Giovanni Tabacco Spiritualità e cultura nel Medioevo Dodici percorsi nei territori del potere e della Jede Liguori Editore Prodromi di edonismo elitario nell'età della riforma ecclesiastica * 1. Una volta accertato che Pier Damiani, il più severo fra i riformatori italiani e il più violento nella polemica contro le arti profane, fu in realtà il miglior testimone non solo della potenza della retorica nella difesa di una causa solenne, ma anche del culto della retorica come valore intuito e vissuto nella sua autonomia, siamo nella condizione più felice per penetrare in un mondo che, sotto l'apparenza di un dilemma schematico fra valori e disvalori, fu in verità travagliato da un conflitto fra valori diversi. Se percorriamo le molte pagine che cent'anni or sono Albert Dresdner dedicò alla Kultur- und Sittengeschichte der italienischen Geistlichkeit fra X e XI secolo (Breslau 1890), troviamo riccamente documentato questo travaglio, ma ciò avvenne in quella prospettiva per così dire manichea, che è suggerita dalle fonti, di gran lunga prevalenti, di parte riformatrice. È vero che il Dresdner si avvide degli eccessi presenti nella predicazione della riforma, che non sono soltanto di natura polemicamente retorica, poiché incidono anzi nel vivo del pensiero riformatore. Il clero cosiddetto concubinario era assai spesso un clero decorosamente ammogliato. Sappiamo dalla dotta relazione tenuta nel1976 a Spoleto da Cyrille Vogel, il compianto esperto di liturgia e di canoni, filologicamente severissimo e culturalmente spregiudi- . cato, quanto fossero varie e quanto poco fossero definite le forme in cui in Occidente si concepiva e si realizzava il matrimonio legittimo, • Cfr. TABACCO G., Pier Damianifra edonismo letterario e violenza ascetica, in «Quaderni medievali», 24 (dicembre 1987), pp. 6-23. 268 Spiritualità t cultura nel Medioevo fino all'XI secolo ed oltre', e ciò poteva forse agevolare ai sostenitori del celibato ecclesiastico l'accusa di concubinato mossa agli ammogliati, ma l'accusa era sostanzialmente fondata sul pregiudiziale principio della castità come esigenza imprescindibile per i ministri del culto", Giustamente dunque già il Dresdner aveva affermato che una consistente parte di quel clero italiano che era accusato di concubinato viveva in un matrimonio regolare (per quei tempi, possiamo ora precisare, ineccepibilmente regolare), e che con ciò molto perdeva del suo contenuto il rimprovero di immoralità'. Ma questa ammissione non toglie al complessivo quadro proposto dal Dresdner il carattere di una presentazione in bianco e nero. Il problema appariva, ed è apparso spesso fino ad oggi, un problema di moralità, o di una riforma tendenzialmente o decisamente istituzionale, fondata su un'esigenza di funzionamento etico-religioso. Dobbiamo tentare, dopo tante rimozioni di remore nel tempo nostro, di veder le cose in un orizzonte culturale più largo, pur senza rovesciare prospettive legittime, poiché un problema di funzionamento ecclesiastico effettivamente ci fu. Anche qui Pier Damiani è una fonte ricca e preziosa. La testimonianza che egli porta sul clero di Milano e di Torino e sull'ambiente stesso romano è importante. Nel1069, in un opuscolo «de laude flagellorum» indirizzato ai monaci di Montecassino", interpreta come di ispirazione diabolica la riluttanza che i destinatari manifestavano verso la flagellazione predicata da Pier Damiani nei cenobi come penitenza: «turpe nimis et inhonestum est ante tot fratrum intuentium oculos membra nudare»s. Eppure i monaci di Montecassino avevano accolto gli ammonimenti di Pier Damiani al I VOGEL C., Les rites de la célébration du mariage: leur signification dans la formation du lien durant le haut moym age, in Il matrimonio nella società altomedieuale [Settimane di studio del Centro italiano di studi sull'alto medioevo, 24], Spoleto 1977, I, pp. 397-472. Cfr. anche ROSSETTI G., Il matrimonio del clero nella società altomedieuale, ibid., pp. 473-567. 2 CAPITANI O., Storiografia e Riforma della Chiesa in Italia: Amolfo e Landolfo Seniore di Milano, in La storiografia altomedievale [Settimane cit., 17], Spoleto 1970, II, pp. 603 s. , DRESDNER A., Kultur- und Sittengeschichte der italienischen Geitstlichkeit im 10. und 11. Jahrhundert, Breslau 1890, p. 317. • Cfr. LUCCHESI G., Per una vita di san Pier Damiani. Componenti cronologiche e topografich«, II, in San Pier Damiano nel IX centenario della morte, II, Cesena 1972, or. 219, p. 123. • MIGNE, P.L. 145, op. 43, col. 680. Prodromi di edonismo elitario nell'età della riforma ecclesiastica 269 riguardo: «cum in initio salutaris huius observantiae unusquisque vestrum et disciplinam nudus acciperet et nuditatis ignominiam non timeret», Chi è intervenuto a dissuaderli? Da lui interrogati, i monaci hanno risposto che il defunto cardinale Stefano «hoc insugillando derisit»: aveva oltraggiato, schernendo, una simile pratica ascetica. Ma il cardinale Stefano era giovane, rileva Pier Damiani, e sebbene non privo di virtù, era altero: forse appunto per quello scherno era incorso in una morte repentina, punizione provvidenziale che, in quanto espiazione della colpa, liberava l'anima dalla necessità di un'espiazione ultraterrena". Per capire come Pier Damiani si spinga a una simile enormità di giudizio, occorre collocare l'asserzione temeraria nel consueto contesto scritturistico: schernire la nudità di quella penitenza sanguinosa significa oblio della nudità del Cristo spogliato e flagellato. Ma a noi qui interessa la reazione che il cardinale Stefano aveva dimostrata di fronte