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VIAGGI
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NELLA CALDEA , mn’mmu, m CRETA,
A SPARTA, m sxcmm, A ROMA, A CARTAGII‘ÌIL,
A MARSIGLIA x manu: GALLIE
SIC Ul'l‘l BALI-l SUI
LEGGI POLITICHE E MORALI.
Prima Traduzione Italiana.
TOMO SECONDOf
VENEZIA
"L'IPOBI\AFIA ANDREOLA
~1828.
_‘.
8QOQOOOGGQOOGOQQOOOOQOQGQQOQQSE
VIAGGI DI PITAGORA
CAPITOLO XXIX.
- Preci a Venere,
Non avendo potuto assistere alle feste,
e poco importandomene, mi procurai il libro
delle invocazioni. - Fra gli anelli scolpiti
da mio padre, e portati meco da Sarno, scel
si un soggetto, che potesse piacere ai sacer
doti, e feci loro il presente d’un’ametistn rap
presentante un delfino. In cambio (Ii questa,
ebbi il libro desiderato, con una immagine di
Venere per giunta.
Miei cari discepoli! Voi vedrete in questa
raccolta di Preci, quanto sono gli uomini in
conseguenti. Lo spirito del culto reso a Ye-.
nere è purissimo. E perché dunque gli atti
religiosi corrispondono tanto male alle parole
consacrate?
» Nel giorno della solennità, mi disse il
pontefice, sopra ciascheduno altare, un uo
I;
mo ed una donna, spogli, come la dea sor
gente dal mare, ardono incensi alla stessa
ora. È questo un uso antico.
Pnmcom. Dove collocate voi la divinità?
Io qui non vedo statue nè di marmo né di
avorio.
In PONTEFICE. Eccola.
PITAGORA. Come? questa piramide Bianca ?.. .
questa pietra rotonda rappresenta Venere?...
IL PONTEFICE. Egli è un antico mistero.
Non mi fu possibile rilevare di più. Ora,
miei cari discepoli, scorriamo insieme il libro
delle invocazioni.
mvomzxom A VENERE,
usate nel tempio di l’afa.
Oh Venere! A te piace (1’ essere invocata
sotto questo nome, il più bello de’ tuòi no
mi, quello che ti è proprio. Non viene forse
tutto da te? non va tutto a te?
011 Venere! Il tuo nome è la parola più
-gacra dell' idioma dorico, perché dinota l’es
sere più interessante di tutta la natura, una
giovine vergine!
Oh Venere Aligena.’ Noi t’invochiame,
figlia del mare, dea nata dal sale, dal pri
mo agente della fecondità degli esseri. Tu se’
5
il sale della vita; senza di te, senza il sale
dei piaceri , che cosa sarebbe l’ esistenza?
Oh Venere Anadioména .' Noi t’ invochiamo
con questo nome, perché sotto di esso i dot
ti ricordano l’origine del mondo uscito dalle
acque. - Venere, che spreme fra le dita
tutta l’acqua compresa nella sua lunga capel
latura, è l’imagine della terra, che a poco a
poco si libera dalle acque ond’era coperta.
Oh Venere Idalia.’ Piace a te questo no
me, perchè in nessun luogo della terra tu
se’ invocata più spesso e con più di fervore
che nei boschi idalii. Avvi un sol albero in
que’ boschi, a’piè del quale non abbia tu ri
cevuto un'offerta?
Oh Venere Greca! Tu non sei ben cono
sciuta che dai felici figli della Grecia. I Greci
soli t’hanno già alzato più altari, che tutti
gli altri popoli uniti; tu devi ad essi la tua
flivinità, sentita appena dalle altre nazioni.
Oh Venere Generatrice! Oh Venere Con
:ervatrìce.’ Tu sei la prima causa di tutto;
tu sei pure quella forza espansiva, anima
dell’universo, che si conserva soltanto per la
scambievola reazione degli esseri.
Oh Venere Pudica.’ Il pudore succede
all’innocenza, quando l’età di questa è P25
6
sata: il pudore, di cui tu pure, o Venere,
ti adorni.
Oh Venere Dea buona! Nelle nostre ina
vocazioni, come potremmo questa obliare! _La ,
dirigiamo all’inventrice delle messi nutritive:
e tu, sorgente dei piaceri riparatori, buona
Venere, tu la meriti senza dubbio di più.
Oh Venere Aurea! Tu sei fra le divinità
ciò ch’è l’oro fra i metalli. La stagione del
l’amore non è forse l’età d’ oro della vita?
Oh Venere Pantea.’ dea di tutte le per
fi:zioni! Non sei tu la divinità del bello per
_ eccellenza? Tu possiedi, tu riunisci la supre
ma bontà di Giove, le alte qualità di Giu
none, l’industria di Pallade, la saggezza di
Minerva, l’ eloquenza di Mercurio, il corag
gio di Marte, la forza d’Ercole; e, per met
tere il colmo a questa universalità di perle
zioni, di cui tu sei dotata, oh Venere, le
Grazie ti cedono il loro cinto, il quale ti può
bastare per tutto il _resto.
Oh Venere Panaitete.’ Sotto questo nome,
poco noto al volge ignaro, noi t’invochiamo
eziandx’o come la causa di tutti gli effetti, co
me la mediatrice di tutti gli esseri.
Oh Venere Arenta.’ Gli amanti, ai quali
vien differita la bramata unione, t’ invocano
‘
7
nella giusta loro impazienza. Tu insegni lo
ro i mezzi di addolcirsi le pene, prodiga
lizzafadosi innocenti carezze, di cui 1’ Ime
neo non dimanderà conto all’ Amore.
Oh Venere Frugifera! I fintti della terra
son l’ opera tua, in essendo quella, che la
rendi amorosa, e la disponi a ricevere nel
suo seno ed a moltiplicare i semi di tutto
quello che Vegeta. Senza i dolci calori di Ve
nere, non ci ha raccolto.
Oh Venere Melinaia.’ dolce come miele.
'Se nota «si fiasse qualche cosa più dolce e più
balsamica del miele, sarebbe quella per noi
un soggetto onde invocarti.
Oh Venere Placida! mediatrice! Tu,
la: richiami la pace nelle fiuniglie,"fiu sei
la divinità della buona concordia. Non vi
sarebbe guerra fra i mortali, se te pren
dessero per loro arbitra. Tu colmi i. traspor
ti omicidi d’un eroe; ed, alle
ni, le armi micidiali cadono di
battenti.
Oli Venere Barbata! Noi
sotto l’ attributo della virilità,
la divinità dei due sessi.
tue invocazio
mano ai com
t’invochiamo
perché tu sei
Oh Venere Negra! di notte: Le giovani
8
spose promettono a’ tuoi altari d’essere pedi
che fino al cadere del giorno: tu ci vuoi tali
anche in seno alla voluttà.
Oh Venere Epitìmbia! A Delfo s’iuvoca
no nel tuo tempio i trapassati, perché la dis
soluzione degli esseri è necessaria alla loro
riorganizzazione. Se la morte nasce dalla vi
ta, anche la vita nasce dalla morte: questo
rapporto tra l’esistenza ed il nulla avverte
almeno gli uomini, che l'abuso dell’una ac
celera il ritorno dell’altro.
Oh Venere Libitina.’ Roma nascente ha cre- f
duto di dover imitare Delio, consacrandoti
un altare sotto il titolo della divinità, che
presiede ai funerali. Ivi si provvede tutto ciò
che concerne il lutto; ed il benefizio di que
sto traffico, deposto in una cassa, è consa- _
crato al mantenimento del tuo culto. Oli Ve
nere! La morte paga le spese della vita.
Oh Venere Libentìna.’ Sei tu, che emarif
cipi le giovani donzelle; tu ti compiaci di
sorridere al tributo d’un’ fantoccio, ch’ esse
depongono sopra le tue are, quando diven
tano nubili. '
'
Oh Venere Sponsa.’ Se le donne devono
invqcarti in tutti i momenti della loro Vita,
9
lo devono specialmente, quando dallo stato
di vergini passano a quello di spose.
Oh Venere Sociale! Tu se’il primo lo
game degli uomini riuniti in ‘società. Dal
primo matrimonio nacque l’incivilimento. Il
fondatore d’ una città prima te invoca di tutti:
le altre divinità.
Oh Venere Vulgivaga.’ Si accordi qualche
, cosa alle debolezze umane; e si tollerino dei
disordini, per evitarne di maggiori.
Oh Venere Morfo! I Laceclemoni non ti
hanno forse nemica , per aver dato alla tua
statua di legno di cedro l’attitudine di una
donna seduta, colla testa velata ed i piedi
allacciati? Lezione utile, per avvertire, che la
bellezza non dispensa una donna dai doveri
domestici, e non l’autorizza a peregrinare
pel ‘mondo, ad esempio di Elena. La sposa
7 fedele a’suoi lari ed al suo marito non t’in
voca invano giammai. Oh Venere Morfol
tu le conservi, tu le assicuri il dono di
piacere. Uno sposo saggio la trova sempre
bella abbastanza.
Oh Venere Epistrqfia! La città di Megarfl
ed il suo territorio ti dovevano questo mo
numento della loro. riconoscenza, perché tu
ì0
richiamasti gli uomini da quegli amori mo
struosi, che gridano alla natura.
Oli Venere Prospici’ente.’ preveggente. La
tua saggezza non istà nella previdenza dell’av
venire , ma nel buon uso del presente. . .
Prima di allontanarmi da quei luoghi, in
mi feci un dovere di sacrificare alla di
vinità; ma invece d’accostarmi agli altari, ove
s’immolavano i becchi ed altri animali ma
schi, io mi contentai di lasciare un’ offerta
(1’ incensi e
fiori.
Sarebbe mal ricevuto, nel tempio di Ve
nere, chi vi si presentasse colle mani vuote.
Le giovani donzelle vi portano i balocchi
della infanzia: gli amanti, la lucerna che ri
schiarò i loro amori: le cortigiane, altri pic
coli simboli della lor professione. Io vi osser
vai certi veli femminili d’un tessuto sottile
quanto la tela dell’insetto d’Araòne, degli
specchi, delle capellature acconciate , dei brac
cialetti, e perfino dei coturni eleganti. Tutti
questi presenti hanno un significato, non
sempre ones'to e virtuoso. 'Distinsi fra gli al
tri il dono d’ una statuetta di Venere, di bel
marmo paria, fatto da una straniera; sotto
11
la base, lessi la seguente iscrizione: n Io non
chiedo alla divinità di questo tempio che il
favore di vivere sempre in Buona unione col
mio sposo. «
Nel tempio di Venere a Pali) si allevano
molte tortorelle della specie più rara.
Questa troppo famosa città va soggetta ai
terremoti. Il suo territorio, e quello di tutta
l’ isola producono belle olive, mandorle dol
cissime, e fichi (i).
(1) Vedi Comment. Patini in monum. Marcell. in
b" 1658. Memorie Sopra Venere di Larcher. Selden.
de Dii.s' s)’r. Apnlejo. Lucrezio ecc.
12'
'CAPI’I‘OLO xxx,
Viaggio a Sidone. Gli atomi di Marco.
Il mio piloto d’Arado mi ricondusse nella
sua isola, e volle poi guidarmi anche a Side
ne. M’incaricai di certi reclami, che gli Ara
clonii presentavano alla loro metropoli; ed il
nocchicro riportò loro una favorevole risposta.
Questa fu l’unica mercede, che potei far
gli accettare. Egli mi sbarcò sulla spiaggia, in
distanza di cinquecento passi dalla fontana
del Serpente.
Notai sulle mie tavolette un’ osservazione
curiosa: l’acqua del mare, che bagna Arado,
è dolce.
10 non conosceva niente affatto la città
dove nacqui. Sidone disputa a Tiro il diritf
to di anzianità. Ciascuna di esse vuol esser ma
dre dell’altra , e fa rimontare la sua fonda
zione al di là dell’assedio di Troja. Sidone
ha quest’argomento in suo favore, che Omero
parla solo di essa, e non nomina Tiro.
Per conciliarle, basta riandare alle loro
prime origini. Da principio , non erano che
poche capanne di pescatori, ed\in ciò Sido‘
13
ne va del pari con quasi tutte le città ha
gnate dalle acque del mare. Allontanandosi
un poco dalla spiaggia, ,si vede una pianura
ridente, terminata da una montagna coperta
di numerose capre. Tutta quella bella costa
fu per lungo tempo mal popolata. Gli ahi
_tanti formavano due classi all'atto distinte:
la classe del piano viveva di pesci arrostiti ,
ed aveva costumi diversi dalla classe delle
alture; questa viveva di spiche di frumento
non bene mature, e mezzo cotte, e per be
vanda usava il latte delle sue greggio.
Fin dai primi tempi, osservarono quei
1nontanari il verme, che dà dei fili ancor
più preziosi di quelli del lino (i). Parecchi
fra loro costruivano, per passatempo, delle
capannucoe con ramoscelli frondosi , onde atti
rarvi quell’insetto , il quale mostrò di ag
gradirle: ivi pullulò, e subì le sue trasforma
ziom.
È cosa strana, che non si abbia ancora
tratto un miglior partito dai fili nei quali
s’inviluppa questo piccolo animale; si potrebbe
fabbricarne una trama ben differente dalle
tele dei nostri ragni, alle quali viene male
(x) Il baco da seta.
14
a proposito rassomigliata. L’isola di C00 ha
fatto recentemente dei felici saggi con quei
bozzoli, che in ogni altro luogo servono sol
tanto di balocchi alle fanciulle. Le alture di
Sidone sono ombreggiate da gelsi.
La natura spiegava colà invano le sue pro
duzioni più belle: quegli abitanti indolenti
persistevàno a non voler essere che pastori
o pescatori. Finalmente, degli stranieri fecero
conoscere agli abitatori della spiaggia i van
taggi d’ una tanto felice posizione: fu sca
vato un porto, e dei ripari più comodi
sostituiti vennero
alle affumicato
capanne.
I nostri Sirii, fino allora dispersi, riuni
ronsi, e trovarono in sè stessi un’attitudine
maggiore di quella che si attribuivano. In
breve, una piccola città commerciale chiamò
i vascelli da tutte le parti, e Sidone comin
ciò a prendere un posto fra i popoli. La na
vigazione rende gli uomini industriosi più di
qualunque altra professione. Abbisognavano
vele e- gomene: i montanari abbandonarono
iloro-insetti tessitori, per divenir tali essi me<
desimi. Si conobbe il lino, e trame grosso.
lane furono seguite da fine tele; si aprirono
delle officine; gli alberi strappati dal seno
della terra furono lavorati con arte. La città
Il)
d’anno in anno andò crescendo, ed oggigior
no ha cinquemila passi di lunghezza. Sidone,‘
costruita Sopra un dolce decliviq, che s’inol
tra fino al mare dal lato di settentrione, è.
circondata da montagne a ponente ed a mez
zogiorno-Si pensò ad una-forma di governo;
e fu prescelta la monarchia, temperata da
un’autorità intermedia: fa questa l’idea pri
ma di quasi tutti i popoli.
Il commercio è per gli uomini il vincolo
più stretto di tutti; ma vale eziandlo a cor
romperli più che tutt’altro. Con gli oggetti
necessari alla vita, si ebbe cura di apporta
re in questa città, nascente e già ricca, una
quantità di cose, di cui potea far a meno,
fra le quali diversi culti. Sidone, aper@
ta a tutte le superstizioni, le adottò tutte,
unitamente a molti usi e mode, di cui do
veva guarentirsi. Essa ha un oracolo, quattro
templi, e dei sacerdoti in proporzione.
Ogni casa della città ha il suo giardino
fuori delle mura, in un’estensione che ha tren
ta stadi di raggio. Vi si trovano frutta di
tutte le specie, la melagrana e l’arancià , l’al«
bicocca ed il fico, la prugna e la mora ; al
Clmi de’ quali si trafficano seccati. L’olivo vi
Prospera; il cedro vi è comune, ed è una
16
delle primarie ricchezze territoriali. Fra tutte
le sorgenti, che pagano a Sidone il tributo
delle acque loro, la più stimata è quella, che
porta il nome stesso della città. Il pozzo di
Sidone non è però il solo, che somministri
l’acqua agli abitanti; altre fontane molto più
discoste danno anch’esse il loro contingente,
mediante un aequidotto costruito per innaffia
re alcune case di piacere, ov’ esso forma
delle eascate’d’aequa bellissime e dei zampil
li , che salgono a considerabile altezza.
Due oggetti-mi restavano da vedere e co
noscere: la Corte del re di Sidone , e la grot
ta del Gerolànté. Avviato già per presentarmi
al palazzo, mi fermai dicendo a _me stesso:
» La vita è breve; ed io devo fare dei lunghi
studi. La verità, ch’io cerco, se pure si tro
va in qualche luogo, sarà piuttosto in fondo
alla grotta d’un interprete della natura, che
in una Corte. « Mi recai dunque fuo- '
ri della città, e volii le piante alla caverna
Maara , cosi «letta dal nome del pontefice,
suo primo abitatore... L’ingresso è esposto
ai raggi del sole nascente; due arboscelli, un
mirto ed un lauro, coll’intrecciamento delle
loro fronde, ne compongon la volta; una fon.
tana zampilla dappresso. -Avanzo due passi;
17
al terzo, un uomo quasi calvo, in bianca ve
ste di lino, mi viene incontro, e mi dice:
il Che chiedi? «
’ PITAGORA. D’essere iniziato ai santi misteri.
II. ‘GEROFANTE. A quelli d’Astarte? Cógli,
e tieni fra le dita un ramo di questo mirto.
PITAGORA. No.
II. Gsnórmm. A quelli di Mitra? Stacca
una foglia di questo lauro , e mettila in bocca.
PITAGORA. No. lo vengo per essere iniziato
ai misteri della verità.
II. GEROFANTE. Entra. Ma prima làvati il
viso e le mani a questa fontana.
Il Gerofante mi condusse in un sito mol
to os<:uro , ed ivi mi fermò, per dirmi an.
cora: 1) Vuoi tu tutta la verità? «
PITAGORA. Si, la Verità tutta intera.
II. GEFLOFAN'I‘E. Vieni dunque più avanti.
Inoltrandoci ancora di cento passi, ci tro
vammo in una valle, ove nient’altro apparisce
che cielo e verdura. Il Gerofante, dopo aver
mi fissato attentamente , mi domandò: »Dove.
sei tu nato? u
PITAGORA. A Sidone.
II. GnnorA1vrs. Dove fosti allevato?
PITAGORA. A Sanno.
n. GERO'FANTE. D’ onde vieni?
Tomo II.
a
18
Prrncom. Da Cipro.
n.- Geiwnnws. E prima?
PITAGORA. Da Mileto.
u. Gsuonnrn. E prima?
Prracom. Da Prienne.
n. Gnnornnrn. Chi hai tu veduto in que
ste due ultime città?
PITAGORA. Talete e Biante.
IL Gnuorm’re. Buon giovine! Io ti dirò,
non già tutta la _verità , ma tutto ciò ch’io
so della verità!
PITAGORA. E sei tu il Gerofante discenden
te dal gran Mosco, che esisteva innanzi alla
guerra di Tr0ja, e che discendeva egli pure
da un uomo ancora più grande, nato in E
gitto, e trovato in una culla di giunchi nuo
tante sulle acque del Nilo?
u. Gnnormvrn. Cosi almeno vuole la tradizione.
Prima d’esporti senza velo la dottrina di Mo
eco, l’interprete della natura, impara a cono
scere quell’uomo, ch’era di lui più grande. lo
suppongo, che tutto non ti sia stato detto. «
n Quest’uomo famoso, salvato nascendo dalle
acque del Nilo, era originario d’ un paese vi«
cino al nostro, abitato da una piccola nazio
ne, ch’era caduta sotto il dominio dei re di
Egitto, e che, per mezzo suo liberata, da lui
19
ottenne in seguito un culto ed una legisla
zione. Egli fu il primo che parlò in nome
dell’Ente-Supremo, e trovò fede, ‘obbedienÀ
za, timore e rispetto: ed ecco quali/furono
le sue sublimi rivelazioni: » Un Dio supremo,
unico, onnipotente, eminentemente saggio,
eminentemente buono, collocato fuori della
natura, ossia della materia, da lui creata e
modellata, come un vasajo modella la sua
argilla, fece il giorno ed il sole, la notte e la
luna, la terra e l’acqua, gli animali e l’uo
mo. Alcuni secoli dopo, provocato dalla mal
vagia condotta del genere umano, lo som
merse Egli con una inondazione universale,
da cui risorgendo, il mondo riccinciliossi col
suo Creatore; e questi, per mezzo del suo
popolo’eletto, sparse in seguito fra gli uomini
tutte le sue beneficènze. « n Musco , discendente di quel grand’uomo,
,nacque a Sidone ed attinse alle sorgenti stes
se del suo antenato, ma ne fece un uso di
verso. Accettando la dignità di Gerofante,
sperava egli di condurre gli uomini alla ve
rità per la‘via del ciarlatanismo. Si ritirò in
questa grotta di Maara, quivi accolse ed ascol
tò tutti; ma, credendo di conoscere il cuore
e lo spirito umanò, parlò d’iniziazioni , di mi
20
steri, di prove a coloro che avevano bisogno
d’essere timorati e contenuti dall’ apparato
imponente d’uno spettacolo religioso. n Ado
rate gli dei, cosi disse agli uomini, ma ama
te i vostri simili. Mitra legge nelle anime
vostre. Non ingannate nel commercio; potre
te occultare le vostre frodi agli uomini, ma
non agli dei. La legge punisce i delitti pale
si, e Mitra i delitti occulti; chi sa sottrarsi
alla spada della giustizia umana, non eviterà
la spada fulminante degl’ immortali. Amate gli
uomini e temete gli dei. « n Mosca, del quale io seguo il metodo per
dovere, teneva un altro linguaggio con quelli
fra i suoi uditori, in cui trovava discerni
mento più fine; e, separando la morale dal
la religione, voleva condurre gli uomini all’es
ercizio della virtù per la sola via dell’uma
na ragione. » Voi non dovete, diceva egli,
fare il vostro dovere per la sola speranza di
esserne ricompensati. Il vero uomo dabbene
è quello, che trova in sè stesso i motivi di
esserlo, e quando si sente lodare d’aver det
. io una verità , d’aver fatto una buona azio
ne, ne rimane sorpreso, come se gli fosse
detto: » Mi congratulo teco, che hai veduto il
sole. « Risponderebbe egli allora: n Ma io non
2!
ebbi che il talento d’aprire gli occhi: tutti fan
no , o possono fare altrettanto. « - La virtù
e la saggezza non sono cose né più compli
cate, né più straordinarie. «
» Sidone però, mio giovine compatriotto, è
ben lontana ancora da questi principi. Essa è
una città marittima, esposta a tutti i pre
giudizi dei popoli, che frequentano il suo
porto, ed abbandonata a tutte le seduzioni
del vizio, nello sfoggio più grande dell’opu
lenza e del lusso. La morale di Mosco pas
sa ivi, come la sua teoria dell’universo, per
sistematica. Il saggio rassomiglia al fuoco di
Mitra, che si lascia brillare solo in fondo al
santuario: nessuno vi si accosta; brucia, en
za riscaldare.
PITAGORA. Saggio Gerofante...
II. GEROFAN'I‘E. Tu se’ impaziente di cono’
score il sistema del mondo, imaginato dalmio
antecessore. Raddoppia la tua attenzione. «
» Tu sei giovine, ma questo universo è più
giovine ancora di te: non è esso forse che
al secondo giorno dalla sua nascita; e se ne
dubiti, contempla gli uomini in società. Non
si conducono essi forse come altrettanti bam
bini? Non sono forse novizi in tutte le cose,
anche le più familiari? Tutto li sorprende, co«
22
»
me se fossero nuovi; non s’ intendono fra di
loro; ciascun popolo ha un diverso linguag
gio. Eppure la fate (1’ un astro solo li ris
chiara tutti indistintamente nelle tenebre del
la notte. Le loro convenzioni sociali non so
no che abbozzi; il libro della storia non
tiene ancora che poche linee , riducibili a
poche parole; la terra stessa pare che non
ancora sia a piombo. La natura forma dei
mostri , e soffre delle eccezioni alle sue
leggi, lo che annunzia, ch’ esse non sono
ancora abbastanza consolidate. I vulcani, i
terremoti, le inondazioni attestano una ro
tazione immensa, ma recentissima, di cui
gl'ineguali strofinamenti hanno bisogno-d’un
uso più lungo , per non produrre veruna
scossa violenta. Tutto è ancora nuova sotto
il sole. «
‘
» Ma quando si dice che tutto è nuovo,
non s’intende già, che tutto sia recentemen
te creato. L’ epoca dell’ attuale disposizione
delle parti dell’universo principio forse jeri:
ma l’universo non ha ne ieri nè domani; il
tempo è niente per lui; non è che un’opera«
zione dello spirito, propria a soccorrere la
memoria caduca dell’uomo. Partendo sempre
da quel primo e Soprannaturale principio,
23
che dobbiamo ammettere senza conoscere ,
l’universo è perché fu, e sarà perché è. Egli
porta in sé stesso quella ragióne sufficiente
della sua esistenza, che‘gli venne impressa.
Sempre è la sola parola conveniente ad espri
mere il principio, la durata ed il fine del
l’universo; o meglio ancora, in questo termine
universo sono contenuti simultaneamente il
nome, la definizione, e la spiegazione di quel
Tutto, che, creato una volta, fa di sè ciò
che deve fare, secondo le leggi della sua na
tura. L’universo ha in se tutto ciò che gli
abbisogna; il gran Tutto è composto di par
ti infinitamente piccole, innumerabili, e si
milari. Questi elementi, dei quali i corpi che
vediamo non sono che aggregati, salvi da
ogni lesione, sono insecabili, indistruttibili;
e d’una mobilità incapace d’essere sospesa o
allentata._Siifatta agitazione perpetua fa si, che
nessun essere è assolutamente simile a sé
stesso da un momento all’altro. Questi prin
cipii di tutte le cose, ossia queste parti ele
mentari del gran Tutto, offrono e conser
vano, per un certo spazio di tempo, certe
forme, che han preso secondo la tale o tal
altra disposizione, risultante dai loro differenti
incontri. Un determinato numero di queste
24
parti combinato da ultimo costituisce il mondo,
in cui siamo, il quale non è.che un punto
nell’immensità dei mondi che compongono
l’universo: d’onde segue, che l’universo can
gia sempre, ed è sempre lo stesso; non'
acquista e non perde mai niente; ha sempre
un’egual somma di principii: ma l’ordine di
queste parti fra di loro varia a segno, che
confuso viene talvolta col caso, il quale non
è che una parola. Il caso non esiste, nè può
esistere: esso è la divinità degl’indolenti e
degl’ ignoranti, che chiamano cieco capriccio
quelle immutabili e costanti leggi, che non
possono o non vogliono studiare. E nel modo
stesso , che il gran Tutto si divide in più
mondi: così pure ciascuno di questi mondi
secondarii si suddivide in altri mondi di esso
minori, e questi in più piccoli; come l’uomo,
un insetto, una pianta. Tutti questi esseri
sono della stessa natura, avendo per base
la stessa materia. Si, i raggi del sole ed i
prismi del vetro, il frumento nutritivo e
l’aconito micidiale, l’uomo giusto e lo scel
lcrato, il saggio e l’ insensato , sono com
posti di elementi simili, ma diversamente
combinati. Il sovrapponimento delle parti de
termina il carattere dci vegetabili , degli
25
uomini, ecc., ed il subito e continuo cangia
mento di posizioni dà la spiegazione dell’enim
ma di quegl’ individui, che nella stessa gior
nata, nello spazio d’un batter d’occhio, sono
capaci delle virtù più sublimi, o dei delitti
più atroci.
PITAGORA. Ebbene, dirà il malvagio senza
pudore e senza rimorsi; come vi sono piante
di tossico, c0si vi sono uomini di veleno.
Libra forse Temi nella sua bilancia i delitti
dell’accnito?
'
II. GEROFANTE. Sì, risponderemo noi al mal
vagio. Come si strappano e si bruciano l’er
be cattive, così si ha il diritto di punire il
malvagio, il'quale, in virtù delle proprietà de
gli elementi componenti. il suo essere, può
reagire sopra sè stesso, come la materia in
massa sopra la sua massa, e coordinare la
propria esistenza, purificarla e rettificarla , al
crogiuolo della ragione umana.
PITAGORA. Ma, accordando anche alle parti
elementari quella mobilità estrema, che gli
è necessaria per organizzare il mondo, qua
le si trova, si potrebbe sempre chiedere a
Mosco , quale agente dia loro la prima im
pulsione?
IL Gsnosams. Un turbine di polvere, che
26
si agitava ai raggi del sole, indusse un giorno
Mosco ad ammettere un principio agente, un
elemento motore della natura.-- Tutti que
sti piccoli corpi, diss’ egli, rappresentano ap
punto il mio sistema. Ma come potrebbero
essi agitarsi, se provocati non fossero da un
raggio del grand’astro? Devo dunque ammet
tere anch’io qualche sostanza che imprima il
moto a’ miei corpuscoli infiniti. - E perciò ti
ho anch’io superiormente accennato quel
primo- principio soprannaturale, ch’è forza
ammettere anche senza Conoscere, e che, co
me indispensabile base d’ogni sistema, resta
al di sopra di tutte le ipotesi dell’umana fi
losofia. Prescindendo dunque da quell’intelli
genza immemorabile, che non entra nei no
stri ragionamenti, persistiamo nel sistema
(1’ eguaglianza. Diamo a tutti i corpi azione
reciproca, e crediamoli suscettibili di assu
mere tutte le forme. “Vi dev’essere un’ in
finità di maniere di esistere, giacché vi sono
degli esseri all’infinito. Le parti elementari
non sono palpabili, è vero; ma lo diventano,
quando sono aggregate, e lo sono sempre,
come per giustificare la loro esistenza, che
potrebbe venir contrastata, se rimanessero iso
late; anzi devono esserlo, perché il riposo
27
non entra nella loro natura. Il gran Tutto
ha bisogno che tutte le sue particelle agi
scano simultaneamente. Una festuca ha il suo
posto nell’Universo; ed ha la sua ragione per
esistere com’è. «
>
n Si è tentato più volte di raumiliare l’uo
mo; ma l’uomo ha il diritto di dire a sé stesso:
» Io sono necessario alla Natura. Come io di
lei, ella non può di me far a meno. Tutto
ciò che mi circonda, contribuisce alla mia
esistenza, alla mia conservazione, a’ miei pia
ceri; ed io pure coptribuisco dal canto mio
alla conservazione del r_nondo. Io sono un a
nello indispensabile della catena indisWttibi-.
le, formata da tutti gli esseri. Già daqùal
che anno io sono uomo; fra qualche anno
non sarò più uomo: ma prima era qualche
cosa, e sarò qualche cosa anche dopo; mi
restano delle miriadi di forme da prendere.
lo sono immortale, come il mio principio;
la vita non è per me circoscritta. fra la cui
la e la tomba. Composto «1’ elementi, non
potrei perire, com’ essi no ’1 ponno. « » Mosca ha saputo cosi superare nella sua
teoria dell’universo il nostro Sanconiatone ,
copista quasi servile degli Egiziani, che nulla
ha arrischiato da sè medesimo: i suoi anna
28
li fenici meritano maggior fede. Mosco‘l’avea
prevenuto e superato egualmente nella descri
zione dei costumi ed usi primitivi dei Fenici.
Gran danno, ch’egli non abbia potuto met
tere l’ultima mano a questa grand’ opera, di
cui non abbiam che un abbozzo!
PITAGORA. Possiedi tu questo abbozzo?
n. Gnnorms. Domani potrò mostrartelo.
Io mi ritirai silenzioso, impiegando il re
sto del giorno e tutta la notte a mettere
in ordine nella mia memoria le opinioni di
Mosco, vicino a quelle di Ferecicle, di Tale- .
te, d’Anassimandro, e di vari altri grandi uo
mini. Questi erano altrettanti tesori, ch’ io
avidamente raccoglieva, per ricorrere ad essi,
in caso di bisogno.
’9
CAPITOLO XXXI.
Prime Origini fenicie.
Il giorno dopo, entrai col sole nella grot
ta Maara ; il compiacente Gerofante mi atten
deva , anzi mi venne -incontro‘ con vari rotoli
di scritture piene di cancellazioni. » Con questi
leggeri fogli di papiro in mano, tu mi cre
deresti, sorridendo mi disse il pontefice, una
specie di sibilla: ma rassicurati , giovine ami
co della verità: questi fogli volanti, anziché
oracoli mcrizogneri , contengono fatti. Leg
giamo :
» Fenici, miei compatriotti, si dice che
il nostro fondatore fosse un uomo vizioso,
almeno per nascita , se non per costumi:
non lo credete. Per buona sorte, si racc'0nta
ch’ egli avesse venticinque piedi d' altezza ,._
e ciò si prova col suo sepolcro , che può ve
dersi in una caverna del monte dei Leopar
di. Si pretende eziandio , che la nostra na
2ione n0n tardasse a formare sette popoli,
i quali erano tutti cacciatori inumani e dis
cordanti fra loro. (I
30
n Crediamo ciò ch’è più verosimile: i no
stri primi antenati furono pacifici pescatori,
innocenti come le loro greggie, possessori
d’una terra di delizie, che non cangiò di tem
peratura, quando gli abitanti cangiarono di
costumi. La natura resta per lungo tempo la
stessa. Di questa lezione avrem dovuto pro
fittar di vantaggio. «
»
» Fin da quei primi tempi, si parla di
città: questo è falso. La terra non fu subito
aggravata di sili‘atte masse corruttrici, a meno
che non si voglia 0stinarsi nel dare il nome
di città a una riunione di tende nel medesi
mo luogo. «
'
'
'
» È falso ancora, che i nostri avi fossero
mercatanti. Da buoni vicini, cangiavano essi
ciò che possedevano, a norma soltanto dei
loro bisogni, e mai coll’ intenzione di appro
fittarne. Ignoravano l’artedi arricchirsi im
poverendo i propri fratelli. «
. D Un re vicino, che vedea di mal occhio
1' aumento della costoro popolazione, vietò lor
di piantare e di seminare. Questa tirannia ac
compagnata da minacce portò la divisione fra
quegli uomini semplici. Invece
riunirsi con
tro il nemico comune, gli uni obbedirono,
gli altri ripararono nelle montagne più lon
31
tane : i primi diventarono dipendenti e sol
dati, i secondi restarono liberi e pastori:
quelli furono ben presto opulenti, questi con-'
tinuarono ad essere felici, tra i quali ultimi
si distinguono iPerizziani. Da quel momen.
to, la pianura e la spiaggia vennero coperte
di abitazioni solide; le arti ed il traffico, lo
ro compagno, fecero uninvito agli stranieri.
Le nazioni si mischiarono, si visitarono viag
giando, e barattarono i propri vizi, non gua
ri dopo spoglie trovand0si di virtù. Fedeli
nelle loro relazioni commerciali, si credettero
dispensate da tutti gli altri doveri, e si per
misero gli eccessi più mostru0si. Ma gli avi
nostri delle montagne non ci presero parte
alcuna. Il culto , che istituirono , fu puro
quanto la loro intenzione. I templi eran0
dei boschetti, e le offerte dei fiori. Vi fil
più volte chi si avviso turbame i devoti
esercizi, per cui sovente, allo svagliarsi, tr0
varono i loro altari di verdura da ’empie
mani rovesciati. La vicinanza dell’innocenza
era insopportabile al delitto. Montando anco
ra.più in alto, rialzarono quei pastori colà i
loro altari, nella supposizione, che, coll’avvi
_cinarsi di più al sole, quest’ astro protettore
sarebbe più a portata di difenderli. «
32
» Il governo patriareale, che durò per lun
go tempo in quei luoghi alti, aveva ceduto
il suo posto, nei luoghi bassi, al monarchico.
Rendiamo giustizia ai nostri maggiori; per
molto tempo essi seppero governarsi bene,
ed ebbero dei re saggi e morigerati.’u
» Raccolti gli uomini appena in società, non
tardano a farsi la guerra, quantunque non
sia questo il primo spirito delle istituzioni
civili. I Fenici della pianura, in conseguenza
di quell’avida inquietudine, che agita ordina
riamente i popoli marittimi, molestarono i
loro parenti delle montagne, cui prima ave-.
vano disprezzato come grossolani e privi di
industria, e li obbligarono a pagare tributo.
Per avere la pace, iii loro accordato quanto
esigevano. Interrotti perciò vennero i lavori
dell’ agricoltura; e le produzioni della terra
meno abbondanti non istavano più in propor
zione cogli abitanti. Fu giuocoforza disper
dersi in lontano, essendo il paese di già es
austo; numerose e forti emigrazioni s’ inol
trarono quindi fino in Egitto, e diedero cau
sa a parecchi sanguinosi combattimenti. Por
tata venne ai civilizzati Fenici quella guerra,
cl1’cssi portavano altrove ;_ e micidiali rappre
saglie desolarono tutte queste belle contrade,
33
disposte dalla natura per la felicità degli abi->
tanti. La natura stessa, in tanti modi oltrag
giata, mostrò di volersi vendicare; una sua
rivoluzione cangiò la deliziosa valle di Siddim
in un lago di bitume. Le guerre intanto con
tinuarono a devastare il paese, quando, alla
fine di mille luttuose vicissitudini, la nostra
patria prese una forma determinata. Noi co
minciammo a diventare padroni in casa nostra,
ed il'resto della terra si avvezzo a pronunziare
il nome di Fenici con segni di considerazione.
Sidone, tu fosti la prima delle nostre città
conosciute e frequentate; tu dovesti siffatta
gloria al vantaggio della tua situazione, ed al
tuo doppio porto, da estate, e da inverno. E
tu , sua primogenita figlia , opulenta e superba
Tiro; che siedi a dugento stadi da tua ma
dre distante, sopra una roccia inconcussa, in
mezzo ai flutti, che vanno imbiancando le tue
forti muraglie; sii pure orgogliosa, ma non
ingrata: sii orgogliosa per que’ due bei por
ti, poi ventidue stadi che conti in circonfe
renza, pe’ tuoi alti edifizi , che sembrano
sfidare i moti della terra. u
1) E tu, città d’Arado, la cui industria ha
saputo procurarsi l’acqua più pura in mezzo
all’ onde salse, i tuoi ricchi abitanti si sde«
Tomo U.
3
34
guerebbero d’essere confusi con gli Aradonii ,
povori ma virtuosi. u
n Berite e Biblo, non conviene separarvi,
giacché avete entrambe le stesse pretese; voi
vi affrettate di far sapere ai bastimenti che
approdano alla vostra rada, che siete le due
città più antiche della spiaggia fenicia. «
n Tu poi, sorella della Fenicia marittima,
regione mediterranea, tu opponi alle città
precedenti Palebiblo, Gabala, e parecchie al- '
tre, che la Siria reclama. E non si ha forse
un-territorio esteso abbastanza, quando esso
è fertile ed ameno, quanto il tuo? quando
possiede entro i suoi confini il monte Liba
no ,. ed il fiume Adonide? u
» 0 città, troppo forse famose, voi ave
te ciascuna un.re, ciascuna i pr0pri dei. Qui
vi si adora Mitra; ivi la Luna; più lungi Er
cole. Ma ditemi, qual è fra voi, che offra
incensi alla ragione? Si potrebbe giustificarvi,
se i vostri diversi culti fossero naturali, quanto
quello che cónsacrate al Sole. Questa divinità
è almeno sempre visibile, nè ha bisogno di
simulacri, come saggiamente pensate; giacché,
quale statua del sole potrebbe valere il sole
medesimo ? Neppure un tempio gli alzaste:
la più alta montagna è il suo altare , per voi;
35
la stessa volta del cielo ne è il santuario.
Neppure alcun giorno fisso segnaste per so
lennizzarne la festa. Ella cade ogniqualvolta
il Nume si mostra, ed il sole vi favorisce
ogni giorno di sua presenza. u
» Gli onori divini da voi tributati ad A
starte non sono che un atto di riconoscen
za, se, sotto questo nome, voi adorate la
natura, che feconda le vostre mandre: ed
ogni atto di riconoscenza è pur atto di reli
gione. «
_
n Voi eravate debitori non già di tempii,
ma d’una corona, e d’una lunga ricorda'nza
a quel grand’ uomo, conosciuto sotto il nome
d’Ercole, che estese la navigazione ed il
commercio, che approdò il primo alle isole
Cassiteridi, che v’indicò l’uso di quel pesce,
di cui vide scorrere il sangue sotto il dente
d’un canel . . .’ a
» Fenici, miei compatriotti, la storia dei
vostri culti non è già la parte più brillante
dei vostri annali. E che? In una sola_città ,
più di cinquecento ministri per servire a una
sola divinità? Che cosa significano quei gesti
comulsivi, quelle danze violente intorno all’al.
tare del Sole? Voi mi rispondete, volersi in
36
dicai‘e in tal guisa, che il sole mette tutto
in moto. Ma qual bisogno vi è di dipingere,
cosi male e con si poca dignità, ciò che
tutti vediamo così bene e ogni giorno con
ammirazion sempre nuova? a
» Pepoli, che ci succederete sopra la ter
ra, non imputate ai Fenici le menzogne dei
loro poeti. Adone non fu altrimenti un gio
vine e bel cacciatore, amato prima da Vene
re, poi da Proserpina, dopo essere stato ne
ciso da un cinghiale. Quest’avventura, tanto
propizia agli amanti libertini, non è che un
grossolano travestimento dell’ annua rivoluzio
ne planetaria. Quando il sole percorre i se-«
gni inferiori dello zodiaco , Adone sta con
Proserpina: sta poi con Venere, quando il
sole rischiara i segni superiori. Per congiun
gere la storia delle produzioni terrestri alla
narrazione dei fenomeni celesti, noi raffigu
riamo l’ inverno pel cinghiale, per Adone la
stagione dei fiori e dei frutti. Quando la se
menza è gettata nel seno della terra, all’en
trare dei mesi melanconici e tetri, Adone è
nelle braccia di Proserpina; al tempo della
germinazione, Adone ritorna agli ample'ssi di
Venere; e perciò le donne, che celebranono
37
le noje di Venere nell’assenza del loro aman
te, seminano il grano, e formano dei giar
dinetti , per solennizzarne il ritorno. «
» Tutte queste allegorie, più ingegnoso
che giuste, e poco d’altronde convenienti al
nostro clima, non valgono la semplicità dei
nostri primi avi, ed ebbero anche delle de
plorabili conseguenze, che dovevasi prevede
re. Non si guadagna mai niente coll'allonta
narsi dalla verità, o col cercare d’abbellirla. «
» Queste vane cerimonie distolgono da og
getti più utili. Quanto tempo sottraggono al
perfezionamento delle scoperte, che onorano
il genio dei Fenici! Posterità severa! grazia
per le nostre debolezze, in favore delle no
stre invenzioni! Tu ci devi il vetro di Si
done, la porpora di Tiro, 1’ aritmetica e
l’astronomia, il taglio delle pietre, la dutf
tilità dei metalli, l’arte di fabbricare e quel
la di coltivare. Le nostre colonie si estendono
e si moltiplicano, ove nessun’ altra nazione
osò ancora mostrarsi. La nostra coraggi0sa
audacia va del pari colla fertile nostra indu-‘
stria. Noi demmo alimenti ed istituzioni alla
Grecia semi-barbara. L’Egitto solo cammina
il passo eguale con noi nelle arti, restandoci
inferiore nel talento di trafiicare. Le 001011116
\
33
d’Ercole attestano inostri diritti alla ricon0‘
scenza del mondo. «
'
n Fenici, miei compatriotti, dovrò io rea
gistrare nei vostri annali, che aspirate alla
sovranità assoluta dei mari, e che, per soste‘
nere questa pretesa tirannica, impiegate dei
mezzi condannati dalla lealtà del commercio?
Voi siete gelosi dell’ altrui prosperità , e trop
po spesso accrescete le orde dei pirati; ebbi
già il dolore df sentirvi chiamare lupi mer
cadanti ! Tirii, diffidate di voi stessi; or
gogliosi di possedere, nelle acque che bagna
no le vostre mura, quel pesce maraviglioso,
che dà la porpora, sorvegliato la comunità
dei vostri tiratori: divenuti numerosi e ric
ohi , vorranno dominare il resto dei cittadini. e
n Fenici, miei compatriotti, voi siete cer
tamente uno dei più antichi popoli che si
conoscano sulla terra. Voi vi date mille anni;
io non ve li contrasto: ma ditemi, che cosa
avete fatto in questo lungo intervallo? Som
ministratemi di che interessare la posterità ,
cui la storia del regno di Agenore l' egiziano,
che vi si dà per fondatore, non può interes
sare gran fatto. Se siete la primogenita delle
nazioni, dovet’ essere anche la più saggia ,
e non dare che buoni esempi ai Greci, i
q.,_ , 4 _“, ._
39
.quali hanno già adottatoi caratteri della vo
stra lingfla . . . u
v
v
=v
v
CAPITOLO XXXII.
Particolarità sopra Sidone, Berite, Biblo.
Feste di Adone.
Dopo la rapida lettura dei frammenti
storici, composti da Mosco, io dissi al Ge
rofante: » Da questo momento, Sidone è
diventata mia patria. Ma quanti schiarimenti
avrei da chiederti! Alla mia età, si ama di
sapere. u
_
IL GEROFANTE. Ed alla mia, si ama di di
re ciò che si sa. Parla_ con franchezza, mio
giovine e caro compatnotto.
PITAGORA. Dimmi qualche cosa degli dei
del paese.
IL Gnuormrs. Fra tutte le nostre divinità,
una delle più antiche e più degne dei nostri
incensi è Crisore o l’Artigiano-Dio. Egli
era un uomo di genio, che converti il pri
mo i metalli in istrumenti d’ agricoltura. In
seguito , dedicati essi vennero a futili usi. I
40
nostri orefici hanno della riputazhmc; e sono
tenuti per prodigi gli oggetti fini, cli’ escono
dalle lor mani.
