Anno XXX N. 1 Gennaio/Febbraio 2009 Euro 2,00 L'Acquedotto dei Pilastri archi inutili e dispendiosi? Dal Castello d'Ischia al Ticino: Ferrante d'Avalos Formazione della Macchia mediterranea Napoli / Mostre Rauschenberg al Museo Madre Procida Il Vento del Cinema Rassegna Libri La vita contadina nell'alternarsi delle stagioni Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Dir. responsabile Raffaele Castagna La Rassegna d’Ischia Anno XXX- N. 1 Gennio/Febbraio 2009 - Euro 2,00 Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Editore e direttore responsabile Raffaele Castagna La Rassegna d’Ischia Via IV novembre 25 - 80076 Lacco Ameno (NA) Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.2.1980 Iscritto al Registro degli Operatori di Comunicazione con n. 8661. Stampa Tipolito Epomeo - Forio Sommario 2 Ischia Film Festival: al via il concorso 2009 3 Motivi 4 Concorsi di Poesia 5 L'Acquedotto dei Pilastri Archi inutili e dispendiosi? 9 Formazione della Macchia mediterranea 14 Turismo: 6 Viaggi in Campania 2009 17 Ferrante d'Avalos 24 1904 - Da Casamicciola a Lacco per la strada Ledomade 26 Dalle "Isole appartinenti all'Italia" (1550) 29 Fonti archivistiche Capitolazioni delle Confraternite di Forio (III) 35 La vita contadina nell'alternarsi delle stagioni 38 Racconto: La Quercia 39 La lettera 40 Rassegna Libri 44 Arte: Rauschenberg al "Madre" di Napoli 48 Procida: Vento del Cinema 51 Convegno di studi sulla Magna Grecia 2 La Rassegna d’Ischia 1/2009 Ischia Film Festival al via il concorso 2009 Sono già disponibili il regolamento e l’entry form dell’Ischia Film Festival dedicato alle location e aperto a Lungometraggi, Documentari e Cortometraggi italiani e stranieri, organizzato dall’Associazione culturale Art Movie & Music, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Al Festival possono partecipare tutte le opere che abbiano valorizzato il territorio attraverso la scelta delle location, promuovendone così la realtà storica sociale ed umana, le tradizioni e la cultura. L’idea di un festival dedicato ai luoghi cinematografici nasce dall’intenzione di creare un appuntamento annuale d’incontro tra due realtà, cinema e territorio, che negli ultimi anni hanno avuto sviluppi strettamente correlati. Il Festival si propone inoltre di sensibilizzare l’opinione pubblica, tramite la cinematografia, al rispetto dell’ambiente e delle ricchezze artistiche e territoriali. La prossima edizione del Festival avrà luogo ad Ischia dal 22 al 28 Giugno 2009 e si articolerà nella tradizionale sezione in concorso (riservata a Documentari e Cortometraggi), nella sezione non competitiva e nelle sezioni speciali. La deadline per inviare le opere è fissata al 15 Aprile 2009. Le proiezioni delle opere si svolgeranno nelle esclusive location del Castello Aragonese di Ischia che si erge su uno scoglio in mezzo al mare. L’entry form ed il regolamento per partecipare al Festival sono reperibili sul sito ufficiale del Festival: www.ischiarfilmfestival.it Le opere possono essere sia inedite che edite, ma necessariamente presentate al pubblico dopo il 1° Gennaio 2008. I cortometraggi presentati in concorso devono avere durata non superiore a 30 minuti. L’iscrizione è gratuita La selezione delle opere avviene a cura e giudizio insindacabile della Direzione del Festival e della commissione selezionatrice. * Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista - La collaborazione ospitata s’intende offerta gratuitamente - Manoscritti, fotografie e disegni (anche se non pubblicati), libri e giornali non si restituiscono - La Direzione ha facoltà di condensare, secondo le esigenze di impaginazione e di spazio e senza alterarne la sostanza, gli scritti a disposizione. conto corrente postale n. 29034808 intestato a Raffaele Castagna - Via IV novembre 25 80076 Lacco Ameno (NA) www.larassegnadischia.it [email protected] MOTIVI Venerdì 12 dicembre u. s. la trasmissione televisiva Mi manda Rai Tre, condotta da Andrea Vianello, ha trattato il grave problema delle Poste italiane, concernente soprattutto il recapito della corrispondenza (lettere, bollette, raccomandate, giornali, pacchi…) che viene (o non viene) effettuato regolarmente, di cui ci siamo occupati varie volte. Vi ha preso parte il sindaco di Forio, dott. Franco Regine (anzi sulla località di Forio è stato trasmesso anche un servizio registrato), il quale ha manifestato anche le difficoltà che sono presenti su tutta l’isola. Si è notato che in fondo la questione negativa risulta ampiamente diffusa su tutto il territorio nazionale con varie sfumature, evidenziando che l’ente viene meno proprio ai suoi compiti essenziali con le sue carenze nella distribuzione postale, pur magari distinguendosi in altri nuovi servizi offerti ai cittadini. Innanzitutto si è avuta la concentrazione in alcuni uffici, sicché il postino deve partire e rientrare da una maggiore distanza e deve essere fornito di mezzo meccanico; i postini non vengono assunti oppure lo sono a contratti trimestrali, neppure il tempo di appropriarsi del territorio. Ci risulta che il sindaco Regine (l’unico forse in ambito isolano) sia spesso intervenuto in merito al problema e la sua presenza in TV ci fa capire che ormai abbia tentato l’ultima carta possibile per poter ottenere dei risultati positivi. Le istituzioni, come i cittadini, evidentemente guardano a questa possibilità pubblica come l’ultima spiaggia. Anche perché il paese reale appare sempre più staccato e isolato dal potere politico: i problemi della Raffaele Castagna gente, i problemi della vita quotidiana costituiscono un momento secondario e marginale. La stessa impressione, suscitata dalla discussione televisiva, non è apparsa favorevole per una prossima soluzione delle questioni proposte; sono preminenti (e forse maggiormente redditizi) gli altri obiettivi che tendono a raggiungere le Poste italiane, come si tiene a ribadire in ogni occasione. In questi ultimi anni pensiamo che si sia fatto troppo spesso e troppo facilmente ricorso alla concessione della cittadinanza onoraria da parte delle amministrazioni comunali. Fa in un certo senso piacere che questa aspirazione coinvolga più persone, o perché molto legate al territorio per lunga presenza o per qualsiasi altra favorevole circostanza, ma ignoriamo se ci siano determinati presupposti e specifiche prerogative quale premessa a tale atto amministrativo, oppure se il tutto sia lasciato alla semplice proposta di un sindaco o di un consigliere. Peraltro una valutazione al riguardo dovrebbe essere maturata e concretizzata soltanto dopo attento esame degli aspetti che costituiscono il motivo del riconoscimento. E questo anche perché premiare tutti significa ridurre ad un normale atto formale quanto dovrebbe essere un nobile e alto segno di merito per chi ne è il destinatario e di grande riconoscenza per chi l’attribuisce. Con questo primo numero del 2009 La Rassegna d’Ischia segna nel suo tempo di pubblicazione l’anno trentesimo, raggiungendo un traguardo significativo nel contesto editoriale isolano, sempre caratterizzato da una intensa attività giornalistica. Le moderne strutture riguardanti la preparazione e la stampa hanno reso più facile la continuità di un giornale, che un tempo mancava e veniva meno dopo qualche anno. Ma non per questo si può dire che non occorrano il medesimo impegno e lavoro, oltre che un grande entusiasmo, per restare a galla e sopravvivere, superando lo scetticismo circostante, se non il minimalismo a volte esistenti. Nel 1980 si scriveva: «… questo foglio che prende l’avvio senza pretese, ma con la speranza di conquistarsi qualche lettore…». Due circostanze che rappresentano ancora oggi la realtà del periodico, pur dovendosi riconoscere che “qualche lettore” vi abbia rivolto la sua attenzione e ne abbia apprezzato i contenuti. In questi trenta anni l’interesse è stato richiamato anche sul ricco patrimonio culturale del passato, con la pubblicazione di opere e di scritti di notevole importanza per l’isola d’Ischia, spesso allegati in offerta al giornale: così sono state riproposti libri come quelli di Iasolino, De Siano, Marone, De Rivaz… E soprattutto è da ricordare la traduzione dal latino degli oltre ottomila versi di Camillo Eucherio de Quintiis del poema Inarime seu de balneis Pithecusarum, pubblicato nel 1726. C’è peraltro da constatare che, benché si parli tanto di memoria storica a vari livelli, in pratica scarsa è la propensione a dimostrarne la vera portata e lo specifico interesse. Alla forma cartacea del periodico è stata aggiunta la presenza internet, in quanto oggi il giornale e le opere pubblicate sono riproposti anche in questa versione. La Rassegna d’Ischia 1/2009 3 Premio Nazionale di Poesia “Poesie al mondo” È indetto il Premio Nazionale di Poesia “Poesie al mondo” con scadenza alle ore 24.00 del giorno 31 gennaio 2009 (salvo eventuali proroghe che saranno opportunamente segnalate sul sito www.edizionisimple.it). Il Premio si propone di pubblicare sul sito www.edizionisimple.it le opere giudicate meritevoli e in più realizzare un volume antologico, pubblicato dalle Edizioni Simple. Possono partecipare autori italiani e stranieri ovunque residenti. La partecipazione al Premio è gratuita ed il tema delle opere è libero. I testi devono essere in lingua italiana. Si partecipa con tre poesie (massimo 30 righe ciascuna, condizione necessaria per essere ammessi al Premio) inedite mai pubblicate su internet o in qualsiasi genere di edizione cartacea, pena l’esclusione. Le opere vanno inviate (titoli compresi) in allegato formato documento (word, .txt o .rtf) all’indirizzo di posta elettronica [email protected], indicando come oggetto: “Poesie al mondo”. Nel testo della mail deve essere riportato inoltre: nome, cognome, data di nascita, indirizzo, numero telefonico, e-mail dell’autore (coloro che fanno uso di uno pseudonimo devono comunque riportare il nome effettivo a uso della segreteria del Premio) e una dichiarazione di autenticità delle opere e di autorizzazione all’utilizzo dei dati personali in conformità alle leggi vigenti: “Ai sensi del D.Lgs. 196/2003 a tutela della privacy, autorizzo al trattamento dei miei dati personali”. Chi partecipa accetta che i propri testi vengano pubblicati a titolo gratuito sul sito www.edizionisimple.it e che vengano pubblicati nel volume antologico della Casa Editrice Simple al prezzo di copertina (volume con relativo codice ISBN acquistabile on demand su www.edizionisimple.it e nelle librerie / esercizi commerciali convenzionati o sui siti di libri più importanti). Nessun corrispettivo economico è dovuto inoltre al concor rente per le proprie opere pubblicate eventualmente su riviste, giornali, libretti, brochure e utilizzate per manifestazioni colla- terali al Premio e non solo. Pur concedendo la pubblicazione/ utilizzazione a titolo gratuito, l’autore resta proprietario delle proprie opere. Sia sul web che su qualsiasi altra pubblicazione e in caso di loro utilizzazione sarà specificato l’autore delle opere. Il Regolamento completo può essere letto sul sito www.edizionisimple.it Premio di Poesia Formica Nera Città di Padova Il Gruppo letterario Formica Nera, fondato nel 1946, promuove la trentanovesima edizione del concorso di poesia aperto a tutti gli autori di lingua italiana. Sono esclusi dal concorso i vincitori (primi premi) delle precedenti edizioni. Si partecipa con una poesia inedita a tema libero da far pervenire entro e non oltre il 3 aprile 2009 in cinque copie - di cui soltanto una con nome cognome indirizzo e firma dell’autore - al segretario del concorso: Luciano Nanni, Casella postale 814, 35122 Padova. Per spese organizzative si richiede un contributo - in misura libera - da inviare preferibilmente con gli elaborati. Premi: al primo classificato 400 (quattrocento) euro, medaglia d’oro e pergamena. Ai segnalati medaglia d’oro, pergamena e rimborso spese da definire. Nel caso di assenza alla cerimonia di premiazione il primo class. avrà diritto al titolo del Premio senza il corrispettivo in denaro. Per gli altri premi è ammessa la delega. L’esito del concorso verrà diffuso attraverso i consueti mezzi di comunicazione e in internet - www. literary.it/premi. I finalisti riceveranno lettera personale. La partecipazione al concorso implica la piena accettazione del regolamento da chiedere a: formicanera@ virgilio.it. La precedente edizione - patrocinata da Comune di Padova, Provincia di Padova e Regione Veneto - è stata vinta da Renato Greco. Forio Celebrati i 25 anni dell'ASCOM L’ASCOM (Associazione dei Commercianti, degli Operatori Turistici e dei Servizi) di Forio ha celebrato, sabato 13 dicembre 2008, il 25° anniversario della sua istituzione, nata per tutelare e garantire gli interessi degli imprenditori del commercio e dei servizi nello svolgimento della loro attività. Essa, presieduta da Pietro Russo, è la più rappresentativa organizzazione sindacale del territorio grazie al numero degli associati ed alla qualità e quantità dei servizi offerti. Gli associati Ascom possono contare su una forza sociale altamente rappresentativa e competente in grado di affiancare l’azienda in tutta la sua attività. Nell’occasione si è svolto un interessante convegno sul tema “Recessione. Prospettive e progetti” ed è stata inaugurata la nuova sede in via Cardinale Lavitrano. Nella serata di gala, che ha chiuso la manifestazione, sono state anche consegnate le pergamene “Una presenza” agli operatori meritevoli. 4 La Rassegna d’Ischia 1/2009 L'Acquedotto dei Pilastri: archi inutili e dispendiosi? Secondo uno scritto inedito, si poteva sfruttare la naturale pendenza del terreno deviando semplicemente il percorso. Il governatore Tuttavilla mollò i lavori sbagliati e costosissimi di Gino Barbieri Tre secoli e mezzo ci separano dalla realizzazione di un’opera colossale portata a compimento nel XVII secolo nella nostra isola per addurre l’acqua di Buceto a Ischia Ponte (in quell’epoca Borgo di Celsa) e, malgrado un così lungo lasso di tempo, l'Acquedotto dei Pilastri costituisce pur sempre un monumento importante del paesaggio isolano, di cui si ricordano spesso con encomio coloro che ne furono gli ideatori e realizzatori. Ma fu vera gloria? Un prezioso libricino custodito presso un antiquario napoletano, poco frequentato dai topi di biblioteca nostrani, ha riservato parecchie sorprese a chi ha avuto la ventura di imbattersi nello scritto intitolato “Costruzione dell’Acquedotto Isclano, Anno Domini 1675”. L’opuscolo ripercorre puntigliosamente tutte le fasi della progettazione dell’opera e riammaglia i fili di un avvenimento storico che ebbe notevole ripercussione sulla vita quotidiana degli Ischitani, non fosse altro che per i risvolti socioeconomici che in quei tristi tempi affliggevano, peggio dell’Euro di oggidì, le misere popolazioni dell’isola d’Ischia. Orbene va subito detto che la notizia più clamorosa che emerge dall’opuscolo - sconosciuta perfino al nostro Onorato, che in fatto di pettegolezzi e maldicenze paesane resta un campione insuperato - consiste nel fatto che la progettazione dell’Acquedotto di Buceto fu, fin dalla sua prima impostazione, completamente sbagliata e male gliene incolse al suo ideatore, il cavaliere Orazio Tuttavilla, che fu costretto ad abbandonare i lavori in corso d’opera e tornarsene a Napoli con le pive nel sacco e i rimbrotti del vicerè. Ma andiamo con ordine e raccontiamo come filò via tutta la faccenda. Siamo nell’anno domini 1580 e gli Ischitani del Borgo di Celsa vivono il dramma quotidiano di una fiera penuria di acqua. Causa principale della generale arsura la scomparsa definitiva, dopo decenni di bradisismi, della sorgente di acqua dolce del Ninfario che affiorava presso la Torre dei Guevara (o di Michelangelo) che approvvigionava la popolazione insieme alla sorgiva dei Sassi, ambedue ingoiate dal mare. Già per il passato lungo la fascia costiera di Cartaromana erano scomparsi nei flutti il porto angioino e le antiche abitazioni romane del I secolo d.C. insieme alle “plumbarie”, le officine metallurgiche dove si costruivano armi, attrezzi navali e lingotti di piombo. Rimostranze e lamenti degli abitanti del Borgo di Celsa non tardarono a raggiungere il palazzo del vicerè, Cardinale di Granvela Antonio Perrenot, che non restò indifferente alle suppliche degli Ischitani, decidendo con sollecitudine di inviare sull’isola il cavaliere Orazio Tuttavilla, uno spagnolo esperto in acquedotti, con poteri di “governatore”, accollando le spese necessarie all’erario della corona. Le credenziali tecniche dell’ingegnere sono del tutto sconosciute, ma sappiamo che il fratello Muzio (ugualmente versato nelle scienze idrauliche) aveva realizzato proprio in quel periodo il grandioso acquedotto sotterraneo del Sarno, passato indenne fra le rovine di Ercolano, anzi facendo conoscere, grazie agli scavi e all’ardito attraversamento, il punto esatto della città sepolta dalla lava vesuviana. Orazio Tuttavilla sbarcò a Ischia con una feluca nel 1580, accolto con tutti gli onori dalle autorità cittadine, e si portò sulla collina di Buceto, accompagnato dal medico calabrese Giulio Jasolino che si trovava a Ischia per investigare il ricchissimo patrimonio idrologico isolano. A quota 400 mt. fu rinvenuta una sorgiva di acqua dolce, purissima, che scorreva all’aperto perdendosi nelle vallette di Fiaiano lungo un percorso molto acclive e dunque favorevolissimo per realizzare un impianto a caduta libera, il solo che si conoscesse in quell’epoca. Don Orazio saggiò il terreno, perlustrò infine il per- La Rassegna d’Ischia 1/2009 5 corso fra i campi verdeggianti e le aride zolle del Cremato con l’obiettivo di raggiungere il centro abitato del Borgo di Celsa con un percorso tutto in discesa! I lavori ebbero inizio verso il 1581 e interessarono la captazione delle acque attraverso la costruzione di un cunicolo lungo circa cento metri, rivestito di mattoni cotti, e la creazione di strutture filtranti consistenti in un canaletto di terracotta smaltata dove l’acqua scorreva “a pelo libero” fino ad un casotto in muratura contenente due vasche; una di raccolta e l’altra funzionante con filtro a pietrame. I lavori proseguirono con lo scavo di una trincea di quattro chilometri, tutta in discesa, dove vennero posizionati tubi in ghisa sigillati a piombo. Giulio Iasolino seguì la prima fase dei lavori con molta attenzione e, lodando quest’opera somma e meritoria, scriverà nel suo trattato “De Rimedi Naturali”, edito nel 1586: «Nostro Signore conceda che vengano (i lavori) al termine designato, senza nessun sinistro intoppo». Le parole augurali non sortirono però l’effetto sperato perché le maestranze impegnate nella grandiosa opera alzarono le braccia in segno di resa quando, giù allo Spalatriello, si trovarono di fronte la piana del Rio Corbore e l’erta salita che mena a Sant’Antuono! Dai calcoli venne fuori che il rivolo d’acqua, abbastanza consistente nel periodo invernale, ma del “tutto meschino” in estate, non avrebbe mai potuto superare con la sua misera pressione il notevole dislivello del terreno da attraversare. Inoltre le ingenti spese già fatte e quelle da affrontare si presentavano ben oltre la soglia dello stanziamento previsto. Queste amare considerazioni assestarono un duro colpo al progetto di Don Orazio, tanto da indurlo a gettare la spugna e tornarsene alle sue incombenze metropolitane, non prima di vederlo indugiare a Ischia, per la costruzione di una Torre costiera (Lo Scuopolo) che portò a termine nel 1587. 6 La Rassegna d’Ischia 1/2009 I Pilastri - In alto: Partenza dallo Spalatriello - Al centro: Piana del Rio Corbore In basso: Salita di Sant'Antuono Mons. Girolamo Rocca Piazzetta del Borgo di Celsa La fontana fu rimossa negli anni '50 Fallita l’impresa, gli abitanti del Borgo di Celsa si ingegnarono a modo loro per risolvere la crisi idrica. Costruirono diverse cisterne per la raccolta di acqua piovana, scavarono sulla riva del mare facendo riaffiorare la sorgiva dei Sassi, sfruttarono infine i numerosi pozzi (spesso malsani) di via Pontano, non disdegnando le acque minerali della sorgente Mirtina, certamente poco adatta al consumo alimentare. Trascorsero così ben ottantasei anni nella speranzosa attesa di un novello “governatore” in grado di alleviare la sete degli Ischitani. L’anno fatidico sarà quello del 1673, data dell’ingresso in diocesi del vescovo mons. Girolamo Rocca, prelato molto attento alle necessità della popolazione e dotato di grande energia e spirito di iniziativa. Il vescovo accolse di buon grado le richieste degli abitanti del borgo marinaro che suonavano sempre il solito ritornello dell’acqua, problema che nemmeno i d’Avalos, governatori isolani per antica investitura, avevano saputo risolvere dopo il fallimento di don Orazio Tuttavilla. Mons. Rocca decise dunque di passare dalle parole ai fatti e mise per primo mano alla borsa personale, ahimè molto povera per i tempi perigliosi che attraversava la chiesa isolana nel XVII secolo. Il buon pastore riuscì a racimolare settecento ducati della Curia e con quelli assoldò capomastri e operai, ma soprattutto un esperto in idraulica che si incaricò di studiare il percorso del futuro acquedotto. Non ci è dato sapere il nome dello “scienziato” che si occupò della faccenda, ma stando alla “cronaca” dell’informatissimo opuscolo di cui in premessa, l’esperto in condotte e tubature non fece altro che “raccordarsi” al tracciato del Tuttavilla nel punto sospeso allo Spalatriello, per nulla intimorito dal dislivello esistente nella pianura del Rio Corbore. Eppure, sostiene l’ignoto autore del “libello”, sarebbe bastata la semplice deviazione del percorso giù per le pendici dell’Arso (o Cremato), all’epoca sgombro di case e di alberi, per raggiungere in linea retta e speditamente in pendenza l’abitato del Borgo di Celsa attraverso una semplice condotta sotterranea di circa tre chilometri (vedere cartina riprodotta a p. 5). Ma, come dicevamo, lo “scienziato” idraulico sposò un progetto onerosissimo, difficoltoso e di lunga attuazione “copiando” la costruzione degli acquedotti romani realizzati su ponti e arcate in pendenza, con esclusione dei muri pieni, perché troppo dispendiosi! Il vescovo Rocca...”benedì” il progetto per nulla spaventato dalle decine di migliaia di ducati occorrenti per la ciclopica costruzione e chiamò subito a raccolta le autorità, i maggiorenti del paese e i possidenti per spremerli a dovere; poi passò alle tasse sulla farina, sui cereali e sul vino, infine bussò a denari dai preti, che godevano di speciali esenzioni, e li indusse a versare il proprio contributo. L’Arso di Ischia diventò nel 1675 un immenso cantiere di lavoro con operai a scavare fondazioni, tagliapietre a squadrare le pomici La Rassegna d’Ischia 1/2009 7 leggere, carretti a trasportare mattoni cotti, capi mastri a sagomare il primo ordine di archi, tagliaboschi a fornire il legno necessario per le impalcature e, infine, “fraucatori” ad impastare malta tanto resistente da sfidare i secoli. L’opera apparecchiata si componeva di un primo tratto a muro pieno con partenza da quota zero a quota sei mt. Per una lunghezza di circa 150 metri (tratto Spalatriello). Iniziava poi la serie di archi, ad un solo ordine, in numero di sessantacinque a tutto sesto per una lunghezza di circa 250 metri, che raggiungeva la strada di collegamento Ischia-Barano nel bel centro del Rio Corbore. Da lì partivano altri trentacinque archi sempre ad un solo ordine - che coprivano un percorso di 150 metri, capaci di superare il dislivello esistente lungo la salita di Sant’Antuono. Fra lavori e interruzioni passarono tre anni; finalmente nel 1678 furono sistemati i tubi di cotto sulla sommità delle arcate. La successiva “prova idraulica” si rivelò - manco a dirlo - un completo fallimento: l’eccessiva pressione esercitata dalle acque precipitate a valle in forte pendenza mandarono in frantumi le condotte. Punto e a capo. C’era di che disperarsi; eppure la soluzione era a portata di mano, ma nessuno volle prendere in considerazione il percorso alternativo. Lo “scienziato”, direttore dei lavori, rifece i calcoli e convenne che per attutire la pressione occorreva ridurre la pendenza esercitata dagli archi troppo bassi. Di nuovo le maestranze al lavoro e, naturalmente, il povero vescovo a ramazzar ducati per quell’impegno mostruoso che stava dissanguando l’intera popolazione. Si mise mano alla costruzione di un secondo ordine di archi; opera titanica condotta a forza di braccia, carrucole, argani e funi, con il pericolo di veder precipitare gli operai da un’altezza di oltre dodici metri. Occorsero altri sei anni di lavoro e l’astronomica somma di 65.000 ducati per vedere completata l’opera con la posa di condotte di ghisa, scavo di un cunicolo di circa quattro chilometri, casotto in muratura in località “Cappella” per la raccolta e la filtrazione delle acque e, infine, costruzione di un cisternone con relativa fontana accosto il campanile della chiesa dello Spirito Santo, al Borgo di Celsa, località prescelta per la preziosa scaturigine. Quel mattino di primavera del 1685 il valoroso vescovo Girolamo Rocca si affacciò al balcone di Casa dell’Ogna, attigua alla chiesa della Collegiata, e benedisse lo zampillo meraviglioso dell’acqua di Buceto che cominciò a inondare la fontana di marmo adorna di quattro delfini scolpiti. Tutta la popolazione del Borgo era confluita nella piazza pavesata a festa, applaudendo l’opera ardimentosa, prima in assoluto realizzata nell’isola del Seicento. Monsignor vescovo aveva le lacrime agli occhi quando dettò il distico che fu poi inciso su di una lastra marmorea: 8 La Rassegna d’Ischia 1/2009 Has sudavit aquas cereris patientia curtae Edocuitque famem ferre magistra sitis (Queste acque si sono ottenute col sacrificio sul cibo; la sete, da buona maestra, ha insegnato a sopportare la fame). Chiara allusione alle privazioni che il popolo sopportò pur di ottenere la tanto sospirata acqua potabile. Passarono gli anni e il centro storico del Borgo di Celsa (ribattezzato Ischia Ponte per la presenza di un approdo marittimo) fu sottoposto a svariate modifiche e trasformazioni urbane a cui non si sottrasse la fontana voluta da mons. Rocca. Nel 1759 i Decurioni abbellirono l’originaria vasca con un’artistica fontana di marmo travertino e - come era in uso a quei tempi - prepararono la solita lapide commemorativa: D. O. M. AQUAM EX FONTE BUCETI AD IV M.P. PUBBLICO AERE DERIVATAM LABROQUE EX TIBURTINO LAPIDE ORNATAM ET TURRI IN QUA CONCILIA FIERENT ADPOSITAM ADDITO HORARIO DECURIONES PITHECUSANI UTENDAM FRUENDAM CIVIBUS DEDERUNT A.MDCCLVIIII A DIO OTTIMO MASSIMO I DECURIONI ISCHITANI DIEDERO AI CITTADINI PERCHÉ NE USASSERO E GODESSERO L’ACQUA DERIVATA A PUBBLICHE SPESE DALLA SORGENTE DI BUCETO AL QUARTO MIGLIO ED ORNATA DI UNA VASCA DI TRAVERTINO E ATTACCATA ALLA TORRE OVE SI TENESSERO LE ADUNANZE ED AGGIUNTOVI L’OROLOGIO L’ANNO 1759 Nessun accenno, in questa lapide alquanto bugiarda, all’autore dell’acquedotto, mons. Girolamo Rocca, che profuse denaro proprio ed energie per condurre a termine l’opera tanto magnificata dagli amministratori pubblici dell’epoca. Per fortuna i maestosi archi dei “Pilastri” (così passati alla toponomastica delle nostre contrade), impietosamente messi sotto accusa da uno sconosciuto, quanto informatissimo, “cronista” d’epoca e miracolosamente sopravvissuti alle ingiurie del tempo e degli uomini, hanno reso giustizia al munifico finanziatore, tramandandone il nome e la piccola storia civile, or ora rinverdita nel quarto centenario della sua scomparsa. Gino Barbieri Augusto Béguinot - La vegetazione delle Isole Ponziane e Napoletane (1905) * Formazione della macchia mediterranea È il tipo di vegetazione più caratteristico delle nostre isole, come del resto di molti territori, massime littoranei, che si schierano attorno al bacino mediterraneo. È caratterizzata dalla consociazione su larga scala di frutici e suffrutici di disparate famiglie, per lo più sempreverdi e di piccole o mediocri dimensioni. Essi sono ravvicinati fra loro, ma in modo di lasciare spazi più o meno ampi, abitati da una coorte di piante erbacee, annuali o perenni e generalmente di tipo xerofilo, che vi si associano sia per ragioni di sostegno, come per difesa o protezione, oppure vi determinano pratelli erbosi. Tale formazione è egregiamente e tipicamente sviluppata nei settori silicei e nelle isole vulcaniche: nell’isola calcarea di Capri è accantonata in special modo sopra i depositi di materiale vulcanico. Qualche elemento invade sporadicamente la stazione rupestre-xerofila e quasi tutti si ritrovano nella formazione boschiva, alla quale imprimono una spiccata struttura xerofila. I passaggi fra i due consorzi sono perciò graduali e la distinzione è possibile soltanto in casi di struttura tipica. La macchia, appunto perché l’espressione più genuina del clima e delle condizioni di ambiente di limitati territori, era senza alcun dubbio dominante sulle altre formazioni prima dell’avvento umano nelle singole isole. Oggidì invece essa è stata diradata o del tutto distrutta e quel tanto che ne resta rappresenta solo i residui del primitivo ed originario indumento. Molti fatti di accantonamento ed isolamento sono ascrivibili a questa causa. Premesso ciò, passiamone in sommaria rassegna l’attuale distribuzione nelle varie isole. A Ponza, la macchia è totalmente distrutta nei ripiani e sui ridossi dove la coltivazione sale da valle a monte, fatta eccezione di qualche superstite che trova riparo o difesa nelle siepi, o negli interstizi delle macerie o delle rocce. In quei ridossi invece, dove la coltivazione lascia sgombra una zona attorno alla vetta, o lungo l’alveo dirupato e ciottoloso dei ruscelli, o dovunque il terreno è ritenuto sterile, il dumeto mantiene ancora un avanzo del suo antico e, per molti secoli, incontrastato dominio. Così del