agli eccessi di Pier Damiani: con un alto senso del decoro. Una reazione che Pier Damiani inserisce in una visione a sua volta oltraggiosa di quella umanità più gentile. La schernisce: «tu lascivus, tu unctus, tu petulculus ac tenellus non vis thesaurum carnis tuae hominibus detegi-' E ricorre a detti del popolo per sottolineare il dileggio: «tu, sicut dicitur, filius gallinae albae, gaudes ornatus ac nitidulus apparere-", Vi era dunque nell'alto clero e nei monaci un modo affatto diverso di guardare alla vita, con un senso di moderazione che non era soltanto adattamento alla debolezza degli uomini, ma compiacimento di forme elitarie in conflitto con la violenza di certe tensioni spirituali: quella violenza che induceva Pier Damiani a perorare un'autoflagellazione illimitata, poiché (aveva scritto in altra lettera) «absurdum est ut, cuius rei pars minima grate suscipitur, maxima reprobetur, et nimis ineptum est credi ut bonum quid debeat incipi sed non pennittatur • 9 augen» . Altre volte Pier Damiani fu indotto a riconoscere, per diretta esperienza, certe alte qualità del dero ammogliato, nel momento stesso in cui inveiva contro illoro (com'egli diceva) concubinato. 6 Ibidem, col. 681. Ibidem, col. 683. • Ibidem, col. 684. 7 t P.L. 144, ep. VI, 27, col. 417, a. 1058. Cfr. LUCCHESI, op. cit., I, in Sail Pin" Damiano eit., I, Cesena 1972, nr. 128, pp. 121 s. 270 Spùitualità e cultura nel Medioevo Nell063 a Torino constatò", com'è noto, che il vescovo Cuniberto consentiva ai chierici, di qualunque ordine fossero, di unirsi a donne «velut iure matrimonii». Se ne adontò, ma nel tornare, in una lettera, sull'argomento, riconobbe che per altri rispetti quei chierici gli erano apparsi ammirevoli: «praesertim cum et ipsi clerici tui alias quidem satis honesti et litterarum studiis sint decenter instructi; qui dum ad me confluerent, tamquam chorus angelicus et velut conspicuus ecclesiae videbatur enitere senatus-", Naturalmente, quando ebbe conosciuto quale dilagante peste (pestis eluvies) si celasse sotto le belle apparenze, «protinus lux in caliginem et laetitia mihi vertitur in moerorem» e gli sovvenne il detto evangelico dei sepolcri imbiancati «quae foris apparent hominibus speciosa». Ma proprio questa splendida presenza esteriore, unita alla conveniente preparazione letteraria, rivela l'animo con cui il clero urbano interpretava la necessaria distinzione dal popolo: quella segregatio, quella libertas dalle opere «servili» del secolo, che Pier Damiani, continuando negli ammonimenti al vescovo, risolveva invece nella rigida osservanza della castità, nella rinunzia a vivere «in voluptatum suarum dulcedine» 12. Non dissimile dal clero urbano di Torino quello di Milano, salvo che il movimento patarinico gli aveva creato una situazione insostenibile. Quando Pier Damiani vi si era recato, nel 105913, si era preoccupato dei vizi carnali del clero, ma era stato soprattutto colpito dall'estensione della simonia: pressoché nessuno fra i chierici risultò «promotus ad ordinem sine pretio-". Era infatti «inevasibilis regula" di quella chiesa, «ut quicunque ad quemlibet ordinem vel etiam ad episcopatum consecrandus accederet, praefixum prius absque ulla controversia eanonem daret». Se non che appunto questa disposizione generale creava una sorta di tassa di ingresso nei vari ordini del clero, risanatrice della società ecclesiastica milanese dal IO Cfr. LUCCHESI, op. cit., II, nr. 177, pp. 49 S.; nr. 180, p. 54. P.L. 145, op. lS/II, col. 398 . .. Ibidem, coli. 398 S., 406 . .. Cfr. LUCCHESI, op. cit., I, nr. 145, pp. 145 s.; nr. 147, p. 150. P.L. 145, op. 5, col. 92. Quanto ai vizi carnali del clero milanese cfr. il rapido riferimento alla ..Nicolaitarum aeque abominabilem haeresim», ibidem, col. 97, e più ampiamente nella ep. V, 14, coil. 367 s. (lettera dell065 o 1066 ai capi della pataria: LUCCHESI, op. cit., I, nr. 142, p. 142). Il IO Prodromi di edonismo elitario nell'età della riforma ecclesiastica 271 disordine delle competizioni simoniache. «Genuinus orda», riconosce lo stesso Pier Damiani; anche se poi si corregge (ccimoinordinatus ordo») in base a una concezione teorica dell'ufficio ecclesiastico come servizio reso in umiltà e individuale povertà. Il clero milanese risultava reclutato da ceti più o meno agiati, e garantito nel suo benessere, ben strutturato gerarchicamente, consapevole delle sue prerogative e della sua elitaria distanza dai laici. Qui abbiamo l'ampia testimonianza delle cronache milanesi. È interessante leggere nei Gesta archiepiscoporum Mediolanensium di Arnolfo un'informazione sui giudizi espressi da Pier Damiani quando nel 1059 fu a Milano: nonostante l'orientamento severo dell'intervento romano, «verumtamen Hostiensis ille Petrus, congregata tunc Mediolani Ambrosiana synodo, ut vidit clericorum nobilium ordinem, personarum statum cultumque vestium, perpendit etiam morum probitates ac dispertita singulis competenter officia, testatus est ad verum, nusquam se talern vidisse clerum» [1. III, c. 14]. Arnolfo tende naturalmente a porre in rilievo ciò che fa onore all'alto clero milanese, a cui egli stesso appartiene, e non approva che Pier Damiani abbia poi imposto alla chiesa di Milano un «rude constitutum, abolito veteri», Si limita a riconoscere che effettivamente non di tutti quei chierici la condotta era irreprensibile: «ut enim caveatur mendatium, non ex toto fuerant omnes ab obiectis immunis» [ib.]