Prracom. Di qual natura è il vostro go
verno?
Ii. Gsnormrs. Ahimè! Dopo Ciro, Sidone
ha perduto la sua autonomia (I). Perfino per
avere un re, deve chiederne la permissione
alla Persia. «
lo aveva altre quistioni da proporre al
saggio Gerofante: ma un gruppo di Sidonii
11’ ambi i sessi venne a reclamare il di lui
ministero. Io lo lasciai, stringendogli la ma
no; né altro potevamo dirci, alla presenza di
quei profani testimonii.
Visitai quindi alcuni artisti conosciuti da
mio padre, e tutti mi offrirono una mensa,
ospitale. I banchetti di famiglia in Fenicia
sono terminati da cantici, eseguiti da un
lino,- questo è il nome che i Fenici danno
ai loro poeti cantori.
/
Il pane, che mi fu presentato, merita la
sua riputazione, essendo nutritivo e leggero
nel tempo stesso.
Feci una importante osservazione: che a
(1) Diritto di governarsi colle proprie leggi.
fil '
Sidone, ifanciulli deVono forse la loro sanità
ai bagni di sale piuttosto frequenti, che si
ha l’uso di far loro prendere.
Prima d’oltrepassare ilimiti del territorio.
della mia nativa città, ne andai a vedere il
molo; egli è una conquista fatta al mare,
indispensabile al porto di Sidone, per ripara
re i bastimenti che lo fi‘equefltano.
I miei compatriotti scorrevano giài mari,
lungo tempo innanzi alla spedizione degli
Argonauti.
I Sidonii s'imbarcarono anche per quella
di Troja; ma ,y cammin facendo, Fala, uno
di essi, avendo rappresentato. a’ suoi compa
gni 1’ immoralità d’una simile guerra, non
durò lhtica a persuaderli di cangiar vele, e
ritornare alle case loro. Prender parte per
un rapitore, non era cosa degna (1’ un po
polo, che vuol conservare il proprio decoro.
Trovai colà un cittadino slàccendato , che,
senza attendere le mie interrogazioni, e te
nendomi per uno straniero, avido (ii tutte
le voci che corrono sull’ origine clclle grandi
città, m’ informò spontaneo, che questa do-.
veva il suo nome e la sua esistenza a Siria,
figlio di Belo. Mi disse ancora, secondo il
buon Omero, che Alessandro-Paride prese
42
terra a Sidone con la bella Elena; che que
sta regina adultera si compiacque di vedere
le donzelle sidonie occupate nel lavoro di rio
che stoffe; e che, per gradire alla sua nuova
conquista, Paride propose a quelle abili lavo
ratrici d’ imbarcarsi con essolui per istabilir
si a Troja: proposta, che da esse non venne
accettata. -
Mi aggiuns’egli: n Berite, che tu devi vi
sitare, giacché ti vedo avanzato su questa
bella costiera, è ancora più antica di Sidone,
dandosi per fondatore Crono o Saturno, il
quale, per liberarsi dal flagello d’una terri
ribile guerra , immolò s0pra un’ ara il proprio
figlio, unico erede del trono. -« -
Mi allontanai dall’importuno, e, senza
rispondergli, presi la via, che conduce a Be
rite, costeggiando il mare. Quella strada è
sparsa di molte sepolture fenicie scavate nei
macigni, coll’imagine dei defunti e con iscrizioni.
Osservai in quel territorio de’ bei vigneti:
quegli abitanti sanno conservare l’uva, e ren
derla capace di durare al trasporto. Bacco
è petulante in quelle contrade, e fa d’uopo
associarlo alle ninfe delle fontane.
lo presi alcune ore di sonno nel bosco
sacro ad Esculapio.
43
Bcritc, città fenicia di second’ ordine, è il
capo-luogo d’un regno, e la residenza d’un
monarca. Il primo monumento olfertosi agli
occhi miei, fu un altare al dio Crono. Tutti
i fondatori di città ne ottennero alla loro
morte. Meno fortunati furono i legislatori.
Sparta sta fabbricando ora un tempio a Li
curgo: ma Roma non decreta già lo stesso
onore a Numa; e credo, che Solone non avrà
nemmeno un tripode. Quattro città della Gre
cia reclamano l’onore d’aver dato la vita ad
Omero: due città della Fenicia rendono lo
stesso omaggio alla memoria di Sanconiatone:
Berite lo disputa a Tiro. Questo scrittore
dedicò la sua storia a due principi nel tem
po stesso: non mi piace questo zelo di met
tere così i propri scritti sotto la protezione;
dei grandi. Si crede forse d’imporre per tal
guisa alla posterità? Quand’ essa giudicherà
il libro, non esisterà più quel mecenate, il
cui nome in fronte portava; nè alcuna con
siderazione potrà esercitare influenza sopra
il giudizio dei futuri.
Felicissima fu la scelta della situazione di
Berite: vicino al mare, in un sito ameno,
sopra un suolo fecondo, alta abbastanza per
non essere incomodata dalle _onde in tempi
.Ut
burrascosi, ha dessa ne’ suoi contorni varie
montagne, che le danno in abbondanza del
l'acqua fresca, dolce e sana.
Nulladimeno, mi vi arrestai poco, volen
do assistere alle feste d’Adone , prossime a
celebrarsi nella città di Biblo.
Camminando lungo la pubblica via, m’ab
bassai per raccogliere certi oggetti, che un
viaggiatore aveva lasciato caseare senz’ac
corgersene. -- n Che fai tu? mi fu detto
vivamente. Eccoti prevenuto di furto agli oc
chi della legge. il - Mi salvò la mia qualità
di straniero.
Crono fu anche il fondatore di Biblo, so
pra un luogo eminente. Quivi risiedeva egli
in un palazzo circondato da una muraglia
costruita in mattoni disseccati al sole.-Colà
fu, dice Sanconiatone, che questo principe
sospettoso, perfidamente consigliato da Er
mete, gittò suo fratello Atlante in una pro
fonda f0ssa, e ve lo seppellî.-Sarebbe forse
per quest’ omicidio che gli si rendono onori
divini?
La grande solennità si andava già prepa
rando. La strada era coperta di gente. Un\
uomo del popolo (nulla di più ingenuo che
il Carattere dei cittadini di questa classe)
[5
mi spacciò quanto sapeva sulle feste d’Ado
ne. - » Adone, diss’egli, fu un giovine prin
cipe nato in fondo all’Arabia. Fuggitivo, co
me era stata sua madre, se ne venne alla
Corte del re di Biblo, e vi fu bene accolto,
a motivo della sua rara bellezza. La stessa
dea Venere lasciò Pafo ed il dio Marte,
per accorrere qui
espressamente a vedere
l’amabilc straniero. Chi tratta le armi è geloso
e sempre pronto alla vendetta. Un giorno,
che i nostri due amanti si divertivano alla
caccia nei boschi del Libano, un cinghiale in
viato da Marte ferì mortalmente all’anca il
giovine e bell’Adone. Vicino a queste mura,
scorre un vago ruscello, detto un giorno il
fiumicello di Biblo; ora porta esso il nome
dell’amante di Venere , le di cui piaghe essa
lavò su quella sponda. Da allora in poi, ogni
anno allo stesso giorno, l’acqua del fiume di
venta rossa come il sangue; e ciò non può
accadere che in virtù di Venere, la quale
volle perpetuare il proprio dolore, ed ecci
»tarci a formarne il soggetto di una festa. Ve.
drai perciò domani la città intera in lutto. « E cosi fi1. Tutte le cittadine portarono pu
blicamente i colori dell’afflizione, sicché seni»
brava nella città esistessero soltanto vedove
46
ed orfane. Questo culto non ha per ministri
che donne; e quelle sacerdotesse, ben nu
merose, devono correre per le strade batten
dosi il petto in segno del più gran dolore.
Devo_no anche fare il sacrifizio di tutta la
loro capellatura; e quest’ uso sacro è
di
tanto rigore, che imposto 101' viene di rader
si il capo. Si può nondimeno esimersi da
quest’obligo, che deve riuscire difficile ad una
donna , non essendovi per la testa ornamento
più bello d’una bella chioma. Quelle che non
possono risolversi a siffatta Perdita, devono
cedere al primo amante, che le richiede, e
rimettere al tempio il prezzo'degli accordati
favori. In quella mattina, io vidi parecchie di
tali vittime preparate a soggiacere al destino,
al quale si erano volontariamente esposte. Mi
avvicinai ad una di esse; ed, al vedermi, una
lagrima cadde furtivamente dalla sua pupilla.
Prracom. Amabile donzella , perché piangi?
LA, DONZELLA. A11imè! Sei tu generoso ab
bastanza per non abusare dei diritti, che ti
accordano le circostanze?
PITAGORA. Parla con sicurezza.
.
LA Donznnm. Io sono amata dal giovine
più bello di Biblo; e gli anelli Ondeggianti
di questa bionda mia chioma sono i primi
47
lacci, che lo vincolarono alla mia persona.
Non ho potuto giammai risolvermi a spezza
re questa catena, e a dispogliarmi la testa',
per compiere le funzioni, alle quali mi chia
ma il culto di Adone.
_
PITAGORA. Ma come ha potuto bilanciare il
tuo amante nella scelta fra la tua capellatura
e la tua fedeltà?
LA DONZELLA. Straniero, tu non sai tutto. Noi eravamo convenuti jeri, ch’egli ar
riverebbe in questo bosco , molto prima di
qualunque altro. Ahimè! Non se, che cosa
abbia potuto trattenerlo: egli non viene; se
arriva adesso, e se tu non sei tanto gene
roso . . .
Pxmcom. Rassicurati. ‘
LA DONZELLA. Altre più belle ti risarciran
110, se non indugi di troppo.
PITAGORA. Come?
LA DONZELLA. Io non son oggi la sola in
questo imbarazzo.
PITAGORA. Le donne di Biblo sanno dun«
que eludere una legge troppo esigente, e tro
vano il mezzo di salvare la chioma e la pro
messa ad un tempo?
LA DONZELLA. Le mie compagne non sa-‘
ranno forse tutte al pari di me fortunate.
1,3
PITAGORA. Ma i rivali, più ancora degli
stranieri . . .
LA Dona-mm. No: ’è cosa convenuta, di non
ispropriare il primo occupante; ed i nostri
amici mancano raramente di seguire solleciti
qui i nostri passi. Dev’essere il mio da qual
che dispiacevole impedimento arrestato. « »
Quegli, di cui essa parlava ancora, giunse
tutto anelante, e restò sorpreso al vedermi.
» Abbraccia prima, gli diss’ella, questo ge
neroso straniero. Egli ti ha prevenuto, ma
tu sei giunto ancora a tempo: lungi dall’ap
profittare de’ suoi vantaggi, egli ha rispettato
i legami di due amanti fedeli. li
Io mi tolsi ai loro ringraziamenti, dicen
do fra me stesso: » Quando l’assurdità delle
leggi e degli usi è troppo ributtante, l’uomo
sa sottrarvisi, e ritorna alla natura, sprezzan
do la politica e la religione. u
,
Io non volli perdere veruna circostanza del
la cerimonia. L’apparato n’è.imponente e ma
gnifico. La cittadina più ragguardevole di Bi
blo apre la marcia , facendosi portare dinnanzi
il simulacro del bell’ Adone. Ella è assistita
da varie altre donne del suo rango, ciascuna
delle quali porta in mano un cestello ripieno
di focacce disposte a piramide, od un panie
4
re di frutti sparsi di fiori e coperti di9fo
glie, o finalmente un braciere di Profumi
accesi. La pompa è terminata da altre citta
dine portanti un palco coperto di bei tappeti,
e onusto di due letti pomposamente ricamati
in ore ed argento, rappresentanti quelli di
Venere e d’ Adone. Vi si vede il simulacro
del principe, pallido come al momento della
sua morte; ma quel pallore dà un vezzo di
più alla beltà del giovine sventurato. Questo
corteggia funebre passa lungo la riva del ma
re. Alcune belle voci cantano degl’ inni, e ce
lebrano, sopra un modo flebile e commoven
te, i funerali d’ Adone. Si procede poscia ai
sacrifizi, duranti i quali, gli assistenti dei due
sessi si flagellano, in atto di devozione, con
verghe e coregge.
Un altro ceremoniale è riservato per la
notte. Le donne vanno gravemente portando
al tempio la statua d’ Adone, e la collocano
esse medesime in una superba tomba; poscia
si spengono i lumi, e si resta cosi nelle te
nebre per tre ore, occupandosi in lamenti,
fino a che il Gerofante, preceduto da una
fiaccola, accorre frettoloso, per ungere le
labbra (1’ ogni astante , e dirgli all’orecchio:
Tomo II.
4
-50
Egli è risorto. A queste parole, la tristezza
si_ cangia subitamente in gioja; tutti allora
vanno a gara per trarre la statua d’Adone
dal _suo letto di morte, indi si dispongono
ad una festa più gaia.
Mi recò la più alta sorpresa vedere le cor
tigiane confuse in questa solennità colle fem
mine oneste.
Notai, fra gli altri, uno strumento di mu.
sica, d’invenzione fenicia. Consiste questo in
una specie di tibia, lunga un palmo , che ren
de un suono lugubre, alquanto simile al gri
do dell’anitra.
51
CAPITOLO XXXIII.
Viaggio a Tiro.
Ritornato per mare a Sidone , vi soggior
nai lo spazio di tre soli; e, prima di partire
per Tiro, andai a salutare il Gerofante. Questa
città offre da lontano l’imagine più imponen
te. Costruita sopra una roccia prolungata nel
mare, apparisce qual grande e superbo navi
glio , immobile in mezzo ai flutti; od un’aqui»
la ferma __sul suo nido. Questo potente vola.
tile è il simbolo di Tiro.
Il momento del mio viaggio era un’epoca
brillante per quella città; mentr’éssa godeva
di una calma esteriore molto onorevole. Que
sto era giusto compenso al suo coraggio, alla
sua costanza, alla sua industria; essa aveva
sostenuto un memorabile assedio di cinque
anni, di cui si parlerebbe per lungo tempo,
se in Fenicia vi fosse un Omero. Tutte le
lbrze dell’impero assiro erano venute a man
care contro lo scoglio di Tiro; ed una com
piuta vittoria navale, in cui dieci vascelli ti
52
rii avevano disperso una flotta nemica di ses
santa vcle, erasi data prima dell’assalio.
L’interno tuttavia non rispondeva allo sta
to florido esteriore. Quando entrai nella città
di Tiro, sembrava prossima ad una guerra
civile. La casta dei tintori in porpora, 'orgo
gliosa per le ricchezze da essa procurate alla
patria, ambiva la precedenza sopra coloro, che
la difendono con pericolo della propria vita.
11 Il nostro sangue, dicevano questi, è ancor;
più prezioso della tintura di porpora, di cui
queglino hanno il secreto. -- I re ed i ma
gistrati, aggiungevano, possono fare a meno
d’un manto di scarlatto; ma che cosa diven
tcrebbero essi con tutti gli altri cittadini, e
primi tra questi i tintori, se non vi fossero
dei soldati capaci di sostenere l’assedio della
città, e di respingere le flotte assire'? Noi
vogliamo essere i primi nella città, se siamo
i primi sui suoi baluardi. «
Questa non era la prima volta, che il cor
po dei tintori in porpora alto portava le sue
pretese. Fu necessario l’intervento dei magi
strati e del principe. Si decise, che le classi
dei cittadini essendo tutte eguali dinnanzi alla
legge ed agli occhi della patria, tutti doves
sero camminare sulla stessa linea.
53
Certi uomini di guerra portano a Tiro
diversi anelli intorno alle dita; e seppi che
quello era il premio del loro valore: ne por
tano altrettanti, quante belle azioni possono
citare.
Tiro mantiene un corpo di palombari pcl
servizio delle sue flotte, e per la pesca delle
porpore.
Visitai le fabbriche e le officine, le mani
liatture ed i magazzini, i cantieri e gli arse
nali; ma prima di tutto volli vedere i pesca.
tori di quella preziosa conchiglia, che dà il
suo nome alle vesti dei re. Ve ne sono di
due specie; e si raccolgono anche, prescin
dendo dalle spiagge fenicie, lungo le coste
della Libia , e le spiagge di varie isole del
Mediterraneo, che ne abbondano. Le porpo
re si assembrano in truppe, e vermo in fre
,gola di primavera. Conviene però pescarlc
vive, perché la tintura, ch’esse danno, è al
lora più animata. I Tirii levano le più gros
se dalle loro conchiglie per cavarne il sangue;
le piccole passano sotto la macina. Immerse
nell’acqua dolce dei fiumi, cessano di vivere;
Il loro liquore, che puzza, è d’un bianco
sporco: esposto all’aria , diventa verde, poi
azzurro-marino. Le porpore pelasgie, ossia
54
d’alto-mare sono le più stimate, dopo quelle
di Tiro.
Di due uomini di Stato, parlanti al popo«
lo, sarà più ascoltato quello rivestito di por
pora, che l’altro, privo di siffatto ornamento.
Sarebbe dunque
l’ uomo da paragonarsi
a quegli animali, che si possono irritare o
calmare, secondo il colore della stoffa, che si
spiega agli occhi loro?
Il padre di famiglia non ha bisogno d’una
veste lunga e listata di porpora tiria, per far
si rispettare da’ suoi figli. E come saremo
noi avidi cotanto di fama, quando sappiamo,
che la città di Tiro deve la sua gloria meno
all' intelligente sua industria, ed ai politici suoi
talenti, ai servigi per lei prestati al commer
cio, e all’infaticabile sua attività, di quello
che ad un pescetto, casualmente da lei messo
in opera?
Tiro occupa una piccola estensione; e le
case, non potendo essere spaziose, cercano un
compenso nella loro altezza: non ne vidi al
trove con maggior numero di solai. Rasso
migliano però tutte, ed il loro tetto serve
di terrazza, ove alla sera si cena. Le mura
della città, alte cento cinquanta piedi greci,
e costruite di grosse pietre, unite insieme
55
con un cemento bianco, formano un circuito
di venti stadi. La rupe, sulla quale i Tirii
hanno piantato il capo-luogo dei loro stabili
menti, è di figura rotonda. I giardini sono
colà di buona terra, trasportatavi dal conti
nente, per ricoprire la nudità di quel vasto
scoglio, convertito in una superba città. Che
che si dica, i nostri dei non fecero mai quei
prodigi, di cui furono capaci gli uomini: ma
la natura, compiacendosi di ricordare la sua
potenza ai mortali rigogliosi, che mostra
no di misconoscerla , sparge a quando a quan
do lo spavento fra i ricchi abitanti di Tiro,
scuotendo la base, sulla quale innalzarono i
magnifici loro edifizi.
Le mura di Tiro sono fortificate da alte
torri, sulle quali io distinsi alcuni piccoli si
mulacri, del genere di quelli, che questo po
polo negoziante mette alla poppa ed anche
alla prora de’ suoi vascelli. Quelle piccole fi
gure sono vestite, e armate d’arco e di free
ce: si prenderebbero per sentinelle in ve
detta. Mi fu detto, che quelle erano le divi
nità tutelari del luogo, veglianti giorno e notte
alla sua conservazione.
Questa cura religiosa non disp'ensò“ gli ahi
56
tanti dal fabbricare superbi templi, le cui
sommità dominano gli altri edilizi.
Tiro, avendo gran bisogno d’acqua pota
bile, per procurarsene in abbondanza, fece
scavare delle cisterne, delle quali, secondo
l’opinione comune, non si può giungere al
fondo. È probabile, che la corrente del fiu
me sotterraneo, troppo rapida, non permetta
al piombo d'afi‘ondarsi, e invece se lo tra
scini dietro. Di queste cisterne, tre meritano
d’essere osservate: la più vicina al mare,
n’è distante uno stadio e mezzo.
I Tirii, paventando l’incontro del serpen
te, ne portano il simulacro sul petto. Le loro
collane, per la forma e varietà dei colori ,_
imitano a suflicienza quel rettile e le macchie
della sua pelle.
Il sadin dei Fenici risponde al si‘ndòn
delle donne del Nilo, ed è una lunga tonaca,
che lascia vedere appena i talloni.
In Tiro, vi sono tanti schiavi incaricati del
servizio domestico, che potrebbero forse un»
giorno rendersi i padroni della città.
Questa città. di comuiereianti ama i lun
ghi festini. Un commensale, che intavolasse
qualche materia filosofica, andrebbe incontro
51
alle beffe. Non si tratta, nei frequenti loro
banchetti, che di bere fresco, e di ridere
con più o meno spirito. Sarebbe veduto di
mal occhio, chi ricusasse di vuotare un nap
po di vino di Biblo, rinfrescata nelle nevi
d’ Ermone. (I).
In Fenicia, i sacrifi'catori sono anche cuo
chi. Cadmo era il capo-cuciniere di un re di
Sidone: Ortagora, primo tiranno di Sicione,
era cuoco.
Innanzi cb.’ io parli dei re, convien dll‘j
qualche cosa degli dici del paese. Ercole è,
presso i Tirii, di tutti il più anziano. Egli
insegnò loro l’arte di" negoziare per tG‘ra e
per mare, il talento di spedire delle colonie,
quando e dove sia vantaggioso il farlo, ed il
metodo per tingere la-lanain porpora. Que
sto solo secreto valeva un tempio.
-’I Tirii non gli furonoingsati; accordarenu=
a lui gli onori divini. Non era d’altronde
conveniente, che il fondatore d’una città,
qual è Tiro, restasse un uomo ordinario; si; '
doveva necessariamente farne almeno un se»
mideo.
Entrato in uno de’ suoi templi , lo trovai
(a) Il monte Libano
58
aiîollato, di modo che quanto prima non
sarà più capace alle ricche ed innumerabili
ofl‘erte, che giornalmente piovono sui suoi
altari. Anch’io volli pagargli un tributo. Mio
padre aveva diligentemente inciso in una pie
tra fina questo eroe, che da sé stesso ergeva
due colonne alla propria gloria. Olfersi questo
anello d’oro al pontefice, che si compiacque
d’accettarlo , e mi disse: » Pio giovanetto! 'tu
sei degno di contemplare le meraviglie di
questo tempio. - Eccoti prima la rappresen
tazione esatta e fedele delle dodici fatiche di
Ercole , copiata egregiamente dal bas so-rilieva
magnifico ," che si trova a Gade, una delle
nostre colonie. -- Ammira, più in là, quelle
due colonne, simbolo di quelle piantate dal
nostro gran dio, per contrassegnare il ter
mine delle ue gesta, e quello de’suoi_viaggi.
L’una di quelle due colonne è d’oro massic
cio; l’altra, d’un solo smeraldo, ha la virtù
di spargere ogni notte un mezzano chiarore,
simile a quello, di cui si gode nelle felici
dimore dell’Eliso. «
' lo voleva subito oppormi alla mostruosità
dello smeraldo, e provare al pontefice che
in ciò vi era almeno della esagerazione; ma
ricordandomi gli avvisi d’Alcmeone, di non
59
contraddire ai ministri del culto, mi conten
tai prudentemente di rilevare la data della
fondazione di quel tempio. Il pontefice la fa
ceva risalire a due mil’anni. » Esso è antico,
mi diss’ egli, quanto la città. «
'
Non potei dissimulare del tutto la. mia
sorpresa. Egli se ne accorse, e molto scal
tramente mascherò l’impostura con una veri
tà di fatto. -- » Io ti voglio addurre, mi
diss’ egli, due ragioni di quest’alta antichità.
Prima di tu!to; inostri caratteri fenici, che
tu conosci senza dubbio, sono troppo per
fetti , per non indicare due o tre mil’ anni
di un’esistenza politica. Nulla vi è sulla terra
di più lento a formarsi che i linguaggi; i
linguaggi si corrompono presto, ma si 00111‘
pongono a forza di anni. Per secondo; guar
da, buon giovine, attorno di te in questo
tempio. Vi trovi tu una sola statua d’ Ercole?
Ora sappi, che originariamente non si osava
rappresentare
dei; dipingere o scolpire le
loro imagini, avrebbe sembrato una temerità
degna del castigo celeste. I santuarii erano
nudi, senza essere perciò men venerati. Noi
abbiamo conservato questa semplicità primi
tiva: riceviamo le offerte, ma non ammettia-_
mo simulacri del dio che si venera. -
60
PITAGORA. Questo è un sistema comodo
per gli artefici; comechè , a dipingere un dio,
essi non abbiano altro mezzo che di raffigu
rarlo sotto l’aspetto d’un uomo: ed in sana
logica, come in buona teogonia, nulla meno
che un dio deve rassomigliare ad un uomo;
purché il dio non fosse stato uomo da prima.
IL Ponrnrxcs. Ti avanzi troppo , buon gio
vane, e troppo t’ afl'retti. Restiamo alla tua
prima questione sull’età di questo sacro edi
fizio. Tu mi sembrasti sorpreso dell’alta sua
Vetustà: che dirai dunque sentendo i sacer
doti d’Egitto? Essi non danno meno di
trentasei mil’anni al loro Ercole di Tebe.
PITAGORA. Questo può conciliarsi, se vi
furono diversi Ercoli. Anche la Grecia ha il
suo. Ma quello di Tiro è egli probabilmente
il vero?
IL Ponmxcs. Senza dubbio.
Mi allontanai, sorridendo della sicurezza,
con cui gli uomini avanzano le opinioni più
ardite.
61
CAPITOLO
XXXIV.
Annali di Tiro.
‘
Volli recarmi al deposito degli annali pu
blici. Era stato prevenuto, che Tiro, gelosa
della propria gloria, conserva i suoi archivi; ma
questa città , che si dice antica di due mil’an
ai, non conta fasti scritti che da quattro o
cinque secoli. Mi l'u permesso di leggerli, e
vi trovai alcune date incerte e male stabilite,
alcuni nomi di re poco conosciuti, frai qua
li quello di Malcandero contemporaneo d’0si
ride.
I re si provocavano, in quei tempi, a certi
combattimenti d’imaginazione, a certi giuochi
di spirito; si proponevano delle quistioni
enigmatiche. Quegli che non trovava la parola, era condannato ad una forte somma d’oro
o d’argento, che il popolo pagava subito,
nella speranza che il suo monarca saprebbe
risarcirsi ben presto. Perché s’ inventarono in
seguito delle guerre da queste diverse?
62
-
Chiramo, successore di Beimalo, aveva alla
sua Corte un tirio, nominato Addemone,
che scioglieva per lui le difficoltà. Gli annali
di Tiro vantano molto la pietà di questo re,
e la saggezza d’ un altro monarca suo con
temporaneo.
Il sesto re dopo Chiramo, fu il gerofante
Itobal, il quale governavai due paesi di Si
done c di Tiro nel tempo stesso. Ma quello
dei successori d’Itobal , che fece parlare di sé
più d’ogni altro, fu Pimmalione, fratello mi
nore della fondatrice di Cartagine, una delle
più “brillanti colonie di Tiro. La storia di
questo personaggio coronato fu molto alterata:
ma quegli annali rettificarono in tale argo
mento le mie idee. Il padre 'di Pimmalione
aveva lasciato il trono alla sorella di costui, la
quale lo avanzava in età. Rimasto orfano , con
venne che la nazione lo costringesse a pren
dere lo scettro, di cui mostravasi alieno.
Tanta moderazione annunziava un regno pu
ro: ma invece il primo uso, cli’ egli fece del
suo pieno potere, fu quello di far uccidere
i! proprio zio, gerofante d’Ercole, per im
padronirsi delle sue ricchezze.
Oppresse egli quindi i suoi cittadini sotto
»
63
il peso di gravose imposte , raccomandando
però agli esattori di condursi con dolcezza.
Ammassò in tal guisa delle ricchezze immen
se; e, perché non gli fossero involate, le mi
se sotto la tutela degli dei.
Cessò finalmente Pimmalione di vivere:
ed, alla sua morte, temendo il popolo un do
minio forse ancora più molesto, si. decise di
affidare il governo a tre giudici, amovibili
e responsabili.
Nello svolgere quegli annali, mi venne sot
t’ occhio il piccolo codice di leggi dato da
Mosco ai Perizziani, (i) tribù pastorale del
l’Anti-Libano nell’Alta-Fenicia: codice cono
sciuto sotto il nome di
NOVE COMANDAMENTI DELLA RAGIONE.
I. Sempre assistito dagli altri capi della
famiglia, 1’ Anziano degli anziani di ciascuna
borgata eserciterà le funzioni di sacerdote e
di re.
II. Il cedro più vecchio della borgata ser
virà di santuario e di trono all’Anziano.
(I) 0 Foreneni. Mem. Acad. insc. XXXIV; in 4.‘
.Gl‘
III. L’Anziano unirà gli sposi, attesterà
la nascita dei figli, consolerà gli ammalati e
gli afflitti, preéiederà ai funerali.
IV. Sempre assistito dai padri di famiglia,
1’ Anziano riceverà le deposizioni del colpevo
le, ed imporrà la riparazione dovuta all’oll’eso.
V. Ogni giorno, al levar del sole, l’An
ziano, appoggiando una mano al bastone pa
triarcale, stenderà l’altra sui figli delle fa
miglie, e li benedirà tutti,- in nome della na
tura.
VI. Ogni anno, nel mese in cui finisce
l’inverno e comincia la primavera, accompa-‘
gnato l’ Anziano dai padri e seguito dai figli,
farà il giro del campo di ciascuna famiglia,
invocando il buon genio del luogo.
VII. Egualrnente ogni anno, all’ epoca in
cui finisce l’autunno o principia l’inverno,
l’Anziano si recherà nella valle dei sepolcri,
alla testa! di tutte le famiglie, e vi farà com
memorazione onorevole dei mortali virtuosi,
che avranno cessato di vivere nel corso del
l’anno.
-
VIII. I giovani pervenuti all’anno vigesime
piegheranno un ginocchio innanzi all’Anziano,
il quale, posando la mano sulla loro testa, di
65
1% loro: » Alzatevi, e prendete il vostro po
sto fra noi. Eccovi uomini! Noi ve ne gua
rentiamo tutti i diritti: voi adempitene tutti
i doveri.
-
IX. E per restringere il loro codice polif
tico e religioso in una sola legge, i Periz
ziani dichiarano, che il loro culto è la pietà
filiale, il loro governo il paterno dominio.
Colla successione degli anni poi, ho tro
vato che la città di Tiro ritornò alla monar
chia per insensibile quasi e naturale tendenza.
Tomo Il.
-5
66
CAPITO LO
XXXV.
V Viaggio in Egitto.
Riconoscimento delle Cos‘te.
-Becatomi a quello dei due porti di
Tiro, ch’è rivolto verso 1’ Egitto, m’ im
,harcai tosto, impazientissimo d’approdare a
quella sacra terra. Il piloto mi disse a tal
proposito: » Coloro, che facevano un giorno
vela per Ofir, non mostravanomaggior pre
mura. «
PITAGORA. Dovevano averne meno, perchè
non andavano a cercar che dell’oro.
In PILOTO. Dopo d’ aver quasi smunto quel
ricco paese, non ci curammo più di tenerne
occulta la posizione; ma da quel momento,
pochi si diedero cura di visitare una contra
da, ove noi primi eravamo approdati. u
n I nostri, padri fabbricarono a Sofira un
solido edifizio, che attesterà ai posteri la
nostra presenza in quella lontana contrada.
Gl’ indigeni non conoscevano i tesori, che
possedevano, vivendo pacifici in mezzo a quei
ricchi metalli, che cagionano altrove tante
67
guerre: tutt’ora dimorano in capanne di le
gno e di terra.
_
PITAGORA. Mi sorprende però,» che i pri
mi filu_ni non siano stati tinti di sangue.
IL Pn.oro. L’ignoranza salvò in tale ocea
sione l’umanità. Gli abitanti di Sofira guar-_
davano con occhio stupido i nostri lavori, e
non comprendevano come potessimo venire
si da lontano, e darci tanta pena per tras
portare sui nostri vascelli quella materia
brutta, di mano in mano che si estraeva dal
la miniera. D’altronde, che cosa sarebbe di
ventata quella materia brutta e preziosa, nelle
mani di gente che sapeva appena coltivare
un campo?
’
PITAGORA. Gran mercè, che voi non ab
biate avvertite quegli abitanti dell’uso, al
quale eradèstinato l’ oro strappato dalle loro
montagne! Essi non avrebbero potuto con
servarsi indifferenti, all’idea di I'contribuire,
benché innocentemente, alla corruzione degli
altri popoli.
IL Pu.oro. Eh! con sifi‘atti scrupoli, che
sarebbe del commercio e della navigazione? Ma eccoci omai vicini a questo popolo saggio
per eccellenza. Io lo bramerei alquanto più
ospitale, e meno diffidente. Ci eviterebbe ora
68
un lungo giro di mare, giacché siamo obbli
gati di costeggiare fino a Racoti, non essen
do permesso di gettare 1’ ancora in verun
altro porto. Straniero, riconosci, passando,
Gaza, città antica, che non appartiene all’Egit
te, ma ch’è ricca quasi quanto il paese di
Ofir. La Fenicia la vuoi _sua, come anche
Antedone, Geniso, e Rinocorura, ossia città
dei Nasi-mozzi. «
n In fondo di quel piccolo golli> che vedi,
relegati vengono sopra una terra sabbiosa i col
pe'voli dei due sessi, che non hanno merita
to l’ultimo supplizio. Si suole mutilarli, per
riconoscerli, in caso d’evasione.
PITAGORA. E non basterebbe guardarli a
vista? L’uomo ha dunque il diritto di degra
dare in tal modo il capo-lavoro della natura?
In Pu.oro. Rifletti, giovane straniero, che
uno scellerato non è più il capo-lavoro della
_ natura.
Pmtcom. Si dovrebbero in lui rispettare
almeno le belle forme, che ne ha ricevuto;
rispettare dovrebbe l’ uomo sé stesso ne’ suoi
simili.
In Pu.oro. L’uomo virtuoso deve cessare
di vedere un suo simile nella persona d’ un
malfattore.
69
Pxnoom. Il malvagio non è che un for
sennato, cui bisogna contentarsi di mettere
alla catena. Si taglia forse il naso ad un paz
zo ?-- E come si comportano quei banditi mu
tilati, nel luogo della loro relegazione?
Ii. PILOTO. Discretamente bene; vari fra
essi sono anzi contenti più che mai. Durano,
per verità, fatica a procurarsi le cose neces
sarie alla sussistenza; ma questo giova a
rendere laboriosi ed industriosi coloro , che
si resero prima colpevoli per 1’ ozio e l’indo
lenza. Il loro più comune alimento consiste
nelle quaglie, ch’essi pigliano in reti di can
na, lunghe; parecchi stadi, e tese Sulla spiaggia.
PITAGORA. Ora tu vedi, quanto sia ingiu
sto, impolitico ed inumano lo sfigurarli cosi
indegnamente. La buona legislazione insegna,
che il castigo non debba lasciare più lunghe
tracce di sé, che non ne lascia il delitto. Per
un momentaneo traviamento, ecco degli uo
mini condannati ad una pena, che durerà
quanto la loro esistenza.
IL Pn.owo.
Riconosci
il lago Sirbonide,
nel quale si precipita un rapido ruscello, co
nosciuto sotto il nome di torrente d’Egitto,
cui serve pure di limite naturale. Vogliono
alcuni storici che, in mezzo a questo lago,
7o
famoso per tradizioni religiose, di cui lascio
andare il racconto, vi abbia un’isoletta for
mata da ceneri ammonticchiate. Quando Sa
bacone venne dall’Etiopia ad invadere l’Egitto,
un re del Nilo trovò in quell’isola un sicuro
asilo, perché le truppe mandate ad inseguirlo
ivi perivano, prese in inganno dalla mobili
tà del terreno.
PITAGORA. Questo piccolo ammasso d’ae
que Occupa più spazio nella storia che nel
globo.
In Prnoro. Salutiamo passando la città di
Pelusio, fondata in mezzo alle paludi del Ni
lo. Il suo recinto è di venti stadi, ed altret
tanti essa ne conta dalle sue mura alla riva
del mare. Si potrebbe dare agli Egiziani il
consiglio di fortificare questa piazza impor
tante, e di non attendere un’invasione nemi
ca, per mettersi in guardia. Pelusio, munita
d’una buona cittadella, diventerebbe il ba
luardo più sicuro di tutto l’Egitto. Sopra
tutta questa spiaggia, si respira un’ aria insa
lubre ; ma si può preservarsi dal contagio,
coll’uso delle cipolle marine, pianta benefica,
che riceve nei tempii gli onori divini.
PITAGORA. La riconoscenza giustifica una
tale superstizione.
71
In PILOTO. A sei schene (1) da questa
piazza importante, osserva la città d’Erc'ole,
capitale d’un gomme. Giace essa tra il ca
nale Pelusiano ed il Tanatico, mentre, sei
schene più in là, si trova la città reale di
Tani. Nelle paludi, che la separano dal-ma
re , vi è Tenneso, i di cui abitanti hanno
appena terreno sufficiente per coricnrsi; sus
sistono del solo commercio, e pochi cittadini
son più di loro industriosi.
Prmcoss. Il bisogno è il migliore maestro.
In Pin0’r0. Più in là fra terra, si trova la
città di Mende , che accorda un culto al becco.
PITAGORA. Della credenza d’un popolo non
si dee sempre giudicare dalle sue cerimo
nie religiose.
In Pn.oro. La tua riflessione è in questo
caso tanto più giusta, quanto che il nome
di quella"città, nella lingua del paese, signi
fica Becco ,- laonde, quando i suoi abitanti
mostrano di sacrificare a questo animale, os
servano ciò che si fa in ogni altro paese,
invocano cioè il buon genio del luogo. a
» Finalmente, ve’ che si scorge quella
(i) Sorta di misura itineraria degli Antichi, e so
prattutto degli Egiziani.
72
bocca del Nilo, che porta il nome di Pral
metico, forse a motivo di Tamiat_i, luoghic
ciuolo che non - corrisponde all’ importanza
della sua posizione. «
v n Tutta questa parte del suolo dell’ Egitto,
rinchiusa fra le due grandi braccia che forma il
Nilo prima di metter foce, è coperta di paludi;
indietro, vi sono varie città più o meno con
siderabili, ma tutte conosciute: Onufi, città
principale d’un governo dello stesso nome;
Cinopoli, la città del cane; il borgo d’Iside,
a motivo del suo tempio; Busiride, famosa
per un altro tempio dedicato alla stessa divi
nità. Zoide, fabbricata in un'isola del gran
fiume d’Egitto, dà il suo nome ad una del
le dinastie reali del paese. «
» Ecco un’altra bocca del Nilo, conosciuta
sotto il nome di Bolbitina. Penetrando nel
Delta , si trova Metelide, colonia dei Milesii,
che vi si fortificarono con mura e torri; Sai
de, metropoli di questa parte inferiore del
l'Egitto , e due schene distante dal Nilo; Nau
cratide, sulla riva destra di questo fiume,
altra colonia dei Milesii, che ottennero la
permissione di stabilirvisi , incaricandosi di
procurare alla Corte tutti i vini della Grecia. «
» Ecco Ermopoli la piccola (Città di Mercu
73
rio), sopra uno dei canali del Nilo vicino al
deserto di 1Vitria. «
» Terenutride, luogo donde il nutro (1) è
trasportato , per venire imbarcato sul Nilo. «
» Papremide, la città di Tifone, che sacrifica
degli orsi alla sua nera divinità. Li mantiene
essa con cura religiosa, ed accorda loro gli
onori_della sepoltura. «
» Rendiamo grazie a Nettunno: eccoci al
braccio Canopico del Nilo, dopo aver costeg
giato quasi dugento stadi greci: tale è la
misura delle spiagge marittime dell’Egitto. «
Noi approdammo al solo porto che sia
aperto agli stranieri, il quale si chiama la rada
del Buon-Ritorno, in faccia all’isola di Fa
_ ro, dai re d’Egitto fortificata, sul disegno
della natura, per proteggere o difendere l‘in
gresso del loro impero. Un borgo è di là non
lungi ,_ detto Racolìde, abitato da una falan.
ge di pastori armati, per respingere qualum
que ostile discesa.
(I) Nitro terrestre.
74
CAPITOLO XXXVI.
Pitagora a Canapa.
La mia nascita ed il mio abbigliamento
non erano titoli propri a guadagnarmi la con
fidenza del popolo egiziano , prevenuto contro
la nazione greca, la quale era ben accolta sol
tanto alla Corte. Munito d’una lettera pel re
Amasi, io aveva ottenuto facilmente l’entra
ta nel paese , facendola vedere alle guardie
del porto di Racotide. Non poteva però ave
re sempre alla mano questa missiva, onde far
mi bene accogliere da per tutto. Presi il par
tito di vestirmi all’egiziaua, senza però ta
gliarmi i capelli, cui portava alla foggia dei
porpai. Sono questi obligati a conservare tutta
la loro capellatura, per distinguerli, e poter
loro interdire 1’ ingresso nei tempii; ciò che
mi avrebbe molto ineomodato: se non che
l’omaggio, da me reso ai costumi del luogo
in tutte le altre mie abitudini, mi conciliò il
maggior numero. Indossai la lunga veste di
lino a maniche larghe colla cintura, non vo
lendo usare la lana, e mi copersi la testa con
un piccolo drappo di tela bianca, sovracco
75
perto da un berretto di panno rosso stretto
alle tempie.
Conforme ad una legge del paese spettan
te agli stranieri, i miei primi passi, entran
do sulla terra d’Egitto, dovevano essere di
retti a Canapa. Il mio vestito nazionale non
midispensò di assoggettarmi all’esame dei
guardiani alle bocche del Nilo, uno dei quali
mi chiese: » Sei tu greco?
Puncom. Io‘sono di Sidone.
In Prussosro. Sei mercatante?
Prrseons. No.
IL Pnnrosro. Giura di non essere né gre
co, nè mercatante.
PITAGORA. Io sono un uomo.
Assoggettatomi a questa formola inospita
le, mi fu permesso di portar dovunque i
miei passi, senza render conto a nessuno.
Mi era stato detto, che Canopo non è città
molto antica. Il suo primo monumento, che
s’incontra sulla riva del mare, è la tomba
di Canopo, piloto di Menelao, che, ricondu
cendo la bella Elena a’ suoi lari, fu gettato
da un colpo di Vento sulle coste d’Egitto.
Elena avrebbe desiderato, che quel monu
mento portasse il suo nome; ma il re suo
sposo la fece pentire di questo voto indiscre
76
7 vto, dicendole: » Figlia di Leda! Non si per
lò forse di te abbastanza? La tua gloria con
siste oramai nel farti obliare. « n Tradizione popolare'. mi disse un sacer,
dote di Serapide. Il nome di questa città è do
vuto ad una stella situata all’estremità più
australe della costellazione del vascello d’Ar
go. « -E quest’ori’gine, che può servire di
guida al piloto , è senza dubbio da- preferirsi
alla favola imaginata dai Greci.
Un pontefice del dio Canopo me ne diede
un’altra spiegazione: 11 Nella nostra lingua
sacra, Canapa significa Terra d’ Oro. Questo
è un omaggio. reso. dagli stranieri al nostro
Egitto, il quale non racchiude già miniere
preziose, ma possiede le acque del Nilo, e
l’esperienza dei tempi passati due tesori ino
stimabili. « -«
La saggezza di questa osservazione mi sor
prese in un ministro di Campo. » Io prefe
risco, gli dissi, la tua oonghiettura- a quelle
che mi furono spacciato dagli altri. lo adotto
sempre il partito di chi rende più onore ai
suoi simili, e ti confesso che non me l’aspet
tava, giunto appena presso una nazione ce
lebre pel suo carattere religioso . . .
li. SACBRDOTE. Vuoi dire superstizioso.
77
PITAGORA. Sarei forse autoriZzato. a cosi
esprimermi, per quanto si racconta della di»
vinità, alla quale tu servi.
IL SACERDOTE. E perché non lo fai? Dc
poni ogni timore. Noi non ci mascheriamo
che agli occhi di chi non può sostenere la
vista della verità senza velo. Io voglio ricon
ciliarti col mio dio Canopo. Tu conosci pro
babilmente la moltitudine. Qualche tempo fa,
alcuni sacerdoti caldei si posero in viaggio ,
portando seco loro il fuoco sacro. Tu sai,
ch’cssi hanno per divinità dei carboni accesi
ai
del sole. Eccoli girare per tutte le
provincie vicine alla loro, passando di città
in città, e proclamando la superiorità de’ lo
ro dei sopra tutti gli altri: e difatti, sino al
lora, avevano ottenuto da per tutto una vit
toria facile e decisiva. . Ergevano essi il loro
tripode di bronzo innanzi al vestibolo dei
templi, ivi accendevano un gran "fuoco , e
gridavano: » Il nostro dio è il più degno di
questo nome, ed il più potente di tutti. Si
conducano qui tutte le divinità del paese. Quella
' che non potrà reggere in confronto alla no
stra, deve confessarsi vinta, e cedere ad essa il
suo culto, « -I sacerdoti del luogo, punti da
questa sfida, correvano a cercare nel santuario
78
i loro dei d’oro, d’argento, di legno, d'avo
rio, di marmo , e li deponevano sull’altare
del dio caldeo. I ministri di questo avevano
cura d’attizzare, di ravvivare il fuoco del lo
ro tripode , e si mettevano in invocazione;
ma non avevano ancora terminato la loro pre
ghiera, che il fuoco s’era già impadronito dei
simulacri di qualunque materia, sconsigliata
mente esposti al-di lui calore. -- » Voi lo
vedete; esclamavano essi allora 'ì;on un tuono -
di trionfo; o popoli! Gli dei de’ vostri sacer
doti non possono resistere alla nostra grande
divinità. Osservate, come tutte quelle sante
imagini si anneriscono, si sciolgono, si con
sumano , e non saranno ben presto che poca
cenere, cui dispergerà il vento. Il dio-Fuoco
le ha tutte o annientate o sfigurato. Gloria
al dio del Fuoco! Popoli! prestate omaggio
ad esso; non vi ha che un dio in cielo ed in
terra; esso è il nostro, quello de’ Caldei! « -
» I ministri degli altri culti volevano rispon
dere; ma invano. La moltitudine credeva a
ciò che vedeva: vedeva essa i suoi dei in
fusione od in polvere, e perdeva tutta la
fiducia in divinità, che non. sapevano difen
dersi, e si lasciavano distruggere senza resi
stenza. u
79
n Orgogliosi pei loro successi, i caldei
vennero a Gauopo, onde fare altrettanto. Il
nostro primo pontefice, prevenuto di tutto
ciò ch’ era accaduto altrove, imaginò questa
pia frode. «
.
n Nei nostri tempi si trovano, all’ingresso,
dei vasti bacini, Per purificarsi, prima d’an«
dare più oltre: l’acqua chiara e limpida di
quei bacini scola da un’idria superiormente
sospesa , e foracchiata da una quantità di piccoli
buchi, che trattengono nel passaggio le im
mondizie dell’acqua attinta dal Nilo, lasciandola
cadere spoglia di tutte le materie eterogenee.