pari, dove un campo è abbandonato non tarda a ripristinarvisi. Però, in tutte queste stazioni, scerpato giornalmente per farne legna o preso di mira dagli ovini, esso cresce stentato, diradato e nella perduta vigoria reca un’impronta dei continui attentati che si compiono contro di esso. I frammenti più considerevoli della boscaglia nell’isola * Augusto Béguinot - La vegetazione delle Isole Ponziane e Napoletane, Studio biogeografico e floristico, Tip. Enrico Voghera, 1905. giacciono sulle pendici occidentali e meridionali del Monte della Guardia e precisamente al bosco della Masseria ed al bosco del Fieno: in una insenatura fra Cala del Papa e Cala del Feudo: ed in un’altra quasi inaccessibile a punta dell’Incenso. Fra gli elementi fondamentali e più caratteristici della formazione ricordo: Juniperus phoenicea Asparagus acutifolius Smilax aspera Quercus Ilex Daphne collina Thymelaea irsuta Cistus salvifolius Cistus monspeliensis Clematis Flammula Clematis Vitalba Calycotome villosa Spartium junceum Genista ephedroides Myrtus communis Rhamnus Alaternus Pistacia Lentiscus Phyllirea variabilis Olea europaea-oleaster Arbutus Unedo Erica arborea Erica multiflora Rosmarinus officinalis Lavandula Stoechas Rubia peregrina Lonicera implexa Di queste specie, alcune sono distribuite in tutta l’isola e rappresentate, si può dire, in ogni boscaglia: altre invece, per le ragioni sopra dette e per la loro spiccata idiosincrasia, sono localizzate in punti determinati e spesso in pochi individui. Totalmente abbattuta è la boscaglia nella vicina Palmarola: in essa pochi individui isolati, in alcune località inaccessibili o quasi, attualmente ve la rappresentano. Nonostante le accurate ricerche non vi ho visto Juniperus phoenicea, Daphne collina, Cistus monspeliensis, Erica multiflora, Arbutus Unedo, Rhamnus Alaternus, Calycotome villosa. Fra i presenti e mancanti a Ponza (come in tutte le altre isole, eccetto Capri) merita uno speciale ricordo la Chamaerops humilis, che vegeta ancora in discreto numero, ma in umili dimensioni, a Punta di Tramontana, alla Radica ed al Guamiero. Un notevole frammento di macchia si è invece conservato a Zannone ed è forse il maggiore delle Ponzie. Esso è conformato sulla riolite a macchia bassa con predominio di Cistus salvifolius e Cistus monspeliensis, fra cui si frammischiano: Thymelaea hirsuta, Spartium junceum, Myrtus communis, Olea europaea-oleaster, Phyllirea variabilis, Pistacia Lentiscus, Euphorbia dendroides, Erica arborea, Calycotome villosa, Lavandula Stoechas, Rosmarinus officinalis, ecc.; vi mancano invece, Juniperus phoenicea, Chamaerops humilis, Rhamnus Alaternus: rarissima è Genista ephedroides. Assume invece la struttura di macchia alta facente passaggio ad un vero e proprio bosco sul calcare nei versanti nord ed est riparati dal vento, con La Rassegna d’Ischia 1/2009 9 Erica (Erica arborea) o scopa di bosco (Erica scoparia), sempre verde, anche d'inverno. esclusione di Cistus salvifolius, Erica arborea e Lavandula Stoechas, e con l’aggiunta di Quercus ilex ed Arbtus Unedo (abbondanti e dominanti), Daphne collina, Osyris alba, Cercis Siliquastrum e Viburnum Tinus. A Ventotène, la macchia è totalmente abbattuta nella piattaforma soggetta ad intensa coltura; qualche individuo isolato trovasi rifugiato nelle siepi od in qualche campo abbandonato. Più considerevoli relitti giacciono lungo le coste, spesso inaccessibili, e perciò non adatte alla coltura. In queste stazioni di rifugio ho avuto occasione di raccogliere: Juniperus phoenicea (pochi esemplari sotto il Semaforo), Asparagus acutifolius, Thymelaea hirsuta e Clematis Flammula (anche nella piattaforma), Erica arborea ed Erica multiflora, Olea europaea-oleaster (esclusivamente ed in pochi esemplari sulla scogliera di ponente), Phyllirea variabilis, Pistacia Lentiscus, Rhamnus Alaternus, Myrtus communis (qua e là nella piattaforma e più frequente lungo le coste). Vi crescono inoltre le seguenti specie mancanti nelle precedenti ponziane: Erica stricta (pochi individui presso Punta di Eolo); Lycium europaeum (scogliera sotto il Semaforo): Pistacia Terebinthus (qualche esemplare sulle siepi). Mancano all’isola ed alcune forse sono di recente scomparsa: Daphnee collina, i Cisti, Arbutus Unedo, Lavandula Stoechas, Rosmarinus officinalis. Anche nei dne isolotti di Gavi e S. Stefano resta ben poco dell’antica boscaglia: a Gavi sono memorabili alcuni esemplari di Daphne collina, nel secondo l’unico superstite è Thymelaea hirsuta! Intensa e varia fu la coltivazione che, da epoca certo remota, investì l’isola di Ischia. Tuttavia dove il coltivato non è ancora giunto, come nelle lave recenti, nei pendii troppo ripidi, nei campi abbandonati ecc. vegetano ancora nei cespugli, a volta formanti macchie, quasi tutti i rappresentanti la macchia mediterraneo-micro-insulare. Secondo la flora inarimense del Gussone, essi sono i seguenti: Cistus affinis Smilax mauritanica Cistus incanus Quercus Ilex Clematis Flammula Quercus pubescens Clematis Vitalba Daphne Gnidium Fraxinus Ornus Cistus salvifolius Myrtus communis Cistus monspeliensis 10 La Rassegna d’Ischia 1/2009 Lentisco (Pistacia lentiscus), arbusto resinoso sempre verde. Predilige i luoghi secchi e aridi. Rosa sempervirens Calycotome villosa Cytisus triflorus Cistus monspessulanus Cistus scoparius (raro) Coronilla Emerus Spartium junceum Pistacia Lentiscus Phyllirea variabilis Rhamnus Alaternus Olea europaea-oleaster Arbutus Unedo Erica arborea Lonicera implexa A questi si possono aggiungere gli altri elementi già citati per le precedenti isole, fatta eccezione di Chamaerops humilis, Daphne collina, Genista ephedroides, Pistacia Terebinthus, Lycium europaeum, Erica multifiora, Erica stricta, Cercis Siliquastrum. Geograficamente costituita come Ventotene, anche la piattaforma tabulare di Procida andò soggetta ad intensa coltivazione e quindi alla perdita della macchia. Esemplari sporadici vegetano qua e là lungo le siepi od in qnalche sito sterile e lungo le coste per lo più inaccessibili. Diverso è invece il caso del vicino isolotto di Vivara, scoglioso e sterile in grande parte e solo di recente oggetto di parziale coltura. Quivi la macchia, non ancora lacerata dall’accetta e non addentata dagli animali, cresce vigorosa e robusta e gli individui vi assumono dimensioni enormi, spesso arborescenti. In breve spazio ed in modeste proporzioni, essa ci rende un’idea approssimativa della fisionomia della boscaglia di Procida e di Ischia nei substrati più adatti. Vi ho annotato le specie seguenti: Quercus Ilex Thymelaea hirsuta * Daphne Gnidium Euphorbia dendroides Cistus salvifolius * Cistus monspeliensis * Cistus incanus Pistacia Lentiscus Pistacia Terebinthus Rhamnus Alaternus Phyllirea variabilis Coronilla Emerus Spartium junceum Calycotome villosa * Arbutus unedo * Erica arborea Myrtus communis Lycium europaeum Teucrium flavum Lonicera implexa Di queste specie, sei forse non esistono attualmente a Procida (quelle precedute dal segno *). A Nisida, sempre a causa delle colture, non esiste più macchia, ma solo alcuni superstiti isolati, quali: Quercus ilex, Erica arborea, Pistacia Lentiscus, Coronilla Emerus, Evonymus europaeus, Myrtus communis, ecc. Più ricca e meglio conservata è la stazione della macchia a Capri. L’isola, quantunque intensamente coltivata, presenta qua e là dei lembi finora rispettati dall’accetta e che, date le condizioni del suolo e del pendio, forse non si presterebbero a coltura. Di questi lembi i due più notevoli esistono l’uno lungo la via da Capri ad Anacapri e l’altro sulle pendici, specialmente meridionali, del monte Solaro. Ed ecconc i costituenti essenziali: Spartium junceum Juniperus phoenicea Colutea arborescens Smilax aspera Ceratonia Siliqua Asparagus acutifolius Coronilla Emerus Quercus ilex Dorycinium hirsuta Quercus Cerris Myrtus communis Thymelaea irsuta Rhamnus Alaternus Daphne Gnidium Phyllirea variabilis Cistus salvifolius Pistacia Lentiscus Cistus monspeliensis P. Terebinthus Cistus affinis Olea europaea-oleaster Cistus incanus Euphorbia dendroides Clematis Flammula Euphorbia spinosa Rosa sempervirens Erica Arbutus Ulex europaeus Unedo arborea Calycotome villosa Rosmarinus officinalis Cytisus Laburnum Rubia peregrina Cytisus hirsutus Lonicera implexa Cytisus triflorus Cytisus spinescens Lonicera etrusca (?) Secondo il Bergen, sulle falde del monte Solaro a circa 130 m. in una data superficie dominano: Coronilla Emerus, con 812 individui, Arbutus Unedo (464), Smilax aspera (200), Myrtus communis (124); sono invece subordinati Pistacia lentiscus (44), Cistus (2) incanus e C. salvifolius (24), Erica arborea, Quercus ilex e Clematis Flammula con meno di 20 ecc. A 350 m. e sulle pendici N-O dello stesso monte sono invece dominanti, Cistus incanus e C. salvifolius (603), Spartium junceum (106) e subordinati Myrtus communis (15), Daphne Gnidium (4), Pistacia Lentiscus, Erica arborea, ecc. (l). Queste indicazioni sono, senza dubbio, interessanti; ma è da deplorarsi che l’autore abbia omesso di indicare la natura chimica del substrato nei settori presi di mira, avendo questa potuto dare ragione delle differenze constatate. Passiamo ora ad esaminare le principali forme di vegetazione. Sono riducihili alle seguenti categorie: 1) Piante afille o povere di foglie e quindi a funzioni assimilante o traspirante devolute ai fusti verdi: Euphorbia dendroides, Genista ephedroides, (ambedue già incontrati nelle stazioni rupestri-xerofile), Genista Scoparia, Calycotome villosa. 2) Piante a foglie caduche del tutto od in parte durante la stagione estiva: Euphorbia dendroides, E. spinosa, Cytisus spin. v. ramosissimus, Ulex europaeus: eccetto l’ultima, le altre vegetano anche sulle rupi. 3) Piante a foglie aciculari e quindi a superfici assimilanti e traspiranti assai ridotte: Juniperus phoenicea, Thymelaea hirsuta, Osyris alba, Erica arborea, E. multicaulis, E. stricta. Anche queste specie, oltre che nella macchia, possono vegetare anche nelle rupi di tipo xerofilo. 4) Piante a cladodi. Vi appartiene una sola specie e cioè Asparagus acutifolius. Un’altra pianta a cladodi e cioè il Ruscus aculeatus, pure non mancando nella macchia, è più propria delle stazioni boschive. In ogni modo i cladodi inseriti più o meno verticalmente sul fusto, offrono alle radiazioni solari la minore superficie e rientrano perciò fra i caratteri xerofili. 5) Piante a foglie coriacee più o meno spesse. È la categoria più numerosa e contiene nel nostro distretto i tipi xerofitici più caratteristici, come: Quercus ilex, Quercus Cerris, Daphne Gnidium, Smilax aspera e Smilax mauritanica, Clematis Flammula, Rhamnus Alaternus, Pistacia Lentiscus e Pistacia Terebinthus, Phyllirea variabilis, Olea europaea-oleaster, Myrtus communis, Arbutus Unedo, Viburnum Tinus, Rubia peregrina, Lonicera implexa. 6) Piante rivestite di tricomi più o meno abbondanti soprattutto nelle foglie: Daphne collina, Cistus incanus e Cistus salvifolius, Dorycinium hirs. v. incanum, Lavandula Stoechas. Rientrano in questa categoria piante a foglie coriacee, ma contraddistinte da fitta pelurie nella pagina inferiore e cioè: Quercus Ilex, Olea eur. v. oleaster, Rosmarinus officinalis, ecc. 7) Piante a rivestimenti epidermici somiglianti a vernici: Cistus monspeliensis e Cistus affinis. Rientra in questa categoria anche Inula viscosa così freqnente nelle stazioni xerofilo-macchiose. Oltre queste forme di vegetazione, altre sono realizzate dalle piante erbacee (piante annuali, bulbose, ecc.), che sogliono accompagnare la macchia propriamente detta. La precedente enumerazione mi sembra più che sufficiente a dimostrare come la macchia, espressione genuina di un clima mesotermico e secco, traduca con i più evidenti adattamenti alla xerofilia le qualità dominanti del suo clima. La formazione della macchia, tipicamente costituita come sopra ho detto, comporta un certo numero di associazioni determinate dal predominio di una o più specie sociali sulle altre e di conseguenza basate snlla fisionomia e sui caratteri del paesaggio botanico. Le associazioni da me riscontrate nei due Arcipelaghi sono le seguenti; a) Associazione della macchia bassa con predominio di Cistus (Cisteto). È propria dei substrati più aridi, sia sassosi come arenosi, e delle pendici più esposte all’azione livellatrice dei venti. Non è da escludcre in molti casi, che La Rassegna d’Ischia 1/2009 11 l’uomo, mercé l’accetta, abbia contribuito ad abbassarne il livello normale. Le due specie dominanti sono nelle Ponzie Cistus salvifolius e Cistus monspeliensis, a cui si aggiungono ad Ischia e Capri Cistus affinis e Cistus incanus: tutti largamente e fittamente cespugliosi, però a frequeuti radure erbose e più o meno ampie interruzioni. Le altre specie non mancano, ma sono subordinate e spesso (Phyllirea, Pistacia Lentiscus, Rosmarinus, Lavandula Stoechas) consociate nello stesso cespuglio: però il dominio resta sempre ai Cisti nominati. Data l’aridità del substrato, è largamente sviluppata nelle radure la microflora mediterranea; scarse invece o mancanti le nemorali. Di questa associazione il frammento più tipico è senza alcun dubbio, il dumeto che riveste la piattaforma riolitica di Zannone: un tempo assai diffusa nelle altre Ponzie oggidi ne sovrastano, per le ragioni dette, insignificanti frammenti. Ritrovasi ad Ischia e Capri, manca a Procida e Nisida, . b) Associazione della macchia alta con predominio di Quercus Ilex e di Arbutus Unedo (Elceto). - È propria dei terreni più fertili ed umificati, delle plaghe riparate ai venti, o sfuggite all’azione deleteria dell’uomo. Risulta degli stessi elementi della precedente, ma con predominio assoluto di Arbutus Unedo e Quercus Ilex, che sono rari o mancano in quella. Ciascun individuo non si conforma a cespuglio compatto, ma assume un abito slanciato e le dimensioni massime raggiunte dalla specie. Le radure sono più rare o mancano affatto: diventa perciò spesso impenetrabile ed Arbutus Unedo - Corbezzolo (suorvo peloso) 12 La Rassegna d’Ischia 1/2009 è tale quando è attraversata dalla Calycotome. Scarsa è la microflora mediterranea ed in generale le piante annnali più numerose le nemorali. Di questa associazione, un tempo assai diffusa, vidi qualche traccia a Ponza (nel cosi detto Bosco della Masseria ed a Punta dell’Incenso): ma i più notevoli frammenti rivestono le pendici nord-est di Zannone sull’affioramento di calce e parte dell’isolotto di Vivara. Esiste anche ad Ischia ed a Capri lungo la via tra Capri ed Anacapri. c) Associazione della macchia con predominio di Erica arborea (Ericeto). - Risulta dagli stessi elementi delle due precedenti, con sviluppo predominante di Erica arborea. Nelle Ponzie vi si frammischia quasi dovunque l’Erica multicaulis, che però è subordinata e manca in tutte le Napoletane. Come è noto, questa associazione assume un largo sviluppo soprattutto nelle arene marittime: e nel distretto è quasi tipicamente rappresentata appunto nei substrati più decomposti. Ne ho osservato qualche frammento a Ponza ed a Palmarola ed è presente ad Ischia. Data la minuta decomposizioue del substrato a Ventotène e Procida, è probabile che dessa fosse l’associazione più caratteristica. Manca a Capri, dove Erica arborea è subordinata ed Erica multicaulis manca: Erica stricta è invece troppo localizzata per determinare un’associazione. d) Associaziolle della macchia con predominio di Genista ephedroides. - Trovasi a Ponza e precisamente nelle colline che circondauo il paese ed in qualche punto del monte della Guardia come nel così detto Bosco del Fieno. È caratterizzata dal predominio di un arbusto quasi afillo ed a fusti aciculari, quale è appunto Genista ephedroides. La transigenza di questa pianta è grandissima ed invade quindi anche le pendici più dirupate ed inospiti, dove spesso vegeta da sola. Sebbene occupi lembi limitati, trattasi di una associazione ben caratterizzata, sia per la fisionomia speciale dell’elemento dominante, come per la sua localizzazione: manca inoltre a tutte le napoletane. e) Associazione della macchia sui terreni calcarei. - I tipi di associazione sopra descritti cadono, eccetto un piccolo frammento della macchia di Zannone, in substrati siliceovulcanici e sono caraterizzati dal predominio di una o più specie note per lo più come silicicole. Fa eccezione, a questo riguardo, la macchia che ricopre alcuni punti dell’isola di Capri; e soprattutto quella che si stende sulle pendici del monte Solaro. Come già avanti osservammo, dovunque affiora la roccia calcarea, alcuni elementi notoriamente calcifughi si diradano o mancano, mentre prendono il sopravvento numerosi tipi noti come fedeli ai suoli calcarei (Cytisus Laburnum, Cytisus spinescens v. ramosissimus, Coronilla Emerus, Euphorbia spinosa, ecc.). In definitiva perciò abbiamo una macchia di tipo abnorme, a fisionomia sua propria, e che manca in tutte le altre isole, sia ponziane che napoletane. Delle specie nominate Cytisus spinescens ed Euphorbia spinosaformanti cuscinetti intricati di rami spinificati e scarsamente fogliosi, ne sono la nota piu distintiva: mentre sulle rupi i ciuffi candicanti di Thymelaea Tartonraira e Convolvulus Cneorum imprimono una particolare fisionomia al paesaggio botanico. Formazione boschiva. - È caratterizzata dalla con- sociazione di alberi di alto fusto a foglie caduche ed a tipo mesofilo, ma con tutti i passaggi ad una struttura xerofila. Ed ecco la sua genesi. Nella macchia di Ischia, in parecchi punti, ai soliti e caratteristici arbusti, si frammischiano diverse Quercus (del gruppo di Quercus sessiliflora), Ostrya carpinifolia, Carpinus orientalis, Corylus Avellana ecc. Dove queste essenze, non molestate dall’uomo e su terreno adatto, riescono ad assumere proporzioni arboree, vi si determina un vero e proprio bosco. Siccome poi quasi tutti gli elementi della macchia vi permangono, così abbiamo in definitiva dei boschi di tipo misto a prevalente struttura xerofila. Altrettanto ha luogo, in alcuni punti della macchia alta di Zannone ed, a giudicare dagli avanzi di Quercus che so vrastano qua e là nelle altre Ponzie, tale formazione doveva sovrapporsi in parecchi settori all’attuale boscaglia. Ad lschia e Capri inoltre esistono anche castagneti di evidente origine umana. Essi sono piuttosto numerosi ad Ischia: data invece la struttura prevalentemente calcarea, sono limitati a Capri a dne settori, e cioè presso il paese, a nord del colle S. Michele fino al mare (contrada Gasto) e presso la Scala di Anacapri (contrada Porcielli). Ginestra dei carbonai (Sarothamnu scoparius) - Notevole un tempo la sua presenza sulla strada da Lacco a Forio detta Cava di Cavallaro Ginestra (Spartium junceum), in gergo "jenesta" Nella prima isola, oltre ad alcuna delle essenze arboree sopra nominate, si frammischiano al castagno numerosi frutici, quali: Cytisus triflorus, Cytisus monspeliensis, Cytisus scoparius (raro), Coronilla Emerus, Colutea arborescens, Cornus sanguinea, ecc. e numerosissime erbacee di tipo eliofobo, fra le quali: Pteris aquilina, Aspidium aculeatum, Poe silvicola, Carex olbiensis, Carex silvatica, Ruscus oculeatus, Inula salicina, Fragaria vesca, ecc., l’elenco potrebbe continuare per mettere in evidenza il notevole contingente delle stesse. Ove poi si tenga presente che alcune di queste specie mancano nelle altre isole, possiamo concludere cche una delle caratteristiche della flora d’Ischia è l’abbondanza e la localizzazione di nemorali di tipo eliofobo. In rapporto con lo svilnppo più limitato della formazione boschiva, minore è il contingente delle nemorali di Capri. Anche più esiguo è il contingente delle nemorali nelle ponziane e nelle altre napoletane; nelle prime è, si può dire, limitato ad alcuni punti di Zannone. Ad Ischia esistono pure boschetti di Pinus Pinea L. ma di limitata estensione e piantati dall’uomo; a Capri Pinus Halepensis L. forse spontaneo, non assume di regola proporzioni arboree né si associa a formare bosco. *** Corrispondenze di alcune piante in gergo locale riportate da Giovanni Gussone Arbutus Unedo (corbezzolo) Asparagus acutifolius Calendula arvensis Calycotome villosa Ceratonia siliqua Cytisus triflorus Cytisus candicans Clematis flammula Clematis vitalba Colutea arborescens Coronilla emerus Corylus avellana Daphne gnidium Erica arborea Phyllirea angustifolia Inula viscosa Lonicera implexa Myrtus communis Pistacia lentiscus Quercus pubescens Quercus lanuginosa Rhamnus alaternus Rosmarinus officinalis Ruscus aculeatus Smilax aspera Spartium junceum Viburnum tinus suorvo peloso rusco la pianta, sparaci i turioni commestibili patrostace spalatro sciuscella rutaccia rutaccia riccia fuoco muorto vitaura ravajuolo mascolo ravajuolo nocella cecauocchi mascoli ulice latierno pruteca rocchietta mortella lentisco cerza cerculielle motta di sangue rosamarina pugnienti ruscaia jenesta trecena La Rassegna d’Ischia 1/2009 13 imperatori a quelle dei ritratti di gente comune. Per l’occasione l’atrio monumentale del Museo ritorna spazio espositivo. La mostra sarà allestita con un percorso caratterizzato da uno scenografico gioco di luci. Dal 15 ottobre 2008 al13 aprile 2009. Reggia di Caserta - Arredi Sacri e cose mai viste: dipinti, manufatti, oggetti d’arredo provenienti dai depositi della Soprintendenza e mai mostrati al pubblico, un’esposizione di piccole rarità allestita negli appartamenti storici della Reggia in occasione delle feste natalizie assieme a “Gli arredi sacri della Cappella di Palazzo” allestita nella Cappella Palatina. Dal 6 dicembre 2008 al 6 gennaio 2009. Concerti di Natale - Tre concerti del Maestro Roberto De Simone e la Nuova Orchestra Scarlatti. De Simone dirige “Lo Vommaro”, opera di fusione tra la commedia di Starace e la farsa in musica “il duello comico” di Paisiello e “Le nozze” di Stravinskij rielaborate in dialetto napoletano del ‘600. Il ciclo di concerti avrà inizio 1’8 dicembre ad Avellino, il 27 dicembre a Napoli nella Chiesa di San Paolo Maggiore e si concluderà il 5 gennaio a Caserta. L’Assessorato al Turismo e ai Beni Culturali della Regione Campania propone per il 2009 “6 viaggi”, per offrire uno spaccato inedito della Campania nel solco della memoria (Viaggio nella memoria dal 6 dicembre ’08 al 6 gennaio ‘09), delle emozioni (Viaggio nelle emozioni dal 4 al 13 aprile ‘09), della storia (Viaggio nella storia dall’1 al 31 maggio ‘09), delle arti (Viaggio nelle arti dal 5 al 28 giugno ‘09), della creatività (Viaggio nella creatività dall’1 al 31 luglio ‘09) e della tradizione (Viaggio nella tradizione dal 3 al 13 settembre ‘09). Sei percorsi tematici, che iniziano con le feste di Natale 2008 e proseguono fino al settembre 2009: un programma ricco di musica, arte, enogastronomia, tradizione, natura che attraversa le cinque province campane, il tutto corredato da una serie di agevolazioni per gli operatori e per i turisti. Il viaggio nella memoria (6 dicembre 2008 – 6 gennaio 2009) Museo di Capodimonte - mostra di Louise Bourgeois - Arriva in Italia la grande retrospettiva dedicata a Louise Bourgeois, scultrice nata a Parigi nel 1911 e ritenuta una delle massime artiste viventi. Il Museo di Capodimonte di Napoli presenta le opere prodotte dal secolo scorso fino ai nostri giorni. Circa sessanta opere, incluse due nuove installazioni inedite della celebre serie delle Cells, mai esposte prima. Dal 18 ottobre 2008 all’11 gennaio 2009. Mann - L’eroe di bronzo. Grandi Statue dell’area vesuviana - Le sculture in bronzo di Ercolano al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Dopo cinquant’anni di chiusura nei depositi del Museo archeologico di Napoli ritornano finalmente in mostra le grandi sculture in bronzo e marmo provenienti dagli scavi settecenteschi nell’area vesuviana. Centocinquanta opere in esposizione, dalle figure di dei, eroi e 14 La Rassegna d’Ischia 1/2009 Note d’inverno - Ventiquattro concerti dedicati alla musica sacra e barocca, che si terranno nelle chiese più belle e nei luoghi più suggestivi della città di Napoli. Alcuni concerti saranno abbinati ad una cena tematica con menù ispirati alle musiche e ai compositori del programma, altri a degustazioni di prodotti tipici e gastronomia delle feste. I menu della memoria - Il “critico maccheronico” Antonio Fiore riscopre la cucina locale della tradizione in venti ristoranti selezionati. Ciascuno degli chef si impegnerà a proporre, nel periodo indicato, un menu della tradizione locale a prezzi promozionali. Ogni ristorante verrà “gemellato” a un monumento, edificio, chiesa, complesso architettonico, borgo visitabile dal turista prima o dopo la sua sosta al ristorante. Favorite! - Produzione televisiva sperimentale ispirata all’omonimo progetto vincitore del concorso di idee. Dieci famiglie napoletane ospitano i turisti per il cenone di Natale: un reality per raccontare le vere tradizioni natalizie napoletane. Café chantant al Teatro Sannazaro - Ogni fine settimana a partire dal 6 dicembre tre spettacoli/aperitivo dal venerdì alla domenica che richiamano la tradizione del café chantant. Ad ogni spettacolo sarà affiancata una degustazione di vini, prodotti regionali e dolci natalizi. Capodanno in Piazza del Plebiscito e l’incendio del Castello - Ritornano, da quest’anno, le luminarie natalizie ed i fuochi d’artificio a Castel dell’Ovo con il suggestivo “incendio” del Castello preceduto da un grande e coinvolgente concerto a Piazza del Plebiscito. Il viaggio delle emozioni (4-13 aprile 2009) Itinerario Vanvitelliano - La Reggia di Caserta sarà il punto di partenza di un percorso alla riscoperta dell’opera di Vanvitelli in tutta la Campania. Lungo l’itinerario, che comprende alcune delle Ville del Miglio d’Oro, Portici, la Casina del Fusaro, l’acquedotto di Valle di Maddaloni e altri luoghi che testimoniano o raccontano la storia e le opere del Vanvitelli, saranno organizzati eventi-spettacolo in sintonia con il tema del viaggio e delle emozioni. Grandi Mostre alla Reggia di Caserta - Un’esposizione internazionale realizzata in collaborazione con i più importanti musei del mondo per la realizzazione di un “circuito delle Regge”. Emozioni Mare ed Emozioni Napoli - La baia di Napoli è lo scenario di un programma ricco di eventi, mostre, performance e concerti. Napoli, le isole, le città costiere saranno le tappe di una mini crociera a bordo di una nave traghetto sulla quale si svolgeranno spettacoli, mostre e manifestazioni. Durante le soste nei vari porti previsti dall’itinerario i passeggeri potranno scendere a terra per assistere ai riti e alle processioni più note e coinvolgenti della Pasqua campana. Antiche Emozioni, tra natura e archeologia - Un itinerario interamente dedicato al verde delle aree archeologiche da Cuma a Punta della Campanella, inclusi i siti di Pompei ed Ercolano e Villa Damecuta sull’isola di Capri. La Soprintendenza Archeologica di Napoli e Pompei ripristina il verde di alcuni dei siti più famosi e le passeggiate dell’antica Campania felix, trasformandole in un unico itinerario tra natura e archeologia arricchito da spettacoli e da letture al tramonto. Natura, Passione del Sannio - Il programma è articolato in tre sezioni: escursioni con accompagnamento di guide nell’oasi del WWF e nel parco del Partenio, una grande mostra dedicata al rapporto arte/natura, articolata attraverso la rete museale beneventana e l’iniziativa “trenino dell’arte” e la produzione dello spettacolo “Madre natura, madre Madonna”, ispirato al Pianto della Madonna di Jacopone da Todi, sulle note dello Stabat Mater di Pergolesi. Lo spettacolo si avvarrà di un’orchestra di diciotto elementi e la partecipazione del soprano Katia Ricciarelli. Spa e Terme della Campania - Nel pacchetto di Pasqua dedicato al Viaggio nelle emozioni si darà spazio al turismo termale con la promozione delle strutture alberghiere con spa e i parchi termali dell’isola d’Ischia e del resto della Campania. Il viaggio nella storia (1-31 maggio 2009) Raccontami - 100 attori di cinema e teatro raccontano i più importanti monumenti della Campania in un programma articolato per epoche storiche. Ogni attore accompagnerà i visitatori in un percorso che associa alla storia dei monumento letture, ricostruzioni d’epoca e rappresentazioni teatrali. Il viaggio nelle arti (5-28 giugno 2009) Napoli Teatro Festival Italia 09 - Il più grande appuntamento di teatro d’Italia: 2000 artisti, 200 spettacoli, 20 spazi teatrali, 24 giorni in cui Napoli dà spettacolo! Tra gli spettacoli proposti per la prossima edizione spiccano: La Rassegna d’Ischia 1/2009 15 * Karole Armitage reinventa Pulcinella; * Henier Muller mette in scena “Lo stacanovista”; * Il National Theatre di Londra incontra la creatività teatrale napoletana; * Elio De Capitani mette in scena l’ “Agamennone” di Pierpaolo Pasolini. Madre – Francesco Clemente, Naufragio con spettatore, 1974-2004 – Una grande mostra che ripercorre 30 anni di carriera di uno dei più importanti protagonisti dell’arte contemporanea. Dal 29 maggio al 14 settembre 2009. Il viaggio nella creatività (luglio 2009) Il Festival della Creatività Itinerante - Il grande palcoscenico della creatività giovanile sarà Salerno e la sua provincia. Rassegne delle nuove tendenze artistiche, dall’animazione al teatro, dalle arti visive alla musica e tanti appuntamenti che valorizzeranno il litorale che va da Salerno al Cilento. Il viaggio nella tradizione (settembre 2009) Piedigrotta 2009 - Napoli si colora di tradizione ed offre un punto di vista unico e privilegiato sulle ricchezze della cultura, dell’arte e dell’artigianato della città: concerti, sfilate allegoriche, teatro, mostre, artigianato, spettacoli pirotecnici, per una festa ricca di suggestioni ed emozioni. I Mille Colori del Golfo - A chiusura della festa di Piedigrotta, in contemporanea in tutti i comuni che si affacciano sui due golfi, esploderà il più grande spettacolo pirotecnico mai organizzato. Sito: