INFORMA
SALUTE
LUGLIO 2015
a cura di:
PERIODICO DI INFORMAZIONE PER I RAPPRESENTANTI DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA
in questo numero:
COMITATO DI REDAZIONE:
Alberto Misuri CISL
045 8096014
Gabriele Bozzini UIL
345 7369846
MaurizioTiano CGIL
045 8674669
LUOGHI DI LAVORO MICROCLIMA E STRESS
TERMICO DA TEMPERATURA
MEDICO COMPETENTE E V.D.R.: COSA SIGNIFICA
“COLLABORARE”
Il microclima di un ambiente di lavoro,
cioè quel complesso di parametri fisici
(temperatura dell’aria, temperatura
media radiante, velocità dell’aria,
umidità relativa) che insieme a
parametri quali attività metabolica...
Come è noto, l’art. 25 del D.Lgs 81/2008
prevede che il medico competente
“collabora con il datore di lavoro e con
il servizio di prevenzione e protezione
alla valutazione dei rischi anche ai fini
della programmazione..
LA “IO SONO CHENG: UNA STORIA DI INFORTUNIO
DI ORDINARIA SCHIAVITÙ”
INFORTUNI MORTALI: INFOR.MO ANALISI DELLE
CAUSE E INTERVENTI DI PREVENZIONE
Durante i lavori per la realizzazione di
cubetti in pietra, un operaio ha subito
una ferita da schiacciamento alla mano
destra: come è avvenuto l’incidente,
le cause, i risultati delle inchieste e le
indicazioni per la prevenzione..
Si chiama Infor.MO ed è il
sistema di sorveglianza dedicato
all’approfondimento delle cause degli
infortuni mortali sul lavoro alimentato col contributo di Inail e Regioni - dalle
inchieste sugli incidenti condotte dai...
REALIZZAZIONE GRAFICA DI GABRIELE BOZZINI
LUOGHI DI LAVORO: MICROCLIMA E STRESS TERMICO DA TEMPERATURA
Il microclima di un ambiente di lavoro, cioè quel complesso
di parametri fisici (temperatura dell’aria, temperatura media
radiante, velocità dell’aria, umidità relativa) che insieme
a parametri quali attività metabolica ed abbigliamento
caratterizzano gli scambi termici tra ambiente e lavoratori,
è un elemento molto importante di ogni valutazione dei
rischi.
Infatti l’ambiente termo-igrometrico in cui opera un
lavoratore non solo può comprometterne la sicurezza e
salute, ma può essere non adeguato alla attività e creare
vere e proprie sensazioni di disagio (discomfort).
Sono tanti i fattori che possono provocare discomfort
in un ambiente lavorativo. A livello esemplificativo ne
individiamo alcuni:
- “presenza di ampie superfici particolarmente fredde/
calde (ad es. pareti vetrate o pareti non isolate) che possono
causare scambi termici radiativi anomali tra alcune parti
del corpo umano e le superfici suddette (si raccomanda
di mantenere l’asimmetria della temperatura radiante <
10°C per le superfici verticali, e < 5°C per i soffitti);
- contatto con superfici eccessivamente fredde o calde;
ad esempio pavimenti non isolati su porticati ecc. (si
raccomandano temperature superficiali comprese tra 19
e 26°C);
- presenza di correnti d’aria fredda (spifferi) che su alcune
zone del corpo, ad esempio la nuca, possono risultare
particolarmente fastidiose (si raccomanda una velocità
relativa dell’aria < 0,25 m/s);
- gradienti di temperatura all’interno dello stesso locale
(si raccomanda una differenza verticale di temperatura <
3°C)”.
Ricordiamo che un ambiente si trova in condizioni
termicamente confortevoli quando una elevata percentuale
di persone poste all’interno dello stesso, soggette ad
analoghe condizioni di vestiario ed attività fisica, non è in
grado di dire se preferirebbe una temperatura più alta o
più bassa.
A questo proposito elenchiamo alcune condizioni di
benessere in periodi invernali (con riscaldamento) e
con riferimento ad attività leggere, fondamentalmente
sedentarie:
- la “temperatura operativa deve essere compresa tra 20
°C e 24 °C”;
- “la differenza verticale di temperatura dell’aria tra 1,1 m
e 0,1 m dal pavimento (livello testa e caviglia) deve essere
minore di 3 °C;
- la temperatura superficiale del pavimento normalmente
deve essere compresa tra 19 °C e 26 °C, ma si possono
progettare sistemi di riscaldamento a pavimento a 29 °C”;
- “l’asimmetria della temperatura radiante dovuta a finestre
o ad altre superfici fredde verticali deve essere minore di
10 °C (rispetto ad un piccolo elemento piano verticale
posto a 0,6 m dal pavimento);
- l’asimmetria della temperatura radiante dovuta ad un
soffitto caldo (riscaldato) deve essere minore di 5 °C
(rispetto ad un piccolo elemento piano orizzontale posto a
0,6 m dal pavimento);
- l’umidità relativa deve essere compresa tra il 30% e il
70%”.
