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NATIONALBIBLIOTHEK 417.624.522. 2 ./ ‘ VIAGGI IN PITAGORA m norma, , NELLA CALDEA , mn’mmu, m CRETA, A SPARTA, m sxcmm, A ROMA, A CARTAGII‘ÌIL, A MARSIGLIA x manu: GALLIE SIC Ul'l‘l BALI-l SUI LEGGI POLITICHE E MORALI. Prima Traduzione Italiana. TOMO SECONDOf VENEZIA "L'IPOBI\AFIA ANDREOLA ~1828. _‘. 8QOQOOOGGQOOGOQQOOOOQOQGQQOQQSE VIAGGI DI PITAGORA CAPITOLO XXIX. - Preci a Venere, Non avendo potuto assistere alle feste, e poco importandomene, mi procurai il libro delle invocazioni. - Fra gli anelli scolpiti da mio padre, e portati meco da Sarno, scel si un soggetto, che potesse piacere ai sacer doti, e feci loro il presente d’un’ametistn rap presentante un delfino. In cambio (Ii questa, ebbi il libro desiderato, con una immagine di Venere per giunta. Miei cari discepoli! Voi vedrete in questa raccolta di Preci, quanto sono gli uomini in conseguenti. Lo spirito del culto reso a Ye-. nere è purissimo. E perché dunque gli atti religiosi corrispondono tanto male alle parole consacrate? » Nel giorno della solennità, mi disse il pontefice, sopra ciascheduno altare, un uo I; mo ed una donna, spogli, come la dea sor gente dal mare, ardono incensi alla stessa ora. È questo un uso antico. Pnmcom. Dove collocate voi la divinità? Io qui non vedo statue nè di marmo né di avorio. In PONTEFICE. Eccola. PITAGORA. Come? questa piramide Bianca ?.. . questa pietra rotonda rappresenta Venere?... IL PONTEFICE. Egli è un antico mistero. Non mi fu possibile rilevare di più. Ora, miei cari discepoli, scorriamo insieme il libro delle invocazioni. mvomzxom A VENERE, usate nel tempio di l’afa. Oh Venere! A te piace (1’ essere invocata sotto questo nome, il più bello de’ tuòi no mi, quello che ti è proprio. Non viene forse tutto da te? non va tutto a te? 011 Venere! Il tuo nome è la parola più -gacra dell' idioma dorico, perché dinota l’es sere più interessante di tutta la natura, una giovine vergine! Oh Venere Aligena.’ Noi t’invochiame, figlia del mare, dea nata dal sale, dal pri mo agente della fecondità degli esseri. Tu se’ 5 il sale della vita; senza di te, senza il sale dei piaceri , che cosa sarebbe l’ esistenza? Oh Venere Anadioména .' Noi t’ invochiamo con questo nome, perché sotto di esso i dot ti ricordano l’origine del mondo uscito dalle acque. - Venere, che spreme fra le dita tutta l’acqua compresa nella sua lunga capel latura, è l’imagine della terra, che a poco a poco si libera dalle acque ond’era coperta. Oh Venere Idalia.’ Piace a te questo no me, perchè in nessun luogo della terra tu se’ invocata più spesso e con più di fervore che nei boschi idalii. Avvi un sol albero in que’ boschi, a’piè del quale non abbia tu ri cevuto un'offerta? Oh Venere Greca! Tu non sei ben cono sciuta che dai felici figli della Grecia. I Greci soli t’hanno già alzato più altari, che tutti gli altri popoli uniti; tu devi ad essi la tua flivinità, sentita appena dalle altre nazioni. Oh Venere Generatrice! Oh Venere Con :ervatrìce.’ Tu sei la prima causa di tutto; tu sei pure quella forza espansiva, anima dell’universo, che si conserva soltanto per la scambievola reazione degli esseri. Oh Venere Pudica.’ Il pudore succede all’innocenza, quando l’età di questa è P25 6 sata: il pudore, di cui tu pure, o Venere, ti adorni. Oh Venere Dea buona! Nelle nostre ina vocazioni, come potremmo questa obliare! _La , dirigiamo all’inventrice delle messi nutritive: e tu, sorgente dei piaceri riparatori, buona Venere, tu la meriti senza dubbio di più. Oh Venere Aurea! Tu sei fra le divinità ciò ch’è l’oro fra i metalli. La stagione del l’amore non è forse l’età d’ oro della vita? Oh Venere Pantea.’ dea di tutte le per fi:zioni! Non sei tu la divinità del bello per _ eccellenza? Tu possiedi, tu riunisci la supre ma bontà di Giove, le alte qualità di Giu none, l’industria di Pallade, la saggezza di Minerva, l’ eloquenza di Mercurio, il corag gio di Marte, la forza d’Ercole; e, per met tere il colmo a questa universalità di perle zioni, di cui tu sei dotata, oh Venere, le Grazie ti cedono il loro cinto, il quale ti può bastare per tutto il _resto. Oh Venere Panaitete.’ Sotto questo nome, poco noto al volge ignaro, noi t’invochiamo eziandx’o come la causa di tutti gli effetti, co me la mediatrice di tutti gli esseri. Oh Venere Arenta.’ Gli amanti, ai quali vien differita la bramata unione, t’ invocano ‘ 7 nella giusta loro impazienza. Tu insegni lo ro i mezzi di addolcirsi le pene, prodiga lizzafadosi innocenti carezze, di cui 1’ Ime neo non dimanderà conto all’ Amore. Oh Venere Frugifera! I fintti della terra son l’ opera tua, in essendo quella, che la rendi amorosa, e la disponi a ricevere nel suo seno ed a moltiplicare i semi di tutto quello che Vegeta. Senza i dolci calori di Ve nere, non ci ha raccolto. Oh Venere Melinaia.’ dolce come miele. 'Se nota «si fiasse qualche cosa più dolce e più balsamica del miele, sarebbe quella per noi un soggetto onde invocarti. Oh Venere Placida! mediatrice! Tu, la: richiami la pace nelle fiuniglie,"fiu sei la divinità della buona concordia. Non vi sarebbe guerra fra i mortali, se te pren dessero per loro arbitra. Tu colmi i. traspor ti omicidi d’un eroe; ed, alle ni, le armi micidiali cadono di battenti. Oli Venere Barbata! Noi sotto l’ attributo della virilità, la divinità dei due sessi. tue invocazio mano ai com t’invochiamo perché tu sei Oh Venere Negra! di notte: Le giovani 8 spose promettono a’ tuoi altari d’essere pedi che fino al cadere del giorno: tu ci vuoi tali anche in seno alla voluttà. Oh Venere Epitìmbia! A Delfo s’iuvoca no nel tuo tempio i trapassati, perché la dis soluzione degli esseri è necessaria alla loro riorganizzazione. Se la morte nasce dalla vi ta, anche la vita nasce dalla morte: questo rapporto tra l’esistenza ed il nulla avverte almeno gli uomini, che l'abuso dell’una ac celera il ritorno dell’altro. Oh Venere Libitina.’ Roma nascente ha cre- f duto di dover imitare Delio, consacrandoti un altare sotto il titolo della divinità, che presiede ai funerali. Ivi si provvede tutto ciò che concerne il lutto; ed il benefizio di que sto traffico, deposto in una cassa, è consa- _ crato al mantenimento del tuo culto. Oli Ve nere! La morte paga le spese della vita. Oh Venere Libentìna.’ Sei tu, che emarif cipi le giovani donzelle; tu ti compiaci di sorridere al tributo d’un’ fantoccio, ch’ esse depongono sopra le tue are, quando diven tano nubili. ' ' Oh Venere Sponsa.’ Se le donne devono invqcarti in tutti i momenti della loro Vita, 9 lo devono specialmente, quando dallo stato di vergini passano a quello di spose. Oh Venere Sociale! Tu se’il primo lo game degli uomini riuniti in ‘società. Dal primo matrimonio nacque l’incivilimento. Il fondatore d’ una città prima te invoca di tutti: le altre divinità. Oh Venere Vulgivaga.’ Si accordi qualche , cosa alle debolezze umane; e si tollerino dei disordini, per evitarne di maggiori. Oh Venere Morfo! I Laceclemoni non ti hanno forse nemica , per aver dato alla tua statua di legno di cedro l’attitudine di una donna seduta, colla testa velata ed i piedi allacciati? Lezione utile, per avvertire, che la bellezza non dispensa una donna dai doveri domestici, e non l’autorizza a peregrinare pel ‘mondo, ad esempio di Elena. La sposa 7 fedele a’suoi lari ed al suo marito non t’in voca invano giammai. Oh Venere Morfol tu le conservi, tu le assicuri il dono di piacere. Uno sposo saggio la trova sempre bella abbastanza. Oh Venere Epistrqfia! La città di Megarfl ed il suo territorio ti dovevano questo mo numento della loro. riconoscenza, perché tu ì0 richiamasti gli uomini da quegli amori mo struosi, che gridano alla natura. Oli Venere Prospici’ente.’ preveggente. La tua saggezza non istà nella previdenza dell’av venire , ma nel buon uso del presente. . . Prima di allontanarmi da quei luoghi, in mi feci un dovere di sacrificare alla di vinità; ma invece d’accostarmi agli altari, ove s’immolavano i becchi ed altri animali ma schi, io mi contentai di lasciare un’ offerta (1’ incensi e fiori. Sarebbe mal ricevuto, nel tempio di Ve nere, chi vi si presentasse colle mani vuote. Le giovani donzelle vi portano i balocchi della infanzia: gli amanti, la lucerna che ri schiarò i loro amori: le cortigiane, altri pic coli simboli della lor professione. Io vi osser vai certi veli femminili d’un tessuto sottile quanto la tela dell’insetto d’Araòne, degli specchi, delle capellature acconciate , dei brac cialetti, e perfino dei coturni eleganti. Tutti questi presenti hanno un significato, non sempre ones'to e virtuoso. 'Distinsi fra gli al tri il dono d’ una statuetta di Venere, di bel marmo paria, fatto da una straniera; sotto 11 la base, lessi la seguente iscrizione: n Io non chiedo alla divinità di questo tempio che il favore di vivere sempre in Buona unione col mio sposo. « Nel tempio di Venere a Pali) si allevano molte tortorelle della specie più rara. Questa troppo famosa città va soggetta ai terremoti. Il suo territorio, e quello di tutta l’ isola producono belle olive, mandorle dol cissime, e fichi (i). (1) Vedi Comment. Patini in monum. Marcell. in b" 1658. Memorie Sopra Venere di Larcher. Selden. de Dii.s' s)’r. Apnlejo. Lucrezio ecc. 12' 'CAPI’I‘OLO xxx, Viaggio a Sidone. Gli atomi di Marco. Il mio piloto d’Arado mi ricondusse nella sua isola, e volle poi guidarmi anche a Side ne. M’incaricai di certi reclami, che gli Ara clonii presentavano alla loro metropoli; ed il nocchicro riportò loro una favorevole risposta. Questa fu l’unica mercede, che potei far gli accettare. Egli mi sbarcò sulla spiaggia, in distanza di cinquecento passi dalla fontana del Serpente. Notai sulle mie tavolette un’ osservazione curiosa: l’acqua del mare, che bagna Arado, è dolce. 10 non conosceva niente affatto la città dove nacqui. Sidone disputa a Tiro il diritf to di anzianità. Ciascuna di esse vuol esser ma dre dell’altra , e fa rimontare la sua fonda zione al di là dell’assedio di Troja. Sidone ha quest’argomento in suo favore, che Omero parla solo di essa, e non nomina Tiro. Per conciliarle, basta riandare alle loro prime origini. Da principio , non erano che poche capanne di pescatori, ed\in ciò Sido‘ 13 ne va del pari con quasi tutte le città ha gnate dalle acque del mare. Allontanandosi un poco dalla spiaggia, ,si vede una pianura ridente, terminata da una montagna coperta di numerose capre. Tutta quella bella costa fu per lungo tempo mal popolata. Gli ahi _tanti formavano due classi all'atto distinte: la classe del piano viveva di pesci arrostiti , ed aveva costumi diversi dalla classe delle alture; questa viveva di spiche di frumento non bene mature, e mezzo cotte, e per be vanda usava il latte delle sue greggio. Fin dai primi tempi, osservarono quei 1nontanari il verme, che dà dei fili ancor più preziosi di quelli del lino (i). Parecchi fra loro costruivano, per passatempo, delle capannucoe con ramoscelli frondosi , onde atti rarvi quell’insetto , il quale mostrò di ag gradirle: ivi pullulò, e subì le sue trasforma ziom. È cosa strana, che non si abbia ancora tratto un miglior partito dai fili nei quali s’inviluppa questo piccolo animale; si potrebbe fabbricarne una trama ben differente dalle tele dei nostri ragni, alle quali viene male (x) Il baco da seta. 14 a proposito rassomigliata. L’isola di C00 ha fatto recentemente dei felici saggi con quei bozzoli, che in ogni altro luogo servono sol tanto di balocchi alle fanciulle. Le alture di Sidone sono ombreggiate da gelsi. La natura spiegava colà invano le sue pro duzioni più belle: quegli abitanti indolenti persistevàno a non voler essere che pastori o pescatori. Finalmente, degli stranieri fecero conoscere agli abitatori della spiaggia i van taggi d’ una tanto felice posizione: fu sca vato un porto, e dei ripari più comodi sostituiti vennero alle affumicato capanne. I nostri Sirii, fino allora dispersi, riuni ronsi, e trovarono in sè stessi un’attitudine maggiore di quella che si attribuivano. In breve, una piccola città commerciale chiamò i vascelli da tutte le parti, e Sidone comin ciò a prendere un posto fra i popoli. La na vigazione rende gli uomini industriosi più di qualunque altra professione. Abbisognavano vele e- gomene: i montanari abbandonarono iloro-insetti tessitori, per divenir tali essi me< desimi. Si conobbe il lino, e trame grosso. lane furono seguite da fine tele; si aprirono delle officine; gli alberi strappati dal seno della terra furono lavorati con arte. La città Il) d’anno in anno andò crescendo, ed oggigior no ha cinquemila passi di lunghezza. Sidone,‘ costruita Sopra un dolce decliviq, che s’inol tra fino al mare dal lato di settentrione, è. circondata da montagne a ponente ed a mez zogiorno-Si pensò ad una-forma di governo; e fu prescelta la monarchia, temperata da un’autorità intermedia: fa questa l’idea pri ma di quasi tutti i popoli. Il commercio è per gli uomini il vincolo più stretto di tutti; ma vale eziandlo a cor romperli più che tutt’altro. Con gli oggetti necessari alla vita, si ebbe cura di apporta re in questa città, nascente e già ricca, una quantità di cose, di cui potea far a meno, fra le quali diversi culti. Sidone, aper@ ta a tutte le superstizioni, le adottò tutte, unitamente a molti usi e mode, di cui do veva guarentirsi. Essa ha un oracolo, quattro templi, e dei sacerdoti in proporzione. Ogni casa della città ha il suo giardino fuori delle mura, in un’estensione che ha tren ta stadi di raggio. Vi si trovano frutta di tutte le specie, la melagrana e l’arancià , l’al« bicocca ed il fico, la prugna e la mora ; al Clmi de’ quali si trafficano seccati. L’olivo vi Prospera; il cedro vi è comune, ed è una 16 delle primarie ricchezze territoriali. Fra tutte le sorgenti, che pagano a Sidone il tributo delle acque loro, la più stimata è quella, che porta il nome stesso della città. Il pozzo di Sidone non è però il solo, che somministri l’acqua agli abitanti; altre fontane molto più discoste danno anch’esse il loro contingente, mediante un aequidotto costruito per innaffia re alcune case di piacere, ov’ esso forma delle eascate’d’aequa bellissime e dei zampil li , che salgono a considerabile altezza. Due oggetti-mi restavano da vedere e co noscere: la Corte del re di Sidone , e la grot ta del Gerolànté. Avviato già per presentarmi al palazzo, mi fermai dicendo a _me stesso: » La vita è breve; ed io devo fare dei lunghi studi. La verità, ch’io cerco, se pure si tro va in qualche luogo, sarà piuttosto in fondo alla grotta d’un interprete della natura, che in una Corte. « Mi recai dunque fuo- ' ri della città, e volii le piante alla caverna Maara , cosi «letta dal nome del pontefice, suo primo abitatore... L’ingresso è esposto ai raggi del sole nascente; due arboscelli, un mirto ed un lauro, coll’intrecciamento delle loro fronde, ne compongon la volta; una fon. tana zampilla dappresso. -Avanzo due passi; 17 al terzo, un uomo quasi calvo, in bianca ve ste di lino, mi viene incontro, e mi dice: il Che chiedi? « ’ PITAGORA. D’essere iniziato ai santi misteri. II. ‘GEROFANTE. A quelli d’Astarte? Cógli, e tieni fra le dita un ramo di questo mirto. PITAGORA. No. II. Gsnórmm. A quelli di Mitra? Stacca una foglia di questo lauro , e mettila in bocca. PITAGORA. No. lo vengo per essere iniziato ai misteri della verità. II. GEROFANTE. Entra. Ma prima làvati il viso e le mani a questa fontana. Il Gerofante mi condusse in un sito mol to os<:uro , ed ivi mi fermò, per dirmi an. cora: 1) Vuoi tu tutta la verità? « PITAGORA. Si, la Verità tutta intera. II. GEFLOFAN'I‘E. Vieni dunque più avanti. Inoltrandoci ancora di cento passi, ci tro vammo in una valle, ove nient’altro apparisce che cielo e verdura. Il Gerofante, dopo aver mi fissato attentamente , mi domandò: »Dove. sei tu nato? u PITAGORA. A Sidone. II. GnnorA1vrs. Dove fosti allevato? PITAGORA. A Sanno. n. GERO'FANTE. D’ onde vieni? Tomo II. a 18 Prrncom. Da Cipro. n.- Geiwnnws. E prima? PITAGORA. Da Mileto. u. Gsuonnrn. E prima? Prracom. Da Prienne. n. Gnnornnrn. Chi hai tu veduto in que ste due ultime città? PITAGORA. Talete e Biante. IL Gnuorm’re. Buon giovine! Io ti dirò, non già tutta la _verità , ma tutto ciò ch’io so della verità! PITAGORA. E sei tu il Gerofante discenden te dal gran Mosco, che esisteva innanzi alla guerra di Tr0ja, e che discendeva egli pure da un uomo ancora più grande, nato in E gitto, e trovato in una culla di giunchi nuo tante sulle acque del Nilo? u. Gnnormvrn. Cosi almeno vuole la tradizione. Prima d’esporti senza velo la dottrina di Mo eco, l’interprete della natura, impara a cono scere quell’uomo, ch’era di lui più grande. lo suppongo, che tutto non ti sia stato detto. « n Quest’uomo famoso, salvato nascendo dalle acque del Nilo, era originario d’ un paese vi« cino al nostro, abitato da una piccola nazio ne, ch’era caduta sotto il dominio dei re di Egitto, e che, per mezzo suo liberata, da lui 19 ottenne in seguito un culto ed una legisla zione. Egli fu il primo che parlò in nome dell’Ente-Supremo, e trovò fede, ‘obbedienÀ za, timore e rispetto: ed ecco quali/furono le sue sublimi rivelazioni: » Un Dio supremo, unico, onnipotente, eminentemente saggio, eminentemente buono, collocato fuori della natura, ossia della materia, da lui creata e modellata, come un vasajo modella la sua argilla, fece il giorno ed il sole, la notte e la luna, la terra e l’acqua, gli animali e l’uo mo. Alcuni secoli dopo, provocato dalla mal vagia condotta del genere umano, lo som merse Egli con una inondazione universale, da cui risorgendo, il mondo riccinciliossi col suo Creatore; e questi, per mezzo del suo popolo’eletto, sparse in seguito fra gli uomini tutte le sue beneficènze. « n Musco , discendente di quel grand’uomo, ,nacque a Sidone ed attinse alle sorgenti stes se del suo antenato, ma ne fece un uso di verso. Accettando la dignità di Gerofante, sperava egli di condurre gli uomini alla ve rità per la‘via del ciarlatanismo. Si ritirò in questa grotta di Maara, quivi accolse ed ascol tò tutti; ma, credendo di conoscere il cuore e lo spirito umanò, parlò d’iniziazioni , di mi 20 steri, di prove a coloro che avevano bisogno d’essere timorati e contenuti dall’ apparato imponente d’uno spettacolo religioso. n Ado rate gli dei, cosi disse agli uomini, ma ama te i vostri simili. Mitra legge nelle anime vostre. Non ingannate nel commercio; potre te occultare le vostre frodi agli uomini, ma non agli dei. La legge punisce i delitti pale si, e Mitra i delitti occulti; chi sa sottrarsi alla spada della giustizia umana, non eviterà la spada fulminante degl’ immortali. Amate gli uomini e temete gli dei. « n Mosca, del quale io seguo il metodo per dovere, teneva un altro linguaggio con quelli fra i suoi uditori, in cui trovava discerni mento più fine; e, separando la morale dal la religione, voleva condurre gli uomini all’es ercizio della virtù per la sola via dell’uma na ragione. » Voi non dovete, diceva egli, fare il vostro dovere per la sola speranza di esserne ricompensati. Il vero uomo dabbene è quello, che trova in sè stesso i motivi di esserlo, e quando si sente lodare d’aver det . io una verità , d’aver fatto una buona azio ne, ne rimane sorpreso, come se gli fosse detto: » Mi congratulo teco, che hai veduto il sole. « Risponderebbe egli allora: n Ma io non 2! ebbi che il talento d’aprire gli occhi: tutti fan no , o possono fare altrettanto. « - La virtù e la saggezza non sono cose né più compli cate, né più straordinarie. « » Sidone però, mio giovine compatriotto, è ben lontana ancora da questi principi. Essa è una città marittima, esposta a tutti i pre giudizi dei popoli, che frequentano il suo porto, ed abbandonata a tutte le seduzioni del vizio, nello sfoggio più grande dell’opu lenza e del lusso. La morale di Mosco pas sa ivi, come la sua teoria dell’universo, per sistematica. Il saggio rassomiglia al fuoco di Mitra, che si lascia brillare solo in fondo al santuario: nessuno vi si accosta; brucia, en za riscaldare. PITAGORA. Saggio Gerofante... II. GEROFAN'I‘E. Tu se’ impaziente di cono’ score il sistema del mondo, imaginato dalmio antecessore. Raddoppia la tua attenzione. « » Tu sei giovine, ma questo universo è più giovine ancora di te: non è esso forse che al secondo giorno dalla sua nascita; e se ne dubiti, contempla gli uomini in società. Non si conducono essi forse come altrettanti bam bini? Non sono forse novizi in tutte le cose, anche le più familiari? Tutto li sorprende, co« 22 » me se fossero nuovi; non s’ intendono fra di loro; ciascun popolo ha un diverso linguag gio. Eppure la fate (1’ un astro solo li ris chiara tutti indistintamente nelle tenebre del la notte. Le loro convenzioni sociali non so no che abbozzi; il libro della storia non tiene ancora che poche linee , riducibili a poche parole; la terra stessa pare che non ancora sia a piombo. La natura forma dei mostri , e soffre delle eccezioni alle sue leggi, lo che annunzia, ch’ esse non sono ancora abbastanza consolidate. I vulcani, i terremoti, le inondazioni attestano una ro tazione immensa, ma recentissima, di cui gl'ineguali strofinamenti hanno bisogno-d’un uso più lungo , per non produrre veruna scossa violenta. Tutto è ancora nuova sotto il sole. « ‘ » Ma quando si dice che tutto è nuovo, non s’intende già, che tutto sia recentemen te creato. L’ epoca dell’ attuale disposizione delle parti dell’universo principio forse jeri: ma l’universo non ha ne ieri nè domani; il tempo è niente per lui; non è che un’opera« zione dello spirito, propria a soccorrere la memoria caduca dell’uomo. Partendo sempre da quel primo e Soprannaturale principio, 23 che dobbiamo ammettere senza conoscere , l’universo è perché fu, e sarà perché è. Egli porta in sé stesso quella ragióne sufficiente della sua esistenza, che‘gli venne impressa. Sempre è la sola parola conveniente ad espri mere il principio, la durata ed il fine del l’universo; o meglio ancora, in questo termine universo sono contenuti simultaneamente il nome, la definizione, e la spiegazione di quel Tutto, che, creato una volta, fa di sè ciò che deve fare, secondo le leggi della sua na tura. L’universo ha in se tutto ciò che gli abbisogna; il gran Tutto è composto di par ti infinitamente piccole, innumerabili, e si milari. Questi elementi, dei quali i corpi che vediamo non sono che aggregati, salvi da ogni lesione, sono insecabili, indistruttibili; e d’una mobilità incapace d’essere sospesa o allentata._Siifatta agitazione perpetua fa si, che nessun essere è assolutamente simile a sé stesso da un momento all’altro. Questi prin cipii di tutte le cose, ossia queste parti ele mentari del gran Tutto, offrono e conser vano, per un certo spazio di tempo, certe forme, che han preso secondo la tale o tal altra disposizione, risultante dai loro differenti incontri. Un determinato numero di queste 24 parti combinato da ultimo costituisce il mondo, in cui siamo, il quale non è.che un punto nell’immensità dei mondi che compongono l’universo: d’onde segue, che l’universo can gia sempre, ed è sempre lo stesso; non' acquista e non perde mai niente; ha sempre un’egual somma di principii: ma l’ordine di queste parti fra di loro varia a segno, che confuso viene talvolta col caso, il quale non è che una parola. Il caso non esiste, nè può esistere: esso è la divinità degl’indolenti e degl’ ignoranti, che chiamano cieco capriccio quelle immutabili e costanti leggi, che non possono o non vogliono studiare. E nel modo stesso , che il gran Tutto si divide in più mondi: così pure ciascuno di questi mondi secondarii si suddivide in altri mondi di esso minori, e questi in più piccoli; come l’uomo, un insetto, una pianta. Tutti questi esseri sono della stessa natura, avendo per base la stessa materia. Si, i raggi del sole ed i prismi del vetro, il frumento nutritivo e l’aconito micidiale, l’uomo giusto e lo scel lcrato, il saggio e l’ insensato , sono com posti di elementi simili, ma diversamente combinati. Il sovrapponimento delle parti de termina il carattere dci vegetabili , degli 25 uomini, ecc., ed il subito e continuo cangia mento di posizioni dà la spiegazione dell’enim ma di quegl’ individui, che nella stessa gior nata, nello spazio d’un batter d’occhio, sono capaci delle virtù più sublimi, o dei delitti più atroci. PITAGORA. Ebbene, dirà il malvagio senza pudore e senza rimorsi; come vi sono piante di tossico, c0si vi sono uomini di veleno. Libra forse Temi nella sua bilancia i delitti dell’accnito? ' II. GEROFANTE. Sì, risponderemo noi al mal vagio. Come si strappano e si bruciano l’er be cattive, così si ha il diritto di punire il malvagio, il'quale, in virtù delle proprietà de gli elementi componenti. il suo essere, può reagire sopra sè stesso, come la materia in massa sopra la sua massa, e coordinare la propria esistenza, purificarla e rettificarla , al crogiuolo della ragione umana. PITAGORA. Ma, accordando anche alle parti elementari quella mobilità estrema, che gli è necessaria per organizzare il mondo, qua le si trova, si potrebbe sempre chiedere a Mosco , quale agente dia loro la prima im pulsione? IL Gsnosams. Un turbine di polvere, che 26 si agitava ai raggi del sole, indusse un giorno Mosco ad ammettere un principio agente, un elemento motore della natura.-- Tutti que sti piccoli corpi, diss’ egli, rappresentano ap punto il mio sistema. Ma come potrebbero essi agitarsi, se provocati non fossero da un raggio del grand’astro? Devo dunque ammet tere anch’io qualche sostanza che imprima il moto a’ miei corpuscoli infiniti. - E perciò ti ho anch’io superiormente accennato quel primo- principio soprannaturale, ch’è forza ammettere anche senza Conoscere, e che, co me indispensabile base d’ogni sistema, resta al di sopra di tutte le ipotesi dell’umana fi losofia. Prescindendo dunque da quell’intelli genza immemorabile, che non entra nei no stri ragionamenti, persistiamo nel sistema (1’ eguaglianza. Diamo a tutti i corpi azione reciproca, e crediamoli suscettibili di assu mere tutte le forme. “Vi dev’essere un’ in finità di maniere di esistere, giacché vi sono degli esseri all’infinito. Le parti elementari non sono palpabili, è vero; ma lo diventano, quando sono aggregate, e lo sono sempre, come per giustificare la loro esistenza, che potrebbe venir contrastata, se rimanessero iso late; anzi devono esserlo, perché il riposo 27 non entra nella loro natura. Il gran Tutto ha bisogno che tutte le sue particelle agi scano simultaneamente. Una festuca ha il suo posto nell’Universo; ed ha la sua ragione per esistere com’è. « > n Si è tentato più volte di raumiliare l’uo mo; ma l’uomo ha il diritto di dire a sé stesso: » Io sono necessario alla Natura. Come io di lei, ella non può di me far a meno. Tutto ciò che mi circonda, contribuisce alla mia esistenza, alla mia conservazione, a’ miei pia ceri; ed io pure coptribuisco dal canto mio alla conservazione del r_nondo. Io sono un a nello indispensabile della catena indisWttibi-. le, formata da tutti gli esseri. Già daqùal che anno io sono uomo; fra qualche anno non sarò più uomo: ma prima era qualche cosa, e sarò qualche cosa anche dopo; mi restano delle miriadi di forme da prendere. lo sono immortale, come il mio principio; la vita non è per me circoscritta. fra la cui la e la tomba. Composto «1’ elementi, non potrei perire, com’ essi no ’1 ponno. « » Mosca ha saputo cosi superare nella sua teoria dell’universo il nostro Sanconiatone , copista quasi servile degli Egiziani, che nulla ha arrischiato da sè medesimo: i suoi anna 28 li fenici meritano maggior fede. Mosco‘l’avea prevenuto e superato egualmente nella descri zione dei costumi ed usi primitivi dei Fenici. Gran danno, ch’egli non abbia potuto met tere l’ultima mano a questa grand’ opera, di cui non abbiam che un abbozzo! PITAGORA. Possiedi tu questo abbozzo? n. Gnnorms. Domani potrò mostrartelo. Io mi ritirai silenzioso, impiegando il re sto del giorno e tutta la notte a mettere in ordine nella mia memoria le opinioni di Mosco, vicino a quelle di Ferecicle, di Tale- . te, d’Anassimandro, e di vari altri grandi uo mini. Questi erano altrettanti tesori, ch’ io avidamente raccoglieva, per ricorrere ad essi, in caso di bisogno. ’9 CAPITOLO XXXI. Prime Origini fenicie. Il giorno dopo, entrai col sole nella grot ta Maara ; il compiacente Gerofante mi atten deva , anzi mi venne -incontro‘ con vari rotoli di scritture piene di cancellazioni. » Con questi leggeri fogli di papiro in mano, tu mi cre deresti, sorridendo mi disse il pontefice, una specie di sibilla: ma rassicurati , giovine ami co della verità: questi fogli volanti, anziché oracoli mcrizogneri , contengono fatti. Leg giamo : » Fenici, miei compatriotti, si dice che il nostro fondatore fosse un uomo vizioso, almeno per nascita , se non per costumi: non lo credete. Per buona sorte, si racc'0nta ch’ egli avesse venticinque piedi d' altezza ,._ e ciò si prova col suo sepolcro , che può ve dersi in una caverna del monte dei Leopar di. Si pretende eziandio , che la nostra na 2ione n0n tardasse a formare sette popoli, i quali erano tutti cacciatori inumani e dis cordanti fra loro. (I 30 n Crediamo ciò ch’è più verosimile: i no stri primi antenati furono pacifici pescatori, innocenti come le loro greggie, possessori d’una terra di delizie, che non cangiò di tem peratura, quando gli abitanti cangiarono di costumi. La natura resta per lungo tempo la stessa. Di questa lezione avrem dovuto pro fittar di vantaggio. « » » Fin da quei primi tempi, si parla di città: questo è falso. La terra non fu subito aggravata di sili‘atte masse corruttrici, a meno che non si voglia 0stinarsi nel dare il nome di città a una riunione di tende nel medesi mo luogo. « ' ' ' » È falso ancora, che i nostri avi fossero mercatanti. Da buoni vicini, cangiavano essi ciò che possedevano, a norma soltanto dei loro bisogni, e mai coll’ intenzione di appro fittarne. Ignoravano l’artedi arricchirsi im poverendo i propri fratelli. « . D Un re vicino, che vedea di mal occhio 1' aumento della costoro popolazione, vietò lor di piantare e di seminare. Questa tirannia ac compagnata da minacce portò la divisione fra quegli uomini semplici. Invece riunirsi con tro il nemico comune, gli uni obbedirono, gli altri ripararono nelle montagne più lon 31 tane : i primi diventarono dipendenti e sol dati, i secondi restarono liberi e pastori: quelli furono ben presto opulenti, questi con-' tinuarono ad essere felici, tra i quali ultimi si distinguono iPerizziani. Da quel momen. to, la pianura e la spiaggia vennero coperte di abitazioni solide; le arti ed il traffico, lo ro compagno, fecero uninvito agli stranieri. Le nazioni si mischiarono, si visitarono viag giando, e barattarono i propri vizi, non gua ri dopo spoglie trovand0si di virtù. Fedeli nelle loro relazioni commerciali, si credettero dispensate da tutti gli altri doveri, e si per misero gli eccessi più mostru0si. Ma gli avi nostri delle montagne non ci presero parte alcuna. Il culto , che istituirono , fu puro quanto la loro intenzione. I templi eran0 dei boschetti, e le offerte dei fiori. Vi fil più volte chi si avviso turbame i devoti esercizi, per cui sovente, allo svagliarsi, tr0 varono i loro altari di verdura da ’empie mani rovesciati. La vicinanza dell’innocenza era insopportabile al delitto. Montando anco ra.più in alto, rialzarono quei pastori colà i loro altari, nella supposizione, che, coll’avvi _cinarsi di più al sole, quest’ astro protettore sarebbe più a portata di difenderli. « 32 » Il governo patriareale, che durò per lun go tempo in quei luoghi alti, aveva ceduto il suo posto, nei luoghi bassi, al monarchico. Rendiamo giustizia ai nostri maggiori; per molto tempo essi seppero governarsi bene, ed ebbero dei re saggi e morigerati.’u » Raccolti gli uomini appena in società, non tardano a farsi la guerra, quantunque non sia questo il primo spirito delle istituzioni civili. I Fenici della pianura, in conseguenza di quell’avida inquietudine, che agita ordina riamente i popoli marittimi, molestarono i loro parenti delle montagne, cui prima ave-. vano disprezzato come grossolani e privi di industria, e li obbligarono a pagare tributo. Per avere la pace, iii loro accordato quanto esigevano. Interrotti perciò vennero i lavori dell’ agricoltura; e le produzioni della terra meno abbondanti non istavano più in propor zione cogli abitanti. Fu giuocoforza disper dersi in lontano, essendo il paese di già es austo; numerose e forti emigrazioni s’ inol trarono quindi fino in Egitto, e diedero cau sa a parecchi sanguinosi combattimenti. Por tata venne ai civilizzati Fenici quella guerra, cl1’cssi portavano altrove ;_ e micidiali rappre saglie desolarono tutte queste belle contrade, 33 disposte dalla natura per la felicità degli abi-> tanti. La natura stessa, in tanti modi oltrag giata, mostrò di volersi vendicare; una sua rivoluzione cangiò la deliziosa valle di Siddim in un lago di bitume. Le guerre intanto con tinuarono a devastare il paese, quando, alla fine di mille luttuose vicissitudini, la nostra patria prese una forma determinata. Noi co minciammo a diventare padroni in casa nostra, ed il'resto della terra si avvezzo a pronunziare il nome di Fenici con segni di considerazione. Sidone, tu fosti la prima delle nostre città conosciute e frequentate; tu dovesti siffatta gloria al vantaggio della tua situazione, ed al tuo doppio porto, da estate, e da inverno. E tu , sua primogenita figlia , opulenta e superba Tiro; che siedi a dugento stadi da tua ma dre distante, sopra una roccia inconcussa, in mezzo ai flutti, che vanno imbiancando le tue forti muraglie; sii pure orgogliosa, ma non ingrata: sii orgogliosa per que’ due bei por ti, poi ventidue stadi che conti in circonfe renza, pe’ tuoi alti edifizi , che sembrano sfidare i moti della terra. u 1) E tu, città d’Arado, la cui industria ha saputo procurarsi l’acqua più pura in mezzo all’ onde salse, i tuoi ricchi abitanti si sde« Tomo U. 3 34 guerebbero d’essere confusi con gli Aradonii , povori ma virtuosi. u n Berite e Biblo, non conviene separarvi, giacché avete entrambe le stesse pretese; voi vi affrettate di far sapere ai bastimenti che approdano alla vostra rada, che siete le due città più antiche della spiaggia fenicia. « n Tu poi, sorella della Fenicia marittima, regione mediterranea, tu opponi alle città precedenti Palebiblo, Gabala, e parecchie al- ' tre, che la Siria reclama. E non si ha forse un-territorio esteso abbastanza, quando esso è fertile ed ameno, quanto il tuo? quando possiede entro i suoi confini il monte Liba no ,. ed il fiume Adonide? u » 0 città, troppo forse famose, voi ave te ciascuna un.re, ciascuna i pr0pri dei. Qui vi si adora Mitra; ivi la Luna; più lungi Er cole. Ma ditemi, qual è fra voi, che offra incensi alla ragione? Si potrebbe giustificarvi, se i vostri diversi culti fossero naturali, quanto quello che cónsacrate al Sole. Questa divinità è almeno sempre visibile, nè ha bisogno di simulacri, come saggiamente pensate; giacché, quale statua del sole potrebbe valere il sole medesimo ? Neppure un tempio gli alzaste: la più alta montagna è il suo altare , per voi; 35 la stessa volta del cielo ne è il santuario. Neppure alcun giorno fisso segnaste per so lennizzarne la festa. Ella cade ogniqualvolta il Nume si mostra, ed il sole vi favorisce ogni giorno di sua presenza. u » Gli onori divini da voi tributati ad A starte non sono che un atto di riconoscen za, se, sotto questo nome, voi adorate la natura, che feconda le vostre mandre: ed ogni atto di riconoscenza è pur atto di reli gione. « _ n Voi eravate debitori non già di tempii, ma d’una corona, e d’una lunga ricorda'nza a quel grand’ uomo, conosciuto sotto il nome d’Ercole, che estese la navigazione ed il commercio, che approdò il primo alle isole Cassiteridi, che v’indicò l’uso di quel pesce, di cui vide scorrere il sangue sotto il dente d’un canel . . .’ a » Fenici, miei compatriotti, la storia dei vostri culti non è già la parte più brillante dei vostri annali. E che? In una sola_città , più di cinquecento ministri per servire a una sola divinità? Che cosa significano quei gesti comulsivi, quelle danze violente intorno all’al. tare del Sole? Voi mi rispondete, volersi in 36 dicai‘e in tal guisa, che il sole mette tutto in moto. Ma qual bisogno vi è di dipingere, cosi male e con si poca dignità, ciò che tutti vediamo così bene e ogni giorno con ammirazion sempre nuova? a » Pepoli, che ci succederete sopra la ter ra, non imputate ai Fenici le menzogne dei loro poeti. Adone non fu altrimenti un gio vine e bel cacciatore, amato prima da Vene re, poi da Proserpina, dopo essere stato ne ciso da un cinghiale. Quest’avventura, tanto propizia agli amanti libertini, non è che un grossolano travestimento dell’ annua rivoluzio ne planetaria. Quando il sole percorre i se-« gni inferiori dello zodiaco , Adone sta con Proserpina: sta poi con Venere, quando il sole rischiara i segni superiori. Per congiun gere la storia delle produzioni terrestri alla narrazione dei fenomeni celesti, noi raffigu riamo l’ inverno pel cinghiale, per Adone la stagione dei fiori e dei frutti. Quando la se menza è gettata nel seno della terra, all’en trare dei mesi melanconici e tetri, Adone è nelle braccia di Proserpina; al tempo della germinazione, Adone ritorna agli ample'ssi di Venere; e perciò le donne, che celebranono 37 le noje di Venere nell’assenza del loro aman te, seminano il grano, e formano dei giar dinetti , per solennizzarne il ritorno. « » Tutte queste allegorie, più ingegnoso che giuste, e poco d’altronde convenienti al nostro clima, non valgono la semplicità dei nostri primi avi, ed ebbero anche delle de plorabili conseguenze, che dovevasi prevede re. Non si guadagna mai niente coll'allonta narsi dalla verità, o col cercare d’abbellirla. « » Queste vane cerimonie distolgono da og getti più utili. Quanto tempo sottraggono al perfezionamento delle scoperte, che onorano il genio dei Fenici! Posterità severa! grazia per le nostre debolezze, in favore delle no stre invenzioni! Tu ci devi il vetro di Si done, la porpora di Tiro, 1’ aritmetica e l’astronomia, il taglio delle pietre, la dutf tilità dei metalli, l’arte di fabbricare e quel la di coltivare. Le nostre colonie si estendono e si moltiplicano, ove nessun’ altra nazione osò ancora mostrarsi. La nostra coraggi0sa audacia va del pari colla fertile nostra indu-‘ stria. Noi demmo alimenti ed istituzioni alla Grecia semi-barbara. L’Egitto solo cammina il passo eguale con noi nelle arti, restandoci inferiore nel talento di trafiicare. Le 001011116 \ 33 d’Ercole attestano inostri diritti alla ricon0‘ scenza del mondo. « ' n Fenici, miei compatriotti, dovrò io rea gistrare nei vostri annali, che aspirate alla sovranità assoluta dei mari, e che, per soste‘ nere questa pretesa tirannica, impiegate dei mezzi condannati dalla lealtà del commercio? Voi siete gelosi dell’ altrui prosperità , e trop po spesso accrescete le orde dei pirati; ebbi già il dolore df sentirvi chiamare lupi mer cadanti ! Tirii, diffidate di voi stessi; or gogliosi di possedere, nelle acque che bagna no le vostre mura, quel pesce maraviglioso, che dà la porpora, sorvegliato la comunità dei vostri tiratori: divenuti numerosi e ric ohi , vorranno dominare il resto dei cittadini. e n Fenici, miei compatriotti, voi siete cer tamente uno dei più antichi popoli che si conoscano sulla terra. Voi vi date mille anni; io non ve li contrasto: ma ditemi, che cosa avete fatto in questo lungo intervallo? Som ministratemi di che interessare la posterità , cui la storia del regno di Agenore l' egiziano, che vi si dà per fondatore, non può interes sare gran fatto. Se siete la primogenita delle nazioni, dovet’ essere anche la più saggia , e non dare che buoni esempi ai Greci, i q.,_ , 4 _“, ._ 39 .quali hanno già adottatoi caratteri della vo stra lingfla . . . u v v =v v CAPITOLO XXXII. Particolarità sopra Sidone, Berite, Biblo. Feste di Adone. Dopo la rapida lettura dei frammenti storici, composti da Mosco, io dissi al Ge rofante: » Da questo momento, Sidone è diventata mia patria. Ma quanti schiarimenti avrei da chiederti! Alla mia età, si ama di sapere. u _ IL GEROFANTE. Ed alla mia, si ama di di re ciò che si sa. Parla_ con franchezza, mio giovine e caro compatnotto. PITAGORA. Dimmi qualche cosa degli dei del paese. IL Gnuormrs. Fra tutte le nostre divinità, una delle più antiche e più degne dei nostri incensi è Crisore o l’Artigiano-Dio. Egli era un uomo di genio, che converti il pri mo i metalli in istrumenti d’ agricoltura. In seguito , dedicati essi vennero a futili usi. I 40 nostri orefici hanno della riputazhmc; e sono tenuti per prodigi gli oggetti fini, cli’ escono dalle lor mani. Prracom. Di qual natura è il vostro go verno? Ii. Gsnormrs. Ahimè! Dopo Ciro, Sidone ha perduto la sua autonomia (I). Perfino per avere un re, deve chiederne la permissione alla Persia. « lo aveva altre quistioni da proporre al saggio Gerofante: ma un gruppo di Sidonii 11’ ambi i sessi venne a reclamare il di lui ministero. Io lo lasciai, stringendogli la ma no; né altro potevamo dirci, alla presenza di quei profani testimonii. Visitai quindi alcuni artisti conosciuti da mio padre, e tutti mi offrirono una mensa, ospitale. I banchetti di famiglia in Fenicia sono terminati da cantici, eseguiti da un lino,- questo è il nome che i Fenici danno ai loro poeti cantori. / Il pane, che mi fu presentato, merita la sua riputazione, essendo nutritivo e leggero nel tempo stesso. Feci una importante osservazione: che a (1) Diritto di governarsi colle proprie leggi. fil ' Sidone, ifanciulli deVono forse la loro sanità ai bagni di sale piuttosto frequenti, che si ha l’uso di far loro prendere. Prima d’oltrepassare ilimiti del territorio. della mia nativa città, ne andai a vedere il molo; egli è una conquista fatta al mare, indispensabile al porto di Sidone, per ripara re i bastimenti che lo fi‘equefltano. I miei compatriotti scorrevano giài mari, lungo tempo innanzi alla spedizione degli Argonauti. I Sidonii s'imbarcarono anche per quella di Troja; ma ,y cammin facendo, Fala, uno di essi, avendo rappresentato. a’ suoi compa gni 1’ immoralità d’una simile guerra, non durò lhtica a persuaderli di cangiar vele, e ritornare alle case loro. Prender parte per un rapitore, non era cosa degna (1’ un po polo, che vuol conservare il proprio decoro. Trovai colà un cittadino slàccendato , che, senza attendere le mie interrogazioni, e te nendomi per uno straniero, avido (ii tutte le voci che corrono sull’ origine clclle grandi città, m’ informò spontaneo, che questa do-. veva il suo nome e la sua esistenza a Siria, figlio di Belo. Mi disse ancora, secondo il buon Omero, che Alessandro-Paride prese 42 terra a Sidone con la bella Elena; che que sta regina adultera si compiacque di vedere le donzelle sidonie occupate nel lavoro di rio che stoffe; e che, per gradire alla sua nuova conquista, Paride propose a quelle abili lavo ratrici d’ imbarcarsi con essolui per istabilir si a Troja: proposta, che da esse non venne accettata. - Mi aggiuns’egli: n Berite, che tu devi vi sitare, giacché ti vedo avanzato su questa bella costiera, è ancora più antica di Sidone, dandosi per fondatore Crono o Saturno, il quale, per liberarsi dal flagello d’una terri ribile guerra , immolò s0pra un’ ara il proprio figlio, unico erede del trono. -« - Mi allontanai dall’importuno, e, senza rispondergli, presi la via, che conduce a Be rite, costeggiando il mare. Quella strada è sparsa di molte sepolture fenicie scavate nei macigni, coll’imagine dei defunti e con iscrizioni. Osservai in quel territorio de’ bei vigneti: quegli abitanti sanno conservare l’uva, e ren derla capace di durare al trasporto. Bacco è petulante in quelle contrade, e fa d’uopo associarlo alle ninfe delle fontane. lo presi alcune ore di sonno nel bosco sacro ad Esculapio. 