Piazza Carlo Emanuele II 15 Di Daniele Jalla, Comune di Torino L’Isola di San Bartolomeo L’isola di San Bartolomeo, compresa fra piazza Carlo Emanuele II (meglio nota come “Piazza Carlina), via Maria Vittoria, via San Massimo e via Santa Croce, nasce a fine Seicento nel quadro del secondo ampliamento della città, avviato su progetto di Amedeo di Castellamonte del 1673, in direzione est, est sud‐est, avendo come asse rettore la via di Po. L’isolato con fronte su Piazza Carlina fu scelto per costruirvi la nuova sede dell’Albergo di Virtù in sostituzione della precedente sede di via Po, posta fra le vie Rossini e Montebello, noto anche come “Palazzo degli Stemmi”, destinato a ospitare l’Ospedale di carità. L’Albergo di Virtù L’Albergo di Virtù era stato fondato nel 1580 (Bernardi 1858, p. 4) da alcuni soci della Compagnia di San Paolo ed altri cittadini per “sbandire dall’ozio e dalla mendicità formando una compagnia detta della Carità per ricoverare i poveri inabili al lavoro ed insegnare agli altri l’esercizio di un’arte” (Cibrario 1856, pp. 626‐7). La nascita della Compagnia di Carità risale in realtà al 1580 che ebbe, sin dai suoi inizi, l’aiuto ducale e, dal 1584, anche quello comunale a sostegno della costruzione di un edificio nel sobborgo di Po “per raccogliere tutti’ poveri mendicanti per la città in una casa da lor nomata l’Albergo di carità e quivi provedendo a tutti di vestimenta e nutritura, servire agli ’nfermi e servirsi de’ sani nel lanificio ed altri arti che si son dette”. (Thesauro 1657, p. 280). La prima sede dell’Albergo di carità fu “aperta nel sobborgo allora di Po, e propriamente nel sito ove ora sono le Rosine” (Cibrario 1856, pp. 626‐7), nell’Isola del S. Suffragio. Nel 1586, con Regie patenti del 28 novembre, il Duca Carlo Emanuele I di Savoia intervenne nel sostenerlo e, sciolta la Compagnia di Carità, l’Albergo, nel 1587 ricevette in dono da Madama Cristina il “palazzo con corti e giardino circondato di muraglie ed altri edifici situati rimpetto la strada di Po, fuori le mura della città ove si tiene la posta” e l’imposizione del nome di Albergo delle Virtù”. “In questa guisa dunque radunato un gran numero di mendicanti in quel virtuoso albergo, dove ottimi maestri con mercedi grandi eran venuti, di scioperati e inutili alla republica, divennero in corto tratto utilissimi. Vidersi subito con maraviglia della città per tutte le sale e portici di quel palagio nascere ordigni, sorger telai, girar filatoi; chi carminar, chi innaspare, chi tessere, fabricando nastri, panni, velluti e riccami. Onde si videro da quella mecanica academia uscire ovraggi maravigliosi, fra' quali è inarrivabile la tapezzeria di seta e oro della regal genealogia di Savoia, dove tra le grandi figure al naturale sono intessute in grandi spazii le loro eroiche imprese, con tanta vivezza di tratti e soavità di colori che la pittura rimane ingannata e le officine di Arazzo avvilite” . La Casa del Rifugio de’ Cattolizzati Seguirono nei decenni successivi altre elargizioni, esenzioni, a questa “pia scuola d’arti e mestieri”, specializzata in particolare nelle arti della filatura e tessitura della seta (Bernardi 1858, pp. 5‐13) scelto con Patenti della Duchessa Reggente Maria Giovanna Battista del 10 febbraio 1679 per ospitare “la Casa del Rifugio de’ Cattolizzati delle Valli di Lucerna, S. Martino, Perosa e luoghi di San Bartolomeo, Prarustino e Roccapiatta”. 