L’ARBORE DELLA CARITÀ RIVISTA DELL’UNIONE S. CATERINA DA SIENA DELLE MISSIONARIE DELLA SCUOLA A. LX N. 1 POSTE ITALIANE S.p.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB ROMA 2009 Rubrica « L’ARBORE DELLA CARITÀ » RIVISTA DELL’UNIONE SANTA CATERINA DA SIENA DELLE MISSIONARIE DELLA SCUOLA 00178 Roma — Via Appia Antica, 226 Tel. 06.784.411 — Fax 06.784.411.24 — e-mail: [email protected] Conto Corr. post. 59379008 - POSTE ITALIANE SpA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB ROMA A. LX N. 1 2009 SOMMARIO EDITORIALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 EDUCARE AL SENSO DEL LAVORO C. BROGGI – Il senso umano e cristiano del lavoro negli scritti di Luigia Tincani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 G. P. VENTURI – Senso del lavoro, senso della vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 VOCI DALLA MISSIONE S. MARCZAC – Chi manderò e chi andrà per me? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11 N. JORIO – Dall’Oriente un richiamo senza fine ... . . . . . . . . . . . . . . . . . .14 VITA DI FAMIGLIA N. J. – Anna Cappella: una vita dedicata alla promozione della vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18 NOTIZIE IN BREVE In arrivo dal Pakistan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .25 In partenza verso l’India . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .25 EVENTI C. BROGGI N. JORIO REDAZIONE G. DALLA TORRE REDAZIONE ARBORE GIOVANI M. SPARACIO M. ALBERTINI E. FRANZESE A. D. – – – – – L’anno paolino con Luigia Tincani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .26 Giorgio Petrocchi: vent’anni dopo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .29 Luigia Tincani e il P. Gemelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .33 Dopo il terremoto in Abruzzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .34 Un convegno in Campidoglio nel 630° anniversario del soggiorno a Roma di s. Caterina da Siena . . . . . . . . . . . .35 – Testimonianza di Monica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .37 – Il racconto del viaggio al campo di Auschwitz. Viaggio nel dolore infinito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .38 – I giovedì culturali al Teatro Argentina . . . . . . . . . . . . . . . . . .40 – Lo studio atto di culto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .41 AMICI SCRIVONO A.M. MARTINELLI – La Via Appia vista dai visitatori polacchi . . . . . . . . . . . . . . .43 N. SAJEVA – Il numero dei piatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .45 ADOZIONI A DISTANZA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .47 CAUSA DI CANONIZZAZIONE DELLA SERVA DI DIO LUIGIA TINCANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .48 NELLA PACE DEL SIGNORE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .50 Abbonamento a L’ARBORE DELLA CARITÀ Annuale € 20 — Sostenitore € 30 — d’Amicizia € 40 Con approv. del Vicariato di Roma — Dirett. respons.: Giuseppe Dalla Torre Del Tempio di Sanguinetto Autorizz.ne del Trib. di Roma n. 1434 del 27-2-1950 e del 9-1-1967 Tipografia Domograf s.n.c. — Circ.ne Tuscolana 38 - Roma — Tel. 06.7100644 — Maggio 2009 Editoriale Educare al senso del lavoro Educare al senso del lavoro o, piuttosto, educarsi al senso del lavoro? Non sembri paradossale o addirittura provocatorio se, per sciogliere l’interrogativo, si propone di partire da una riflessione sulla povertà alla luce della dottrina cristiana. Per la quale esiste una povertà subita, che va combattuta e debellata: di qui l’enorme impegno dispiegato nei secoli dai cristiani, sul modello del Signore che, come attestano gli Atti degli Apostoli, “pertransiit benefaciendo”, passò facendo del bene. Ma esiste anche una povertà scelta che diviene via privilegiata di perfezionamento spirituale e di ascesi, secondo l’insuperabile insegnamento che ci viene dal Poverello di Assisi. Specularmente si può dire del lavoro, qualunque esso sia, intellettuale o manuale, più sofisticato o più semplice. Difatti se subìto è causa di lagrime e sangue, è fattore di alienazione e di schiavizzazione dell’uomo, è strumento di dominio e di violenza dell’uomo sull’uomo; viceversa se è voluto ed accolto diviene mezzo di realizzazione di sé, espressione del comandamento biblico fatto all’uomo – nella sua preminente dignità su ogni altro vivente – di dominare la terra, manifestazione della partecipazione di ciascuno all’opera creatrice di Dio, sorgente di gioia e di soddisfazione interiori. Dunque educare al lavoro significa condurre ogni persona a non subire ma ad accettare il lavoro, ad avere di esso una visione non afflittiva ma positiva, a sostituire alla passività la attività operosa. L’opera educativa in tal senso è meritoria sia perché fa acquisire senso e ragione di una appartenenza responsabile e solidale al consorzio umano, sia perché dà ragioni e stimoli alla crescita di questo nella direzione del bene comune. Ma è evidente che educare al senso del lavoro comporta anche un educarsi al senso del lavoro. Perché l’azione paidetica non è mai a senso unico, ma presuppone sempre la libera e positiva risposta dell’educando. Ma anche perché l’educazione al senso del lavoro non si svolge una volta per tutte, non si raggiunge mai compiutamente. Sicché, raggiunta la maturità, spetta a ciascuno di noi il rinnovare continuamente il senso positivo del nostro intervento plasmatore del creato; di ritrovare sempre, nel mutare dei contesti e nel volgere delle stagioni, l’entusiasmo necessario per contribuire a rendere la società un poco migliore rispetto a come la si è trovata. In copertina: Silvestro Lega, L’educazione al lavoro, olio su tela, 1863 –3– Educare al senso del lavoro Il senso umano e cristiano del lavoro negli scritti di Luigia Tincani “Il lavoro è sempre intenso e non sono sempre capace di far tutto e in tempo e questa lotta ad oltranza tra tempo e desideri, tra possibilità e lavoro è la pena di tutti i giorni. Speriamo che serva anche questa a farci essere umili pazienti benevoli, cioè a santificarci”. Così scrive Luigia Tincani nell’aprile del 1962. Lavorava molto, sempre, il tempo non le bastava. Non c’è rammarico nelle sue parole. Semplicemente un dato di fatto, non le basta il tempo per tutto quello che deve fare, ma da ciò verrà un bene grande, la santificazione. Non troviamo negli scritti della Tincani una sistematica trattazione sul lavoro, ma ci imbattiamo in parole sapienti, dettate dallo Spirito e impreziosite dall’esperienza personale, che danno al lavoro il senso cristiano e il genuino significato umano. A lei interessa la persona che svolge il lavoro, lavoro che la coinvolge tutta con i suoi desideri; che misura e regola le relazioni con gli altri, che è creatività, fonte di successo e di insuccesso. Animata da una grande fede, vede nel lavoro la gioiosa collaborazione all’opera creatrice di Dio, e la fatica del lavoro diventa sofferta partecipazione all’opera redentrice di Gesù Crocifisso. E’ interessante accostare le affermazioni della Tincani all’enciclica Laborem exercens che sembra confermare le sue intuizioni sul lavoro. mette gli uni accanto agli altri, dipendenti gli uni dagli altri con la nostra attività. Tale consapevolezza di partecipare all’opera creativa del Padre diventa un movente della propria attività, fa amare il lavoro, fa lavorare bene, con ordine, fa crescere, sviluppa le capacità della persona, rende veramente efficienti e utili agli altri. Scrive la Tincani: “Se vogliamo riflettere in noi stesse l’ordine che il Creatore ha impresso in tutto l’universo, ognuna di noi deve dirsi: se voglio stare nella volontà di Dio, devo vedermi come mi vede Dio, come Dio mi ha posto nel mondo. Sono una creatura chiamata alla nobiltà di essere strumento della volontà divina per il bene universale”(1934). Esorta le sorelle a essere contente del lavoro, ad amarlo: “Bisogna che impariamo ad amare il nostro lavoro, a farlo bene, a volerlo fare sempre meglio con fervore di intelligenza e di cuore, per poterlo offrire a Dio più bello e più buono anche agli occhi degli uomini e nel suo valore pratico”(1927). “Dobbiamo amare veramente il nostro lavoro qualunque esso sia, saper sentire i buoni entusiasmi per le cose belle e buone, anche naturali; non diventare un’anima fredda e indifferente di fronte a ciò che interessa e entusiasma giustamente gli altri: arte, scienza, patria, debbono dire qualche cosa e commuovere”(1927). “E’ un dovere quello di fare meglio che si può il proprio dovere”(1936). Se siamo contenti di collaborare con il Creatore per il bene di tutti dob- La gioia del lavoro Il lavoro è alacre, umile, gioiosa risposta all’invito del Creatore che ci comanda di governare il mondo e ci –4– Educare al senso del lavoro biamo essere attenti e concreti nella nostra attività: “Il nostro lavoro deve sempre essere vivo e se è vivo deve sempre essere presente dinanzi a noi”(1942). L’ottimismo fondato sulla fede toglie pesantezza al nostro operare, gli dà il significato che esso ha agli occhi di Dio, ci rende disinvolti, padroni delle situazioni: “Il dovere va preso come è: bisogna sapervi vedere sempre il lato migliore e dimenticare l’altro per utilizzare al massimo questo. Non perdiamoci troppo a enumerare e lamentare i pericoli e le miseriuole in cui possiamo inciampare, ma guardiamo al meglio e al sommo, e ringraziamo Dio di questo”(1928). sione per irrobustirsi spiritualmente, come scrive a una giovanissima compagna di università, alle prese con le prime esperienze di lavoro nella scuola: “Un lamento giustificato ti usciva dal cuore alla fine della tua lettera: «che brutta cosa dover pensare al proprio pane e dover sacrificare per questo tanti buoni desideri!»… bisogna fare di necessità virtù e santificarsi così, animando questi sacrifici da un vero spirito di povertà e di rinuncia. Per un’anima veramente fondata nella virtù e salda nell’unione con Dio, anche la lotta per il pane quotidiano non sarebbe un impedimento, ma un mezzo di ascesa”(1923). Ma c’è qualcosa di più, c’è la partecipazione al mistero pasquale di croce e resurrezione: “Nel lavoro umano – leggiamo nella Laborem exercens - il cristiano ritrova una piccola parte della croce di Cristo e l’accetta nello stesso spirito di redenzione, nel quale il Cristo ha accettato per noi la sua croce”(n. 27). In una lettera alle sue Missionarie la Tincani scrive alla luce della fede: “Dobbiamo amare la croce perché sulla croce è confitto il nostro Sposo e Signore Gesù e solo sulla croce potremo unirci e identificarci a Lui. La nostra croce quotidiana è la croce del lavoro. Il lavoro deve quindi essere la legge austera della nostra vita”(1941). Il lavoro è penitenza vera e fonte di meriti. Scrive in altra occasione: “Buona Quaresima! Che la fatica e ogni altra pena del tuo lavoro siano offerte con amore in riparazione e in omaggio di lode a Dio, per la sua gloria, e per l’acquisto di meriti a vantaggio delle anime che tu avvicini”(1955). La fatica del lavoro In una spiritualità dell’incarnazione quale Madre Tincani ce la propone, in un’ascetica fondata sulla realtà della vita quotidiana e inserita nella condivisione con il vissuto di un’umanità sofferente, il lavoro con le fatiche che lo accompagnano diventa occasione di crescita nell’attuazione della volontà di Dio. In tale ottica “il lavoro è mezzo di perfezione, perché è fatica, è sacrificio, è, soprattutto, rinunzia di sé e dono di sé; è cammino verso l’unione con Dio e verso la carità perfetta, perché, nella visione e nel contatto col male del mondo, ci distacca sempre più dalle cose terrene e ci libera dall’amore naturale delle creature e di noi stesse, perché, nel continuo sacrificio e nel continuo rinnegamento di sé, alimenta in noi il fuoco della perfetta carità” (1955). Il lavoro che porta con sé necessariamente il sudore e la fatica è l’occa- –5– Educare al senso del lavoro Come lavorare menti, e la calma serena anche di fronte ai più gravi inconvenienti e fatiche, che dovrebbe essere la caratteristica di un cristiano, sparisce; interviene l’agitazione, l’affanno, la facilità ai turbamenti, allo scoraggiamento o all’eccessivo compiacimento e godimento del buon successo. E’ un grosso sbaglio quello di correre dietro alla quantità del lavoro”(1943). Non è da tutti rispettare il tempo di lavoro e dargli un ordine, eppure è la strada verso l’acquisto della prudenza: “Il buon uso del tempo è una gran bella virtù, preziosissima per tutti. Presi come siamo dal lavoro esterno, siamo sempre nel pericolo di perdere la saggia misura nella distribuzione delle nostre occupazioni: arte e prudenza sono necessarie per riuscire a far tutto e tutto bene”(1927). Troppo lavoro no, neanche sotto pretesto di ascesi: è un insegnamento importante oggi per mantenere il contatto con la realtà e reagire alle sollecitazioni di una vita virtuale inculcata dalle odierne tecnologie: “Uno dei punti intorno al quale bisogna addestrarsi a trovare sempre il giusto mezzo è la quantità del lavoro. Attenta dunque a saper stare nei limiti, e a non presumere delle proprie forze… occorre difendersi dall’eccesso di lavoro”(1956). Sapiente è la sottolineatura sul come lavorare con gli altri quando si ha una responsabilità e si rischia di incombere su di loro per ottenere un miglior rendimento: “Facciano il loro compito con piena libertà e autonomia e responsabilità e il lavoro procederà più svelto, più ordinato e con meno errori. Penseranno a rivolgersi alla responsabi- “L’uomo lavorando deve imitare Dio, suo Creatore, perché porta in sé egli solo - il singolare elemento della somiglianza con lui. L’uomo deve imitare Dio sia lavorando come pure riposando, dato che Dio stesso ha voluto presentargli la propria opera creatrice sotto la forma del lavoro e del riposo”(n. 25), ammonisce Giovanni Paolo II. La Tincani sa che se il lavoro deve aiutare l’uomo