INFORMA SALUTE LUGLIO 2015 a cura di: PERIODICO DI INFORMAZIONE PER I RAPPRESENTANTI DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA in questo numero: COMITATO DI REDAZIONE: Alberto Misuri CISL 045 8096014 Gabriele Bozzini UIL 345 7369846 MaurizioTiano CGIL 045 8674669 LUOGHI DI LAVORO MICROCLIMA E STRESS TERMICO DA TEMPERATURA MEDICO COMPETENTE E V.D.R.: COSA SIGNIFICA “COLLABORARE” Il microclima di un ambiente di lavoro, cioè quel complesso di parametri fisici (temperatura dell’aria, temperatura media radiante, velocità dell’aria, umidità relativa) che insieme a parametri quali attività metabolica... Come è noto, l’art. 25 del D.Lgs 81/2008 prevede che il medico competente “collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi anche ai fini della programmazione.. LA “IO SONO CHENG: UNA STORIA DI INFORTUNIO DI ORDINARIA SCHIAVITÙ” INFORTUNI MORTALI: INFOR.MO ANALISI DELLE CAUSE E INTERVENTI DI PREVENZIONE Durante i lavori per la realizzazione di cubetti in pietra, un operaio ha subito una ferita da schiacciamento alla mano destra: come è avvenuto l’incidente, le cause, i risultati delle inchieste e le indicazioni per la prevenzione.. Si chiama Infor.MO ed è il sistema di sorveglianza dedicato all’approfondimento delle cause degli infortuni mortali sul lavoro alimentato col contributo di Inail e Regioni - dalle inchieste sugli incidenti condotte dai... REALIZZAZIONE GRAFICA DI GABRIELE BOZZINI LUOGHI DI LAVORO: MICROCLIMA E STRESS TERMICO DA TEMPERATURA Il microclima di un ambiente di lavoro, cioè quel complesso di parametri fisici (temperatura dell’aria, temperatura media radiante, velocità dell’aria, umidità relativa) che insieme a parametri quali attività metabolica ed abbigliamento caratterizzano gli scambi termici tra ambiente e lavoratori, è un elemento molto importante di ogni valutazione dei rischi. Infatti l’ambiente termo-igrometrico in cui opera un lavoratore non solo può comprometterne la sicurezza e salute, ma può essere non adeguato alla attività e creare vere e proprie sensazioni di disagio (discomfort). Sono tanti i fattori che possono provocare discomfort in un ambiente lavorativo. A livello esemplificativo ne individiamo alcuni: - “presenza di ampie superfici particolarmente fredde/ calde (ad es. pareti vetrate o pareti non isolate) che possono causare scambi termici radiativi anomali tra alcune parti del corpo umano e le superfici suddette (si raccomanda di mantenere l’asimmetria della temperatura radiante < 10°C per le superfici verticali, e < 5°C per i soffitti); - contatto con superfici eccessivamente fredde o calde; ad esempio pavimenti non isolati su porticati ecc. (si raccomandano temperature superficiali comprese tra 19 e 26°C); - presenza di correnti d’aria fredda (spifferi) che su alcune zone del corpo, ad esempio la nuca, possono risultare particolarmente fastidiose (si raccomanda una velocità relativa dell’aria < 0,25 m/s); - gradienti di temperatura all’interno dello stesso locale (si raccomanda una differenza verticale di temperatura < 3°C)”. Ricordiamo che un ambiente si trova in condizioni termicamente confortevoli quando una elevata percentuale di persone poste all’interno dello stesso, soggette ad analoghe condizioni di vestiario ed attività fisica, non è in grado di dire se preferirebbe una temperatura più alta o più bassa. A questo proposito elenchiamo alcune condizioni di benessere in periodi invernali (con riscaldamento) e con riferimento ad attività leggere, fondamentalmente sedentarie: - la “temperatura operativa deve essere compresa tra 20 °C e 24 °C”; - “la differenza verticale di temperatura dell’aria tra 1,1 m e 0,1 m dal pavimento (livello testa e caviglia) deve essere minore di 3 °C; - la temperatura superficiale del pavimento normalmente deve essere compresa tra 19 °C e 26 °C, ma si possono progettare sistemi di riscaldamento a pavimento a 29 °C”; - “l’asimmetria della temperatura radiante dovuta a finestre o ad altre superfici fredde verticali deve essere minore di 10 °C (rispetto ad un piccolo elemento piano verticale posto a 0,6 m dal pavimento); - l’asimmetria della temperatura radiante dovuta ad un soffitto caldo (riscaldato) deve essere minore di 5 °C (rispetto ad un piccolo elemento piano orizzontale posto a 0,6 m dal pavimento); - l’umidità relativa deve essere compresa tra il 30% e il 70%”. E riguardo alle condizioni di benessere estive, con riferimento alle stesse attività: - la “temperatura operativa deve essere compresa tra 23 °C e 26 °C”; - “la differenza verticale di temperatura dell’aria tra 1,1 m e 0,1 m dal pavimento (livello testa e caviglia) deve essere minore di 3 °C”; - “l’umidità relativa