1 Nel 1662 Carlo Emanuele I istituisce la Fiera di san Giurgio da tenersi ogni anno dal 25 aprile per quindici giorni in contrada del Po, nel palazzo dell’Albergo di Virtù (Chevallard 1972, p. 118). In applicazione alla Patente del 30 settembre 1682 di Vittorio Amedeo II che donava il palazzo di via Po all’Ospedale di Carità alla condizione che esso comprasse un sito nella piazza Carlo Emanuele II per edificarvi la nuova sede dell’Albergo di Carità. Nel 1683 (Christillin 2002, p. 877) o nel 1864 (Bernardi 1858, p. 17), quest’ultimo venne trasferito in una “casa più opportuna, costrutta... in faccia a Piazza Carlina” (Ibidem, p. 17) nell’ isolato denominato “San Bartolomeo”. La nuova sede dell’Albergo di Virtù in piazza Carlina Edificato secondo uno schema a C con la manica principale verso la piazza e le due laterali in corrispondenza alle attuali vie Maria Vittoria, Santa Croce, l’area verso via San Massimo era adibita a giardino, chiuso da un muro di cinta, come risulta da un disegno di progetto, conservato presso l’Archivio di Stato di Torino, senza data, ma riferibile a fine XVI, inizi XVII secolo (Ferrarotti 2006). Dalla stessa fonte risulta che nel 1684 l’edificio non era ancora ultimato e che l’ingresso dei primi ospiti risale al 21 gennaio 1689. Nel 1721, a soli vent’anni dalla costruzione dell’edificio, lo stabile risultava già in pessime condizioni (AST, Decreti, provvedimenti, ricorsi, 1741‐1749) e nel 1788 veniva sopraelevata la manica verso la via del Soccorso, l’attuale via Maria Vittoria (ASCT, Carte Sciolte, n. 855). Solo nel 1822 l’isolato risulta interamente costruito, come risulta dal Catasto Gatti (Ferrarotti 2006). Il trasferimento del “Rifugio de’ Cattolizzati” La decisione di erigere a Pinerolo un Ospizio, costruito su progetto del Vittone e destinato ad accogliere “li figliuoli della valle che fino ad allora erano stati mantenuti nell’Albergo” fece sì che essi fossero trasferiti nel nuovo “rifugio dei cattolizzati” e nell’ottobre del 1746 l’Albergo di Virtù rientrasse “ne’ suoi pieni diritti” recuperando nella sua pienezza identità e missione delle origini. In un contesto mutato sul piano economico, sociale e culturale l’Albergo di Virtù proseguì “nell’opera incominciata di perfezionamento nell’educazione alle arti e ai mestieri dei giovani che vi accorrevano da tutto lo Stato… la riduzione e la tessitura delle sete, il lanificio, la filatura dell’argento e dell’oro, la confezione dei cappelli ed altri simiglianti…” oltre “alla manifattura di lustrini e di veli di Bologna, eretta in Torino da Brunetta e Benissone” (Bernardi 1858, p. 19). Della convivenza tra l’Albergo di Virtù e il Rifugio dei cattolizzati tra il 1679 e il 1747 restava memoria ancora a metà Ottocento. Nel suo libro I Valdesi Amedeo Bert, ricorda la presenza nel palazzo di “due lapidi che stavano innanzi alla porta maggiore di esso, di fronte a piazza carlina, e che vedonsi tuttora sotto i porticati del cortile dello stabilimento medesimo” e ne riporta le iscrizioni (Bert 1849, pp. 483‐4). Un opuscolo del 1849 conservato presso l’Archivio Storico del Comune di Torino (ASCT, Simeom C, 5029) indica con precisione la collocazione delle due lapidi, rispettivamente del 1679 e del 1746 “sotto il porticato e sopra la porta del Refettorio” e ne riporta la traduzione in italiano del testo in latino (De Caria 2001, pp. 15‐16). Altre lapidi e iscrizioni. Nella sua descrizione dell’edificio, Jacopo Bernardi segnala la presenza di un’iscrizione “in auree lettere” posta sopra la porta d’ingresso: “CAROLUS EMMANUEL / INOPIBUS IMPERII SUI ADOLESCENTIBUS / AD UTILIORUM ARTIUM MORUMQUE TYROCINIUM / ANN. MDLXXXVII”. I testi di altre 2 lapidi e iscrizioni dell’Albergo di Virtù sono presenti nelle Iscrizioni torinesi di Antonio Bosio (Bosio, pp. 240‐245). Nell’Albergo di Virtù si trovava una Cappella, all’angolo fra via San Massimo e via Santa Croce. Nel 1776 Francesco Bartoli fornisce anche un elenco le opere