a vivere la sua vocazione, a essere di aiuto ai fratelli, a divenire partecipe del mistero pasquale, ha bisogno di essere saggiamente regolato. E qui c’è la sua originalità, la sapiente prudenza a tutti nota. Essa ritorna spesso sul saper riposare e nell’epistolario ripete l’invito severo a dormire le giuste ore di sonno, con energia richiama ai momenti di distensione; a una sorella particolarmente affaticata scrive: “Col tuo gran lavoro, di cui non puoi tenere le redini in mano tu, il buon uso degli intervalli è cosa preziosa! “(1954). Il lavoro amato in maniera sbagliata diventa infatti il padrone delle nostre esistenze: “Amare troppo il lavoro, godere del lavoro per il lavoro è la corruzione dell’ottimo e voi conoscete il detto antico: Corruptio optimi, pessima. …è bene sentire il sacrificio e le difficoltà per non buttarci ad esso seguendo la natura”(1936). Così inteso, “il lavoro diventa il padrone e fa sentire tutto il suo peso; a poco a poco prende tutto il posto nell’anima: si prende la mente e il ritorno a Dio nell’orazione non riesce più; si prende tutta la volontà e tutti i senti- –6– Educare al senso del lavoro le quando sentiranno il bisogno di consultare la sua esperienza, e lo faranno più frequentemente e più facilmente se l’autorità non incomberà sempre con inesorabile immanenza su tutta la loro attività”(1952). Le espressioni più felici della Tincani sulla misura nel lavoro sono a proposito del suo timore che il troppo lavoro tolga alla donna, sposa o consacrata, la peculiarità del suo esistere: “Qualunque professione o ufficio, come qualunque mestiere o lavoro, che allontani totalmente e sistematicamente la donna dalla famiglia, impedendole l’adempimento di questo fondamentale compito nella vita civile, non è un bene e va contro l’ordine provvidenziale della società umana”(1934). Nella Laborem exercens, culmine di una riflessione secolare della Chiesa sul lavoro della donna, leggiamo: “La vera promozione della donna esige che il lavoro sia strutturato in tal modo che essa non debba pagare la sua promozione con l’abbandono della propria specificità e a danno della famiglia, nella quale ha come madre un ruolo insostituibile” (n. 19). Parlando alle sue Missionarie dirà: “Non è giusto che i doveri verso lo Sposo divino siano soffocati tra le molte ore di lavoro. E’ un diritto e un dovere poter riposare, come Maria Maddalena, ai piedi di Gesù. Gesù ha preferito l’otium di Maria, che gli dava tutto il suo essere, raccolta ai suoi Piedi. Noi, con la nostra speciale vocazione, siamo sempre in pericolo di calpestare i diritti di Dio e nostri, sopraffatte, con la più retta intenzione, dalle attività del nostro apostolato professionale! Siamo quasi tutte in queste condizioni! Le circostanze ci vincono, e Gesù può chiederci :’Sei o non sei la mia Sposa? O sei solo una che vuole servirmi col lavoro?’Le circostanze sono prepotenti, ed è difficile difendersene!” (1964). Il lavoro della Missionaria sarà sempre molto e spesso incalzante. Condividendo le difficoltà delle sorelle, la Tincani si domanda: “Ma come accordare la vita interiore con una intensa attività di lavoro e di studio, quale la nostra vocazione ci impone”( 1950). C’è il modo di salvarsi: “Hai bisogno di essere così immersa in Dio che, quando sei tutta presa dal lavoro, niente ti possa allontanare da Lui e da te irradi invece la luce della carità cristiana. Bonus odor Christi, motivo vivente di credibilità!”( 1954). E quando, a ottant’anni, l’esperienza e la grazia dello Spirito l’avranno arricchita di sapienza, pur continuando a lavorare con alacrità, potrà rivelare la sua libertà interiore: “Solo con la pratica fedele e costante della preghiera umile e fiduciosa, che accompagni il nostro operare; solo con la pratica fervente e costante della orazione contemplativa, che mantenga il nostro spirito al di sopra delle cose terrene, libero dalle contingenze della vita di ogni giorno, potremo perdere noi stesse e vivere nella serena pace dell’anima che è tutta di Dio” (1970). CESARINA BROGGI –7– Educare al senso del lavoro Senso del lavoro, senso della vita è certo un elemento di realizzazione di sè – in quanto elemento di carriera, specie per la parte femminile; è valutato in base alla risposta finanziaria; è qualsiasi modo di accrescere le proprie entrate, e soddisfare cosi meglio le proprie esigenze; quindi, anche modalità discutibili, in teoria (come prostituirsi, per le studentesse universitarie, dicono le statistiche); è valido a questo fine. Certo, Dio poteva bene pensare meglio il mondo, piuttosto che affliggerci con queste necessità – il lavoro, intendo; ma anche lo strumento che vi si collega, il denaro. Chi abbia consuetudine con il magistero, e in particolare con quello sociale, sa che l’errore parte dall’inizio, dall’idea che il lavoro sia una attività inevitabile per campare, ma non intrinseca all’uomo, La lunga storia del lavoro non facilita la comprensione, sia perché se ne sbaglia facilmente la lettura, sia, più semplicemente perché, per più motivi concorrenti, generazione dopo generazione, è una storia di sofferenze e di delusioni. Si è dovuto arrivare, nei nostri Paesi, all’invenzione comunitaria europea perché il mondo contadino uscisse dal tunnel nel quale si trovava da secoli – per non dire da millenni. Si è dovuto arrivare ad un ulteriore livello tecnologico, perché la tendenza, apparentemente inarrestabile, della classe “operaia” (delle fabbriche) cambiasse, e altri settori del mondo del lavoro (es. l’informatica e telematica) avanzassero prepotentemente. A questo punto viene il difficile, sia a livello di comprensione, sia a livello di accettazione. I due aspetti vanno E’ antica tradizione, anche pedagogica, che lavoro sia l’attività che dà luogo a compenso, gioco, quella gratuita. Sarebbe divertente enumerare i casi nei quali questa interpretazione dà luogo a effetti quanto meno curiosi: i giocatori, pagati, e come! O il fine settimana così impegnativo, tra i propri hobby e i viaggi fuori città, e così via. Per non parlare della alternativa fra l’andare bene a scuola e l’andare a lavorare – fatto ormai quasi solo di valore storico. Ma forse è meglio richiamare l’attenzione sul fatto che, in questa interpretazione, il lavoro è semplicemente un male, e stare bene equivale a non dovere fare nulla, passare la giornata in ozio, con espressione moderna, essere liberi, volersi bene, ecc.; il che, è certo il modo di sentire dei più; quindi, può essere interessante considerare quanto, in questa impostazione, la vita del “buon selvaggio”, magari nella foresta amazzonica, sia vista un po’ come quella dei progenitori nel Paradiso terrestre; qualcuno direbbe: era il primo campo nudista…l’antenato dei concerti rock… Però…, sempre nel sentire contemporaneo, una vita incompleta, perché non le si accompagnava la disponibilità di tutti i beni, prima di tutto tecnologici, raggiunti dalla società attuale, dei quali, come fare a meno? L’auto, il telefono,l’ipod,il video,il computer, Internet, i luoghi di intrattenimento, il tabacco, gli alcolici… Trovare un lavoro, per le nuove generazioni, si identifica sempre più come l’unico mezzo per soddisfare queste esigenze – viaggi compresi; il lavoro –8– Educare al senso del lavoro insieme. Come è noto ( si fa per dire), il Cristianesimo incentra la sua attenzione su una persona, che fa da realizzazione visibile ad una Persona, così che ogni uomo possa riconoscersi e realizzarsi come persona. Certo, tutto questo si traduce in concetti, in contenuti, in progetti; ma è prima di tutto, potremmo dire, osservazione, apprendimento, ripetizione. Come il bambino impara a leggere, scrivere, a comportarsi per imitazione, così il “cristiano” impara a vivere, valutare, decidere, realizzare, per imitazione del Cristo; che, in quanto “Dio fatto uomo”, è il “metro” dello stesso essere dell’uomo, che è appunto “fatto a immagine e somiglianza di Dio”. Ora, è evidente che tutta la vita del Cristo è stata “servizio”; d’altra parte, anche la creazione lo è stata. Cristo ha lavorato, per di più in un’azienda familiare; nella quale, è da supporre, tutto il guadagno era messo in comune; poi, ha cambiato lavoro, e si è messo interamente al servizio – degli altri. Perché anche la seconda parte della sua vita è “lavoro”. Quindi, lavoro non è una attività pagata; non è incentrata su di sé; non è mezzo per fare carriera. E’ attuazione di sè, sì ma come vocazione, come mezzo di contribuire al bene di tutti, in possibile reciprocità. Il monachesimo occidentale, sviluppando queste idee, ha realizzato tutta la storia che sappiamo, e questa, a sua volta, ha “contagiato” costantemente la società di ogni tempo. Il monaco non smette di realizzare le proprie caratteristiche; ma rinuncia preliminarmente alla dimensione individualistica:la rinuncia, consente poi la fruizione, nello scambio reciproco. Un concetto così forte, ma, insieme, così operativo, da stare alla base della fondazione del sistema comunitario di Schuman, De Gasperi, Adenauer...E, che funzioni, è impossibile negarlo. Ecco perché, accanto alla fatica di capire questi concetti, sta la fatica maggiore di condividerli; non in sé – finchè lo fanno altri…; ma ponendosi in questa prospettiva. Si badi: questa impostazione non esclude il pagamento di un lavoro effettuato; ne sposta semplicemente i termini. “L’operaio è degno della sua mercede” è un imperativo per chi ha commissionato il lavoro; sta a lui dare il giusto, e, se vuole, di più. Fino a scoprire ( da Francesco di Assisi a Candia) che, non solo dare è meglio che ricevere, ma che il massimo della soddisfazione, nel lavoro – salvo il fatto…che dobbiamo campare – è nel lavorare senza nulla chiedere. G. Marcel – così poco letto, purtroppo – ha distinto, una volta per tutte (e questo concetto è arrivato ai documenti pontifici), fra “essere” e “avere”. L’essere rende veri, l’avere oggettiva, disumanizza. L’avere, predicato come obiettivo, ostacola inevitabilmente la nostra possibilità di capire il senso del lavoro. Come fare, allora, per avviare le nuove generazioni all’essere, liberandole dalla catena dell’avere? Ardua domanda, alla quale si potrebbe rispondere che, al momento, non c’è una via. Perfino i seminaristi vanno in seminario in automobile. Non si vuole più essere diversi; si vogliono fare “ le cose che fanno –9– Educare al senso del lavoro tutti”. Il fatto è che tutte le “agenzie” di formazione, su questo argomento sono un po’ assenti. La scuola, la famiglia, gli amici,i mezzi di comunicazione,le stesse associazioni e oratori… Tante belle parole, tanta retorica. Ma, chi parla veramente del senso del lavoro? Si parlerà di situazione economica e finanziaria, si finirà nella politica/partitica, bene che vada. Poi, ognuno per la sua strada. Ah, ecco perché Francesco lasciò a suo padre tutto, vestiti compresi… Ecco perché G.Bersani ha ripetuto tante volte: “Bisogna lasciarci un pezzo della propria pelle”. Eppure, una via dovremo trovarla; perché il senso del lavoro dà il senso alla vita. G. VENTURI “Non è da tutti rispettare il tempo di lavoro e dargli un ordine, eppure è la strada verso l’acquisto della prudenza: il buon uso del tempo è una gran bella virtù, preziosissima per tutti. Presi come siamo dal lavoro esterno, siamo sempre nel pericolo di perdere la saggia misura nella distribuzione delle nostre occupazioni: arte e prudenza sono necessarie per riuscire a far tutto e tutto bene. Troppo lavoro no, neanche sotto pretesto di ascesi: è un insegnamento importante oggi per mantenere il contatto con la realtà e reagire alle sollecitazioni di una vita virtuale inculcata dalle odierne tecnologie: uno dei punti intorno al quale bisogna addestrarsi a trovare sempre il giusto mezzo è la quantità del lavoro. Attenta dunque a saper stare nei limiti, e a non presumere delle proprie forze... occorre difendersi dall’eccesso di lavoro” L. Tincani (1956) – 10 – Voci dalla Missione Chi manderò e chi andrà per me (Dal libro del profeta Isaia) In molti paesi del mondo si parla oggi di “crisi di vocazioni”. Dobbiamo ricordarci, però, che ogni vocazione è opera di Dio; la Madre Tincani diceva che solo Dio può portar via dal mondo un’anima per farla essere tutta sua (30 agosto 1975). Come ha detto qualcun altro, Lui chiama sempre e non è mai in crisi; noi, uomini invece, possiamo essere in crisi con le nostre risposte, con gli ostacoli che creiamo nella vita nostra o degli altri. Ma dove sono oggi i giovani desiderosi di servire il Signore Dio con il cuore indiviso? Sono convinta che ci siano, anche se non molto “visibili”. Ed è un segno dei tempi che molti di loro usino Internet anche nella ricerca della propria vocazione. Proprio “navigando” in Internet ho trovato un sito in lingua polacca chiamato: Barca – aiuto vocazionale. Che barca? Quella del canto vocazionale tanto amato da Giovanni Paolo II. Il sito è stato creato due anni e mezzo fa da alcuni giovani laici. Una delle pioniere così ne ha presentato la nascita: Praticamente tutti siamo in tempo di discernimento vocazionale e sappiamo che chi si trova in questa condizione ha molto bisogno di preghiera, di cui ben conosciamo la forza. Perciò abbiamo deciso di unire i nostri desideri e di pregare gli uni per gli altri. Ogni giorno ci ricordiamo a vicenda con una decina di Rosario, pregando anche per gli altri giovani, nel tempo difficile del discernimento. Ogni prima domenica del mese partecipiamo alla Messa per la nostra “comunità”, per quelli che sono in ricerca e perchè le vocazioni sacerdotali e religiose siano numerose e sante; ci confessiamo almeno una volta al mese. Vorremmo anche aiutarci vicendevolmente nel discernimento vocazionale. In vista di questo eventuale aiuto, è sorto il forum di “Barca” che offre la possibilità di discutere in pubblico su vari temi legati soprattutto, ma non solo, al discernimento