deve essere compresa tra il 30% e il 70%”. Il confort (o comfort) microclimatico è importante in tutti gli ambienti di lavoro e la stessa normativa sulla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, il Decreto legislativo 81/2008, classifica nel Titolo VIII (art. 180) il microclima tra gli agenti fisici che, ai sensi dell’art. 181, devono essere compresi nella valutazione dei rischi. Benché mancante di un capo specifico (come altri agenti fisici), il microclima deve essere valutato con riferimento alle norme di buona tecnica (UNI, ISO ecc.) ed alle buone CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117 freddo); -PPD (percentuale prevista di insoddisfatti): percentuale di soggetti termicamente insoddisfatti in uno specifico ambiente. È un indice calcolato a partire dal valore di PMV. Il PMV è un indice adatto alla valutazione di ambienti lavorativi a microclima moderato, ad esempio uffici, laboratori di ricerca, scuole, ospedali, .... Uno stato di comfort termico si raggiunge per valori di PMV compresi tra + 0,5 e - 0,5, cui corrisponde una percentuale di insoddisfatti delle condizioni termiche (PPD) inferiore al 10%. prassi in modo da identificare ed adottare le più adeguate misure di prevenzione e protezione. Come fare dunque la valutazione del microclima e come calcolare il confort termico? La valutazione del microclima ambientale e del confort dei lavoratori avviene mediante la misurazione di parametri ambientali ed individuali, misurazione seguita dall’elaborazione di specifici indici di confort che permettono di esprimere numericamente le condizioni microclimatiche di un ambiente. Ricordiamo che il confort termico viene definito dalla American Society of Heating, Refrigerating and Air Conditioning Engineers ( ASHRAE) come “condizione di benessere psicofisico dell’individuo rispetto all’ambiente in cui vive e opera”. E la valutazione di tale benessere può essere quantificata specialmente attraverso due indici: -PMV (voto medio previsto): è il valore medio dei voti previsto in un consistente gruppo di persone, secondo una scala di sensazione termica a 7 punti. Da +3 (molto caldo) a -3 (molto freddo), passando per 0 (né caldo né Inoltre, come indicato nel documento Inail “ Microclima e luoghi di lavoro”, si possono distinguere, dal punto di vista termico, diverse tipologie di ambiente: - “ambienti moderati, in cui si possono raggiungere condizioni di comfort”; - “ambienti severi in cui tali condizioni non possono essere garantite e pertanto ci si deve preoccupare di assicurare la salute e la sicurezza del lavoratore”. Negli ambienti moderati il lavoratore non corre generalmente rischi per la salute ed è possibile raggiungere la condizione di benessere termico, una sorta di “equilibrio termico tra soggetto ed ambiente ottenuta mediante un’attivazione minima dei meccanismi di termoregolazione per mantenere costante la temperatura corporea intorno ai 37°C”. In questo caso per la valutazione gli indici più utilizzati sono descritti nella UNI EN ISO 7730 e sono, come abbiamo visto, il PMV (Predicted Mean Vote) e il PPD (Predicted Percentage of Dissatisfied). Si deve inoltre tener conto dei discomfort locali individuati dalla stessa UNI EN ISO 7730. Gli ambienti severi sono ambienti in cui non si possono realizzare condizioni di comfort termico ed è necessario individuare opportune misure di protezione. Possiamo avere: - ambienti severi caldi: il soggetto “può non riuscire a dissipare calore oltre un certo limite con i meccanismi di termoregolazione (vasodilatazione e sudorazione), con conseguente innalzamento della temperatura centrale. Si va dal deficit idrico, a quello sodico, all’esaurimento della sudorazione, alla sincope da calore e alle ustioni da calore, in caso di esposizione a fonti di calore radiante”. Per la valutazione è possibile utilizzare l’indice WBGT, un indice di facile determinazione, che “può dare un’idea immediata sulla necessità di una valutazione più accurata. Tiene conto solo dei parametri ambientali e non dell’attività lavorativa e dell’abbigliamento indossato dal lavoratore”. È inoltre possibile utilizzare il modello PHS, un “modello analitico sofisticato che tiene conto anche di fattori complessi, restituendo risultati più affidabili e rendendo la valutazione più veritiera”; - ambienti severi freddi: “il soggetto non riesce, oltre certi limiti, a trattenere calore all’interno del corpo mediante i meccanismi di termoregolazione (vasocostrizione CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117 e brivido), con conseguente abbassamento della temperatura centrale. Il raffreddamento globale può portare al rischio di ipotermia