Comprensorio. Firmato il contratto di programma per la riconversione dello stabilimento torinese
BANDITISMO
Dopo la Fiat? Il nulla
Solo idee, utopie e aziende stracotte. L’impressione è che si punti più ad accaparrarsi
i fondi pubblici che a creare sviluppo e occupazione. Per il sindacalista Roberto
Mastrosimone (Fiom Cgil) si tratta di un salto nel buio. L’unica cosa certa è che
la fabbrica chiuderà definitivamente a fine dicembre. Il resto purtroppo è solo carta
di Ciro Cardinale
Termini Imerese
Museo Civico
Manomesso il
dipinto del
Seicento di
Pietro Novelli
A PAG. 9
Madonie. Pubblicazioni
Calendari e
costi ambientali
L
di Giuseppe Biundo
a pubblicazione di svariati
prodotti stampati rientra tra le
comuni attività degli Enti, che
sono consumatori importanti nel
mondo della stampa, tanto che, in
alcuni casi si dotano di centri stampa interni. Se pensiamo alla quantità
di volantini, pubblicazioni, pieghevoli, fogli informativi, giornali, comunicazioni, ecc. che gli Enti producono, ci rendiamo conto di come
esse siano attori di rilievo in questo
settore. Conseguentemente la introduzione di criteri ambientali nelle
loro attività di stampa può portare a
rilevanti benefici ambientali.
SEGUE A PAG. 5
CASTELBUONO
Il convento
di Santa Maria
di Liccia
A PAG. 11
E
ora? Se lo chiedono in molti,
dopo che il 15 febbraio è stato
firmato al ministero dello sviluppo economico da governo, Fiat ed enti
locali siciliani il contratto di programma per la riconversione dello stabilimento Fiat di Termini Imerese, che
dovrebbe chiudere a dicembre. Apposte le sigle in calce all’importate documento, posate le biro e spente le luci, adesso ci si domanda cosa accadrà,
quale sarà la sorte della fabbrica siciliana, che dalla fine degli anni ’60 ha
rappresentato un fiore all’occhiello
per lo sviluppo economico isolano in
genere e termitano in particolare.
L'accordo prevede un investimento
complessivo di circa un miliardo di
euro
SEGUE A PAG. 3
Intervista a Umberto Santino, sociologo controcorrente tra i maggiori esperti di criminalità organizzata
Mafia e Antimafia nelle Madonie
L’omicidio Li Puma si colloca nel quadro delle grandi mobilitazioni
del secondo dopoguerra ed è motivato dalla sua attività di lotta e di
denuncia. I racconti dei dirigenti locali e militanti sono una testimonianza preziosa di quella stagione, in un contesto anch’esso aperto a
una prospettiva di rinnovamento e alla conquista della democrazia
I
di Vincenzo Pinello
l Centro Siciliano di documentazione, fondato nel 1977 e
intitolato a Peppino Impastato
nel 1980, ha attraversato tutte le fasi
del movimento antimafia. La caratteristica che lo definisce è la capacità di coniugare denuncia e lotta sociale con studio e ricerca. Un centinaio le pubblicazioni realizzate e
promosse in trenta anni di attività,
decine i progetti di indagine e analisi (acqua pubblica, donne e mafia,
droghe, movimento dei senza casa…). Fin dal 1978, con la famiglia
Impastato assistita dall’avvocato
Vincenzo Gervasi, ha condotto
un’inchiesta parallela sull’uccisione
di Peppino, insistendo sulla pista
mafiosa mentre quasi tutti sostenevano che si era trattato di un attentato terroristico fallito.
SEGUE A PAG. 6
Giuseppe La Marca
Il “Terrore
delle Madonie”
L
di Antonino Cicero
e Madonie non sono mai
state un’isola felice. Anche
qui mafia e banditismo
hanno trovato spazio. Di più. Dorati soggiorni, nascondigli per latitanze anche eccellenti, ricoveri
poi non tanto di fortuna per altrettante poco improvvisate riunioni di famiglie, cosche e bande.
Luoghi sconosciuti ai più, impervi per certi versi, con la collusione di parte della popolazione a
rendere possibile tutto questo.
Tempi antichi e tempi moderni,
tra banditi e mafiosi, quando gli
uni erano gli altri e viceversa. O
quasi.
SEGUE A PAG. 2
ALL’INTERNO
CAMPOFELICE DI ROCCELLA
Verso le amministrative:
Pedalino candidato a sindaco
Pag. 4
ALIMINUSA
Associazioni:
un miracolo chiamato Avis
Pag. 5
GANGI
Dopo il crollo del bevaio di
“Ciollo”: altre strutture a rischio
Pag. 8
ALIA
I frati dal secondo dopoguerra:
Cappuccini di paese
Pag. 8
ALIMENA
Piero Di Gangi,
da emigrante a pugile
Pag. 9
1 Marzo 2011
DALLA PRIMA PAGINA/LAMARCA
l rapporto tra mafia e banditismo
è reso bene dalle parole del
prefetto Cesare Mori che nel suo
libro “Con la mafia ai ferri corti” del
1932, così lo dipingeva:
“Nell’esercito della malavita la malvivenza (leggi banditismo) rappresenta la truppa, la mafia lo stato
maggiore”. E precisa: “La malvivenza siciliana era sostanzialmente
una sub-mafia”.
Banditi e banditismo, dunque. Giuseppe La Marca è di Alimena. Ha 32
anni quando mette piede a Napoli nel
dicembre del 1957 con i ferri ai polsi. Classe 1925 (10 settembre), è figlio di contadini, come tutti, o quasi,
i madoniti rimasti quaggiù, senza
tentare la carta dell’emigrazione.
Terra “bedda” la nostra, ma povera.
Si occupa di pecore, le porta al pascolo nelle Madonie e mangia cacio
e beve vino. Come tutti.
Si muove nella stessa terra di tanti
altri banditi, all’opera tra Otto e Novecento. Nella stessa terra dei maurini e di quella di Giuliano, “il” bandito per antonomasia perché più vicino nel ricordo. E approfitta dello
scompiglio che crea Turiddu. Le forze dell’ordine sono tutte per Giuliano
in quel secondo dopoguerra.
È dentro queste Madonie che delinque La Marca, tra Alimena, Geraci
Siculo, Gratteri, Isnello, Castelbuono
e Collesano, Polizzi Generosa e le
Petralie. E poi a Gangi, dove l’odore
della mafia è forte.
È lo stesso pezzo di terra dove altri
banditi hanno messo casa a spese
della popolazione: il “patriarca” Melchiorre Candino (morto di vecchiaia
e libero, nella sua masseria di San
Mauro, benché condannato
all’ergastolo), Gaetano Ferrarello
(che nell’“assedio” di Gangi del gennaio 1926 ad opera di Cesare Mori,
venne arrestato e portato in prigione,
dove, due ore dopo, si impiccò nella
sua cella) e il fratello Giuseppe, i figli di quest’ultimo Nicolò e Salvatore (detto “il sultano” per quanto fosse avvezzo agli stupri di giovani donne), Giovanni (classe 1898) e Carmelo Dino di Petralia Sottana
(accompagnati dai fedelissimi Calo-
I
gero Bencivenni, Francesco Pulvino
e Salvatore Quinto), Antonino Bruno
di Ciminna (classe 1901), tutti, a fasi
alterne, chiamati “terrore delle Madonie”. E lo stesso si dirà di La Marca.
Questi banditi non si rifugiavano nelle montagne, dandosi alla macchia,
ma montagne e paesi erano il loro rifugio. Ci stavano dentro i paesi, con
le famiglie, tra nascondigli ed “uscite
di sicurezza”, come tutte o quasi le
case di Gangi. La popolazione non
parlava; difficilmente le forze
dell’ordine li individuavano e se
c’era pericolo, via, su, tra gli anfratti
spigolosi delle Madonie. Salirci lì era
operazione da esploratori o scalatori
e l’inseguimento finiva sul nascere.
Erano feroci quei banditi. Taglieggiavano col pizzo anche loro e sparavano senza pensarci su troppo. La rete di protezione, fino ad oltre il secondo dopoguerra ci fu tutta. La loro
fedina penale riportava omicidi, sequestri, estorsioni e rapine.
E tra i fuorilegge ancora, in quelle
terre, Onofrio Lisuzzo di Castellana
e poi Cataldo Paternò, Angelo Pugliese detto “don Peppino il Lombardo”, Angelo Rinaldi, Antonino
Leone. Tutti maurini questi. San
Mauro Castelverde è stato al centro
del banditismo madonita: li creava
quei figli e dava loro rifugio. Ma anche Francesco Paolo Varsalona, Pietro e Antonino Albanese di Petralia
Soprana, Pietro Scavuzzo, Isidoro
Franco, i Carini di Polizzi, Francesco
Antonino Dispensa di Valledolmo
(detto “Ciccio Martello”, classe 1900, come riporta Salvatore Nicolosi
nel suo testo “L’impero del mitra”,
Tringale Editore), Melchiorre Turrisi
sempre di San Mauro e nato nel 1905.
E poi “u prefettu” Nicolò Andaloro
(anche Gaetano Ferrarello fu appellato in quel modo), figlio del capostipite Cataldo, tirato su dalla madre,
Giuseppina Salvo detta “la cagnuzza”, dopo la morte del padre in
un conflitto a fuoco con i carabinieri.
Nicolò (cui si affiancano Giuseppe e
Carmelo) era sanguinario e brutale,
tanto da avere autorità. Tanto da essere “il prefetto”. Una sorta di eco a
quel prefetto di ferro, Cesare Mori,
inviato da Mussolini a sventrare e
sradicare la mafia e il banditismo.
Perché per un dittatore non ci poteva
essere un’autorità superiore…
Il quotidi ano “La Stampa”,
nell’edizione serale (“Stampa Sera”),
nel dicembre del 1957 si occupa proprio del La Marca. E titola: “Il bandito Giuseppe La Marca è sbarcato stamane a Napoli”.
La Marca era già stato condannato
all’ergastolo per l’omicidio di Michele Richiusa. La sentenza viene
pronunciata dalla Corte d’Assise di
Palermo il 28 ottobre 1954. Il bandito di Alimena massacra Richiusa a
Bompietro nel marzo del 1952. A
questa condanna si aggiungono quelle delle Corti d’Assise di Caltanissetta e di Palermo e della Corte
d’Appello di Catania, tra il ’52 ed il
’54, per un totale di ulteriori 57 anni
e 4 mesi di reclusione.
La Marca fa di tutto. Ed uccide. È
sintomatico il fatto che sia chiamato,
anche lui come i predecessori, il
“terrore delle Madonie”.
È renitente alla leva militare nel 1944, a diciannove anni, ed inizia a nascondersi. Il primo omicidio certo è a
ventitrè anni: cade sotto i suoi colpi,
nel 1948, un brigadiere dei Carabinieri, Giuseppe Ficarra, fallendo in
quel frangente il doppio delitto, non
riuscendo a freddare anche il carabiniere semplice, Giuseppe Musumeci.
Pare sia stato lui ad uccidere il sindacalista Epifanio Li Puma, sempre nel
1948, sebbene lui abbia sempre negato l’addebito. Se così fosse, il suo
primo omicidio sarebbe di peso, politico, dentro la storia dei movimenti e
delle lotte per la terra.
A Petralia Soprana avrebbe anche
saccheggiato un convento di suore,
per poi incendiarlo ed ancora, in successione, gli omicidi dell’ufficiale
postale Salvatore Cangemi e, a parere suo, dell’informatore dei carabinieri, Michele Richiusa appunto.
I primi tempi della sua carriera criminale, La Marca li passa come affiliato nella banda capeggiata da Giovanni Dino, di cui ben presto prenderà il posto, dopo che il “maestro”
verrà ucciso in un conflitto a fuoco
CEFALÙ – TERMINI IMERESE
Seminario sull’Esoterismo nell’Arte
promosso dall’Associaizione SiciliAntica
Sette incontri per un seminario sul’Esoterismo nell’Arte
che si muove tra Palermo, Cefalù, Bagheria e Termini
Imerese, promosso dall’associazione di volontariato
SiciliAntica che ha scelto come logo un ottagono d’oro,
come tutte le basi dei battisteri, adagiate su un piano
di forma ottagonale, dimora di battesimo, esemplificato
da torri, come quella di Federico II ad Enna, da chiesette, da fontane monumentali (una delle quali si può
ammirare a Gangi) ben diverse da semplici bevai, dove l’acqua rappresenta il simbolo della vita. Nella lezione tenuta a Cefalù il drammaturgo Aurelio Pes ha precisato come, nella nostra terra, il medium tra cultura e
dominazione è personificato dalle maestranze: il grande scultore palermitano del ‘700 Giacomo Serpotta, figlio di artigiano, si firmava, come l’architetto Matteo
Carnilivari, orgogliosamente come mastro murator. Durante l’incontro tenutosi a Termini Imerese invece
l’architetto, noto per i suoi lunghi studi sulle grotte della
Gurfa Carmelo Montagna ha parlato delle “geometrie
segrete”. (m.r.s.)
TERMINI IMERESE
Si è costituita la sezione
dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
Si è costituita la sezione ANPI – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Termini Imerese. La necessità
di dare vita anche a Termini Imerese al sodalizio è nata dall’esigenza di non disperdere la memoria partigiana e della lotta antifascista per la liberazione; il sacrificio ed il coraggio dei partigiani, soprattutto nel momento attuale di perdita di tali valori. L’ANPI vuole promuovere e difendere la Costituzione, la libertà, la democrazia, il rispetto per i diritti dei lavoratori e di cittadinanza.
