Il capitale umano, linfa dell’AVO, patrimonio del Paese Claudio Lodoli Cari amici, benvenuti a Montesilvano Marina per questo XX Convegno dedicato a tutti coloro che hanno compiuto la difficile scelta di donare all’AVO i beni più preziosi: il tempo e quelle straordinarie energie interiori che sono le radici della vita. So che essere qui oggi non è stato semplice: dopo anni di una crisi durissima, che ha messo a dura prova il risparmio e la gestione della quotidianità di tante famiglie italiane, il versamento della quota di partecipazione, pur rimasta invariata nel tempo, ha comportato un impegno non indifferente, così come anche le questioni di logistica. Oggi, però, siamo finalmente insieme per vivere due intense giornate, che auspico serene e proficue. A tutti auguro buon Convegno! È tempo di entrare nel vivo dei lavori, e come sempre la mia relazione, focalizzata sul tema generale del Convegno e sulla parola chiave “capitale umano”, introdurrà gli interventi degli illustri relatori che in questa magnifica sala, in cui si svolgeranno gli eventi centrali della Manifestazione, proporranno le loro variegate visioni su ruoli, valori, funzioni del volontariato AVO e sulle prospettive del servizio che ogni giorno i nostri volontari svolgono in più di settecento strutture di tutta Italia. 1 Il concetto di capitale umano nasce da una visione strettamente economicistica delle attività dell’uomo: appare infatti illustrato per la prima volta all’interno di un saggio, scritto nel 1776, all’inizio della prima rivoluzione industriale, da Adam Smith, padre dell’economia classica. In quel saggio Smith affermava: Un uomo che sia stato addestrato a impegnare molto del suo tempo in impieghi che richiedono elevate abilità e competenze, può essere comparato a un costoso macchinario. Il nuovo lavoro che quell’uomo impara a svolgere e che vale ben più del salario con cui è remunerato per il suo normale lavoro, compenserà ampiamente la quota di capitale investito per la sua formazione. L’espressione “Capitale umano” si è poi affermata a partire dalla metà del secolo scorso, soprattutto grazie agli studi di Gary Becker (insignito nel 1992 del Premio Nobel dell’Economia), che nel 1964 pubblicò un saggio intitolato per l’appunto Il capitale umano. Il capitale umano ha a che fare con le competenze, l’istruzione, la salute e la formazione degli individui. Si tratta di capitale perché tale competenza o istruzione è parte integrante di noi ed è qualcosa che dura, al modo in cui dura un macchinario, un impianto o una fabbrica. Così Becker sintetizza il concetto, richiamando (e aggiornando) all’età contemporanea il pensiero espresso due secoli prima da Smith. Come nel Settecento, il capitale umano è assimilato da Becker al bene durevole di un macchinario; ma nella sua visione emerge con maggiore forza l’importanza dell’investimento in una preparazione del personale non più esclusivamente concentrata sull’esigenza di incrementare la produttività della fabbrica. Becker, infatti, fa riferimento a una crescita a tutto campo degli individui, parlando non più di addestramento ma di “formazione”, che ricomprende anche la cura dell’istruzione e della salute degli 2 addetti. Egli, quindi, propone una visione più marcatamente olistica, complessiva della persona in formazione che, alla fine del percorso, sarà capace di riversare nella propria attività non solo le risorse fisiche e le competenze tecniche acquisite, ma anche le qualità morali e le esperienze del proprio vissuto. Tant’è che lo stesso Becker sostiene che: Il successo dipende dalla capacità di una nazione di utilizzare la sua gente: se una quota significativa della popolazione viene trascurata, qualunque nazione fallirà nel mondo moderno, per quanti macchinari possieda. Bene, direte voi, e questo con il volontariato cosa c’entra? C’entra molto. Concediamoci il privilegio di riflettere con tranquillità, senza accelerare troppo i tempi per giungere subito alle conclusioni. Partiamo sempre dall’enunciazione di Becker, secondo cui “Il capitale umano ha a che fare con le competenze, l’istruzione, la salute e la formazione degli individui”, per ribadire che ogni essere umano è potenzialmente capitale umano, ma diverrà tale solo se avrà compiuto il suo percorso di istruzione, formazione ed educazione. Percorso che lo metterà in condizione di corrispondere a un profilo in cui emergano capacità di apprendimento, approccio positivo ai