43 Bcritc, città fenicia di second’ ordine, è il capo-luogo d’un regno, e la residenza d’un monarca. Il primo monumento olfertosi agli occhi miei, fu un altare al dio Crono. Tutti i fondatori di città ne ottennero alla loro morte. Meno fortunati furono i legislatori. Sparta sta fabbricando ora un tempio a Li curgo: ma Roma non decreta già lo stesso onore a Numa; e credo, che Solone non avrà nemmeno un tripode. Quattro città della Gre cia reclamano l’onore d’aver dato la vita ad Omero: due città della Fenicia rendono lo stesso omaggio alla memoria di Sanconiatone: Berite lo disputa a Tiro. Questo scrittore dedicò la sua storia a due principi nel tem po stesso: non mi piace questo zelo di met tere così i propri scritti sotto la protezione; dei grandi. Si crede forse d’imporre per tal guisa alla posterità? Quand’ essa giudicherà il libro, non esisterà più quel mecenate, il cui nome in fronte portava; nè alcuna con siderazione potrà esercitare influenza sopra il giudizio dei futuri. Felicissima fu la scelta della situazione di Berite: vicino al mare, in un sito ameno, sopra un suolo fecondo, alta abbastanza per non essere incomodata dalle _onde in tempi .Ut burrascosi, ha dessa ne’ suoi contorni varie montagne, che le danno in abbondanza del l'acqua fresca, dolce e sana. Nulladimeno, mi vi arrestai poco, volen do assistere alle feste d’Adone , prossime a celebrarsi nella città di Biblo. Camminando lungo la pubblica via, m’ab bassai per raccogliere certi oggetti, che un viaggiatore aveva lasciato caseare senz’ac corgersene. -- n Che fai tu? mi fu detto vivamente. Eccoti prevenuto di furto agli oc chi della legge. il - Mi salvò la mia qualità di straniero. Crono fu anche il fondatore di Biblo, so pra un luogo eminente. Quivi risiedeva egli in un palazzo circondato da una muraglia costruita in mattoni disseccati al sole.-Colà fu, dice Sanconiatone, che questo principe sospettoso, perfidamente consigliato da Er mete, gittò suo fratello Atlante in una pro fonda f0ssa, e ve lo seppellî.-Sarebbe forse per quest’ omicidio che gli si rendono onori divini? La grande solennità si andava già prepa rando. La strada era coperta di gente. Un\ uomo del popolo (nulla di più ingenuo che il Carattere dei cittadini di questa classe) [5 mi spacciò quanto sapeva sulle feste d’Ado ne. - » Adone, diss’egli, fu un giovine prin cipe nato in fondo all’Arabia. Fuggitivo, co me era stata sua madre, se ne venne alla Corte del re di Biblo, e vi fu bene accolto, a motivo della sua rara bellezza. La stessa dea Venere lasciò Pafo ed il dio Marte, per accorrere qui espressamente a vedere l’amabilc straniero. Chi tratta le armi è geloso e sempre pronto alla vendetta. Un giorno, che i nostri due amanti si divertivano alla caccia nei boschi del Libano, un cinghiale in viato da Marte ferì mortalmente all’anca il giovine e bell’Adone. Vicino a queste mura, scorre un vago ruscello, detto un giorno il fiumicello di Biblo; ora porta esso il nome dell’amante di Venere , le di cui piaghe essa lavò su quella sponda. Da allora in poi, ogni anno allo stesso giorno, l’acqua del fiume di venta rossa come il sangue; e ciò non può accadere che in virtù di Venere, la quale volle perpetuare il proprio dolore, ed ecci »tarci a formarne il soggetto di una festa. Ve. drai perciò domani la città intera in lutto. « E cosi fi1. Tutte le cittadine portarono pu blicamente i colori dell’afflizione, sicché seni» brava nella città esistessero soltanto vedove 46 ed orfane. Questo culto non ha per ministri che donne; e quelle sacerdotesse, ben nu merose, devono correre per le strade batten dosi il petto in segno del più gran dolore. Devo_no anche fare il sacrifizio di tutta la loro capellatura; e quest’ uso sacro è di tanto rigore, che imposto 101' viene di rader si il capo. Si può nondimeno esimersi da quest’obligo, che deve riuscire difficile ad una donna , non essendovi per la testa ornamento più bello d’una bella chioma. Quelle che non possono risolversi a siffatta Perdita, devono cedere al primo amante, che le richiede, e rimettere al tempio il prezzo'degli accordati favori. In quella mattina, io vidi parecchie di tali vittime preparate a soggiacere al destino, al quale si erano volontariamente esposte. Mi avvicinai ad una di esse; ed, al vedermi, una lagrima cadde furtivamente dalla sua pupilla. Prracom. Amabile donzella , perché piangi? LA, DONZELLA. A11imè! Sei tu generoso ab bastanza per non abusare dei diritti, che ti accordano le circostanze? PITAGORA. Parla con sicurezza. . LA Donznnm. Io sono amata dal giovine più bello di Biblo; e gli anelli Ondeggianti di questa bionda mia chioma sono i primi 47 lacci, che lo vincolarono alla mia persona. Non ho potuto giammai risolvermi a spezza re questa catena, e a dispogliarmi la testa', per compiere le funzioni, alle quali mi chia ma il culto di Adone. _ PITAGORA. Ma come ha potuto bilanciare il tuo amante nella scelta fra la tua capellatura e la tua fedeltà? LA DONZELLA. Straniero, tu non sai tutto. Noi eravamo convenuti jeri, ch’egli ar riverebbe in questo bosco , molto prima di qualunque altro. Ahimè! Non se, che cosa abbia potuto trattenerlo: egli non viene; se arriva adesso, e se tu non sei tanto gene roso . . . Pxmcom. Rassicurati. ‘ LA DONZELLA. Altre più belle ti risarciran 110, se non indugi di troppo. PITAGORA. Come? LA DONZELLA. Io non son oggi la sola in questo imbarazzo. PITAGORA. Le donne di Biblo sanno dun« que eludere una legge troppo esigente, e tro vano il mezzo di salvare la chioma e la pro messa ad un tempo? LA DONZELLA. Le mie compagne non sa-‘ ranno forse tutte al pari di me fortunate. 1,3 PITAGORA. Ma i rivali, più ancora degli stranieri . . . LA Dona-mm. No: ’è cosa convenuta, di non ispropriare il primo occupante; ed i nostri amici mancano raramente di seguire solleciti qui i nostri passi. Dev’essere il mio da qual che dispiacevole impedimento arrestato. « » Quegli, di cui essa parlava ancora, giunse tutto anelante, e restò sorpreso al vedermi. » Abbraccia prima, gli diss’ella, questo ge neroso straniero. Egli ti ha prevenuto, ma tu sei giunto ancora a tempo: lungi dall’ap profittare de’ suoi vantaggi, egli ha rispettato i legami di due amanti fedeli. li Io mi tolsi ai loro ringraziamenti, dicen do fra me stesso: » Quando l’assurdità delle leggi e degli usi è troppo ributtante, l’uomo sa sottrarvisi, e ritorna alla natura, sprezzan do la politica e la religione. u , Io non volli perdere veruna circostanza del la cerimonia. L’apparato n’è.imponente e ma gnifico. La cittadina più ragguardevole di Bi blo apre la marcia , facendosi portare dinnanzi il simulacro del bell’ Adone. Ella è assistita da varie altre donne del suo rango, ciascuna delle quali porta in mano un cestello ripieno di focacce disposte a piramide, od un panie 4 re di frutti sparsi di fiori e coperti di9fo glie, o finalmente un braciere di Profumi accesi. La pompa è terminata da altre citta dine portanti un palco coperto di bei tappeti, e onusto di due letti pomposamente ricamati in ore ed argento, rappresentanti quelli di Venere e d’ Adone. Vi si vede il simulacro del principe, pallido come al momento della sua morte; ma quel pallore dà un vezzo di più alla beltà del giovine sventurato. Questo corteggia funebre passa lungo la riva del ma re. Alcune belle voci cantano degl’ inni, e ce lebrano, sopra un modo flebile e commoven te, i funerali d’ Adone. Si procede poscia ai sacrifizi, duranti i quali, gli assistenti dei due sessi si flagellano, in atto di devozione, con verghe e coregge. Un altro ceremoniale è riservato per la notte. Le donne vanno gravemente portando al tempio la statua d’ Adone, e la collocano esse medesime in una superba tomba; poscia si spengono i lumi, e si resta cosi nelle te nebre per tre ore, occupandosi in lamenti, fino a che il Gerofante, preceduto da una fiaccola, accorre frettoloso, per ungere le labbra (1’ ogni astante , e dirgli all’orecchio: Tomo II. 4 -50 Egli è risorto. A queste parole, la tristezza si_ cangia subitamente in gioja; tutti allora vanno a gara per trarre la statua d’Adone dal _suo letto di morte, indi si dispongono ad una festa più gaia. Mi recò la più alta sorpresa vedere le cor tigiane confuse in questa solennità colle fem mine oneste. Notai, fra gli altri, uno strumento di mu. sica, d’invenzione fenicia. Consiste questo in una specie di tibia, lunga un palmo , che ren de un suono lugubre, alquanto simile al gri do dell’anitra. 51 CAPITOLO XXXIII. Viaggio a Tiro. Ritornato per mare a Sidone , vi soggior nai lo spazio di tre soli; e, prima di partire per Tiro, andai a salutare il Gerofante. Questa città offre da lontano l’imagine più imponen te. Costruita sopra una roccia prolungata nel mare, apparisce qual grande e superbo navi glio , immobile in mezzo ai flutti; od un’aqui» la ferma __sul suo nido. Questo potente vola. tile è il simbolo di Tiro. Il momento del mio viaggio era un’epoca brillante per quella città; mentr’éssa godeva di una calma esteriore molto onorevole. Que sto era giusto compenso al suo coraggio, alla sua costanza, alla sua industria; essa aveva sostenuto un memorabile assedio di cinque anni, di cui si parlerebbe per lungo tempo, se in Fenicia vi fosse un Omero. Tutte le lbrze dell’impero assiro erano venute a man care contro lo scoglio di Tiro; ed una com piuta vittoria navale, in cui dieci vascelli ti 52 rii avevano disperso una flotta nemica di ses santa vcle, erasi data prima dell’assalio. L’interno tuttavia non rispondeva allo sta to florido esteriore. Quando entrai nella città di Tiro, sembrava prossima ad una guerra civile. La casta dei tintori in porpora, 'orgo gliosa per le ricchezze da essa procurate alla patria, ambiva la precedenza sopra coloro, che la difendono con pericolo della propria vita. 11 Il nostro sangue, dicevano questi, è ancor; più prezioso della tintura di porpora, di cui queglino hanno il secreto. -- I re ed i ma gistrati, aggiungevano, possono fare a meno d’un manto di scarlatto; ma che cosa diven tcrebbero essi con tutti gli altri cittadini, e primi tra questi i tintori, se non vi fossero dei soldati capaci di sostenere l’assedio della città, e di respingere le flotte assire'? Noi vogliamo essere i primi nella città, se siamo i primi sui suoi baluardi. « Questa non era la prima volta, che il cor po dei tintori in porpora alto portava le sue pretese. Fu necessario l’intervento dei magi strati e del principe. Si decise, che le classi dei cittadini essendo tutte eguali dinnanzi alla legge ed agli occhi della patria, tutti doves sero camminare sulla stessa linea. 53 Certi uomini di guerra portano a Tiro diversi anelli intorno alle dita; e seppi che quello era il premio del loro valore: ne por tano altrettanti, quante belle azioni possono citare. Tiro mantiene un corpo di palombari pcl servizio delle sue flotte, e per la pesca delle porpore. Visitai le fabbriche e le officine, le mani liatture ed i magazzini, i cantieri e gli arse nali; ma prima di tutto volli vedere i pesca. tori di quella preziosa conchiglia, che dà il suo nome alle vesti dei re. Ve ne sono di due specie; e si raccolgono anche, prescin dendo dalle spiagge fenicie, lungo le coste della Libia , e le spiagge di varie isole del Mediterraneo, che ne abbondano. Le porpo re si assembrano in truppe, e vermo in fre ,gola di primavera. Conviene però pescarlc vive, perché la tintura, ch’esse danno, è al lora più animata. I Tirii levano le più gros se dalle loro conchiglie per cavarne il sangue; le piccole passano sotto la macina. Immerse nell’acqua dolce dei fiumi, cessano di vivere; Il loro liquore, che puzza, è d’un bianco sporco: esposto all’aria , diventa verde, poi azzurro-marino. Le porpore pelasgie, ossia 54 d’alto-mare sono le più stimate, dopo quelle di Tiro. Di due uomini di Stato, parlanti al popo« lo, sarà più ascoltato quello rivestito di por pora, che l’altro, privo di siffatto ornamento. Sarebbe dunque l’ uomo da paragonarsi a quegli animali, che si possono irritare o calmare, secondo il colore della stoffa, che si spiega agli occhi loro? Il padre di famiglia non ha bisogno d’una veste lunga e listata di porpora tiria, per far si rispettare da’ suoi figli. E come saremo noi avidi cotanto di fama, quando sappiamo, che la città di Tiro deve la sua gloria meno all' intelligente sua industria, ed ai politici suoi talenti, ai servigi per lei prestati al commer cio, e all’infaticabile sua attività, di quello che ad un pescetto, casualmente da lei messo in opera? Tiro occupa una piccola estensione; e le case, non potendo essere spaziose, cercano un compenso nella loro altezza: non ne vidi al trove con maggior numero di solai. Rasso migliano però tutte, ed il loro tetto serve di terrazza, ove alla sera si cena. Le mura della città, alte cento cinquanta piedi greci, e costruite di grosse pietre, unite insieme 55 con un cemento bianco, formano un circuito di venti stadi. La rupe, sulla quale i Tirii hanno piantato il capo-luogo dei loro stabili menti, è di figura rotonda. I giardini sono colà di buona terra, trasportatavi dal conti nente, per ricoprire la nudità di quel vasto scoglio, convertito in una superba città. Che che si dica, i nostri dei non fecero mai quei prodigi, di cui furono capaci gli uomini: ma la natura, compiacendosi di ricordare la sua potenza ai mortali rigogliosi, che mostra no di misconoscerla , sparge a quando a quan do lo spavento fra i ricchi abitanti di Tiro, scuotendo la base, sulla quale innalzarono i magnifici loro edifizi. Le mura di Tiro sono fortificate da alte torri, sulle quali io distinsi alcuni piccoli si mulacri, del genere di quelli, che questo po polo negoziante mette alla poppa ed anche alla prora de’ suoi vascelli. Quelle piccole fi gure sono vestite, e armate d’arco e di free ce: si prenderebbero per sentinelle in ve detta. Mi fu detto, che quelle erano le divi nità tutelari del luogo, veglianti giorno e notte alla sua conservazione. Questa cura religiosa non disp'ensò“ gli ahi 56 tanti dal fabbricare superbi templi, le cui sommità dominano gli altri edilizi. Tiro, avendo gran bisogno d’acqua pota bile, per procurarsene in abbondanza, fece scavare delle cisterne, delle quali, secondo l’opinione comune, non si può giungere al fondo. È probabile, che la corrente del fiu me sotterraneo, troppo rapida, non permetta al piombo d'afi‘ondarsi, e invece se lo tra scini dietro. Di queste cisterne, tre meritano d’essere osservate: la più vicina al mare, n’è distante uno stadio e mezzo. I Tirii, paventando l’incontro del serpen te, ne portano il simulacro sul petto. Le loro collane, per la forma e varietà dei colori ,_ imitano a suflicienza quel rettile e le macchie della sua pelle. Il sadin dei Fenici risponde al si‘ndòn delle donne del Nilo, ed è una lunga tonaca, che lascia vedere appena i talloni. In Tiro, vi sono tanti schiavi incaricati del servizio domestico, che potrebbero forse un» giorno rendersi i padroni della città. Questa città. di comuiereianti ama i lun ghi festini. Un commensale, che intavolasse qualche materia filosofica, andrebbe incontro 51 alle beffe. Non si tratta, nei frequenti loro banchetti, che di bere fresco, e di ridere con più o meno spirito. Sarebbe veduto di mal occhio, chi ricusasse di vuotare un nap po di vino di Biblo, rinfrescata nelle nevi d’ Ermone. (I). In Fenicia, i sacrifi'catori sono anche cuo chi. Cadmo era il capo-cuciniere di un re di Sidone: Ortagora, primo tiranno di Sicione, era cuoco. Innanzi cb.’ io parli dei re, convien dll‘j qualche cosa degli dici del paese. Ercole è, presso i Tirii, di tutti il più anziano. Egli insegnò loro l’arte di" negoziare per tG‘ra e per mare, il talento di spedire delle colonie, quando e dove sia vantaggioso il farlo, ed il metodo per tingere la-lanain porpora. Que sto solo secreto valeva un tempio. -’I Tirii non gli furonoingsati; accordarenu= a lui gli onori divini. Non era d’altronde conveniente, che il fondatore d’una città, qual è Tiro, restasse un uomo ordinario; si; ' doveva necessariamente farne almeno un se» mideo. Entrato in uno de’ suoi templi , lo trovai (a) Il monte Libano 58 aiîollato, di modo che quanto prima non sarà più capace alle ricche ed innumerabili ofl‘erte, che giornalmente piovono sui suoi altari. Anch’io volli pagargli un tributo. Mio padre aveva diligentemente inciso in una pie tra fina questo eroe, che da sé stesso ergeva due colonne alla propria gloria. Olfersi questo anello d’oro al pontefice, che si compiacque d’accettarlo , e mi disse: » Pio giovanetto! 'tu sei degno di contemplare le meraviglie di questo tempio. - Eccoti prima la rappresen tazione esatta e fedele delle dodici fatiche di Ercole , copiata egregiamente dal bas so-rilieva magnifico ," che si trova a Gade, una delle nostre colonie. -- Ammira, più in là, quelle due colonne, simbolo di quelle piantate dal nostro gran dio, per contrassegnare il ter mine delle ue gesta, e quello de’suoi_viaggi. L’una di quelle due colonne è d’oro massic cio; l’altra, d’un solo smeraldo, ha la virtù di spargere ogni notte un mezzano chiarore, simile a quello, di cui si gode nelle felici dimore dell’Eliso. « ' lo voleva subito oppormi alla mostruosità dello smeraldo, e provare al pontefice che in ciò vi era almeno della esagerazione; ma ricordandomi gli avvisi d’Alcmeone, di non 59 contraddire ai ministri del culto, mi conten tai prudentemente di rilevare la data della fondazione di quel tempio. Il pontefice la fa ceva risalire a due mil’anni. » Esso è antico, mi diss’ egli, quanto la città. « ' Non potei dissimulare del tutto la. mia sorpresa. Egli se ne accorse, e molto scal tramente mascherò l’impostura con una veri tà di fatto. -- » Io ti voglio addurre, mi diss’ egli, due ragioni di quest’alta antichità. Prima di tu!to; inostri caratteri fenici, che tu conosci senza dubbio, sono troppo per fetti , per non indicare due o tre mil’ anni di un’esistenza politica. Nulla vi è sulla terra di più lento a formarsi che i linguaggi; i linguaggi si corrompono presto, ma si 00111‘ pongono a forza di anni. Per secondo; guar da, buon giovine, attorno di te in questo tempio. Vi trovi tu una sola statua d’ Ercole? Ora sappi, che originariamente non si osava rappresentare dei; dipingere o scolpire le loro imagini, avrebbe sembrato una temerità degna del castigo celeste. I santuarii erano nudi, senza essere perciò men venerati. Noi abbiamo conservato questa semplicità primi tiva: riceviamo le offerte, ma non ammettia-_ mo simulacri del dio che si venera. - 60 PITAGORA. Questo è un sistema comodo per gli artefici; comechè , a dipingere un dio, essi non abbiano altro mezzo che di raffigu rarlo sotto l’aspetto d’un uomo: ed in sana logica, come in buona teogonia, nulla meno che un dio deve rassomigliare ad un uomo; purché il dio non fosse stato uomo da prima. IL Ponrnrxcs. Ti avanzi troppo , buon gio vane, e troppo t’ afl'retti. Restiamo alla tua prima questione sull’età di questo sacro edi fizio. Tu mi sembrasti sorpreso dell’alta sua Vetustà: che dirai dunque sentendo i sacer doti d’Egitto? Essi non danno meno di trentasei mil’anni al loro Ercole di Tebe. PITAGORA. Questo può conciliarsi, se vi furono diversi Ercoli. Anche la Grecia ha il suo. Ma quello di Tiro è egli probabilmente il vero? IL Ponmxcs. Senza dubbio. Mi allontanai, sorridendo della sicurezza, con cui gli uomini avanzano le opinioni più ardite. 61 CAPITOLO XXXIV. Annali di Tiro. ‘ Volli recarmi al deposito degli annali pu blici. Era stato prevenuto, che Tiro, gelosa della propria gloria, conserva i suoi archivi; ma questa città , che si dice antica di due mil’an ai, non conta fasti scritti che da quattro o cinque secoli. Mi l'u permesso di leggerli, e vi trovai alcune date incerte e male stabilite, alcuni nomi di re poco conosciuti, frai qua li quello di Malcandero contemporaneo d’0si ride. I re si provocavano, in quei tempi, a certi combattimenti d’imaginazione, a certi giuochi di spirito; si proponevano delle quistioni enigmatiche. Quegli che non trovava la parola, era condannato ad una forte somma d’oro o d’argento, che il popolo pagava subito, nella speranza che il suo monarca saprebbe risarcirsi ben presto. Perché s’ inventarono in seguito delle guerre da queste diverse? 62 - Chiramo, successore di Beimalo, aveva alla sua Corte un tirio, nominato Addemone, che scioglieva per lui le difficoltà. Gli annali di Tiro vantano molto la pietà di questo re, e la saggezza d’ un altro monarca suo con temporaneo. Il sesto re dopo Chiramo, fu il gerofante Itobal, il quale governavai due paesi di Si done c di Tiro nel tempo stesso. Ma quello dei successori d’Itobal , che fece parlare di sé più d’ogni altro, fu Pimmalione, fratello mi nore della fondatrice di Cartagine, una delle più “brillanti colonie di Tiro. La storia di questo personaggio coronato fu molto alterata: ma quegli annali rettificarono in tale argo mento le mie idee. Il padre 'di Pimmalione aveva lasciato il trono alla sorella di costui, la quale lo avanzava in età. Rimasto orfano , con venne che la nazione lo costringesse a pren dere lo scettro, di cui mostravasi alieno. Tanta moderazione annunziava un regno pu ro: ma invece il primo uso, cli’ egli fece del suo pieno potere, fu quello di far uccidere i! proprio zio, gerofante d’Ercole, per im padronirsi delle sue ricchezze. Oppresse egli quindi i suoi cittadini sotto » 63 il peso di gravose imposte , raccomandando però agli esattori di condursi con dolcezza. Ammassò in tal guisa delle ricchezze immen se; e, perché non gli fossero involate, le mi se sotto la tutela degli dei. Cessò finalmente Pimmalione di vivere: ed, alla sua morte, temendo il popolo un do minio forse ancora più molesto, si. decise di affidare il governo a tre giudici, amovibili e responsabili. Nello svolgere quegli annali, mi venne sot t’ occhio il piccolo codice di leggi dato da Mosco ai Perizziani, (i) tribù pastorale del l’Anti-Libano nell’Alta-Fenicia: codice cono sciuto sotto il nome di NOVE COMANDAMENTI DELLA RAGIONE. I. Sempre assistito dagli altri capi della famiglia, 1’ Anziano degli anziani di ciascuna borgata eserciterà le funzioni di sacerdote e di re. II. Il cedro più vecchio della borgata ser virà di santuario e di trono all’Anziano. (I) 0 Foreneni. Mem. Acad. insc. XXXIV; in 4.‘ .Gl‘ III. L’Anziano unirà gli sposi, attesterà la nascita dei figli, consolerà gli ammalati e gli afflitti, preéiederà ai funerali. IV. Sempre assistito dai padri di famiglia, 1’ Anziano riceverà le deposizioni del colpevo le, ed imporrà la riparazione dovuta all’oll’eso. V. Ogni giorno, al levar del sole, l’An ziano, appoggiando una mano al bastone pa triarcale, stenderà l’altra sui figli delle fa miglie, e li benedirà tutti,- in nome della na tura. VI. Ogni anno, nel mese in cui finisce l’inverno e comincia la primavera, accompa-‘ gnato l’ Anziano dai padri e seguito dai figli, farà il giro del campo di ciascuna famiglia, invocando il buon genio del luogo. VII. Egualrnente ogni anno, all’ epoca in cui finisce l’autunno o principia l’inverno, l’Anziano si recherà nella valle dei sepolcri, alla testa! di tutte le famiglie, e vi farà com memorazione onorevole dei mortali virtuosi, che avranno cessato di vivere nel corso del l’anno. - VIII. I giovani pervenuti all’anno vigesime piegheranno un ginocchio innanzi all’Anziano, il quale, posando la mano sulla loro testa, di 65 1% loro: » Alzatevi, e prendete il vostro po sto fra noi. Eccovi uomini! Noi ve ne gua rentiamo tutti i diritti: voi adempitene tutti i doveri. - IX. E per restringere il loro codice polif tico e religioso in una sola legge, i Periz ziani dichiarano, che il loro culto è la pietà filiale, il loro governo il paterno dominio. Colla successione degli anni poi, ho tro vato che la città di Tiro ritornò alla monar chia per insensibile quasi e naturale tendenza. Tomo Il. -5 66 CAPITO LO XXXV. V Viaggio in Egitto. Riconoscimento delle Cos‘te. -Becatomi a quello dei due porti di Tiro, ch’è rivolto verso 1’ Egitto, m’ im ,harcai tosto, impazientissimo d’approdare a quella sacra terra. Il piloto mi disse a tal proposito: » Coloro, che facevano un giorno vela per Ofir, non mostravanomaggior pre mura. « PITAGORA. Dovevano averne meno, perchè non andavano a cercar che dell’oro. In PILOTO. Dopo d’ aver quasi smunto quel ricco paese, non ci curammo più di tenerne occulta la posizione; ma da quel momento, pochi si diedero cura di visitare una contra da, ove noi primi eravamo approdati. u n I nostri, padri fabbricarono a Sofira un solido edifizio, che attesterà ai posteri la nostra presenza in quella lontana contrada. Gl’ indigeni non conoscevano i tesori, che possedevano, vivendo pacifici in mezzo a quei ricchi metalli, che cagionano altrove tante 67 guerre: tutt’ora dimorano in capanne di le gno e di terra. _ PITAGORA. Mi sorprende però,» che i pri mi filu_ni non siano stati tinti di sangue. IL Pn.oro. L’ignoranza salvò in tale ocea sione l’umanità. Gli abitanti di Sofira guar-_ davano con occhio stupido i nostri lavori, e non comprendevano come potessimo venire si da lontano, e darci tanta pena per tras portare sui nostri vascelli quella materia brutta, di mano in mano che si estraeva dal la miniera. D’altronde, che cosa sarebbe di ventata quella materia brutta e preziosa, nelle mani di gente che sapeva appena coltivare un campo? ’ PITAGORA. Gran mercè, che voi non ab biate avvertite quegli abitanti dell’uso, al quale eradèstinato l’ oro strappato dalle loro montagne! Essi non avrebbero potuto con servarsi indifferenti, all’idea di I'contribuire, benché innocentemente, alla corruzione degli altri popoli. IL Pu.oro. Eh! con sifi‘atti scrupoli, che sarebbe del commercio e della navigazione? Ma eccoci omai vicini a questo popolo saggio per eccellenza. Io lo bramerei alquanto più ospitale, e meno diffidente. Ci eviterebbe ora 68 un lungo giro di mare, giacché siamo obbli gati di costeggiare fino a Racoti, non essen do permesso di gettare 1’ ancora in verun altro porto. Straniero, riconosci, passando, Gaza, città antica, che non appartiene all’Egit te, ma ch’è ricca quasi quanto il paese di Ofir. La Fenicia la vuoi _sua, come anche Antedone, Geniso, e Rinocorura, ossia città dei Nasi-mozzi. « n In fondo di quel piccolo golli> che vedi, relegati vengono sopra una terra sabbiosa i col pe'voli dei due sessi, che non hanno merita to l’ultimo supplizio. Si suole mutilarli, per riconoscerli, in caso d’evasione. PITAGORA. E non basterebbe guardarli a vista? L’uomo ha dunque il diritto di degra dare in tal modo il capo-lavoro della natura? In Pu.oro. Rifletti, giovane straniero, che uno scellerato non è più il capo-lavoro della _ natura. Pmtcom. Si dovrebbero in lui rispettare almeno le belle forme, che ne ha ricevuto; rispettare dovrebbe l’ uomo sé stesso ne’ suoi simili. In Pu.oro. L’uomo virtuoso deve cessare di vedere un suo simile nella persona d’ un malfattore. 69 Pxnoom. Il malvagio non è che un for sennato, cui bisogna contentarsi di mettere alla catena. Si taglia forse il naso ad un paz zo ?-- E come si comportano quei banditi mu tilati, nel luogo della loro relegazione? Ii. PILOTO. Discretamente bene; vari fra essi sono anzi contenti più che mai. Durano, per verità, fatica a procurarsi le cose neces sarie alla sussistenza; ma questo giova a rendere laboriosi ed industriosi coloro , che si resero prima colpevoli per 1’ ozio e l’indo lenza. Il loro più comune alimento consiste nelle quaglie, ch’essi pigliano in reti di can na, lunghe; parecchi stadi, e tese Sulla spiaggia. PITAGORA. Ora tu vedi, quanto sia ingiu sto, impolitico ed inumano lo sfigurarli cosi indegnamente. La buona legislazione insegna, che il castigo non debba lasciare più lunghe tracce di sé, che non ne lascia il delitto. Per un momentaneo traviamento, ecco degli uo mini condannati ad una pena, che durerà quanto la loro esistenza. IL Pn.owo. Riconosci il lago Sirbonide, nel quale si precipita un rapido ruscello, co nosciuto sotto il nome di torrente d’Egitto, cui serve pure di limite naturale. Vogliono alcuni storici che, in mezzo a questo lago, 7o famoso per tradizioni religiose, di cui lascio andare il racconto, vi abbia un’isoletta for mata da ceneri ammonticchiate. Quando Sa bacone venne dall’Etiopia ad invadere l’Egitto, un re del Nilo trovò in quell’isola un sicuro asilo, perché le truppe mandate ad inseguirlo ivi perivano, prese in inganno dalla mobili tà del terreno. PITAGORA. Questo piccolo ammasso d’ae que Occupa più spazio nella storia che nel globo. In Prnoro. Salutiamo passando la città di Pelusio, fondata in mezzo alle paludi del Ni lo. Il suo recinto è di venti stadi, ed altret tanti essa ne conta dalle sue mura alla riva del mare. Si potrebbe dare agli Egiziani il consiglio di fortificare questa piazza impor tante, e di non attendere un’invasione nemi ca, per mettersi in guardia. Pelusio, munita d’una buona cittadella, diventerebbe il ba luardo più sicuro di tutto l’Egitto. Sopra tutta questa spiaggia, si respira un’ aria insa lubre ; ma si può preservarsi dal contagio, coll’uso delle cipolle marine, pianta benefica, che riceve nei tempii gli onori divini. PITAGORA. La riconoscenza giustifica una tale superstizione. 71 In PILOTO. A sei schene (1) da questa piazza importante, osserva la città d’Erc'ole, capitale d’un gomme. Giace essa tra il ca nale Pelusiano ed il Tanatico, mentre, sei schene più in là, si trova la città reale di Tani. Nelle paludi, che la separano dal-ma re , vi è Tenneso, i di cui abitanti hanno appena terreno sufficiente per coricnrsi; sus sistono del solo commercio, e pochi cittadini son più di loro industriosi. Prmcoss. Il bisogno è il migliore maestro. In Pin0’r0. Più in là fra terra, si trova la città di Mende , che accorda un culto al becco. PITAGORA. Della credenza d’un popolo non si dee sempre giudicare dalle sue cerimo nie religiose. In Pn.oro. La tua riflessione è in questo caso tanto più giusta, quanto che il nome di quella"città, nella lingua del paese, signi fica Becco ,- laonde, quando i suoi abitanti mostrano di sacrificare a questo animale, os servano ciò che si fa in ogni altro paese, invocano cioè il buon genio del luogo. a » Finalmente, ve’ che si scorge quella (i) Sorta di misura itineraria degli Antichi, e so prattutto degli Egiziani. 72 bocca del Nilo, che porta il nome di Pral metico, forse a motivo di Tamiat_i, luoghic ciuolo che non - corrisponde all’ importanza della sua posizione. « v n Tutta questa parte del suolo dell’ Egitto, rinchiusa fra le due grandi braccia che forma il Nilo prima di metter foce, è coperta di paludi; indietro, vi sono varie città più o meno con siderabili, ma tutte conosciute: Onufi, città principale d’un governo dello stesso nome; Cinopoli, la città del cane; il borgo d’Iside, a motivo del suo tempio; Busiride, famosa per un altro tempio dedicato alla stessa divi nità. Zoide, fabbricata in un'isola del gran fiume d’Egitto, dà il suo nome ad una del le dinastie reali del paese. « » Ecco un’altra bocca del Nilo, conosciuta sotto il nome di Bolbitina. Penetrando nel Delta , si trova Metelide, colonia dei Milesii, che vi si fortificarono con mura e torri; Sai de, metropoli di questa parte inferiore del l'Egitto , e due schene distante dal Nilo; Nau cratide, sulla riva destra di questo fiume, altra colonia dei Milesii, che ottennero la permissione di stabilirvisi , incaricandosi di procurare alla Corte tutti i vini della Grecia. « » Ecco Ermopoli la piccola (Città di Mercu 73 rio), sopra uno dei canali del Nilo vicino al deserto di 1Vitria. « » Terenutride, luogo donde il nutro (1) è trasportato , per venire imbarcato sul Nilo. « » Papremide, la città di Tifone, che sacrifica degli orsi alla sua nera divinità. Li mantiene essa con cura religiosa, ed accorda loro gli onori_della sepoltura. « » Rendiamo grazie a Nettunno: eccoci al braccio Canopico del Nilo, dopo aver costeg giato quasi dugento stadi greci: tale è la misura delle spiagge marittime dell’Egitto. « Noi approdammo al solo porto che sia aperto agli stranieri, il quale si chiama la rada del Buon-Ritorno, in faccia all’isola di Fa _ ro, dai re d’Egitto fortificata, sul disegno della natura, per proteggere o difendere l‘in gresso del loro impero. Un borgo è di là non lungi ,_ detto Racolìde, abitato da una falan. ge di pastori armati, per respingere qualum que ostile discesa. (I) Nitro terrestre. 74 CAPITOLO XXXVI. Pitagora a Canapa. La mia nascita ed il mio abbigliamento non erano titoli propri a guadagnarmi la con fidenza del popolo egiziano , prevenuto contro la nazione greca, la quale era ben accolta sol tanto alla Corte. Munito d’una lettera pel re Amasi, io aveva ottenuto facilmente l’entra ta nel paese , facendola vedere alle guardie del porto di Racotide. Non poteva però ave re sempre alla mano questa missiva, onde far mi bene accogliere da per tutto. Presi il par tito di vestirmi all’egiziaua, senza però ta gliarmi i capelli, cui portava alla foggia dei porpai. Sono questi obligati a conservare tutta la loro capellatura, per distinguerli, e poter loro interdire 1’ ingresso nei tempii; ciò che mi avrebbe molto ineomodato: se non che l’omaggio, da me reso ai costumi del luogo in tutte le altre mie abitudini, mi conciliò il maggior numero. Indossai la lunga veste di lino a maniche larghe colla cintura, non vo lendo usare la lana, e mi copersi la testa con un piccolo drappo di tela bianca, sovracco 75 perto da un berretto di panno rosso stretto alle tempie. Conforme ad una legge del paese spettan te agli stranieri, i miei primi passi, entran do sulla terra d’Egitto, dovevano essere di retti a Canapa. Il mio vestito nazionale non midispensò di assoggettarmi all’esame dei guardiani alle bocche del Nilo, uno dei quali mi chiese: » Sei tu greco? Puncom. Io‘sono di Sidone. In Prussosro. Sei mercatante? Prrseons. No. IL Pnnrosro. Giura di non essere né gre co, nè mercatante. PITAGORA. Io sono un uomo. Assoggettatomi a questa formola inospita le, mi fu permesso di portar dovunque i miei passi, senza render conto a nessuno. Mi era stato detto, che Canopo non è città molto antica. Il suo primo monumento, che s’incontra sulla riva del mare, è la tomba di Canopo, piloto di Menelao, che, ricondu cendo la bella Elena a’ suoi lari, fu gettato da un colpo di Vento sulle coste d’Egitto. Elena avrebbe desiderato, che quel monu mento portasse il suo nome; ma il re suo sposo la fece pentire di questo voto indiscre 76 7 vto, dicendole: » Figlia di Leda! Non si per lò forse di te abbastanza? La tua gloria con siste oramai nel farti obliare. « n Tradizione popolare'. mi disse un sacer, dote di Serapide. Il nome di questa città è do vuto ad una stella situata all’estremità più australe della costellazione del vascello d’Ar go. « -E quest’ori’gine, che può servire di guida al piloto , è senza dubbio da- preferirsi alla favola imaginata dai Greci. Un pontefice del dio Canopo me ne diede un’altra spiegazione: 11 Nella nostra lingua sacra, Canapa significa Terra d’ Oro. Questo è un omaggio. reso. dagli stranieri al nostro Egitto, il quale non racchiude già miniere preziose, ma possiede le acque del Nilo, e l’esperienza dei tempi passati due tesori ino stimabili. « -« La saggezza di questa osservazione mi sor prese in un ministro di Campo. » Io prefe risco, gli dissi, la tua oonghiettura- a quelle che mi furono spacciato dagli altri. lo adotto sempre il partito di chi rende più onore ai suoi simili, e ti confesso che non me l’aspet tava, giunto appena presso una nazione ce lebre pel suo carattere religioso . . . li. SACBRDOTE. Vuoi dire superstizioso. 