Il, nostro pontefice turò i fori di quell’idria
con della cera, mascherata mediante un leg
gero strato di colore; poi andò a cercare la
testa (1’ un YCCClIÌO simulacro mutilato, la
adattò sul collo della brocca, e si presentò
con fiducia per sostenere la prova in confron
to dei sacerdoti caldeii Questi, senza prenderne
sospetto, accesero il loro tripode, Il fuoco ria
scalda l’anfora; la cera si squaglia; l’acqua
gronda da ogni parte , ed estingue facilmente
la fiamma del dio-Fuoco; questa’volta, isu0i
carboni ardenti diventano freddi, e più neri
della divinità, cui dovevano consumare. Gli
abitanti di Campo aeclamano allora il mira.
80
colo, e celebrano il loro dio ed i suoi mini
stri: i caldei, sbefl"ati e confusi, se la battono
senza fiar motto col loro tripode. Non si udì
più parlare di loro; e Canopo non ne ritrasse
verun discapito. Questo grande avvenimento
fil celebrato con una rappresentazione del dio
Vincitore, patrono della città; e dopo quel
l’epoca, si vede sui nostri altari una figura,
che ha le forme d' un’ anfora e d’un dio nel
tempo stesso, o piuttosto un corpo umano
vestito colle pareti d’ nn’idria. Invece del
collo dell’anfora, si vede la sua testa; due
piedi attaccati insieme gli servono di ba
se; le braccia sono i manichi, ed il vano
esprime il ventre della figura. Quest’ ima
gine grossolana non dà un’alta idea dei ta
lenti del popolo egiziano; ma attesta la pre
senza di spirito del pontefice, e ricorda un
avvenimento, che poteva avere conseguenze
funesta. Possano tutti gli errori, che pullu
lano sotto il sole, combattersi in questa guisa
fra di loro, senza impiegarvi del fiele, e
senza elfusione di sangue! Non è questo an
che il tuo voto?
PITAGORA. lo vorrei di più. Che importa
all'uomo un pregiudizio piuttosto che un al
tro? Ciò che gl’ importa, si è di diminuire
81
ogni giorno la massa degli errori: nè basta
che si combattano; fa d’uopo che siano di
strutti.
IL. Sacsnnorr:î Questa è l’opera del tempo.
PITAGORA. L’ Egitto, che contiene la pri
mogenita fra le nazioni della terra, mi sem»
bra che dovrebbe essere più avanti nel cam
mino della ragione.
IL Sacsnnorr. E lo è pure; ma non già
fra il popolo te ne potrai avvedere.
PITAGORA. Per'chè?
.
IL SACl-IRDO'I‘E. Perché il popolo, comunque
invecehi, resta sempre nell’infanzia.
PITAGORA. Ma in Egitto non si adoprano
i mezzi ad illuminarlo presto. L’ accoglimem
to, che gli stranieri ricevono nei vostri por
ti, non gl’ invita a venire, per comunicarvii
loro lumi in cambio dei vostri.
Il. SACE’RDOTE. Ciò che succede ogni giorno
sotto gli occhi nostri a Canopo, prova la
necessità di tali precauzioni. _L’ Egitto può
far di meno di tutto il resto della terra, e
di nulla_ domanda i suoi vicini. Perché mai
non ebbe il tempo Sesostri ed i mezzi di
cingere tutto il regno d’una muraglia, simile
a quella che ci chiude, dalla città del Sole
Tomo H.
6
82
fino a Pelusio! La innondazione dei cestumi
stranieri, che non è certo proficua quanto
quella del nostro fiume nutritore, non ci a
vrebbe mai allagato: egli è questo un servigio,
che ci resero quei pochi negozianti, ai quali
la Corte permette l’ingresso del nostro paese
in questo porto e fino a Naucrazia. Qual bi
sogno avevamo noi dei vini greci? Si Viene
fin qui per corrompere le nostre istituzioni,
le quali vengono poi snaturate, altrove; gli
stranieri non si contentano di alterare i no
stri costumi, ma di più li calunniano: e fra
poco noi rassomiglieremo a coloro stessi, che
prima volevano modellarsi sopra di noi.
PITAGORA. Vi sono però dei viaggiatori,
che danno di voi buona testimonianza; vi so
no di quelli, che si compiacciono delle belle
invenzioni, che avete loro comunicato. lo vidi
da Anassimandro delle tavole geografiche, di
cui viene a voi attribuito l’onore. Io non ho
i suoi titoli alla confidenza dei sacerdoti
d’Egitto, ma ho più di lui bisogno delle lo
ro istruzioni. Pontefice di Campo! Io non
posso fare un pa'sso utilmente
sopra questa
terra a me sconosciuta, se tu me ne rifiuti
le tavole topografiche; e l’uso, ch’io mii pro
83
pongo di questo studio preliminare, m’inco
raggia a reclamar tal soccorso.
In SACERDO'I‘E. Accolto una volta fra noi,
nulla possiamo più ricusarti. Entriamo nel
tempio; ad una delle colonne sta sospesa la
tavola indicativa dei principali luoghi dell’Egit
to. Puoi consultarla: noi non temiamo d’es
sere conosciuti; ma abbiamo vizi ed errori
abbastanza, senza ricercarne dalle altre na
zioni (i).
(I) Le autorità di questo capitolo e dei seguenti
sono Straboue, Erodoto, Lucano Farsaglia, Mezzi.
dell’ Accademia delle Iscrizioni, Danville l‘Egitto an
u'co , Wendelliui Admìranda Nili , Diodoro Sic. ecc.
84
CAPITOLO XXXVII.
Topogrqfia dell’ Egitto.
» Siccome noi siamo fedeli ai nostri
principii, proseguì il Sacerdote, nè ci occu
piamo che degli affari nostri: così non tro
verai sopra questa tavola che'il corso del
Nilo, la doppia catena delle nostre montagne,
la direzione dei canali, la posizione delle uo
stre città, un poco dell'Etiopia, una piccola
digressione fino al tempio di Giove Ammone :
ecco quanto noi pretendiamo di conoscere‘ del
globo. Sentiamo parlare ogni giorno del re
sto dell’Africa, della quale noi abitiamo sol
tanto una striscia angusta. Vantate ci vengo
no la Grecia, le isole dell’ Arcipelago, la Fe
nicia, ed altre regioni: ma quando avremo
già fatto per la nostra patria tutto ciò, che
essa ha il diritto d’esigere da noi, allora ci
sarà permesso occuparci di oggetti stranieri.
Tu qui dunque non vedi che 1’ Egitto; Co
mincia a viaggiare con gli occhi: l'occhio
dirige il piede.
Prr.womx. Mi si parlò d’ un quadro itine
rario delle spedizioni di Sesostri . . .
85
In Sacnnnors. Noi ne possediamo soltanto
delle copie, oggetti di semplice curiosità. Per
consultare gli originali, ti converrà andare
fino ad .Ea, città degli Sciti, fabbricata dal
conquistatore dell’India, al confluente del Fasi
e -dell’lppo, trecento stadi dal mare. Questa
è quella città, dove il vincitore, vinto egli
pure dai Goti, lasciò una parte dell’ esercito
per assicurarsi una ritirata. u
il Il nostro Egitto non è difficile a dise
gnare. L’insieme non offre che una valle,
solcata per lo mezzo della sua lunghezza da
un gran fiume; le terre adiacenti furono da
noi abbandonate ai pastori vaganti, come po
co suscettibili di coltivazione; quelle che ab
biamo ritenuto, ci fanno onore coll’estrema
loro fecondità. Le acque del Nilo e le nostre
braccia hanno secondato la natura a mara
viglia , e noi ci siamo perfettamente inte
si con essa. Senza aver viaggiato, possiamo
asserire, che non vi è contrada sotto il sole ,
di cui gli abitanti abbiano avuto più cura,
che noi della nostra, da Tebe fino a Pelusio
e Canapa. Per servirmi d’un’imagine, che
dev’ essermi familiare, il Nilo, preso dalle
cateratte di Siene fino al mare, rass0miglia
ad un turibolo sospeso ad una catena. Il suo
86
ingresso nell’ Egitto è osservabile, precisarxlem
te al punto della più grande obliquità del
l’ecclittica. u
» L’Egitto occupa, sulla spiaggia del mare,
uno spazio di sessanta schene, ossia trecento
sessanta stadi: sappi, che la misura disegnata
da noi sotto il nome di schena, è la lunghez
za di quello spazio, in cui i battellieri, che
tirano le navicelle sulla riva del Nilo, si av
vicendano in questo penoso lavoro. ti
» Sappi di più, che abitabili sono i soli
terreni inondati dal Nilo. Tutti i luoghi su
periori al livello delle sue inondazioni sono
assolutamente sterili e deserti; e noi appli
. chiamo il nome d' Egitto solo alle terre dal
gran fiume annaffiate. Le arene della Libia
coprono una superficie molto più vasta che
le acque del Nilo: ma la quantità deve ce
dere al valor delle cose. «
» È troppo generoso, chi ci accorda ven
timila città. Annoverare ne potremmo fino a
duemila, e di questo numero ci vantiamo;
il di più ci farebbe meno onore: molte città
sono altrettanti furti all’agricoltura. u
» La nostra terra niloticq (per servirmi
di una espressione da oracolo) è divisa in
alta e bassa. Una linea retta, che attraver
81
sasse il Nilo, lasciando Babilonia da un lato,
e Menfi dall’altro, farebbe la separazione
dell’Egitto inferiore dal superiore. Il tutto,
secondo lo spartimento fissato da Ses0stri, è
saddiviso in trentasei nomi o dipartimenti. u
n Rimontando il braccio orientale del Nilo,
il luogo più considerabile, che si presenta,
è Leontopoli, fabbricata sulla collina del Leo
ne; ivi si presta un culto a questo potente
re degli animali, del quale noi occupammo
il dominio. a
h Il simulacro d’una gatta, della quale i
Greci hanno fatto la loro Diana, riceve de
gl’incensi a Bubasti; in opposizione imme
diata con questa città importante, sta Fac
cu.m, capo-luogo d’un dipartimento. In tutta
questa parte, non vi ha di distinto che la
Babilonia d’Egitto, vantaggiosamente situa
ta. Essa domina il Nilo un poco al di sopra
del Delta, precisamente ove la montagna, che
bordeggia la costa orientale del fiume, co
mincia a restringere la valle, che s’ alza poi
fino alle cateratte. u
n La fondazione di questa città rimonta
fino a Semiramide. Alcuni Babilonesi d’Assi
ria, fuggendo il dispotismo di quella donna,
vennero a chiederci asilo e protezione. Ivi
88
costruirono un pireo in mezzo ad una for
tezza, detta delle Fiaccole. Dato viene an
che a tutto quel monumento il nome di
Tempio del Fumo. ((
‘ -» Dodici ore di cammino al di sopra di B:
bilonia , s’incontra Nefii, ossia la città di
Venere, che nel vostro idioma chiamate Afro
ditopoli. La sua posizione è sulla riva on'en
tale del Nilo. Ivi una vacca bianca consacra
ta abita il tempio, e viene mantenuta a ca
rico del comune. «
» Ecco la città nominata dai Greci del So
lir; essa 'è la metropoli d’un dipartimento.
La sua posizione è stata determinata da una
fontana: cbè rare sono le sorgenti in Egitto;
e sembra che il Nilo, geloso di dispensare
eglisolo gli umori, le abbia tutte_assorbite.
Questa la da noi Chiamata la fontana di On,
parola egiziana, per esprimere l’ astro del gior
no, ed il primo dei nostri benefattori, il
Nilo essendo il secondo. «
1) Prima di rimontare fino a Menfi, si
trova un’isola, detta Venere-Dorata, ossia
il campo d’ Oro. Ma la grande e superba
città di Menfi non fu già l’unica residenza
dei nostri re; questo vantaggio le fu dispu
tato da Eliopoli e Saide. «
89
1) A trecento venti stadi in su da Menfi , si
trova Acanto, città isolata, che deve il suo
nome ad un arboscello spinoso, sempre ver
de , ed indigeno della Tebaide. Qui se ne
vede un’ intiera foresta, e noi'vi andiamo a
cogliere il fiore di questo vegetabile per ser
vire alle nostre feste ed alla medicina. La
popolazione di questa contrada è una colonia
libica, stabilita sull’alto d’ una montagna. In
quel territorio si trovano delle buone nutrici
di bambini, che hanno molto latte, perché
le donne fanno uso frequente dell’àcanto. «
n Rimontando il fiume, si trova, in un’ iso
la , Cinopolî, città consacrata al culto d’Anu
bi. Un cane, che rappresenta questo dio, vi
è mantenuto a spese degli abitanti. Il Nilo,
in questo sito, descrive un semi-circolo per
arrivare ad Ibeo, borgo che serve di riposo
ai viaggiatori. Dev’esso il nome all’ibi, og
getto del suo culto.- Ecco la gran città di
Mercurio, e Tani decorata d’un tempio al
Sole. ((
'
n L’altra riva del Nilo, molto meno po
polata, perché il monte Arabico vi segue il
fiume assai da vicino, non conta che due di
partimenti. Vicino a Menfi, si trovano lepre
fonde grotte del monte Trojano , formate
go
dall’escaVazione delle belle pietre, che servi
rono a costruire le piramidi. Queste escava
zioni diedero asilo ad alcuni prigionieri, che
Menelao conduceva da Troja, per essere im
molati a Sparta sul sepolcro d’Achille, come
toccò a vari infelici. Cotesti eroi vogliono
sangue in vita non solo , ma ancor dopo mor
te: sempre sangue! u
» Nello stesso dipartimento si legge Ippo
.no, che gli Arabi nostri vicini chiamano E
stabl, a motivo d’un pascolo che si trova
allo sbocco d’uno di quegli ampi torrenti , che
attraversano il deserto per rovesciarsi in Egit
to. Più in alto, è la catena formata dalla mon
tagna dei Pili e dal monte degli Uccelli;
questo bordeggia la riva del Nilo come una
muraglia, e serve di baluardo naturale al no
stro paese, al quale è frontiera. «
e Un poco più lontano, si entra nella Te
baide al sito di Speo Artemide, ch’è una
caverna vasta e profonda. Nelle rocce vive si
costruì colà un tempio e delle grotte sepol
crali: queste bizzarre costruzioni sono ornate
di grossolane figure, che producono tuttavia
il loro effetto. Poi s’incontra Besa, città co
nosciuta un tempo sotto il nome di Besan
linee,- ma questa non è la sola trasformazio
91
ne, alla quale deve andare soggetta. Possa
ella non arrossirne giammai! ( 1). u
» Lontano dal Nilo, e molto avanti fra ter
ra, è stata fabbricata Anabastronpolì, alla
metà del fianco di Alabastrite, montagna , che
forma la destra d’una gola, per cui si entra
nella pianura detta delle Carrette dagli Ara
bi, e chiusa a levante dal monte del >ììil\et
tissima, vicino ad un altro detto il Duris
simo. Tutte queste denominazioni hanno il
loro valore, e per aver trascurato di tenerne
conto, s’ ignora la storia dei primi tempi. u
n Ad una mezz’ora di cammino dalle rive
del Nilo, s’incontra la città dei Lupi, presso
ad una montagna, al piede della quale è una
caverna frequentata dagli Arabi, e da essi
contrassegnata egualmente sotto il titolo (1’ E
stabl, perché quella grotta è spaziosa abba
stanza per servir di ricovero a mille cava
lieri. «
» Questa regione possiede Copto, città
nominata spesso pei molti scogli che la cir
condano, nei quali trovansi degli smeraldi
d’un verde vivissimo. «
(1) Questo voto non è stato adempito. Lungo tempo
dopo Pitagora. questa città fu detta Amino, o Anti
nupoli, città d’Andnao.
92
» Molte città sono disposte più o meno
dappresso, lunghesso le rive del fiume fe
condatore; fra queste si distingue la piccola
città di Apollo (Apolhma), fratello maggio
re d’0siride; Adribea, i cui devoti citta
dini mantengono un campsi, o crocodillo
sulle rive d’uno stagno alimentato da due
canali, che non si asciugano mai. Gli abitanti
della città d’ Ombo , nell’alta Tebaide, hanno
fatto ancora di più per la stessa divinità; i
vivai sacri, che vi si vedono, sono scavati a
forza di braccia. u
n Leggi in seguito Tinite, città antica,
residenza dei re della dinastia di tal nome.
Abido, altra città più famosa, non inferiore
che a Tebe, fu il soggiorno abituale di Men
none; se ne vede ancora il palazzo, ed un
bel canale derivato dal Nilo, trovandosi quella
città molto innanzi fra terra verso la Libia.
All’altezza d’Abido , si trova Oasi, vasto spa
zio circondato dalle arene libicbe , come un’iso
la in mezzo al mare. Dopo tre giorni di
cammino nel deserto, s’incointraverso ponente
Ramlie, montagna sabbiosa, che indica quel
luogo (1’ esilio. L’interno è una pianura co
perta di palme; i banditi, che l’abitano, vi
fanno crescere del buon grano, coll’ajuto di
93
certe sorgenti, delle quali essi dirigono le
acque fecondatrici , e tanto bastò ai Greci per
dare alla grande ed alla piccola Oasi il nome
d’ Isola dei Beati ; nè pensano forse che
han veramente cólto nel punto. Resi alla na
tura dalla società, che li rigetta dal suo se
no con più o meno ragione, i banditi d’Oasi
arrivano al punto, di riguardare il resto della
terra come un luogo d’esilio. u
» La piccola Oasi è vicina al lago Meri
de. La grande è separata da Tebe per lo
spazio di sette giornate di cammino; iSamii
vi hanno una piazza di commercio. .«
» Ritorniamo al Nilo. Sulla riva destra
ossia orientale, è la città d’Antea, che van
ta un bel tempio consacrato a quel perso
naggio famoso, che Sesostri nominò gover
natore della Libia e dell'Etiopia. e
» La città degli Sparvieri rende un culto
a tre grandi divinità nel tempo stesso, a
Giove, ad Ercole, ed alla Vittoria. a
» La piccola città di Mutìde va superba di
portare uno dei soprannomi della dea Iside,
quello di Madre-Iside. «
» Osiride, partendo per la sua grande spe
dizione, prese seco Pane, rispettato assai nel
paese. In seguito, gli avi nostri ne collocarono
9'+
la statua in tuttii templi, e gli fabbricarono
una città nella Tebaide, la quale è Chemi
mide, in cui si trovano molti monumenti,
e va con Tebe a gara per le sue origini.
Volendo riportarsi ad una vecchia tradizione,
tutto l’Egitto portò un tempo il nome di
questa città, onorata d’un tempio antichis
simo, e di forma quadrangolare, ombreg
giato da una fila di belle palme. Il dio, od
eroe, di questo santo asilo, è calzato, ed i
suoi sandali sono lunghi due palmi. «
» Questa città, come porta il suo nome,
è consacrata all’ottava celeste: noi chiamiamo
chemmide il numero 8. «
» Giovine straniero, ricórdati di non con
fondere questo nome con quello del re Chem
mide, che costrusse la più alta delle tre
grandi piramidi. «
» Eccoci alla città dei pesci squamosi,
perché se ne pescano molti in quel sito. ti
» Chenoboscione deve la sua etimologia
alle oche, le quali vi si allevano in gran quan
tità. «
» A Tentiride, che tu vedi, città consi
derabile che supera le due precedenti, lungi
d’adorare i crocodilli, si temono, si odiano,
si confinano anzi in un’isola. u ,
95
» Arrivati alla piccola Apollinarîa, o
borgo d’Apollo, non vi son più che sett’ore
di cammino per giungere alla gran Tebe,
più celebre essa sola di tutte le altre città
straniere , che ne presero il nome. L’origine di
questo vocabolo indica una collina, una terra
alta; eppure la nostra Tebe occupa una val
le, ossia l’intervallo di due catene di mon
tagne, che chiudono il Nilo. Ma la sua po
sizione remota nella parte più alta dell’Egitto
rende propria ad essa l’espressione d’un luo
go elevato. I nostri etimologisti, più difficili
sulla convenienza dei termini, trovano nelle
radici del nostro idioma, che Tebe significa
una città: e qual luogo abitato merita me
glio di questo la denominazione di Città per
eccellenza? u
» Busiride, suo fondatore, le diede una
circonferenza di tre giornate di passo d’uomo.
Tu vedrai le quaranta grotte, o sepolture
reali, celebri sotto il nome di porte dei re,
scavate con arte nella viva roccia ai fianchi
della montagna. Quando tu viaggerai nella
Tebaide, t’ invito a fermarti un momento ad
una seconda Copto, città giacente sulla riva
del gran fiume. Le rondini insegnano colà
“gli “Omini 1’ arte di costruire le dighe, per
96
ché fabbricano i loro nidi in modo, da non
temel' punto le inondazioni del l\ilo. «
n Ermotifle, al di sopra di Tebe, è il
capo-luogo dell’ultimo dipartimento sulla riva
del Nilo, verso la Libia. Questa città ha due
templi: il toro, lo sparviere, ed il leoneso
no i tre animali geroglifici consacrati nel cul
to ch’ essa rende al sole. La cosa più inte
ressante, che vi si vede, è un nilometro in
forma di colonia, collocato in un bacino in
ternamente di pietra. Il traboccamento del Nilo
vi segna fino a trenta braccia. Tu lo confron
terai con quello, che ima delle nostre regine
eresse nella città di Asna, al di sopra di
Ermontìde , il quale ha le misure più corte. «
n Latopoli è la stessa città che Asna, di
cui parlammo. Questo soprannome le venne
da un pesce, più grande nel nostro che ne
gli altri fiumi comuni, il quale si pesca fre
quentemente nel suo porto: la riconoscenza
tributa a quel pesce degl’ incensi.
PITAGORA. Mi giova credere, che questo
sentimento sia l’origine di tutti i culti.
In Sacsnnore. Sapresti tu applicare siffatta
osservazione anche agli onori divini resi a
Lucina nella città d’Eletia? «
1) Dopo Tebe, rimontando la riva orien
97
tale, il primo luogo alquanto conosciuto, a.
motivo d’un tempio, è Tufio; ma questo
tempio non è tinto di sangue umano. «
Io interruppi di nuovo 1’ oflicioaa mia gui
da, per domandargli: » Sacerdote di Cane.
po, che parli tu di sangue umano? «
Egli mi rispose: n Devi sapere, che la
nostra Lucina della Tebaide non è meno
esigente della Diana di Scizia, e vuole sacri
fizi umani. -- Passiamo presto al posto detto
la Porta, perché occupa l’altura d’un monte,
che domina la strada ed il fiume. Alcuni passi
più in alto, il Nilo si trova ancora ristretto
fra due montagne opposte, che lasciano ap
pena un passaggio alle sue acque. Corre voce
nel paese, che anticamente venissero legate
da una catena impiombatà alle sue estremità
nel macigno, per cui si dice quel luogo il
monte della Catena. «
n Si ebbe, un tempo, l’ardire di gettare
sopra quest’ahisso un ponte formato di anelli
di ferro. La tradizione ha sfigurato questa
bell‘ opera distrutta dal tempo. «
PITAGORA. Mi compiaccio di veder l’uomo
dar mano alla natura, ed associarsi con essa
per vincere le grandi difficoltà. Bella era 1’ im
Tomo II.
7
98
presa di tentare il passaggio da una montagna
all’altra al di sopra di un gran fiume!
IL Smennors. Eccoci finalmente arrivati
a Siene, e mezzo stadio più oltre a Elefan
tina, che si potrebbe chiamare l’ isola fiorita.
Viene stimata più vasta, che non è, perché
ha dato il suo nome ad una dinastia partico
lare di principi; come se i re avessero la
virtù d’ ingrandire tutto ciò che toccano. Que
sgt’isola celebre, come quella di File, servono
di frontiera comune all’ Egitto ed all’Etiopia.
A Elefantina, si misura il traboccamento del Nilo
diversamente che in ogni altro luogo. Un poz
zo riceve le acque del fiume, «e certe linee
segnate sulle sue pareti ne indicano l’elevazione
graduale. « ‘
» La piccola cateratta , sette stadi da Ele
fantina , è uno scoglio in mezzo al letto del fiu
me. Questa caduta non è talmente precipitosa ,
che degli schifi, fatti di coregge strettamente
intrecciate (I), non possano venire abbandonati
alla rapidità della corrente, senza perdersi. «
» La grande eateratta, in Nubia, è dovuta
all’opposizione d’una montagna, o piuttosto
(i) Strab. XVII.
99
d’una immensa rupe nera, non traforata. Le
acque vi urtano con tanto fracasso, che per
dono il senso dell’udito gli abitanti del vici
nato. «
1) Il Nilo, dal punto del suo nascere, in
fondo all’Etiopia, fino al mare, percorre uno
spazio di dodicimila stadi greci: nello sta
to naturale, il corso delle sue acque è tran
quillo quasi da per tutto, eccettuato il tempo
dei traboccamenti. «
D A cento stadi da Elefantina, vi è un’al
tra isola detta File, alquanto più grande, for
nita, come quella, di parecchi tempii. Uno
di essi è dedicato alla dea Iside, l’ altro al
dio Sparviero. «
» Più avanti, dopo aver navigato con pena,
per i tortuosi giri del Nilo, uno spazio di
dodici schene, a partire da Elefantina, si
arriva a Tacompso, isola poco considerabile,
ma citata come il termine, ossia le colonne
d’ Ercole, relativamente all’ Egitto. u
» All’ oriente di Siene, alla distanza di
dieci ore di cammino, sta una montagna, che
ci dà la pietra nera e dura, da noi detta
baram, servente a fabbricare vasi ed altri
utensili domestici. Sulla strada da Siene a
100
File, se ne trovano dei massi piantati come
altrettanti ermeti. Sulla vetta di quella mon
tagna , noi abbiamo una posta di armati, per
proteggere gli operai che lavorano intorno
alle cave. u
« Giovine straniero! Eccoti tutto il nostro
Egitto , che tu potrai misurare, camminando ,
nello spazio di ventuna giornate, dalla foce
di Canopo sino ad Elefantina, o, sul nostro
oceano, dalla cateratta di Siene fino a Pelusio. «
101
C A P I T 0 L O
XXXVIII.
Origini egiziane. Osiride.
Prrscom. Sacerdote di Canopo! Tu mi
iiacesti conoscere questa/antica e sacra terrà,
ove io porto i primi miei passi, col sentimento
religioso che si prova nell’ingresso d’un luogo
santo. Ma chi m’insegnerà la storia de’ suoi
abitanti? Sono stati sempre come sono? Chi
mi dirà la condotta ed il carattere dei re e
dei sacerdoti, investiti del potere, onorati
della confidenza del popolo Egiziano? Ho bi
sogno di saperlo', prima di presentarmi alla
corte del principe,e nei collegi dei vostri saggi.
In SACERDOTE. Appagherò le giuste tue
brame. Il governo ha deposto in ciascuno dei
tempii dell’Egitto una copia degli annali del
l'impero, compilati nella lingua comune, che
presto ti sarà familiare, giacché l’idioma della
Grecia, alla quale tu mostri d’appartenere,
n’è una derivazione.
Prrsoom. Pontefice, io sono fenicia, co
mechè deva la mia educazione a saggi mae
stri, nati greci.
102
IL SACERDOTE. Come fenicio, tu devi dun
que aver più attitudine a leggere le nostre
opere nazionali. Prendi questo vocabolario, e
preparati: puoi servirtene a tuo bell’ agio. « -
Io mi dedicai a questo studio, alquanto
arido, con un ardore pari all’avidità d’essere
istruito, col dispiacere però di non trovare
sorgenti storiche meno sospette di quelle, alle
quali mi si permetteva di attingere.
Io deplorava un gran popolo, che non
aveva altri archivi, se non quelli approvati
dai suoi padroni, e passati sotto la revisione
dc’suoi pontefici. La verità non può non per
dere a questa duplice prova, malgrado la legge
egiziana, che fa mozzare le mani allo scrit
tore convinto di avere falsificato la storia.
M’indussi nondimeno a questa lettura, con
fidando nel mio criterio, e sperando di tro
varvi un correttivo od un supplimento, nelle
tradizioni di famiglia. La tradizione è la nu
trice della storia; per quanto si cerchi di
mascherare od alterare ifatti, il buon senso
riesce a rettificarli: un abile statuario fa sen
tire il nudo sotto le vesti.
Le prime epoche d’una nazione, special
mente s’è antica, sono vaghe.ed incerte, e
mancanti di date. Iprimi nostri parenti vive
103
vano, per cosi dire, senza riflettere. Indiffe
renti all’avvenire quanto al passato, e tratte
nuti dalla compiacente natura, non si occu
pavano che del presente. Trovavansi , d’ altron
de, i lor monumenti nella memoria e nel cuo
're dei figli. I nostri antenati riposavano sulle
cure dei loro nipoti._ » Pensa a me, diceva al
maggiore de’ suoi figli un padre di famiglia
spirando, pensa a me; aggiungi al tuo nome
il mio, e sii benedetto. « Ecco gli elementi della scienza storica. Ma
la storia, come l’arte della tragedia recente
mente inventata, ha bisogno di grandi movi’
menti, di violente catastrofi, per aver qual
che cosa di nuovo da dire. I secoli d’innocen
za non ebbero storici, perchènulla contengono
di sorprendente, nulla di straordinario nella
pratica dei doveri domestici. Il regno dei
buoni costumi è dolce ed uniforme; ma le
seconde pagine degli annali d’un popolo diven
tato famoso, ne furono quasi sempre segnate
col sangue.
Miei cari discepoli! Ci vogliono eserciti
numerosi, per cangiare la faccia degli Stati; e
le fibre d’una pianta bastarono , per fare una
rivoluzione nello spirito umano: Parlare io
voglio del papiro, di cui l’uso è finalmente
104
arrivato sino a noi. Prima che se ne inventas.
se l’apparecchio, tutta la scienza degli Egi
ziani, scritta sulle colonne di Mercurio-Tris
megisto, restava come sepolta nella polvere
d’un tempio, interdetta agli studi dei viag
giatori. Dopo Sesostri, epoca di quella felice
scoperta, i libri geroglifici d’Ermete, una
sola volta scolpiti sopra tavole di pietra, fu
rono moltiplicati, coll’ajuto di questi fogli
di papiro, volumi interi de’quali aperti mi
vennero dal sacerdote di Canopo.
Nei primi tempi, si adoperavano le foglie
di palma, e la corteccia degli alberi; gli atti
publici erano scolpiti sopra lamine di piom
bo; il pennello colorava talvolta le idee sopra
pezzi d’avorio ; altri ricamarono le loro lettere
sulla tela di lino o di cotone, altri sul pan
no; i principii religiosi professati in Egitto
non permisero mai di scrivere sulla pelle di
seccata degli animali.
Il papiro, che gli Egiziani chiamano berd,
cresce nelle paludi del Nilo; il suo stelo trian
golare porta una capellatura o pennaccbio
della forma d’un tirso; la radice tortuosa ser
ve di legna, sia per bruciare, sia per fab
bricare diversi utensili domestici.
Col tessuto di questa pianta, si costruisco
105
no delle barche per navigare; colla. scorza si
fanno vele e cordaggi , vesti e coperte da
letto, stuoje e sandali: le due estremità del
papiro, la testa ed una parte della radice,
offrono un nutrimento sano ai cittadini po
veri. Quest’ era l’alimento dei primi figli del.
‘l' Egitto, questa la ghianda della Caonia. Ma
il più gran benefizio di questa pianta si trova
nel corpo stesso del fusto ; separato-con un ago
in laminette sottili, dà esso quei fogli prezio
si, ai quali confidare si possonoi più secreti
pensieri, mediante l’aiuto d’una canna fossa,
culella penna d’un volatile, temperata, ed in
tinta in un liquore colorante- Il papiro di
Saide, composto di fogli di scarto, si vende
a peso per inviluppare gli altri.
Queste laminette 0 bande vengono tessute,
bagnandole coll’ acqua del Nilo, ed ilîlimo di
questo fiume serve loro di colla ;‘ si espongono
quindi ai raggi del sole. La larghezza dei fo
gli varia: i più belli, i più bianchi hanno
tredici dita: quelli di Saidc, che possono ap
pena sostenere il martello, non ne hanno che
sette.
La membrana del tigli0mOn. offre certo ai
Greci
Egiziani.
vantaggi, che il papiro dà agli
108
Si assicura, che le opinioni secreto di Nu
ma, chiuse a Roma nel suo sepolcro, sono
scritte sopra il papiro.
Tosto ch’io fui in istato di leggere e d’in
tendere i caratteri comuni, che altro forse
non sono se non i geroglifici stessi ridotti ad
una estrema semplicità, il sacerdote di Cano
po mi svolse con qualche riserva il gran libro
degli annali Egiziani. confidato alla custodia
dei pontefici. - » Questo libro dovrebb’es
sere più voluminoso, gli diss’io, se contiene
gli avvenimenti di trentasei mil’ anni. Quale
antichità! Le pretese dell’Egitto superano
quelle della Grecia. Ma avete voi prove mi
gliori per sostenerlo? Ovvero convien pre
star fcde a quegli storici antichi, i quali
suppongono, che le nazioni nella loro infim
zia, per non imbrogliare troppo i calcoli,
componessero ciascuno dei loro anni d’un solo
giorno?
In SACERDO'I‘E. Caserva, prima di tutto,
che al titolo di regina conquistatrice dei po
poli, la terra d’Egitto preferì costantemen
te d’ essere la madre delle scienze. La
pittura , conosciuta appena dai Greci, è
coltivata, già da sei mil’ anni , sulle rive
del Nilo. Noi abbiamo calcolato il cammi
orse
. al
mo
‘L-î‘?
107
no delle stelle per un periodo di mille se«
COli. u
»
n Giovine ed onorevole straniero! Sappi,
che i nostri usi attuali datano da un’ epoca re
mota , quanto i nostri più antichi monumenti.
La nazione egizia conserva oggi i gusti me
desimi, che aveva, son già le migliaja di an
ni, e si guarda da ogni innovazione. u
n Sappi, che tutte le scienze sono prevenuto
dall’Egitto, fino la maniera di pronunziare le
parole, e di dipingerle, in soccorso della me
moria. Sono mille anni appena, che la Grecia
vide approdare il primo Qnaviglio; e quel na
viglio veniva dall’Egitto. «
n Canopo si vanta d’aver dato la nascita a
colui, che il primo fece della medicina una teo
ria assoggettata a certe regole. Tutte queste
Presunzmnl . . .
Prrncom. Non -arrivano ad essere prove.
In Sacsnnorn. Io potrei contentarmi di ri
sponderti geroglificamente: -’- Buon giovine,
non giudicare d’un albero toccandone la cortec
eia; --ma voglio invece, senz’altra preparazione
che il tuo amore alla verità, iniziarti, non
alla scienza, ma alla saggezza egiziana. Quan
do una nazione scrive sulle prime pagine della
sua storia, ch’essa data di trentasei mil’anni,
108
.
eh’ebbe dei re in proporzione , che quasi tutti
quei re furono dei; quando compone la prima
sua dinastia di un Osiride, di un Vulcano , di
un Agatode'mone, di un Saturno, di un Er
cole, ecc. ba essa inteso altra cosa, se non
che l’origine dei popoli si perde in quella del
mondo? che vi furono uomini ed una società ,
dachè vi fu un sole per rischiararli, e del fuoco
per fondere i metalli, ecc.? La storia primi
tiva offre due sensi, uno figurato , ed uno pro
prio. L’occhio ha veduto, prima che la lin
gua abbia potuto esprimere con suoni arti
colati, le operazioni dell’anima e del corpo.
Contemplatori oziosi e tranquilli dei fenomeni
dell’universo, noi abbiamo tentato ben presto
di disegnare o di pingere la storia di quanto
succedeva per la volta del cielo e per la su
perficie della terra. Accostumati ci siamo, nel
tempo stesso, a riguardare, come nostra giu
risdizione, lo spazio al di sopra delle nostre
teste, e quello altresi al di sotto dc’nostri
piedi. Tutto ciò che si fa intorno a noi, si
fa anche per noi, poiché l’universo è comune
a tutti. Prima di raccontare le nostre rivo-.
luzioni politiche, noi ci siamo accinti a stu
diare ed a trasmettere ai nostri discendenti
la rivoluzione planetaria, ben più degna d’ os
tutti
109
servazione delle altre; e per molti anni, per
molti secoli forse, noi non ci siamo occupati
che di queste alte e cospicue materie. Non
eravamo allora noi, senza dubbio, riuniti in
un numero tanto grande, come al presente.
Noi avevamo ozio maggiore e meno passioni,
pochi bisogni e minor fatica, quando eravamo
conosciuti appena sotto il nome di Auriti. u
« Noi procedemmo col far dei confronti;
e, perché tutto sta in relazione, i costumi
degli animali ci servirono a segnare il corso
degli astri, ed il genio dei nostri primi le
gislatori. Questi saggi diedero dei bizzarri ri
sultamenti per la posterità, in modo ch’essa
può sopportare appena la lettura di tutte
quelle avventure di Saturno e di Rea, d’Isi
de e d’Oro, di Tifone e Neftèa, che non
hanno nè l’interesse, nè l’amenità delle fa
vole, imaginate in seguito con arte maggiore,
e poste abilmente in opera da Omero, figlio
dello scrivano Menemaco. Mostra nondimeno
un gran carattere quella nazione , che incomin
cia i suoi annali con queste parole: » Il sole
è stato il primo dei nostri dei, ed il primo
dei nostri re. Il suo impero immediato sopra
di noi fu di trentamil’anni. (I) «
(I) Syucell. Chranograph.
I io
» A traverso questo caos, che non pertanto,
lungi dall’attestare l’infanzia del mondo, pro
va la grande sua vetustà, un tratto di luce
sembra scaturire al nome d’0siride, lperchè
l’Egitto ebbe due specie di dominatori, pri
ma i Ile-Dei, indi i Re- Uomini.
PITAGORA. Ma tutti i re non sono forse
altrettanti dei per i popoli? Guai a quel re
gno, ove non sono considerati per tali!
In SACERDO'I‘E. Con Osiride comincia la
storia terrestre della nazione egizia. «
n Noi avevamo vicino un popolo più avanza
to di noi. Gli abitanti dell’Etiopia formava
no già un corpo di nazione si numeroso,
che si determinarono di far partire una co
lonia, sotto la condotta d'0siride. Una gio
vine vergine 10 precedeva, dicendo: - » Ar
riva, arriva il grande Osiride ; egli è nato
anche per voi! u -
» Il grand’ uomo, il dotto Etiope arrivò di
fatto, vestito con la spoglia picchiettata d’un
pavone; ed il primo invito ch’egli fece ai
padri nostri, fu quello di dividere con lui gli
omaggi resi al Sole. -- 1) Amici, diss'egli lo
ro, ammirate meco quel globo di fuoco, che
fa maturare quei frutti salvatici, di cui vi
contentaste finora. Osservate, studiatene il
Il!
corso: il Sole ed il Nilo, ecco le due vostre
divinità. « » Egli è ascoltato con istupore, e seguito
con interesse. Segna i fondamenti della città
di Tebe; ma qui non limita il suo cammino:
preceduto da un araldo eloquente, accompa
gnato da un poeta, seguito da un pastore e da
un agricoltore, marcia egli alla testa (1’ una
moltitudine ignorante, ma avida d’ imparare.
Nove donzelle etiopi sono della comitiva, delle
quali i Greci fecero le nove Muse. Si segue
il corso del Nilo, si esaminano i differenti
terreni, qua si seminano buoni grani, là si
disegnano grassi pascoli. «
» Dopo questo primo successo, Osiride si
allontana dal paese, e vi lascia, per seguire
i di lui piani nella sua assenza, Tanto, il più
saggio di tutti i suoi compagni, e l’inventore
per eccellenza. Per rassicurare ancora di più
coloro, che furono da lui iniziati ai secreti
della vita sociale, confida ad essi Iside, dilet
tissima sua compagna; questa instituisce delle
feste, ed inspira un giusto orrore per i sa
crifizi umani. Si fanno delle lustrazioni, e
l’abitante del Nilo è penetrato di rispetto e
di soddisfazione. «
n Ercole e Prometeo assistono la giovine
1i2
regina , e piantano le basi d’un buon governo;
e ciò vuol dire, che la forza ed il genio com
piscono ciò che 1’ eloquenza ed il prestigio
dei sensi avevano incominciato. «
n Prima di ritornare in Egitto , Osiride an
dò ad incivilire altri popoli, fino all’estremità
dell’ India. Colà fondò Nisa. Il primo nappo di
vino fu vuotato in quella città: questo fu un
benefizio del nostro Osiride, da quei popoli,
e da quello di Grecia deificato poi sotto il
nome di Bacco. In tutti i luoghi si benediceva
al suo arrivo, si piangeva alla sua partenza. u
n Settantadue congiurati aspettavano ch’ei ri
tornasse, per farlo perire; e Tifone, suo fra
tello, era secretamente alla loro testa: ma il
Nilo, diventato all’improvviso una montagna
d’ acqua, li prevenne, aii'ogando la generazio
ne intiera degli uomini. «
n Tu lo vedi: la storia dei tempi primitivi
è un mescuglio confixso di catastrofi naturali,
politiche e religiose.
Prrsoom. Mi fu detto, che in
esiste
una legge capitale, contro chi publicasse , che
Osiride ed Iside appartenevano alla specie
umana.
In Sscsnnore. Il popolo del Nilo ne du
bita; ma egli stesso si compiace d’ ingannarsi:
113
e si sdegnerebbe contro quegli stranieri, che
gli parlassero de’ suoi dei, colla pretta verità
della storia. Proseguiamo. Vuoi ch’io ti parli
del dio d’ Oro: soprannome di Tamo, uno
dei più antichi re di tutto l’Egitto, ed il
contemporaneo del nostro secondo Tauto,
quello che aperse al popolo le prime scuole? Il
principe lo biasimò assai per aver reso la
scrittura comune . . . '
'
PITAGORA. Come?
.
In Sacnnnore. Ecco le sue ragioni. » Tu
moltiplicherai, gli diss’egli, i semi-dotti: i
saggi diventeranno più rari: la scrittura in
segnerà lasciar da parte il criterio e l’osser
vazione. a
Tomo Il.
8
1 i4
CAPITOLO XXXIX.
Jlfenete, Osimandia, la regina Nitocri,
Sesostri.
In SACERDO'I‘E. Menete fu il secondo le
gislatore dell’Egitto. Al suo innalzamento, la
sola Tebaide era prosciugata e suscettibile di
coltivazione, non formando le altre basse re«
gioni del Nilo che una fangosa palude. Egli
scavò un lago, eresse un tempio a Vulcano;
ed il libro degli annali indica come una grande
lezione, per la storia data alla posterità, che
uno dei primi re dell’Egitto iii anche uno
dei primi ad introdurre ne’ suoi Stati il lusso. «
n Finché
Egiziani non abitavano che fre
sche grotte ed umili capanne, contenti del
sostanzioso alimento, che ad essi ed alle loro
mandre somministraVa l’Agrostide, vissero
pacifici senza eccitar gelosia. Ma dal momen
to ch’ essi ebbero città e tempii, canali e ca
se cm‘node, molestati furono dai loro vicini,
e si difesero male. Un re dei Pastori venne
ad attaccarli nel loro paese, e non trovando
quasi un punto di resistenza, li ridusse in
..u
115
cattività, piantò la sua sede in mezzo alla
nazione vinta e disarmata, che portò il gio
go di lui e de’. suoi successori, per cinque
o sei secoli. Gli usnrpatori furono alla fi
ne espulsi, ma per dar luogo ai despoti.
Uno di questi fissando la sede del suo im
pero a Tebe, volle rendere' questa città
degna del nuovo rango con una grand’ ope
ra. Eresse egli una statua di proporzione
talmente gigantesca, che la lunghezza dei pie
di era di sette braccia. Venti pagin'c degli
annali bastano appena per descrivere i prodi
gi del suo palazzo, e agli onori, ch’egli si re
se, si cercherebbe invano i titoli competenti:
ché non è altrimenti sufficiente lo scrivere
sulla base del suo simulacro: » Io sono Osi
mandîa, il re dei re. Se mento, si facciano
delle cose più grandi. « n Egli iii il primo , che collocò il legislatore
Osiride nel rango degli dei, colla speranza
che i posteri farebbero per lui lo stesso. Rac
colse egli il primo i libri d’Ermete, per com
porne la biblioteca sacra, che fu intitolata:
Medicina dell’Anima. Colui fu egli ancora,
che, mostrando diffidare della posterità, si
eostrusse un magnifico sepolcro , coronato
d’un cerchio d’oro massiccio della grossezza
116
d’un braccio, e della circonferenza di trecen
to sessanta. Questo famoso anello astronomico
segna tutte le divisioni dei tempi. Ogni brac
cio corrisponde ad un giorno dell’ anno; an
nunzia anche il levare e tramontare delle co
stellazioni di ciascuna giornata, come anche
le loro influenze_maligne o benigne, secondo
le regole dell’astrologia etiopica, naturalizzata
in Egitto. «
» Passiamo sette od otto generazioni di re,
dei quali ricordare non si possono che i no
mi, per fermarci un momento ad Ucoréo.