E riguardo alle condizioni di benessere estive, con
riferimento alle stesse attività:
- la “temperatura operativa deve essere compresa tra 23
°C e 26 °C”;
- “la differenza verticale di temperatura dell’aria tra 1,1 m
e 0,1 m dal pavimento (livello testa e caviglia) deve essere
minore di 3 °C”;
- “l’umidità relativa deve essere compresa tra il 30% e il
70%”.
Il confort (o comfort) microclimatico è importante in tutti
gli ambienti di lavoro e la stessa normativa sulla tutela
della salute e sicurezza dei lavoratori, il Decreto legislativo
81/2008, classifica nel Titolo VIII (art. 180) il microclima tra
gli agenti fisici che, ai sensi dell’art. 181, devono essere
compresi nella valutazione dei rischi.
Benché mancante di un capo specifico (come altri agenti
fisici), il microclima deve essere valutato con riferimento
alle norme di buona tecnica (UNI, ISO ecc.) ed alle buone
CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117
freddo);
-PPD (percentuale prevista di insoddisfatti): percentuale
di soggetti termicamente insoddisfatti in uno specifico
ambiente. È un indice calcolato a partire dal valore di PMV.
Il PMV è un indice adatto alla valutazione di ambienti
lavorativi a microclima moderato, ad esempio uffici,
laboratori di ricerca, scuole, ospedali, .... Uno stato di
comfort termico si raggiunge per valori di PMV compresi
tra + 0,5 e - 0,5, cui corrisponde una percentuale di
insoddisfatti delle condizioni termiche (PPD) inferiore al
10%.
prassi in modo da identificare ed adottare le più adeguate
misure di prevenzione e protezione.
Come fare dunque la valutazione del microclima e come
calcolare il confort termico?
La valutazione del microclima ambientale e del confort
dei lavoratori avviene mediante la misurazione di
parametri ambientali ed individuali, misurazione seguita
dall’elaborazione di specifici indici di confort che
permettono di esprimere numericamente le condizioni
microclimatiche di un ambiente.
Ricordiamo che il confort termico viene definito dalla
American Society of Heating, Refrigerating and Air
Conditioning Engineers ( ASHRAE) come “condizione di
benessere psicofisico dell’individuo rispetto all’ambiente
in cui vive e opera”. E la valutazione di tale benessere può
essere quantificata specialmente attraverso due indici:
-PMV (voto medio previsto): è il valore medio dei voti
previsto in un consistente gruppo di persone, secondo
una scala di sensazione termica a 7 punti. Da +3 (molto
caldo) a -3 (molto freddo), passando per 0 (né caldo né
Inoltre, come indicato nel documento Inail “ Microclima
e luoghi di lavoro”, si possono distinguere, dal punto di
vista termico, diverse tipologie di ambiente:
- “ambienti moderati, in cui si possono raggiungere
condizioni di comfort”;
- “ambienti severi in cui tali condizioni non possono essere
garantite e pertanto ci si deve preoccupare di assicurare la
salute e la sicurezza del lavoratore”.
Negli ambienti moderati il lavoratore non corre
generalmente rischi per la salute ed è possibile raggiungere
la condizione di benessere termico, una sorta di “equilibrio
termico tra soggetto ed ambiente ottenuta mediante
un’attivazione minima dei meccanismi di termoregolazione
per mantenere costante la temperatura corporea intorno
ai 37°C”.
In questo caso per la valutazione gli indici più utilizzati sono
descritti nella UNI EN ISO 7730 e sono, come abbiamo
visto, il PMV (Predicted Mean Vote) e il PPD (Predicted
Percentage of Dissatisfied). Si deve inoltre tener conto dei
discomfort locali individuati dalla stessa UNI EN ISO 7730.
Gli ambienti severi sono ambienti in cui non si possono
realizzare condizioni di comfort termico ed è necessario
individuare opportune misure di protezione.
Possiamo avere:
- ambienti severi caldi: il soggetto “può non riuscire a
dissipare calore oltre un certo limite con i meccanismi di
termoregolazione (vasodilatazione e sudorazione), con
conseguente innalzamento della temperatura centrale.
Si va dal deficit idrico, a quello sodico, all’esaurimento
della sudorazione, alla sincope da calore e alle ustioni da
calore, in caso di esposizione a fonti di calore radiante”.
Per la valutazione è possibile utilizzare l’indice WBGT,
un indice di facile determinazione, che “può dare
un’idea immediata sulla necessità di una valutazione più
accurata. Tiene conto solo dei parametri ambientali e non
dell’attività lavorativa e dell’abbigliamento indossato dal
lavoratore”. È inoltre possibile utilizzare il modello PHS,
un “modello analitico sofisticato che tiene conto anche
di fattori complessi, restituendo risultati più affidabili e
rendendo la valutazione più veritiera”;
- ambienti severi freddi: “il soggetto non riesce, oltre certi
limiti, a trattenere calore all’interno del corpo mediante
i meccanismi di termoregolazione (vasocostrizione
CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117
e brivido), con conseguente abbassamento della
temperatura centrale.