vocazionale. In questo periodo di due anni e mezzo vi si sono registrate mille persone (non poche solo di passaggio), tra le quali alcuni consacrati (inclusa la sottoscritta). Il forum è – in breve – uno spazio di scambio di informazioni, domande, proposte, avvisi di attività vocazionali, di presentazioni di varie forme di consacrazione, di congregazioni religiose, di testimonianze (sia positive, sia negative). Cosa emerge da queste discussioni? Anzitutto una grande sete di Dio e un grande bisogno di autenticità. Secondo quei giovani, i chiamati dovrebbero condividere maggiormente con gli altri la bellezza del dono ricevuto da Dio. Una ragazza ha scritto: Se mi ricordo bene, nei tre anni nella pastorale scolastica... e nei due anni della pastorale universitaria ho sentito poco (per non dire: niente) delle vocazioni. Della chiamata alla santità – si’. Ma non di strade concrete. Come posso pensare che un sentiero verso la santità sia apprezzabile, se i chiamati a perseguirlo ne tacciono? – 11 – Voci dalla Missione Nelle ultime settimane è stata arricchente la discussione su come dovrebbe essere una religiosa del XXI secolo. Le risposte sono state molte; eccone alcune: Simile a Cristo: umile, povera, pronta a salvare le anime a tutti i costi... sempre innamorata del Signore... autentica, convincente... un esempio per noi, come una mano tesa di aiuto, un mezzo abile nelle mani di Dio. Dovrebbe... ma d’altra parte [sappiamo] che non esistono uomini perfetti, che anche una suora è un essere umano, con le sue virtù e i suoi difetti... La suora è semplicemente una mamma che vive una maternità spirituale, e che, quindi, dovrebbe essere come tutte le mamme. E ognuno sa come esse sono. Una buona religiosa, un buon religioso sono coloro che sono fedeli a Cristo. Tutto sta qui. I ragazzi del forum si interrogano anche sulla loro responsabilità personale su questo tema. Uno ha scritto: Ho pensato che abbiamo le suore “che ci meritiamo”; la stessa cosa per i preti... Forse dobbiamo cambiare noi. Forse non preghiamo abbastanza per le vocazioni. Ognuno risponda nel proprio cuore..., e una ragazza ha aggiunto: È importante pregare tanto per le vocazioni sacerdotali e religiose, p.es. nella nostra chiesa non si prega quasi mai... È anche importante come preghiamo... Preghiamo: “Manda loro” o “Manda noi”? Perchè se ognuno prega: “Manda loro”... – rispondetevi da soli. Qualcun altro ha sospirato: Che non succeda mai che le case religiose si svuotino; sarebbe una grande tragedia per il mondo intero. Ma lo Spirito Santo agisce... Perciò alcuni di “Barca” si stanno veramente impegnando a pregare. Secondo me questo è uno degli aspetti più belli del sito. In questo momento sono 40 le persone impegnate nella pratica del rosario vivente per le vocazioni. Altri offrono un giorno di preghiera a turno per i sacerdoti e per le suore in crisi. Ed infine nel forum di “Barca” appaiono saluti e ringraziamenti di chi si è deciso a lasciare tutto per il Signore. Mi ha commosso una volta lo scambio di saluti da parte di due giovani che si sono conosciuti on line, tutti e due decisi per i domenicani: ci incontreremo in quel convento. Sono i nostri futuri fratelli. È vero: una persona nascosta dietro uno pseudonimo può scrivere qualunque cosa, vera o lontanissima dalla verità. Non conosco quei giovani, perchè non li ho mai incontrati di persona. Ma sono in contatto personale con altri che cercano di discernere la volontà di Dio per la loro vita. Sono veramente decisi di compierla, qualunque essa sia, ma chiedono al Signore la luce dello Spirito e agli altri un aiuto per la realizzazione delle loro scelte. Perchè il clima culturale e spirituale dominante nel mondo di oggi non li aiuta nè a decidersi per sempre, nè a perseverare. Per giunta i progetti delle scelte fatte per Dio incontrano non raramente un’opposizione forte – 12 – Voci dalla Missione nelle famiglie. Specie se si parla di vita religiosa. Aumenta il numero dei giovani che hanno incontrato, nella famiglia o nel loro ambiente, persone divorziate, risposate, o spretate... Alcuni di loro nella vita religiosa o matrimoniale si arrendono alla vista delle difficoltà e ripetono gli errori degli altri. Che cosa dobbiamo fare noi nel campo vocazionale? Prima di tutto vivere in pienezza la nostra vita cristiana, in conformità con le scelte iniziali: vivere da veri consacrati, sposati o sacerdoti. Vivere ogni giorno e fino alla morte con perseveranza gioiosa perchè solo essa porta frutti buoni, maturi e nutrienti per noi e per gli altri. È Dio che chiama..., perciò la Chiesa ci invita continuamente a pregare per le vocazioni. Come rispondiamo a questo appello? Preghiamo di cuore per chiedere a Dio di mandare nuovi, buoni operai nella sua messe. Ricordiamoci, nella preghiera, dei chiamati che cercano la volontà di Dio, delle loro famiglie di provenienza e dei direttori spirituali. E infine chiediamo, per noi e per gli altri, la perseveranza fino alla morte per perseguire nella strada scelta. Vocazione al bivio: quale scelta? – 13 – SABINA MARCZAK Missionaria dellaScuola (Cracovia, Polonia) Voci dalla Missione Dall’Oriente un richiamo senza fine... Da sempre l’Oriente ha esercitato un forte fascino su quanti lo hanno visitato, fascino al quale è difficile sottrarsi. Ma quando a toccare quelle terre lontane sono i missionari, coloro cioè che vi si dirigono non come meta turistica ma perchè spinti dallo spirito e dalla forza del Vangelo – “andate, ammaestrate, portate la buona novella...“(cfr. Mt 28,19-20; Mc 16,15) – allora quel richiamo diventa una passione irresistibile, quasi una forza sovrumana che dà il coraggio di osare anche l’umanamente impossibile. In una di quelle suggestive zone, nel PAKISTAN – come i nostri lettori abituali sanno - è presente e opera la nostra Famiglia religiosa fin dal lontano 1948; vi giunse, dopo un lungo periglioso viaggio per mare, con il primo drappello guidato dalla coraggiosa missionaria siciliana Carmelina Giambusso, da noi sempre considerata la fondatrice della nostra missione in Oriente. A lei la Madre Tincani aveva affiancato alcune missionarie indiane della prima ora le quali, dopo aver percorso regolare corso di studi nella Università di Roma “La Sapienza” conseguendovi lauree in Medicina, Scienze Naturali, Lettere, Matematica, Filosofia, erano ritornate come pioniere non più nella loro patria d’origine, l’India, ma nel vicino Pakistan, proprio nel momento storico in cui avveniva la Primi anni della fondazione in Pakistan: a sinistra, in primo piano, la missionaria animatrice Carmelina Giambusso – 14 – Voci dalla Missione Benedetta D’Souza, novantaquattrenne, unica superstite del generoso gruppo di indiane della prima ora, viene spesso attorniata da grandi e piccoli, perché è simbolo di una donazione di sé che non ha conosciuto limiti. scissione politica tra i due Stati. Le circostanze del momento imposero loro una non facile opzione – cittadinanza pakistana o indiana - che tutte seppero effettuare con scelta eroica, alla quale mantennero fede fino alla fine della loro esistenza. Anche il loro corpo riposa là dove per decenni hanno speso la vita, offrendo con generosità forze fisiche, capacità intellettuali, competenza, spirito di sacrificio e gioia del cuore. Di tutte loro sopravvive oggi la sola Benedetta D’Souza, sorella di grande spiritualità e cultura, per lunghi anni Preside e animatrice instancabile di scuole affollate da studenti cristiani e musulmani, molti dei quali passati poi a ricoprire posti di primo piano nelle cariche pubbliche e nella guida sociale e politica del loro Paese, avvalendosi anche della formazione e dei valori ricevuti nelle nostre scuole. La maggior parte di loro ha dimostrato negli anni grande rispetto e gratitudine verso le Sisters. Lungo i sessant’anni decorsi, le Missionarie della Scuola – pakistane, indiane, italiane, ungheresi - si sono avvicendate nella direzione delle varie scuole e nell’insegnamento, avendo – 15 – Voci dalla Missione sempre a cuore la formazione integrale della persona degli allievi, senza discriminazione tra cristiani e non cristiani, e con costante attenzione anche alla formazione delle insegnanti, affinchè a loro volta queste potessero poi tenere in alta considerazione la propria formazione umana, morale, professionale e, sempre, la formazione completa dell’alunno, con grande rispetto per la dignità del singolo. Aspetti, questi, non sempre ovvi e scontati in tutte le culture. E l’Oriente esercita ancora oggi il suo richiamo incessante: le missionarie sollecitano interscambio, comunicazione con il mondo vicino e lontano e comunione con il centro della nostra Congregazione, che si trova in Roma. Da alcuni mesi la nostra Superiora generale in carica – Livia Violoni – aspettava il momento propizio per poter effettuare il suo ennesimo viaggio in Pakistan per essere vicina alle sorelle, conoscere, consigliare, ascoltare, programmare. Ma la situazione socio-politica in atto in quella parte del globo sconsigliava ogni tentativo di viaggio. Tuttavia, non appena le nubi fosche si sono alquanto diradate, lei ha preso il coraggio con ambo le mani e si è alzata in volo verso il Pakistan, fidando soltanto nella Provvidenza che non è venuta meno. Ha trascorso colà un mese, includendovi la Settimana Santa e la Pasqua, spostandosi continuamente dall’una all’altra delle sei comunità di nostre sorelle ivi operanti, ascoltando e partecipando alla vita e alle problema- In India il numero degli alunni non si conta: quando Celestine (a Eluru) esce di casa, sa che si troverà davanti un mare di testine attente e occhi puntati su di lei... – 16 – Voci dalla Missione La Superiora Generale, Livia Violoni, con un gruppo di Missionarie a Karachi (Pak.) tiche, prendendo visione delle opere ampliate, facendo più diretta conoscenza delle giovani in formazione, incoraggiando le missionarie più anziane che portano avanti con coraggio e sacrificio la vita interna delle comunità e quella delle scuole e delle altre attività apostoliche esterne. E’ stato un intenso scambio da cuore a cuore, da anima ad anima, per far sì che il carisma resti sempre vivo e operante, secondo le finalità e le modalità volute dalla nostra Fondatrice Luigia Tincani, pur nell’adeguamento ai tempi. le problematiche che il mese trascorso in Pakistan vi ha fatto sedimentare dentro. La preghiera aiuterà ora a sciogliere gli eventuali nodi e a programmare con serenità il futuro, sempre con occhio attento ai segni dei tempi che indicano la rotta della volontà di Dio. A nome di tutta la nostra Congregazione, operante in Europa e in Asia, Le diciamo il nostro più vivo grazie per quanto fa per la nostra Famiglia religiosa e per tutti i faticosi itinerari ai quali si dedica con vera gioia missionaria. La Superiora generale ha fatto ritorno a Roma il 14 Aprile, in pieno clima pasquale, portandosi nel cuore le parole, i colori, i volti, le gioie, le ansie, N. JORIO – 17 – Vita di famiglia Anna Cappella: una vita dedicata alla promozione della vita. All’alba del 20 Aprile 2009, nella pienezza della liturgia pasquale da lei sempre intensamente amata, è ritornata alla casa del Padre la nostra consorella Anna Cappella, Missionaria della Scuola dal 1949. Ha trascorso gli ultimi due anni della sua vita nella nostra comunità di Firenze, amorosamente assistita dalle consorelle e da personale esterno di fiducia. Era nata a Fara Sabina (Rieti) il 12 Agosto 1924. Non è facile sintetizzare la sua personalità e il vasto ventaglio operativo della sua non breve esistenza. Giunse giovanissima (poco più che ventenne) nel noviziato delle Missionarie della Scuola, visibilmente ferita da profondi dolori provocati dalla seconda guerra mondiale, che le aveva strappato gli affetti più cari, provata nello spirito e nel fisico, come un fiore flagellato da una violenta bufera. Ma, come sul fiore umiliato ha la meglio il primo squarcio di cielo sereno con il primo raggio di sole, così su Anna ebbe ben presto il sopravvento l’atmosfera di serenità, di affetto che l’accolse nel nostro convento S. Domenico di Gubbio. Si sprofondava spesso nella preghiera, quasi rifugiandovisi, e si capiva che andava dolcemente raccogliendo le fila per tessere una nuova trama di vita nel presente e per il futuro. Amabile nei modi e nella parola, fu subito da tutti amata: di giorno in giorno, con decisione e senza lasciarsi tradire dalle difficoltà iniziali, andava recu- perando la piena serenità della mente e del cuore, al quale aveva dato ormai un oggetto d’amore totalmente nuovo. Amore che fu sempre davvero totale, fino alla fine della vita, e che ha poi permeato del suo sapore e colore tutta la spiritualità di Anna e la sua intensa attività professionale e missionaria. Non a caso Anna rinunciò alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza”, alla quale era iscritta, per passare alla Facoltà di Medicina e Chirurgia: riteneva che per questa strada potesse vedere più facilmente spalancate davanti a sé le vie che l’avrebbero guidata là dove il cuore la chiamava: i più poveri, i più bisognosi, spesso i più soli; e poiché tra i soli e sofferenti volle privilegiare la vita, soprattuttto dei più piccoli e indifesi, delle mamme e delle coppie in difficoltà, scelse la specializzazione in Giovanni Paolo II stimava Anna Cappella, la ascoltava, la consigliava, la incoraggiava ... – 18 – Vita di famiglia Ostetricia e Ginecologia. Si laureò alla “Sapienza” nel 1952, con il massimo dei voti e si dedicò immediatamente alla specializzazione in Ostetricia e Ginecologia, presso la Università “La Sapienza” prima, poi in USA, avendo ottenuto un posto come residente in Ostetricia e Ginecologia presso il St. Francis Hospital ad HARTFORD (Connecticut). Qui seguì un intenso tirocinio, essendole stato subito affidato molto lavoro in ospedale, che le richiedeva il massimo di