. Ma che abbia inventato quell'impressione favorevole avuta in un primo tempo da Pier Damiani, è del tutto inverosimile, tanto più che risponde esattamente all'impressione che ebbe anni dopo a Torino quando incontrò Cuniberto. L'alto clero milanese era ordinato secondo schemi di vita lontani da orientamenti ascetici, ma si presentava come una élite dignitosa, esperta negli uffici esercitati, amante del decoro e certo anche delle gioie della vita, ed era quindi disorientato da quell'improvviso insorgere del popolo eccitato dalle invettive del diacono Arialdo e dell'eloquente capo patarino Landolfo contro la simonia e ogni rapporto sessuale dei chierici. Arialdo e Landolfo erano chierici, così come gli avversari. La frattura fra le diverse interpretazioni della vita ecclesiastica era dunque interna al clero, al ceto cioè culturalmente sensibile a contrastanti intuizioni della vita e dei suoi valori. La consueta contrapposizione fra i conservatori di una tradizione di rilassatezza e gli . 272 Spiritualità e cultura nel Medioevo innovatori (instauratori o restauratori di un ordine conforme all'insegnamento di Cristo) non è da respingere, ma dev'essere sfumata e reinterpretata. Gli uni e gli altri cercavano nelle Scritture, nei Padri e nei canoni un sostegno alle proprie posizioni"; ma indubbiamente i più impegnati nella ricerca delle ascendenze canonistiche furono i clerici nob iles , mentre i capi patarini (stando alla testimonianza del cronista Landolfo Seniore [1. III, c. 22]) ripetevano con san Paolo: «vetera transierunt et facta sunt omnia nova». Questa constatazione rischia però di offuscare le novità di segno opposto. Che i segni precorritori di un edonismo elitario, consentito da certe tradizioni indulgenti affioranti in più canoni, si possano far risalire ben più addietro rispetto all'XI secolo, è evidente a ehi pensi all' humanitas dei letterati di età carolingia, ma è proprio nell'età del movimento riformatore che essi divennero prodromi di tutto rilievo, all'interno del mondo ecclesiastico, di un orientamento elitario destinato per vie singolari a sfociare nella civiltà cortese dei secoli ulteriori, con i suoi aspetti antichiesastici. Senza la tradizione delle scuole monastiche e canonicali non si spiegherebbe, fra l'altro, quella celebrazione letteraria delle stirpi signorili che si trasferì poi nei centri signorili secolari e si associò ai primi sviluppi della poesia di corte di . Impronta cavalleresca.16 La più ampia testimonianza diretta della coscienza che il clero urbano aveva di sé è nella Historia Mediolanensis di Landolfo Seniore. La rievocazione che il cronista fa dei tempi di sant' Ambrogio, e della presunta ordinatio conferita dal santo alla città di Milano e alla sua diocesi, è tutta un inno insistente sul decoro, sull'armonia, sulla musica (vorganis, simphoniis, melodiis» [1. I, cc. 1,8; 1. II, c. 35]), sulla perizia nei canti e sulla dolcezza delle voci [1. I, cc. 8,13; 1. II, cc. 13,35], sulla nobiltà delle vesti e degli ornamenti [1. I, c. 2; 1. II, cc. 35-36]: un'età insomma, quella esemplare di Ambrogio, «integra, sana ac opibus universis habundans», «tempus habile, pacifìcum, iocundum, amoenum, caritativum atque salubre» [1. II, c. 36]. Era la bellezza serena di un mondo spiritualmente equilibrato, gerarchicamente disciplinato in forme umanissime, secondo il detto CAPITANI, Op. eit. (sopra, n. 2), pp. 610 s. Cfr. per la Germania BUMKE]., Mäzene im Mittelalter. Die GönnerundAuftraggeher der höfischen Literatur in Deutschland (1150-1300), München 1979, pp. 53 ss. 15 16 Prodromi di edonismo elitario nelt' età delta riforma ecclesiastica 273 dell'apostolo Pietro [I 5,2]: «Pascite qui in vobis est gregem Dei, providentes non coacte, sed spontanee secundum Deum» [l, I, c. 1]. Molte volte ritorna nella cronaca, come insegnamento fondamentale di Ambrogio, questo motivo della spontaneità «(Deus non vult coact a servitia» [1. I, c. 11; 1. III, cc. 5,9,12,26]) poiché tu non devi «fratrem tuum contristari neque prodere, pro quo Christus mortuus est» [1. I, c. 11]. E qui Landolfo si richiama all'esempio dei Greci, «quorum ecclesiam in quamplurimis officiis beatus Ambrosius venerabiliter imitatus est», Anche quello dei Greci e di Bisanzio è un motivo ricorrente nella cronaca [1. II, cc. 18,35; 1. III, cc. 6,11,22]: sono presentati come un modello di umanità, concordante con la tradizione ambrosiana, in contrasto con il recente fanatismo della chiesa di Roma. Un mondo ambrosiano collocato in una città di tradizione solenne, «a magnificis imperatoribus [... ] honorata decenter et exaltata competenter»: donde l' «eximium augustorum dignitati imperiale palatium» e il «theatrum decentissimum» e naturalmente le terme dove «universae civitatis multitudo, cum tempus et utilitas exigebat, ad lavandum, viris a mulieribus sequestratis, sedule concurrebant», nonché il «viridarium, quasi paradisus Dei, diversis insitum arboribus amoenum, nee non arenam lapidibus et magisteriis diversis ornatam» [1. II, c. 2]. A questo mondo milanese polito, dove tutto avviene curialiter [l, II, c. 35; 1. III, cc. 3,5], si contrappone quello macchiato dagli «pseudoprophetis per detestabilem ypocrisim circumcurrentibus» [proemio]: falsi profeti e «pseudochristi» li definisce Landolfo, cogliendo esattamente, pur nell'inversione del giudizio, l'intento dei patarini di presentarsi come imitatori dei profeti e del Cristo [1. I, c. 11]. E aggiunge, con richiamo ad Ambrogio, un'invocazione al Cristo: «Libera nos ab hereticis, ab arrianis, a schismaticis, a barbaris, quia tu solus dominus, tu solus altissimus, Christe»; dove è interessante la qualificazione degli avversari come barbari in contrapposizione al consorzio