@ DELLA DOMENICA [email protected] ANNO XVI - N. 8 DOMENICA 3 MArzO 2013 SPED. ABB. POST. - DL 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N° 46 Art.1, Comma 1, DCB) ROMA TAXE PERCUE - TASSA RISCOSSA - ROMA ITALY EURO 1,50 S E T T I M A N A L E S O C I A L 24 - 25 FEBBRAIO 2013 - ELEZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE Nencini: serve un governo di responsabilità P remesso che in questa situazione non ci sono domande facili a cui rispondere e dunque metto in conto risposte problematiche, devo innanzitutto chiederti: come se ne esce? tra Grande coalizione, chiedere i voti a Grillo, governo ‘monocolore’ o lasciare in carica quello ‘tecnico’ che c’è per andare alle elezioni anticipate nel più breve tempo possibile, tu che strada prenderesti? La strada migliore per l’Italia nella situazione in cui si trova è quella di un ‘governo di responsabilità’. Ma non bisogna solo considerare la formazione del governo. Ci sono da eleggere i vertici di Camera e Senato e il successore di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica. C’è un bisogno assoluto di avere istituzioni profondamente convinte di essere al servizio dell’Italia. La proposta del governo di responsabilità, per l’estrema delicatezza della situazione, va rivolta all’intero Parlamento. Grillo ha conquistato milioni di voti lasciando non solo noi, ma mezzo mondo senza parole. Non è solo merito suo, è anche demerito della politica, anzi dei partiti. Vogliamo assegnare delle responsabilità? Chi ha responsabilità di governo porta anche responsabilità maggiori. Dunque sicuramente c’è una responsabilità del governo in carica e una assai più grande in quello che lo ha preceduto. Il governo Berlusconi ha aggiunto a una crisi economica e finan- ziaria che ha investito l’Europa e il mondo intero, altre tre crisi, mettendo il nostro Paese in una situazione difficilissima. Berlusconi porta tutta la responsabilità di una crisi politica, di una crisi morale e di una crisi, fortissima, di missione. Ha fallito nel compito più importante che doveva ssolvere, quello di dare una rotta all’Italia per uscire dalla tempesta. Però quanto avvenuto oggi con Grillo richiama alle memoria la nascita della lega e poi l’ascesa di Di Pietro... La crisi più violenta per la politica, quella del 1992, ha radici profonde. Era cambiato il quadro sociale del Paese. Non possiamo dimenticare che l’industria aveva ceduto il passo al settore terziario. Che stava emergendo una società nuova, quella della conoscenza che andava interpretata con moduli nuovi perché essa stessa generava problemi nuovi. Questa è la radice della diversità e Berlusconi ha mancato di soddisfare proprio quella segue a pagina 2 Gli eletti Riccardo Nencini Senato; Marco Di lello Camera; Pia locatelli Camera; lello Di Gioia Camera; Oreste Pastorelli Camera; Fausto Guilherme longo Senato; (Circoscrizione Estero Sudamerica) Dopo la fine della Repubblica dei partiti e la vittoria di Grillo Ci serve un governo di minoranza, un programma limitato e a tempo Alberto Benzoni Q ueste elezioni sono state un verdetto di morte. Per tutte le culture politiche della prima e della Seconda Repubblica, e anche per le formazioni che le rappresentavano. Scomparsi: i postfascisti, i liberali, i democristiani e/o i centristi, i repubblicani, i socialisti, i verdi, la sinistra radicale, di tipo sociale o giustizialista. I leghisti al livello minimo del 2001, in quanto ai democratici, hanno continuato a fare il vuoto intorno a loro, seguendo, magari senza rendersene conto, il modello di Veltroni del 2008, ma per ottenere un risultato di 8 punti inferiore a quello di allora. A destra, il Pdl tiene i risultati di Forza Italia nel 1994, ma aggrega intorno a sé una massa indistinta di frattaglie. La sconfitta, peraltro, è anche dei partiti in quanto “trasmettitori di messaggi” e di iniziative politiche riconoscibili e condivise. E, in questo caso, particolarmente del Pd, l’unico che pretendesse di costituire un collettivo o, nel pessimo neologismo in voga, una “squadra”. Sarà, ma nessuno se n’è accorto. Perché questo grande e glorioso collettivo non è stato in grado di trasmettere un Dizionario di antipolitica Marco Di lello Ugo intini messaggio che è uno, se non quello di una voluta vaghezza di idee e di propositi, vaghezza che si è trasformata in un handicap catastrofico sui due temi fondamentali dei rapporti con il centro e di quelli con l’Europa. Certo, il centro-sinistra ha vinto. Ma la sua è chiaramente una vittoria di Pirro, di più un successo (il 55% dei seggi con il 30% dei voti…) che rischia, a breve, di tradursi in un vero e proprio boomerang politico. Per il semplice fatto che spetterà a Bersani di presentare una proposta di governo, in un contesto in cui queste proposte o non sono praticabili o hanno, comunque, per il Pd, un costo politico evidente a tutti. Tanto che, all’interno dello stesso Partito democratico, già ci si comincia a dividere, e in modo plateale, sulla linea da seguire. Per tornare su due altri “verdetti” di questa tornata elettorale. Che riguardano, insieme, la natura della sinistra e il nuovo discrimine destinato a segnare il confronto politico nel nostro Paese. Per capire la natura del problema partiamo da una duplice constatazione. Primo, la sinistra di Governo, come quella radicale sono, ambedue, uscite sconfitte dalle urne. Il Pd, si diceva, è segue a pagina 2 i servirà proprio lo stellone, quello famoso che sta anche nei timbri dello Stato. Col passare dei giorni crescerà la consapevolezza che serve davvero un santo a cui affidarsi perché lo scenario peggiore, quello che anche il Presidente della Repubblica aveva ripetutamente segnalato alle forze politiche quando indicava l’urgenza di modificare la legge elettorale, si è realizzato. Si sa chi ha perso, però non ha vinto nessuno, o meglio, ha vinto solo l’antipolitica. Per ora si possono intravvedere solo soluzioni di emergenza, cosiddette di scopo, perché la debolezza dei numeri al Senato, innanzitutto, impedisce qualunque soluzione politica stabile. Nè Grillo, né Berlusconi sono ‘coalizionabili’, ovvero le loro forze parlamentari non possono essere sommate per sostenere un governo politico. Solo il PD e la Lista Monti, potrebbero trovare un compromesso, ma non avrebbero i numeri per una maggioranza e un governo di Grande coalizione, ovvero PD, PDL, Lista Monti, porterebbe altra acqua al Mulino Grillo senza tener conto degli effetti più o meno dirompenti all’interno all’interno del PD innanzitutto. Il crinale si fa strettissimo perché le soluzioni di emergenza, come quella di un monocolore PD che si cerca i voti in Parlamento di giorno in giorno, o del governo attuale che resta in carica come governo ‘tecnico’, non solo sarebbe sposto ai venti tempestosi degli umori parlamentari e dei mercati, ma si giustificherebbe solo con un ritorno alle urne a data anticipata. E perfino questa strada di un ritorno anticipato alle urne non può essere quella dei tempi brevissimi, perché il Quirinale è entrato nel ‘semestre bianco’ e non può più sciogliere le Camere, né una, né tutte e due. Nella migliore (peggiore?) delle ipotesi se ne riparla tra quattro mesi o giù di lì. Si può governare un Paese come l’Italia in queste condizioni per più di tre o quattro mesi? Dunque nel rompicapo entra anche l’elezione del successore di Napolitano e qualunque accordo tra le forze politiche deve mettere nel conto anche il nome del futuro inquilino del Quirinale; anzi lo deve mettere in cima alla lista visto il ruolo cruciale che assumerà nei mesi a venire. E nessun accordo è davvero praticabile se non si trova un accordo anche sulla legge elettorale essendo ormai chiaro a tutti che rivotare col Porcellum significa certificare il naufragio dell’Italia. I socialisti tornano in Parlamento dunque in una situazione difficilissima, forse la peggiore dal dopoguerra. È entrata in crisi la politica perché la sfiducia dilagante – giustificata o meno l’ antipolitica nasce certo, innanzitutto e come è ovvio, dal degrado