fino alla morte per fibrillazione cardiaca, mentre il raffreddamento locale può comportare il rischio di congelamento delle estremità”. Per la valutazione si deve tener conto sia del raffreddamento globale (corpo intero) che del raffreddamento locale ovvero di alcune parti specifiche come viso, mani e piedi. Per il raffreddamento globale si utilizza l’indice IREQ (procedura analitica “basata sulla valutazione dell’isolamento dell’abbigliamento richiesto” affinché il corpo sia in equilibrio termico con l’ambiente) e per il raffreddamento locale è applicabile la norma UNI EN ISO 11079 che individua 4 tipi di raffreddamento locale (raffreddamento dovuto al vento freddo, raffreddamento della pelle per contatto con superficie fredde, raffreddamento delle estremità, raffreddamento delle vie respiratorie). Concludiamo questa breve disamina, sulla valutazione del rischio microclimatico, riportando alcune norme tecniche di riferimento. Per gli ambienti moderati: -UNI EN ISO 7730:2006 “Ergonomia degli ambienti termici - Determinazione analitica e interpretazione del benessere termico mediante il calcolo degli indici PMV e PPD e dei criteri di benessere termico locale”: questa norma presenta metodi per prevedere la sensazione termica globale ed il grado di disagio (insoddisfazione termica) delle persone esposte in ambienti termici moderati. Consente infatti la determinazione analitica e l’interpretazione del benessere termico mediante il calcolo del PMV e del PPD e dei criteri di benessere termico locale, fornendo le condizioni ambientali considerate accettabili per il benessere termico -UNI EN ISO 11079:2008 “Ergonomia degli ambienti termici - Determinazione e interpretazione dello stress termico da freddo con l’utilizzo dell’isolamento termico dell’abbigliamento richiesto (IREQ) e degli effetti del raffreddamento locale”. Per tutti i tipi di ambienti: -UNI EN ISO 7726:2002 “Ergonomia degli ambienti termici - Strumenti per la misurazione delle grandezze fisiche”; -UNI EN ISO 8996:2005 “Ergonomia dell’ambiente termico - Determinazione del metabolismo energetico”; globale così come quelle che rappresentano il disagio locale. Per gli ambienti severi caldi: -UNI EN ISO 7933:2005 “Ergonomia dell’ambiente termico - Determinazione analitica ed interpretazione dello stress termico da calore mediante il calcolo della sollecitazione termica prevedibile”; -UNI EN 27243 “Ambienti caldi. Valutazione dello stress termico per l’uomo negli ambienti di lavoro, basata sull’indice WBGT (temperatura a bulbo umido e del globotermometro)”. -UNI EN ISO 9886:2004 “Ergonomia - Valutazione degli effetti termici (thermal strain) mediante misurazioni fisiologiche”; -UNI EN ISO 9920:2009 “Ergonomia dell’ambiente termico - Valutazione dell’isolamento termico e della resistenza evaporativa dell’abbigliamento”; -UNI EN ISO 12894:2002 “Ergonomia degli ambienti termici - Supervisione medica per persone esposte ad ambienti molto caldi o molto freddi”. -UNI EN 342:2004 “Indumenti di protezione - Completi e capi di abbigliamento per la protezione contro il freddo”; In riferimento a questo articolo vi consigliamo di approfondire la materia attraverso la lettura del documento “Condizioni di benessere e prestazioni tecniche”, a cura del Prof. Arch. Gianfranco Cellai (Laboratorio di Fisica Ambientale per la Qualità Edilizia - Università di Firenze), (formato PDF, 2.53 MB) -UNI EN 511:2006 “Guanti di protezione contro il freddo”; Articolo tratto dal quotidiano on-line: www.puntosicuro.it Per gli ambienti severi freddi: CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117 MEDICO COMPETENTE E VALUTAZIONE DEI RISCHI: COSA SIGNIFICA “COLLABORARE” Come è noto, l’art. 25 del D.Lgs 81/2008 prevede che il medico competente “collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, all’attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza, e alla organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro. Collabora inoltre alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di “promozione della salute”, secondo i principi della responsabilità sociale”. Questo articolo prelude a quanto previsto all’art. 29, comma 1 , dello stesso Decreto: “ Il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, nei casi di cui all’articolo 41” (il 41 è l’articolo che prevede in quali casi della essere eseguita la sorveglianza sanitaria). Evidentemente i termini “collabora” e “ collaborazione” non risultano completamente chiari, la Commissione per gli Interpelli, in data 27 marzo 2014, si è qundi pronunciata in questo modo (Interpello N. 5/2014): 1) Innanzi tutto fa rilevare come l’attività di collaborazione, già prevista nel D.Lgs 626/94 venga estesa ed ampliata dal D.Lgs 81/2008 riguardando anche la programmazione della sorveglianza sanitaria, la formazione e informazione ai lavoratori per la parte di competenza del MC, l’organizzazione del servizio di primo soccorso. Ciò fa assumere al MC un ruolo di maggiore rilevanza nel sistema organizzativo della prevenzione in azienda. 