civile, di cui il clero urbano rappresenta l'espressione più alta e più umana. Ma l'accusa più insistente contro i patarini è di ipocrisia [1. III, cc. 7,9,17,24], con una qualche tendenza forse ad estenderla un po' genericamente ai chierici continenti, poiché nel ricordare una «gravissima dissensio» sorta a Milano al tempo di Ambrogio la presenta come avvenuta «inter sacerdotes monogamos et alias caste simulantes se vivere» [1. I, c. 274 Spiritualità e cultura nel Medioevo 11]: il che per lo meno significa che i sacerdoti sinceramente casti, di una virtù singolare per privilegio del Cristo, rispettano i sacerdoti coniugati, viventi secondo il costume normale per gli uomini. Vi è del resto un altro passo dove, riferendosi sempre all'età di Ambrogio, si afferma arditamente che i sacerdoti non ammogliati sempre erano «suspecti» agli ammogliati «ne ab illis inhoneste circumvenirentun [I. II, c. 35]. La rinunzia di un sacerdote al matrimonio creava in ehi viveva normalmente il sospetto di un inganno. Ed era uso, secondo Landolfo, sia nella Chiesa latina sia in quella greca, che appunto fra i sacerdoti ammogliati si scegliessero i vescovi. 2. In questa presentazione milanese dei sacerdoti convenientemente ammogliati l' aspetto edonistico (e sia pure nobilmente edonistico) della concezione di vita del clero urbano risulta ovviamente velato in una visione umanissima, certo, ma sempre sacerdotalmente composta: così come avviene in quei momenti della predicazione di Pier Damiani, già sopra segnalati, in cui egli è indotto a riconoscere l'alta dignità delle forme esteriori di presentazione del clero urbano. Per penetrare più addentro nello spirito di certa élite ecclesiastica, Pier Damiani può essere utile invece proprio dove si lancia senza rernore in invettive. Vi è il caso bellissimo del chierico Teuzolino che Pier Damiani giovinetto conobbe a Parma durante i suoi studi letterari". Molti anni dopo egli lo ricorda con grande vivezza: «nitidulus et semper ornatus atque conspicuus incedebat» 18. E ha cura di precisare natura e forme di quel nitor, di quella eleganza: capo coperto di pelle pregiata, candide vesti di lino finissimo, calzari appuntiti «ad aquilini rostri speciem». La sua voce era «gracilis, suavis ac tinnula, adeo ut in ecclesia modulans audientium corda mulceret et astantium in se plebis ora converteret». Conviveva con una donna leggiadra. «Affluebat uterque deliciis»: un piacere quotidiano di scherzi reciproci, di ammiccamenti, di allegre lusinghe e di risa. Una coppia spensierata e felice. Il giovinetto studente abitava non lungi da loro ed era sedotto da quella ostentata gaiezza, tanto che anche 17 LUCCHESI, op. eit. (sopra, n. 9), I, nr. 53, pp. 53 ss. .. P.L. 145, op. 41/1, coli. 672 s.; cfr. l'ediz. corretta da A. bénédictine», 44 (1932), p. 133. WILMART, in «Revue Prodromi di edonismo elitario nell'età della riforma ecclesiastica 275 più tardi, nell'eremo, il ricordo di quegli allettamenti non cessava di turbarlo. «Saepe, fateor, mihi malignus hostis hoc schema proposuit, et illos esse felices ac beatissimos, qui tam iucunde viverent, persuadere tentavit», Una «voluptas» che durò quasi venticinque anni: fino al giorno in cui, in un vasto incendio di Parma «(commune ipsius urbis incendium», un incendio storicamente documentato al 1055) miseramente perirono. «Sic sic nimirum», commenta Pier Damiani implacabile, «fiamma libidinis ignem meruit combustionis»: quasi che la giustizia di Dio avesse scelto in quella collettiva sciagura le proprie vittime fra gli scellerati e gli impudichi. Si noti l'esemplare fedeltà di quella coppia al proprio stile di vita e la costanza nell'affetto reciproco: un edonismo compiaciuto di sé e interpretato in forme aliene dalla vita del popolo, con una scelta di modi aggraziati, ostensibilmente offerti al pubblico (per lo meno negli anni della gioventù, quando Pier Damiani direttamente conobbe la coppia), modi che Teuzolino evidentemente non sentiva incompatibili con la sua dignità ecclesiastica e che anzi si apparentavano con quelli espressi «in ecclesia», quando con l'aspetto avvenente e la voce soave volgeva a sé i volti e i cuori dei fedeli. La violenza con cui Pier Damiani ne insulta la vita e la morte procede dalla sua ipersensibilità di fronte alle emozioni erotiche. Uno studioso americano, Lester Little, esperto di psicologia religiosa del Medioevo, ha sottoposto un po' arditamente la formazione e lo sviluppo di Pier Damiani a una sorta di esame psicoanalitico e ha creduto di ricavarne le prove di una personalità gravemente turbata, ossessionata dalle questioni di sesso e di denaro, pur se capace di coordinare le proprie doti in una direzione creativa e di grande efficacia storica'9• Qualunque sia la reale consistenza di questa analisi, fondata sul confronto tra i dati biografici e i suoi scritti, certo è che le testimonianze recate da Pier Damiani sui costumi del clero vanno non ridimensionate, bensì piuttosto reinterpretate alla luce di una visione meno severa della vita quotidiana, e con un'apertura umana che egli si costringeva, di fronte agli altri e a se stesso, a rinnegare. «Totus itaque mundus hoc tempore», scrive 19 LI'ITLEL., The personal development of Peter Damian, in Order and innovation in the Middle Ages, Essays in honor of Joseph R. Strayer, Princeton (New Jersey) 1976, pp. 337, 339. . 