77 PITAGORA. Sarei forse autoriZzato. a cosi esprimermi, per quanto si racconta della di» vinità, alla quale tu servi. IL SACERDOTE. E perché non lo fai? Dc poni ogni timore. Noi non ci mascheriamo che agli occhi di chi non può sostenere la vista della verità senza velo. Io voglio ricon ciliarti col mio dio Canopo. Tu conosci pro babilmente la moltitudine. Qualche tempo fa, alcuni sacerdoti caldei si posero in viaggio , portando seco loro il fuoco sacro. Tu sai, ch’cssi hanno per divinità dei carboni accesi ai del sole. Eccoli girare per tutte le provincie vicine alla loro, passando di città in città, e proclamando la superiorità de’ lo ro dei sopra tutti gli altri: e difatti, sino al lora, avevano ottenuto da per tutto una vit toria facile e decisiva. . Ergevano essi il loro tripode di bronzo innanzi al vestibolo dei templi, ivi accendevano un gran "fuoco , e gridavano: » Il nostro dio è il più degno di questo nome, ed il più potente di tutti. Si conducano qui tutte le divinità del paese. Quella ' che non potrà reggere in confronto alla no stra, deve confessarsi vinta, e cedere ad essa il suo culto, « -I sacerdoti del luogo, punti da questa sfida, correvano a cercare nel santuario 78 i loro dei d’oro, d’argento, di legno, d'avo rio, di marmo , e li deponevano sull’altare del dio caldeo. I ministri di questo avevano cura d’attizzare, di ravvivare il fuoco del lo ro tripode , e si mettevano in invocazione; ma non avevano ancora terminato la loro pre ghiera, che il fuoco s’era già impadronito dei simulacri di qualunque materia, sconsigliata mente esposti al-di lui calore. -- » Voi lo vedete; esclamavano essi allora 'ì;on un tuono - di trionfo; o popoli! Gli dei de’ vostri sacer doti non possono resistere alla nostra grande divinità. Osservate, come tutte quelle sante imagini si anneriscono, si sciolgono, si con sumano , e non saranno ben presto che poca cenere, cui dispergerà il vento. Il dio-Fuoco le ha tutte o annientate o sfigurato. Gloria al dio del Fuoco! Popoli! prestate omaggio ad esso; non vi ha che un dio in cielo ed in terra; esso è il nostro, quello de’ Caldei! « - » I ministri degli altri culti volevano rispon dere; ma invano. La moltitudine credeva a ciò che vedeva: vedeva essa i suoi dei in fusione od in polvere, e perdeva tutta la fiducia in divinità, che non. sapevano difen dersi, e si lasciavano distruggere senza resi stenza. u 79 n Orgogliosi pei loro successi, i caldei vennero a Gauopo, onde fare altrettanto. Il nostro primo pontefice, prevenuto di tutto ciò ch’ era accaduto altrove, imaginò questa pia frode. « . n Nei nostri tempi si trovano, all’ingresso, dei vasti bacini, Per purificarsi, prima d’an« dare più oltre: l’acqua chiara e limpida di quei bacini scola da un’idria superiormente sospesa , e foracchiata da una quantità di piccoli buchi, che trattengono nel passaggio le im mondizie dell’acqua attinta dal Nilo, lasciandola cadere spoglia di tutte le materie eterogenee. Il, nostro pontefice turò i fori di quell’idria con della cera, mascherata mediante un leg gero strato di colore; poi andò a cercare la testa (1’ un YCCClIÌO simulacro mutilato, la adattò sul collo della brocca, e si presentò con fiducia per sostenere la prova in confron to dei sacerdoti caldeii Questi, senza prenderne sospetto, accesero il loro tripode, Il fuoco ria scalda l’anfora; la cera si squaglia; l’acqua gronda da ogni parte , ed estingue facilmente la fiamma del dio-Fuoco; questa’volta, isu0i carboni ardenti diventano freddi, e più neri della divinità, cui dovevano consumare. Gli abitanti di Campo aeclamano allora il mira. 80 colo, e celebrano il loro dio ed i suoi mini stri: i caldei, sbefl"ati e confusi, se la battono senza fiar motto col loro tripode. Non si udì più parlare di loro; e Canopo non ne ritrasse verun discapito. Questo grande avvenimento fil celebrato con una rappresentazione del dio Vincitore, patrono della città; e dopo quel l’epoca, si vede sui nostri altari una figura, che ha le forme d' un’ anfora e d’un dio nel tempo stesso, o piuttosto un corpo umano vestito colle pareti d’ nn’idria. Invece del collo dell’anfora, si vede la sua testa; due piedi attaccati insieme gli servono di ba se; le braccia sono i manichi, ed il vano esprime il ventre della figura. Quest’ ima gine grossolana non dà un’alta idea dei ta lenti del popolo egiziano; ma attesta la pre senza di spirito del pontefice, e ricorda un avvenimento, che poteva avere conseguenze funesta. Possano tutti gli errori, che pullu lano sotto il sole, combattersi in questa guisa fra di loro, senza impiegarvi del fiele, e senza elfusione di sangue! Non è questo an che il tuo voto? PITAGORA. lo vorrei di più. Che importa all'uomo un pregiudizio piuttosto che un al tro? Ciò che gl’ importa, si è di diminuire 81 ogni giorno la massa degli errori: nè basta che si combattano; fa d’uopo che siano di strutti. IL. Sacsnnorr:î Questa è l’opera del tempo. PITAGORA. L’ Egitto, che contiene la pri mogenita fra le nazioni della terra, mi sem» bra che dovrebbe essere più avanti nel cam mino della ragione. IL Sacsnnorr. E lo è pure; ma non già fra il popolo te ne potrai avvedere. PITAGORA. Per'chè? . IL SACl-IRDO'I‘E. Perché il popolo, comunque invecehi, resta sempre nell’infanzia. PITAGORA. Ma in Egitto non si adoprano i mezzi ad illuminarlo presto. L’ accoglimem to, che gli stranieri ricevono nei vostri por ti, non gl’ invita a venire, per comunicarvii loro lumi in cambio dei vostri. Il. SACE’RDOTE. Ciò che succede ogni giorno sotto gli occhi nostri a Canopo, prova la necessità di tali precauzioni. _L’ Egitto può far di meno di tutto il resto della terra, e di nulla_ domanda i suoi vicini. Perché mai non ebbe il tempo Sesostri ed i mezzi di cingere tutto il regno d’una muraglia, simile a quella che ci chiude, dalla città del Sole Tomo H. 6 82 fino a Pelusio! La innondazione dei cestumi stranieri, che non è certo proficua quanto quella del nostro fiume nutritore, non ci a vrebbe mai allagato: egli è questo un servigio, che ci resero quei pochi negozianti, ai quali la Corte permette l’ingresso del nostro paese in questo porto e fino a Naucrazia. Qual bi sogno avevamo noi dei vini greci? Si Viene fin qui per corrompere le nostre istituzioni, le quali vengono poi snaturate, altrove; gli stranieri non si contentano di alterare i no stri costumi, ma di più li calunniano: e fra poco noi rassomiglieremo a coloro stessi, che prima volevano modellarsi sopra di noi. PITAGORA. Vi sono però dei viaggiatori, che danno di voi buona testimonianza; vi so no di quelli, che si compiacciono delle belle invenzioni, che avete loro comunicato. lo vidi da Anassimandro delle tavole geografiche, di cui viene a voi attribuito l’onore. Io non ho i suoi titoli alla confidenza dei sacerdoti d’Egitto, ma ho più di lui bisogno delle lo ro istruzioni. Pontefice di Campo! Io non posso fare un pa'sso utilmente sopra questa terra a me sconosciuta, se tu me ne rifiuti le tavole topografiche; e l’uso, ch’io mii pro 83 pongo di questo studio preliminare, m’inco raggia a reclamar tal soccorso. In SACERDO'I‘E. Accolto una volta fra noi, nulla possiamo più ricusarti. Entriamo nel tempio; ad una delle colonne sta sospesa la tavola indicativa dei principali luoghi dell’Egit to. Puoi consultarla: noi non temiamo d’es sere conosciuti; ma abbiamo vizi ed errori abbastanza, senza ricercarne dalle altre na zioni (i). (I) Le autorità di questo capitolo e dei seguenti sono Straboue, Erodoto, Lucano Farsaglia, Mezzi. dell’ Accademia delle Iscrizioni, Danville l‘Egitto an u'co , Wendelliui Admìranda Nili , Diodoro Sic. ecc. 84 CAPITOLO XXXVII. Topogrqfia dell’ Egitto. » Siccome noi siamo fedeli ai nostri principii, proseguì il Sacerdote, nè ci occu piamo che degli affari nostri: così non tro verai sopra questa tavola che'il corso del Nilo, la doppia catena delle nostre montagne, la direzione dei canali, la posizione delle uo stre città, un poco dell'Etiopia, una piccola digressione fino al tempio di Giove Ammone : ecco quanto noi pretendiamo di conoscere‘ del globo. Sentiamo parlare ogni giorno del re sto dell’Africa, della quale noi abitiamo sol tanto una striscia angusta. Vantate ci vengo no la Grecia, le isole dell’ Arcipelago, la Fe nicia, ed altre regioni: ma quando avremo già fatto per la nostra patria tutto ciò, che essa ha il diritto d’esigere da noi, allora ci sarà permesso occuparci di oggetti stranieri. Tu qui dunque non vedi che 1’ Egitto; Co mincia a viaggiare con gli occhi: l'occhio dirige il piede. Prr.womx. Mi si parlò d’ un quadro itine rario delle spedizioni di Sesostri . . . 85 In Sacnnnors. Noi ne possediamo soltanto delle copie, oggetti di semplice curiosità. Per consultare gli originali, ti converrà andare fino ad .Ea, città degli Sciti, fabbricata dal conquistatore dell’India, al confluente del Fasi e -dell’lppo, trecento stadi dal mare. Questa è quella città, dove il vincitore, vinto egli pure dai Goti, lasciò una parte dell’ esercito per assicurarsi una ritirata. u il Il nostro Egitto non è difficile a dise gnare. L’insieme non offre che una valle, solcata per lo mezzo della sua lunghezza da un gran fiume; le terre adiacenti furono da noi abbandonate ai pastori vaganti, come po co suscettibili di coltivazione; quelle che ab biamo ritenuto, ci fanno onore coll’estrema loro fecondità. Le acque del Nilo e le nostre braccia hanno secondato la natura a mara viglia , e noi ci siamo perfettamente inte si con essa. Senza aver viaggiato, possiamo asserire, che non vi è contrada sotto il sole , di cui gli abitanti abbiano avuto più cura, che noi della nostra, da Tebe fino a Pelusio e Canapa. Per servirmi d’un’imagine, che dev’ essermi familiare, il Nilo, preso dalle cateratte di Siene fino al mare, rass0miglia ad un turibolo sospeso ad una catena. Il suo 86 ingresso nell’ Egitto è osservabile, precisarxlem te al punto della più grande obliquità del l’ecclittica. u » L’Egitto occupa, sulla spiaggia del mare, uno spazio di sessanta schene, ossia trecento sessanta stadi: sappi, che la misura disegnata da noi sotto il nome di schena, è la lunghez za di quello spazio, in cui i battellieri, che tirano le navicelle sulla riva del Nilo, si av vicendano in questo penoso lavoro. ti » Sappi di più, che abitabili sono i soli terreni inondati dal Nilo. Tutti i luoghi su periori al livello delle sue inondazioni sono assolutamente sterili e deserti; e noi appli . chiamo il nome d' Egitto solo alle terre dal gran fiume annaffiate. Le arene della Libia coprono una superficie molto più vasta che le acque del Nilo: ma la quantità deve ce dere al valor delle cose. « » È troppo generoso, chi ci accorda ven timila città. Annoverare ne potremmo fino a duemila, e di questo numero ci vantiamo; il di più ci farebbe meno onore: molte città sono altrettanti furti all’agricoltura. u » La nostra terra niloticq (per servirmi di una espressione da oracolo) è divisa in alta e bassa. Una linea retta, che attraver 81 sasse il Nilo, lasciando Babilonia da un lato, e Menfi dall’altro, farebbe la separazione dell’Egitto inferiore dal superiore. Il tutto, secondo lo spartimento fissato da Ses0stri, è saddiviso in trentasei nomi o dipartimenti. u n Rimontando il braccio orientale del Nilo, il luogo più considerabile, che si presenta, è Leontopoli, fabbricata sulla collina del Leo ne; ivi si presta un culto a questo potente re degli animali, del quale noi occupammo il dominio. a h Il simulacro d’una gatta, della quale i Greci hanno fatto la loro Diana, riceve de gl’incensi a Bubasti; in opposizione imme diata con questa città importante, sta Fac cu.m, capo-luogo d’un dipartimento. In tutta questa parte, non vi ha di distinto che la Babilonia d’Egitto, vantaggiosamente situa ta. Essa domina il Nilo un poco al di sopra del Delta, precisamente ove la montagna, che bordeggia la costa orientale del fiume, co mincia a restringere la valle, che s’ alza poi fino alle cateratte. u n La fondazione di questa città rimonta fino a Semiramide. Alcuni Babilonesi d’Assi ria, fuggendo il dispotismo di quella donna, vennero a chiederci asilo e protezione. Ivi 88 costruirono un pireo in mezzo ad una for tezza, detta delle Fiaccole. Dato viene an che a tutto quel monumento il nome di Tempio del Fumo. (( ‘ -» Dodici ore di cammino al di sopra di B: bilonia , s’incontra Nefii, ossia la città di Venere, che nel vostro idioma chiamate Afro ditopoli. La sua posizione è sulla riva on'en tale del Nilo. Ivi una vacca bianca consacra ta abita il tempio, e viene mantenuta a ca rico del comune. « » Ecco la città nominata dai Greci del So lir; essa 'è la metropoli d’un dipartimento. La sua posizione è stata determinata da una fontana: cbè rare sono le sorgenti in Egitto; e sembra che il Nilo, geloso di dispensare eglisolo gli umori, le abbia tutte_assorbite. Questa la da noi Chiamata la fontana di On, parola egiziana, per esprimere l’ astro del gior no, ed il primo dei nostri benefattori, il Nilo essendo il secondo. « 1) Prima di rimontare fino a Menfi, si trova un’isola, detta Venere-Dorata, ossia il campo d’ Oro. Ma la grande e superba città di Menfi non fu già l’unica residenza dei nostri re; questo vantaggio le fu dispu tato da Eliopoli e Saide. « 89 1) A trecento venti stadi in su da Menfi , si trova Acanto, città isolata, che deve il suo nome ad un arboscello spinoso, sempre ver de , ed indigeno della Tebaide. Qui se ne vede un’ intiera foresta, e noi'vi andiamo a cogliere il fiore di questo vegetabile per ser vire alle nostre feste ed alla medicina. La popolazione di questa contrada è una colonia libica, stabilita sull’alto d’ una montagna. In quel territorio si trovano delle buone nutrici di bambini, che hanno molto latte, perché le donne fanno uso frequente dell’àcanto. « n Rimontando il fiume, si trova, in un’ iso la , Cinopolî, città consacrata al culto d’Anu bi. Un cane, che rappresenta questo dio, vi è mantenuto a spese degli abitanti. Il Nilo, in questo sito, descrive un semi-circolo per arrivare ad Ibeo, borgo che serve di riposo ai viaggiatori. Dev’esso il nome all’ibi, og getto del suo culto.- Ecco la gran città di Mercurio, e Tani decorata d’un tempio al Sole. (( ' n L’altra riva del Nilo, molto meno po polata, perché il monte Arabico vi segue il fiume assai da vicino, non conta che due di partimenti. Vicino a Menfi, si trovano lepre fonde grotte del monte Trojano , formate go dall’escaVazione delle belle pietre, che servi rono a costruire le piramidi. Queste escava zioni diedero asilo ad alcuni prigionieri, che Menelao conduceva da Troja, per essere im molati a Sparta sul sepolcro d’Achille, come toccò a vari infelici. Cotesti eroi vogliono sangue in vita non solo , ma ancor dopo mor te: sempre sangue! u » Nello stesso dipartimento si legge Ippo .no, che gli Arabi nostri vicini chiamano E stabl, a motivo d’un pascolo che si trova allo sbocco d’uno di quegli ampi torrenti , che attraversano il deserto per rovesciarsi in Egit to. Più in alto, è la catena formata dalla mon tagna dei Pili e dal monte degli Uccelli; questo bordeggia la riva del Nilo come una muraglia, e serve di baluardo naturale al no stro paese, al quale è frontiera. « e Un poco più lontano, si entra nella Te baide al sito di Speo Artemide, ch’è una caverna vasta e profonda. Nelle rocce vive si costruì colà un tempio e delle grotte sepol crali: queste bizzarre costruzioni sono ornate di grossolane figure, che producono tuttavia il loro effetto. Poi s’incontra Besa, città co nosciuta un tempo sotto il nome di Besan linee,- ma questa non è la sola trasformazio 91 ne, alla quale deve andare soggetta. Possa ella non arrossirne giammai! ( 1). u » Lontano dal Nilo, e molto avanti fra ter ra, è stata fabbricata Anabastronpolì, alla metà del fianco di Alabastrite, montagna , che forma la destra d’una gola, per cui si entra nella pianura detta delle Carrette dagli Ara bi, e chiusa a levante dal monte del >ììil\et tissima, vicino ad un altro detto il Duris simo. Tutte queste denominazioni hanno il loro valore, e per aver trascurato di tenerne conto, s’ ignora la storia dei primi tempi. u n Ad una mezz’ora di cammino dalle rive del Nilo, s’incontra la città dei Lupi, presso ad una montagna, al piede della quale è una caverna frequentata dagli Arabi, e da essi contrassegnata egualmente sotto il titolo (1’ E stabl, perché quella grotta è spaziosa abba stanza per servir di ricovero a mille cava lieri. « » Questa regione possiede Copto, città nominata spesso pei molti scogli che la cir condano, nei quali trovansi degli smeraldi d’un verde vivissimo. « (1) Questo voto non è stato adempito. Lungo tempo dopo Pitagora. questa città fu detta Amino, o Anti nupoli, città d’Andnao. 92 » Molte città sono disposte più o meno dappresso, lunghesso le rive del fiume fe condatore; fra queste si distingue la piccola città di Apollo (Apolhma), fratello maggio re d’0siride; Adribea, i cui devoti citta dini mantengono un campsi, o crocodillo sulle rive d’uno stagno alimentato da due canali, che non si asciugano mai. Gli abitanti della città d’ Ombo , nell’alta Tebaide, hanno fatto ancora di più per la stessa divinità; i vivai sacri, che vi si vedono, sono scavati a forza di braccia. u n Leggi in seguito Tinite, città antica, residenza dei re della dinastia di tal nome. Abido, altra città più famosa, non inferiore che a Tebe, fu il soggiorno abituale di Men none; se ne vede ancora il palazzo, ed un bel canale derivato dal Nilo, trovandosi quella città molto innanzi fra terra verso la Libia. All’altezza d’Abido , si trova Oasi, vasto spa zio circondato dalle arene libicbe , come un’iso la in mezzo al mare. Dopo tre giorni di cammino nel deserto, s’incointraverso ponente Ramlie, montagna sabbiosa, che indica quel luogo (1’ esilio. L’interno è una pianura co perta di palme; i banditi, che l’abitano, vi fanno crescere del buon grano, coll’ajuto di 93 certe sorgenti, delle quali essi dirigono le acque fecondatrici , e tanto bastò ai Greci per dare alla grande ed alla piccola Oasi il nome d’ Isola dei Beati ; nè pensano forse che han veramente cólto nel punto. Resi alla na tura dalla società, che li rigetta dal suo se no con più o meno ragione, i banditi d’Oasi arrivano al punto, di riguardare il resto della terra come un luogo d’esilio. u » La piccola Oasi è vicina al lago Meri de. La grande è separata da Tebe per lo spazio di sette giornate di cammino; iSamii vi hanno una piazza di commercio. .« » Ritorniamo al Nilo. Sulla riva destra ossia orientale, è la città d’Antea, che van ta un bel tempio consacrato a quel perso naggio famoso, che Sesostri nominò gover natore della Libia e dell'Etiopia. e » La città degli Sparvieri rende un culto a tre grandi divinità nel tempo stesso, a Giove, ad Ercole, ed alla Vittoria. a » La piccola città di Mutìde va superba di portare uno dei soprannomi della dea Iside, quello di Madre-Iside. « » Osiride, partendo per la sua grande spe dizione, prese seco Pane, rispettato assai nel paese. In seguito, gli avi nostri ne collocarono 9'+ la statua in tuttii templi, e gli fabbricarono una città nella Tebaide, la quale è Chemi mide, in cui si trovano molti monumenti, e va con Tebe a gara per le sue origini. Volendo riportarsi ad una vecchia tradizione, tutto l’Egitto portò un tempo il nome di questa città, onorata d’un tempio antichis simo, e di forma quadrangolare, ombreg giato da una fila di belle palme. Il dio, od eroe, di questo santo asilo, è calzato, ed i suoi sandali sono lunghi due palmi. « » Questa città, come porta il suo nome, è consacrata all’ottava celeste: noi chiamiamo chemmide il numero 8. « » Giovine straniero, ricórdati di non con fondere questo nome con quello del re Chem mide, che costrusse la più alta delle tre grandi piramidi. « » Eccoci alla città dei pesci squamosi, perché se ne pescano molti in quel sito. ti » Chenoboscione deve la sua etimologia alle oche, le quali vi si allevano in gran quan tità. « » A Tentiride, che tu vedi, città consi derabile che supera le due precedenti, lungi d’adorare i crocodilli, si temono, si odiano, si confinano anzi in un’isola. u , 95 » Arrivati alla piccola Apollinarîa, o borgo d’Apollo, non vi son più che sett’ore di cammino per giungere alla gran Tebe, più celebre essa sola di tutte le altre città straniere , che ne presero il nome. L’origine di questo vocabolo indica una collina, una terra alta; eppure la nostra Tebe occupa una val le, ossia l’intervallo di due catene di mon tagne, che chiudono il Nilo. Ma la sua po sizione remota nella parte più alta dell’Egitto rende propria ad essa l’espressione d’un luo go elevato. I nostri etimologisti, più difficili sulla convenienza dei termini, trovano nelle radici del nostro idioma, che Tebe significa una città: e qual luogo abitato merita me glio di questo la denominazione di Città per eccellenza? u » Busiride, suo fondatore, le diede una circonferenza di tre giornate di passo d’uomo. Tu vedrai le quaranta grotte, o sepolture reali, celebri sotto il nome di porte dei re, scavate con arte nella viva roccia ai fianchi della montagna. Quando tu viaggerai nella Tebaide, t’ invito a fermarti un momento ad una seconda Copto, città giacente sulla riva del gran fiume. Le rondini insegnano colà “gli “Omini 1’ arte di costruire le dighe, per 96 ché fabbricano i loro nidi in modo, da non temel' punto le inondazioni del l\ilo. « n Ermotifle, al di sopra di Tebe, è il capo-luogo dell’ultimo dipartimento sulla riva del Nilo, verso la Libia. Questa città ha due templi: il toro, lo sparviere, ed il leoneso no i tre animali geroglifici consacrati nel cul to ch’ essa rende al sole. La cosa più inte ressante, che vi si vede, è un nilometro in forma di colonia, collocato in un bacino in ternamente di pietra. Il traboccamento del Nilo vi segna fino a trenta braccia. Tu lo confron terai con quello, che ima delle nostre regine eresse nella città di Asna, al di sopra di Ermontìde , il quale ha le misure più corte. « n Latopoli è la stessa città che Asna, di cui parlammo. Questo soprannome le venne da un pesce, più grande nel nostro che ne gli altri fiumi comuni, il quale si pesca fre quentemente nel suo porto: la riconoscenza tributa a quel pesce degl’ incensi. PITAGORA. Mi giova credere, che questo sentimento sia l’origine di tutti i culti. In Sacsnnore. Sapresti tu applicare siffatta osservazione anche agli onori divini resi a Lucina nella città d’Eletia? « 1) Dopo Tebe, rimontando la riva orien 97 tale, il primo luogo alquanto conosciuto, a. motivo d’un tempio, è Tufio; ma questo tempio non è tinto di sangue umano. « Io interruppi di nuovo 1’ oflicioaa mia gui da, per domandargli: » Sacerdote di Cane. po, che parli tu di sangue umano? « Egli mi rispose: n Devi sapere, che la nostra Lucina della Tebaide non è meno esigente della Diana di Scizia, e vuole sacri fizi umani. -- Passiamo presto al posto detto la Porta, perché occupa l’altura d’un monte, che domina la strada ed il fiume. Alcuni passi più in alto, il Nilo si trova ancora ristretto fra due montagne opposte, che lasciano ap pena un passaggio alle sue acque. Corre voce nel paese, che anticamente venissero legate da una catena impiombatà alle sue estremità nel macigno, per cui si dice quel luogo il monte della Catena. « n Si ebbe, un tempo, l’ardire di gettare sopra quest’ahisso un ponte formato di anelli di ferro. La tradizione ha sfigurato questa bell‘ opera distrutta dal tempo. « PITAGORA. Mi compiaccio di veder l’uomo dar mano alla natura, ed associarsi con essa per vincere le grandi difficoltà. Bella era 1’ im Tomo II. 7 98 presa di tentare il passaggio da una montagna all’altra al di sopra di un gran fiume! IL Smennors. Eccoci finalmente arrivati a Siene, e mezzo stadio più oltre a Elefan tina, che si potrebbe chiamare l’ isola fiorita. Viene stimata più vasta, che non è, perché ha dato il suo nome ad una dinastia partico lare di principi; come se i re avessero la virtù d’ ingrandire tutto ciò che toccano. Que sgt’isola celebre, come quella di File, servono di frontiera comune all’ Egitto ed all’Etiopia. A Elefantina, si misura il traboccamento del Nilo diversamente che in ogni altro luogo. Un poz zo riceve le acque del fiume, «e certe linee segnate sulle sue pareti ne indicano l’elevazione graduale. « ‘ » La piccola cateratta , sette stadi da Ele fantina , è uno scoglio in mezzo al letto del fiu me. Questa caduta non è talmente precipitosa , che degli schifi, fatti di coregge strettamente intrecciate (I), non possano venire abbandonati alla rapidità della corrente, senza perdersi. « » La grande eateratta, in Nubia, è dovuta all’opposizione d’una montagna, o piuttosto (i) Strab. XVII. 99 d’una immensa rupe nera, non traforata. Le acque vi urtano con tanto fracasso, che per dono il senso dell’udito gli abitanti del vici nato. « 1) Il Nilo, dal punto del suo nascere, in fondo all’Etiopia, fino al mare, percorre uno spazio di dodicimila stadi greci: nello sta to naturale, il corso delle sue acque è tran quillo quasi da per tutto, eccettuato il tempo dei traboccamenti. « D A cento stadi da Elefantina, vi è un’al tra isola detta File, alquanto più grande, for nita, come quella, di parecchi tempii. Uno di essi è dedicato alla dea Iside, l’ altro al dio Sparviero. « » Più avanti, dopo aver navigato con pena, per i tortuosi giri del Nilo, uno spazio di dodici schene, a partire da Elefantina, si arriva a Tacompso, isola poco considerabile, ma citata come il termine, ossia le colonne d’ Ercole, relativamente all’ Egitto. u » All’ oriente di Siene, alla distanza di dieci ore di cammino, sta una montagna, che ci dà la pietra nera e dura, da noi detta baram, servente a fabbricare vasi ed altri utensili domestici. Sulla strada da Siene a 100 File, se ne trovano dei massi piantati come altrettanti ermeti. Sulla vetta di quella mon tagna , noi abbiamo una posta di armati, per proteggere gli operai che lavorano intorno alle cave. u « Giovine straniero! Eccoti tutto il nostro Egitto , che tu potrai misurare, camminando , nello spazio di ventuna giornate, dalla foce di Canopo sino ad Elefantina, o, sul nostro oceano, dalla cateratta di Siene fino a Pelusio. « 101 C A P I T 0 L O XXXVIII. Origini egiziane. Osiride. Prrscom. Sacerdote di Canopo! Tu mi iiacesti conoscere questa/antica e sacra terrà, ove io porto i primi miei passi, col sentimento religioso che si prova nell’ingresso d’un luogo santo. Ma chi m’insegnerà la storia de’ suoi abitanti? Sono stati sempre come sono? Chi mi dirà la condotta ed il carattere dei re e dei sacerdoti, investiti del potere, onorati della confidenza del popolo Egiziano? Ho bi sogno di saperlo', prima di presentarmi alla corte del principe,e nei collegi dei vostri saggi. In SACERDOTE. Appagherò le giuste tue brame. Il governo ha deposto in ciascuno dei tempii dell’Egitto una copia degli annali del l'impero, compilati nella lingua comune, che presto ti sarà familiare, giacché l’idioma della Grecia, alla quale tu mostri d’appartenere, n’è una derivazione. Prrsoom. Pontefice, io sono fenicia, co mechè deva la mia educazione a saggi mae stri, nati greci. 102 IL SACERDOTE. Come fenicio, tu devi dun que aver più attitudine a leggere le nostre opere nazionali. Prendi questo vocabolario, e preparati: puoi servirtene a tuo bell’ agio. « - Io mi dedicai a questo studio, alquanto arido, con un ardore pari all’avidità d’essere istruito, col dispiacere però di non trovare sorgenti storiche meno sospette di quelle, alle quali mi si permetteva di attingere. Io deplorava un gran popolo, che non aveva altri archivi, se non quelli approvati dai suoi padroni, e passati sotto la revisione dc’suoi pontefici. La verità non può non per dere a questa duplice prova, malgrado la legge egiziana, che fa mozzare le mani allo scrit tore convinto di avere falsificato la storia. M’indussi nondimeno a questa lettura, con fidando nel mio criterio, e sperando di tro varvi un correttivo od un supplimento, nelle tradizioni di famiglia. La tradizione è la nu trice della storia; per quanto si cerchi di mascherare od alterare ifatti, il buon senso riesce a rettificarli: un abile statuario fa sen tire il nudo sotto le vesti. Le prime epoche d’una nazione, special mente s’è antica, sono vaghe.ed incerte, e mancanti di date. Iprimi nostri parenti vive 103 vano, per cosi dire, senza riflettere. Indiffe renti all’avvenire quanto al passato, e tratte nuti dalla compiacente natura, non si occu pavano che del presente. Trovavansi , d’ altron de, i lor monumenti nella memoria e nel cuo 're dei figli. I nostri antenati riposavano sulle cure dei loro nipoti._ » Pensa a me, diceva al maggiore de’ suoi figli un padre di famiglia spirando, pensa a me; aggiungi al tuo nome il mio, e sii benedetto. « Ecco gli elementi della scienza storica. Ma la storia, come l’arte della tragedia recente mente inventata, ha bisogno di grandi movi’ menti, di violente catastrofi, per aver qual che cosa di nuovo da dire. I secoli d’innocen za non ebbero storici, perchènulla contengono di sorprendente, nulla di straordinario nella pratica dei doveri domestici. Il regno dei buoni costumi è dolce ed uniforme; ma le seconde pagine degli annali d’un popolo diven tato famoso, ne furono quasi sempre segnate col sangue. Miei cari discepoli! Ci vogliono eserciti numerosi, per cangiare la faccia degli Stati; e le fibre d’una pianta bastarono , per fare una rivoluzione nello spirito umano: Parlare io voglio del papiro, di cui l’uso è finalmente 104 arrivato sino a noi. Prima che se ne inventas. se l’apparecchio, tutta la scienza degli Egi ziani, scritta sulle colonne di Mercurio-Tris megisto, restava come sepolta nella polvere d’un tempio, interdetta agli studi dei viag giatori. Dopo Sesostri, epoca di quella felice scoperta, i libri geroglifici d’Ermete, una sola volta scolpiti sopra tavole di pietra, fu rono moltiplicati, coll’ajuto di questi fogli di papiro, volumi interi de’quali aperti mi vennero dal sacerdote di Canopo. Nei primi tempi, si adoperavano le foglie di palma, e la corteccia degli alberi; gli atti publici erano scolpiti sopra lamine di piom bo; il pennello colorava talvolta le idee sopra pezzi d’avorio ; altri ricamarono le loro lettere sulla tela di lino o di cotone, altri sul pan no; i principii religiosi professati in Egitto non permisero mai di scrivere sulla pelle di seccata degli animali. Il papiro, che gli Egiziani chiamano berd, cresce nelle paludi del Nilo; il suo stelo trian golare porta una capellatura o pennaccbio della forma d’un tirso; la radice tortuosa ser ve di legna, sia per bruciare, sia per fab bricare diversi utensili domestici. Col tessuto di questa pianta, si costruisco 105 no delle barche per navigare; colla. scorza si fanno vele e cordaggi , vesti e coperte da letto, stuoje e sandali: le due estremità del papiro, la testa ed una parte della radice, offrono un nutrimento sano ai cittadini po veri. Quest’ era l’alimento dei primi figli del. ‘l' Egitto, questa la ghianda della Caonia. Ma il più gran benefizio di questa pianta si trova nel corpo stesso del fusto ; separato-con un ago in laminette sottili, dà esso quei fogli prezio si, ai quali confidare si possonoi più secreti pensieri, mediante l’aiuto d’una canna fossa, culella penna d’un volatile, temperata, ed in tinta in un liquore colorante- Il papiro di Saide, composto di fogli di scarto, si vende a peso per inviluppare gli altri. Queste laminette 0 bande vengono tessute, bagnandole coll’ acqua del Nilo, ed ilîlimo di questo fiume serve loro di colla ;‘ si espongono quindi ai raggi del sole. La larghezza dei fo gli varia: i più belli, i più bianchi hanno tredici dita: quelli di Saidc, che possono ap pena sostenere il martello, non ne hanno che sette. La membrana del tigli0mOn. offre certo ai Greci Egiziani. vantaggi, che il papiro dà agli 108 Si assicura, che le opinioni secreto di Nu ma, chiuse a Roma nel suo sepolcro, sono scritte sopra il papiro. Tosto ch’io fui in istato di leggere e d’in tendere i caratteri comuni, che altro forse non sono se non i geroglifici stessi ridotti ad una estrema semplicità, il sacerdote di Cano po mi svolse con qualche riserva il gran libro degli annali Egiziani. confidato alla custodia dei pontefici. - » Questo libro dovrebb’es sere più voluminoso, gli diss’io, se contiene gli avvenimenti di trentasei mil’ anni. Quale antichità! Le pretese dell’Egitto superano quelle della Grecia. Ma avete voi prove mi gliori per sostenerlo? Ovvero convien pre star fcde a quegli storici antichi, i quali suppongono, che le nazioni nella loro infim zia, per non imbrogliare troppo i calcoli, componessero ciascuno dei loro anni d’un solo giorno? In SACERDO'I‘E. Caserva, prima di tutto, che al titolo di regina conquistatrice dei po poli, la terra d’Egitto preferì costantemen te d’ essere la madre delle scienze. La pittura , conosciuta appena dai Greci, è coltivata, già da sei mil’ anni , sulle rive del Nilo. Noi abbiamo calcolato il cammi orse . al mo ‘L-î‘? 107 no delle stelle per un periodo di mille se« COli. u » n Giovine ed onorevole straniero! Sappi, che i nostri usi attuali datano da un’ epoca re mota , quanto i nostri più antichi monumenti. La nazione egizia conserva oggi i gusti me desimi, che aveva, son già le migliaja di an ni, e si guarda da ogni innovazione. u n Sappi, che tutte le scienze sono prevenuto dall’Egitto, fino la maniera di pronunziare le parole, e di dipingerle, in soccorso della me moria. Sono mille anni appena, che la Grecia vide approdare il primo Qnaviglio; e quel na viglio veniva dall’Egitto. « n Canopo si vanta d’aver dato la nascita a colui, che il primo fece della medicina una teo ria assoggettata a certe regole. Tutte queste Presunzmnl . . . Prrncom. Non -arrivano ad essere prove. In Sacsnnorn. Io potrei contentarmi di ri sponderti geroglificamente: -’- Buon giovine, non giudicare d’un albero toccandone la cortec eia; --ma voglio invece, senz’altra preparazione che il tuo amore alla verità, iniziarti, non alla scienza, ma alla saggezza egiziana. Quan do una nazione scrive sulle prime pagine della sua storia, ch’essa data di trentasei mil’anni, 108 . eh’ebbe dei re in proporzione , che quasi tutti quei re furono dei; quando compone la prima sua dinastia di un Osiride, di un Vulcano , di un Agatode'mone, di un Saturno, di un Er cole, ecc. ba essa inteso altra cosa, se non che l’origine dei popoli si perde in quella del mondo? che vi furono uomini ed una società , dachè vi fu un sole per rischiararli, e del fuoco per fondere i metalli, ecc.? La storia primi tiva offre due sensi, uno figurato , ed uno pro prio. L’occhio ha veduto, prima che la lin gua abbia potuto esprimere con suoni arti colati, le operazioni dell’anima e del corpo. Contemplatori oziosi e tranquilli dei fenomeni dell’universo, noi abbiamo tentato ben presto di disegnare o di pingere la storia di quanto succedeva per la volta del cielo e per la su perficie della terra. Accostumati ci siamo, nel tempo stesso, a riguardare, come nostra giu risdizione, lo spazio al di sopra delle nostre teste, e quello altresi al di sotto dc’nostri piedi. Tutto ciò che si fa intorno a noi, si fa anche per noi, poiché l’universo è comune a tutti. Prima di raccontare le nostre rivo-. luzioni politiche, noi ci siamo accinti a stu diare ed a trasmettere ai nostri discendenti la rivoluzione planetaria, ben più degna d’ os tutti 109 servazione delle altre; e per molti anni, per molti secoli forse, noi non ci siamo occupati che di queste alte e cospicue materie. Non eravamo allora noi, senza dubbio, riuniti in un numero tanto grande, come al presente. Noi avevamo ozio maggiore e meno passioni, pochi bisogni e minor fatica, quando eravamo conosciuti appena sotto il nome di Auriti. u « Noi procedemmo col far dei confronti; e, perché tutto sta in relazione, i costumi degli animali ci servirono a segnare il corso degli astri, ed il genio dei nostri primi le gislatori. Questi saggi diedero dei bizzarri ri sultamenti per la posterità, in modo ch’essa può sopportare appena la lettura di tutte quelle avventure di Saturno e di Rea, d’Isi de e d’Oro, di Tifone e Neftèa, che non hanno nè l’interesse, nè l’amenità delle fa vole, imaginate in seguito con arte maggiore, e poste abilmente in opera da Omero, figlio dello scrivano Menemaco. Mostra nondimeno un gran carattere quella nazione , che incomin cia i suoi annali con queste parole: » Il sole è stato il primo dei nostri dei, ed il primo dei nostri re. Il suo impero immediato sopra di noi fu di trentamil’anni. (I) « (I) Syucell. Chranograph. I io » A traverso questo caos, che non pertanto, lungi dall’attestare l’infanzia del mondo, pro va la grande sua vetustà, un tratto di luce sembra scaturire al nome d’0siride, lperchè l’Egitto ebbe due specie di dominatori, pri ma i Ile-Dei, indi i Re- Uomini. PITAGORA. Ma tutti i re non sono forse altrettanti dei per i popoli? Guai a quel re gno, ove non sono considerati per tali! In SACERDO'I‘E. Con Osiride comincia la storia terrestre della nazione egizia. « n Noi avevamo vicino un popolo più avanza to di noi. Gli abitanti dell’Etiopia formava no già un corpo di nazione si numeroso, che si determinarono di far partire una co lonia, sotto la condotta d'0siride. Una gio vine vergine 10 precedeva, dicendo: - » Ar riva, arriva il grande Osiride ; egli è nato anche per voi! u - » Il grand’ uomo, il dotto Etiope arrivò di fatto, vestito con la spoglia picchiettata d’un pavone; ed il primo invito ch’egli fece ai padri nostri, fu quello di dividere con lui gli omaggi resi al Sole. -- 1) Amici, diss'egli lo ro, ammirate meco quel globo di fuoco, che fa maturare quei frutti salvatici, di cui vi contentaste finora. Osservate, studiatene il Il! corso: il Sole ed il Nilo, ecco le due vostre divinità. « » Egli è ascoltato con istupore, e seguito con interesse. Segna i fondamenti della città di Tebe; ma qui non limita il suo cammino: preceduto da un araldo eloquente, accompa gnato da un poeta, seguito da un pastore e da un agricoltore, marcia egli alla testa (1’ una moltitudine ignorante, ma avida d’ imparare. Nove donzelle etiopi sono della comitiva, delle quali i Greci fecero le nove Muse. Si segue il corso del Nilo, si esaminano i differenti terreni, qua si seminano buoni grani, là si disegnano grassi pascoli. « » Dopo questo primo successo, Osiride si allontana dal paese, e vi lascia, per seguire i di lui piani nella sua assenza, Tanto, il più saggio di tutti i suoi compagni, e l’inventore per eccellenza. Per rassicurare ancora di più coloro, che furono da lui iniziati ai secreti della vita sociale, confida ad essi Iside, dilet tissima sua compagna; questa instituisce delle feste, ed inspira un giusto orrore per i sa crifizi umani. Si fanno delle lustrazioni, e l’abitante del Nilo è penetrato di rispetto e di soddisfazione. « n Ercole e Prometeo assistono la giovine 1i2 regina , e piantano le basi d’un buon governo; e ciò vuol dire, che la forza ed il genio com piscono ciò che 1’ eloquenza ed il prestigio dei sensi avevano incominciato. « n Prima di ritornare in Egitto , Osiride an dò ad incivilire altri popoli, fino all’estremità dell’ India. Colà fondò Nisa. Il primo nappo di vino fu vuotato in quella città: questo fu un benefizio del nostro Osiride, da quei popoli, e da quello di Grecia deificato poi sotto il nome di Bacco. In tutti i luoghi si benediceva al suo arrivo, si piangeva alla sua partenza. u n Settantadue congiurati aspettavano ch’ei ri tornasse, per farlo perire; e Tifone, suo fra tello, era secretamente alla loro testa: ma il Nilo, diventato all’improvviso una montagna d’ acqua, li prevenne, aii'ogando la generazio ne intiera degli uomini. « n Tu lo vedi: la storia dei tempi primitivi è un mescuglio confixso di catastrofi naturali, politiche e religiose. Prrsoom. Mi fu detto, che in esiste una legge capitale, contro chi publicasse , che Osiride ed Iside appartenevano alla specie umana. In Sscsnnore. Il popolo del Nilo ne du bita; ma egli stesso si compiace d’ ingannarsi: 113 e si sdegnerebbe contro quegli stranieri, che gli parlassero de’ suoi dei, colla pretta verità della storia. Proseguiamo. Vuoi ch’io ti parli del dio d’ Oro: soprannome di Tamo, uno dei più antichi re di tutto l’Egitto, ed il contemporaneo del nostro secondo Tauto, quello che aperse al popolo le prime scuole? Il principe lo biasimò assai per aver reso la scrittura comune . . . ' ' PITAGORA. Come? . In Sacnnnore. Ecco le sue ragioni. » Tu moltiplicherai, gli diss’egli, i semi-dotti: i saggi diventeranno più rari: la scrittura in segnerà lasciar da parte il criterio e l’osser vazione. a Tomo Il. 8 1 i4 CAPITOLO XXXIX. Jlfenete, Osimandia, la regina Nitocri, Sesostri. In SACERDO'I‘E. Menete fu il secondo le gislatore dell’Egitto. Al suo innalzamento, la sola Tebaide era prosciugata e suscettibile di coltivazione, non formando le altre basse re« gioni del Nilo che una fangosa palude. Egli scavò un lago, eresse un tempio a Vulcano; ed il libro degli annali indica come una grande lezione, per la storia data alla posterità, che uno dei primi re dell’Egitto iii anche uno dei primi ad introdurre ne’ suoi Stati il lusso. « n Finché Egiziani non abitavano che fre sche grotte ed umili capanne, contenti del sostanzioso alimento, che ad essi ed alle loro mandre somministraVa l’Agrostide, vissero pacifici senza eccitar gelosia. Ma dal momen to ch’ essi ebbero città e tempii, canali e ca se cm‘node, molestati furono dai loro vicini, e si difesero male. Un re dei Pastori venne ad attaccarli nel loro paese, e non trovando quasi un punto di resistenza, li ridusse in ..u 115 cattività, piantò la sua sede in mezzo alla nazione vinta e disarmata, che portò il gio go di lui e de’. suoi successori, per cinque o sei secoli. Gli usnrpatori furono alla fi ne espulsi, ma per dar luogo ai despoti. Uno di questi fissando la sede del suo im pero a Tebe, volle rendere' questa città degna del nuovo rango con una grand’ ope ra. Eresse egli una statua di proporzione talmente gigantesca, che la lunghezza dei pie di era di sette braccia. Venti pagin'c degli annali bastano appena per descrivere i prodi gi del suo palazzo, e agli onori, ch’egli si re se, si cercherebbe invano i titoli competenti: ché non è altrimenti sufficiente lo scrivere sulla base del suo simulacro: » Io sono Osi mandîa, il re dei re. Se mento, si facciano delle cose più grandi. « n Egli iii il primo , che collocò il legislatore Osiride nel rango degli dei, colla speranza che i posteri farebbero per lui lo stesso. Rac colse egli il primo i libri d’Ermete, per com porne la biblioteca sacra, che fu intitolata: Medicina dell’Anima. Colui fu egli ancora, che, mostrando diffidare della posterità, si eostrusse un magnifico sepolcro , coronato d’un cerchio d’oro massiccio della grossezza 116 d’un braccio, e della circonferenza di trecen to sessanta. Questo famoso anello astronomico segna tutte le divisioni dei tempi. Ogni brac cio corrisponde ad un giorno dell’ anno; an nunzia anche il levare e tramontare delle co stellazioni di ciascuna giornata, come anche le loro influenze_maligne o benigne, secondo le regole dell’astrologia etiopica, naturalizzata in Egitto. « » Passiamo sette od otto generazioni di re, dei quali ricordare non si possono che i no mi, per fermarci un momento ad Ucoréo. Questi, geloso della gloria d’0simandia, tras ferì la sede imperiale da Tebe a Menfi; ingrandi e fortificò questa città, per meritare anch’ egli il titolo di fondatore; si occupò mol to degli abbellimenti del suo palazzo. u » A questo passo, come a vari altri, de’ no stri annali, io non leggo che nomenclatura spoglia di fatti; e mi rincresce di non po terti dire, se non che il re Atoti compose dei libri d’ anatomia, e diseccò parecchi cada veri. Atoti appartiene alla dinastia dei re Ti niti, come anche Sesocri, il quale era alto cinque braccia, e largo tre. PITAGORA. Pontefice! Ma cosi non si seri: Ve la storia! 