2) Per meglio chiarire tale ruolo, la Commissione riporta anche un passaggio di una sentenza della Corte di Cassazione (n. 1856 del 15 gennaio 2013), che testualmente afferma che al medico competente “non è affatto richiesto l’adempimento di un obbligo altrui quanto, piuttosto, lo svolgimento del proprio obbligo di collaborazione, espletabile anche mediante l’esauriente sottoposizione al datore di lavoro dei rilievi e delle proposte in materia di valutazione dei rischi che coinvolgono le sue competenze professionali in materia sanitaria. Viene così delimitato l’ambito degli obblighi imposti dalla norma al “medico competente”, adempiuti i quali, l’eventuale ulteriore inerzia del datore di lavoro resterebbe imputata a sua esclusiva responsabilità penale. 3) Ne consegue che, anche se la valutazione dei rischi è un obbligo non delegabile del datore di lavoro il MC è obbligato a collaborare, all’effettuazione della valutazione dei rischi, sulla base delle informazioni ricevute dallo stesso datore di lavoro. Le suddette informazioni il MC le riceve, tuttavia, non solo dal datore di lavoro, come previsto dall’art. 18, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2008, ma le acquisisce anche di sua iniziativa, attraverso l’adempimento degli obblighi sanciti dall’art. 25 del decreto in parola. In particolare il medico competente può dedurre le informazioni attraverso, per esempio, due attività fondamentali, di seguito indicate. Tali attività sono: - la visita degli ambienti di lavoro: nel corso del sopralluogo il medico competente prende visione del ciclo produttivo, verifica le condizioni correlate ai possibili rischi per la salute presenti nelle specifiche aree, interagisce con il datore di lavoro e/o con l’RSPP, dialoga con i lavoratori e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, laddove presenti - la sorveglianza sanitaria: elementi utili allo scopo sono forniti dalla cartella sanitaria. Alla luce di tutte le considerazioni precedenti, la Commissione ritiene che l’obbligo di “collaborazione” vada inteso in maniera attiva, e questo è un passaggio di importanza fondamentale: il MC prima di redigere il protocollo sanitario deve avere una conoscenza dei rischi presenti e per far ciò deve concretamente collaborare alla valutazione dei rischi . La Commissione precisa anche un altro aspetto di notevole rilevanza: qualora il medico competente sia nominato, dopo la redazione della valutazione dei rischi, subentrando ad un altro medico competente, deve provvedere ad una rivisitazione della valutazione stessa previa acquisizione delle necessarie informazioni da parte del datore di lavoro e previa presa visione dei luoghi di lavoro, per gli aspetti di competenza. Il parere della Commissione si conclude ricordando che l’eventuale mancata collaborazione del medico competente può essere oggetto di accertamento da parte dell’organo di vigilanza e sottolineando che il datore di lavoro deve richiedere la collaborazione del MC alla valutazione dei rischi sin dall’inizio del processo valutativo, a partire dalla scelta dei metodi da adottare per la valutazione dei vari rischi. CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117 “IO SONO CHENG: UNA STORIA DI INFORTUNIO DI ORDINARIA SCHIAVITÙ” Durante i lavori per la realizzazione di cubetti in pietra, un operaio ha subito una ferita da schiacciamento alla mano destra: come è avvenuto l’incidente, le cause, i risultati delle inchieste e le indicazioni per la prevenzione. lavorazione della pietra. In particolare la lavorazione parte da blocchi in pietra naturale, da cui vengono prodotte lastre, cordoli, cubetti o quanto richiesto dal cliente. La creazione dei cubetti avviene mediante presse tranciatrici, dette anche “cubettatrici”, macchine dotate di due lame semoventi che spezzano i blocchi di pietra in elementi di più piccole dimensioni. Io sono Cheng: una storia di infortunio di ordinaria schiavitù a cura di Giovanni Polliotti e Giorgio Ruffinatto, Servizio Pre.S.A.L. della Asl TO3 Che cosa è successo Durante i lavori per la realizzazione di cubetti in pietra, un operaio ha subito una ferita da schiacciamento alla mano destra riportando un’invalidità permanente del 46%. Chi è stato coinvolto Cheng è un operaio cinquantenne di origine cinese che vive in Italia da cinque anni. Da