Questi, geloso della gloria d’0simandia, tras
ferì la sede imperiale da Tebe a Menfi;
ingrandi e fortificò questa città, per meritare
anch’ egli il titolo di fondatore; si occupò mol
to degli abbellimenti del suo palazzo. u
» A questo passo, come a vari altri, de’ no
stri annali, io non leggo che nomenclatura
spoglia di fatti; e mi rincresce di non po
terti dire, se non che il re Atoti compose
dei libri d’ anatomia, e diseccò parecchi cada
veri. Atoti appartiene alla dinastia dei re Ti
niti, come anche Sesocri, il quale era alto
cinque braccia, e largo tre.
PITAGORA. Pontefice! Ma cosi non si seri:
Ve la storia!
117
In SACERJJO'I‘E. Ebbene! Ti nominerò Boc
cori, figlio di Micerino, monarca piccolo di
corpo, ma grande di genio, che ci:diede delle
buone leggi. «
» Seguitiamo: Tosortro, della dinastia di
Menfi, è riguardato come l’Esculapio dell’E
gitto. Inventò egli anche la maniera di fab
bricare con pietre scarpellate.
PITAGORA. Questo è un bisogno di più,
ch’egli fece conoscere agli uomini.
In Sacunnonz. Sufi, re di Tebe, compose
un libro sacro di cui noi facciamo gran ca
so. Attoe, della dinastia degli Eracleopoliti,
fu ucciso da un’ crocodilo. « .
» Nitocri, sorella dell’ultimo re d’Egitto
venuto dall’Etiopia , volendo regnare anch’essa,
provocò un’insurrezione contro il fratello,
che ne fu la vittima, ed il suo partito la
proclamò regina: ma Nitocri, temendo che
quegli stessi mezzi, da lei adoprati per ot
tenere lo scettro, glielo rapissero, invitò_ ad
un banchetto i principali agenti, che avevano
contribuito al di lei innalzamento. La sala del
convito trovavasi a pian terreno, per sottrarsi
al gran caldo; in mezzo alla gioja, i convitati
si trovarono improvvisamente inondati dal
Nilo, fatto introdurre se‘cretamente; e pcrì‘
n8
rono tutti. Nitocri trovò il mezzo di scappare
' al generale risentimento, e non si senti più
a parlare di lei. Non resta di essa che la me
moria della sua bellezza e de’ suoi delitti. Si
dice ancora per proverbio: bella e cattiva
come la regina Nitocri «
» Dodici generazioni dopo di essa, Meride
si rese celebre pel.suo lago, e pel superbo
portico settentrionale del tempio di Vul
cano. u
» Sesosirìde, che i Greci chiamano Sesa
stri, fu di tutti i nostri re quello, che s’ebbe
più rinomanza. Contemporaneo di Semiramide,
egli fu valoroso in guerra, e saggio in pace,
temuto da tutti i popoli, e sopra tutti i ma
ri. Suo padre gli diede per compagni d’armi
i mille settecento maschi, ch’ebbero con lui
comune il giorno di nascita in tutta l’esten
sione dell’impero, e li fece allevare insieme
con lui alla vita militare. Questo semenzajo
prometteva degli eroi. Eglino assoggettarono ,
seguiti da un forte esercito , l’Arabia coi
suoi serpenti, ed il Troglodita che li
,
e 1’ indomato Africano, e l’ Etiope superbo
dell’alta sua Origine, e l’India, e la Tracia.
Se gli Sciti e la Colchide osarono resistere a
Sesostri, egli se ne risarci sui Persiani, sui
119
Medi, sui Battriani, sulla Fenicia, su Cipro,
e sulle Cicladi. «
n Al ritorno, Ses0stri distribuisce delle ter
16 a coloro ch’èrano stati gli strumenti delle
sue vittorie; divide la monarchia in trentasei
dpartimenti; apre dei canali; alza una forte
muraglia di trenta ore di cammino fra il suo
popolo ed i ladroni del deserto; fa costrui
re, in ogni città dell’impero, un tempio: ed i
rr ed i popoli suoi tributarii in oro, in avorio,
in ebano, suppliscono a tutte queste grandiose
spese. L’Asia intera ed una parte dell’Eur0pa
smo coperte dei monumenti della sua gloria.
Diventato cieco in seno de’ suoi trionfi, non
attende egli il colpo della morte, ma vuol
morire di propria mano, dopo un regno di
cinquantanoveanni.- Fece, e questo è meglio
di tutto il resto, una legge, che esentava
dal portare le anni tutti i giovani cittadini,
che esercitavano la professione dei loro pa
dri. Ecco l’eroe! Egli ne aveva la taglia, 81
ta e sovrumana: quattro braccia, tre palmi
e due diti (i).
(I) Sette piedi e dieci pollici parigini. Manetone ,
citato da Syncelle; e Freret, Mem. sulle misure de
gli Antichi.
120
» Ecco l’uomo: lascia egli la famiglia e la
patria, per girne a turbare la pace delle d
tre nazioni: in tutti i luoghi, pel suo can
mino, lo precede il terrore, lo accompagm
il saccheggio: infamanti colonne disonorarn
quelle timide popolazioni che, senza resisterv,
lascian passare il torrente distruggitore! 4
Prevenuto dal gran pontefice del tradimenlo
di suo fratello Amasi, che voleva approfitti
re della sua assenza, l’ebrezza de’successi lo
rende imprudente a segno, d’accettare a R.»
lusio un banchetto presso quello stesso, cm
tro l’ambizione del quale doveva tenersi in
guardia. In mezzo ai piaceri della tavola, un
incendio si dichiara improvvisamente: per sct
trarsi alle fiamme, Sesostri precipita due lei
suoi figli fra le rovine ardenti, e passa sui
loro corpi, che gli servono di ponte, dicen
do: » Posso sacrificare due figli, se me ne
restano quattro. « - A questo tratto con
viene aggiungere, che, quando andava a sa-,
crificare'nei tempii, voleva che il suo carro
fosse tirato da quattro re prigionieri di
guerra. ((
» Innanzi a Sesostri, gli Egiziani conosce
vano la guerra, ma una guerra meno mici
121
diale, perché si servivano alla pugna soltan.
to di certi bastoni rotondi ( 1). «
>
» La gloria militare di Sesostri ha fatto
molto torto alla_ saggezza egiziana. Questo
principe comandava a cento miriadi di solda
ti; ma dopo quella grand’ epoca, l’Egitto non
ebbe più buoni combattenti.
PITAGORA. Tu non facesti che accennare
la Colchide, ove Sesostri trovò qualche re
SISI.CIIZZL
IL Sacsnnore. Fra i re estratti a sorte
per tirare il suo carro trionfale, Sesostri non
ebbe la soddisfazione di collocare Ebusopèo.
Questo principe colchico seppe vincere il vin
citore di tanti monarchi, e,spogliare lo spo
gliatore di tanti popoli.
Prracons. Mi si parlò d’ un’ imagine d’ Osi
ride o di Serapide, consacrata da Sesostri,
che si diceva suo discendente, e composta
di zafliri', di smeraldi, di tepazi, di aromi,
di materie d’oro d’argento di rame di piom
bo e di stagno. Questo simulacro, lavoro di
Briassidc, sarebbe mai il geroglifico della
confusione, che regna nella storia e nella mi
tologia? Ove si trova questo monumento?
E che ne pensi tu?
(1) Phalangae. Pliu. Storia naturale, VII. 56.
122
IL SADERDOTE (sorridendo). Si trova colla
fenice venuta per la prima volta ad Eliopoli
al tempo di Sesostri, accompagnata da molti
altri uccelli, che le rendevano un culto simi
le 21 quello, che gli uomini prestano al Sole.
Devo aggiungere, che nessuno ha veduto la
fenice mangiare. u
»
» Uno dei figli di Sesostri gli succede. Es
sendo cieco, come suo padre, l’oracolo gli pre
scrive, per rimedio, l’orina d’una moglie fe
dele. La sua, con molte e molte altre, non
avendo questa virtù, egli le fa abbruciar vi«
ve, dopo avere sposato quella d’un giardiniere,
la quale gli restitui la vista.
Prncom. Pontefice (li Campo! Questa è
dunque la maniera, con che un popolo sag
gio deve scrivere la sua storia?
123
CAPITOLO XL.
Cela, Seta sacerdote e re,
Ecate'o, Psammetico.
In Sscnnnowi:. Il regno seguente ti soddis
l21rà di più, perché meno illustre. Ma il re
Cote, agli sguardi degli amici della giustizia,
deve avere la precedenza sopra Sesostri. Al
cuni schiavi stranieri, sbarcati a questa rada,
reclamano il diritte di asilo, di cui qui gode
il tempio d’ Ercole, e dichiarano, alla presenza
dei sacerdoti e del governo, di non voler es
sere i complici del delitto del giovine Paride,
loro padrone, rapitore di Elena, moglie di
Menelao. Il governo imbarazzato ne fa rap
porto allo stesso re Cete, il quale fa con
durre a sé dinanzi i colpevoli. » Tu merite
resti la morte, dic’egli a Paride; ma non sei
soggetto alla mia giurisdizione: esci dall’Egit
to. lo ritengo qui Elena, per renderla al prin
cipe, al quale appartiene. u - Il più giovine
dei figli di Priamo ritornò solo a Troia._ I Gre
ci, ignorando l’asilo d’ Elena, cominciarono
l’assedio d’una città, ove la stimavano rin
121,.
H
chiusa. Disingannato finalmente, Menelao ven
ne a reclamare la moglie, che gli fu tosto
restitulta. «
Io continuai la mia lettura.
D A questo re giusto succede Rampsinet
to, di cui si dice, che discendesse sotto terra
per giuocare ai dadi con Cerere, e che la
buona dea si lasciasse vincere la partita: aned
doto simbolico. u
Io suppongo qualche risentimento nello
spirito del compilatore di questi annali, al
regno di Cheope'o, attribuendosi a questo
principe delle azioni detestabili, e qualifican
dolo per lo carnefice del suo popolo; forse
perché , temendo ne’ suoi sudditi le conseguen
ze dell’ ozio, gli occupò alla costruzione d’una
piramide, ed anche perché dispiacque ai sa
cerdoti, vietando l’ingresso troppo frequente
dei tempii. Vi si andava a perdere dei gior
ni intieri in cerimonie sterili, invece d’im
piegarli in utili lavori.
-
» Chefrene, suo fratello, regnò dopo di
lui, secondo gli stessi principii, ed andò sog
getto alle stesse censure. Miserino, figlio di
uno di questi due fratelli, fu un principe
assai dissoluto, ma ligio nel tempo stesso ai
ministri del culto. Gli successe un cieco della
125
città d’Anisi , che fu re per elezione. Un prin
cipe d’Etiopia si giovò della circostanza, per
unire al suo regno tutto l’Egitto, lo che gli
fu facile di eseguire. Il principe cieco, lungi
dal resistergli, attendeva, nascosto in un’iso
la di sabbia, l’esito dell’invasione. Il monarca
straniero palesò nell’arte di governare un ta
lento, che fece onore alla sua patria. Per tutto
il tempo della sua usurpazione, abolì la pena
di morte ,’condannando i delinquenti al lavo
ro, per rialzare il territorio delle città mi
nacciate d’inondazione dai canali di Seso
stri. Indi 1>itornò nel suo paese, come se ve
nuto nonfosse sulle rive del Nilo, che per
dare una lezione della scienza di regnare. u
n Il cieco usci allora dal sabbioso suo asi
lo, e rimontò sul trono. Gli annali’sacri non
dicono di lui nè bene, né male. Vollc per
altro lasciarc anch’egli un monumento; ed
innalzò una piramide di mattoni, fatti col
fango diseccato. «
» Stanchi di obbedire a capi tolti dall’or
fhn9 CÎVÌ16, e tanto poco degni di uscire dal
la loro oscurità, vollero gli Egiziani provare
un sacerdote del dio Fta (Vulcano); e non
ebbero a pentirsene. Questo regno cagionò nei
suoi principii qualche inquietudine. Seta, cosi fu
126
nominato questo sacerdote-re, non si mostrò
molto favorevole alla casta militare. Ritolse
ai capitani i loro privilegi, le loro terre ai
soldati, senza riflettere al bisogno, che po
teva avere di essi. Non si sapeva come spie
gare, come giustificare una condotta si stra
na; ma Seto fece conoscere d’aver delle viste
profonde e sane. Arriva alla Corte la notizia,
che un corpo d’esercito assiro si avanza fino
verso Bubaste, e mostra di minacciare Pelu
sio. Si sta attendendo ciò che sarà per risol
vere il sacerdote-i‘e; e gli uomini d’armi
vanno già con ischerno dicendo: n Vedia
mo un po’ come si condurrà un sacerdote ,
per respingere egli solo un nemico potente;
preghiere e sacrifizi non bastano per impe
dire un’invasione. « n Scto non si spaventa, convoca un'assem
blea di agricoltori e di artigiani, e dice loro:
" » Amici! Io vegliai tutta la notte ai piedi del
dio Vulcano, per ottenerne un saggio consi
glio; e questa mattina, ail’alba del giorno, ecco
il sacro geroglifico, che ho veduto dipinto
sulla base del suo altare, in guisa di risposta.
Ai pallidi raggi della luna, una leonessa, pre
sa nelle reti dei cacciatori, implora invano
i’assistenza di parecchi leoncellì suoi figli ;
127
codesti ingrati godono delle sue pene: ma
alcuni ratti, accorsi ai primi gemiti della pri
gioniera, rodono le maglie della rete, e la
liberano. «
n Onesti artigiani! probi agricoltori! Ecco
in qual modo io interpreto l’oracolo gerogli
fico' della mia grande divinità. La leonessa è
la patria, il nostro Egitto; la rete dei cac
ciatori è l’esercito assiro, che medita di ri-*
durci in iscbiavitù. Per i leoncelh ingrati, fa
egli d’uopo ch’io v’additi i nostri guerrieri,
i quali non si muovono punto, sentendo il
pericolo del loro paese? I ratti generosi, voi
siete, amici miei, con me alla vostra testa.
Si‘. la gloria di questa.campagna, e la salute
di tutti sarà opera _ nostra: ed eccoil mio
progetto. Andiamo incontro dall’ Assiro super
bo:_ andiamoei, armati soltanto di roncoloni e
falciu’ole. Il nemico ci disprezzerà, non do
gnerà di mettersi in difesa, e passerà la notte
ad attenderci in mezzo i piaceri d’un campo
abbondantemente provvisto di tutto. Non si
tratta dunque, che di sorprendere nel bujo
quel posto, ove si custodiscono gli strumenti
di guerra. Conquistiamolo, durante il sonno
dei soldati ubbriachi; coi roncoloni e colle falv
128
aiuole, tagliamo le corde degli archi,_le coregge
degli scudi, rendiamo inservibili tutte le loro
macchine micidiali. Eseguite: questa prima spe
dizione, colle sole nostre falci potremo fa
cilmente tagliare a pezzi quei guerrieri senza
difesa; e la vista medesima di quelle armi,
diventate inutili fra le loro mani, terminerà
di scoraggiarli. Noi li metteremo in fuga, e
tutto il ricco loro bagaglio sarà il vostro pre
mio. Andiamo. « -
» Seta è obbedito con trasporti di gioja.
Il suo esercito, d’una specie affatto nuova,
eseguisce puntualmente i suoi ordini; l’Assi
ro è disarmato, e tutte quelle truppe nemi
che cadono, come le spiclae sotto il ferro del
m1et1tore. «
» Al ritorno da questa spedizione, fu col
locata nel tempio di Vulcano una statua,
rappresentante il sacerdote-re, con un ratto
in mano, e con questa sentenza, che gli esce
dalla bocca: » Chiunque tu sia, che mi guar
di, sappi, che gli dei sono di buon consi
glio. « -
» Alcuni dei nostri annali dicono, che Se
te fu il trecenquarantesimoprimo dei nostri
l‘0. (c
1 29
Noi fummo per un momento interrotti da
un giovine abderita , venuto in Egitto espres
samente per chiedere ai sacerdoti una genea
logia; tanto impaziente, che per soddisfarsi
non volle andare più in là di Can9po. Nel
l’entrare, egli disse: n10 sono Ecatéo, figlio
d’Egesandro: mio padre riferisce la sua ori
gine ad un dio, del quale io sono il sedice
simo discendente. Sacerdote! lo vengo a ve
rificare le mie pretese. «
n Buon giovine; gli rispose gravemente il
sacerdote di Campo, scoprendogli una lunga
serie di simulacri d’ oro; ciascuna di queste
statue rappresenta uno dei pontefici, che pre
siedettero a questo tempio, e che furono uo
mini d’una saggezza pura. Nessuno di essi fu
dio, nè generato da un dio; Ercole stesso non
è che un eroe. Buon giovine, sii virtuoso. u Il giovine abderita usci piuttosto malcon
tento, e noi riprendere potemmo la nostra
lettura.
» Alla morte del sacerdote-re, l’Egitto fu
diviso da fazioni. Il popolo, avvertito da
Seto delle proprie forze, scosse il giogo mi
litare; e vi furono delle discordie civili. Si
versò il sangue dei cittadini, ed il termine a
tutti questi mali fu il cangiamento del gover
Tomo Il.
9
130
no. Per evitare il potere d' un solo, si vollc
ubbidire a dodici: diviso fu quindi il regno
in dodici principati, ossia stati confederati,
i capi dei quali si collegarono con trattati e
con un giuramento. Una volta all’anno, i (lo
dici governatori o principi dovevano riunirsi,
vicino al lago Meride, in un labirinto com
p0sto di dodici palazzi. «
» Questo nuovo ordine di cose durò per
soli quindici anni. Uno dei dodici, possessore
delle più belle provincie marittime, eccito
la gelosia degli altri, che vollero opprimerlo.
Psammetico ricorse agli stranieri; gli arrivarono
delle truppe dalla Jonia, dalla Caria, e dalla
Fenicia. Vinti gli undici principi, il vincitore
non ebbe più rivali, e regnò solo. Ricono
scente poi verso i Greci, permise loro di sta
bilirsi in Egitto sotto certe condizioni. Innanzi
a quell’epoca, i nostri re, e segnatamente Busi
ride, ordinavano il massacro di chiunque avesse
osato toccare le spiagge egiziane. Psammetico
all’opposto spinse la riconoscenza tant’oltre,
che ne’ suoi eserciti diede la preferenza agli
stranieri sopra i naturali. Si mormorò alquan
to, e dugentomila cittadini mal contenti ab
bandonarono una patria aperta a tutte la na
zioni, e presero la via dell’Etiopia, loro pri.
131
ma culla. Si chiuse gli occhi sopra questa
emigrazione numerosa ed armata, cui si avrebbe
arrischiato troppo volendo arrestare o punire. «
n Psammetico eonchiuse una pace vergogno
sa con gli Sciti, fu il primo in Egitto a ber
‘ vino, fondò il commercio coll’ estero, ed alla
morte lasciò il trono a suo figlio, che, ad
esempio del padre, ebbe la passione di com
battere e la mania di fabbricare. Centoventi
mila uomini perdettero la vita nei lavori d’un
canale, che dal Nilo conduceva al mare Eri.
trèo. «
PITAGORA. I vostri annali osservano, che
Psammetico li: in Egitto il primo a bere del
vino: ma non avevano già detto, che Osiri
de, 0 Bacco, versò il primo nappo di quel
la dolce bevanda?
IL Sacnnnors. Osiride, nel fare tale sco
perta viaggiando, non aveva creduto di do
verla introdurre nella sua patria. Con le acque
del Nilo, qual bisogno abbiamo noi di vini
stranieri (1)? «
(1) Questo motto è stato in seguito attribuito al
l'imperatore Peseennio, che diceva u’ suoi soldati: Ni
luns habclis , et vinum qumrilìs ? V. Spartiani Hirlor.
NB. Per questo capitolo ed i seguenti, si veggano Ero
doto, Strabone, Diodoro Siculo, Clemente Aless., ecc.
132
CAPITOLC)
XLI.
Aprio , Amasi.
PITAGORA. Aprio, successore e figlio di
Psammetico, ebbe lo stesso genio de’ suoi pre
decessori; prese Tiro e Sidone, e vinse i
Fenici.
In Sacsunors. Questi fatti devono esser
giunti a tua cognizione, giovine straniero; ma
io vi aggiungerò alcune particolarità, che for
se ignori. I nostri soldati, stanchi di tante
guerre, non tutte fortunate, credettero di
scoprire nella condotta del re l’orribile disegno
di disfarsi d’una metà della nazione per op
primere l’altra, e si ribellarono. Aprio avreva
per confidente, fra i suoi cortigiani, un certo
Amasi, nativo di Fiud nel dipartimento di
Saide; questi fu inviato all’esercito: ma in
Vece di ristabilire gl’interessi del suo padro
ne, Amasi pensa ai suoi, si lascia proclamar
re, e tiene sulla sua testa l’elmo postogli in
segno della dignità suprema. Aprio furioso
,
133
diede l’ordine ad uno dei primarii della sua
Corte di ricondurgli l’usurpatore; ma quegli
rispose agli ordini del suo principe con in
decenti ripulse (crepi-tua ): per cui vedendo
Aprio ritornare il suo incaricato senza aver
eseguito la commissione, gli fece mozzare il
naso e le orecchie. Quest’ultimo tratto pro
vocò il popolo, il quale si dichiarò per Ama
si, di cui molto piacevano alla moltitudine i
motti burleschi. «
1) Si venne dunque di nuovo al sangue. Le
truppe straniere, unica difesa di Aprio, fin‘o
no vinte, dopo un ostinato e micidiale com
battimento. Amasi, riconosciuto finalmente
solo padrone del trono, non volle, da destro
politico, incaricarsi del supplizio del suo pre
decessore, e, dopo lunghe istanze soltanto,
si decise di abbandonarlo al risentimento del
popolo, il quale lo strangolò. u
» Così terminò l’ultima rivoluzione. Ama
si regna ora tranquillamente, rispettando tut
ti gli ordini della società, principalmente il
nostro, e lasciando dir tutto sul conto suo,
purché i detti non siano accompagnati da
atti d’insubordinazione. Accoglie tutti; religio
so innanzi al popolo, si mostra poco credulo
134
agli amici del vero; provvede anche alla con
servazione della concordia fra sè e gli altri
principi lontani o vicini: Amasi è amico di
quasi tutti i re dei tre mondi. u
n Giacché tu devi essergli presentato, sa
rà opportuna cosa l’informarti di alcune altre
particolarità. .I suoi bassi natali non gli pro
mettevano una si alta fortuna; ma il suo ar
dimento gli fece superare con un solo passo
la vasta distanza dalla sua cuna al trono. Si
celebrava alla corte l’anniversario del re: ed
il principe mangiava, quel giorno, in pu
blico. Amasi, vestito con eleganza, rompe la
folla, e con un ginocchio a terra depone una
ghirlanda di fiori a’_ piedi del suo monarca.
Aprio si degna di sorridere a quest’omaggio
inaspettato, ed ordina all’adulatore di mettersi
alla sua mensa. Questa insigne grazia collocò
immediatamente Amasi nel primo rango dei
cortigiani. 'Vedesti com’ egli seppe corrispon
dere ai favori del suo monarca. u
» Passata la prima ebbrezza del popolo, si
ricordò esso da qual punto Amasi preso ave
va le mosse e per qual via giunto era al
trono;
ciò che non conciliava molto ri
spetto al nuovo monarca. Amasi se ne ac
1 35
corse, e si servi di questo stratagemma per
cangiare l’opinione a riguardo suo. u
n Una statua d’oro viene, per suo ordine,
eretta in mezzo alla publica piazza. Egli vi si
reca in persona, e dopo essere stato per lun
go tempo testimonio delle adorazioni della
moltitudine innanzi al nuovo dio: n Popolo,
dic’egli, questa bella statua è degna per ve
rità de’ tuoi omaggi; ma sappi, che prima
di diventare una divinità per te, questo si
mulacro era un bacino, ov’io mi lavai spesso
i piedi. Cittadini, pretendo, che vi compor
tiate nello stesso modo verso di me. Finché
era un uomo oscuro, voi non mi dovevate
niente: oggi che sono il vostro re, e l’ima
gine viva de’ vostri dei sulla -terra, voglio
che mi trattiate da sovrano. « -
» Questa sortita produsse il suo effetto per
qualche tempo; ma egli è tanto poco decente
e dignitoso ne’ suoi piaceri, che anche ulti
mamente uno de’suoi cortigiani credette di
dovernelo avvertire. Amasi non se nei offe
se, e gli rispose con questa sentenza ge
roglifica: n L’arco non può sempre esser
teso. u _
» L’Egitto ha nondimeno, sotto il suo re
gno, un aspetto di magnificenza e di prospe
136
rità, che sarebbe desiderabile di vedere in
tutti gli Stati. Amasi si studia di far dimen
ticare la passata bassezza colla grandezza
delle sue imprese, e colla maestà dei publici
monumenti. Questi superbi edifizi non ren
dono
detto, ilnépopolo,
migliore,come
né più
parmi
felice;
di ma
averti
gl’in
spirano un orgoglio nazionale, che ha il suo
valore. Amasi ha recentemente aggiunto al
tempio di Minerva in Saide un portico ac
compagnato da sfingi di grandezza colossale.
Una cosa più sorprendente è il trasporto d’un
santuario di un solo masso di
ca, dalle cave d’Elefantina fino
sto masso ha ventun braccia di
tordici di profondità, ed otto
pietra graniti
a Saide. Que
fronte, quat
di altezza. Il
viaggio durò tre anni, ed il servizio fil fatto
dadue mila barcajuoli. Era intenzione di A
masi d’introdurre questo santuario nel tem
pio di Minerva; ma giunto sotto il vestibolo,
uno de’ capi degli operai ne restò oppresso.
Questo dispiacevole accidente fece mormora
re; Amasi ebbe la prudenza di rinunziare alla
sua idea, meritandosi cosi la riputazione di
monarca pieno d’umanità. u
D Per allontanare i nostri vicini da ogni idea
«1’ invasione, Amasi ordinò un censimento del.
137
l’Egitto, nel quale si fa ascendere il numero
delle città a diciotto o venti mila: ma la verità si è, come te l’ho già detto, che non ve
ne sono più di due mila, degne di questo
nome. u
n Immediatamente dopo la partenza del
saggio Solone, di cui egli accolse la visita in
Menfi, Amarsi promulgò una legge, che gli fe
ce molto onore. Ogni abitante dell’Egitto deve,
una volta all’anno,informare il governatore del
suo dipartimento , de’propri mezzi di sussi
stenza. La pena di morte è decretata contro
colui che si sottragge a questa dichiarazione,
o che ne dà una falsa. «
n Amasi è vedovo, ma né per ciò fa più
da padrone in casa; giacché la prima delle sue
concubine sostiene l’impero, ch’ ebbero, dopo
Iside, le nostre regine. u
» Ci vorrebbe un secondo Ercole, per pur
gare l’Egitto. Esso ebbe il tempo di corrom
persi, nei diciassette mil’anni passati dopo
l’apoteosi di quel grand’ uomo. (1
» Un altro cenno sopra Amasi, che a te
non dev’essere indifferente, si è, che tutti
gli stranieri trovano in essolui il buon genio
dell’ ospitalità , ed i Greci a preferenza di
tutte le altre nazioni. Diede egli mille talenti
138
per la costruzione d’un nuovo tempio a Del;
[0, del quale tu hai potuto veder gettare i
fondamenti. I Greci hanno piena libertà di
negoziare nei mercati di Naucrazia, lungo le
coste. Egli permette ad essi di erigere degli
altari alle loro divinità. I Samii ne costrussero
uno a Giunone, ed egli ha loro ultimamente
spedito la statua di questa dea in legno do
rato. u
_
n Straniero, io ti ho pagato il mio debi-'
to. Non ti accolsi già come uno di quegli
avidi mercadanti, che vengono a Canopo sol
tanto per interrogare gli abitanti sulle spe
culazioni vantaggiose, che si possono tentare
in questo paese. Tu qui non viaggi, che per
avvicinarti alla sorgente della verità; ed io te
ne ho aperto alcuni canali: Menfi e Tebe
potranno iniziarti a più profondi misterii. Se
gui il tuo destino: prima di lasciare Canopo,
devi una visita al tempio di Scrapide, ed un
omaggio a quel primo de’ nostri dei. Ti la
scio poi la cura di rendere giustizia ai sa
cerdoti, non confondendoli tutti nella mede
sima categoria. «
» Spero eziandio, che darai testimonian
za dei sentimenti ospitali della mia nazio
ne. So, che noi siamo dagli stranieri qua
139
lificati ancora sotto il titolo di selvaggi del
Nilo, perché siamo creduti ancora gli Egi
ziani del regno di Busiride. Ma tu sperimenti
il contrario; e noi passeremo forse all’oppo
sto eccesso. Un popolo feroce e dato al bri
gandaggio massacra e spoglia inaufraghi sul
le sue spiagge; un popolo frivolo e corrotto
invita tutti gli stranieri sulle sue Coste per
far con essi traffico di vizi e di pregiudizi.
Una nazione saggia soccorre i naufragati na
vigli, e chiude i suoi porti alle navi onuste
di quelle ricchezze, di cui può fare a meno;
ma non soffre in casa sua nè oziosi né cu
riosi. Ciascuno deve restare nel suo paese:
si rende, per lo meno, sospetto quel citta
dino, che può risolversi di abbandonare i
suoi penati, e non trova, in seno della pa
tria, tutto ciò che gli occorre per essere
felice. Cosi pensavano i nostri antenati, in
nanzi all’epoca di Ses0stri, né conoscevano
quello spirito d’invasione, che caratterizza
gli Spartani. Allora si parlava molto meno
dell’ Egitto; ma l’Egitto era più tranquillo. «
Prraeona. Sacerdote di Canopo! Rassicd
rati: il tuo nome, inscritto sul mio itinera
rio, aumenterà la lista degli uomini, dai
140
quali ho ricevuto delle utili istruzioni. Per
mettimi una parola sulle vostre origini. a
» Comprendo, che un popolo avrebbe moti
v0 d’insuperbirsì, potendo produrre dei cal
coli astronomici senza lacune, ed una crono
logia senza confusione; ma la storia dei re
d’Egitto è interrotta come quella de’ suoi dei.
4 Quanti tormenti non preparate voi alla po
sterità, gelosa di fischiarare tanti fatti mara
vigliosi, estesi con una negligenza forse so«
spetta! Perdonami i siffatti dubbi: vado ad
espiarli nel tempio di Serapide. «
CAPITGLO
XLII.
Culto e costumi di Canapa.
Tempio di Sempide.
neste anticó monumento, al quale verrà
senza dubbio un giorno sostituito un edifizio
più degno ancora della sua divinità, è situato
fuori delle mura di Campo, perché nessuna
città dell’Egitto tollera nel suo recinto altari
oosparsi di sangue; essendo incensi e fiori le
sole offerte ammesse nell’ interno delle città.
Serapide riceve, come Saturno, sacrifizi di
animali.
’
Si aprono le porte e le finestre di questo
tempio, tosto che il sole è alzato, per dare
passaggio a’ suoi raggi; ed all’ingresso stan
collocati due vasi, uno d’acqua ed uno di
fuoco, per purificarsi.
Serapide è la divinità suprema degli Egi
ziani, e potrebbe anzi bastare per tutte le
altre. Confonderlo talvolta si suole con Osi
ride: gli ammalati lo invocano sotto il nome
di Oro, inventore della medicina; i nuotatori
ll|,2
sotto quello di Nettunno; altri lo chiamano
Giove, altri il Sole, altri ancora il Dio San
to del Nilo (1). Quando si arriva a toccarne
l’altare, si potrebbe esimersi di frequenta
re gl\ altri tempii. Il suo santuario, specie
di panteone, è pieno di attributi d’ogni sor
ta: vi si veggono le corna dell’arietc di Gio
ve-Ammone, la corona raggiata del Sole, il
tridente o scettro trisnlco di Nettunno, l’a
quila per indicare Giove Egiziaco, ed il ca
ne tricipite, ossia il Cerbero di Plutone, dio
dell’infemo, e di Pluto, dio delle ricchezze.
V’è una setta in Egitto, la quale preten
de, che Serapide sia per eccellenza il dio
conservatore della vita dell’ uomo, perché il
suo nome è composto di due parole, ser ed
apis, che significano una spica di frumento,
ed un bue, i due alimenti più sostanziosi:
di modo che la festa di questo dio è quella
del pane e della carne.
Mentre io mi accostava all’ altare, se ne al
lontanava lentamente un ammalato sostenuto
da un parente e da un amico. Colui era un
(I) Si trova questa leggenda antica sopra una me
daglia dell’ imperatore Giuliano: Dea Sancto Nilo.
143
tisico molto avanzato, e mi sembrava prossi
mo alla distruzione; negl'infossati occhi suoi
brillava nondimeno un raggio di speranza,
avendogli ordinato Serapide, per l’organo del
pontefice, di mangiare della carne (1’ asino.
Io esaminai la statua del gran dio, rap
presentato in piedi, con in testa un paniere
o moggio. Questa caratteristica delle grandi
divinità egiziane è specialmente consacrata a
Serapide, in qualità di supremo autore di tut
ti i beni, ch’egli dispensa ai mortali con mi
sura, secondoi loro bisogni odi loro meriti.
Passa egli inoltre per l’inventore dell’agricol
tura.
Egli è vestito, alla foggia egiziana, d’una
tonaca lunga, tessuta e piegata senz’ arte, con
maniche larghe e corte, come per inspirare
il gusto delle cose semplici e comode. Il co
lore del suo vestito e quello d’una cenere
turchiniccia, ed ha sul petto due linee, che
si intersecano.
>
Invece di fulmine o di scettro, porta egli
in mano una lunga lancia con la punta di
ferro ottusa, per insegnare, che gli dei, e
soprattutto questo, sono inclinati alla clemen
za, essendo la bontà 1’ abituale loro carattere.
144
Una cronaca del luogo dice ch’egli eser
cita questo carattere d'indulgenza principal
mente perle debolezze umane; soffre che gli
amanti reclamino la sua assistenza, sia per
guarire qualche nascosto difetto del corpo,
sia per conservar loro le forze necessarie al
la pr0pagazione.
Prima d’uscire dal tempio, mi si fece ferma
re un momento innanzi ad una statua rappre
sentante il Nilo , tutta di basalto, pietra d’E
tiopia, che deve il suo nome alla rassomiglianza
che ha col ferro, quanto alla tinta ed alla
durezza: tutto ciò viene espresso dalla parola
egiziana basalto.
I costumi di Canopo non giustificano il
culto del tempio. Quasi tutta la città è com
posta di osterie abbondantemente provviste,
e proprie a ricevere l’affluenza del popolo,
che non manca’di accorrere dai tre Egitti
per celebrare le solennità falliche (i) di Se
rapide. In certi giorni, tutti icanali del Ni
lo sono coperti di fervidi adoratori. Cammin
facendo, i devoti si preparano alla festa col
canto. Arrivati a Canopo, la gioja degenera
(I) Cioè del phallus. Vedi Lezioni: Pilisci.
145
in licenziosità , e la superstizione e la dissolu
tezza non hanno più freno. Gli ammalati vi
ritornano talvolta guariti, ma i sani escono
quasi sempre da Campo ammalati.
Mi era impossibile dissimulare l’impressio
ne da me sentita, alla vista di tanti eccessi;‘
ed il neócoro del tempio, che se. ne accorse,
cercò di distrarmi, conducendomi in un luo
go secreto, e proprio alle meditazioni, che do
veva inspirare l’oggetto ofl'ertosi agli occhi miei.
Vidi una lunga tavola di bronzo, sulla quale
lo stesso Serapide scrisse col suo dito varie
linee geroglifiche, delle quali mi fu spiegato
il senso: i) 10 sono, dice questo dio, l’ani
» ma del mondo (1), ed ho stabilito la mia
\.vu\-v\vy
sede abituale e principale nel sole. La mia
. ,v-.«. .‘J-« testa è nei cieli; le profondità dell’oceano
sono le mie viscere; i miei piedi s’inter
nano negli abissi della terra, e gli occhi
miei sono gli astri. Mortali, riconoscete in
me la vostra grande ed unica divinità. u Io abbandonai finalmente Campo, per re
carmi a Menfi, dopo avere osservato, che
nel basso Egitto, durante l’equinozio, all’ora
(i) Macrob. Salurnal. no 1.
Torna IL
10
146
meridiana, un gnomone di sette parti ne da
va quattro d’ombra. A Canopo, il giorno
più lungo è di quattordici ore.
Tutta la costa è coperta di telline e di
parecchie. altre specie di conchiglie, le quali
danno un alimento leggero ma assai nutritivo.
11.1
CAPITOLO
XLIII.
Viaggio a Naucrazia.
Seguitando le rive del Nilo, passai vicino
a Schedia , ove si leva un’ imposta sulle merci,
che circolano nei tre Egitti, alto, basso, e
medio; e perciò la città, che s’incontra su
quella strada, prima (1’ arrivare a Naucrazx’a,
è la città di Mercurio, dio del traflico, una
delle più ricche, se non delle più grandi, ha
gnate dal Nilo. Questo fiume ne è il padre
nutritore, ed è anche il padre dei fanciulli
abbandonati. lo vidi parecchie di queste pic
cole creature esposte al capriccio delle onde
in corbelli di giunco, intonacati di pece e
d’argilla.
Mi fermai per alcuni giorni nel capo-luogo
dello stabilimento dei Milesii , che ha pur esso
il nome di Saide. Fu uno spettacolo per me
nuovo quel mescuglio di uomini e di donne
di colori e di umori diversi. L’abitante del
Nilo si adatta ,senza gran ripugnanza, alla so
cietà del Jonio e dell’Arabo, e non giustifica
a dire il vero l’epiteto di nazione amara,
dategli dall’armonioso pittore d’Achille e di
11.8
Ulisse. Riconobbi tuttavia per giusti i timori
del sacerdote di Canopo. L’Egiziano era de
stinato dalla natura a formare una popolazio
ne a parte, come mostrava d’indicarglielo il
bel fiume, che lo alimenta. Naucrazia è an
cora piena di rimembranze della bella e trop
po famosa Rodope.
I Naucraziani mi fecero sedere alle loro
mense comuni, abbondantemente servite nel
pritanèo dai convitati medesimi; ciascuno di
essi vi porta la sua porzione di alimenti, ma
in sufficiente misura per offrire ai viaggiatori
un pasto ospitale.
'
Per venire ammessi a quel banchetto, bi
sogna essere vestiti d’una tonaca bianca. Il
mio abito' dispensò gli ospiti miei di offrir
mene uno, secondo il loro uso. Mi fu propo
sto un sacrificio a Vesta, ed al dio Apollo.
Le donne non sono ricevute a queste mense,
eccettuata una suonatrice di liuto alla fine del
banchetto. Questi costumi greci mi presenta
vano un perfetto contrasto con quelli di tutto
il resto dell’ Egitto. A Naucrazla c’è l’uso (l’in
ginocchiarsi avanti e dopo il pasto, per invo
care e ringraziare gli dei. Non ispinsi più 01
tre le mie Osservazioni, per la premura di
Veder Menfi.
149
Nel giomo innanzi alla mia partenza, un
giovine, che aveva anch’egli intenzione di ri
montare il Nilo fin là, meco associossi. Era
egli nato nella capitale stessa, ov’io mi re
cava, da un padre arabo, nominato Gafifo,
ch’ era stato incaricato altre volte di levare
un’imposizione sulle mandre, che 1’ Arabia
somministra all’Egitto (i); il suo _cervello
era molto esaltato, ciò che caratterizza il suo
paese originario. Lungo tutta la strada, che
facemmo a piedi e con comodo, egli mi par
lò_ dell’Egitto con un entusiasmo, che arri
vava talvolta al delirio. Mi diss’egli: n Po
chi oggetti degni d’un’attenzione particolare
si offriranno agli occhi nostri durante il pic
colo nostro viaggio. Permettimi quindi, che
ti legga un libro da me scritto per mandarlo
a' miei parenti in Arabia. Giudicheranno essi
da questo e. del progresso de’miei studi nel
collegio dei sacerdoti di Menfi, e delle ma
raviglie della patria adottiva di mio 'padre. I
popoli dell’Arabia hanno la più alta idea del
l’Egitto, lo chiamano la terra per eccellenza,
quella che nutre la maggior quantità di no
mini: e di fatti, il gran fiume ne abbcwm
(‘) Impiego distinto sotto il nome d’Ambarche.
150
più di venti milioni. Una tradizione si con‘
serva fra i miei antenati, che non dà meno
di cinquantamil’anni di esistenza politica alle
nazioni figlie del Nilo. Per diecimil’ anni, la
residenza dei primi suoi re fu Siene: ivi at
tesero che il mare si ritirasse lentamente coi
secoli, ed abbandonasse loro le terre feconde ,
fino al sito, ove in oggi si trova Menfi. Ma
facciamo ritorno a’ miei fogli, scritti sotto la
dettatura dei sacerdoti. Onorevole viaggiatore ,
ascoltane il contenuto; potrà esso aver forse
qualche interesse per te, che porti i primi
tuoi passi su questa sacra terra. « -
Io gli promisi tutta la mia attenzione; ma
non avrei potuto prendermi siffatto impegno,
se avessi viaggiato per acqua, poiché il Nilo
non è sempre tranquillo. Si vedono frequen
temente le sue onde alzarsi ed urtarsi a vi
cenda, in modo di tenere inquieto lo stranie
ro, che fa viaggio, e di stancare le forze dei
caronti (1’ Egitto: questo è il nome che si dà
ai battellieri, nel linguaggio del paese.
Carme. Ecco in qual modo io do princi
pio al mio scritto, nello stile della paterna
mia lingua:
151
CAPITOLO XLIV.
I prodigi dell’Egitto (1).
» Lodi senza fine all’ Egitto! Terra fe
conda in prodigi! Qual mortale può sperarsi
di vivere abbastanza per descriverli tutti? «
n I primi sapienti comparvero in Egitto,
per qui scolpire la scienza sulle pietre più
dure. Ad essi dovute sono le piramidi soli
damente edificate. Diviso era 1’ Egitto, a quel
tempo, in altrettante sezioni, quante ore vi
vogliono per comporre tre giorni. Ciascuna
di queste sezioni aveva per moderatore un
mago, e questo mago aveva servito gli astri
per sette anni. Camminava egli di pari passo
col monarca dell’ Egitto intiero; ed in un cer
to giorno , il monarca stesso conduceva all’ab
beveratojo le mandre del mago. « il Figlio di Gafifo, diss’io al mio compa
gno di viaggio, che vuoi tu dire? . . .
Guuro. È questa un’ espressione orientale,
(1) Questo capitolo è in parte estratto da un ma
noscritto arabo dell‘ antica biblioteca Mazarina.
152
per significare, che il re s’ incaricava del
mantenimento dei maghi, ed aveva cura egli
stesso, che nulla mancasse a quei dotti POI]
tefici. Proseguo:
n Quando il re vedeva uno di essi venire
alla sua volta, si alzava per andargli incontro,
e se lo faceva sedere alla destra.
PITAGORA. Quella era l’età d’oro per i pon
teficil
Gnu-o. La tua riflessione è giusta; perché
in quel tempo i pontefici-maghi sapevano fa
re dell’oro. Dopo Sesostri, essi hanno molto
perduto, non della loro scienza e santità,
ma degli onori, che venivano lor t_ributati.
Ciascuno di essi aveva il suo astro da osser
vare, e se gliene dava il nome. o
» Il capo dei maghi s’ informava da cia
scuno di loro dell’aspetto del suo pianeta, ed
il sacerdote rispondeva: n Esso è alla tale
altezza. u - Quando il mago supremo era
instruito dello stato del cielo, andava a tro
varo il re, e gli diceva: » Primogenito degli
Egiziani! Sta scritto in cielo, che tu devi
dar oggi i tali o tali ordini sulla terra; met
titi la tal veste; il tuo abito di guerra, o
quello di caccia, o il tuo manto reale per con
vocare l’assemblea del popolo. a -
153
» Senza replica né indugio, il re mandava
pe’ suoi ministri; e all’uno diceva: n Tu l'a
rai scolpire il tal decreto sulla pietra; « al
l’altro: il Tu leverai il piano geometrico del
tal monumento. u -Essi partivano per esegui
re puntualmente ciò che il re aveva comanda
to, dietro l’avviso del capo dei maghi. «
Prmcom. Il re non era dunque che un
primo ministro?
Gana-o. Senza dubbio. La saggezza deve
comandare al potere, e la scienza alla forza. a
» All'occasione di qualche grande avveni
mento, il re invitava i pontefici della scienza a
riunirsi fuori delle mura di Tebe. Il popolo
stava aspettando nelle strade più grandi del
la città; dopo
consiglio, ciascun de’maghi
faceva il suo ingresso, secondo il rango del
l’astro respettivo; gli strumenti di guerra
annunziavano la loro presenza. Arrivati alla
publica piazza, ciascuno di essi operava qual
che prodigio. L’ uno mostrava sul suo volto
il pallore della luna, ed inspirava- una dolce
malinconia: l’altro venia vestito d’un lungo
drappo, carico di pietre preziose di tutti i
gradi de’colori, verde, rosso, giallo: un ter
zo era montato sul segno del leone, ed ave
va per cintura un colubro: un quarto appa
154
riva qual centro d’ un turbine di fuoco, e
nessuno osava accostarsegli: un altro ancora
era accompagnato da un’ aquila nera, che bat
teva a lui d’intorno le ali, come per custo
dirlo: un altro finalmente si faceva precedere
da mostri spaventosi. Il capo dei maghi, rap
presentante il sole, veniva tirato da quattro
cavalli di forza ineguale, per figurar le sta
g10m. « -
n Rassiwratevi, diceva egli al re ed al
popolo. Quello che voi vedete non è che il
lusioni, fantasmi, imagini vane. Sappiate che
nulla di reale v’è nel mondo, fuorché la vir
tù. « 5
» A quel tempo, la sacerdotessa Solfila,
seduta sopra un trono di fuoco, rendeva la
giustizia al popolo. Da quel trono uscivano
delle fiamme per divorare chi portava una
falsa testimonianza. Quella principessa consa
crata si ritirò in un castello da lei fabbricato
in riva al mare: nelle mura stavano praticati
certi piccoli tubi di bronzo, alla cui imboc
catura esteriore si appoggiavan le labbra, per
domandare o consiglio e giustizia; un momen
to dopo, vi si applicava l’orecchio, per ri
ceverne la risposta. Per non pochi anni,
l’Egitto non ebbe altri tribunali che questo.