In attesa dell’elezione degli organismi direttivi, sono
stati nominati coordinatori Franco Bovaconti, nipote di
un partigiano termitano fucilato dai nazifascisti, Daniela Cottone, Ciro Cardinale e Angelo Scarpaci. La sezione parteciperà al congresso provinciale ANPI, che
si terrà a Palermo sabato 26 febbraio, ed ha subito ricevuto la pronta disponibilità a collaborazione da parte
di Michele Galioto, responsabile dell’Associazione
combattenti e reduci di Termini Imerese. L’ANPI si riunirà nella sua sede provvisoria, presso la Cgil territoriale, in via Piersanti Mattarella a Termini Imerese.
con le forze dell’ordine in un casolare a 20 chilometri da Petralia Sottana
nel quale dimorava. Sebbene altre
versioni dicano che non ci fu mai alcun conflitto, ma, tradito, venne crivellato di colpi in una vera e propria
esecuzione.
A quel punto La Marca è al vertice
della banda e sotto di lui gli affiliati
Giuseppe Salomone di Resuttano
(classe 1905), Giuseppe Gallina,
Giuseppe Madonia di Resuttano
(classe 1912), Giuseppe Riotta di Alimena (classe 1908) e Francesco
Renna.
È latitante, ma padrone nelle sue terre. Prepotenza e baldanza. È un modo d’essere, criminale, che distrugge
un tessuto sociale. E il povero cristo
ne è vittima. Lui che lo è stato, figlio
di poveri cristi.
Già sfuggito alle autorità, La Marca
decide di scappare negli States. Si ritrova con un passaporto falso tra le
mani e da Genova, a bordo di un piroscafo mercantile, nel 1955, salpa
per l’America. Entra subito in contatto con la mafia locale, ma non
vuole più delinquere. Viene scaricato
e la polizia lo bracca con più facilità.
Non è uno sconosciuto e l’FBI già è
sulle sue tracce. Sfugge alla cattura a
Rochester, Los Angeles e Detroit,
per ritrovarsi invischiato, ancora, in
un omicidio. Si tratta di Albert Anastasia, il boss del porto newyorkese.
Il cerchio si stringe mentre la polizia
scava nei curricula di tutti gli stranieri. Intanto La Marca è a Buffalo e si
fa chiamare Luigi Timbrici da Trapani. Nome musicale, da onomatopea
criminale. È dentro un pastificio, non
dà problemi e ci lavora bene. E lì
viene fermato. Fine della corsa. Lo
impacchettano e lo rispediscono in Italia.
Sbarca a Napoli dalla pancia della
motonave “Augustus”, scortato dagli
agenti federali, della “federal police”,
che sa tanto di Sordi. Se non fosse
che non è cineteca, ma realtà mista a
crimini, reati, brutalità.
L’idea di sopprimere il debole, di
spadroneggiare e di sputare sul diritto, di delinquere con la prepotenza
che tutto è concesso, non è linguaggio nuovo in Sicilia. Linguaggio che
SONIA ZITO
Cefalù. Il Vescovo mons. Vincenzo Manzella ha confermato
Sonia Zito Presidente Diocesano
dell'Azione Cattolica per il triennio 2011-2014. Insegnante di
Lettere del Liceo Classico Mandralisca, cresciuta nell'Azione
Cattolica nella Parrocchia degli
Artigianelli, ha in passato ricoperto vari incarichi a livello diocesano nel settore ragazzi, giovani
ed in quello degli adulti, fino alla
responsabilità della presidenza.
ACQUE POTABILI
SICILIANE
Comprensorio. Il gestore del
Servizio Idrico ha proposto un
concordato preventivo. I comuni
che hanno consegnato le reti e
che negli anni hanno accumulato
crediti nei confronti dell’Aps, invece di avere i soldi, otterrebbero delle azioni della nuova società. Praticamente si vuole scaricare sul pubblico le perdite che
discendono da anni di disastrosa
gestione privata dell’acqua.
parla di mafia; e di mafia come di
banditismo.
Soffre il mal di mare il La Marca ed
ha in tasca un biglietto di sola andata: New York-Napoli, tra pizza, sole
e mandolino. In mezzo a
quell’Atlantico incrocia i barconi di
emigrati italiani: loro vanno per trovare fortuna e lui rientra per un soggiorno nelle patrie galere.
Dall’oblò sbarrato della nave scruta
l’acqua gonfiarsi. E a terra, ancora,
nuove sbarre.
Sono le 7,20 ed è un martedì 17. La
polizia federale lo consegna a quella
italiana; lo caricano su un cellulare in
direzione Poggioreale. Sta in isolamento per una notte e l’indomani è
già pronto per sbarcare a Palermo.
I parenti del La Marca, se è vero
quanto ci raccontano ad Alimena,
comprano il primo televisore proprio
in quei giorni. Lo accendono contenti
come un bimbo che scarta il suo nuovo regalo, come il resto degli italiani
in fondo. E però la prima notizia che
a s c o l t a n o è p ro p ri o q u e l l a
dell’arresto e dello sbarco a Napoli
del loro congiunto. Lo vedono con
quei ferri ai polsi e non va loro a genio. Soluzione: riportano indietro,
stizziti, il televisore al negoziante…
Giuseppe La Marca da Poggioreale,
lo mettono su un treno, su un vagone
speciale e come i cicli che si rispettino, ritorna nella sua terra. Non
più come padrone, ma come ergastolano. Nuova residenza: Ucciardone.
Uscirà dopo ventidue anni dal carcere, passati tra Palermo, Ventotene ed
Augusta, per ritornare infine ad Alimena.
E lì ne parlano come di un uomo
schivo, immerso nella terra della sua
campagna. Sposa una donna a modo
e bella: Mariannina di Vallelunga
che gli starà accanto per poco.
Morirà, infatti, appena cinquantenne
a causa di un tumore. E La Marca,
vedovo, rimane proprio lì, a Vallelunga, dove morirà il 23 dicembre 2006 a 81 anni. Muore un anziano come tanti altri. Anzi, no. Muore un
bandito anziano, che ha fatto la storia, a modo suo. Un pezzo di storia
criminale delle Madonie.
Antonino Cicero
POLLINA
Nasce il movimento "Sicilia bene comune"
Una rete che raccoglie le esperienze di sviluppo e promozione sociale costruite dal basso e con successo.
Un manifesto della società organizzata che si oppone
all'immobilismo del governo regionale e che, tanto per
programma quanto per metodo, lancia una sfida alla
politica e ai partiti. Nel nome di Rita Borsellino e dell'unità del centrosinistra. Tutto questo è "Sicilia bene comune", il movimento che ha messo insieme più di 300
soggetti provenienti da tutta la regione, tra associazioni di categoria, cooperative, sindacati, ambientalisti,
imprenditori, gruppi di acquisto solidale. Ma anche docenti, professionisti, operatori culturali e amministratori
locali come Magda Culotta, il sindaco donna più giovane d'Italia. "Il nostro è un progetto di sviluppo economico e sociale che parte dalla società attiva - dice Alfio
Foti, coordinatore di Un'altra Storia, il movimento di Rita Borsellino che ha promosso l'evento - Parte da tutti
quei soggetti che ogni giorno si confrontano con il territorio elaborando dal basso azioni concrete di sviluppo". A Pollina le otto agorà tematiche in cui è divisa
"Sicilia bene comune" (lavoro, economia solidale, ambiente, benessere, partecipazione, saperi e conoscenze, cultura e pace) si sono confrontati esponenti di
Cgil, Legambiente, Arci, Libera, Rete degli studenti
medi. Dal Catanese sono arrivati i gruppi di acquisto
solidale di Siqillyah, dal Palermitano la coop Lavoro e
non solo, da Siracusa Slow food, da Agrigento il Forum
dell'acqua
bene
comune.
"Nella agorà – continua Alfio Foti - stiamo elaborando
quelle proposte programmatiche che confluiranno nel
nostro manifesto". Le conclusioni sono state affidate a
Rita Borsellino.
GANGI
Si è laureato in ingegneria
il nostro collaboratore Giuseppe Biundo
Il nostro collaboratore Giuseppe Biundo ha conseguito
la laurea vecchio ordinamento in Ingegneria per
l’Ambiente e il Territorio presso l’Università degli Studi
di Catania con una tesi inerente la tecnica del controllo
ambientale dal titolo: “Le centrali idroelettriche nel
comprensorio delle Alte Madonie: dalla produzione di
energia agli inizi del ‘900 alle prospettive future”. Relatore è stato il professore ingegnere Antonio Gagliano.
All’amico Giuseppe gli auguri di tutta la redazione.
Espero - Mensile di Cultura - Politica - Informazione - Nuova Serie Anno V n. 47 - 1 Marzo 2011
Direttore: Alfonso Lo Cascio - Redazione: Ciro Cardinale, Antonino Cicero, Giovanni Lo Nero, Vincenzo Pinello, Aurora Rainieri, Giuseppe Spallino.
Collaboratori: Antonino Artese, Dario Barà, Giuseppe Biundo, Anna Casisa, Giulio Catanzaro, Giovanni Corrieri, Salvo D’Antona, Giuseppe Di Franco, Filippo Di Carlo, Santi Licata, Marcello Longo,
Mirella Mascellino, Martina Pantina, Claudio Pepoli, Salvatore Solaro, Maria Rosaria Sinatra, Mario Siragusa, Roberto Sottile, Carmen Consuelo Spina, Antonino Taulli, Rosario Termotto.
Fotografie: Giovanni Agrimi, Benedetto Aiello, Emanuele Carlisi, Francesco La Mantia. Segretaria di Redazione: Cristina Battaglia.
Direzione e Redazione: 90018 Termini Imerese via Ospedale Civico, 32 Tel. 091.8112571. Email: [email protected]. Registrazione Testata: Tribunale di Termini Imerese n. 2 del 7/4/1989
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Fotocomposizione e Stampa: Le Madonie s.n.c. via Fonti di Camar, 75 - Castelbuono. Rivista dell’Associazione Comprensoriale Espero - Casa Editrice Don Lorenzo Milani
Un numero Euro 1 (Copia arretrata il doppio) Abbonamento annuo Euro 10 (Sostenitore Euro 50) C.C.P. n. 92097070 intestato a DLM Via Ospedale Civico, 32 - 90018 Termini Imerese (PA)
1 Marzo 2011
DALLA PRIMA PAGINA/FIAT
(100 milioni stanziati dal governo, 350 dalla regione, il resto dai privati) e
dovrebbe essere operativo entro 36
mesi. La cessione degli impianti da
parte della Fiat a costo zero è subordinata alla ricollocazione integrale dell'occupazione entro il 2012, con in più
la creazione di 3300 nuovi posti di lavoro a regime (oggi a Termini lavorano circa 1600 persone, oltre le 600 unità dell'indotto). Nel periodo di
transizione e fino a quando i nuovi insediamenti non saranno operativi, i lavoratori dovrebbero essere coperti
dalla cassa integrazione straordinaria.
Ma chi verrà al posto della casa automobilistica torinese, già pronta con le
valige in mano ad abbandonare la Sicilia? Da una lista iniziale di 31 potenziali candidati disponibili a rilevare il
sito termitano, vagliata da Invitalia, si
è alla fine giunti ad appena sette probabili investitori, che potranno utilizzare l'infrastruttura a partire dal primo
gennaio 2012. Si tratta di De Tomaso,
del progetto Sunny Car, di Ciccolella,
di Med-studios, di Lima Group, di
New Coop e di Biogen Termini Imerese. Nel “mazzo” c’era pure
un’ottava, grossa offerta, che per il
momento è rimasta esclusa perché arrivata fuori tempo massimo: quella
della casa automobilistica molisana Dr Motor Company. L’idea era
quella di rilevare l'intero sito, mantenendo lo stesso assetto produttivo della Fiat: lastratura, verniciatura e assemblaggio, per produrre così 60mila
auto l'anno per quattro diversi modelli
(oltre a Dr 1, 2 e 5 si prevede una nuova vettura).
Ma chi sono le “sette sorelle” selezionate per accaparrarsi lo stabilimento ormai ex Fiat? Vediamole insieme un po’ più da vicino.
De Tomaso. E’ la capofila nella lista
delle sette aziende che dovrebbero salvare lo stabilimento Fiat. Prestigioso
marchio automobilistico sportivo, acquistato nel 2009 dall'imprenditore torinese Gian Mario Rossignolo dopo il
tracollo finanziario. E dopo la crisi la
produzione di auto dovrebbe ripartire
proprio quest’anno nello stabilimento
ex Pininfarina di Grugliasco, alla periferia torinese, da dove si prevede usciranno a regime ottomila vetture prestigiose, tra suv, limousine e coupé.
Finora è stata presentata al pubblico
solo la SLC, una berlina di lusso che
dovrebbe essere messa in vendita con
prezzi a partire da 85mila euro. L'obiettivo di Rossignolo è quello di costruire a Termini due nuove vetture di
lusso, che si andrebbero ad aggiungere alle tre già previste nel piano
aziendale. Si tratterebbe di un mini
suv e di una citycar, che andrebbero a
competere con la Bmw X1 e la Mini,
per un totale di 35mila pezzi l’anno,
secondo le prospettive più entusiastiche. In ogni caso la rinascita di Termini è legata ad una azienda che ancora
non c’è e che finora ha speso in attesa
di produrre, ma che di certo non si imbarcherà nel progetto siciliano senza
solide garanzie.