quando è emigrato ha sempre lavorato presso un piccolo laboratorio della pietra come addetto al taglio. Conosce pochissime parole di Italiano, ma il lavoro che svolge, di tipo manuale e perlopiù individuale, non prevede grossi scambi con colleghi e superiori e non necessita quindi di un vocabolario molto articolato. Inoltre, il rumore assordante e la diversa provenienza dei lavoratori (Marocco e Cina) complicano ulteriormente la comunicazione durante le ore di lavoro. Dove e quando L’infortunio è avvenuto in provincia di Torino, nell’autunno del 2008, in un piccolo laboratorio di lavorazione della pietra. Come La denuncia di infortunio pervenuta allo SPreSAL riportava una dinamica di accadimento non molto chiara: “Mentre tranciava una pietra inavvertitamente si feriva alla mano…” Nel corso di un primo sopralluogo in azienda, il datore di lavoro della ditta aveva riferito che l’evento era avvenuto in un piazzale dello stabilimento, dove operano gli scalpelliniche preparano i blocchi di pietra per il successivo trancio, in un’area priva di macchinari. Dai primi accertamenti pareva quindi che l’infortunio fosse avvenuto per pura accidentalità: il lavoratore che si era dato una martellata sulle mani… Non è stato facile mettersi in contatto con Cheng, trasferitosi nel frattempo in un’altra provincia, ma quando si è potuto sentire la versione dell’infortunato e dei suoi colleghi, si è riusciti ricostruire la vera dinamica dell’infortunio. Il laboratorio in cui è avvenuto l’infortunio svolge attività di Cheng, operaio addetto ad una pressa cubettatrice, il giorno dell’infortunio, come d’abitudine, stava procedendo alla realizzazione dei cubetti mediante una vecchia tranciatrice, quando ha subito una ferita alla mano destra per schiacciamento fra un blocchetto in pietra e la lama superiore della macchina. L’infortunato è stato portato al Pronto Soccorso, quindi trasportato al CTO di Torino, dove è stato sottoposto a ripetuti interventi chirurgici alla mano. In seguito all’infortunio, Cheng ha recuperato solo in parte l’utilizzo della mano. “Quando mi sono fatto male, i miei colleghi cinesi sono venuti ad aiutarmi. L’altro mio collega arabo ha telefonato al capo. Dopo circa due ore, il mio capo è arrivato e mi ha portato in ospedale a Pinerolo. Adesso non riesco più a muovere la mano e il polso lo muovo poco perché mi fa ancora male”. Perché L’infortunio di Cheng è potuto accadere in quanto la macchina tranciatrice al momento dell’infortunio non garantiva un sufficiente grado di sicurezza: la lama superiore, attivata dal comando a pedale, scendeva sul banco di lavoro anche senza il consenso delle fotocellule che intercettano la presenza delle mani dell’operatore CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117 Cheng ha riferito che: È stato inoltre sentito Lorenzo, un tecnico manutentore intervenuto subito dopo l’infortunio: (dotate di guanti con catarifrangenti) nell’area di sicurezza. Il malfunzionamento del sistema di sicurezza, che evita lo schiacciamento delle mani da parte degli elementi mobili della macchina, potrebbe essere stato determinato dai seguenti motivi: - mancanza o insufficienza di interventi di controllo periodici o straordinari, secondo frequenze stabilite in base alle indicazioni fornite dal fabbricante, necessarie a verificare le buone condizioni di sicurezza della macchina; - mancata o insufficiente manutenzione sulla macchina tranciatrice volta a garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza previsti dal costruttore; in azienda non era presente il libretto d’uso e manutenzione della macchina e non vi era alcun registro comprovante gli interventi di controllo e di manutenzione sulle macchine; - eventuale manomissione del sistema di sicurezza costituito da fotocellule e guanti dotati di banda catarifrangente, che potrebbe determinare la possibilità di operare senza l’utilizzo dei guanti dotati di catarifrangente. In sintesi, l’azienda ha evidentemente privilegiato la velocità del lavoro a scapito della sicurezza; a tal proposito, “Abbiamo verificato che a volte i coltelli, azionando il comando a pedale, scendevano anche senza posizionare i guanti con catarifrangente al di sotto delle fotocellule”. Cosa si è appreso dall’inchiesta La macchina su cui è avvenuto l’infortunio presentava le seguenti situazioni di rischio: - il dispositivo di protezione della macchina, costituito da fotocellule (protezioni opto-elettroniche attive) e guanti dotati di banda catarifrangente, sono facilmente eludibili in quanto permettono l’utilizzo di catarifrangenti generici che quindi possono essere posizionati in qualunque parte della mano o del braccio