applicazione teorica e pratica, con risultati ottimali sia a livello di acquisizione di competenza professionale, sia per quanto concerneva il rapporto con pazienti, coppie, famiglie. Non fu, questo, periodo facile per la nostra Anna, che peraltro ancora non aveva una spedita conoscenza della lingua, ma il suo temperamento di studiosa molto seria, e attenta agli altri, la mise presto in condizione di superare ogni difficoltà e di poter governare e offrire, con semplicità e disponibilità totale, la propria ormai acquisita professionalità e la ricca dolce umanità. Continuava a studiare, per poter stare al passo, ma anche si raccoglieva spesso in preghiera nella Cappella dell’ospedale, per attingere la forza e il coraggio di cui sentiva bisogno per andare avanti con dedizione totale. Da Roma la Madre Tincani, Fondatrice della Congregazione cui Anna apparteneva, la seguiva e l’accompagnava con lettere frequenti, piene di stima attenzione affetto consigli, ben sapendo (poiché Anna nulla le taceva della sua esperienza colà) che la quotidianità di quella sua giovane missionaria non era esente da prove interne ed esterne alla professione medica, non ultimi i pregiudizi verso una professionista donna, e per giunta straniera; e assai spesso la concorrenza nel lavoro. La dolcezza del tratto e la competenza che andava sempre più acquisendo l’aiutarono a superare anche situazioni complesse. Altro tirocinio per lei importante fu quello svolto a Boston presso il St’Elizabeth Hospital, sebbene sia stata poi costretta a interromperlo per motivi di salute. Anna discusse brillantemente la tesi in specializzazione presso “La Sapienza” di Roma con il prof. Cattaneo. Nel Gennaio 1960 ritornò ancora in USA, dove incominciò l’anno di internato al Mary Immaculate Hospital di New York; sostenne gli esami di Stato per il Post graduale Course al New York Poly Clinic e nel 1963 fu resi- ... e la esortava a proseguire nel suo impegno per difendere la vita dei nascituri e l’unione della coppia e della famiglia. – 19 – Vita di famiglia dente in medicina al Carney Hospital di Boston Mass. Nel 1964, dopo un’esperienza di assistentato presso l’Università Cattolica del S. Cuore in Roma, partì nuovamente alla volta di New York dove lavorò un anno come medico ginecologo presso il Mary Immaculate Hospital. Nel luglio 1965 otteneva la cittadinanza americana. Sul cuore di Anna, che aveva scelto la medicina per mettersi a servizio dei più poveri, fece subito breccia l’invito del Vescovo di Multan (Pakistan), S. Ecc. Mons. Benedetto Cialeo O.P., che la invitava come medico missionario nel St. Dominic’s Hospital di Bahawalpur e partì con grande slancio per il Pakistan nel Maggio 1972, sempre con il pieno appoggio della Madre Tincani. Furono anni di intenso lavoro e di profonda passione del cuore, che Anna visse in tutta la sua capacità di offerta e, spesso, anche di “riparazione” per quanto le accadeva intorno; mentre contemplava quasi estasiata, cullata nel palmo delle sue mani, la fragile bellezza di un bimbo che lei stessa aveva appena aiutato a venire al mondo, non dimenticava, per contrasto, i tanti nonnati ai quali la vita veniva negata, quasi sbattendo loro la porta in faccia. Una vita dedicata alla promozione della vita: sì, questo è stata Anna Cappella. In Pakistan ebbe la fortuna di conoscere da vicino i coniugi John ed Evelyn Billings, di passaggio da Karachi, e da allora la vita di questa Ci fu un’affettuosa intesa tra Anna Cappella e Madre Teresa di Calcutta, che aveva chiesto ad Anna di erudire le sue missionarie sul metodo Billings. – 20 – Vita di famiglia 25 Novembre 2005, aula “Vito” del Policlinico Gemelli di Roma: i coniugi John ed Evelin Billings gioiscono con Anna Cappella per la targa a lei attribuita in riconoscimento dell’intensa opera svolta per la diffusione del metodo sulla Regolazione naturale delle nascite e per la difesa della famiglia. stesso anno veniva contattata dal prof. Adriano Bompiani e da Mons. Elio Sgreccia, dell’Università Cattolica in Roma, i quali la proponevano come direttrice del nascente Consultorio Familiare della stessa Università; Anna accettò e attivò al massimo la competenza acquisita per insegnare e diffondere il metodo dell’ovulazione Billings. Immediatamente raccolse e formò attorno a sé una valida schiera di giovani medici e collaboratori, in prevalenza donne, i quali si fecero carico di approfondire e diffondere il metodo. L’insegnamento della dott. Cappella si amplia, si diffonde, riscuote consenso e nel 1980 nasce nella Cattolica un “Centro Studi e Ricerche per la regolazione naturale della fertilità”; la dott. Cappella ne viene nomi- giovane dolce dottoressa, fragile all’apparenza ma decisa e coraggiosa, prese un orientamento dal quale non osò mai minimamente deviare. E senza indugi nel 1974 dal Pakistan volò a Sidney, in Australia, per seguire un corso di formazione sulla Regolazione naturale delle nascite, metodo che dai coniugi Billings aveva preso vita e impostazione scientifica e che Anna fece subito totalmente suo, quasi come sua creatura. Si deve certamente moltissimo a lei se il metodo venne diffuso e fatto conoscere in Asia, Africa, Europa, particolarmente in Italia. I coniugi Billings ebbero in lei, oltre che una vera amica, una intelligente instancabile collaboratrice. Nel 1975 Anna rientrava definitivamente in Italia e nell’agosto dello – 21 – Vita di famiglia nata direttore, con la collaborazione di tutta la équipe da lei formata. Nel 1980 viene invitata a partecipare al Sinodo dei Vescovi, che si svolge a Roma sul tema: “La famiglia: educazione all’amore e alla vita”. Giovanni Paolo II aveva avuto modo di conoscere bene Anna Cappella, ne stimava la capacità professionale e la passione missionaria e le era molto grato per l’amore e il coraggio di cui dava prova in tutta la sua azione, senza timore di rischiare l’impopolarità; soprattutto la ringraziava, nei frequenti incontri, per lo studio e lo zelo con cui si era impegnata nella difesa della vita umana e per averne saputo rilevare sempre, con chiarezza, i principi fondanti sul piano biologico come sul piano morale. La trattava come una figlia – “la mia Anna”, le diceva – da cui venivano a lui luce e conforto. Volle il di lei esplicito parere e consiglio per l’istituendo “Istituto per la Famiglia Giovanni Paolo II” (1983) e la volle poi docente nell’Istituto stesso, dove Anna collaborò con l’attuale Arcivescovo di Bologna, Card. Carlo Caffarra. Nel Marzo 1991 Giovanni Paolo II nominò Anna Cappella Membro del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari. Fu da lui ricevuta molto spesso in udienza, sia in privato, sia insieme ai partecipanti ai corsi e congressi internazionali che Anna organizzava di frequente, sempre con il decisivo contributo della sua affezionata équipe del “Centro Studi di Ricerche” della Cattolica. Si preoccupava di preparare e formare mediatori capaci e convinti, che potessero poi, a loro volta, impegnarsi nell’insegnamento e nella divulgazione del Metodo Billings sempre più a vasto raggio. Anna Cappella in festa con i coniugi Billings e con tutta la sua équipe del Policlinico Gemelli – 22 – Vita di famiglia Anna con i coniugi Billings e due segretarie all’ingresso del Centro Universitario “Regina Mundi” di Roma, dove mise radice la sua prima ispirazione a consacrarsi missionaria. Non senza motivo la stessa dott. Evelyn Billings, in una intervista rilasciata al giornalista Angelo Montonati nel 1998, definiva Anna Cappella una collaboratrice davvero meravigliosa e aggiungeva: “Fin dal nostro primo incontro – in Pakistan – la vedemmo particolarmente interessata alla filosofia della pianificazione naturale delle nascite: in effetti, si era subito resa conto che si trattava soprattutto di un messaggio di attenzione e d’amore per le famiglie. Anna ha svolto in questi anni uno straordinario lavoro, insegnando il metodo ai missionari e alle missionarie che passavano da Roma e organizzando conferenze e convegni per l’Africa, l’Europa, e insegnando in varie parti del mondo. Inoltre ha dato vita a concreti programmi d’insegnamento in tutta Italia, riunendo intorno a sé un gruppo validissimo di donne motivate e altamente qualificate per quanto riguarda la filosofia del metodo e fedeli all’insegnamento della Chiesa”. Il 25 Novembre 2005, nell’aula VITO del Policlinico Agostino Gemelli della Cattolica di Roma, per le mani di Mons. Elio Sgreccia, già ordinario di Bioetica alla Cattolica e Presidente della – 23 – Vita di famiglia Pontificia Accademia per la Vita, veniva conferita ad Anna Cappella una targa, quale premio alla carriera; nella laudatio, tenuta dallo stesso Ms. Prof. Sgreccia, era detto testualmente: “Nel 1980 nasce il Centro Studi e Ricerche per la regolazione naturale della fertilità come struttura autonoma in seguito all’ampliamento dell’attività del servizio di insegnamento dei metodi naturali e la dottoressa Cappella ne è nominata direttore. Un vero dono per la Cattolica. La dottoressa Cappella ha portato avanti un centro, una scuola e un insegnamento scientificamente curato con scrupolo, che voleva abbracciare non solo una tecnica, ma tutta la visione dell’uomo, della donna, del matrimonio ispirato alla promozione della dignità della persona umana”. Presenti alla cerimonia erano anche i coniugi Billings, ormai amici intimi di Anna Cappella, ai quali nel giorno precedente era stata conferita la laurea honoris causa dalla Università statale “Tor Vergata” di Roma, quale riconoscimento al valore del metodo da loro scoperto e messo a disposizione dell’intera umanità. Dopo questa cerimonia ufficiale Anna Cappella non è più apparsa in pubblico, fatta eccezione per una fugace comparsa in Vaticano, allo scopo di rendere una visita di cortesia al neo Cardinale Carlo Caffarra, da poco eletto Arcivescovo metropolita di Bologna. Fu un commosso incontro da ambedue le parti, nel ricordo della intensa collabo- razione negli anni di comune dedizione al “Pontificio Istituto per la Famiglia Giovanni Paolo II”. Sono seguiti alcuni anni di vita ritirata, raccolta, di preghiera, spesso anche di sofferenza, sempre confortata dalla comunità in cui viveva e sempre nella chiara coscienza della sua vita consacrata a Dio e del lavoro compiuto sempre con grande gioia e dedizione, quasi custodita dal suo camice bianco. La visione, anche fugace, di camici bianchi, di corsie di ospedali, di primi piani di neonati – anche soltanto sul monitor TV o su qualche rivista – era sufficiente per far scattare in lei un effetto emotivo che la ringiovaniva all’improvviso e la rendeva capace di comunicare e partecipare la sua gioia. I telegrammi e la partecipazione a noi giunti per la sua scomparsa, dalla Università Cattolica, da Istituzioni e da privati, la presenza commossa e partecipe ai funerali della sua équipe del “Gemelli” di Roma ci dicono – se ce ne fosse bisogno – che la nostra Anna ha lavorato, sì, nel silenzio, non sotto i riflettori, ma non ha lavorato invano né per compiacere se stessa. Addio, Anna da tutti noi, e grazie per quello che hai fatto e per quello che sei stata! N.J. – 24 – Vita di famiglia Notizie in breve In arrivo dal Pakistan Il 17 Aprile 2009 in Pakistan, presso l’Istituto Superiore “Notre Dame” di Karachi, le nostre juniores SOSAN SARDAR, SUMERA INAYAT e KANEEZ YOUSAF hanno partecipato alla solenne cerimonia accademica durante la quale sono stati loro consegnati i certificati che attestano la felice conclusione dei rispettivi corsi di studi: certificato di BACHELOR of EDUCATION (BED), dall’Università di Karachi, e INTERNATIONAL GRADUATE CERTIFICA- All’Istituto”Notre Dame” di Karachi con il che attesta la felice conclusione TE of EDUCATION, dall’Università Cattolica diploma dei due corsi di studio. dell’Australia. Conclusi i loro studi, le tre sono ora giunte a Roma, al Centro di Formazione della nostra Congregazione, per l’ultima fase formativa che le accompagnerà alla Professione Perpetua, che emetteranno nel 2010. In partenza verso l’India Un volo aereo in senso inverso – diretto in India – hanno preso invece le nostre due giovani MAXI BORGES e PRAMILA RODRIGUES che il 10 Maggio 2009, terminata la loro ultima formazione, hanno emesso i Voti Perpetui e ora sono ritornate in patria per entrare nel pieno della nostra missione. A tutte auguri affettuosi e l’assicurazione della preghiera e di tutta la nostra fraternità. LA REDAZIONE Davanti all’altare Pramila e Maxi rispondono alle domande della superiora generale – 25 – Eventi L’anno paolino con Luigia Tincani Da tutta la dottrina spirituale di Madre Tincani emerge la robustezza di fede, speranza e carità tipica di San Paolo, molto amato da lei come dalla sua maestra Caterina da Siena. In una lettera invita una sorella ad assumere un atteggiamento profondo e totale dell’anima, in cui “cercare di stabilire la mente e il cuore, tutto l’essere nostro. Questo atteggiamento potrebbe essere la conformità assoluta, senza condizioni, di tutte noi con l’Anima di Gesù, o meglio la sostituzione in noi del suo cuore al nostro, il nostro annientamento in Cristo. Ed è infine il programma paolino della vita cristiana” (1941). Con Paolo definisce la vita cristiana come amicizia, intimità con Gesù che viene a noi e ci trasforma: “ Il mistero più divino sta nel fatto di questa unione intima e reale stabilita fra la creatura e il Creatore, in questa discesa di Dio nell’anima, in questo divenire l’anima sposa del Figlio di Dio, in questo trasumanar che non si può significar per verba1 e che non è infine se non l’attuazione massima della vita cristiana la quale non è altro se non una discesa di Gesù nelle nostre anime per unirle a sé, trasformarle in sé. «Vivo ego, dice san Paolo, iam non ego, vivit vero in me Christus»!”2(1920). Non sono i nostri sforzi che ci salvano e preparano la nostra felicità, ma la grazia di Dio in