Sunny Car. Finora è solo di un’idea,
bella ed interessante quanto vogliamo,
ma soltanto un’idea utopistica. È un
progetto ancora allo stadio embrionale
per fare muovere la Sicilia grazie al
sole di cui gode in abbondanza, trasformandola quindi in un innovativo
laboratorio sulla mobilità. L'idea è venuta alla Cape Regione Siciliana, un
fondo d'investimento chiuso con capitale diviso tra la stessa Cape, che ne
possiede il 51 per cento, e la Regione
Siciliana, che contribuisce per la restante quota. Al fondo partecipano anche altre realtà, tra cui Unicredit, Natixis Private Equity International e
Competitiveness and Innovation Framework Programme. Di produttivo finora niente, solo bei progetti. Secondo
l'ideatore e finanziere siciliano Simone Cimino, che per questo ha pure firmato intese commerciali con l’indiana
Reva Electric Car Company, una so-
Lo stabilimento torinese chiuderà a dicembre
Fiat: e ora?
Una per una le sette proposte che dovrebbero occupare
l’area che fu della Sicilfiat (De Tomaso, Sunny Car,
Ciccolella, Med-studios, Lima Group, New Coop,
Biogen Termini Imerese) e creare a regime 3300 nuovi
posti di lavoro. Ma c’è il rischio di un grande bluff
Foto di Emanuele Carlisi
cietà di produzione e commercializzazione di auto elettriche, il progetto
prevede la produzione e vendita di
veicoli alimentati ad energia pulita,
nonché l'allestimento di una fitta rete
di stazioni di ricarica distribuite sull'intera regione (si parla di 2000 siti a
regime), muniti di pannelli fotovoltaici per la raccolta dell'energia proveniente dal sole. E Termini Imerese potrebbe rappresentare proprio il punto
di partenza “forte” dell'idea. Qui, dopo la necessaria riconversione degli
impianti ex Fiat, si potrebbero realizzare autovetture ad energia pulita, occupando anche mille unità lavorative.
Ma siccome l’idea è ancora tutta in divenire, la società si è comunque
“messa il ferro dietro la porta”, come
si suole dire, e sul sito Internet di
Sunny car possiamo leggere che
«sono state comunque in concomitanza avviate delle ricerche sulla parte orientale del territorio siciliano, adiacente il distretto dell'elettronica catanese, all'individuazione di impianti dismessi e/o aree idonee alla conversione industriale, qualora l'utilizzo dello
stabilimento di Termini non fosse
consentito». Come dire, se non ci date
Termini ce ne andremo da un'altra
parte. E buona notte al secchio ed ai
sogni di gloria per la città tirrenica.
Ma chi è il patron della Sunny car? Agrigentino, bocconiano, un passato in
Montedison, ottimi agganci con il governatore Lombardo, Cimino ha provato più volte a sfondare nell’Isola,
ma finora senza successo, costruendo
solo debiti. La Ice Cube Impianti, che
proprio a Termini Imerese produce
ghiaccio alimentare, ha chiuso infatti
in perdita il proprio esercizio finanziario per due anni consecutivi (2008 e 2009). E poi ci sono il gruppo alimentare Zappalà e la T-Link, la compagnia di navigazione che collega Termini con Genova e che ha raggiunto
lo scorso anno perdite superiori al capitale, costringendo i soci a sostanziose iniezioni di denaro. Ma Cimino non
si perde d’animo ed eccolo pronto a
tuffarsi in un nuovo progetto imprenditoriale, questa volta nel settore automobilistico. Ci riuscirà?
Ciccolella. Si tratta di un gruppo
leader in Europa nel settore della produzione e commercializzazione di fiori recisi e piante da vaso, prima azien-
da florovivaistica quotata in borsa nel
Vecchio continente, anche se non certo con successo, come vedremo più avanti. Attiva da 40 anni, l’azienda ha
attualmente a disposizione circa 100
ettari di serre in Italia e gestisce la distribuzione attraverso proprie aziende
situate in Olanda e specializzate proprio nella commercializzazione dei
prodotti florovivaistici su tutto il continente europeo. La sede amministrativa è a San Nicola di Melfi, in Basilicata, mentre le attività produttive sono
distribuite tra la Puglia e la Basilicata.
Essa occupa attualmente 1800 dipendenti, che seguono tutti i passaggi
della filiera (dalla ricerca, alla produzione e commercializzazione di piante
e fiori). Il gruppo Ciccolella progetta e
realizza qualsiasi tipologia di impianto
del settore florovivaistico, affiancando
alle serre progetti innovativi nell'energia. Ed a Termini dovrebbe proprio
arrivare la produzione di serre fotovoltaiche, investendo di proprio circa
200 milioni di euro, anche se non se la
passa proprio benissimo. Nel 2008 il
gruppo ha chiuso i propri bilanci con
452 milioni di ricavi, che l’anno dopo
sono scesi a 413. Dove essa sta peggio
però è in borsa. Dai 7,6 euro del 2007,
il titolo è scivolato a 2,39 euro nel 2008 e a 70 centesimi il 15 febbraio,
proprio il giorno dell’annuncio della
firma sull’accordo di Termini. Se il
buon giorno si vede dal mattino…
Med-studios. Arieccola. Ogni volta
che la Fiat è in crisi, tutte le volte che
si parla di chiusura degli stabilimenti
termitani, ecco spuntare l'idea della
“Hollywood siciliana”. Teatri di posa
per cinema e fiction tv realizzati dalla
Einstein Multimedia proprio lì dove
fino al 31 dicembre si “stamperanno”
automobili. È da tempo che la casa di
produzione ci prova ad “accasarsi” in
città, ma finora senza grande successo. Dopo il bluff della “città del cinema”, che avrebbe dovuto realizzarsi su
un’area artigianale di Buonfornello,
“sventato” proprio da Espero nel 2007
e la rinuncia definitiva all’idea, annunciata la scorsa primavera da Gianni Minoli, la Einstein Multimedia si è
finora “accontentata” di utilizzare la
struttura di contrada Impalastro, di
proprietà della provincia di Palermo,
già colonia estiva per bambini, girando poi le puntate di “Agrodolce”,
fiction siciliana in salsa buonista, per
le vie di Termini e dei paesi limitrofi.
Ed adesso ecco che ritorna in auge il
vecchio progetto, pronto a risorgere
dalle ceneri della Fiat, anche se
“Agrodolce”, come il Napoleone cantato dal Manzoni, è già finita più volte
sulla polvere ed altrettante sull’altare,
con la Regione Siciliana sempre pronta a negare o a favorire i finanziamenti
pubblici, a seconda di dove tira il vento (o il patron politico) del momento.
In questo clima, quale futuro avrebbe
la “Hollywood termitana”?
Lima Group. La società si occupa da
sessanta anni della produzione di protesi ossee ortopediche, realizzate con
materiali innovativi, quali il titanio o
la ceramica. Fondata nel 1945, ha sede
a Villanova di San Daniele del Friuli,
in provincia di Udine e ha tre moderni
stabilimenti in Italia (oltre che in Friuli, anche in Emilia Romagna e Sicilia)
e dieci filiali estere in Spagna, Francia, Germania, Repubblica Ceca,
Svizzera, Croazia, Giappone. In atto
occupa trecento dipendenti. Nulla si sa
del suo progetto per Termini Imerese.
New Coop. Si tratta di una società con
sede a Novi Ligure, in provincia di Alessandria, che si occupa di servizi a
terzi sin dal 1988. E' specializzata nell'attività di movimentazione delle
merci per lo svuotamento ed il riempimento manuale di container, truck e
silos. Il suo progetto dovrebbe essere
legato all’interporto termitano, coi
suoi alti e bassi, i suoi stop e le sue ripartenze.
Biogen Termini Imerese. Poco si sa
su questa società che si occupa di impianti di stoccaggio e lavorazione delle biomasse. A Termini Imerese dovrebbe investire 163 milioni di euro,
con una ricaduta occupazionale di 70
unità. Altro progetto finora presente
solo sulla carta.
Queste le idee e i progetti per il futuro
dello stabilimento. Resta adesso da
verificare se tutte le aziende selezionate fin qui vorranno andare fino in
fondo, quando si incroceranno richieste e disponibilità concrete di in-
centivi pubblici. Nel caso in cui i cordoni della borsa di papà Stato e di
mamma regione dovessero rivelarsi
più stretti del previsto, infatti, potrebbe accadere che il numero degli investitori cali o che subentrino altri candidati rimasti per il momento in stand
by, oppure che tutto il progetto per il
futuro industriale termitano salti. In
questo caso il grande rilancio potrebbe
nascondere solo un grande bluff.
Le reazioni? Soddisfatto naturalmente
il ministro dello sviluppo economico
Paolo Romani. «Da una situazione di
crisi ne abbiamo ricavato una straordinaria case history italiana di ristrutturazione aziendale, industriale, che dà
anche alla Sicilia la possibilità di raddoppiare l'occupazione». Evviva. Giudizio sospeso invece per i sindacati.
Per Roberto Mastrosimone (Fiom
Cgil) si tratta di «un salto nel buio.
L'unica cosa certa è che la Fiat se ne
andrà da Termini Imerese a fine dicembre. Il resto è solo carta». Lo stanziamento di fondi da parte della Regione Sicilia rappresenta, ammette il
sindacalista, «un passo in avanti», ma
il problema è come queste risorse saranno utilizzate. Critici il leader di Italia dei Valori Antonio Di Pietro, per il
quale la chiusura Termini Imerese
«manderà sul lastrico oltre duemila famiglie», ed il governatore della Sicilia
Raffaele Lombardo, che invita
Marchionne «per il bene di questa nostra area industriale a non farsi più vedere né sentire».
Ed i termitani? Come hanno preso la
firma dell’accordo? Per intanto consolandosi con il carnevale. “Resterete
senza Fiat!" è infatti lo slogan scelto
per l'edizione 2011. «Abbiamo scelto
l’arma dell'ironia, ingrediente principe
del carnevale, per accendere i riflettori
sulla città e sulla drammatica situazione che sta affrontando», si è affrettato
a precisare il sindaco Salvatore Burrafato, di fronte a coloro che hanno storto il naso davanti allo slogan. Sarà, ma
per qualcuno non c'è proprio niente da
ridere.
Ciro Cardinale
3° Mese
Termini Imerese. Museo Civico, le promesse mancate
Ma perché non si bandisce ancora
il concorso per Direttore?
“G
arantisco un concorso in tempi brevi”. E’ stato il primo cittadino a promettere, circa quindici mesi fa, il bando per il concorso di nuovo direttore del museo. Ma nel frattempo non arriva nulla. E sorge spontanea la domanda: che interesse ha
l’amministrazione cittadina a non bandire un concorso per un posto che è
regolarmente previsto nella pianta organica? Cosa si aspetta? O era la
classica promessa da marinaio, tanto poi non se la ricorda nessuno?
1 Marzo 2011
Campofelice di Roccella. Verso le amministrative
Pedalino candidato a sindaco
Siglata in vista delle prossime elezioni l’alleanza
programmatica tra la lista “Libertà e Progresso per
Campofelice” e “Insieme per cambiare”. Delineate le linee
del programma e scelto il candidato a primo cittadino
P
resentata a Campofelice di
Roccella l’alleanza programmatica tra la lista “Libertà e
Progresso per Campofelice” e
“Insieme per cambiare”, siglata in
vista delle prossime elezioni amministrative.
Nel corso della manifestazione sono
state delineate le linee essenziali del
programma elettorale ed ufficializzata la candidatura a sindaco di Giuseppe Pedalino.
Pedalino, eletto nella lista
dell’attuale sindaco Francesco Vasta, è stato assessore al bilancio sino
a quando, sei mesi fa, in polemica
con la gestione del bilancio comunale, si è dimesso seguito da quattro
consiglieri comunali.
Abbiamo chiesto al neocandidato
quali sono le proposte alternative
pensate per Campofelice.
“Questo è un momento molto im-
portante per la vita del nostro paese,
perché vede due movimenti che insieme provano a raccogliere le indicazioni della gente per proporre un
nuovo modello di sviluppo della nostra realtà comunale. Purtroppo
Campofelice è stata oggetto negli
ultimi anni di gravi dimenticanze;
riteniamo di puntare sul recupero urbano ed edilizio del territorio per
dare alla nostra gente quelle risposte
che da tempo si aspetta”.
Due movimenti che si mettono insieme, mancate forse di ottimismo
per le adesioni al vostro programma?
“Non siamo assolutamente timorosi.
Riteniamo che la gente di questo paese abbia recepito il messaggio che
abbiamo voluto lanciare. È un movimento di giovani che insieme vuole
provare a dare quella sterzata verso
un diverso modo di vedere la politi-
ca, di approcciarsi alla gente, di fornire risposte concrete ai problemi”.
N e l s e g n o d e l l a p o l e mi c a
l’intervento del consigliere provinciale Gianni Lanza.
“Mi sono chiesto: come mai un
gruppo di uomini non condivide il
modo di amministrare della giunta
di Franco Vasta? Perché vogliono
dare a Campofelice di Roccella una
prospettiva di crescita sociale, cultu-
rale ed economica vera, e non di sola parvenza! L’attuale amministrazione si è spesa solo per l’apparire e
per le feste, senza dotare il paese di
quelle infrastrutture necessarie per il
suo sviluppo”.