presenti nella “chiesa” dell’Albergo di Virtù: una “Tavola coll’Immacolata Concezione è d’Alessandro Trono da Cuneo. La B. V. Addolorata è di Giovanni Molinari allievo del Cavaliere Beaumont. Il S. Luigi Gonzaga appeso a un muro è di Matteo Boys da Savigliano allievo anch’esso di Beaumont” (Bartoli 1776). L’Albergo di Virtù nel XIX secolo Noto nel XVIII secolo per la sua produzione di velluti, “solij” e “soprarizzi”, dopo l’occupazione francese, l’Albergo fu nuovamente riconosciuto da Vittorio Emanuele, assumendo in modo sempre più evidente l’identità di “scuola d’arti e mestieri”, che meritava “l’attenzione dei visitatori della Città” (Paroletti 1819, p. 211). Paroletti nel suo Turin et ses curiosités, auspicava l’ampliamento della sua missione a “un campo più vasto” che “accolga ed introduca lo ammaestramento di quelle arti che recano tanto splendore all’industria ed al commercio delle nazioni straniere” (Paroletti 1819, p. 211). Nel 1843 è progettata la sopraelevazione della manica verso la piazza che interessa anche i risvolti sulle vie Maria Vittoria e Santa Croce, restaurando e rimodernando allo stesso tempo le quattro facciate interne alla corte (ASCT, Progetti edilizi, all. 6, cat. I, anno 1843, n. 32) e alla prima metà dell’Ottocento risale anche il porticato interno e le gallerie sottostanti, forse su progetto del Formento, lo stesso che realizza la sopraelevazione della manica verso la piazza (Ferrarotti 2006). Nel 1883 prende corpo l’intenzione di spostare l’Albergo in altra sede più conforme alle esigenze del tempo e, tra il 1891 e il 1895, per aumentarne il valore in vista di una sua futura vendita vengono eseguiti di interventi e la sopraelevazione del lato verso via San Massimo. La trasformazione dell’isolato in casa da reddito Dopo il trasferimento dell’Albergo di Virtù in via San Secondo 29, nel 1902 lo stabile è venduto a Augusto Segre che manifesta immediatamente la volontà di consolidare l’edificio e di ristrutturarne gli interni – caratterizzati “da ampi cameroni indivisi destinati a scuole laboratori, dormitori, refettorio e simili” –per trasformare l’ex Albergo di Virtù in appartamenti da pigione(Ferrarotti 2006). L’incarico di adeguamento funzionale dell’edificio è affidato all’ingegner Erasio Barberis, i cui progetti del 1913‐15 sono conservati presso l’Archivio Storico della Città (ASCT, Progetti edilizi, cat. I, anno 1913, n. 548, anno 1914, n. 409). Guerra e dopoguerra Tra il 22 e il 23 di ottobre 1942 una bomba colpì l’edificio all’angolo fra via San Massimo e via Maria Vittoria distruggendo un’ampia porzione dell’ultimo piano (11 appartamenti per un totale di 32 vani), danneggiando gravemente altre parti dell’edificio (al secondo piano e al piano terra) come testimoniano in particolare le immagini conservate dall’Archivio Storico della Città (ASCT, UPA 1401‐1411). Nel dopoguerra, lo stabile passò in proprietà alla Comunità ebraica, come lascito di Silvio Segre, figlio di Augusto (entrambi residenti nel caseggiato), morto a Dachau nel 1945: fu destinato a Ospizio israelitico, sino alla sua cessione da parte delle Opere Pie Israelitiche, avvenuta nel 1980, alla Città di Torino destinando il caseggiato a edilizia pubblica residenziale. Ristrutturato dall’Ufficio tecnico dell’Istituto Autonomo Case Popolari su 3 progetto dell’architetto Sergio Torre per crearvi 84 alloggi, lo stabile, ad eccezione delle facciate, ha del tutto perso i caratteri che aveva a inizio Novecento: non un muro, né un pavimento, né un infisso – dal primo all’ultimo piano – può essere fatto risalire a un’epoca precedente agli anni Ottanta. Le case di Antonio Gramsci a Torino (1911‐1922) È in questo stabile che, agli