276 Spiritualità , cultura nel Medioevo ad Alessandro II, «nihil est aliud nisi gula, avaritia atque libìdo-", E si compiace di percorrere con lo sguardo gran parte del corpo umano come fonte di perdizione. «Ab oculis siquidem usque ad genitalia regnat omnis humana concupiscentia». Quali colpe dagli occhi? «Oculi siquidem pascuntur pulehritudine rerum». Quali dall'udito? «Mulcentur aures tinnulis harmoniae sonitibus vel lenocinantium assentatione verborum-". E così via, attraverso i vari sensi dell'uomo, in polemica con ogni «dulcedo vivendi-", in polemica soprattutto con le voluttà della carne, gli «spurca contagia mulie23 rum» . Una fobia del sesso, suscettibile di degenerare in fanatismo fra i giovani sottoposti alla suggestione del retore (così come a Milano avvenne fra i semplici sottoposti alla predicazione patarinica), approfondendo il soleo nell'ambiente del clero e dei monaci fra l'espansione degli orientamenti consapevolmente edonistici e i sempre più severi sviluppi della riforma ecclesiastica. Fra quei giovani vi fu un nipote di Pier Damiani che, fattosi monaco e pieno di fervore penitenziale, in un viaggio attraverso le Alpi si abbandonò a gesti clamorosi di mortificazione. «Valde gavisus sum», gli scrive il vecchio zio, in realtà manifestamente preoccupato, quando apprende le prodezze del nipote: «Dum tanta brumalis algoris incleÌnentia tunc in illis Alpibus inhorresceret, ut congesta nivium moles quarumlibet tegetum vel domorum culmina superaret, tu, proiectis vestibus, nudum te in ilia nivalium ruderum profunda latenter immergeres ibique te quidam fratrum pene seminecem reperisset-", Redarguito per l'atto pericoloso, il giovane avrebbe risposto: «Caro me conatur occidere, sed earn ego potius occidam». I desideri della carne volevano ucciderlo ed egli la uccideva. E anziché pentirsi dell'atto compiuto, nuovamente si gettò nella neve: «in nive similiter provolutus». Pier Damiani si trova combattuto fra la necessità di frenare gli eccessi del nipote e la sua disobbedienza, e il proposito di rimanere .. P.L. 144, ep. I, 15, col. 231, a. 1063. Cfr. nr. 167 21 22 SS., P.L. P.L. 2' P.L. 2. P.L. nr. 217, pp. LUCCHESI, op. cit. (sopra, n. 4), II, pp. 30 ss. 144, ep. I, 15, col. 230. 144, ep. IV, 8, col. 311. 145, op. 18, col. 393. 144, ep, VI, 22, col. 404, intorno all'a. 1069. Cfr. LUCCHESI, op. cit., II, 119 s. Prodromi di edonismo elitario nell'età della riforma ecclesiastica 277 coerente con l'asprezza di ciò che ha sempre predicato. Commenta dunque così: «In qua nimirum facto, licet regularis non sit dissimulanda correptio, malo tarnen ut modum discretionis in aliquo nimius fervor excedat, quam degeneres animos desidis ignaviae torpor astringat»; «servato tarnen», aggiunge, «ut indiscretionis excessum, ubi necesse est, priorum tuorum gravitas disciplina compescat»25. Possiamo qui cogliere la verità storica che sembra esprimersi in un opuscolo di Pier Damiani sulla vera felicità, in forma di lettera indirizzata a un laico (un giudice), dove ooluptas e virtus sono rappresentate da due spose dell'uomo, animate da livore e insanabile reciproca gelosia, l'una amata perché lo alletta »malesuada iocunditate», l'altra odiosa perché «aspera semper ac dura proponitx'", Erano due orientamenti reali, in pieno sviluppo antagonistico fra loro nella vita ecclesiastica dell'XI secolo. Pier Damiani, che pur li viveva entrambi in se stesso, in quanto nel contempo asceta e retore, si studiava di vincere, nella sua predicazione profetica, ogni tendenza a mediazioni conciliatrici e ogni compromesso di fatto. Demonizzava la ooluptas e l'aristocrazia di quei chierici e monaci che la nobilitavano nella propria cultura e in un impegno pratico gratificante. La condannava nella gioconda leggiadria di Teuzolino, e non meno spietatamente nel compiacimento che tanti vescovi e abati provavano nell'operare e nell'apparire. All'abate Mainarda di Pomposa rimproverò assiduamente la passione per le vesti preziose: ora lo ammoniva in tono suadente, ora lo correggeva con durezza, con il consueto largo impiego di testi scritturistici, fino a minacciargli il fuoco dell'inferno come contrappasso al nitore delle vesti fluenti. Appaiono in una lettera di esortazione all'abate le stesse espressioni che usò poi per Teuzolino: «nitidulus», «conspicuus». La colpa rimproverata era il compiacimento della propria figura, il gusto di rappresentare una parte ammirata nel mondo, di contribuire al piacere degli occhi in un pubblico. Né Pier Damiani si perita di portarsi ad esempio: «dum feci prius ipse, P.L. 144, ep. VI, 22, call. 404 s. Die Briefe des Petrus Damiani, ed. K. ReindeI, I, in M.a.H., Die Briife der deutschen Kaiserzeit, IV, 1, München 1983, nr. 23, lettera al giudice Bonushomo, anteriore al 1047, p. 223. 25 26 278 Spiritualita e cultura nel Medioevo quod monui», presentandosi a Pomposa con un seguito di alcuni compagni, «vilibus coram te [... ] contenti semper exuviis». È la contrapposizione visiva della virtus alla voluptas: con pari alterezza invero nel sentimento dell'una e dell'altra, e nel porsi in vista entro un gruppo esemplare; che era l'ambizione (al dire appunto di Pier Damiani) di tutti i potenti, preoccupati di presentarsi, come «proeambuli», con un seguito conveniente". Un sentimento elitario espresso in due opposte direzioni: l'esemplarità ascetica e la nobiltà del costume edonistico. L'ampiezza con cui è trattato anche in altri scritti di Pier Damiani rivolti a monaci il tema del «nitor indumenti-" denuncia nei monasteri di alto prestigio una forte sensibilità ai valori espressi dal decoro esteriore, anche molto al di là delle esigenze del culto, non meno di quanto avveniva nei capitoli cattedrali. Nell'Apologeticum de contemptu sacculi, indirizzato nel 1069 all'eremita