Il raffreddamento globale può portare al rischio di
ipotermia fino alla morte per fibrillazione cardiaca, mentre
il raffreddamento locale può comportare il rischio di
congelamento delle estremità”. Per la valutazione si deve
tener conto sia del raffreddamento globale (corpo intero)
che del raffreddamento locale ovvero di alcune parti
specifiche come viso, mani e piedi. Per il raffreddamento
globale si utilizza l’indice IREQ (procedura analitica “basata
sulla valutazione dell’isolamento dell’abbigliamento
richiesto” affinché il corpo sia in equilibrio termico con
l’ambiente) e per il raffreddamento locale è applicabile
la norma UNI EN ISO 11079 che individua 4 tipi di
raffreddamento locale (raffreddamento dovuto al vento
freddo, raffreddamento della pelle per contatto con
superficie fredde, raffreddamento delle estremità,
raffreddamento delle vie respiratorie).
Concludiamo questa breve disamina, sulla valutazione del
rischio microclimatico, riportando alcune norme tecniche
di riferimento.
Per gli ambienti moderati:
-UNI EN ISO 7730:2006 “Ergonomia degli ambienti termici
- Determinazione analitica e interpretazione del benessere
termico mediante il calcolo degli indici PMV e PPD e dei
criteri di benessere termico locale”: questa norma presenta
metodi per prevedere la sensazione termica globale ed il
grado di disagio (insoddisfazione termica) delle persone
esposte in ambienti termici moderati. Consente infatti la
determinazione analitica e l’interpretazione del benessere
termico mediante il calcolo del PMV e del PPD e dei
criteri di benessere termico locale, fornendo le condizioni
ambientali considerate accettabili per il benessere termico
-UNI EN ISO 11079:2008 “Ergonomia degli ambienti
termici - Determinazione e interpretazione dello stress
termico da freddo con l’utilizzo dell’isolamento termico
dell’abbigliamento richiesto (IREQ) e degli effetti del
raffreddamento locale”.
Per tutti i tipi di ambienti:
-UNI EN ISO 7726:2002 “Ergonomia degli ambienti
termici - Strumenti per la misurazione delle grandezze
fisiche”;
-UNI EN ISO 8996:2005 “Ergonomia dell’ambiente
termico - Determinazione del metabolismo energetico”;
globale così come quelle che rappresentano il disagio
locale.
Per gli ambienti severi caldi:
-UNI EN ISO 7933:2005 “Ergonomia dell’ambiente termico
- Determinazione analitica ed interpretazione dello stress
termico da calore mediante il calcolo della sollecitazione
termica prevedibile”;
-UNI EN 27243 “Ambienti caldi. Valutazione dello stress
termico per l’uomo negli ambienti di lavoro, basata
sull’indice WBGT (temperatura a bulbo umido e del
globotermometro)”.
-UNI EN ISO 9886:2004 “Ergonomia - Valutazione degli
effetti termici (thermal strain) mediante misurazioni
fisiologiche”;
-UNI EN ISO 9920:2009 “Ergonomia dell’ambiente
termico - Valutazione dell’isolamento termico e della
resistenza evaporativa dell’abbigliamento”;
-UNI EN ISO 12894:2002 “Ergonomia degli ambienti
termici - Supervisione medica per persone esposte ad
ambienti molto caldi o molto freddi”.
-UNI EN 342:2004 “Indumenti di protezione - Completi e
capi di abbigliamento per la protezione contro il freddo”;
In riferimento a questo articolo vi consigliamo di
approfondire la materia attraverso la lettura del documento
“Condizioni di benessere e prestazioni tecniche”, a cura
del Prof. Arch. Gianfranco Cellai (Laboratorio di Fisica
Ambientale per la Qualità Edilizia - Università di Firenze),
(formato PDF, 2.53 MB)
-UNI EN 511:2006 “Guanti di protezione contro il freddo”;
Articolo tratto dal quotidiano on-line: www.puntosicuro.it
Per gli ambienti severi freddi:
CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117
MEDICO COMPETENTE E VALUTAZIONE DEI RISCHI: COSA SIGNIFICA “COLLABORARE”
Come è noto, l’art. 25 del D.Lgs 81/2008 prevede che il
medico competente “collabora con il datore di lavoro e con
il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei
rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario,
della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della
attuazione delle misure per la tutela della salute e della
integrità psico-fisica dei lavoratori, all’attività di formazione
e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di
competenza, e alla organizzazione del servizio di primo
soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione
ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del
lavoro. Collabora inoltre alla attuazione e valorizzazione
di programmi volontari di “promozione della salute”,
secondo i principi della responsabilità sociale”.
Questo articolo prelude a quanto previsto all’art. 29,
comma 1 , dello stesso Decreto: “ Il datore di lavoro
effettua la valutazione ed elabora il documento di cui
all’articolo 17, comma 1, lettera a), in collaborazione con il
responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il
medico competente, nei casi di cui all’articolo 41” (il 41 è
l’articolo che prevede in quali casi della essere eseguita la
sorveglianza sanitaria).