155
PITAGORA. Per esso dunque era quello cer
tamente il secolo di Astreal
Garxro. Il castello di Solfila era dominato
dalla montagna del toro, così detta per la
seguente ragione. Sulla sua cima, col mezzo
(1’ un perno, girava una ruota, sull’orlo del
la quale si vedevano, in opposizione, un gal
lo di bronzo, ed un toro di selce nera. Il
gallo, sempre rivolto al mare, batteva le ali
e cantava, tosto che vedeva una barca nemi
ca; a questo grido d’ avvertimento, la ruota
girava, ed il toro, che subentrava al gallo,
opponeva la minacciosa sua fronte alla disce
sa dei pirati, o di qualche ambizioso che me
ditasse invasione. «
n Solfila aveva, in mezzo al suo castello,
una sala circolare di pietra magnetica, intor
no alla quale schierati stavano in piedi i si
mulacri di tutti i principi limitrofi dell’Egit
to. Si disponeva taluno dei re in quelle statue
raffigurati ad un colpo di mano contro il bel
paese del Nilo? Se ne vedeva la figura agi
tarsi da sé medesima, e fare colle sue brac
cia dei gesti minacciosi: la sacerdotessa, che
ciò osservava, armavasi d’un pugnale di tempra
particolare, e ne colpiva il simulacro minac
ciante. Ùgni colpo portava danno al principe
156
stesso, già incamminato; il suo esercito era
mezzo distrutto, prima di arrivare ai confini
di questa sacra terra. Tutti i potenti della
terra ammutolivano in faccia all’Egitto, e si
guardavano di turbarne il riposo. «
» Il figlio di Solfila fu, come sua madre,
sacerdote e re nel tempo stesso. Alla porta
del suo palazzo, stava un albero di ferro, i
rami del quale erano altrettanti uncini di ra
me, che ghermivano quel cortigiana il quale
fosse stato colpevole di avere occultata al prin
cipe la verità. Preso in passando, il cortigia
no restava sospeso come il frutto all'albero,
finché smentiva ad alta voce, quanto aveva det
to all’orecchio del re ingannato. Questa mac
china ingegnosa , ed utile alla corte d’un gran
monarca, era nominata l' albero di tutte le
stagioni. u
» Si parla ancora del mago Sajuf, che aveva
fissato la sua residenza nell’interno della pi
ramide marittima, conosciuta sotto il nome
di Tempio degli astri, perché conteneva una
figura del sole, ed una della luna, che si
tenevan dialogo a certe epoche del mese e
dell’ anno. Vi si vedevano anche deposti i
libri della scienza, e due statue, l’una delle
quali, composta d’una pietra preziosa verde,
157
rideva sempre come la primavera; l’altra al
1’ opposto, tratta da un bel cristallo, versava
continue lagrime, che si cangiavano tosto in
diamanti bianchi. «
» Tutte le nazioni riunite nulla possono
costruire di paragonabile alle piramidi dell’E
gitto, felice in tutte le sue invenzioni. Le sue
piramidi sono altrettanti gradini verso il sole,
la luna e gli altri astri. Le principali com
prendono nel loro seno sette domicilii, per
adorare in essi i pianeti rappresentati da ima
gini d’oro. u
» Nell’interno di questi monumenti , si può
vedere e leggere il gran libro dei secreti del
la natura, ch’ essa tiene aperto, sulla sua fron
te appoggxato. «
» In una di. queste piramidi, sono deposte
anche le ceneri del tre volte grande Ermete,
e le reliquie del divino Osiride. «
n Queste piramidi avevano, ed alcune han
no ancora, delle porte, una per ogni facciata,
esposta ad uno dei quattro punti del mondo. ti
» Una sola di queste piramidi ha costato
altrettanti anni di lavoro, quanti giorni con
suma la luna Iside per compiere la sua rivo
luzione; e vi furono occupate le braccia di
altrettante migliaja di uomini, quanti giorni
158
impiega il sole Osiride per fare il giro del
brillante zodiaco. u
» Cosa potrei dire dei geroglifici, che co
prono le piramidi? Ah! null’altro, se non che
contengono essi 1’ arte per eccellenza di trasfor
mare in ore i metalli più vili (1). Ma il tre
volte grande Ermete ne ha posseduto finora
egli solo la chiave. «
_
» La costruzione di queste piramidi è tale ,
la loro altezza è combinata in modo coll’ esten
sione della base, che per sei mesi dell’anno
la luce del sole caccia l’ombra, e l’obbliga
a passare sotto i fondamenti, nell’ impero
delle tenebre. L’ adoratore del grand’ astro non
perde un solo momento di vista l’oggetto
della sua contemplazione religiosa; egli è alla
presenza del suo dio, per tutto quel tempo,
che il meccanismo dell’universo può permet
terle agli abitanti industriosi del fortunato E
gitto. L’Egitto è quel luogo, dove concepiti
furono i primi dei; e non è che l’Egitto,
ov’ essi amano di soggiornare. «
n In qualunque altra parte, essi non han
no che dei cortigiani interessati: sulle sponde
sole del Nilo, trovano dei veri adoratori. n Fi
(1) V. Mutua liber, Bupell.e, 1677, in fol,
1-59
glie mio, diceva ad Osiride suo padre, con
fida nella provvidenza degli dei, ma non tras
curare per questo la saggezza degli uomini. «
» Osiride approfittò degli avvertimenti pa
terni, e fu per l’Egitto il genio del bene,
lungamente perseguitato da quello del male.
Una povera donna si presentò un giorno per
chiedere 'l’ elemosina alla porta di Tifone,
allora onnipotente; il genio cattivo. alzò la sua
mazza per accoppare l’importuna supplicante,
ma un braccio più forte ne arrestò il colpo.
Osiride riprese il suo potere fondato sulla
giustizia; e questa è l’ epoca dell’età d’oro
dell’ Egitto, dovuta a’ suoi sapienti del pari
che a’ suoi dei. «
» Giftarim, figlio di Bansar, fu il primo
in Egitto a dedicarsi al culto degli astri. Egli
collocò sugli altari la figura dei pianeti, fu
re, promulgò importanti leggi, e-fabbricò del
le alte piramidi. Questo pontefice-monarca
non si mostrava al popolo che una volta al
l’ anno, quando il sole entrava nel segno del
1' ariete; si compiaceva però di parlare a’ suoi
sudditi, senza essere da loro veduto, ed i suoi
comandamenti avevano cosi una forza mag
giore. «
‘
» Per ciò poi che risguarda l’antico Er
160
mete , egli costrusse la casa delle statue, che
servono a misurare il Nilo, alzò un tempio
al sole, stabili delle scuole e dei luoghi d’es
ercizio, fondò sul declivio della montagna di
Osiride una città con un fanale, in forma di
torre, guardato da un’aquila nera, da un
toro bianco, da un leone colore di fuoco, e
da un cane rosso. Queste figure di‘ animali
avevano il dono della parola. Tosto che vi
entrava un viaggiatore, uno degli aniniali
guardiani delle porte si faceva sentire, dicen
do: » Abitanti della città d’ Ermete , uno stra
niero è nelle vostre mura; arrestatelo, ed in
formatevi, chi è, e che cosa vuole. u _
» Il tre volte saggio fu il primo (1) che
scopri la scienza delle stelle, fondò cento ed
otto città, dando loro leggi analoghe al clima
di ciascuna di esse; istituì puranche delle
feste e dei sacrifizi al sole, alla terra, ed ai
pianeti. u_
(1) V. La foresta dei filosofi, ful. IV. verso, e V.
moto; in 8.° Parigi, 1532.
161
CAPITOLO XLV.
Continuazione delle maraw'glie
dell’ Egitto.
1) Sulla montagna della sua prediletta
città, Ermete piantò un albero tanto grande,
che colla vasta sua ombra poteva coprire la
i
città intiera. Questo solo vegetabile produceva
i frutti di tutti gli altri veget'abili. u » Tale produzione, diss’ io al mio giovine
compagno di viaggio, non esiste più oggigior
no, senza dubbio, che nei libri geroglifici dei
tuoi maestri. Non si potrebbe dire all’incirca
lo stesso di tutto ciò ch’ essi ti insegnarono
sull’antico Egitto, e che tu a ragione conser
vasti fedelmente ? Queste particolarità maravi
gliose dipingono lo spirito ed i Costumi del
tempo; anzi possono servire, nel bisogno,
di prova alla storia di questa bella ed antica
contrada. L’albero che produce, solo, tutte
le specie di frutti, è probabilmente il tipo
d’ un popolo felice, che trova tutto presso di
sè, e non dipende da nessuno pe’ suoi biso
gni. Prosegui. «
Il
Tomo H.
162
Il mio giovine arabo-menfiano riprese la
sua lettura, facendomi osmrvare, che, data
pur la mia ipotesi, le lezioni per lui rice
vute dai sacerdoti giustificano il pregio, in
che egli le tiene.
» Tu metterai nel numero dei geroglifici
anche ciò che _mi resta a dirti su quel fa
nale , eretto in mezzo alla città, dell’ altezza di
ottanta cubiti. Questa lampada spargeva, tutte
le notti, una gran fiamma, ora d’uno ora
d’un altro colore, fino al settimo; poi ri
tornava a percorrere le sette sue gradua
zioni.
PITAGORA. Si potrebbe spiegare questo fin
to fenomeno, dicendo che Ermete aveva os
servato ne’ suoi viaggi i colori dell’arco ba
leno, e ne offriva la successione agli sguardi
attoniti del popolo egiziano.
GAFIFO. Mi negherai tu dunque del pari
l’origine delle piramidi, quale mi venne inse
gnata nelle sacre scuole di Menfi. Tre secoli
innanzi alla grande inondazione, il re Sauride
segnò, una notte, che la terra si capovolgeva
sotto i piedi del popolo; gli uomini cadevano
sulla propria faccia; e gli astri, staccati dalla
volta del firmamento , si confondevan cogli uo
mini , le stelle, sotto la forma di uccelli bianchi,
163
precipitavansi nelle caverne, ed ivi ecclissa’
vano.
«
V
» Sauride , spaventato , balza dal regio
letto, corre-al tempio del sole, ne bagna l’ara
colle sue lagrime. Si manda pei pontefici-ma
ghi di tutte le sezioni dell’Egitto, a fine che
sentano il racconto di questo sogno. Quando
furono tutti raccolti, il loro capo, che risie’
deva nella corte stessa del re, prese la pa
rola: n Primogenito del Nilo! Anch’io sognai
d’essere alla tua destra, sulla vetta della mon
tagna del fuoco. Noi ci accorgemmo, che il
cielo, molto più basso del solito, mostrava
di scendere fino sulle nostre teste, e coprivaci
come un grande scudo rovesciato; gli astri,
in esso compresi, si confondevano sotto i 10
ro diversi segni coi pallidi mortali; il po’
polo ci sollecitava entrambi a deliberare cosa
risolvere si dovesse in circostanza si stra
na. Noi alzavamo le mani sopra le nostre te
ste, come per sostenere il cielo, ed impe
dirlo di fracassare il popolo. Il cielo allora
squarciossi, e ne uscì il sole, per direi: il Fi
gli degli uomini, il firmamento ritornerà nel.
la naturale sua posizione, quand’io avrò com
pito tre volte cento rivoluzioni. « '» Sèntito questo oracolo, manifestato da
16/+
’
due sogni quasi conformi, i dotti pontefici
presero l’altezza degli astri, per esaminare
quali fenomeni annunziassero; e dichiararono,
essere imminente un’ inondazione generale,
od una combustione universale. ‘«
» Saufide ordinò allora subitamente la co
struzione delle piramidi, per conservarvi nel
’ l’interno il fisco reale, e s0pra deporvi i
tesori di saggezza raccolti fino a quel giorno
dai sacerdoti della scienza. 1:
» Sauride continuò a regnare con molta
prudenza, seguendo i loro buoni consigli. As
segnò degli asili agli ammalati Tra gli ope
rai, che si occupavano nel lavoro delle pira
midi; e fu anche il primo dei monarchi, che
tenne un registro dell’introito e dell’esito,
rendendo conto ogni anno delle somme ver
sate nella cassa publica: queste rose di conto
venivano poi scolpite in pietre, per istruzione
della posterità, la quale non ne profitta gran
cosa. u
n Al tempo suo, le donne di Menfi e di
Tebe cominciavano a trascurare le sacre loro
funzioni di madri. Sauride collocò in mezzo
della città una figura di pietra verde, rap
presentante una giovine sposa, che seduta
allatta due bambini. I pontefici consacrarono
,
165
questa statua, alta parecchi cubiti, e le at
tn'buirono delle virtù maravigliose. Le donne
incinte, e quelle vicine a sgravarsi , ne venivano
a palpare le mammelle, promettendolc di
nutrire elleno stesse i loro neonati, onde ot
tenere un parto felice. Quelle che non man
tenevano la loro parola, e che, diventate ap
pena madri, abbandonavano i loro. figli ad
un seno straniero, n’erano punite con gravi
incomodi, dei quali si risentivano per tutto il
resto della lor vita: castigo dato loro da Isi
de, la divinità delle buone nutrici. u
n Invano le cattive madri facevano sparge
re , sulla; statua verde, dell’acqua, e poi la be
vevano, nella speranza di allontanare i danni
del latte, ricusato da loro ai propri neonati:
esse non. guarivano punto. Questo monumen
to, come pure le tavole di pietra dell’- esito
ed introito, vennero distrutte dalla inonda
zione predetta. A quel tempo, trovata fu l’ar
te in Egitto. d’ammollire l’avorio, e di tras
formare in ismeraldi le selci più grossolane.
PITAGORA» Questo secreto non vale certa
mente quello di ragguagliare la. spesa colla
rendita, trovato dal buon re Sauride..
Gsmro. Egli è l’autore di molte altre ope
re commendevoli per la grande'loro utilità
166
Si legge in un antico libro, trovato in fondo
d’un sepolcro sul petto d’un cadavere, che
Sauride, il quale pensava all’avvenire, oltre
ai geroglifici delle piramidi, fece anche scol»
pire sulle muraglie, sugli obelischi, sulle co
lonne, e fino sui tetti dei grandi edifizi, tut«
to ciò che gli Egiziani del suo tempo cono
scevano della scienza naturale. Egli fu, che
ordinò di rappresentare con esattezza e dili
gen2a la figura degli astri sotto i loro segni
rispettivi. A lui si deve il compendio del
le leggi politiche, non meno che gli elementi
della geometria e della medicina, dell’agricol
tura e delle altre arti alimentatrici. Costrusse
egli due palazzi astronomici , uno d’oro per lo
sole, e un altro d’argento per la luna, e vi
costituì portinai due grandissimi cani, gero
glifici viventi dei due tropici, incaricati d’im
pedire, che il sole e la luna escano, e vadano
fino al polo (i). «
» Nel tempo che faceva tutte queste cose,
e ne meditava
interrogava i
capiterà questa
nacciati? « _
di nuove, il buon re Sauride
sacerdoti: n Quando dunque
inondazione, di cui siam mi
Gli fu risposto: 1: Quando il
(i) Clemente Alessand. Sir-0m.
>
167
cuore del Leone si troverà al primo minuto del
la testa del Cancro; quando il sole e la lu
na saranno nell’ Ariete, Saturno e Giove nei
Pe;ci, Marte nella Libra, e Venere nel Leo
nea cinque gradi. « ). Sauride domandò, se vi era ancora qual
che grande accidente da prevedere. I sacerdoti
riguardaròno, e videro, che quando il cuore
del Leone avrebbe fatto due terzi del suo
corso, non resterebbe vivo sulla terra verun
animale; e che quando egli avrebbe terminato
il suo giro, i nodi della sfera sarebbero rotti. «
1) Il re comandò sull’ istante di prendere
le pietre nere, e di metterle per fondamento
delle piramidi. Queste vennero trasportate dal
Nilo con macchine. Ogni pietra era impron
tata di caratteri scolpiti dai sacerdoti, i quali
caratteri davano ad essa la virtù di rimuoversi
da sè per lo spazio d’un tiro di freccia da
un luogo all’altro. Nel centro di ciascuna di
queste grandi masse fondamentali, fu intro
dotto un perno di ferro, il quale forava ezian
dio da parte a parte .il secondo strato di pie
tra appoggiato
al primo;
quindiAlla
si colò
al
l’intorno
una materia
liquefatta.
profon-I
dità di quaranta cubiti, si praticarono delle
porte, che mettevano sotto a lunghe volte:
168
(giacché quanto si vede delle piramidi fuori
di terra, non è che una terza parte di qxe
gli edifizi ). Il re depose in quei sepolcri
trenta canopi con i loro coperchi. Ciascuno
di questi vasi poteva contenere il carico d’una
bestia da soma: ed in essi fu rinchiuso quan
to si aveva di più prezioso, come delle perle
fuse e colorate; del ferro pieghevole quanto
il panno più fine; dei sottili veleni, 621 altri
beveraggi mortali, con iloro antidoti ckppres
so; delle tavole di rame, ove sono scritte
delle regole medicinali per dar la salute, e
delle leggi di saggezza conservatrici della pa
ce; altre tavole di pietra, contenenti gli an
nali del passato, e delle {massime politiche
per l’ avvenire, in forma di divinazioni; altre
astronomiche, dichiaranti lo stato del cielo,
col calcolo della quiete e del moto delle stel.
le, a certe epoche, lontanissime le une dalle
altre. «
» In una di quelle piramidi, si deposero
le spoglie mortali dei sacerdoti e dei re.
Ognuno di tali corpi occupava una gran pie
tra nera e dura, incavata a norma della ta
glia: ed ogni sacerdote teneva a lato il suo
volume di papiro e le sue tavolette. Bisogna
sapere, a tal proposito, che vi erano sette or
169
dini di pontefici; l’ordine più distinto conte-f
neva quelli, che avevano servito per sette an«
ni ciascuno dei sette primi. astri.. Per ottenere
questo supremo grado , bisognava possedere
l’universalità delle cognizioni.“ Essi ordinavano
ogni anno. al popolo una grande. solennità,
detta la festa dei sette altari; mentre, per far
avanzare la scienza degli astri, essi l’avevano
ridotta aculto.y Con una fiaccola in 'mano, si
faceva sette volte il giro di quegli. altari , per»
imitare la rivoluzione degli astri, di cui si.
incensavano i segni. «
n Oltre a tutti questi oggetti, si colloca
rono in piedi, lungo le pareti interne delle
piramidi, delle statue rappresentanti. gl’ in
ventori delle cose utili-,, secondo l’ordine dei
tempi. Ogni statua tiène in mano lo stru
mento scoperto, e la. descrizione del. metodo
necessario per. servirsene. «
n Ogni piramide aveva il suo guardiano ,.
il quale possedeva la virtù di far perdere lo
spirito. ed il coraggio, e perfino la vita, ai
curiosi indiscreti,_, che vi si approssimavano
troppo. «'
-
_
n Dovrò io, Parlare del primo labirinto,
costruito nell’ isola santa, detta- Mocride? Il
re Titoe ne fu l’ordinatore, quattordici mila
170
anni fa. Quest’era un vasto recinto di mar
mo, contenente dodici palazzi, e trecento ses
santa altri edilizi più piccoli. a
» Dovrò io parlare della Città-Santa (i),
fabbricata da una mano divina, di quella la
mosa Tebe dai sette portici celesti, di quelle
quattro sue grandi strade, corrispondenti ai
quattro punti dell’ universo? 'Le sue mura
circolari la rendono compiutamente, simile alla
sfera del mondo: Tebe ed il mondo si co
struirono sullo stesso disegno. «
» Tutte queste particolarità e molte altre
si leggono anche nel libro' di Armeli, detto
degli Illustri. u
» Ermete o Mercurio, di cui ho
par
lato, si chiamava anche Edrisio, che significa
copiosa scrittore di volumi. Fu egli di fatto
quello che insegnò a scrivere agli Egizia
ni, e predisse una grande inondazione, la
quale capitò molto opportuna, per mettere
d’accordo i figli degli uomini, che conten
devano già fra di loro per le opinioni. Pe
risca la memoria di colui, che suscitò il pri
mo una guerra sacra! Perché combattere
intorno agli dei? Nonpsono essi forse ab
(I) Nounus, Dìonys. V
.
171
bastanza forti per difendersi da sé mede«
simi? «
» Coloro che contemplano gli astri, di«
cono non essere stata la grande inondazione
affatto generale per l’Egitto: parecchie fami
glie sopravvissero al disastro universale. Allo
ra si videro i sacerdoti sovrapporre le mani
sulla testa.dei loro figli, pronunziando que
ste parole in forma di voto: » Autore della
natura! Benedici la nostra posterità; allonta
na da essa il dolore, e la debolezza peggior
del dolore; dona ai discendenti nestri la for
za ed il coraggio, che ben più valgono, e la
prudenza, che all’una ed all’altro va innanzi!
Fa ch’ essi non vengano mai spogliati della
terra d’Egitto, di cui tanto son dolci le acque,
i pascoli tanto verdi! Sia l’Egitto il padre
delle nazioni, come il Nilo è il padre dei
fiumi! Fa di più, che i suoi annali offrano
esempi più belli, che le storie di tutte le al
tre nazioni insieme! Rinomato sia l’Egitto
per la sua saggezza! e sulla bara di ciascuno
de’suoi figli si possa scrivere: n Egli visse
senza conoscere il fanatismo e la schiavitù, la
malattia e la decrepitezza. « Felice chi pas
sa i giorni suoi nell’Egitto! quelli che lo
lasciano, se ne pentono, e piangono per ri
rqz
tornarvi. Chi vi si reca con cattive intenzioni,
parte, prima d'aver potuto consumare i. suoi
disegni; chi medita la rovina. dell’Egitto, vi
ritrova la propria; chi vi soggiorna, è sicuro ;
ehi lo abbandona, se ne pente- «= -
» Fu detto un giorno ad un eccellente
personaggio: » Che pensi tu dell’ Egitto? e: -
» Terra tre volte felice, esclamò egli, ove gli
orgogliosi sono umiliati, ove gli infisl‘ici trovano
conforto alle foro lagrimel' Fertile paese, ove
il granello. del frumento 6 grosso , quanto un
uovo di gallina l‘ Giardino. di delizie, ove, da
Siene fino al mare, un viaggiatore può cam
minare Sulle due rive del. Nilo, all’ombra,
colla testa scoperta, senza essere incomodato
dagli ardenti raggi del sole! Regione fortunata,
che produce fiori in' tutte- le stagioni, e do
ve in ogni stagione si ponno intrecciare ghir
lande! Paese avventuroso, ove ogni mese
dell’ anno conviene egualmente alle piantagioni!
Terra beata, ove gli animali feroci. sono di
statura più piccola, in minor numero, e di.
coraggio minore ,, che in. tutte le altre con
trade (I) 1‘ « -
» L’Egitto. è la. sola terra, del globo, che
(l). Erodoto,, IL.
173
riposa sopra sé stessa, come un cubo, né va
soggetta a terremoti. «
n Vari dotti topografi hanno voluto, coni
loro grafometri , contare il numero de’suoi
canali, delle sue città libere, e dei suoi popo
losi comuni; ma non trovarono tempo che
lor bastasse per far questo calcolo. L’Egitto
ha trecento sessanta grandi poderi, quanti ha
giorni l’anno; {ed un solo di questi poderi
basterebbe al mantenimento di tutti gli abitanti
dell’Egitto, che sono in numero di altrettanti
milioni, quanti giorni impiega la luna a per
correre le sue fasi. «
» Resta ancora qualche cosa da vedere in
Egitto, a colui elle non sia stato a rendere
il suo omaggio al colosso geroglifico del grande
'Osiride (I), composto di tutte le specie di
metalli, di legni e di pietre. Il tempio, ove
si trova quella statua, èappena vasto abba
stanza per contenerla, poièlxè la testa tocca
la volta, e le sue braccia distese mostrano di
respingere le pareti per farsi largo. «
» Un vecchio d’Etiopia, cieco, chiamò un
giorno il più giovine dei suoi figli, e gli
(1) Alf. Costadau, Trattato dei segni. Tam. Il.
174
disse: » Figlio, guidami in Egitto. « - Giunto
al piede della grande piramide, il vecchio
disse ancora: » Figlio, vorrei ascendere alla
più alta piramide. u -- » Ma, padre, tu non
vedrai mica di più. u-n Lo so, ma toccherò
colla mano i dotti caratteri scolpiti sopra cia
scuna faccia di quella piramide , e morirò più
contento, quando potrò dire d’aver toccato
colle mie mani il più durevole di tutti i
monumenti alzati dagli uomini, ed il più
sublime altare elevato alla gloria degli astri.
Sappi, figlio, chepse, in ogni altro paese, il
cieco od il vecchio è un morto fra i vivi,
in Egitto egli gode ancora d’una felice ed
onorata esistenza. « - Una legge ordina di al
zarsi quando egli passa, di dargli braccio di
giorno, e ricovero sul far della notte. Onore
all’Egitto ospitale, ed amico della inferma
vecchiaja! u Il mio giovine compagno di viaggio termi
nò qui la lettura del suo volume di papiro,
ed aggiunse: n Io non ne scrissi di vantag
gio; ma i sacerdoti delle sacre scuole di Men
li ce ne dettarono tre volte ancora di più.
La parola non manca già mai, quando si ha
175
per argomento le maraviglie dell’Egitto: tut
to ciò che intendesti finora, non è che un
piccolo saggio di ciò che ti verrà ripetuto ai
piedi delle piramidi. Se un popolo, che nul
la ha di bello da mostrare agli stranieri, re
sta muto, si comprende il motivo del suo
silenzio: ma scusabile è il figlio del Nilo, se
parla molto, avendo molto da dire. «
i76
CAPITOLO XLVI.
Pitagora a Menfi.
Costumi privati degli Egiziani.
Arrivati a Terenuti, noi abbandonam
mo per poco la terra, onde avere un saggio
della navigazione sul Nilo; e ci gettammo in
una di quelle barchette, che l’Egitto imparò
a costruire dall’industria dei Fenici. Sono
fatte queste barchette di Vctrice e di alcune
altre piante di palude, rivestite per di dentro
di pelle, ed intonacate per di fuori di catra
me. Si remigò cosi lentamente fino a Leto,
capo-luogo d’un dipartimento; poi a Cerce
aura, sito osservabile per la sua situazione,
attesochè ivi il Nilo divide i suoi flutti in
due vasti canali naturali.
Lasciando Eliopoli e Babilonia a manca ,
toccammo terra in una piccola pianura , detta
il Campo d’Oro; ivi comincia il territorio di I
Menfi, che gli Egiziani pronunziano Mom
)1hta, vale a dire acqua del signore (città del
l'acqua del sole ). Questa gran città, fabbri
cata all'occidente del Nilo, domina quel fiu
"\
177
me con una diga, opera del re Menete, cioè
eseguita sotto il regno di Menete. Il mante
nimento di questa diga è importantissimo;
mentre, se si rompesse, tutta Menfi ne ver
rebbe sommersa. Oltre al preservarla dalle
inondazioni, essa potrebbe anche servirle di
baluardo contro i nemici; lo che la rende una
piazza fortissima, ed un soggiorno più ame
no di quello di Tebe, al piede d’una mon
tagna di sabbia, sulla cima della quale fu
fabbricato un palazzo. Nei contorni, v’è un
bosco, i cui alberi sono di tal grossezza,
che tre uomini uniti insieme colle braccia te
se non possono chiuderne la circonferenza. La
temperatura di questa regione è tanto dolce,
che nessun vegetabile, nemmeno la vite, vi
perde il suo fogliame.
Nell’interno della montagna, che domina
Menfi, trovai dei crustacei (l).
Il gran lago Meride, protettore della cit
tà, comunica col Nilo per un canale, lun
go ottanta stadi, e largo trecento piedi. Que
sto canale contiene 0 distribuisce le acque
del fiume, secondo i bisogni dell’agricoltura,
col mezzo d’una cateratta, per aprire o chiudere
(1) Erod. u.
Tomo II.
1z
118
la quale, ci vogliono delle braccia esperte e
molta.spesa, costando ognuna di quelle ope
razioni cinquanta talenti.
All’estremità superiore del canale, Gafifo
mi fece osservare il niloscopio, strumento
proprio a misurare i traboccamenti annui
delle acque nutrici dell’Egitto e benefattrici
di Menfi. Le sue dimensioni sono segnate a
cubiti e (liti, per essere più a portata del p0po
10, che lo consulta con molta premura. I ri
sultati di ciascun anno si conservano da lun
ga serie di secoli: un’altezza di dodici cubiti
non basta, diciotto sono troppi; il numero
di quindici è termine medio, che appaga il
Voto publico.
Gafifo mi fece osservare, che, nella casa di
suo padre, una cisterna dà dell’acqua, sopra
una grossa sabbia grigia, all’altezza di mezzo
cubito.
Il distretto di Menfi è sparso di ridenti
abitazioni, sulla porta di alcune delle quali,
osservai delle ali di sparviere (1); ed il mi0
compagno mi avverti, essere ciò un indi
zio, che iproprietarii di quelle 0386 50110 di
antica e distinta prosapia.
(i) Stuckius. Canviv. Il. 50.
l79
Approssimandosi a Menfi, dove entrammo
per la porta detta della Verità (i), il mio
giovine compagno di viaggio mi disse con aria
di dispiacere: n Io. non oso offrirti la n0stra
casa per soggiorno, fino a che tu non venga
presentato al re. Il farti conoscere mio padre
e la mia famiglia mi sarebbe stato gratissimo:
ma noi non siamo dei primi della città; ed
uno straniero, munito di si potenti commen
datizie come le tue, potrebbe adeguare . . .
Prrsooas. Figlio di Gafifo, che di’ tu? Era
appunto mia intenzione di chiederti quell’o
spitalità che tu m’offri, e ch’io preferisco
a quella di Amasi: di più , voleva pregarti
d’essere mia guida. u _
La sua risposta fu un tenero abbraccia
mento, dopo il quale egli mi condusse nei
paterni suoi lari. Un ramo di sicomoro, pian
tato di rimpetto alla porta, ci annunziò qual
che sinistro avvenimento di famiglia. Il padre,
la sorella ed il fratello del mio compagno cir
condavano il letto di dolore, ove la madre
sembrava non attendere, per ispirare, che il
momento di vedere ancora una volta il suo
figlio maggiore, per dargli l’ultimo addio. Il
(1) Diodoro Siculo.
180
sacrifizio fatto ai trentasei cnat, genii (I) che
presiedono alle trentasei parti del corpo umano,
non aveva portato verun sollievo. La scena
fu breve ma desolante, e la mia presenza di
qualche utilità, poiché divisi il comune dolo
re: e le lagrime d’uno straniero sono un
balsamo consolatore per una famiglia coster
nata. Io non abbandonai la mia guida pur un
solo momento: egli aveva bisogno d’uno sfo
go all’amarezza de’ suoi sentimenti. Siccome
però ci trovavamo, fortunatamente, alquanto
stanchi, dopo la fatica del viaggio, lo invitai
a gettarsi sul suo letto, e ve lo determinai
dividendolo con esso: una rete ci fu tesa all’in
torno, contro l’importunità delle zanzare (z).
Egli poi mi richiese, ch’io lo ajutassi a
governare la sua casa in quei primi momenti.
Il posdomani alla sera, si andò ad avvertire
gl’imbalsamatori: una legge recente, che li
riguarda, esige la rivoluzione di tre giornate fra
l’ora del trapasso e quella della sepoltura (3):
tanta è la loro intemperanza! Essi vennero
(i) Cnat, o Sicat, parole egiziane, che significano
decam' o Dei eterei.
(e) Conopamm. I. Alstorf. de leciis. 1704.
_ (3) Perché non abusino delle belle rlmme morte .
duce Claudio Guichard, deifimerah' lib. III. V. Erod. II.
181
nella mattina seguente, e chiesero a quale
dei tre prezzi fissati pel loro ministero si vo
leva tenersi: fu scelto il prezzo medio (1),
e coloro principiarono tosto a lavorare, in fac
cia al sole (a). lo fui testimonio delle loro
operazioni, come pregato mi aveva il mio
ospite, onde imporre ad essi colla mia pre
senza; perché trascurano spesso le loro fun
zioni, quando non vengono sorvegliati. Era
no tre; ma ben presto rimasero in due,
perché quello incaricato di aprire il corpo
mediante un’incisione al lato sinistro del ca
davere con una pietra di Etiopia, fuggì e
sparve, onde evitare le imprecazioni, che si
ha l’uso di pronunziare contro di lui. Gli
Egiziani pensano male d’un uomo che può,
a sangue freddo e per mestiere, lacerare il
corpo d’un suo simile, anche dopo morto. Col
l’ajuto di vari strumenti, si tolse dall’interno
del cadavere tutto ciò che dà un alimento
‘alla putrefazione, eecettuati il cuore ed i re
ni, che furono lavati col vino di palma. Vi
s' introdusse invece, pel mezzo d’un cannel
(1) Circa 1500 franchi. Diod. sicul. Erodot. Caylus.
’ Storia dell’Acc. delle Iscrizioni, Tom. II. in la.’
(a) Plutarco, trattato secondo del mangiar carne.
in principio.
ì82
lo, della resina di cedro, poi fu deposto il
tutto nel natron (sale alcali fisso), per restar
vi come sepolto, lo spazio di due mesi. Du
rante questo tempo, la famiglia, vestita a lut
to. si fa vedere nei differenti quartieri della
città, per ricevere gli usati conforti. Io ac
compagnai la mia giovine guida da per tutto.
Gl’ intestini poi (i) furono rinchiusi in un
vaso destinato a quest’uso: dopo di che, intesi
dalla bocca dell’imbalsamatore la seguente pre
ghiera fatta in nome del defunto: 1) Oh sole,
dio nostro! Tu, che dai la vita agli uomini,
riprendi la mia. Per tutto il tempo ch’io vissi ,
onorai coloro che generarono il mio corpo, non
uccisi verun uomo, non violai verun deposito.
Se qualche volta ho bevuto o mangiato cose
vietate dalla legge, la colpa è di ciò che sta
rinchiuso in questo vaso. « - E frattanto
che si profetivano leultime parole di questa
preghiera, il vaso fu gettato nel Nilo.
Dopo sessanta giorni, gl’imbalsamatori tor
narono, per diseccare le carni col nitro (a),
sino a che del cadavere non restasse più che il
(I) Porfirio, Astinenza della carne. IV. 10.
(a) Plìn., Star. nal., chiama le mummie servata
€0rp0ra. Pomp. Mela, fimera medicata.
183
carcame osseo ricoperto della sola pelle. In
vilupparono poi tutto il corpo, dalla testa ai
piedi, con fasce di tela intonacate di [rami
(specie di gomma arabica), avvertendo d’in
crocicchiare le braccia, colle mani rivolte al
viso. Fu quindi portato un cofano di le
gno di fico d’Egitto (specie di sicomoro) e
di forma umana, per chiudervi quel tristo e
caro deposito. Gli Egiziani chiamano la bara
durdarot, ossia casa eterna ( 1), e la morte
muth. La “mia giovine guida dipinse sopra la
bara varie figure geroglifiche, di cui gli chiesi
la spiegazione. » Ahimè! diss’egli, tu vedi
un gallo stendere le ale sue sopra tre piccoli
pulcini, uno dei quali è sbucciate soltanto
per metà dal suo guscio (a). Allato, una gal
lina nuda giace in disparte, né le resta una
piuma sola sopra tutto il suo corpo: fedele
imagine della mia sventurata famiglia. La po
vera nostra madre è questa gallina, feconda un
tempo e benefica; ora i suoi figli sono co
(l) Diodoro Siculo. I.
(2) Questo geroglifico avrà forse dato l’idea del
nido di uccelli, rappresentato sopra un Sepolcro vicino
a Roma. Caylus, Antichità romane. T. III. pag. 260,
261; in 4.°
181,
stretti di ricovrarsi sotto l’ala del mesto lor
padre. lo dipinsi questo quadro di famiglia,
monumento eterno del mio dolore , con dello
smalto ridotto in polvere. u -
Aggiunse poi: » Noi non siamo d’avviso
di portare il corpo di nostra madre nelle pu
bliche catacombe, fuori della città. Mio padre
è contento di guardarlo qui nosco, sotto il
medesimo tetto (I). Metteremo questa bara in
piedi, appoggiata alla parete del più nobile
appartamento della casa: così non'oesseremo
d’essere sotto gli occhi
nostra madre:
ella presiederà a tutte le nostre operazioni;
e tutti i nostri pasti termineranno con una
libazione in onore di lei. a Alcuni viaggiatori maligni hanno indegna
mente sfigurato quest’ uso, raccontando che
gli Egiziani, per rallegrare i loro conviti,
collocano, all’ estremità della mensa , uno
scheletro umano, affinché lo spettacolo della
loro distruzione gl’ induca ad approfittare dei
piaceri del momento, senza rimetterne all’in
domani una parte (2).
Gli ultimi uflizi resi alla madre di Gafifo
(I) Cic. ’Quaasrt. tua-cui. l.
(e) Caylus, Antichità egiziane, Tom. VI.
185
terminarono con un banchetto. La tavola fu
imbandita, secondo l’ uso (1), fuori della casa
innanzi alla porta. Questa è l’occasione, in
cui si ama di sfoggiare
utensili domestici,
indizi-dell’ agiatezza e dell’ ordine, che regna
no nell’interno delle famiglie. I ciati , i bic
chieri, i vasi larghi sono di rame. Questi
ultimi si chiamano ethanion (z). Honne os»
servato degli altri, rivestiti di certa intonica
tura, che nel colore imita perfettamente l’ar
gente, colore che può restare per venti se
coli inalterabile: ne vidi eziandlo somiglianti.
nella forma alle l‘agine di Samo (3).
Il banchetto fu terminato con questa pre
ghiera di costume (4): » Sole!’ e voi tutti,
astri (5) senza numero, dai quali deriva la
vita degli uomini! riprendetc colei, che ani-.
mava questo corpo . . . «
Poi venne il cerimoniale d’ una grand’ an
fora d’ assenzio, che passò successivamente
per le Labbra di tutti i comitati.
(I) Pomp. Mel’a. Stuckius-,. Convib.
(2) Ateneo, Xl.
(5) Lugana, in latino; bauiglia, appo noi. Aten. X1.
(4) Eufaute, citato da Portirio, De absiinentia.
IV. lo.
(5) Sinonimo di Dei, in Egitto.
186
Una donna attaccata al servizio della casa
fu talmente afflitta per la morte della sua
padrona, che le sopravvisse poche settimane
soltanto. Icerimoniali del ‘di lei funerale do
vevano essere più semplici: alcuni suoi cre
ditori vi si opposero, allegando un titolo,
che dava loro dei diritti sul cadavere di quel
la donna (1). Questo titolo era una somma
di danaro, che essa aveva da loro ricevuto,
per sovvenire al suo vecchio padre; acquista
to avevano essi quindi la proprietà del di lei
corpo, privato della vita, onde esercitarvisi
nelle operazioni dell’imbalsamare. Gafifo resti
tui ai creditori la somma da essi anticipata , e
riscattò così gli avanzi della defunta. Questo
ultimo tratto di virtù non arrivò mai a co
gnizione della famiglia, ch’ essa serviva.
Si lavò l’interno del corpo con acqua e
sale, poi lo si ‘involse in foglie di palma,
quindi il mio ospite ed io ordinammo di
trasportarlo alla sepoltura comune degli abi
tanti di.Menfi , nella gran pianura di Sacchara ,
all’ occidente della città. Ivi, a cinque o sei
piedi sotto la sabbia, si trova un vasto ma
cigno, nel quale praticate furono, a punta di
(i) Lnmothe Levayer. XIV. Ornella.
I
187 .
martello, moltissime loggette, ultima abita=
zione dei mortali. Gli Egiziani chiamano questi
asili Amenthen (i) , come per significare, che
la terra dà e riprende i materiali della vita.
I cadaveri vi sono collocati in piedi, quasi
tutti rinchiusi in casse di sicomoro, (butoi,
in lingua egiziana) perché questo legno diffi
cilmente si corrompe (2).
Io visitai quel grand’ aminasso di feretri,
e ne osservai alcuni, che avevano degli occhi,
specie di finestrelle di vetro (3), per ricono
scere il corpo imbalsamato. Questa dispen
diosa accuratezza. vien praticata soprattutto
colle mummie domestiche (4).
"(i)’ Dans e! accipiens. Plutarco, Isid. et 0si'r.
(a) Hesychius. Lea-io. GIGL‘.
(5) Vedi una lettera e la sua risposta, Tam. VIII.
in principio della Gazzetta letteraria d’Europa.
(4) Mummia vuol dire cadavere diseccato.
\
|88
CAPITOLO XLVII.
Particolarità domestiche dell’Egitto.
Commestibili. Arti, e Mestieri.
Nelle catacombe di Sacchara , distribuite
in varie gallerie sotterranee, comunicanti fra
loro, i corpi sono ordinati secondo l’età- ed
il sesso. Ivi si trova anche il labirinto degli
uccelli di tutte le specie, imbalsamati colla
massima cura, e conservanti ancora la viva
za dei colori delle lor piume. Rinchiusi san
dessi in urne di terra , ed io
riconobbi
fra loro specialmente molti ibi. Gli onori peri.)
della sepoltura vengono accordati soltanto 211
volatili nutriti nei tempi. Non è che in Egitlf),
ove l’uomo non si tenga dispensato dalla 11'
conoscenza verso gli animali, che gli fanno
del bene.
Questa riflessione è del mio giovine ospiti?
Io gli ricordai , a questo proposito, ch’egli
mi aveva recato in tavola un onocrotalo (PCI'
licano); e: » Questo uccello, gli diss’ io, 110“
ti‘ già cattivo. « Il figlio di Giifi.f0 I'ÌSPose: n Ma egli mafl‘
189 _
gia il pesce, che ci serve di nutrimento, a
certe epoche dell' anno.
Prrscom. E non ne ha egli il diritto,
quanto il popolo egiziano? Spiegami anche
questa contraddizione. Perché, d’ intorno ai
templi, ove il bue Api è riverito come un dio,
si mangia senza scrupolo la carne di vitello?
GAFIFO. Probabilmente, perché una giovenca
non è ancora una vacca.
Prrsoons. Va benissimo. E chi può chic
dere ragione dei vostri usi religiosi?
GAFIFO. E perché no? Il fagro , della cui
carne astengopsi gli abitanti delle due estre
mità del Nilo, deve la permessagli esistenza al
colore sanguigno, di cui dipinte son le sue
squame.
PITAGORA. Io vado in ciò d’accordo coi vo«
stri sacerdoti: non bisogna familiarizzare il
popolo colla vista del sangue.
GAFLFO. Un osservatore superficiale crederà
di sorprenderci in contraddizione, vedendo a
Pelusio delle cipolle sulle nostre mense e sui
nostri altari: ma sappia egli, che noi riguar
diamo come sacra la cipolla marina, perché
ci guarisce; e mangiamo la cipolla degli orti. «
» Tu potrai almeno far fede della nostra
sobrietà. Io non ti feci bere quel prezioso li
190
quore, che ti sarà abbondantemente versato
alla Corte d’Amasi, quand’egli sarà di ritor
no nella capitale. Noi ti abbiamo potuto of
frire per bevanda soltanto dello z_ythum, inven
zione di Osiride, fatto d’orzo fermentato in
un’infusione amara di lupini (l). I Pelusiani si
ubbriacano con questo liquore artefatto, quanto
i Greci con quello di Bacco. »- La base dei
nostri commestibili è la pasta levata.
PITAGORA. E perché non contentarsi del
l’acqua pura del vostro fiume nutritore?
Gnuro. Il medico di mia madre, giacché
siamo innanzi alla porta della sua ‘casa, ti
soddisfarà in ciò meglio di me: entriamo. « » L’esperienza , ci disse questo medico , che
si deve consultare, prima dei maestri, nella
scienza del corpo umano , insegnò da gran tem
po, che l’acqua del Nilo, senza mesouglio e
cruda, produce l’elefantiasi (scorbuto o lebbra),
soprattutto nei primi giorni dopo l’inondazio
ne. Le aeque sono allora necessariamente tor
bide, per la gran quantità (1’ insetti ed altre
materie malsane, ch’ esse mettono in movi«
mento, e che trasportano nel loro corso. Il
51110., Che ingrassa le nostre terre, alterereb
(I) Della Birm- Dìod. sic. Columel. fle re «rush
i r
ho la nostra salute, se si facesse un9 uso
troppo abituale di quelle acque. Non basta
forse, che il povero abbia sempre immerse
le braccia in quel fango per i publici biso
gni? Non v’è popolo. più sudicio dell’egizia
no. Dovrò io dirti, ch’egli impasta il fango
colle mani, e la pasta coi piedi?
Prracom. Mi sorprende, che l’Egitto non
abbia un maggior numero di ammalati.