Albizone e al monaco Pietro", con i quali usò spesso discutere familiarmente, Pier Damiani fa una dichiarazione di valore fondamentale: noi, dice, «ubique terrarum tarn largissima ecclesiarum patrimonia cernimus, ut quotidie, dum mundus imminuta possessione contrahitur, ecclesia copiosissime dilatetur-". È la constatazione della crescente prosperità materiale degli enti religiosi a detrimento del laicato. È questa ricchezza (possiamo ben dire) che si fa strumento di una cultura elitaria edonisticamente orientata. L'accusa a monaci e a chierici di mondanizzarsi perde il significato di un rimprovero a chi, abbandonata la condizione laicale, ritorna alla vita del mondo, anche se l'accusa conserva la forma tradizionale: «nos autem, qui mundi abrenuntiationes dicimur, qui terreni fluctus naufragium evanisse gloriamur, cur ad illud denuo, velut quodam vertice violenter absorbente, relabimurò-", In realtà la rinunzia al secolo, non che essere abbandono dei beni ricercati nel secolo, diviene accessione a una ricchezza che consente finalmente di soddisfare molte aspirazioni naturali del., Die Briefe cit., nr. 24, fra l'a. 1047 e l'a. 1054, pp. 227-233; cfr. anche nr. 27, al monaco Onesto di Pomposa, p. 248 . .. P.L. 145, op. 12, col. 267. 29 LUCCHESI, op. cito (sopra, n. 4), II, nr. 211-213, pp. 102-109. so P.L., 145, op. 12, col. 254. 31 Ibidem, col. 253. Prodromi di edonismo elitario nell'età della riforma ecclesiastica 279 l'uomo fuori del contesto sacrale. Ciò non era nuovo di certo , se pensiamo alla collocazione di tanti fanciulli e fanciulle di famiglie potenti nelle comunità religiose, ma nuova è la chiarezza con cui alla mente di Pier Damiani questa realtà si presenta: una chiareza che procede dagli sviluppi raggiunti da un costume e da una cultura mondani, nel clero e nei monasteri, costume e cultura la cui cosiddetta mondanità trovava proprio nel clero urbano e nelle comunità monastiche la possibilità di realizzarsi nobilmente. Donde il lamento di Pier Damiani: «dum nobis in posterum providendo ditescimus, thesauro fidei nos vacuos esse monstramus»; e l'indignazione: «pudeat ergo te, o miles Christi, peritura in hoc saeculo facultate ditescere»; e l'accusa di impostura: «ecce proprietarius noster [... ] paupertatis patrocinio utitur, ut ipse dives irreprehensibiliter videaturv", Ammirevole è la concretezza dei riferimenti. Emerge il tema della pervagatio del monaco impegnato in mille affari, e all'interno di esso riemerge il tema delle vesti costose, morbide, delicate, fluenti", Violenta l'antitesi proposta da Pier Damiani: «pedes illoti, manus neglectae, inculta caesaries, quasi quaedam anchora est monachi in cella iugiter permanendi»; un'antitesi certo disgustosa per quei monaci che amavano l' «accurata delicati corporis compositio» deprecata dal focoso predicatore di virtù". Una predicazione che dalle accuse a monaci e abati si estendeva, non meno severa, ai vescovi. Ai vescovi cardinali anzitutto, di cui ci fa conoscere (intorno al 106335) i pericoli in cui incorrevano in quanto presuli eminenti: l'accettazione di doni, la conseguente ricchezza e lo sfarzo, in vita ed in morte"; «papales scilicet infuIas gemmis micantibus aureisque bracteolis per diversa Ioca corruptas», «imperiales equos», «annulos enormibus adhibitos margaritis», «virgas non iam auro gemmisque conspicuas, sed sepultas»; a non ricordare poi la «dementia» di quei feretri e catafalchi, l'«absurdum» di quei lectuli «ubi corruptibilis caro soporis quiete resolvitur-, che venivano adorni più degli altari dei santi", Le amplificazioni indiIbidem, coil. 254-257. " Ibidem, coil. 267-270. Sf Ibidem, col. 278. '2 n. 4), II, p. 149. P.L. 145, op. 31, col. 536 ss. Ibidem, col. 538. " LUCCHESI, op. cito (sopra, S6 S? 280 Spiritualità t cultura nel Medioevo gnate di Pier Damiani nulla tolgono al loro valore come testimonianze di una crescente opulenza nell'alto clero e di un conseguente sviluppo del gusto per lo splendore delle forme. Un gusto anche per le attività di colore politico e di orientamento principesco: talora in forme di violenza rozzamente militare, come in quel dignitario ecclesiastico del regno di Borgogna, contemporaneo di Pier Damiani, che lo ricorda come «superbus nimis ac tumidus, et non modo carnali vitae saeculariter deditus, sed et contra suum ordinem terribiliter bellicosus», né solo come capo di una propria schiera di armati, ma come combattente egli stesso e morto infine fieramente a cavallo in una guerra contro un potente rivale"; altre volte invece in forme meno politicamente incivili e in un contesto di alta e serena signorilità". È questo il caso dell'ambizioso vescovo Arnaldo di Arezzo, il primo vescovo aretino esplicitamente rivestito di dignità comitale sulla città vescovile e sul suo comitato"; un prelato che Pier Damiani rievoca mentre «securus, hilaris ac iocundus», fattosi portare uno scanno sullo sporto di un castello per godersi i primi raggi del sole, conversa con domestici e «contubernales», frammischiando »faceta cum eis et urbana verba»; «acutus erat, ingeniosus et cautus tantaeque facundiae, ut dum expeditissime in verbis decurreret, circumcisus labiis dici non immerito potuisset». Ma proprio quel mattino felice, un improvviso dolore lo colpì al capo come una spada: «ac spiritum protinus exhalavit-"', Una punizione divina: perché aveva sottratto un calice d'oro a un suo monastero, alienandolo per urgenti necessità e sempre rinviandone poi la restituzione. «Quid prodest», commenta Pier Damiani, «si quispiam saeculi huius prudentia calleat, si ingenii vivacis