Con la presentazione della lista si apre la compagna elettorale per le
amministrative del 15 maggio che si
preannuncia accesa.
Carmen Consuelo Spina
Un momento della manifestazione.
Termini Imerese
Strafalcioni
carnevaleschi
N
ell’opuscolo realizzato per
pubblicizzare il carnevale
le informazioni sulle cose
da vedere a Termini lasciano un
po’ a desiderare. Sorvoliamo sul
fatto che il ponte sul fiume S. Leonardo del XVIII sec. sia stato retrocesso al XVII, che gli affreschi
de “La Barbera” siano ospitati in
una mai esistita sede storica del
museo, ma che addirittura il teatro
all’aperto del belvedere costruito
circa dieci anni fa compaia come
un edificio monumentale da vedere insieme all’acquedotto romano
e alla medievale chiesa di S. Caterina è il massimo. Ma queste sono
informazioni per un turista o notizie per grasse risate di carnevale?

Le Madonie dalla preistoria ai giorni nostri
di Antonino Cicero
S
Salvatore Farinella
Storia delle Madonie
Dalla preistoria al Novecento
Cada Editrice Arianna
Geraci Siculo 2010
pp. 262 Euro 30,00
alvatore Farinella, architetto quarantenne, che vive a Gangi e lavora
a Nicosia, con all’attivo diverse
pubblicazioni ed iniziative culturali ne
scrive una fra le più complete: “Storia
delle Madonie. Dalla preistoria al Novecento”, edito da Arianna Attinasi di Geraci Siculo (2010).
Il lavoro è diviso in tre parti per ripercorrere le tappe, rispettivamente,
dell’età antica (dalle origini della civiltà
madonita con presenze attestate con certezza fin dal tardo Paleolitico e che parlano, via via che si passi all’Età del rame e del bronzo, dell’homo madoniensis
con la Grotta del Vecchiuzzo presso Petralia Sottana o con l’Abisso del Vento o
la Grotta della Chiusilla presso Isnello,
dell’età medievale e, infine, delle epoche moderna e contemporanea, per un
viaggio ricco di vita che va dagli insediamenti preistorici alla colonizzazione
greca, dalla ellenizzazione all’epopea
romana, dai bizantini, arabi e normanni
ai feudatari e ai Ventimiglia, dagli angioin i agli sp agnoli, dai moti
dell’Ottocento, ai garibaldini alla nobiltà
gattopardiana, all’Unità d’Italia, dalle
guerre agli esordi intravisti e immaginati
della Repubblica.
“Le Madonie” scrive Farinella “sono
considerate un territorio omogeneo per
storia, per arte e per cultura, una sorta di
regione nella regione in cui le diverse
comunità che la costituiscono si ritrovano fra loro legate da una “storia comune”…”. Già, epicentro Madonie, storia
ecumenica di più campanili. E ancora
oggi l’idea che la storia abbia consegnato a queste terre e a queste popolazioni
un marchio di sicuro brevetto. Di qualità
eccelsa, in fondo.
Il toponimo è caro a tanta pubblicistica.
Madonie sono monti e anima e per gli
scrittori antichi deriva, probabilmente,
da “Maro mons” o “Maroneus Mons”, il
Monte Marone, il colle su cui sorge
Gangi, propaggine orientale della catena, che, “benché … appaia marginale rispetto al gruppo montuoso, il suo oronimo identifica tuttavia l’intero complesso
madonita”.
Farinella cita il geografo tedesco Adolf
Holm, nell’Ottocento quaggiù; e poi
l’abate Domenico Scinà, in giro per descrivere gli effetti dei terremoti del 1818-19. In ordine di pagina, ricorda Strabone, Silio Italico, Solino, Plinio il Vecc h i o , Tu c i d i d e c h e s o t t o l i n ea
l’impermeabilità del territorio alle penetrazioni esterne. E poi Stesicoro e Vitruvio… Francesco Minà Palumbo,
l’Amari, Tommaso Fazello…
Per parlare di un territorio occorre averne le coordinate geografiche e noi respiriamo l’aria della “continuazione dei
Nebrodi, che insieme a questi e alla catena dei Peloritani (i monti del messinese), costituiscono la spina dorsale della
Sicilia, quell’Appennino siculo che è
l’ideale prosecuzione dell’Appennino
continentale…” ai confini con il mare a
nord e col nisseno e l’ennese a sud, per
estensione seconde solo all’Etna. E a delimitarle i fiumi Pollina e Rainò (suo emissario) a est, Salso a sud (l’antico fiume Imera meridionale, “quello che scorre dall’altra parte … dove si estrae il sale, e che ha un sapore salso, appunto”
come ci ricorda Vitruvio) e Grande
(l’Imera settentrionale) a ovest.
Farinella parla di un territorio compatto,
impermeabile, che riesce a mantenere una sua autonomia antropica. Ma
l’influenza c’è. Da parte dei sicani e dei
siculi , dei punici e dei greci che ne
completeranno l’ellenizzazione nel V
secolo a.C. con la perla KephaloidionCefalù (la cui Rocca, tuttavia, attesta
precedenti presenze) e la Phiale aurea
di Caltavuturo a cavallo fra IV e III secolo a.C., quando tutto comincia a declinare. E quei puzzle culturali si rifletteranno sulle Madonie: “Differenti
“culture”, così come differenti parlate e
differenti tradizioni, caratterizzano infatti ancora oggi i diversi ambiti su cui gravitano i centri madoniti”. E poi i romani
col latifondo, la manna (il miele di rugiada secondo il medico Galeno) e il
salgemma inviati nell’Urbe, le mansiones e stationes (forse all’origine delle
nostre masserie) e le Madonie al centro
delle vie del grano e del sale, appunto;
le terme di Sclafani Bagni e quelle
probabili di Gangi Vecchio, la Villa a
Settefrati e in contrada Santa Marina,
vicino Raffo… E poi il cristianesimo a
partire dal IV secolo d.C. (testimonianze
di Gangi Vecchio, Castellana e Monte
Alburchia sempre a Gangi), i bizantini
con i monaci e i monasteri (si pensi ai
nomi di contrade come San Basilio,
Sant’E li a, San t’ Ono frio, San
Calogero, Santa Caterina, San Pietro,
Sant’Anastasia…), gli arabi e le Madonie islamizzate tra il Val Demone,
il Val di Mazara e il Val di Noto
(Qual at abu Tawr-Caltavuturo, i
normanni nell’XI secolo d.C.,
Ruggero d’Altavilla, il geografo
Idrisi, il Duomo di Cefalù, i centri di
potere fra Collesano, Petralia e Geraci, fino all’omogeneizzazione dei
Ventimiglia di Geraci, i conti delle
Madonie, passando per Svevi, Angioini e Aragonesi, Vespri e confusione
politica; quell’omogeneizzazione che
oggi, secondo l’autore, vorrebbe rivivere nell’abbraccio unificante del Parco delle Madonie istituito nel 1989.
Una storia infinita quella che racconta
Farinella, che si chiude con Mariano
Rampolla del Tindaro (1843-1913) di
Polizzi, il Segretario di Stato della
Santa Sede e mancato papa (il suo assistente è il futuro papa Benedetto
XV), passando per la Targa Florio,
Maria Accascina, Giuseppe Ganci
Battaglia “il poeta (dialettale) delle
Mad onie”, Giusepp e Antonio
Borgese… Una storia lunga che
Farinella ha voluto racchiudere in un
testo prezioso e di sicuro ausilio per
tante ricerche. O per la sola curiosità
di sapere qualcosa in più dell’“uomo
madonita”.
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1 Marzo 2011
Gangi
Vetuste riflessioni
di Giuseppe Biundo
N
DALLA PRIMA PAGINA/PARCO
Analizziamo a questo punto il Calendario 2011 del Parco delle Madonie. Sicuramente un contenitore pregevole di informazioni poiché racchiude tutto lo straordinario bagaglio di conoscenze acquisite dai professionisti del NOC 31, progetto dal
quale provengono anche i fondi per
la stampa del calendario che è stato
a costo zero per l’Ente Parco. Ma
per l’ambiente è stato a costo zero?
Il prodotto stampato è veicolo di comunicazione; l’utilizzo di un prodotto stampato ottenuto secondo criteri che tengono conto delle problematiche ambientali è una testimonianza concreta dell’attenzione
all’ambiente da parte dell’Ente che
dimostra la sua coerenza in materia
di politiche ambientali e allo stesso
tempo veicola il messaggio, attraverso il proprio esempio, anche ai
destinatari delle comunicazioni.
A tal fine è sempre necessario ricordarsi di evidenziare sulla comunicazione gli aspetti ambientali considerati per produrla, ad esempio andrà
inserita una frase del tipo: “stampato
su carta prodotta a partire da fibre
riciclate al 100% sbiancate senza utilizzo di gas di cloro, con processi
di stampa che non comportano l’uso
d i so stanze p er ico lo se p er
l’ambiente e la salute e garantiscono
la buona riciclabilità”. Prescindendo
dal fatto che il calendario può essere
trasformato in un libro e quindi conservato, la riciclabilità del prodotto
in carta stampata è uno degli aspetti
fondamentali da curare per garantire
la sostenibilità della filiera ed è
quindi fondamentale che tutti gli attori coinvolti, inclusi i grafici e coloro che ordinano prodotti grafici,
tengano nella dovuta considerazione
le problematiche ad essa correlate.
Confidiamo quindi che l’Ente abbia
evidenziato fin dal titolo e
dall’oggetto dell’appalto che si trattava di “stampa di calendario a basso impatto ambientale” e quindi prestando attenzione alle caratteristiche
ambientali del supporto cartaceo utilizzato (carta riciclata, da fibre vergini, da foreste certificate, …) ed eventualmente chiedere informazioni
al riguardo. Abbiamo fiducia quindi
che sia stata preferita carta che ha
ottenuto la cer tificazio ne
dell’Ecolabel europeo o altre certificazioni come l’Angelo azzurro, il
Cigno Nordico, il marchio FSC o
PEFC e che sicuramente ci si sia orientati verso aziende che tengono
sotto controllo le proprie interazioni
con l’ambiente adottando un sistema
di gestione ambientale certificato
(secondo il regolamento EMAS – Eco-Management and Audit Scheme
o la norma ISO 14001). Facciamo
assegnamento che siano state chieste informazioni sul tipo di inchiostri utilizzati nella stampa e che siano stati utilizzati inchiostri e solventi a bassa emissione di composti organici volatili ma soprattutto speriamo che l’azienda che ha prodotto il
calendario adotti delle politiche di
risparmio energetico e utilizzi energia elettrica da fonti rinnovabili, solo così potremo affermare che questo calendario sia a costo zero…o
quasi… per l’ambiente. Sicuramente
la scelta di una eccessiva superficie
stampata a colori, la rilegatura in legno (sperando che non sia in Abies
Nebrodensis) e l’imballaggio costituito da un astuccio di cartone, conducono al risultato che l’operazione
ha sicuramente lasciato un’impronta
in termini ambientali. Calendario,
tra l’altro, carente anche nelle indicazioni poiché mancava di evidenziare la giornata del 18 febbraio 2011, giornata del risparmio energetico della campagna M’Illumino di
Meno: “Uniti nell'energia pulita!
Spegni la luce e accendi il Tricolore”; un'edizione speciale per celebrare i 150 anni dell'unità di Italia,
invitando come consuetudine ormai
da alcuni anni, comuni, enti, associazioni, scuole, aziende e case di
tutt’Italia, ad aderire all’iniziativa
creando quel “silenzio energetico”
che sicuramente avrebbe reso più
sostenibile anche questo calendario /
g.b.)
ei mesi scorsi su importanti
giornali nazionali e anche
sulle reti Rai, è stata data la
notizia che a Gangi una coppia ha
deciso di acquisire un immobile vetusto da risistemare: “aria pulita in
cambio di una ristrutturazione”. Tutti hanno plaudito al successo ma alcune riflessioni sono obbligatorie.
In tre anni, su un parco immobili vetusti e abbandonati di qualche migliaio di unità, a seguito di diversi
bandi, solo 11 immobili vengono ceduti gratuitamente dai cittadini che
non intendono sanare il precario stato di conservazione, di questi, solamente uno è stato assegnato a questa coppia nissena e gli altri attendono ancora una società del Nord che li
acquisisca in toto. Sicuramente l’idea
è di rilievo ma il risultato non è di
certo dei migliori, sempre se la matematica non è un’opinione. Il centro
urbano di Gangi ha certamente delle
caratteristiche di pregio da molti
punti di vista, sicuramente è pittoresco ma allo stesso tempo è fantasma.