noi, per mezzo di Cristo Gesù: “«Dio che è ricco in misericordia portato dal suo infinito amore con cui ci ha amati, quando ancora noi eravamo morti a causa dei nostri peccati ci ha convivificati con Cristo»3. E’ caratteristica della grande anima di san Paolo un’esultanza e un rapimento del cuore in un amore immenso nella contemplazione della misericordia e della grazia sovrabbondanti su di noi per la passione di Cristo. E ciò che rende ancor più dolce e più caro all’anima questo sentimento di riconoscenza è questo: che la salvezza non si distingue dalla partecipazione a Gesù, dalla incorporazione in Cristo. Il cristiano redento da Cristo vive di Cristo e in Cristo. «Vivo ego iam non ego, vivit vero in me Christus»4. “L’affermazione e l’insegnamento di questa verità fu particolarmente affidato a s. Paolo che ne parla in modo tutto proprio” (1922). Siamo chiamati ad essere Chiesa: “ Cristo non ha abbandonato la terra completamente; egli vi è rimasto, potremmo dire con Paolo, in forma di Chiesa. La Chiesa è il corpo di Cristo; Cristo e la Chiesa sono una sola persona: Cristo è il capo, i singoli fedeli le membra. Ed ecco allora la necessità per le membra di conformarsi al capo, di vivere la sua stessa vita. Si comprende allora come possa dirsi che rimane qualcosa da compiere nella passio- – 26 – Eventi ne di Cristo, non già nel suo corpo fisico e reale, ma nelle sue membra mistiche”5(1922). Partecipiamo intimamente alla passione di Gesù: “Il mistero della mortificazione e del sacrificio è essenziale alla vita cristiana, è la partecipazione alla vita di Cristo e quindi alla sua passione e alla sua croce, poiché se il capo ha sofferto non possono non soffrire le membra; è inoltre un disporre sempre meglio la nostra natura a partecipare della vita divina di Cristo combattendo e mortificando le inclinazioni scorrette della natura, per conquistare e godere di una vera e completa libertà in noi stessi, che apra le anime nostre all’avvento di Gesù. La mortificazione deve inoltre essere accompagnata dal pensiero della comunione dei santi, quindi dall’intenzione di offrire le nostre sofferenze e i nostri meriti per le anime dei nostri fratelli in Cristo. «Pro corpore eius, dice s. Paolo, quod est Ecclesia»”6 (1922). e alla sua resurrezione: “«Se soffriamo insieme a Gesù saremo con lui glorificati»7. E’ un dato di fede ed è la fede che anima e corrobora l’amore nostro a Gesù crocifisso e la certezza della gloria che ci viene dalla croce: «Se infatti siamo uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo pure con una somigliante resurrezione»8. Stabilità nel bene e stabilità di amore sono nella nostra anima e nella nostra vita come il riflesso della resurrezione di Gesù: «Se dunque moriamo con Cristo noi crediamo che vivremo anche con Lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più, che la morte non ha più dominio su di Lui. Ciò che morì, morì al peccato, una volta per sempre; ma ciò che vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi di essere morti al peccato e di vivere per Dio in Cristo Gesù»”9 (1922). La creatura ricambia l’amore con l’amore “La forma più alta dell’amore è l’amore di adorazione, l’amore che ama Dio per quello che egli è in se stesso, nella grandezza nella bellezza nella bontà infinita della sua natura una e trina; l’amore che gode e si diletta della gloria di Dio per cui l’anima dimentica veramente se stessa - perdere sé - per fare di tutto il proprio essere una lode di gloria a Dio, unita all’Anima di Gesù, «nascosta con Cristo in Dio»”10 (1922). L’adorazione apre il cuore del cristiano alla “carità della verità”: “Vogliamo condurre fino alle ultime conseguenze la contemplazione della verità per giungere alla perfetta carità e a poter diventare quello che diceva san Paolo: «Veritatem facientes in caritate»”11 (1934). La Tincani condivide con Paolo la nostalgia del paradiso, il desiderio profondo del cielo, l’ansia di vedere e – 27 – Eventi godere Dio: “Nella vita un po’ di nostalgia del paradiso ci vuole, sia per mantenerci costanti nelle difficoltà che così spesso incontriamo, sia per elevare lo spirito ai beni eterni e non lasciare che il cuore si attacchi alle cose di quaggiù per aspirare solo ai beni terreni, distogliendo il nostro desiderio da quelli eterni: «Se dunque siete risuscitati con Cristo, cercate le cose dell’alto, dov’è il Cristo assiso alla destra di Dio: pensate alle cose dell’alto e non a quelle che sono sulla terra»12. «Cupio dissolvi et esse cum Christo - dice s. Paolo desidero andarmene ed essere con Cristo»13, e questo desiderio gli fa consacrare tutto al Signore, fino all’ultimo attimo di vita. Così pure noi. Usiamo di tutto, soffriamo con pace i dolori della vita, godiamo anche di ogni bene che ci venga da Dio, senza mai perdere di vista i beni eterni e la nostra vera patria. Non disprezziamo niente della vita, perché tutto consideriamo come dono di Dio, come un mezzo per guadagnare il paradiso: qualunque creatura, qualunque condizione di vita, ogni attimo di esistenza, tutto ci deve servire per andare a Dio per incontrarci con Gesù e assimilarci a Lui: “Nessuno dunque si glori negli uomini, perché tutto appartiene a voi, sia il mondo, sia la vita, sia la morte, sia le cose presenti, sia le future, tutto è vostro; ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”14. Questo significa vivere di fede. Dobbiamo saper vivere sulla terra considerandoci come cittadini del Cielo: «Nostra conversatio in caelis est»15, sempre pronti ad entrare a far parte dell’amore perfetto di Dio”(1922). La basilica di S. Paolo fuori le mura, nella suggestività della sua architettura e del suo silenzio, accoglie le migliaia di pellegrini che giungono dall’Italia e dal mondo per l’anno paolino. – 28 – Eventi GIORGIO PETROCCHI: vent’anni dopo Ricordare qui il mai dimenticato prof. Giorgio Petrocchi, a vent’anni dalla sua scomparsa (7 Febbraio 1989) è, prima che un dovere, un vero bisogno dell’animo. come sempre accade per i veri maestri. Maestro egli forse non volle mai ritenersi, ma di fatto lo era, poichè la sua tempra interiore e intellettuale, dalla cultura alta e versatile, lo rendeva per colleghi e allievi punto di riferimento, uomo di vero dialogo, pronto sempre al confronto anche dialettico, alla condivisione mai gelosa di un sapere che era intriso di sapienza, senza preclusioni o esclusioni di sorta, senza mai interporre distanze. L’allora Magistero “Maria ss. Assunta” (oggi Libera Università), sull’altra sponda del Tevere, a metà strada tra Castel Sant’Angelo e piazza S. Pietro, lo ebbe e lo vide protagonista per quasi un quarantennio. Avemmo modo, e diciamo fortuna, di conoscere molto da vicino la sua eccezionale personalità umana, morale intellettuale, in una consuetudine di vita quasi quotidiana. Al “Maria Assunta” – com’egli amava chiamarlo – giunse nel 1951 appena trentenne, ma già titolare della cattedra di letteratura italiana nell’Università di Messina e ormai studioso di rilievo, affermato nel campo dell’italianistica. Non a caso era stato presentato al “Maria ss. Assunta” da studiosi quali Manfredi Porena, Bonaventura Tecchi, Vittore Branca. Lo si vide protagonista, ho detto, nella vita di quella nuova struttura accademica, ma mai lo scoprimmo vittima del virus del protagonismo, nè lì nè, come sappiamo, altrove. L’uomo come lo studioso Petrocchi non aveva bisogno di Giorgio Petrocchi durante una delle inaugurazioni accaassumere maschere, poichè pro- demiche; il suo sguardo e la sua parola, mossi dal tagonista egli era per natura, profondo dell’animo, erano sempre penetranti ... – 29 – Eventi Il suo insegnamento non scendeva mai da un podio, ma filtrava dal suo spirito libero e partecipe. L’apporto da lui dato alla critica letteraria contemporanea era maturato da una indagine penetrante, acuta, sempre da interprete originale. Ma non della sua opera di dantista e di critico intendo qui parlare; – ‘80, quando la contestazione nel mondo universitario montava di giorno in giorno e sempre più si accumulavano le amare considerazioni e cose che andavano a mettere in crisi l’equilibrata temperie di chi, come lui, era entrato nel mondo accademico per vocazione e per merito, non per cavalcare proteste e arrivismi. E anche in quel difficile passaggio epocale egli seppe essere maestro di discernimento, di tolleranza, di equilibrio insegnando ai più giovani, allievi e collaboratori emergenti in campo accademico, come leggere in profondità i segni dei tempi, anche quelli più funesti all’apparenza, per trarne una lezione di comportamento e per pensare a prospettive future, da impostare e da far progredire. Uomo di costante intima riflessione, sapeva vivere anche molto fuori di sè, cioè attento agli altri; 9 marzo 1985: Giorgio Petrocchi accoglie Giovanni ma la chiarezza e l’equilibrio che Paolo II in visita al Magistero “Maria ss. Assunta”, prelo distinguevano li attingeva dal sente il Card. Vicario Ugo Poletti suo animo profondo, dove convivevano, in armonia e in costante conben altre voci di indiscussa competenfronto tra loro, l’alta cultura, la Fede za lo hanno fatto e lo faranno. senza orpelli e deviazioni, la passione Vogliamo piuttosto ripensare, per la propria vocazione di studioso e in maniera modesta ma sincera, l’uodi educatore di razza, l’attaccamento mo maestro Petrocchi che ha lasciato alla famiglia, con occhio sempre attenincancellabile memoria in quanti to alle cose anche minime della quotihanno avuto il privilegio di conoscerlo dianità, che richiedessero e meritassee di frequentarlo anche nelle pieghe della quotidianità più riservata. ro attenzione. La sua rapidità, nel pensiero e Il “Maria Assunta” era diventanell’agire concreto, gli rendeva agevole to per lui quasi seconda casa, ove in far fronte alle tante richieste che lo solqualche modo riusciva a far decantare lecitavano da più parti, fino a consendelusioni e amarezze accumulate altrotirgli di applicarsi in concomitanza a ve, soprattutto negli anni roventi 1968 impegni disparati. – 30 – Eventi L’esperienza fatta accanto a lui ci convinse che fosse proprio vero quanto spesso ci diceva scherzosamente di sé: “mi sono abituato da ragazzo a tradurre le tragedie greche mentre cantavo le opere liriche a cavalcioni su una sedia!” Amava le cose alte dello spirito e della intelligenza, scendeva in profondità nelle pieghe nascoste della verità non palese a prima vista, insegnava, e praticava egli stesso, come custodire la serenità e la forza della speranza e come saperle attingere dall’Alto, ove trova spiegazione tutto ciò che sfugge alla logica umana. E’ illuminante della sua personalità quanto citiamo da lui stesso in “Segnali e messaggi”, a proposito del “Lino della Veronica”: “... E anche attraverso il mito della Veronica possiamo sentire in noi l’impressione dello sguardo del Redentore sofferente quale uno degli elementi più difficili di quel “segno di contraddizione” recato dalla sua stessa presenza vivente all’interno della Chiesa: l’impulso incessante della carità del Padre che offre le tracce del proprio dolore al ricordo dei figli, il sigillo del sangue divino sulla conturbata, inquieta, travagliosa coscienza umana. La vita è stata creata non perchè scorra sempre limpida e serena, indenne da fangosi detriti. I segni del dolore degli uomini, della povertà dei fratelli, anche delle incertezze e dei dubbi di molti, s’imprimono sul candido specchio spirituale ________________ 1 G. Petrocchi: “Segnali e messaggi”. RM, Rusconi 1981 pg. 15 ricevuto in retaggio dalla Redenzione, come i lineamenti del volto insanguinato dalla Passione sul bianchissimo sudario. Quel volto è stato, sia pur per un solo momento, deterso da mano umana. L’uomo non è stato testimone indifferente, ma ha sottratto qualche parte della sofferenza divina per trasmetterla.” 