117 In SACERJJO'I‘E. Ebbene! Ti nominerò Boc cori, figlio di Micerino, monarca piccolo di corpo, ma grande di genio, che ci:diede delle buone leggi. « » Seguitiamo: Tosortro, della dinastia di Menfi, è riguardato come l’Esculapio dell’E gitto. Inventò egli anche la maniera di fab bricare con pietre scarpellate. PITAGORA. Questo è un bisogno di più, ch’egli fece conoscere agli uomini. In Sacunnonz. Sufi, re di Tebe, compose un libro sacro di cui noi facciamo gran ca so. Attoe, della dinastia degli Eracleopoliti, fu ucciso da un’ crocodilo. « . » Nitocri, sorella dell’ultimo re d’Egitto venuto dall’Etiopia , volendo regnare anch’essa, provocò un’insurrezione contro il fratello, che ne fu la vittima, ed il suo partito la proclamò regina: ma Nitocri, temendo che quegli stessi mezzi, da lei adoprati per ot tenere lo scettro, glielo rapissero, invitò_ ad un banchetto i principali agenti, che avevano contribuito al di lei innalzamento. La sala del convito trovavasi a pian terreno, per sottrarsi al gran caldo; in mezzo alla gioja, i convitati si trovarono improvvisamente inondati dal Nilo, fatto introdurre se‘cretamente; e pcrì‘ n8 rono tutti. Nitocri trovò il mezzo di scappare ' al generale risentimento, e non si senti più a parlare di lei. Non resta di essa che la me moria della sua bellezza e de’ suoi delitti. Si dice ancora per proverbio: bella e cattiva come la regina Nitocri « » Dodici generazioni dopo di essa, Meride si rese celebre pel.suo lago, e pel superbo portico settentrionale del tempio di Vul cano. u » Sesosirìde, che i Greci chiamano Sesa stri, fu di tutti i nostri re quello, che s’ebbe più rinomanza. Contemporaneo di Semiramide, egli fu valoroso in guerra, e saggio in pace, temuto da tutti i popoli, e sopra tutti i ma ri. Suo padre gli diede per compagni d’armi i mille settecento maschi, ch’ebbero con lui comune il giorno di nascita in tutta l’esten sione dell’impero, e li fece allevare insieme con lui alla vita militare. Questo semenzajo prometteva degli eroi. Eglino assoggettarono , seguiti da un forte esercito , l’Arabia coi suoi serpenti, ed il Troglodita che li , e 1’ indomato Africano, e l’ Etiope superbo dell’alta sua Origine, e l’India, e la Tracia. Se gli Sciti e la Colchide osarono resistere a Sesostri, egli se ne risarci sui Persiani, sui 119 Medi, sui Battriani, sulla Fenicia, su Cipro, e sulle Cicladi. « n Al ritorno, Ses0stri distribuisce delle ter 16 a coloro ch’èrano stati gli strumenti delle sue vittorie; divide la monarchia in trentasei dpartimenti; apre dei canali; alza una forte muraglia di trenta ore di cammino fra il suo popolo ed i ladroni del deserto; fa costrui re, in ogni città dell’impero, un tempio: ed i rr ed i popoli suoi tributarii in oro, in avorio, in ebano, suppliscono a tutte queste grandiose spese. L’Asia intera ed una parte dell’Eur0pa smo coperte dei monumenti della sua gloria. Diventato cieco in seno de’ suoi trionfi, non attende egli il colpo della morte, ma vuol morire di propria mano, dopo un regno di cinquantanoveanni.- Fece, e questo è meglio di tutto il resto, una legge, che esentava dal portare le anni tutti i giovani cittadini, che esercitavano la professione dei loro pa dri. Ecco l’eroe! Egli ne aveva la taglia, 81 ta e sovrumana: quattro braccia, tre palmi e due diti (i). (I) Sette piedi e dieci pollici parigini. Manetone , citato da Syncelle; e Freret, Mem. sulle misure de gli Antichi. 120 » Ecco l’uomo: lascia egli la famiglia e la patria, per girne a turbare la pace delle d tre nazioni: in tutti i luoghi, pel suo can mino, lo precede il terrore, lo accompagm il saccheggio: infamanti colonne disonorarn quelle timide popolazioni che, senza resisterv, lascian passare il torrente distruggitore! 4 Prevenuto dal gran pontefice del tradimenlo di suo fratello Amasi, che voleva approfitti re della sua assenza, l’ebrezza de’successi lo rende imprudente a segno, d’accettare a R.» lusio un banchetto presso quello stesso, cm tro l’ambizione del quale doveva tenersi in guardia. In mezzo ai piaceri della tavola, un incendio si dichiara improvvisamente: per sct trarsi alle fiamme, Sesostri precipita due lei suoi figli fra le rovine ardenti, e passa sui loro corpi, che gli servono di ponte, dicen do: » Posso sacrificare due figli, se me ne restano quattro. « - A questo tratto con viene aggiungere, che, quando andava a sa-, crificare'nei tempii, voleva che il suo carro fosse tirato da quattro re prigionieri di guerra. (( » Innanzi a Sesostri, gli Egiziani conosce vano la guerra, ma una guerra meno mici 121 diale, perché si servivano alla pugna soltan. to di certi bastoni rotondi ( 1). « > » La gloria militare di Sesostri ha fatto molto torto alla_ saggezza egiziana. Questo principe comandava a cento miriadi di solda ti; ma dopo quella grand’ epoca, l’Egitto non ebbe più buoni combattenti. PITAGORA. Tu non facesti che accennare la Colchide, ove Sesostri trovò qualche re SISI.CIIZZL IL Sacsnnore. Fra i re estratti a sorte per tirare il suo carro trionfale, Sesostri non ebbe la soddisfazione di collocare Ebusopèo. Questo principe colchico seppe vincere il vin citore di tanti monarchi, e,spogliare lo spo gliatore di tanti popoli. Prracons. Mi si parlò d’ un’ imagine d’ Osi ride o di Serapide, consacrata da Sesostri, che si diceva suo discendente, e composta di zafliri', di smeraldi, di tepazi, di aromi, di materie d’oro d’argento di rame di piom bo e di stagno. Questo simulacro, lavoro di Briassidc, sarebbe mai il geroglifico della confusione, che regna nella storia e nella mi tologia? Ove si trova questo monumento? E che ne pensi tu? (1) Phalangae. Pliu. Storia naturale, VII. 56. 122 IL SADERDOTE (sorridendo). Si trova colla fenice venuta per la prima volta ad Eliopoli al tempo di Sesostri, accompagnata da molti altri uccelli, che le rendevano un culto simi le 21 quello, che gli uomini prestano al Sole. Devo aggiungere, che nessuno ha veduto la fenice mangiare. u » » Uno dei figli di Sesostri gli succede. Es sendo cieco, come suo padre, l’oracolo gli pre scrive, per rimedio, l’orina d’una moglie fe dele. La sua, con molte e molte altre, non avendo questa virtù, egli le fa abbruciar vi« ve, dopo avere sposato quella d’un giardiniere, la quale gli restitui la vista. Prncom. Pontefice (li Campo! Questa è dunque la maniera, con che un popolo sag gio deve scrivere la sua storia? 123 CAPITOLO XL. Cela, Seta sacerdote e re, Ecate'o, Psammetico. In Sscnnnowi:. Il regno seguente ti soddis l21rà di più, perché meno illustre. Ma il re Cote, agli sguardi degli amici della giustizia, deve avere la precedenza sopra Sesostri. Al cuni schiavi stranieri, sbarcati a questa rada, reclamano il diritte di asilo, di cui qui gode il tempio d’ Ercole, e dichiarano, alla presenza dei sacerdoti e del governo, di non voler es sere i complici del delitto del giovine Paride, loro padrone, rapitore di Elena, moglie di Menelao. Il governo imbarazzato ne fa rap porto allo stesso re Cete, il quale fa con durre a sé dinanzi i colpevoli. » Tu merite resti la morte, dic’egli a Paride; ma non sei soggetto alla mia giurisdizione: esci dall’Egit to. lo ritengo qui Elena, per renderla al prin cipe, al quale appartiene. u - Il più giovine dei figli di Priamo ritornò solo a Troia._ I Gre ci, ignorando l’asilo d’ Elena, cominciarono l’assedio d’una città, ove la stimavano rin 121,. H chiusa. Disingannato finalmente, Menelao ven ne a reclamare la moglie, che gli fu tosto restitulta. « Io continuai la mia lettura. D A questo re giusto succede Rampsinet to, di cui si dice, che discendesse sotto terra per giuocare ai dadi con Cerere, e che la buona dea si lasciasse vincere la partita: aned doto simbolico. u Io suppongo qualche risentimento nello spirito del compilatore di questi annali, al regno di Cheope'o, attribuendosi a questo principe delle azioni detestabili, e qualifican dolo per lo carnefice del suo popolo; forse perché , temendo ne’ suoi sudditi le conseguen ze dell’ ozio, gli occupò alla costruzione d’una piramide, ed anche perché dispiacque ai sa cerdoti, vietando l’ingresso troppo frequente dei tempii. Vi si andava a perdere dei gior ni intieri in cerimonie sterili, invece d’im piegarli in utili lavori. - » Chefrene, suo fratello, regnò dopo di lui, secondo gli stessi principii, ed andò sog getto alle stesse censure. Miserino, figlio di uno di questi due fratelli, fu un principe assai dissoluto, ma ligio nel tempo stesso ai ministri del culto. Gli successe un cieco della 125 città d’Anisi , che fu re per elezione. Un prin cipe d’Etiopia si giovò della circostanza, per unire al suo regno tutto l’Egitto, lo che gli fu facile di eseguire. Il principe cieco, lungi dal resistergli, attendeva, nascosto in un’iso la di sabbia, l’esito dell’invasione. Il monarca straniero palesò nell’arte di governare un ta lento, che fece onore alla sua patria. Per tutto il tempo della sua usurpazione, abolì la pena di morte ,’condannando i delinquenti al lavo ro, per rialzare il territorio delle città mi nacciate d’inondazione dai canali di Seso stri. Indi 1>itornò nel suo paese, come se ve nuto nonfosse sulle rive del Nilo, che per dare una lezione della scienza di regnare. u n Il cieco usci allora dal sabbioso suo asi lo, e rimontò sul trono. Gli annali’sacri non dicono di lui nè bene, né male. Vollc per altro lasciarc anch’egli un monumento; ed innalzò una piramide di mattoni, fatti col fango diseccato. « » Stanchi di obbedire a capi tolti dall’or fhn9 CÎVÌ16, e tanto poco degni di uscire dal la loro oscurità, vollero gli Egiziani provare un sacerdote del dio Fta (Vulcano); e non ebbero a pentirsene. Questo regno cagionò nei suoi principii qualche inquietudine. Seta, cosi fu 126 nominato questo sacerdote-re, non si mostrò molto favorevole alla casta militare. Ritolse ai capitani i loro privilegi, le loro terre ai soldati, senza riflettere al bisogno, che po teva avere di essi. Non si sapeva come spie gare, come giustificare una condotta si stra na; ma Seto fece conoscere d’aver delle viste profonde e sane. Arriva alla Corte la notizia, che un corpo d’esercito assiro si avanza fino verso Bubaste, e mostra di minacciare Pelu sio. Si sta attendendo ciò che sarà per risol vere il sacerdote-i‘e; e gli uomini d’armi vanno già con ischerno dicendo: n Vedia mo un po’ come si condurrà un sacerdote , per respingere egli solo un nemico potente; preghiere e sacrifizi non bastano per impe dire un’invasione. « n Scto non si spaventa, convoca un'assem blea di agricoltori e di artigiani, e dice loro: " » Amici! Io vegliai tutta la notte ai piedi del dio Vulcano, per ottenerne un saggio consi glio; e questa mattina, ail’alba del giorno, ecco il sacro geroglifico, che ho veduto dipinto sulla base del suo altare, in guisa di risposta. Ai pallidi raggi della luna, una leonessa, pre sa nelle reti dei cacciatori, implora invano i’assistenza di parecchi leoncellì suoi figli ; 127 codesti ingrati godono delle sue pene: ma alcuni ratti, accorsi ai primi gemiti della pri gioniera, rodono le maglie della rete, e la liberano. « n Onesti artigiani! probi agricoltori! Ecco in qual modo io interpreto l’oracolo gerogli fico' della mia grande divinità. La leonessa è la patria, il nostro Egitto; la rete dei cac ciatori è l’esercito assiro, che medita di ri-* durci in iscbiavitù. Per i leoncelh ingrati, fa egli d’uopo ch’io v’additi i nostri guerrieri, i quali non si muovono punto, sentendo il pericolo del loro paese? I ratti generosi, voi siete, amici miei, con me alla vostra testa. Si‘. la gloria di questa.campagna, e la salute di tutti sarà opera _ nostra: ed eccoil mio progetto. Andiamo incontro dall’ Assiro super bo:_ andiamoei, armati soltanto di roncoloni e falciu’ole. Il nemico ci disprezzerà, non do gnerà di mettersi in difesa, e passerà la notte ad attenderci in mezzo i piaceri d’un campo abbondantemente provvisto di tutto. Non si tratta dunque, che di sorprendere nel bujo quel posto, ove si custodiscono gli strumenti di guerra. Conquistiamolo, durante il sonno dei soldati ubbriachi; coi roncoloni e colle falv 128 aiuole, tagliamo le corde degli archi,_le coregge degli scudi, rendiamo inservibili tutte le loro macchine micidiali. Eseguite: questa prima spe dizione, colle sole nostre falci potremo fa cilmente tagliare a pezzi quei guerrieri senza difesa; e la vista medesima di quelle armi, diventate inutili fra le loro mani, terminerà di scoraggiarli. Noi li metteremo in fuga, e tutto il ricco loro bagaglio sarà il vostro pre mio. Andiamo. « - » Seta è obbedito con trasporti di gioja. Il suo esercito, d’una specie affatto nuova, eseguisce puntualmente i suoi ordini; l’Assi ro è disarmato, e tutte quelle truppe nemi che cadono, come le spiclae sotto il ferro del m1et1tore. « » Al ritorno da questa spedizione, fu col locata nel tempio di Vulcano una statua, rappresentante il sacerdote-re, con un ratto in mano, e con questa sentenza, che gli esce dalla bocca: » Chiunque tu sia, che mi guar di, sappi, che gli dei sono di buon consi glio. « - » Alcuni dei nostri annali dicono, che Se te fu il trecenquarantesimoprimo dei nostri l‘0. (c 1 29 Noi fummo per un momento interrotti da un giovine abderita , venuto in Egitto espres samente per chiedere ai sacerdoti una genea logia; tanto impaziente, che per soddisfarsi non volle andare più in là di Can9po. Nel l’entrare, egli disse: n10 sono Ecatéo, figlio d’Egesandro: mio padre riferisce la sua ori gine ad un dio, del quale io sono il sedice simo discendente. Sacerdote! lo vengo a ve rificare le mie pretese. « n Buon giovine; gli rispose gravemente il sacerdote di Campo, scoprendogli una lunga serie di simulacri d’ oro; ciascuna di queste statue rappresenta uno dei pontefici, che pre siedettero a questo tempio, e che furono uo mini d’una saggezza pura. Nessuno di essi fu dio, nè generato da un dio; Ercole stesso non è che un eroe. Buon giovine, sii virtuoso. u Il giovine abderita usci piuttosto malcon tento, e noi riprendere potemmo la nostra lettura. » Alla morte del sacerdote-re, l’Egitto fu diviso da fazioni. Il popolo, avvertito da Seto delle proprie forze, scosse il giogo mi litare; e vi furono delle discordie civili. Si versò il sangue dei cittadini, ed il termine a tutti questi mali fu il cangiamento del gover Tomo Il. 9 130 no. Per evitare il potere d' un solo, si vollc ubbidire a dodici: diviso fu quindi il regno in dodici principati, ossia stati confederati, i capi dei quali si collegarono con trattati e con un giuramento. Una volta all’anno, i (lo dici governatori o principi dovevano riunirsi, vicino al lago Meride, in un labirinto com p0sto di dodici palazzi. « » Questo nuovo ordine di cose durò per soli quindici anni. Uno dei dodici, possessore delle più belle provincie marittime, eccito la gelosia degli altri, che vollero opprimerlo. Psammetico ricorse agli stranieri; gli arrivarono delle truppe dalla Jonia, dalla Caria, e dalla Fenicia. Vinti gli undici principi, il vincitore non ebbe più rivali, e regnò solo. Ricono scente poi verso i Greci, permise loro di sta bilirsi in Egitto sotto certe condizioni. Innanzi a quell’epoca, i nostri re, e segnatamente Busi ride, ordinavano il massacro di chiunque avesse osato toccare le spiagge egiziane. Psammetico all’opposto spinse la riconoscenza tant’oltre, che ne’ suoi eserciti diede la preferenza agli stranieri sopra i naturali. Si mormorò alquan to, e dugentomila cittadini mal contenti ab bandonarono una patria aperta a tutte la na zioni, e presero la via dell’Etiopia, loro pri. 131 ma culla. Si chiuse gli occhi sopra questa emigrazione numerosa ed armata, cui si avrebbe arrischiato troppo volendo arrestare o punire. « n Psammetico eonchiuse una pace vergogno sa con gli Sciti, fu il primo in Egitto a ber ‘ vino, fondò il commercio coll’ estero, ed alla morte lasciò il trono a suo figlio, che, ad esempio del padre, ebbe la passione di com battere e la mania di fabbricare. Centoventi mila uomini perdettero la vita nei lavori d’un canale, che dal Nilo conduceva al mare Eri. trèo. « PITAGORA. I vostri annali osservano, che Psammetico li: in Egitto il primo a bere del vino: ma non avevano già detto, che Osiri de, 0 Bacco, versò il primo nappo di quel la dolce bevanda? IL Sacnnnors. Osiride, nel fare tale sco perta viaggiando, non aveva creduto di do verla introdurre nella sua patria. Con le acque del Nilo, qual bisogno abbiamo noi di vini stranieri (1)? « (1) Questo motto è stato in seguito attribuito al l'imperatore Peseennio, che diceva u’ suoi soldati: Ni luns habclis , et vinum qumrilìs ? V. Spartiani Hirlor. NB. Per questo capitolo ed i seguenti, si veggano Ero doto, Strabone, Diodoro Siculo, Clemente Aless., ecc. 132 CAPITOLC) XLI. Aprio , Amasi. PITAGORA. Aprio, successore e figlio di Psammetico, ebbe lo stesso genio de’ suoi pre decessori; prese Tiro e Sidone, e vinse i Fenici. In Sacsunors. Questi fatti devono esser giunti a tua cognizione, giovine straniero; ma io vi aggiungerò alcune particolarità, che for se ignori. I nostri soldati, stanchi di tante guerre, non tutte fortunate, credettero di scoprire nella condotta del re l’orribile disegno di disfarsi d’una metà della nazione per op primere l’altra, e si ribellarono. Aprio avreva per confidente, fra i suoi cortigiani, un certo Amasi, nativo di Fiud nel dipartimento di Saide; questi fu inviato all’esercito: ma in Vece di ristabilire gl’interessi del suo padro ne, Amasi pensa ai suoi, si lascia proclamar re, e tiene sulla sua testa l’elmo postogli in segno della dignità suprema. Aprio furioso , 133 diede l’ordine ad uno dei primarii della sua Corte di ricondurgli l’usurpatore; ma quegli rispose agli ordini del suo principe con in decenti ripulse (crepi-tua ): per cui vedendo Aprio ritornare il suo incaricato senza aver eseguito la commissione, gli fece mozzare il naso e le orecchie. Quest’ultimo tratto pro vocò il popolo, il quale si dichiarò per Ama si, di cui molto piacevano alla moltitudine i motti burleschi. « 1) Si venne dunque di nuovo al sangue. Le truppe straniere, unica difesa di Aprio, fin‘o no vinte, dopo un ostinato e micidiale com battimento. Amasi, riconosciuto finalmente solo padrone del trono, non volle, da destro politico, incaricarsi del supplizio del suo pre decessore, e, dopo lunghe istanze soltanto, si decise di abbandonarlo al risentimento del popolo, il quale lo strangolò. u » Così terminò l’ultima rivoluzione. Ama si regna ora tranquillamente, rispettando tut ti gli ordini della società, principalmente il nostro, e lasciando dir tutto sul conto suo, purché i detti non siano accompagnati da atti d’insubordinazione. Accoglie tutti; religio so innanzi al popolo, si mostra poco credulo 134 agli amici del vero; provvede anche alla con servazione della concordia fra sè e gli altri principi lontani o vicini: Amasi è amico di quasi tutti i re dei tre mondi. u n Giacché tu devi essergli presentato, sa rà opportuna cosa l’informarti di alcune altre particolarità. .I suoi bassi natali non gli pro mettevano una si alta fortuna; ma il suo ar dimento gli fece superare con un solo passo la vasta distanza dalla sua cuna al trono. Si celebrava alla corte l’anniversario del re: ed il principe mangiava, quel giorno, in pu blico. Amasi, vestito con eleganza, rompe la folla, e con un ginocchio a terra depone una ghirlanda di fiori a’_ piedi del suo monarca. Aprio si degna di sorridere a quest’omaggio inaspettato, ed ordina all’adulatore di mettersi alla sua mensa. Questa insigne grazia collocò immediatamente Amasi nel primo rango dei cortigiani. 'Vedesti com’ egli seppe corrispon dere ai favori del suo monarca. u » Passata la prima ebbrezza del popolo, si ricordò esso da qual punto Amasi preso ave va le mosse e per qual via giunto era al trono; ciò che non conciliava molto ri spetto al nuovo monarca. Amasi se ne ac 1 35 corse, e si servi di questo stratagemma per cangiare l’opinione a riguardo suo. u n Una statua d’oro viene, per suo ordine, eretta in mezzo alla publica piazza. Egli vi si reca in persona, e dopo essere stato per lun go tempo testimonio delle adorazioni della moltitudine innanzi al nuovo dio: n Popolo, dic’egli, questa bella statua è degna per ve rità de’ tuoi omaggi; ma sappi, che prima di diventare una divinità per te, questo si mulacro era un bacino, ov’io mi lavai spesso i piedi. Cittadini, pretendo, che vi compor tiate nello stesso modo verso di me. Finché era un uomo oscuro, voi non mi dovevate niente: oggi che sono il vostro re, e l’ima gine viva de’ vostri dei sulla -terra, voglio che mi trattiate da sovrano. « - » Questa sortita produsse il suo effetto per qualche tempo; ma egli è tanto poco decente e dignitoso ne’ suoi piaceri, che anche ulti mamente uno de’suoi cortigiani credette di dovernelo avvertire. Amasi non se nei offe se, e gli rispose con questa sentenza ge roglifica: n L’arco non può sempre esser teso. u _ » L’Egitto ha nondimeno, sotto il suo re gno, un aspetto di magnificenza e di prospe 136 rità, che sarebbe desiderabile di vedere in tutti gli Stati. Amasi si studia di far dimen ticare la passata bassezza colla grandezza delle sue imprese, e colla maestà dei publici monumenti. Questi superbi edifizi non ren dono detto, ilnépopolo, migliore,come né più parmi felice; di ma averti gl’in spirano un orgoglio nazionale, che ha il suo valore. Amasi ha recentemente aggiunto al tempio di Minerva in Saide un portico ac compagnato da sfingi di grandezza colossale. Una cosa più sorprendente è il trasporto d’un santuario di un solo masso di ca, dalle cave d’Elefantina fino sto masso ha ventun braccia di tordici di profondità, ed otto pietra graniti a Saide. Que fronte, quat di altezza. Il viaggio durò tre anni, ed il servizio fil fatto dadue mila barcajuoli. Era intenzione di A masi d’introdurre questo santuario nel tem pio di Minerva; ma giunto sotto il vestibolo, uno de’ capi degli operai ne restò oppresso. Questo dispiacevole accidente fece mormora re; Amasi ebbe la prudenza di rinunziare alla sua idea, meritandosi cosi la riputazione di monarca pieno d’umanità. u D Per allontanare i nostri vicini da ogni idea «1’ invasione, Amasi ordinò un censimento del. 137 l’Egitto, nel quale si fa ascendere il numero delle città a diciotto o venti mila: ma la verità si è, come te l’ho già detto, che non ve ne sono più di due mila, degne di questo nome. u n Immediatamente dopo la partenza del saggio Solone, di cui egli accolse la visita in Menfi, Amarsi promulgò una legge, che gli fe ce molto onore. Ogni abitante dell’Egitto deve, una volta all’anno,informare il governatore del suo dipartimento , de’propri mezzi di sussi stenza. La pena di morte è decretata contro colui che si sottragge a questa dichiarazione, o che ne dà una falsa. « n Amasi è vedovo, ma né per ciò fa più da padrone in casa; giacché la prima delle sue concubine sostiene l’impero, ch’ ebbero, dopo Iside, le nostre regine. u » Ci vorrebbe un secondo Ercole, per pur gare l’Egitto. Esso ebbe il tempo di corrom persi, nei diciassette mil’anni passati dopo l’apoteosi di quel grand’ uomo. (1 » Un altro cenno sopra Amasi, che a te non dev’essere indifferente, si è, che tutti gli stranieri trovano in essolui il buon genio dell’ ospitalità , ed i Greci a preferenza di tutte le altre nazioni. Diede egli mille talenti 138 per la costruzione d’un nuovo tempio a Del; [0, del quale tu hai potuto veder gettare i fondamenti. I Greci hanno piena libertà di negoziare nei mercati di Naucrazia, lungo le coste. Egli permette ad essi di erigere degli altari alle loro divinità. I Samii ne costrussero uno a Giunone, ed egli ha loro ultimamente spedito la statua di questa dea in legno do rato. u _ n Straniero, io ti ho pagato il mio debi-' to. Non ti accolsi già come uno di quegli avidi mercadanti, che vengono a Canopo sol tanto per interrogare gli abitanti sulle spe culazioni vantaggiose, che si possono tentare in questo paese. Tu qui non viaggi, che per avvicinarti alla sorgente della verità; ed io te ne ho aperto alcuni canali: Menfi e Tebe potranno iniziarti a più profondi misterii. Se gui il tuo destino: prima di lasciare Canopo, devi una visita al tempio di Scrapide, ed un omaggio a quel primo de’ nostri dei. Ti la scio poi la cura di rendere giustizia ai sa cerdoti, non confondendoli tutti nella mede sima categoria. « » Spero eziandio, che darai testimonian za dei sentimenti ospitali della mia nazio ne. So, che noi siamo dagli stranieri qua 139 lificati ancora sotto il titolo di selvaggi del Nilo, perché siamo creduti ancora gli Egi ziani del regno di Busiride. Ma tu sperimenti il contrario; e noi passeremo forse all’oppo sto eccesso. Un popolo feroce e dato al bri gandaggio massacra e spoglia inaufraghi sul le sue spiagge; un popolo frivolo e corrotto invita tutti gli stranieri sulle sue Coste per far con essi traffico di vizi e di pregiudizi. Una nazione saggia soccorre i naufragati na vigli, e chiude i suoi porti alle navi onuste di quelle ricchezze, di cui può fare a meno; ma non soffre in casa sua nè oziosi né cu riosi. Ciascuno deve restare nel suo paese: si rende, per lo meno, sospetto quel citta dino, che può risolversi di abbandonare i suoi penati, e non trova, in seno della pa tria, tutto ciò che gli occorre per essere felice. Cosi pensavano i nostri antenati, in nanzi all’epoca di Ses0stri, né conoscevano quello spirito d’invasione, che caratterizza gli Spartani. Allora si parlava molto meno dell’ Egitto; ma l’Egitto era più tranquillo. « Prraeona. Sacerdote di Canopo! Rassicd rati: il tuo nome, inscritto sul mio itinera rio, aumenterà la lista degli uomini, dai 140 quali ho ricevuto delle utili istruzioni. Per mettimi una parola sulle vostre origini. a » Comprendo, che un popolo avrebbe moti v0 d’insuperbirsì, potendo produrre dei cal coli astronomici senza lacune, ed una crono logia senza confusione; ma la storia dei re d’Egitto è interrotta come quella de’ suoi dei. 4 Quanti tormenti non preparate voi alla po sterità, gelosa di fischiarare tanti fatti mara vigliosi, estesi con una negligenza forse so« spetta! Perdonami i siffatti dubbi: vado ad espiarli nel tempio di Serapide. « CAPITGLO XLII. Culto e costumi di Canapa. Tempio di Sempide. neste anticó monumento, al quale verrà senza dubbio un giorno sostituito un edifizio più degno ancora della sua divinità, è situato fuori delle mura di Campo, perché nessuna città dell’Egitto tollera nel suo recinto altari oosparsi di sangue; essendo incensi e fiori le sole offerte ammesse nell’ interno delle città. Serapide riceve, come Saturno, sacrifizi di animali. ’ Si aprono le porte e le finestre di questo tempio, tosto che il sole è alzato, per dare passaggio a’ suoi raggi; ed all’ingresso stan collocati due vasi, uno d’acqua ed uno di fuoco, per purificarsi. Serapide è la divinità suprema degli Egi ziani, e potrebbe anzi bastare per tutte le altre. Confonderlo talvolta si suole con Osi ride: gli ammalati lo invocano sotto il nome di Oro, inventore della medicina; i nuotatori ll|,2 sotto quello di Nettunno; altri lo chiamano Giove, altri il Sole, altri ancora il Dio San to del Nilo (1). Quando si arriva a toccarne l’altare, si potrebbe esimersi di frequenta re gl\ altri tempii. Il suo santuario, specie di panteone, è pieno di attributi d’ogni sor ta: vi si veggono le corna dell’arietc di Gio ve-Ammone, la corona raggiata del Sole, il tridente o scettro trisnlco di Nettunno, l’a quila per indicare Giove Egiziaco, ed il ca ne tricipite, ossia il Cerbero di Plutone, dio dell’infemo, e di Pluto, dio delle ricchezze. V’è una setta in Egitto, la quale preten de, che Serapide sia per eccellenza il dio conservatore della vita dell’ uomo, perché il suo nome è composto di due parole, ser ed apis, che significano una spica di frumento, ed un bue, i due alimenti più sostanziosi: di modo che la festa di questo dio è quella del pane e della carne. Mentre io mi accostava all’ altare, se ne al lontanava lentamente un ammalato sostenuto da un parente e da un amico. Colui era un (I) Si trova questa leggenda antica sopra una me daglia dell’ imperatore Giuliano: Dea Sancto Nilo. 143 tisico molto avanzato, e mi sembrava prossi mo alla distruzione; negl'infossati occhi suoi brillava nondimeno un raggio di speranza, avendogli ordinato Serapide, per l’organo del pontefice, di mangiare della carne (1’ asino. Io esaminai la statua del gran dio, rap presentato in piedi, con in testa un paniere o moggio. Questa caratteristica delle grandi divinità egiziane è specialmente consacrata a Serapide, in qualità di supremo autore di tut ti i beni, ch’egli dispensa ai mortali con mi sura, secondoi loro bisogni odi loro meriti. Passa egli inoltre per l’inventore dell’agricol tura. Egli è vestito, alla foggia egiziana, d’una tonaca lunga, tessuta e piegata senz’ arte, con maniche larghe e corte, come per inspirare il gusto delle cose semplici e comode. Il co lore del suo vestito e quello d’una cenere turchiniccia, ed ha sul petto due linee, che si intersecano. > Invece di fulmine o di scettro, porta egli in mano una lunga lancia con la punta di ferro ottusa, per insegnare, che gli dei, e soprattutto questo, sono inclinati alla clemen za, essendo la bontà 1’ abituale loro carattere. 144 Una cronaca del luogo dice ch’egli eser cita questo carattere d'indulgenza principal mente perle debolezze umane; soffre che gli amanti reclamino la sua assistenza, sia per guarire qualche nascosto difetto del corpo, sia per conservar loro le forze necessarie al la pr0pagazione. Prima d’uscire dal tempio, mi si fece ferma re un momento innanzi ad una statua rappre sentante il Nilo , tutta di basalto, pietra d’E tiopia, che deve il suo nome alla rassomiglianza che ha col ferro, quanto alla tinta ed alla durezza: tutto ciò viene espresso dalla parola egiziana basalto. I costumi di Canopo non giustificano il culto del tempio. Quasi tutta la città è com posta di osterie abbondantemente provviste, e proprie a ricevere l’affluenza del popolo, che non manca’di accorrere dai tre Egitti per celebrare le solennità falliche (i) di Se rapide. In certi giorni, tutti icanali del Ni lo sono coperti di fervidi adoratori. Cammin facendo, i devoti si preparano alla festa col canto. Arrivati a Canopo, la gioja degenera (I) Cioè del phallus. Vedi Lezioni: Pilisci. 145 in licenziosità , e la superstizione e la dissolu tezza non hanno più freno. Gli ammalati vi ritornano talvolta guariti, ma i sani escono quasi sempre da Campo ammalati. Mi era impossibile dissimulare l’impressio ne da me sentita, alla vista di tanti eccessi;‘ ed il neócoro del tempio, che se. ne accorse, cercò di distrarmi, conducendomi in un luo go secreto, e proprio alle meditazioni, che do veva inspirare l’oggetto ofl'ertosi agli occhi miei. Vidi una lunga tavola di bronzo, sulla quale lo stesso Serapide scrisse col suo dito varie linee geroglifiche, delle quali mi fu spiegato il senso: i) 10 sono, dice questo dio, l’ani » ma del mondo (1), ed ho stabilito la mia \.vu\-v\vy sede abituale e principale nel sole. La mia . ,v-.«. .‘J-« testa è nei cieli; le profondità dell’oceano sono le mie viscere; i miei piedi s’inter nano negli abissi della terra, e gli occhi miei sono gli astri. Mortali, riconoscete in me la vostra grande ed unica divinità. u Io abbandonai finalmente Campo, per re carmi a Menfi, dopo avere osservato, che nel basso Egitto, durante l’equinozio, all’ora (i) Macrob. Salurnal. no 1. Torna IL 10 146 meridiana, un gnomone di sette parti ne da va quattro d’ombra. A Canopo, il giorno più lungo è di quattordici ore. Tutta la costa è coperta di telline e di parecchie. altre specie di conchiglie, le quali danno un alimento leggero ma assai nutritivo. 11.1 CAPITOLO XLIII. Viaggio a Naucrazia. Seguitando le rive del Nilo, passai vicino a Schedia , ove si leva un’ imposta sulle merci, che circolano nei tre Egitti, alto, basso, e medio; e perciò la città, che s’incontra su quella strada, prima (1’ arrivare a Naucrazx’a, è la città di Mercurio, dio del traflico, una delle più ricche, se non delle più grandi, ha gnate dal Nilo. Questo fiume ne è il padre nutritore, ed è anche il padre dei fanciulli abbandonati. lo vidi parecchie di queste pic cole creature esposte al capriccio delle onde in corbelli di giunco, intonacati di pece e d’argilla. Mi fermai per alcuni giorni nel capo-luogo dello stabilimento dei Milesii , che ha pur esso il nome di Saide. Fu uno spettacolo per me nuovo quel mescuglio di uomini e di donne di colori e di umori diversi. L’abitante del Nilo si adatta ,senza gran ripugnanza, alla so cietà del Jonio e dell’Arabo, e non giustifica a dire il vero l’epiteto di nazione amara, dategli dall’armonioso pittore d’Achille e di 11.8 Ulisse. Riconobbi tuttavia per giusti i timori del sacerdote di Canopo. L’Egiziano era de stinato dalla natura a formare una popolazio ne a parte, come mostrava d’indicarglielo il bel fiume, che lo alimenta. Naucrazia è an cora piena di rimembranze della bella e trop po famosa Rodope. I Naucraziani mi fecero sedere alle loro mense comuni, abbondantemente servite nel pritanèo dai convitati medesimi; ciascuno di essi vi porta la sua porzione di alimenti, ma in sufficiente misura per offrire ai viaggiatori un pasto ospitale. ' Per venire ammessi a quel banchetto, bi sogna essere vestiti d’una tonaca bianca. Il mio abito' dispensò gli ospiti miei di offrir mene uno, secondo il loro uso. Mi fu propo sto un sacrificio a Vesta, ed al dio Apollo. Le donne non sono ricevute a queste mense, eccettuata una suonatrice di liuto alla fine del banchetto. Questi costumi greci mi presenta vano un perfetto contrasto con quelli di tutto il resto dell’ Egitto. A Naucrazla c’è l’uso (l’in ginocchiarsi avanti e dopo il pasto, per invo care e ringraziare gli dei. Non ispinsi più 01 tre le mie Osservazioni, per la premura di Veder Menfi. 149 Nel giomo innanzi alla mia partenza, un giovine, che aveva anch’egli intenzione di ri montare il Nilo fin là, meco associossi. Era egli nato nella capitale stessa, ov’io mi re cava, da un padre arabo, nominato Gafifo, ch’ era stato incaricato altre volte di levare un’imposizione sulle mandre, che 1’ Arabia somministra all’Egitto (i); il suo _cervello era molto esaltato, ciò che caratterizza il suo paese originario. Lungo tutta la strada, che facemmo a piedi e con comodo, egli mi par lò_ dell’Egitto con un entusiasmo, che arri vava talvolta al delirio. Mi diss’egli: n Po chi oggetti degni d’un’attenzione particolare si offriranno agli occhi nostri durante il pic colo nostro viaggio. Permettimi quindi, che ti legga un libro da me scritto per mandarlo a' miei parenti in Arabia. Giudicheranno essi da questo e. del progresso de’miei studi nel collegio dei sacerdoti di Menfi, e delle ma raviglie della patria adottiva di mio 'padre. I popoli dell’Arabia hanno la più alta idea del l’Egitto, lo chiamano la terra per eccellenza, quella che nutre la maggior quantità di no mini: e di fatti, il gran fiume ne abbcwm (‘) Impiego distinto sotto il nome d’Ambarche. 150 più di venti milioni. Una tradizione si con‘ serva fra i miei antenati, che non dà meno di cinquantamil’anni di esistenza politica alle nazioni figlie del Nilo. Per diecimil’ anni, la residenza dei primi suoi re fu Siene: ivi at tesero che il mare si ritirasse lentamente coi secoli, ed abbandonasse loro le terre feconde , fino al sito, ove in oggi si trova Menfi. Ma facciamo ritorno a’ miei fogli, scritti sotto la dettatura dei sacerdoti. Onorevole viaggiatore , ascoltane il contenuto; potrà esso aver forse qualche interesse per te, che porti i primi tuoi passi su questa sacra terra. « - Io gli promisi tutta la mia attenzione; ma non avrei potuto prendermi siffatto impegno, se avessi viaggiato per acqua, poiché il Nilo non è sempre tranquillo. Si vedono frequen temente le sue onde alzarsi ed urtarsi a vi cenda, in modo di tenere inquieto lo stranie ro, che fa viaggio, e di stancare le forze dei caronti (1’ Egitto: questo è il nome che si dà ai battellieri, nel linguaggio del paese. Carme. Ecco in qual modo io do princi pio al mio scritto, nello stile della paterna mia lingua: 151 CAPITOLO XLIV. I prodigi dell’Egitto (1). » Lodi senza fine all’ Egitto! Terra fe conda in prodigi! Qual mortale può sperarsi di vivere abbastanza per descriverli tutti? « n I primi sapienti comparvero in Egitto, per qui scolpire la scienza sulle pietre più dure. Ad essi dovute sono le piramidi soli damente edificate. Diviso era 1’ Egitto, a quel tempo, in altrettante sezioni, quante ore vi vogliono per comporre tre giorni. Ciascuna di queste sezioni aveva per moderatore un mago, e questo mago aveva servito gli astri per sette anni. Camminava egli di pari passo col monarca dell’ Egitto intiero; ed in un cer to giorno , il monarca stesso conduceva all’ab beveratojo le mandre del mago. « il Figlio di Gafifo, diss’io al mio compa gno di viaggio, che vuoi tu dire? . . . Guuro. È questa un’ espressione orientale, (1) Questo capitolo è in parte estratto da un ma noscritto arabo dell‘ antica biblioteca Mazarina. 