Evidentemente i termini “collabora” e “ collaborazione”
non risultano completamente chiari, la Commissione per
gli Interpelli, in data 27 marzo 2014, si è qundi pronunciata
in questo modo (Interpello N. 5/2014):
1) Innanzi tutto fa rilevare come l’attività di collaborazione,
già prevista nel D.Lgs 626/94 venga estesa ed ampliata
dal D.Lgs 81/2008 riguardando anche la programmazione
della sorveglianza sanitaria, la formazione e informazione
ai lavoratori per la parte di competenza del MC,
l’organizzazione del servizio di primo soccorso. Ciò fa
assumere al MC un ruolo di maggiore rilevanza nel sistema
organizzativo della prevenzione in azienda.
2) Per meglio chiarire tale ruolo, la Commissione riporta
anche un passaggio di una sentenza della Corte di
Cassazione (n. 1856 del 15 gennaio 2013), che testualmente
afferma che al medico competente “non è affatto richiesto
l’adempimento di un obbligo altrui quanto, piuttosto,
lo svolgimento del proprio obbligo di collaborazione,
espletabile anche mediante l’esauriente sottoposizione al
datore di lavoro dei rilievi e delle proposte in materia di
valutazione dei rischi che coinvolgono le sue competenze
professionali in materia sanitaria. Viene così delimitato
l’ambito degli obblighi imposti dalla norma al “medico
competente”, adempiuti i quali, l’eventuale ulteriore
inerzia del datore di lavoro resterebbe imputata a sua
esclusiva responsabilità penale.
3) Ne consegue che, anche se la valutazione dei rischi è
un obbligo non delegabile del datore di lavoro il MC è
obbligato a collaborare, all’effettuazione della valutazione
dei rischi, sulla base delle informazioni ricevute dallo
stesso datore di lavoro. Le suddette informazioni il MC
le riceve, tuttavia, non solo dal datore di lavoro, come
previsto dall’art. 18, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2008,
ma le acquisisce anche di sua iniziativa, attraverso
l’adempimento degli obblighi sanciti dall’art. 25 del
decreto in parola. In particolare il medico competente
può dedurre le informazioni attraverso, per esempio, due
attività fondamentali, di seguito indicate. Tali attività sono:
- la visita degli ambienti di lavoro: nel corso del sopralluogo
il medico competente prende visione del ciclo produttivo,
verifica le condizioni correlate ai possibili rischi per la
salute presenti nelle specifiche aree, interagisce con il
datore di lavoro e/o con l’RSPP, dialoga con i lavoratori
e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, laddove
presenti
- la sorveglianza sanitaria: elementi utili allo scopo sono
forniti dalla cartella sanitaria.
Alla luce di tutte le considerazioni precedenti, la
Commissione ritiene che l’obbligo di “collaborazione”
vada inteso in maniera attiva, e questo è un passaggio
di importanza fondamentale: il MC prima di redigere il
protocollo sanitario deve avere una conoscenza dei rischi
presenti e per far ciò deve concretamente collaborare alla
valutazione dei rischi .
La Commissione precisa anche un altro aspetto di notevole
rilevanza: qualora il medico competente sia nominato,
dopo la redazione della valutazione dei rischi, subentrando
ad un altro medico competente, deve provvedere ad una
rivisitazione della valutazione stessa previa acquisizione
delle necessarie informazioni da parte del datore di lavoro
e previa presa visione dei luoghi di lavoro, per gli aspetti
di competenza.
Il parere della Commissione si conclude ricordando che
l’eventuale mancata collaborazione del medico competente
può essere oggetto di accertamento da parte dell’organo
di vigilanza e sottolineando che il datore di lavoro deve
richiedere la collaborazione del MC alla valutazione dei
rischi sin dall’inizio del processo valutativo, a partire dalla
scelta dei metodi da adottare per la valutazione dei vari
rischi.
CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117
“IO SONO CHENG: UNA STORIA DI INFORTUNIO DI ORDINARIA SCHIAVITÙ”
Durante i lavori per la realizzazione di cubetti in pietra, un
operaio ha subito una ferita da schiacciamento alla mano
destra: come è avvenuto l’incidente, le cause, i risultati
delle inchieste e le indicazioni per la prevenzione.
lavorazione della pietra. In particolare la lavorazione parte
da blocchi in pietra naturale, da cui vengono prodotte
lastre, cordoli, cubetti o quanto richiesto dal cliente. La
creazione dei cubetti avviene mediante presse tranciatrici,
dette anche “cubettatrici”, macchine dotate di due lame
semoventi che spezzano i blocchi di pietra in elementi di
più piccole dimensioni.