della politica stessa, dall’odioso senso di impunità di capi e capetti, cui hanno concorso venti anni di berlusconismo insieme all’assenza (caso unico in Europa) di partiti veri, con la credibilità derivante dalla continuità e dalla storia. Quale antidoto alla retorica che, anch’essa, alimenta la antipolitica, e quale strumento per la ricerca di una soluzione, non è tuttavia inutile partire dal dizionario, ovvero dall’ABC sul significato delle parole e sul loro peso nella realtà del Paese. inciucio. Il termine, imposto a suo tempo da Di Pietro, è oggi stato ereditato da Grillo. Nell’ultimo sciagurato ventennio, è stato accettato passivamente per opportunismo, o viltà, o ipocrisia, o semplicemente stupidità. Oppure per tutte e quattro queste ragioni insieme. In tal modo, si è ridicolizzata e delegittimata l’essenza stessa della politica, che è da sempre, in tutte le democrazie del mondo, al contrario, “l’arte del possibile”. Fatta pertanto di mediazioni, compromessi, paziente ricerca di punti di equilibrio, realismo, rinunce personali e collettive. Bipolarismo. Da decenni insistiamo che funziona nei Paesi dove in ciascuno dei due poli l’area della protesta confusionaria, della demagogia populista e dell’estremismo risulta assolutamente marginale. Non ha funzionato in Italia, perché questa area (che per semplicità si può definire “della irrazionalità”) è sempre stata da noi, al contrario, determinante in ciascuno dei due poli. Sino a che (vellicata e legittimata dagli apprendisti stregoni di entrambi gli schieramenti) si è ingigantita oltre misura, gonfiata dalla “diseducazione” alla politica, ed è esplosa all’interno dei due poli, fuosegue a pagina 2 Il nodo dei Cinque Stelle e gli errori del PD nella campagna elettorale olo nell’ultima settimana i partiS ti di destra, di centro e di sinistra hanno ritenuto meritevole di qual- Fabio Fabbri T A Diario elettorale Nencini, desiderio cambiamento genererà ingovernabilità “C’è la conferma del desiderio di un forte cambiamento, ma questo genererá ingovernabilità”. È il commento di Riccardo Nencini, segretario nazionale del Psi, ai dati parziali dei risultati delle elezioni politiche. “Da socialisti dovremmo gioire: noi torniamo in parlamento, Di Pietro è fuori. Da italiani siamo preoccupati. C’era bisogno di stabilità, gli italiani hanno scelto l’ingovernabilità”. Di Lello, dare risposte agli elettori di Grillo “Non si possono eludere le domande che arrivano dalla piazza di Grillo se non vogliamo ritrovarci a combattere contro una nuova forma di demagogia populista”. È il commento di Marco Di Lello, coordinatore della segreteria del PSI e candidato nelle liste del PD per la Camera in Campania alla Radio CRC. “Dobbiamo dare delle risposte serie e credibili anche a quegli elettori che hanno votato Cinque Stelle. Questo non vuol dire prendere per buone tutte le proposte di Grillo, ma discuterle sì, e quando è giusto anche condividerle e portarle avanti. Se saremo maggioranza terremo conto di quanto chiedono gli elettori del Movimento, altrimenti si dovrà tornare al voto e domandare nuovamente la fiducia agli elettori”. Di Lello, Quanto si farà paghare la Rai per i sondaggi? segue a pagina 2 Inevitabile un ritorno alle urne S - Elezioni 2013 - Lo Stellone e le nostre idee C I che attenzione il “pericolo Grillo”. Prima di allora la contesa è stata pigramente incentrata sul bipolarismo di guerra fra sinistra e berlusconismo, con la sola variante delle ‘salita’ in campo di Monti. Eppure il caso Parma, con la disfatta dell’‘usato sicuro’ del PD, il Presidente della Provincia candidato segue a pagina 3 “Se verrò eletto la prima interrogazione che intendo fare è per sapere non quanto la Rai ha pagato per i sondaggi e le proiezioni su queste elezioni, ma quanto si farà pagare”, ha affermato in merito Di Lello, commentando l’enorme discrepanza tra i dati diffusi e forniti della Rai e quelli ufficiali del Ministero dell’interno. Liguria. Viaggi “Dai risultati elettorali di ieri emerge con chiarezza il desiderio di un forte cambiamento”. Lo dichiara Maurizio Viaggi, segretario del Psi Ligure. “Non averlo saputo pienamente comprendere e interpretare è stato l’errore del centrosinistra. I socialisti tornano in Parlamento e il nostro contributo è stato determinante per ottenere il premio di maggioranza che questa legge prevede. Non nascondiamo la nostra preoccupazione, poicé c’era bisogno di stabilità e ora rischiamo l’ingovernabilità. Ora affiancheremo Pierluigi Bersani nell’impegnativo compito di garantire governabilità con senso di responsabilità nei confronti del Paese e di consapevolezza della grave crisi che sta attraversando. In Liguria a Maggio saremo chiamati a scadenze elettorali per il rinnovo di molte amministrazioni comunali dove i socialisti saranno presenti con propri candidati e liste. Dai territori e dalla partecipazione democratica deve rinascere un ritrovato consenso e condivisione con i cittadini”. Abruzzo. Carugno “Il risultato elettorale che si va delineando in Abruzzo dimostra come sia sempre piu necessaria una coalizione di centrosinistra compatta e coesa e quindi si impone una rapida segue a pagina 3 DELLA DOMENICA 2 www.partitosocialista.it Lo Stellone e le nostre idee Di lello dalla prima che sia – nei partiti incrina alle fondamenta il sistema basato sulla democrazia parlamentare. Di questo stato di cose i partiti, il PSI compreso, portano la gran parte della responsabilità. Prima di tangentopoli venne sottovalutato il fenomeno della Lega, anzi si chiuse gli occhi di fronte alla protesta crescente degli strati produttivi del Nord del Paese. Dopo si fece finta di pensare che Di Pietro, con l’interventismo di una parte della magistratura, avrebbe sanato l’Italia. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. La corruzione è cresciuta e a rubare non sono più partiti (che almeno, di solito, con quei soldi finanziavano la politica), ma i privati per comprarsi ville, yacht e Ferrari, (o fuoristrada quando nevica a Roma). Ci serve un governo di minoranza, un ... Benzoni dalla prima 8 punti sotto il 2008, siamo al 25%, più o meno sui livelli del solo Pci nei primi decenni del dopoguerra. In quanto alla sinistra radicale, nel modello sociale come in quello giustizialista, questa, pur in una situazione apparentemente molto propizia, è ridotta ai minimi termini. A mangiarsi tutto, a raggiungere, di primo acchitto, un risultato senza precedenti nella storia politica italiana ed europea (dal nulla a primo partito con quasi 8 milioni e mezzo di voti) è una nuova formazione politica, una formazione che ha ereditato buona parte dei suoi consensi dalla sinistra tradizionale per la duplice e ottima ragione di rappresentare, essa sì, una “costola della sinistra”, ma al tempo di modificarne, anche in modo radicale, i tradizionali parametri di riferimento. “Costola della sinistra”, indiscutibilmente, nel messaggio e, soprattutto, nella natura del personale politico incaricati di trasmetterlo. Mutamento radicale nei parametri: schematizzando al massimo, non più lavoro contro capitale od onesti contro corrotti, ma piuttosto cittadini contro casta. Una casta che, agli occhi di tutto, appare globalmente responsabile dei disastri dell’ultimo ventennio. Populismo di sinistra, dunque. In un orizzonte che comprende necessaria- Nencini: serve un governo di ... dalla prima promessa di rappresentare i ceti emergenti con cui si era entrato in politica e conquistato il governo. Ma la questione non riguarda solo la classe politica. Non si può infatti ignorare il ritardo clamoroso di tutte le classi dirigenti. Da Ligresti a Rizzoli c’è stato un crollo verticale delle capacità di ‘governo’ dell’industria e della finanza. Se ci guardiamo alle spalle, vediamo per esempio che nella Borsa italiana in testa ci sono sempre le stesse aziende e gli stessi nomi. Nepotismo, familismo e basso valore aggiunto. E non è che sia andato diversamente nelle Università. Poi la ribellione degli elettori si è scaricata nelle urne, ma potremmo dire