inizi del 1914, venne ad abitare Antonio Gramsci, mantenendovi la residenza sino al maggio 1922, quando lascerà la città per recarsi a Mosca (Fiori 1971, pp. 80‐ 180): un periodo molto più lungo di quel “1919‐1921” indicato dalla targa posta a fianco del portone del civico 15 di Piazza Carlina dai “comunisti torinesi” nel XX della morte di Gramsci, il 27 aprile 1957. Arrivato a Torino da Ghilarza nell’ottobre del 1911 per concorrere alla borsa di studio che il Collegio Carlo Alberto di Torino mette a disposizione degli studenti disagiati delle vecchie province del Regno di Sardegna, si classifica al nono posto nono, ottiene una borsa di 70 lire mensili, per dieci mesi all’anno e si iscrive nel novembre alla Facoltà di Lettere (Zucaro 1957 pp. 1091‐1093). Corso Firenze 57 Prende casa in corso Firenze 57, sul Lungo Dora, dove sta a pensione sino al novembre dell’anno successivo: è la prima delle quattro abitazioni che Gramsci avrà a Torino: l’edificio di quattro piani fuori terra esiste tuttora. Per la cameretta paga 25 lire al mese e la casa “quasi angolo via Perugia” si trova “a meno di 500 metri dalla casa di Togliatti, che era in corso Firenze angolo via Reggio” (Epistolario 2009, p. 86; Viglongo 1967, p. 25). Via San Massimo 33 Dopo aver trascorso l’estate in Sardegna, nel novembre del 1912 si trasferisce in via San Massimo 33, in una stanza affittatagli da Carlo Gribodo, “disegnatore di tessuti”. L’isolato dei “Mastri fabbricatori in oro, argento e seta” era stato fatto edificare nel 1781 per conto dei “Mastri vellutai” che nel 1781 avevano acquistato un’area libera presso i bastioni meridionali della città e, dopo la cessione di una sua parte ai Padri Trinitari di san Michele, tra il 1785 e il 1795, portarono a compimento il loro laboratorio‐abitazione su progetto dell’architetto Bonvicini (Comoli 1984, I, p. 322). La casa si trova, ricorda Viglongo “di fianco al vecchio Ospedale di San Giovanni e quasi davanti al portone di servizio da cui partivano quotidianamente funerali in gran numero, in un palazzone d’angolo che adesso stanno per demolire: ma si era così avvicinato a poco più di duecento metri dall’ammezzato in cui abitava Angelo Tasca, al numero 14 della stessa via. In questa casa resterà per tutto l’anno accademico sino ai primi mesi dell’anno successivo. “Anche nella nuova casa si trovò male, e quando ritornò a Torino per il terzo anno d’università riuscì finalmente a sistemarsi meglio, installandosi addirittura nella stesso edificio abitato da Tasca, ma con ingresso dal numero 15 di piazza Carlo Emanuele II” (Viglongo 1967, p. 32). Via San Massimo 14 L’indirizzo esatto dell’abitazione di Antonio Gramsci è in realtà, come risulta dai documenti dell’anagrafe del Comune di Torino e dai dati del censimento del 1921 (pure conservati in ASCT; Anagrafe), via San Massimo 14 e, al tempo, il numero civico di Piazza Carlina è ancora l’8. Gramsci ha preso in affitto una stanza di Anna Berra, vedova, madre dell’amico e compagno di studi Camillo, al quarto piano dell’edificio. 4 Dalla testimonianza di Viglongo si ricava una precisa descrizione della camera: “Gramsci abitava al terzo piano (sic!) della scala in fondo al cortile, a destra, presso la vedova Berra, madre di Camillo Berra, suo collega di facoltà e collaboratore de “La Stampa” con articoli d’interesse letterario ispanistico; e vi rimase, unico sub‐inquilino – in una angusta cameretta arredata da un semplice lettino ad una piazza colla testiera di ferro, da un cassettone, o tradizionale burò piemontese a tre cassetti, sormontato da un armadietto a due sportelli in funzione di libreria, da un minuscolo tavolo‐scrivania e da un catino di ferro smaltato con