www.6viaggi.com Rassegna poetico-letteraria - Inediti in Biblioteca I seminari di Maria Luisa Spaziani tempo tra simmetria e asimmetria -Prof.ssa Maria Luisa Spaziani (prenotazione : non necessaria, ingresso libero) Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica l'Universitas Montaliana di Poesia e l'on Giuliano Cazzola presentano nella Sala del Refettorio della Camera dei Deputati, Palazzo San Macuto, la V Rassegna poetico-letteraria Inediti in Biblioteca - I seminari di Maria Luisa Spaziani. L’ingresso ai Seminari è libero - Prenotazione obbligatoria. Per gli uomini è obbligatoria la giacca. Per motivi di sicurezza e limite di posti disponibili (massimo 110) è necessario effettuare la prenotazione almeno 15 giorni prima della data dell’evento inviando una e-mail con le proprie generalità a: [email protected] Maria Luisa Spaziani nasce a Torino nel 1922. Nel corso di un’esistenza variegata e a tratti avventurosa, ha scritto racconti, saggi, drammi, aforismi, ha tradotto classici e moderni. Ma la sua notorietà internazionale è affidata alla poesia, con traduzioni in venti lingue. Fin dai banchi del liceo fonda e dirige la rivista “Il Dado”, con collaborazioni di Penna, Pratolini, Sinisgalli e Virginia Woolf. Nel 1949 conosce Eugenio Montale e inizia un lungo sodalizio. Centrale è la Giovanna d’Arco, un suo mito personale fin dall’adolescenza. Sono quattordici le sue principali raccolte di versi, pubblicate da Mondadori nello “Specchio”, a cominciare dalle Acque del Sabato del 1954 fino alla Traversata dell’Oasi del 2002 e a La Luna è già alta del 2006. Docente all’Università di Messina, ha collaborato con importanti riviste, radio e televisioni. Ha fondato con Mario Luzi il Centro Internazionale Eugenio Montale, con l’omonimo Premio, e continua in vari ambiti la sua opera di critica e diffusione della poesia. È Cavaliere di Gran Croce della Repubblica. Programma 16/1/2009 – ore 17:00 - Valerio Magrelli parla dell’Archetipo della Traversata, metamorfosi e trasfigurazione poetica tra Città, Mare e Natura. Joyce, Apollinaire, Céline, D’Annunzio (prenotazione entro 1.1.09) 13/2/2009 – ore 17:00 - Franco Loi indaga sui multipli significati e sulle radici della stessa parola poesia, vera crescita dell’uomo, con riferimenti a Vittorio Sereni e alla sua Stella Variabile come svolta della poesia del Novecento (prenotazione entro 1.2.09) 13/3/2009 – ore 17:00 - Un gruppo di quattro appassionati studiosi tra cui Claudio Damiani indagheranno su Vincenzo Cardarelli e Leonardo Sinisgalli, pietre miliari del Novecento poetico 17/4/2009 – ore 17:00 - L’antica parola “spiritualità” che percorre tutta la storia della poesia, ed è imprescindibile anche oggi, indagata da Marco Guzzi e Donatella Bisutti (prenotazione entro 1.4.09) 8/5/2009 – ore 17:00 - Cent’anni fa nasceva il Futurismo, quali sono le ineliminabili ragioni di principio? Quale la sua eredità? (prenotazione entro: 25.4.09) 22/5/2009 – ore 10:30 - Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (Aula Magna - Piazzale Aldo Moro 5 – Roma) - Lectio Magistralis - Poesia: asso vincente delle sfide del 16 La Rassegna d’Ischia 1/2009 Giuliano Cazzola, economista, è stato dirigente generale del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, in tale veste è stato incaricato di presiedere il collegio dei Sindaci dell’INPDAP e successivamente dell’INPS. È esperto del mondo del lavoro e del welfare e insegna Diritto della Previdenza Sociale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, collabora con diversi quotidiani ed è autore di molti libri sulle politiche del lavoro e sulla previdenza. La sua opera più nota resta “C’eravamo tanto amati”, una sorta di biografia del suo periodo sindacale e quindi anche storia della CGIL dagli anni ‘70 agli anni ‘90. Il suo ultimo libro è “Il Riformista tradito – La storia e le idee di Marco Biagi” pubblicato da Boroli Editore (Nov. 2008). Giuliano Cazzola, nel giugno del 2006 è stato insignito dell’onorificenza di Commendatore della Repubblica Italiana, è deputato del Popolo delle Libertà e Vice Presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati. Dal Castello d'Ischia al Ticino, il vincitore della battaglia di Pavia Ferrante d'Avalos di Domenico Di Spigna Francesco Ferrante d’Avalos era nato a Napoli nel 1489 da Alfonso (1) e Diana de Cardona. A sei anni per volontà di Ferdinando 1° d’Aragona, viene «fidanzato» ad un’altra fanciulla anch’essa di aulica discendenza, qual era Vittoria Colonna, figlia di Fabrizio e Agnese di Montefeltro. Questa venne alla luce in Marino, presso Roma nel 1490. Il 6 giugno 1507 furono concordate le loro nozze che avvennnero il 27 dicembre di due anni dopo (1509) nella cattedrale del Castello isclano, dedicata all’Immacolata. Quest'anno ne ricorre il quinto centenario, che sarà ricordato con varie manifestazioni. I parenti più prossimi erano: per la sposa la madre Agnese, Fabrizio e Prospero Colonna; per lo sposo sua madre Diana (il padre era deceduto), la zia Costanza d’Avalos, la zia acquisita Laura Sanseverino, madre di Alfonso marchese del Vasto, e tanti altri bei nomi, quali Guglielmo Tuttavilla conte di Sarno, Giovanni Guevara, Luigi Giovanni Mormile napoletano, Ludovico Picchi romano, Guidone Fieramosca di Capua, Cosimo de Mayo, Galeazzo Tarsia, Giovanni Musofilo umbro e maestro di lettere di Ferrante, Jacopo Sannazaro umanista, Giovanni Paolo Cossa gentiluomo d’Ischia. Gli atti furono vergati dal notaio isolano Giacomo Melluso (2). Le nozze furono benedette da Mons. Matteo d’Aquino, arcivescovo di Gravina. Purtroppo l’unione tra i due giovani durò soltanto poco tempo e i sussulti amorosi tra i due dovettero interrompersi per superiori motivi di contingenza. L’edera veniva staccata dal tralcio! La presenza del prode Francesco Ferdinando (Ferrante) si rendeva utile alla causa degli equilibri politici d’Italia, che quasi sempre si manifesta con la guerra. Il nostro era figlio d’un uomo d’arme; suo padre Alfonso fu gran connestabile del regno di Napoli e venne ucciso a Castelnuovo (3) con una saetta da uno schiavo moro, mentre si adoperava a cacciare i Francesi giunti al seguito di Carlo VIII il 22 febbraio 1495. La sua scomparsa fu compianta dal re e dal popolo tutto. Suo avo fu Roderigo, che diede lustro al suo casato; suo nonno Innico o Ignico, che seguendo le sorti di re Alfonso 1° d’Aragona venuto alla conquista del regno di Napoli, fu catturato assieme a questi dai Genovesi nelle acque dell’isola di Ponza. Una volta liberato per intercessione di Filippo Maria Visconti, fu permesso all’aragonese di portarsi a Napoli e al d’Avalos di stare presso il duca Filippo a Milano. Ferrante che aveva preso dal padre il soprannome di Pescara (per il marchesato di quel luogo), nonché talento nell’arte bellica, aveva aulica discendenza anche per parte materna, che dal canto suo aveva avuto quattro fratelli capitani e di singolare bravura. Due di loro, don Antonio marchese di Padula e don Giovanni conte di Avellino molto si prodigarono per lui per farlo crescere forte e stratega nelle azioni di guerra. Il Pontano (4) umanista e letterato, come si evince dalle«Vite» di Paolo Giovio, era esperto nella scienza delle stelle e alla sua nascita aveva previsto vittorie e gloria, ma che avesse dovuto guardarsi il volto dalle ferite, cosa che puntualmente si avverò. Le vittorie sui campi di battaglia saranno numerose e faranno da corollario all’altra grande Vittoria (5), vale a dire sua moglie, donna eletta per linguaggio, lettere e religione, con la quale convolerà a nozze a venti anni d’età. Dice di lui Paolo Giovio (6) nella sua Vita del signor Don Ferrante d’Avalo: «Se noi volessimo mettere insieme tutte le onorate virtù del corpo e dell’animo delle cose da lui fatte, egli senza ombra di dubbio supererebbe tutti i suoi uguali e i valorosi capitani che lo hanno preceduto per lode di combattente. Già adolescente, dopo aver giocato con i soldatini, si dilettava a organizzare azioni militari o fasi di guerra simulata 1) Questa aulica famiglia spagnola, che diede valorosi combattenti, era giunta a Napoli al seguito di Alfonso I d’Aragona, provenendo dalla vecchia Castiglia. Alcuni lo dicono nato ad Ischia. 2) Cfr. O. Buonocore, Storia di uno Scoglio, pg.108. 3) È il castello che ancora oggi ammiriamo lungo il porto di Napoli, per le trasformazini fatte dagli Aragonesi al vecchio maniero degli Angioini. 4) Fu segretario di re Ferdinando d’Aragona e autore del “De Bello Neapolitano”. Era nato a Cerreto d’Umbria nel 1426 e morì a Napoli nel 1503. 5) P. Giovio, Vita del Marchese di Pescara. 6) Giovio, op. cit. La Rassegna d’Ischia 1/2009 17 Alfonso Davalo Marchese del Vasto e allorquando il suo maestro Musofilo, egubino, lo invitava allo studio delle lettere, lui preferiva i romanzi storici cavallereschi. Una volta maturo per la guerra, ebbe in dono dalla madre Diana, un’insegna sulla quale era riportato uno scudo con il beneaugurante scritto: «con questo o sopra questo», in una parola, vincitore! L’anno 1511 parte per la Lombardia per dar man forte a suo suocero Fabrizio, che per il Papa combatteva contro i Francesi. Hanno luogo così le lunghe assenze dalla consorte, che resterà molti anni nella terra d’Ischia, anzi nel castello dell’isola, come prigioniera ad aspettare il suo «bel sole». Soltanto alcune volte potrà vederlo apparire sull’orizzonte dell’azzuro mare del golfo, che al contrario, alla sua dipartita le sembrerà nero come inchiostro. Al volgere del successivo anno lo vediamo sfortunato protagonista nella memorabile battaglia di Ravenna, in quell'11 aprile, giorno di Pasqua. L’esercito, comandato dal viceré Ramon de Cardona, assieme ad altri capitani, è sconfitto, costretto a fuggire. La vittoria è dei transalpini, comandati dal giovane e valoroso Gastone de Foix, di anni 23, che però vi troverà la morte, cosa che per ironia della sorte, capiterà anche al nostro, dopo la vittoria a Pavia nel 1525 e la morte qualche mese dopo. Il d’Avalos a Ravenna è seriamente ferito nel centro della mischia, assieme a suo zio marchese della Padula ed al valente cavaliere Placido de Sangro; pur destreggiandosi egregiamente deve soccombere, riportando numerose ferite. Il Guicciardini nella sua Historia d’Italia dice: «... e i cavalli leggieri dei quali era capitano generale Ferrante Davalo, ancor giovinetto ma di rarissima aspettazione». Consigliato dal Sangro di fuggire, il Pescara respinse l’invito rispondendo che avrebbe preferito essere onorato dagli amici da morto. Venne abbattuto assieme al suo cavallo trafitto dalle lance, 18 La Rassegna d’Ischia 1/2009 privato delle armi dorate e della veste di broccato. Di poi sanguinante in volto, sfinito per la intensa lotta sostenuta, fattosi riconoscere tra i tanti corpi esanimi, fu rimesso in piedi dai soldati nemici che lo consegnarono al cardinale Sanseverino, per le cure del caso. Suo zio, Don Giovanni Cardona (Conte d’Avellino), per le ferite riportate nell’infausta giornata di Ravenna, morirà pochi giorni dopo a Ferrara, come pure Placido de Sangro. Il Pescara (7) è prigioniero assieme a suo suocero Fabrizio e portato a Ferrara e dopo a Milano rinchiuso nella rocca di Porta Giovia (8). Verrà liberato dietro pagamento di seimila ducati e con i buoni uffici di Gian Giacomo Trivulzio marito di un sua zia paterna, Ippolita d’Avalos, mentre Fabrizio sarà reso libero per magnanimità del duca di Ferrara, ed il Padula evaderà dalla prigione. Il giovane Ferrante durante la sua detenzione, esente dalle attività militari, col pensiero volerà alla moglie Vittoria che stava in Ischia, nella sua corte del castello aragonese, dedicandole un poemetto «Dialogo d’Amore». Dirà il Giovio (9) : «Così il Pescara per singolar beneficio del Trivulzio fu tratto di prigione». Mentre che egli era in castello e medicava le ferite, non avendo comodità alcuna di esercitare il corpo, esercitò talmente l’ingegno non mediocramente ripieno delle lettere umane per la dottrina del Musefilo suo precettore che in pochi giorni scrisse un piacevolissimo Dialogo d’Amore alla signora Vittoria sua moglie». Non molto tempo dopo, ancor recante cicatrici al viso per le ferite riportate, si reca ad Ischia sul bruno castello e v’incontra la consorte; ivi riceve l’ammirazione di Isabella d’Aragona, vedova di Galeazzo Sforza nipote di Ludovico il Moro. La cronologia storica ci tramanda che nel 1516, anno della venuta di Francesco I di Francia, Ferrante trovavasi a Napoli, intento a proporre ai locali Principi l’accettazione di Carlo V d’Asburgo, che aveva ereditato i domini di Spagna, quale loro sovrano. Verosimilmente avrà incontrato la moglie, alla quale si ricongiungerà nel febbraio 1517, in occasione delle nozze di sua cugina Costanza d’Avalos con il Duca d’Amalfi Piccolomini. Di nuovo impegnato in guerra, lo incontriamo assieme a Prospero Colonna (1452 – Milano 13-12-1523), contro i Francesi a cui tolsero Parma e la stessa Milano nel 1521 e nell’anno successivo alla Bicocca (10), zona periferica di Milano in direzione di Monza come riportato dallo storico pavese Antonio Grumello :«La Bichocha si è un loco lontano de la città mediolanense millia quatro et posta fra doi fontanoni che portano aqua et una strata, qual va al camino di Monza». Lo scontro ebbe luogo nella mattinata del 27 aprile 1522; l’esercito francese è comandato da Odette de Foix visconte di Lautrec, quello pontificio da Prospero Colonna, con a capo della cavalleria il Pescara. Sono questi gli anni della massima attività bellica, della sua breve ma intensa vita, che lo portò a lasciare questo mondo a soli trentasei anni. Nel 1523 è protagonista ad Abbiategrasso e a Robecco sul Naviglio 7) Già capitano di cavalleria a 21 anni. 8) Era questa situata presso l’antica Porta di Giove. Oggi il luogo corrispondente è indicato con una scritta nell’attuale castello sforzesco di Milano. 9) Vita del Marchese di Pescara, op. cit. 10) Questo termine nel dire dei Lombardi sta per casupola, casa diroccata, cascina. contro gli eterni nemici francesi, che nonostante gli insuccessi militari, guidati dal giovane e baldanzoso Francesco 1°, si organizzano maggiormente, si ingrossano e ritornano in Italia, riprendendosi Milano e cingono d’assedio la città di Pavia sul fiume Ticino. Altre sue azioni guerresche si riscontrano, a fianco dello zio Don Antonio de Cardona, a Trezzo d’Adda, nel quale castello si sono ritirate le forze francesi. Vuole il nostro acquisire onori nella milizia a testimonianza della famiglia d’Avalos. Racchiude in sé, intraprendenza, dinamismo, equilibrio e molta bravura nel combattimento a piedi e a cavallo. La sua giovanile figura era degna di ammirazione per i suoi occhi vivaci, la pacatezza nei momenti sereni, il fuoco ardente nei momenti della tenzone. Evidenziava in viso una barba alquanto rossiccia che contornava un naso aquilino. D’altro canto era definito superbo per il portamento ieratico, il suo parlare sempre serio e la severa brevità delle risposte. Con tali componenti portava in sé il carattere del«militare nato». Si abbigliava nel costume della moda spagnola e in quella lingua sempre gli piacque esprimersi, anche con la moglie. La validità dei suoi subalterni era dovuta, tra l’altro, anche alla disciplina che sapeva imporre nelle sue file, pronto a punire per manchevolezze o insubordinazioni. A tal proposito, va ricordato che un giorno un suo soldato uscito dalle file penetrò in una casa per depredare. Gli fu portato davanti e lui ordinò che gli fosse tagliato un orecchio. Al che il malcapitato rispose che si sarebbe vergognato per il tipo di pena; pertanto Ferrante decise di farlo impiccare ad un albero. Quando suo zio, il Marchese della Padula, dai Medici di Firenze fu nominato Capitano delle Genti, il Pescara ottenne il comando dell’esercito, portandosi sotto Casteggio e Voghera ove vistosi rifiutare vettovaglie, espugnò la stessa Voghera mentre i suoi cavalleggeri compivano scorribande nella città di Alessandria. Passa di poi a combatterre in Liguria, dove gli Adorni avevano cacciato da Genova i Fregoso e una volta battuti i Francesi con una squillante vittoria, riporta in città Ottaviano Fregoso (che tra l’altro era discendente per parte materna, dai Montefeltro di Urbino, come pure sua moglie, la poetessa Vittoria Colonna). Quest’ultima non molto tempo dopo le nozze, quando il suo Ferdinando dovette partire per la guerra in Lombardia, gli aveva dato in dono, un camerino ornato con ricamo, sopra la cui porta si leggeva ciò che giustamente fu detto di Vespasiano imperatore:«Numquam minus,otiosus, quam cum otiosus erat ille» (11), (non è mai meno ozioso che quando riposa). Dopo la battaglia di Pavia, il D’Avalos ch’era rimasto ferito in più parti del corpo, ricevette lodi dagli«imperiali» e dai vari Principi, riuniti in lega, la proposta di acquisire il Regno di Napoli in cambio dell’infedeltà al suo imperatore. Saputo della cosa, Vittoria Colonna gli scrisse in tali termini: «Si sovvenga della sua solita virtù, con la cui reputazione e lode egli avanza la fortuna e la gloria di molti re. Perciocché non la grandezza dei Regni e de’ titoli, ma per la via della virtù l’onore si acquista, il quale sempre con chiara lode arriva a discendenti; ch’ella non desiderava essere moglie di re, bensì di quel Gran Capitano, il quale non solamente in guerra con valore ma ancora in pace con la magnanimità aveva saputo vincere i re più grandi» (12). Stando il Pescara a Milano e ammalatosi gravemente, vinto da una sete continua, indebolito per le tante fatiche di guerra, poiché a nulla servivano le cure mediche allora posssibili, peggiorando le sue condizioni generali, si pensò di avvisare la moglie che si portasse a Milano desiderando egli vederla, prima di lasciare la vita terrena. Partitosi da Ischia Vittoria, arrivò fino a Viterbo, laddove venne raggiunta dalla funesta notizia della morte di Francesco Ferdinado d’Avalos avvenuta in quel freddo 25 novembre. Il Pescara fu sepolto in Milano con onorate esequie il 30 novembre 1525 e successivamente (13) fu portato a Napoli e posto nella chiesa di S. Domenico Maggiore (dove ancora giace); lodato con magnificenza in pubblico da Gualtiero Corbetta milanese (14). La Battaglia nel Parco Pavese Prima di addentrarci nella descrizione dei fatti bellici, avvenuti fuori le mura di Tesino (15) è opportuno volgere uno sguardo a ciò che era la situazione politica di quel tempo in Lombardia, che determinò tali avvenimenti. Nel 1447 morto l’ultimo dei Visconti, vale a dire Filippo Maria, senza lasciare prole maschile, il Ducato di Milano passò a suo genero Francesco Sforza. Successivamente uno di questa famiglia, Ludovico detto «il Moro» era in guerra con i francesi di re Luigi XII, ma fu battuto da un altro milanese, il gentiluomo Gian Giacom Trivulzio che combatteva per il re francese. Questa vittoria non durò a lungo perché tre anni dopo, il capoluogo lombardo fu riconquistato da Massimiliano Sforza figlio di Ludovico. Morto Luigi XII nel 1515 viene in Lombardia un giovane re, Francesco I, valoroso, elegante, amante delle lettere, che sconfigge a Marignano (Melegnano) Massimiliano Sforza che è costretto a rintanarsi nella fortezza di Porta Giovia (nell’at11) G.B. Rota, Vita di Vittoria Colonna, appresso Pietro Lancellotti, Bergamo 1760. 12) Giovio, nella vita di lui, lib.7. 13) Ciò il 12-5-1526. Cfr.O. Buonocore, Sul castello d’Ischia. 14) Bullart. 15) Meglio dovrebbe chiamarsi la “Battaglia di Mirabello” perché là iniziata e conclusa. La Rassegna d’Ischia 1/2009 19 tuale Castello Sforzesco), per uscirne indenne ma esiliato in Francia dove morirà. Il giorno 11 ottobre Francesco entra in Milano acclamato da Porta Ticinese fino al Duomo. Formatasi allora una coalizione tra Firenze, Mantova, Carlo V (16) imperatore e Papa Leone X alla testa, i francesi di Odette de Foix sono battuti da Prospero Colonna nella nota battaglia della Bicocca, di cui prima abbiamo fatto cenno, cosicché il secondogenito di Ludovico il Moro, Francesco Maria, si riprenderà Milano. Dopo la scomparsa del comandante Prospero Colonna, a capo dell’esercito imperiale fu posto il fiammingo Carlo di Lannoy (signore di Sanzelles) che era viceré di Napoli. Questi porta dal sud un nutrito numero di soldati al fianco di quel Francesco Ferrante, già chiaro per le sue vittorie in battaglia, che poi passerà alla storia quale vincitore della battaglia di Pavia (17). La fanteria di questi è formata da soldati spagnoli abili a combattere a piedi e compiere irruzioni notturne a sorpresa; oggi si direbbe un blitz nel campo nemico. A tal proposito si può far riferimento a quanto avvenne la notte del 27 gennaio 1524 ad Abbiategrasso, dove si trovava il capitano francese Pierre du Terray, signore di Bayard, allorquando il Pescara e Giovanni de’ Medici (18) piombano nel campo nemico seminando strage e terrore, con lo stesso Bayard che fugge via evitando di essere catturato. Oramai i Francesi sono in rotta, davanti alle truppe imperiali che si fanno largo, rafforzate da Veneziani e 6000 Lanzichenecchi; si oltrepassa il fiume Sesia, gettando un ponte di barche, col Pescara che nato guerriero e di tal cosa consapevole semina morte e panico. Lo stesso comandante Bonnivet è ferito ad un braccio, mentre il Bayard viene colpito alla colonna vertebrale dagli archibugieri e si consegnerà al D’Avalos; morirà poco appresso e la sua salma imbalsamata sarà trasportata in patria. Sulle ali del successo il Pescara e il connestabile di Borbone tentano di invadere la Francia, dalla parte della Provenza, ma ad Avignone sono fermati dalle truppe nemiche che vanno ad ingrossarsi. Capovolta la situazione militare, stavolta è il Pescara che indietreggia, riuscendo però a riportare al sicuro tra le mura di Pavia il resto dei suoi, passando per Voghera. Le ostilità tra le parti non sono finite. Francesco I, l’aitante re alto quasi due metri, decide di riportare il suo esercito in Italia, mentre le forze imperiali non in grado di far fronte agli avversari, lasciano Milano, ripiegando su Lodi. Anche Francesco II Sforza, non sicuro e con la città colpita dalla peste, va via. Allora il re di Francia, con un numero di soldati che supera le due decine di migliaia, si porta sotto le mura della «ex longobarda» Pavia cingendola d’assedio; ciò alla fine dell’ottobre 1524. Per più di tre mesi questa storica città (19) deve patire le dure conseguenze di tale isolamento. Essa è comandata e difesa da Antonio de Leyva, aiutato da Don Francesco Sarmiento col quale provvede a fortificarla, anche 16) Carlo d’Asburgo diventa Carlo V il 28-6-1519. Nato il 24 febbraio 1500, morì il 21-9-1558. 17) Ogni due anni in questi luoghi si tiene una rievocazione storica, in costume d’epoca. 18) Giovanni dalle Bande Nere (1498- 1526) era figlio di Giovanni de’ Medici e Caterina Sforza. 19) Pur non essendo più capitale del regno longobardo, era allora sempre importante per il castello e la sua nota università. 20 La Rassegna d’Ischia 1/2009 con torrioni formati da botti riempite di terra: Dall’interno l’aiuto viene da parte di un cavaliere pavese, Matteo Beccaria, che organizza i suoi concittadini per la difesa della città. Ciò nonostante la città assediata, scarsa di viveri e afflitta dalla pestilenza viene a trovarsi sempre più in difficoltà; la sua popolazione scende a meno di diecimila abitanti (20). Le forze francesi dislocate fuori città sono così organizzate: l’avanguardia è comandata da Jacques de Chaban, signore de la Palice e da Robert de La Marck, signore de Fleuranges. Le truppe che si trovavano presso il castello di Mirabello e la cascina Pantaleone sono comandate da Jacques de Amboise, signore di Bussy e Galeazzo Sanseverino (con i suoi lancieri), che già era stato al servizio degli Sforza. Inoltre fanno parte dell’armata francese, i lanzichenecchi tedeschi al comando di Francesco di Lorena e l’inglese Charles Brandon, duca di Suffolk, quelli dalle bande nere, cosiddetti per il colore dell’uniforme, al comando di Anne de Montemorency. Saranno proprio costoro a sferrare il primo attaco all’assediata Pavia, ma dopo l’iniziale successo, verranno respinti dai cittadini (mercanti, artigiani, persone varie), sotto il comando di Antonio de Leyva (21), tra l’altro sofferente di gotta, aggravata dal freddo e dall’umidità e portato in lettiga. Si tenteranno altre forme di offese alla città accerchiata, facendo affondare i mulini ad acqua per non poter così macinare il grano per la fabbricazione del pane. Nei giorni 5 e 6 novembre la città è martorizzata da continui bombardamenti, durante i quali si distinse per abnegazione e opera di coordinamemento la marchesa di Scaldasole, Hippolita Malaspina. Francesco 1° tenta inoltre un’opera ciclopica, quella di deviare il corso del Ticino, che costituisce una difesa naturale per la città, ma vanamente dal momento che il fiume è ingrossato per le piogge cadute. Un’altra sua idea è quella di attaccare il regno di Napoli per indure il comandante degli imperiali, Carlo di Lannoy, ad accorrere laggiù e lasciare la Lombardia ai Francesi, il tutto avvalorato dalla notizia che il Papa mostra benevolenza al re e che il Duca di Ferrara promette aiuti economici. Nei primi giorni di gennaio Pavia sarà ancora una volta martellata dalle cannonate e si solleverà alquanto dagli stenti, quando due soldati spagnoli riusciranno furtivamente ad entrarvi recando della moneta, ma oltrepiù la notizia che 2000 «imperiali» verranno in loro aiuto. Ed ecco che entra in azione nuovamente Ferdinando d’Avalos, che dopo aver espuganto Sant’Angelo Lodigiano si porta verso Pavia. Dopo tale avvenimento, scriverà a Girolamo Morone (22) in tale modo: «stata bona cosa, io ho hanto a fare; per caso uno schiopeto me hanno passato uno stivale, senza farmi poco male che abrusarme le calze, et che un altro el zupone e la camisa in la manega senza farmi poco altro male che brusarme la carne«(23). In condizioni climatiche quasi proibitive per le nevicate che hanno reso quasi impraticabili le strade, il 6 febbraio i due eserciti belligeranti cominciano a schierarsi. Nel mentrte il De Leyva fa uscire dalla città alcuni fanti e 50 cavalli leggeri 20) Cfr. L. Casali – M. Calandra, La Battaglia di Pavia, pg. 49. 21) Era un Navarrese, di alta statura e dal naso a becco. 22) Segretario di Francesco II Sforza, a cui è intitolata una strada a Milano. 23) Giovio, op. cit. libro VI, cap II, pg. 418. in direzione di San Lanfranco e San Salvatore che uccidono qualche centinaio di soldati grigioni e distruggono il ponte di barche fatto dai francesi sul Ticino. Un altro mattone che si screpola, nell’orgoglio del re franco è il ferimento di Giovanni de’ Medici, maestro di scaramucce che è ferito ad un tallone; viene così a mancargli un valido capitano a cui si aggiunge la defezione di soldati grigioni (24). Dalla parte avversa non è buona, anzi è preoccupante la situazione degli assediati, per le lunghe sofferenze, mancanza di vettovaglie e penuria di danaro per la paga ai mercenari. Il comandante De Leyva pone qualche rimedio a quest’ultimo bisogno, facendo fondere il vasellame dei ricchi pavesi e i cibori delle chiese e suoi ori, per forgiare monete su cui sono riportete le sue iniziali A. L. e la scritta:«Pavia sazia, Cesare trionferà». Con tale stato di cose si arriva all’azione bellica, che viene stabilita nella notte tra il 24 e 25 febbraio. Esclama il Marchese di Pescara:«Deme Dios cien anos de guerra, y no un dia de batalla de la qual son tan varios y dudosos los sucessos y tan cierto y calamitosos los peligros, pero las causas para no dilatar la batalla son tan manifiestas». Al tuonar di tre colpi di cannone le forze militari di Don Antonio de Leyva sarebbero uscite dalla città circondata e dalla parte del castello si sarebbero dirette verso Mirabello, con Fernando d’Avalos (25) subito all’attacco; con la conquista di questa posizione si sarebbe tagliata la strada per Milano al re franco. Nel campo dell’esercito avversario i duci, Tremoille, Galeazzo Sanseverino, La Palice consigliano al loro re di portarsi via per accamparsi a Binasco località a metà strada con Milano per indurre i nemici ad uscire di città e sfaldarsi da sé. Il re però darà ascolto al suo«angelo custode», l’ammiraglio Guglielmo Gouffier, signore di Bonnivet, che lo farà agire diversamente. Le forze impegnate in questa battaglia, tra le più cruente dell’epoca, saranno di circa trentamila per i francesi muniti di un numero maggiore di cannoni e di 20.000 per gli imperiali, a loro volta supportate dalle truppe spagnole, brave nella battaglia campale e dai lanzichenecchi di George Frundsberg. La differenza precipua che farà pendere la bilancia verso gli imperiali, consisterà nel modo di gestire le azioni belliche, dirette dal connestabile di Borbone, il Lannoy, e da Ferrante d’Avalos, che passerà alla storia quale il vincitore della battaglia. Dirà di quest’ultimo lo storico Paolo Giovio:«se noi volessimo mettere insieme tutte le onorate virtù del corpo, e dell’animo con la perpetua felicità delle cose da lui fatte, senza alcun dubbio il Signore Don Ferrando Marchese di Pescara avanzerà non pure tutti i suoi uguali ma ancora i capitani stati innanzi di lui di lodi di guerra». È proprio lui che prende coscienza di non attaccare i nemici frontalmente, ben fortificati sulle proprie posizioni con solidi terrapieni, ma più utile inviare il Marchese del Vasto a Mirabello, per un attacco laterale. Francesco Ferrante d’Avalos irrompe nel Parco È un mattino grigio di quel 24 febbraio, giorno di S. Mattia Apostolo e venticinquesimo genetliaco di Carlo V. Ferrante concepisce lo stratagemma di attaccare di notte di sorpresa, per la qual cosa fece prova generale alle tre di notte del 22 febbraio; pertanto finge una ritirata verso Lardirago, lasciando la postazione di Casa dei Levrieri distraendo le sentinelle con colpi di archibugio, mentre i guastatori spagnoli s’impegnano ad aprire un varco tra le mura che circondano il Parco Visconteo, allora detto«Barcho». I primi ad irrompere nel campo francese però saranno i cavalleggeri guidati da Alfonso d’Avalos, Marchese del Vasto. Essi indossano una camicia bianca per riconoscersi tra loro; sono circa le sette del mattino ed è piuttosto oscuro. Questi massacreranno gli aggregati dei francesi, ovvero sia mercanti, animatori, vivandieri, familiari dei soldati, prostitute. Qualcuno che riesce a sottrarsi a tale furia, dà l’allarme generale! I tempi ormai sono maturi per lo scontro finale che deciderà le sorti di questa guerra. Ritiratosi il Del Vasto, per non isolarsi dal resto degli«imperiali, le prime fasi della reazione nemica sono a loro favorevoli. Difatti la cavalleria guidata dal viceré di Napoli Lannoy che si trovava schierato sulla riva destra della Vernavola, corso d’acqua più abbondante di quanto sia oggi, subisce notevoli perdite. Il re francese abbatte personalmente Ferrante Castriota e sulle ali del successo (effimero) esclama al Lescun: «Oggi voglio chiamarmi signore di Milano». Ed ecco che entra in azione il Pescara con i suoi archibugieri che attacca sul fianco sinistro la cavalleria avversaria, 24) Soldati del cantone svizzero dei Grigioni. 