IL MEDICO. Ad ogni decade del mese (I),
il popolo prende dei vomitivi (2) , che lo
purgano. Oltre alla sua sobrietà, ed all’im
portanza ch’egli mette nella scelta de" suoi ali
menti, noi lo abbiamo persuaso, che tutte le
malattie hanno per causa unica un nutrimento
malsano: ma con tutte le» nostre cure , bisogna
anche sorvegliarlo da vicino. La moltitudine
è troppo disposta a ritornare alle sue malnate
abitudini; e il magistrato, amico degli uomis
ni, non deve perderla un solo momento di
vista, in Egitto. «
» I sacerdoti secondano i magistrati, ed
il loro esempio dice più che i loro precetti.
Mostrano essi in generale p'oca robustezza ,
(1) Periodo di dieci giorni.
(a) Dacier, Î’ila di Pitagora. pag_. 167.
1;gn
e pure godono 11’ una salute perfetta: e pa
recchi fra loro si astengono dalla carne degli
animali non solo, ma anche dalle uova e dal
latte; dal vino di vite non solo, ma anche
clal vino d’orzo, di loto o di palma. u
» Stimano essi poco quelli de’ loro allie
vi, che sono grassi e 'corpacciuti, perché, a
detta’loro, quanto più polpose sono le oiive,
tanto meno danno di olio. Pensano, coi saggi
d’Oriente, che la dieta vegetale dia della me
moria, o la conservi.
PITAGORA. io non ho mai veduto tanti cic»
chi, quanti in Egitto (1).
1L MEDICO. Parli tu geroglificamente?!
PITAGORA. In ambi i sensi.
La. Mumco. Noi lasciamo credere al popo
lo, che la cecità, ond’è afflitto, sia un ga
stigo de’ suoi dei, finché arriw'amo a scoprin
ne le cause e la guarigione.
PITAGORA. Non si potrebbe attribuire que
st’incomoclità alle pietre, che gli Egiziani ta
gliano e smuovono continuamente sotto gli ar
dori del sole?
IL MEDICO. Ci pensai anch’io; ma non con
viene il dirlo. Un popolo sfaccenclato e di
(I) Diod. Sic. l. 22.
193
buona vista è troppo pericoloso a sè stesso
ed a’ suoi capi. u
n L’abitante del Nilo ha compreso per tem
po il bisogno di circoscriversi fra certe rego
le dietetiche , delle quali i suoi sacerdoti gli
mostrarono i primi l’uso ed i salutari effet
ti. Essi bevono solo acqua di sorgente in
tazze di rame. Il resto della nazione, eccet
tuati i ricchi, si abbevera nel Nilo, senza
purificarne l’acqua (i): il popolo ed il por
co hanno qui, come altrove, le stesse abitu
dini. «
'
» Ma la buona natura, provvida in tutto,
ha seminato sotto i nostri passi dei vegeta
bili purgativi; la Tebaide n’è ripiena. La
cassia è fra noi indigena: l’imprudenza o gli
eccessi momentanei non possono avere lunghe
e funeste conseguenze, e la religione s’intese
colla natura per vegliare sulla nostra salute.
_Chiude essa le porte de’ suoi templi a’ por
cari, a fine di confermare la ripugnanza, che
noi dobbiamo avere per l’uso ordinario della
carne di majale, riconosciuta perniciosa sotto
un clima caldo. a
» Le nostre leggi, tanto civili che sacre,
(I) Cocchi, Regola Pitagorù‘a.
Tomo II.
13
'194
si riuniscono per invitarci a non esigere dalla
vacca più che il suo latte e la sua figliolan
za; risparmiamo la madre, almeno finch’è
capace d’essere feconda. «
n Non è un gran sacrifizio per la sensua»
lità quello di astenersi dalla carne del falco
ne grande e piccolo, dello sparviere, dell’a
quila, del corvo, dell’upupa, della cicogna,
della gru , dell’ibi, e d’altri uccelli carnivo
ri, che vivono di stragi e rapine. Anche gli
icneumoni, le donnole, i gatti ed icani non
danno un alimento tale, che stuzzichi l’appe
tito. Possiamo ben anche far a meno della
lontra , del pellio-ano, della tadorna , e lasciarli
in pace, onde ci liberino dall’ eccesso della po
polazione dei nostri laghi. Che cosa si potreb
be fare anche della carne fibrosa del cinoce
falo (la scimia), la quale converrebbe do.
mandare agli Etiopi? Non basta forse che
siamo noi debitori ad essi del culto, che qui
si rende a quel quadrupede imitatore: cosa
che ci attirò l’imputazione d’avere diviniz.
zato degli uomini viventi? «
» Alcuni stranieri si divertono a carico dei
nostri sacerdoti, che vietano 1’ anguilla e la
lampreda e tutti i pesci senza squame ; i nostri
sacerdoti sanno più di essi, e potrebbero loro
195
insegnare, che questo nutrimento, di difficile
digestione, condensa il sangue, e favorisce la
lebb ra. L’abitante del Nilo abbandona il pesce
diseccato al sole alle popolazioni indigenti
sparse sulla costa marittima. «
1) Se i Mustarabi ed i Trogloditi si cibano
del frutto della loro pesca, essi vi son con
dannati dalla natura del paese, in cui vivono
erranti: ma l’Egiziano sedentario non ha d’uo
po che di vegetabili. Ad esso basta gustare
del pesce ima volta all’ anno; e ciò nel gior
no 9 del mese di tot/1: egli avrà sempre temi
po di ricorrere alle carni salate, se si deter.
mina a diventare nazione commerciante. «
n L’aratro lo dispensa delle frecce e delle
reti. Motta egli sempre la sua gloria nel ren’
dere il proprio paese il più bel giardino del
l’universo! Che cosa gli mancherà, se avrà
la salute e l’abbondanza?, Aspiri egli, aspiri
ad essere il primo popolo agricola della ter
ra! Tutto lo splendore che ha il nome de.
gli Atlanti, non vale una buona sperienza l'lh
rale, del genere di quella che noi ripetiamo,
ogni anno, al levarsi della canicola, per met'
toro a prova le nostre semenze. Quante pro,
prietà non ci restano ancora da conoscere
nelle piante! Verrà, senza dubbio, il giorno,
196
che, invece di triturare le nostre canne m‘e
late o di seccarle nel forno, noi troveremo
i metodi necessarii per estrarne il sugo (i),
e dargli della consistenza. Mi sorprende tut
tavia, che non abbiamo tentato di fare che
schiudansi le nostre uova di galline, di anitre,
di oche e di piccioni, al calore dei forni. Il
letame ci riesce: ma perché non tentare di
far meglio dello struzzo e del crocodilo, no
stri primi maestri, in fatto di covazione?
Quella degli embrioni delle api, nelle stalle
dei nostri tori sacri, dovrebbe insegnarci a
perfezionare tutti questi metodi. «
n Noi siamo un poco consuetudinarii; ma
questo è il difetto dei popoli senza ambi
none.
PITAGORA. Come si può accordare questa
asserzione col genio delle scoperte, che nessun
popolo contrasta a quello dell’Egitto?
IL Msmco. Si accorda benissimo. La nostra
nazione è laboriosa e paziente; la sua lunga
avversione pel commercio marittimo prova
che le brame ne sono limitate. Le invenzio
ni, delle quali viene a lei attribuito l’ onore,
sono dovute, parte ad un popolo anteriore,
(1.) Lo zucchero dei moderni.
197
di cui essa è una colonia, parte ai sacerdoti,
che colla scienza hanno voluto equilibrare il
potere dei re, parte finalmente ai cortigiani
bramosi di piacere al loro padrone. Non è
già 1’ abitante di campagna o il cittadino
delle ultime classi, che abbia il talento d’in
cidere in quasi tutte le specie di pietre fine;
eppure quest’ arte conta più di dodici secoli,
come lo provano i nostri monumenti. Fino
d’allora si conoscevano le seghe, i ponzoni,
e vari altri utensili ad uso degli incisori; ma
questi artefici formano una classe separata,
col monarca. che li tiene al suo servizio , quasi
strumenti di luss_o.. Bisogna bene distinguere
le scoperte utili dalle invenzioni brillanti. Il
nostro aratro è all’incirca quello stesso, che
era mille anni fa. L’anatomià, l’arte più utile
dopo l’agricoltura, non ha fatto progressi che
vicino al trono ed agli altari. Al popolo dei
campi bastano alcune nozioni grossolane, e
sempre le stesse; non arrischierebbe esso una
operazione complicata, e forse non avrebbe
torto. La scienza d’imbalsamare estese quella
di guarire; i morti così fecero servizio ai vivi.
PITAGORA. Il vostro uso di rendere le pro
fessioni ereditarie ha, rallentato forse l’elasti
cità del genio.
193
IL MEDICO. T’inganni. L’esercizio d’un
mestiere, d’un talento non passa già di padre
in figlio per espresso comando della legge. In
Menfi , tu non troverai mica famiglie d’incisori
in pietre fine che risalgano a tempi remoti. u
il La superstizione fa maggior torto alle arti ,
che non faccia la consuetudine. Per esempio,
bisogna confessare ch’ essa proibisce dei oomfl
mestibili riputati sanissimi dalla medicina;
obliga essa pure gli scultori a non comporre
che mostri, dei quali il modello non si trova
certamente nella natura. Tutte quelle figure ,
metà uomini e metà bestie, non ci faranno eol
locare tra i popoli grandi artisti; e fra tanto
sarà difficile superarci nel tecnico.
PITAGORA. É cosa osservabile, che gli E
giziani riescono nei due generi più opposti.
Chi non sarebbe sorpreso di vedere lo stesso
popolo fabbricare le piramidi di Menfi, e
scolpire le pietre fine? costruire un labirinto,
e comporre anelli e castoni?
IL MEDXCO. Ciò succede, perché i proces
si delle arti derivano da una stessa sorgen
te, e tendono allo stesso scopo. Scavando la
terra, per estrarne dei massi sassosi , s’incon
trano delle vene di metalli. Delle pietre grandi
_e ben levigate invitarono la mano a tracciarvi ‘
199
de’ caratteri; e ben presto si passò dal grande
al piccolo. La metallurgia somministra egual
mente degli strumenti capaci di alzare dei
macigni enormi, e degli utensili d’una tem
pra atta a lasciar delle tracce sulle materie
più dure; le nostre pietre “preziose lo sono
ad un grado superiore a quelle di ogni altro
paese. Lo smeraldo vero della Tebaide resiste
a qualunque aceiaro, fuorché a quello di Menfi
e di Tebe: gli stranieri stessi devono confes
sarlo. I nostri incisori riescono bene del pa.
ri nel rilievo che nell’incavo; ed io possiedo
una pietra egiziana, rappresentante uno sca
rafaggio , che offre questo doppio lavoro. (c -
Dopo un momento di silenzio, il medico ri
prese in tuono grave: » Giovine straniero!
Nota bene una particolarità, ch’io non devo ta
cere, nemmeno a quelli che sono meno pre- .
venuti contro l’Egitto: le nostre pietre incise
non servono che assai di rado di sigilli 0
marche; noi non troviamo necessario (l’aggiun
gere all’ autenticità della scrittura altri segni:
questa prova di prova manifesta troppa difii
denza, ed è indegna d’un popolo leale. u
» Se tu viaggerai fino a Tebe, vi troverai
dei chimici (1), che possiedono de’segreti
(I) Ricerche sugli Egiziani di Pur.
zoo
.
per imitare le pietre fine, e per trasfor
mare le selci in ismeraldi; ma fanno dell’ar-‘
te loro un mistero. Noi siamo eccellenti nella
fabbricazione del vetro, qualunque sia pur
la pretesa degli artefici di Sidone e di Tiro:
ma di ciò non siamo intieramente debitori
alla nostra industria, perché il nostro paese
è il solo che produca la sostanza conveniente
ed indispensabile per riuscire a questa bella
composizione: parlare io voglio della cenere
di certa pianta che cresce nel solo Egitto.
Ti si faranno vedere dei nappi di vetro, la
cui purezza gareggia con quella del cristal
lo; degli altri dipinti in modo, che cangiano
di colore, secondo il punto di vista. Noi ce
selliamo il vetro, lo lavoriamo al torno, lo
sappiamo dorare. Col tempo saremo. superati,
senza dubbio: ma finora abbiamo sempre su
perato tutti i nostri contemporanei. (c
n Nessu'no', prima di noi, ha saputo imagi
nare quegli specchi portatili di metallo, di cui
tu ammirerai un nuovo saggio in grande , sulla
cima del tempio d’Eliopoli, ov’ esso riflette
i raggi dell’ astro maggiore. «
» Fin dal secolo di Sesostri, noi sapevamo
fondere dei colossi di vetro colorato in isme
raldo, come vedrai nel labirinto. Noi po
201
tremmo far a meno di quella ricca miniera
di smeraldi, che 1’ Etiopia ci disputò già per
tanto tempo; né abbiamo cosa. alcuna da in
vidiare alla Persia, se siamo pervenuti a con
tratl‘are i suoi vasi più belli, coll’ alabastro
falso della nostra Tebaide. «
n Straniero! Bisogna; prevenirti eziandio, che
le porcellane di Naucrazia, opera greca, de
vono la loro prima origine alle n0stre maio
liche della Tebaide, ed ainostri. smalti tur
chini. u
n Tutti questi piccoli monumenti dell'in
dustria non sono tuttavia il risultato dei nostri
princiipii, ma sono il frutto dell’osservazio
ne e della esperienza. Che se abbiamo già
fatto tanto colla sola. nozione della differenza
dei sali, quanto non dobbiamo prometterci
in seguito ? Dipingere il vetro e la tela, sono
certi saggi, che guarenti'scono. delle sc0perte
più felici ancora._ Noi abbiamo trovato il se-,
crete di rendere duttile l’avorio._ «
202
CAPITOLO XLVIIÌ.
Sulle Donne.
' )ueste curiose particolarità non aven
domi soddisfatto abbastanza, io volli vedere,
co’ propri miei occhi, quanto mi era stato ac
cennato; e mi proposi soprattutto di ricercare
-‘la vera causa dei pochi progressi di certe arti.
Questo fenomeno politico doveva avere un
motivo determinato: mi dedicai dunque alle
mie peculiari osservazioni, aspettando il mo
mento favorevole di comparire alla presenza
di Amasi. M’imaginava già, che le donne do.
vessero avere in ciò molta influenza: manca
no i grandi artefici, mancano le belle statue,
là dove mancano belle donne. Occorrono mo
delli perfetti, per eseguire il simulacro maesto
so d’un Osiride, d’un’lside; e prudenti fu
rono gli Egiziani nel rappresentarei loro dei
ed i loro eroi de’ due sessi inviluppati in un
guscio di mummia, non avendo delle belle
proporzioni da copiare.
Le arti imitatrici hanno bisogno , per per
fezionarsi, 11’ essere innanzi alla bella natura,
203
e circondate sempre di oggetti, che eccitino
la matita ed il bulino. Qual entusiasmo può
sentire uno statuario in Egitto? Tutte le don
ne ivi sono mal conformate, ed i lineamenti
del loro volto compensati non vengono dalla
freschezza della carnagione, di cui son prive.
La vivacità dello sguardo, che copre tanti di‘
letti nella fisonomia d’una donna bianca, di.
venta una mancanza di più in quella d’una
egiziana, e prende un carattere equivoco, che
può tutto al più appagare la sensualità. Quanto
più una cittadina di Menfi si è carica di or.
namenti, tanto meno è sopportabile: la ricchez
2a degli abiti non potrebbe supplire alla man
canza delle grazie. Io non incontrai una sola
menliana, dotata di bellezza, 0 di quei mi
nuti veni, che tengono luogo d’un bell’in
sieme: bocca larga e labbra grosse, occhi pic
coli e fronte bassa; nè dipingendo con sottili
pennelli le sopracciglia, arrivan certo a cor
reggere la natura verso di esse matrigna. Po
trebbero forse far rilevare il vantaggio del
la statura alta e ben complessa del corpo:
ma anche questo vantaggio è loro tolto da una
grassezza fittizia, che ributta. Che che ne sia,
se gli Egiziani hanno ricevuto dal cielo il dono
della saggezza, lo pagano ben caro dividendolo
zol,’
con simili compagne: quantunque essi. pure
non sieno i begli uomini; se ne trovano e
molti nani, e molti. miopi.
Non sono quindi. sorpreso: del poco ascen
dente che han le egiziane sugli affari politici.
Esse non vengono riguardato che come stru
‘ menti. di popolazione, ed in ciò soddisfanno
perfettamente all’intenzione dei loro mariti;
ché non. è raro vederle sgravarsi di sette fi
gli da una sola gravidanza. Credesi, che le
acque del Nilo. comunicbino loro. siffatta vir
tù (1).
Ma se le donne dei ceti medii non sono
provveduto di avvenenza , possiedono, in quel
la vece ,, molte altre pregevoli qualità. Intelli
genti, laboriose, sembrano nate pel commer
cio. Sono esse ,_ che nei publici mercati ven
dono, cangiano le tele e le stoffe per derra
te e frutti; i loro mariti lavorano; in casa.
Le egiziane delle due altre caste, delle due
estremità. cioè del corpo sociale ,. sono men
numerose, forse per la men regolare condotta
loro. Si abbaml'onanov senza: ritegno a ciò che
chiamano. la.lor destinazione; e di fatto quelle
del grado più. basso hanno i più vili. e più
(i) Aristot. Hista anim.. IIIîv
205
corrotti costumi: e sono elleno che fan gli
onori del plmllus nella festa di Serapide, od
Osiride. Le altre, appartenenti ai cittadini ric
vchi e potenti, mettono un poco di dignità e
di mistero nelle loro dissolutezze.
Se tutte quelle donne fossero meno brut-‘
te, sarebbero anche più pudiche , e, volendolo,
anche più considerate, benché schiave degli
uomini, per lo fatto e per la legge. La costi
tuzione dello Stato interdice loro il trono e
l’ altare: non possono essere nè sacerdotesse
nè regine; tutto al più, reggenti. Non è loro
permesso nemmeno d’entrare nei due tempii
di Giove Ammonta, sia in Libia, sia nella
Tebaide; ed il favore di contemplare il toro
Api è loro accordato soltanto, quand’esso vie
ne condotto nel santuario di Menfi. Le crisi
politiche obbligarono tuttavia a far qualche
eccezione.
Nell’atto civile della loro unione, imariti
devoti si piegano alla clausola d’essere som
messi alle loro mogli (2). Ma questa Clau
sola, anziché un atto di rigore, è una formula
religiosa, in onore della dea Iside.
Per una bizzarria , che non sorprende
(2) una. Sic. Bibl. 1. cap- a7. pas- 5'
206
chi conosce il cuore umano , le egiziane,
senza Inspirare nè amore nè stima, eccitano
la ge10sia. I ricchi abitanti di Menfi, e pro
babilmente delle altre grandi città, per tene
re le donne sedentàrie, ed impedirle di pro
dursi in publico, non danno loro da calzar
si, nel tempo stesso che fecero passare in uso
di riguardare per un disonore il comparire
fiori di casa a piedi nudi. Una donna incor
rerebbe del tutto nella disgrazia di suo ma
rito, se si lasciasse sorprendere fornita di
sandali, provveduti senza il di lui assenso:
ma il caso è raro. Un opulento capo di casa
mantiene degli eunuchi per sorvegliare le sue
compagne: ché egli ne può possedere parec
chie contemporaneamente. Forsechè il menfia.
no pretende rifarsi della qualità colla quanti
tà? Calcolo immorale, non meno che falso!
Da queste osservazioni risulta, che il po.
polo del Nilo, già tanto poco amabile per sè
stesso, attristato anche dal severo suo culto,
non può trovare nella propria casa le delizie
dell’amor conjugale. I soli bisogni, figli d’un
clima esigente, legano in Egitto i due sessi.
Gli amori colà rassomigliano agli orsi dell’E
îi0pia; ed io, per conservare la mia libertà ,
00" ebbi d’uopo di richiamarmi ‘l’imagine
/
2o7
d’Arifile, nè i consigli di suo padre, nè quelli
del saggio Ermodamante.
Il carattere tetro e malinconico degli
ziani sta in analogia perfetta col colore della
loro pelle, del loro fiume e del loro suolo.
L’ uomo è modificato da tutti gli oggetti
che lo circondano e lo toccano. Alcuni etimo
logisti pretendono che la parola Egitto Si?
gnìfichi il paese nero.
208
CAPITOLO XLIX.
Pitagora alla 'C0rte di Amasi.
Arrivò finalmente la permissione di pre
sentarmi al re,» il quale era già di ritorno.
Fui introdotto nel suo palazzo: in fondo
ad un vasto cortile, s’ erge un grande edifizio
ad un piano solo (i ), e senza colonne. Alcuni
pilastri ne decorano l’ esterno, e sostengono
il cornicione. Per acroten'i (z), osservai delle
teste umane, la cui bocca era chiusa con un
dito posto sulle labbra: geroglifico del miste
ro e del silenzio, che si deve osservare alle
Corti. Il tetto forma una terrazza, che pren
de tutta l’ estensione del fabbricato. Poste
riormente, vi è un altro cortile, suddiviso in
altri più piccoli. Le mura, che cingono da
destra a manca il primo di quei cortili, han
no ciò di distinto, che, dall'arohitrave del pa
lazzo fino al frontone della porta d’ingresso ,
vanno a scarpa. Ai due lati, si veggono due
(i) Musaich di Paleslrina.
(a) Oruameuti posti sul colmo delle case, in Egitto
del pari che in Grecia ed a Roma. Vrlrufl. II. a.
209
grandi figure egiziane di basalto, in piedi,
con le gambe ed i piedi uniti sopra un picco
lissimo zoccolo. La testa di quelle statue è
ornata di loto. Quasi tutta la costruzione
è di mattoni.
Un po’ più lontano, vi è l’oratorio del re (i):
edifizio quadrato bislungo, colla facciata ri
volta al Nilo, come sono in quel paese tutti
i luoghi sacri. Questo non ha terrazza; la
cornice è merlata a punte, o fogliami acu
minati.
La porta di quel santuario reale è guar
data da una sfinge e da una statua di Anu
bi,‘ dorata, e per metà coperta d’un velo di
porpora: e tutto intorno al fabbricato, ch’è
isolato, gira un ordine di palme (a).
' Per quanto mi fu permesso, io potei sco
prire, che il santuario è 00perto con veli tes
suti d’oro (3).
Passai ne’ giardini del principe, attendendo
la sua presenza. Vi osservai il lauro d’Egitto
a foglie larghe, sorpassante del doppio il lau
ro d’Italia.
(1) Vitruv. IV. 6.
(a) V. Antichità d’Ercolano, volume delle pitture,
in foglio.
/
(3) Cloni. Aless. Pudag. III. a.
Tomo Il.
14.
210
La corte d’Amasi è in'eontrasto perfetto
col carattere nazionale. Io mi credetti ancora
nel palazzo di Policrate a Sarno, od in quel
lo di Periandro a Corinto. Già da gran tempo,
Amasi aveva adottato tutte le abitudini gre
che, prendendo per moglie una cirenea; ave
va al suo soldo una guardia piuttosto nume
rosa, tutta composta di greci; le sue concu
bine erano state scelte fra le famiglie straniere
stabilite a Naucrazia , senza contare varie bel
lezze di Cipro, che gli erano state spedite
in tributo da quell’isola, diventata sua conqui
sta: la favorita peraltro era una persiana. Suo
figlio e sua figlia non si credevano egiziani.
Nondimeno, per imporre alla nazione, ri
chiamando qualche tratto dell’antica austerità
egiziana, Amasi prende cura nel suo palazzo
d’un certo numero di giovani soggetti ad un
regime particolare. Non ottengono essi il loro
quotidiano alimento, se non hanno fatto pri
ma una corsa di cent’ottanta stadi (1).
Io credeva di ottenere udienza da Amasi,
il giorno stesso del mio ingresso nel suo
palazzo: ma quello era il giorno terzo della
settimana; ed i re d’Egitto non si occupano,
(I) Erodoto III.
211
in tal giorno, di nessun affare (l), e non .
possono nemmeno prendere verun cibo prima
di sera; perché Tifone nacque ed Osiride
morì, nel terzo giorno della settimana. Mi con
venne dunque aspettare fino al giorno se
guente.
Nel momento in cui venni introdotto di
nanzi al Re, egli assisteva alla partenza d’una
statua dorata, ch’e’mandava in dono al tem
pio di Minerva lindiana nell’isola di Rodi.
Io gli presentai la lettera di Policrate, cui
lesse sorridendo, poi mi parlò così con mol
to garbo: » Pitagora, sii il ben venuto alla
mia Corte. « Quindi rivolto a varii personag
gi che lo circondavano, aggiunse: u Congra
tulatevi meco, amici miei: nel separarmi dal
la saggezza, che parte per la città di Lindo,
quella di Samo m’ invia un giovine saggio. Io
non perdo dunque niente in questo giorno,
anzi acquisto più che non dono. n Mi porse
quindi la mano, indicandomi di seguirlo; io
lo accompagnai in un interno gabinetto, ove
mi accordò alcuni momenti di colloquio.
AMASI. Che cosa cerchi tu nel mio palaz.
zo? Da me che cosa desideri?
(i) Plutarco, Isid. et 0sirid.
2I 2
Prmcons. Io non vengo altrimenti, come
Alcmeone alla Corte di Creso (i) , per riem
piere d’ oro le mie vesti ed i miei calzari.
AMAs1. Tu ti consacri per tempo ad un
genere di vita, che pochi hanno premura
d’ abbracciare. Mi dispiace d’ avere_ scritto
troppo presto al re di Sarno, perché avrei
potuto prima consultar te. L’argomento della
mia lettera non è diplomatico: io do in essa
al tuo sovrano un consiglio. Voglio fartene
giudice. u
i) E dentro e fuori del suo regno, tutto
gli riuscì fino ad oggi, senza un solo acci
dente sinistro. La buona fortuna ha per lui
una costanza inaudita. Policrate è troppo, e
troppo lungamente felice; deve quindi neces
sariamente succedergli qualche disgrazia, nel
la quale saranno compresi isuoi buoni amici
ed i suoi alleati. Io lo invito a prevenire la
sfortuna, risolvendosi volontariamente al sa
crifizio di qualche oggetto caro e prezioso (a).
L’ esempio di una continuata felicità è trop
po raro, e mi spaventa. Che dici tu del mio
espediente? Io lo credo nuovo.
(1) 011. Pindar.
(a) Erodoto III. Moutaigne, Saggi. II. la.
113
PITAGORA. Sire! Io ne conosco uno, che
lo è meno, ma che mi sembra più certo;
ed è di non permettersi altro che il giusto.
La fatalità non soffre che altri faccia la par
te sua; tutto è in sua mano, il bene ed il
male; e nessuno può determinarla ad aprire
la destra piuttosto che la sinistra.
AMASI. Pitagora! I sacerdoti, presso i qua
li il re di Sarno domanda la mia assistenza
in tuo favore, nulla t’ insegneranno di meglio.
Il mio gran sigillo reale, apposto sulla lette
ra di Policrate, t’ aprirà tutti i santuari. Pre'
séntati prima a quello d’Eliopoli. «
214
CAPITOLO L.
Viaggio ad Eliopoli.
Uscito tosto dal palazzo e da Menfi, io
attraversai il Nilo, e lasciandolo alla mia man
ca, senza fermarmi in Babilonia, m’incammi«
nai dritto alla città del Sole. Questo nome
solo mi dava le ali, richiamandomi alla mente
tutte le cose sublimi, che nutriva speranza
d’ imparare colà. Dopo tre ore di cammino,
mi trovai sul territorio del dipartimento, che
ha Eliopoli per capitale, e che comprende
altre tre città, delle quali si parlerebbe di
più, se ecclissate non fossero dalla prima:
queste sono Babilonia, Elio, ed Eroopoli.
Non lontano dalla mia strada, si trovava
una miniera d’ ore (I), scavata con gran di
spendio, sotto parecchi regni. Il ricco metallo,
che se ne trae, vien bagnato di molti sudori ,
e qualche volta di sangue. La durezza e la
tinta nera del suolo indicano {già ciò ch’es
so rinchiude. Vi s’incontra l’oro fra varii stra
(t) una. sa. III.
215
ti di marmo d’ una bianchezza abbagliante, i
quali fa d’uopo spezzare con leve di rame.
La miniera è scavata dalla mano di soli con
dannati (1); ed i tormenti, ch’ essi soppor
tano in quel genere di travaglio, fa loro desi
. derare sovente l’ultimo supplizio, di cui fu
rono graziati. I condannati alle miniere sono
colà mandati con tutte le loro famiglie, pa
dre, madre, figli; e quando il numero
non risponde all’ urgenza delle occupazioni,
Vengono aggiunti ad essi dei prigionieri ne
‘mici. lo vidi quegli sciagurati, con una forte
catena al piede, e sorvegliati da soldati gre-'
ci, aflinchè la diversità del linguaggio rompa
ogni comunicazione fra la pena e la pietà.
Hanno essi alla testa, come soprastante, un uo
mo armato di picca, di cui si serve onde sti
molarli al lavoro. I più robusti fendono,‘a
forza di braccia, la terra, indurata per l’azio
ne del sole, ed aprono il senticre ad altri
operai, che si fan chiaro per quelle sinuoso
vie della vena con lampade collocate sulla
fronte. I figli loro si aprono un passaggio
nei macigni, mezzo aperti da zappe di bron
zo, e di là estraggono dei pezzi di materia,
(1) Agatarchide, De rubro mari.
216
che vanno a portare ad altri operai più adul
ti, per essere ridotti, sotto dc’ gravi pestelli
di ferro, entro a certi mortai, in granelli
della grossezza del miglio. Le mogli dei con
dannati ed i vecchi spargono questa specie
_di sabbia sotto varie file di macine, che la
tritano, finché sia diventata una cenere mi
nuta quanto la farina, di cui si dà loro gior.
nalmente una certa misura, sotto la condizio
ne di riempirla con una dose eguale del pro
dotto del loro lavoro. Non è dispensato da
questo tributo nessuno di quegl’ infelici , i qua
li sono quasi nudi; non si fa grazia nemmeno
agl’ infermi ,| ed uno di essi cadde a me di
nanzi, e morì di lassezza, con ’lo strumento
in mano.
/
Per riguardo poi a quella polvere, ecco
in qual modo si procede. Distesa sopra lun
ghe tavole di legno, vi si versa sopra molta
acqua, che porta via tutta la parte grosso
lana, e vi resta il solo oro, in grazia del suo
peso. Questo viene manipolato e lavato an
cora, poi rasciugato_ con delle spugne fine.
Se ne separa ogni materia eterogenea, indi
ai pesa quella polvere, alla quale si dà tanto
prezzo, prima di deporla in vasi di terra,
per ivi essere meschiata con sale, farina di
2I7
orzo, stagno, e piombo. Questa mistura, as
soggettata alle leggi del calcolo, è riversata
in altri vasi ermeticamente chiusi con del
luto, e disposti in modo , da poter sostenere ,
per cinque giorni ed altrettante notti, l’efficacia
d'un fornello continuamente acceso. Termi
nata quest’ultima operazione, si lascia rall
freddare quei vasi, poi si aprono; ciò che
resta in fondo, è oro purificato, e degno al
fine di tutti gli usi, ai quali lo si destina.
Io mi compiaccio al pensare, che vi sareb
be un numero minore tanto di ricchi quan
to di poveri, se tutte queste tristi partico
larità fossero più conosciute.
Riprendendo il mio cammino, non fui già
tentato di visitare il castello, che domina Babi
lonia, ‘e trae l’ acqua dal Nilo, con l’ajuto
di varie trombe, di cui cencinquanta schiavi
girano giornalmente le ruote. Mi ripugna
troppo vedere gli uomini diventati cavalli da
tiro. Quella colonia tiene il mezzo fra Menfi
e la città del Sole.
L’ingresso del territorio di questa (i)
si distingue per una fontana fresca, le cui
acque sorpassano in leggerezza quelle del
(I) Strab. XVII. Geogr. Pliu. His‘t. nal. V. 9
218
Nilo. Quella fentana è molto profonda, e si
Crede derivata da un lago' naturale non molto
di là distante; ha d’intorno stabilito un bor
go, come per esserne il guardiano. Nei giar
dini da essa annafiiati , cresce una pianta resi
nosa , dalla quale per incisione si cava un bal
samo, che ha molte virtù. Anche il sicomoro
'Vi alligna in gran copia.
Secento passi più avanti, mi si presenta
rono due -obelischi quadrilateri di marmo
granitibo, eretti ciascuno sopra un piedestallo,
in mezzo ad un lago di poca estensione. I
loro lati sono ineguali, due più larghi del
terzo e del quarto, e coperti dei medesimi
caratteri scolpiti con molta chiarezza. Questi
obelischi, del numero di quelli, che servono a
fare anticipatamente conoscere l’altezza appros
simativa del traboccamento del Nilo, sono co
perti di un capitello di bronzo, d’onde, per un
secreto meccanismo, colano altrettante goc
ce d’acqua, quanti gradi avrà l’inondazione.
Almeno il p0polo , avido di sapere le co
se, prima che succedano, presta fede alla
predizione degli obelischi: che se l’avveni
mento -non vi corrisponde, non si accusano
già essi, 0 le scaltre mani, che nascostamen
te li mettono in azione; ma la moltitudine
219
confidente preferisce d’ incolpare sé stessa, e
dice d’avere mal contato le gocce d’acqua;
il governo intanto ha supplito al suo ogget
to, di moderare l’impazien2a del popolo e
le sue inquietudini, se il Nilo mostra di sof
frire_ qualche ritardo. Un parallelogramo, or
nato di molte statue, serve di recinto a que
gli obelischi.
A pochissima distanza, verso settentrione,
incontrai la figura colossale d’una sfinge, tut
ta d’un pezzo solo di pietra, e tutta coperta
di geroglifici. Essa è così collocata, per annun
ziare il tempio e la città del sole, eretta
sopra una estesissima diga, con un canale,
che rigetta il suo superfluo in due laghi vi
cini (1).
Questo rialzato di terra trasportata risale
a mille cinquecento anni: e misurando quel
la spianata di forma'quadrilunga, contai cin
quecento passi da oriente ad occidente, e
mille da settentrione a mezzogiorno (2). Essa
è cinta da una grossa muraglia fabbricata con
grandi mattoni di terra, battuti e seccati
al sole, secondo l’ uso egiziano. Ne decom
'(1) Strab. XVII. B. Pdrkolua.
(a) Erodot. II.
220
posi un frammento, e non vi trovai che del
l’argilla molto nera impastata con della stoppia
tritata.
Da questa terrazza al mare, la distanza è
di quindici stadi. (I).
La vista d’Eliopoli, e de’ suoi vari ingres
si, detti ,, con nome generico, le porte del
Sole (2) , sostiene il grande suo nome. Io
non vedevav che obelischi e colonne, in tutta
la ‘severità, e potrei dire, in tutta la rozzezza
dello stile egiziano. L’architettura dei figli del
Nilo non ha per iscopo di piacere un mo
mento all’occhio superficiale; ma lavora per
lasciare delle vestigia imponenti, che non si
cancelleranno giammai.
Questo gran carattere è soprattutto 'sensibile
nel complesso delle dodici magnifiche colon
ne (3) , che precedono ed annunziano degna
mente il tempio del sole. Cariche sono esse
di dotti geroglifici, che contengono le leggi
osservate dal sole nell’ annuo suo passaggio
per i dodici punti dello zodiaco. Questi ca
(1) Diod. Sic. I.
(il) Oggi ma-tare'e esprelsione, che significa acqua
frea‘ca, e, secondo altri (ciò che pare più probabile)
balbeemes‘, vale a dire ma: del Sole.
(5) Edip. n. 2. di Kirker.
22 l
ratteri indicano altresì le influenze periodiche
degli astri, gli uni sugli altri, come pure
degli elementi.
Il tempio d’Eliopoli è forse il solo in E
gitto, alle porte del quale non abbia veduto
l’imagine d’Arpocrate, che chiude la sua bocca
con una mano, e mostra, coll’ indice dell’al
tra (I), la legge che vieta, sotto pena del
la vita, di dire che gli dei sono stati uomi
ni. Il culto del sole non ha bisogno di dare
questo avvertimento.
Il tempio d’Eliopoli, come quasi tutti gli
altri cdifizi dell’Egitto, non ha tetto (z) , e
non ne ha bisogno, in grazia del clima, per
ché l’aria ivi è costantemente secca.
(1) Varroue, citato da Santo Agostino. Civ. Dei,
XVIII. b.
(2) Leroi, Rovine! della Gred'àa ,- in [01. Tom. I.
222
CAPITOLO LI.
Pitagora nel tempio d’Eliopoli.
Avendo domandato di parlare al primo
pontefice , mi fu detto di aspettare, per lasciar
mi, senza dubbio, tutto il comodo di ben
riflettere alla santità del luogo. La mia viva
impazienza si conciliava male con questa len
tezza: perché insistetti, aggiungendo, che mi
presentava da parte del re Amasi stesso;
ma ciò non contribuì a ricevermi con maggior
premura. Quest’ultima circostanza mi confer
mò nell’ alta Opinione relativa al carattere dei
sacerdoti d’Eliopoli.
Fui ammesso finalmente alla presenza del
loro capo, il quale mi accolse in piedi, cir
condato da molti sacri ministri di varie clas
si , riuniti sotto uno dei vestiboli del tempio,
colle mani nascoste sotto il loro manto (1).
Senza farmilecito d’essere il primo a par
lare, consegnai la lettera di Policrate col si‘
gillo di Amasi. Questa era così concepita:
(I) Chfierem. ap. Porph. -4650Ìfl- lv
223
Policr‘ate, re di Sarno, al' re Amasi (r)
n Mio illustre amico e fedele alleato! Ac
coglierai con bontà il giovine Pitagora, che
desidera molto d’essere iniziato alla sapienza
degli Egiziani. a
Mi fu risposto: n Giovine Pitagora! Il re
avrebbe potuto risparmiarti il viaggio d’Elio
poli. I sacerdoti del collegio di Menfi sonoî
nostri anziani (2): ad essi devi dunque rivol
gerti per l’iniziamento. Largiti nondimeno ti
saranno tutti gli altri soccorsi, che dipende
ranno da noi. u-Il primo pontefice aggiunse:
» Negli archivi publici d’Eliopoli (S), è
aperto un gran libro, che contiene le inven
zioni dowte al collegio dei sacerdoti, ed utili
a tutte le classi dei cittadini: tu puoi consul
tare quel volume. « -
Fui lasciato con un ministro del terzo ordi
ne , il quale fu sollecito di farmi gli onori del
luogo.- n Eliopoli, mi disse Enofèo (4), o
(I) I Greci si nominavano sempre i primi nelle
lettere che scrivevano. Fr. Vavas‘seur‘.
_ (a) P_ythagorarn circum egerunt Heliopolitae ad
Memphìlas. Porfir. Schefl‘er. XIV.
(3) Pockoke.
(4) Plutarco. De Is. e: Os.
224
la fontana del Sole, 0 ben anche la città di
Mnevi, situata, come hai già potuto osservarlo,
all’ altezza di Menfi, tra 1’ estremità setten
trionale del mare Eritrèo ed il Nilo, ma più
vicino al fiume, fu per lungo tempo la ca
pitale di tutto l’Egitto inferiore, e la resi
denza ordinaria de’ suoi re. Quelli che si chia-g
mano Pastori , mostrarono di rispettarla ,
e non le imposero quel giogo di quattro ses
coli, che portò il resto dell’impero, sotto una
dominazione straniera.
Prrncom. Parlami dei fondatori d’Elio
poli.
Enorrso. Se tu vai a Rodi (l), quegli abi
tanti ti diranno: - »La nostra isola è il primo
suolo, che fu liberato dalle grandi acque, e
rasciugato dai raggi del grand’ astro; dal fan
go, che copriva la nostra patria, nacquero sette
uomini,i quali non riconoscevano per loro pa
dre che il sole. Uno di questi figli anziani della
terra passò in Egitto, per fondarvi Eliopoli.u
» Quante imposture ed assurdità per essere
ingratil E perché arrossire della riconoscen
za, d’un sentimento si naturale? I Greci, "che
che ' ne dicano, devono tutto all’Egitto; e
(i) Diod. Sic. Bibl.
125
non possono impedire alla nostra Eliopoli
d’essere la Metropoli del Sole (i). «
D La santa nostra città è tutta piena di mo
numenti consacrati a quella sola divinità. Que
st’ Obelisco , che tu vedi, è dovuto ad uno dei
figli di Ses0stri, il quale lo fece alzare, per
obbedire ad un oracolo, che gli parlò in so
gno. Esso è il faticoso ed assiduo lavoro di
ventimila uomini, pel corso di venti anni.
Quel principe cieco , avendo cessato d’esserlo ,
pagò questo tributo al dio della luce. «
n Quest’altra guglia appartiene al padre del
Sole. - Tu sembri sorpreso? -- Sì! a Vulca
no , dio del fuoco. Così porta la scrittura ge
roglifica. Vulcano passa in Egitto per lo padre
di tutti gli dei.
PITAGORA. Il Sole figlio di Vulcano! Capi
sco ( 2) . . .
ENOFEO. Tu stenteresti ad indovinare sotto
quai termini, nei nostri libri sacri, noi de
notiamo questi obelischi. Noi li chiamiamo le
dita del sole.- dito è sinonimo di raggio.
E non sembra forse, che il sole palpi co’ suoi
raggi la terra?
(I) Talora. IV. 6.
(a) Manetone, citato da Syucelle.
Tomo II.
15
226
Prmeom. Mi piace questo stile tutto ima‘
gini. Ma, mi permetti tu riflessioni?
Euomo. Quanto vuoi. Parla.
PITAGORA. Ventimila uomini, pel corso di
venti anni, unicamente occupati d’un Obeli
sco! Il principe, che esige dal suo popolo
un simile lavoro, rassomiglia a me, si trova
cioè lontano dall’ essere iniziato alla sapienza
degli Egiziani ( 1).
Enorao. Giovine straniero! Avresti forse
desiderato piuttosto, che quei ventimila uo
mini si trucidassero , per oziosità? . . . Un
successore del figlio di Sesostri alzò quei
quattro obelischi di quarantotto cubiti; que
sto ne ha soli quaranta, e fu terminato al
tempo della presa di Troia. Eccone un altro
di novanta cubiti d’altezza, sopra quattro di
fronte, alla sua base. I caratteri geroglifici ,
che vi sono impressi, danno il nome del prin
cipe, la data e l’occasione del monumento.
Questo e parecchi altri hanno, alla loro estre
mità, un globo , per rendere l’ ombra più sen
sibile, raccogliendol-a in sé stessa (a) . .. Ma
(i) Regunl pecunirz oli06‘a et stalla ostentalio.
Plin. XXXVI. B. e la. IIÌA'L nat.
‘
(a) Pliu. XXXVI. io. Star. dclblcc. delle Iscriz.
Toni. Il. pag. 274. in la.'
227
qual idea ti occupa in questo momento, gio
vine straniero?
PITAGORA. Perdona ai sogni della mia fan
tasia. È una bella e grande impresa, senza
dubbio, quella d’aver tolto dal seno della ter
ra questi massi di marmo e di granito, e
di averli strascinati fin qui in un pezzo solo,
per alzarli sulla loro base, onde servano di
testimoni alla storia. Ma io penso ad un al
tro genere di gloria, che potrà forse cadere
un giorno in pensiero ad un altro principe.
Nella successione dei secoli, dopo diverse ri
voluzioni politiche, che non si possono pre.
vedere, io suppongo, che un conquistatore
porti fino in questi luoghi le sue armi, e
che gli venga il capriccio d’imbarcare sopra
i suoi vascelli questi stessi obelischi, come
si trasportano. gli ordinari trofei, per ador»
narne le piazze publiche della capitale (1),
ne’ lontani suoi Stati.
Euonso (sorridendo). Ci resteranno per lo
meno le piramidi.
PITAGORA. Da dove fu estratta la più alta
di questo guglie?
Enoruo. Questa, di centoventi cubiti, e
(1) Amm. Marca“. XVII. 4.
228
d’un pezzo solo, li1 tratta dalle cave di Sie
ne, ai confini dell’Egitto superiore.
PITAGORA. Qual viaggio, se trasportate ve
nissero, un giorno, dalle sponde del Nilo a
quelle del Tevere in Italia!
Enoreo. Giacché mostri piacere per le co
se singolari, eccotene una, che forse non
pervenne a tua cognizione. Io ti parlai d’un
re cieco, senza dirti in qual occasione lo sia
divenuto. L’inondazione essendo in quell'anno
eccessiva, il principe sdegnato lanciò una chia
verina contro le acque del Nilo, come per
gastigarlo dei mali da lui cagionati colla sua
soprabbondanza: quest’azione sacrilega fu to
sto punita con una cecità, che durò dieci
anni. u Il sacerdote del sole mi condusse quindi
al suo tempio, annunziato da una vasta piaz
za, e da quattro obclischi, ciascuno dell’al
tezza di quarantotto cubiti.
Sembra che il genio dell’architetto abbia
voluto mettersi a livello del suo soggetto. Il
piano n’è tracciato con maestà ed ardimen
IO; e questo eroico edifizio ha nel suo com
plesso qualche cosa di divino. Vi si arriva
fra due file di colonne, che per solo orna
mento hanno il loro modulo in grandi por
229
porzioni, ed alternate da statue colossali
e da sfingi. Si passa sotto un vestibolo,
dove sta sospesa alla volta una lampada,
che porta altrettanti lucignoli, quanti ha
giorni 1’ anno. Si entra finalmente nel porti
co stesso del tempio, ch’è come ristretto
fra due ale di fabbriche circolari. Il san
tuario è un’ immensa rotonda senza cupo
la; Orfeo fece adottare quest’ uso ai Traci
nel loro culto al sole (i). Finché dura il gior
no, si è alla presenza della divinità stessa
del luogo; ché, una fredda statua non po
tendo rafligurarnc l’imagine, il sole stesso
riempie il proprio tempio di tutto il suo splen
dore. I raggi di esso, moltiplicati da focolari
di bronzo (a), coprono l’altare con torrenti
della lor luce, fra i nembi d’incenso, che conti
nuamente si brucia. Uno specchio, più gran
de di tutti gli altri e di forma rotonda, occupa
il fondo del santuario , ed ivi sta collocato per
indicare l’occhio del mondo, ossia il sole.