anche che la politica, con i partiti tradizionali, è stata un facile capro espiatorio per un fallimento assai più diffuso. È vero che anche il PD non si è speso granché per modificare la legge elet- “E ora che volete fare? Cosa proponete? Questa è la domanda che vorremmo rivolgere agli elettori di Grillo. Comprendiamo la loro rabbia, ma anche la sterilità di una protesta di queste proporzioni. È il Paese di Masaniello perché se è vero che i partiti ‘fanno schifo’, come dice la vulgata di Cinque Stelle e dintorni, è vero anche che questa politica, di questi partiti, è stata fatta dagli italiani, non dai marziani. Dunque prima dobbiamo curare noi stessi, il nostro scarso senso civico, la bassa propensione a pagare le tasse e rispettare le regole, ecc.. Noi abbiamo solo la forza delle nostre idee, della tradizione di un partito che da tempo ha scelto la strada del riformismo per risolvere i problemi un po’ per volta, nel segno della giustizia sociale e della libertà. E queste nostre vecchie e care idee le porteremo in Parlamento, dove siamo tornati dopo un’assenza durata cinque anni. mente un giudizio negativo sull’Europa come è e come si manifesta. Un messaggio, anche questo, per la nostra sinistra di governo. Giusto e doveroso scommettere sulla dimensione europea, ma per favore avendo qualcosa in mano, altrimenti il nostro, doveroso, internazionalismo rischia di non essere né capito né apprezzato. In questo clima e con questo mandato, il Movimento Cinque Stelle appare oggettivamente ingestibile, almeno come punto di riferimento di alleanze e/o accordi di tipo tradizionale, tanto più se riferibili a combinazioni di governo. Ed è questa una delle premesse indispensabili per assumere un qualsiasi orientamento sul “che fare”. Già ci si divide, al riguardo, tra sostenitori del governissimo e partigiani dell’accordo con Grillo, con il contorno di richieste di dimissioni di Bersani. A nostro modestissimo avviso due strade o politicamente rovinose o impraticabili. Praticabile, o comunque corretto, invece, ipotizzare un Governo di minoranza, con un programma preciso e limitato nel tempo: riforma elettorale e istituzionale (non c’è doppio turno senza semipresidenzialismo), misure urgenti per l’economia, apertura di un confronto con i nostri partner europei, e che chieda, su questa base, i necessari concorsi parlamentari. Probabile o comunque corretto. Almeno in teoria. Nella pratica un film tutto da scrivere. [email protected] torale visto che col Porcellum aveva non solo le liste bloccate in mano al segretario, ma si sentiva in tasca anche l’enorme vantaggio del premio di maggioranza? Non aveva ragione Napolitano a insistere sulla riforma della legge elettorale? la si può fare ora e come? Questo è uno dei primi punti che il nuovo governo deve avere nell’agenda delle cose urgenti da fare. Resto fermamente convinto che bisogna restituire ai cittadini il diritto di scegliere gli eletti. Lo si può fare con le preferenze, che incontrano molta diffidenza, ma lo si può fare anche con dei collegi uninominali piccoli che consentirebbero all’elettore di conoscere da vicino non solo i candidati, ma anche i programmi. E poi darei il voto ai sedicenni. Puoi spiegare come fa Berlusconi a dire che praticamente ha vinto visto che ha perso rispetto al 2008 quasi la metà dei suoi elettori, cioè oltre sei milioni di voti? E la sua coalizione 7 e mezzo! Dobbiamo ammettere che le elezioni le ha Direttore Politico della domenica Organo ufficiale del Partito Socialista italiano aderente all’internazionale Socialista e al Partito Socialista europeo ANNO XVI - N.8 - DOMENICA 3 MARZO - 2013 Breve dizionario di antipolitica intini dalla prima riuscendone e creandone un terzo, assolutamente nuovo: quello del “grillismo”. Volevamo così il bipolarismo e abbiamo ottenuto il tripolarismo, con tre poli che all’incirca si equivalgono. Peggio. L’area della irrazionalità, ovvero delle forze che non si riconoscono nelle grandi famiglie democratiche europee, è a ben vedere ormai la più consistente. Al grillismo infatti vanno aggiunte le componenti anomale rispetto all’Europa ancora presenti, nonostante l’esplosione prima ricordata, all’interno degli altri due poli: leghismo separatista, fascismo, vetero massimalismo post comunista. Personalizzazione. È sempre una malattia della democrazia, ma si manifesta seriamente quando ci sono davvero leader carismatici sostenuti da un grande consenso popolare. Altrimenti, è soltanto ridicola. Lo è in Italia, dove il campione della personalizzazione è Berlusconi, il quale ha ottenuto il consenso di un italiano su cinque, se si contano, come è giusto, anche gli astenuti (ancora meno se si pensa a quanti lo hanno votato turandosi il naso in nome della “scheda utile”, imposta da un sistema elettorale demenziale). Un altro campione della personalizzazione è stato Di Pietro. Chi non ha la memoria corta ricorda che nel 1993 molti volevano l’elezione popolare diretta del presidente della Repubblica. Ma l’idea è stata accantonata perché si è calcolato che con l’elezione diretta avremmo avuto probabilmente capo dello Stato proprio l’eroe di Mani Pulite. Oggi tutti hanno capito chi era in verità l’eroe: Di Pietro è fuori del Parlamento, con un consenso personale probabilmente nell’ordine dello zero virgola qualcosa per cento. Così si sgonfiano la personalizzazione della politica e i palloni, appunto, gonfiati. C’è sempre un puro più puro che ti epura. Il grillismo ha liquidato il dipietrismo, prendendone il posto. Non osiamo immaginare (se nel frattempo non ritornerà la politica con la P maiuscola) cosa prenderà il posto del grillismo. Democrazia virtuale. Nel 1995, ho scritto un libro intitolato “La democrazia virtuale”. La tesi era la seguente. La democrazia si sviluppava ormai non sulla realtà reale, ma sulla “realtà virtuale”, rappresentata in modo artificioso dal media del momento: la televisione. La TV ha portato alla vittoria Berlusconi: quello che la sapeva usare vinte Grillo e le ha perse il centrosinistra, che c’è un vincitore e uno sconfitto. Ma i numeri dei voti nelle urne ci confermano che il ciclo berlusconiano si è esaurito. Se ha perso, come ha perso, quasi la metà del suo elettorato è evidente che la caduta di Berlusconi, nonostante le bugie e le promesse della sua campagna elettorale, si è fatta inarrestabile. Questo però non vuol dire che è finita la destra in Italia, ma semplicemente che lui non la rappresenta più. Che in Italia non c’è una destra come quelle del resto d’Europa e che anche Monti, che voleva in qualche modo assumerne la guida, non ci è Riccardo Nencini Segreteria di Redazione Domenico Paciucci Direttore Editoriale Roberto Biscardini Società Editrice Nuova Editrice Mondoperaio srl Direttore Responsabile Dario Alberto Caprio Presidente del Consiglio di Amministrazione Oreste Pastorelli Redazione Carlo Corrér, Emanuele Pecheux meglio e soprattutto la possedeva per metà. Adesso, il media del momento, che crea la “realtà virtuale” è Internet. Come la televisione ha portato alla vittoria di Berlusconi, così Internet porta alla vittoria di Grillo. Si può aggiungere un dato sociologico. Prevalentemente i vecchi stanno davanti al piccolo schermo e infatti votano molto per Berlusconi. Prevalentemente i giovani stanno davanti al computer e infatti votano massicciamente per Grillo. Si potrebbe azzardare una appendice inquietante. L’Italia produttiva non ha tempo di stare a lungo né sul televisore né (se non per lavorarci) sul computer. In tal modo, è finita in minoranza. Politici. Il termine “politico” o, peggio, “politico di professione” è diventato una offesa. Al punto che i più vecchi arnesi della politica clientelare vanno oggi strepitando contro la politica stessa. Benedetto Croce già aveva diagnosticato questa malattia tipicamente italiana, portatrice di qualunquismo e autoritarismo. Scriveva infatti. “L’ideale che canta nell’animo di tutti gli imbecilli è quello di una sorta di aeropago composto da onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli incarichi del proprio Paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia e via dicendo. Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare, perché mai la storia ha realizzato quell’ideale. Tutt’al più, qualche volta, episodicamente, ha per breve tempo messo a capo degli Stati uomini da tutti venerati per la loro probità e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito li ha rovesciati, aggiungendo alle loro alte qualifiche quella della inettitudine.” Avviso per molti grillini, montiani, “rappresentanti della società civile” e apprendisti stregoni della demagogia “anti politica”. Giovani. Da tempo imperversa, insieme a quella “nuovista”, la retorica giovanilista. Quasi che i giovani eletti debbano essere, in quanto tali, meglio dei vecchi. L’hanno cavalcata tutti e tutti i Partiti si sono privati in tal modo di non pochi dirigenti autorevoli e competenti. Obama è un ottimo presidente giovane, così come Reagan (sia pure da conservatore) era un ottimo presidente vecchio. In tutto il mondo i dirigenti si scelgono giovani o vecchi sulla base della capacità e del consenso, non dell’età. La retorica giovanilista è infantile e qualche volta peggio. Il fascismo ad esempio è nato anche sulla sua onda: contrapposto alle “vecchie barbe” socialiste e liberali al canto, appunto, di “Giovinezza”. Al posto della sinistra che predicava la “lotta di classe”, avremo in Parlamento i giovani grillini che saranno tentati di predicare la “lotta di classi”, ovvero di classi di età: giovani contro vecchi. Magari tentando anche di togliere con demagogia punitiva le pensioni ai vecchi ritenuti troppo benestanti. Anche questo potrebbe riservare il “sonno della politica”. libera stampa. I grandi giornali italiani sottolineano giustamente la funziona democratica della libera stampa e danno lezioni. Tuttavia sono gli unici al mondo che da decenni non hanno mai capito, o previsto, ciò che sta accadendo nel Paese. Peggio. Conducono campagne delegittimanti e devastanti seguendo gli indirizzi del potere economico, che ne controlla la proprietà. Come sia finita la campagna del 19921994, che ha distrutto la prima Repubblica senza costruire la seconda, lo si è visto. E ne paghiamo ancora le conseguenze. La campagna degli ultimi mesi, condotta con i toni della antipolitica, cui ha largamente lisciato il pelo Monti stesso, aveva l’obbiettivo di tirare la volata al presidente del Consiglio, in nome della governabilità. L’ha invece tirata al grillismo, producendo la ingovernabilità. Aritmetica. Ultima e più importante voce del dizionario. i politologi e la grande stampa sopra ricordata parlano soprattutto di percentuali, ma sembrano ignorare (e nascondere pertanto al Paese) i numeri veri. Ai quali d’altronde, non applicano le semplici regole dell’aritmetica. Ci hanno convinto, dal 1992 in poi, che l’infame governo Craxi - Forlani (PSi, DC, Pli, PSDi) era stato irrimediabilmente delegittimato dal voto popolare e che ciò aveva aperto le porte alla trionfante rivoluzione di Mani Pulite. eppure i quattro partiti che lo sostenevano avevano conquistato la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera e al Senato (senza premi e artifici, bensì con il proporzionale puro). Non solo. Ciò che più conta, avevano ottenuto 19.169.903 voti. Più di quanti mai ne hanno ottenuti le coalizioni vincenti della seconda Repubblica. Due milioni e 88 mila voti in più di Berlusconi nel 2008, allorché fu unanimemente incoronato come trionfatore. tenetevi forte. 9.122.300 voti in più di Bersani nelle elezioni attuali, allorché ha comunque conquistato, grazie all’esecrato Porcellum, una larga maggioranza alla Camera. Contare per credere. e contare considerando che dal 1992 a oggi il numero degli italiani aventi diritto al voto è aumentato. riuscito, o almeno lo ha fatto solo in piccola parte. nelle Istituzioni. Ci siamo rimasti solo noi. Saremo un presidio per le battaglie della laicità e della libertà. Lo faremo con grandissimo dignità, in maniera pervicace, perché l’Italia ha bisogno di maggiore libertà. Anche il PD ha perso 3 milioni e mezzo di voti. Ha sbagliato da qualche parte, no? Il PD ha affrontato in questi ultimi mesi due elezioni. Ha vinto le prime e perso le seconde. Vincendo le primarie ha creduto che fossero esaustive per risolvere la crisi del centrosinistra nel nostro Paese. E lì èstato l’errore, senza mettere la croce su Bersani. Nel 2008 siamo usciti dal Parlamento e quest’anno ci siamo rientrati mentre resta fuori Di Pietro, ingroia e la sinistra giustizialista, e questa è l’unica buona notizia delle elezioni. Però ne sono usciti i radicali... Purtroppo assieme ai radicali sono usciti dalle Camere anche Repubblicani e Liberali e fa impressione pensare che mentre si è appena festeggiato il 150.mo dell’Unità d’Italia, due delle componenti che l’hanno reso possibile, che hanno fatto l’Italia unita, non abbiano più nessuna rappresentanza Redazione e amministrazione P.zza S. Lorenzo in Lucina 26 – Roma Tel. 06/68307666 - Fax. 06/68307659 email: [email protected] Impaginazione e stampa tabacci col suo Centro Democratico ha avuto un risultato deludente. Forse la lista del PSi l’avrebbe superato e l’intera coalizione avrebbe guadagnato qualche voto socialista in più. Scelta sbagliata di Bersani o di Nencini? Anche Napoleone avrebbe vinto a Waterloo se non fossero arrivati quasi alla fine della battaglia i prussiani di Blucher... però arrivarono e questo fece la differenza. Penso, fortissimamente penso, che avrebbe potuto ripetersi la situazione del 2008. Un compagno della Sardegna con cui avevo discusso di questo dilemma prima delle elezioni se presentare o meno il simbolo, alla fine concordando sulla scelta fatta mi disse: “Ognuno conosce il suo cavallo”. C.Co. Sottoscrizioni versamento su c/c postale n. 87291001 intestato a Nuova Editrice Mondoperaio srl P.zza S. Lorenzo in Lucina 26 00186 Roma Chiuso in tipografia il 27/23/2013 L.G. Via delle Zoccolette 25 – Roma Ufficio Abbonamenti Roberto Rossi 1 copia € 1,50 - 1 copia arretrata € 3,00 Aut. Trib Roma 555/97 del 10/10/97 La riproduzione è consentita a patto che sia citata la fonte. Il materiale ricevuto non viene restituito. www.partitosocialista.it DELLA DOMENICA www.partitosocialista.it 3 ANNO XVI - N.8 - DOMENICA 3 MARZO - 2013 Come far uscire il Partito socialista dal ‘cono d’ombra’ dei partiti più grandi I risultati veri ci dicono che Berlusconi ha perso più di 7 milioni di voti Parlare ai cittadini dei bisogni dei cittadini Altro che vittoria, il Cavaliere è dimezzato rigenti socialisti, fatto con prontezza ed energia, ha permesso di rimediare. È certo che le simpatie nei confronti di chi, alleato, aveva mostrato così debole memoria sono scese a livelli molto bassi. Più recentemente altra dimenticanza. Mi riferisco a quanto avvenuto all’interno della coalizione di centro-sinistra, dove un patto a tre è improvvisamente divenuto a quattro con l’ingresso ufficiale del CD. A quello che si poteva considerare un ampliamento (non sappiamo se collegialmente discusso e concordato) è seguita una contrazione con l’espulsione Ci riferiamo spesso alla storia gloriosa del PSI come nostra forza. Giusto farlo, ma senza dimenticare che nel rapporto tra i partiti e con la gente il peso del partito non può fondarsi solamente su di essa, perché i più l’hanno ormai dimenticata, le giovani generazioni non la conoscono e ai partiti “alleati” interessa che sia ignorata. La verità è che il PSI anche da chi gli è politicamente più vicino viene considerato per quel che elettoralmente è, ossia una piccola forza che si può nominare o ignorare, illuminare od oscurare a volontà. Solo la corposità può impedire che l’ombra dell’uno copra Matteo Morandini nei fatti del PSI, non più invitato né nominato per la presentazione del centro-sinistra in TV. Ed è stato per noi della base inevitabile, a questo punto, pensare che il pelo si può perdere, ma è difficile perdere il vizio. La cosa, in sé grave, ha avuto conseguenze immediate relativamente