sono mal visti, come incontrollabili: se sono
troppo bravi, vengono penalizzati, non ripresentati, si permette che siano trombati alle
successive elezioni europee; non sono valoriz-
zati abbastanza nella vita interna dei partiti,
sono abbandonati e ignorati nei loro «immensi» collegi.
Dal 1964 il CCRE si batte per la formazione di un «fronte democratico europeo». Uno
dei meriti dei Trattati di Roma non è l'aver
costruito le solide premesse per una Federazione europea, ma l'aver «fatto sentire», proprio con le loro carenze, con l'insufficienze
dell'Europa dei mercanti, la mancanza di una
Unione politica, democratica e federale. Oggi
non solo una parte elitaria della società europea, ma la sua base constata con turbamento
che una Unione democratica europea sarebbe
necessaria, ma qualcosa o qualcuno la impedisce o la ritarda all'infinito. Su questo convincimento, insieme agli altri movimenti europeisti e federalisti, il CCRE - ispirandosi
anche al suo Manifesto di Bordeaux (1987)
- ha lanciato l'idea di un Convenzione per
l'Unione democratica europea: questa si è
riunita per la prima volta a Roma il 14 dicembre, in corrispondenza al Vertice finale del
semestre d i presidenza italiana della Comunità europea. È un primo atto: ma la Convenzione dovrà diventare stabile, ripetersi periodicamente, organizzarsi, ampliarsi e ottenere
un appoggio sempre più concreto da parte degli aderenti, i sindacati europei, i produttori,
le donne che lottano per la parità, i giovani,
gli ambientalisti, i movimenti contro il razzismo, le università e tutta la scuola. Questo il
nostro campo precipuo di lavoro, naturalmente cominciando dalle comunità democratiche di base, consapevoli che la democrazia
deve avanzare simultaneamente in alto e in
basso: i governi arroccati nelle capitali sono i
loro avversari come lo sono dei federalisti
europei.
Niente succederà automaticamente: gli uomini e le donne, se lo vogliono, saranno ancora una volta àrbitri del loro destino. Un tempo correva una brutta espressione: l'Europa è
un buon affare. L'Europa è ben altro. L'Europa è l'occasione che ci offre la storia e noi
dobbiamo respingere, con sdegno e lottando,
che ci si contenti, dopo due guerre mondiali,
anni d i fascismo e di nazismo, l'Olocausto,
imperialismo e colonialismo a sazietà, d i un
coacervo di interessi costituiti, p i d a t o da un
gruppo d i Esecutivi nazionali che si accorderanno sulle nostre teste. Oltretutto una Unione europea, le cui decisioni supreme spettassero al Consiglio europeo - cioè, lo ripetiamo, al Vertice dei Capi di Stato o di Governo
- presenterebbe due possibilità: o decidere
all'unanimità - e allora sarebbe la stasi o il
compromesso sotto il segno dell'omertà (se tu
mensile dell'AICCRE
Direttore responsabile: Umberto Serafini
Condirettore: Giancarlo Piombino
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Direzione e redazione: Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma
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Questo numero è stato finito di stampare il 28/2/1991
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COMUNI D'EUROPA
mi chiudi un occhio per questo, io ti lascio fare quest'altro) - oppure decidere a maggioranza - e allora i soccombenti non avrebbero prova d'appello, perché ogni decisione sarebbe presa in base al mandato di elettorati
che si ignorano, che non hanno fra di loro alcun dialogo istituzionale -. I1 «fronte democratico europeo» deve dire «no» a questa
aberrazione, che può essere escogitata solo
d d a mediocrità di governi indegni di governare.
Le elezioni europee del 1994 già si avvicinano, l'Europa del business, del mercato unico, potrebbe essere una realtà ancora prima:
cosa fanno i partiti? Cosa fanno i mass media
servi del Palazzo o dell'Antipalazzo, ma cod
lontani dalla società europea? Si piange su
episodi, gravi, di razzismo, d i localismo separatista, di distacco popolare dalla politica:
diamo un obiettivo concreto ed esaltante alla
nostra gente, un obiettivo per cui la gente sarà in maggioranza, in larga maggioranza disposta a combattere, l'obiettivo degli Stati
Uniti democratici d'Europa, aperti a chi vuole rispettare un patto federale e impegnati a
costruire gli Stati Uniti del Mondo. Lo diceva già Carlo Rosselli poco dopo che Hitler era
salito al potere. La politica, amici miei, muore d i mediocrità, di viltà, di attaccamento a
vecchi cadreghini, d i giovani nati vecchi e d i
vecchi che non sono mai stati giovani, e anche d i paura: la terribile paura del salto nel
buio. Invece di apprezzare Rambo cerchiamo
di innamorarci del rischio della democrazia.
Che poi è il rischio d i considerare tutti gli uomini come fratelli, degni di essere ascoltati e
aiutati: il rischio di essere civili fino in fondo.
m
Un dovere
Abbonarsi a «Comuni d'Europa» è
un dovere individuale per tutti gli amici
e i colleghi. Per gli Enti è un dovere
abbonare tutti i loro consiglieri eletti.
Da questi impegni, in realtà, si verifica la coerenza dell'impegno europeo
e federalista: questo impegno «Comuni d'Europa», che si stampa col '91 da
39 anni, lo merita. Lo meritano la sua
capacità di informare, la spregiudicatezza dei suoi giudizi, la cultura dei suoi
collaboratori, la sua coerenza federalista.
Una copia L. 3.000 (arretrata L. 5.000)
I versamenti devono essere effettuati: 1) sul c/c bancario n. 300.008 intestato:
AICCRE c/o Istituto bancario San Paolo di Torino, sede a Roma, Via deUa
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2) sul c.c.p. n. 38276002 intestato a "Comuni d'Europan,piazzadiTrevi, 86 - 00187 Roma;
3 ) a mezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a: AICCRE, specificando la causale del versamento.
Aut. Trib. di Roma n. 4696 dell'll-6-1955.
Tip. Della Valle F. via Spoleto, 1 Roma
Fotocomposizione: G r a ~ h i cArt 6 S.r.l., Via del Caravaggio 107 - Roma
Associato all'USP1 - Unione Stampa periodica italiana
GENNAIO 1991
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Anno XXXIX Numero 1 - renatoserafini.org