Persone di corta vista biasimano la nudità
di questo tempio, e la sua grossolana sem
plicità: lo chiamano un ammasso, senz’arte, di
(1) Pag. 168 delle note sull’Asìno d’oro d'Apu
lejo, tradotto da Mondyard.
(a) Kirker. (Edip. egypl. Tom. 1.
430
pietre quasi greggie, che impone soltanto pef
la sua mole. -- Ma sopra i miei sensi quest’edid
tizio ha prodotto una ben diVersa impressione.
Coloro che ne disegnarono il piano, avevano
il sentimento della grandezza al più alto gra
do, e non mancarono al loro scopo, se eb«
bero intenzione d’inspirare al mortale, che
vi si presenta, un’ammirazione religiosa. Chi
si trovasse collocato, sul mezzogiorno, all’in
grosso di questo santuario, lo prenderebbe
per un gran vaso, ove il sole ama tuffarsi
un istante, per uscirne poi più raggioso;
lo riguarderebbe come un piedestallo, di cui
l’astro delle stagioni è la statua. lo compian
go colui che potesse restarvi un momento,
senza sentirsi capace di sublimi slanci: nè
ci voleva meno d’un siffatto spettacolo, d’un
culto siffatto, per una nazione ridotta alla'flem
ma dell’ istinto. Vero è, che più grande e più
felice ancora sarebbe quel popolo, che potes
se farne a meno: ma dove si trovano dei sag
gi in numero sufficiente per comporre un tal
popolo?
231
CAPITOLO LII.
Calendario egiziàno.
La dimora assegnatami nel collegio dei
sacerdoti del Sole, mi teneva vicino a co
lui, che servivami di conduttore: sicché, alla
sera, io andai a partecipargli le mie sensazio
\ ni.-- 1) Se il sole, mi diss’egli, merita l’omag
gio dei mortali, lo merita soprattutto da coloro,
i di cui studi principali hanno per iscopo
l’astronomia.
Se noi non siamo veramente
gl’ inventori del calendario, collochiamo per
lo meno la nostra gloria nell’ esserne i conser
vatori, e nel mantenerne l’ uso in tutta
la sua purezza. Il contemplare stupidamente
estatici l’astro del giorno, non basta: l’uomo
non è nato soltanto per ammirare e credere,
ma anche per conoscere, e far uso delle sue
cogmzwm. «
n É verosimile, che il sole non sia stato il
primo oggetto delle adorazioni considerate dei
popoli. Lo splendore di quella fiaccola fece sulle
prime abbassare gli occhi al più intrepido
dei primissimi osservatori. La blanda luce _
232
dell’ astro delle notti fu più accessibile alle
nostre ricerche. Gli antichi astronomi fra i
Bramini dell’India divisero lo zodiaco
ven
tisette costellazioni, o luoghi della luna, pri
ma di dividerlo in dodici segni, o case del
sole. La luna, che percorre il cerchio degli
astri (1) tredici volte durante un solo viaggio
del sole (2), offre maggiore facilità a ricono
scere i movimenti celesti. La regolarità delle
fasi della luna, ciascuna di sette giorni, in
vitò i nostri antenati a dividere il tempo in
anni lunari (3), e ciascuna lunazione in quat
tro eguali parti di sette giorni. Vi si trovò
anche un altro vantaggio, quello d’applicarc
a ciascun giorno della settimana il nome d’un
pianeta, con quell’armonico concerto , che
eseguiscono i corpi celesti tra sé, mediante
il divino alternare dei loro movimenti diurni,
essendo il diatesaron (la quarta) la sorgen
te ed il principio d’ogni buona armonia, la
più nobile di tutte le consonanze. u
» Diventate più intraprendente coll’acquista
re maggiore sperienza , l’occhio mortale osò fis
(l) Sinonimo di zodiaco.
(a) Legentil, Mem. sull’India, 1775.
(5) ma... Star. w. vu. 40.
233
sare il sole stesso, e chiedergli conto delle
sue corse annue e giornaliere. Si cominciò a
distinguere l’anno naturale, da noi detto an
che solare o tropico; vale adire la durazione
esatta del tempo, che impiega l’astro delle
stagioni a percorrere l’ecclittica: durazione che
non è sempre la stessa, a motivo dell’inegua
glianza dei movimenti del sole. Questa inegua.
glianza viene osservata dai sacrificatori del tem
pio di Giove Ammone, col mezzo della quantità
d’olio, ch’essi bruciano, senza interruzione, di
giorno e di notte, innanzi alla statua del dio.
Misurando colla più scrupolosa esattezza quan
te si consuma in ciascun anno, trovano essi
la differenza da un anno all’altro; ed Assise ,
re di Tebe , verificò questa meccanica esservazione (i). «
n Nei primi tempi, l’Egitto non riconobbe
che un anno solare di trecento sessanta gior
ni, distribuito in dodici mesi, ciascuno di
trenta giorni (21).. Thaut ne aggiunse altri
cinque, senza valutare le sei. ore, che compio
no quest‘ anno solare ,. e che, dando un gior-‘
(1) Vedi Sani. Shuekford-, autore d’una Storia ingle‘
se del mondo.
(2) Storia del calendario, Aead. dee Inscript.
234
no in quattro anni, fecero si, che Thot,
ossia il primo mese, non ebbe una sede fissa.
Esso anticipava d’un giorno ad ogni quattro
anni, d’un mese ad ogni centoventi: gli con
veniva dunque percorrere tutto un periodo di
mille quattrocento sessanta anni, per ritro
varsi al punto della partenza. 4:
n Laonde l’ anno; prima d’un solo mese lu
nare di ventotto giorni, o di quattro setti
mane di sette, sotto il re Menete, che gli
diede il suo nome (1); poi di tre mesi, ricono
scendo quattro stagioni; poi di quattro mesi,
non contando che tre stagioni (z), primave
ra, estate ed inverno, di centoventi giorni
ciascuna; diventò solare e vago, diviso in do
dici mesi cguali, ai quali furono aggiunti, in
seguito, alcuni giorni supplimentarii ; e compo«
se infine il grand’ anno di quasi quindici se
coli. «
n Nell’anno civile, noi evitiamo d’interca
lare, ogni quattro anni, la quarta parte d’un
giorno, eccedente i trecento sessantacinque,
per compiere il corso annuo del sole: e ciò
(I) Menes, mensis‘, mese, nomi della prima specie
di anno, in Egitto.
(2) Morestell. Noi. ad lib. De tripl. mm. mm. 1- 2.
235
per ima ragione politica. Noi non vogliamo
che tutte le nostre feste siano periodiche,
e troviamo più conveniente averne di mo.
bili. «
» Il calendario cosi disposto serve di regola
a tutto, alle cerimonie religiose, ai lavori
campestri, agli affari civili. Egli è la base
dell’ordine publico, e dell’ economia dome.
stica; e noi dobbiamo farcelo questo merito,
se l’ingratitudine ce lo disputasse. Questo
gran benefizio è l’opera dei sacerdoti d’Elio
poli.
((
-
Così parlando, mi ricondusse il pontefice
all’ingresso del tempio, ove, sulle pareti in
terne, io ravvisai , disegnato con molta esattez
za , un calendario (1), composto di vari ciroo«
li, gli uni negli altri. Una testa del sole, oc
cupando il centro, divide in dodici parti cia
scuno di quei circoli con altrettanti raggi,
ed ogni divisione è indicata da uno degli ani
mali simbolici dello zodiaco. Al di fuori, i quat
tro angoli della tavola di pietra offrono il ge
(I) Pococke ha trovato i resti d’un simile sabauda
rio, a settentrione della città d’4cnu'n, altre volte Pa
nopolì. Tom. L
236
roglifico delle stagioni; il di sopra è adorno
d’un globo alato.
Abbasso, vidi una ruota (1) continuamen
te in moto, per esprimere le rivoluzioni suc
cessive dell’ universo.
PITAGORA.V Qual motivo vi ha guidato nel
la nomenclatura delle costellazioni?
Enorso. Noi abbiamo voluto trasformare
il cielo in un gran volume descrivente la sto
ria dell’Egitto: una specie di tavola geogra
fica , presentante gli stessi oggetti che la terra
nostra del Nilo. Il nome di questo fiume, il
triangolo celeste ossia il Delta, la testa del
l’Ariete o del Giove di Tebe e d’Ammone,
e gli altri segni, tutto concorre a non fare
che un sacro complesso, unito in tutte le sue
parti, e dante al popolo la più alta idea del
suolo da lui coltivato.
PITAGORA. Perdona alla franchezza d’ un
giovine amico della verità. Questo doppio ca
lendario mi ripugna: 1’ uno vago e civile,
l’altro fisso e stabile; questo al solo vostro
uso, quello servente di regola a tutto l’Egit
tO, malgrado la sua imperfezione, che voi
(I) Clemeut. A_less. Stronza!
137
gli lasciate volontariamente, e, senza dubbio,
a disegno. Perché non far godere il vostro
paese della verità tutta intiera? perché riser
barla a voi soli? perché certe feste rimango
no a vostra disposizione, riguardo al tempo di
celebrarle? Si direbbe che voi volete ritene
re il popolo sotto la vostra dipendenza,‘ e
fare in modo, ch’esso abbia sempre bisogno
di voi.
Enorme. Che diresti tu, se sapessi ciò
che noi esigiamo dai re, al loro innalzamento
al trono? Noi gli obblighiamo a prometterci,
sotto il sigillo del più formidabile giuramento ,
di lasciare intatto l’anno vago. Ed essi com
presero, che si trattava della loro sicurezza,
quanto del nostro interesse : pel popolo ,
non ne risulta verun inconveniente. Le prin
cipali sue feste religiose, come quelle delle
Neomem'e, degli Equinozi, dei due Solstizi,
sono invariabili, e regolate dalla natura, del
pari che quelle del traboccamento del Nilo, e
del suo ritorno nel proprio alveo. Quanto
importa ad esso di sapere o di ricordarsi,
resta intangibile. Per riguardo poi alle solen
nità subalterne e particolari, la sana politica
vuole ch’egli ci consulti, e si rimetta alla
238
nostra sapienza. Pare che noi abbiamo ao
quistato qualche diritto alla sua fiducia; e si
avrebbero a fargli meno rimproveri, se si con
tentasse di fiequenta.re il tempio di Eliopoli.
Vantino pure Tebe e Menfi le loro piramidi:
i nostri obelischi occupano meno spazio, ma
iimno più onore all’uomo. Attestano essi il più
antico, il più generale, il più ragionevole di
tutti i culti dell’Egitto; ed il saggio può
assistervi senza arrossire. a
239
CAPITOLO LIII.
Particolarità sul culto del Sole.
Pnumona. Si dice, che anticamente la
tomba di Busiride era in Eliopoli bagnata
di sangue straniero, e che ogni giorno vi si
immolavano tre uomini (I).
Enorso. Calunnial Ecco il fatto. Per umi
liare alcuni re, che avevano la vanità di pa
ragonarsi al sole, e d’usurparne i divini ono
ri, noi esponemmo più volte le loro imagini
di cera al fuoco dello specchio (2), che racco
glie i raggi del grand’astro. Quelle piccole fi
gure umane, fuse in un attimo, non lasciavano
veruna traccia di sé. Allora noi dicevamo ai messi
di quei principi stranieri, presenti all’esperien
za: » Andate a raccontare ai vostri padroni ciò
che avete veduto nel tempio d’Eliopoli, e
dite loro da parte nostra, che il più grande
(1)Mauet0ue , citato da Porfirio , II. Teodorsbo, VII.
Discorso sacro.
(a) Gli Egiziani erano eccellenti nell’ arte di formare
in cera disegni a varii colori, come pure in quella di
comporre statue iutiere di musaico, imitando persino
i colori naturali. Vedi l’Ateneo di Villehruue. V
240
fra i re della terra non è che una piccola
figura di cera innanzi al monarca dei cieli, allo
sposo della natura, al padre del calore. «
Punti da questa lezione, inostri vicini publi
carono che noi maltrattiamo gli ospiti nostri,
e che gli offriamo in sacrifizio al sole. Noi
non gl’immoliamo nemmeno degli animali (1) ,
non collochiamo nemmeno le loro imagini
sugli altari.
PITAGORA. Intesi a parlare d’un uso più
barbaro ancora. Una giovine donzella viene
precipitata, ogni anno, nelle acque del Nilo,
per ottenere da questo fiume il beneficio del
la solita inondazione.
Enorno. Questo sacrifizio atroce aveva luo
go in Egitto, prima della nostra istituzione:
ma appena noi ci accorgemmo di goder qual
che credito, ecco ciò che imaginammo per ab
olire un tal culto. Alcuni giorni innanzi alla
festa, ci recammo con pompa sulle rive del
Nilo, ed il nostro capo pronunziò con molta
franchezza questa concertata preghiera:
h Nilo benefico! Grandi sono i tuoi favo
PÌ, 11è potrann’ essere mai agguaglìati dalla
nostra riconoscenza. Dégnati rischiarare un
(1) Oro Apollo. Moria, Acad. Inscripl. Erodot.
241
dubbio che sorge nell’anima nostra. A noi
sempre più pare, che tu cominci a stufarti
del sacrifizio d’una vergine; e vedi quant’es
so ripugna a noi stessi. Figlio del sole! Nilo
benefico! Si! sappi, che molte famiglie si
risolvono di abbandonare le tue rive, per non
essere più testimoni d’un culto, che ti si
rende, senza averti pria consultato. Il popolo
d’Egitto , purificato dalle sante tue acque , non
è lontano dal credere, che i tuoi benefizi si
acquistano a troppo caro prezzo, se pagarli
conviene con un delitto, coll’éfl‘hsione d’ un
sangue innocente. «
» Oh Nilo! temi di vederti ridotto a
scorrere per una spaventosa solitudine , se
tuttavia tanto cara ci lai pagar la bevanda tua.
Spiegati dunque. Immolata non sarà, questo
anno, la giovine donzella, che ti si destina.
Se il traboccamento delle tue acque arriverà
all’altezza necessaria per i nostri bisogni, vor
rà ciò dire, che tu sei soddisfatto. « » Noi avevamo preveduto un’ innondazione
propizia, ed essa fu tale; e da quel momento
si rinunziò a quest’ orribile costume. Così
andarono le cose: ma molti lo ignorano an
c‘era.
PITAGORA. E quei bagni di sangue uma
’Iomo II.
16
21,:
no (i), per guarire i vostri re, quando sono
assaliti dall’elefantiasi?
Enorso. Ebbero luogo, è vero; ma in og
gi non si potrebbero rinovare.
PITAGORA. Nell’approssimarsi al vostro tem
pio, evvi, sotto il vestibolo, uno spazio murato
e guarnito di alberi, ove sento tenersi chiusi
dei leoni (2), da voi nutriti con la carne pro
priamente del bue (3); di modo che, nel vo
stro santuario, un dio alimenta degli altri dei.
Enorso. Aggiungi, se vuoi, che, in certi
giorni festivi ,' noi mostriamo al popolo il
toro sacro, cinto la testa d’una corona rag
giata (L), colla fronte marcata del delta, e
colla metà del corpo rivestita d’una gualdrappa
ricamata (5), e terminata da una frangia alle
sue estremità, come se ne vede alla barella
di Serapidc. u
n Sappi nel tempo stesso, che, per gli uo
mini instruiti, il leone non passa in tutto
l’Egitto che per uno dei segni dello zodiaco.
(I) Pliu. Hist. nat. XXVI. l.
(2) Fazio, Cadex, 242. ‘
(5) Elisa. XII. 7.
(4) Tristan di Saint-Amalfi, Hisl. emper.; in fol.
T. 11. pag. 144, 145.
(5) Ricamata in quadratelli regolari. Caylus, T. I. in l|,.°
243
Per lo volgo, qui tutto è dio ; per lo sag
gio , tutto è astronomia; e perciò l’Egitto ha
collocato, sopra tutti i suoi monumenti, pu
blici o particolari, la testa d’un leone. Tu
avrai veduto questo geroglifico sulla porta di
tutti i nostri templi, sui nostri santuarii, sui
nostri torchi ; perfino le grondaje hanno questa
figura.
Pxmeona. Tu metti, senza dubbio, nel nu
mero di tali ornamenti simbolici anche quel
l’imagine della fenice, e d’ un’aquila collocata
fra un cigno ed un corvo (1), che ho vedu
to sopra uno dei lati del tempio d’Eliopoli.
Enoreo. Emblema poco difficile ad indovi
nare: egli è il sole che fa il giorno e la not
te. Il popolo ama d’incontrare simili oggetti,
i quali esercitino la sua imaginazione gros
solana, senza troppo stancarlo. Ed, a pro
posito, devo prevenirti, che a Menfi i mi
nistri del tempio della grande Iside si vestono
ora di abiti neri, ora di bianchi, per dis
tinguere i fausti dagl’infausti giorni; vale a
dire i giorni profani da quelli che sono con
sacrati a qualche festa religiosa. Il vaso sacro,
che si porta nella gran cerimonia d’ Iside,
(1) Vedi 1 ’Arpocrate di Cuper.
2%
rappresenta quella divinità sopra un fondo
tenebroso. I sacerdoti di Menfi ne traggono il
nome di Melanófori, come a Tebe si chia
mano i ministri alati, perché, in certi gior
ni dei misteri, portano realmente delle ali. « _
Io interruppi il mio conduttore, per do
mandargli con una specie di afl‘ettazione:
n Sacerdote del sole! Il toro-dio Mnevi è
egli visibile? Io desidero di rendergli il tri
buto del mio omaggio. « - Il pontefice pene
trò il mio pensiero, e mi rispose con digni
tà: » Giovine straniero! Sappi che il toro
Mnevi è alloggiato, nutrito ed incensato nel
tempio del sole, per servire di geroglilico vi
vente all’agricoltura, ed all’astro che ne or
dina i lavori, e ne matura i prodotti. Le cure,
che qui ne prendiamo, sono per insegnare
agli abitanti della campagna quanto conto essi
far deggiono di questo si vantaggioso qua
drupede. La lezione non è ora tanto neces
saria, quanto lo era nei primi tempi; ma
forse non è prudente metter mano negli usi
antichi, quando per altro non sieno più uo
civi di questo. Boecoride, uno dei nostri re,
che risiedeva nella città di Saide, volle por
tarci via il nostro toró Mnevi. Gli Eliopoli
tani marîtlarono una depptazione per dirgli:
21,5
» Re (1’ Egitto, tu oltrepassi i tuoi poteri. Noi
te lasciamo pacifico sul tuo trono: tu dunque
non turbar noi ne’ tempii nostri; Muovi é un
dio, che non fa male ad uomo, né si op
pone .alle rendite della tua corona. Perché
Vuoi tu rapirgli il suo incenso? Boccoride‘.
temi di pagar caro cotal sacrilegio.u-Alcu
ni anni dopo, quel principe fu bruciato vivo,
nella invasione dei re d’Etiopia. «
PITAGORA. E che fate voi di quello sca
rafaggio (i), in un tempio dedicato al sole?
V’è una gran distanza fra quel grand’astro e
questo insetto (2). Cosa può meritare a si
picOQlo animale un posto distinto in un si
vasto edifizio, consacrato ad un culto su
blime?
Enorso. Anche questo è un geroglifico vi
vente del sole e dell’agricoltura (3). Non hai
tu osservato, che li suoi elitri lo fanno com
parire tutto scintillante di luce, quando è
percosse dal sole? Questo piccolo fenomeno
non è sfuggito all’occhio del popolo: egli ha
(i)
(2)
(5)
IV., e
Porfirio. Astinenza della carne. IV. 9.
Vedi Caylus, Antichità egiziane.
Oro Apollo. Euseb. Preparazione evangelica,
XIII.
146
Voluto, che anche quell’ insetto avesse la sua
parte dell’ incenso bruciato in onore del sole,
dello splendore del quale partecipa, ed al
quale egli dà il suo nome; giacché l’ astro
del giorno è chiamato da noi talvolta il gran
de Scarafaggio dell’ universo. Il volgo restò
colpito altresi da un’altra osservazione, che
tu "saprai valutare: lo scarafaggio ha tanti
piedi, quanti giorni ha il mese solare (1). «
n Un motivo ancora più rispettabile ha
guidato la moltitudine riconoscente. Ella si
fece debito di associare al bue Muovi, dio del
1’ agricoltura , un insetto, che purga i no
stri giardini dalle formiche e dai vermini,
ai quali egli fa caccia continua e sempre feli
cemento.
Prrncom. Tu saprai certamente spiegarmi
anche ciò ch’io leggo sul pavimento del san
tuario: n Qui, nel tempio del sole, la Fe
nice (2) ha deposto il corpo di suo padre
imbalsamato in un uovo di mirra; essa ritor
nerà dall’Arabia, dopo cinquecento anni. ti -'
È forse anche questo un geroglilico vivente?
(I) Rusllius. lib. 11. De stirp.
(a) Pompouio Mela, III. 9.
247
Buon-10. No. Questo è un simbolo per es
primere qualche rivoluzione astronomica ,
uno di quei grandi anni, che ci servono di
riposo nei nostri calcoli dei movimenti cele
sti intorno al Sole . . . . E tolleriamo, che
Eliopoli sia detta la città della Fenice (I). u
» Non possiam mica essere più sobrii d’ima
gini fantastiche, circondati come siamo da su
perstizioni d’ogni genere. Giovine straniero,
osserva, che i sacerdoti del sole sono i soli
in Egitto, che sappiano far di manco d’una
doppia dottrina, d’un doppio culto. Noi non
andiamo Cercando il nostro dio in fondo alle
acque o nelle viscere della terra. Egli previe
ne invece le n0stre invocazioni; ed a noi non
resta che di rendergli grazie. Fra pochi gior
ni, sarai testimonio d’una delle nostre pom
pe religiose, di cui abbiamo ordinato, a talen
to nostro, le discipline; imperciocchè, quan
tunque il popolo sia schiavo dell’abitudine, ama
nondimeno la varietà, e, per tenerlo a bada,
bisogna offrirgli nuove combinazioni. La festa,
che noi dobbiamo celebrare, ti dirà più di
qualunque lungo discorso. Non lasciarti sfug
(r) Elian- IX. 58.
248
gire nessuna particolarità: noi la mettiamo
all’ equinozio di primavera. u Tre giorni innanzi a questa solennità, ho
assistito all'iniziazione di alcuni egiziani ai
misterii del sole equinoziale (1), sotto il segno
dell’agnello sacro. Immolano essi il quadru
pede innocente sotto un portico, lo espon
gono al limco sopra un altare, ed in piedi
ne mangiano una porzione; inginocchiati poi
sulla sua pelle, che copre il pavimento, _met
tono sulla propria la testa dell’animale. Ter
minata questa cerimonia, passano in un ba
gno, bevono dell’ acqua fredda, e coricati in
terra, si abbandonano al sonno.
Io ammirai in tutto ciò la buona fede di
quei devoti egiziani, che va del pari colla
loro ignoranza. I soli sacerdoti possiedono la
tradizione di tutte quelle cose; ma si guardano
bene di comunicare i loro lumi astronomici
al comune degl’ iniziati.
Prima d’ abbandonarsi al riposo, cantano
essi un inno brevissimo, e concepito all’incirca
in questi termini: n Agnello equinoziale (2),
noi ti salutiamo: nel trarti fuori dai raggi
(I) Lucian. Dea syria.
(a) Dupuis, Relig. uniu. Tom- 111. in 4."
249
del sole, sei tu che ci annunm Il ritorno
di questo dio all’ emisfero superiore. Superan
do allora la linea, egli viene a separare le te
nebre dalla luce, ed il male dal bene; allora
la natura riprende la sua prima bellezza. A
gnello sacro , tu ci rimeni la primavera. «
Dietro a quella parte del tempio d’ Elio
poli, ove si pratica questo cerimoniale, os
servai un antro oscuro e profondo, rischiarato
da una lucerna bastante appena per distinguere
la testa d’un fanciullo, tutta rasata, ad ecce
zione d’un sol capello (1). Gli Egiziani indi
cano per tal modo il sole al solstizio d’inverno.
L’ ornamento principale dell’altare, che ri
ceve i sacrifizi al sole, è un cerchio alato (a) ,
per denotare la velocità degli astri, dei quali
il sole è il primo.
Alla vista del sotterraneo, io domandai co
sa si doveva credere d’una comunicazione, che
si dice esistere nelle viscere della terra, fra
il tempio d’Eliopoli, e quello di Menfi.
Invece di rispondermi, si tacque, e mi si
lasciò il comodo e la libertà di cercarne da
(I) Macrob. Saturn. I. 21.
(a) Porfir. presso Euseb. Prepar. evang- III. n
250
I
me stesso l’uscita. Dopo un lungo esame, mi
venne fatto di scoprire, che l’ingresso di quel
passaggio era praticato nell’interno d’un pi
lastro: ma la porta non si apre che per or
dine espresso del Gerofante, ed in gravi cir
costanze, di grandi_iniziamenti, Suppongo, o
d’una crisi politica.
a5t
CAPITÙLO LIV.
Descrizione della gran fèsta del Sole.
Alla vigilia di questa solennità, ch’essi
chiamano sarei, ossia giorno degl’ inni, vi
di inalberare sulla sommità del tempio un
drappo bianco ondeggiante nell’aria ; il basto
ne è sormontato da un globo d’oro, per
riflettere i raggi del sole, e rappresentare la
terra coperta del suo fuoco generatore. Si
aveva issata anche la testa d’un’ aquila bianca ,
rivolta alla parte orientale del cielo (l). La
festa principia al levare dell’ astro, che n’è
l’ oggetto.
I sacerdoti avevano osservato, che l’istinto
unisce, sull’ alba mattutina, tutti gli uccelli
d’una contrada , per salutare insieme, col loro
canto , la presenza subitanea del padre del
calore. Eliopoli segue quest’esempio (2). Non
appena si scorge il globo d’oro scintillare
alle prime emanazioni della divinità, che
(a) Gerogl. pieri. XIX. Pancirol. Net. dig. imp.
or. 141.
(a) Strab. Geo;r.
\
zaz
diecimila voci, regolate da un’ infinità di stru
menti armonici (1), si fan sentire dintor
no al santuario, alzando al dio del giorno un
cantico breve breve._Questo primo slancio del
,‘ l’ammirazione è seguito da un lungo silen
"zio»Qual momento, quale spettacolo! Gli atrii
del tempio vengono inondati da un popolo im
menso; cogli occhi e Colle mani alzate al cie
lo , ognuno degli spettatori in piedi offre una
corona di fiori o di verdura, in cambio del
raggio, che cade sulla sua testa. Tutti gli
sguardi avevano in quel momento qualche co
sa di divino: si pura gioja ,animava tutte
quelle fisonomiel
Dopo questa scena muta e sublime, il gran
pontefice diede il segnale per eseguire la sa
cra marcia. Subito, tutta quella moltitudi
ne (1’ assistenti si distribuì, gravemente e
senza confusione, in vari gruppi, per formare
la pompa religiosa, sotto la sorveglianza dei
sacerdoti; ciascuno prese il suo posto, ed io
mi collocai sul loro passaggio. In qualche
distanza sul davanti, vidi quattro pontefici
egiziani, con la testa ed il mento rasati di
fresco, camminare con gravità, portando sulle
(i) Espressione numerica indefinita.
253
loro spalle un candelabro acceso (i), poggiato
sur una specie di alta-re, o tavola quadri
lunga. Preceduti e seguiti vengono da altri
ministri subalterni, gli uni- con una palma in
mano , gli altri con un lungo bastone o scettro
sormontato da uno sparviero (2).
Altri, mascherati da leoni, simbolo del Ni
lo, hanno nella destra una penna di struzzo,
otturata da una parte, in forma di corno di
bue, che serve (1’ impugnatura. Gli stessi por
tano, quasi sotto l’ascella, a destra ed a
manca, un braccialetto ornato colla testa di
un gallo, emblema del sole (3).
Vidi in seguito una scelta donzella , con
una mezza luna d’argento in fronte, e cinta
d’una larga fascia azzurra, sparsa di stelle
d’oro: questa rappresenta la luna. Ventotto
altre donne più giovani , ornate nello stesso
modo, marciando a sette di fronte, figurano
l’anno ed i mesi lunari, composti di quattro
settimane.
Un’altra donzella egiziana, di tinta bruna,
rappresenta l’anno solare; questa occupa un
(I) Musaico di Palestrina.
(2) Metam. d’Apul. XI. Kircherus, (Edìp. wgypl.
V. I. Sppu, Miscell. erud. aut. Oro Apollo.
‘
(5) Caylus , Antiq. tegy‘pl. Tom. IV.
254
trono d’oro portato da quattro sacerdoti, e
sta ritta sul marcia-piedi assicurato al trono
mediante cinquanta chiodi colla testa d’argen
to (i), per indicare le settimane.
Un uomo grande, vestito di azzurro spar
so di stelle, che in Egitto si chiamano oc
chi, avanza a passi misurati: e questo è il
cielo personificato.
Venivano poscia quattro egiziane di sta
tura eguale , colla testa coronata di _per
sea: ai rispettivi loro attributi, le riconob
bi per le quattro stagioni. Quest’erano pre
cedute da quattro animali sacri (2) , raffigu
ranti le quattro parti dell’anno: l’aquila o lo
sparviere, il cane, il toro, ed il leone.
In mezzo alle stagioni, dieci sacerdoti por
tano sulle loro spalle il famoso anello astro
nomico d’0simandia, ridotto in proporzioni
più comode. Seguivauo i dodici mesi dell’an
no (3) , marciando a tre a tre. Cinque per
sonaggi tenevano loro dietro, con una bandie
ra , che portava il motto: epagomenes (4).
Poi, un egiziano di alta statura, rivestito di
(1) Vedi la Tavola isiaco.
(a) Clemente Aless. Strom.
(5) Calendario di Gebelin; in 4.° pag. 466.
(4) I cinque giorni oomplomentarii dell’anno.
255
una lunga zimarra di lino con lo strascico,
carica di geroglifici dipinti, teneva fra le brac
cia un fanciullo di quattro anni. Questo grup
po esprime Thaut, l’inventore della quarta
parte di un giorno, necessaria per compiere il
corso amino del sole. Egli primo avvisò d’ag
giungere, ogni quattro anni, un giorno di più,
composto di quei quarti , ond’evitare nei cal
coli astronomici, cbe sono più rigorosi degli
usi civili, un’anticipazione , alla quale si adatta
male una scienza tanto esatta , come quellaglei
movimenti celesti.
’
Vidi anche passare in doppia fila i trecento
sessanta giorni, divisi in quattro falangi, tut
ti uomini giovani di ventiquattr’ anni. In
mezzo, essi avevano il carro del sole, tirato
da quattro cavalli arabi di sei anni di razza,
ciascuno dei quali era guidato da una don
zella, rappresentante una delle quattro parti
del giorno.
'
Ventiquattro altre egiziane, appena nubili
(le ore), circondavano il carro del sole. Le
dodici, che precedevano, erano vestite di bian
co: le dodici, che seguivano, erano. di bru
no; e tutte avevano in fronte una stella d’ar
gento. Nel carro, coperto di lamine d’ oro, sta
un cubo del cristallo più bello, che serve
256
d’ altare o di zoccolo ad un grande scarafag
gio con gli elitri scintillanti e per sé e per la ri
percussione dei raggi solari. Camminava final
mente innanzi al carro un’egiziana, della statura
più alta che si aveva potuto trovare, portan
do religiosamente in mano il Vaglio sacro ad
Iside (i).
Dietro al carro, un subalterno ministro de
gli altari conduce con una catena d’oro un
gran cinocefalo (scimiotto), poggiato ai piedi
posteriori (a) , e portante in testa un globo,
mezzo d’oro e mezzo d’argento.
Voi osserverete meco, miei cari discepoli,
che questo carro del sole ha la forma d’una
barca egiziana (3) , con un occhio alla prora.
I sacerdoti di diverse classi, preceduti dal
supremo pontefice, chiudevano questa mar
cia imponente, che fece a passo lento (4)
sette volte il giro del santuario, in un religio
so raccoglimento. Tutto il pavimento del tem
pio era coperto di fiori e di fronde verdi:
fra le colonne, ardevano dei bracieri di profumi,
G quei nuvoli d’incenso formavano come un
( i) Lichnophoro. Arpocrazione.
(a) Pignorio. Tau. 1.9.
(3) Wiuckelmann. Monumenti inediti. in fol.
(4) Plutarc. Isid. Macrob. Somn. Scip.
257
Velo, per temperare lo splendore ed il calore
del sole.
In mano del Gerofante, osservai una spe
cie di bastone augurale, ch’ era un gambo di
loto, pianta acquatica egiziana, consacrata
al sole, perché il suo fiore non si mostra
fuori dell’acqua che al levare dell’astro del
giorno, e vi si tuffa di nuovo, al suo tra
montare. Tutti i pontefici ne portano una
corona sulla rasata lor testa: isandali son di
papiro.
Ad un secondo segnale, dato dal gran sa
oerdote, si fecero sentire tutti gli strumenti,
fra i quali prima la sampogna, come di
tutti gli strumenti il più antico, poi il sistro
consacrato dal Culto, indi la tibia, la lira,
ed un bicordo (I) , specie d’ellissi a coda
lunga, da me conosciuto soltanto di vista,
comeché veduto l’avessi rappresentato sopra
uno dei grandi obelischi d’Eliopoli.
Vi sono anche le arpe, e queste rassomi
gliano intieramente a quello strumento di
tredici corde, ornato d’una sfinge, che mi
colpi fra le altre pitture delle grotte sepolcra
(l) Maudolino, la cui figura si trova nel Saggio
sulla musica, T. I. in 4.” pag. ago, 95, e 26;
' 1omo Il.
17
258
li, ch’io visitai da là di Tebe. Questa specie
di arpa era già in uso sotto il regno di Se
sostn.
L’effetto in me prodotto dal concorso ar
monioso di tutti quegl’istrumenti, mi spie
gò il perché gli Egiziani dicono, che la mu
sica è sorella della religione (I).
Cominciarono allora le danze; non già
quei giuochi pazzereschi, quelle agitazioni
convulsive e senza scopo, usate in Alicar
nasso ed a Palfo; nemmeno quel ciondolare
effeminato della molle Jonia. Le danze sacre
d’Eliopoli , condotte dagli stessi pontefici,
e modulato sugli V accordi perfetti del tetracor
do, figurano le rivoluzioni degli astri, le an
nue o diurne loro posizioni, i loro incontri,
i loro allontanamenti: tutti i loro movimenti ,
soggetti a regole certo, che l’osservazione ha
fatto conoscere ai mortali studiosi, furono
eseguiti con precisione. Le quattro stagio
ni del giorno corrispondono a quelle dell’ anno:
le ore formano dei gruppi colle settimane e
voi sette pianeti della settimana (2). Si ral
(1) Bourdelot, Storia della musica. T. 1. cap. III.
(a) Luciano, De saltatione. Platone, De legibus.
VII.
259
lenta o precipita il passo, secondo il mo
do ed il diapason. Io mi scordai, per un
istante,
d’essere
sulla
terra,
credendomi
assistere in cielo alsolenne andamento degli
astri, e sentire 1’ armonioso concerto dei cor
pi celesti. Tuttii grandi fenomeni della ete
rea volta si eseguivano, sotto gli occhi miei,
con una geometrica regolarità. Il tempio d’E
liopoli sembra, in quel punto, una vasta
sfera, destinata a rendere sensibile all’occhio
dei mortali incantati tutto il meccanismo del
la natura, nella sua maggiore sublimità: que
sto è il modo più conveniente di dare lezioni
«l’astronomia.
E’ pareva, che il sole fosse ' disceso dal
suo trono di lixoco, per conversare con gli
uomini, ed insegnar loro le leggi de’ suoi
movimenti. Così è, che ad un gran popolo,
ad una saggia nazione conviene celebrare le
feste: quella poteva intitolarsi l’augusto ime
neo del cielo e della terra; ed una vecchia
tradizione eliopolitana dice, che Prometeo
stesso ordinò quelle danze religiose (i).
(2) Storia generab della danza, 1725, in 12.“
Consultate Cahusac, Trattato della danza Tom. I.
p. 28, 29, 58.
De Laulnay, della Sallazione teatrale, 1790 in 8.” fig.
Dei balletti antichi e moderni. 1682- in m.”
260
Osservai che l’impressione, prodotta dalla
grandezza di quella solennità, era generale.
Uomini e donne, fanciulli e vecchi, tutti in
somma gli astanti erano penetrati allo stesso
grado. ’ Tutte le piccole passioni, risultato
dell’interesse sociale, si tacciono innanzi a que
sto culto. Non si prova, che una sola sensa
zione, quella eccitata dalla vista d’un gran
complesso, dallo spettacolo dell’ordine, figlio
dell’armonia, dalla contemplazione della na
tura in tutta la sua maestà, in tutta la sua
pompa. E cosa mai si poteva imaginare di
più sublime, che la riunione degli oggetti
offerti in quel momento alla mia ammirazione!
Il sito più felice di tutto 1’ Egitto; la vicinan
za del più benefico, del più straordinario dei
fiumi; un edifizio costruito colle più nobili
proporzioni; il primo degli astri presente egli
stesso al culto, che gli vien tributato; una
moltitudine immensa
d’ esseri
ragionevoli,
che alzano le loro menti fino a quell’ogget
to, ch’essi elessero per loro nume:
questo complesso, animato da
tutto
maravigliose
danze, che fedelmente ripetono le costanti ri
voluzioni dei pianeti, in presenza della natu
ra, sorridente all’opera sua più bella!
Si esalta cosi la specie umana, inspirandole
261
il gusto delle cose sublimi e vere, e rendem
dola entusiasta dell’ ordine, senza il quale non
può esistere verun sistema, né politico né le
gale, proprio a rendere l’uomo felice. Tocca
al genio del legislatore di saper, mettere in
opera i grandi mezzi, che gli offre la cono«
scenza dei fenomeni del cielo.
Immediatamente dopo le sacre danze, tutti
si recarono ad una delle parti del tempio,
che serve di palazzo a Mnevi. Questo gero
glifico vivente dell’agricoltura fu condotto sul
limitare, e gli venne diretto una specie di
omaggio, che avrebbe certamente meglio
convenuto alla memoria dell’ inventore del
l’aratro , od a quello , che primamente imaginò
di.assoggettare le corna del toro al giogo
dell’aratura. Questa riflessione fu da me
offerta al sacerdote, che mi serviva di
guida.
Enorso. La tua osservazione non é proba
bilmente sfuggita ai nostri predecessori: cre
dettero essi però meno pericoloso fare, l’apo
teosi degli animali viventi, che dell’uomo , in
nanzi ed anche dopo la sua morte, come si
usa nel territorio di Anubi (i). Accordare
(l) Porfirio, Astinenza della carne. IV- 9
262
gli onori divini ad un quadrupede, non porta
veruna conseguenza, e non è, tutto al più,
che una cosa ridicola agli occhi del saggio
austero; ma deificare un suo simile è dare al
l’ambizioso l’idea della teocrazia, il peggiore
di tutti i dispotismi.
PITAGORA. Sacerdote del sole, tu mi sor
prendi!
Enorso. Tu lo vedi. Qui si bruciano in
censi, e si gettano fiori a Mnevi (i): e
niente più. L’ agricoltore ritorna verso la casa
sua, dicendo: n Noi dobbiamo della rico
noscenza (a) al più necessario, al più docile
dei nostri animali domestici. « A pena è
rientrato, collo spirito ancora pieno delle ce
rimonie religiose, alle quali, non è guari,
ha assistito, va dritto alla stalla per accarezzare il compagno de’ suoi lavori, e gli
dice: » Sil io avrò per te quei riguardi stessi,
che hanno i sacerdoti per lo toro Mnevi (3);
non ti maltratterò mai, e saprò riconoscerci
(l) Diod. Sic. I. 55.
(a) Plut., Dc Iside, fonda l’origine del culto sulla
riconoscenza dell’uomo verso gli animali, per esempio,
verso il bue.
(5) Varrone, de Re rustica. II. 5. Pliu. Ilist. nal.
VIII. 45.
263
gh'rnalieri servizi che tu mi presti: strame
abnondante, foraggio.scelto, riposo tranquil
lo: giacché trovo in te un servo pacifico e
laborioso, tu non avrai in me un padrone
rigomso ed ingrato: avrò le stesse cure nel
la tua Vecchiezza; e le fatiche non eccede
ranno mai le tue forze.
PITAGI‘IRA. Pontefice! ma che pensi tu del
l’avvenimento che toccò a me in persona sulla
soglia del palazzo del toro nero (1)? Io mi
presentai, tra la folla , al quadrupede ruminan
te; Mnevi inoltrò la sua testa fuori delle
grate della sua santa prigione, e colla sacra
sua lingua si degnò di leccare la mia veste
di lino (2). A tal vista, i tuoi colleghi stessi
e tutto il popolo esclamarono: » Miracolo! « e ne tirarono per me i più onorevoli presagi.
Tenendomi a quest’ insigne favore del dio d’E’
liopoli, mi è permesso di aspirare un giorno
' ad una grande celebrità di saggezza e di
scienza.
Enorao. Ebbene! Che incoveniente vi tro
vi? Quanti uomini grandi non furono debi
tori di ciò che diventarono, agli incoraggia
(l) Plutsr. Isid. Porfir. Euseb. III. 15.
(2) Diogene Laerzio attribuisce questo aneddoto al
I’ astronomo Euclossio. Lib. VIII.
264
menti ottenuti nell’età dell’ emulazione! Sap
pi approfittarne, se non per giustificare l'ora
colo, pel vantaggio almeno de’tuoi simili.‘«
Osservate queste prime cerimonie , la pom
pa prese la sua direzione verso il Nilo, per
una via ombreggiata da palmizi, da aranci,
da cedri, e da una quantità di altri alberi,
clic rendono il doppio servigio, di offrire un
riparo continuato da Eliopoli fino alle rive
del Nilo, e di dare un nutrimento sano, fre
sco e leggero, quale si gode di poter ritro
vare in un clima, ove la sobrietà è un do
vere prescritto dalla dietetica.
Ma, prima d’uscire dal tempio, si passò al
gran sacrifizio. Il centro del santuario è oc
cupato da un altare, d’onde s’alza una fiam
ma pura, che non si estingue giammai (1).
Si gettò sopra quell’ altare una quantità di
frammenti di legni odorosi, e, sopra questi,
molt’ olio profumato. Durante l’ardore di quel
santo fuoco, i sacerdoti bastano appena per
raccogliere le offerte, che consistono in er
baggi e radicbe, mazzetti di mirto, ghiande
(i) Porlìrio Astinenza della carne. 11. 5, e 6. Eu
sebio, Prepar. evang. I. 29.
265
e noci, farina e focacce, frutti e legumi. Nep.
pure urla goccia sola di sangue non lordò
quest’atto religioso, istituito per ricordare al
popolo la sua primiera
, l’inno-_
cenza nativa degli uomini.
In un certo giorno dell’anno, Atene (1)
copia perfettamente quest’omaggio campestre
reso al Sole ed alle Ore,
Il Gerofante poi cantò allora la strofa del
l’Inno al Sole, composto‘per la festa, e
che dovevasi continuare, cammin làcemlo ,
al suono di tutti gli strumenti. Il sorteggio
era distribuito in varii gruppi: ogni gruppo
aveva due strofe da cantare, una pel coro
dei donzelli, l’altra per quello delle donzelle:
il che fu eseguito col più perfetto accordo,
essendo musicale l’orecchio egiziano.
Ecco quanto ne ho potuto ritenere:
(2) Porfirio , loco citate. 1.
266
CAPITOLO
LV.
Inno al Sole, come si usa nel tempio
di Eliopoli.
1.
Fonte inesìinguibile, inesauribile di luce e
di calore! ornamento il più bello dei cieli!
primo tra i benefattori deila terra! occiiio
del mondo! pittore della natura! architetto
dell'universo (l)!
II.
A te innalzarono, oh Scie! i primi loro
altari le nazioni; né altri avrebbero forse
dovuto innalzame. Divinità delle dodici ali (z),
i dodici grandi iddii (3) sono nati dallo zodia
co, che tu percorri.
HL
Sole! Tu non sei tutto; tu non sei Dio;
(I) Porfir. Acad. inscript. T. IX., p. 596. in n."
(2) Clement. Aless. Stram. V.
(3) Erodot. De la Barre, Mem. acad. inscripL.
T0m. XXVI. pag. 450.
267
tu non se’ il nostro Osiride infinito e invisibile;
ma l’0siride invisibile si mostra nel tuo di
sco ( 1). Tu sei la brillante unità, sola capa
ce di far-ci concepire la grande unità (a),
che tutto comprende. Tu se’ il primo degli
dei azoni (3): il tuo culto è universale. So
le! tu sei l’Alp/aa (4) e l’ Omega di tutte le
cose (5).
IV.
Sole! La Fenicia ti chiama Beelsamon o
Adonide, e qualche volta Annibale, o il dio ar
dente (6); l’Assiria Adad (7), o l’Unico; la
Persia Myhrou o Mythra; la Grecia Apollo (8),
o Bacco, o Ercole; altri Beleno o Giove; il
nostro Egitto talvolta Serapide; tu se’ il Sa
(1) In sacris Osiridis canticis inuocabant eum qui
in soli! radiis occultatur. Plut. De Iside.
(2) Principi della natura. T. I. p. 146. in 12.°
(3) Dii camunes.
Pitagora ha grecizzato la frase egiziana.
(5) Choerem. apud Euseb. Prepar. evang. III. 4.
Diod. l.
(6) Sauconiatone.
(7) Macroh. Saturn. I. 24.