dell’operatore. A titolo di esempio, qualora l’addetto indossasse una giacca o qualsiasi indumento con bande catarifrangenti sulle maniche, il sistema potrebbe permettere la discesa della lama anche se le mani non si trovano in posizione di sicurezza; - il mancato funzionamento di elementi costituenti i dispositivi di sicurezza della macchina non impedisce l’avviamento o il movimento degli elementi mobili. In particolare, i dispositivi di sicurezza della macchina, CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117 Cubettatrice di Pietra utilizzata da Cheng “A volte, senza schiacciare il pedale, le lame si muovevano. Quando mi sono fatto male io non ho schiacciato il pedale, ma la lama è scesa... Avevo i guanti, ma senza il catarifrangente. Sulla mia macchina le fotocellule non funzionavano. Non hanno mai funzionato. Io usavo dei guanti senza catarifrangente... Avevo detto più volte al mio capo che la macchina non funzionava bene: la macchina qualche volta era stata aggiustata, ma le fotocellule non hanno mai funzionato”. costituiti da fotocellule e guanti dotati di banda catarifrangente non sono di tipo intrinseco (al verificarsi del minimo guasto o anomalia la macchina dovrebbe fermarsi), contrariamente a quanto previsto dalle norme di buona tecnica (UNI EN), permettendo quindi alla macchina di essere azionata con il comando a pedale, anche in caso di guasto delle fotocellule. Il fatto che in azienda non fosse reperibile il libretto d’uso e manutenzione della macchina oggetto dell’infortunio o documentazione comprovante interventi manutentivi effettuati, comprova che la tranciatrice non sia mai stata oggetto degli specifici interventi di manutenzione e controllo secondo modalità e frequenze previste dal costruttore. Tra le condizioni indispensabili per un corretto funzionamento della macchina riportate sul libretto d’uso, vi è anche la necessità di “controllare ogni sei mesi la funzionalità dei relé che vanno ad eccitare le elettrovalvole per evitare che i contatti si incollino e la lama salga o scenda in modo inatteso”. Secondo Lorenzo, un tecnico manutentore: “Potrebbe, al momento dell’infortunio, esserci stato un falso contatto o qualche anomalia di tipo elettrico che ha consentito la discesa del coltello anche senza il posizionamento dei guanti”. Nel corso degli accertamenti è stato richiesto al datore di lavoro della ditta di visionare ildocumento di valutazione dei rischi, che è risultato però assente. L’azienda era passata recentemente di proprietà e c’era un documento a firma del titolare dell’azienda precedente, ma con contenuti generici. Poiché la macchina oggetto dell’infortunio era marcata CE, e quindi rientrava nel campo di applicazione della cosiddetta “Direttiva macchine”, sono state eseguite verifiche in merito alla rispondenza dell’attrezzatura di lavoro ai “requisiti essenziali di sicurezza”, inviando le dovute comunicazioni alle autorità nazionali di sorveglianza del mercato per le non conformità rilevate. Nel corso delle indagini sono anche stati approfonditi aspetti inerenti la formazione dei lavoratori, verificando che gli stessi erano stati formati e informati sull’uso dei macchinari consegnando loro anche degli opuscoli scritti in cinese. Raccomandazioni In azienda devono essere messe a disposizione dei lavoratori attrezzature di lavoro conformi alle specifiche disposizioni legislative, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere. Specialmente quando si utilizzano macchine di non recente costruzione, per verificare se queste possano essere adeguate dal punto di vista della sicurezza sul lavoro, è importante valutare tutti i rischi legati al loro utilizzo: rischi intrinseci della macchina, della lavorazione, e dell’ambiente in cui verrà utilizzata. Il compito principale della valutazione dei rischi è infatti quello di far emergere eventuali carenze antinfortunistiche e indicare quali misure di prevenzione e di protezione devono essere attuate per far fronte ai rischi, nonché l’elenco dei dispositivi di protezione individuali da utilizzare. È inoltre importante che sulle macchine venga svolta una corretta manutenzione secondo le modalità e periodicità indicati dal costruttore. Questo, oltre ad allungare la vita residua della macchina, può evitare che la macchina si comporti in modo inatteso, causando come nel caso in esame, un infortunio. È quindi fondamentale avere a disposizione il libretto d’istruzioni d’uso e manutenzione e conoscerne i contenuti. Quando le macchine sono marcate CE, e quindi si rientra nella cosiddetta “Direttiva macchine”, le verifiche di conformità devono riguardare anche la rispondenza dell’attrezzatura di lavoro