alla presenza di uomini del PSI in TV. Hanno colto la palla al balzo i giornalisti per estendere ulteriormente l’esclusione dei socialisti dalle trasmissioni, sì che, se prima le rade apparizioni potevano attribuirsi alla piccolezza del PSI, per cui era sufficiente invitarlo “a ogni dimissione di Papa”, ora la sua scomparsa dagli schermi farà pensare alla sua definitiva uscita di scena. Perché tutto questo? Ci piaccia o no riconoscerlo, la risposta sta nella debolezza del partito sotto l’aspetto elettorale. interamente l’altro sottraendolo alla vista. Guardando al domani e volendo garantirlo anche al nostro partito dobbiamo lavorare molto tra la gente per convincerla. C’è una infinità di persone (l’ho detto altre volte) che ne sconoscono l’esistenza, che non sentendolo nominare e non vedendo i suoi dirigenti pensano che sia morto e sepolto. Noi tutti abbiamo allora un preciso dovere: scendere nelle piazze, andare tra la gente, parlare, spiegare, riferendosi sempre ai concreti problemi, quelli del lavoro, dei giovani e del fisco più in particolare, che sono i più sentiti e che prioritariamente - rispetto ad altri che direi “elitari”, più propri di altre formazioni politiche - devono interessare i socialisti. Solo questo potrà salvare il Partito Socialista e ancorarlo saldamente al domani. ri e accendere speranze (Veltroni nel 2008 aveva parlato al Paese con il discorso del Lingotto sulla bella politica) Bersani resterà negli annali delle competizioni elettorali come il condottiero che smacchiava i giaguari. Certo, il risultato dell’usato sicuro piacentino-bolognese può sembrare migliore di quello parmense, ma è sfregiato dallo sfondamento delle orde di Grillo. Forse le cose sarebbero andate meglio se i partiti “storici”, modificando la legge elettorale-porcata, avessero restituito ai cittadini il diritto di scegliere i loro parlamentari. Basta fare il raffronto con le elezioni regionali, dove erano in lizza facce nuove, con possibilità di voto disgiunto. Scrivendo sul giornale che fu diretto da Pietro Nenni, Riccardo Lombardi e Gaetano Arfè mi sia consentito un amaro commento. Nella grande manifestazione del centro-sinistra a Milano in favore di Ambrosoli sono stati chiamati sul palco Romano Prodi (prenotazione per la Presidenza della Repubblica?), Vendola, Tabacci, ma nessun esponente socialista: nella città di Turati, di Greppi, di Aniasi, di Tognoli e di Craxi. Un’altra constatazione: Prodi non ha portato bene; parimenti, e secondo tradizione, non ha portato bene l’abbraccio del giornale-partito “La Repubblica”. Sapremo presto quanto sarà incisiva la disarticolazione del sistema politicoparlamentare italiano prodotto dal “ciclone Grillo”, che avrà notevoli ripercussioni sullo scacchiere europeo e internazionale. Sotto il profilo parlamentare le incognite sono molteplici. Intanto il capo, Grillo, e il suo braccio destro Casaleggio non sono membri del Parlamento. Chi nominerà i presidenti dei Gruppi parlamentari grillini? I parlamentari eletti, o Grillo? Parteciperanno i neoeletti agli organi direttivi delle Commissioni Parlamentari, e, prima anco- ra, agli uffici di Presidenza dei due rami del Parlamento? Nei Comuni lo fanno, vedremo in Parlamento. Viene alla mente un film già visto. Ricordo quando arrivarono a Montecitorio e a Palazzo Madama i leghisti: con aria sprezzante e punitiva nei confronti della vecchia classe politica. Si vide un cappio dondolare fra i banchi della Camera. Poi è finita come è finita, con il cerchio magico di Bossi travolto dagli scandali. Ma prima c’era stato il corteggiamento dell’allora PDS, quando D’Alema definì la Lega una “costola della sinistra” e stipulò nella casa romana di Umberto Bossi, mangiando sardine, il patto che propiziò la nascita del governo Dini in danno di Berluskaiser. Ancor oggi D’Alema, che resta la testa politica del PD, dopo aver proclamato che la disfida della campagna elettorale era il duello fra Bersani e Berlusconi, nell’ultima settimana ha esortato a dialogare con i grillini. Non mi pare che al caso italiano che stiamo vivendo si applicherà l’antica regola latina secondo la quale la Grecia conquistata dai romani “ferum victorem coepit”, conquistò ed ammansì il fiero guerriero venuto da Roma. Mentre ho sempre pensato che i dirigenti periferici del M5S siano in grado di amministrare gli enti locali, ritengo invece che l’impatto dei parlamentari di Grillo sulle istituzioni nazionali possa essere difficile, se non traumatico, accrescendo anche l’anomalia del sistema italiano rispetto al resto dell’Europa. Come farà una sinistra sostanzialmente sconfitta ad uscire dal pantano politico, economico ed anche morale della Seconda Repubblica? Si apre un periodo amaro e travagliato per il Bel Paese, al termine del quale sembrano inevitabili nuove elezioni. Uno scenario inquietante che deve stimolare anche in casa nostra un bilancio critico ed autocritico. Giuseppe Miccichè D iciamolo senza mezzi termini: i socialisti non hanno né amici veri né simpatizzanti tra le forze politiche presenti nel Paese. Se ne è avuta una prova (e che prova!...) nella campagna elettorale e segnatamente nel suo momento mediano: mi riferisco al modo come sono stati gestiti e l’accordo elettorale della coalizione PD, PSI,SEL, e quello riguardante la presentazione di candidati socialisti nelle liste del PD. Preciso. Sono uno di quelli, ritengo i più, che hanno approvato l’accordo per la presentazione di candidati socialisti nelle liste del Partito Democratico. Coi dubbi, molto fondati, sulla possibilità di superare il 2% e contemporaneamente di superare l’altra lista - quella del Centro Democratico, CD, - apparentata, non c’era altra scelta. In alternativa, unica certezza per il PSI sarebbe stata la sua definitiva scomparsa dal panorama politico nazionale. Non intendo lamentarmi, dunque, dell’accordo sottoscritto dai dirigenti centrali, ai quali deve andare tutta la nostra fiducia e il nostro plauso per la tempestività e la dignità con cui hanno difeso le ragioni del partito. Devo dire, però, che mi ero illuso su due cose: il rispetto della “carta d’intenti” e dell’accordo col PSI da parte del PD, e la partecipazione di rappresentanti socialisti alle trasmissioni che la TV dedica alle elezioni. Su ambedue ho provato una grande delusione. Si è avuta prima la dimenticanza degli impegni sulla posizione dei candidati socialisti nelle liste comuni e sulla autonomia dei futuri eletti. Dimenticanza spiacevole, immediatamente svelata facendo tornare la memoria a chi mostrava di averla perduta, ma che ha prodotto una brutta impressione a pochissimi giorni dalla presentazione delle liste e con la difficoltà che poteva conseguirne, forse insormontabile, di una eventuale raccolta di firme per la presentazione di nostre liste a pochissimi giorni dalla scadenza fissata dalla legge. L’intervento dei di- Inevitabile un ritorno alle urne Fabbri dalla prima alla carica di Sindaco della città, avrebbe dovuto far riflettere. Se è vero che i 19 anni della seconda Repubblica si chiudono con un bilancio fallimentare, sarebbe stato giusto e saggio offrire ai cittadini, delusi e impoveriti, una solida prospettiva di cambiamento, l’apertura di un capitolo nuovo della vita e nella storia delle istituzioni. Ha prevalso invece il compattamento del blocco storico della sinistra italiana. Vede bene il prof. Roberto D’Alimonte quando, su Il Sole-24 Ore del 24 febbraio, osserva che il PD non ha scommesso sul cambiamento, ma sulla sua identità: “Il suo nucleo organizzativo e ideologico è ancora quello dell’apparato del PDS”, lo stesso del 1994, la gioiosa e perdente macchina da guerra di Occhetto. Volendo specificare, si può dire che questa volta la guida del nucleo egemone è stata affidata ad un esponente dell’aurea mediocritas del post-comunismo emiliano, coadiuvato dall’attuale Presidente della Regione Vasco Errani, indicato come probabile sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Dunque, registra ancora D’Alimonte, “Renzi può aspettare”. E’ il caso di