25) Nome anagrafico del d’Avalos, detto comunemente Ferrante. che trovasi presso una zona fangosa della Vernavola e quindi svantaggiata nei movimenti; vengono abbattuti molti cavalli e cavalieri. Intervengono con ferale azione pure i «lanzi» dell’imperatore che odiano gli omonimi della Banda Nera, pur essi tedeschi al servizio dei francesi e comandati da Richard Pool e Carlo di Lorena, distruggendoli nella quasi totalità. Cade il comandante Lagmantel, sul cui corpo fa atti di sciacallaggio un soldato spagnolo e, con azione macabra, gli mozza una mano mostrandola quale trofeo! Gli scontri, cruenti, si susseguono. Il Pescara, caricando a cavallo, viene gravemente ferito ad una mano, al volto, ad un piede e disarcionato. Suo cugino Alfonso, a capo d’un quadrato spagnolo sconfigge gli svizzeri di Floranges, considerati una forte fanteria, avvelendosi dell’azione del De Leyva che li attacca alle spalle. Questi è uscito dalle mura di Pavia, alla quale difesa ha lasciato il fedele Matteo Beccaria. Il duca d’Alarcon, che era in retrogurdia, giudicata sfavorevole la situazione, con poco valore militare, si ritira. Il La Palice rimasto a piedi, combatte con la spada ma si arrende poi. Un soldato vigliaccamente lo uccide sgozzandolo come un porco (26). Francesco di Lorena, già ferito, è abbattuto con un colpo d’alabarda; il duca di Suffolk è sventrato con la picca mentre Luigi d’Ars è colpito da una palla d’archibugio; il Sanseverino muore in sella al suo destriero. Il Bonnivet, vista la devastante sconfitta e sentendosene responsabile si lancia a viso scoperto verso i nemici andando incontro alla morte. 26) J. Giono, Le desastre de Pavie, pg.206. La Rassegna d’Ischia 1/2009 21 Il re francese, contornato da cinquanta fedelissimi, tenta un'improbabile salvezza con la fuga, ma invano. È circondato e deve arrendersi al Lannoy che gli esclama: Sire siete ferito? No, risponde, guarisco! In una tetra atmosfera, nel grigiore della nebbia che offusca i tanti cadaveri sparsi sull’umida e fredda terra (tanto per cambiare) della Bassa Padana, si conclude in poco più di un’ora la battaglia, iniziata verso le sette del mattino. Ferrante d’Avalos, grazie alle sue innate doti di stratega eccezionale fu l’artefice principale della vittoria finale. Francesco 1°, sotto cavalleresca protezione (perché ancora inviso agli spagnoli quantunque prigioniero) viene condotto alla Casina dei Levrieri e successivamente, tramite il Pescara chiede di non essere posto prigioniero nel castello di Pavia (27), paventando le offese dei pavesi, da lui assediati per quattro mesi. La sua non lunga prigionia avverrà difatti nella fortezza di Pizzighettone (28) dove rimarrà fino a giugno. Gli altri capi catturati saranno: Enrico d’Albret re di Navarra, il Bastardo di Savoia, il Signore di Saint Pol, Galeazzo Visconti, il Signore di Lescun che morirà il giorno seguente ospite nella casa di Hippolita Malaspina Marchesa di Scaldasole, il Florange verrà tradotto prigioniero nel castello di Bereguardo. Francesco di Lorena e il Duca di Suffolk saranno sepolti nella basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro, mentre Galeazzo Sanseverino è tumulato alla Certosa di Pavia. Prima della prigionia a Pizzighettone Francesco 1° venne condotto al monastero di S. Paolo, dove proruppe in pianto e nello sconforto; scrivendo alla madre, pronunciò la famosa frase «tutto è perduto fuor che l’onore». Del fermo del re, ne darà notizia a Francesco Sforza il suo Cancelliere Girolamo Morone che gli comunicherà:«Qua a Pavia, ho fatto la riverentia al re di Franza nel alogiamento di San Paulo». A sera sarà a cena con tutto lo stato maggiore imperiale, al quale poche ore dopo si presenterà un numero di soldati tumultuosi per rivendicare le loro spettanze, perché da tempo non pagati. Il marchese di Pescara, tormentato dalle ferite ricevute riportate in battaglia, che ne ammorbidivano la sua caratteriale fierezza, decide da parte sua, come promessa, la contribuzione di tre quartieri di Milano per i postulanti e buoni di credito firmati dal viceré. Termina così la baruffa, per tale risoluzione, che ha del capzioso o quantomeno un velo di illusione. Quali saranno gli avvenimenti successivi? Re Francesco, dopo circa quattro mesi di prigionia a Pizzighettone, sarà trasportato sulla costa toscana e di lì imbarcato per la Spagna, laddove dopo ancora sei mesi di prigionia verrà accompagnato libero alla frontiera e rimpatriato; Ferrante d’Avalos morirà in novembre a Milano, lontano dalla poetessa Vittoria Colonna sua moglie. Oggigiorno a Mirabello di Pavia, che fu teatro della sanguinosa battaglia, si nota una stele a ricordo dei numerosi caduti d’ambo le parti, dei quali resti sembra che non si sia ritrovato mai nulla. Sul muro della cascina Repentita, luogo della cattura del re, è posta una epigrafe con la seguente didascalia; Cascina Repentita Francesco I re di francia avversato su questi campi dalla sorte delle armi il 24 febbraio 1525 cadeva prigioniero dell’emula Spagna orgogliosa di tanto trono. Domenico Di Spigna Bibliografia essenziale Jean Giono, Le désastre de Pavie, Gallimard, France 1963. Paolo Giovio, La Vita del signor Don Ferrando Davalo, Marchese di Pescara, in “Le vite di dicenove huomoni illustri” in Venetia presso Giova Maria Bonelli MDLXI. Faustino Gianani, Mirabello di Pavia, ed. succ. Fusi Pavia 1971. L. Casali – M. Galandra, La Battaglia di Pavia. Gianni Juculano ed. Pavia 1999. Marin Sanuto Diari XXXVII – XXXVIII- Venezia 1893 Norino Cani e Gian Carlo Stella, La Battaglia di Ravenna, 11 aprile 1512. De Paoli Gianfranco, L’assedio e la battaglia di Pavia, estratto dal bollettino di storia patria, 1963. Mirabello di Pavia Monumento a ricordo dei caduti della battaglia del 24 febbraio 1525 22 La Rassegna d’Ischia 1/2009 27) La sua costruzione fu voluta dai Visconti. 28) In tale epoca era un castello con quattro torri; ne rimane oggi una soltanto, proprio quella della detenzione del re. 1904 - Per la strada Ledomade da Casamicciola a Lacco vettura a 2 o 3 cavalli, andata e ritorno, da £. 2 a £. 2,5, metà a 1 cavallo, asini da 75 cent. a £. 1 Isole di Procida e d’Ischia, Casamicciola Da Napoli a Procida circa 1 ora ½, a Ischia 1 ora 45 minuti, a Casamicciola 2 ore sia colla Ferrovia Cumana, sia coi Vaporetti Manzi. Escursione delle più deliziose, col bel tempo, a traverso i golfi di Napoli e Pozzuoli, da farsi in un sol giorno, rinunciando però all’ascensione sul monte S. Nicola (Epomeo) per la quale bisognerebbe pernottare a Casamicciola. Volendo visitare anche Procida occorrono due giorni. Oltre le bellezze naturali dell’isola d’Ischia e le aure salutari che vi si respirano; con dolore ravvisansi pure le rovine della seconda Casamicciola, distrutta dal terribile tremuoto del 1883, mentre l’antico villaggio situato nella parte più elevata, abitato da povera gente, fu danneggiato da altro tremuoto del 1881. Colla Ferrovia Cumana, passando per Pozzuoli e Baia, si va a Torregaveta, al lido da dove col vapore s’imbarca per Procida, Casamicciola ed Ischia. Vi sono tre partenze al giorno, tempo permettendo. Informazioni dell’orario, all’Albergo, perché varia. Tariffa da Napoli – Stazione di Montesanto per Procida, 1a cl. L. 3,30, 2a cl. L. 2,45, 3a cl. L. 1,40; ritorno compreso 1a cl. L. 5,25, 2a cl. L. 3,90, 3a cl. L. 2,30. Ischia e Casamicciola, 1a cl. L. 4,40, 2a cl. L. 3,55, 3a cl. L. 2,00; ritorno compreso 1a cl. L. 7,00, 2a cl. L. 5,60, 3a cl. L. 3,15. Partendo dalla stazione del Corso Vittorio Emanuele si economizza circa il 10 per cento. I vapori della società Manzi e C. Uffici sul molo, partono ogni giorno, tempo permettendo, dall’Immacolatella presso il porto, per Procida, Ischia e Casamicciola, da Giugno a Ottobre alle ore 9, ed alle 15,30 (3,30 pom.), facendo ritorno da Casamicciola, toccando Ischia e Procida, alle ore 5,30 e 15,30. Da novembre a maggio, partono da Napoli una sola volta al giorno, alle ore 14, ripartendo da Casamicciola alle ore 6 del mattino, toccando Ischia e Procida. Prezzi, sui quali si cercherà di economizzare, per Procida 1a cl. L. 4, 2a cl. L. 2, 3a cl. : 1,10. Per Ischia e Casamicciola L. 5,3 ed 1,50. Stessi prezzi al ritorno. Per Procida e Ischia, altra partenza dall’Immacolatella il Lunedì e Giovedì alle ore 8 ritornando l’indomani alle ore 16,30. I biglietti si prendono a bordo. Si fanno degli abbonamenti e prezzi ridotti. I nazionali godono di un ribasso su detti prezzi. Potendo avvenire dei cambiamenti di orario e di prezzi, informarsi dall’Albergatore. Il vapore movendo dal Molo piccolo passa per davanti il porto mercantile, il R. Arsenale Marittimo; le torri, il Castel Nuovo, il Palazzo Reale, dal bel terrazzo con giardino, la decantata contrada Santa Lucia, cui fa scudo Castel dell’Ovo, che si avanza nel mare; scovresi poi l’incantevole litorale di Chiaia fiancheggiato dalle impareggiabili vie Partenope e Caracciolo, di recente costruzione, con a ridosso gli ameni giardini pubblici (Villa Municipale) ed in alto la deliziosa collina del Vomero, dalle superbe ville, Floridiana e Lucia, con Castel S. Elmo, cui fa da sgabello la Certosa di S. Martino. Seguono la celebrata spiaggia di Mergellina e l’incantevole promontorio di Posillipo, cosparso di splendide ville e giardini e con bizzarre grotte e torri lungo il lido. Allo sguardo di tanta bellezza cui natura fé dono a questi bei luoghi; dopo una traversata di ½ ora, eccoci giunti al Capo di Posillipo, luogo propriamente detto la Gaiola, ove sorgono grossi scogli nel mare, fra i quali il cosiddetto scoglio di Virgilio. È su questo lido che dalla via di Posillipo sbuca la Grotta di Seiano. L’isolotto di Nisida ci è dinanzi col suo lazzaretto (oggi prigioni) di lato ad una casa di pena in sulla vetta; segue la bella marina dei Bagnoli, dai salutari stabilimenti termali. Dopo 15 minuti raggiungesi Pozzuoli, e traversando il golfo di Baia dal vecchio Castello, che scorgesi in lontananza, si perviene al Capo di Misero, che si distingue dal suo faro; di qui lasciando a destra la spiaggia di Miniscola le cui acque comunicano col Lago del Fusaro, in 15 minuti si è innanzi Procida, ove il vapore si arresta pochi minuti pei passeggeri. Procida (isola di), la Prochyta degli antichi, è di origine vulcanica; la sua struttura geologica di pietre pomici e tufo di lava, del tutto somiglianti alla vicina Ischia, fa supporre che un tempo fosse ad essa unita; la sua lunghezza è variabile. Essa conta 14.247 abit. che vivono con la coltura della vigna e dell’olivo, la più parte sono però dei buoni marinai. In questi ultimi tempi vi è stato impiantato un cantiere per le costruzioni navali. Si vede alla punta di Rocciola il vecchio castello, oggi casa La Rassegna d’Ischia 1/2009 23 di pena, che poggia su delle rocce a picco nel mare, da dove si godono dei bei punti di vista; ci si va per una strada a sinistra che immette sulla Piazza dei Martiri, ove un’epigrafe posta nel 1863 ricorda i 12 procidani decapitati nella reazione del 1799. La città è a lido di mare, non offre nulla d’interessante, meno uno splendido panorama da una terrazza presso il castello. Volendo prendere qualche cosa, o pernottarvi, si potrà andare al modesto Hotel Vittoria, presso il mare, camere L. 1 a 1,50, colazione a prezzi discreti. I giorni festivi le donne vestono il loro costume tradizionale, e si divertono a ballare la tarantella. Da Procida per la strada principale attraversando l’isola si può andare in 10 minuti seguendo una via tra campagne e abitazioni, alla baia di Chiaiolella, situata ai piedi del vecchio castello di S. Margherita, di rincontro all’isolotto Vivara ed all’isola d’Ischia, ove si può andare in barca (L. 2) in 40 minuti. Il vapore proseguendo la sua rotta dopo 15 min. giunge ad Ischia, ove fermasi 5 min. pei passeggeri. Ischia (isola di) – La più grande dei dintorni di Napoli, misurando 35 chil. di circuito; conta 25.000 ab., una delle tante meraviglie e delizie d’Italia per posizione topografica, incantevoli panorami, temperanza di clima e fertilità; celebrata per le sue acque minerali, convegno nella stagione estiva dei bagnanti. Era la Pythecusa, l’Aenaria, o la Inarime degli antichi; nel medio evo fu detta Iscla. Secondo Plinio prese il nome di Pythecusa per le stoviglie che vi si fabbricavano, industria che vi si esercita ancora oggi. I suoi abitanti vivono coi prodotti della pesca e colla coltura della vigna, che forma uno dei loro più grandi proventi, e di cui il vino bianco va celebrato. I suoi primi abitatori venuti dall’Eubea furono scacciati nell’anno 474 av. G. C. dai tremuoti e dalle eruzioni del monte Epomeo, vulcano molto più antico del Vesuvio, che ha 800 m. d’altezza, secondo Lyell. Si enumerano su questo monte verso la parte più bassa d’Ischia 12 coni vulcanici. Delle altre eruzioni avvennero l’anno 92 av. G. C., poi sotto Tito, sotto 24 La Rassegna d’Ischia 1/2009 Antonino il Pio, e sotto Diocleziano; Omero e Virgilio narrano che il gigante Tifeo abbattuto dalla folgore di Giove è sepolto sotto questo monte, come il gigante Encelado sotto l’Etna, e che egli gemendo vomitava dei terribili torrenti di lava. Ischia – Città di 6564 ab., capoluo- go dell’isola, pittorescamente situata a lido di mare, non offre nulla d’interessante, eccettuato un bello stabilimento di bagni, ad un’ora dalla città, costruito nel 1881 ov’erano le terme Fontana e Fornello, note ai tempi di Stradone e di Plinio e da questi elogiate. Su di uno scoglio, unito all’isola per una diga sorge il castello costruito da Alfonso I d’Aragona che scacciò gli abitanti e costrinse le donne e le figlie a sposare i suoi soldati. Da questo scoglio si gode d’una bellissima veduta, ma per entrarvi fa d’uopo del permesso del comandante la piazza. Il piccolo porto ad occ. era un vecchio cratere che, riempito di acqua salsa, formava un lago. Ferdinando II lo fece mettere in comunicazione col mare, formandone l’attuale porto. Lì presso vedesi la Casina Reale, trasformata oggi in stabilimento termale militare; e lo stabilimento di bagni termali. Alberghi di prim’ordine Hôtel Iacolini, pensione L. 8; Hôtel Pension San Pietro, in una posizione incantevole vicino al porto, ai bagni, stazion e climatologia, pensione L. 8, stanze a L. 3, tavola rotonda a L. 4, servizio e candela 75 cent., ottimo servizio. Alberghi di secondo ordine: Hôtel restaurant Angarella, vicino al porto con bagni minerali, pensione L. 6, bagno compreso; Hôtel restaurant Epomeo, vicino al precedente, gli stessi prezzi, stanze, servizio compreso L. 2,50; Hôtel Perozzi, via del Seminario, pensione L. 5 a 6. Per andare a Casamicciola per terra 1 ora 30 (vet. a 2 cavalli L.4 a 5, metà ad 1 cav., convenire). La strada è bella ed ha dei punti di vista pittoreschi, passa per davanti la già citata Casina Reale, il porto, seguendo la strada ov’è il filo telegrafico, sale poscia a sinistra per Via Quercia vicino ad una chiesa, da dove in un’ora si perviene a Casamicciola, traversando una lunga estensione coperta da torrenti di lava della grande eruzione avvenuta da un’apertura di lato al monte Epomeo, l’anno 1302. Il vapore continuando la sua rotta arriva dopo 15 minuti alla marina di Casamicciola, lungo la quale veggonsi fumigare le fabbriche di mattoni, industria del paese. Poco più lungi sorge la novella Casamicciola dalle case in legno e ferro, con qualche grazioso Chalet. Sulle deliziose colline scorgonsi ancora delle rovine della distrutta Casamicciola. Sbarco 15 circa. Appena messo piede a terra si trovano delle vetture ad 1 cav. che con 50 cent. (da fissare) vi conducono in 10 min. alle Terme ed agli Alberghi, a piedi bastano 20 min.; le vetture i giorni festivi esigono anche una lira; la strada è un po’ erta, però buona. Dalla marina si prenda a sinistra e poco dopo si volti a destra, per disotto un arco e si continui sempre a salire sulla sinistra. Alberghi i più accreditati o ben serviti: Piccola Sentinella, sulla collina sovrastante Casamicciola, posizione incantevole dominante l’isola e il golfo; pensione L. 7 a 10 al giorno; Hôtel Sauvé, a pochi passi dal precedente, pensione L. 5 a 10. Pasti: colazione, lunch, pranzo di sei pietanze, vino, frutta e dolce compreso. Hôtel Pithecusa: lungo la salita della marina, al culmine del colle, bella esposizione, pensione pel mese di settembre L. 10 al giorno. Hôtel Quisisana, dirimpetto alle Terme Belliazzi, pensione L. 6 a 8. Pasti: caffè, colazione, pranzo, zuppa, due piatti, formaggio, frutta e vino. Si trovano poi delle famiglie private che fittano delle stanze a condizioni economiche durante i bagni. Casamicciola. Sventurato villaggio, da spaventevole tremuoto reso la sera del 28 Luglio 1883 un mucchio di rovine. Erano le 9,30 pom., ora in cui ognuno era rientrato in casa, e nell’albergo della Piccola Sentinella, situato su ridente collina, riunita s’era la più scelta società, al diletto delle danze e delle armoniche melodie, quando ad un tratto ne sprofondò il salone e quasi tutti rimasero cadaveri. Catastrofe orribile, da per ogni dove non si scorgeva, fra le tenebre ed il chiarore di qualche incendio, che un mucchio di rovine, dalle quali uscivan gemiti e grida strazianti invocanti al soccorso. Da Napoli, al triste annunzio, si accorse, e più centinaia furon tratti salvi: la pubblica beneficenza di tutta Italia e di tutte le nazioni civili, nonché il governo provvidero a tanta sventura. I morti furono 1140, e circa altrettanti i feriti, la sua popolazione è ridotta a meno di 3500 abitanti. Il villaggio è stato in gran parte nuovamente ricostruito vicino la marina, luogo più sicuro e meno soggetto al tremuoto. Le costruzioni sono di tre tipi, in legno, in ferro, ed in legno e muratura, quasi tutte ad un piano, qualche grazioso Chalet dal tipo svizzero sorge qua e là, taluni più eleganti ad uso di Alberghi, per cui vi si trovano tutti quei comodi della vita, quasi come per lo passato. La posizione pittoresca di questo villaggio, presso il monte S. Nicola (Epomeo), il suo dolce clima, le sue ridenti colline, fanno a gara con la deliziosa Sorrento; è il più bel soggiorno per le persone agiate durante la stagione estiva dei bagni, Giugno a Settembre, è molto animata a causa delle sue sorgenti di acque termo-minerali, i di cui effetti sono salutari. I migliori e vasti stabilimenti termali, che posseggono le vere sorgenti dell’acqua così detta di Gurgitello, sono quelli del Belliazzi e del Manzi fra i più eleganti, anche distrutti, ma di nuovo ricostruiti, è quello del Monte della Misericordia, fondato nel 1600 da una congrega di Nobili ad uso esclusivo e gratuito degl’infermi indigenti, del tutto crollato ed ora ricostruito al di sotto della collina a poca distanza dalla marina. I paesi anche gravemente danneggiati nelle vicinanze di Casamicciola sono stati Lacco, morti 129, feriti 107; Forio, morti 306, feriti 137; Barano, morti 10, feriti 16; Serrara Fontana, morti 29, feriti 20. I danni totali furono di circa 30 milioni di lire, e le somme ripartite ai danneggiati non raggiunsero i 10 milioni. Escursione a Lacco o Forio, sul versante occ. dell’isola lungo il litorale. Per la strada Ledomade a piedi da Casamicciola a Lacco 35 minuti, in vettura e asino 15 minuti (vettura a 2 o 3 cavalli andata e ritorno L. 2 a 2,50, metà ad 1 cavallo, asini 75 cent. a L. 1, convenire). Volendo andare anche a Forio a piedi (da Casamicciola) 1 ora ½, in vettura 1 ora (vett. a 2 o 3 cavalli L. 8 a 10, metà ad 1 cavallo, asini L. 2,50 a 3, ritorno compreso, convenire. Lacco. Borgata in riva al mare, ora quasi distrutta, costruita su antiche lave vulcaniche; la marina è incantevole; gli abitanti (1700) vivono colla pesca e coll’industria di bei lavori in paglia. In questi luoghi il suolo è così vulcanico, che in certi siti al di sotto della sabbia il calore è permanente. Di lato al convento della chiesa di S. Restituta, patrona dell’isola (di cui si celebra la festa il 17 maggio con gran pompa e concorso), vi sono delle sorgenti caldissime, ove si prendono le stufe. Da Lacco e Forio si godono a riprese dei bei punti di vista. Forio. Questa ed Ischia sono le città più popolate d’Ischia, sparsa sulla costa occidentale (9791 ab.), residenza favorita di ricchi proprietari. Vi sono anche delle sorgenti minerali. Merita di essere visitato il convento dei francescani per la sua bella posizione in riva al mare, dalla cui terrazza, col tempo sereno, si vede l’isola di Ventotene. Monte Epomeo o S. Nicola. Situato al di sopra di Casamicciola, alto 800 m. dal livello del mare. La più bella gita di questi dintorni è l’ascensione all’Eremitaggio situato ad occ. nella parete più elevata del monte, ci si va e viene coll’asino in 5 o 6 ore (L. 4 a 5). In inverno conviene partire verso le ore 8 o 9 del mattino, ed in estate allo spuntar del giorno, per evitare i forti calori e goder meglio dell’incantevole panorama che si osserva di lassù. Romantica riesce poi questa gita, al bel chiaro di luna nelle serate estive. A piedi sarebbe troppo faticosa la salita, sebbene prendendo per vie accorciatoie vi si impieghino solo 2 ore per andare mentre a cavallo ne occorrono 2 ½. Non è possibile venendo da Napoli e dovendovi ritornare la sera, di fare questa escursione nell’istessa giornata. Da via Principessa Margherita si prenda per lo stradone alberato che conduce ai bagni minerali, oltrepassati i quali, si salga dolcemente a destra, per un sentiero, a traverso vigneti, che man mano diviene sempre più penoso, passando fra burroni, boschi di castagni ed aride rocce. Giunti sulla collina si volti a destra dirigendosi, per lunghi viottoli a zig-zag, verso il lato sud, transitando per disotto i bei punti acuminati della montagna e continuando per erti sentieri di lapillo, cespugli e sassi, si giungerà all’eremo di S. Nicola, cavato con la cappella e varie grotte nella roccia di tufo vulcanico. Quivi si riposi e si faccia refezione, per la qual cosa si sarà provveduto partendo da Casamicciola, giacché dal sedicente eremita non si potrebbe avere che del vino e del pane, ricompensandolo con qualche lira. Per degli scalini praticati in questa piramidale roccia si ascende al belvedere, che offre uno dei più grandiosi e vasti panorami, abbracciando i golfi di Gaeta, Napoli e Salerno. Ai piedi si estende l’isola d’Ischia con dirimpetto quella di Procida, e dietro questa il Capo Miseno. A destra l’isola di Capri, seguita dalla punta della Campanella o promontorio di Sorrento, il Vesuvio e da lontano le nevose cime degli Abruzzi. Ad Or. il mare a perdita di vista. All’Est la costa d’Italia al di qua di Terracina, il Capo Circello e le isole di Ventotene e Ponza. Al ritorno volendo cambiare via prendendo dal lato di Fontana, di Moropano e Casabona, s’impiegheranno 2 ore ½ mentre ritornando per la strada già fatta non occorre che 1 ora e 40 m. Non sapremmo affatto consigliare di discendere per Forio, via se pur tale si può dire, più lunga, disastrosa, accessibile solo a piedi, impossibile alle signore, che comincia a destra scendendo dall’eremitaggio per ripide scoscese, a traverso rocce, sassi e macigni tracciati da torrenti d’acque piovane nel lapillo ed arena quasi impraticabili. Discesa piena d’emozioni, faticosissima, che dedichiamo agli alpinisti, e che di rado i conduttori d’asini vi seguono per là, giacché per rientrare a Casamicciola riprendendo gli asini sulla strada di Forio, ci vogliono 3 ore, arrivandovi spossato. Un’altra gita piacevole, però col fresco, sarebbe quella di andare a visitare Ischia, ad 1 ora ½ di distanza (vett. a 2 cav. L. 4 a 5, ritorno compreso L. 6 a 7, ad 1 cav. L. 3 a 4, convenire). Per la descrizione dei luoghi che si traverserebbero ed i prezzi delle vetture vedi note precedenti). La Rassegna d’Ischia 1/2009 25 Dalle «Isole appartinenti all’Italia» di Leandro Alberti (1550) * […] Et più avanti la isola delle Sirene, di cui molte notissime favole si raccontano, come scrive Strabone nel primo et nel sesto libro. Già erano congiunte queste isole col continente della terra (come scrive esso Strabone) per qualche accidente, sì come capra fu divisa dall’Atheneo, Leucosia, et Enotai, Procida, et Pithecusa dal Misino con alcune altre. Vero è, che Plinio nel secondo libro dice, che solamente fossero divise dalla terra, Procida, Sicilia, et Leucosia, et che quell’altre uscirono fuori dell’acque marine, sì come le Eolie. Vedesi da poi Procida, la quale similmente stassi davanti al golfo di Puzzoli di rimpetto al monte Miseno, non molto da Cuma lontano; come anche scrive Plinio, il quale Prochyta la addimanda, et parimente Strabone nel primo, et quinto libro, et Pomponio Mela nel secondo, et Tolomeo, et Silio Italico nell’ottavo, et duodecimo libro. Vogliono i Greci che ella acquistasse tal nome, come dice Servio sopra quei versi di Virgilio nel nono libro; Tum sonitu Prochitae etc. da Procheo, che significa effundo; imperò che si stagnò, o vero più tosto si divise dal monte Inarime, detto Pithecuse, come poi diremo. Et non nego però che altrimenti dice Dionisio Alicarnasseo, nel primo libro dell’historie di Roma; perciochè, secondo lui, ella fu talmente nominata da una di quelle donne, che erano in compagnia di Enea, così dicendo. Qui cum Aenea navigaverunt, ex Sicilia traseuntes ex Leucosia Insula, in portum profundum, et bonum in Opicis monte ibi Miseno, viro quidam illustri, ab eo quoque Portum nominarunt, Insulaeque Prochyte, et Promontorio Epinychae, classe cum appulissent, cognomina penitus illis locis dederunt, morientium foeminarum; volentesque loca ipsa monumenta facere. Harum autem altera Aeneae cognata fuisse dicitur, altera nutrix. Per le parole adunque di Dionigio ella fu nominata così dal nome di una * Leandro Alberti (Bologna 1479 - 1553?), erudito, membro dell’Ordine dei predicatori (domenicani); studiò filosofia e teologia; viaggiò molto per l’Italia e conobbe molti dei letterati del suo tempo. Scrisse varie opere; tra l’altro delle vite di santi, un’opera in sei volumi su domenicani famosi, una storia della Madonna di San Luca e una storia di Bologna fino al 1273. La sua opera più famosa è la Descrizione di tutta l’Italia, pubblicata a Bologna nel 1550, cui in seguito si aggiunse l’opera Isole appartinenti all’Italia. Le due opere furono più volte ripubblicate anche dopo la morte dell’autore. 26 La Rassegna d’Ischia 1/2009 delle predette femine come si è dimostrato, nondimeno par per ogni modo, ch’ella fosse divisa dal continente d’Italia per li terremoti, sì come dice Strabone, Plinio, et Vergilio nel nono. Miscent se maria, et nigrae attolluntur arenae. Tum sonitu Prochijta alta, tremit, durumque cubile. Inarime Iovis imperijs imposta Typhaeo. (1) Et Silio Italico nel duodecimo libro. Apparet procul Inarime, quae turbine nigro Fumantem premit Iapetum; flammasque rebelli Ore reiectantem, et si quando evadere detur Bella Iovis rursus, superisque iterare volentem. (2) Fu sempre questo luogo soggetto a fuochi, et terremoti, come parimente dimostra Strabone nel quinto libro, ove narra che quivi vennero ad habitare gli Erithrei con li Calcidij, i quali di qui cominciarono a trarre gran quantità di frutti et oro in gran copia per le minere, che vi erano. Ma come suole intervenire, nata fra loro (per troppa felicità) discordia, et succedendovi terremoti, et sorgendo dalla terra intense fiamme di fuoco partorite dal bollor del mare furon costretti ad abbandonare l’Isola, et passare altrove ad habitare. Il simile intervenne ad alcuni Siracusani, qui mandati da Hierone tiranno di Sicilia, i quali havendovi già fatto un gagliardo muro per sicurezza dell’Isola, per li fuochi, che da ogni parte gli assaltavano, si partirono. Doppo loro vi passarono i Napolitani, i quali havendo miglior sorte, lungo tempo vi dimorarono. Hora per questi sì spessi tremuoti, et per le gran fiamme di fuoco, che quivi quasi sempre si vedevano, favolosamente si disse, che quivi era la sepoltura di Tiphone, o sia di Tipheo gigante; il qual dopo l’esser lungamente giaciuto sopra l’un fianco, nel rivoltarsi sopra l’altro si movea la terra, et ne uscivano tremuoti, et fiamme di fuoco, et acque calde. 1) ... Frange il mare e si sollevano le nere arene. Allora per il rimbombo tremano l'alta Procida e Inarime, duro giaciglio, sovrapposta a Tifeo per comando di Giove. 