ai “requisiti essenziali di sicurezza”, eseguendo anche le necessarie comunicazioni alle autorità nazionali di sorveglianza del mercato. Ricerche di mercato e normative, possono poi portare ad acquisire informazioni utili sull’attuale progresso tecnologico, nuovi sistemi di protezione delle macchine. Nel caso di infortuni su attrezzature di lavoro non conformi, a fini prevenzionistici è importante verificare se in azienda ve ne siano di simili, al fine di prescrivere che queste vengano messe in sicurezza prima del loro utilizzo. L’efficacia della formazione deve essere verificata non solo dal punto di vista formale (presenza degli attestati di formazione) ma anche sostanziale, acquisendo le testimonianze dai singoli lavoratori. Tale elemento risulta fondamentale specialmente nel caso di lavoratori stranieri che possono avere problemi di comprensione della lingua. Una corretta gestione delle emergenze all’interno dell’azienda con l’individuazione e la formazione delle persone addette può a volte ridurre il danno. Specialmente nel caso di infortuni gravi è infatti fondamentale saper intervenire rapidamente e in modo corretto, ad esempio per fermare un’emorragia. Il coinvolgimento dei diversi livelli dell’organizzazione aziendale (datore di lavoro, dirigenti, preposti e lavoratori) CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117 nella gestione delle problematiche relative alla sicurezza del lavoro, ha un effetto positivo sulla prevenzione. Responsabilizzare le varie figure aziendali porta a una maggiore consapevolezza del pericolo e alla volontà di affrontare i problemi anche per timore di eventuali responsabilità penali. Nell’azienda in cui è avvenuto l’infortunio, nonostante le ripetute segnalazioni di malfunzionamento della macchina da parte del lavoratore, sia al datore di lavoro che al diretto superiore (preposto di fatto), non sono mai stati effettuati interventi risolutivi. In azienda non è mai stata data importanza alle segnalazioni o agli “incidenti”. Un’adeguata attenzione ai “near miss” (quasi infortunio) è di importanza fondamentale per ridurre l’incidenza infortunistica in qualsiasi realtà lavorativa. si attiva eccitando contemporaneamente le fotocellule situate di fronte all’operatore in posizione di sicurezza con i guanti catarifrangenti indossati dall’operatore stesso che entrando nel campo di lettura delle fotocellule e premendo il pedale posizionato alla base della macchina, permette la discesa della lama e lo spacco della pietra. Se l’operatore con i guanti catarifrangenti esce dal campo di lettura delle fotocellule (per esempio avvicinando eccessivamente le mani al punto di trancio) la lama superiore ritorna verso l’alto evitando qualsiasi possibilità di schiacciamento tra le due lame. Inoltre, qualora i guanti catarifrangenti vengano tenuti fermi al di sotto delle fotocellule per più di 30 secondi, la macchina va in blocco: ciò al fine di evitare che l’operatore possa posare i guanti sul banco di lavoro ed operare in assenza di questi, eludendo il sistema di sicurezza. ________________________________________ [1] Come funziona una cubettatrice? L’infortunio è occorso su una macchina per il trancio delle pietre (macchine denominate anche “tranciatrici”, “presse cubettatrici”, “frangi rocce” oppure “stone splitting machine”). Tali macchine, a movimento oleodinamico, sono costruite con una particolare struttura aperta dove l’operatore, posto frontalmente, può agire direttamente sulla pietra da spaccare, in modo da posizionarla sul punto di taglio. Il sistema di trancio delle pietre è costituito da due lame: una superiore (dotata di pistone idraulico per il suo movimento in senso verticale) e una inferiore (posta a filo del banco di appoggio). Il banco è di tipo basculante, ossia, quando la lama superiore, abbassandosi preme il blocco di pietra contro il banco di appoggio, il piano di appoggio si abbassa di pochi centimetri permettendo alla lama inferiore di andare a contatto con la pietra e provocando la rottura della pietra stessa lungo la linea di pressione fra le due lame. Il sistema di comando di sicurezza a fotocellule (protezioni opto-elettroniche attive) CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117 LA POSTA DEL RLS Inviate le vostre domande rigardanti la salute e sicurezza sul lavoro agli indirizzi mail riportati qui sotto. Vi risponderemo tempestivamente e pubblicheremo le domande più curiose sul prossimo numero di InformaSalute Sportello Salute UIL [email protected] tel. 345 7368946 Sportello Salute CISL [email protected] tel. 045 8096014 Sportello Salute CGIL [email protected] tel. 045 8674669 INFORTUNI MORTALI: SU INFOR.MO