aggiungere, che la sconfitta del Sindaco di Firenze alle primarie è dovuta proprio alla mobilitazione del sistema organizzativo del PD: una macchina da guerra “domestica”, questa sì ben oliata ed efficiente. Partito sull’onda delle primarie con la vittoria in tasca, strada facendo Bersani ha rivelato i caratteri dominanti della sua personalità politica. Certo non gli ha giovato il suo bricolage linguistico: il “bersanese”, come lo chiama Miguel Gotor. Anche a causa della mancanza di idee-forza capaci di riscaldare i cuo- t esoro, mi si sono ristretti i sondaggi! Consiglieremmo questo titolo, parodia di una celebre commedia hollywoodiana, a un produttore che scegliesse di immortalare su pellicola le elezioni politiche appena archiviate. Che assieme alla certezza di un Senato senza maggioranza ci consegnano una scomoda verità: le rilevazioni sulle intenzioni di voto, e peggio ancora quelle sul voto appena espresso, hanno scattato una foto sballata. Fuori fuoco e fuori esposizione. I numeri, quelli veri, dicono tutta un’altra storia. In un mondo perfetto, logica vorrebbe che prima di intonar peana si aspettassero i dati definitivi. Se non altro per evitare imbarazzate correzioni di tiro davanti alla cruda realtà. Ma tant’è. Esercizio più proficuo, ma meno in voga è invece quello dell’analisi dei risultati definitivi. Dei voti assoluti, più che delle percentuali. Da consigliare vivamente e da praticare, perché aiuta non poco a capire. C’è una notizia ed è che Berlusconi non vince. Recupera rispetto al quadro dei sondaggi – appunto! - che da un anno lo danno per morto, ma perde, anzi straperde, davanti agli elettori. Sono infatti settemilionicentoquarantunomilaquattrocentosei (7.141.406, ma da scrivere per esteso, perché dà il senso della misura) i voti che la coalizione Pdl-Lega ha perso dal 2008 - il dato è relativo alla Camera, ed è certamente indicativo perché abbraccia una fetta di popolazione più ampia, dai 18 anni in su. Significa che i quattro anni di governo di centrodestra hanno provocato un’emorragia di consensi in quel campo. Il partito del Cavaliere perde oltre sei milioni di voti, la Lega più di un milione e mezzo. Entrambi dimezzati. Se Sparta piange, Atene non ride. Il computo dei voti rispetto a cinque anni fa è duro pure per il Pd ed il suo alleato principale di turno – ieri l’Idv, oggi Sel - che sta fra il 3 e il 4%. Nel 2008 Veltroni e Di Pietro persero con 13.689.330 voti, nel 2013 Bersani vince con 10.047.507. Mancano all’appello 3.641.823 elettori. Ingroia, che i sondaggi davano tranquillamente sopra al 4%, prende 765.054 voti. Molti meno del milione e mezzo ottenuti dall’Idv nel 2008 e del milione e centomila della Sinistra Arcobaleno di Bertinotti. Numeri da far girare la testa (e non solo), appena edulcorati da una partecipazione più bassa, di circa due milioni, e da un’offerta politica più ricca e frammentata. L’unico vero vincitore, si fa per dire, è il Movimento 5 Stelle, che sbanca con 8.688.545 voti. I sondaggi lo davano attorno al 20, è risultato il primo partito d’Italia. Un’ultima nota per il centro. Se vale il discorso fatto prima per Berlusconi, anche il risultato di Monti si può leggere come una bocciatura per chi ha governato l’Italia per quasi due anni. Il professore porta alla causa 2.823.814 voti, ma a steccare sono i suoi alleati. L’Udc innanzitutto, che rispetto a cinque anni prima perde ben 1.441.937 voti, e Fini, che in tutta Italia prende poco più (159.454 voti) della Lista Crocetta, presente solo in Sicilia. L’intera operazione centrista ha prodotto un valore aggiunto di appena un milione e mezzo di voti rispetto al solo Udc di cinque anni fa. Si dirà che la legge elettorale, quella che tutti volevano cambiare, ma magari un’altra volta, ha prodotto il grande disastro. Si può obiettare che la legge dei numeri impone quantomeno una profonda riflessione su un’Italia ben diversa da quella che i sondaggi si ostinavano a raccontarci. Ma rimane ancora aperta la questione socialista leonardo Scimmi D opo le elezioni, si profila una Grosse Koalition, un governissimo quindi tra Bersani e Berlusconi per escludere Grillo e calmare i mercati e l’Europa. Oppure, come dicono i tedeschi riferendosi ai colori della bandiera, una Kenia Koalition, con i rossi di Bersani e neri di Berlusconi ed i verdi, mi vien da dire, di Grillo. Ma sarebbe la politica della commedia. La questione socialista, invece, grande madre della seconda Repubblica, non è stata affrontata ed il tempo sta oramai scadendo. Idee nuove, uomini nuovi, linguaggi nuovi, diceva Craxi. La seconda Repubblica se fondata sull’ipocrisia crollerà, continuava il leader da Hammamet. Non si è voluto ascoltare, non si è fatto i conti con la storia del pensiero socialista e con la storia dei socialisti. Ed allora, come stupirsi che il nostro amato Bel Paese sia debole, insicuro, strillone, in rovina e la sinistra ancora incapace di vincere e convincere? In tale scenario post-politico ed economicamente apocalittico, non vediamo al momento iniziative nè proposte per risollevare il nostro Paese e riportarlo ai vertici della modernità. Diario elettorale dalla prima convocazione di un tavolo delle forze che compongono l’alleanza di centrosinistra”. Lo afferma Massimo Carugno, segretario regionale in Abruzzo. “È quantomai necessario stilare una carta delle priorità e delle emergenze dell’Abruzzo. Bisogna assolutamente Nessuna idea nuova per rilanciare l’occupazione, la tecnologia, l’export, la scuola, la cultura europea, l’organizzazione amministrativa, la risorsa degli emigrati, la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Il partito socialista, dopo aver vinto la battaglia delle idee e della storia, ha dovuto accettare un accordo confuso e svantaggioso che è servito tuttavia a rientrare in Parlamento, ed è questo che conta oggi. Il PD ha mostrato poca attenzione al rinnovamento concettuale di una sinistra che sembrava votata alla vittoria elettorale, ma che come al solito non ha centrato l’obiettivo. In questo quadro a tinte fosche il PSI appare condannato ad un lento scivolamento verso le fauci del PD, poco interessate invero a chiudere definitivamente la partita col rivale socialista. Del resto cosa può’ fare il PSI che non possa fare meglio e prima il PD? Di fatto una ragione vera e propria di esistere il PSI, ad oggi, non ce l’ha, se non nella propria storia, identità e nella questione socialista. Ma se si rinuncia a questa storia, a questa identità ed a sollevare la questione socialista, chi come e perché dovrebbe votare per il PSI? riportare la discussione sui problemi e sui contenuti abbandonando le polemiche, le tattiche e le strategie. Ai cittadini occorre cominciare a proporre analisi e ipotesi di soluzione dei problemi. Uno sguardo poi vadato alle regole. La legge elettorale regionale non può essere un fatto solo dei gruppi consiliari del PD e del PDL. Sono scelte elettorali che vanno necessariamente condivise tra il PD e i suoi alleati delle prossime elezioni regionali”. DELLA DOMENICA 4 www.partitosocialista.it ANNO XVI - N.8 - DOMENICA 3 MARZO - 2013 Il possibile contributo delle tradizioni laiche e religiose alla salvaguardia della democrazia Un alleato che non ti aspetteresti: la religione Gainfranco Sabattini S econdo Albert Otto Hirschman gli uomini agiscono per trarre maggior soddisfazione dalla rinuncia ad un interesse individuale egoistico a favore di un interesse collettivo, a condizione che le scelte politiche non frustrino le loro aspettative e favoriscano la loro aspirazione all’equità e alla giustizia sociale; è, infatti, evitando la loro delusione che si può impedire ai cittadini di “allontanarsi dalla politica”, per privilegiare il “rifugio” nella loro sfera egoistica privata. Il pericolo che gli uomini, sotto la costrizione degli imperativi economici, si ritirino tra le “bolle dei loro interessi privati” è paventato anche da Jürgen Habermas in un articolo apparso, con qualche ritardo nella traduzione italiana, sul n. 1/2013 di MicroMega col titolo “Linguaggio religioso e uso pubblico della ragione”. Per il filosofo tedesco, la disponibilità degli uomini, intimiditi dagli effetti delle crisi economiche ricorrenti, a rispondere collettivamente alle criticità delle loro condizioni sociali attraverso un’azione solidaristica, è destinata a “sbiadire” a fronte di fenomeni che sfuggono ad ogni possibile controllo da parte della politica; e l’erosione della fiducia dei cittadini nei confronti della politica è causa della crisi della democrazia modernamente intesa. Per fare fronte a tale crisi, gli stessi cittadini abbandonano i ragionamenti usuali della politica, per sostituirli con nuovi ragionamenti aperti a domini metafisici e religiosi, che consentono loro di trascendere l’idea della politica intesa come scontro di potere. Al riguardo, Habermas, rifacendosi a John Rawls, sottolinea come, in opposizione ai classici della tradizione del contratto sociale che avevano rimosso dalla politica ogni riferimento alla religione, occorra riconoscere che il “problema dell’impatto politico del ruolo della religione nella società civile non è stato di per sé risolto dalla secolarizzazione dell’autorità politica”; per cui, in particolare, non sempre si tiene conto che la secolarizzazione dello Stato non è la stessa cosa della secolarizzazione della società. Per prevenire le incomprensioni originate dalla possibilità che si trascuri questa necessaria distinzione, la laicità pretende di impedirne il manifestarsi privatizzando interamente la religione. Questa pretesa, però, non è universalmente condivisa, nel senso che il permanere di motivi di ambiguità sulla necessità di tenere distinta la secolarizzazione dello Stato da quella della società civile non consente la creazione delle condizioni necessarie perché credenti e laici, rinunciando a >> L’OSPITE << Debora Barletta l e istanze laiche che sono da avanzare per la Sanità nel Lazio, riguardano principalmente l’istituto dell’obiezione di coscienza. 1 - Con il fine di salvaguardare i diritti di tutti si richiede di inserire nella normativa che disciplina i concorsi della sanità pubblica, la clausola che prevede l’assegnazione dei posti disponibili in eguale misura tra i non obiettori e chi si avvarrà dell’istituto dell’obiezione di coscienza. Per quegli istituti pubblici dove attualmente non c’è equilibrio fra le due tipologie di operatori si chiede che i successivi concorsi siano mirati anche all’allineamento di questi. Per tutti quelli che successivamente vorranno attuare l’obiezione ma che però sono stati assunti come non obiettori; dovranno attendere un nuovo concorso per poter attuare l’obiezione di coscienza. Con esplicito divieto ad attuarlo fin quando ri- “fare i conti” con la diversità dei principi su cui dovrebbero fondare le differenze tra loro esistenti, mancano di riconoscere esplicitamente di vivere in una “società in cui la pluralità gioca un ruolo primario”, contribuendo a radicare e a generalizzare l’idea che il dibattito pubblico si svolge tra credenti, da un lato, e laici ostili alla religione dall’altro. Nulla di più errato e dannoso, per Habermas, per la salvaguardia della democrazia. I laici democratici, pur “vivendo e pensando prescindendo da Dio”, assumono un’indifferenza agnostica nei confronti delle pretese religiose; il laico, perciò, respinge la mentalità laicista perché intollerante e perché le sue pretese sono altrettanto poco desiderabili e altrettanto poco democratiche delle eventuali pretese fondamentalistiche dei credenti. Il laico democratico, pur accettando l’individualizzazione delle credenze religiose come conseguenza del processo di laicizzazione che ha teso a trasformare la religione in una scelta personale, intende la religione stessa, non come un sistema normativo, ma come un sistema di risorse che possono contribuire alla soluzione dei problemi sociali dell’età moderna. Al contrario, evidentemente, dei credenti integralisti, che considerano le pretese religiose una concezione inglobante del mondo e un “sistema totalizzante di senso e di norme di vita”. Nella prospettiva della laicità, perciò, le pretese dei laici consistono nel dissociare la cittadinanza dall’appartenenza religiosa, intendendo tale dissociazione come garanzia del pluralismo e della democrazia in una situazione ideale di libertà e di uguaglianza di tutti, credenti e non credenti. All’interno di un sistema sociale democratico i cittadini secolari e quelli religiosi stanno tra loro in una situazione di complementarità, in quanto coinvolti tutti in un sistema di relazioni sociali costitutivo del processo democratico che “sorge nel terreno della società civile e si sviluppa attraverso le reti comunicative informali della sfera pubblica”. In questo processo, fino a quando la religione rimane una forza vitale della società civile, lo rimane anche a presidio della democrazia, rivelandosi in tal modo una componente fondamentale dello Stato secolarizzato. Il reciproco riconoscimento delle pretese dei laici e dei credenti all’interno della sfera pubblica può incoraggiare, perciò, il “ritorno alla politica” di tutti i cittadini che da essa si sono allontanati perché disillusi, con la restituzione al ragionamento politico del suo originario significato, grazie al contributo dei “potenziali semantici” accumulatisi nelle tradizioni sia laiche che religiose. [email protected] copre il suo incarico. Abolizione dell’obiezione di coscienza prevista nei reparti di ginecologia degli ospedali pubblici che devono garantire premura e tempestività nei confronti di chi chiede una IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza) e che devono inibire l’accesso agli attivisti ideologicamente orientati; 2 - Inserire l’assistenza morale (es. Le Molinette di Torino) non confessionale nella sanità pubblica; la procedura deve prevedere che nella compilazione della scheda di ricovero ci sia anche elencato il servizio che, durante il periodo di degenza si desidera l’assistenza morale non confessionale; 3 - Diffondere un messaggio positivo sull’operato del personale sanitario anche attraverso la toponomastica; per tanto si chiede d’intestare gli istituti ospedalieri a nomi che hanno fatto grande la medicina non appartenenti allo stato confessionale; Ed entrando nel merito delle istanze, non viene minacciata nessuna libertà del medico obiettore se partecipare o no all’IVG anzi bensì viene esonerato da questo compito in quanto non si metterà mai un medico obiettore nel reparto di ginecologia. Mentre verrà cosi rispettata la volontà di ogni donna nel suo pieno rispetto. Si deve prender atto di ciò che dice la LAIGA (Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’applicazione della legge 194/78) che oggi i medici obbiettori sono più dell’80% e che il fenomeno cresce sempre di più con oltre il 50% del personale ausiliario, anestesisti, ferristi,ostetriche. Poi si inserirebbe così un nuovo servizio cioè quello dell’assistenza morale non confessionale (ANMC) da svolgere come in tutto il resto d’Europa, per tutti i cittadini che la richiedono anche quando professano un’altra religione. Finora abbiamo assistito alle stravaganze di Storace che assunse un prete per dir messa tre volte l’anno in Regione che nel ome muore il PSI, che dal 1994 non si è mai più ripreso, lo sappiamo. Il tema è stato sviscerato ampiamente. Si è invece ragionato forse non abbastanza sul periodo della segreteria di Bettino Craxi, un’esperienza che ha segnato la storia del socialismo e di tutta la sinistra in Italia. Il nodo iniziale resta quello del rapporto, tanto stretto quanto conflittuale, con i fratelli comunisti, separati per partogenesi nel 1921. Quella separazione non ha portato nulla di buono, anzi, la debolezza conflittuale che ne è derivata tanto per il PCI quanto per il PSI, ha avuto un ruolo determinante nel favorire prima l’ascesa del fascismo, poi la sclerosi democratica del cinquantennio democristiano e infine anche l’avvento del berlusconismo nella cosiddetta Seconda Repubblica. Insomma un