(8) In alcuni de’ loro templi , iGreci adoravauo il
Sole sotto il nome di Eliopolilano.
268
turno degli Arabi, tu il dio Ammone della
Libia , tu il Belo dell’ Euli‘ate , tu il dio
Bondo (1) della città delle palme, tu 1’ Api
del Nilo.
V.
Ma il solo nome, che ti conviene, e con
viene a te solo, è quello di dio Veggente
Solo, tu sei tutt’ insieme gli dei (3). La
luce è la provvidenza del globo (4.). Sole!
se' il grande Abraxas dell’universo (5).
(2).
tua
Tu
Tu
se’ il nostro Elio (6), l’anziano de'nostri dei
e de’ nostri re.
(i) I fe’liches del Presid. des Brosses. pag. 122.
(a) Orid. Metam. - Omnia qui video, per quem
vide! omnia mundus. Mundi oculus. . . .
(3) Dea: omnes ad Solem referri. Macr. Sul. I.
pag. 17.
(4) Martiau. Capel. Nupt. phil. II. Giul. Imp. Orat. V.
(5) Salvatore. Questo nome ha dato luogo agli abra
ras, 0 amuleti egiziani.
(6) ” Un principe, il cui nome da’ Greci fu dato per
Elios, da’ Latini per Sol, fu , pel consenso di quasi
tutti gl’istorici, il primo a reguar sull’ Egitto: e quel
principe fu parimenti tento per la più amica divinità
del paese. “ Goguet, Origine delle leggi. Tam. 11‘.
pag. 217. in 4.”
269
VI.
Fenice brillante (1) di questo globo! oh
Sole! anche senza saperlo, tutte le nazioni ti
\ adorano. Tu se’ il Delfo dei Greci. Tu fosti
nnanzi a tutti i culti dei mortali, e sarai do
po di essi; da te , e per le nostre scuole, tras
se Omero quella catena d’oro, che unisce la
terra al cielo (2). Non è forse ciascun de‘
tuoi raggi quella catena d’ oro, la di cui l'or
za attrattiva (3) obliga i pianeti a non di
vergere da quella via, che tu loro hai prescrit
ta, intorno al brillante tuo disco?
VII.
Sole! Tu permetti ai popoli d’adorarti,
ora sotto la figura geroglifica d’ un lupo (4),
a motiyo della rapidità del tuo corso; ora
sotto le sembianze d’un gatto (5) , quello degli
(1) V. non dotta dissertazione latina sulla fenice ,
da pag. 78 a pag. 155 , nella Stoica philosophia di
G. Tumasi0, 1682. in 4.“
(a) Omero viaggiò in Egitto; secondo alcuni, vi nac
que. Vedi Pope , Saggio sulla vita d‘Omeno
(5) La gravitazione illustrata dai calcoli di Newton.
Pope, sopra Omero.
(4) A Licopoli, città di Egitto.
(5) A Bubaste , altra città d'Egilto, e in altri luoghi.
270
animali e ’è dotato della vista più penetrante;
più spesso, sotto l’emblema del toro e del
leone, per 1’ ardore di questi due potenti qua
drupedi.
VIII.
Quale idea formarsi dell’immensità della
natura, se ciascuna delle stelle, che scintil
lano nella volta de’ cieli, durante la notte ,
è un altro sole, simile a te, a te eguale in
potenza e in bellezza! Chi potrà mai mi
surare l’ incommensurabile estensione della na
tura? A te solo è dato di percorrere ogni an
no il gran circolo della vita (I).
IX.
Se le tue emanazioni producono tante ma
1‘aviglie, e stancano la nostra ammirazione :
che cosa sarebbe, se ci fosse permesso di
contemplarti in faccia, di studiar le tue leg
gi, di penetrare la tua natura, d’intende
re la celeste armonia dei pianeti (2), nella
quale tu se’ il primo concertante? Sole! tu
sei la lira dell’universo (3).
(l) Lo zodiaco. Vedi Occllus Lucanus.
(2) Phuruutus. Lor. Pitisci, verbo. Apollo musicus.
(5) Euseb. Prepar. Euang. II. 6«
’
271
X.
Tu sei l’autore dell’ordine: l’ordine, sen‘
za il quale la natura e la società non potreb
bero conservarsi. Se tu potessi per un mo
mento cessare di presiedere all’ armonia del
le cose, il caos non sarebbe più un nome
vano; non vi sarebbe più universo; tutto sa
rebbe nulla. T’ invocano ben a ragione gli
Zabieni (1) sotto il nome di Padrone del
bene (a).
XI.
Sole! Tu se’ il legislatore dell’ agricoltura ;,
tu ne regoli i lavori, prima di fecondarli.
La presenza tua è giorno, notte la tua as
senza (3). Padrone del tempo (4) , il tempo sen
za te ci sfuggireb-be (5); tu lo fissi agli oca
chi nostri, lo assoggetti ai nostri calcoli; le
(1) Popolo dell’India.
(a) Manichreismus ante Manichaos, Chr. Wel
phii, in B.°
(5) Se il sole non era, sarebbe notte. Eraclito.
(4) Espressioni incise sugli obelischi d’Eliopoli.
Vedi Ammiano Marcellino.
(5) Proc10, in Tim. IV.
27:
stagioni ti’ devono la loro esistenza; tu sei
Oro, padre dell’anno; le ore sono tue figlie.
Sole! Tu» sei la chiave (1) che apre le por
te del giorno ed i tesori della terra; tu se
mini tutta la natura (a).
XII.
Tu sei 1’ inventore defle religioni (3), il
provocatorc di tuttii culti, eccitando il pri
mo nell’uomo il sentimento dell’ ammirazione
e della riconoscenza. E come avrebbe potuto
l’uomo (4) negare di renderti omaggio? Gli
animali stessi sentono la tua divinità, e la
preconizzano. A te sono diretti i primi can
ti dell’uccello mattutino; e te saluta egli an
cora, quando tu t’inviluppi nel manto della
notte.
XIII.
Solel Fra tutti gli dei, che hannoi popo
(1') Su tutti i monumenti egiziani, Osiride porta una
Chiave.
(2) Macrob. Saturn. I. 17.
(5) Maimonide e Selden credono che l’idolau-ia
cominciasse dal culto del sula.
(4) I. Bernard, Nuofla rep. delle Zen. mano 1706
pag. 278, 279.
273
li, tu se’ il solo visibile (i) e presente nc'
loro tempii. Tu se’ il solo, che l’uomo au
dace fissare per lungo tempo non possa con
OCchi0 temerario. Nèi soli re si dicano figli
del Sole (2): tutti gli Egiziani lo sono.
XIV.
Gli altri dei devono il loro splendore alle
pie liberalità dei nostri re. Ma quando tutti
i re della terra riunissero i loro tesori, smon
gessero le forze dei loro popoli, per alzare
a te un monumento, non arriverebbero mai ad
ecclissare il dio con gli accessorii del tempio
suo. Tu se’ al disopra di tutti gli elogi, co
me di tutti gli esseri. Qual dio, qual m0
narca porta una corona più brillante della
tua? Dodici raggi compongono il tuo diade
ma (3). Tu se’ il tipo di quella lucerna di
(l) Kaimin. Plutarch. Isid.
(a) Allusioi1e all’obelisco di Ramessi.
(5)
. . . . Badiisque sacratum
Bissem's perhibent caput aurea lumina ferro,
Quod tot idem menses, lo! idem quod conficis‘ horas.
Man. Capella. Nupl. plu'lolog. II.
. . . . Cui tempora circum
durati bis un: radii fulgenlia cingunt.
- Virg. 1Eneid. XII. 162.
Tomo II.
18
274
trecento sessantacinque fiamme, che noi ti
consacriamo .
XV.
Tu sei, che hai dato all’uomo le prime
idee degl’lmmortali. Te osservando, l’uomo
esclamò: n ‘Vi ha qualche cosa di divino nella
natura. « - Tu se’ il Trismegisto ( Tripla
sian) dell’Egitto e del mondo.
XVI.
Primo re (1) dell’ Oriente, monarca (2) e
signore dell’universo, tu dispensi i tuoi bene
fizi a tutti egualmente. Tu indori il tetto del
ricco, tu ravvivi la capanna del povero. Se la
vetta superba delle montagne riceve i tuoi pri
mi ed ultimi raggi, anche la bassa valle ha il
Suo momento per essere da te vivificata. Viag
giatore presente da per tutto (3) , non v’è
luogo sul globo, ove non penetri il tuo
sguardo di fuoco.
(I) Pi rh, o Pi rhej - in egiziano, il Sole, 0
il re. Gehelin, SI. del Calend.
(a) 0 Jir, il; egiziano.
(5) Omero. Vedi anche Servio, 1Eneid. I.
115
XVII. ‘
Dio forte! Ercole-sole (1)! tu sei l’amico
del vecchio e lo spavento del malvagio; questi
attende la tua assenza per commettere il de
litto; quegli, con un piede
nella tomba,
chiede per ultima grazia, al suo_ momento
estremo, di poter contemplare, ancora una
volta, i consolatori tuoi raggi. Gigante infati
cabile (a), in ventiquattro passi, tu compì lo
giro del mondo. Scie-Titano (3) , tu se’ il fi
glio primogenito del cielo, come l’uomo è il
figlio primogenito della terra.
XVIII.
La tua luce ha creato il mondo: l’uomo (4)
è il padre dell’uomo; tu lo sei della specie
umana. Tu sei l’anima dell’universo, ed il
cuore della natura: il calore de’tuoi raggi ha
fatto nascere il grand’uovo. Astro maschio (5) !
(I) L’Ercole tebano, della Tebe d'Egitto.
(a) Virgil. Eneid. IV.
(3) Stazio.
(4) Sol cl boma generant hominem. V. il commen
tario curioso di questo vecchio proverbio, nell’opuscolo
intit. P_ylhagora.r di Stef. Rodrigo. Lione. 1621 in 32.
200 pagine. p. 51 , 52.
(5) Pliu. Ili.rl. nal. II. 100.
276
quando tu apparisci, non si può vedere altra
cosa che te: tu ecclissi tutto il resto.
XIX.
Primogenito dell’uovo del mondo (1)! tu
se’ il padre del dio nato da una pietra (a),
adorato dai Persiani. La selce ti deve il fuo
co, che in sè racchiude. Tu se’ anche il pa
dre delle cinquanta figlie (3); sei la testa
dell’universo e l’agente suo principale; sei
l’anima universale del mondo. Celeste Oro (4)!
Gran Demiurgo (5)! Tu se’ il tetracordo del
la natura, come dell’anno (6).
XX.
Figlio di Vulcano (7) , Sole! La tua azione
si estende sopra tutto, governa tutto, in cie
lo, in terra e nel seno dei mari. Gli animali,
i vegetabili, iminerali ricevono da te la for
ma, il colore ed il moto. Tu presti uno
(i)
(a)
(5)
(4)
(5)
Diod. Sic. I. 16, 17.
Caylus. Aut. Gall. Tam. III.
Le settimane.
Macrob. Saturn. I. 21.
Cheremon, sacerdote egiziano.
(6') Varro apud Nona. II. 22.
(7) Dupuis. Origine dei culti.
277
de' tuoi nomi più belli al più ricco dei me
talli, all’oro (1).
XXI;
Il tempio d’Eliopoli è opera tua, oh Sole!
Sei tu che, penetrando nelle viscere del globo,
generi la pietra, e le fai acquistare la consi
stenza ed il volume, necessarii agli usi diversi
della vita sociale.
XXII.
Sei tu, che invocbiamo sotto il santo
nome d’Arpocrate (2). Sei tu quel guerrie
ro sempre vincitore, che noi osiamo dar per
esempio agl’ iniziati negl’inefi'abili nostri mi
sterii. Il tuo disco serve d’asilo all’anima de
gli eroi. Ercole gira teco (S), e veglia ancor
sulla terra, per lui già purgata dai mostri.
Sole! Tu purifichi le anime (4.), dopo il loro
(I) Orna. Giornale dl Trevoux , in B.° 1709 ,
pag. 1705.
(2) Vedi l’Ammate di Cuper, in 4.°
(5) Secondo gli Egiziani, Ercole è collocato nel solo.
Plus. Isid. et 0sirid.
(li) Gudworth.
z 78
soggiorno nei corpi mortali (i), facendo ad
esse percorrere (a) la costellata tua zona (3).
XXIH.
Sole! Egli è nel tempio egiziano d’Eliopoli,
dove tu ricevi l’incenso più puro di tutta la
terra (4): ma, per concepire l’idea che di
te conviene all’uomo d’avere, monti egli alla
vetta delle montagne: là tu risiedi, là ti com
piaci di mostrarti in tutta la tua gloria Le
montagne sono i, soli altari degni del Sole.
XXIV.
Quand’anehe il tempio d’Eliopoli, il più
grande il più bello di tutti i tempii conosciuti,
fosse grande tanto, da poter contenere gli a
bitanti dell’Egitto tutti insieme: non sarebbe
forse un sacrilegio intraprendere di rinchiu
dervi una divinità, che riempie tutto l’uni
verso ?
(i) Obserwu. ad psychologìam pylhagoricam. 10a
«Îlc. Olle, Argentina, 1775, in 4.“
(2) Platone.
(3) Lo zodiaco.
(4) /Iîgypzii sole magie quam reliqui homineif gau
dent. Pieriua, Hierogl_y. m. [p
2 79
XXV.
Si chiede qualche volta ai sacerdoti d’ E
liopoli: C/li‘ ha fatto il Sole?
I sacerdoti rispondono: » E chi può essere
il padre del sole? Egli è generatore e generato:
egli ha i due sessiU). u Sole, tu se’ immortale;
tu ringiovinisci ogni anno, come il serpente;
tu se’ il brillante simbolo dell’eternit‘a (a).
XXVI.
Paragonato tu fosti ad una ruota, ad un
asse (3), messo in moto da una mano invisi
bile, più potente ancora di te. Questa mano
invisibile ha dunque costituito te il brillante
perno della sfera del mondo (4), ed ha fat
to, che tutta la natura sia in te potenzial
mente compresa (5).
XXVII.
Alcuni stranieri hanno detto ai sacerdoti
(I) Macrob. Sana-n. I. 20, 21.
(a)
(5)
opera.
(4)
(5)
Hyerogly. Horus Ape].
Anassimandro. V. i c. XXIII. XXIV. di questa
Macrob. Saturn.
Diod. Sic. Bibl. hist. I.
280
d’Eliopoli: » Eccoci nel tempio d’ Eliopoli:
noi vediamo il santuario, e l’altare, e i pon
tefici, ed il vapore dell’incenso che s’ardc;
ma ov’è dunque. il vostro dio? Mostratecene
per lo meno l’imagine. «
,
XXVIII.
Il nostro dio è da per tutto. Il cieco stesso
ne sente la presenza. Quale statuario potreb
be sperare d’olfrirne un simulacro rassomi
gliante? Chi ha mai potuto dipingere il so
le? E perché perdere la fatica ed il tempo
nel voler riprodurre, sotto tratti informi, un
originale cosi perfetto, e sempre visibile?
XXIX.
Altri interrogano i sacerdoti d’Eliopoli per
sapere, quante schene vi sono di distanza
dall’ Egitto al sole. - Mortale! che t’ importa
di saperlo, se il sole ti risparmia il viag
gio, degnandosi di scendere fino a te? Se
più fossero dappresso, l’Egitto e tutto il
globo si struggerebbero a’ suoi raggi , come un
globo di cera.
XXX.
Altri ancora, più temerarii o più ignoranti ,
28:
vengono a dire ai sacerdoti d’Eliopoli: n È
egli vero, che vi sono delle macchie sul di
sco del sole? « _ Per risposta,i sacerdoti
dirigono quegli ammalati al medico oculista (1).
Sole! Tu sei l’occhio dritto della natura (a).
XXXI.
Dio delle rivoluzioni! Anima del mondo (3)!
Sole! Tu sei per l’universo ciò che il Nilo
è per l’Egitto. Che cosa diventerebbe la no
stra cara patria, se restasse priva, per un sol
mese, per un sol giorno, delle acque salubri
e fecondanti del suo fiume nutritore? I tuoi
raggi sono catcratte di luce e di fuoco, che
fecondano la terra e ne rallegrano i figli.
XXXII.
La perla, il diamante, cdi fiori sono pro
dotti d’un sol de’ tuoi sguardi. Basta un solo
dc’ raggi tuoi per dipingere le piume degli
uccelli e le squame dei pesci. La giovine don
zella deve a te 1’ avorio de’ suoi denti, la viva
(I) In Egitto, ogni membro, ogni parte del corpo
aveva il suo medico.
(a) Mundanus‘ oculus. Mar. Capella. Sex. Empi
ricus, Ada. mathem.
(5) Macrob. Salurn. I. 18, 19. Soma. Scip. II. 12.
282
" porpora della sua bocca socchiu3a, e la scin
tilla degli occhi suoi. Sole! sei-tu che co
stituisci il bello.
'
XXXIII.
Sole! Le donzelle egiziane, bruciate da.
gli ardori tuoi,
potrebbero
rimproverarti
quella tinta bruna, che oscura la loro av
venenza. Ma sono esse perciò meno ama
te? Ov’è l’imeneo più fecondo, che sulle due
rive del Nilo? Se la terra è la Venere produt
trice (l) , tu sei l’Amore, che riscalda e vivi
fica tutto (a).
XXXIV.
Sole! tu hai fatto più per l’Egitto, che per
qualunque altra contrada. Per te, diventò esso
il padre dei popoli (3) , e la patria delle
scienze (1,). Continua a versare sulle nostre
teste e sul nostro suolo ituoi giornalieri fa
vori. Noi ti promettiamo solennemente di
nulla permetterci ,' che macchiar possa la pu
(l) Ossia Iside.
(a) Plutarc. in Amalario.
(S) P. Crinitus, Honest. disciplin. VIII. 2.
(4) Maerob. Saturn. I. 15.
283
rezza dc' tuoi raggi. I figli del Sole e delNi
lo devono essere tutti saggi, tutti buoni,
tutti felici. Sole! Dégnati d’essere sempre il
nostro gran Camefio (I).
XXXV.
Dio sole! dio forte! Tu, che hai fatto il
mendo; tu, che dai alla terra le forme e la
vita; tu, che ti compiaci in Eliopoli, più che
in ogni altra città; re dei diademi (a)! giac
ché degnasti fino ad oggi sorridere ai monu
menti, a tuo onore eretti in questo sacro re
cinto, per le cure di Mithra (3) , di Ramessi,
e di parecchi altri monarchi del tuo Egitto:
XXXVI.
Sole dio! continua a colpirci co’ tuoi
raggi creatori, di cui sono emblemi i no
stri obelischi. Re del fuoco (1,)! Padre eterno
(I) Custode dell’Egitto, nella lingua del paese. Ja
blonscki. Panlh. egypl. I.
(2) D
'
" e" "
"s, qui «r'
"hm lacit
soli: urbem . . . Plin. Ili.n. nel. XXXVI. 8.
(5) Plin. H/sl. nal. XXXIV, 8
(4) Nonnus, Dìonys. Cani. XL.
284
dei secoli (I)! Tu, che consumi e produci
tutto, deh! ci dona la tua luce quotidiana, da
Rossi: (2) fino a Nephte (3). Dio, che sei tut
ti gli dei! dégnati benedir noi, cdi figli dei
nostri figli, come hai benedetto i padri dei
nostri padri (4).
(I) Inno orfico ad Ercole.
(2) Primo giorno dell’anno, in Egitto.
(5) Ultimo giorno dell’anno.
NB. Le due ultime strofe sono tradotte quasi lette
ralmente dalle iscrizioni geroglifiche degli obelischi dl
Eliopoli.
‘
(4) Ammiano Marcellino. XVII. 100.
285
CAPITOLO LVI.
Altre particolarità sulla jèsta del Sole.
Congiura di una donna.
La sacra pompa arrivò a Cercesura , città
fabbricata nel sito, ove il Nilo si apre in
due braccia, come per rinchiudere nel suo
seno l’Egitto inferiore, sino al gran mare.
Erano stati colà preparati moltissimi cono
pèi (I), per uso delle donne. Questi conopei
sono certe tende o padiglioni, per guarentirsi
dagl’ insetti nati nelle paludi del Nilo. L’in
terno loro è fornito di comode seggiole.
Già da gran tempo, i sacerdoti d’ Eliopoli
hanno l’uso di qui venire, per attingere so
lennemente dell’acqua (a) in un vaso consa
crato, cui pongono vicino allo scarafaggio , nel
carro del sole: omaggio, che la nazione rico
noscente rende ai due suoi benefattori per cc
(1) Horat. 0d. IX, Tom. V. Vedi le Note di Da
cier. I nostri canapè vengono probabilmente dall'E
gitto.
"
(a) La:lius Rhodigin. Lect. antiq. XXVII. 5.
286
cellenza, il Nilo ed il Sole. Qui si replicarono
le sacre danze, rappresentanti i movimenti
misurati degli astri, e le congiunzioni armo
niche dei pianeti e delle stelle fisse. Questa
parte della festa fu tanto più brillante, che
il re Amasi aveva disceso il fiume, per assi
stervi, con tutta la corte, sicché il suo tre
no sembrava una piccola città galleggiante.
Ogni gondola o barchetta, che si chiama nel
paese Baris_(t‘, è una casa a parecchi so
lai. I marinari ed i servi del principe, i
favoriti e le favorite, tutti elegantemente ve.
stiti, andavano a gara per far onore al loro pa
drone con molto lusso. Osservai, che quasi
tutti gli astanti erano provvisti di amuletti
sotto la forma di scarafaggi, di terra cotta al
fuoco, e ricoperta di smalti a vari colori (2).
Amasi ne aveva uno sospeso al collo, compo
sto d’una sola pietra fina. Questo amuletto
gli serviva nel tempo stesso di sigillo reale:
quella specie di corsaletto che ha 1’ insetto
offre un'impugnatura favorevole a quest’uso.
Una barca tutta dorata attendeva il Coro
liante ed i suoi assistenti. Amasi, coronato di
(i) Propert. III. 9. Suida. Esiehio.
(i) Cnylus, Antichità, Toni. U. in 4.°
\
287
loto (I) , gli andò incontro per aiutarlo nel
santo suo ministero. L’anfora fu riempita, con
molta gravità, nel punto medio del Nilo, e
tosto portata sopra il carro, fermo sulla riva
del fiume. Per nulla ammettere del cerimo-‘
niale, il principe fece il sacrifizio d' una cop
pa d’oro (a), che si andò a gettare, in suo
nome , in un sito del Nilo, ove le acque girando
sopra sé stesse formano una specie di vortice.
Il re aveva condotto seco un coro di stru
menti, che non cessò di eseguire dei pezzi
(1' armonia. Tutta la sponda era coperta da
gran folla di popolo. La sacra pompa prese
un riposo di tre ore, durante il quale, la
corte diede un banchetto tutto di frutti. Il
principe dei sacerdoti ne ofl'erì le primizie
al sole in un vaso d’ argilla cotta, e incrostata
d’un bellissimo smalto; giacòhè i metalli ma
teriali sono proscritti da questo cerimoniale,
istituito per ricordare agli uomini il regno
della natura, i bei giorni dell’antica semplicità.
Erano state preparate moltissime tavole
lunghe, tanto vicino al Nilo, che l’acqua ne
bagnava quasi il piede. I sacerdoti avevano
(I) Iii“. Mad. inscript. Tam. II. p. 28l|. in 12.‘
(i) Solino. XXXII.
288
la loro; il re le sue, sotto una grande e su
perba tenda (1). Io fui ammesso ad una di
queste. Il popolo celebrò quella santa orgia
più ancora con allegria che con devozione.
In mezzo a questi clamorosi piaceri, fui
commosso da un uso, che meriterebbe di essere
praticato alla corte di tutti i principi. Amasi,
per segnare la festa con un’azione lodevo
le (2) , ordinò di mettere in disparte varii cibi
del banchetto reale, e di portarli nelle pri
gioni ad alcuni infelici, più degni di compianto
che di punizione. Sifl'atto cerimoniale annunzia
la grazia del colpevole: le porte della sua
carcere gli vengono aperte, e da quel mo
mento egli è libero.
Durante quest’atto di clemenza, si sospe
sero, in segno d’allegrezza, ai rami degli albe
ri , che ombreggiavano le tavole (3) , delle co
rone d’ acanto, d’arancio, e di pampino: an
che questo è un costume antico.
Il corteggio si collocò intorno ai pontefici,
per essere pronto a ripartire, al loro segnale.
(I) Lebenu, Acad. ins. hist. Tam. xx« [’85- 155
in 12.°
(2) Plutarco. Agide e Cleomene.
(5) Ellanico. Hìs‘t. egypl.
-
289
Il gerolimte non indugio molto a darlo; e
questo segnale era il ripigliare l’inno al sole,
premessavi un’imprecazione contro il crocodilo,
simbolo di Tifone.
Non conveniva ai sacerdoti di restare fino
al cadere del giorno, per non essere complici
o testimoni degli eccessi inevitabili in mezzo
ad una gran riunione di uomini abbandonati
ai piaceri della tavola. La sacra pompa ritor
nò dunque ad Eliopoli, ma per un altro cam
mino, in modo che la processione descrisse
un’ellissi, o una specie di circolo imperfetto:
questa figura serve in Eliopoli di geroglifico
per segnare certe irregolarità apparenti, che
l’occhio dell’osservatore incontra alle volte nel
le rivoluzioni planetarie intorno al sole.
Io ringraziai molto il sacerdote, che mi
aveva servito di conduttore, e, prima di la
sciarlo , gli dissi: » Sul territorio di Tebe in
Beozia , celebrano i Greci, ogni nono anno, una
festa in onore d’Apollo, che ha _molta rela
zione con quella d’Eliopoli. Un uomo giovane,
cinto la fi‘onte d’un diadema d’oro, porta un
olivo, sull’ alto del quale vi è una sfera oma
ta di trecento sessantacinque corone di lauro:
un coro di giovani donzelle cammina all’ita
Tomo H.
l‘9
ago
torno , intuonando dei cantici che si dicon par
tenii. «
Enofèo mi rispose, incamminandosi per
raggiungere la sacra marcia: n Di tuttii po
poli, il greco è quello , che ha più di me
moria. «
Prima di riprendere la via d’Eliopoli, il
Gerofante supplì ancora» ad un altro antico
cerimoniale: lanciò sulle acque del Nilo una
barchetta di giunse, dopo avervi posta den
tro una statua d’Osiride (1), uno dei tipi
del sole.
Io restai sulla riva, avendomi proposto
Amasi, per ritornare a Menfi, un posto fra
le persone della corte, in uno dei carri del
suo seguito. Durante l’orgia sacra ed uni
versale, mi dedicai all’esame di varie par
ticolarità, che dovevano sembrarmi curiose.
Considerai la forma delle navicelle, che sono
altrettanti schifi molto leggeri e solidi nel
tempo stesso, costruiti di steli d’una pianta
simile al loto. Questi steli sono divisi in pez
zi lunghi due eubiti, che si connettono , assi
(1) St. Lemoyne, Dissertatia lheolog. ad loflun Jes
ram. Dordrecht. 1700. in u."
291
curando e coprendo le_interne commessure con
canne. Se ne fabbricano di tutte le grandezze,
e portano facilmente nel loro centro un picculo
edifizio di legno dipinto o dorato ( I) , secondo
le circostanze: l’interno è distribuito in gra
ziosissime cellette; la luce ed il fresco vi pe
netrano a traverso certe aperture graticolate.
Queste barche del Nilo hanno soprattutto la
singolarità di non avere il timone alla prora,
ma sul fianco (a). Gondole simili possono con
tenere fino a dugento persone (3); ma non
servono che sino ad Elefantiua, perché il fiu
me diventa colà per esse troppo rapido.
Assistendo al resto della festa, dopo tra
montato l’ astro, che n’è l’oggetto, degenera
re la vidi in un’ orgia completa. L’assenza
dei sacerdoti d’Eliopoli toglie ogni freno: e
l’esempio del re, che s’inebriò insieme coi
capi della sua guardia, era poco atto a rite
nere la moltitudine nei limiti della modera
zione. Il di lui figlio, più temperante, era già
ritornato a Menfi da sua sorella. Le favorite
approfittarono della libertà accordata loro dal
(1) Diod. Sic. Bibl. hisl. I.
(2) Musaico di Palestrina. Eliodor. Ethz'ap. V.
(5) Maillet, Descript. de l’Ègypte.
291
la doppia circostanza della solennità e del‘
l'ebbrezza d’ Amasi , per dedicarsi ad altri
piaceri di loro scelta. Altazaide, quella per
siana, che teneva il primo posto negli affetti,
o piuttosto nelle abitudini del principe, erasi
dileguata dalla sua mensa, per sottrarsi alle
conseguenze della crapula. Io l’incontrai, che,
accompagnata da una sola delle sue femmine,
passeggiava in un luogo appartato. Bella ed
altiera, non le mancava che il diadema da
regina, avendone il nobile contegno, il porta
mento imponente, e le pretensioni imperiose.
n Pitagora ,' mi diss’ella (1), nel vedermi
passare, tu ci sei dunque restituito. «
PITAGORA. Principessa! Nel circolo dei pia
ceri, onde tu sei l’arbitra e la sovrana, come
hai potuto distinguere uno straniero poco fat
to per lo splendore delle corti?
'
ALTAZAIDE. Il protetto d’un re, e più an
cora, un saggio, da per tutto ove si presenta ,
lascia tracce della sua memoria . . . Hai tu
ottenuto presso ipontefici d’Eliopoli l’ogget
to de’ tuoi desiderii?
’
PITAGORA. Essi furono discreti e sobri. Mal
grado la raccomandazione del re, mi riman
gl) Le mire d’Altazaide sono indicate dalla storia.
293
dano ai sacerdoti di Menfi. Io mi ripromette
va da loro maggiore osservanza.
ALTAZAIDE. Ciò non mi sorprende punto.
Prusom. Come?
Anwazamn. Amasi non sa imporre abba
stanza per farsi obbedire, come si deve nel
suo p0sto. «
Altazaide si fermò un momento per fare
un gesto alla donna, che l’accompagnava; e
questa si ritirò rispettosa.
ALTAZAIDE. Pitagora! Io non ti vidi che
per un momento: ma quel momento mi ha
stò per giudicare di te. Ascolta. lo calcolo sulla
tua diicrezione, o, per lo meno, sul tuo in
teresse ad essere prudente. Già da parecchi
giorni, io vado ruminando in testa un gran
disegno; esso è degno del saggio, e me ne
bisogna uno per ajutarmi ad eseguirlo: tu sa
rai l’uomo che mi bisogna. Non sei tu, quan
t’io lo sono, indignato, riflettendo alla mi
sera condizione della specie umana? Senza
uscire dall’Egitto, io novero quasi trenta mi
lioni di uomini, sotto lo scettro di chi? . . .
Tu lo vedi là giù: sotto lo scettro d’un av
venturiere, che si voltola nel fango, e le cui
concubine han più costume e ritegno che lui.
PITAGORA. Principessa! . . .
agi,
Annzame. Non temere. Siam soli, e 'con
ta già sul mio secreto.
Prraoons. Altazaidel . . . Io non sono qui
che uno straniero.
ÀL‘I‘AZAIDE. Ed io pure. Ma, benché nata
persiana, dispensata perciò non mi credo di
eompiangere la specie umana, e di sollevarla,
potendo.
Prrs‘oons. Io credo che gli Egiziani saa
Prebbero scuotere essi medesimi il loro giogo,
se lo trovassero troppo pesante.
Anwxzsmn. Ed io, senti come penso. Non
è saggio, chi non Vuol esserlo che per sé.
PITAGORA. Alta‘zaide mi mette, senza dub
bio , alla prova. Fatta per abbellire e richiama
la corte d’un gran re, distributrice delle sue
grazie . . .
Anrszsrne. Ed aggiungi , se ti piace, la pri
ma delle sue eoncubine. Ma sappi, che mi
vi sono adattata, per rappresentare una parte
più degna d’ un’ anima elevata.
PITAGORA. Progetti si alti male convengo
no ad un oscuro partigiano della verità. Io
non farci che accrescere la folla degli ambi
ziosi insensati e temerarii. Tu stessa, Altazai
de, temi di vederti scopo alle onte della ca
lunnia. Non si vorrà mai credere, che una pas
295
sione più nobile, più pura, più disinteressa
ta dell’ ambizione, sia stata l’unico impulso
alla grande catastrofe, che tu vai meditando.
Vi saranno anche degli uomini , i cui principii
austeri si concilieranno male con le circostan
ze in mezzo alle quali tu ti ofl'rirai ad essi.
Perdona alla mia sincerità: questi uomini
esigenti ed alteri rigetteranno il vasto piano,
anche perché chi l’ha concepito professa uno
stato . . . per lo meno, sospetto.
ALTAZAIDE. Poco mi cale di ciò che si vor.
rà dire a mio carico. Quando si tratta di
provvedere al bene di milioni di uomini, in
differente è la strada che si fa loro tenere, co
me la mano che li guida. Il mio nome sarà un
giorno benedetto nei templi. Pitagora! tutto
ci favorisce. Le considerazioni personali non
ci entrano per niente. Noti senza dubbio ti
sono i vili mezzi adoprati da Amasi per
elevarsi
fino al
trono. L’Egitto,
superbo
pel rango che occupa fra le nazioni, si ver
gogna d’ aversi dato un tal capo; eppure, gli
avrebbe perdonato l’umiltà dei natali, se cu
rato egli si fosse di farli dimenticare colla
dignità della sua condotta. Amasi non è né
amato nè considerato, e nulla ha fatto per
296
esserlo. La guardia straniera, che lo circonda,
gli rende avverse tutte le truppe nazionali
Tutto questo popolo, per natura inquieto (Il ,
mormora nel vedere la preferenza qui data
ai Greci, ed il disprezzo per gli usi del pae
se. I sacerdoti debestano il principe, e non
ne fanno un mistero: tu stesso hai veduto,
come fu ricevuto in Eliopoli il sigillo reale.
L’ora pr0pizia è giunta: benemerito si ren
de degli uomini, chi coglie ogni occasione
per affrancarli. Esiste un partito, che non at.
tende per dichiararsi se non una prima scintilla.
E, non dubitarne, questo partito, se ha bL
sogno di soccorsi, li troverà presso le po
tenze vicine. La corte di Persia è flavorevol
mente disposta; prevenuta per varii secreti
motivi contro Amasi, essa agirà, alla prima
notizia d’una rivolta.
PITAGORA. Altazaide! E quali sono i tuoi
ulteriori disegni?
ALTAZAXDE. Prima dell’ avvenimento, non si
può . . . Eh! non sarebbe la prima volta, che
l’Egitto avesse messo alla testa de’ suoi affari
(I) Tertulliano così caratterizza gli Egiziani: 68718
ria‘os’a erga suos reges.
291
qualche stranieroyra0comandati già per aver
le prestato un si distinto servigio, la na
zione, troppo popolosa onde pensare ad una
forma di governo più libera, potrebbe offrire
a noi due il posto di Amasi, quando questi
fosse restituito alla prima sua oscurità.
Puracona. Principessa! Io rendo omaggio
all’arditezza delle tue viste, e ti ringrazio per
avermi creduto capace di associarmi alla tua
gloria ed al tuo genio. . . Ma io ti cedo la
mia parte del trono. I miei sono ben diversi
da’ tuoi principii; ave'mzati dunque, senza di
me, nella larga e pericolosa carriera, che ar
di di percorrere; e non cercar di sviarmi
dallo stretto sentiero, pel quale mi sento
dalla natura chiamato. « In quel punto, si venne ad annunziarci la
partenza del re, ed il suo ritorno a Menfi.
Altazaide mi disse, lasciandomi: » lo crede
va che i saggi avessero più carattere. «
Io gli risposi: » Conte’ntati di volerli dis
_cret1. « -
Questo dialogo, benché non m’ inquietasse
molto sulle sue conseguenze, mi fece nondi
meno riflettere sulla causa delle rivoluzioni
politiche. Un re di Persia è geloso di quello
di Egitto. Non osando abbandonarsi ai dubbi
“k
'29’8
rischi d’una guerra aperta, incarica miadom
na giovine e bella ed intraprendente, della
cura di vendicarlo: » Persiana, introduciti, le
dic’egli, alla corte d’Amasi; inebbrialo nei
piaceri; rendilo nel tenipo stesso odioso e
spregevole a tutti i suoi sudditi; getta quin-.
di gli‘oechi intorno a te, per cercare qualche
giovine ambizioso, che s’in'tereSSi nelle tue
viste; proponi un capo ai malcontenti; e pre
vieni me dell’ora, in cui dovrà scoppiare la
cospirazione. Io mi presenterò alla frontiera;
e frattanto che si cercherà, nell’interno, di
riuscire, io proteggerò colle mie armi il par
tito insorgente. Metterò allora la nazione co
si nell' alternativa o di cangiar di padrone , o
d’avvilupparsi in una guerra civile; nell’ uno
come nell’altro caso, il mio trionfo è certo:
il popolo del Nilo sarà 0 mio tributario o
mio servo. u
Tal è probabilmente il piano propostosi
dal're di Persia: e chimerica non n’era la ese
cauzione. Cosi dunque il destino di venti e
più milioni di uomini, della nazione più an
tica, del paese più bello_ della terra . trovavasi
in mano d’una cortigiana, od in balia d’un
giovine avventuriere!
Per dissipare queste importune idee di po
‘
299
litica , io ascesi, sul far dell’alba del seguente
giorno, un’eminenza vicina a Menfi; ivi, al
l" alzarsi del grand’ astro, cercai di ricordarmi
le strofe principali dell’inno al sole, cantato
nel tempio d’Eliopoli. Condotto dall’argomen
to , trovai con maraviglia che m’ingegnava di
gareggiare coi poeti sacri dell’Egitto", e di
aggiungere alle loro alcune delle mie idee. Se
la poesia ha bisogno di oggetti maravigliosi,
di grandi imagini, di magnifici spettacoli: ove
può trovare quadri più brillanti più variati più
maestosi di quelli dell’ astronomia? ov’è la
natura più imponente , che nel suo sistema pla
netario? Non è forse un richiamare le muse
alle vere loro funzioni, consacrare la lira
all’ armonia dei corpi celesti? Alla vista dei
fenomeni, che giornalmente presenta la volta
eterea , l’ imaginazione s’ infiamma, nasce l’en
tusiasmo, ed alzandosi il poeta a paro del
suo tema, deve farsi com’esso sublime. E
chi può restare assopito al levar dell’auro
ra ? chi ravvivar non si sente, alla presenza
dell’astro signore del giorno? qual viaggia
tore può difendersi da una dolce malinconia,
quando, in mezzo ad una bella notte d’ estate,
tacito cammina, al blando chiarore dell’argen
tea luna? L’ astronomia appartiene partico
300
larmente alla poesia: in tutti gli altri feno.
meni offerti alla nostra ammirazione ed alla
nostra riconoscenza, la poesia ha per rivali
tutte le altre arti. La pittura, la scultura
aspirano anch’ esse all’ imitazione della natura:
ma quale altra può, come la poesia , darci la
idea del movimento degli astri? come potreb
be lo
scultore rappresentare una cometa?
qual pittore assumerebbe di raffigurarci le
leggi e la durata (1’ un ecclissi, di rimontarne
alle cause, e di riprodurne gli effetti sul
l’occhio e sull’anima d’un popolo ancora scl
vaggio, od anche di quello che non è più
tale?
_
.
Eppure, non esiste ancora un poema de
gno di tal materia. Divino Omero! Perché non
preferisti il sole al coraggioso Achille , ed an
che al saggio Ulisse? Ma forse fu migliore
il tuo consiglio. I passi giganteschi, che fece
la Grecia nell’astronomia, sono recentissimi;
e le Muse avrebbero quindi dato 1’ immorta
lità a degli errori: il buon Esiodo è tutt’al
tro che astronomo. Tuttavolta, i poeti, che
hanno 1’ orecchio più musicale degli altri
uomini, non avrebbero potuto renderci sen
sibili i movimenti armoniosi del cielo planeta
rio? Se non che, diciam pure: » La natura
301
dei suoni prodotti dal concerto degli astri
non è proporzionata all’orecchio umano. a
Alcuni giorni dopo, io resi conto al re del
l’ accoglimento fattomi in Eliopoli , e gli chie
si la permissione di servirmi ancora del si
gillo della sua corona, per essere ammesso nel
collegio di Menfi.
nPersevera, mi‘rispose Amasi. La dottrina
dei pontefici è proprietà loro: io non ne ho
verun diritto; non posso che cccitarli a rice
Vere favorevolmente gli stranieri, pei quali io
m’interessa Il tuo sovrano Policrate è più
fortunato: i sacerdoti di Samo non oserebbero
mai ciò che si fanno lecito quelli d’Egitto:
e peggio ancora andavan le cose innanzi a
Ses0stri. Ma una sana politica consiglia di
non urtarli. Possono essi leggere sul pelo
del bue Api (I) il decreto che priverebbe mio
figlio della successione al trono. Altazaide ha
saputo distinguerti, e mi ha parlato di te.
Essa non è una donna comune. « Altazaide arrivò in quel momento; ed a
vendoci Amasi lasciati soli, per andare ad
un sacrificio, ella mi disse: n Pitagora! Sei
tu ancora nelle medesime disposizioni? e
(i) Plutarco, Iside ed Osiride,
302
PITAGORA. Non si cangia di principii da
un sole all’altro.
Aurszauas. Qui non si tratta d’una teoria
nuova. Sai tu perchè le nazioni non sono
abbastanza felici? Perché i saggi non sono
abbastanza ambiziosi.
PITAGORA. Allora non sarebbero più saggi.
ALTAZMDE. Prosegui nelle tue dotte specu
lazioni. Va a regolare il movimento dei pia
neti, e lascia i tuoi simili nel disordine; Ep
pure, hommi sempre creduto, che si dovrebbe
occuparsi della felicità della terra, piuttosto
che dello stato del cielo.
PITAGORA. Gli uomini non sono suscettibili
di correzione, come gli altri animali; si per
de la fatica, volendo renderli più felici che ‘
non sono.
_Aurazamz. In Persia, è comparso un secon
do Zoroastro (i), che non ha i tuoi scrupoli.
Prracona. Io non ne invidio la gloria nè
i successi.
Acmzunr. La storia è piena di rivoluzio
ni politiche.
’
‘
PXTÀ.GORA. Quasi tutte operate col profitto
dei pochi soltanto. La massa resta sempre la
stessa.
(i) Anquelil , Zendmvesta , inilia.
303
ÀL'l‘AZAIDE. Che importa a noi della mas
Sa? Il suo destino deve seguire il nostro; e
quand'essa trova dei padroni, che la tratta«
no con dolcezza , non ha che desiderare di più.
PITAGORA. In somma, non penso di dover
compromettere la mia tranquillità per un ri
sultato si poco soddisfacente. Altra carriera mi
si apre dinanzi: lascia che mi slanci verso un ‘
oggetto, che mi sembra più onorevole e me
no risicoso.
ALTAZAIDE. Pitagora! . . .
Prmcom. Nato in bassa fortuna, lasciami
vivere in questa: voglio in questa morire.
Anwaz1umz. Addio, Pitagora. «
Altazaide, posando 1’ indice sulle labbra
chiuse, aggiunse: » Sopra di tutto, non di
monticarti di sacrificare al dio Arpocrate. «
IIN8 DEL
TOMO SECONDO.
I N I) I C E
DE’CAPITOLI
CONTENUTI
NEL
TOMO
SECONDO.
-<:m<>
CAP. XXIX. Preci a Venere. . . pag.
CAP. XXX. Viaggio a Sidone. - Gli
3
atomi di Mosca. . . . .
. »
CAP. XXXI. Prime Origini fenicie n
12
29
CAP. XXXII. Particolarità sopra Si
done, Berite, Biblo.-Feste di
Adone . . . . . . . . . . . . . . »
3q
CAP. XXXIII. Viaggio a Tiro . . . n
51
c». XXXIV. Annali di Tiro .
» e.
CAP. XXXV. Viaggio in Egitto. Rico
noscimento delle Coste. . . . n
66
CAP. XXXVI. Pitagora a Canapa . n
CAP. XXXVII. Topografia dell’Egitto n
74.
84
CAP. XXXVIII. Origini egiziane. -
Osiride . . . . . . . . . . . . . n 101
CAP. XXXIX. Menete, Osimandia, la
regina Nitocri, Sesoctri . . . n 114
CM», XL. Cete, Seta sacerdote e re,
Ecate'o, Psammetico . . . . pag.
123
CAP. XLI. Aprio, Amasi . . . . . . n 132
CAP. XLII. Culto e costumi di Cano
po. -- Tempio di'Serapide . »
141
CAP. XLIII. Viaggio a Naucrazia ., n
141
XLIV. I prodigi dell’Egitto. . n
151
CAP.
CAP. XLV. Continuazione delle mara
viglie dell’Egitto. . . . . . . . » 161
CAP XLVI. Pitagora a Menfi.-- Co
CAP.
stumi privati degli Egiziani. » 176
XL.VIL Particolarità domestiche
dell’ Egitto. -- Commestibili. Ar
ti,e Mestieri. .. . . . .. . » 188
. n
XLVIIL Sulle Donne
CAP XLIX. Pitagora alla corte d’A
CAP.
masi. . a a u nana.
202
. . » 208
CAP. L. Viaggio ad Eliopoli . . . . n 214
CAP. LL Pitagora nel tempio d'Elio
poli . ooo'ocounooauu n 222
CAP. LII. Calendario egiziano. . . . n 231
(In. LIII. Particolarità sul culto del
Sole.....
...n 239
CAP. LIV. Descrizione della gran fè
sta del Sole. . . . . . . . . pag. 25m
CAP. LV. Inno al Sole, come si usa
nel tempio di Eliopoli . . . . n 265
CAP. LVI. Altre particolarità sulla fe
sta del Sole. _ Congiura di
una donna...........» 285
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