2) Appare lontano Inarime, che preme Giapeto: questo esala vapori neri e ribelle vomita dalla bocca fiamme: le sue battaglie contro Giove e i Superi rinnoverebbe, se gli fosse concesso di scrollarsi di dosso il grave peso. Dice Pindaro esser la cagione di queste cose lo spatio di Cuma alla Sicilia tutto cavernoso et pieno di fuoco; et queste caverne scorrono ancora insino al continente della Grecia, et per li luoghi circostanti. Et per quelle trascorrono assai fuochi, et non meno sotto il monte di Ethna dell’isola Lipari, et sotto il paese di Napoli, di Baie, di Pozzoli, et delle Pithecuse. Et occorrendo che sieno più del consueto ardenti, o che siano per l’apriture della terra trovate, se ne vanno per gran forza rompendole, e così si dimostrano. Et in questo saettano la terra. Il che diede cagione a molti di fingere favole, come dimostra Timeo. Strabone narra assai cose maravigliose del fuoco, che per questa Isola discorre, tanto che ella rimase in quei tempi priva di habitatori. Sono l’acque calde, che in questa Isola si ritruovano, di molto profitto a quelli, che patiscono di male di pietra. Manda essa di buoni frutti, e non solamente per bisogno de’ mortali, ma ancora per trastullo, et piacere. La fu saccheggiata da Coradino Barbarossa capitano dell’armata Turchesca di Solimano nel mille cinquecento quarantaquattro, alli ventitrè di Giugno. Più avanti Ischia è nominata da Strabone, et da Livio nell’ottavo libro, da Tolomeo, et da Ovidio nel quartodecimo delle Metamorfosi, et da alcuni altri Pithecusa, ma da Plinio nel sesto capo del terzo libro, da Appiano Alessandrino nel quinto, da Pomponio Mela nel secondo, et anchora da Livio nell’ottavo, Aenaria, la quale acquistò tal nome (come vuole Plinio) dalla nutrice d’Enea, essendosi quivi le navi d’Enea fermate. I Greci la chiamano Pithecusa (come è detto), per esservi quivi la piazza de gli artefici, che facevano i Dogli, o siano le boti per lo vino, perciochè i Greci chiamano questi vasi Pithoi. Furono etiandio alcuni, che volsero, ch’ella acquistasse tal nome di Pithecusa dalla moltitudine delle Simie, che quivi si ritrovano, il che animosamente nega Plinio, Homero, Virgilio, et Ovidio chiamandola Inarime dal nome del monte, da cui restò divisa. Vero è, che il dotto Barbaro nelle correttioni Pliniane, vuole che ella così fusse detta da gli Arimi, o popoli, o animali, talmente nominati in lingua Hetrusca. Il qual vocabolo par significare Simie, che i Greci chiamano Pithico: et in ogni caso Pithiocuse per i, vuole esser scritto, perciochè i Greci, et Pithoi, et Pithicoi, et Pithicos egualmente per iota scrivono. Onde s’inganna chi per ragione alcuna pensa di poterlo scrivere per ipsilon. Ne parla di questa isola Silio Italico nell’ottavo, nominandola Prochita, et Inarime quando dice, non Prochytae non ardente sortita Tiphoea, Inarime. Et altrove. Apparet procul Inarime. Et Ovidio nel quartodecimo libro delle Trasformationi, descrivendo la navigatione d’Enea dice, Inarimem, Prochytamque legit, sterilique locatas, Colle Pythecusas. Di questa similmente scrive Lucano, Valerio Flacco, Vergilio, et Claudiano. Al presente ella è nominata Ischia (come è detto) et ciò forse per la fortezza del luogo, secondo Raphael Volaterrano nel sesto libro de i Commentarij Urbani; imperochè ella è talmente dalla natura fatta, et fortificata, et cinta di altissime rupi, che non meglio sarebbe stata fortificata dall’arte, talchè non vi si può entrare, eccetto che per uno strettissimo luogo. Quivi si ricoverò per sua sicurezza Ferrandino figliuolo di Alfonso Secondo d’Aragonia Re di Napoli, essendo entrato in Napoli vittorioso Carlo Ottavo Re di Francia, ne’ nostri giorni, come ancora narra il Sabellico nel nono libro della decima Enneade. Era signore di quest’isola gli anni passati Alfonso Davalo Marchese del Vasto di Amone glorioso Capitano de’ Soldati di Carlo V. Imperadore. Il quale vi edificò un superbo palagio. Et hora ne è Signore il figliuolo d’esso, chiamato il Marchese di Pescara. Quivi intervenne un mirabil caso nel 1301, ne’ tempi di Carlo secondo Re di Sicilia, quale intendo di narrare prima, che passi alla descrittione dell’isole, che restano. Dico adunque, che essendo in quei giorni ogni cosa quieta, acceso il fuoco nelle vene del Solfo (delle quali tutta l’isola è piena) et trascorrendo per quelle, ne abbruciò gran parte insino alla città d’Ischia allhora Geronda detta. Et durò un tale incendio circa due mesi, uccidendo molti huomini, et animali per sì fatta maniera, che furono costretti gli huomini ad abbandonare il luogo, fuggendo fuori dell’isola, chi a Procida, chi a Capre, chi a Baia, chi a Pozzoli, et chi a Napoli. Et di tal foco fino hoggidì veggonsi i vestigi, che nè vi nasce herba, nè altro, anzi ogni cosa è rimasta aspra, et inculta per spatio di due miglia in lungo, et mezo in largo. Et questo spatio si chiama la Cremata. Che sieno quivi le minere del Solfo, et dello Alume, chiaramente si conosce da i Bagni di odore di Solfo molto giovevoli a diverse infermità. Questa isola circonda diciotto miglia, ove è una città habitata da mille famiglie, alle quali sono soggetti otto casali, tra quali uno n’è di quattrocento fameglie, o sieno fuochi, come si dice. Di questa isola cavansi buoni frutti, et massimamente vino, tanto che ascende per ciascuno anno alla somma di sedici mila boti, come a me disse uno del paese. Quindi più avanti navigando verso Napoli appresso il monte Pausilippo appare Nisita, o siaNessi, che è uno scoglio, ove è Agliono Porto assai commodo. Da questo scoglio pigliò argomento di Niside Giacomo Sannazaro Eccellente poeta, et ne formò alcune sue belle inventioni, come si vede. Passato questo scoglio, si scorge fra detto monte Paulippo, et Napoli Castel dell’Uovo edificato sopra una picciola isola, da Plinio Megare detta, o Megaris. Il qual La Rassegna d’Ischia 1/2009 27 castello fece Guglielmo Terzo Normano Re, secondo Pandolfo Collenuccio nel terzo libro dell’historie del Regno. Egli è nominato questo castello da Michel Ritio Napolitano nel quarto libro de i Re di Sicilia, Arce Lucullana, quando dice, Aetate ingravescente, Alphonsus febre correptus, anno salutis 1458, mense Iunij fato functus est, in Arce Lucullana, quam vulgo vocant, Ovidio più oltre passando vedesi appresso Surrento otto miglia (come vuole Plinio) Capre, da Strabone, Plinio, Pomponio Mela et Tolomeo, Caprea detta, ma da Silio Italico nell’ottavo libro, Telon; quando dice, Sallosa Telonis insula, così nominandola, da Telone, che tenne la Signoria di essa, come dice Pietro Marso. Erano anticamente quivi due picciole Castella (così scrive Strabone) de’ quali uno era rovinato a fatto ne i giorni di esso, et l’altro soggetto a Napolitani con la isola di Pithecusa, a’ quali donati furono da Augusto: poi che perduto l’haveano guerreggiando. In questa isola fece molti belli edifici il detto Augusto, conciò fosse cosa, che molto si dilettasse di habitarvi per suo diporto, domandando questo luogo per la sua roza amenità Aprossopoli, come dice il Volaterrano. Similmente Tiberio Cesare vi fece una forte Rocca, secondo Plinio, et Cornelio Tacito nel quarto libro dell’historie ove così dice. Havendo Tiberio dedicato alcuni tempij in Campagna si ritirò nell’Isola di Capre dal Promontorio di Surrento tre miglia per mare discosto, piacendogli la solitudine (come io credo) et essendovi il mare senza porto, sì che a pena non picciole barchette da i periti del luogo da pochi lati passar si poteva. Quivi è l’aria temperata, et piacevole il verno, essendovi il monte che la difende dalla malvagia forza de’ venti, et anchor per il vento favonio piacevole et dilettevole, che vi tira, et per esser da ogni lato del mare cinta evvi dillettevole stare. Quindi si vedeva intorno il bel Golfo prima che abbruciasse il monte Vesuvio. È fama ancora, che fossero habitati tutti questi luoghi, et massimamente Capre da i Greci Theleboi. Altrove etiandio fa memoria di Capre Tacito, et tra gli altri nel quinto libro. Hora questa isola è habitatione di coturnici, et di quaglie, li quali uccelli fuggendo il verno del continente d’Italia quivi passano molto grasse, et essendo da gli habitatori prese sono da loro aperte nel petto, et cavatone la grassa, salate poi, et stillata quella grassa serbanla per delicatezza de’ conviti. La qual cosa non intesero gli antichi, come scrive Nicolò Perotto nel Cornucopia. Più avanti caminando appare Leucothea, secondo Plinio, la quale parimente da Pomponio Mela è con questo nome chiamata. Scorgesi appresso di riscontro al Golfo di Pesto, Leucasia, talmente detta da Plinio, da Strabone, et da SilioItalico nell’ottavo. Ella acquistò tal nome dall’una delle Sirene quivi nel mare sommersa, però secondo le favole. 28 La Rassegna d’Ischia 1/2009 Plinio dice che fu chiamata da Leucasia una di quelle Sirene, quivi sepolta. Ma Dionigio Alicarnasseo, nel primo libro dell’historie scrive, che le fu imposto tal nome dalla Consobrina di Enea, che quivi morì. Onde così dice. Qui cum Aenea navigarunt ex Sicilia per Tyrrenum mare, primam in Italiam stationem habuerunt in Portu Palinuro, qui quidem eam habuisse appellationem dicitur ex uno Gubernatorum Aeneae ibi mortuo. Postea insulae adhaeserunt, cui nomen posuerunt Leucasia, a Consobrina quadam Aeneae circa eum locum mortua. Quindi navigando più avanti dirimpetto a Velia si vede Pontia, et Isacia da Plinio, et Strabone dette Enotrie da gli Enotri d’Italia, a’ quali erano soggette. Poscia apparono alcune picciole isole per iscontro a Vibone, nominate da Plinio Itacesie dalla patria d’Ulisse. Delle quali parla Silio nell’ottavo libro. Et quivi finiscono l’Isole appartenenti al mare Tyrrheno insino alla Sicilia nella quale più lungamente sono per stendermi. D’alcuna dell’antidette Isole parla Faccio de gli Uberti nel quintodecimo canto del terzo libro Dittamondo1 in cotal modo. Dal mar di Pisa de sin quivi ancora Tu trovi la Gorgona, et la Caprara, Pinosa, et dove ’l Giglio fa dimora. L’herba fra l’altre vi par la più cara, Sì per molto ferro, et per lo vino, Che capo l’uno porto è da Ferrara, Et ritruova chi cerca quel camino, Pensa, Palmara, la Stura vagheggia Quando ’l tempo è ben chiaro e pellegrino, Et così ricercando questa pieggia Non si convien Bucieta qui si lassi, Che con Gaeta ogn’hor par che si veggia: Ancor si trova l’Ischia in quei compassi, E Capre, et queste stanno incontro Napoli E presto che vi vanno in brevi passi. Gli habitator vi son subiti e Vappoli Lodano Iddio coloro, che vi vanno, Se senza danno da lor sono scapoli. Contra Scalea, et Andreani stanno. Landini, Lamenza; et questa gente La via di Conturbia spesso fanno. 1 Il Dittamondo (dal latino “dicta mundi”, “detti del mondo”) è un poema allegorico in terzine dantesche rimasto incompiuto ad opera di Fazio degli Uberti (pronipote del più celebre Farinata; nato a Pisa tra il 1305 ed il 1309 e morto dopo il 1369). Narra di un viaggio immaginario consigliato a Fazio dalla Virtù ed effettuato, attraverso Europa ed Africa, sotto la guida del geografo Solino. Colligite fragmenta, ne pereant Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia (XV) A cura di Agostino Di Lustro Le Capitolazioni delle Confratenite di Forio conservate nell’Archivio di Stato di Napoli III * 4) Il Pio Monte di Santa Maria di Portosalvo e di San Gaetano Nel vasto panorama foriano, la cupola della chiesa di San Gaetano costituisce una delle caratteristiche della cittadina che si distende come un’aquila dalle ali spiegate dalle pendici dell’Epomeo fino alla Punta Soccorso. Le fanno corona il massiccio Torrione e la bianca chiesetta del Soccorso che sta lì come vedetta quasi a proteggere, con un vasto abbraccio, la parte occidentale dell’Isola baciata dal mare e dal famoso raggio verde al quale spesso assistiamo al tramonto di una splendida giornata di sole, La cupola di San Gaetano è lì a caratterizzare il panorama foriano dalla seconda metà del secolo XVII, da quando nel 1655, come si evince dal Notamento degli atti beneficiali della città e diocesi d’Ischia (f. 46: Forigij 1655 Conventio pro dotatione Ecclesie S. Cajetani alla Marina de jure patronatus Nautarum Terre Forigij, cum Instrumentis reddituum favore dicte Ecclesie, ac ordine Regio supra statu ipsius= folia scripta n. 20 ) conservato nell’Archivio Diocesano d’Ischia, e dai documenti che qui trascriviamo, venne fondata la chiesa di Santa Maria di Portosalvo e del Beato Gaetano da Thiene. Infatti S. Gaetano fu canonizzato solo successivamente. La costruzione della chiesa fu opera dei marinai e dei proprietari di barche e feluche di Forio che avevano fondato un Pio Monte, o confraternita, sotto lo stesso titolo. Questa associazione di marinai realizzò un vasto programma di opere religiose e di carattere sociale a beneficio di tutti. L’Università di Forio fece dono del terreno sul quale i marinai costruirono la chiesa, assumendo però l’impegno di realizzare all’interno della chiesa una sepoltura per gli abitanti della zona che avessero chiesto di essere in essa seppelliti. La confraternita ha svolto la sua attività fino all’inizio del secolo XX. * G. d’Ascia, Storia dell’isola d’Ischia, Napoli, Stabilimento tipografico Gabriele Argenio, 1867 p. 390. I. Delizia, Ischia l’identità negata, Napoli Edizioni Scientifiche Italiane, 1987, pp. 179 e 237. F. P. Salvati, Architettura dell’Isola d’Ischia, Napoli Editore Pironti 1951. G. Castagna- A. Di Lustro , La diocesi d’Ischia e le sue chiese, Forio, Tipolito Epomeo 2000, p. 24. A. Di Lustro, Gli scultori Antonio e Baldassarre di Lucca nell’isola d’Ischia, in La Rassegna d’Ischia, anno XVII n. 6 settembre 1996, pp. 44-54. La chiesa è una delle testimonianze architettoniche più importanti dei secoli XVII-XVIII di Forio e richiama la chiesa di S. Carlo al Cierco ( che risale al 1620 ) sia nella pianta che nei vari elementi architettonici, compresa la cupola che nella chiesa del Cierco è scomparsa a causa del terremoto del 1883 (fu fortemente lesionata dal sisma per cui fu deciso di abbatterla). Particolare interesse suscita all’interno l’altare maggiore di un marmoraro napoletano ignoto per mancanza di documenti, ma che si fa riconoscere facilmente come Antonio di Lucca da un confronto con l’altare maggiore della chiesa napoletana di S. Maria di Costantinopoli presso il Museo Archeologico, che è opera documentata del di Lucca. Nell’abside pende una tela certamente opera di Alfonso di Spigna, e nella cappella di destra si nota un altare dedicato a San Giovan Giuseppe della Croce costruito nel 1790, l’anno dopo la beatificazione del nostro Santo ischitano. L’iniziativa fu del sacerdote Agostino Verde, in seguito parroco di S. Sebastiano di Forio. La piccola tela raffigurante il Santo è firmata da Tomas Kem ed è racchiusa in una cornice di legno intagliato e indorato a mistura. Di notevole interesse è anche l’organo positivo del secolo XVIII, straordinario non solo per la parte prettamente musicale, ma anche per la stupenda cassa che lo adorna. Le due ante presentano due splendide figure degli apostoli Pietro e Paolo. Oggi nel pavimento maiolicato della chiesa, realizzato alla fine del secolo XIX, non vi è più traccia della sepoltura voluta dall’Università perché eliminata nel corso della sistemazione del pavimento stesso che si conserva ancora abbastanza bene. Documento n. 1 Archivio di Stato di Napoli - Notai sec. XVII Scheda 323 del notar Dionisio di Nacera protocollo n. 16 f. 35 r Die vigesimo tertio mensis Januarij millesimo seicentesimo quinquagesimo septimo in terra forigii Ischie in nostri presentia Iovanne de Maio ad presene sindico Universitatis predicte Indico polito Ieromino Iacono et Ieronimo Caruso deputatis predicte Universitatis agente et interveniente ad infrascripta omnia nobis et pro parte predicte Universitatis et pro eodem singulis quibuscumque ex una parte, et Carolo Maltese Minico de Lustria Ioanne Battista Castiglione et laurenzio patalano ad presens magistris venerabilis f. 35 v. cappelle et ecclesise conficiende sub titolo, et nuncupatione del beato Caietano agentibus, et intervenientibus in nobis et La Rassegna d’Ischia 1/2009 29 pro parte predicte ecclesise et cappelle et pro eadem ecclesia et cappella successoribus quibuscumque inprimis ex parte altera predicti vero sindicus et deputati nominibus quibus supra asserunt coram nobis, et dittis magistris presentibus dictam Universitatem previo parlamento ex inde facto deliberaverunt pro edificatione dicte ecclesie, et cappella donare donationis titulo irrevocabiliter inter vivos cum onere premissis predicte ecclesie quodamm situm dicte Universitatis ubi possit edificare ecclesiam predictam situm in loco ubi dicitur la Cavalleritia juxta bona Anelli Carcaterre bona heredum quondam pompei de maio viam pubòlicam a duobus partibus, et alios fines si qui sunt quod dicta Universitas ut asserit Sindicus tenere, et possedere tamquam verum dominum et patronum francum et non venditum; et facta assertione predicta, predicti Sindicus et deputati nominibus predictis volentes procedere faciendam dictam donationem sponte predicto dicti coram nobis... via libere cum... reservatione alligatione et non aliter donaverunt dictis titolo irrevocabiliter inter vivos predictum situm ut supra descriptum et disegnatum sic fractum ut superius dictum est una cum omnibus et singulis eius juribus, et integro status cum item tamen reservartione che detta ecclasia et dicti mastri et cappellani che sono et pèro tempore saranno siano tenuti come al presente detti mastri... promettono item fare una f. 36 r. sepoltura nella predetta ecclesia per servitio publico di detta Università et in quella sepelirci qualsivoglia persona; et che non possa essere impedito si per far detta sepolturasiano in sepellir et affittarli sepelimento et così se debbia observare et facendosi il contrario detta donatione non se intende facta ma quella revocata. Itam quod ex… et inprimis dictum ritum ut supra donatum cum juribus et onere predicto sit transactum in pleno dominio et possessione predicte ecclesie conficiende ad habendum tenendum possidendum et edificare ecclesiam predictam cedentes omne jus sibi ipsis... quibus supra componens quod in modo ponentes... quod nullum jus nisi de reservarione, et possessores... teneres volentes lege jure.. Et primum… predicti sindicus et deputati nominibus supradictis presentibus donationem et concessionem et... predictum... et in semper haberes ratas ac ratas... iaceres aliqua….dictam donationem per eos ut supra factam primum non revocare ingratitudinis vitio que donation voluerunt predicti sindicus et deputati nominibus predictis quod non concessum una sed pluries quidem vicibus et temporibus facta infra summam a jure premissa et si summa quingentarum aureorum emendent, eo quod in ea si necssarii in servitio aòiquo sed valeat, et teneat uti prout fuisset in quorum…. Loco et foro et coram quocumque judice officiali et magistrate…decreto authoritate et insinuatione ipsorum et non aliorum efficaciam obtineri debeat quod in omnem eventum et casum et in omni successu temporis prout debitum… Effectum et inviolabilem ultimi roboris firmitatem …et expresse predicti f. 36 v. Sindicus et deputati nominibus quibus supra cum giuramento coram nobis ad majorem cautelam legi fieri si umquam de revocandis donationis….ac …de insinuandis donationis et ipsi insinuavimus; et ubicontigerit dictam donationem ex quavis causa revocari voluerunt predicti sindicus et deputati 30 La Rassegna d’Ischia 1/2009 voluerunt predicti sindicus et deputati nominibus predictis quod revocatio non valeat, et donatio predicta sit renovata, et de novo facta, et... modo quo supra quoties revocari contigerit, quia sic voluerunt, et omnino disposuerunt. Pro quibus omnibus et singulis predicti presente set quolibet ipsorum eorumque, et cuiuslibet ipsotum heredes successores presentia et future una pars et… Presentibus sub pena et ad penam dupli medietatis cum… Precarii et… Presentibus Sudice Joannes Antonius Galatola Joseph Castaldo Carlo Calise Anello de Colòellis Salvatore Biondo et Augustino Morgera predicte terre. Documento n. 2 Archivio di Stato di Napoli, Notai sec. XVII Scheda n. 323 del not. Dionisio di Nacera di Forio Protocollo n. 16 f. 173 r. Die decimo sexto mensis Aprilis 1657 in Terra Forigii Ischie comparuerunt in nostri presentia Lorenzo Patalano Carolo Maltese, et Minico de lustria magistris venerabilis cappelle beati Gitani conficiende in sito universitatis terre forigij sponte coram nobis nominibus et pro parte predicte cappelle et successoribus in ea existentibusIoanne de Maio ad presens sindico Universitatis forigii ac Ieronimo Iacono et Indico polito deputatis predicte Universitatis di fare in nome di detta Università e per il popolo dessa una sepoltura nella detta cappella allor proprie spese nelle quali volemo che se possano sotterrare quelle persone di detta Università a chi lloro e lloro eredi parera et piacera senza che se debbia pagare sepoltura atteso detta Università ha concesso il detto sito per far detta cappella in caso che mancassero siano obligati non solo al pagamento di tutte le lemosine lassate et lassande a detta cappella atteso che quella non possent percipere se non li fusse stato concesso detto sito; et pro inde dicti magisteri nominibus predictis obligaverunt se ipsos ac dictam cappellam et eius successores magistros dictis presentibus sub pena unciarum... dupli meditate promiserunt et juraverunt. Presentibus Sudice Ioanne Battista Galatola regius af contractus magnifico Francisco vorga bernardo Verde Ioseph Verde et Marco coppa predicte terre. Documento n. 3 Archivio di Stato di Napoli Notai secolo XVII Scheda n. 323 del notar Dionisio di Nacera Protocollo n. 28 parte I f. 28 v. Die quarto mensis decembris millesimo sexcentesimo septuagesimo in terra forigii ischie propriis in nostri presentia subscripti patroni et... fellucarum terre forigii Ischie videlicet patron Francesco Colella, Andrea Romano, Joanne Cigliano, Laurenzio Castaldo, loise Matarese, Antonio Matarese, Vincenzo Castaldo, Carolo Corso, Horatio Capuano, Carolo maltese, Antonio de Colella, Diacinto de maio, Andrea Carcaterra, Anello Carcaterra, Antonio Calise, Carolo russo, Antonio Maltese, Carolo Castaldo, Michele Castaldo, patroni barcarum et fellucarum item prospero perpignano, marinaro Salvatore patalano, Joanne de maio quondam Joseph, Joseph patalano, Diacinto de lustria, Anello de avezzano, Carminello gallo, Agustino de maio, Vito de lustria, Nicolao de nacera, felippo Tortora, Antonio de Avezzano, Joseph Sacchetta, Joanne Domenico Mendella, Diacinto patalano, Simione Cigliano, Silvestro Matarese, Joanne petro Jacono, Mario Castaldo, Antonio de lustria, Francesco spingarda, Joanne fiorentino, Carolo de leo, Joliano monte, Cesare polito, Vito Matarese, Joanne jacobo Capuano, biase pingola, Joanne Jacono, marco patalano, Joanne polito et Joanne Andrea de maio marinari barcarum et fellucarum, qui asseruerunt coram nobis qualmente li anni passati e proprio sotto li 19 di giugno 1655 f. 229 r. molti patroni et marinari delle barche et feluche se alligorno eligirno un monte nella ecclesia conficienda sub titulo Sante Marie Portosalvi et beati Caitani mediante instrumento rogato per mano di Notaro Dionisio de Nacera della detta terra de forio d’Isca; et fecero Capitolatione di cacciare una quatra per qualsivoglia barca, et viaggio facevano per servitio et lemosina di detto monte et ecclesia che se haverà da erigere nella marina de forio prima sul detto titulo della Santa Madonna di portossalvo et beato Gaitano con molte condizioni et obblighi di diverse opere pie. Et la creatione di detta ecclesia farla in pochi anni gia elapsi, et per lo monte seguita dalla maggior parte di dessi patroni et marinari non si è completata ne detta ecclesia ne formato detto monte con li pesi in quello descritti; si bene con dette quatre cennate si è dato principio et quasi finita detta ecclesia Et per lo detto monte le persone di detti patroni et marinari si è rifondato di esigere; et dette quatre; Et perche un tanto beneficio, et opera pia e bene che se metta in esequtione hanno perciò tanto li sopradetti patroni de barche et felluche et marinari, deliberato de nuovo obligarsi; come al presente se obligano ogni uno per la sua rata di cacciare la detta quatre da hoggi avanti viaggio per viaggio; Et formare li... Capitoli nelli quali anderanno compresi et obligati; come se obligano, tanto li sopradetti patroni et marinari, quanto li successori patroni al f. 229 v. cappellano admovibile che se deputera da detti Governatori et mastri sin come al presente se li assegnano con lo peso di una messa la settimana per l’anima di benefattori; et la messa cantata nel di della festività di detta ecclesia. Item che ogni anno se debbiano eligere da detti patroni et marinari descritti nel libro di detto monte, et ecclesia; quanto per quello anno haveranno da regere et governare detta ecclesia et monte et haveranno da fare una cascia con tre chiavi diverse l’una dal altro tre delle quali mastri, ne haveranno da tenere una per uno; et lo... mastro havera da ricevere detta cascia et le di dette quatre se haveranno da fare tre mesi per mastro; et ogni mastro se have da fare il libretto et notare la erogatione che farra di detta quatra; et ogni mese metterli giornalmente tutti quanti in detta cascia quello poi se havera da sperire alla fine del anno in presenza di quattro et alla detta fine di anno tenerli detti quattro mastri; quanto tutti li altri patroni di barche et feluche haveranno da fare la nova elettione et maestranza de detta ecclesia et monte, et in assegnarli tanto li libri di detto monte quanto la cascia con il numero delli denari che ne sono, et detta cascia se farà f 230 r. … come meglio se potra convenire con il clero; Et adimplite le cose predette essendoci somma sufficiente nel detto monte di possere maritare due figliole di detti patroni, e marinari descritti nel libro del detto monte, le prime che se mariteranno se li habia da dare ut supra per le sue doti ducati quindici per ciascheduna et ogni anno se farra detta carita se ne saranno; non essendoci tanta quantita di denari in detto monte di dotare due figliole ne dara una almeno come meglio parera alli mastri che in quel tempo saranno gravando la lor coscienza a non portar per ira lite a nesciuno: et essendoci più di due figliole per detta dote se habia da gettare la scorfia, a chi toccare lo detto maritaggio se fussero tutte equale maritate, et sempre se debbia preferire la prima maritata. Item crescendo lo detto monte, in numero maggiore et fatte tutte le cose predette; accadendo che alcuno patrone o marinaro di dette barche et feluche, andasse in poter di turchi, et essendoci somma maggiore delle spese sopradette se habia da mettere per lor recorso di uno e dui l’anno li primi Ducati venti per ciascheduno, acciò con quelli se possa giutare o farsi il llor recatto, quali se li haveranno de mandare; in llor parere Et tutte dette spese se haverranno de notare nel libro di detto monte f. 230 v. anno per anno a chi se faranno accio se ne possa far il conto del denaro che servira in detto monte; et così se habia da osservare intanto durera detto monte. Item se declama che mancando denaro o persone o marinaro di cacciare la predetta parte per quattro mesi per lo che non se ne trovasse ne poter esequire et esigere quello deve; che nel caso predetto le dette persone o marinaro che mancara non se intenda godere li predetti sufragii et elemosine ne che li mastri et governatori di detto monte saranno alligati alle dette contribuzioni di pagamenti ne ad altro; Ma quello dell’uno restare per beneficio di detto monte pur volendo quello che ha mancato et è uscito da detto monte otto mesate per parte delle quattro possa entrare de nuovo et godere come li altri; quali obligationi promissione capitali et osservanza promettono detti patroni e marinari osservare et fare osservare in futurum senza contraditione alcuna et tutti li scritti in detto libro se possono exequire et proprie mancando da complire le cose predette et pagare le dette potra viaggio per viaggio Et piu allogono eredi et successori in tutti beni presenti e futuri impigros montis predicti sub pena et ad penam dupli meditate cum protestate capienti... promiserunt et juraverunt. Presentibus Judice Alfonso de maio regius ad contractus Donno Collella Coppa Dionisio Verde Carolo Caruso Thoma patalano vincenzo carcaterra. Documento numero 4 Archivio di Stato di Napoli Archivio del Cappellano Maggiore Statuti e Congregazioni - Fascio 1205, n. 77 f. 1 r. Sua Regia Maestà Li Governatori, e Fratelli ascritti al Monte fondato per il mantenimento della Real Chiesa laicale sotto il titolo di S. La Rassegna d’Ischia 1/2009 31 Gaetano della terra di Forio dell’Isola d’Ischia, del ceto de’ Padroni de Gozzi, barche pescareccie, e Feluche da viaggio, Supplicando espongono a Vostra Maestà, come con publica conclusione hanno formato alcuni stabilimenti, e Capitoli per il buon governo, ed Amministrazione di detto Monte, come dalla copia estratta che esibiscono. Ricorrono pertanto a’ piedi della Maestà Vostra e la supplicano sopra la medesima interporre il suo Real Assenso e beneplacito ut Deus. Reverendus Regius Capellanus major videat et in scriptis referat - Targianni Provisum per Regalem Cameram S. Clare Neapoli 16 septembris 1756 Illustris Marchio Danza Preses Sacri Regii Consilii Illustris Marchio Castrignole non interfuit. f. 2 r. Capitoli, o Regole fatte di 18 Agosto 1753 da Noi annuali Governatori della Venerabile Reale chiesa di San Gaetano eretta nella terra di Forio dell’Isola d’Ischia, Padroni de’ Bozzi, Barche Peschereccie, e fellughe del Mestiere di Napoli della Marina di detta Terra, tutti rappresentanti la maggior parte di essi; Li quali avendo considerato, che così le prime Capitolazioni fatte in tempo della Fundatione di detta Chiesa, come le ultime dell’anno 1731, non hanno avuto tutta la loro osservanza, così per la mancanza del Regio Assenso, come per la trascuratine de’ Padroni sudetti in non contribuire ciocchè in essi venivano obbligati, ed in conseguenza, avendono veduto diminuito molto il culto verso di detto nostro Santo Protettore, motivo per cui la chiesa sudetta sta in pericolo di chiudersi per mancanza dellocchè bisogna per suo mantenimento. Perciò Noi desiderosi di accrescere più