problemi, affidabilità, disponibilità, concretezza, apertura alla condivisione delle conoscenze maturate, facilità di stabilire rapporti cordiali e di fare squadra. Allora, pensateci un momento: non trovate forse familiari queste caratteristiche? Non c’è qualcosa che vi richiama alla mente i corsi di formazione promossi dalle nostre AVO e dalle altre Associazioni Federate? Le caratteristiche che ho elencato sono le stesse che, da imprenditore e da dirigente d’impresa industriale, ho sempre 3 attribuito ai miei ideali collaboratori per conseguire dei buoni risultati. Tuttavia, dal momento in cui sono entrato nell’AVO, mi è bastato poco tempo per capire che non avrei potuto predicare bene e razzolare male. Un inquietante dubbio aveva iniziato a farsi strada nella mia testa: la mentalità di uomo d’azienda mi permetterà di conciliare le ragioni dell’economia e della produzione con la gratuità e i principi etici del volontariato? La mia adesione all’Associazione, anche se molto sofferta e a lungo meditata, era stata decisa razionalmente e con convinzione: quindi dovevo necessariamente sanare questa frattura interiore. Alla fine ho trovato la soluzione rivalutando le opportunità offerte da quel malfunzionamento dei muscoli oculari che va sotto il nome di strabismo. Ho concluso che avrei portato valore aggiunto all’Associazione imparando a orientare lo sguardo contemporaneamente su due lati opposti, dei quali questo simulato strabismo mi avrebbe aiutato a scoprire i tanti possibili punti di convergenza. In quel modo è iniziata la sfida di un discreto e selettivo travaso di idee e saperi dal mondo dell’impresa al mondo del volontariato e viceversa. Questo incrocio di competenze, di approcci, di visioni, di sensibilità solo apparentemente tanto lontane mi è stato di enorme aiuto, sia sul versante della mia professione, sia per la mia attività nel volontariato AVO, servizio nelle strutture incluso. Lavorando contemporaneamente nelle due realtà ho visto sgretolarsi sotto i miei occhi il modello dell’Homo oeconomicus, ovvero dell’uomo che vive i rapporti sociali animato sostanzialmente da motivazioni economiche, che si esprimono nella tendenza all’egoismo, all’individualismo e nella costante ricerca di ciò che è utile per se stesso e per il proprio benessere. Una volta cadute le certezze derivanti dalla mia esperienza aziendale niente affatto tenera, e dissolta con quelle certezze anche una buona dose del cinismo accumulato nel tempo, si è finalmente aperto il mio terzo occhio. Ed ecco apparire all’improvviso in tutta la sua imponenza l’immagine delle 4 “persone”, l’immagine di un’umanità sconosciuta, pulsante, viva, disposta al sacrificio, che si affidava. Erano impiegati, operai, professionisti, segretarie, insegnanti, persone niente affatto diverse da quelle che lavoravano in azienda; era la stessa umanità che ora trovavo, sotto forma di compagni, nell’avventura del volontariato. Non ho mai tradito la missione e i compiti nell’uno e nell’altro comparto, ma lo sguardo strabico mi ha abituato a osservare le cose nelle diverse sfaccettature. Così è certo che ho fatto meglio il mio mestiere di uomo d’azienda, e ho fatto con maggiore impegno e convinzione il volontario: quanto bene, non sta a me dirlo. C’è una ciliegina sulla torta. Manifestando questi miei punti di vista in incontri, convegni, riunioni, ho scoperto che non sono solo in questa sfida: sia nella nostra associazione, sia in altre associazioni, sia in molte delle imprese che frequento regolarmente, ho incontrato tanti amici che hanno seguito la mia stessa strada. Un buon motivo per rafforzare e cementare quelle belle amicizie. Cominciamo a stringere: il concetto di capitale umano, che come abbiamo detto è nato in ambito economico nella seconda metà del Novecento, è divenuto poi oggetto di studi anche da parte di sociologi e di filosofi, che hanno aperto ampi affacci sul capitale umano interpretato come motore dello sviluppo non soltanto economico per le comunità e i Paesi. Ormai l’espressione “capitale umano”, depurata di buona parte delle componenti più marcatamente utilitaristiche, si è affermata nel mondo dell’associazionismo sociale per sottolineare il valore costituito dalle persone di per sé sensibili e istintivamente orientate ai beni comuni, che, una volta approdate all’esperienza nel sociale, abbiano accettato di seguire con cura e costanza i percorsi di formazione e di aggiornamento: in questa prospettiva il volontariato