Dati alla mano, è sotto gli occhi di
tutti lo spopolamento in atto, passeggiare tra le viuzze del centro significa
camminare nel silenzio assordante
della decadenza: non c’è gente quindi non ci sono consumi in definitiva
non c’è futuro. Ultimamente due esercizi commerciali hanno abbassato
le saracinesche e nei prossimi anni
altri lo faranno, nessun ricambio generazionale e sicuramente il raggiungimento dell’età pensionabile per gli
esercenti vorrà dire la chiusura per
l’esercizio anche perché non c’è mercato. Ristrutturare gli immobili regalati o per abitarvi o per destinarlo ad
albergo diffuso o abitazioni stagionali certamente nel breve periodo
vorrà dire lavoro per ditte locali ma
in una visione di lungo periodo, le
cose sono un po’ diverse. Innanzitutto chiediamoci con chi andrà ad interagire questa gente se nel centro non
sta rimanendo anima viva e poi è ovvio che questa popolazione fluttuante
lascia ben poco dal punto di vista economico, non ha i consumi della famiglia residente. Se un’operazione
per recuperare il centro andava fatta
era quello di invogliare massicciamente le famiglie e le nuove coppie,
quelle che ancora risiedono in paese,
a far ritorno in centro o quanto meno
a non abbandonarlo. Offrire loro servizi, creare nuovi parcheggi e quelli
che ci sono non pretendere il pagamento di un canone, dare degli incentivi a chi vuole aprire un esercizio
commerciale in centro e a chi già in
centro ha un’attività, pensare ad un
piano per la costruzione di alloggi
popolari così come ideato nella vicina Petralia Sottana, solo così si potrà fermare l’esodo e riportare la popolazione in centro e le strade prenderanno vita. Mentre il problema più
grande che la nostra comunità soffre
ormai da ben due anni ha trovato poco spazio sui media nazionali, una iniziativa che mette in luce una differenza ne strappa parecchio, certo
perché la televisione e i grandi quotidiani devono impaginare differenze
altrimenti la gente non li guarda.
Che le strade e i servizi siano carenti
forse è una costante che non fa notizia.
Aliminusa. Associazioni
Un miracolo chiamato Avis
Una piccola comunità di appena 1300 abitanti può vantare
un considerevole numero di donatori: una solidarietà che
va a beneficio di tante persone ammalate ma fa riflettere su
quante risorse nascoste esistono ancora nei nostri paesi
N
el precedente numero Espero
si è occupata delle undici sezioni Avis distribuite nel nostro comprensorio, e con un pizzico
d’orgoglio, ha sottolineato, che su
tutta la provincia di Palermo, un terzo delle donazioni vengono effettuate tra le nostre comunità.
Nel 2010 sono state ben 2253 le sacche di sangue raccolte nel nostro
comprensorio ed Aliminusa può
vantarne ben 140. Si tratta di una cifra senz’altro significativa, ma se
rapportata al numero di abitanti, tra i
quali solamente 600 persone possiedono i requisiti anagrafici per essere
potenziali donatori, ci rendiamo subito conto che siamo di fronte ad un
dato importante.
In passato ci siamo anche occupati
dell’emigrazione che svuota le nostre piccole comunità dell’entroterra
che pagano un prezzo troppo alto
per le scarse opportunità di lavoro e
per l’isolamento geografico che ostacola la mobilità, ma il fuggi fuggi, soprattutto dei giovani, va anche
ricercato in altre ragioni che certamente meriterebbero un approfondimento; eppure, in una piccola comunità come quella di Aliminusa, ci
sono risorse inaspettate, che meritano di essere raccontate e che passano anche attraverso le donazioni di
sangue.
Ben 140 le sacche raccolte l’anno
scorso ed il 2011 è già iniziato sotto
i migliori auspici in quanto in un solo appuntamento sono state raccolte
28 sacche ed effettuate 6 predonazioni. Tutto lascia ben sperare per i
prossimi appuntamenti: 10 aprile; 18 giugno; 21 agosto; 9 ottobre ed 11
dicembre.
Giuseppe Coppola, Presidente Provinciale Avis, crede molto nelle piccole comunità, perché la solidarietà,
così viva e gratuita, che ancora persiste in luoghi come Aliminusa,
porta non solo ad una significativa
raccolta di sangue ma soprattutto alla continuità. Mentre Vincenzo Agnello, Presidente della Sezione A-
vis di Aliminusa, racconta la storia
dell’Associazione si comprendono
in fretta le ragioni del successo di una sede così piccola. Il segreto è
l’associazionismo. In realtà, il direttivo composto da Alberto Nogara,
Franco Di Francesca, Liboria Gullo,
Franco Rizzo, Giuseppe Faso e Giuseppe Luzi, sebbene concentri gran
parte delle energie nella raccolta di
sangue, non manca di adoperarsi in
altre attività come l’istituzione di
borse di studio presso le locali scuole medie ed elementari sul tema delle donazioni riuscendo a stimolare i
giovanissimi alla cultura della donazione; così come un viaggio a carattere religioso-ricreativo in Calabria
presso la Madonna dello Scoglio; o
la raccolta Theleton che si svolge da
quando l’associazione è nata nel 200 5 . Da so tto li ne ar e i n fi ne
l’ideazione della giornata del donatore che culmina in una cena dove
partecipano tutti i donatori con le loro famiglie proprio a simboleggiare
nella convivialità il senso della donazione di sangue che salva la vita
degli individui ed arricchisce di felicità i familiari del ricevente. Insomma donando il proprio sangue, una
parte così estremamente intima di
sé, si entra in un circuito di condivisione che va ben oltre la sanità. Ad
Aliminusa l’hanno capito, così come
hanno compreso che il segreto del
successo nel perseguire fini solidali
è l’associazionismo, e in un certo
senso la gente ad Aliminusa sente
come se l’AVIS appartenesse a tutta
la comunità. Qualche mese fa, sempre ad Aliminusa, ci eravamo occupati dell’Associazione Aurora stupendoci per tutte le loro attività e
con l’Avis continuiamo piacevolmente a sorprenderci, e ci chiediamo perciò se proprio
l’associazionismo non possa rappresentare una delle possibili strategie
per salvaguardare lo svuotamento
delle nostre piccole comunità così
ricche di straordinarie risorse umane.
Filippo Di Carlo
1 Marzo 2011
Madonie. Intervista a Umberto Santino, fondatore del Centro “Giuseppe Impastato”
A pugni nudi contro la mafia
Fra memoria e ricerca, Santino parla dei Fasci siciliani, della strage di
Caltavuturo, del concetto di “borghesia mafiosa”, fino ad arrivare alla
polemica con Saviano, di cui la stampa ha parlato poco. Ha scritto “Storia del
movimento antimafia”, dove racconta importanti vicende spesso poco note
DALLA PRIMA PAGINA/MAFIA
acendo riaprire per tre volte le
indagini fino alla sentenza di
condanna di esecutore e mandante. Fondatore e animatore del
Centro (insieme ad Anna Puglisi) è
Umberto Santino, intellettuale e studioso scomodo e controcorrente, uno dei massimi esperti di mafie e
criminalità organizzata.
Vorrei iniziare parlando della sua
“Storia del movimento antimafia”, di cui è uscita una nuova edizione. Nel quadro della sua ricostruzione, che parte dai Fasci siciliani e giunge ai giorni nostri, emerge il ruolo della mafia e
dell’antimafia delle Madonie, o
perlomeno di un suo pezzo consistente. Nel settembre 1920 a Raffo, una delle frazioni di Petralia
Soprana, vengono uccisi i consiglieri comunali Paolo Li Puma e
Croce di Gangi. Nel 1948, ventotto
anni dopo, cade Epifanio Li Puma. Quali sono i contesti in cui
maturano questi tre omicidi e
quali le “continuità” e le
“trasformazioni” (per usare espressioni a lei care) tra i due periodi?
Chiariamo innanzitutto che i Fasci
siciliani sono il primo esempio di
lotte popolari contro la mafia e per
la riforma dei rapporti di lavoro, sviluppatesi in Sicilia tra il 1891 e il 1894. Si trattava di organizzazioni
composite, a metà strada tra partiti e
sindacati. È bene precisarlo, visto
che, tante volte mi sono sentito chie-
F
Umberto Santino
dere se non si trattasse di una versione siciliana del fascismo! Quanto
alla sua domanda, il duplice assassinio del 1920 s’inquadra
nell’offensiva mafiosa contro il movimento contadino del primo dopoguerra, che si coniuga con l’attività
delle squadre di tipo fascista che operavano soprattutto nella Sicilia orientale. Anche in Sicilia ci fu un
biennio rosso, negli anni ’19-20, con
la ripresa delle lotte contadine e delle lotte operaie con l’occupazione
del Cantiere navale di Palermo. E
non per caso, nel 1920, furono uccisi il dirigente del movimento contadino Nicolò Alongi e il segretario
della Fiom (Federazione Italiana degli Operai Metallurgici) Giovanni
Orcel. Due figure quasi completamente dimenticate e che, assieme ad altre, da anni cerchiamo di fare emergere come protagonisti non
solo della storia locale ma della storia d’Italia. Negli anni successivi alla fine della prima guerra mondiale
le lotte contadine vedono impegnate
varie componenti, spesso contrapposte tra loro. Ci sono i socialisti riformisti e rivoluzionari con le Camere del lavoro, le Leghe e le Cooperative, le organizzazioni del Partito popolare di Sturzo con le Cooperative e le Casse rurali, le associazioni dei combattenti e reduci che
chiedono che si realizzi la promessa
della “terra ai contadini” fatta durante la guerra, come ricompensa di
un enorme sacrificio di sangue. Il
metodo di lotta è soprattutto
l’occupazione simbolica delle terre.
E riparte la violenza mafiosa, soprattutto nel corleonese, epicentro
storico del movimento contadino dai
Fasci agli anni ’50 del secolo scorso. Per quello che sono riuscito a sapere, Li Puma e Di Gangi erano
consiglieri comunali socialisti di Petralia Soprana e furono uccisi nella
frazione Raffo, mentre tornavano da
una riunione della Lega contadina.
Possiamo dire che questi fatti avvengono nel contesto di una diffusa
prospettiva di rinnovamento, ancorata soprattutto al Partito socialista e
al Partito comunista che nascerà nel
1921 e guarderà alla rivoluzione sovietica come un esempio da imitare,
ma che sarà troncata dall’ascesa del
fascismo.
E per quanto riguarda l’omicidio
di Epifanio Li Puma?
Ancora Raffo è al centro della vicenda che, il 2 marzo 1948, porta
all’uccisione di Epifanio Li Puma,
parente di Paolo e organizzatore delle lotte contadine nei feudi dei Pottino, Mocciaro e Sgadari, agrari spalleggiati dalla mafia delle Madonie.
L’omicidio Li Puma si colloca nel
quadro delle grandi mobilitazioni
del secondo dopoguerra ed è motivato dalla sua attività di lotta e di
denuncia. Su quel periodo, sugli anni ’40 e ’50, ho raccolto storie di vi-
ta di dirigenti locali e militanti di
base, di cui riporto qualche passo
nella “Storia”. Mi riferisco a Gandolfo Albanese, segretario del Pci a
Polizzi Generosa, Vincenzo Campisi, anch’egli di Polizzi, dirigente
della Fedrebraccianti, Calogero
Gennaro, sindaco comunista di Petralia Soprana dal 1953 al 1956, che
su mia richiesta ha scritto
un’autobiografia. I loro racconti sono una testimonianza preziosa di
quella stagione di lotte, in un contesto anch’esso aperto a una prospettiva di rinnovamento e alla conquista della democrazia, ma già nel
’47 era crollata l’esperienza della
coalizione antifascista al governo
del Paese e la strage di Portella della
Ginestra, a dieci giorni dalla prima,
e ultima, vittoria delle sinistre alle elezioni regionali, saldava il blocco
conservatore guidato dalla Democrazia cristiana, che usava l’arma
della violenza mafiosa di fronte a una conflittualità sociale ingovernabile con altri mezzi. Di tutto
questo parlano i militanti che ho incontrato, all’interno di un progetto
di raccolte di testimonianze di quegli anni che purtroppo ho potuto
portare a compimento solo parzialmente. Un patrimonio di esperienze che è andato disperso per
sempre, dato che quasi tutti i protagonisti di quelle lotte non ci sono
più.
In altre parti della sua “Storia” lei
parla delle Madonie.
Debbo dire che le Madonie nella
mia ricostruzione compaiono già al
tempo dei Fasci siciliani, con la strage di Caltavuturo del 20 gennaio 1893. A Caltavuturo non si era formato il Fascio, c’era una società operaia che aveva organizzato una
manifestazione per le terre comunali
usurpate da borghesi locali, con
l’occupazione simbolica delle terre.
Al ritorno in paese i partecipanti alla
manifestazione si recarono davanti
al municipio chiedendo un incontro
con il sindaco. Il segretario del Comune si affacciò al balcone gridando: “Picciotti chi c’è carnivalata!?”.
I manifestanti si stavano allontanando quando le forze dell’ordine cominciarono a sparare senza preavviso. A dare inizio alla sparatoria risulta che sia stata una guardia municipale. Ci furono 13 morti e molti
feriti. Il copione che vede insieme
nell’opera repressiva guardie comunali, campieri, militari e forze
dell’ordine si ripeterà molte volte e
a gennaio del 1894 in Sicilia i morti
ammonteranno a 108. Una carneficina. Il massacro di Caltavuturo suscitò una grande emozione a livello nazionale, l’amministrazione comunale fu sciolta, il segretario comunale
sospeso ma successivamente ritornò
al suo posto.
Lei documenta anche un episodio
molto significativo accaduto nelle
Occupazione delle terre a Petralia Sottana
Madonie, montato dall’allora governo nazionale in funzione della
delegittimazione del movimento
dei Fasci.