Io sono Cheng: una storia di infortunio di ordinaria
schiavitù
a cura di Giovanni Polliotti e Giorgio Ruffinatto, Servizio
Pre.S.A.L. della Asl TO3
Che cosa è successo
Durante i lavori per la realizzazione di cubetti in pietra, un
operaio ha subito una ferita da schiacciamento alla mano
destra riportando un’invalidità permanente del 46%.
Chi è stato coinvolto
Cheng è un operaio cinquantenne di origine cinese che
vive in Italia da cinque anni. Da quando è emigrato ha
sempre lavorato presso un piccolo laboratorio della pietra
come addetto al taglio.
Conosce pochissime parole di Italiano, ma il lavoro che
svolge, di tipo manuale e perlopiù individuale, non
prevede grossi scambi con colleghi e superiori e non
necessita quindi di un vocabolario molto articolato.
Inoltre, il rumore assordante e la diversa provenienza dei
lavoratori (Marocco e Cina) complicano ulteriormente la
comunicazione durante le ore di lavoro.
Dove e quando
L’infortunio è avvenuto in provincia di Torino, nell’autunno
del 2008, in un piccolo laboratorio di lavorazione della
pietra.
Come
La denuncia di infortunio pervenuta allo SPreSAL riportava
una dinamica di accadimento non molto chiara:
“Mentre tranciava una pietra inavvertitamente si feriva alla
mano…”
Nel corso di un primo sopralluogo in azienda, il datore di
lavoro della ditta aveva riferito che l’evento era avvenuto
in un piazzale dello stabilimento, dove operano gli
scalpelliniche preparano i blocchi di pietra per il successivo
trancio, in un’area priva di macchinari.
Dai primi accertamenti pareva quindi che l’infortunio fosse
avvenuto per pura accidentalità: il lavoratore che si era
dato una martellata sulle mani…
Non è stato facile mettersi in contatto con Cheng, trasferitosi
nel frattempo in un’altra provincia, ma quando si è potuto
sentire la versione dell’infortunato e dei suoi colleghi, si è
riusciti ricostruire la vera dinamica dell’infortunio.
Il laboratorio in cui è avvenuto l’infortunio svolge attività di
Cheng, operaio addetto ad una pressa cubettatrice, il
giorno dell’infortunio, come d’abitudine, stava procedendo
alla realizzazione dei cubetti mediante una vecchia
tranciatrice, quando ha subito una ferita alla mano destra
per schiacciamento fra un blocchetto in pietra e la lama
superiore della macchina. L’infortunato è stato portato
al Pronto Soccorso, quindi trasportato al CTO di Torino,
dove è stato sottoposto a ripetuti interventi chirurgici alla
mano. In seguito all’infortunio, Cheng ha recuperato solo
in parte l’utilizzo della mano.
“Quando mi sono fatto male, i miei colleghi cinesi sono
venuti ad aiutarmi. L’altro mio collega arabo ha telefonato
al capo. Dopo circa due ore, il mio capo è arrivato e mi ha
portato in ospedale a Pinerolo.
Adesso non riesco più a muovere la mano e il polso lo
muovo poco perché mi fa ancora male”.
Perché
L’infortunio di Cheng è potuto accadere in quanto la
macchina tranciatrice al momento dell’infortunio non
garantiva un sufficiente grado di sicurezza: la lama
superiore, attivata dal comando a pedale, scendeva sul
banco di lavoro anche senza il consenso delle fotocellule
che intercettano la presenza delle mani dell’operatore
CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117
Cheng ha riferito che:
È stato inoltre sentito Lorenzo, un tecnico manutentore
intervenuto subito dopo l’infortunio:
(dotate di guanti con catarifrangenti) nell’area di sicurezza.
Il malfunzionamento del sistema di sicurezza, che evita lo
schiacciamento delle mani da parte degli elementi mobili
della macchina, potrebbe essere stato determinato dai
seguenti motivi:
- mancanza o insufficienza di interventi di controllo
periodici o straordinari, secondo frequenze stabilite in
base alle indicazioni fornite dal fabbricante, necessarie a
verificare le buone condizioni di sicurezza della macchina;
- mancata o insufficiente manutenzione sulla macchina
tranciatrice volta a garantire nel tempo la permanenza dei
requisiti di sicurezza previsti dal costruttore; in azienda
non era presente il libretto d’uso e manutenzione della
macchina e non vi era alcun registro comprovante gli
interventi di controllo e di manutenzione sulle macchine;
- eventuale manomissione del sistema di sicurezza costituito
da fotocellule e guanti dotati di banda catarifrangente,
che potrebbe determinare la possibilità di operare senza
l’utilizzo dei guanti dotati di catarifrangente.
In sintesi, l’azienda ha evidentemente privilegiato la
velocità del lavoro a scapito della sicurezza; a tal proposito,
“Abbiamo verificato che a volte i coltelli, azionando il
comando a pedale, scendevano anche senza posizionare
i guanti con catarifrangente al di sotto delle fotocellule”.