tosto, che diminuire l’anzidetto culto Divino verso di detto Santo, con fede di riceverne colla di luj intercessione ogni desiato bene, abbiamo stimato, e determinato annullando prima, cassando, ed irritando tutti li capitoli antecedentemente fatti, anche, che se fossero scritti ne’ libri della medesima Chiesa quali da oggi avanti s’abbiano per nulli, di niun vigore cassi, e come mai sani fussero fatti. Che f. 2 v. nuovi Capitoli della sottoscritta maniera, e formola, da’ sottoscriversi da Noi, e ciascuno de Noi Padroni di detti Buzzi, Barche Pescarecce, et Fellughe per Napoli di detta Terra, con procurarsene immediatamente il Regio Assenso affinchè li medesimi abbiano forza di legge particolare, e Statuto di detta Chiesa, e che sono niuno pretesto si possa a quella controvenire, per potersi, come si è detto mantenere l’anzidetta chiesa con tutto il dovuto Decoro, e splendore merita il detto Santo nostro Protettore. Primo- che tutti quelli Padroni de’ Buzzi, siano tenuti, ed obligati, siccome Noi sottoscritti, anche in nome de’ medesimi promettono, e si obligano in ogni viaggio faremo da questa sudetta Terra, e altri luoghi di detta Isola con nostri Buzi, o che quelli li dassimo da noleggiare ad altri per estra Regno, dare, e pagare, alla medesima chiesa ciascuno di noi, carlini dieci. E li sudetti Padroni de’ Barche Pescareccie, e Fellughe per Napoli, grana quindici per ciascuno in ogni mese dell’anno. Con conditione, che qualora così detti Padroni de’ Buzzi, come de Barche pescareccie, e Fellughe per Napoli, non fussero puntuali a’ pagare, l’una gli carlini Dieci, in ogni viaggio, ciascuno, e gl’altri gl’anzidette grana 32 La Rassegna d’Ischia 1/2009 quindici in ogni mese, In questo caso li Governatori pro tempore di detta chiesa, o il Procuratore ad esigendum da essi facendo, abbiano l’autorità, e potestà, ritornato sarà da f. 3 r. estra Regno Ciascuno Buzzo, con l’aspettativa di giorni dieci, e spirato un giorno da ciascuno mese rispetto all’altri Padroni, debbano dal Governatore locale impetrare ordine, e l’ordinario Giurato di detta Terra, e fora il Regno, pur quello rispettivamente essi loro vanno debitori a’ detta chiesa per detta contribuzione: e dopo l’aspettativa d’altri giorni dieci, non avendo detti Governatori ricevuto il denaro per detto Pegno, possano con Decreto di detto Governatore locale venderselo, e pagarsi locchè devono riscuotere in nome di detta chiesa. Non possono esercitare alcuno atto di giurisdizione ma debbono ricorrere alla Corte locale, che deve dare la providenza di giustizia, e con modo legittimo. E così, riguardo a questo primo Capo, ci obligamo, e promettemo osservare irremissibilmente, e senza la menoma interpetranza, eccezione. Secondo- Che tutti li Padroni sudetti de’ Buzzi, Barche pescareccie e Fellughe per Napoli, che saranno sottoscritti, ed aggregati alli detti Capitoli, e pagaranno puntualmente l’anzidetta contribuzione, nel tempo della loro morte se le dovrà dare a ciascuno, siccome Noi Sottoscritti in nome de’ medesimi, e di detta Chiesa ci obligamo, una torce di cera per tenerla accesa nel suo capo nel mentre dimorerà attorno il suo cadavere in casa, ed altre torce quattordici attorno al catalasso mentre starà l’anzidetto suo corpo cadavere in detta Chiesa, restando f. 3 v. in arbitrio de’ loro Parenti di poterli attorno altro numero di Torce di loro propria spesa. Come ancora darseli mezzo Clero per il suo accompagnamento quando dalla sua casa in detta chiesa, e pagarsi col peculio della medesima chiesa, senza affatto interessare li parenti, ed eredi del Defunto; Col darseli ancora sacerdote assistente nella sua Agonia, colla ricognizione di carlini cinque pro una vice durante il tempo, che starà Agonizzante; farseli ancora celebrare per lo spazio di giorni dieci a die mortis, Messe Dieci per l’Anima sua. Ed in caso, che qualcheduno dell’anzidetti Padroni in tempo di sua Morte eligesse la sepoltura in altra Chiesa per sua devozione ( oltre della Venerabile Congregazione di S. Maria Visitapoveri, che ut infra si dirà) in tal caso siano tenuti li Governatori pro tempore di detta chiesa, farli celebrare per la sudetta Anima, tante messe lette, quanto importa la spesa del mezzo Clero, e torce, come sopra, quale celebrazione dovrà farsi, o dal Reverendo Cappellano di detta Chiesa, o da altri Sacerdoti ad elezione delli Governatori della medesima pro tempore, fra il termine di giorni Dieci a die Mortis, a grana quindici la Carità ciascuna Messa. E questo ancora debbiasi intendere per tutti quelli Padroni, che moriranno fuori di detta Terra. Ed andando ciascuno di detti Padroni a seppellirsi f. 4 r. nella venerabile Congregazione di S. Maria Visitapoveri come che la maggior parte di essi trovasi ascritti in quelli Confratelli, sia tenuta detta chiesa di S. Gaetano, e per essa li Governatori pro tempore, contribuire la spesa delle anzidette torce a casa presente corpore, e pagare la medesima del clero, che ivi trasporterà il suo cadavere, come se venisse a seppellirsi in detta chiesa, dovendo sempre, ed in ogni futuro tempo Noi Sottoscritti Governatori, e padroni, e ci obligamo, tutto ciò eseguire, ed osservare, senza la menoma mancanza. Terzo- Se in caso qualcheduno di detti Padroni de’ Buzzi per qualche naufragio, o altro sinistro avvenuto ( quod absit ), perdesse il suo Buzzo, e che poi non volesse più nuovamente farlo, e che non avesse la possibilità di farlo, di sorte che si ritirasse in terra senza più viaggiare: In tale caso debba godere tutti gl’Emolumenti sudetti, senza essere tenuto pagare cosa veruna più a detta chiesa sua vita durante. Quarto- Debbiansi eleggere quattro Governatori dell’anzidetti Padroni de’ Buzzi, Barche pescareccie, e Fellughe per Napoli, nel modo seguente videlicet= che li quattro Governatori vecchi, nella fine del loro Governo, dopo le Seconde Vesperi nel giorno della Festività di detto Santo nostro Protettore, si debbiano uniti insieme f. 4 v. Congregare, coadunare nella sacrestia di detta Chiesa per fare la nuova elezione, ed ivi, invocando prima l’aggiuto dal Divino Spirito nella detta chiesa, dovranno fare, e descrivere tutti li Padroni, j quali non debbiano essere stretti congiunti di detti Padroni Governadori vecchi, e dette cartelle, in presenza di tutti quei Padroni, che in tal giorno si troveranno in questa terra, bussularsi, e da quelle estrarsene quattro, e quelli, che usciranno dovranno essere gli nuovi Governatori di detta Chiesa, quali Governatori dovranno avere cura, ed invigilare a tutto, e quanto fa bisogno di detta chiesa, durante il tempo di un anno, e che questi Governatori terminata la loro amministrazione, non possono più entrare in Bussola di Governatore, se non dopo saranno terminati anni tre dal giorno sudetto; quale elezione dovrà farsi impreteribilmente in detto giorno, senza ammettersi nessuna causa, e pretesto; ed in caso nel tempo di detta elezione nuovamente faccenda, qualche Governatore se ritrovasse assente, in questo caso, ancorché fusse la minor parte, o un solo, quello vi sarà, dovrà lui dare dette cartelle, e nuova elezione; ed in caso terminato il giorno di detta elezione, o uno, o più di detti Governatori, non volesse fare detta f. 5 r. bussola, e nuova elezione, per qualunque causa, pretesto, o colore, in questo caso s’intendano decaduti dalla detta nomina, ed in loro luogo, il giorno susseguente, che sarà l’otto del mese di Agosto, si debbia fare detta nomina, e nuova elezione delli Padroni più vecchi, che godono come sopra. Quinto - Che nel giorno stesso, e nella ystessa sera, dopo le seconde Vesperi di detto nostro Santo Protettore, seguita sarà la sudetta nuova elezione, dovranno li Governatori vecchi, unirsi nella medesima sacrestia di detta Chiesa, ed ivi eligere il cappellano, e sacrestano della medesima chiesa, che dovranno avere la Cura, ed esercitar la carica della medesima, e questo nella seguente maniera: che tutti li Sacerdoti figli, o fratelli, così in primo, come in secondo grado de’ sudetti Padroni, debbiansi ascrivere in tante cartelle quanti essi sono, nessuno eccettuato, e quelle bussolare, il primo estratto sarà il cappellano, ed il secondo il Sacrestano quali dovranno esercitare la carica per un anno solo, e per quel tempo, che eserciteranno detti Governatori, e terminato averanno detta carica, non possono essere posti più in cartelle, ed entrare in detta bussola, durante il tempo, che termineranno di essere tutti gl’altri descritti in dette cartelle; e per lo pagamento, e contribuzione f. 5 v. annuale de’ medesimi, si dovranno dare, cioè al detto Cappellano, docati Dieci l’anno tertiatim, col dovere avere la cura di confessare in detta Chiesa, se sarà confessore, e non essendovi chiamarne altro a sue spese, e celebrare le messe descritte nella Tabella di detta chiesa ed il Sacrestano docati diece l’anno, anche tertiatim, con peso de ben custodire, ed avere la cura dell’Utensiliij di detta chiesa, con polizzarla, aprirla, chiuderla, esercitarne in quella tutto ciò, che conviene e sarà bisogno, per il culto Divino. Ed in fine dell’anno, o pur in ogni qual volta sarà richiesto dalli Governatori a dar conto di tutti gli residui di torce, ed altre cere minute, e dell’utensilij sacra gli saranno consegnati. Sesto- Che ritrovandosi ciascuno Sacerdote figlio, o fratello, così in primo, come in secondo grado dell’anzidetti Padroni de’ Buzzi, Barche pescherecce, e Fellughe per Napoli Confessore approvato, debba ciascuno di essi essere prescelto per Cappellano di detta Chiesa, senza bussola; E se in caso vi si trovassero più confessori congiunti, come sopra di detti Padroni, In questo caso debbano questi bussolarsi, ed estrarsene uno, e questo sarà il Cappellano. f. 6 r. Settimo- Che li nuovi Governatori, debbano eligere, e fare l’organista per detta chiesa, colla contribuzione, e stipendio di docati quattro l’anno. Quale organista dovrà sempre che sarà richiesto andare ad assistere in detta chiesa, e sonare l’organo in tutte le funzioni necessarie in essa da farsi con legge, che essendovi un organista figlio, o fratello germano delli sudetti Padroni Governatori, debbiasi questo prescegliere, Ed essendovene più d’uno, bussularsi quanti sono, e quello estratto restarà eletto per organista, come ancora debbiansi corrispondere ogn’anno, oltre detti docati quattro, altri carlini cinque, a coluj, che averà il pensiere, ed il peso di tirare gli mantici dell’organo sudetto. Ottavo- li Sudetti Governatori Vecchi, terminata averanno la loro Amministrazione, fra lo spazio di giorni quindici, debbano dare il loro chiaro, e lucido conto così dell’Introito, che dell’Esito fatto di detta chiesa, a due Razionali che dovranno eligerse dalli nuovi Governatori nell’atto di detta nuova elezzione per detto effetto, li quali Razionali avendo esattamente veduti, riveduti e ben considerati, li conti sudetti, procedere alla loro liberatoria, e significatoria f. 6 v. in forma valida, la quale Significatoria, o liberatoria, debba avere la sua pronta, e parata esecuzione, senza ammettersi rimedio, Sospensivo di appellazione, e altro, ma eseguirsi in omnibus, come se fusse significatoria spedita da’ Razionali della Regia Camera della Sommaria, secondo le Regie Prammatiche, alle quali per detto, ci sottomettiamo, e consegnarla alli detti annui Governatori per provedere contro di loro a quel tanto conviene. Nono- Che ponendosi nella sua puntuale osservanza tutto il convenuto, e preposto nelli Capitoli sudetti, di sorte ha coll’anzidetta annuale contribuzione, che dall’anzidetti paLa Rassegna d’Ischia 1/2009 33 droni si farà, venisse ad aumentarsi il peculio di detta chiesa più di quello, che vi occorrerà per la spesa, e mantenimento della medesima, siano tenuti li Governatori pro tempore di tutte le summe, che anno per anno avanzeranno impiegarle in compra d’annue entrade, affinché la rendita di esse, potesse in appresso applicarsi al maggior bisognevole di detta Chiesa, ed in maggior accrescimento del Divino Culto verso di detto nostro Santo Protettore. Quali impieghi, e reimpieghi si faranno toties quoties, debbano essi Governatori f. 7 r. pro tempore farle col precedente Decreto di Expedit, e dopo di aver usata ogni dovuta diligenza, ed attenzione, con personi benestanti, e puntuali di questa sudetta Terra, rimanendoci da per tutto su tal particolare alla loro coscienza, e puntualità, con darne chiaro conto dell’impieghi, e reimpieghi sudetti alli sudetti Razionali, e mancandosi da essi Governatori di usare tutta la diligenza, ed attenzione sudetta per detti impieghi, e reimpieghi nella maniera li richiede, trattandosi di peculio di luogo Pio, siano tenuti di proprio a tutti gli danni, che ne seguiranno, pro ut de Jure. Quali Capitoli di sopra fatti, e quelli da Noi letti,…..essere di tutta nostra soddisfazione, e ridondare in nostro, e di detta chiesa utile, e vantaggio, e promettemo, e ci obligamo ad unquam osservare, senza di quelli reclamarne, né dirne di nullità, anzi con special giuramento adempire a tutto, e quanto in essi Capitoli viene prescritto, e dichiarato, al quale effetto abbiamo quelli sottoscritti, e firmati, con nostre proprie mani, e per mano del sotto scritto f. 7 v. Notaro nostro Segretario Eletto Forio 18 del mese di Agosto 1753 Pietro Paolo d’Ascia Governatore mi obligo come sopra Nicola d’Abundo suo nomine mi obligo ut supra Francesco Antonio d’Abundo mi oblicho come sopra Domenico Dabbundo Padrone mi oblico come sopra Domenico Maltese mi oblico come sopra Aniello Verde Padrone mi oblico come sopra Gaetano di lustro oblico come sopra Nicola di lustro oblico come sopra Francesco Antonio Calise obligo come supra Michele Matarese m’obblico come sopra Nicola Migliaccio mi oblico ut supra Saverio Amalfitano mi oblico ut supra Luca Antonio di Maio Fabio del deo mi oblico ut supra Raimo castaldi mi oblico come sopra Io Giovanni di colella mi oblico come sopra Io Antonio di maio mi oblico come sopra Io Anastasio Monte mi oblico come sopra Io Luca Mollica mi oblico come sopra + segno di croce del Padron Giuseppe verde + segno di croce del Padron Pietro Paolo Maldese f. 8 r. + segno di croce del Padron Antonio Castellaccio + segno di croce del Padron Fabio Capuano + segno di croce del Padron Innocentio Castaldi 34 La Rassegna d’Ischia 1/2009 + segno di croce del Padron Bartolomeo Carneglia + segno di croce del Padron Giuseppe Jonchese + segno di croce del Padron Francesco Calise Ceppetiello + segno di croce del Padron Pietro Paolo Mendella + segno di croce del Padron Giovanni Mattera + segno di croce di Crescenzo Fiorentino + segno di croce del Padron Nicola Galano + segno di croce del Padron Antonio Migliaccio + segno di croce del Padron Giuseppe Antonio Sferratore + segno di croce di Giuseppe Romulo + segno di croce del Padron Gennaro Mendella + segno di croce del Padron Aniello Antonio Carneglio + segno di croce di Vit’Antonio Carneglio f. 8 v. + segno di croce di Cristoforo Carneglio + segno di croce di Antonio Guarniero Li retroscritti Padroni de Buzzi, e barche scriventi, e croce segnati siano tali quali si ascrivono e compongono la maggior parte delli Padroni de Buzzi, e barche di predetta Terra di Forio ne faccio fede Io Notaro Emanuele Maria Milone d’Ischia e richiesto ho segnato. Ed avendo maturamente considerato il tenore delli presenti capitoli fatti da i Governatori della Chiesa di S. Gaetano eretta nella Terra di Forio diocesi d’Ischia Padroni di Barche Guzzi, e Feluche, continenti al governo della riferita chiesa di S. Gaetano, al modo di eleggere detti Governatori, Cappellano, e Sagrestano le contribuzione che deve fare ogni Padron di Barca a detta Cappella in ogni viaggio, ed i sussidij, che devono ricevere nella loro morte, ed anche in caso di perdita di qualche Barca non ritrovo nei medesimi cosa che pregiudichi la regal Giurisdizione né il Publico. E perciò precedente son di voto così farli spedire privilegio in forma Regalis Camere Sancte Clare. Quale Regio assenso s’intenda conceduto colle infrascritte condizioni, e forme. Primo: Che in ogni esequie dovrà farsi resti sempre salvo il dritto del Parroco f. 9 r. Secondo- che nella reddizione de’ conti debba osservarsi il prescritto del Cap. V $ 1 et seg. del Concordato Terzo- Che a tenore del suo regal Stabilimento fatto nel 1742 quei che debbono essere eletti per Amministratori o Governatori e razionali non siano debitori della medesima, e che avendo altre volte amministrate le sue rendite, abbino dopo il rendimento de’ conti ottenuta la debita liberatoria, e che non siano consanguinei né affini degli Governatori antecedenti sino al terzo grado inclusive de iure civili. E per ultimo: che non si possa aggiungere o mancare cos’alcuna dalli preinserti capitoli senza il Real Permesso di Vostra Maestà. E questo Napoli a 24 Marzo 1757 Di Vostra Maestà Umilissimo Servo e Capitano Niccolò di Casa… di Bozzolo= Onofrio Razza= Francesco Albarelli Agostino Di Lustro Racconti rurali La vita contadina nell’alternarsi delle stagioni di Giovanni Antonio Mattera La cultura di ogni popolo trova nella memoria del passato una fonte inesauribile di risorse, un modello di confronto, uno strumento imprescindibile per comprendere il presente, una spinta verso il futuro. Con questa consapevolezza ci accingiamo a passare in rassegna le tradizioni, le usanze, i costumi del territorio di Serrara Fontana, per ripercorrere le orme con le quali l’uomo ha tracciato da ieri ad oggi il suo faticoso cammino. Il tempo della memoria, in questo viaggio alla ricerca delle nostre radici, è scandito dal ritmo delle stagioni, che rievocano alla mente di chi è vissuto prima di noi immagini e suggestioni di un mondo lontano, ma ancora vivo negli occhi e nel cuore di chi le racconta. Il pensiero va soprattutto agli anni ‘40, quando gli abitanti di Serrara e di Fontana erano dediti all’agricoltura e, in minima parte, alla pastorizia. Inverno/Primavera - Le feste di S. Antonio Abate, di S. Ciro e della “Candelora” erano, oltre che un evento religioso, anche un pretesto per le prime uscite dopo le feste natalizie. Esse davano occasione di incontrarsi con gli amici e di fare le prime compravendite: “cullule” (salici) e legnami, scale alte per la potatura, maialetti da crescere nel “casiello” (spazio destinato al maiale) ormai vuoto, ricambio di capre e pecore nelle greggi, vendita delle prime uova delle galline appena “ngignate”. Poi iniziava la potatura delle viti, ritmata dal ticchettio delle cesoie, con l’apparata ”delle “spranche” (pali di castagno senza la corteccia divisi a metà secondo la lunghezza) tutte allineate e intrecciate, con le “cullule”, ai tralci delle viti. Seguiva la raccolta dei tralci da parte delle donne, molto abili a formare il famoso “pinnicillo” (un fascio di tralci secchi che terminava a coda); il terreno poi veniva zappato per le imminenti semine. In questi giorni si vedevano per le strade le donne portare in testa un involucro tutto bianco: era la colazione o il pranzo o il “murzucone” (una colazione fugace) per i propri familiari che lavoravano nella vigna. Nei campi la colazione veniva sempre innaffiata dal vino conservato nel “buttiglione” al fresco e quando si beveva si invitavano anche gli altri “colleghi” che lavoravano nei terreni limitrofi, accompagnando le pause con canti gioiosi. Particolare attenzione veniva rivolta in questo periodo alla messa a dimora delle piantine di pomodoro, provenienti o dalle proprie “pieci” (un piccolo vivaio riparato) o dalle colture delle piane di Forio, specialmente di Citara: vi provvedevano tutti i componenti della famiglia, uomini donne e ragazzi, questi ultimi addetti specialmente all’innaffiatura. Si praticava anche la caccia, forse più per motivi di so- pravvivenza, che per sport. Il comune di Serrara Fontana, infatti, era una sosta poco sicura per gli uccelli migratori, che popolavano le alture e i dirupi prospicienti il mare. Specialmente durante gli anni tristi della guerra, quando si soffriva la fame, ognuno s’improvvisava cacciatore e, oltre alle tortore e alle quaglie, i giovanotti con le loro “pesarole” (trappole) facevano grosso bottino di un uccello migratore, molto comune allora in queste zone, il famoso “codajancule” della famiglia dei Passeriformi. Altra alternativa era l’allevamento del coniglio nei “fossi” mediante ottima erba raccolta nei campi e sulle ridenti colline. Il coniglio nel fosso veniva catturato col sistema del “tavoliello” (una tavola azionata da un filo che serviva a chiudere o ad aprire la tana). Per quanto riguarda la pastorizia, nella zona di Noia, a Fontana, vi era un certo Trofa che possedeva un grosso gregge affidato a giovani pastori del posto, che ogni giorno, percorrendo le strade del paese, lo conducevano su per le pendici del monte Epomeo. Altrettanto faceva il pecoraio di Calimera che conduceva il suo gregge su per i Frassitelli. È in questo periodo che ambedue i pastori traevano maggiori profitti: vendevano ai macellai d’Ischia Porto i capretti e gli agnellini da poco nati, carne molto ricercata nei giorni pasquali, il latte per tutte le contrade d’intorno e le saporitissime “caciotte” e ricotte. I giovani, invece, in un altro giorno particolare, la Domenica delle Palme, esprimevano tutta la loro gioia con grossi rami d’ulivo, che portavano in chiesa, agitandoli freneticamente. Momento atteso di grande euforia per i ragazzi era il giorno di Pasqua quando si giocava a “tozzatozza” con le uova, fatte diventare magistralmente rosse dalle proprie madri, mediante la “rova” (Rubia peregrina) la cui tintura è innocua, un’erba che si trova sulle zone collinari e lungo i sentieri. Primavera/Estate - In questo periodo la campagna era tutta un susseguirsi di colori: predominava dappertutto il verde, ma qua e là comparivano macchie gialle di ginestre e rose di “cannocchiare” (Valeriana rossa). Molti appezzamenti di terreno erano coperti da un biondo dorato: erano le colture di orzo e quelle di grano, del tipo “carusella”, che veniva preferito per la lavorazione della paglia. Lo stelo molto lungo, alto, flessibile ben si adattava alla lavorazione dei famosi “cordoncini” che poi venivano venduti alle donne di Lacco Ameno. Ecco perché qui il grano non veniva mietuto, ma estirpato e privato delle radici sul posto, a grandi fasci veniva sistemato in ambienti adatti e successivamente “scelto” da tutta la famiglia ed il vicinato, che trovavano in questo momento uno spazio per il racconto di favole. La “scelta” consisteva nel raccogliere tanti steli con le spighe, fino a formare un lungo fascetto, La Rassegna d’Ischia 1/2009 35 magistralmente legato al collo, alla metà ed alla estremità; le spighe venivano pestate ed il fascetto, insieme agli altri, veniva venduto. Era il periodo anche della raccolta dei legumi; questi venivano estirpati e portati presso le proprie abitazioni dove, una volta ben essiccati al sole, venivano battuti con bastoni e fatti “ariare” (servendosi del soffio del vento la paglia maciullata volava via ed i legumi cadevano sul lastrico). Le donne si dedicavano alla raccolta dei pomodori ed a sera a comporre i caratteristici “piennuli” (intreccio di ginestra con ciocche di pomodori) che venivano appesi e conservati per l’inverno; a preparare anche salsa concentrata, ottenuta mediante l’essiccazione di pomodori spaccati e poi dal relativo sugo versati in tanti recipienti ed esposti ai raggi del sole. Intanto gli uomini nei campi provvedevano a sfoltire i filari delle viti dai pampini che coprivano i grappoli o a legarli (putarella). Seguiva poi l’operazione più fastidiosa per il contadino: l’inzolfatura dei grappoli d’uva che s’avviava alla maturazione, per prevenire la malattia “e zuffero”. Si “scorreva” anche il terreno per rinfrescarlo e per mantenere il vigneto libero da erbe infestanti. Era questo anche il periodo in cui il proprietario terriero raccoglieva il frutto di tutto il suo lavoro dell’anno precedente: nel suo cellaio gli faceva visita il “sensale” per valutare la qualità del suo vino e stabilirne il prezzo “a botte” (litri 528). La bevuta di un bel bicchiere di vino ed una stretta di mano sancivano l’accordo. Tranne imprevisti, dopo qualche settimana in quella cantina c’era grande festa: si spillava “u vuttone” (contenitore cilindrico, panciuto nel mezzo, a doghe e cerchiato di ferro dalla capacità di 5 o 6 botti) e da esso usciva tanto vino da riempire barili e barili che, a groppa di muli, venivano trasportati e sistemati sulla “carretta”, che li portava giù ad Ischia Porto. In questo periodo, poiché le giornate erano più lunghe, venivano ben sfruttate ai fini dello svago di allora: i ragazzi davano sfogo alla loro vivacità con i giochi del “cerchio”, dello “strummolo” (trottola), della “carruzzella” (piccolo traino dalle ruota di legno) o al gioco furtivo delle carte di formato piccolo. Le ragazze praticavano il gioco della “campana” e della palla al muro. Quelle più grandi ed emancipate dovevano attendere la domenica o qualche altra festa per fare sfoggio dei loro vestiti e mostrare la loro bellezza, molto unica in queste zone, lungo le brevi strade del paese o nella Chiesa (unico punto d’incontro comunitario). Per il bagno al mare si andava ai Maronti, a piedi. Quelli di Fontana scendevano dal ponte di Noia, lungo il Casale, attraversando la “scarrupata”, “i pizzi bianchi” ed il pericoloso pendio “astritto” fino ad arrivare all’imboccatura della Cava Scura. Quelli di Serrara scendevano lungo i sentieri scoscesi della “Jesca”, fino ad arrivare anch’essi all’imboccatura della suddetta Cava. Era quella una dolce, fresca, sospirata e faticosa avventura! Gli anziani, invece, a sera, si ritrovavano nelle sparute bettole della zona. Lì essi discutevano sui problemi delle varie colture, con scambi di idee e consigli mentre, seduti 36 La Rassegna d’Ischia 1/2009 Il gioco dello "strummolo": trottola di forma conica con un ferruzzo piramidale in cima, che si faceva girare avvolgendolo prima con una cordicella e poi gettandolo con agilità e destrezza; poi, senza turbare il suo moto di rotazione, lo si raccoglieva tra l'anulare e il medio, passandolo nella palma della mano (foto in Usi e costumi di Napoli e dintorni, a cura di F. Bourcard). a tavolino, in quattro, si accanivano a lunghe giocate a carte, specialmente “al tresette” o alla “briscola” tutto accompagnato dal piacere di un bel litro di vino, servito di partita in partita. Alle ore 23 si chiudeva e tutti a letto! Estate/Autunno - All’inizio dell’autunno, tutta l’attenzione del contadino di queste zone montuose dell’Isola si concentrava sulla vendemmia. Ognuno provvedeva a procurarsi ginestra secca per le famose “fucate dei palmenti”, ad aggiustare tini e botti, a fornirsi di “scopette” di “murtella” (mirto), di calce viva, nitro e lucerne nuove. Le cantine venivano messe tutte a nuovo ed ai primi di ottobre, su quelle contrade, era veramente festa, festa di vendemmia. Lungo le strade c’era un trotterellare di muli e di asini che trasportavano uva col “tavuto” alle cantine, così pure giovani baldanzosi e bellissime ragazze trasportavano, gli uni sulle spalle, le altre in testa, tini colmi di uva. Si udivano voci gioiose dappertutto, specialmente lungo i bassi filari delle viti. Gli esperti nella lavorazione del vino, presenti in ogni famiglia, si mettevano in cantina e servendosi soltanto delle “caulare” (caldaie) producevano il famoso vino “sorriso” o “l’acinata” o il “vino cotto” o la “mostarda”. La vendemmia, compresa la “cernuta” delle “arille” (vinaccioli) durava circa un mese, dopo, verso novembre si cominciava già a zappare per la semina delle fave e dei piselli. Altro rito in questo periodo era l’uccisione del maiale da parte di quelle famiglie che avevano la possibilità di allevarlo e di accudirlo. Si usava fare, allora, il lardo, la sugna, “capicolli” e salsicce affumicate; altra carne, non essendoci i congelatori, veniva conservata nelle “giare” sotto aceto. Si “scognavano” (abbacchiavano) le noci, si privavano del mallo e si essiccavano al sole, come delle “fosse” (buche rettangolari lunghe e profonde circa due metri e larghe mezzo metro) per la piantagione delle nuove viti del tipo “forastera “e “biancolella”. In questa stagione capitava spesso che piccoli e grandi andavano ad osservare, dopo le prime abbondanti piogge, il grosso “lavone “ alla Cavonera di Fontana: esso sembrava un vero torrente che, proveniente dalle alture del monte Epomeo, trascinava a mare ogni cosa, massi enormi, ceppi, rami e legnami di castagno, con un frastuono assordante. La vendemmia (Foto di Bettina, Ischia, 1991) Trasporto del vino si faceva in estate per i fichi. Nelle selve si raccoglievano funghi, ma, soprattutto, castagne e chi le voleva più grosse andava alla Falanga. A sera conversando nei posti di ritrovo, ognuno ne traeva una bollita dalla tasca e la mangiava, come caramella. Nei campi si seminava “il pascone” (semi di lupini, favette, rape ecc.) che, cresciuto, veniva sotterrato e diventava un ottimo concime. Nel terreno venivano fatte delle “conche” per trattenere ed arginare la forza dilavante dell’acqua piovana. Seguiva lo scavo, con pala e piccone, Autunno/Inverno - L’inverno era la stagione più brutta per la gente di Serrara e di Fontana. La nebbia innanzitutto costituiva elemento fastidiosissimo per tutti, così pure il freddo. Per combatterlo, ognuno aveva in casa una specie di braciere: un secchio, una bacinella o qualche vecchia pentola; importante era che il fuoco fosse sempre “vivo” e la cenere calda, serviva anche per asciugare i panni. Intorno vi si riuniva tutta la famiglia, nelle lunghe serate, ed ognuno si dedicava a qualcosa: chi al ricamo, chi alla maglia e chi a “filare” la lana. In un angolo c’era anche qualche sparuto studente! Tutto alla luce del “lume a petrolio” (quando non c’era l’elettricità). Spesso in queste zone cadeva la neve e quando riusciva a coprire tutte le zolle era un vero spettacolo. Per i ragazzi era una festa. Accumulavano grosse palle di neve davanti all’entrata dei negozi, mettendone in difficoltà le relative aperture; realizzavano giganteschi pupazzi, mentre i grandi la spalavano dai tetti. Capitava anche che per alcuni giorni Fontana e Serrara rimanevano isolate. Il Natale poi riaddolciva tutti e portava ad ognuno una nuova speranza. La Chiesa parrocchiale era il punto di riferimento. Da lì partiva il Natale; lì c’era il Presepe e noi bambini lì davamo sfogo alla nostra fantasia. L’arrivo degli zampognari, poi, era qualcosa che ci estasiava, La Befana era poverissima. I suoi doni consistevano nella calza riempita di noci, fichi secchi, arance e qualche rarissima cioccolata. Il giro per le case col “Bambino”, insieme al Parroco, era seguito da tutti i ragazzi del paese. Essi, giunti nei pressi o nei cortili delle case da visitare, intonavano canti gioiosi a Gesù Bambino, in attesa che la proprietaria della casa, intenerita da “tanta fede genuina” li premiasse, gettando su di essi grossi vassoi ricolmi di nocciuole, noci, fichi secchi con le gustose “chiuppetelle” (fichi secchi spaccati e sovrapposti). Le nonne, intanto, ravvivando i bracieri, spargevano bucce di mandarino per rendere la casa più accogliente a “Gesù Bambino” che la visitava. Il gioco alla “fontana” con le “ nocelle”, praticato da piccoli e grandi, nei cortili e, quando pioveva, sotto i porticati, e quello della tombola nelle case, erano manifestazioni prettamente natalizie e, con esse, si concludeva il ciclo delle feste fino alla Candelora. Giovanni Antonio Mattera La Rassegna d’Ischia 1/2009 37 La Quercia Appariva improvvisamente da un angolo di strada un carico enorme di fascine da forno: un volume di frasche secche o di “pennicilli” (1) che quasi annullava la figura umana che lo reggeva. Nessuno aguzzava gli occhi per riconoscere l’uomo semisommerso da tanto gravame. Era Ciuaggiusèppe, Giovan Giuseppe, e basta. Senza possibilità d’errore. Chi altro avrebbe avuto l’ardire di sobbarcarsi a siffatto fardello? Avanzava lento, barcollando: non per il peso, ma per passo naturale. Tagliava di sbieco la piazza, dove bambini magri e laceri interrompevano per un attimo il gioco e alzavano la testa per guardarlo: perché lui era il re, il loro re, buono e forte; perché lui stava su, rompeva l’azzurro con le sue fascine - il pugno serrato all’aggancio dell’enorme fastello -, barca ondeggiante nell’immobile mare rovesciato ch’era il cielo. Davanti al forno scaricava, con tonfo secco. Pronto ad altro impegno. Amava molto i bambini, ricambiato. Talvolta tirava loro affettuosamente un orecchio, minacciando: “M’aggia mangià ‘na recchie” (2). * Il racconto La Quercia è risultato primo classificato al concorso "Il filo della memoria" ( Sant'Anastasia - Napoli). Nel 2008 Pasquale Balestriere ha partecipato con successo ai seguenti concorsi di poesia: - Vincitore ex aequo del Premio Rabelais (Offida- Ascoli Piceno) con la lirica Preludio. - 2° classificato al Premio Castello (Villafranca - Verona) con la lirica Il sogno di Itaca. - 2° classificato al premio Città di Quarrata (Quarrata - Pistoia) con la lirica Tramonto a Paestum. - Premio della Giuria al XIV Premio Il Golfo (La Spezia) con la raccolta Colloquio con la madre. - Finalista d'onore al premio Il Simposio (Buccino - Salerno) con la lirica Orfica. - Menzione di merito al Premio Borgognoni (Pistoia) con la lirica Tramonto a Paestum. - Segnalazione al Premio La poesia del 2008 (La Nuova Tribuna Letteraria - Abano Terme PD) con la lirica Orfica. 