A Petralia Soprana si registrò un episodio che fu maldestramente strumentalizzato dal presidente del Consiglio Francesco Crispi che ordinò la
repressione sanguinosa dei Fasci, il
loro scioglimento e lo stato
d’assedio. Nel dibattito parlamentare del febbraio-marzo 1894 Crispi
mostrò e lesse un manifesto, a suo
dire opera dei Fasci di Petralia, su
cui era scritto: “Operai! Figli del
Vespro: Ancora dormite? Corriamo
al carcere a liberare i fratelli. Morte
al Re, agli impiegati. Abbasso le
tasse. Fuoco al municipio e al casino
dei civili. Evviva il fascio dei lavoratori! Quando le campane della
Matrice e del Salvatore suoneranno,
assieme corriamo armati al castello,
che tutto è pronto per la libertà. Attenti al segnale!”. Il deputato socialista Prampolini chiese: “È firmato?” e Crispi rispose “È firmatissimo”. Il documento non era
per niente firmato e fu facile venire
a sapere che era opera di un impiegato di Petralia Soprana che voleva
mettere nei guai il marito di una
donna di cui era innamorato e che
l’aveva respinto. L’uomo aveva inviato il documento al suo rivale in amore e l’aveva denunciato con una
lettera anonima. La carnevalata si
recitava in Parlamento e il primo attore era Crispi, l’ex protagonista del
Risorgimento ora organica espressione del blocco agrario.
Accennavo alla sua teorizzazione
di
“continuità”
e
“trasformazione” nei fenomeni di
mafia. A questo proposito, molto
spesso si sente dire che dalla mafia agricola si sarebbe determinata un’evoluzione verso la
mafia imprenditrice. Secondo
questa prospettiva, la linea del
tempo della mafia madonita contemplerebbe la fase del feudo (e
dei Fasci siciliani e delle lotte contadine) e la fase della mafia della
fine degli anni ’80 ad oggi, quella
delle coperture ai latitanti, del
pizzo alle imprese edili e della tassa del 3% su ogni opera pubblica
appaltata. Mi pare però che i suoi
Copertina del libro: “Storia del movimento antimafia” di Umberto Santino.
saggi propongano una lettura un
po’ più complessa.
Nelle rappresentazioni della storia
della mafia è ancora vivo lo stereotipo “mafia vecchia-mafia nuova”, riverniciato nella versione colta come
“mafia tradizionale-mafia imprenditrice”. La mafia vecchia sarebbe stata sostanzialmente buona,
avrebbe rispettato le donne e i bambini, ucciso con moderazione, mentre la mafia nuova avrebbe tralignato, stravolta dall’ingente flusso di
capitali che avrebbe seppellito le
vecchie regole. Nella versione
“sociologica”, la mafia tradizionale
sarebbe stata ancorata alla competizione per l’onore e il prestigio, mentre la mafia imprenditrice avrebbe
scoperto, negli anni ’70, la competizione per la ricchezza. Sono ricostruzioni dilettantesche e distinzioni
inaccettabili che pretendono di tagliare con l’accetta fenomeni che
vanno studiati nella loro complessità. La mafia, come del resto tutti i
fenomeni di durata, intreccia continuità e trasformazione e se si può ipotizzare una periodizzazione è solo
per indicare la sua capacità di adattamento al mutare dei contesti. Si
può parlare di mafia agraria per dire
che al centro dell’accumulazione dei
rapporti sociali c’era il possesso del-
1 Marzo 2011
La memoria salvata di Epifanio Li Puma
D
Parenti e società civile in prima fila
i solito si parla d’altro. Delle vittime sconosciute di
mafia, i cosiddetti ‘morti
minori’, non c’è quasi mai cenno
sui giornali e in Tv. Tracce delle
loro storie sopravvivono con fatica
lungo le generazioni dei familiari
e grazie all’impegno di pochi. Fintanto che il morto per mafia resta
una storia ‘minore’, nessuno ne
parla negli uffici, a casa, al bar, in
pizzeria. Sulle Madonie, settori di
società civile stanno contribuendo
a scongiurare la dissoluzione di pezzi di memoria di una vittima della
mafia dei “baroni” dell’agro. In prima fila ci sono i parenti, gli eredi
culturali di Epifanio Li Puma, crivellato a colpi di lupara nelle Petralie del 1948.
La prima manifestazione intitolata a
Li Puma risale al 1983, trentacinquesimo anniversario dell’uccisione,
celebrato dalla Cgil di zona. 15 anni
di silenzio prima del cinquantesimo
anniversario, 1994, promotori Cgil e
I funerali di Epifanio Li Puma
la terra, ma anche allora la mafia
c’era sia nelle campagne che nelle
città. La mafia urbanoimprenditoriale non abbandona le
campagne ma si sviluppa in un quadro di urbanizzazione crescente, in
cui
diventa
decisivo
l’accaparramento del denaro pubblico dispensato dalla Regione e dallo
Stato. La mafia finanziaria si sviluppa sull’onda dei traffici internazionali che fanno lievitare
l’accumulazione illegale ma non si
abbandonano le vecchie pratiche.
L’estorsione, che è la manifestazione più eclatante della “signoria territoriale” e una forma di fiscalità parallela, è una costante, riscontrabile
fin da quelli che ho chiamato
“fenomeni premafiosi” documentabili fin dal XVI secolo. E questo vale anche per il territorio madonita.
Il Centro Impastato fin dalla sua
fondazione si caratterizza per una
pratica dell’antimafia basata
sull’impegno sociale e sulla ricerca. Assimilabile ad entrambe le
sfere mi pare sia la vostra
“Agenda dell’antimafia”, della
quale è appena uscita la terza edizione. Chi sono i madoniti presenti oltre a quelli che ha già citato?
“L’Agenda dell’antimafia” è un libro-agenda che racconta sinteticamente la storia della mafia e
dell’antimafia e ogni giorno riporta
delle informazioni sui caduti nella
lotta contro la mafia e sulle vittime
innocenti. L’idea nasce dalla constatazione che i nomi che si leggono da
alcuni anni il 21 marzo nella giornata della memoria e dell’impegno organizzata dall’associazione Libera,
per tantissimi sono solo dei nomi,
senza volto e senza storia. Infatti
l’Agenda era stata proposta a Libera
nel periodo in cui ne facevamo parte. La proposta prima è stata accolta
con entusiasmo e poi abbandonata
senza nessuna spiegazione: uno dei
motivi per cui siamo usciti da Libera. Evidentemente molti preferiscono recitare una litania di nomi, più o
meno conosciuti, che è l’esatto contrario della nostra concezione della
memoria, che è studio e ricerca e
produzione e diffusione di materiali
che ne diano un’immagine concreta.
Tra le vittime madonite di cui si dà
notizia nell’Agenda, oltre a Croce
Di Gangi, Paolo ed Epifanio Li Puma, figurano i costruttori Giuseppe
e Salvatore Sceusa, uccisi perché
non si sarebbero attenuti alle imposizioni della mafia relative agli appalti. Per una svista non figura il carabiniere Vincenzo Miserendino,
ucciso dalla banda Giuliano a Partinico nel 1946, segnalatoci da un ex
sindaco di Petralia Sottana. Non abbiamo raccolto informazioni sufficienti sul maresciallo Tralongo ucciso a Gangi nel primo dopoguerra.
Voi di “Espero” potreste aiutarci
nella ricerca.
Soffermiamoci ancora sull’oggi.
Lei è stato il primo ad aver utilizzato l’espressione “borghesia mafiosa”. Chiarisce questo concetto?
Nella mia analisi la mafia non è solo
l’associazione criminale ma anche, e
soprattutto, un sistema di rapporti.
Un blocco sociale che va dagli strati
più bassi a quelli più alti della popolazione che condividono interessi e
codici culturali con l’organizzazione
mafiosa, al cui interno il ruolo dominante è svolto da soggetti illegali
(i capimafia) e legali: professionisti,
imprenditori, rappresentanti della
pubblica amministrazione, della politica e delle istituzioni. Senza questi
Rifondazione Comunista. Ancora
la Cgil si incarica della manifestazione in occasione del sessantesimo anniversario dell’omicidio. Era il 2009. Ma i fermenti consolidati intorno alla crescente attenzione sulla figura del protagonista
delle battaglie contadine sono già
terreno fertile per la nascita del
«Centro Studi» Epifanio Li Puma.
Dentro ci stanno poeti, cantautori,
musicisti, giornalisti, contadini,
alcune tra le più interessanti realtà
delle Madonie di questi ultimi anni con accanto i parenti di Epifanio. Dal 2000 ad oggi è il Centro
Studi a farsi carico degli appuntamenti annuali per tenere viva la
memoria, intercalati tra il marzo e
il luglio del 2000 dalle manifestazioni del «Progetto San Francesco
in ricordo di Epifanio Li Puma»,
realizzato dai sindacati Filc Cisl
lombarda e siciliana e dalla Siulp.
Tre i libri che ricostruiscono
l’impegno civile e politico del
sindacalista madonita: nel 1998 escono «Epifanio Li Puma. Il misterioso delitto di un sindacalista»
di Gaetano La Placa e Mario Siragusa (Lancillotto e Ginevra Editore) e «Epifanio Li Puma: una
vita e una battaglia: la terra ai
contadini» scritto da Emilio Arata
ed edito dalla Cgil. Nel 2008 Santo Li Puma dà alle stampe la monografia «Epifanio Li Puma», per
i caratteri della edizioni Arianna
di Geraci Siculo (v.p.).
rapporti la mafia sarebbe soltanto una sparuta minoranza (6000 persone
su 5 milioni di siciliani) e potrebbe
fare molto poco sul piano degli appalti di opere pubbliche e di una serie di attività che richiedono necessariamente competenze che i padrini
non hanno (Riina e Provenzano hanno soltanto la seconda elementare e
un bagaglio esperienziale limitatissimo). Si pensi alla sanità. Senza medici, imprenditori e rappresentanti
del potere amministrativo e decisionale i mafiosi non avrebbero nessuna possibilità di inserirsi in quello
che è diventato un business molto
redditizio. La stessa cosa può dirsi
per il riciclaggio del denaro sporco
effettuato attraverso le banche e il
sistema finanziario. La mia analisi
ha dei precedenti: i “facinorosi della
classe media” di cui parlava Franchetti nell’inchiesta privata del 1876
e la “borghesia capitalisticomafiosa” di cui parlava nei primi
anni ’70 del secolo scorso un economista e dirigente della Nuova sinistra, Mario Mineo.
Ultimamente ha avuto una polemica con Roberto Saviano, della
quale, per la verità, la stampa ha
parlato molto poco e comunque
molto meno di quanto la vicenda
meritasse. Può raccontarci come
sono andate le cose?
Cominciamo dai fatti. Nel 2009 Saviano è andato a Cinisi per presentare il libro “Resistere a Mafiopoli”,
un’intervista a Giovanni Impastato,
con la mia prefazione. Nel libro si
racconta l’esperienza di Peppino
Impastato e tutto quello che i familiari, i compagni, noi del Centro siciliano di documentazione, abbiamo
fatto per salvarne la memoria e ottenere giustizia. Quel libro Saviano
non lo ha sfogliato o non ne ha voluto tenere conto, perché ha detto
che se si parla di Peppino, se si è
fatta giustizia, lo si deve al film “I
cento passi”. Qualcuno gli ha fatto
osservare che c’era stato un lungo
lavoro prima del film. Poi, a inizio
del 2010, è uscito il libro di Saviano
“La parola contro la camorra”, lanciato dal quotidiano “la Repubblica”, con ampi stralci che riportavano l’affermazione secondo cui “un
film riapre il processo” per
l’omicidio Impastato. Ho inviato una lettera al quotidiano, con le date
dei processi e della costituzione del
Comitato della Commissione antimafia che ha indagato sul depistaggio delle indagini, dimostrando che
erano precedenti all’uscita del film
(settembre 2000). La lettera è stata
pubblicata dopo solleciti (dicevano
che dovevano controllare le date e
chiedere a Saviano di replicare), con
un grosso taglio e senza replica. Ho
fatto passare parecchi mesi e ho incaricato due avvocati di scrivere
all’editore Einaudi chiedendo la rettifica di quell’affermazione. Einaudi
(ormai nel gruppo Berlusconi, come
Mondadori e altre case editrici) ha
risposto minacciando ritorsioni giudiziarie perchè avrei “diffamato” la
casa editrice. Ho risposto ribadendo
le nostre ragioni. Ci sono stati poi una lettera di Giovanni Impastato, un
appello ad Einaudi con un buon numero di firme, la richiesta, non accolta, che Giovanni partecipasse alla
trasmissione televisiva “Vieni via
con me”, ma non siamo riusciti ad
ottenere la rettifica. Tolti il
“Corriere della sera”, “La Sicilia”,
“Liberazione”, che da tempo non arriva in Sicilia, “il Giornale” che,
contrariamente al solito, in questo
caso si è comportato abbastanza correttamente, alcune radio e alcuni
blog, la nostra iniziativa ha incontrato un muro di silenzio. Saviano,
che prima aveva un ottimo rapporto
con Giovanni Impastato, non ha risposto alle richieste di partecipare a
iniziative. C’è un bigottismo
dell’antimafia che avevamo riscontrato anche prima. C’è in giro qual-
cuno che dice di avere le stimmate e
di avere ricevuto dalla Madonna di
Fatima la missione di lottare la mafia come “anticristo del nostro tempo” e alle sue iniziative partecipa il
gotha della magistratura e della società civile. Negli ultimi anni il bigottismo si è rafforzato. Saviano ormai è un’icona intoccabile, consacrata dal pericolo del martirio.
Ci dà qualche anticipazione sul
suo prossimo libro?
Ho finito di scrivere un libro sul
ruolo dei bestsellers nella produzione di stereotipi su mafia e antimafia.