obtutibus abdita comprehendat, si versuta calliditate, tanquam Proteus, in varia se formarum monstra convertat?». Possiamo aggiungere che Arnaldo, così riccamente dotato d'ingegno e P.L. 145, op. 34, collo 576 S. Cfr. LUCCHESI, op. eit., II, nr. 181, pp. 55 s. KÖHLER O., Das Bild des geistlichen Fürsten in den Viten des 10., 11. und 12. Berlin 1935, pp. 46 ss. Esemplare l'attività prineipesca a livello territoriale dell'arcivescovo Annone II di Colonia: ]ENAL G., Erzbischof Anno II von Köln und sein politisches Wirken, 2 voll., Stuttgart 1974-1975 . .. TABACCO G., Arezzo, Siena, Chiusi nell'alto medioeoa, in Atti delS' Congresso internazionale di studi sull'alto medioevo, Spoleto 1973, pp. 181-183. ti P.L. 145, op. 34, col. 574. SI Cfr. Jahrhunderts, e imperiale (1056-1075) '9 Prodromi di edonismo elitario nell'età della riforma ecclesiastica 281 così aperto alla vita, poco apprezzava gli asceti severi. Diversamente dai suoi predecessori e dai suoi successori nella chiesa di Arezzo, non risulta aver contribuito alle prime fortune di Camaldoli nella diocesi": Camaldoli, fondata dal santo ravennate Romualdo, a cui Pier Damiani guardava come a suo ideale maestro. 3. Per meglio intendere come un'ampia élite colta di chierici e monaci a orientamento edonistico risulti affermata nell'età stessa del movimento riformatore in competizione con la contrapposta élite di orientamento ascetico, occorre considerare la straordinaria espansione che la libera condotta del clero e dei monaci aveva conosciuta a tutti i livelli culturali fra X e XI secolo. L'élite emergeva da una base larghissima, dove il costume liberamente mondano (il permissivismo, oggi usa dire) era spesso la regola. La testimonianza più sorprendente e più nota è nella Destructio monasterii FarJensis dell'abate Ugo, il quale addita la radice del disordine del X secolo nelle gravi incursioni che posero in crisi l'ordinamento della cristianità: la prosperità delle comunità religiose e il funzionamento del potere regio, tradizionale protettore e moderatore della vita ecclesiastica43. Effettivamente gli enti religiosi dovettero spesso provvedere alla propria sicurezza da sé, rafforzando il proprio apparato militare e impegnandosi in attività assai lontane dalle tradizioni religiose più autentiche. Nel tempo stesso si approfondiva capillarmente, nella moltiplicazione dei poteri signorili, la tradizionale commistione degli interessi secolari con quelli ecclesiastici. Si creava in tal modo la base per un mutamento generale del costume di chierici e monaci e per la formazione delle due élites in contrasto: l'una come reazione, fino all'intransigenza estrema, dell'alta cultura teologica ai mutamenti avvenuti; l'altra come sviluppo di una cultura aperta alle innovazioni, nel quadro di una humanitas che aveva le sue lontane radici, attraverso la tradizione letteraria, nell'edonismo elitario della nobilitas tardo-antica. Si pensi alla fortuna di certi classicilatini in età carolingia e postcarolingia. 42 TABACCO G., Espansione monastica ed egemonica uescooile nel terrùorio aretino fra X, XI secolo, in Miscellanea Gilles Girard Meersseman [Italia sacra, 15-16], Padova 1970, p. 86. *' Destructio cito(nel testo), pubbl. da U. Balzani nel I voI. dell'opera destinata al Chronicon Farfense di GREGORIO DI CATINO, Roma 1903 [Fonti per la storia d'italia, 33], pp. 28 S., 31 S8. -282 Spiritualità e cultura nel Medioevo Ho detto che la Destructio dell'abate Ugo è la testimonianza più impressionante del mutamento avvenuto in certa base monastica, e vi si può porre a confronto, in qualche modo come parallelo per la vita del dero, la Historia custodum Arretinorum"; l'una e l'altra nella prospettiva offerta dalla reazione restauratrice. Ma la fonte più ampia e istruttiva è una volta ancora Pier Damiani. In una lettera liberissima del 1059 a papa Niccolò n45, riferisce sui risultati di un colloquio avuto con alcuni vescovi per indurIi a castità (ssanctis eorum femoribus», dice irridendo, «volui seras apponere»), attenendone con fatica «promissionem tremulis prolatam labiis»: una promessa assai debole, non solo perché disperano di poter raggiungere «fastigium castitatis», ma anche perché «synodali se plectendos esse sententia propter luxuriae vitium non formidant-", Come mai non temono di essere colpiti da una sentenza sinodale? La ragione sta nella consuetudine della chiesa di Roma di tacere sui vizi che suscitano scandalo e pertanto feriscono il prestigio del clero tra i fedeli: avviene dunque che, mentre altri aspetti della disciplina ecclesiastica sono da essa convenienternente esaminati, «de clericorum vero libidine propter insultationem saecularium dispensatorie conticescab. Ciò, già di per sé deprecabile, avrebbe per lo menoun senso se non fossero vizi ben noti. «Sed, ah scelus! amni pudore postposito, pestis haec in tantam prorupit audaciam, ut per ora populi volitent loca scortantium, nomina concubinarum, socerorum quoque vocabula, simul et socruum»; e a testimonianza infine indubitabile agli occhi di tutti, ecco «uteri tumentes et pueri vagientes» . ••Nescio quomodo supprimatur in synodo quod publice vociferatur in mundo-", Tutta la lettera vuole colpire essenzialmente i vescovi, in quanto più normalmente coperti dal silenzio nei sinodi, ma si estende al ceto sacerdotale in genere, accusandolo di una colpa che Pier Damiani giudica più grave di quanto già sia l'incesto con una propria figlia carnale: «cum filia tua non quidem carnali, quod minus est, sed cum spirituali potius perire non metuis-", È la conEd. A. Hofmeister, in M.O.H., SS XXX-lI, pp. 1471-1482. op. cito (sopra, n. 9), I, nr. 137, p. 134. 