relativa brocca per l’acqua per lavarsi – per quasi nove anni, sino al maggio 1922, quando partì per la Russia per non tornare mai più stabilmente a Torino.” “Per quelle minuzie che non può trascurare la petite histoire – scrive ancora Viglongo – va ricordato che in quel medesimo palazzo abitarono, nella stessa scala di Gramsci, ma ad un piano inferiore, il critico musicale dell’Avanti piemontese e poi dell’Ordine Nuovo Carlo Emanuele Croce – autore di delicate musiche per celebri composizioni dialettali piemontesi degli anni trenta – e, in un ammezzato come quello di Angelo Tasca, ma con ingresso da una porticina al numero 28 di via Maria Vittoria, i genitori di Piero Gobetti dopo le persecuzioni fasciste e poliziesche culminate nell’incendio della loro abitazione di via Giovanni Prati. Per rischiarare le due anguste stanzette si servivano, in mancanza di meglio, della luce dei lanternoni dell’illuminazione pubblica di via Maria Vittoria, posti a breve distanza dalle loro finestre!” (Viglongo 1967 p. 32). Nel palazzo abita anche Fernando Borsacchi, fiorentino (1902‐1982), aderente del Partito socialista, poi a quello comunista. Condannato per propaganda antimilitarista emigra in Francia e Belgio dove resta attivo nel Partito comunista internazionalista. Nell’aprile del 1919 aprile, nell’abitazione di Tasca, al mezzanino di via San Massimo 14, Gramsci, Tasca, Togliatti e Terracini decidono di fondare la rivista “l’Ordine Nuovo. Rassegna settimanale di cultura socialista”, come ricorda Umberto Terracini (Gramsci vivo 1977, p. 147). Via Carlo Alberto 24 bis “Nei suoi ultimi anni torinesi Antonio Gramsci, dopo aver conosciuto Attilio Carena, poté meglio regolare l’andamento della propria vita, divenendo stabilmente l’unico ed amichevole pensionario nella casa di lui e della sorella Pia, al secondo piano di via Carlo Alberto 24 bis, all’angolo con via Cavour: che divenne in pratica la sua vera casa, a trecentocinquanta metri di distanza dalla redazione del giornale, in via Arcivescovado 1, ed a poco più di seicento metri dalla camera che teneva presso la signora Berra, come abbiamo visto, in piazza Carlina” (Viglongo 1967 p. 32). Nel maggio del 1922 Gramsci lasciò Torino per Mosca, da cui rientrò stabilendosi a Roma. “Nella nostra città – scrive Viglongo – ritornò una volta sola, nel 1924, quasi clandestinamente, ricevendo colla massima discrezione qualche vecchio compagno nella camera ammobiliata che da tempo teneva Piero Ciuffo – il caricaturista Cip e cronista dell’Ordine Nuovo, sardo, da tempo anche lui studente fuori corso di matematica – in via Passalacqua (Ibidem p. 32). “Casa Gramsci”? L’ex Albergo di Virtù non fu dunque l’unica abitazione di Gramsci a Torino: certamente quella in cui risiedette più a lungo e che più frequentemente riemerge dai ricordi dei compagni e amici del tempo che nell’indicare la casa la identificano con l’ingresso principale di piazza Carlina 8. 5 L’esatta identificazione dell’appartamento della vedova Berra e della stanza abitata da Gramsci, allo stato delle informazioni raccolte, non è facile. Il censimento individua l’appartamento al quarto piano, la testimonianza di Viglongo al terzo. Bisogna però tener conto dell’esistenza del mezzanino e seppure l’ingresso di via San Massimo 14 corrisponda all’angolo con via Maria Vittoria, servito da una scala ( a sinistra entrando dal cortile), Viglongo non esita a indicare la scala destra come via d’accesso all’appartamento che si collocherebbe dunque sempre su via San Massimo, ma nella parte ad angolo con via Santa Croce. Dalle mappe precedenti alla ristrutturazione degli anni Ottanta, emerge peraltro una planimetria del quarto piano diversa