38 La Rassegna d’Ischia 1/2009 Racconto di Pasquale Balestriere * Giaceva ampio nel letto, ch’era pieno di lui. Da tempo, ormai. I muscoli distesi, dopo tanta fatica. Quieto. “Sto bbuone” (3) sempre rispondeva a chi chiedeva come si sentisse. Soffriva? e quanto? Era un mistero. Il corpo, certo, decadeva visibilmente. Normale, a novant’anni, con ottanta trascorsi a sgobbare. “ S’hadda fatecà” (4) era la sua consueta, soddisfatta e quasi gioiosa constatazione. Così, dopo aver svolta la sua attività giornaliera a servizio del forno, si trovava qualche altro impegno, come, ad esempio, attingere acqua ad una fonte lontana e trasportarla, per un modesto compenso, a casa di chi ne faceva richiesta; o svolgere funzioni di crocifero durante i funerali e le feste religiose. Raccontava spesso di quando, avendo svolta la solita mansione di crocifero a un funerale e dopo aver accompagnato il feretro al cimitero, il figlio del morto si era rifiutato di riconoscergli il consueto, modesto obolo. “Mòllete” (5) , gli aveva detto Giovan Giuseppe, mostrando la destra e sfiorando tra loro il pollice e l’indice: ma quello non se ne dava per inteso. Dopo aver rinnovato due o tre volte l’invito, ricevuti altrettanti irridenti dinieghi, il nostro crocifero mulinò i suoi pugni pesanti come mazze e per Puorche jènche (6) - così era soprannominato lo sventurato insolvente - il cielo si fece improvvisamente buio e stellato. Per sua fortuna si trovavano da quelle parti un paio di carabinieri che, aiutati da altre persone, a stento riuscirono a frenare l’esplosione di tanta vitalità e a salvare il malcapitato. “Tenìtele quatte ca cinche nce pòtene” (7) urlavano i 1) Piccoli fasci di tralci di vite. 2) Devo mangiarmi un orecchio 3) Sto bene. 4) Si deve lavorare. 5) Deciditi; sbrigati. 6) Porco bianco. E’ il soprannome del tizio. 7) Tenetelo fermo in quattro, ché cinque carabinieri, cercando di immobilizzare Giovan Giuseppe. Il quale, con questa citazione chiudeva il racconto. Più volte la morte era passata, inesorabile, nella casa di via Ritola, cogliendo a piene mani: Gioacchino, il cognato, Agnese e Orsola, le sorelle. Restava lui. Resisteva, sordo a ogni malattia, ferocemente attaccato alla vita: una quercia con radici tenaci. Per male che stesse, a chi gli chiedeva come si sentisse, continuava a rispondere immancabilmente “Sto bbuone”, quasi che la somma dei suoi malanni fosse un affare altrui. Aveva perso il colore della salute e della fatica, ingentilita ormai la pelle, candida come le lenzuola. Ed erano poi giunte le apnee. Talvolta asseriva di essere morto durante la sua fanciullezza. E a chi sgranava gli occhi, raccontava placidamente che, dopo le esequie in chiesa, egli sulla Valle di Barano si era risvegliato nella bara, portata a spalla dai compaesani, come una volta s’usava. Qualcuno, sempre, gli chiedeva cosa allora avesse fatto: lui, serio, batteva due volte al suolo quella pala di remo ch’era la pianta del suo piede. Così fu deposta a terra la bara, e aperta, con paura e speranza. E lui, alzatosi, se ne tornò a casa. Ormai non parlava più. Il corpo, piagato, lasciava intuire un’ inespressa sofferenza. Ma cosa mai poteva rappresentare il dolore per chi aveva sofferto e lavorato pesantemente per tutta la vita? Normalità, niente di più. Maria, dal ballatoio, parlava di Giovan Giuseppe con la vicina Rosa : ”Questa notte zizìo (8) ci ha fatto spaventare: non ha respirato per qualche non ce la fanno. L’espressione è paradossale, ma va intesa, forse, nel senso che in quattro si poteva, per mancanza di spazio, operare meglio che in cinque; oppure si devono invertire i numeri. 8) Forma affettuosa per “zio”. minuto. Un tempo interminabile. Siamo stati lì lì per venire a chiedervi aiuto.” Erano venuti i nipoti, tutti, a rivedere il gran vecchio, a salutarlo, ad aiutarlo. A turno, secondo le ferree norme del lavoro e della vita moderna. Poi si sarebbero trovati tutti insieme. Alla fine. A mano a mano che avanzavano gli anni, era stato liberato da ogni sorta di lavoro. Così egli riempiva la giornata mettendosi a completa disposizione degli altri e accorrendo dovunque venisse chiamato. Non trascurava mai di visitare, quotidianamente, i malati del paese. “N’amma vulé bbène quanne simme vive” (9) ripeteva spesso, soprattutto quando qualcuno lo ringraziava per un aiuto ricevuto. E, talvolta, autocompiacendosi: “Quante more i’, me chiàgnene pure ‘e pprète ‘a vie” (10). Le apnee diventavano sempre più lunghe e frequenti. Ne riemergeva con un rantolo sempre più profondo e spossato. Gli occhi erano fissi da qualche parte, verso l’alto. Immobili, ma vivi. Ancora nelle vene gli danzava la vita, ma lenta e sommessa. I giorni - albe, 9) Dobbiamo volerci bene quando siamo vivi. 10) Quando morirò io, mi piangeranno anche i sassi della strada. La lettera Ho ricevuto la tua lettera a febbraio un mese che ricordo molto freddo, per quei raggi pallidi incapaci di calore, per quelle ombre prive di riverbero che, senza tempo, rubano il futuro. L’ho letta con il batticuore. Più del contenuto ricordo la forte trepidazione. L’ho richiusa e posata nella borsa che porto con me nel fine settimana insieme alle tante cose inutili e alle tante cose importanti che non riesco a discernere e lascio in una sorta di sospensione. Stasera finalmente sono riuscito ad aprirla e a leggerla tutta. Ho pensato di condividerla con quanti si imbatteranno in questi elementi grafici che uniti perdono la loro singolarità e da segni dell’alfabeto diventano prima parole e, poi, espressione e pensiero. Nella vita noi non scegliamo i nostri compagni di viaggio. Alcuni ci sfiorano senza lasciare traccia, altri li lasciamo con piacere, altri ancora spartiscono piacevolmente un po’ del nostro tempo. Con certuni condividiamo brandelli importanti della nostra vita: per questo ci appartengono e noi apparteniamo a loro. A questi ultimi facciamo fatica a perdonare la scomparsa. *** Mi scrivi che mi vuoi ancora bene. Io, invece, spesso non riesco a volermene e chi non si vuole bene non può volere bene. Il mio corpo è un estraneo e, spesso, sento di non volerlo sentire. Claudicante, affannato, deforme tiene prigioniero il mio cervello e con esso il pensiero che non vuole adeguarsi ai limiti delle nuove condizioni. Poi come lettere dell’alfabeto che si perdono nelle parole e parole che si perdono in proposizioni cerco il senso oltre il contingente: trovare le ragioni di questo percorso incerto, sfuggire al senso di abbandono, evitare di sciupare il tempo che rimane. In fondo un disegno si può veramente ammirare solo quando è completo e il mio non è ancora completo. Per ora ci sono tante ombre ma anche tanti punti di luce. Mi sento fortunato per i tanti che mi vogliono bene, come te, e, mattini, mezzogiorni, pomeriggi, sere e le notti trascorrevano lentamente, si avvicendavano con dolcezza. Poi arrivò un’altra apnea. La più lunga. Interminata. Così se n’andò Ciuaggiusèppe, il saggio, il re dei fanciulli. Ciuaggiusèppe, la quercia. Ancora oggi quei bimbi dai capelli ormai bianchi, talvolta, cercano nella piazza, alzando la testa, la sua sagoma d’Atlante, acquartierata in un lembo d’azzurro, e il suo volto, con il consueto pacifico sorriso. Pasquale Balestriere per mariarosaria ancora di più, per i tanti che ho la possibilità di poter voler bene e che riempiono la mia vita. Sì, la vera fortuna non è essere amati ma avere tante persone da amare. Il dolore più forte è quando una persona che ha condiviso con noi tanto non c’è più. Spesso ci sembra di sentire il suono della sua voce o di riconoscere il suo volto tra i mille che affollano le nostre strade. Abbiamo ben impresso il suo sorriso timido e discreto, lo sguardo corrucciato, quei ripetuti e irritanti modi di fare, l’accogliente generosità dei momenti di festa. Ci manca quell’abbraccio che per soggezione abbiamo limitato a pochi momenti che ora ci è sottratto per sempre. *** Mi chiedi di guarire non lo so se sia la cosa migliore o più importante. Questa malattia che mi porta a momenti di sconforto e talvolta di forte disperazione è capace anche di condurmi a momenti di serena riflessione. Il punto è riuscire a penetrare il mistero e il mistero mi ricorda che tutto quello che ho non mi appartiene e per vivere pienamente questo mio tempo devo considerarlo nel tempo. Sì, nessuno esiste senza un prima e senza un dopo eppure spesso non riesco ad inserire la mia storia in un prima ed in un dopo tanto da considerare il mio presente eterno. Spesso guardando negli occhi dei più giovani e più ribelli colgo i forti patimenti del presente fatti di solitudine e di abbandono. Non prefigurano un dopo sereno e spesso non lo prefigurano per niente. Mi sento inadeguato a contrastare una condanna collettiva fatta di un presente capace solo di rubare il futuro. Mi spavento. So che il mio impegno spesso è una testimonianza che non riesce ad arrivare oltre il mio pensiero e allora non mi resta che accarezzare i loro volti con un sorriso. Cara amica, le strade si dividono ma chi ha fatto un pezzo di strada insieme va oltre i rimpianti e si ritrova. Non è vero? Carmine Negro La Rassegna d’Ischia 1/2009 39 Rassegna LIBRI La bella Ischia illustrata da Christian Wilhelm Allers * descritta da Alexander Olinda ** Imagaenaria Edizioni Ischia, traduzione dal tedesco di Nicola Luongo, con varie illustrazioni, dicembre 2008. Una coppia di smaliziati viaggiatori, per due giorni, ci accompagna in un giro dell'isola d'Ischia: arrivo nella Casamicciola che porta ancora vistosi i segni del terremoto, tappe a Lacco Ameno e a Forio, ascesa al monte Epomeo a dorso d'asino e discesa a piedi da Fontana a Ischia, con visita come da prassi al Castello. È il più classico degli itinerari turistici e, per quanto elegante e godibile, non meno stereotipato è il resoconto che ne fa Alexander Olinda. Non dimentichiamo tuttavia che queste pagine - tratte da La Bella Napoli, cioè da quello che ancora oggi a pieno titolo possiamo considerare il più bel libro su Napoli e dintorni - sono soprattutto pagine d'arte. E a infrangere la convenzionalità del percorso e della narrazione sono appunto le illustrazioni di Allers, che sembrano uscire da un moderno sketchbook, piuttosto che da un carnet di viaggio ottocentesco. Disegni dal tratto vivace e leggero, frutto di una visione spontanea che riesce a cogliere l'essenza del luogo e trasmettere al fruitore il fascino della scoperta. Siamo nel 1892, a pochi anni dal disastro del 1883, che ancora mostra evidenti le sue rovine e il suo ricordo è sempre vivo tra gli abitanti, soprattutto di Casamicciola, ma non mancano le buone ragioni «per un soggiorno più lungo e un godimento più duraturo della ricca e bella natura». Il cielo e il mare risplendono nel blu terso e limpido e in carrozzella si parte per visitare «il favoloso, bel mondo dell'isola». Lacco Ameno è celebre per la festa * Christian Wilhelm Allers (Amburgo, 1857 - Karlsruhe, 1915), estroso illustratore e tra i maggiori litografi tedeschi del suo tempo, raggiunta la notorietà con la raccolta di stampe Club Eintracht (1888), si trasferisce a Capri dove vive per molti anni. Coinvolto nello scandalo Krupp e successivamente condannato in contumacia a quattro anni e mezzo di prigione, fugge dall’Italia e inizia a vagare per il mondo guadagnandosi da vivere come ritrattista di persone facoltose. Autore di raccolte di stampe e di libri illustrati, tre dei quali dedicati all’Italia (Capri, 1892; La Bella Napoli, 1893; Hochzeitsreise nach Italien, 1896), fu soprannominato “Il pittore di Bismarck” per i numerosi ritratti fatti al cancelliere tedesco e poi raccolti nel volume Unser Bismarck. Gedächtnis-Ausgabe (1898). ** Alexander Olinda (o Alexander Schmidt), professore di filosofia, ha pubblicato anche Freund Allers. Ein Künstlerleben (1894) 40 La Rassegna d’Ischia 1/2009 della sua Patrona, Santa Restituta, che apporta grande animazione nel paese, dove si riversano gli abitanti delle altre località isolane. A Forio attirano la Chiesa del Soccorso e il suo terrazzo, da dove si coglie una splendida vista panoramica. Il suo porto è il luogo d'imbarco del principale prodotto d'Ischia, il vino: «Qui ci sono martingale che imbarcano botti di vino, la cui destinazione è Genova. Il vino locale viene trasportato verso l'India Occidentale, la Colombia, il Venezuela e il Brasile». A Ischia non poteva mancare la visita al Castello, che appare abbandonato e destinato alla rovina. Eretto su una roccia di basalto verso la metà del quindicesimo secolo, fu abitato nel quarto decennio del sedicesimo secolo per qualche tempo da Vittoria Colonna, la bella vedova del Marchese di Pescara, amica di Ariosto e di Michelangelo Buonarroti. Poi fu adibito a luogo di reclusione per un periodo più o meno lungo. Ora tra le mattonelle di pietra spuntano erbacce e ortiche e sotto le desolate volte i passi dei visitatori riecheggiano cupi e spettrali . Dal villaggio di Fontana si sale all'Epomeo, dove si è accolti dall'eremita che si presenta come «un uomo dall'aspetto gioviale, con un grembiule corto e con le Lacco Ameno Allers a Capri gote rubiconde» e mostra ai suoi ospiti le celle scavate nella roccia e la chiesetta di San Nicola. Gli occhi «abbracciano tutta la configurazione del golfo: tutte le baie, le isole e le montagne. Sono visibili a Nord anche il golfo di Gaeta, i promontori e le punte degli Abruzzi. Un quadro d'insieme di una grandiosità e di una bellezza incantevoli, unico al mondo, e da cui è difficile distaccarsi. Ci si potrebbe deliziare per giorni nella vista di questo spettacolo». Ischia e Capri dipinte da Augustine Fitzgerald descritte da Sybil Fitzgerald * da Naples, Londra 1904 Imagaenaria Edizioni Ischia, traduzione dall’inglese di Raffaele Castagna, con varie illustrazioni, dicembre 2008. Paesaggi, case, giardini, donne e uomini scrutati nei volti e nelle abitudini sociali sono la materia prima di Ischia e Capri, tappe conclusive dell'affascinante reportage nella «terra della magnificenza e dell'orrore» di due sorelle di origine americana in vacanza nel Golfo di Napoli, nell'estate del 1903. Un racconto illustrato in cui, in una sorta di polifonia cromatica, si fondono notazioni sociologiche e stupore per la natura, scorci delle due isole e scene di vita quotidiana, il riverbero di bianche architetture assolate e l'arcaica gestualità delle donne del popolo. Pagine acute e nitide, frutto di una grande curiosità intellettuale e di una non comune abilità espressiva, che trasportano il lettore nei luoghi descritti e aprono la strada al moderno reportage. Sono passati venti anni dalla terribile catastrofe del terremoto del 28 luglio 1883, ma un miglior fato si va realizzando per l'isola d'Ischia: «Stanno sorgendo nuovi alberghi e le sue sorgenti sono miracolose come sempre. Se meno viaggiatori gaudenti trovano il modo di venire qui, c'è un coraggioso e cosmopolita gruppo che vi si incontra ogni estate, affrontando i pericoli vulcanici», anche perché «l'isola è completamente ed eccezionalmente bella, un po- * sto per fermarsi con delizia ed andare via con rammarico». È soprattutto l'aspetto naturale con i suoi vigneti, con la sua vegetazione, con i suoi paesaggi, a conferire all'isola il suo particolare fascino. Un fascino esotico: «I frutti crescono con selvatica rigogliosità. Pere, nespole, pesche, fichi e fichi d'India, le famose ciliegie di Casamicciola, crescono dappertutto liberamente. Tra i fiori i più comuni sono il ciclamino, il corbezzolo, le grandi violette riccamente profumate, e i fiori selvatici di montagna che crescono sui fianchi dell'Epomeo». * Augustine e Sybil Fitzgerald, oltre che di Naples (Londra, 1904), sono autrici anche di In the Track of the Moors: Sketches in Spain and Northern Africa (Londra, 1905). La Rassegna d’Ischia 1/2009 41 Colpisce la laboriosità degli isolani, intenti alla lavorazione della paglia, un'attività favorita ed incoraggiata da due benefiche donne napoletane, la signora Meuricoffre e la duchessa di Ravaschieri. Quelli che inizialmente potevano sembrare articoli inutili «finirono per trovare il modo di affermarsi in tutte le parti del mondo». La vita del contadino «possiede nel Sud un fascino davvero inseparabile dal paesaggio». Lo sguardo e l'attenzione delle due sorelle sono attratti dalle feste di S. Restituta e di S. Vito, ma più particolarmente dalla Corsa dell'Angelo, descritta nel suo svolgimento che avviene a Forio, un paese caratterizzato «da una larga distesa delle sue bianche torri e delle case che si disperdono nel mare dai retrostanti lontani pendii della montagna in cui le leggere nubi si fermano o fluttuano come un alito dal cratere sterile». Capri: «Sono le razze nordiche che gradualmente hanno colonizzato l'isola e lentamente, ma costantemente, hanno armonizzato la loro lingua e le loro caratteristiche con quelle del luogo». Fu dapprima l'effusione poetica del Caffè Pagano ad attirare nell'isola il flusso generale di turisti tedeschi, ma l'interesse crebbe con la scoperta della Grotta Azzurra da parte di Kopisch: «misteriosa nella sua storia, così come nell'effetto che produce in tanti visitatori». Ogni mattina piccole barche attendono l'arrivo del piroscafo da Napoli carico di turisti, per portarli alla Grotta Azzurra. Anche qui il cactus e l'aloe s'elevano dalla nuda terra; i giardini sono brillanti di fiori; l'azzurro convolvolo s'attacca sui tronchi degli alberi o fluttua sui muri; la regale menta nasce dalle macchie più petrose ed inonda l'aria di fragranza. Dal lago di Tiberiade al mare di Amalfi * Il viaggio apostolico di Andrea, il Primo Chiamato - Testimonianze, cronache e prospettive di ecumenismo nell’VIII Centenario della Traslazione delle Reliquie del Corpo (1208-2008) A cura di Michail Talalay Centro di Cultura e Storia Amalfitana - Arcidiocesi di Amalfi - Cava de’ Tirreni, 2008 °°° Per l’uscita di questo nuovo libro dedicato al Santo Patrono di Amalfi non si sarebbero potute auspicare circostanze più favorevoli: nel 2008, infatti, tutto il mondo cristiano ha celebrato gli ottocento anni della Traslazione delle Reliquie dell’Apostolo da Bisanzio in Italia. La permanenza delle Spoglie di S. Andrea nella cripta della cattedrale di Amalfi ha influito in maniera rilevante su molteplici aspetti della storia locale, a partire dall’assetto urbanistico in cui la cattedrale costituisce il fulcro della città fino alle ripercussioni sociali ed economiche: si pensi, ad esempio, alla forte crescita, negli ultimi anni, dei pellegrinaggi sulla tomba del Santo, soprattutto dai Paesi dell’Europa orientale, favoriti anche dal delinearsi, ai massimi livelli della Cristianità, di incoraggianti prospettive ecumeniche nel nome di Andrea. Eppure, nonostante il ruolo dell’apostolo Andrea che, per riprendere la bella immagine di Padre Blatinsky, è stato e rimane un ‘ponte’ fra l’Oriente e l’Occidente, non esisteva a tutt’oggi una pubblicazione specialistica in cui la Sua immagine sia stata presentata nei molteplici aspetti teologici, storici, artistici e cultuali. Il Centro di Cultura e Storia Amalfitana si è proposto di colmare questa lacuna, portando in tal modo il proprio contributo al programma dei festeggiamenti previsti per l’ottavo centenario della Traslazione. La pubblicazione del volume è stata stimolata anche dal fatto che negli ultimi anni Amalfi è divenuta il naturale luogo di incontri ecumenici e culturali dove studiosi di tutti i Paesi ed autorevoli esponenti di differenti confessioni religiose hanno ‘condiviso’ le proprie conoscenze 42 La Rassegna d’Ischia 1/2009 sull’Apostolo. Al primo incontro, avvenuto nel 2002, sono infatti seguiti quelli del 2004 e del 2007: si sono pertanto accumulati, negli archivi del Centro, materiali inediti di rilevante interesse scientifico che hanno costituito la struttura portante di questo volume. Esso si articola in cinque sezioni in cui, partendo dalla figura storica del Primo Chiamato, così come si configura nei testi evangelici, si dibattono le prospettive ecumeniche che nel suo nome si stanno delineando. La seconda sezione è incentrata sul significato teologico e politico delle traslazioni medievali e, in particolare, su quello delle reliquie di S. Andrea da Bisanzio ad Amalfi, nonché sul ‘prodigio’ della Manna, sulla rievocazione del Settimo Centenario della Traslazione e sulla figura del Papa Pio II che, anche attraverso i legami intessuti tra i Piccolomini e Amalfi, espresse la sua devozione al Santo in onore del quale fece edificare la chiesa di S. Andrea della Valle a Roma. Sul fondamentale ruolo dell’Apostolo nella storia della Cristianità si soffermano gli interessanti contributi raccolti nella terza sezione. Sant’Andrea, infatti, non è stato venerato solo in Russia e in molti altri Paesi ortodossi (Georgia, Romania, Grecia ecc.): è anche il Santo Patrono della Scozia e della Borgogna e, in alcune regioni d’Italia, quali la Puglia e la Toscana, gode di una speciale devozione. I nove saggi presentano un quadro compiuto, e per molti aspetti inedito, delle motivazioni storiche e religiose che hanno legato aree anche non omogenee al culto di Andrea, simbolo in ogni tempo dell’ecumenismo. La quarta sezione è dedicata alla iconografia del Primo Chiamato nell’Occidente cristiano, nella tradizione bi- Le catene dell’anima di Carmine Ferraro Gianni Iuculano Editore, Pavia, 2008 Le Catene dell’anima ci proietta in una realtà anomala, divisa in due distinti mondi. Nel primo si consuma la quotidianità, la concretezza di tutti i giorni, che circoscrive le nostre vite, mentre nel secondo si cela un irrazionale universo di supplizi e di dolore, che può prendere forma solo nelle nostre menti. Ma ci si accorge presto che tra i due mondi c’è un rapporto di rimandi e di collegamenti, l’uno è complementare dell’altro. Così come in un opaco specchio prende cupamente e astrattamente forma la realtà che gli si pone davanti, allo stesso modo un mondo risulta il riflesso dell’altro. L’autore, Cannine Ferraro, tesse ed evidenzia i due fili conduttori che avvolgono la duplice realtà: la voce narrante, ossia quella del protagonista Adam Shade, e l’orrore e la violenza che ambedue gli universi ostentano selvaggiamente. Ne segue un viaggio nella contorta psiche di un uomo incapace di accettare la vita e incredulo di fronte alle striscianti e infernali catene, che vede avvicinare ogni giorno di più a se stesso. Adam, sin dalle prime battute, si sente un inerme osservatore di una cruda verità; è soffocato dalla società moderna e non vede soluzioni. L’umanità è irrimediabilmente corrotta e Adam sente sulle sue spalle il peso dell’impotenza. «Sebbene un’intera parete sia bianca, lo sguardo cade e si focalizza sulla macchia nera; io non riuscivo a distogliere lo sguardo da quella macchia, volevo guardare il bianco, ma non ci riuscivo... e, per me, la parete intera era sporca». zantina e slava e nella Costa di Amalfi. In tale contesto si inseriscono due importanti contributi sull’assetto e sulle trasformazioni della cripta e della cattedrale e sul significato del ciclo di affreschi nella cripta in fase di restauro. L’edizione critica della “Translatio”, dei vespri bizantini e dell’inno acatisto, presentati con estremo rigore filologico completano degnamente il volume. Con il legittimo orgoglio di presentare l’opera, ringrazio tutti gli eminenti studiosi e gli autorevoli esponenti delle due Chiese che hanno messo a disposizione del Centro i risultati delle loro ricerche e, in particolare, don Stefano Caprio, per la traduzione della maggior parte dei testi slavi, e l’amico Michail Talalay che, facendo da ‘ponte’ fra Oriente ed Occidente, ha curato l’edizione del presente volume. Il nostro auspicio è che l’opera contribuisca a far meglio conoscere nel mondo l’immagine del Primo Chiamato e le prospettive ecumeniche legate al Suo ruolo ‘storico’ di testimonianza e di intermediazione religiosa e culturale. Ezio Falcone Presidente del Centro di Cultura e Storia Amalfitana L’unica soluzione è cercare una via di fuga dall’uomo e dalle sue leggi. Sembra quasi voglia aspirare ad una sorta di vita ascetica e stoica: una crescita ulteriore ottenuta tramite l’abbandono delle passioni e l’utilizzo della ragione. Eppure è saggiamente cosciente che non otterrà mai la felicità continua a pagina 49 La Rassegna d’Ischia 1/2009 43 Rassegna MOSTRE Fino al 19 gennaio 2009 Rauschenberg al Madre Robert Rauschenberg Le sue opere datate anni Settanta di Carmine Negro L’opera di Rauschenberg - «Alla fine degli anni Cinquanta, quando cominciavo appena ad avvicinarmi all’arte contemporanea, rimasi di sasso di fronte a un dipinto esposto al Museum of Modern Art. Faceva parte di una mostra intitolata «Sixteen Americans» e l’artista, il cui nome suonava vagamente familiare ma di cui non avevo mai visto le opere, era Robert Rauschenberg. Double Feature - così si chiamava il dipinto - era coperto da diversi strati apparentemente slegati di colore steso in maniera disordinata, in parte applicato con la tecnica del dripping tipica dell’Espressionismo Astratto, abbinati a una serie di insoliti elementi a collage: fotografie prese da riviste, lettere stampinate, un segmento di un ombrello appiattito, parte di una camicia da uomo con tanto di taschino, oggetti che mantenevano forti tracce della loro precedente esistenza nel mondo reale pur riuscendo a sembrare perfettamente a proprio agio nell’ opera. Guardandomi intorno per essere certo che nessuno mi stesse 44 La Rassegna d’Ischia 1/2009 osservando, tirai fuori un quarto di dollaro dalla mia tasca e lo infilai in quella della camicia nel dipinto. Era un gesto sciocco, ma dopo averlo fatto mi sentii bene. Avevo creato un legame con qualcosa che, per ragioni che non sospettavo neppure, avrebbe acquistato nella mia vita un’importanza sempre maggiore. Secondo Marcel Duchamp l’atto creativo è bipolare poiché necessita non solo dell’artista che lo mette in opera ma anche dell’osservatore che lo interpreta e così facendo lo completa. In quello spirito, negli ultimi quarant’anni ho avuto l’ambizione di occuparmi di arte contemporanea non come critico o giudice ma come partecipante». Così scrive Calvin Tomkins in “Mi avvicinai alla sua arte con un quarto di dollaro” (1). Robert Rauschenberg, il cui vero nome è Milton Ernest Rauschenberg, nasce il 22 ottobre 1925 a Port Arthur, nel Texas nipote di un berlinese e di una indiana