Cosa si è appreso dall’inchiesta
La macchina su cui è avvenuto l’infortunio presentava le
seguenti situazioni di rischio:
- il dispositivo di protezione della macchina, costituito da
fotocellule (protezioni opto-elettroniche attive) e guanti
dotati di banda catarifrangente, sono facilmente eludibili
in quanto permettono l’utilizzo di catarifrangenti generici
che quindi possono essere posizionati in qualunque
parte della mano o del braccio dell’operatore. A titolo
di esempio, qualora l’addetto indossasse una giacca
o qualsiasi indumento con bande catarifrangenti sulle
maniche, il sistema potrebbe permettere la discesa della
lama anche se le mani non si trovano in posizione di
sicurezza;
- il mancato funzionamento di elementi costituenti i
dispositivi di sicurezza della macchina non impedisce
l’avviamento o il movimento degli elementi mobili. In
particolare, i dispositivi di sicurezza della macchina,
CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117
Cubettatrice di Pietra utilizzata da Cheng
“A volte, senza schiacciare il pedale, le lame si muovevano.
Quando mi sono fatto male io non ho schiacciato il pedale,
ma la lama è scesa...
Avevo i guanti, ma senza il catarifrangente. Sulla mia
macchina le fotocellule non funzionavano. Non hanno mai
funzionato. Io usavo dei guanti senza catarifrangente...
Avevo detto più volte al mio capo che la macchina non
funzionava bene: la macchina qualche volta era stata
aggiustata, ma le fotocellule non hanno mai funzionato”.
costituiti da fotocellule e guanti dotati di banda
catarifrangente non sono di tipo intrinseco (al verificarsi
del minimo guasto o anomalia la macchina dovrebbe
fermarsi), contrariamente a quanto previsto dalle norme di
buona tecnica (UNI EN), permettendo quindi alla macchina
di essere azionata con il comando a pedale, anche in caso
di guasto delle fotocellule.
Il fatto che in azienda non fosse reperibile il libretto d’uso
e manutenzione della macchina oggetto dell’infortunio
o documentazione comprovante interventi manutentivi
effettuati, comprova che la tranciatrice non sia mai stata
oggetto degli specifici interventi di manutenzione e
controllo secondo modalità e frequenze previste dal
costruttore. Tra le condizioni indispensabili per un corretto
funzionamento della macchina riportate sul libretto d’uso,
vi è anche la necessità di “controllare ogni sei mesi la
funzionalità dei relé che vanno ad eccitare le elettrovalvole
per evitare che i contatti si incollino e la lama salga o
scenda in modo inatteso”.
Secondo Lorenzo, un tecnico manutentore:
“Potrebbe, al momento dell’infortunio, esserci stato
un falso contatto o qualche anomalia di tipo elettrico
che ha consentito la discesa del coltello anche senza il
posizionamento dei guanti”.
Nel corso degli accertamenti è stato richiesto al datore di
lavoro della ditta di visionare ildocumento di valutazione
dei rischi, che è risultato però assente. L’azienda era passata
recentemente di proprietà e c’era un documento a firma
del titolare dell’azienda precedente, ma con contenuti
generici.
Poiché la macchina oggetto dell’infortunio era marcata
CE, e quindi rientrava nel campo di applicazione della
cosiddetta “Direttiva macchine”, sono state eseguite
verifiche in merito alla rispondenza dell’attrezzatura di
lavoro ai “requisiti essenziali di sicurezza”, inviando le
dovute comunicazioni alle autorità nazionali di sorveglianza
del mercato per le non conformità rilevate.
Nel corso delle indagini sono anche stati approfonditi
aspetti inerenti la formazione dei lavoratori, verificando
che gli stessi erano stati formati e informati sull’uso dei
macchinari consegnando loro anche degli opuscoli scritti
in cinese.
Raccomandazioni
In azienda devono essere messe a disposizione dei
lavoratori attrezzature di lavoro conformi alle specifiche
disposizioni legislative, idonee ai fini della salute e sicurezza
e adeguate al lavoro da svolgere.
Specialmente quando si utilizzano macchine di non
recente costruzione, per verificare se queste possano
essere adeguate dal punto di vista della sicurezza sul
lavoro, è importante valutare tutti i rischi legati al loro
utilizzo: rischi intrinseci della macchina, della lavorazione,
e dell’ambiente in cui verrà utilizzata. Il compito principale
della valutazione dei rischi è infatti quello di far emergere
eventuali carenze antinfortunistiche e indicare quali misure
di prevenzione e di protezione devono essere attuate
per far fronte ai rischi, nonché l’elenco dei dispositivi di
protezione individuali da utilizzare.
È inoltre importante che sulle macchine venga svolta una
corretta manutenzione secondo le modalità e periodicità
indicati dal costruttore. Questo, oltre ad allungare la
vita residua della macchina, può evitare che la macchina
si comporti in modo inatteso, causando come nel caso
in esame, un infortunio. È quindi fondamentale avere a
disposizione il libretto d’istruzioni d’uso e manutenzione e
conoscerne i contenuti.