1 Tenne la sua ultima lezione nell’allora “Maria ss. Assunta” il 26 Gennaio 1989 e il caso volle che in quella lezione, che fu anche il suo inconsapevole commiato, egli dovesse commentare, per esigenze di programma su Torquato Tasso, la morte di Clorinda. Attraverso le ottave del poema tassiano egli fece emergere, facendone quasi una ‘consegna’, le sue certezze sulla vita, la morte, la fede, l’amore. Petrocchi consegnava in qualche misura se stesso, come ebbe a scrivere allora chi aveva assistito a quella lezione risultata poi l’ultima! Si sarebbe allontanato da Roma alcuni giorni per un Congresso dantesco a Zurigo, perciò andando via dal suo “Maria Assunta” si volse indietro ancora una volta, prima di scomparire dietro l’angolo di Via Traspontina, per rinnovare un caldo festoso “arrivederci”, alzando al massimo entrambe le braccia. Quelle due braccia per noi non si sono più abbassate e ci appaiono sempre alte, quasi segno di benedizione. Non lo vedemmo al suo ritorno da Zurigo, nè sentimmo più la sua voce calda e armoniosa. Appena rientrato a Roma la sua vita ebbe un’improvvisa svolta senza – 31 – Eventi ritorno e tutti ne vivemmo con ansia e impotente dolore il drammatico epilogo. Ma non si spegneva in noi la fiducia in quella da noi ipotizzata benedizione. Le parole, appena percepibili, che da lui giunsero con grande fatica sul filo del telefono il 6 Febbraio, ossia la vigilia della sua “partenza”, da una stanza del Policlinico “Gemelli”, rimangono ancora di chiaro monito e incoraggiamento per chi allora le udiva con incredulità: “Dobbiamo guardare in faccia la realtà, non possiamo far finta di non vederla, bisogna pensare al futuro.” Quel giorno stesso, dal suo letto del Policlinico “Gemelli”, firmava la delega per la collega Margherita Guidacci Pinna. Certo, prof. Petrocchi: “bisogna pensare al futuro”; tentiamo di farlo, con viva speranza, giorno dopo giorno, anche facendo affidamento che quella sua benedizione perduri...! NICOLINA JORIO ... al termine della visita, presenta a Giovanni Paolo II il corpo accademico, gli illustra le pubblicazioni dell’Ateneo e lo invita a firmare la pergamena e il registro delle visite. – 32 – Eventi Luigia Tincani e il Padre Gemelli Nel cinquantesimo anniversario della scomparsa terrena del P. Agostino Gemelli, le Missionarie della Scuola desiderano unire la propria voce al coro delle molte che si levano dal mondo della cultura e della formazione giovanile, per ricordare colui che fu una presenza di rilievo nel mondo culturale cattolico; tra lui e la Madre Luigia Tincani vi furono significativa collaborazione, solidale intesa e forte comunione di ideali. La figura di Padre Gemelli interessò molto la Tincani: lo apprezzava per la sua pronta e schietta conversione, per il suo pensiero e la sua vita, per la coraggiosa professione di fede. Lo sentiva vicino per una certa somiglianza nel modo di affrontare con chiarezza, decisione e fiducia i problemi e soprattutto per la scelta di educare le intelligenze e le coscienze attraverso lo studio e con lo sguardo a S. Tommaso. La Tincani lo conobbe direttamente nei Congressi cattolici, nelle Settimane sociali, nell’attività dell’Azione Cattolica e ne condivise subito, apertamente, il pensiero e la passione apostolica. Gina accolse con un interesse tutto particolare l’attuazione del progetto dell’Università Cattolica e contribuì con entusiasmo a organizzare nelle parrocchie di Roma i primi gruppi di Amici dell’Università Cattolica. Animò a Roma la prima Giornata Universitaria della Cattolica superando i risultati milanesi. P. Gemelli rispose esprimendo con un autografo la sua gratitudine. Egli accolse subito affermativamente il desiderio della Tincani quando, nel 1925, ella gli chiese il passaggio Autografo: Alla sig.na Tincani, con l’augurio che il Sacro Cuore di Gesù le dia abbondanti grazie in compenso del lavoro fatto per il suo regno e per la sua Università A. Gemelli dall’Università statale di Roma alla Cattolica per discutere la tesi. La Tincani conseguì una delle prime lauree con valore legale rilasciate dalla Università Cattolica del S. Cuore e la tesi riscosse le congratulazioni e il vivo compiacimento anche del Magnifico Rettore, P. Agostino Gemelli, che ne diede notizia insieme a quella di Bontadini nel discorso di inaugurazione dell’anno accademico 1925/26. Nel medesimo anno P. Gemelli incoraggiò e sostenne la Tincani nell’aprire un piccolo pensionato universitario a Milano per le studenti della Cattolica. – 33 – Eventi Dopo il terremoto in Abruzzo Il terremoto che ha squassato l’Abruzzo è venuto ad aprire lancinanti ferite nelle persone, nelle comunità locali, nel tessuto urbano e nel territorio, nel patrimonio storico-artistico, in particolare quello di carattere religioso. In pochi attimi si è consumato un dramma che solo in parte, e chissà in che tempi, potrà essere superato. Le popolazioni abruzzesi hanno dimostrato, ancora una volta, una grande dignità, una grande forza, un grande coraggio, una grande e genuina fede. È nelle esperienze dolorose che la fede viene messa alla prova e che, al contempo, ha modo di manifestarsi in tutta la sua disarmante, semplice autenticità. Ma come sempre accade in evenienze del genere torna nella mente la tentazione tormentosa, l’interrogativo implacabile e dilacerante: Signore, ma dov’eri? Perché hai permesso tanto dolore? Perché il sacrificio di piccoli innocenti? È umano che l’interrogativo venga a porsi ma, per il credente, è un interrogativo senza senso. Pur non escludendo, naturalmente, che Dio possa intervenire sospendendo o modificando, col miracolo, le leggi di natura, il credente non può non ricordare il nucleo essenziale del credo cristiano, il suo principio fondamentale: l’Incarnazione. Perché Dio, incarnandosi, cioè assumendo vera natura umana, si pone a fianco dell’uomo, partecipa delle sue gioie ma anche delle sue sofferenze, subisce pienamente – ad eccezione del peccato – l’esperienza della fragilità creaturale. Dov’era, dunque, Dio ad Aquila, ad Onna, nelle altre località sulle quali è passata l’onda distruttrice? Era accanto a quegli uomini, a quelle donne, a quei bambini; soffriva con loro il dolore, la paura, il disorientamento, l’umiliazione, la povertà, il freddo, il buio, la solitudine dei sopravvissuti. Riprendendo la bellissima pagina evangelica dei discepoli di Emmaus, potremmo allora chiederci: Non ci ardeva, forse, qualcosa nel petto guardando attoniti le crude immagini della tragedia? Non vedevamo, dentro quei volti spauriti ed angosciati, il volto del Signore? Non ci parlava, attraverso le crude immagini, il Signore, spiegandoci il senso dell’uomo e della vita? Non veniva ad attizzare in noi quella fede, quella speranza, quella carità che, forse, sono tiepide o un po’ dormienti sotto la cenere del nostro cristianesimo abitudinario? Per questo l’aiuto che, tutti, siamo chiamati a dare ai nostri fratelli abruzzesi acquista un senso davvero particolare. Un aiuto innanzitutto di preghiera, ma anche di tangibile e fattiva operosità. GIUSEPPE DALLA TORRE Le macerie non hanno travolto la Vergine, rimasta presente a vigilare su tutti e sul dolore di ognuno... – 34 – Eventi Un convegno in Campidoglio nel 630° anniversario del soggiorno a Roma di s. Caterina da Siena Il 29 aprile 2009 in Campidoglio, cuore della vita civica di Roma, si è tenuto il convegno “CATERINA DA SIENA E ROMA” per commemorare un anno intenso e difficile del soggiorno romano della senese – il 1379 – speso, sino al dono di sé, per l’unità della Chiesa e per Roma. Organizzato dal Consigliere del Comune di Roma, On. Lavinia Mennuni, Delegata del Sindaco per le Pari opportunità e per lo Sviluppo dei rapporti con il mondo cattolico, e dal Centro Internazionale di Studi Cateriniani (CISC), il convegno si è svolto nella Sala “Pietro da Cortona”, ubicata nel complesso dei Musei Capitolini. Dopo il saluto delle Autorità, sono seguiti tre interventi: - Roma nel Trecento, prof. Francesco Sisinni, Direttore del Master Studi Storico-artistici nella LUMSA di Roma. - L’azione di Caterina da Siena tra Vaticano e Campidoglio, prof. Diega Giunta, Presidente del CISC. - Caterina agli amministratori locali: la ricerca del bene comune, prof. Giuseppe dalla Torre, Rettore della Libera Università “Maria SS. Assunta”, Roma (LUMSA). Il 28 novembre 1378, per volere di papa Urbano VI, la Senese giunge a Roma. Il pontefice la riceve nella sua sede provvisoria in S. Maria in Trastevere: le truppe bretoni, fedeli all’antipapa Clemente VII e di stanza a Castel Sant’Angelo, non permettono che il pontefice risieda in Vaticano. Caterina si mette all’opera con tutte le sue forze per la strenua difesa della legittima elezione di papa Urbano VI, per far cessare lo scisma sorto con l’elezione dell’antipapa (20 settembre 1378), per tentare con ogni mezzo di far migliorare la difficile situazione di Roma e dei Romani, che ella ama e dai quali è riamata. L’evento capitolino del 29 aprile 2009 ha messo in luce quanto Caterina abbia fatto, scritto, pregato, sofferto per la “navicella di Pietro”, scossa e sballottata dai marosi dello scisma – il grande Scisma d’Occidente (13781417) – per Roma e per i Romani talvolta in dissapori con Urbano VI, i figlioli per i quali Caterina prega e ai quali osa dare consigli anche per la corretta conduzione della “cosa pubblica”. Nel ‘cuore’ di Roma l’ardore di Caterina vibra ancora una volta, attraverso la parola del prof. Dalla Torre: il bene comune, egli sottolinea attingendo al pensiero della Senese, è un obiettivo preciso da perseguire, ma lo si consegue con l’apporto di tutti; nel pensiero di Caterina gli artefici del bene comune sono certamente gli amministratori, i quali debbono prima imparare a governare se stessi se vogliono poi governare bene gli altri; ma il bene comune è impegno di governanti e ‘governati’ al tempo stesso: i governati non debbono essere solo coloro che vengono ‘condotti’, ma debbono a loro volta collaborare per il bene comune. Responsabilità solidale. – 35 – Eventi La Santa risiede ed opera dapprima in una casa del Rione Colonna (di difficile identificazione) e successivamente in Via del Papa, l’odierna Piazza di S. Chiara, 14, dove chiuderà la sua esistenza terrena il 29 aprile 1380. Sebbene in questo luogo la Cappella del Transito ricordi la presenza della santa, la casa romana di Caterina è caduta in totale oblio. Memoria storica che il CISC tenta di far rivivere, avendovi anche trasferito la propria sede con annessa Biblioteca specialistica cateriniana. Sala ‘Pietro da Cortona’ nei Musei capitolini. Da sin.: prof. D. Giunta, prof. G. Dalla Torre, on. L. Mennuni, prof. F. Sisinni, dott. Aldo Bernabei, vice-presidente CISC. – 36 – Arbore giovani Testimonianza di Monica In Italia ci sono tante Eluana Englaro, una di queste è mia mamma Angela, che versa da quattro anni in stato di coma post-anossico a causa di un grave errore medico. Errore che ha distrutto l’armonia della mia famiglia, costringendomi a diventare grande, perdere la spensieratezza e conoscere il dolore e la sofferenza. Così a 22 anni sono diventata io “mamma” della mia mamma, la mia vita è cominciata a ruotare in funzione delle sue esigenze e del suo costante bisogno di cure ed attenzioni. Ho dovuto rallentare i miei studi per stare accanto a lei e rispondere alle sue esigenze momento per momento. Anche se ho dovuto rinunciare a momenti di svago non rimpiango assolutamente nulla perché so che se la mia mamma oggi è ancora vicino a me è anche merito mio oltre che ovviamente dei medici che le hanno salvato la vita; e di questo sono fiera ed orgogliosa. Il dolore mi ha maturata, sono più ricca di valori e accanto a lei arrivo a percepire persino la presenza del Signore e mi dà forza la frase di Gesù che dice: “Quello che avete fatto a uno di questi piccoli l’avete fatto a me” La sua vulnerabilità mi porta a dedicarle tutto il mio amore, riempiendo i suoi silenzi di baci e carezze. Lo stato di coma non è lo spegnersi di una persona, ma una condizione che rende drammaticamente impotente chi ne è colpito e chi lo assiste; è per questa ragione che va curata e protetta facendole percepire tanto amore e la speranza di potersi risvegliare. La vita è amore, è speranza, è lotta, è dolore ma è soprattutto un dono di Dio. La vita è un valore assoluto, la nascita e la morte sono leggi naturali che non possono essere regolamentate nè dall’uomo né dalla giurisprudenza. E’ inaccettabile disporre della vita, quando la persona è incapace di intendere, anzi dobbiamo salvaguardarla e tutelarla ancora di più e rendere la sua vita degna di essere vissuta fino a quando Dio, e solo Lui, deciderà di spegnere la sua luce. L’uomo va riconosciuto e rispettato in qualsiasi condizione di salute, disabilità, infermità. Anche quella della persona in coma o stato vegetativo è vita, ed è vita anche quella delle famiglie che sperano in un risveglio anche se spesso sanno che dal punto di vista scientifico un risveglio è difficilmente possibile. La scienza non ha mai escluso la possibilità di un risveglio, dal momento che, nonostante numerosi studi scienti- Monica Sparacio accanto alla mamma Angela, alla quale da quattro anni dedica tutta se stessa. fici sull’organo del cervello, non si è mai giunti ad una prognosi e diagnosi definitiva. Si sostiene infatti che nonostante ci – 37 – Arbore giovani possano essere delle aree cerebrali gravemente compromesse, lo stesso cervello possa trovare delle vie alternative che svolgono le stesse funzioni svolte prima dalle aree danneggiate. Questa mia lettera, nella sua semplicità vuole invitare a pensare a quanto ognuno di noi sia un tassello prezioso ed essenziale nel piano Divino sulla terra. Nessuno è inutile, ogni nostro gesto può rendere la vita di qualcuno meravigliosa. Se in alcuni frangenti vi si presenta la sofferenza e non trovate via d’uscita, mi raccomando! Ricordatevi che la vita è veramente un dono prezioso ed è ricca di amore anche in quei momenti. MONICA MARIA SPARACIO IV anno Giurisprudenza LUMSA Palermo Il racconto del viaggio al campo di Auschwitz. Viaggio nel dolore infinito. Parlare dei crimini contro l’umanità è più difficile di quanto non si pensi. Quando si affronta un argomento del genere, le naturali reazioni sono sempre di condanna e commozione. Questo sino a quando non si mette piede in un campo di concentramento: i pensieri diventano confusi, si ha poca voglia di parlare, anche con gli amici con i quali, fino a poche ore prima, si era riso e scherzato. Il significato del viaggio in Polonia di un gruppo di ragazzi italiani (fortemente voluto da Alessandro Colorio, commissario romano FI giovani verso il PDL, per visitare, oltre alla bellissima città di Cracovia, soprattutto il Campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau) è semplicemente tutto lì: di fronte agli orrori del nazismo non si può che rimanere atterriti, increduli, senza parole. Allo smarrimento iniziale, segue poi un senso di partecipazione al dolore delle vittime dell’olocausto. Nel campo la quotidianità era la morte: la vita si svolgeva tra lavori durissimi, punizioni inflitte anche per lievi trasgressioni e crudeli esecuzioni. Alcuni sopravvissuti hanno raccontato della punizione subita da un loro compagno solo per aver cercato di ripararsi dal freddo con alcuni fogli di giornale infilati sotto la casacca. I guardiani non esitarono a rinchiuderlo nella terribile “cella del buio”: un’angusta e “claustrofobica” cella sotterranea così chiamata perché illuminata, attraverso piccoli pertugi, solo da deboli fasci di luce esterni. Del prigioniero rinchiuso in quel luogo infernale si sa solo che vi rimase oltre un mese ma non se sia riuscito a sopravvivere. I deportati, dunque, non vivevano, bensì morivano giorno dopo giorno: vivevano per morire. Era una condizione ai limiti della follia. Commuove a pensare alle madri di Auschwitz, strette ai loro bambini