152 per significare, che il re s’ incaricava del mantenimento dei maghi, ed aveva cura egli stesso, che nulla mancasse a quei dotti POI] tefici. Proseguo: n Quando il re vedeva uno di essi venire alla sua volta, si alzava per andargli incontro, e se lo faceva sedere alla destra. PITAGORA. Quella era l’età d’oro per i pon teficil Gnu-o. La tua riflessione è giusta; perché in quel tempo i pontefici-maghi sapevano fa re dell’oro. Dopo Sesostri, essi hanno molto perduto, non della loro scienza e santità, ma degli onori, che venivano lor t_ributati. Ciascuno di essi aveva il suo astro da osser vare, e se gliene dava il nome. o » Il capo dei maghi s’ informava da cia scuno di loro dell’aspetto del suo pianeta, ed il sacerdote rispondeva: n Esso è alla tale altezza. u - Quando il mago supremo era instruito dello stato del cielo, andava a tro varo il re, e gli diceva: » Primogenito degli Egiziani! Sta scritto in cielo, che tu devi dar oggi i tali o tali ordini sulla terra; met titi la tal veste; il tuo abito di guerra, o quello di caccia, o il tuo manto reale per con vocare l’assemblea del popolo. a - 153 » Senza replica né indugio, il re mandava pe’ suoi ministri; e all’uno diceva: n Tu l'a rai scolpire il tal decreto sulla pietra; « al l’altro: il Tu leverai il piano geometrico del tal monumento. u -Essi partivano per esegui re puntualmente ciò che il re aveva comanda to, dietro l’avviso del capo dei maghi. « Prmcom. Il re non era dunque che un primo ministro? Gana-o. Senza dubbio. La saggezza deve comandare al potere, e la scienza alla forza. a » All'occasione di qualche grande avveni mento, il re invitava i pontefici della scienza a riunirsi fuori delle mura di Tebe. Il popolo stava aspettando nelle strade più grandi del la città; dopo consiglio, ciascun de’maghi faceva il suo ingresso, secondo il rango del l’astro respettivo; gli strumenti di guerra annunziavano la loro presenza. Arrivati alla publica piazza, ciascuno di essi operava qual che prodigio. L’ uno mostrava sul suo volto il pallore della luna, ed inspirava- una dolce malinconia: l’altro venia vestito d’un lungo drappo, carico di pietre preziose di tutti i gradi de’colori, verde, rosso, giallo: un ter zo era montato sul segno del leone, ed ave va per cintura un colubro: un quarto appa 154 riva qual centro d’ un turbine di fuoco, e nessuno osava accostarsegli: un altro ancora era accompagnato da un’ aquila nera, che bat teva a lui d’intorno le ali, come per custo dirlo: un altro finalmente si faceva precedere da mostri spaventosi. Il capo dei maghi, rap presentante il sole, veniva tirato da quattro cavalli di forza ineguale, per figurar le sta g10m. « - n Rassiwratevi, diceva egli al re ed al popolo. Quello che voi vedete non è che il lusioni, fantasmi, imagini vane. Sappiate che nulla di reale v’è nel mondo, fuorché la vir tù. « 5 » A quel tempo, la sacerdotessa Solfila, seduta sopra un trono di fuoco, rendeva la giustizia al popolo. Da quel trono uscivano delle fiamme per divorare chi portava una falsa testimonianza. Quella principessa consa crata si ritirò in un castello da lei fabbricato in riva al mare: nelle mura stavano praticati certi piccoli tubi di bronzo, alla cui imboc catura esteriore si appoggiavan le labbra, per domandare o consiglio e giustizia; un momen to dopo, vi si applicava l’orecchio, per ri ceverne la risposta. Per non pochi anni, l’Egitto non ebbe altri tribunali che questo. 155 PITAGORA. Per esso dunque era quello cer tamente il secolo di Astreal Garxro. Il castello di Solfila era dominato dalla montagna del toro, così detta per la seguente ragione. Sulla sua cima, col mezzo (1’ un perno, girava una ruota, sull’orlo del la quale si vedevano, in opposizione, un gal lo di bronzo, ed un toro di selce nera. Il gallo, sempre rivolto al mare, batteva le ali e cantava, tosto che vedeva una barca nemi ca; a questo grido d’ avvertimento, la ruota girava, ed il toro, che subentrava al gallo, opponeva la minacciosa sua fronte alla disce sa dei pirati, o di qualche ambizioso che me ditasse invasione. « n Solfila aveva, in mezzo al suo castello, una sala circolare di pietra magnetica, intor no alla quale schierati stavano in piedi i si mulacri di tutti i principi limitrofi dell’Egit to. Si disponeva taluno dei re in quelle statue raffigurati ad un colpo di mano contro il bel paese del Nilo? Se ne vedeva la figura agi tarsi da sé medesima, e fare colle sue brac cia dei gesti minacciosi: la sacerdotessa, che ciò osservava, armavasi d’un pugnale di tempra particolare, e ne colpiva il simulacro minac ciante. Ùgni colpo portava danno al principe 156 stesso, già incamminato; il suo esercito era mezzo distrutto, prima di arrivare ai confini di questa sacra terra. Tutti i potenti della terra ammutolivano in faccia all’Egitto, e si guardavano di turbarne il riposo. « » Il figlio di Solfila fu, come sua madre, sacerdote e re nel tempo stesso. Alla porta del suo palazzo, stava un albero di ferro, i rami del quale erano altrettanti uncini di ra me, che ghermivano quel cortigiana il quale fosse stato colpevole di avere occultata al prin cipe la verità. Preso in passando, il cortigia no restava sospeso come il frutto all'albero, finché smentiva ad alta voce, quanto aveva det to all’orecchio del re ingannato. Questa mac china ingegnosa , ed utile alla corte d’un gran monarca, era nominata l' albero di tutte le stagioni. u » Si parla ancora del mago Sajuf, che aveva fissato la sua residenza nell’interno della pi ramide marittima, conosciuta sotto il nome di Tempio degli astri, perché conteneva una figura del sole, ed una della luna, che si tenevan dialogo a certe epoche del mese e dell’ anno. Vi si vedevano anche deposti i libri della scienza, e due statue, l’una delle quali, composta d’una pietra preziosa verde, 157 rideva sempre come la primavera; l’altra al 1’ opposto, tratta da un bel cristallo, versava continue lagrime, che si cangiavano tosto in diamanti bianchi. « » Tutte le nazioni riunite nulla possono costruire di paragonabile alle piramidi dell’E gitto, felice in tutte le sue invenzioni. Le sue piramidi sono altrettanti gradini verso il sole, la luna e gli altri astri. Le principali com prendono nel loro seno sette domicilii, per adorare in essi i pianeti rappresentati da ima gini d’oro. u » Nell’interno di questi monumenti , si può vedere e leggere il gran libro dei secreti del la natura, ch’ essa tiene aperto, sulla sua fron te appoggxato. « » In una di. queste piramidi, sono deposte anche le ceneri del tre volte grande Ermete, e le reliquie del divino Osiride. « n Queste piramidi avevano, ed alcune han no ancora, delle porte, una per ogni facciata, esposta ad uno dei quattro punti del mondo. ti » Una sola di queste piramidi ha costato altrettanti anni di lavoro, quanti giorni con suma la luna Iside per compiere la sua rivo luzione; e vi furono occupate le braccia di altrettante migliaja di uomini, quanti giorni 158 impiega il sole Osiride per fare il giro del brillante zodiaco. u » Cosa potrei dire dei geroglifici, che co prono le piramidi? Ah! null’altro, se non che contengono essi 1’ arte per eccellenza di trasfor mare in ore i metalli più vili (1). Ma il tre volte grande Ermete ne ha posseduto finora egli solo la chiave. « _ » La costruzione di queste piramidi è tale , la loro altezza è combinata in modo coll’ esten sione della base, che per sei mesi dell’anno la luce del sole caccia l’ombra, e l’obbliga a passare sotto i fondamenti, nell’ impero delle tenebre. L’ adoratore del grand’ astro non perde un solo momento di vista l’oggetto della sua contemplazione religiosa; egli è alla presenza del suo dio, per tutto quel tempo, che il meccanismo dell’universo può permet terle agli abitanti industriosi del fortunato E gitto. L’Egitto è quel luogo, dove concepiti furono i primi dei; e non è che l’Egitto, ov’ essi amano di soggiornare. « n In qualunque altra parte, essi non han no che dei cortigiani interessati: sulle sponde sole del Nilo, trovano dei veri adoratori. n Fi (1) V. Mutua liber, Bupell.e, 1677, in fol, 1-59 glie mio, diceva ad Osiride suo padre, con fida nella provvidenza degli dei, ma non tras curare per questo la saggezza degli uomini. « » Osiride approfittò degli avvertimenti pa terni, e fu per l’Egitto il genio del bene, lungamente perseguitato da quello del male. Una povera donna si presentò un giorno per chiedere 'l’ elemosina alla porta di Tifone, allora onnipotente; il genio cattivo. alzò la sua mazza per accoppare l’importuna supplicante, ma un braccio più forte ne arrestò il colpo. Osiride riprese il suo potere fondato sulla giustizia; e questa è l’ epoca dell’età d’oro dell’ Egitto, dovuta a’ suoi sapienti del pari che a’ suoi dei. « » Giftarim, figlio di Bansar, fu il primo in Egitto a dedicarsi al culto degli astri. Egli collocò sugli altari la figura dei pianeti, fu re, promulgò importanti leggi, e-fabbricò del le alte piramidi. Questo pontefice-monarca non si mostrava al popolo che una volta al l’ anno, quando il sole entrava nel segno del 1' ariete; si compiaceva però di parlare a’ suoi sudditi, senza essere da loro veduto, ed i suoi comandamenti avevano cosi una forza mag giore. « ‘ » Per ciò poi che risguarda l’antico Er 160 mete , egli costrusse la casa delle statue, che servono a misurare il Nilo, alzò un tempio al sole, stabili delle scuole e dei luoghi d’es ercizio, fondò sul declivio della montagna di Osiride una città con un fanale, in forma di torre, guardato da un’aquila nera, da un toro bianco, da un leone colore di fuoco, e da un cane rosso. Queste figure di‘ animali avevano il dono della parola. Tosto che vi entrava un viaggiatore, uno degli aniniali guardiani delle porte si faceva sentire, dicen do: » Abitanti della città d’ Ermete , uno stra niero è nelle vostre mura; arrestatelo, ed in formatevi, chi è, e che cosa vuole. u _ » Il tre volte saggio fu il primo (1) che scopri la scienza delle stelle, fondò cento ed otto città, dando loro leggi analoghe al clima di ciascuna di esse; istituì puranche delle feste e dei sacrifizi al sole, alla terra, ed ai pianeti. u_ (1) V. La foresta dei filosofi, ful. IV. verso, e V. moto; in 8.° Parigi, 1532. 161 CAPITOLO XLV. Continuazione delle maraw'glie dell’ Egitto. 1) Sulla montagna della sua prediletta città, Ermete piantò un albero tanto grande, che colla vasta sua ombra poteva coprire la i città intiera. Questo solo vegetabile produceva i frutti di tutti gli altri veget'abili. u » Tale produzione, diss’ io al mio giovine compagno di viaggio, non esiste più oggigior no, senza dubbio, che nei libri geroglifici dei tuoi maestri. Non si potrebbe dire all’incirca lo stesso di tutto ciò ch’ essi ti insegnarono sull’antico Egitto, e che tu a ragione conser vasti fedelmente ? Queste particolarità maravi gliose dipingono lo spirito ed i Costumi del tempo; anzi possono servire, nel bisogno, di prova alla storia di questa bella ed antica contrada. L’albero che produce, solo, tutte le specie di frutti, è probabilmente il tipo d’ un popolo felice, che trova tutto presso di sè, e non dipende da nessuno pe’ suoi biso gni. Prosegui. « Il Tomo H. 162 Il mio giovine arabo-menfiano riprese la sua lettura, facendomi osmrvare, che, data pur la mia ipotesi, le lezioni per lui rice vute dai sacerdoti giustificano il pregio, in che egli le tiene. » Tu metterai nel numero dei geroglifici anche ciò che _mi resta a dirti su quel fa nale , eretto in mezzo alla città, dell’ altezza di ottanta cubiti. Questa lampada spargeva, tutte le notti, una gran fiamma, ora d’uno ora d’un altro colore, fino al settimo; poi ri tornava a percorrere le sette sue gradua zioni. PITAGORA. Si potrebbe spiegare questo fin to fenomeno, dicendo che Ermete aveva os servato ne’ suoi viaggi i colori dell’arco ba leno, e ne offriva la successione agli sguardi attoniti del popolo egiziano. GAFIFO. Mi negherai tu dunque del pari l’origine delle piramidi, quale mi venne inse gnata nelle sacre scuole di Menfi. Tre secoli innanzi alla grande inondazione, il re Sauride segnò, una notte, che la terra si capovolgeva sotto i piedi del popolo; gli uomini cadevano sulla propria faccia; e gli astri, staccati dalla volta del firmamento , si confondevan cogli uo mini , le stelle, sotto la forma di uccelli bianchi, 163 precipitavansi nelle caverne, ed ivi ecclissa’ vano. « V » Sauride , spaventato , balza dal regio letto, corre-al tempio del sole, ne bagna l’ara colle sue lagrime. Si manda pei pontefici-ma ghi di tutte le sezioni dell’Egitto, a fine che sentano il racconto di questo sogno. Quando furono tutti raccolti, il loro capo, che risie’ deva nella corte stessa del re, prese la pa rola: n Primogenito del Nilo! Anch’io sognai d’essere alla tua destra, sulla vetta della mon tagna del fuoco. Noi ci accorgemmo, che il cielo, molto più basso del solito, mostrava di scendere fino sulle nostre teste, e coprivaci come un grande scudo rovesciato; gli astri, in esso compresi, si confondevano sotto i 10 ro diversi segni coi pallidi mortali; il po’ polo ci sollecitava entrambi a deliberare cosa risolvere si dovesse in circostanza si stra na. Noi alzavamo le mani sopra le nostre te ste, come per sostenere il cielo, ed impe dirlo di fracassare il popolo. Il cielo allora squarciossi, e ne uscì il sole, per direi: il Fi gli degli uomini, il firmamento ritornerà nel. la naturale sua posizione, quand’io avrò com pito tre volte cento rivoluzioni. « '» Sèntito questo oracolo, manifestato da 16/+ ’ due sogni quasi conformi, i dotti pontefici presero l’altezza degli astri, per esaminare quali fenomeni annunziassero; e dichiararono, essere imminente un’ inondazione generale, od una combustione universale. ‘« » Saufide ordinò allora subitamente la co struzione delle piramidi, per conservarvi nel ’ l’interno il fisco reale, e s0pra deporvi i tesori di saggezza raccolti fino a quel giorno dai sacerdoti della scienza. 1: » Sauride continuò a regnare con molta prudenza, seguendo i loro buoni consigli. As segnò degli asili agli ammalati Tra gli ope rai, che si occupavano nel lavoro delle pira midi; e fu anche il primo dei monarchi, che tenne un registro dell’introito e dell’esito, rendendo conto ogni anno delle somme ver sate nella cassa publica: queste rose di conto venivano poi scolpite in pietre, per istruzione della posterità, la quale non ne profitta gran cosa. u n Al tempo suo, le donne di Menfi e di Tebe cominciavano a trascurare le sacre loro funzioni di madri. Sauride collocò in mezzo della città una figura di pietra verde, rap presentante una giovine sposa, che seduta allatta due bambini. I pontefici consacrarono , 165 questa statua, alta parecchi cubiti, e le at tn'buirono delle virtù maravigliose. Le donne incinte, e quelle vicine a sgravarsi , ne venivano a palpare le mammelle, promettendolc di nutrire elleno stesse i loro neonati, onde ot tenere un parto felice. Quelle che non man tenevano la loro parola, e che, diventate ap pena madri, abbandonavano i loro. figli ad un seno straniero, n’erano punite con gravi incomodi, dei quali si risentivano per tutto il resto della lor vita: castigo dato loro da Isi de, la divinità delle buone nutrici. u n Invano le cattive madri facevano sparge re , sulla; statua verde, dell’acqua, e poi la be vevano, nella speranza di allontanare i danni del latte, ricusato da loro ai propri neonati: esse non. guarivano punto. Questo monumen to, come pure le tavole di pietra dell’- esito ed introito, vennero distrutte dalla inonda zione predetta. A quel tempo, trovata fu l’ar te in Egitto. d’ammollire l’avorio, e di tras formare in ismeraldi le selci più grossolane. PITAGORA» Questo secreto non vale certa mente quello di ragguagliare la. spesa colla rendita, trovato dal buon re Sauride.. Gsmro. Egli è l’autore di molte altre ope re commendevoli per la grande'loro utilità 166 Si legge in un antico libro, trovato in fondo d’un sepolcro sul petto d’un cadavere, che Sauride, il quale pensava all’avvenire, oltre ai geroglifici delle piramidi, fece anche scol» pire sulle muraglie, sugli obelischi, sulle co lonne, e fino sui tetti dei grandi edifizi, tut« to ciò che gli Egiziani del suo tempo cono scevano della scienza naturale. Egli fu, che ordinò di rappresentare con esattezza e dili gen2a la figura degli astri sotto i loro segni rispettivi. A lui si deve il compendio del le leggi politiche, non meno che gli elementi della geometria e della medicina, dell’agricol tura e delle altre arti alimentatrici. Costrusse egli due palazzi astronomici , uno d’oro per lo sole, e un altro d’argento per la luna, e vi costituì portinai due grandissimi cani, gero glifici viventi dei due tropici, incaricati d’im pedire, che il sole e la luna escano, e vadano fino al polo (i). « » Nel tempo che faceva tutte queste cose, e ne meditava interrogava i capiterà questa nacciati? « _ di nuove, il buon re Sauride sacerdoti: n Quando dunque inondazione, di cui siam mi Gli fu risposto: 1: Quando il (i) Clemente Alessand. Sir-0m. > 167 cuore del Leone si troverà al primo minuto del la testa del Cancro; quando il sole e la lu na saranno nell’ Ariete, Saturno e Giove nei Pe;ci, Marte nella Libra, e Venere nel Leo nea cinque gradi. « ). Sauride domandò, se vi era ancora qual che grande accidente da prevedere. I sacerdoti riguardaròno, e videro, che quando il cuore del Leone avrebbe fatto due terzi del suo corso, non resterebbe vivo sulla terra verun animale; e che quando egli avrebbe terminato il suo giro, i nodi della sfera sarebbero rotti. « 1) Il re comandò sull’ istante di prendere le pietre nere, e di metterle per fondamento delle piramidi. Queste vennero trasportate dal Nilo con macchine. Ogni pietra era impron tata di caratteri scolpiti dai sacerdoti, i quali caratteri davano ad essa la virtù di rimuoversi da sè per lo spazio d’un tiro di freccia da un luogo all’altro. Nel centro di ciascuna di queste grandi masse fondamentali, fu intro dotto un perno di ferro, il quale forava ezian dio da parte a parte .il secondo strato di pie tra appoggiato al primo; quindiAlla si colò al l’intorno una materia liquefatta. profon-I dità di quaranta cubiti, si praticarono delle porte, che mettevano sotto a lunghe volte: 168 (giacché quanto si vede delle piramidi fuori di terra, non è che una terza parte di qxe gli edifizi ). Il re depose in quei sepolcri trenta canopi con i loro coperchi. Ciascuno di questi vasi poteva contenere il carico d’una bestia da soma: ed in essi fu rinchiuso quan to si aveva di più prezioso, come delle perle fuse e colorate; del ferro pieghevole quanto il panno più fine; dei sottili veleni, 621 altri beveraggi mortali, con iloro antidoti ckppres so; delle tavole di rame, ove sono scritte delle regole medicinali per dar la salute, e delle leggi di saggezza conservatrici della pa ce; altre tavole di pietra, contenenti gli an nali del passato, e delle {massime politiche per l’ avvenire, in forma di divinazioni; altre astronomiche, dichiaranti lo stato del cielo, col calcolo della quiete e del moto delle stel. le, a certe epoche, lontanissime le une dalle altre. « » In una di quelle piramidi, si deposero le spoglie mortali dei sacerdoti e dei re. Ognuno di tali corpi occupava una gran pie tra nera e dura, incavata a norma della ta glia: ed ogni sacerdote teneva a lato il suo volume di papiro e le sue tavolette. Bisogna sapere, a tal proposito, che vi erano sette or 169 dini di pontefici; l’ordine più distinto conte-f neva quelli, che avevano servito per sette an« ni ciascuno dei sette primi. astri.. Per ottenere questo supremo grado , bisognava possedere l’universalità delle cognizioni.“ Essi ordinavano ogni anno. al popolo una grande. solennità, detta la festa dei sette altari; mentre, per far avanzare la scienza degli astri, essi l’avevano ridotta aculto.y Con una fiaccola in 'mano, si faceva sette volte il giro di quegli. altari , per» imitare la rivoluzione degli astri, di cui si. incensavano i segni. « n Oltre a tutti questi oggetti, si colloca rono in piedi, lungo le pareti interne delle piramidi, delle statue rappresentanti. gl’ in ventori delle cose utili-,, secondo l’ordine dei tempi. Ogni statua tiène in mano lo stru mento scoperto, e la. descrizione del. metodo necessario per. servirsene. « n Ogni piramide aveva il suo guardiano ,. il quale possedeva la virtù di far perdere lo spirito. ed il coraggio, e perfino la vita, ai curiosi indiscreti,_, che vi si approssimavano troppo. «' - _ n Dovrò io, Parlare del primo labirinto, costruito nell’ isola santa, detta- Mocride? Il re Titoe ne fu l’ordinatore, quattordici mila 170 anni fa. Quest’era un vasto recinto di mar mo, contenente dodici palazzi, e trecento ses santa altri edilizi più piccoli. a » Dovrò io parlare della Città-Santa (i), fabbricata da una mano divina, di quella la mosa Tebe dai sette portici celesti, di quelle quattro sue grandi strade, corrispondenti ai quattro punti dell’ universo? 'Le sue mura circolari la rendono compiutamente, simile alla sfera del mondo: Tebe ed il mondo si co struirono sullo stesso disegno. « » Tutte queste particolarità e molte altre si leggono anche nel libro' di Armeli, detto degli Illustri. u » Ermete o Mercurio, di cui ho par lato, si chiamava anche Edrisio, che significa copiosa scrittore di volumi. Fu egli di fatto quello che insegnò a scrivere agli Egizia ni, e predisse una grande inondazione, la quale capitò molto opportuna, per mettere d’accordo i figli degli uomini, che conten devano già fra di loro per le opinioni. Pe risca la memoria di colui, che suscitò il pri mo una guerra sacra! Perché combattere intorno agli dei? Nonpsono essi forse ab (I) Nounus, Dìonys. V . 171 bastanza forti per difendersi da sé mede« simi? « » Coloro che contemplano gli astri, di« cono non essere stata la grande inondazione affatto generale per l’Egitto: parecchie fami glie sopravvissero al disastro universale. Allo ra si videro i sacerdoti sovrapporre le mani sulla testa.dei loro figli, pronunziando que ste parole in forma di voto: » Autore della natura! Benedici la nostra posterità; allonta na da essa il dolore, e la debolezza peggior del dolore; dona ai discendenti nestri la for za ed il coraggio, che ben più valgono, e la prudenza, che all’una ed all’altro va innanzi! Fa ch’ essi non vengano mai spogliati della terra d’Egitto, di cui tanto son dolci le acque, i pascoli tanto verdi! Sia l’Egitto il padre delle nazioni, come il Nilo è il padre dei fiumi! Fa di più, che i suoi annali offrano esempi più belli, che le storie di tutte le al tre nazioni insieme! Rinomato sia l’Egitto per la sua saggezza! e sulla bara di ciascuno de’suoi figli si possa scrivere: n Egli visse senza conoscere il fanatismo e la schiavitù, la malattia e la decrepitezza. « Felice chi pas sa i giorni suoi nell’Egitto! quelli che lo lasciano, se ne pentono, e piangono per ri rqz tornarvi. Chi vi si reca con cattive intenzioni, parte, prima d'aver potuto consumare i. suoi disegni; chi medita la rovina. dell’Egitto, vi ritrova la propria; chi vi soggiorna, è sicuro ; ehi lo abbandona, se ne pente- «= - » Fu detto un giorno ad un eccellente personaggio: » Che pensi tu dell’ Egitto? e: - » Terra tre volte felice, esclamò egli, ove gli orgogliosi sono umiliati, ove gli infisl‘ici trovano conforto alle foro lagrimel' Fertile paese, ove il granello. del frumento 6 grosso , quanto un uovo di gallina l‘ Giardino. di delizie, ove, da Siene fino al mare, un viaggiatore può cam minare Sulle due rive del. Nilo, all’ombra, colla testa scoperta, senza essere incomodato dagli ardenti raggi del sole! Regione fortunata, che produce fiori in' tutte- le stagioni, e do ve in ogni stagione si ponno intrecciare ghir lande! Paese avventuroso, ove ogni mese dell’ anno conviene egualmente alle piantagioni! Terra beata, ove gli animali feroci. sono di statura più piccola, in minor numero, e di. coraggio minore ,, che in. tutte le altre con trade (I) 1‘ « - » L’Egitto. è la. sola terra, del globo, che (l). Erodoto,, IL. 173 riposa sopra sé stessa, come un cubo, né va soggetta a terremoti. « n Vari dotti topografi hanno voluto, coni loro grafometri , contare il numero de’suoi canali, delle sue città libere, e dei suoi popo losi comuni; ma non trovarono tempo che lor bastasse per far questo calcolo. L’Egitto ha trecento sessanta grandi poderi, quanti ha giorni l’anno; {ed un solo di questi poderi basterebbe al mantenimento di tutti gli abitanti dell’Egitto, che sono in numero di altrettanti milioni, quanti giorni impiega la luna a per correre le sue fasi. « » Resta ancora qualche cosa da vedere in Egitto, a colui elle non sia stato a rendere il suo omaggio al colosso geroglifico del grande 'Osiride (I), composto di tutte le specie di metalli, di legni e di pietre. Il tempio, ove si trova quella statua, èappena vasto abba stanza per contenerla, poièlxè la testa tocca la volta, e le sue braccia distese mostrano di respingere le pareti per farsi largo. « » Un vecchio d’Etiopia, cieco, chiamò un giorno il più giovine dei suoi figli, e gli (1) Alf. Costadau, Trattato dei segni. Tam. Il. 174 disse: » Figlio, guidami in Egitto. « - Giunto al piede della grande piramide, il vecchio disse ancora: » Figlio, vorrei ascendere alla più alta piramide. u -- » Ma, padre, tu non vedrai mica di più. u-n Lo so, ma toccherò colla mano i dotti caratteri scolpiti sopra cia scuna faccia di quella piramide , e morirò più contento, quando potrò dire d’aver toccato colle mie mani il più durevole di tutti i monumenti alzati dagli uomini, ed il più sublime altare elevato alla gloria degli astri. Sappi, figlio, chepse, in ogni altro paese, il cieco od il vecchio è un morto fra i vivi, in Egitto egli gode ancora d’una felice ed onorata esistenza. « - Una legge ordina di al zarsi quando egli passa, di dargli braccio di giorno, e ricovero sul far della notte. Onore all’Egitto ospitale, ed amico della inferma vecchiaja! u Il mio giovine compagno di viaggio termi nò qui la lettura del suo volume di papiro, ed aggiunse: n Io non ne scrissi di vantag gio; ma i sacerdoti delle sacre scuole di Men li ce ne dettarono tre volte ancora di più. La parola non manca già mai, quando si ha 175 per argomento le maraviglie dell’Egitto: tut to ciò che intendesti finora, non è che un piccolo saggio di ciò che ti verrà ripetuto ai piedi delle piramidi. Se un popolo, che nul la ha di bello da mostrare agli stranieri, re sta muto, si comprende il motivo del suo silenzio: ma scusabile è il figlio del Nilo, se parla molto, avendo molto da dire. « i76 CAPITOLO XLVI. Pitagora a Menfi. Costumi privati degli Egiziani. Arrivati a Terenuti, noi abbandonam mo per poco la terra, onde avere un saggio della navigazione sul Nilo; e ci gettammo in una di quelle barchette, che l’Egitto imparò a costruire dall’industria dei Fenici. Sono fatte queste barchette di Vctrice e di alcune altre piante di palude, rivestite per di dentro di pelle, ed intonacate per di fuori di catra me. Si remigò cosi lentamente fino a Leto, capo-luogo d’un dipartimento; poi a Cerce aura, sito osservabile per la sua situazione, attesochè ivi il Nilo divide i suoi flutti in due vasti canali naturali. Lasciando Eliopoli e Babilonia a manca , toccammo terra in una piccola pianura , detta il Campo d’Oro; ivi comincia il territorio di I Menfi, che gli Egiziani pronunziano Mom )1hta, vale a dire acqua del signore (città del l'acqua del sole ). Questa gran città, fabbri cata all'occidente del Nilo, domina quel fiu "\ 177 me con una diga, opera del re Menete, cioè eseguita sotto il regno di Menete. Il mante nimento di questa diga è importantissimo; mentre, se si rompesse, tutta Menfi ne ver rebbe sommersa. Oltre al preservarla dalle inondazioni, essa potrebbe anche servirle di baluardo contro i nemici; lo che la rende una piazza fortissima, ed un soggiorno più ame no di quello di Tebe, al piede d’una mon tagna di sabbia, sulla cima della quale fu fabbricato un palazzo. Nei contorni, v’è un bosco, i cui alberi sono di tal grossezza, che tre uomini uniti insieme colle braccia te se non possono chiuderne la circonferenza. La temperatura di questa regione è tanto dolce, che nessun vegetabile, nemmeno la vite, vi perde il suo fogliame. Nell’interno della montagna, che domina Menfi, trovai dei crustacei (l). Il gran lago Meride, protettore della cit tà, comunica col Nilo per un canale, lun go ottanta stadi, e largo trecento piedi. Que sto canale contiene 0 distribuisce le acque del fiume, secondo i bisogni dell’agricoltura, col mezzo d’una cateratta, per aprire o chiudere (1) Erod. u. Tomo II. 1z 118 la quale, ci vogliono delle braccia esperte e molta.spesa, costando ognuna di quelle ope razioni cinquanta talenti. All’estremità superiore del canale, Gafifo mi fece osservare il niloscopio, strumento proprio a misurare i traboccamenti annui delle acque nutrici dell’Egitto e benefattrici di Menfi. Le sue dimensioni sono segnate a cubiti e (liti, per essere più a portata del p0po 10, che lo consulta con molta premura. I ri sultati di ciascun anno si conservano da lun ga serie di secoli: un’altezza di dodici cubiti non basta, diciotto sono troppi; il numero di quindici è termine medio, che appaga il Voto publico. Gafifo mi fece osservare, che, nella casa di suo padre, una cisterna dà dell’acqua, sopra una grossa sabbia grigia, all’altezza di mezzo cubito. Il distretto di Menfi è sparso di ridenti abitazioni, sulla porta di alcune delle quali, osservai delle ali di sparviere (1); ed il mi0 compagno mi avverti, essere ciò un indi zio, che iproprietarii di quelle 0386 50110 di antica e distinta prosapia. (i) Stuckius. Canviv. Il. 50. l79 Approssimandosi a Menfi, dove entrammo per la porta detta della Verità (i), il mio giovine compagno di viaggio mi disse con aria di dispiacere: n Io. non oso offrirti la n0stra casa per soggiorno, fino a che tu non venga presentato al re. Il farti conoscere mio padre e la mia famiglia mi sarebbe stato gratissimo: ma noi non siamo dei primi della città; ed uno straniero, munito di si potenti commen datizie come le tue, potrebbe adeguare . . . Prrsooas. Figlio di Gafifo, che di’ tu? Era appunto mia intenzione di chiederti quell’o spitalità che tu m’offri, e ch’io preferisco a quella di Amasi: di più , voleva pregarti d’essere mia guida. u _ La sua risposta fu un tenero abbraccia mento, dopo il quale egli mi condusse nei paterni suoi lari. Un ramo di sicomoro, pian tato di rimpetto alla porta, ci annunziò qual che sinistro avvenimento di famiglia. Il padre, la sorella ed il fratello del mio compagno cir condavano il letto di dolore, ove la madre sembrava non attendere, per ispirare, che il momento di vedere ancora una volta il suo figlio maggiore, per dargli l’ultimo addio. Il (1) Diodoro Siculo. 180 sacrifizio fatto ai trentasei cnat, genii (I) che presiedono alle trentasei parti del corpo umano, non aveva portato verun sollievo. La scena fu breve ma desolante, e la mia presenza di qualche utilità, poiché divisi il comune dolo re: e le lagrime d’uno straniero sono un balsamo consolatore per una famiglia coster nata. Io non abbandonai la mia guida pur un solo momento: egli aveva bisogno d’uno sfo go all’amarezza de’ suoi sentimenti. Siccome però ci trovavamo, fortunatamente, alquanto stanchi, dopo la fatica del viaggio, lo invitai a gettarsi sul suo letto, e ve lo determinai dividendolo con esso: una rete ci fu tesa all’in torno, contro l’importunità delle zanzare (z). Egli poi mi richiese, ch’io lo ajutassi a governare la sua casa in quei primi momenti. Il posdomani alla sera, si andò ad avvertire gl’imbalsamatori: una legge recente, che li riguarda, esige la rivoluzione di tre giornate fra l’ora del trapasso e quella della sepoltura (3): tanta è la loro intemperanza! Essi vennero (i) Cnat, o Sicat, parole egiziane, che significano decam' o Dei eterei. (e) Conopamm. I. Alstorf. de leciis. 1704. _ (3) Perché non abusino delle belle rlmme morte . duce Claudio Guichard, deifimerah' lib. III. V. Erod. II. 181 nella mattina seguente, e chiesero a quale dei tre prezzi fissati pel loro ministero si vo leva tenersi: fu scelto il prezzo medio (1), e coloro principiarono tosto a lavorare, in fac cia al sole (a). lo fui testimonio delle loro operazioni, come pregato mi aveva il mio ospite, onde imporre ad essi colla mia pre senza; perché trascurano spesso le loro fun zioni, quando non vengono sorvegliati. Era no tre; ma ben presto rimasero in due, perché quello incaricato di aprire il corpo mediante un’incisione al lato sinistro del ca davere con una pietra di Etiopia, fuggì e sparve, onde evitare le imprecazioni, che si ha l’uso di pronunziare contro di lui. Gli Egiziani pensano male d’un uomo che può, a sangue freddo e per mestiere, lacerare il corpo d’un suo simile, anche dopo morto. Col l’ajuto di vari strumenti, si tolse dall’interno del cadavere tutto ciò che dà un alimento ‘alla putrefazione, eecettuati il cuore ed i re ni, che furono lavati col vino di palma. Vi s' introdusse invece, pel mezzo d’un cannel (1) Circa 1500 franchi. Diod. sicul. Erodot. Caylus. ’ Storia dell’Acc. delle Iscrizioni, Tom. II. in la.’ (a) Plutarco, trattato secondo del mangiar carne. in principio. ì82 lo, della resina di cedro, poi fu deposto il tutto nel natron (sale alcali fisso), per restar vi come sepolto, lo spazio di due mesi. Du rante questo tempo, la famiglia, vestita a lut to. si fa vedere nei differenti quartieri della città, per ricevere gli usati conforti. Io ac compagnai la mia giovine guida da per tutto. Gl’ intestini poi (i) furono rinchiusi in un vaso destinato a quest’uso: dopo di che, intesi dalla bocca dell’imbalsamatore la seguente pre ghiera fatta in nome del defunto: 1) Oh sole, dio nostro! Tu, che dai la vita agli uomini, riprendi la mia. Per tutto il tempo ch’io vissi , onorai coloro che generarono il mio corpo, non uccisi verun uomo, non violai verun deposito. Se qualche volta ho bevuto o mangiato cose vietate dalla legge, la colpa è di ciò che sta rinchiuso in questo vaso. « - E frattanto che si profetivano leultime parole di questa preghiera, il vaso fu gettato nel Nilo. Dopo sessanta giorni, gl’imbalsamatori tor narono, per diseccare le carni col nitro (a), sino a che del cadavere non restasse più che il (I) Porfirio, Astinenza della carne. IV. 10. (a) Plìn., Star. nal., chiama le mummie servata €0rp0ra. Pomp. Mela, fimera medicata. 183 carcame osseo ricoperto della sola pelle. In vilupparono poi tutto il corpo, dalla testa ai piedi, con fasce di tela intonacate di [rami (specie di gomma arabica), avvertendo d’in crocicchiare le braccia, colle mani rivolte al viso. Fu quindi portato un cofano di le gno di fico d’Egitto (specie di sicomoro) e di forma umana, per chiudervi quel tristo e caro deposito. Gli Egiziani chiamano la bara durdarot, ossia casa eterna ( 1), e la morte muth. La “mia giovine guida dipinse sopra la bara varie figure geroglifiche, di cui gli chiesi la spiegazione. » Ahimè! diss’egli, tu vedi un gallo stendere le ale sue sopra tre piccoli pulcini, uno dei quali è sbucciate soltanto per metà dal suo guscio (a). Allato, una gal lina nuda giace in disparte, né le resta una piuma sola sopra tutto il suo corpo: fedele imagine della mia sventurata famiglia. La po vera nostra madre è questa gallina, feconda un tempo e benefica; ora i suoi figli sono co (l) Diodoro Siculo. I. (2) Questo geroglifico avrà forse dato l’idea del nido di uccelli, rappresentato sopra un Sepolcro vicino a Roma. Caylus, Antichità romane. T. III. pag. 260, 261; in 4.° 181, stretti di ricovrarsi sotto l’ala del mesto lor padre. lo dipinsi questo quadro di famiglia, monumento eterno del mio dolore , con dello smalto ridotto in polvere. u - Aggiunse poi: » Noi non siamo d’avviso di portare il corpo di nostra madre nelle pu bliche catacombe, fuori della città. Mio padre è contento di guardarlo qui nosco, sotto il medesimo tetto (I). Metteremo questa bara in piedi, appoggiata alla parete del più nobile appartamento della casa: così non'oesseremo d’essere sotto gli occhi nostra madre: ella presiederà a tutte le nostre operazioni; e tutti i nostri pasti termineranno con una libazione in onore di lei. a Alcuni viaggiatori maligni hanno indegna mente sfigurato quest’ uso, raccontando che gli Egiziani, per rallegrare i loro conviti, collocano, all’ estremità della mensa , uno scheletro umano, affinché lo spettacolo della loro distruzione gl’ induca ad approfittare dei piaceri del momento, senza rimetterne all’in domani una parte (2). Gli ultimi uflizi resi alla madre di Gafifo (I) Cic. ’Quaasrt. tua-cui. l. (e) Caylus, Antichità egiziane, Tom. VI. 185 terminarono con un banchetto. La tavola fu imbandita, secondo l’ uso (1), fuori della casa innanzi alla porta. Questa è l’occasione, in cui si ama di sfoggiare utensili domestici, indizi-dell’ agiatezza e dell’ ordine, che regna no nell’interno delle famiglie. I ciati , i bic chieri, i vasi larghi sono di rame. Questi ultimi si chiamano ethanion (z). Honne os» servato degli altri, rivestiti di certa intonica tura, che nel colore imita perfettamente l’ar gente, colore che può restare per venti se coli inalterabile: ne vidi eziandlo somiglianti. nella forma alle l‘agine di Samo (3). Il banchetto fu terminato con questa pre ghiera di costume (4): » Sole!’ e voi tutti, astri (5) senza numero, dai quali deriva la vita degli uomini! riprendetc colei, che ani-. mava questo corpo . . . « Poi venne il cerimoniale d’ una grand’ an fora d’ assenzio, che passò successivamente per le Labbra di tutti i comitati. (I) Pomp. Mel’a. Stuckius-,. Convib. (2) Ateneo, Xl. (5) Lugana, in latino; bauiglia, appo noi. Aten. X1. (4) Eufaute, citato da Portirio, De absiinentia. IV. lo. (5) Sinonimo di Dei, in Egitto. 186 Una donna attaccata al servizio della casa fu talmente afflitta per la morte della sua padrona, che le sopravvisse poche settimane soltanto. Icerimoniali del ‘di lei funerale do vevano essere più semplici: alcuni suoi cre ditori vi si opposero, allegando un titolo, che dava loro dei diritti sul cadavere di quel la donna (1). Questo titolo era una somma di danaro, che essa aveva da loro ricevuto, per sovvenire al suo vecchio padre; acquista to avevano essi quindi la proprietà del di lei corpo, privato della vita, onde esercitarvisi nelle operazioni dell’imbalsamare. Gafifo resti tui ai creditori la somma da essi anticipata , e riscattò così gli avanzi della defunta. Questo ultimo tratto di virtù non arrivò mai a co gnizione della famiglia, ch’ essa serviva. Si lavò l’interno del corpo con acqua e sale, poi lo si ‘involse in foglie di palma, quindi il mio ospite ed io ordinammo di trasportarlo alla sepoltura comune degli abi tanti di.Menfi , nella gran pianura di Sacchara , all’ occidente della città. Ivi, a cinque o sei piedi sotto la sabbia, si trova un vasto ma cigno, nel quale praticate furono, a punta di (i) Lnmothe Levayer. XIV. Ornella. I 187 . martello, moltissime loggette, ultima abita= zione dei mortali. Gli Egiziani chiamano questi asili Amenthen (i) , come per significare, che la terra dà e riprende i materiali della vita. I cadaveri vi sono collocati in piedi, quasi tutti rinchiusi in casse di sicomoro, (butoi, in lingua egiziana) perché questo legno diffi cilmente si corrompe (2). Io visitai quel grand’ aminasso di feretri, e ne osservai alcuni, che avevano degli occhi, specie di finestrelle di vetro (3), per ricono scere il corpo imbalsamato. Questa dispen diosa accuratezza. vien praticata soprattutto colle mummie domestiche (4). "(i)’ Dans e! accipiens. Plutarco, Isid. et 0si'r. (a) Hesychius. Lea-io. GIGL‘. (5) Vedi una lettera e la sua risposta, Tam. VIII. in principio della Gazzetta letteraria d’Europa. (4) Mummia vuol dire cadavere diseccato. \ |88 CAPITOLO XLVII. Particolarità domestiche dell’Egitto. Commestibili. Arti, e Mestieri. Nelle catacombe di Sacchara , distribuite in varie gallerie sotterranee, comunicanti fra loro, i corpi sono ordinati secondo l’età- ed il sesso. Ivi si trova anche il labirinto degli uccelli di tutte le specie, imbalsamati colla massima cura, e conservanti ancora la viva za dei colori delle lor piume. Rinchiusi san dessi in urne di terra , ed io riconobbi fra loro specialmente molti ibi. Gli onori peri.) della sepoltura vengono accordati soltanto 211 volatili nutriti nei tempi. Non è che in Egitlf), ove l’uomo non si tenga dispensato dalla 11' conoscenza verso gli animali, che gli fanno del bene. Questa riflessione è del mio giovine ospiti? Io gli ricordai , a questo proposito, ch’egli mi aveva recato in tavola un onocrotalo (PCI' licano); e: » Questo uccello, gli diss’ io, 110“ ti‘ già cattivo. « Il figlio di Giifi.f0 I'ÌSPose: n Ma egli mafl‘ 189 _ gia il pesce, che ci serve di nutrimento, a certe epoche dell' anno. Prrscom. E non ne ha egli il diritto, quanto il popolo egiziano? Spiegami anche questa contraddizione. Perché, d’ intorno ai templi, ove il bue Api è riverito come un dio, si mangia senza scrupolo la carne di vitello? GAFIFO. Probabilmente, perché una giovenca non è ancora una vacca. Prrsoons. Va benissimo. E chi può chic dere ragione dei vostri usi religiosi? GAFIFO. E perché no? Il fagro , della cui carne astengopsi gli abitanti delle due estre mità del Nilo, deve la permessagli esistenza al colore sanguigno, di cui dipinte son le sue squame. PITAGORA. Io vado in ciò d’accordo coi vo« stri sacerdoti: non bisogna familiarizzare il popolo colla vista del sangue. GAFLFO. Un osservatore superficiale crederà di sorprenderci in contraddizione, vedendo a Pelusio delle cipolle sulle nostre mense e sui nostri altari: ma sappia egli, che noi riguar diamo come sacra la cipolla marina, perché ci guarisce; e mangiamo la cipolla degli orti. « » Tu potrai almeno far fede della nostra sobrietà. Io non ti feci bere quel prezioso li 190 quore, che ti sarà abbondantemente versato alla Corte d’Amasi, quand’egli sarà di ritor no nella capitale. Noi ti abbiamo potuto of frire per bevanda soltanto dello z_ythum, inven zione di Osiride, fatto d’orzo fermentato in un’infusione amara di lupini (l). I Pelusiani si ubbriacano con questo liquore artefatto, quanto i Greci con quello di Bacco. »- La base dei nostri commestibili è la pasta levata. PITAGORA. E perché non contentarsi del l’acqua pura del vostro fiume nutritore? Gnuro. Il medico di mia madre, giacché siamo innanzi alla porta della sua ‘casa, ti soddisfarà in ciò meglio di me: entriamo. « » L’esperienza , ci disse questo medico , che si deve consultare, prima dei maestri, nella scienza del corpo umano , insegnò da gran tem po, che l’acqua del Nilo, senza mesouglio e cruda, produce l’elefantiasi (scorbuto o lebbra), soprattutto nei primi giorni dopo l’inondazio ne. Le aeque sono allora necessariamente tor bide, per la gran quantità (1’ insetti ed altre materie malsane, ch’ esse mettono in movi« mento, e che trasportano nel loro corso. Il 51110., Che ingrassa le nostre terre, alterereb (I) Della Birm- Dìod. sic. Columel. fle re «rush i r ho la nostra salute, se si facesse un9 uso troppo abituale di quelle acque. Non basta forse, che il povero abbia sempre immerse le braccia in quel fango per i publici biso gni? Non v’è popolo. più sudicio dell’egizia no. Dovrò io dirti, ch’egli impasta il fango colle mani, e la pasta coi piedi? Prracom. Mi sorprende, che l’Egitto non abbia un maggior numero di ammalati. IL MEDICO. Ad ogni decade del mese (I), il popolo prende dei vomitivi (2) , che lo purgano. Oltre alla sua sobrietà, ed all’im portanza ch’egli mette nella scelta de" suoi ali menti, noi lo abbiamo persuaso, che tutte le malattie hanno per causa unica un nutrimento malsano: ma con tutte le» nostre cure , bisogna anche sorvegliarlo da vicino. La moltitudine è troppo disposta a ritornare alle sue malnate abitudini; e il magistrato, amico degli uomis ni, non deve perderla un solo momento di vista, in Egitto. « » I sacerdoti secondano i magistrati, ed il loro esempio dice più che i loro precetti. Mostrano essi in generale p'oca robustezza , (1) Periodo di dieci giorni. (a) Dacier, Î’ila di Pitagora. pag_. 