Quando le macchine sono marcate CE, e quindi si rientra
nella cosiddetta “Direttiva macchine”, le verifiche di
conformità devono riguardare anche la rispondenza
dell’attrezzatura di lavoro ai “requisiti essenziali di
sicurezza”, eseguendo anche le necessarie comunicazioni
alle autorità nazionali di sorveglianza del mercato. Ricerche
di mercato e normative, possono poi portare ad acquisire
informazioni utili sull’attuale progresso tecnologico, nuovi
sistemi di protezione delle macchine.
Nel caso di infortuni su attrezzature di lavoro non conformi,
a fini prevenzionistici è importante verificare se in azienda
ve ne siano di simili, al fine di prescrivere che queste
vengano messe in sicurezza prima del loro utilizzo.
L’efficacia della formazione deve essere verificata non
solo dal punto di vista formale (presenza degli attestati
di formazione) ma anche sostanziale, acquisendo le
testimonianze dai singoli lavoratori. Tale elemento risulta
fondamentale specialmente nel caso di lavoratori stranieri
che possono avere problemi di comprensione della lingua.
Una corretta gestione delle emergenze all’interno
dell’azienda con l’individuazione e la formazione delle
persone addette può a volte ridurre il danno. Specialmente
nel caso di infortuni gravi è infatti fondamentale saper
intervenire rapidamente e in modo corretto, ad esempio
per fermare un’emorragia.
Il coinvolgimento dei diversi livelli dell’organizzazione
aziendale (datore di lavoro, dirigenti, preposti e lavoratori)
CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117
nella gestione delle problematiche relative alla sicurezza
del lavoro, ha un effetto positivo sulla prevenzione.
Responsabilizzare le varie figure aziendali porta a una
maggiore consapevolezza del pericolo e alla volontà
di affrontare i problemi anche per timore di eventuali
responsabilità penali.
Nell’azienda in cui è avvenuto l’infortunio, nonostante
le ripetute segnalazioni di malfunzionamento della
macchina da parte del lavoratore, sia al datore di lavoro
che al diretto superiore (preposto di fatto), non sono mai
stati effettuati interventi risolutivi. In azienda non è mai
stata data importanza alle segnalazioni o agli “incidenti”.
Un’adeguata attenzione ai “near miss” (quasi infortunio)
è di importanza fondamentale per ridurre l’incidenza
infortunistica in qualsiasi realtà lavorativa.
si attiva eccitando contemporaneamente le fotocellule
situate di fronte all’operatore in posizione di sicurezza con
i guanti catarifrangenti indossati dall’operatore stesso che
entrando nel campo di lettura delle fotocellule e premendo
il pedale posizionato alla base della macchina, permette la
discesa della lama e lo spacco della pietra. Se l’operatore
con i guanti catarifrangenti esce dal campo di lettura delle
fotocellule (per esempio avvicinando eccessivamente le
mani al punto di trancio) la lama superiore ritorna verso
l’alto evitando qualsiasi possibilità di schiacciamento
tra le due lame. Inoltre, qualora i guanti catarifrangenti
vengano tenuti fermi al di sotto delle fotocellule per più di
30 secondi, la macchina va in blocco: ciò al fine di evitare
che l’operatore possa posare i guanti sul banco di lavoro
ed operare in assenza di questi, eludendo il sistema di
sicurezza.
________________________________________
[1] Come funziona una cubettatrice?
L’infortunio è occorso su una macchina per il trancio delle
pietre (macchine denominate anche “tranciatrici”, “presse
cubettatrici”, “frangi rocce” oppure “stone splitting
machine”). Tali macchine, a movimento oleodinamico,
sono costruite con una particolare struttura aperta dove
l’operatore, posto frontalmente, può agire direttamente
sulla pietra da spaccare, in modo da posizionarla sul punto
di taglio. Il sistema di trancio delle pietre è costituito da
due lame: una superiore (dotata di pistone idraulico per il
suo movimento in senso verticale) e una inferiore (posta a
filo del banco di appoggio). Il banco è di tipo basculante,
ossia, quando la lama superiore, abbassandosi preme il
blocco di pietra contro il banco di appoggio, il piano di
appoggio si abbassa di pochi centimetri permettendo
alla lama inferiore di andare a contatto con la pietra e
provocando la rottura della pietra stessa lungo la linea
di pressione fra le due lame. Il sistema di comando di
sicurezza a fotocellule (protezioni opto-elettroniche attive)
CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117
LA POSTA DEL RLS
Inviate le vostre domande rigardanti
la salute e sicurezza sul lavoro agli
indirizzi mail riportati qui sotto.
Vi risponderemo tempestivamente e
pubblicheremo le domande più curiose
sul prossimo numero di InformaSalute
Sportello Salute UIL
[email protected]
tel. 345 7368946
Sportello Salute CISL
[email protected]
tel. 045 8096014
Sportello Salute CGIL
[email protected]
tel. 045 8674669
INFORTUNI MORTALI: SU INFOR.MO L’ANALISI DELLE CAUSE E GLI INTERVENTI DI PREVENZIONE
ROMA - Si chiama Infor.MO ed è il sistema di sorveglianza
dedicato all’approfondimento delle cause degli infortuni
mortali sul lavoro alimentato - col contributo di Inail e
Regioni - dalle inchieste sugli incidenti condotte dai Servizi
di prevenzione dei luoghi di lavoro delle Asl.