nell’AVO è una vera e propria fucina. L’AVO propone ogni anno ai propri iscritti un’offerta formativa ricchissima, con decine e decine di occasioni buone per intraprendere il cammino che nel tempo trasforma donne e 5 uomini di buona volontà in prezioso capitale umano. Il volontariato AVO si regge esclusivamente sulle persone che fanno dono dei loro frammenti di vita; nell’AVO non ci sono piatti caldi da cucinare e da servire, coperte da distribuire, ostelli da gestire, nulla, nulla oltre il dono del tutto immateriale di sé che si manifesta attraverso un rapporto di reciprocità. Questa è l’AVO: il suo presente e il suo futuro si reggono sulla capacità di tutti noi volontari nel dare risposte efficaci ai crescenti bisogni dei cittadini in difficoltà, alle istanze delle istituzioni e, naturalmente per prime, alle istituzioni sanitarie. Se vogliamo essere interlocutori credibili, ribadendo in maniera inequivocabile la nostra volontà di proporci quali integratori del sistema sanitario e veri protagonisti nei processi di umanizzazione, dobbiamo curare sempre di più la formazione nostra e dei nostri iscritti. Dobbiamo dimostrare ogni giorno sul campo di essere all’altezza di un compito molto più complesso rispetto al tempo delle origini, negli anni Settanta del secolo scorso. Più complesso sia per effetto della crescita culturale della popolazione e, quindi, anche dei nostri assistiti nelle strutture ospedaliere, oggi tutti meglio informati e attenti; sia per il fatto di aver esteso il nostro servizio alle strutture territoriali, con le evidenti implicazioni nell’ambito della formazione e dell’organizzazione. Mi riferisco alla formazione specifica da erogare ai volontari che operano nel settore della Salute mentale, nelle RSA, negli hospice, nei centri di riabilitazione e in molte altre tipologie di strutture socio-sanitarie territoriali; formazione specifica da erogare anche ai Responsabili e ai Coordinatori, che debbono rivedere i criteri di gestione dei gruppi e delle relazioni con operatori e dirigenti sanitari: temi che saranno oggetto di seminari mirati, specialistici, programmati nel corso di questo Convegno. L’adesione all’AVO può essere casuale, frutto di uno stimolo giunto in un momento particolare della vita, dell’esigenza di dare un senso alla propria esistenza, di contribuire a soddisfare il bisogno di solidarietà che emerge nelle maglie 6 della società dell’individualismo spinto, così come molti volontari entrano nell’AVO sospinti da motivazioni a sfondo religioso; ma si contano anche i casi in cui persone istintivamente votate a offrire sollievo alla sofferenza altrui approdano all’AVO come una nave in porto. Tuttavia razionalizzare, oggettivare le ragioni che ci hanno indotto a sacrificare una non piccola parte del tempo che ci è concesso a un’opera così delicata e impegnativa, significa finalmente guardare oltre la consolazione, il conforto e il sostegno offerti a tanti compagni di viaggio che da soli non ce la fanno, per giungere alla conclusione che ci ha suggerito il Presidente Fondatore Erminio Longhini: Se sorge la reciprocità bisogna averne cura, ma senza limiti di tempo e di luogo. Nasce nell’ospedale ma non può essere dispersa. La reciprocità è un virus benefico, molto, molto contagioso. È la base di un mondo desiderato e nuovo. A questo livello di consapevolezza l’AVO diventa un distillato puro. Assaporandolo, cadono d’incanto le ragioni di competizioni, conflitti, protagonismi, risentimenti, ingiustificati abbandoni. All’improvviso, guardando agli effetti che l’impegno nell’AVO può indirettamente produrre sulle nostre comunità, i falsi ostacoli generati dalla centralità dell’io risulteranno del tutto inattuali e senza più alcun significato. Questa non è utopia! È un sogno che si potrà realizzare nel momento in cui tutti noi, venticinquemila volontari, scopriremo che il pur prezioso e insostituibile servizio nelle strutture sanitarie è solo un magnifico mezzo per il raggiungimento di un fine altro e molto più alto: contribuire all’edificazione di una società più giusta e coerente con il valore della persona umana. Dobbiamo sentirci orgogliosi ogniqualvolta ai nuovi amici che si avvicinano all’AVO, ancor prima delle nozioni e norme utili per svolgere efficacemente il servizio, riusciamo a trasmettere il senso di una vera comunità sanante, volta ai beni comuni, fondata sulla reciprocità e sulla fiducia. Dobbiamo sentirci orgogliosi di aver