nella consapevolezza che i loro figli, benché le SS non avessero rivelato le loro reali intenzioni, sarebbero potuti essere uccisi o che esse stesse avrebbero potuto subire la stessa sorte lasciando i loro piccoli, rimasti orfani, a quelle mani sanguinarie. Vestitini, – 38 – Arbore giovani scarpette, una bambola rotta, un ciuccio: è quanto rimane di alcune delle piccole vittime degli orribili massacri nazisti. Uno sterminio organizzato efficacemente e senza alcuna esitazione con mezzi estranei ad esseri umani degni di essere definiti tali, allo scopo di annientare definitivamente un popolo, la sua cultura, le sue tradizioni; ecco cosa fu la “shoah”. Nessuna innovazione tecnologica o scientifica fu trascurata per compiere questo abominevole progetto: camere a gas mascherate da docce per uccidere in breve tempo, attraverso una sostanza venefica chiamata Zyklon B, quante più persone possibile: forni crematori per bruciarne in fretta i corpi. Una vera e propria “fabbrica della morte” in piena attività, dove l’orrore non conosceva limiti. Prova ne è, che le donne, come vere e proprie cavie, venivano sottoposte a tecniche di sterilizzazione al fine di arrestare definitivamente la generazione di altri ebrei. Il terribile elenco potrebbe continuare per pagine e pagine. Un’ultima considerazione sulle condizioni di quanti, invece, venivano tenuti in vita. A Birkenau sorgono delle “baracche sanitarie”, una sorta di enormi latrine destinate ai bisogni fisiologici di centinaia e centinaia di deportati. Si presentano come enormi stalle, in cui le condizioni di vita sono paragonabili a quelle degli animali. Questa ennesima prova della violazione dei diritti umani rappresenta un elemento ulteriore per comprendere la volontà dei nazisti: distruggere gli ebrei, oltre che nel corpo, anche nell’anima, privandoli anche della loro dignità di uomini. Così, privati della dignità, indeboliti dalle torture (fisiche e psicologiche) e dai lavori forzati, gli ebrei furono resi incapaci di ribellarsi. L’olocausto di milioni di ebrei è una tragedia universale, riguarda tutti: qualunque popolo, infatti, sarebbe potuto essere vittima di un progetto tanto inenarrabile da sembrare, quasi, non appartenere a questo mondo. Le parole di Primo Levi, incise su una targa all’interno del capannone dove furono imprigionati gli ebrei italiani, restano le più adatte per dare un senso a tutto questo male che, appena sessant’anni fa, inondò l’Europa del sangue di milioni di innocenti: “Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque Paese tu venga, tu non sei un estraneo. Fa che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia stata inutile la nostra morte. Per te e per i tuoi figli, le ceneri di OĞwiĊcim valgono di ammonimento: fa che il frutto orrendo dell’odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, né domani né mai.” MERY ALBERTINI GIURISPRUDENZA – LUMSA (RM) – 39 – Arbore giovani I giovedì culturali al Teatro Argentina Da alcuni anni è attivo il coordinamento dei collegi universitari promosso dall’ufficio di Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma diretto da Mons. Lorenzo Leuzzi. Alcune nostre compagne della residenza ne fanno parte; si riuniscono una volta al mese e programmano i giovedì culturali e altri eventi di pastorale, per gli universitari residenti nei collegi romani e per tutti gli universitari della città. Esiste una buona intesa e aperta collaborazione tra i membri facenti parte del coordinamento. L’ultimo incontro culturale è stato tenuto il 29 gennaio 2009. Abbiamo avuto l’onore di avere con noi Mons. Bruno Forte e il dott.Pierluigi Celli. Il dialogo si è svolto su domande poste dai nostri colleghi: l’uomo di fronte al male e se può esserci speranza di uscirne. Mons Bruno Forte, o Don Bruno come desidera essere chiamato, ha esordito con la domanda: quale bellezza salverà il mondo? citando L’Idiota di F. Dostoevskij. Di fronte a mali quali la fame la guerra e ogni altra forma di egoismo, come può esistere una bellezza di vita? Occorre allora interrogarsi su Dio, se Lui sia spettatore del male o se se ne lasci coinvolgere. La risposta è che Dio, in Cristo Crocifisso, ha preso su di sé il male e la sofferenza del mondo, ha abitato la tragedia dell’uomo. Questa bellezza è terribile e misteriosa e il campo di battaglia è il cuore dell’uomo. Il male non è né premio né castigo, è la sfida dell’amore per fare una scelta. Il dott. Celli, manager e dirigente di aziende importanti, ha sottolineato che a fare esperienza di mancanza di speranza sono soprattutto i giovani che non abbiamo attrezzati a navigare nei mari della vita con ancore solide di valori, non stiamo aprendo loro un futuro e la possibilità di raccontare una storia edificante in cui potersi rispecchiare; infatti perché si possa raccontare una storia, è necessario che sia riconosciuta l’identità a qualcuno, cioè che si attribuisca senso ed importanza alla persona. Stiamo oggi purtroppo scambiando i mezzi con il fine e siamo sempre più abbarbicati al presente. Occorre attrezzare e incoraggiare i giovani a stare sui confini, perché sui confini si sviluppano le innovazioni, lingue e culture diverse e si viene messi alla prova. Ma i maestri ricchi di saggezza che sanno dare tempo alle nuove generazioni, dove sono? Ecco la sfida: recuperare la capacità di ascolto, la capacità di innovazione e quella, ancora più grande, dell’amore. Senza amore non c’è riconoscimento, quindi identità, quindi storia. Al termine Mons. Forte ha suggerito un pensiero di E.Kant sul problema del male. Kant, da laico, ha compreso che esiste un principe avversario del bene, lo spirito maligno. Cosa del resto già sottolineata da Paolo – 40 – Arbore giovani nella Lettera ai Romani:” Non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio” (Rom.7); può essere questo tema preludio di dialogo tra credenti e non credenti. Universitarie del “Regina Mundi” al Teatro Argentina di Roma L’incontro si è chiuso con la lettura di un brano di Qoèlet, letto molto bene dalla nostra Giulia, e con l’ esibizione del Coro Interuniversiario di Roma. ELISENA FRANZESE IV medicina La Sapienza Lo Studio atto di culto In questo periodo mi sono tornate in mente alcune parole che Madre Tincani scriveva nel 1916 alle sue figlie spirituali:” Vedo che sei immersa nella fatica ma anche nel godimento dello studio. Così deve essere. E’ un dovere, ma è anche il soddisfacimento di un bisogno dell’anima nostra, della “umana fame”, come la chiama Dante. Accostati sempre allo studio con riverenza perché ogni verità nuova conosciuta, ci avvicina a Dio”. L’occasione mi si è presentata considerando il silenzio che regna qui nella nostra residenza in questo periodo di studio più intenso per preparare gli esami e le tesi e sfogliando due opuscoli avuti tra mano: il testo di Armando Matteo Onora la tua intelligenza, lettera a uno studente, con le sue otto parole esplicative: stupore ricerca conoscenza inquietudine passione mistero disciplina sapienza e l’opuscolo curato da Giancarlo Pani Studio e sapienza la passione per la verità e l’assoluto. In verità già all’inizio dell’anno accademico avevamo riflettuto sullo studio. La Prof. M.G.Bianco ci aveva aiutato a comprendere il rapporto tra studio e vita e a considerare le caratteristiche di uno studio vissuto in un orientamento di fede, cioè studio come “via” per crescere in umanità, in servizio e conoscenza di ogni verità e nella direzione verso la Verità, in comunicazione con gli altri. Mi piace qui riportare un pensiero di T. de Chardin e il commento di G.Pani, nella seconda pagina di copertina del testo sopra indicato: “Ciò che l’uomo cerca di più nel corso della sua vita, più del pane e di tutto il benessere materiale, è il sapere. L’essenza stessa della nostra vita non è tendere a star meglio, ma ad essere di più: e “per essere di più”occorre innanzitutto sapere di più”. (T. de Chardin, Science et Christ, 1921) – 41 – Arbore giovani Quando si entra nella sala di lettura di una biblioteca, dove tutti sono immersi nel lavoro, si coglie una dimensione nuova, insolita, del silenzio: un’atmosfera di raccoglimento, di impegno, di concentrazione, che ha un carattere si direbbe- quasi religioso. Lo studio serio, fatto non per curiosità o sfoggio di scienza, né tantomeno per guadagno o ricerca di onori, ha una relazione diretta con la vita interiore, ci proietta in una realtà che sembra avvicinarsi al trascendente, in una pienezza che confina con l’assoluto. Per una coscienza responsabile, studiare è soprattutto dialogare con l’argomento che è oggetto di studio: è reagire, prendere posizione, gustare la scoperta, assimilare il nuovo e gioirne, perché il sapere penetri nel proprio intimo, divenga parte di sé, operi una trasformazione interiore e spirituale. Ma lo studio non è fine a se stesso: è un privilegio e comporta un impegno. Richiede la povertà del cuore, l’umiltà disponibile al confronto e capace di accettare la critica, la generosità che sa porre a servizio di altri quello che si è conquistato con sudore e fatica. E la tensione verso la verità, nella diaconia del prossimo, “è il culto più vero che si possa rendere a Dio”. (Giancarlo Pani) AD “Intendo parlare dello studio inteso come l’opera fondamentale della propria vita e praticato come un culto e come un apostolato. Porsi allo studio con umiltà e con fervore sentendo che ogni piccola verità conquistata è un passo verso la Verità suprema. Sentire che la scienza è come un cammino nascosto in cui si cela Dio: ogni essere della natura ne porta impresse le vestigia, ogni fatto della storia umana ne cela il segreto, ogni proprietà degli esseri ne riflette la luce eterna, ogni dono delle anime ne rivela le grandezze infinite.” (L. Tincani, 1925) – 42 – Amici scrivono La Via Appia vista dai visitatori polacchi I Polacchi hanno sempre avuto un’ammirazione straordinaria per la campagna romana, fino quasi a mitizzarla. Essa è tema frequente degli scrittori del passato, in particolare dei romantici, ma continua ad esserlo anche ai nostri tempi, come si vede da questo brano di un quasi contemporaneo. Quando ne parlano, scrivono sempre Campagna con la maiuscola, come fosse un luogo particolare, definibile con confini colori odori. A chi la parola ‘Via Appia’, oltre ad indicare una delle celebri vie dell’antica Roma, anzi la “Regina viarum”, indica anche la casa del cuore, queste descrizioni poetiche udite o lette in luoghi tanto lontani da Roma, scritti in una lingua raramente abbordabile da un italiano, fanno tenerezza, producono anche nostalgia e malinconia. Roman Brandstaetter Cronache di Assisi. 1947 “La Via Appia è stata, secoli fa, una via di morte. Qui lungo la strada dei cipressi si elevavano le tombe illustri dei patrizi romani. A noi oggi è difficile immaginare questo gioioso paesaggio della Campagna romana chiuso con un corteo di tombe di pietra come un fermaglio. Poveri patrizi romani! Della loro immortalità sulla Via Appia, trasformata in pietra sepolcrale sono rimaste solo rovine. Le tombe si sono polverizzate, l’edera flessibile si è avviticchiata intorno alle colonne frantumate, sui capitelli ammassati a terra è cresciuta l’erba, le piogge hanno distrutto la bellezza dei fregi, che avrebbero dovuto simbolizzare l’eternità della vita di qualcuno. Il paesaggio ha inghiottito tutto quello che la mano dell’uomo gli ha posto sopra con violenza nei secoli passati, tutto quello in cui l’uomo vedeva la sua vittoria sull’anima dei prati, del cielo e delle montagne. Questa terra si oppone alla morte. La sua eternità è nelle ali colorate delle farfalle che volano sulle pergole di canneti, nel ronzio dei bombi e nel brusio da violino delle api nelle anfore scure dei cipressi piene di cielo fino all’orlo, nelle lucertole che si dileguano come verdi lampi ai nostri piedi. Tale è l’eternità di questa terra. Abbiamo continuamente davanti agli occhi la tozza mole della tomba di Cecilia Metella, stagliantesi col suo color grigio sul verde degli olivi tarchiati e sentiamo sulle labbra il profumo acre del vino che abbiamo bevuto sulla terrazza, all’ombra di una fitta pergola, direzionata verso i colli Albani. Indubbiamente si tratta di particolari insignificanti, forse talmente insignificanti che non vale la pena scriverne. E probabilmente non avremmo mai scritto di quell’attimo di poco conto della nostra alleanza con la Campagna romana se non ci fosse stata l’invadente consapevolezza che proprio lì, all’ombra tremolante della pergola con la vista sui vigneti, i colli Albani e la Via Appia, sarebbe rimasta una parte della nostra anima. All’inizio ci sembrava – ma si trattava di una superficiale illusione – che fossimo l’idea dominante di quel paesaggio. Poi, dopo un momento prolungato di attenzione al soffio di un vento caldo e al fruscio della vigna abbiamo capito di essere solo un particolare decorativo, una macchia di colore, posta sullo sfondo del verde e del cielo. Idea dominante del paesaggio è la sua composizione. Guardando dunque al paesaggio, sappia- – 43 – Amici scrivono della terra, forse il tocco della vigna che sfiorava le nostre dita era troppo leggero e provocatorio. Sappiamo che neppure l’analisi più penetrante risolvererà tale problema, dato che non si sa mai in quale modo l’uomo si incarni in un paesaggio, arricchendolo di tutta la musica del suo essere. Un giorno, quando staremo di nuovo all’ombra della pergola direzionata verso i colli Albani e della tomba di Cecilia Metella, senza difficoltà ci ritroveremo in questo eterno paesaggio. Esso ci conserverà con tale fedeltà che indicheremo quasi a dito tutti questi frammenti di Campagna romana, nei quali continuiamo ad essere, in perfetta forma, tali quali eravamo anni addietro, quando per la prima volta abbiamo ascoltato la musica di questa terra. Perché la musica può essere anche la forma del silenzio”. Il