167. 1;gn e pure godono 11’ una salute perfetta: e pa recchi fra loro si astengono dalla carne degli animali non solo, ma anche dalle uova e dal latte; dal vino di vite non solo, ma anche clal vino d’orzo, di loto o di palma. u » Stimano essi poco quelli de’ loro allie vi, che sono grassi e 'corpacciuti, perché, a detta’loro, quanto più polpose sono le oiive, tanto meno danno di olio. Pensano, coi saggi d’Oriente, che la dieta vegetale dia della me moria, o la conservi. PITAGORA. io non ho mai veduto tanti cic» chi, quanti in Egitto (1). 1L MEDICO. Parli tu geroglificamente?! PITAGORA. In ambi i sensi. La. Mumco. Noi lasciamo credere al popo lo, che la cecità, ond’è afflitto, sia un ga stigo de’ suoi dei, finché arriw'amo a scoprin ne le cause e la guarigione. PITAGORA. Non si potrebbe attribuire que st’incomoclità alle pietre, che gli Egiziani ta gliano e smuovono continuamente sotto gli ar dori del sole? IL MEDICO. Ci pensai anch’io; ma non con viene il dirlo. Un popolo sfaccenclato e di (I) Diod. Sic. l. 22. 193 buona vista è troppo pericoloso a sè stesso ed a’ suoi capi. u n L’abitante del Nilo ha compreso per tem po il bisogno di circoscriversi fra certe rego le dietetiche , delle quali i suoi sacerdoti gli mostrarono i primi l’uso ed i salutari effet ti. Essi bevono solo acqua di sorgente in tazze di rame. Il resto della nazione, eccet tuati i ricchi, si abbevera nel Nilo, senza purificarne l’acqua (i): il popolo ed il por co hanno qui, come altrove, le stesse abitu dini. « ' » Ma la buona natura, provvida in tutto, ha seminato sotto i nostri passi dei vegeta bili purgativi; la Tebaide n’è ripiena. La cassia è fra noi indigena: l’imprudenza o gli eccessi momentanei non possono avere lunghe e funeste conseguenze, e la religione s’intese colla natura per vegliare sulla nostra salute. _Chiude essa le porte de’ suoi templi a’ por cari, a fine di confermare la ripugnanza, che noi dobbiamo avere per l’uso ordinario della carne di majale, riconosciuta perniciosa sotto un clima caldo. a » Le nostre leggi, tanto civili che sacre, (I) Cocchi, Regola Pitagorù‘a. Tomo II. 13 '194 si riuniscono per invitarci a non esigere dalla vacca più che il suo latte e la sua figliolan za; risparmiamo la madre, almeno finch’è capace d’essere feconda. « n Non è un gran sacrifizio per la sensua» lità quello di astenersi dalla carne del falco ne grande e piccolo, dello sparviere, dell’a quila, del corvo, dell’upupa, della cicogna, della gru , dell’ibi, e d’altri uccelli carnivo ri, che vivono di stragi e rapine. Anche gli icneumoni, le donnole, i gatti ed icani non danno un alimento tale, che stuzzichi l’appe tito. Possiamo ben anche far a meno della lontra , del pellio-ano, della tadorna , e lasciarli in pace, onde ci liberino dall’ eccesso della po polazione dei nostri laghi. Che cosa si potreb be fare anche della carne fibrosa del cinoce falo (la scimia), la quale converrebbe do. mandare agli Etiopi? Non basta forse che siamo noi debitori ad essi del culto, che qui si rende a quel quadrupede imitatore: cosa che ci attirò l’imputazione d’avere diviniz. zato degli uomini viventi? « » Alcuni stranieri si divertono a carico dei nostri sacerdoti, che vietano 1’ anguilla e la lampreda e tutti i pesci senza squame ; i nostri sacerdoti sanno più di essi, e potrebbero loro 195 insegnare, che questo nutrimento, di difficile digestione, condensa il sangue, e favorisce la lebb ra. L’abitante del Nilo abbandona il pesce diseccato al sole alle popolazioni indigenti sparse sulla costa marittima. « 1) Se i Mustarabi ed i Trogloditi si cibano del frutto della loro pesca, essi vi son con dannati dalla natura del paese, in cui vivono erranti: ma l’Egiziano sedentario non ha d’uo po che di vegetabili. Ad esso basta gustare del pesce ima volta all’ anno; e ciò nel gior no 9 del mese di tot/1: egli avrà sempre temi po di ricorrere alle carni salate, se si deter. mina a diventare nazione commerciante. « n L’aratro lo dispensa delle frecce e delle reti. Motta egli sempre la sua gloria nel ren’ dere il proprio paese il più bel giardino del l’universo! Che cosa gli mancherà, se avrà la salute e l’abbondanza?, Aspiri egli, aspiri ad essere il primo popolo agricola della ter ra! Tutto lo splendore che ha il nome de. gli Atlanti, non vale una buona sperienza l'lh rale, del genere di quella che noi ripetiamo, ogni anno, al levarsi della canicola, per met' toro a prova le nostre semenze. Quante pro, prietà non ci restano ancora da conoscere nelle piante! Verrà, senza dubbio, il giorno, 196 che, invece di triturare le nostre canne m‘e late o di seccarle nel forno, noi troveremo i metodi necessarii per estrarne il sugo (i), e dargli della consistenza. Mi sorprende tut tavia, che non abbiamo tentato di fare che schiudansi le nostre uova di galline, di anitre, di oche e di piccioni, al calore dei forni. Il letame ci riesce: ma perché non tentare di far meglio dello struzzo e del crocodilo, no stri primi maestri, in fatto di covazione? Quella degli embrioni delle api, nelle stalle dei nostri tori sacri, dovrebbe insegnarci a perfezionare tutti questi metodi. « n Noi siamo un poco consuetudinarii; ma questo è il difetto dei popoli senza ambi none. PITAGORA. Come si può accordare questa asserzione col genio delle scoperte, che nessun popolo contrasta a quello dell’Egitto? IL Msmco. Si accorda benissimo. La nostra nazione è laboriosa e paziente; la sua lunga avversione pel commercio marittimo prova che le brame ne sono limitate. Le invenzio ni, delle quali viene a lei attribuito l’ onore, sono dovute, parte ad un popolo anteriore, (1.) Lo zucchero dei moderni. 197 di cui essa è una colonia, parte ai sacerdoti, che colla scienza hanno voluto equilibrare il potere dei re, parte finalmente ai cortigiani bramosi di piacere al loro padrone. Non è già 1’ abitante di campagna o il cittadino delle ultime classi, che abbia il talento d’in cidere in quasi tutte le specie di pietre fine; eppure quest’ arte conta più di dodici secoli, come lo provano i nostri monumenti. Fino d’allora si conoscevano le seghe, i ponzoni, e vari altri utensili ad uso degli incisori; ma questi artefici formano una classe separata, col monarca. che li tiene al suo servizio , quasi strumenti di luss_o.. Bisogna bene distinguere le scoperte utili dalle invenzioni brillanti. Il nostro aratro è all’incirca quello stesso, che era mille anni fa. L’anatomià, l’arte più utile dopo l’agricoltura, non ha fatto progressi che vicino al trono ed agli altari. Al popolo dei campi bastano alcune nozioni grossolane, e sempre le stesse; non arrischierebbe esso una operazione complicata, e forse non avrebbe torto. La scienza d’imbalsamare estese quella di guarire; i morti così fecero servizio ai vivi. PITAGORA. Il vostro uso di rendere le pro fessioni ereditarie ha, rallentato forse l’elasti cità del genio. 193 IL MEDICO. T’inganni. L’esercizio d’un mestiere, d’un talento non passa già di padre in figlio per espresso comando della legge. In Menfi , tu non troverai mica famiglie d’incisori in pietre fine che risalgano a tempi remoti. u il La superstizione fa maggior torto alle arti , che non faccia la consuetudine. Per esempio, bisogna confessare ch’ essa proibisce dei oomfl mestibili riputati sanissimi dalla medicina; obliga essa pure gli scultori a non comporre che mostri, dei quali il modello non si trova certamente nella natura. Tutte quelle figure , metà uomini e metà bestie, non ci faranno eol locare tra i popoli grandi artisti; e fra tanto sarà difficile superarci nel tecnico. PITAGORA. É cosa osservabile, che gli E giziani riescono nei due generi più opposti. Chi non sarebbe sorpreso di vedere lo stesso popolo fabbricare le piramidi di Menfi, e scolpire le pietre fine? costruire un labirinto, e comporre anelli e castoni? IL MEDXCO. Ciò succede, perché i proces si delle arti derivano da una stessa sorgen te, e tendono allo stesso scopo. Scavando la terra, per estrarne dei massi sassosi , s’incon trano delle vene di metalli. Delle pietre grandi _e ben levigate invitarono la mano a tracciarvi ‘ 199 de’ caratteri; e ben presto si passò dal grande al piccolo. La metallurgia somministra egual mente degli strumenti capaci di alzare dei macigni enormi, e degli utensili d’una tem pra atta a lasciar delle tracce sulle materie più dure; le nostre pietre “preziose lo sono ad un grado superiore a quelle di ogni altro paese. Lo smeraldo vero della Tebaide resiste a qualunque aceiaro, fuorché a quello di Menfi e di Tebe: gli stranieri stessi devono confes sarlo. I nostri incisori riescono bene del pa. ri nel rilievo che nell’incavo; ed io possiedo una pietra egiziana, rappresentante uno sca rafaggio , che offre questo doppio lavoro. (c - Dopo un momento di silenzio, il medico ri prese in tuono grave: » Giovine straniero! Nota bene una particolarità, ch’io non devo ta cere, nemmeno a quelli che sono meno pre- . venuti contro l’Egitto: le nostre pietre incise non servono che assai di rado di sigilli 0 marche; noi non troviamo necessario (l’aggiun gere all’ autenticità della scrittura altri segni: questa prova di prova manifesta troppa difii denza, ed è indegna d’un popolo leale. u » Se tu viaggerai fino a Tebe, vi troverai dei chimici (1), che possiedono de’segreti (I) Ricerche sugli Egiziani di Pur. zoo . per imitare le pietre fine, e per trasfor mare le selci in ismeraldi; ma fanno dell’ar-‘ te loro un mistero. Noi siamo eccellenti nella fabbricazione del vetro, qualunque sia pur la pretesa degli artefici di Sidone e di Tiro: ma di ciò non siamo intieramente debitori alla nostra industria, perché il nostro paese è il solo che produca la sostanza conveniente ed indispensabile per riuscire a questa bella composizione: parlare io voglio della cenere di certa pianta che cresce nel solo Egitto. Ti si faranno vedere dei nappi di vetro, la cui purezza gareggia con quella del cristal lo; degli altri dipinti in modo, che cangiano di colore, secondo il punto di vista. Noi ce selliamo il vetro, lo lavoriamo al torno, lo sappiamo dorare. Col tempo saremo. superati, senza dubbio: ma finora abbiamo sempre su perato tutti i nostri contemporanei. (c n Nessu'no', prima di noi, ha saputo imagi nare quegli specchi portatili di metallo, di cui tu ammirerai un nuovo saggio in grande , sulla cima del tempio d’Eliopoli, ov’ esso riflette i raggi dell’ astro maggiore. « » Fin dal secolo di Sesostri, noi sapevamo fondere dei colossi di vetro colorato in isme raldo, come vedrai nel labirinto. Noi po 201 tremmo far a meno di quella ricca miniera di smeraldi, che 1’ Etiopia ci disputò già per tanto tempo; né abbiamo cosa. alcuna da in vidiare alla Persia, se siamo pervenuti a con tratl‘are i suoi vasi più belli, coll’ alabastro falso della nostra Tebaide. « n Straniero! Bisogna; prevenirti eziandio, che le porcellane di Naucrazia, opera greca, de vono la loro prima origine alle n0stre maio liche della Tebaide, ed ainostri. smalti tur chini. u n Tutti questi piccoli monumenti dell'in dustria non sono tuttavia il risultato dei nostri princiipii, ma sono il frutto dell’osservazio ne e della esperienza. Che se abbiamo già fatto tanto colla sola. nozione della differenza dei sali, quanto non dobbiamo prometterci in seguito ? Dipingere il vetro e la tela, sono certi saggi, che guarenti'scono. delle sc0perte più felici ancora._ Noi abbiamo trovato il se-, crete di rendere duttile l’avorio._ « 202 CAPITOLO XLVIIÌ. Sulle Donne. ' )ueste curiose particolarità non aven domi soddisfatto abbastanza, io volli vedere, co’ propri miei occhi, quanto mi era stato ac cennato; e mi proposi soprattutto di ricercare -‘la vera causa dei pochi progressi di certe arti. Questo fenomeno politico doveva avere un motivo determinato: mi dedicai dunque alle mie peculiari osservazioni, aspettando il mo mento favorevole di comparire alla presenza di Amasi. M’imaginava già, che le donne do. vessero avere in ciò molta influenza: manca no i grandi artefici, mancano le belle statue, là dove mancano belle donne. Occorrono mo delli perfetti, per eseguire il simulacro maesto so d’un Osiride, d’un’lside; e prudenti fu rono gli Egiziani nel rappresentarei loro dei ed i loro eroi de’ due sessi inviluppati in un guscio di mummia, non avendo delle belle proporzioni da copiare. Le arti imitatrici hanno bisogno , per per fezionarsi, 11’ essere innanzi alla bella natura, 203 e circondate sempre di oggetti, che eccitino la matita ed il bulino. Qual entusiasmo può sentire uno statuario in Egitto? Tutte le don ne ivi sono mal conformate, ed i lineamenti del loro volto compensati non vengono dalla freschezza della carnagione, di cui son prive. La vivacità dello sguardo, che copre tanti di‘ letti nella fisonomia d’una donna bianca, di. venta una mancanza di più in quella d’una egiziana, e prende un carattere equivoco, che può tutto al più appagare la sensualità. Quanto più una cittadina di Menfi si è carica di or. namenti, tanto meno è sopportabile: la ricchez 2a degli abiti non potrebbe supplire alla man canza delle grazie. Io non incontrai una sola menliana, dotata di bellezza, 0 di quei mi nuti veni, che tengono luogo d’un bell’in sieme: bocca larga e labbra grosse, occhi pic coli e fronte bassa; nè dipingendo con sottili pennelli le sopracciglia, arrivan certo a cor reggere la natura verso di esse matrigna. Po trebbero forse far rilevare il vantaggio del la statura alta e ben complessa del corpo: ma anche questo vantaggio è loro tolto da una grassezza fittizia, che ributta. Che che ne sia, se gli Egiziani hanno ricevuto dal cielo il dono della saggezza, lo pagano ben caro dividendolo zol,’ con simili compagne: quantunque essi. pure non sieno i begli uomini; se ne trovano e molti nani, e molti. miopi. Non sono quindi. sorpreso: del poco ascen dente che han le egiziane sugli affari politici. Esse non vengono riguardato che come stru ‘ menti. di popolazione, ed in ciò soddisfanno perfettamente all’intenzione dei loro mariti; ché non. è raro vederle sgravarsi di sette fi gli da una sola gravidanza. Credesi, che le acque del Nilo. comunicbino loro. siffatta vir tù (1). Ma se le donne dei ceti medii non sono provveduto di avvenenza , possiedono, in quel la vece ,, molte altre pregevoli qualità. Intelli genti, laboriose, sembrano nate pel commer cio. Sono esse ,_ che nei publici mercati ven dono, cangiano le tele e le stoffe per derra te e frutti; i loro mariti lavorano; in casa. Le egiziane delle due altre caste, delle due estremità. cioè del corpo sociale ,. sono men numerose, forse per la men regolare condotta loro. Si abbaml'onanov senza: ritegno a ciò che chiamano. la.lor destinazione; e di fatto quelle del grado più. basso hanno i più vili. e più (i) Aristot. Hista anim.. IIIîv 205 corrotti costumi: e sono elleno che fan gli onori del plmllus nella festa di Serapide, od Osiride. Le altre, appartenenti ai cittadini ric vchi e potenti, mettono un poco di dignità e di mistero nelle loro dissolutezze. Se tutte quelle donne fossero meno brut-‘ te, sarebbero anche più pudiche , e, volendolo, anche più considerate, benché schiave degli uomini, per lo fatto e per la legge. La costi tuzione dello Stato interdice loro il trono e l’ altare: non possono essere nè sacerdotesse nè regine; tutto al più, reggenti. Non è loro permesso nemmeno d’entrare nei due tempii di Giove Ammonta, sia in Libia, sia nella Tebaide; ed il favore di contemplare il toro Api è loro accordato soltanto, quand’esso vie ne condotto nel santuario di Menfi. Le crisi politiche obbligarono tuttavia a far qualche eccezione. Nell’atto civile della loro unione, imariti devoti si piegano alla clausola d’essere som messi alle loro mogli (2). Ma questa Clau sola, anziché un atto di rigore, è una formula religiosa, in onore della dea Iside. Per una bizzarria , che non sorprende (2) una. Sic. Bibl. 1. cap- a7. pas- 5' 206 chi conosce il cuore umano , le egiziane, senza Inspirare nè amore nè stima, eccitano la ge10sia. I ricchi abitanti di Menfi, e pro babilmente delle altre grandi città, per tene re le donne sedentàrie, ed impedirle di pro dursi in publico, non danno loro da calzar si, nel tempo stesso che fecero passare in uso di riguardare per un disonore il comparire fiori di casa a piedi nudi. Una donna incor rerebbe del tutto nella disgrazia di suo ma rito, se si lasciasse sorprendere fornita di sandali, provveduti senza il di lui assenso: ma il caso è raro. Un opulento capo di casa mantiene degli eunuchi per sorvegliare le sue compagne: ché egli ne può possedere parec chie contemporaneamente. Forsechè il menfia. no pretende rifarsi della qualità colla quanti tà? Calcolo immorale, non meno che falso! Da queste osservazioni risulta, che il po. polo del Nilo, già tanto poco amabile per sè stesso, attristato anche dal severo suo culto, non può trovare nella propria casa le delizie dell’amor conjugale. I soli bisogni, figli d’un clima esigente, legano in Egitto i due sessi. Gli amori colà rassomigliano agli orsi dell’E îi0pia; ed io, per conservare la mia libertà , 00" ebbi d’uopo di richiamarmi ‘l’imagine / 2o7 d’Arifile, nè i consigli di suo padre, nè quelli del saggio Ermodamante. Il carattere tetro e malinconico degli ziani sta in analogia perfetta col colore della loro pelle, del loro fiume e del loro suolo. L’ uomo è modificato da tutti gli oggetti che lo circondano e lo toccano. Alcuni etimo logisti pretendono che la parola Egitto Si? gnìfichi il paese nero. 208 CAPITOLO XLIX. Pitagora alla 'C0rte di Amasi. Arrivò finalmente la permissione di pre sentarmi al re,» il quale era già di ritorno. Fui introdotto nel suo palazzo: in fondo ad un vasto cortile, s’ erge un grande edifizio ad un piano solo (i ), e senza colonne. Alcuni pilastri ne decorano l’ esterno, e sostengono il cornicione. Per acroten'i (z), osservai delle teste umane, la cui bocca era chiusa con un dito posto sulle labbra: geroglifico del miste ro e del silenzio, che si deve osservare alle Corti. Il tetto forma una terrazza, che pren de tutta l’ estensione del fabbricato. Poste riormente, vi è un altro cortile, suddiviso in altri più piccoli. Le mura, che cingono da destra a manca il primo di quei cortili, han no ciò di distinto, che, dall'arohitrave del pa lazzo fino al frontone della porta d’ingresso , vanno a scarpa. Ai due lati, si veggono due (i) Musaich di Paleslrina. (a) Oruameuti posti sul colmo delle case, in Egitto del pari che in Grecia ed a Roma. Vrlrufl. II. a. 209 grandi figure egiziane di basalto, in piedi, con le gambe ed i piedi uniti sopra un picco lissimo zoccolo. La testa di quelle statue è ornata di loto. Quasi tutta la costruzione è di mattoni. Un po’ più lontano, vi è l’oratorio del re (i): edifizio quadrato bislungo, colla facciata ri volta al Nilo, come sono in quel paese tutti i luoghi sacri. Questo non ha terrazza; la cornice è merlata a punte, o fogliami acu minati. La porta di quel santuario reale è guar data da una sfinge e da una statua di Anu bi,‘ dorata, e per metà coperta d’un velo di porpora: e tutto intorno al fabbricato, ch’è isolato, gira un ordine di palme (a). ' Per quanto mi fu permesso, io potei sco prire, che il santuario è 00perto con veli tes suti d’oro (3). Passai ne’ giardini del principe, attendendo la sua presenza. Vi osservai il lauro d’Egitto a foglie larghe, sorpassante del doppio il lau ro d’Italia. (1) Vitruv. IV. 6. (a) V. Antichità d’Ercolano, volume delle pitture, in foglio. / (3) Cloni. Aless. Pudag. III. a. Tomo Il. 14. 210 La corte d’Amasi è in'eontrasto perfetto col carattere nazionale. Io mi credetti ancora nel palazzo di Policrate a Sarno, od in quel lo di Periandro a Corinto. Già da gran tempo, Amasi aveva adottato tutte le abitudini gre che, prendendo per moglie una cirenea; ave va al suo soldo una guardia piuttosto nume rosa, tutta composta di greci; le sue concu bine erano state scelte fra le famiglie straniere stabilite a Naucrazia , senza contare varie bel lezze di Cipro, che gli erano state spedite in tributo da quell’isola, diventata sua conqui sta: la favorita peraltro era una persiana. Suo figlio e sua figlia non si credevano egiziani. Nondimeno, per imporre alla nazione, ri chiamando qualche tratto dell’antica austerità egiziana, Amasi prende cura nel suo palazzo d’un certo numero di giovani soggetti ad un regime particolare. Non ottengono essi il loro quotidiano alimento, se non hanno fatto pri ma una corsa di cent’ottanta stadi (1). Io credeva di ottenere udienza da Amasi, il giorno stesso del mio ingresso nel suo palazzo: ma quello era il giorno terzo della settimana; ed i re d’Egitto non si occupano, (I) Erodoto III. 211 in tal giorno, di nessun affare (l), e non . possono nemmeno prendere verun cibo prima di sera; perché Tifone nacque ed Osiride morì, nel terzo giorno della settimana. Mi con venne dunque aspettare fino al giorno se guente. Nel momento in cui venni introdotto di nanzi al Re, egli assisteva alla partenza d’una statua dorata, ch’e’mandava in dono al tem pio di Minerva lindiana nell’isola di Rodi. Io gli presentai la lettera di Policrate, cui lesse sorridendo, poi mi parlò così con mol to garbo: » Pitagora, sii il ben venuto alla mia Corte. « Quindi rivolto a varii personag gi che lo circondavano, aggiunse: u Congra tulatevi meco, amici miei: nel separarmi dal la saggezza, che parte per la città di Lindo, quella di Samo m’ invia un giovine saggio. Io non perdo dunque niente in questo giorno, anzi acquisto più che non dono. n Mi porse quindi la mano, indicandomi di seguirlo; io lo accompagnai in un interno gabinetto, ove mi accordò alcuni momenti di colloquio. AMASI. Che cosa cerchi tu nel mio palaz. zo? Da me che cosa desideri? (i) Plutarco, Isid. et 0sirid. 2I 2 Prmcons. Io non vengo altrimenti, come Alcmeone alla Corte di Creso (i) , per riem piere d’ oro le mie vesti ed i miei calzari. AMAs1. Tu ti consacri per tempo ad un genere di vita, che pochi hanno premura d’ abbracciare. Mi dispiace d’ avere_ scritto troppo presto al re di Sarno, perché avrei potuto prima consultar te. L’argomento della mia lettera non è diplomatico: io do in essa al tuo sovrano un consiglio. Voglio fartene giudice. u i) E dentro e fuori del suo regno, tutto gli riuscì fino ad oggi, senza un solo acci dente sinistro. La buona fortuna ha per lui una costanza inaudita. Policrate è troppo, e troppo lungamente felice; deve quindi neces sariamente succedergli qualche disgrazia, nel la quale saranno compresi isuoi buoni amici ed i suoi alleati. Io lo invito a prevenire la sfortuna, risolvendosi volontariamente al sa crifizio di qualche oggetto caro e prezioso (a). L’ esempio di una continuata felicità è trop po raro, e mi spaventa. Che dici tu del mio espediente? Io lo credo nuovo. (1) 011. Pindar. (a) Erodoto III. Moutaigne, Saggi. II. la. 113 PITAGORA. Sire! Io ne conosco uno, che lo è meno, ma che mi sembra più certo; ed è di non permettersi altro che il giusto. La fatalità non soffre che altri faccia la par te sua; tutto è in sua mano, il bene ed il male; e nessuno può determinarla ad aprire la destra piuttosto che la sinistra. AMASI. Pitagora! I sacerdoti, presso i qua li il re di Sarno domanda la mia assistenza in tuo favore, nulla t’ insegneranno di meglio. Il mio gran sigillo reale, apposto sulla lette ra di Policrate, t’ aprirà tutti i santuari. Pre' séntati prima a quello d’Eliopoli. « 214 CAPITOLO L. Viaggio ad Eliopoli. Uscito tosto dal palazzo e da Menfi, io attraversai il Nilo, e lasciandolo alla mia man ca, senza fermarmi in Babilonia, m’incammi« nai dritto alla città del Sole. Questo nome solo mi dava le ali, richiamandomi alla mente tutte le cose sublimi, che nutriva speranza d’ imparare colà. Dopo tre ore di cammino, mi trovai sul territorio del dipartimento, che ha Eliopoli per capitale, e che comprende altre tre città, delle quali si parlerebbe di più, se ecclissate non fossero dalla prima: queste sono Babilonia, Elio, ed Eroopoli. Non lontano dalla mia strada, si trovava una miniera d’ ore (I), scavata con gran di spendio, sotto parecchi regni. Il ricco metallo, che se ne trae, vien bagnato di molti sudori , e qualche volta di sangue. La durezza e la tinta nera del suolo indicano {già ciò ch’es so rinchiude. Vi s’incontra l’oro fra varii stra (t) una. sa. III. 215 ti di marmo d’ una bianchezza abbagliante, i quali fa d’uopo spezzare con leve di rame. La miniera è scavata dalla mano di soli con dannati (1); ed i tormenti, ch’ essi soppor tano in quel genere di travaglio, fa loro desi . derare sovente l’ultimo supplizio, di cui fu rono graziati. I condannati alle miniere sono colà mandati con tutte le loro famiglie, pa dre, madre, figli; e quando il numero non risponde all’ urgenza delle occupazioni, Vengono aggiunti ad essi dei prigionieri ne ‘mici. lo vidi quegli sciagurati, con una forte catena al piede, e sorvegliati da soldati gre-' ci, aflinchè la diversità del linguaggio rompa ogni comunicazione fra la pena e la pietà. Hanno essi alla testa, come soprastante, un uo mo armato di picca, di cui si serve onde sti molarli al lavoro. I più robusti fendono,‘a forza di braccia, la terra, indurata per l’azio ne del sole, ed aprono il senticre ad altri operai, che si fan chiaro per quelle sinuoso vie della vena con lampade collocate sulla fronte. I figli loro si aprono un passaggio nei macigni, mezzo aperti da zappe di bron zo, e di là estraggono dei pezzi di materia, (1) Agatarchide, De rubro mari. 216 che vanno a portare ad altri operai più adul ti, per essere ridotti, sotto dc’ gravi pestelli di ferro, entro a certi mortai, in granelli della grossezza del miglio. Le mogli dei con dannati ed i vecchi spargono questa specie _di sabbia sotto varie file di macine, che la tritano, finché sia diventata una cenere mi nuta quanto la farina, di cui si dà loro gior. nalmente una certa misura, sotto la condizio ne di riempirla con una dose eguale del pro dotto del loro lavoro. Non è dispensato da questo tributo nessuno di quegl’ infelici , i qua li sono quasi nudi; non si fa grazia nemmeno agl’ infermi ,| ed uno di essi cadde a me di nanzi, e morì di lassezza, con ’lo strumento in mano. / Per riguardo poi a quella polvere, ecco in qual modo si procede. Distesa sopra lun ghe tavole di legno, vi si versa sopra molta acqua, che porta via tutta la parte grosso lana, e vi resta il solo oro, in grazia del suo peso. Questo viene manipolato e lavato an cora, poi rasciugato_ con delle spugne fine. Se ne separa ogni materia eterogenea, indi ai pesa quella polvere, alla quale si dà tanto prezzo, prima di deporla in vasi di terra, per ivi essere meschiata con sale, farina di 2I7 orzo, stagno, e piombo. Questa mistura, as soggettata alle leggi del calcolo, è riversata in altri vasi ermeticamente chiusi con del luto, e disposti in modo , da poter sostenere , per cinque giorni ed altrettante notti, l’efficacia d'un fornello continuamente acceso. Termi nata quest’ultima operazione, si lascia rall freddare quei vasi, poi si aprono; ciò che resta in fondo, è oro purificato, e degno al fine di tutti gli usi, ai quali lo si destina. Io mi compiaccio al pensare, che vi sareb be un numero minore tanto di ricchi quan to di poveri, se tutte queste tristi partico larità fossero più conosciute. Riprendendo il mio cammino, non fui già tentato di visitare il castello, che domina Babi lonia, ‘e trae l’ acqua dal Nilo, con l’ajuto di varie trombe, di cui cencinquanta schiavi girano giornalmente le ruote. Mi ripugna troppo vedere gli uomini diventati cavalli da tiro. Quella colonia tiene il mezzo fra Menfi e la città del Sole. L’ingresso del territorio di questa (i) si distingue per una fontana fresca, le cui acque sorpassano in leggerezza quelle del (I) Strab. XVII. Geogr. Pliu. His‘t. nal. V. 9 218 Nilo. Quella fentana è molto profonda, e si Crede derivata da un lago' naturale non molto di là distante; ha d’intorno stabilito un bor go, come per esserne il guardiano. Nei giar dini da essa annafiiati , cresce una pianta resi nosa , dalla quale per incisione si cava un bal samo, che ha molte virtù. Anche il sicomoro 'Vi alligna in gran copia. Secento passi più avanti, mi si presenta rono due -obelischi quadrilateri di marmo granitibo, eretti ciascuno sopra un piedestallo, in mezzo ad un lago di poca estensione. I loro lati sono ineguali, due più larghi del terzo e del quarto, e coperti dei medesimi caratteri scolpiti con molta chiarezza. Questi obelischi, del numero di quelli, che servono a fare anticipatamente conoscere l’altezza appros simativa del traboccamento del Nilo, sono co perti di un capitello di bronzo, d’onde, per un secreto meccanismo, colano altrettante goc ce d’acqua, quanti gradi avrà l’inondazione. Almeno il p0polo , avido di sapere le co se, prima che succedano, presta fede alla predizione degli obelischi: che se l’avveni mento -non vi corrisponde, non si accusano già essi, 0 le scaltre mani, che nascostamen te li mettono in azione; ma la moltitudine 219 confidente preferisce d’ incolpare sé stessa, e dice d’avere mal contato le gocce d’acqua; il governo intanto ha supplito al suo ogget to, di moderare l’impazien2a del popolo e le sue inquietudini, se il Nilo mostra di sof frire_ qualche ritardo. Un parallelogramo, or nato di molte statue, serve di recinto a que gli obelischi. A pochissima distanza, verso settentrione, incontrai la figura colossale d’una sfinge, tut ta d’un pezzo solo di pietra, e tutta coperta di geroglifici. Essa è così collocata, per annun ziare il tempio e la città del sole, eretta sopra una estesissima diga, con un canale, che rigetta il suo superfluo in due laghi vi cini (1). Questo rialzato di terra trasportata risale a mille cinquecento anni: e misurando quel la spianata di forma'quadrilunga, contai cin quecento passi da oriente ad occidente, e mille da settentrione a mezzogiorno (2). Essa è cinta da una grossa muraglia fabbricata con grandi mattoni di terra, battuti e seccati al sole, secondo l’ uso egiziano. Ne decom '(1) Strab. XVII. B. Pdrkolua. (a) Erodot. II. 220 posi un frammento, e non vi trovai che del l’argilla molto nera impastata con della stoppia tritata. Da questa terrazza al mare, la distanza è di quindici stadi. (I). La vista d’Eliopoli, e de’ suoi vari ingres si, detti ,, con nome generico, le porte del Sole (2) , sostiene il grande suo nome. Io non vedevav che obelischi e colonne, in tutta la ‘severità, e potrei dire, in tutta la rozzezza dello stile egiziano. L’architettura dei figli del Nilo non ha per iscopo di piacere un mo mento all’occhio superficiale; ma lavora per lasciare delle vestigia imponenti, che non si cancelleranno giammai. Questo gran carattere è soprattutto 'sensibile nel complesso delle dodici magnifiche colon ne (3) , che precedono ed annunziano degna mente il tempio del sole. Cariche sono esse di dotti geroglifici, che contengono le leggi osservate dal sole nell’ annuo suo passaggio per i dodici punti dello zodiaco. Questi ca (1) Diod. Sic. I. (il) Oggi ma-tare'e esprelsione, che significa acqua frea‘ca, e, secondo altri (ciò che pare più probabile) balbeemes‘, vale a dire ma: del Sole. (5) Edip. n. 2. di Kirker. 22 l ratteri indicano altresì le influenze periodiche degli astri, gli uni sugli altri, come pure degli elementi. Il tempio d’Eliopoli è forse il solo in E gitto, alle porte del quale non abbia veduto l’imagine d’Arpocrate, che chiude la sua bocca con una mano, e mostra, coll’ indice dell’al tra (I), la legge che vieta, sotto pena del la vita, di dire che gli dei sono stati uomi ni. Il culto del sole non ha bisogno di dare questo avvertimento. Il tempio d’Eliopoli, come quasi tutti gli altri cdifizi dell’Egitto, non ha tetto (z) , e non ne ha bisogno, in grazia del clima, per ché l’aria ivi è costantemente secca. (1) Varroue, citato da Santo Agostino. Civ. Dei, XVIII. b. (2) Leroi, Rovine! della Gred'àa ,- in [01. Tom. I. 222 CAPITOLO LI. Pitagora nel tempio d’Eliopoli. Avendo domandato di parlare al primo pontefice , mi fu detto di aspettare, per lasciar mi, senza dubbio, tutto il comodo di ben riflettere alla santità del luogo. La mia viva impazienza si conciliava male con questa len tezza: perché insistetti, aggiungendo, che mi presentava da parte del re Amasi stesso; ma ciò non contribuì a ricevermi con maggior premura. Quest’ultima circostanza mi confer mò nell’ alta Opinione relativa al carattere dei sacerdoti d’Eliopoli. Fui ammesso finalmente alla presenza del loro capo, il quale mi accolse in piedi, cir condato da molti sacri ministri di varie clas si , riuniti sotto uno dei vestiboli del tempio, colle mani nascoste sotto il loro manto (1). Senza farmilecito d’essere il primo a par lare, consegnai la lettera di Policrate col si‘ gillo di Amasi. Questa era così concepita: (I) Chfierem. ap. Porph. -4650Ìfl- lv 223 Policr‘ate, re di Sarno, al' re Amasi (r) n Mio illustre amico e fedele alleato! Ac coglierai con bontà il giovine Pitagora, che desidera molto d’essere iniziato alla sapienza degli Egiziani. a Mi fu risposto: n Giovine Pitagora! Il re avrebbe potuto risparmiarti il viaggio d’Elio poli. I sacerdoti del collegio di Menfi sonoî nostri anziani (2): ad essi devi dunque rivol gerti per l’iniziamento. Largiti nondimeno ti saranno tutti gli altri soccorsi, che dipende ranno da noi. u-Il primo pontefice aggiunse: » Negli archivi publici d’Eliopoli (S), è aperto un gran libro, che contiene le inven zioni dowte al collegio dei sacerdoti, ed utili a tutte le classi dei cittadini: tu puoi consul tare quel volume. « - Fui lasciato con un ministro del terzo ordi ne , il quale fu sollecito di farmi gli onori del luogo.- n Eliopoli, mi disse Enofèo (4), o (I) I Greci si nominavano sempre i primi nelle lettere che scrivevano. Fr. Vavas‘seur‘. _ (a) P_ythagorarn circum egerunt Heliopolitae ad Memphìlas. Porfir. Schefl‘er. XIV. (3) Pockoke. (4) Plutarco. De Is. e: Os. 224 la fontana del Sole, 0 ben anche la città di Mnevi, situata, come hai già potuto osservarlo, all’ altezza di Menfi, tra 1’ estremità setten trionale del mare Eritrèo ed il Nilo, ma più vicino al fiume, fu per lungo tempo la ca pitale di tutto l’Egitto inferiore, e la resi denza ordinaria de’ suoi re. Quelli che si chia-g mano Pastori , mostrarono di rispettarla , e non le imposero quel giogo di quattro ses coli, che portò il resto dell’impero, sotto una dominazione straniera. Prrncom. Parlami dei fondatori d’Elio poli. Enorrso. Se tu vai a Rodi (l), quegli abi tanti ti diranno: - »La nostra isola è il primo suolo, che fu liberato dalle grandi acque, e rasciugato dai raggi del grand’ astro; dal fan go, che copriva la nostra patria, nacquero sette uomini,i quali non riconoscevano per loro pa dre che il sole. Uno di questi figli anziani della terra passò in Egitto, per fondarvi Eliopoli.u » Quante imposture ed assurdità per essere ingratil E perché arrossire della riconoscen za, d’un sentimento si naturale? I Greci, "che che ' ne dicano, devono tutto all’Egitto; e (i) Diod. Sic. Bibl. 125 non possono impedire alla nostra Eliopoli d’essere la Metropoli del Sole (i). « D La santa nostra città è tutta piena di mo numenti consacrati a quella sola divinità. Que st’ Obelisco , che tu vedi, è dovuto ad uno dei figli di Ses0stri, il quale lo fece alzare, per obbedire ad un oracolo, che gli parlò in so gno. Esso è il faticoso ed assiduo lavoro di ventimila uomini, pel corso di venti anni. Quel principe cieco , avendo cessato d’esserlo , pagò questo tributo al dio della luce. « n Quest’altra guglia appartiene al padre del Sole. - Tu sembri sorpreso? -- Sì! a Vulca no , dio del fuoco. Così porta la scrittura ge roglifica. Vulcano passa in Egitto per lo padre di tutti gli dei. PITAGORA. Il Sole figlio di Vulcano! Capi sco ( 2) . . . ENOFEO. Tu stenteresti ad indovinare sotto quai termini, nei nostri libri sacri, noi de notiamo questi obelischi. Noi li chiamiamo le dita del sole.- dito è sinonimo di raggio. E non sembra forse, che il sole palpi co’ suoi raggi la terra? (I) Talora. IV. 6. (a) Manetone, citato da Syucelle. Tomo II. 15 226 Prmeom. Mi piace questo stile tutto ima‘ gini. Ma, mi permetti tu riflessioni? Euomo. Quanto vuoi. Parla. PITAGORA. Ventimila uomini, pel corso di venti anni, unicamente occupati d’un Obeli sco! Il principe, che esige dal suo popolo un simile lavoro, rassomiglia a me, si trova cioè lontano dall’ essere iniziato alla sapienza degli Egiziani ( 1). Enorao. Giovine straniero! Avresti forse desiderato piuttosto, che quei ventimila uo mini si trucidassero , per oziosità? . . . Un successore del figlio di Sesostri alzò quei quattro obelischi di quarantotto cubiti; que sto ne ha soli quaranta, e fu terminato al tempo della presa di Troia. Eccone un altro di novanta cubiti d’altezza, sopra quattro di fronte, alla sua base. I caratteri geroglifici , che vi sono impressi, danno il nome del prin cipe, la data e l’occasione del monumento. Questo e parecchi altri hanno, alla loro estre mità, un globo , per rendere l’ ombra più sen sibile, raccogliendol-a in sé stessa (a) . .. Ma (i) Regunl pecunirz oli06‘a et stalla ostentalio. Plin. XXXVI. B. e la. IIÌA'L nat. ‘ (a) Pliu. XXXVI. io. Star. dclblcc. delle Iscriz. Toni. Il. pag. 274. in la.' 227 qual idea ti occupa in questo momento, gio vine straniero? PITAGORA. Perdona ai sogni della mia fan tasia. È una bella e grande impresa, senza dubbio, quella d’aver tolto dal seno della ter ra questi massi di marmo e di granito, e di averli strascinati fin qui in un pezzo solo, per alzarli sulla loro base, onde servano di testimoni alla storia. Ma io penso ad un al tro genere di gloria, che potrà forse cadere un giorno in pensiero ad un altro principe. Nella successione dei secoli, dopo diverse ri voluzioni politiche, che non si possono pre. vedere, io suppongo, che un conquistatore porti fino in questi luoghi le sue armi, e che gli venga il capriccio d’imbarcare sopra i suoi vascelli questi stessi obelischi, come si trasportano. gli ordinari trofei, per ador» narne le piazze publiche della capitale (1), ne’ lontani suoi Stati. Euonso (sorridendo). Ci resteranno per lo meno le piramidi. PITAGORA. Da dove fu estratta la più alta di questo guglie? Enoruo. Questa, di centoventi cubiti, e (1) Amm. Marca“. XVII. 4. 