disastro. Andrea Spiri ha preso in esame il tratto iniziale del cammino craxiano, con un’analisi del quinquennio trascorso tra l’elezione di Bettino Craxi alla segreteria del PSI e il congresso di Palermo col lancio dell’ultima grande intuizione del leader socialista, una ‘Grande Riforma’ di cui questa Italia continua ad avere un drammatico e impellente bisogno. La segreteria Craxi nacque come risposta estrema – e per certi versi sorprendente e del tutto inaspettata – alla fase di lenta dissoluzione che il Partito socialista stava vivendo nel 1976, con Francesco De Martino segretario. Una dissoluzione nella larghe e potenti braccia comuniste con un Enrico Berlinguer, ancora potentemente abbagliato dal vangelo comunista di Lenin e Togliatti, che pianificava la cogestione dell’Italia con la Democrazia Cristiana secondo lo schema del Compromesso storico che ovviamente non prevedeva di lasciare grandi spazi all’Italia laica, liberale e socialista. La scelta di De Martino nell’escludere la possibilità di continuare a sostenere governi di cui non facesse parte anche il PCI, lo strapotere delle correnti, il risultato elettorale del 1976 col PSI inchiodato al minimo storico del 9,6%, costituirono il terreno di coltura dell’iniziativa politica che por- a cura di Carlo Pareto<< COlF, i contributi 2013 In vista della prossima scadenza del 10 aprile 2013 del versamento dei contributi per il lavoro domestico, l’Inps ha fornito gli importi da corrispondere e una serie di chiarimenti. Va subito precisato intanto che le nuove fasce di retribuzioni sono cresciute del 3%. Oltre all’aumento dei minimi salariali conseguenti al rinnovo del contratto (che interessa però più che altro il personale convivente) vi è da registrare il consueto rincaro dei contributi da pagare all’Ente assicuratore. L’innalzamento è direttamente collegato sia alla lievitazione delle retribuzioni convenzionali su cui viene calcolata la contribuzione, sia alla recente revisione dell’aliquota del fondo pensioni (più 0,30%) a carico dei dipendenti, voluta dalla Finanziaria 2008. Inoltre, sulla contribuzione dovuta per i rapporti di lavoro domestico, a partire dal 1° gennaio 2013, hanno effetto alcune novità introdotte dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, in particolare l’art. 2 ha previsto che l’assicurazione contro la disoccupazione involontaria (Ds) è sostituita dall’Assicurazione sociale per l’Impiego (Aspi). Pertanto il finanziamento dell’indennità di disoccupazione involontaria già presente nella contribuzione per attività di collaborazioni familiari, è sostituito dal finanziamento all’Aspi, a cui concorrono gli oneri previdenziali. La misura del contributo da corrispondere (con inclusa l’aggiunta numeraria dello 0,50 per cento per le lavoratrici non soggette alla tutela Cuaf) cambia naturalmente in base all’orario osservato dalla colf.: se inferiore alle ventiquattro ore settimanali, l’onere assicurativo è commisurato a tre diverse fasce di retribuzioni; se invece è superiore la quota numeraria dovuta, per tutta la durata del servizio remunerato, è fissa. I CONTRIBUTI 2013 Retrib. oraria Contr. orario con Cuaf Contr. orario senza Cuaf* fino a 7,77 euro 1,47 (0,35) 1,48 (0,35) fino a 9,47 euro 1,66 (0,39) 1,67 (0,39) oltre 9,47 euro 2,02 (0,47) 2,03 (0,47) più di 24 ore sett. 1,07 (0,25) 1,07 (0,25) N.B. Le cifre in parentesi costituiscono la quota a carico del lavoratore. *Mentre l’esclusione dal versamento del contributo Cuaf (Cassa Unica Assegni familiari) è prevista soltanto nel caso di rapporto di lavoro tra coniugi e tra parenti o affini non oltre il terzo grado che siano conviventi (parenti: figli, fratelli o sorelle e nipoti; affini: genero, nuora e cognati). [email protected] Hai rinnovato il sostegno al giornale? Se è passato oltre un anno e desideri continuare a ricevere il nostro settimanale per posta, effettua una sottoscrizione per un importo minimo di 20 euro secondo le indicazioni che puoi trovare a pag. 2 o nel sito web del Psi e del giornale. Un programma laico per la Sanità del Lazio Dal Midas a Palermo. La svolta socialista C >> DIRITTI & LAVORO 2003 prendeva 12 mila euro annui fino ad arrivare alla presidenza della Polverini che erogava a questo stesso prete ben 25 mila euro annui! Con la stessa presidenza la Regione Lazio ha partecipato con circa 250 mila euro al meeting di Comunione & Liberazione di Rimini nel 2012 . Ora la realtà è che la sanità nel Lazio rischia il collasso e non è un compito semplice al quale viene chiamato Zingaretti, quello che si deve evitare è appunto che il Lazio diventi un’affiliazione di Comunione e Liberazione. Prendete questo se volete anche come un appello, a tutti i socialisti che entreranno nella Regione Lazio e mi auguro sarete veramente tanti, di iniziare a fare la differenza con il resto della sinistra che fino ad oggi non ne vuol sapere della difesa del diritto dei cittadini di veder riconosciuta la scelta di vivere secondo i propri principi e secondo la propria autonomia. I socialisti laici da sempre! Lettere [email protected] La memoria dei Socialisti “Grati ed onorati per l’iniziativa intrapresa dalla Cgil di costituire la sezione Anpi in memoria di Alvaro Fantozzi segretario della Camera del lavoro e vicesindaco della giunta socialista del sindaco Narsete Citi, assassinato dai fascisti nell’aprile del 1922 in quel di Marti mentre si recava ad una riunione di lavoratori. Il compagno Giacomo Maccheroni parlando a nome del partito all’iniziativa di Cgil ha proposto che si continui nel ricordo valorizzando l’opuscolo curato da Roberto Cerri sugli interventi di Fantozzi in consiglio comunale e sulle iniziative della giunta Citi. Inoltre, ponendo una lapide ricordo sulla casa dove Fantozzi abitò. I socialisti organizzeranno ad aprile una manifestazione commemorativa. i Socialisti di Pontedera Il li b ro tò all’elezione di Craxi. Le pagine di Spiri hanno il pregio di illuminare e spiegare con efficacia e semplicità il trapasso della segreteria demartiniana così come le fasi successive del consolidamento craxiano anche nella terribile fase del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro, nella crisi degli euromissili, fino al successo dell’elezione di Pertini al Quirinale passando per la demolizione del totem della supremazia globale del comunismo con la ‘riscoperta’ di Proudhon. Spiri non affronta il tema delle differenze profonde tra il vecchio modo di essere del PSI, pregi e difetti compresi, e la nuova classe dirigente che si installa a via del Corso, ne mette però in luce la modernità di fronte alla palude politica del ‘compromesso storico’, la ‘mobilità’ tattica e strategica del craxismo contro i due monoliti DC e PCI che nel momento della loro massima potenza elettorale (alle elezioni del 1976 assieme raccolgono il 73,1% dei voti) esprimono anche il massimo della paralisi politica. Eppure oltre il clamore degli indubbi successi della leadership di Bettino Craxi, che continueranno dopo il congresso di Palermo ancora per qualche anno, comincia ad emergere anche il limite di quella stagione in cui i socialisti, come scriveva Giuliano Amato nel 1981, avevano ritrovato l’orgoglio di chiamarsi tali ed era proprio nell’uomo stesso che aveva impedito al PSI di scomparire anzitempo perché quella forza, quelle qualità, sembravano essere circoscritte solo a lui, a Bettino Craxi. Una sorta di profezia quella di Amato che conclude le pagine di questo libro e che può valere per altre stagioni e altri leader: “La forza di Craxi – scriveva il primo maggio del 1981 su La Repubblica, poggerebbe su un piedistallo di argilla; alla prima, effettiva sconfitta, il partito gli si rivolterebbe contro e non avrebbe a quel punto null’altro per sopravvivere”. E così in effetti fu, perché nel ’94, con la crisi di tangentopoli, Bettino rimase solo e il partito implose fin quasi a scomparire del tutto. Carlo Correr Andrea Spiri La Svolta socialista Il PSI e la leadership di Craxi dal Midas a Palermo (1976 – 1981) Rubettino – pagg. 179 euro 12,00