Cherokee. Nel 1943, per volontà dei genitori, si iscrive alla facoltà di farmacia, che abbandona lo stesso anno. Richiamato alle armi, viene arruolato in Marina e assegnato a un ospedale militare a San Diego; una volta congedato, nel 1947 comincia a frequentare i corsi dell’Istituto d’Arte di Kansas City. In autunno parte per l’Europa per studiare a Parigi e si iscrive all’Académie Julian dove conosce l’artista Susan Weil, che diventerà sua moglie. Dopo un anno ritorna negli Stati Uniti e si iscrive al Black Mountain College, nel North Carolina, attratto dal rigoroso approccio all’arte di Josef Albers (2), già docente al Bauhaus da cui apprende certo l’impianto spaziale rigoroso che sarà evidente nelle sue opere dalle «White Paintings» in poi. La vicenda di Robert Rauschenberg è quella dell’arte statunitense sposata all’arte europea; storia di un grandissimo inventore ma nello stesso tempo di un altrettanto grande mediatore fra tradizioni diverse. L’esperienza dell’artista si sviluppa inizialmente sulle due rive dell’Atlantico, da una parte Parigi e il successivo ritorno negli Stati Uniti. Nel 1953 è a Roma, dove conosce Alberto Burri, le cui opere aveva probabilmente conosciuto in precedenza e che gli suggerirà un modo diverso di costruire lo spazio della pittura. Burri nel 1950 è impegnato a realizzare opere materiche («Muffe» 1951, «Sacchi» 1952); tutto questo deve avere inciso sulle scelte polimateriche dell’americano. Così proprio in quell’anno si fa dare da De Kooning, uno dei massimi esponenti dell’espressionismo astratto, un disegno e simbolicamente lo cancella, dice, per utilizzare la matita dall’altro lato, quello della gomma. L’opera di Marcel Duchamp, l’idea che ogni oggetto tratto fuori dal contesto possa diventare arte lo colpisce, ma Rauschenberg ha altri percorsi, quelli del lungo dialogo con la fotografia delle avanguardie, o la «scelta di nobilitare ciò che è ordinario; non voglio fare emergere la mia personalità ma voglio che i miei quadri riflettano la vita». Negli Anni ‘50 è lui il pittore più rivoluzionario gettando un ponte fra un lontano Dada tutto inneggiante alla libertà della creatività e un dialogo Rauschenberg - Bed diretto sul reale. Tra i capolavori di quel periodo: «Bed» (1955): un letto vero, cuscino e coperta colorata, colature, interventi forti; dentro c’ è il ricordo della madre intenta al ricamo (3). Anche nelle opere che seguono Rauschenberg esplora il proprio mondo artistico non limitandosi alla sola pittura. All’interno delle sue composizioni introduce elementi materici, oggetti, addirittura animali impagliati, operando una fusione fra questi e la pittura alla quale non rinuncia mai. Il nome che l’artista dà alla sua personale unione fra oggetti, cose materiali, quotidiane, e pittura è combingpaintings, ossia pitture combinate. Nel 1958 Rauschenberg realizza i primi disegni con immagini trasferite da riviste o giornali. Trascorre due anni illustrando con questa tecnica l’Inferno di Dante, inserendo così il poema in un contesto contemporaneo. Nel 1962 comincia a servirsi di matrici serigrafiche, dopo aver visitato lo studio di Andy Warhol e aver visto i primi quadri che egli stava realizzando con questa tecnica. Nel 1964, vince il Gran premio internazionale di pittura alla XXXII Biennale di Venezia. In questi anni Rauschenberg comincia a interessarsi a problemi politici e sociali: partecipa a iniziative pacifiste contro l’intervento americano in Vietnam, collabora con associazioni per i diritti umani e dona parte dei suoi guadagni per aiutare artisti in difficoltà. Nel 1966 acquista un vecchio orfanotrofio e lo trasforma nel suo studio di New York. Nel 1969, affascinato dallo sbarco dell’uomo sulla luna, crea la serie di litografie Stoned Moon Series, servendosi di materiale fotografico fornitogli dalla NASA. Nel 1970 l’artista crea il poster per le celebrazioni del Primo Giorno della Terra per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle emergenze ambientali. Lo stesso anno decide di lasciare New York e stabilisce la sua residenza e lo studio principale nell’isola di Captiva, al largo della Florida. Qui la sua arte subisce una svolta importante: inizia a lavorare a Cardboards, la prima di varie serie prevalentemente astratte, come Venetians e Jammers. Avvia collaborazioni con vari scrittori e poeti, come il francese Alain Robbe-Grillet, il russo Andrei Voznesensky o l’americano William Burroughs, illustrando le loro opere con litografie in edizioni limitate. Il richiamo di altre culture lo porta negli anni Settanta in India e negli anni Ottanta in Cina, Giappone, Thailandia, Sri Lanka, nel corso dei quali sperimenterà la fusione di tecniche artistiche antiche e moderne. Il suo impegno è poliedrico. Nel 1990 nasce la Robert Rauschenberg Foundation, un’organizzazione non-profit che si occupa di temi cari all’artista, come la ricerca medica, l’educazione, l’ambiente, i senzatetto, la fame nel mondo e le arti. Nel 1991, a conclusione del Rauschenberg Overseas Culture Interchange, espone a Washington le opere realizzate nell’ambito del progetto. Nel 1997 il Guggenheim Museum di New York presenta la retrospettiva più importante dedicata all’artista Il rapporto con Napoli - Nel corso degli anni il suo rapporto con Napoli è stato spesso intenso. Nel 1986 espone a Napoli in una personale nella galleria di Lucio Amelio, e la sua opera West go ho (Glut) entra a far parte della collezione Terrae Motus. Sempre nel 1986 trovandosi a Napoli per assistere alla prima dello spettacolo di Trisha Brown, Lateral Pass, al Teatro San Carlo, poiché la nave che avrebbe dovuto portare le scenografie ed i costumi studiati da Nancy Graves era bloccata nel porto di Genova, l’artista realizzò in tre giorni una scenografia provvisoria, fatta di materiale di recupero di metallo e stoffa, da appendere sopra il palcoscenico. Trisha Brown ha raccontato nel saggio dedicato a Rauschenberg di «un lavandino stritolato che ebbe il suo momento di gloria sul palcoscenico con un proiettore puntato sul buco di scolo». Mobile Cluster Glut [Neapolitan] (4), costituita dall’assemblaggio di un lavandino da ristorante e una porzione di bicicletta raccolti nelle discariche di Napoli, è parte di quella scenografia. Entrata presto a fare parte della serie dei Gluts, l’opera fu esposta nel 1987 nella galleria napoletana di Lucio Amelio. Sempre a Napoli a Piazza Plebiscito dal 24 aprile al La Rassegna d’Ischia 1/2009 45 24 settembre Rauschenberg presenta nell’ambito della Bandiere di Maggio 1999: “TRIBUTE 21”, per onorare il contributo dell’arte e della cultura al XXI secolo. «La mia convinzione, fondata sull’esperienza delle mie varie e numerose collaborazioni in tutto il mondo, mi dice che da un contatto fra due persone attraverso l’arte scaturiscono potenti energie pacificatrici, ritengo che sia questo il modo più efficace per chiunque di condividere informazioni comuni e particolari, nel desiderio di condurci verso la creazione di una reciproca comprensione per il beneficio di tutti». Per Cicelyn, titolando “tribute” l’esposizione, l’artista evoca il senso di responsabilità della creazione che produce ricchezza e insieme il tributum che ciascuno deve alla comunità in cui vive. Si iscrive nella parola latina il gesto di “Tribute 21”. Tributum è la prestazione che il cittadino dell’antica Roma elargiva allo Stato secondo il proprio censo e che veniva prelevato per tribù. Medici, politici, architetti, registi, musicisti e quant’altri sono qui convocati a rappresentare ciascuno la propria “tribù”, o se si preferisce la famiglia culturale da cui il testimone eccellente proviene. Non sarà l’atto della presentazione a proclamare la gloria di alcuni e non di altri, perché l’esposizione delle bandiere in piazza del Plebiscito a Napoli è la conferma del semplice onore della cittadinanza, e dunque di ciò che è già in comune con tutti. Ma la chiamata dell’artista esige anche una più precisa condizione: occorre appartenere profondamente La Mostra al Madre La mostra di Rauschenberg al Madre è stata inaugurata il 22 ottobre, giorno del suo compleanno, e si protrarrà sino al 19 gennaio 2009. Questa mostra arriva a Napoli, dopo Porto e dopo Monaco, portandoci la semplicità, la vivacità, la brillantezza e la genialità con cui l’artista era solito risolvere le questioni proprie della produzione pittorica e scultorea (6). Le opere, così come anticipa il titolo della mostra, hanno in comune l’essere state realizzate tutte tra il 1970 e il 1976 e il fare riferimento a viaggi; appartengono tuttavia a cinque serie distinte. La prima di queste si intitola “Cardboards”; dopo un fortunato periodo trascorso a New York l’autore si mise in viaggio alla ricerca di nuova ispirazione. Pare che lungo i suoi spostamenti un solo elemento si ripresentasse sempre costantemente: gli scatoli di cartone. «Non sono mai stato in un posto dove non ci fossero scatole di cartone… persino in Amazzonia» (Rauschenberg 1991). Da lì l’idea di utilizzare il cartone come materia prima: non un banale accessorio ma per la prima volta protagonista assoluto delle opere. Addirittura Rauschenberg - Mobile Cluster Glut 46 La Rassegna d’Ischia 1/2009 agli altri per guadagnare un nome, e solo per poi pagare il prezzo più alto allo Stato, che per Rauschenberg è l’umanità intera (5). vuole accentuarne i caratteri originari, come scritte e timbri, in un volontario richiamo al prospero capitalismo e al conseguente conformismo. La seconda serie, più orientata alla scultura, è invece ispirata a Venezia e alle sue atmosfere, tanto da essere intitolata “Venetians”. Rauschenberg era un assiduo frequentatore della Biennale e, attraverso materiali di produzione di massa e oggetti di scarto di uso domestico, è uno dei primi a fare della città la sua musa. I “Venetians” sono più scultorei rispetto ai precedenti “Cardboards” e meno astratti. Caratteristico è il riferimento all’immaginario veneziano che non è comunque puramente figurativo. Gli oggetti mantengono la loro indipendenza e identità e le analogie con l’aspetto della città sono soprattutto formali. Ad esempio l’osservatore trasforma mentalmente l’interno di un tubo rotto nel profilo di una gondola e un pezzo di legno nel remo di un gondoliere. (“Untitled [Venetian]”, 1973). Presente in mostra, l’opera “Sor Aqua”, (1973) fa riferimento al Cantico di Frate Sole di San Francesco d’Assisi, una delle prime opere della letteratura italiana. I quattro elementi formano due serie di fratelli: Fratello Sole e Sorella Luna, Fratello Fuoco e Sorella Acqua. Frate Sole è il simbolo dell’illuminazione attraverso Dio. Nel lavoro di Rauschenberg pezzi curvi di metallo sono appesi sopra una vasca da bagno piena e si riflettono nell’acqua come nuvole. Anche la luce incidentale si rispecchia nell’acqua. Fu creata nel 1973 e 1974 la serie “Early Egyptians”. Il cartone è ancora un volta il materiale dominante, anche se il modo in cui viene trattato in questo caso è del tutto diverso: le scatole di cartone non sono appiattite o tagliate, ma quasi sempre usate come elementi costruttivi in queste opere di grandi dimensioni. Rauschenberg - serie VII . 1978 - transfer a solvente, collage di tessuto e acrilico su tavola - cm 95x100 Rauschenberg, non senza una certa ironia, ricopre di colla le scatole di cartone e poi le fa rotolare nella sabbia o le avvolge nella garza come mummie. Dipingendo il retro delle scatole con inchiostro fosforescente crea un alone sul muro come se gli oggetti vi proiettassero ombre artificiali. «Le cospargo di un materiale speciale come se fosse colla. Poi le ricopro con due o tre strati di sabbia. Questo è così, quando pensi che siano scatole, ti sembrano pietre. Poi dopo aver pensato che sono pietre, torni alla prima impressione. Non sono pietre! Pensi di nuovo che siano scatole. Quest’ambiguità è quello che mi piace. Poi ne dipingo il retro in modo che riflettano il colore sui muri. Come pietre che si sono addormentate dentro a un arcobaleno». Il gruppo di opere “Early Egyptians”, a dispetto del nome, non è stato realizzato dopo un viaggio in Egitto. Ad ispirare l’artista furono bensì la lettura di libri e la visita al Louvre. Mentre i “Venetians” sono leggeri e quasi coreografici, gli “Early Egyptians” richiamano l’idea del peso anche quando ne sono privi. Rauschenberg crea un effetto monumentale e allo stesso tempo lo mina alla base. In questo modo le opere pongono l’osservatore di fronte al problema della caducità e della continuità. La serie degli “Hoarfrosts” fa riferimento all’Inferno di Dante che Rauschenberg aveva già illustrato negli anni ’50 con una serie di disegni che utilizzava la tecnica del transfer-drawing (Inferno, 1958/60). Accompagnato dal poeta Virgilio, Dante discende all’inferno, avvolto nella nebbia e nel gelo. L’inizio del XXIV canto indica: «quando la brina in su la terra assembra / l’imagine di sua sorella bianca». La tecnica consisteva nel trasferire immagini dai giornali su tessuti di tela, chiffon e seta. Rauschenberg aveva notato che la garza usata per pulire le lastre di pietra nella litografia manteneva tracce della carta da giornale. Usando un solvente che consente alle immagini di essere trasferite su tessuto, l’artista creò una serie di lavori su tessuto trasparente o semi-trasparente e trasferiva le immagini dai giornali su seta, cotone e chiffon. Nella maggior parte dei lavori diversi strati di tessuto stampato si sovrappongono, creando delicati palinsesti di grande profondità ed eleganza. All’inizio dominano i colori neutri, anche se vengono via via incorporati colori più brillanti. Gli “Hoarfrosts” parlano di disintegrazione e stati di suspense, di occultamento e di trasparenza, «presentando le immagini nell’ambiguità dell’improvviso immobilizzarsi nella messa a fuoco o del disciogliersi alla vista» (Rauschenberg). L’ultima serie di opere è quella intitolata “Jammers” ed è stata realizzata tra il 1975 e il 1976. Dopo un mese di lavoro in India, in un ashram di Ahmedabad, conquistato dai colori intensi utilizzati dagli abitanti per abbigliarsi, Rauschenberg, una volta ritornato a casa, eseguì una serie di opere che sono vere e proprie esplosioni di colore. «Non mi sono mai concesso il lusso di quei bei colori brillanti fino a quando non sono stato in India e ho visto la gente andare in giro avvolta in quei colori o trascinarli nel fango. Mi sono reso conto allora che non sono così artificiali». I tessuti utilizzati per queste opere sono di forma rettangolare, quadrata e triangolare e i loro colori sono luminosi e intensi. Pendono morbidamente dai muri o sono attaccati a canne di bambù come veli in uno stato di equilibrio etereo. .I “Jammers” richiamano alla mente le vele delle navi, le protezioni frangivento sulla spiaggia, il bucato appeso ad asciugare nell’Europa mediterranea e in Asia, gli stendardi medievali italiani o le bandiere dei monasteri tibetani. L’esotico viene accostato a tutto ciò che è vicino e familiare, il sacro al profano. Così come nel caso della serie veneziana, i “Jammers” mettono in mostra le duplici qualità del riferimento figurativo e dell’astrazione. Rauschenberg - Cardboards La Rassegna d’Ischia 1/2009 47 Rauschenberg - Jammers Rauschenberg - Hoarfrosts Le opere di Rauschenberg, di forte impatto scenico, sono intense, umane, complesse, stratificate, dense di cultura ed impongono una meditazione. Nel 2002 è colpito da ictus, ma continua lavorare. L’artista fra i più innovativi e influenti della sua generazione, figura chiave nei cambiamenti radicali che animano l’arte visiva americana, muore il 18 maggio 2008 in Florida, a quasi 83 anni d’età. Carmine Negro Le Catene dell'anima (segue da pagina 43) eterna: «Non cercavo la felicità perpetua, so che non esiste; la felicità è un sentimento precario, sfuggente, transitorio, momentaneo come tutte le altre sensazioni umane e per quanto l’uomo possa sforzarsi ed affannarsi per cercare di afferrarla, sfugge via come fosse acqua tra le mani di un assetato. Per quanto ne rimanga nei nostri palmi, non ne berremo mai abbastanza e quel tanto che ci è entrato in bocca pare poco o niente rispetto alla nostra inappagata sete. Io aspiravo semplicemente ad un equilibrio... ». Tale desiderio viene concretizzato nell’isolata città di Downfield, mentre cerca di quietare se stesso tramite una «moderata corrispondenza panica» con la natura. Ma proprio in tale luogo, quando il suo progetto sembra realizzarsi, delle inspiegabili morti nel paesino destano la quiete degli abitanti e trascinano Adam in un abisso senza ritorno. 48 La Rassegna d’Ischia 1/2009 1 Prefazione al volume «Robert Rauschenberg. Un ritratto» Johan & Levi Editore, 2008. 2 Rauschenberg, Catalogo Mostra a cura di Susan Davidson e David White. Ferrara Arte Editore, 2004 3 Rauschenberg, il classico dell’avanguardia, "Corriere della Sera", 14 maggio 2008 pagina 43. 4 Robert Rauschenberg, A Retrospective by Robert Rauschenberg, Ruth Fine, and Trisha Brown (Hardcover - Jun 27 2002). 5 Eduardo Cicelyn “Tribute 21. In nome degli altri” http://www. interviu.it/avvenime/1999/arte/arte4.htm 6 Mirta D’Argenzio, Robert Rauschenberg Travelling 1970/76, Catalogo Mostra, Electa Napoli. L’uomo è costretto a barcollare inconsapevolmente tra la sua vita e l’inferno di una donna, Marta. Non riesce a distinguere il confine che divide le due realtà e soggiace supinamente alla persecuzione dell’anima eternata. Anche Marta subisce la dannazione di questo mondo, dell’inferno da lei stessa creato, ma è disposta a sopportarla pur di realizzare la sua vendetta: deportare ogni essere vivente nell’oscuro universo nato dal suo odio. L’unica arma che brandisce Adam per affrontare la sua esistenza pare essere la ragione. Eppure anche questo ultimo baluardo crollerà a causa della surreale e sovrumana violenza che incontrerà nel mondo di Marta. Adam incolpa Dio, supplica Dio, in un rapporto ambiguo, in una miscela antitetica di rancore e speranza: non può crederci, non ci riesce minimamente, ma vorrebbe farlo come tanti altri. La conclusione è tutta da scoprire, inaspettata, in un susseguirsi a perdifiato di brutalità e colpi di scena. *** Il festival cinematografico a Procida Il Vento del Cinema di Michail Talalay Ogni bel posto in Italia deve avere un suo festival cinematografico – questo forse è stato il criterio del famoso critico di cinema Enrico Ghezzi quando ha ideato un nuovo forum presso la piccola isola partenopea di Procida. Ma - scherzi a parte - l’idea era molto originale: presentare un connubio tra la filosofia e il cinema con un motto corrispondente: «A chi pensa il cinema / [chi è pensato dal cinema?]». Come titolo dell’evento hanno scelto una bella immagine: Il Vento del Cinema, molto azzeccata per il Golfo di Napoli caratterizzato dai forti venti (l’ultima volta, quando a causa del maltempo stavano saltando i collegamenti con la terraferma, gli organizzatori hanno capito anche la verità ‘climatica’ del titolo). E quindi dal 2001, intorno alla domanda “A chi pensa ecc.” gli incontri vari raccolgono a Procida cineasti, studenti, artisti, giornalisti, critici, scrittori, musicisti (oltre naturalmente al pubblico), in una serie di free jam session non-stop. I discorsi sono accompagnati da un flusso di immagini che scorrono di continuo su uno schermo (spesso rushes storiche e spettacolari, come quelle di Sayat Nova del regista sovietico Sergej Paradžanov, un background preferito di Enrico Ghezi). Non mancano anteprime cinematografiche nazionali e internazionali, videoregistrazioni, rarità, performance di musica e immagini, proiezioni addirittura sulla nave, per confermare il titolo del festival. A me come abitante partenopeo di origine russa diverse volte da tempo è stato affidato il piacevole compito di accompagnare gli ospiti dell’Europa Orientale. Così ho partecipato al masterclass del regista lettone Herz Frank e al montaggio del suo documentario Venerdi Santo a Procida – un film che è diventato una specie del testimonial della creatività degli incontri procidani. Un’altra volta ho accompagnato un regista pietroburghese di fama internazionale, Aleksandr Sokurov – il suo ultimo film Il Sole è uscito con successo in Italia sullo schermo nazionale. Questo dicembre l’ospite dell’Est era un regista moscovita, Artur Aristakisjan, l’autore di due film molto discussi – I Palmi della mano e Un posto sulla Terra. Già apprezzati (o contestati) nei diversi paesi, ora questi film sono presentati al pubblico italiano in un cofanetto di DVD appena uscito. A Procida è venuto anche il producer italiano del regista russo, Stefano Curti. Il tema del festival quest’anno era l’incompiuto cinema come un metodo o forma di creatività e durante l’incontro con il pubblico Artur Aristakisjan ha espresso le sue idee sull’argomento. Per il regista una piacevolissima scoperta è stato il soprannome dell’isola – cioè L’isola di Arturo. Alla fine del festival gli organizzatori hanno regalato all’ospite il capolavoro di Elsa Morante. Incontri, dibattiti e proiezioni si sono susseguiti nelle sale del Cinema Procida Hall: Combat d’amour en songe (Pugna d’amore in sogno, Francia-Portogallo, 2000) Rossellini 77 a cura di Jacques Grandclaude (Italia-Francia, gennaiomaggio 1977): articolato attorno all’ultimo film di Rossellini (Le Centre Georges Pompidou, girato qualche mese prima della sua morte) il trittico Rossellini 77 è una sor- prendente immersione nel processo creativo del regista pensatore, figura emblematica del neorealismo. Riuniti e proposti per iniziativa di Jacques Grandclaude, ultimo produttore e compagno di viaggio del regista, i tre documenti c’invitano a gettare uno sguardo inedito sull’opera di uno dei cineasti maggiori del XX secolo. In Rossellini au travail, documentario di 40 minuti, troviamo preziose immagini, selezionate tra più di 20 ore di riprese, in cui Grandclaude riprende il processo di creazione del suo documentario consacrato al Centro Georges Pompidou. Le Centre Georges Pompidou, è l’ultimo film realizzato da Rossellini, girato in occasione dell’apertura al pubblico dell’edificio. Infine Le colloque de Cannes, documento di 16 minuti montato a partire da 6 ore di riprese, è la sintesi filmata del dibattito animato da Rossellini in parallelo alla sua presidenza della giuria del Festival di Cannes del 1977. Marathon – Enigma a Manhattan (Usa, 2002, b/n) di Amir Naderi con Sara Paul, Trevor Moore Vegas: Based on a True Story (Usa, 2008) di Amir Nader con Mark Greenfield, Alexis Hart, Nancy La Scala Cristóvão Colombo – O enigma (Cristoforo Colombo, l’enigma, Portogallo, 2007) di Manoel De Oliveira La Rassegna d’Ischia 1/2009 49 con Ricardo Trêpa, Leonor Baldaque, Manoel De Oliveira, Lourença Baldaque Carne de fieras (Spagna, 19361993) di Armand Guerra con Pablo Alvarez Rubio, Marlène Grey, Georges Marck, Tina de Jarque, Alfredo Corcuera El sur (Spagna, 1983) di Victor Erice con Omero Antonutti, Sonsoles Aranguren, Icíar Ballaín, Lola Cardona I palmi della mano (Ladoni, Russia, 1993), Un posto sulla terra (Mesto na zemle, Russia, 1994) di Artur Aristakisjan, Manhattan by Numbers (Usa, 1993) di Amir Naderi *** Artur Aristakisjan insieme con Michail Talalay (a sinistra) al Cinema Procida Hall Ad Arturo Carlo Quintavalle ed al Museo Nitsch di Napoli il Premio Ischia Prospettiva Arte 2008 È stato assegnato al prof. Arturo Carlo Quintavalle il Premio IPA per l’Arte 2008. Al Museo Nitsch di Napoli diretto dal dott. Giuseppe Morra è andato il Premio IPA 2008 per la sezione Istituzioni. Una borsa di studio al giovane studioso Alessandro Giardino. La cerimonia si è svolta sabato 13 dicembre 2008 nella Sala della Loggia di Castel Nuovo – Maschio Angioino (Piazza del Municipio - Napoli). I premi IPA 2008 sono rappresentati, come sempre, da una preziosa opera dell’artista napoletano Giuseppe Pirozzi, noto scultore docente all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Arturo Carlo Quintavalle (Parma, 1936) – Uno dei più importanti e noti protagonisti della storia e critica d’arte della scena internazionale -,insegna Storia dell’arte all’Università di Parma, dove ha fondato e dirige il Centro Studi e Archivio della Comunicazione (CSAC), la massima raccolta italiana di disegno progettuale, di fotografia, di fumetto, grafica e disegno di moda. Tra i più noti studiosi di storia dell’arte medievale, Quintavalle si interessa da decenni dei diversi aspetti della comunicazione visuale contemporanea, in special modo della fotografia, che ha contributo a diffondere anche attraverso importanti iniziative editoriali. Tra i suoi libri più noti si ricordano, per gli studi di storia dell’arte medievale: La Cattedrale di Modena (1964-65), Wiligelmo e la sua scuola (1967), Romanico padano, civiltà d’Occidente (1969). Altre sue importanti opere, dedicate ai diversi aspetti della storia dell’arte e della comunicazione, sono: L’opera completa del Correggio (1970), Il territorio della fotografia (1979). Curatore di importanti esposizioni, collabora con scritti di critica d’arte al “Corriere della sera” e al settimanale “Panorama”. 50 La Rassegna d’Ischia 1/2009 Il Museo Hermann Nitsch, diretto dal dott. Giuseppe Morra, è frutto dell’impegno profuso dalla Fondazione Morra nella produzione e nella trasmissione intergenerazionale della cultura contemporanea. Il Museo, sorto nel centro storico della città di Napoli, si propone come un importante luogo di proposte espositive, come uno spazio significativo di consumo ma anche di produzione di opere e di cultura della comunicazione e dell’arte contemporanee, caratterizzandosi in tal modo come un’esperienza di grande rilievo sul piano internazionale. Al giovane studioso d’arte Alessandro Giardino è stata assegnata la borsa di studio che l’associazione IPA/l’arte in contemporanea ha per la prima volta bandito in occasione della quarta edizione del Premio. La borsa, consistente nella cura di una esposizione d’arte – con relativo catalogo -, vuole essere una concreta opportunità di approfondimento e di esperienza offerta ad un giovane curatore che collaborerà, in tal modo, alla realizzazione del programma espositivo dell’associazione IPA. Precedenti edizioni: 2007: Gillo Dorfles (Docente Universitario - Critico – Saggista – Pittore) - Julia Draganovic (Direttore Artistico del Pan Palazzo delle Arti Napoli) 2006: Antonio Spinosa (Soprindentente Polo Museale di Napoli - Docente Universitario Storico dell’Arte) 2005: Moreno Bondi (Artista, docente Accademia Belle Arti di Roma). www.ischiaprospettivaarte.it Si è svolto dal 27 al 30 settembre 2008 a Taranto il 48° Convegno internazionale di studi sulla Magna Grecia, che aveva come tema Cuma e il Museo dei Campi Flegrei, con particolare riguardo alla monetazione e al periodo di fondazione della città, non più valido quello dell’ultimo quarto dell’VIII secolo, ma posto alla metà dello stesso, assieme all’isola d’Ischia. Importante è stata ritenuta a tal proposito l’attività degli scavi in iniziata nel 1993 attraverso il Progetto Kyme coordinato dalla Soprintendenza Archeologica di Napoli. I titoli dei giornali hanno riproposto Cuma come “la prima colonia in Italia”: « Cuma, la più antica colonia greca d’Occidente, al centro dell’attenzione e dell’interesse scientifico del XLVIII Convegno internazionale di studi della Magna Grecia». «Magna Grecia, si ricomincia dal principio, da Cuma (Kyme), la prima colonia (apoikia) greca sul territorio dell’odierna Italia (Sicilia inclusa) e nell’intero Occidente, dopo la tappa intermedia di Pithekoussai (Ischia), qualcosa di più di un emporion (scalo commerciale), qualcosa in meno di una polis (città). Si ricomincia da questo sperone roccioso campano dove Greci provenienti dall’Eubea, Calcidesi ed Eretriesi, insieme con altri che già si erano stabiliti ad Ischia, fondarono nel 740 a. C., ai margini con l’area di influenza etrusca e latina, una prospera colonia che visse di agricoltura, artigianato, traffici terrestri e marittimi, oltre ad essere scalo importantissimo per l’import-export di metalli dall’Etruria verso la Grecia. Si farà il punto anche sui culti, sulla diffusione dell’alfabeto (che passò ad Etruschi e Romani, ed è sostanzialmente il “nostro” alfabeto), sulla monetazione e sugli aspetti architettonici». «Il XLVIII Convegno si occuperà ad ampio spettro della colonizzazione in Occidente, partendo dalle discordie interne nell’Eubea, prima e dopo la fondazione di Pithekoussai, Kyme, Zancle (Messina) e Rhegion (Reggio Calabria), per affrontare il nodo di Pithekoussai e di Cuma e delle sue vicende: la popolazione indigena pre-ellenica, i rapporti fra la polis, gli Opici, gli Etruschi, la grande vittoria dei Greci d’Italia e Sicilia contro gli Etruschi, poi la conquista sannitica e quella romana». «Cuma è stata la prima colonia greca in Occidente. I Greci, infatti, si insediarono prima ad Ischia ma, a causa di problemi tra cui i terremoti, si dovettero trasferire sulla terraferma a Cuma. Il tema illustra il più importante insediamento della Magna Grecia ed il più lontano rispetto a Grecia ed Asia Minore. Cuma era infatti al confine col mondo etrusco-romano con cui i Greci avevano interessi di contatto» (prof. Attilio Stazio - Gazzetta del Mezzogiorno) «Pithecusae e Cuma all’alba della colonizzazione - Le recenti scoperte archeologiche di Cuma impongono di ripensare il rapporto tra la prima fondazione coloniale greca d’Occidente e Pithecusae. Il décalage cronologico tra le due “fondazioni” appare sempe più tenue, e la differenza fra le due appare sempre più come una diversità di funzioni. D’altro canto anche il rapporto con il mondo indigeno va visto in una nuova prospettiva, all’interno della quale è possibile immaginare la precoce istituzione di sodalizi tra élites greche ed élites locali. Il fenomeno documentato dalle fonti per i tempi di Aristodemo è probabimente molto più antico (Bruno d’Agostino)». La Rassegna d’Ischia 1/2009 51