L’ANALISI DELLE CAUSE E GLI INTERVENTI DI PREVENZIONE ROMA - Si chiama Infor.MO ed è il sistema di sorveglianza dedicato all’approfondimento delle cause degli infortuni mortali sul lavoro alimentato - col contributo di Inail e Regioni - dalle inchieste sugli incidenti condotte dai Servizi di prevenzione dei luoghi di lavoro delle Asl. Il suo obiettivo: monitorare le cause per ricavarne indicazioni utili ai fini prevenzionali. Sui dati Inail il sistema Infor.MO offre una copertura media annuale pari all’82%, e questo in riferimento agli infortuni con esito mortale avvenuti specificatamente in occasione di lavoro (sono esclusi, dunque, quelli stradali e in itinere). L’archivio ha, pertanto, una grande utilità conoscitiva e pratica per quanto riguarda i fattori di rischio e i possibili interventi per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Un data-base dalle grandi potenzialità conoscitive. Entrando nei dettagli di ogni singolo caso, infatti, grazie a Infor.MO è possibile disporre di un “identikit” complessivo del fenomeno, non solo in riferimento alle caratteristiche dell’infortunato, ma anche a quelle dell’azienda e del comparto produttivo nei quali il lavoratore operava. Il 75% degli eventi mortali è riconducibile a cinque modalità di accadimento. Le risultanze offerte da Inform.MO sono davvero di grande interesse. Per esempio, per quanto riguarda le modalità di accadimento degli infortuni, il sistema ci dice che nel 2012 il 75% degli eventi è raggruppabile in cinque categorie principali: caduta dall’alto dell’infortunato (33,1%); caduta dall’alto di gravi (17%); fuoriuscita e/o ribaltamento del veicolo dal proprio percorso (12,5%); contatto con oggetti, mezzi, veicoli (7,2%) e avviamento intempestivo di macchinari (5,9%). Le cadute dall’alto di lavoratori e le cadute dall’alto di gravi rappresentano, costantemente, la metà degli eventi mortali. Ancora: nel biennio 2011-2012 – rispetto agli anni precedenti – è risultato maggiore il peso dei contatti elettrici diretti. Il dettaglio sui problemi di sicurezza e sulle loro cause. Grazie a Inform.MO, ancora, è possibile – per quanto concerne l’attività dell’infortunato – entrare nel merito dei problemi di sicurezza relativi agli infortuni mortali (l’errore di procedure, nel 2012, è stato all’origine dell’83% dei casi) e delle cause che hanno agito alla base (l’azione estemporanea è l’elemento che rcorso nel 51% dei casi). Ugualmente utile la parte statistica riguardante le attrezzature e i problemi di sicurezza legati all’ambiente. Il 72% dei casi mortali dal 2007 al 2012 è dovuto a violazioni delle norme. “Se effettuiamo un confronto dei fattori determinanti un incidente mortale con quanto previsto dalle leggi e dalle norme di buona tecnica, verifichiamo che la percentuale media di casi giudicati con violazione alle norme, dal 2007 al 2012, è stata pari al 72% – ha affermato Piz – In questo modo, grazie a Infor.MO, possiamo toccare davvero con mano gli infortuni mortali e comprendere, per prima cosa, che non sono affatto una tragica fatalità e, successivamente, che possono essere considerevolmente ridotti”. Per ogni fattore di rischio le buone prassi adottate o da adottare. Una sezione importante di Inform.MO, pertanto, è quella dedicata agli interventi di prevenzione. Per ogni fattore di rischio rilevato il sistema offre delle azioni risolutive già attuate o da proporre. I dati di Infor.MO sono di facile accesso e disponibili attrverso report a carattere regionale o nazionale, nonché mediante schede sintetiche sulle principali risultanze evidenziate. Il sistema è interrogabile secondo filtri predefiti e/o ricerca testuale e mette a disposizione di tutti le descrizioni delle dinamiche infortunistiche degli eventi e le rappresentazioni visive (con disegni e animazioni) di quelle più frequenti. Necessario incrementare il sistema col contributo di enti pubblici e parti sociali. “Affinché questo sistema continui a crescere è necessario persistere nel miglioramento continuo dell’analisi dei casi, occupandoci dei comparti emergenti, considerando gli aspetti organizzativi, migliorando il coordinamento tra gli enti pubblici che lavorano su questi aspetti e, infine, coinvolgendo le associazioni di categoria e le organizzazioni sindacali. In sintesi, è necessario usare tutti i mezzi a nostra disposizione, ma anche trovarne di nuovi, perché si tratta di un fine nobile il cui successo è garantito solo se riusciamo a dotarci delle risorse adeguate” afferma Celestino Piz, referente Infor.MO per il Coordinamento tecnico interregionale prevenzione. Tratto da: www.inail.it/ CGIL: 045 8674669 - CISL: 045 8096014 - UIL 045 8873117