fascino della Via Appia, ‘Regina viarum’ mo che non siamo noi a costituirlo, ma che esso costituisce noi. Questa impressione talmente suggestiva che possiamo riconoscere i confini del nostro esistere fissato nell’incanto di questa terra, così come si riconoscono con lo sguardo i confini di un bosco, il profilo di un cipresso o la linea di un fiume. Come ci è difficile, oggi, precisare in quale modo si è formato questo meraviglioso sposalizio con la Campagna romana! Forse l’azzurro è stato troppo cocente e di conseguenza ci ha dato agli occhi col suo ardore, forse nel sapore acre del vino c’era il profumo Roman Brandstaetter, scrittore, poeta, dramamturgo, traduttore polacco. Nacque a Poznań nel 1906 e vi morì nel 1987. Di famiglia, educazione e religione ebraica, laureato in filosofia e filologia polacca a Cracovia, evidenziò fin dal tempo degli studi le sue qualità di scrittore. Risiedette successivamente in varie città della Polonia, d’Europa, dei Paesi del Mediterraneo, per motivi di studio e per sfuggire alle persecuzioni contro gli Ebrei, specie durante la II guerra mondiale. In un suo lungo soggiorno a Gerusalemme incontrò la figura di Gesù, che gli cambiò la vita. A Roma ricevette il battesimo e sposò la polacca Regina. Il suo capolavoro, che lo rese anche candidato al premio Nobel, fu Gesù di Nazaret, un romanzo storico in 4 volumi. Anna Maria Martinelli Marzo 2009 – 44 – Amici scrivono Il numero dei piatti Tra le attrazioni dello spettacolo circense c’è, quasi sempre, il numero dei piatti: ci sono delle aste non rigide, ci sono dei piatti con un buco fuori centro, c’è un artista pronto a mostrare la sua abilità nel mantenere, il più a lungo possibile, il movimento rotatorio dei piatti sistemati all’estremità delle aste. Durante l’esibizione i piatti perdono velocità e rischiano di cadere se viene meno l’intervento dell’artista che, muovendo opportunamente le aste, riesce a ravvivarne il movimento. Qualcosa di simile succede alla nostra quotidianità. Al posto dei piatti mettiamo tutti i valori destinati ad ottimizzare la convivenza civile e al posto dell’artista ci siamo tutti noi, responsabili dell’incarnazione dei valori nei contesti sociali di cui facciamo parte. All’artista circense si chiedeva attenzione, vigilanza, prontezza di intervento; a noi tutti si chiede la stessa attenzione, la stessa vigilanza, la stessa prontezza di intervento. Abbiamo la responsabilità di individuare il valore che, in un particolare momento storico, ha bisogno di essere attenzionato e potenziato. Se i piatti cadono abbiamo la sconfitta dell’artista, se i valori non sopravvivono o diventano reperti archeologici il degrado della società diventa inevitabile. Crisi economica, crisi morale, voglia disordinata di possedere, perdita dei valori, scelta di stili di vita proibitivi, preoccupante vuoto spirituale, divario crescente tra Paesi ricchi e Paesi poveri, consumismo che predispone allo spreco, gestazione di desideri sempre più schiavizzanti sono fenomeni che non sono stati misconosciuti sia da Benedetto XVI sia da Giorgio Napolitano, all’interno dei loro Messaggi per l’inizio del nuovo anno. Cosa hanno proposto? Quale valore hanno ritenuto opportuno rimettere in circolo nella nostra società? Quale invito ci hanno offerto? Hanno entrambi visto nella sobrietà una ricchezza spirituale, un’indicazione possibile, un valore che può predisporre il nostro cuore a rimettere nella giusta gradualità le motivazioni principali della nostra esistenza. Una sobrietà raggiunta non dopo aver accettato, con sacrificio, alcuni stili di vita imposti dall’austerità, ma come risultato esaltante di una vittoria sulle mille schiavitù che, nel tempo, prendono d’assedio il nostro cuore. Nell’austerità siamo portati ad evocare con malinconia i tempi delle vacche grasse, nella sobrietà accogliamo con serenità e gioia i concetti di essenzialità, di semplicità, di temperanza. L’austerità ci porta ad una limitazione forzata dei consumi, la sobrietà ci fa scegliere la strada migliore per sentirci più liberi e ci introduce a percepire l’importanza “dell’essere”, regalandoci inoltre tutta la gioia “del semplicemente vivere”. Di quest’ultima espressione sono debitore ad una teologa domeni- – 45 – Amici scrivono cana che dal 1994 vive in Bolivia condividendo l’esistenza di alcune famiglie indigene ed insegnando all’Università di Cochabamba e di La Paz: Antonietta Potente. Il libretto “Semplicemente vivere” raccoglie alcune sue riflessioni sulla essenzialità e sulla semplicità che sono da considerare tra le principali virtù caratterizzanti la testimonianza cristiana. Ecco qualche goccia sapienziale di Antonietta: “Più le persone sono semplici, essenziali, vicine alla vita quotidiana, più sono profeti… I veri costruttori di vita sono coloro che conoscono l’essenzialità della vita; più uno ha difficoltà nella vita, più impara a crescere e a ricostruire mille volte la vita e a ricrearla in modo nuovo”. Viene ricordato anche Francesco d’Assisi che “ci ha fatto venire la nostalgia di una vita più libera e quindi più semplice”. Benedetto XVI e Giorgio Napolitano, consapevoli della crisi economica e valoriale del mondo occidentale, ma soprattutto sensibili alla difficoltà di sopravvivenza del Terzo Mondo, entrambi vigili, attenti e pronti, come gli artisti del circo durante il numero dei piatti, hanno pensato bene di dare energia propositiva al valore di una sobrietà aperta alla solidarietà, alla condivisione, alla civiltà dell’amore. NICOLA SAJEVA “I grandi principi, quando sono entrati nella mente, devono essere padroni di tutta la vita. E’ necessario essere padroni di sé, fare che la volontà illuminata ci governi, e non gli impulsi e le passioni, che ci fanno agire inconsideratamente. Anche le passioni sono forze che ci spingono all’azione, ma non sono strettamente legate con l’intelligenza. Bisogna che sia la volontà razionale a illuminarle e governarle. Si deve dunque dare il primo posto ai grandi principi, che siano i padroni della nostra anima, e le altre forze in noi stiano al loro posto.” (L. Tincani, 1942) – 46 – Adozioni a distanza Caro amico, con la somma minima di € 180,00 potrai assicurare a un bambino o ad una bambina, dell’India o del Pakistan, il necessario per una vita dignitosa e la possibilità di studiare per tutto l’anno. Riceverai le foto e tutti i dati del bambino, insieme alle notizie necessarie per metterti in contatto con lui, se vuoi, tramite le nostre Missionarie. Puoi fare la tua offerta anche in più rate durante l’anno, usando il bollettino di conto corrente postale allegato a questa rivista. Grazie della tua generosità e delle tue preghiere! – 47 – Causa di canonizzazione della serva di Dio Madre Luigia Tincani O Spirito Paraclito, fonte di ogni verità e di ogni bene, che hai ricolmato della tua sapienza e del tuo amore la tua Serva Luigia Tincani, concedimi per sua intercessione di essere docile a te nella ricerca della verità e di saperla comunicare con coraggio, limpidezza e santità di vita, per arrivare con tutti i miei fratelli alla verità dell’amore. E se è conforme alla tua volontà, ti prego di glorificare la tua Serva fedele, concedendomi ciò che ti chiedo con illimitata fiducia. Amen. Chiunque ricevesse grazie per l’intercessione della Serva di Dio Madre LUIGIA TINCANI, Fondatrice delle Missionarie della Scuola, è vivamente pregato di darne comunicazione alla CURIA GENERALIZIA, via Appia Antica, 226 — 00178 Roma Tel. 06.784411 — Fax 06.78441124 e-mail: [email protected] Con approvazione ecclesiastica – 48 – Causa di canonizzazione della serva di Dio Madre Luigia Tincani – 49 – Nella pace del Signore Raccomandiamo alla misericordia del Signore familiari, consorelle e persone care ritornati alla casa del Padre; il Signore accolga tutti nell’abbraccio della Sua misericordia e dia conforto a quanti rimaniamo nella nostalgia del distacco: CINZIA RAPARO, ANNA CAPPELLA, GIOVANNI MARCHI, LEONARD, cognata della nostra Maria Missionaria della Scuola docente della LUMSA padre della nostra consorella Grace Prof. Giovanni Marchi Il 27 Aprile è deceduto in Roma il prof. GIOVANNI MARCHI, docente di Lingua e letteratura francese nell’Università “La Sapienza” di Roma. Lo ricordiamo con viva gratitudine per la sua collaborazione nella LUMSA di Roma, sia come docente di Storia del Teatro e dello Spettacolo, sia come membro nominato dal Ministero dell’Università nel Comitato tecnico ordinatore della nuova Facoltà di Lettere e Filosofia. Vicino a lui, studioso di alto profilo, di fine umanità e dal colloquio profondo e cordiale, abbiamo sperimentato il garbo del rapporto umano, oltre al suo grande amore a Don Orione da lui conosciuto molto da vicino. Esprimiamo la nostra viva partecipazione al dolore della famiglia. Nel primo anniversario della sua partenza da noi - 24 giugno 2008 - vogliamo ricordare qui con affetto e nostalgia la dolcissima Giovanna Dalla Torre. Lei ci ha fatto sempre dono del suo sorriso e della sua bontà, noi vogliamo ricambiare a lei e alla famiglia carissima il nostro costante ricordo e soprattutto la preghiera. Viva in pace! – 50 – Offerte per l’Arbore della Carità PER L'ARBORE DELLA CARITA' ACUTO: Giuseppina Anagni Ricci; BAISO: Adriana Lugari; BARI: Alessandro Datta; BASELGA di PINE’: Aldina Martinelli BIBBIENA: Padri Domenicani; CANEPINA: Eva Ferri Corona Marandino; CENTA di S. NICOLO’: Giovanna Martinelli; COMO: Elvira Broggi Compare; FRASCATI: don Filiberto Salnitro; GIUSTINO: Luigi Frizzi; LIZZANO: Dora e Anna Maria Mele; LUMEZZANE: Norita Bonomi; MILANO: Giampiero Rossi; MODENA: Riccardo e Maria Chiara Dal Zotto; MONTEROTONDO: Francesca Cavallini; PALERMO: Maria Consolata Leone; Anna e Maria Parrino; PASSOSCURO: Domenica Santori PAVIA: Aleide Vallicchia; RIBERA: Rosetta Sajeva; ROMA: Nunzia Ardizzone; Laura Serafini; Ottorino Calcagni; TERAMO: Lucia Del Deo; TORINO: Giuseppe Pitisci; TRIESTE: don Pier Emilio Salvadè; VERONA: Silvana Tardini; VESCOVATO: Luigina Scandolara; PER LE MISSIONI IN INDIA, IN PAKSTAN E IN POLONIA (Offerte, Adozioni a distanza, Borse di Studio) ALBA ADRIATICA: Tiziana Ciaffoni; Evaristo Pavoni; Concetta Iacono in Clementoni; ALBARETO: Amalia Benassi; AREZZO: Chiara Gasperi; BARCAROLA: Sonia Lorenzini; BARI: Giacomo Metta; BOLOGNA: Luciano Simoni; Stefano Sassoli; CALTABELLOTTA: Maria Turturici; Calogera La Bella; Conf. Maria SS. Dei Miracoli; Alunni e Ins. M. Colletti Augello; CANEPINA: Eva Ferri Corona Marandino; CAPISTRELLO: Gilda Liberati; CASALECCHIO DI RENO: Giorgio Tufariello; CATANIA: Maria Aprile; CINGOLI: G. Piermattei; Elia Violoni; Roberto Compagnucci; CORIGLIANO CALABRO: Francesco Pistoia; FALCADE: Gemma De Pellegrini; FIRENZE: Roberta Gori Dovichi; Rita Cozza; Adele Tarasco; Anita Pianeschi; LAVINIO: Ass. Culturale “Terra d’Enea”; LECCE NEI MARSI: Giovanna Morgani; LORETO: Francesca Pettorossi; MACERATA: Giuliana Caldarelli; S. Crocetti; MARINO: Giovanna Cavallini; MAROSTICA: Nadia Parise; MONTECASSIANO: Fam. Fabiani Caporaletti; NOVA MILANESE: Maria Lupo; NOVENTA VICENTINA: E. Vendramin; Ugolina Santimaria; OLGIATE OLONA: Maria Giovane; PALERMO: Famiglia Viola; Vincenzo Lo Presti; M.Grazia La Spina; Clara ed Enrico Procenzano; PAVIA: Aleide Vallicchia; PEZZE DI GRECO FASANO: Domenica Barletta; POLLENZA: Stefania e Renzo Properzi REGGIO CALABRIA: Gennaro Morrone; REZZATO: Parrocchia San Carlo; A. Zuccali; Antonietta Cerutti; ROMA: Lucia Failla; Fam. Malizia; Oriana Castignani; Stefano Defalchidu; Pina Gambelli; Helene Fiorentino; M.Teresa Matta; Francesco Ramiconi; Antonella Reibaldi; Alberto Neri; Bruna e Pino Clemente; M. Cristina Ruta; Augusta Succi Condemi; Graziella Paddeu; Luigi e Maria Roverselli; ROSETO DEGLI ABBRUZZI: Marosanna Ceci; SALCEDO: Raffaella Meneghini SFORZACOSTA: Paola Ciccarelli; S. GIOVANNI LA PUNTA: M. Grazia Reibaldi; S. SEVERINO MARCHE: Elide Violoni; TARANTO: Diega Aguanno; Famiglia Sebastio; Concettina Spano; TERAMO: Maria Rosaria Del Deo; VELO D’ASTICO: Giuseppina Sadler; VESCOVATO: Luigina Scandolara; VILLA CASTELLI: Paola Nisi; Vita Leone; Domenico Giovane; PER LA CAUSA DI CANONIZZAZIONE DELLA MADRE TINCANI ALBARETO: Amalia Benassi; GUASTALLA: Maurizio Alessandri; MACERATA: Giuliana Caldarelli; ROMA: Società Servizio Sociale Missionario; TRIESTE: Velleda Bonanni Fonda; – 51 – “I diritti umani sono divenuti il punto di riferimento di un ethos universale condiviso, almeno a livello di aspirazione, dalla maggior parte dell’umanità. Questi diritti sono stati ratificati da quasi tutti gli Stati del mondo. Il Vaticano II, nella dichiarazione Dignitatis humanae, e i miei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, hanno fatto riferimento con vigori ai diritti di libertà di coscienza e di religione che devono essere al centro di quei diritti che scaturiscono dalla natura umana stessa. In senso stretto, questi diritti umani non sono verità di fede, sebbene si possano scoprire, e di fatto acquistano piena luce, nel messaggio di Cristo che “rivela l’uomo all’uomo stesso” (Gaudium et spes, n. 22). Essi ricevono ulteriore conferma dalla fede. Tuttavia non si può negare che, vivendo e agendo nel modo fisico come esseri spirituali, uomini e donne constatano la presenza pervasiva di un logos che permette loro di distinguere non solo fra vero e falso, ma anche fra buono e cattivo, migliore e peggiore, giustizia e ingiustizia. Quest’abilità di discernere, questo intervento radicale, rende ogni persona in grado di cogliere la legge naturale che non è altro che una partecipazione alla legge eterna: «unde... lex universalis nihil aliud est quam posticipatio legis aeternae in rationali creatura» (San Tommaso d’Acquino, ST I-II, 91, 2). La Legge naturale è una guida riconoscibile da tutti, sulla base della quale tutti possono reciprocamente comprendersi e amarsi” Benedetto XVI O.R. 4-5 maggio 2009