collaborato alla formazione di ogni volonta- 7 rio come cittadino responsabile e consapevole dei propri doveri prima e oltre che dei diritti, capace di interagire in maniera efficace con il mondo esterno, di relazionarsi correttamente con gli altri cittadini, con le istituzioni, con il mondo della scuola, dell’università, del lavoro. Un cittadino, quindi, in grado di alimentare quel “sistema di relazioni sociali personali tra soggetti individuali e collettivi” (per usare le parole del sociologo Carlo Trigilia) che diviene capitale sociale attraverso cui creare nuovo capitale umano: così, anche grazie anche al contributo delle reti sociali – di cui l’AVO è una componente di eccellenza – si dà avvio a un perenne circolo virtuoso di vitale importanza per una sana, equilibrata e sostenibile crescita del Paese. In questo contesto, ancora una volta appare illuminante il messaggio inviato al mondo da un economista, Paul Krugman (Premio Nobel nel 2008), che in suo saggio ha affermato: Non è scritto da nessuna parte che il progresso economico, come pure potrebbe far pensare il fatto che tutti i paesi più ricchi del 8 mondo sono sistemi democratici, porti necessariamente alla democrazia. E dunque il futuro non sta tanto nel PIL pro capite del mondo, quanto nel tipo di persone che vivono in questo mondo. Le AVO decise a impegnarsi in questo cammino in tempi tanto difficili possono contare sul sostegno delle AVO regionali e della Federavo, unite per valorizzare il capitale umano rappresentato dai volontari che ogni giorno si spendono con passione per realizzare sul campo la missione delle nostre Associazioni. L’AVO, non dispensatrice di beni materiali ed essa stessa priva di qualsiasi bene materiale, esiste soltanto nella sua gente, nei suoi volontari, dai tirocinanti ai presidenti, ai consiglieri locali, regionali e federali. L’AVO è un organismo vivente le cui cellule sono rappresentate dalle decine di migliaia di persone che in quarant’anni si sono avvicendate nelle associazioni diffuse in tutta Italia, offrendo milioni e milioni di ore di servizio gratuito. Nelle profondità di questo speciale organismo vivente si cela una componente misteriosa, che non esito a definire “anima”, dove albergano emozioni, sentimenti, visioni, ideali. È il luogo in cui viene custodita la parte più consistente della nostra storia quarantennale: tracce impalpabili di vissuto che emergono e rivivono nei ricordi di ogni volontario, nei documenti contenuti in archivi di tutta Italia, nelle migliaia di fotografie di libri e di opuscoli, frutto dell’amore e della creatività di persone che spesso restano in un discreto anonimato. Tracce che emergono anche nei verbali di Consigli e di Assemblee, nella massa di email depositate nelle caselle postali. A volte, nel silenzio del mio studio, interrotto per un po’ il lavoro quotidiano, rimossi crucci e preoccupazioni, mi sono abbandonato sulla poltrona con gli occhi chiusi e ho lasciato libera la mente di spaziare. È stato come se da una folla immensa di volti offuscati dal tempo montasse un coro di voci che sussurravano parole incomprensibili, perché quelle voci si sommavano e si sovrapponevano fra loro, in un continuo scorrere di immagini che prendevano forma accompagnate dall’e- 9 co di suoni, risa, grida festose, intemperanze, e poi frammenti di colloqui così coinvolgenti da assumere la dimensione di confessioni. E ancora, l’eco di relazioni e discorsi uditi in tanti Convegni e Conferenze, su palchi come questo da dove oggi vi parlo, ma anche in una miriade di piccole sale anguste con una quindicina di persone un po’ spaesate, riunite nel giorno dell’inaugurazione del loro primo corso di formazione di una piccola AVO di provincia, come la mia AVO di origine. Quanto sacrificio, quanto impegno, quanta genialità, quante difficoltà affrontate con coraggio in quarant’anni! Quanta esperienza, quanto sapere, quanto vissuto intenso e sedimentato è pronto per essere raccolto e tramandato alle nuove generazioni di volontari AVO! Tocca a noi, oggi, come ultimi testimoni delle origini, fare in modo che nulla di ciò che conta vada disperso, e che possa essere messo a frutto per creare nuovo capitale umano, linfa dell’AVO e patrimonio di un Paese abitato dai futuri cittadini di un mondo dai contorni incerti, che tali resteranno per molti della mia generazione. Tocca anche a noi. Buon compleanno AVO, buon compleanno cari amici e colleghi, abbiate delle buone giornate! 10