228 d’un pezzo solo, li1 tratta dalle cave di Sie ne, ai confini dell’Egitto superiore. PITAGORA. Qual viaggio, se trasportate ve nissero, un giorno, dalle sponde del Nilo a quelle del Tevere in Italia! Enoreo. Giacché mostri piacere per le co se singolari, eccotene una, che forse non pervenne a tua cognizione. Io ti parlai d’un re cieco, senza dirti in qual occasione lo sia divenuto. L’inondazione essendo in quell'anno eccessiva, il principe sdegnato lanciò una chia verina contro le acque del Nilo, come per gastigarlo dei mali da lui cagionati colla sua soprabbondanza: quest’azione sacrilega fu to sto punita con una cecità, che durò dieci anni. u Il sacerdote del sole mi condusse quindi al suo tempio, annunziato da una vasta piaz za, e da quattro obclischi, ciascuno dell’al tezza di quarantotto cubiti. Sembra che il genio dell’architetto abbia voluto mettersi a livello del suo soggetto. Il piano n’è tracciato con maestà ed ardimen IO; e questo eroico edifizio ha nel suo com plesso qualche cosa di divino. Vi si arriva fra due file di colonne, che per solo orna mento hanno il loro modulo in grandi por 229 porzioni, ed alternate da statue colossali e da sfingi. Si passa sotto un vestibolo, dove sta sospesa alla volta una lampada, che porta altrettanti lucignoli, quanti ha giorni 1’ anno. Si entra finalmente nel porti co stesso del tempio, ch’è come ristretto fra due ale di fabbriche circolari. Il san tuario è un’ immensa rotonda senza cupo la; Orfeo fece adottare quest’ uso ai Traci nel loro culto al sole (i). Finché dura il gior no, si è alla presenza della divinità stessa del luogo; ché, una fredda statua non po tendo rafligurarnc l’imagine, il sole stesso riempie il proprio tempio di tutto il suo splen dore. I raggi di esso, moltiplicati da focolari di bronzo (a), coprono l’altare con torrenti della lor luce, fra i nembi d’incenso, che conti nuamente si brucia. Uno specchio, più gran de di tutti gli altri e di forma rotonda, occupa il fondo del santuario , ed ivi sta collocato per indicare l’occhio del mondo, ossia il sole. Persone di corta vista biasimano la nudità di questo tempio, e la sua grossolana sem plicità: lo chiamano un ammasso, senz’arte, di (1) Pag. 168 delle note sull’Asìno d’oro d'Apu lejo, tradotto da Mondyard. (a) Kirker. (Edip. egypl. Tom. 1. 430 pietre quasi greggie, che impone soltanto pef la sua mole. -- Ma sopra i miei sensi quest’edid tizio ha prodotto una ben diVersa impressione. Coloro che ne disegnarono il piano, avevano il sentimento della grandezza al più alto gra do, e non mancarono al loro scopo, se eb« bero intenzione d’inspirare al mortale, che vi si presenta, un’ammirazione religiosa. Chi si trovasse collocato, sul mezzogiorno, all’in grosso di questo santuario, lo prenderebbe per un gran vaso, ove il sole ama tuffarsi un istante, per uscirne poi più raggioso; lo riguarderebbe come un piedestallo, di cui l’astro delle stagioni è la statua. lo compian go colui che potesse restarvi un momento, senza sentirsi capace di sublimi slanci: nè ci voleva meno d’un siffatto spettacolo, d’un culto siffatto, per una nazione ridotta alla'flem ma dell’ istinto. Vero è, che più grande e più felice ancora sarebbe quel popolo, che potes se farne a meno: ma dove si trovano dei sag gi in numero sufficiente per comporre un tal popolo? 231 CAPITOLO LII. Calendario egiziàno. La dimora assegnatami nel collegio dei sacerdoti del Sole, mi teneva vicino a co lui, che servivami di conduttore: sicché, alla sera, io andai a partecipargli le mie sensazio \ ni.-- 1) Se il sole, mi diss’egli, merita l’omag gio dei mortali, lo merita soprattutto da coloro, i di cui studi principali hanno per iscopo l’astronomia. Se noi non siamo veramente gl’ inventori del calendario, collochiamo per lo meno la nostra gloria nell’ esserne i conser vatori, e nel mantenerne l’ uso in tutta la sua purezza. Il contemplare stupidamente estatici l’astro del giorno, non basta: l’uomo non è nato soltanto per ammirare e credere, ma anche per conoscere, e far uso delle sue cogmzwm. « n É verosimile, che il sole non sia stato il primo oggetto delle adorazioni considerate dei popoli. Lo splendore di quella fiaccola fece sulle prime abbassare gli occhi al più intrepido dei primissimi osservatori. La blanda luce _ 232 dell’ astro delle notti fu più accessibile alle nostre ricerche. Gli antichi astronomi fra i Bramini dell’India divisero lo zodiaco ven tisette costellazioni, o luoghi della luna, pri ma di dividerlo in dodici segni, o case del sole. La luna, che percorre il cerchio degli astri (1) tredici volte durante un solo viaggio del sole (2), offre maggiore facilità a ricono scere i movimenti celesti. La regolarità delle fasi della luna, ciascuna di sette giorni, in vitò i nostri antenati a dividere il tempo in anni lunari (3), e ciascuna lunazione in quat tro eguali parti di sette giorni. Vi si trovò anche un altro vantaggio, quello d’applicarc a ciascun giorno della settimana il nome d’un pianeta, con quell’armonico concerto , che eseguiscono i corpi celesti tra sé, mediante il divino alternare dei loro movimenti diurni, essendo il diatesaron (la quarta) la sorgen te ed il principio d’ogni buona armonia, la più nobile di tutte le consonanze. u » Diventate più intraprendente coll’acquista re maggiore sperienza , l’occhio mortale osò fis (l) Sinonimo di zodiaco. (a) Legentil, Mem. sull’India, 1775. (5) ma... Star. w. vu. 40. 233 sare il sole stesso, e chiedergli conto delle sue corse annue e giornaliere. Si cominciò a distinguere l’anno naturale, da noi detto an che solare o tropico; vale adire la durazione esatta del tempo, che impiega l’astro delle stagioni a percorrere l’ecclittica: durazione che non è sempre la stessa, a motivo dell’inegua glianza dei movimenti del sole. Questa inegua. glianza viene osservata dai sacrificatori del tem pio di Giove Ammone, col mezzo della quantità d’olio, ch’essi bruciano, senza interruzione, di giorno e di notte, innanzi alla statua del dio. Misurando colla più scrupolosa esattezza quan te si consuma in ciascun anno, trovano essi la differenza da un anno all’altro; ed Assise , re di Tebe , verificò questa meccanica esservazione (i). « n Nei primi tempi, l’Egitto non riconobbe che un anno solare di trecento sessanta gior ni, distribuito in dodici mesi, ciascuno di trenta giorni (21).. Thaut ne aggiunse altri cinque, senza valutare le sei. ore, che compio no quest‘ anno solare ,. e che, dando un gior-‘ (1) Vedi Sani. Shuekford-, autore d’una Storia ingle‘ se del mondo. (2) Storia del calendario, Aead. dee Inscript. 234 no in quattro anni, fecero si, che Thot, ossia il primo mese, non ebbe una sede fissa. Esso anticipava d’un giorno ad ogni quattro anni, d’un mese ad ogni centoventi: gli con veniva dunque percorrere tutto un periodo di mille quattrocento sessanta anni, per ritro varsi al punto della partenza. 4: n Laonde l’ anno; prima d’un solo mese lu nare di ventotto giorni, o di quattro setti mane di sette, sotto il re Menete, che gli diede il suo nome (1); poi di tre mesi, ricono scendo quattro stagioni; poi di quattro mesi, non contando che tre stagioni (z), primave ra, estate ed inverno, di centoventi giorni ciascuna; diventò solare e vago, diviso in do dici mesi cguali, ai quali furono aggiunti, in seguito, alcuni giorni supplimentarii ; e compo« se infine il grand’ anno di quasi quindici se coli. « n Nell’anno civile, noi evitiamo d’interca lare, ogni quattro anni, la quarta parte d’un giorno, eccedente i trecento sessantacinque, per compiere il corso annuo del sole: e ciò (I) Menes, mensis‘, mese, nomi della prima specie di anno, in Egitto. (2) Morestell. Noi. ad lib. De tripl. mm. mm. 1- 2. 235 per ima ragione politica. Noi non vogliamo che tutte le nostre feste siano periodiche, e troviamo più conveniente averne di mo. bili. « » Il calendario cosi disposto serve di regola a tutto, alle cerimonie religiose, ai lavori campestri, agli affari civili. Egli è la base dell’ordine publico, e dell’ economia dome. stica; e noi dobbiamo farcelo questo merito, se l’ingratitudine ce lo disputasse. Questo gran benefizio è l’opera dei sacerdoti d’Elio poli. (( - Così parlando, mi ricondusse il pontefice all’ingresso del tempio, ove, sulle pareti in terne, io ravvisai , disegnato con molta esattez za , un calendario (1), composto di vari ciroo« li, gli uni negli altri. Una testa del sole, oc cupando il centro, divide in dodici parti cia scuno di quei circoli con altrettanti raggi, ed ogni divisione è indicata da uno degli ani mali simbolici dello zodiaco. Al di fuori, i quat tro angoli della tavola di pietra offrono il ge (I) Pococke ha trovato i resti d’un simile sabauda rio, a settentrione della città d’4cnu'n, altre volte Pa nopolì. Tom. L 236 roglifico delle stagioni; il di sopra è adorno d’un globo alato. Abbasso, vidi una ruota (1) continuamen te in moto, per esprimere le rivoluzioni suc cessive dell’ universo. PITAGORA.V Qual motivo vi ha guidato nel la nomenclatura delle costellazioni? Enorso. Noi abbiamo voluto trasformare il cielo in un gran volume descrivente la sto ria dell’Egitto: una specie di tavola geogra fica , presentante gli stessi oggetti che la terra nostra del Nilo. Il nome di questo fiume, il triangolo celeste ossia il Delta, la testa del l’Ariete o del Giove di Tebe e d’Ammone, e gli altri segni, tutto concorre a non fare che un sacro complesso, unito in tutte le sue parti, e dante al popolo la più alta idea del suolo da lui coltivato. PITAGORA. Perdona alla franchezza d’ un giovine amico della verità. Questo doppio ca lendario mi ripugna: 1’ uno vago e civile, l’altro fisso e stabile; questo al solo vostro uso, quello servente di regola a tutto l’Egit tO, malgrado la sua imperfezione, che voi (I) Clemeut. A_less. Stronza! 137 gli lasciate volontariamente, e, senza dubbio, a disegno. Perché non far godere il vostro paese della verità tutta intiera? perché riser barla a voi soli? perché certe feste rimango no a vostra disposizione, riguardo al tempo di celebrarle? Si direbbe che voi volete ritene re il popolo sotto la vostra dipendenza,‘ e fare in modo, ch’esso abbia sempre bisogno di voi. Enorme. Che diresti tu, se sapessi ciò che noi esigiamo dai re, al loro innalzamento al trono? Noi gli obblighiamo a prometterci, sotto il sigillo del più formidabile giuramento , di lasciare intatto l’anno vago. Ed essi com presero, che si trattava della loro sicurezza, quanto del nostro interesse : pel popolo , non ne risulta verun inconveniente. Le prin cipali sue feste religiose, come quelle delle Neomem'e, degli Equinozi, dei due Solstizi, sono invariabili, e regolate dalla natura, del pari che quelle del traboccamento del Nilo, e del suo ritorno nel proprio alveo. Quanto importa ad esso di sapere o di ricordarsi, resta intangibile. Per riguardo poi alle solen nità subalterne e particolari, la sana politica vuole ch’egli ci consulti, e si rimetta alla 238 nostra sapienza. Pare che noi abbiamo ao quistato qualche diritto alla sua fiducia; e si avrebbero a fargli meno rimproveri, se si con tentasse di fiequenta.re il tempio di Eliopoli. Vantino pure Tebe e Menfi le loro piramidi: i nostri obelischi occupano meno spazio, ma iimno più onore all’uomo. Attestano essi il più antico, il più generale, il più ragionevole di tutti i culti dell’Egitto; ed il saggio può assistervi senza arrossire. a 239 CAPITOLO LIII. Particolarità sul culto del Sole. Pnumona. Si dice, che anticamente la tomba di Busiride era in Eliopoli bagnata di sangue straniero, e che ogni giorno vi si immolavano tre uomini (I). Enorso. Calunnial Ecco il fatto. Per umi liare alcuni re, che avevano la vanità di pa ragonarsi al sole, e d’usurparne i divini ono ri, noi esponemmo più volte le loro imagini di cera al fuoco dello specchio (2), che racco glie i raggi del grand’astro. Quelle piccole fi gure umane, fuse in un attimo, non lasciavano veruna traccia di sé. Allora noi dicevamo ai messi di quei principi stranieri, presenti all’esperien za: » Andate a raccontare ai vostri padroni ciò che avete veduto nel tempio d’Eliopoli, e dite loro da parte nostra, che il più grande (1)Mauet0ue , citato da Porfirio , II. Teodorsbo, VII. Discorso sacro. (a) Gli Egiziani erano eccellenti nell’ arte di formare in cera disegni a varii colori, come pure in quella di comporre statue iutiere di musaico, imitando persino i colori naturali. Vedi l’Ateneo di Villehruue. V 240 fra i re della terra non è che una piccola figura di cera innanzi al monarca dei cieli, allo sposo della natura, al padre del calore. « Punti da questa lezione, inostri vicini publi carono che noi maltrattiamo gli ospiti nostri, e che gli offriamo in sacrifizio al sole. Noi non gl’immoliamo nemmeno degli animali (1) , non collochiamo nemmeno le loro imagini sugli altari. PITAGORA. Intesi a parlare d’un uso più barbaro ancora. Una giovine donzella viene precipitata, ogni anno, nelle acque del Nilo, per ottenere da questo fiume il beneficio del la solita inondazione. Enorno. Questo sacrifizio atroce aveva luo go in Egitto, prima della nostra istituzione: ma appena noi ci accorgemmo di goder qual che credito, ecco ciò che imaginammo per ab olire un tal culto. Alcuni giorni innanzi alla festa, ci recammo con pompa sulle rive del Nilo, ed il nostro capo pronunziò con molta franchezza questa concertata preghiera: h Nilo benefico! Grandi sono i tuoi favo PÌ, 11è potrann’ essere mai agguaglìati dalla nostra riconoscenza. Dégnati rischiarare un (1) Oro Apollo. Moria, Acad. Inscripl. Erodot. 241 dubbio che sorge nell’anima nostra. A noi sempre più pare, che tu cominci a stufarti del sacrifizio d’una vergine; e vedi quant’es so ripugna a noi stessi. Figlio del sole! Nilo benefico! Si! sappi, che molte famiglie si risolvono di abbandonare le tue rive, per non essere più testimoni d’un culto, che ti si rende, senza averti pria consultato. Il popolo d’Egitto , purificato dalle sante tue acque , non è lontano dal credere, che i tuoi benefizi si acquistano a troppo caro prezzo, se pagarli conviene con un delitto, coll’éfl‘hsione d’ un sangue innocente. « » Oh Nilo! temi di vederti ridotto a scorrere per una spaventosa solitudine , se tuttavia tanto cara ci lai pagar la bevanda tua. Spiegati dunque. Immolata non sarà, questo anno, la giovine donzella, che ti si destina. Se il traboccamento delle tue acque arriverà all’altezza necessaria per i nostri bisogni, vor rà ciò dire, che tu sei soddisfatto. « » Noi avevamo preveduto un’ innondazione propizia, ed essa fu tale; e da quel momento si rinunziò a quest’ orribile costume. Così andarono le cose: ma molti lo ignorano an c‘era. PITAGORA. E quei bagni di sangue uma ’Iomo II. 16 21,: no (i), per guarire i vostri re, quando sono assaliti dall’elefantiasi? Enorso. Ebbero luogo, è vero; ma in og gi non si potrebbero rinovare. PITAGORA. Nell’approssimarsi al vostro tem pio, evvi, sotto il vestibolo, uno spazio murato e guarnito di alberi, ove sento tenersi chiusi dei leoni (2), da voi nutriti con la carne pro priamente del bue (3); di modo che, nel vo stro santuario, un dio alimenta degli altri dei. Enorso. Aggiungi, se vuoi, che, in certi giorni festivi ,' noi mostriamo al popolo il toro sacro, cinto la testa d’una corona rag giata (L), colla fronte marcata del delta, e colla metà del corpo rivestita d’una gualdrappa ricamata (5), e terminata da una frangia alle sue estremità, come se ne vede alla barella di Serapidc. u n Sappi nel tempo stesso, che, per gli uo mini instruiti, il leone non passa in tutto l’Egitto che per uno dei segni dello zodiaco. (I) Pliu. Hist. nat. XXVI. l. (2) Fazio, Cadex, 242. ‘ (5) Elisa. XII. 7. (4) Tristan di Saint-Amalfi, Hisl. emper.; in fol. T. 11. pag. 144, 145. (5) Ricamata in quadratelli regolari. Caylus, T. I. in l|,.° 243 Per lo volgo, qui tutto è dio ; per lo sag gio , tutto è astronomia; e perciò l’Egitto ha collocato, sopra tutti i suoi monumenti, pu blici o particolari, la testa d’un leone. Tu avrai veduto questo geroglifico sulla porta di tutti i nostri templi, sui nostri santuarii, sui nostri torchi ; perfino le grondaje hanno questa figura. Pxmeona. Tu metti, senza dubbio, nel nu mero di tali ornamenti simbolici anche quel l’imagine della fenice, e d’ un’aquila collocata fra un cigno ed un corvo (1), che ho vedu to sopra uno dei lati del tempio d’Eliopoli. Enoreo. Emblema poco difficile ad indovi nare: egli è il sole che fa il giorno e la not te. Il popolo ama d’incontrare simili oggetti, i quali esercitino la sua imaginazione gros solana, senza troppo stancarlo. Ed, a pro posito, devo prevenirti, che a Menfi i mi nistri del tempio della grande Iside si vestono ora di abiti neri, ora di bianchi, per dis tinguere i fausti dagl’infausti giorni; vale a dire i giorni profani da quelli che sono con sacrati a qualche festa religiosa. Il vaso sacro, che si porta nella gran cerimonia d’ Iside, (1) Vedi 1 ’Arpocrate di Cuper. 2% rappresenta quella divinità sopra un fondo tenebroso. I sacerdoti di Menfi ne traggono il nome di Melanófori, come a Tebe si chia mano i ministri alati, perché, in certi gior ni dei misteri, portano realmente delle ali. « _ Io interruppi il mio conduttore, per do mandargli con una specie di afl‘ettazione: n Sacerdote del sole! Il toro-dio Mnevi è egli visibile? Io desidero di rendergli il tri buto del mio omaggio. « - Il pontefice pene trò il mio pensiero, e mi rispose con digni tà: » Giovine straniero! Sappi che il toro Mnevi è alloggiato, nutrito ed incensato nel tempio del sole, per servire di geroglilico vi vente all’agricoltura, ed all’astro che ne or dina i lavori, e ne matura i prodotti. Le cure, che qui ne prendiamo, sono per insegnare agli abitanti della campagna quanto conto essi far deggiono di questo si vantaggioso qua drupede. La lezione non è ora tanto neces saria, quanto lo era nei primi tempi; ma forse non è prudente metter mano negli usi antichi, quando per altro non sieno più uo civi di questo. Boecoride, uno dei nostri re, che risiedeva nella città di Saide, volle por tarci via il nostro toró Mnevi. Gli Eliopoli tani marîtlarono una depptazione per dirgli: 21,5 » Re (1’ Egitto, tu oltrepassi i tuoi poteri. Noi te lasciamo pacifico sul tuo trono: tu dunque non turbar noi ne’ tempii nostri; Muovi é un dio, che non fa male ad uomo, né si op pone .alle rendite della tua corona. Perché Vuoi tu rapirgli il suo incenso? Boccoride‘. temi di pagar caro cotal sacrilegio.u-Alcu ni anni dopo, quel principe fu bruciato vivo, nella invasione dei re d’Etiopia. « PITAGORA. E che fate voi di quello sca rafaggio (i), in un tempio dedicato al sole? V’è una gran distanza fra quel grand’astro e questo insetto (2). Cosa può meritare a si picOQlo animale un posto distinto in un si vasto edifizio, consacrato ad un culto su blime? Enorso. Anche questo è un geroglifico vi vente del sole e dell’agricoltura (3). Non hai tu osservato, che li suoi elitri lo fanno com parire tutto scintillante di luce, quando è percosse dal sole? Questo piccolo fenomeno non è sfuggito all’occhio del popolo: egli ha (i) (2) (5) IV., e Porfirio. Astinenza della carne. IV. 9. Vedi Caylus, Antichità egiziane. Oro Apollo. Euseb. Preparazione evangelica, XIII. 146 Voluto, che anche quell’ insetto avesse la sua parte dell’ incenso bruciato in onore del sole, dello splendore del quale partecipa, ed al quale egli dà il suo nome; giacché l’ astro del giorno è chiamato da noi talvolta il gran de Scarafaggio dell’ universo. Il volgo restò colpito altresi da un’altra osservazione, che tu "saprai valutare: lo scarafaggio ha tanti piedi, quanti giorni ha il mese solare (1). « n Un motivo ancora più rispettabile ha guidato la moltitudine riconoscente. Ella si fece debito di associare al bue Muovi, dio del 1’ agricoltura , un insetto, che purga i no stri giardini dalle formiche e dai vermini, ai quali egli fa caccia continua e sempre feli cemento. Prrncom. Tu saprai certamente spiegarmi anche ciò ch’io leggo sul pavimento del san tuario: n Qui, nel tempio del sole, la Fe nice (2) ha deposto il corpo di suo padre imbalsamato in un uovo di mirra; essa ritor nerà dall’Arabia, dopo cinquecento anni. ti -' È forse anche questo un geroglilico vivente? (I) Rusllius. lib. 11. De stirp. (a) Pompouio Mela, III. 9. 247 Buon-10. No. Questo è un simbolo per es primere qualche rivoluzione astronomica , uno di quei grandi anni, che ci servono di riposo nei nostri calcoli dei movimenti cele sti intorno al Sole . . . . E tolleriamo, che Eliopoli sia detta la città della Fenice (I). u » Non possiam mica essere più sobrii d’ima gini fantastiche, circondati come siamo da su perstizioni d’ogni genere. Giovine straniero, osserva, che i sacerdoti del sole sono i soli in Egitto, che sappiano far di manco d’una doppia dottrina, d’un doppio culto. Noi non andiamo Cercando il nostro dio in fondo alle acque o nelle viscere della terra. Egli previe ne invece le n0stre invocazioni; ed a noi non resta che di rendergli grazie. Fra pochi gior ni, sarai testimonio d’una delle nostre pom pe religiose, di cui abbiamo ordinato, a talen to nostro, le discipline; imperciocchè, quan tunque il popolo sia schiavo dell’abitudine, ama nondimeno la varietà, e, per tenerlo a bada, bisogna offrirgli nuove combinazioni. La festa, che noi dobbiamo celebrare, ti dirà più di qualunque lungo discorso. Non lasciarti sfug (r) Elian- IX. 58. 248 gire nessuna particolarità: noi la mettiamo all’ equinozio di primavera. u Tre giorni innanzi a questa solennità, ho assistito all'iniziazione di alcuni egiziani ai misterii del sole equinoziale (1), sotto il segno dell’agnello sacro. Immolano essi il quadru pede innocente sotto un portico, lo espon gono al limco sopra un altare, ed in piedi ne mangiano una porzione; inginocchiati poi sulla sua pelle, che copre il pavimento, _met tono sulla propria la testa dell’animale. Ter minata questa cerimonia, passano in un ba gno, bevono dell’ acqua fredda, e coricati in terra, si abbandonano al sonno. Io ammirai in tutto ciò la buona fede di quei devoti egiziani, che va del pari colla loro ignoranza. I soli sacerdoti possiedono la tradizione di tutte quelle cose; ma si guardano bene di comunicare i loro lumi astronomici al comune degl’ iniziati. Prima d’ abbandonarsi al riposo, cantano essi un inno brevissimo, e concepito all’incirca in questi termini: n Agnello equinoziale (2), noi ti salutiamo: nel trarti fuori dai raggi (I) Lucian. Dea syria. (a) Dupuis, Relig. uniu. Tom- 111. in 4." 249 del sole, sei tu che ci annunm Il ritorno di questo dio all’ emisfero superiore. Superan do allora la linea, egli viene a separare le te nebre dalla luce, ed il male dal bene; allora la natura riprende la sua prima bellezza. A gnello sacro , tu ci rimeni la primavera. « Dietro a quella parte del tempio d’ Elio poli, ove si pratica questo cerimoniale, os servai un antro oscuro e profondo, rischiarato da una lucerna bastante appena per distinguere la testa d’un fanciullo, tutta rasata, ad ecce zione d’un sol capello (1). Gli Egiziani indi cano per tal modo il sole al solstizio d’inverno. L’ ornamento principale dell’altare, che ri ceve i sacrifizi al sole, è un cerchio alato (a) , per denotare la velocità degli astri, dei quali il sole è il primo. Alla vista del sotterraneo, io domandai co sa si doveva credere d’una comunicazione, che si dice esistere nelle viscere della terra, fra il tempio d’Eliopoli, e quello di Menfi. Invece di rispondermi, si tacque, e mi si lasciò il comodo e la libertà di cercarne da (I) Macrob. Saturn. I. 21. (a) Porfir. presso Euseb. Prepar. evang- III. n 250 I me stesso l’uscita. Dopo un lungo esame, mi venne fatto di scoprire, che l’ingresso di quel passaggio era praticato nell’interno d’un pi lastro: ma la porta non si apre che per or dine espresso del Gerofante, ed in gravi cir costanze, di grandi_iniziamenti, Suppongo, o d’una crisi politica. a5t CAPITÙLO LIV. Descrizione della gran fèsta del Sole. Alla vigilia di questa solennità, ch’essi chiamano sarei, ossia giorno degl’ inni, vi di inalberare sulla sommità del tempio un drappo bianco ondeggiante nell’aria ; il basto ne è sormontato da un globo d’oro, per riflettere i raggi del sole, e rappresentare la terra coperta del suo fuoco generatore. Si aveva issata anche la testa d’un’ aquila bianca , rivolta alla parte orientale del cielo (l). La festa principia al levare dell’ astro, che n’è l’ oggetto. I sacerdoti avevano osservato, che l’istinto unisce, sull’ alba mattutina, tutti gli uccelli d’una contrada , per salutare insieme, col loro canto , la presenza subitanea del padre del calore. Eliopoli segue quest’esempio (2). Non appena si scorge il globo d’oro scintillare alle prime emanazioni della divinità, che (a) Gerogl. pieri. XIX. Pancirol. Net. dig. imp. or. 141. (a) Strab. Geo;r. \ zaz diecimila voci, regolate da un’ infinità di stru menti armonici (1), si fan sentire dintor no al santuario, alzando al dio del giorno un cantico breve breve._Questo primo slancio del ,‘ l’ammirazione è seguito da un lungo silen "zio»Qual momento, quale spettacolo! Gli atrii del tempio vengono inondati da un popolo im menso; cogli occhi e Colle mani alzate al cie lo , ognuno degli spettatori in piedi offre una corona di fiori o di verdura, in cambio del raggio, che cade sulla sua testa. Tutti gli sguardi avevano in quel momento qualche co sa di divino: si pura gioja ,animava tutte quelle fisonomiel Dopo questa scena muta e sublime, il gran pontefice diede il segnale per eseguire la sa cra marcia. Subito, tutta quella moltitudi ne (1’ assistenti si distribuì, gravemente e senza confusione, in vari gruppi, per formare la pompa religiosa, sotto la sorveglianza dei sacerdoti; ciascuno prese il suo posto, ed io mi collocai sul loro passaggio. In qualche distanza sul davanti, vidi quattro pontefici egiziani, con la testa ed il mento rasati di fresco, camminare con gravità, portando sulle (i) Espressione numerica indefinita. 253 loro spalle un candelabro acceso (i), poggiato sur una specie di alta-re, o tavola quadri lunga. Preceduti e seguiti vengono da altri ministri subalterni, gli uni- con una palma in mano , gli altri con un lungo bastone o scettro sormontato da uno sparviero (2). Altri, mascherati da leoni, simbolo del Ni lo, hanno nella destra una penna di struzzo, otturata da una parte, in forma di corno di bue, che serve (1’ impugnatura. Gli stessi por tano, quasi sotto l’ascella, a destra ed a manca, un braccialetto ornato colla testa di un gallo, emblema del sole (3). Vidi in seguito una scelta donzella , con una mezza luna d’argento in fronte, e cinta d’una larga fascia azzurra, sparsa di stelle d’oro: questa rappresenta la luna. Ventotto altre donne più giovani , ornate nello stesso modo, marciando a sette di fronte, figurano l’anno ed i mesi lunari, composti di quattro settimane. Un’altra donzella egiziana, di tinta bruna, rappresenta l’anno solare; questa occupa un (I) Musaico di Palestrina. (2) Metam. d’Apul. XI. Kircherus, (Edìp. wgypl. V. I. Sppu, Miscell. erud. aut. Oro Apollo. ‘ (5) Caylus , Antiq. tegy‘pl. Tom. IV. 254 trono d’oro portato da quattro sacerdoti, e sta ritta sul marcia-piedi assicurato al trono mediante cinquanta chiodi colla testa d’argen to (i), per indicare le settimane. Un uomo grande, vestito di azzurro spar so di stelle, che in Egitto si chiamano oc chi, avanza a passi misurati: e questo è il cielo personificato. Venivano poscia quattro egiziane di sta tura eguale , colla testa coronata di _per sea: ai rispettivi loro attributi, le riconob bi per le quattro stagioni. Quest’erano pre cedute da quattro animali sacri (2) , raffigu ranti le quattro parti dell’anno: l’aquila o lo sparviere, il cane, il toro, ed il leone. In mezzo alle stagioni, dieci sacerdoti por tano sulle loro spalle il famoso anello astro nomico d’0simandia, ridotto in proporzioni più comode. Seguivauo i dodici mesi dell’an no (3) , marciando a tre a tre. Cinque per sonaggi tenevano loro dietro, con una bandie ra , che portava il motto: epagomenes (4). Poi, un egiziano di alta statura, rivestito di (1) Vedi la Tavola isiaco. (a) Clemente Aless. Strom. (5) Calendario di Gebelin; in 4.° pag. 466. (4) I cinque giorni oomplomentarii dell’anno. 255 una lunga zimarra di lino con lo strascico, carica di geroglifici dipinti, teneva fra le brac cia un fanciullo di quattro anni. Questo grup po esprime Thaut, l’inventore della quarta parte di un giorno, necessaria per compiere il corso amino del sole. Egli primo avvisò d’ag giungere, ogni quattro anni, un giorno di più, composto di quei quarti , ond’evitare nei cal coli astronomici, cbe sono più rigorosi degli usi civili, un’anticipazione , alla quale si adatta male una scienza tanto esatta , come quellaglei movimenti celesti. ’ Vidi anche passare in doppia fila i trecento sessanta giorni, divisi in quattro falangi, tut ti uomini giovani di ventiquattr’ anni. In mezzo, essi avevano il carro del sole, tirato da quattro cavalli arabi di sei anni di razza, ciascuno dei quali era guidato da una don zella, rappresentante una delle quattro parti del giorno. ' Ventiquattro altre egiziane, appena nubili (le ore), circondavano il carro del sole. Le dodici, che precedevano, erano vestite di bian co: le dodici, che seguivano, erano. di bru no; e tutte avevano in fronte una stella d’ar gento. Nel carro, coperto di lamine d’ oro, sta un cubo del cristallo più bello, che serve 256 d’ altare o di zoccolo ad un grande scarafag gio con gli elitri scintillanti e per sé e per la ri percussione dei raggi solari. Camminava final mente innanzi al carro un’egiziana, della statura più alta che si aveva potuto trovare, portan do religiosamente in mano il Vaglio sacro ad Iside (i). Dietro al carro, un subalterno ministro de gli altari conduce con una catena d’oro un gran cinocefalo (scimiotto), poggiato ai piedi posteriori (a) , e portante in testa un globo, mezzo d’oro e mezzo d’argento. Voi osserverete meco, miei cari discepoli, che questo carro del sole ha la forma d’una barca egiziana (3) , con un occhio alla prora. I sacerdoti di diverse classi, preceduti dal supremo pontefice, chiudevano questa mar cia imponente, che fece a passo lento (4) sette volte il giro del santuario, in un religio so raccoglimento. Tutto il pavimento del tem pio era coperto di fiori e di fronde verdi: fra le colonne, ardevano dei bracieri di profumi, G quei nuvoli d’incenso formavano come un ( i) Lichnophoro. Arpocrazione. (a) Pignorio. Tau. 1.9. (3) Wiuckelmann. Monumenti inediti. in fol. (4) Plutarc. Isid. Macrob. Somn. Scip. 257 Velo, per temperare lo splendore ed il calore del sole. In mano del Gerofante, osservai una spe cie di bastone augurale, ch’ era un gambo di loto, pianta acquatica egiziana, consacrata al sole, perché il suo fiore non si mostra fuori dell’acqua che al levare dell’astro del giorno, e vi si tuffa di nuovo, al suo tra montare. Tutti i pontefici ne portano una corona sulla rasata lor testa: isandali son di papiro. Ad un secondo segnale, dato dal gran sa oerdote, si fecero sentire tutti gli strumenti, fra i quali prima la sampogna, come di tutti gli strumenti il più antico, poi il sistro consacrato dal Culto, indi la tibia, la lira, ed un bicordo (I) , specie d’ellissi a coda lunga, da me conosciuto soltanto di vista, comeché veduto l’avessi rappresentato sopra uno dei grandi obelischi d’Eliopoli. Vi sono anche le arpe, e queste rassomi gliano intieramente a quello strumento di tredici corde, ornato d’una sfinge, che mi colpi fra le altre pitture delle grotte sepolcra (l) Maudolino, la cui figura si trova nel Saggio sulla musica, T. I. in 4.” pag. ago, 95, e 26; ' 1omo Il. 17 258 li, ch’io visitai da là di Tebe. Questa specie di arpa era già in uso sotto il regno di Se sostn. L’effetto in me prodotto dal concorso ar monioso di tutti quegl’istrumenti, mi spie gò il perché gli Egiziani dicono, che la mu sica è sorella della religione (I). Cominciarono allora le danze; non già quei giuochi pazzereschi, quelle agitazioni convulsive e senza scopo, usate in Alicar nasso ed a Palfo; nemmeno quel ciondolare effeminato della molle Jonia. Le danze sacre d’Eliopoli , condotte dagli stessi pontefici, e modulato sugli V accordi perfetti del tetracor do, figurano le rivoluzioni degli astri, le an nue o diurne loro posizioni, i loro incontri, i loro allontanamenti: tutti i loro movimenti , soggetti a regole certo, che l’osservazione ha fatto conoscere ai mortali studiosi, furono eseguiti con precisione. Le quattro stagio ni del giorno corrispondono a quelle dell’ anno: le ore formano dei gruppi colle settimane e voi sette pianeti della settimana (2). Si ral (1) Bourdelot, Storia della musica. T. 1. cap. III. (a) Luciano, De saltatione. Platone, De legibus. VII. 259 lenta o precipita il passo, secondo il mo do ed il diapason. Io mi scordai, per un istante, d’essere sulla terra, credendomi assistere in cielo alsolenne andamento degli astri, e sentire 1’ armonioso concerto dei cor pi celesti. Tuttii grandi fenomeni della ete rea volta si eseguivano, sotto gli occhi miei, con una geometrica regolarità. Il tempio d’E liopoli sembra, in quel punto, una vasta sfera, destinata a rendere sensibile all’occhio dei mortali incantati tutto il meccanismo del la natura, nella sua maggiore sublimità: que sto è il modo più conveniente di dare lezioni «l’astronomia. E’ pareva, che il sole fosse ' disceso dal suo trono di lixoco, per conversare con gli uomini, ed insegnar loro le leggi de’ suoi movimenti. Così è, che ad un gran popolo, ad una saggia nazione conviene celebrare le feste: quella poteva intitolarsi l’augusto ime neo del cielo e della terra; ed una vecchia tradizione eliopolitana dice, che Prometeo stesso ordinò quelle danze religiose (i). (2) Storia generab della danza, 1725, in 12.“ Consultate Cahusac, Trattato della danza Tom. I. p. 28, 29, 58. De Laulnay, della Sallazione teatrale, 1790 in 8.” fig. Dei balletti antichi e moderni. 1682- in m.” 260 Osservai che l’impressione, prodotta dalla grandezza di quella solennità, era generale. Uomini e donne, fanciulli e vecchi, tutti in somma gli astanti erano penetrati allo stesso grado. ’ Tutte le piccole passioni, risultato dell’interesse sociale, si tacciono innanzi a que sto culto. Non si prova, che una sola sensa zione, quella eccitata dalla vista d’un gran complesso, dallo spettacolo dell’ordine, figlio dell’armonia, dalla contemplazione della na tura in tutta la sua maestà, in tutta la sua pompa. E cosa mai si poteva imaginare di più sublime, che la riunione degli oggetti offerti in quel momento alla mia ammirazione! Il sito più felice di tutto 1’ Egitto; la vicinan za del più benefico, del più straordinario dei fiumi; un edifizio costruito colle più nobili proporzioni; il primo degli astri presente egli stesso al culto, che gli vien tributato; una moltitudine immensa d’ esseri ragionevoli, che alzano le loro menti fino a quell’ogget to, ch’essi elessero per loro nume: questo complesso, animato da tutto maravigliose danze, che fedelmente ripetono le costanti ri voluzioni dei pianeti, in presenza della natu ra, sorridente all’opera sua più bella! Si esalta cosi la specie umana, inspirandole 261 il gusto delle cose sublimi e vere, e rendem dola entusiasta dell’ ordine, senza il quale non può esistere verun sistema, né politico né le gale, proprio a rendere l’uomo felice. Tocca al genio del legislatore di saper, mettere in opera i grandi mezzi, che gli offre la cono« scenza dei fenomeni del cielo. Immediatamente dopo le sacre danze, tutti si recarono ad una delle parti del tempio, che serve di palazzo a Mnevi. Questo gero glifico vivente dell’agricoltura fu condotto sul limitare, e gli venne diretto una specie di omaggio, che avrebbe certamente meglio convenuto alla memoria dell’ inventore del l’aratro , od a quello , che primamente imaginò di.assoggettare le corna del toro al giogo dell’aratura. Questa riflessione fu da me offerta al sacerdote, che mi serviva di guida. Enorso. La tua osservazione non é proba bilmente sfuggita ai nostri predecessori: cre dettero essi però meno pericoloso fare, l’apo teosi degli animali viventi, che dell’uomo , in nanzi ed anche dopo la sua morte, come si usa nel territorio di Anubi (i). Accordare (l) Porfirio, Astinenza della carne. IV- 9 262 gli onori divini ad un quadrupede, non porta veruna conseguenza, e non è, tutto al più, che una cosa ridicola agli occhi del saggio austero; ma deificare un suo simile è dare al l’ambizioso l’idea della teocrazia, il peggiore di tutti i dispotismi. PITAGORA. Sacerdote del sole, tu mi sor prendi! Enorso. Tu lo vedi. Qui si bruciano in censi, e si gettano fiori a Mnevi (i): e niente più. L’ agricoltore ritorna verso la casa sua, dicendo: n Noi dobbiamo della rico noscenza (a) al più necessario, al più docile dei nostri animali domestici. « A pena è rientrato, collo spirito ancora pieno delle ce rimonie religiose, alle quali, non è guari, ha assistito, va dritto alla stalla per accarezzare il compagno de’ suoi lavori, e gli dice: » Sil io avrò per te quei riguardi stessi, che hanno i sacerdoti per lo toro Mnevi (3); non ti maltratterò mai, e saprò riconoscerci (l) Diod. Sic. I. 55. (a) Plut., Dc Iside, fonda l’origine del culto sulla riconoscenza dell’uomo verso gli animali, per esempio, verso il bue. (5) Varrone, de Re rustica. II. 5. Pliu. Ilist. nal. VIII. 45. 263 gh'rnalieri servizi che tu mi presti: strame abnondante, foraggio.scelto, riposo tranquil lo: giacché trovo in te un servo pacifico e laborioso, tu non avrai in me un padrone rigomso ed ingrato: avrò le stesse cure nel la tua Vecchiezza; e le fatiche non eccede ranno mai le tue forze. PITAGI‘IRA. Pontefice! ma che pensi tu del l’avvenimento che toccò a me in persona sulla soglia del palazzo del toro nero (1)? Io mi presentai, tra la folla , al quadrupede ruminan te; Mnevi inoltrò la sua testa fuori delle grate della sua santa prigione, e colla sacra sua lingua si degnò di leccare la mia veste di lino (2). A tal vista, i tuoi colleghi stessi e tutto il popolo esclamarono: » Miracolo! « e ne tirarono per me i più onorevoli presagi. Tenendomi a quest’ insigne favore del dio d’E’ liopoli, mi è permesso di aspirare un giorno ' ad una grande celebrità di saggezza e di scienza. Enorao. Ebbene! Che incoveniente vi tro vi? Quanti uomini grandi non furono debi tori di ciò che diventarono, agli incoraggia (l) Plutsr. Isid. Porfir. Euseb. III. 15. (2) Diogene Laerzio attribuisce questo aneddoto al I’ astronomo Euclossio. Lib. VIII. 264 menti ottenuti nell’età dell’ emulazione! Sap pi approfittarne, se non per giustificare l'ora colo, pel vantaggio almeno de’tuoi simili.‘« Osservate queste prime cerimonie , la pom pa prese la sua direzione verso il Nilo, per una via ombreggiata da palmizi, da aranci, da cedri, e da una quantità di altri alberi, clic rendono il doppio servigio, di offrire un riparo continuato da Eliopoli fino alle rive del Nilo, e di dare un nutrimento sano, fre sco e leggero, quale si gode di poter ritro vare in un clima, ove la sobrietà è un do vere prescritto dalla dietetica. Ma, prima d’uscire dal tempio, si passò al gran sacrifizio. Il centro del santuario è oc cupato da un altare, d’onde s’alza una fiam ma pura, che non si estingue giammai (1). Si gettò sopra quell’ altare una quantità di frammenti di legni odorosi, e, sopra questi, molt’ olio profumato. Durante l’ardore di quel santo fuoco, i sacerdoti bastano appena per raccogliere le offerte, che consistono in er baggi e radicbe, mazzetti di mirto, ghiande (i) Porlìrio Astinenza della carne. 11. 5, e 6. Eu sebio, Prepar. evang. I. 29. 