46 P.L., 145, op. 17, coIl. 379 s. •, Ibidem, collo 380 s. .. Ibidem, col. 385. 44 •• LUCCHESI, Prodromi di edonismo elitario nell'età della riforma ecclesiastica 283 sueta amplificazione retorica della colpa, di cui si ingigantisce la gravità connotandola come incesto. Ma la violenza del nostro profeta si pone in rapporto con la diffusione del costume deprecato. «Serpit enim hie morbus ut cancer, et virosa propago ad infinita porrigitur, nisi evangelica falce quod male pullulat amputetur-", Solo colpendo in primo luogo i vescovi si può mettere un argine al dilagare del costume perverso. Il tema dell'intemperanza dei chierici ritorna ampiamente dieci o più anni dopo in una lettera al cardinale Pietro, arciprete della canonica lateranense, con espresso riferimento a presbiteri, diaconi e suddiaconi, accusati come «prolectarii, uxorii ac mulierum dominantium ditionibus inserviti», sfrontati nel difendersi sotto pretesto di indigenza e di una pretesa necessità di aiuto femminile: «muliebris, inquiunt, sedulitatis auxilio carere non possumus, quia rei familiaris inopiam sustinemus-". «Respondemus» (così Pier Damiani con una logica facile e pronta) «quia ubi angustiora sunt alimenta, ibi minor est alenda familia». Ecco l'ampia base offerta dai chierici di condizione modesta (in gran parte gli stessi forse da lui altra volta accusati di crassa ignoranza") a un'evoluzione del costume che nei più agiati diventa scelta di vita nobile e spregiudicata. Così come avviene in quelle deviazioni del costume a cui Pier Damiani aveva arditamente dedicato nel 1049 l'amplissimo Liber Gomorrhianus, indirizzandolo a Papa Leone IX52• Un vero e proprio trattato, con una meticolosa classificazione dei sodomiti secondo più gradi di deviazione crescente, e con una significativa qualificazione di tali costumi come audace libertas, spinta fino alla comoda prassi dei peccatori di assolversi l'un l'altro con una confessione reciproca: «ipsi iudices fiunt et indiscretam indulgentiam, quam sibi quisque .. Ibidem, col. 386. 50 P.L. 145, op. 18, coil. 387 S., 393. Cfr. LUCCHESI, op. cit., I, nr. 66, p. 67. " P.L. 145, op. 26, col. 497: «Per episcopalis enim torporis ignaviam ita nunc presbyteri litterarum reperiuntur expertes, ut non modo eorum, quae legerint, intelligentiam non attingant, sed syllabatim quoque vix ipsa decurrent is articuli elementa balbutiant»; col. 499: «Cum ergo per sacerdotum vecordium imperitiam plebs indocta depereat, par fuerat ut episcopal is gravitas a talium se promotione suspenderet ... Est aliud quod mihi de sacerdotibus saecularis ordinis displicet, quia sicut saecularibus mixta regionariae civilitatis habitatione collimant, ita nihilominus plerique ab eorum conversatione et inconditis moribus non discordant », .. Die Briefe eit. (sopra, n. 26), nr. 31, pp. 286-330. 284 Spiritualità e cultura nel Medioevo affectat impendi, gaudet alteri vicaria permutatione largiri»; donde avviene che, modeste essendo ovviamente le penitenze che essi reciprocamente si infliggono, «nee ora ieiunio palleant nee corpora macie contabescant» 53. Che siffatte abitudini di vita liberissima fossero realmente diffuse appare, oltre che dal modo in cui Pier Damiani presenta la situazione, anche dalla risposta di papa Leone. Egli loda il santo eremita per la sua denuncia e per la severità delle sanzioni proposte, ma soggiunge: «nos humanius agentes», «volumus atque etiam iubemus» che coloro i quali «egerunt [... ] non longo usu nee cum pluribus», e non siano caduti nel più «horrendum» fra tali crimini contro natura, siano ammessi (dopo conveniente penitenza) «ad eosdem gradus in quibus in scelere manentes non permanentes fuerant» 54 . A noi interessa osservare che la diffusione di pratiche di per sé non propriamente elitarie, quali sono quelle descritte nel Gomorrhianus, offriva essa pure la base per l'acquisizione di un clima morale in cui l'edonismo certamente assumeva forme e toni elitari. Ciò è suggerito dal modo stesso in cui Pier Damiani esprime la propria sorpresa per una simile ooluptas, «Die, vir evirate, responde, homo effeminate, quid in viro quaeris, quod in temetipso invenire non possis? Quam diversitatem sexuum, quae varia liniamenta membrorum, quam mollitiem, quam carnalis illecebrae teneritudinem, quam lubrici vultus iocunditatemò,", Sono domande retoriche: implicano una risposta negativa. Ma la vera risposta emerge, involontaria, in una lettera, posteriore forse al iosz", diretta al giovane eremita Ariprando, di cui rievoca la tenera immagine nella conoersio precoce: «dum in scholarum adhuc gymnasia inter adulescentulos ageres, et ephebi vultus florem necdum pubis ulla vel tenuis lanugo vestiret, fervor te sancti Spiritus incitavit ut non monasteriale propositum, sed eremi potius arriperes instituturns'", Qui affiora un mondo di delicatezze dove le ss Ibidem, pp. 287, 297. ,. Ibidem, p. 286 (la risposta papale è pubblicata nel nr. 31 come introduzione Gomorrhianus). ss Ibidem, p. 313. 50 DELLA SANTA M., Ricerche sull'idea monastica di san Pier Damiano, Camaldoli 1961, p. 220, n. 15. n P.L. 145, op. 46, col. 703. al Prodromi di edonismo elitario nell'età della riforma ecclesiastica 285 trasgressioni (quando l'intransigenza durissima della tradizione romualdina si appanni) possono agevolmente sedurre e ammantarsi di forme nobili: come già in secoli anteriori era talvolta avvenuto e come nello sviluppo della civiltà di corte e della civiltà urbana in secoli ulteriori più largamente avverrà.