dall’attuale con un corridoio centrale corrispondente alla linea di colmo del tetto che collega le due scale Distrutto dai bombardamenti o radicalmente modificato dalle ultime ristrutturazioni, l’appartamento in cui abitò Gramsci materialmente non esiste più, cancellato assai prima che l’isolato di San Bartolomeo, l’ex Albergo di Virtù, l’Ospizio Israelitico, la casa popolare degli ultimi trent’anni, siano ristrutturati per divenire albergo. Non c’è più nulla da salvare degli interni di quegli anni: nulla di fisico almeno. E se una memoria va salvata non è soltanto quella che ha portato ultimamente a definire sui giornali l’isolato “Casa Gramsci”, ma l’intera storia del palazzo, con tutti i suoi tre secoli e più di vita, e quella dei suoi abitanti e degli eventi – piccoli e grandi – di cui è stato teatro. Le carte d’archivio permettono una ricerca in grado di rivelare, come l’ancora superficiale indagine sugli inquilini degli anni Dieci e Venti del Novecento dimostra. Luoghi gramsciani a Torino E volendo dare un tributo a Gramsci esso non può limitarsi alla casa in cui risiedette dal 1914 al 1922, ma ai tanti luoghi della città che egli frequentò durante gli anni dell’università e in quelli che lo videro impegnato come giornalista e militante. Dalle aule di via Po ai teatri in cui andava per scrivere le sue critiche, dalla sede dell’Associazione Generale Operai di corso Siccardi 12 ai Circoli socialisti e alle Società di Mutuo Soccorso in cui tenne numerose conferenze. Dalla sede dell’“Avanti!” e dell’”Ordine Nuovo” di via Arcivescovado 3 (dove si trova una lapide che lo ricorda) alle fabbriche occupate in cui fu presente e attivo, sino ai luoghi frequentato nel poco tempo libero. Accomunando anche questi luoghi a quelli dei suoi amici e compagni, di scuola e di partito come occasione per ricostruire una storia più ampia: quella e della Torino dei primi vent’anni del secolo, teatro di un aspro conflitto sociale e di fermenti culturali e politici di cui Antonio Gramsci fu protagonista, insieme a tante altre figure di intellettuali e politici. Uno spazio di memoria nel futuro albergo A questa più larga e più aperta visione può essere destinato uno spazio, aperto al pubblico, nel futuro albergo: uno spazio sulla storia dell’edificio, punto di partenza per uno dei tanti itinerari possibili che questo luogo, con le sue molteplici storie, suggerisce: da quella del secondo ampliamento e di un’area caratterizzata dalla presenza di molti edifici religiosi a quella della piazza Carlina con le sue molte e diverse presenze, a quella degli anni in cui Gramsci vi abitò. Uno spazio come potrebbero esisterne tanti altri nel quadro del progetto di museo diffuso della città – MuseoTorino – che sta per realizzarsi in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. 6 Riferimenti bibliografici Bartoli 1776 Francesco Bartoli, Notizia delle pitture, sculture ed architetture che ornano le Chiese, e gli altri Luoghi Pubblici di tutte le più rinomate città d’Italia e di non poche terre, castelli e ville d’alcuni rispettivi Distretti opera di Francesco Bartoli bolognese, t. I, presso Antonio Savioli, Venezia 1776. Bernardi 1858 Jacopo Bernardi, Cenni storici sull’Albergo di Virtù in Torino (Estatto dall’Appendice del Calendario Generale del Regno del 1858), Torino 1858. Bert 1849 Amedeo Bert, I Valdesi ossiano i Cristiano‐cattolici secondo la Chiesa primitiva abitanti le così dette Valli di Piemonte. Cenni storici, Gianini e Fiori‐Malan, Torino 1849. Bosio 1971 Antonio Bosio, Iscrizioni torinesi, a cura di Luciano Tamburini, Le Bouquiniste, Torino 1971. 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Daniele Jalla 17 febbraio 2011 8