265 e noci, farina e focacce, frutti e legumi. Nep. pure urla goccia sola di sangue non lordò quest’atto religioso, istituito per ricordare al popolo la sua primiera , l’inno-_ cenza nativa degli uomini. In un certo giorno dell’anno, Atene (1) copia perfettamente quest’omaggio campestre reso al Sole ed alle Ore, Il Gerofante poi cantò allora la strofa del l’Inno al Sole, composto‘per la festa, e che dovevasi continuare, cammin làcemlo , al suono di tutti gli strumenti. Il sorteggio era distribuito in varii gruppi: ogni gruppo aveva due strofe da cantare, una pel coro dei donzelli, l’altra per quello delle donzelle: il che fu eseguito col più perfetto accordo, essendo musicale l’orecchio egiziano. Ecco quanto ne ho potuto ritenere: (2) Porfirio , loco citate. 1. 266 CAPITOLO LV. Inno al Sole, come si usa nel tempio di Eliopoli. 1. Fonte inesìinguibile, inesauribile di luce e di calore! ornamento il più bello dei cieli! primo tra i benefattori deila terra! occiiio del mondo! pittore della natura! architetto dell'universo (l)! II. A te innalzarono, oh Scie! i primi loro altari le nazioni; né altri avrebbero forse dovuto innalzame. Divinità delle dodici ali (z), i dodici grandi iddii (3) sono nati dallo zodia co, che tu percorri. HL Sole! Tu non sei tutto; tu non sei Dio; (I) Porfir. Acad. inscript. T. IX., p. 596. in n." (2) Clement. Aless. Stram. V. (3) Erodot. De la Barre, Mem. acad. inscripL. T0m. XXVI. pag. 450. 267 tu non se’ il nostro Osiride infinito e invisibile; ma l’0siride invisibile si mostra nel tuo di sco ( 1). Tu sei la brillante unità, sola capa ce di far-ci concepire la grande unità (a), che tutto comprende. Tu se’ il primo degli dei azoni (3): il tuo culto è universale. So le! tu sei l’Alp/aa (4) e l’ Omega di tutte le cose (5). IV. Sole! La Fenicia ti chiama Beelsamon o Adonide, e qualche volta Annibale, o il dio ar dente (6); l’Assiria Adad (7), o l’Unico; la Persia Myhrou o Mythra; la Grecia Apollo (8), o Bacco, o Ercole; altri Beleno o Giove; il nostro Egitto talvolta Serapide; tu se’ il Sa (1) In sacris Osiridis canticis inuocabant eum qui in soli! radiis occultatur. Plut. De Iside. (2) Principi della natura. T. I. p. 146. in 12.° (3) Dii camunes. Pitagora ha grecizzato la frase egiziana. (5) Choerem. apud Euseb. Prepar. evang. III. 4. Diod. l. (6) Sauconiatone. (7) Macroh. Saturn. I. 24. (8) In alcuni de’ loro templi , iGreci adoravauo il Sole sotto il nome di Eliopolilano. 268 turno degli Arabi, tu il dio Ammone della Libia , tu il Belo dell’ Euli‘ate , tu il dio Bondo (1) della città delle palme, tu 1’ Api del Nilo. V. Ma il solo nome, che ti conviene, e con viene a te solo, è quello di dio Veggente Solo, tu sei tutt’ insieme gli dei (3). La luce è la provvidenza del globo (4.). Sole! se' il grande Abraxas dell’universo (5). (2). tua Tu Tu se’ il nostro Elio (6), l’anziano de'nostri dei e de’ nostri re. (i) I fe’liches del Presid. des Brosses. pag. 122. (a) Orid. Metam. - Omnia qui video, per quem vide! omnia mundus. Mundi oculus. . . . (3) Dea: omnes ad Solem referri. Macr. Sul. I. pag. 17. (4) Martiau. Capel. Nupt. phil. II. Giul. Imp. Orat. V. (5) Salvatore. Questo nome ha dato luogo agli abra ras, 0 amuleti egiziani. (6) ” Un principe, il cui nome da’ Greci fu dato per Elios, da’ Latini per Sol, fu , pel consenso di quasi tutti gl’istorici, il primo a reguar sull’ Egitto: e quel principe fu parimenti tento per la più amica divinità del paese. “ Goguet, Origine delle leggi. Tam. 11‘. pag. 217. in 4.” 269 VI. Fenice brillante (1) di questo globo! oh Sole! anche senza saperlo, tutte le nazioni ti \ adorano. Tu se’ il Delfo dei Greci. Tu fosti nnanzi a tutti i culti dei mortali, e sarai do po di essi; da te , e per le nostre scuole, tras se Omero quella catena d’oro, che unisce la terra al cielo (2). Non è forse ciascun de‘ tuoi raggi quella catena d’ oro, la di cui l'or za attrattiva (3) obliga i pianeti a non di vergere da quella via, che tu loro hai prescrit ta, intorno al brillante tuo disco? VII. Sole! Tu permetti ai popoli d’adorarti, ora sotto la figura geroglifica d’ un lupo (4), a motiyo della rapidità del tuo corso; ora sotto le sembianze d’un gatto (5) , quello degli (1) V. non dotta dissertazione latina sulla fenice , da pag. 78 a pag. 155 , nella Stoica philosophia di G. Tumasi0, 1682. in 4.“ (a) Omero viaggiò in Egitto; secondo alcuni, vi nac que. Vedi Pope , Saggio sulla vita d‘Omeno (5) La gravitazione illustrata dai calcoli di Newton. Pope, sopra Omero. (4) A Licopoli, città di Egitto. (5) A Bubaste , altra città d'Egilto, e in altri luoghi. 270 animali e ’è dotato della vista più penetrante; più spesso, sotto l’emblema del toro e del leone, per 1’ ardore di questi due potenti qua drupedi. VIII. Quale idea formarsi dell’immensità della natura, se ciascuna delle stelle, che scintil lano nella volta de’ cieli, durante la notte , è un altro sole, simile a te, a te eguale in potenza e in bellezza! Chi potrà mai mi surare l’ incommensurabile estensione della na tura? A te solo è dato di percorrere ogni an no il gran circolo della vita (I). IX. Se le tue emanazioni producono tante ma 1‘aviglie, e stancano la nostra ammirazione : che cosa sarebbe, se ci fosse permesso di contemplarti in faccia, di studiar le tue leg gi, di penetrare la tua natura, d’intende re la celeste armonia dei pianeti (2), nella quale tu se’ il primo concertante? Sole! tu sei la lira dell’universo (3). (l) Lo zodiaco. Vedi Occllus Lucanus. (2) Phuruutus. Lor. Pitisci, verbo. Apollo musicus. (5) Euseb. Prepar. Euang. II. 6« ’ 271 X. Tu sei l’autore dell’ordine: l’ordine, sen‘ za il quale la natura e la società non potreb bero conservarsi. Se tu potessi per un mo mento cessare di presiedere all’ armonia del le cose, il caos non sarebbe più un nome vano; non vi sarebbe più universo; tutto sa rebbe nulla. T’ invocano ben a ragione gli Zabieni (1) sotto il nome di Padrone del bene (a). XI. Sole! Tu se’ il legislatore dell’ agricoltura ;, tu ne regoli i lavori, prima di fecondarli. La presenza tua è giorno, notte la tua as senza (3). Padrone del tempo (4) , il tempo sen za te ci sfuggireb-be (5); tu lo fissi agli oca chi nostri, lo assoggetti ai nostri calcoli; le (1) Popolo dell’India. (a) Manichreismus ante Manichaos, Chr. Wel phii, in B.° (5) Se il sole non era, sarebbe notte. Eraclito. (4) Espressioni incise sugli obelischi d’Eliopoli. Vedi Ammiano Marcellino. (5) Proc10, in Tim. IV. 27: stagioni ti’ devono la loro esistenza; tu sei Oro, padre dell’anno; le ore sono tue figlie. Sole! Tu» sei la chiave (1) che apre le por te del giorno ed i tesori della terra; tu se mini tutta la natura (a). XII. Tu sei 1’ inventore defle religioni (3), il provocatorc di tuttii culti, eccitando il pri mo nell’uomo il sentimento dell’ ammirazione e della riconoscenza. E come avrebbe potuto l’uomo (4) negare di renderti omaggio? Gli animali stessi sentono la tua divinità, e la preconizzano. A te sono diretti i primi can ti dell’uccello mattutino; e te saluta egli an cora, quando tu t’inviluppi nel manto della notte. XIII. Solel Fra tutti gli dei, che hannoi popo (1') Su tutti i monumenti egiziani, Osiride porta una Chiave. (2) Macrob. Saturn. I. 17. (5) Maimonide e Selden credono che l’idolau-ia cominciasse dal culto del sula. (4) I. Bernard, Nuofla rep. delle Zen. mano 1706 pag. 278, 279. 273 li, tu se’ il solo visibile (i) e presente nc' loro tempii. Tu se’ il solo, che l’uomo au dace fissare per lungo tempo non possa con OCchi0 temerario. Nèi soli re si dicano figli del Sole (2): tutti gli Egiziani lo sono. XIV. Gli altri dei devono il loro splendore alle pie liberalità dei nostri re. Ma quando tutti i re della terra riunissero i loro tesori, smon gessero le forze dei loro popoli, per alzare a te un monumento, non arriverebbero mai ad ecclissare il dio con gli accessorii del tempio suo. Tu se’ al disopra di tutti gli elogi, co me di tutti gli esseri. Qual dio, qual m0 narca porta una corona più brillante della tua? Dodici raggi compongono il tuo diade ma (3). Tu se’ il tipo di quella lucerna di (l) Kaimin. Plutarch. Isid. (a) Allusioi1e all’obelisco di Ramessi. (5) . . . . Badiisque sacratum Bissem's perhibent caput aurea lumina ferro, Quod tot idem menses, lo! idem quod conficis‘ horas. Man. Capella. Nupl. plu'lolog. II. . . . . Cui tempora circum durati bis un: radii fulgenlia cingunt. - Virg. 1Eneid. XII. 162. Tomo II. 18 274 trecento sessantacinque fiamme, che noi ti consacriamo . XV. Tu sei, che hai dato all’uomo le prime idee degl’lmmortali. Te osservando, l’uomo esclamò: n ‘Vi ha qualche cosa di divino nella natura. « - Tu se’ il Trismegisto ( Tripla sian) dell’Egitto e del mondo. XVI. Primo re (1) dell’ Oriente, monarca (2) e signore dell’universo, tu dispensi i tuoi bene fizi a tutti egualmente. Tu indori il tetto del ricco, tu ravvivi la capanna del povero. Se la vetta superba delle montagne riceve i tuoi pri mi ed ultimi raggi, anche la bassa valle ha il Suo momento per essere da te vivificata. Viag giatore presente da per tutto (3) , non v’è luogo sul globo, ove non penetri il tuo sguardo di fuoco. (I) Pi rh, o Pi rhej - in egiziano, il Sole, 0 il re. Gehelin, SI. del Calend. (a) 0 Jir, il; egiziano. (5) Omero. Vedi anche Servio, 1Eneid. I. 115 XVII. ‘ Dio forte! Ercole-sole (1)! tu sei l’amico del vecchio e lo spavento del malvagio; questi attende la tua assenza per commettere il de litto; quegli, con un piede nella tomba, chiede per ultima grazia, al suo_ momento estremo, di poter contemplare, ancora una volta, i consolatori tuoi raggi. Gigante infati cabile (a), in ventiquattro passi, tu compì lo giro del mondo. Scie-Titano (3) , tu se’ il fi glio primogenito del cielo, come l’uomo è il figlio primogenito della terra. XVIII. La tua luce ha creato il mondo: l’uomo (4) è il padre dell’uomo; tu lo sei della specie umana. Tu sei l’anima dell’universo, ed il cuore della natura: il calore de’tuoi raggi ha fatto nascere il grand’uovo. Astro maschio (5) ! (I) L’Ercole tebano, della Tebe d'Egitto. (a) Virgil. Eneid. IV. (3) Stazio. (4) Sol cl boma generant hominem. V. il commen tario curioso di questo vecchio proverbio, nell’opuscolo intit. P_ylhagora.r di Stef. Rodrigo. Lione. 1621 in 32. 200 pagine. p. 51 , 52. (5) Pliu. Ili.rl. nal. II. 100. 276 quando tu apparisci, non si può vedere altra cosa che te: tu ecclissi tutto il resto. XIX. Primogenito dell’uovo del mondo (1)! tu se’ il padre del dio nato da una pietra (a), adorato dai Persiani. La selce ti deve il fuo co, che in sè racchiude. Tu se’ anche il pa dre delle cinquanta figlie (3); sei la testa dell’universo e l’agente suo principale; sei l’anima universale del mondo. Celeste Oro (4)! Gran Demiurgo (5)! Tu se’ il tetracordo del la natura, come dell’anno (6). XX. Figlio di Vulcano (7) , Sole! La tua azione si estende sopra tutto, governa tutto, in cie lo, in terra e nel seno dei mari. Gli animali, i vegetabili, iminerali ricevono da te la for ma, il colore ed il moto. Tu presti uno (i) (a) (5) (4) (5) Diod. Sic. I. 16, 17. Caylus. Aut. Gall. Tam. III. Le settimane. Macrob. Saturn. I. 21. Cheremon, sacerdote egiziano. (6') Varro apud Nona. II. 22. (7) Dupuis. Origine dei culti. 277 de' tuoi nomi più belli al più ricco dei me talli, all’oro (1). XXI; Il tempio d’Eliopoli è opera tua, oh Sole! Sei tu che, penetrando nelle viscere del globo, generi la pietra, e le fai acquistare la consi stenza ed il volume, necessarii agli usi diversi della vita sociale. XXII. Sei tu, che invocbiamo sotto il santo nome d’Arpocrate (2). Sei tu quel guerrie ro sempre vincitore, che noi osiamo dar per esempio agl’ iniziati negl’inefi'abili nostri mi sterii. Il tuo disco serve d’asilo all’anima de gli eroi. Ercole gira teco (S), e veglia ancor sulla terra, per lui già purgata dai mostri. Sole! Tu purifichi le anime (4.), dopo il loro (I) Orna. Giornale dl Trevoux , in B.° 1709 , pag. 1705. (2) Vedi l’Ammate di Cuper, in 4.° (5) Secondo gli Egiziani, Ercole è collocato nel solo. Plus. Isid. et 0sirid. (li) Gudworth. z 78 soggiorno nei corpi mortali (i), facendo ad esse percorrere (a) la costellata tua zona (3). XXIH. Sole! Egli è nel tempio egiziano d’Eliopoli, dove tu ricevi l’incenso più puro di tutta la terra (4): ma, per concepire l’idea che di te conviene all’uomo d’avere, monti egli alla vetta delle montagne: là tu risiedi, là ti com piaci di mostrarti in tutta la tua gloria Le montagne sono i, soli altari degni del Sole. XXIV. Quand’anehe il tempio d’Eliopoli, il più grande il più bello di tutti i tempii conosciuti, fosse grande tanto, da poter contenere gli a bitanti dell’Egitto tutti insieme: non sarebbe forse un sacrilegio intraprendere di rinchiu dervi una divinità, che riempie tutto l’uni verso ? (i) Obserwu. ad psychologìam pylhagoricam. 10a «Îlc. Olle, Argentina, 1775, in 4.“ (2) Platone. (3) Lo zodiaco. (4) /Iîgypzii sole magie quam reliqui homineif gau dent. Pieriua, Hierogl_y. m. [p 2 79 XXV. Si chiede qualche volta ai sacerdoti d’ E liopoli: C/li‘ ha fatto il Sole? I sacerdoti rispondono: » E chi può essere il padre del sole? Egli è generatore e generato: egli ha i due sessiU). u Sole, tu se’ immortale; tu ringiovinisci ogni anno, come il serpente; tu se’ il brillante simbolo dell’eternit‘a (a). XXVI. Paragonato tu fosti ad una ruota, ad un asse (3), messo in moto da una mano invisi bile, più potente ancora di te. Questa mano invisibile ha dunque costituito te il brillante perno della sfera del mondo (4), ed ha fat to, che tutta la natura sia in te potenzial mente compresa (5). XXVII. Alcuni stranieri hanno detto ai sacerdoti (I) Macrob. Sana-n. I. 20, 21. (a) (5) opera. (4) (5) Hyerogly. Horus Ape]. Anassimandro. V. i c. XXIII. XXIV. di questa Macrob. Saturn. Diod. Sic. Bibl. hist. I. 280 d’Eliopoli: » Eccoci nel tempio d’ Eliopoli: noi vediamo il santuario, e l’altare, e i pon tefici, ed il vapore dell’incenso che s’ardc; ma ov’è dunque. il vostro dio? Mostratecene per lo meno l’imagine. « , XXVIII. Il nostro dio è da per tutto. Il cieco stesso ne sente la presenza. Quale statuario potreb be sperare d’olfrirne un simulacro rassomi gliante? Chi ha mai potuto dipingere il so le? E perché perdere la fatica ed il tempo nel voler riprodurre, sotto tratti informi, un originale cosi perfetto, e sempre visibile? XXIX. Altri interrogano i sacerdoti d’Eliopoli per sapere, quante schene vi sono di distanza dall’ Egitto al sole. - Mortale! che t’ importa di saperlo, se il sole ti risparmia il viag gio, degnandosi di scendere fino a te? Se più fossero dappresso, l’Egitto e tutto il globo si struggerebbero a’ suoi raggi , come un globo di cera. XXX. Altri ancora, più temerarii o più ignoranti , 28: vengono a dire ai sacerdoti d’Eliopoli: n È egli vero, che vi sono delle macchie sul di sco del sole? « _ Per risposta,i sacerdoti dirigono quegli ammalati al medico oculista (1). Sole! Tu sei l’occhio dritto della natura (a). XXXI. Dio delle rivoluzioni! Anima del mondo (3)! Sole! Tu sei per l’universo ciò che il Nilo è per l’Egitto. Che cosa diventerebbe la no stra cara patria, se restasse priva, per un sol mese, per un sol giorno, delle acque salubri e fecondanti del suo fiume nutritore? I tuoi raggi sono catcratte di luce e di fuoco, che fecondano la terra e ne rallegrano i figli. XXXII. La perla, il diamante, cdi fiori sono pro dotti d’un sol de’ tuoi sguardi. Basta un solo dc’ raggi tuoi per dipingere le piume degli uccelli e le squame dei pesci. La giovine don zella deve a te 1’ avorio de’ suoi denti, la viva (I) In Egitto, ogni membro, ogni parte del corpo aveva il suo medico. (a) Mundanus‘ oculus. Mar. Capella. Sex. Empi ricus, Ada. mathem. (5) Macrob. Salurn. I. 18, 19. Soma. Scip. II. 12. 282 " porpora della sua bocca socchiu3a, e la scin tilla degli occhi suoi. Sole! sei-tu che co stituisci il bello. ' XXXIII. Sole! Le donzelle egiziane, bruciate da. gli ardori tuoi, potrebbero rimproverarti quella tinta bruna, che oscura la loro av venenza. Ma sono esse perciò meno ama te? Ov’è l’imeneo più fecondo, che sulle due rive del Nilo? Se la terra è la Venere produt trice (l) , tu sei l’Amore, che riscalda e vivi fica tutto (a). XXXIV. Sole! tu hai fatto più per l’Egitto, che per qualunque altra contrada. Per te, diventò esso il padre dei popoli (3) , e la patria delle scienze (1,). Continua a versare sulle nostre teste e sul nostro suolo ituoi giornalieri fa vori. Noi ti promettiamo solennemente di nulla permetterci ,' che macchiar possa la pu (l) Ossia Iside. (a) Plutarc. in Amalario. (S) P. Crinitus, Honest. disciplin. VIII. 2. (4) Maerob. Saturn. I. 15. 283 rezza dc' tuoi raggi. I figli del Sole e delNi lo devono essere tutti saggi, tutti buoni, tutti felici. Sole! Dégnati d’essere sempre il nostro gran Camefio (I). XXXV. Dio sole! dio forte! Tu, che hai fatto il mendo; tu, che dai alla terra le forme e la vita; tu, che ti compiaci in Eliopoli, più che in ogni altra città; re dei diademi (a)! giac ché degnasti fino ad oggi sorridere ai monu menti, a tuo onore eretti in questo sacro re cinto, per le cure di Mithra (3) , di Ramessi, e di parecchi altri monarchi del tuo Egitto: XXXVI. Sole dio! continua a colpirci co’ tuoi raggi creatori, di cui sono emblemi i no stri obelischi. Re del fuoco (1,)! Padre eterno (I) Custode dell’Egitto, nella lingua del paese. Ja blonscki. Panlh. egypl. I. (2) D ' " e" " "s, qui «r' "hm lacit soli: urbem . . . Plin. Ili.n. nel. XXXVI. 8. (5) Plin. H/sl. nal. XXXIV, 8 (4) Nonnus, Dìonys. Cani. XL. 284 dei secoli (I)! Tu, che consumi e produci tutto, deh! ci dona la tua luce quotidiana, da Rossi: (2) fino a Nephte (3). Dio, che sei tut ti gli dei! dégnati benedir noi, cdi figli dei nostri figli, come hai benedetto i padri dei nostri padri (4). (I) Inno orfico ad Ercole. (2) Primo giorno dell’anno, in Egitto. (5) Ultimo giorno dell’anno. NB. Le due ultime strofe sono tradotte quasi lette ralmente dalle iscrizioni geroglifiche degli obelischi dl Eliopoli. ‘ (4) Ammiano Marcellino. XVII. 100. 285 CAPITOLO LVI. Altre particolarità sulla jèsta del Sole. Congiura di una donna. La sacra pompa arrivò a Cercesura , città fabbricata nel sito, ove il Nilo si apre in due braccia, come per rinchiudere nel suo seno l’Egitto inferiore, sino al gran mare. Erano stati colà preparati moltissimi cono pèi (I), per uso delle donne. Questi conopei sono certe tende o padiglioni, per guarentirsi dagl’ insetti nati nelle paludi del Nilo. L’in terno loro è fornito di comode seggiole. Già da gran tempo, i sacerdoti d’ Eliopoli hanno l’uso di qui venire, per attingere so lennemente dell’acqua (a) in un vaso consa crato, cui pongono vicino allo scarafaggio , nel carro del sole: omaggio, che la nazione rico noscente rende ai due suoi benefattori per cc (1) Horat. 0d. IX, Tom. V. Vedi le Note di Da cier. I nostri canapè vengono probabilmente dall'E gitto. " (a) La:lius Rhodigin. Lect. antiq. XXVII. 5. 286 cellenza, il Nilo ed il Sole. Qui si replicarono le sacre danze, rappresentanti i movimenti misurati degli astri, e le congiunzioni armo niche dei pianeti e delle stelle fisse. Questa parte della festa fu tanto più brillante, che il re Amasi aveva disceso il fiume, per assi stervi, con tutta la corte, sicché il suo tre no sembrava una piccola città galleggiante. Ogni gondola o barchetta, che si chiama nel paese Baris_(t‘, è una casa a parecchi so lai. I marinari ed i servi del principe, i favoriti e le favorite, tutti elegantemente ve. stiti, andavano a gara per far onore al loro pa drone con molto lusso. Osservai, che quasi tutti gli astanti erano provvisti di amuletti sotto la forma di scarafaggi, di terra cotta al fuoco, e ricoperta di smalti a vari colori (2). Amasi ne aveva uno sospeso al collo, compo sto d’una sola pietra fina. Questo amuletto gli serviva nel tempo stesso di sigillo reale: quella specie di corsaletto che ha 1’ insetto offre un'impugnatura favorevole a quest’uso. Una barca tutta dorata attendeva il Coro liante ed i suoi assistenti. Amasi, coronato di (i) Propert. III. 9. Suida. Esiehio. (i) Cnylus, Antichità, Toni. U. in 4.° \ 287 loto (I) , gli andò incontro per aiutarlo nel santo suo ministero. L’anfora fu riempita, con molta gravità, nel punto medio del Nilo, e tosto portata sopra il carro, fermo sulla riva del fiume. Per nulla ammettere del cerimo-‘ niale, il principe fece il sacrifizio d' una cop pa d’oro (a), che si andò a gettare, in suo nome , in un sito del Nilo, ove le acque girando sopra sé stesse formano una specie di vortice. Il re aveva condotto seco un coro di stru menti, che non cessò di eseguire dei pezzi (1' armonia. Tutta la sponda era coperta da gran folla di popolo. La sacra pompa prese un riposo di tre ore, durante il quale, la corte diede un banchetto tutto di frutti. Il principe dei sacerdoti ne ofl'erì le primizie al sole in un vaso d’ argilla cotta, e incrostata d’un bellissimo smalto; giacòhè i metalli ma teriali sono proscritti da questo cerimoniale, istituito per ricordare agli uomini il regno della natura, i bei giorni dell’antica semplicità. Erano state preparate moltissime tavole lunghe, tanto vicino al Nilo, che l’acqua ne bagnava quasi il piede. I sacerdoti avevano (I) Iii“. Mad. inscript. Tam. II. p. 28l|. in 12.‘ (i) Solino. XXXII. 288 la loro; il re le sue, sotto una grande e su perba tenda (1). Io fui ammesso ad una di queste. Il popolo celebrò quella santa orgia più ancora con allegria che con devozione. In mezzo a questi clamorosi piaceri, fui commosso da un uso, che meriterebbe di essere praticato alla corte di tutti i principi. Amasi, per segnare la festa con un’azione lodevo le (2) , ordinò di mettere in disparte varii cibi del banchetto reale, e di portarli nelle pri gioni ad alcuni infelici, più degni di compianto che di punizione. Sifl'atto cerimoniale annunzia la grazia del colpevole: le porte della sua carcere gli vengono aperte, e da quel mo mento egli è libero. Durante quest’atto di clemenza, si sospe sero, in segno d’allegrezza, ai rami degli albe ri , che ombreggiavano le tavole (3) , delle co rone d’ acanto, d’arancio, e di pampino: an che questo è un costume antico. Il corteggio si collocò intorno ai pontefici, per essere pronto a ripartire, al loro segnale. (I) Lebenu, Acad. ins. hist. Tam. xx« [’85- 155 in 12.° (2) Plutarco. Agide e Cleomene. (5) Ellanico. Hìs‘t. egypl. - 289 Il gerolimte non indugio molto a darlo; e questo segnale era il ripigliare l’inno al sole, premessavi un’imprecazione contro il crocodilo, simbolo di Tifone. Non conveniva ai sacerdoti di restare fino al cadere del giorno, per non essere complici o testimoni degli eccessi inevitabili in mezzo ad una gran riunione di uomini abbandonati ai piaceri della tavola. La sacra pompa ritor nò dunque ad Eliopoli, ma per un altro cam mino, in modo che la processione descrisse un’ellissi, o una specie di circolo imperfetto: questa figura serve in Eliopoli di geroglifico per segnare certe irregolarità apparenti, che l’occhio dell’osservatore incontra alle volte nel le rivoluzioni planetarie intorno al sole. Io ringraziai molto il sacerdote, che mi aveva servito di conduttore, e, prima di la sciarlo , gli dissi: » Sul territorio di Tebe in Beozia , celebrano i Greci, ogni nono anno, una festa in onore d’Apollo, che ha _molta rela zione con quella d’Eliopoli. Un uomo giovane, cinto la fi‘onte d’un diadema d’oro, porta un olivo, sull’ alto del quale vi è una sfera oma ta di trecento sessantacinque corone di lauro: un coro di giovani donzelle cammina all’ita Tomo H. l‘9 ago torno , intuonando dei cantici che si dicon par tenii. « Enofèo mi rispose, incamminandosi per raggiungere la sacra marcia: n Di tuttii po poli, il greco è quello , che ha più di me moria. « Prima di riprendere la via d’Eliopoli, il Gerofante supplì ancora» ad un altro antico cerimoniale: lanciò sulle acque del Nilo una barchetta di giunse, dopo avervi posta den tro una statua d’Osiride (1), uno dei tipi del sole. Io restai sulla riva, avendomi proposto Amasi, per ritornare a Menfi, un posto fra le persone della corte, in uno dei carri del suo seguito. Durante l’orgia sacra ed uni versale, mi dedicai all’esame di varie par ticolarità, che dovevano sembrarmi curiose. Considerai la forma delle navicelle, che sono altrettanti schifi molto leggeri e solidi nel tempo stesso, costruiti di steli d’una pianta simile al loto. Questi steli sono divisi in pez zi lunghi due eubiti, che si connettono , assi (1) St. Lemoyne, Dissertatia lheolog. ad loflun Jes ram. Dordrecht. 1700. in u." 291 curando e coprendo le_interne commessure con canne. Se ne fabbricano di tutte le grandezze, e portano facilmente nel loro centro un picculo edifizio di legno dipinto o dorato ( I) , secondo le circostanze: l’interno è distribuito in gra ziosissime cellette; la luce ed il fresco vi pe netrano a traverso certe aperture graticolate. Queste barche del Nilo hanno soprattutto la singolarità di non avere il timone alla prora, ma sul fianco (a). Gondole simili possono con tenere fino a dugento persone (3); ma non servono che sino ad Elefantiua, perché il fiu me diventa colà per esse troppo rapido. Assistendo al resto della festa, dopo tra montato l’ astro, che n’è l’oggetto, degenera re la vidi in un’ orgia completa. L’assenza dei sacerdoti d’Eliopoli toglie ogni freno: e l’esempio del re, che s’inebriò insieme coi capi della sua guardia, era poco atto a rite nere la moltitudine nei limiti della modera zione. Il di lui figlio, più temperante, era già ritornato a Menfi da sua sorella. Le favorite approfittarono della libertà accordata loro dal (1) Diod. Sic. Bibl. hisl. I. (2) Musaico di Palestrina. Eliodor. Ethz'ap. V. (5) Maillet, Descript. de l’Ègypte. 291 la doppia circostanza della solennità e del‘ l'ebbrezza d’ Amasi , per dedicarsi ad altri piaceri di loro scelta. Altazaide, quella per siana, che teneva il primo posto negli affetti, o piuttosto nelle abitudini del principe, erasi dileguata dalla sua mensa, per sottrarsi alle conseguenze della crapula. Io l’incontrai, che, accompagnata da una sola delle sue femmine, passeggiava in un luogo appartato. Bella ed altiera, non le mancava che il diadema da regina, avendone il nobile contegno, il porta mento imponente, e le pretensioni imperiose. n Pitagora ,' mi diss’ella (1), nel vedermi passare, tu ci sei dunque restituito. « PITAGORA. Principessa! Nel circolo dei pia ceri, onde tu sei l’arbitra e la sovrana, come hai potuto distinguere uno straniero poco fat to per lo splendore delle corti? ' ALTAZAIDE. Il protetto d’un re, e più an cora, un saggio, da per tutto ove si presenta , lascia tracce della sua memoria . . . Hai tu ottenuto presso ipontefici d’Eliopoli l’ogget to de’ tuoi desiderii? ’ PITAGORA. Essi furono discreti e sobri. Mal grado la raccomandazione del re, mi riman gl) Le mire d’Altazaide sono indicate dalla storia. 293 dano ai sacerdoti di Menfi. Io mi ripromette va da loro maggiore osservanza. ALTAZAIDE. Ciò non mi sorprende punto. Prusom. Come? Anwazamn. Amasi non sa imporre abba stanza per farsi obbedire, come si deve nel suo p0sto. « Altazaide si fermò un momento per fare un gesto alla donna, che l’accompagnava; e questa si ritirò rispettosa. ALTAZAIDE. Pitagora! Io non ti vidi che per un momento: ma quel momento mi ha stò per giudicare di te. Ascolta. lo calcolo sulla tua diicrezione, o, per lo meno, sul tuo in teresse ad essere prudente. Già da parecchi giorni, io vado ruminando in testa un gran disegno; esso è degno del saggio, e me ne bisogna uno per ajutarmi ad eseguirlo: tu sa rai l’uomo che mi bisogna. Non sei tu, quan t’io lo sono, indignato, riflettendo alla mi sera condizione della specie umana? Senza uscire dall’Egitto, io novero quasi trenta mi lioni di uomini, sotto lo scettro di chi? . . . Tu lo vedi là giù: sotto lo scettro d’un av venturiere, che si voltola nel fango, e le cui concubine han più costume e ritegno che lui. PITAGORA. Principessa! . . . agi, Annzame. Non temere. Siam soli, e 'con ta già sul mio secreto. Prraoons. Altazaidel . . . Io non sono qui che uno straniero. ÀL‘I‘AZAIDE. Ed io pure. Ma, benché nata persiana, dispensata perciò non mi credo di eompiangere la specie umana, e di sollevarla, potendo. Prrs‘oons. Io credo che gli Egiziani saa Prebbero scuotere essi medesimi il loro giogo, se lo trovassero troppo pesante. Anwxzsmn. Ed io, senti come penso. Non è saggio, chi non Vuol esserlo che per sé. PITAGORA. Alta‘zaide mi mette, senza dub bio , alla prova. Fatta per abbellire e richiama la corte d’un gran re, distributrice delle sue grazie . . . Anrszsrne. Ed aggiungi , se ti piace, la pri ma delle sue eoncubine. Ma sappi, che mi vi sono adattata, per rappresentare una parte più degna d’ un’ anima elevata. PITAGORA. Progetti si alti male convengo no ad un oscuro partigiano della verità. Io non farci che accrescere la folla degli ambi ziosi insensati e temerarii. Tu stessa, Altazai de, temi di vederti scopo alle onte della ca lunnia. Non si vorrà mai credere, che una pas 295 sione più nobile, più pura, più disinteressa ta dell’ ambizione, sia stata l’unico impulso alla grande catastrofe, che tu vai meditando. Vi saranno anche degli uomini , i cui principii austeri si concilieranno male con le circostan ze in mezzo alle quali tu ti ofl'rirai ad essi. Perdona alla mia sincerità: questi uomini esigenti ed alteri rigetteranno il vasto piano, anche perché chi l’ha concepito professa uno stato . . . per lo meno, sospetto. ALTAZAIDE. Poco mi cale di ciò che si vor. rà dire a mio carico. Quando si tratta di provvedere al bene di milioni di uomini, in differente è la strada che si fa loro tenere, co me la mano che li guida. Il mio nome sarà un giorno benedetto nei templi. Pitagora! tutto ci favorisce. Le considerazioni personali non ci entrano per niente. Noti senza dubbio ti sono i vili mezzi adoprati da Amasi per elevarsi fino al trono. L’Egitto, superbo pel rango che occupa fra le nazioni, si ver gogna d’ aversi dato un tal capo; eppure, gli avrebbe perdonato l’umiltà dei natali, se cu rato egli si fosse di farli dimenticare colla dignità della sua condotta. Amasi non è né amato nè considerato, e nulla ha fatto per 296 esserlo. La guardia straniera, che lo circonda, gli rende avverse tutte le truppe nazionali Tutto questo popolo, per natura inquieto (Il , mormora nel vedere la preferenza qui data ai Greci, ed il disprezzo per gli usi del pae se. I sacerdoti debestano il principe, e non ne fanno un mistero: tu stesso hai veduto, come fu ricevuto in Eliopoli il sigillo reale. L’ora pr0pizia è giunta: benemerito si ren de degli uomini, chi coglie ogni occasione per affrancarli. Esiste un partito, che non at. tende per dichiararsi se non una prima scintilla. E, non dubitarne, questo partito, se ha bL sogno di soccorsi, li troverà presso le po tenze vicine. La corte di Persia è flavorevol mente disposta; prevenuta per varii secreti motivi contro Amasi, essa agirà, alla prima notizia d’una rivolta. PITAGORA. Altazaide! E quali sono i tuoi ulteriori disegni? ALTAZAXDE. Prima dell’ avvenimento, non si può . . . Eh! non sarebbe la prima volta, che l’Egitto avesse messo alla testa de’ suoi affari (I) Tertulliano così caratterizza gli Egiziani: 68718 ria‘os’a erga suos reges. 291 qualche stranieroyra0comandati già per aver le prestato un si distinto servigio, la na zione, troppo popolosa onde pensare ad una forma di governo più libera, potrebbe offrire a noi due il posto di Amasi, quando questi fosse restituito alla prima sua oscurità. Puracona. Principessa! Io rendo omaggio all’arditezza delle tue viste, e ti ringrazio per avermi creduto capace di associarmi alla tua gloria ed al tuo genio. . . Ma io ti cedo la mia parte del trono. I miei sono ben diversi da’ tuoi principii; ave'mzati dunque, senza di me, nella larga e pericolosa carriera, che ar di di percorrere; e non cercar di sviarmi dallo stretto sentiero, pel quale mi sento dalla natura chiamato. « In quel punto, si venne ad annunziarci la partenza del re, ed il suo ritorno a Menfi. Altazaide mi disse, lasciandomi: » lo crede va che i saggi avessero più carattere. « Io gli risposi: » Conte’ntati di volerli dis _cret1. « - Questo dialogo, benché non m’ inquietasse molto sulle sue conseguenze, mi fece nondi meno riflettere sulla causa delle rivoluzioni politiche. Un re di Persia è geloso di quello di Egitto. Non osando abbandonarsi ai dubbi “k '29’8 rischi d’una guerra aperta, incarica miadom na giovine e bella ed intraprendente, della cura di vendicarlo: » Persiana, introduciti, le dic’egli, alla corte d’Amasi; inebbrialo nei piaceri; rendilo nel tenipo stesso odioso e spregevole a tutti i suoi sudditi; getta quin-. di gli‘oechi intorno a te, per cercare qualche giovine ambizioso, che s’in'tereSSi nelle tue viste; proponi un capo ai malcontenti; e pre vieni me dell’ora, in cui dovrà scoppiare la cospirazione. Io mi presenterò alla frontiera; e frattanto che si cercherà, nell’interno, di riuscire, io proteggerò colle mie armi il par tito insorgente. Metterò allora la nazione co si nell' alternativa o di cangiar di padrone , o d’avvilupparsi in una guerra civile; nell’ uno come nell’altro caso, il mio trionfo è certo: il popolo del Nilo sarà 0 mio tributario o mio servo. u Tal è probabilmente il piano propostosi dal're di Persia: e chimerica non n’era la ese cauzione. Cosi dunque il destino di venti e più milioni di uomini, della nazione più an tica, del paese più bello_ della terra . trovavasi in mano d’una cortigiana, od in balia d’un giovine avventuriere! Per dissipare queste importune idee di po ‘ 299 litica , io ascesi, sul far dell’alba del seguente giorno, un’eminenza vicina a Menfi; ivi, al l" alzarsi del grand’ astro, cercai di ricordarmi le strofe principali dell’inno al sole, cantato nel tempio d’Eliopoli. Condotto dall’argomen to , trovai con maraviglia che m’ingegnava di gareggiare coi poeti sacri dell’Egitto", e di aggiungere alle loro alcune delle mie idee. Se la poesia ha bisogno di oggetti maravigliosi, di grandi imagini, di magnifici spettacoli: ove può trovare quadri più brillanti più variati più maestosi di quelli dell’ astronomia? ov’è la natura più imponente , che nel suo sistema pla netario? Non è forse un richiamare le muse alle vere loro funzioni, consacrare la lira all’ armonia dei corpi celesti? Alla vista dei fenomeni, che giornalmente presenta la volta eterea , l’ imaginazione s’ infiamma, nasce l’en tusiasmo, ed alzandosi il poeta a paro del suo tema, deve farsi com’esso sublime. E chi può restare assopito al levar dell’auro ra ? chi ravvivar non si sente, alla presenza dell’astro signore del giorno? qual viaggia tore può difendersi da una dolce malinconia, quando, in mezzo ad una bella notte d’ estate, tacito cammina, al blando chiarore dell’argen tea luna? L’ astronomia appartiene partico 300 larmente alla poesia: in tutti gli altri feno. meni offerti alla nostra ammirazione ed alla nostra riconoscenza, la poesia ha per rivali tutte le altre arti. La pittura, la scultura aspirano anch’ esse all’ imitazione della natura: ma quale altra può, come la poesia , darci la idea del movimento degli astri? come potreb be lo scultore rappresentare una cometa? qual pittore assumerebbe di raffigurarci le leggi e la durata (1’ un ecclissi, di rimontarne alle cause, e di riprodurne gli effetti sul l’occhio e sull’anima d’un popolo ancora scl vaggio, od anche di quello che non è più tale? _ . Eppure, non esiste ancora un poema de gno di tal materia. Divino Omero! Perché non preferisti il sole al coraggioso Achille , ed an che al saggio Ulisse? Ma forse fu migliore il tuo consiglio. I passi giganteschi, che fece la Grecia nell’astronomia, sono recentissimi; e le Muse avrebbero quindi dato 1’ immorta lità a degli errori: il buon Esiodo è tutt’al tro che astronomo. Tuttavolta, i poeti, che hanno 1’ orecchio più musicale degli altri uomini, non avrebbero potuto renderci sen sibili i movimenti armoniosi del cielo planeta rio? Se non che, diciam pure: » La natura 301 dei suoni prodotti dal concerto degli astri non è proporzionata all’orecchio umano. a Alcuni giorni dopo, io resi conto al re del l’ accoglimento fattomi in Eliopoli , e gli chie si la permissione di servirmi ancora del si gillo della sua corona, per essere ammesso nel collegio di Menfi. nPersevera, mi‘rispose Amasi. La dottrina dei pontefici è proprietà loro: io non ne ho verun diritto; non posso che cccitarli a rice Vere favorevolmente gli stranieri, pei quali io m’interessa Il tuo sovrano Policrate è più fortunato: i sacerdoti di Samo non oserebbero mai ciò che si fanno lecito quelli d’Egitto: e peggio ancora andavan le cose innanzi a Ses0stri. Ma una sana politica consiglia di non urtarli. Possono essi leggere sul pelo del bue Api (I) il decreto che priverebbe mio figlio della successione al trono. Altazaide ha saputo distinguerti, e mi ha parlato di te. Essa non è una donna comune. « Altazaide arrivò in quel momento; ed a vendoci Amasi lasciati soli, per andare ad un sacrificio, ella mi disse: n Pitagora! Sei tu ancora nelle medesime disposizioni? e (i) Plutarco, Iside ed Osiride, 302 PITAGORA. Non si cangia di principii da un sole all’altro. Aurszauas. Qui non si tratta d’una teoria nuova. Sai tu perchè le nazioni non sono abbastanza felici? Perché i saggi non sono abbastanza ambiziosi. PITAGORA. Allora non sarebbero più saggi. ALTAZMDE. Prosegui nelle tue dotte specu lazioni. Va a regolare il movimento dei pia neti, e lascia i tuoi simili nel disordine; Ep pure, hommi sempre creduto, che si dovrebbe occuparsi della felicità della terra, piuttosto che dello stato del cielo. PITAGORA. Gli uomini non sono suscettibili di correzione, come gli altri animali; si per de la fatica, volendo renderli più felici che ‘ non sono. _Aurazamz. In Persia, è comparso un secon do Zoroastro (i), che non ha i tuoi scrupoli. Prracona. Io non ne invidio la gloria nè i successi. Acmzunr. La storia è piena di rivoluzio ni politiche. ’ ‘ PXTÀ.GORA. Quasi tutte operate col profitto dei pochi soltanto. La massa resta sempre la stessa. (i) Anquelil , Zendmvesta , inilia. 303 ÀL'l‘AZAIDE. Che importa a noi della mas Sa? Il suo destino deve seguire il nostro; e quand'essa trova dei padroni, che la tratta« no con dolcezza , non ha che desiderare di più. PITAGORA. In somma, non penso di dover compromettere la mia tranquillità per un ri sultato si poco soddisfacente. Altra carriera mi si apre dinanzi: lascia che mi slanci verso un ‘ oggetto, che mi sembra più onorevole e me no risicoso. ALTAZAIDE. Pitagora! . . . Prmcom. Nato in bassa fortuna, lasciami vivere in questa: voglio in questa morire. Anwaz1umz. Addio, Pitagora. « Altazaide, posando 1’ indice sulle labbra chiuse, aggiunse: » Sopra di tutto, non di monticarti di sacrificare al dio Arpocrate. « IIN8 DEL TOMO SECONDO. I N I) I C E DE’CAPITOLI CONTENUTI NEL TOMO SECONDO. -<:m<> CAP. XXIX. Preci a Venere. . . pag. CAP. XXX. Viaggio a Sidone. - Gli 3 atomi di Mosca. . . . . . » CAP. XXXI. Prime Origini fenicie n 12 29 CAP. XXXII. Particolarità sopra Si done, Berite, Biblo.-Feste di Adone . . . . . . . . . . . . . . » 3q CAP. XXXIII. Viaggio a Tiro . . . n 51 c». XXXIV. Annali di Tiro . » e. CAP. XXXV. Viaggio in Egitto. Rico noscimento delle Coste. . . . n 66 CAP. XXXVI. Pitagora a Canapa . n CAP. XXXVII. Topografia dell’Egitto n 74. 84 CAP. XXXVIII. Origini egiziane. - Osiride . . . . . . . . . . . . . n 101 CAP. XXXIX. Menete, Osimandia, la regina Nitocri, Sesoctri . . . n 114 CM», XL. Cete, Seta sacerdote e re, Ecate'o, Psammetico . . . . pag. 123 CAP. XLI. Aprio, Amasi . . . . . . n 132 CAP. XLII. Culto e costumi di Cano po. -- Tempio di'Serapide . » 141 CAP. XLIII. Viaggio a Naucrazia ., n 141 XLIV. I prodigi dell’Egitto. . n 151 CAP. CAP. XLV. Continuazione delle mara viglie dell’Egitto. . . . . . . . » 161 CAP XLVI. Pitagora a Menfi.-- Co CAP. stumi privati degli Egiziani. » 176 XL.VIL Particolarità domestiche dell’ Egitto. -- Commestibili. Ar ti,e Mestieri. .. . . . .. . » 188 . n XLVIIL Sulle Donne CAP XLIX. Pitagora alla corte d’A CAP. masi. . a a u nana. 202 . . » 208 CAP. L. Viaggio ad Eliopoli . . . . n 214 CAP. LL Pitagora nel tempio d'Elio poli . ooo'ocounooauu n 222 CAP. LII. Calendario egiziano. . . . n 231 (In. LIII. Particolarità sul culto del Sole..... ...n 239 CAP. LIV. Descrizione della gran fè sta del Sole. . . . . . . . . pag. 25m CAP. LV. Inno al Sole, come si usa nel tempio di Eliopoli . . . . n 265 CAP. LVI. Altre particolarità sulla fe sta del Sole. _ Congiura di una donna...........» 285 '\ Osterreichische Natìonalbibliothek +2178394001