Nella prima parte parlo di “Don Vito”, il libro con l’intervista al figlio
di Vito Ciancimino, Massimo, secondo il quale il padre sarebbe stato
al centro della la storia d’Italia degli
ultimi decenni (non nego che abbia
avuto un ruolo ma non di primo piano come Lima e Andreotti, e la trattativa tra mafiosi e uomini delle istituzioni c’è stata in seguito alle stragi
degli anni ’90 ma è antica quanto lo
Stato unitario). Nella seconda parte
parlo appunto di “Gomorra” e degli
altri libri di Saviano, che danno
un’immagine dell’antimafia incarnata nello scrittore-eroe-martire. Sia
la mafia che l’antimafia sono molto
più complesse, ma evidentemente
per avere successo bisogna creare il
demiurgo che concentra tutto in se
stesso. E gli utili li intasca in gran
parte Berlusconi con il suo impero
mediatico che è stata una componente non secondaria del suo potere
economico e politico.
Vincenzo Pinello
1 Marzo 2011
Alia e Cerda. I frati dal secondo dopoguerra
Cappuccini di paese
I due centri del termitano sono gli unici che fanno parte
della provincia francescana di Messina. Nel Novecento si
sono avuto complessivamente nove vocazioni. Rimane un
mistero: l’esistenza dell’aliese fra Sarvatureddu
I
Gangi. Sopra e accanto stato attuale dell’abbeveratoio San Paolo.
Gangi. Dopo il crollo del bevaio di “Ciollo”
Altre strutture a rischio
Casi di avvisaglie trascurate e scarsa manutenzione
portano a sfaceli di grandi entità. Ma sarebbe meglio
prevenire che curare. Anche per non rischiare di veder
scomparire la memoria storica della comunità
di Giuseppe Biundo
P
erché si propende sempre a minimizzare i segni? Specie quelli
che indicano una situazione a rischio? Non i sintomi avvertiti da un
malato immaginario bensì segni che
sono i sintomi di un malessere vero.
Traslando tale ragionamento in
ambito strutturale, anche i manufatti
manifestano segni di degrado, che
sono il preambolo dello sfacelo.
Ricordate la SS 120, km 83+500?
Crepe più o meno continue si concentravano alla base del muro di sostegno a monte, erano persistenti nel
tempo e si ripresentavano nel medesimo punto ogni volta che venivano
ricoperte con un nuovo strato di asfalto, chiari segni premonitori
dell’instabilità crescente del versante
aggravata dal mancato emungimento
delle acque di falda a tergo del muro
e in profondità a causa, si narra, del
mancato funzionamento di una
pompa. Tutto ciò, seguito
dall’insorgere forse, di un fenomeno
che va sotto il nome di sifonamento
ha portato al noto risultato: una enorme frana che da due anni ha
bloccato i collegamenti da e verso
l’ennese e il messinese. Altra strada,
la Comunale Monte Marone: in più
punti segni di degrado dell’impalcato
e delle pile attribuibile
principalmente al non corretto
smaltimento delle acque piovane che
nel tempo ha creato distacchi del
copriferro, degrado del calcestruzzo,
ossidazione delle armature in pratica
si evidenzia un inizio di degrado
strutturale. Sappiamo che non c’è
pericolo attualmente per la struttura
ma che per ripararla costa più il
ponteggio che i lavori. Restiamo
quindi in attesa che il degrado sia tale
da inficiare completamente l’opera in
modo che il costo del ponteggio sia
paragonabile a quello dell’intervento
o magari che quest’ultimo lo superi
abbondantemente. Il recente crollo
del fronte del bevaio di “Ciollo” non
è stato un caso e seppur qualcuno
dice che lo spessore murario era
esiguo rispetto al altri muri coevi, c’è
da dire che era rimasto in piedi per un
centinaio di anni per cadere sotto i
colpi dell’abbandono e della scarsa
manutenzione. Forse non erano crepe
quelle che si vedevano sulla parte
sommitale del Bevaio osservando lo
stesso dal Belvedere sovrastante. Le
copiose precipitazioni sono state solo
la goccia che ha fatto traboccare il
vaso di una manutenzione inesistente
e che se prima aveva un costo ora
sarà ben superiore per riportare allo
stato originario il manufatto e per
risarcire i danni arrecati alle auto in
sosta. Eppure è caduto solo un muro,
certo perché è meglio addolcire la
notizia piuttosto che dare alla gente
l’opportunità di farsi un’opinione,
ossia quella che non viene
salvaguardata la memoria storica
della comunità fatta di emergenze
architettoniche come i bevai che
hanno contribuito allo sviluppo della
città. Un altro pericolo per
l’incolumità pubblica si nota presso il
bevaio di San Paolo. Una pesante
inferriata che sormonta il bevaio rischia di rovinare al suolo. Eppure è
solito dire “prevenire è meglio che
curare” ma in questo caso “Melius
abundare quam deficere”.
Giuseppe Biundo
n mo l t i l o c h ia ma v a n o
"Sarvatureddu". Era un frate cappuccino di questua che negli anni ’50 girava per le vie di Castelbuono. Di lui si sa poco o nulla. È
sicuro solo il suo luogo di nascita,
Alia. Infatti nel cimitero castelbuonese, dove avrebbe svolto il ruolo di
custode, c’è una lapide in memoria
di "Fra Salvatore d’Alia". Eppure il
suo nome non ricorre negli annali
dell’ordine dei frati cappuccini di
Messina. Perché Alia insieme a Cerda sono gli unici paesi del termitano
che fanno parte di questa provincia
francescana.
Scorrendo le pagine degli annali,
scopriamo che nel Novecento ad Alia ci sono state 7 vocazioni francescane: 3 sono diventati semplici frati, fra Antonio Di Marco, fra Giuseppe Chimenti e fra Pacifico Lo
Savio, quest’ultimo è ricordato come colui che era dedito al forno e
alla panetteria a Gibilmanna durante
il periodo bellico, e 4 sono diventati
sacerdoti ricoprendo anche cariche
importanti, come padre Eugenio Di
Buono e padre Giuseppe Todaro,
entrambi definitori provinciali, cioè
membri dell’organo di governo che
guida l’ordine di Messina, di padre
Fessura sommitale nell’abbeveratoio Ciollo prima del crollo.
Padre Ernesto Francesco Cicero
Sante Centanni sappiamo che fu
missionario in Brasile, dove completò la costruzione di un convento,
e che negli ultimi anni tornò in Sicilia per ragioni di salute, mentre di
padre Ubaldo Teriaca sappiamo che
fu cappellano militare nel 1936 in
Africa orientale, richiamato poi nel
conflitto del 1940, e che si dilettava
di meccanica e di elettrotecnica.
A Cerda invece ci sono state 2 vocazioni: quella del defunto padre Edoardo Di Felice, guardiano della Fraternità di Petralia Sottana e al quale
si deve la ristrutturazione del seminario di Gibilmanna;
e quella di padre Ernesto Francesco Cicero, diplomato in pianoforte al Conservatorio di Palermo, per
cui ha potuto insegnare musica nelle
scuole statali, già
guardiano della Fraternità di Petralia Sottana e attualmente vicario della Fraternità
di Gangi, dove precedentemente aveva
svolto il ruolo di
guardiano.
Giuseppe Spallino
PADRI E FRATI CAPPUCINI IN ATTIVITÀ’
Nome e cognome
P. Ernesto Francesco Cicero
Luogo di nascita
Cerda
Incarico
Vicario della Fraternità di Gangi
PADRI E FRATI CAPPUCCINI DEFUNTI DAL SECONDO DOPOGUERRA
Nome e cognome
Luogo di nascita
Incarico
F. Antonio Di Marco
Alia
Parroco a Giarre
F. Giuseppe Chimenti
Alia
Addetto al cimitero di Cefalù
F. Pacifico Lo Savio
Alia
Panettiere e sagrista
P. Eugenio Di Buono
Alia
Definitore Provinciale (4 volte)
P. Giuseppe Todaro
Alia
Definitore Provinciale
P. Sante Centanni
Alia
Missionario
P. Ubaldo Teriaca
Alia
Cappellano militare
P. Edoardo Di Felice
Cerda
Guardiano Fraternità Petralia Sottana
1 Marzo 2011
Termini Imerese. Esposto al Museo Civico
Manomesso il dipinto del
Seicento di Pietro Novelli
“Rattoppato” lo scrostamento della superfice pittorica
nella tela del “Monrealese”. Una operazione gravissima
che denota incuria e approssimazione nella salvaguardia.
SiciliAntica ha chiesto un sopralluogo della Soprintendenza
per i Beni Culturali di Palermo e l’intervento del Nucleo
Tutela del Patrimonio Culturale dei Carabinieri
U
n dipinto è una creatura rara,
tanto preziosa quanto delicata. Una porcellana plasmata
su tela, olio cromato che serpeggia
tra gli anfratti della vista e da lì,
dentro, giù giù, nell’anima del pittore prima e dell’osservatore poi.
È patrimonio inestimabile; è testimonianza storica e con Novelli siamo tra le più alte espressioni della
pittura siciliana. Siamo nel gotha
delle testimonianze. Nel 1647,
quando muore, scompare il maggiore pittore del Seicento siciliano. E
proprio al museo “B. Romano” se
ne ha la presenza, di quel Novelli
che fa bella mostra di
sé tra Palermo e Caen.
Ma pare che quella tela,
alloggiata nel museo civico di Termini Imerese, sia una pezza da rattoppare
o
da
rammendare come il
corredo smunto di seconda mano.
Ricordate quanto già
detto a febbraio su Espero? Il dipinto del
Novelli del museo termitano, la sua più antica opera certa, datata
1627 e raffigurante l’“Immacolata”,
avrebbe subito dei danni probabilmente a causa di alcuni ventilatori
posizionati lì per l’intero periodo estivo, causandone il disseccamento
della pellicola pittorica. Se ne sarebbe avuto un visibile scrostamento
della superficie pittorica nella parte
finale del mantello della Madonna.
I sospetti sarebbero confermati, a
stare a quanto appreso, dal fatto che,
aspetto ancor più grave, per riparare
all’incuria distruttrice ci si sia improvvisati restauratori con colla e
pennello in mano.
Lo strappo, se l’informazione è corretta, che era visibile come una “u”
capovolta, pare che non ci sia più!
E, a stare alla tempistica, dopo
l’articolo dello scorso numero, qualche allarme si sarebbe dunque creato e qualcuno avrebbe pensato bene
di mettere mano al Novelli. Già.
Lo strappo pare sia stato incollato,
se è vero che adesso si noterebbero
delle “pennellate”; altro immenso
danno, infatti, sarebbe proprio questo: il fatto che sarebbe stato passato
sopra pure del colore o della vernice, visto che dopo aver incollato lo
strappo, i lembi non coincidevano
più. Insomma, colla, pittura o vernice per rattoppare alla meno peggio;
per rammendare un calzino vecchio
e bucato, un po’ malandato.
Operazioni del genere
denoterebbero lo spirito che starebbe dietro
l ’ i n c u r i a
e
l’approssimazione nella salvaguardia, tenuta
e conservazione del
patrimonio artistico. In
queste condizioni è
impossibile pensare, o
solo sperare, ad una
sua promozione e valorizzazione.
Quanto accaduto è inconcepibile e la gravità
è tale che SiciliAntica,
l’Associazione per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, che opera sull’intero territorio dell’Isola, ha allertato la Soprintendenza per i Beni Culturali di
Palermo per un sopralluogo, chiedendo contestualmente l’intervento
del Nucleo Tutela del Patrimonio
Culturale dei Carabinieri.
Manomettere un dipinto così prezioso varca i confini del semplice reato.
Perché un dipinto è creatura rara,
tanto preziosa quanto delicata. Una
porcellana plasmata su tela, olio
cromato che serpeggia tra gli anfratti della vista e da lì, dentro, giù giù,
nell’anima del pittore prima e
dell’osservatore poi…
Antonino Cicero
Termini Imerese. In occasione della visita alla Compagnia
Comprensorio. Volontariato
Un progetto nato per unire
Si chiama “Reti di delegazione” il titolo del programma
elaborato dal CeSVoP. I comuni che potranno usufruire dei
contributi per lo svolgimento di laboratori sono quelli di
Campofelice di Roccella, Cefalù, Lascari, Trabia, Cerda,
Montemaggiore Belsito e Termini Imerese
“R
eti di delegazione” è il
titolo del nuovo progetto
elaborato dalla delegazione territoriale di Termini Imerese del CeSVoP - Centro Servizi
per il Volontariato di Palermo - valido per l’anno 2011.
Il CeSVoP, istituito nel 2001 da un
gruppo di associazioni di volontariato (Anpas regionale Sicilia, MoVi
regionale Sicilia, Auser regionale
Sicilia, G.V.V. regionale Sicilia, Arciragazzi regionale Sicilia, AVULSS Sicilia, Centro Aiuto alla
Vita di Palermo, Bagheria, Partinico, Trapani, Mazzara del Vallo, Gela, A.V.I.S. regionale Sicilia), è finanziato dalle Fondazioni bancarie
che prevedono per legge nei propri
statuti che una parte dei propri proventi venga destinata alla costituzione di fondi speciali presso le regioni, al fine di istituire centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato, e da queste gestiti, con la funzione di sostenerne e
qualificarne l'attività.
I comuni del comprensorio che potranno usufruire dei contributi 2011
per lo svolgimento di laboratori sono quelli di Campofelice di Roccella, Cefalù, Cerda, Montemaggiore
Belsito, Lascari, Trabia e Termini Imerese.