Il suo obiettivo: monitorare le cause per ricavarne
indicazioni utili ai fini prevenzionali.
Sui dati Inail il sistema Infor.MO offre una copertura media
annuale pari all’82%, e questo in riferimento agli infortuni
con esito mortale avvenuti specificatamente in occasione
di lavoro (sono esclusi, dunque, quelli stradali e in itinere).
L’archivio ha, pertanto, una grande utilità conoscitiva e
pratica per quanto riguarda i fattori di rischio e i possibili
interventi per la tutela della salute e della sicurezza dei
lavoratori.
Un data-base dalle grandi potenzialità conoscitive.
Entrando nei dettagli di ogni singolo caso, infatti, grazie a
Infor.MO è possibile disporre di un “identikit” complessivo
del fenomeno, non solo in riferimento alle caratteristiche
dell’infortunato, ma anche a quelle dell’azienda e del
comparto produttivo nei quali il lavoratore operava.
Il 75% degli eventi mortali è riconducibile a cinque
modalità di accadimento.
Le risultanze offerte da Inform.MO sono davvero di grande
interesse. Per esempio, per quanto riguarda le modalità di
accadimento degli infortuni, il sistema ci dice che nel 2012
il 75% degli eventi è raggruppabile in cinque categorie
principali: caduta dall’alto dell’infortunato (33,1%); caduta
dall’alto di gravi (17%); fuoriuscita e/o ribaltamento
del veicolo dal proprio percorso (12,5%); contatto con
oggetti, mezzi, veicoli (7,2%) e avviamento intempestivo
di macchinari (5,9%). Le cadute dall’alto di lavoratori e le
cadute dall’alto di gravi rappresentano, costantemente, la
metà degli eventi mortali. Ancora: nel biennio 2011-2012
– rispetto agli anni precedenti – è risultato maggiore il
peso dei contatti elettrici diretti.
Il dettaglio sui problemi di sicurezza e sulle loro cause.
Grazie a Inform.MO, ancora, è possibile – per quanto
concerne l’attività dell’infortunato – entrare nel merito dei
problemi di sicurezza relativi agli infortuni mortali (l’errore
di procedure, nel 2012, è stato all’origine dell’83% dei
casi) e delle cause che hanno agito alla base (l’azione
estemporanea è l’elemento che rcorso nel 51% dei
casi). Ugualmente utile la parte statistica riguardante le
attrezzature e i problemi di sicurezza legati all’ambiente.
Il 72% dei casi mortali dal 2007 al 2012 è dovuto a
violazioni delle norme.
“Se effettuiamo un confronto dei fattori determinanti un
incidente mortale con quanto previsto dalle leggi e dalle
norme di buona tecnica, verifichiamo che la percentuale
media di casi giudicati con violazione alle norme, dal 2007
al 2012, è stata pari al 72% – ha affermato Piz – In questo
modo, grazie a Infor.MO, possiamo toccare davvero con
mano gli infortuni mortali e comprendere, per prima cosa,
che non sono affatto una tragica fatalità e, successivamente,
che possono essere considerevolmente ridotti”.
Per ogni fattore di rischio le buone prassi adottate o da
adottare.
Una sezione importante di Inform.MO, pertanto, è quella
dedicata agli interventi di prevenzione. Per ogni fattore
di rischio rilevato il sistema offre delle azioni risolutive già
attuate o da proporre. I dati di Infor.MO sono di facile
accesso e disponibili attrverso report a carattere regionale
o nazionale, nonché mediante schede sintetiche sulle
principali risultanze evidenziate. Il sistema è interrogabile
secondo filtri predefiti e/o ricerca testuale e mette
a disposizione di tutti le descrizioni delle dinamiche
infortunistiche degli eventi e le rappresentazioni visive
(con disegni e animazioni) di quelle più frequenti.
Necessario incrementare il sistema col contributo di enti
pubblici e parti sociali.
“Affinché questo sistema continui a crescere è necessario
persistere nel miglioramento continuo dell’analisi dei
casi, occupandoci dei comparti emergenti, considerando
gli aspetti organizzativi, migliorando il coordinamento
tra gli enti pubblici che lavorano su questi aspetti e,
infine, coinvolgendo le associazioni di categoria e le
organizzazioni sindacali. In sintesi, è necessario usare tutti
i mezzi a nostra disposizione, ma anche trovarne di nuovi,
perché si tratta di un fine nobile il cui successo è garantito
solo se riusciamo a dotarci delle risorse adeguate” afferma
Celestino Piz, referente Infor.MO per il Coordinamento
tecnico interregionale prevenzione.
Tratto da: www.inail.it/
CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117
Scarica

Luglio 2015