“Quest’anno – ha spiegato Chiara
Tavolanti, coordinatrice del progetto - i criteri per la scelta dei laboratori erano due: l’attivazione di un
percorso che favorisse lo scambio
intergenerazionale e il 150° anniversario dell’Unità d’Italia”.
Ben diversi i laboratori in corso: da
quello di sartoria realizzato a Lascari, al laboratorio musicale di Termini Imerese, dal decoupage attivo a
Trabia, al laboratorio video nei comuni di Cerda e Montemaggiore
Belsito.
Per Campofelice di Roccella,
l’associazione Auser, ha attivato un
laboratorio di ballo guidato dai maestri Lucia, Giuseppe e Cettina Vittorino, nel quale si sta studiando una
coreografia che unisca la tradizionale Tarantella alla Monferrina piemontese, eseguito da dodici coppie
di tutte le età.
L’appuntamento per le associazioni
è a Termini Imerese in primavera,
quando saranno presentati in una
manifestazione, i prodotti elaborati
in tutti i laboratori.
Carmen Consuelo Spina
Alimena. Sport
Piero Di Gangi, da emigrante a pugile
S
uccede, talvolta, a chi lascia il proprio paese e i cari, di trovarsi in un
nuovo posto e scoprire dentro di sé nuovi talenti che non avrebbe mai
pensato di possedere. Le risorse umane vengono in soccorso per dare una mano alla voglia di resistere, contro la solitudine e la noia. É quanto è
successo a Piero Di Gangi, giovane ragazzo emigrato da Alimena, come tanti altri ragazzi del sud, partiti per terre più ricche, in cerca di un lavoro che il
meridione non garantisce. Piero, dopo la morte della madre va a vivere a Cerese Di Virgilio nel Mantovano. Fa l'operaio e frequenta la palestra. Scopre
la boxe. Comincia gli allenamenti e si accorge che è uno sport che lo fa stare
bene, un sano antidoto contro il dolore del suo lutto e la scoperta di prestazioni promettenti. Si iscrive così alla Boxe Mantova e si allena per gareggiare tra i dilettanti, nei pesi medi. Il suo nome sportivo diventa Pier Marciano
Di Gangi. Sorprendendo tutti, ma in primis se stesso, ottiene tre vittorie e un
pareggio. Gli incassi delle riunioni dilettantistiche, seguite da un pubblico
numeroso, alla palestra Boni di Mantova, sono andati in beneficienza e Piero
è orgoglioso di avere dato il suo contributo. In palestra ha trovato una famiglia unita dai valori dello sport e dell'amicizia. Una bella partita per la vita,
che Piero dedica a sua madre. Attualmente un incidente al ginocchio lo ha
costretto al riposo, ma non vede l'ora di ricominciare a sognare e a lottare sul
ring.
Mirella Mascellino
Il gen. Nobili incontra l’Associazione Carabinieri
Il Comandante Interregionale Carabinieri “Culqualber” di Messina,
Generale di Corpo d’Armata Lucio Nobili, in occasione della visita al
Comando della Compagnia Carabinieri di Termini Imerese, ha incontrato una rappresentanza dell’Associazione nazionale carabinieri Sezione di Termini Imerese.
Nell’occasione il Generale ha ringraziato il Presidente S. Ten. Serafino Bartolotta per l’attività che la Sezione svolge nel tenere vivo il sentimento di devozione alla Patria, lo spirito di corpo, il culto delle gloriose tradizioni dell’Arma, la commemorazione dei suoi eroici caduti, per
i rapporti di cameratismo tenuti con l’arma con in servizio e per i cordiali rapporti con le Autorità locali.
RISERVATO
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con più di 40 anni di presenza sul
territorio di Termini Imerese (alta)
corso principale, con clientela
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collezioni prestigiose. Trattative riservate.
Tel. 333/4184687
TERMINI IMERESE
Pubblicità sul Carnevale.
Il sindaco: “Espero no!”
L’incaricato della pubblicità per il
giornale Espero aveva incontrato il
primo cittadino per far inserire la
pubblicità del carnevale sul mensile.
Ma appena Burrafato ha udito il nome della rivista è quasi saltato dalla
poltrona e con piglio risoluto e deciso
(almeno su una cosa è fermo!) ha
sentenziato: “Espero no!” In realtà il
sindaco continua a fare confusione
tra fondi privati (i suoi) che può distribuire ad amici e parenti e fondi pubblici (quelli del Comune) che vanno
utilizzati con criteri di economicità, efficienza ed efficacia. Quindi se la pubblicità non va inserita nell’unico giornale di informazione che arriva in tutte le
edicole del comprensorio, è perché il
sindaco è in grado di affermare che la
rivista non risponde alla veicolazione
del messaggio che l’ente vuole promuovere e non perché il giornale non
è gradito al primo cittadino.
TERMINI IMERESE
Scoccata l’ora X per
due assessori: vanno sostituiti
Dopo vari rinvii sembra arrivata l’ora X
per due assessori della giunta Burrafato. Subito dopo carnevale, a sentire i bene informati, due dei quattro
componenti l’amministrazione saranno
invitati a farsi da parte per essere sostituiti da due consiglieri comunali.
TERMINI IMERESE
Presidenti del Consiglio Comunale
e i loro vice devono restituire soldi
indebitamente percepiti
I Presidenti del Consiglio Comunale
presenti e passati e i loro vice che si
sono seduti nello scranno più alto
dell’aula consiliare devono restituire
delle somme che sarebbero state inde-
NOTIZIE
BREVI
CAMPOFELICE DI ROCCELLA
Riparte “Condividi la tua tesi”
L’iniziativa, nata nel 2010, è promossa dal gruppo socio culturale della
Parrocchia S. Rosalia di Campofelice di Roccella. Il progetto intende
valorizzare i giovani talenti della comunità campofelicese con un ciclo di
seminari per presentare e condividere con la comunità le proprie tesi di
laurea. Un momento di incontro tra il
mondo culturale e universitario di
Campofelice. Ad aprire il ciclo di
quest’anno la tesi del dott. Marcello
Longo presentata presso l’aula Consiliare del municipio il 26 febbraio
scorso. Il lavoro proposto analizzava
l’inchiesta del quotidiano “L’Ora” del
1958, la prima scottante indagine
svolta dalla redazione dei giornalisti
guidata dall’allora direttore Vittorio
Nisticò. Un’inchiesta coraggiosa che
segna una svolta nella storia del
giornalismo e che porterà all’ attentato del 19 ottobre del 1958, quando
una carica di esplosivo venne fatta
esplodere presso la sede storica del
quotidiano, in Piazzetta Francesco
Napoli a Palermo. Un lavoro di memoria, ma che ben si presta a
un’analisi del presente, vista la situazione denunciata dal Rapporto 2010 di Ossigeno per l’Informazione l’Osservatorio Fnsi- Odg sui giornalisti minacciati e le notizie oscurate
con la violenza: almeno 400 i casi di
intimidazione e minacce denunciati,
rivolte a giornalisti e redazioni italiane, e non solo al sud. Un’occasione
per riflettere e per ricordare quanti
hanno perso la propria vita per svolgere il proprio lavoro con coscienza
e amore della verità, come Cosimo
Cristina, il giornalista termitano tra i
collaboratori de “L’Ora”, ucciso il 5
maggio del 1960. Il prossimo appuntamento di “Condividi la tua tesi” è
previsto per il 9 aprile, quando verrà
presentato il lavoro della dott.ssa
Maria Pina Fadale “Curare e sorridere” sulla risoterapia. Tutti coloro che
fossero interessati ad aderire
all’iniziativa o per avere informazioni, possono scrivere all’indirizzo di
posta
elettronica
info.
[email protected]. (c.c.
s.)
TERMINI IMERESE
Conferenza sulle grotte
della Gurfa e visita guidata
In occasione della Settimana della
Cultura promossa dal Ministero Beni
Culturali si terrà sabato 9 aprile alle
ore 17,00, organizzato dall’ Associazione SiciliAntica, una conferenza
dal titolo “La Sicilia del mito: da Kokalos a Minosse. Le grotte della Gurfa e gli ambienti a thòlos della Valle
del Platani”, tenuta da Carmelo Montagna, architetto e insegnante. Il
giorno successivo, domenica 10, è
prevista una visita guidata alle grotte
della Gurfa di Alia e a Sant’Angelo
Muxaro. Un itinerario che consente
di rendere concreta la conoscenza
della protostoria della Sicilia “prima
dei Greci”, fra mito della tradizione
letteraria e realtà dei contesti archeologici e paesaggistici di struggente
ed arcaica bellezza. Per informazioni tel. 091 8112571 – 346 8241076
email: [email protected].
bitamente percepite nel corso del loro mandato. Secondo i primi conteggi
effettuati Carmelo Pace e Totò Burrafato dovrebbero restituire una somma
che si aggirerebbe intorno ai venticinquemila euro, circa la metà i vicepresidenti. Il provvedimento colpirebbe
anche l’attuale Presidente del Consiglio Comunale Stefano Vitale.
TERMINI IMERESE
Per un anno 70 extracomunitari
vivranno nel convento della Madonna della Catena
A seguito di un accordo con il Ministero dell’Interno, parte del convento
della Madonna della Catena è stato
affittato per ospitare circa 70 extracomunitari. L’accordo sarà valido un
anno.
TERMINI IMERESE
Un musical per
ricordare Cosimo Cristina
Cosimo Cristina, il giornalista termitano ucciso il 5 maggio del 1960, verrà
ricordato nell’anniversario della sua
morte a Termini Imerese con un
musical del giornalista e scrittore Luciano Mirone, in una giornata organizzata dalle associazioni cittadine.
1 Marzo 2011
lettere
Termini Imerese
La New Port:
“la nostra società non
è in mano alla mafia”
Egregio Direttore,
Le esponiamo quanto segue in
merito all’articolo riportato nel
numero
44
anno
IV
dell’1.12.2010, pp. 1 e 3 a firma
Vincenzo Pinello dal titolo
“Termini, il porto è in mano alla
mafia?”.
L’articolo in questione, già dal titolo, tende ad accreditare la tesi,
già avanzata dal giornalista Lirio
Abbate in un articolo pubblicato
dal settimanale “L’Espresso”,
che la New Port S.p.A. sia in
qualche modo condizionata dalla mafia o sia espressione di interessi mafiosi.
Ciò non è in alcun modo corrispondente al vero ed è gravemente lesivo della reputazione
della New Port S.p.A. Azioni giudiziarie sono state già intrapese
nei confronti del sig. Abbate e
del settimanale “L’Espresso” dal
legale della New Port S.p.A..
Al riguardo, in via preliminare,
deve rilevarsi che i soci della
New Port S.p.a..
· sono entrati nella compagine
sociale della New Port S.p.A.,
in esito alla trasformazione della storica “Compagnia Lavori
Portuali G. Tutrone di Palermo
e Termini Imerese” ai sensi della Legge 84/1994;
· i soci non sono stati scelti, ma
sono transitati quali esclusivi
soci-lavoratori al contempo e
senza alcun apporto personale
di capitale;
· il capitale della società è costituito dal patrimonio esistente
alla data di trasformazione
(24.2.1995) della Compagnia
Lavoratoti Portuali di Palermo,
determinato sulla base di una
perizia redatta da un tecnico
nominato dal Presidente del
Tribunale;
· nel gennaio 2005, tutti i soci lavoratori della “C.L.P. - G. Tutrone Soc. Coop. a r.l.” transitarono nella New Port S.p.a quali
dipendenti e contestualmente,
ai sensi di legge (che prevede il
divieto di detenere direttamente
o indirettamente partecipazioni
anche minoritarie in una o più
imprese autorizzate), si dimisero da soci della stessa cooperativa, i cui amministratori accolsero le domande di ammissione di altri pretendenti soci aventi i requisiti di legge;
Appare quindi evidente che la
compagine societaria della New
Port S.p.a non proviene da una
libera scelta di ciascun soggetto
socio, ma è esclusivamente imposta da norme di legge.
Per quanto poi concerne il contenuto dell’articolo, deve rilevarsi quanto segue:
1. Con riferimento alla affermazione secondo cui “almeno venti
soci sono condannati o a misure
di prevenzioni o a sequestro di
quote azionarie per fatti legati a
Cosa
Nostra”
riportata
nell’articolo, la New Port S.p.a è
a conoscenza di problematiche
avute relative a reati di mafia,
soltanto per due soci (su oltre 200). Per tutti gli altri, indicati nel
contesto dell’articolo, non ci risulta alcuna segnalazione o notizia. Uno dei due soci sopracitati ha subito il sequestro delle azioni, che è stato successivamente revocato dalla Corte
di Appello di Palermo con la
conseguente restituzione delle
stesse, proprio in quanto il possesso delle azioni è solo il frutto
della citata trasformazione per
legge (Legge n. 84/1994) della
ex compagnia lavoratori portuali.
Peraltro, nell’anno 2003, venuti
a conoscenza della contestazione dei reati sopra individuati, la
cooperativa, ai sensi dello statuto sociale, ha provveduto
all’estromissione dei due soci.
Le altre due società di capitali,
non essendovi la possibilità statutaria che permettesse la estromissione dei soci, hanno provveduto ad invitare i detto soci a
vendere le azioni della società in
quanto non graditi dalle stesse.
2. Con riferimento alla affermazione secondo cui la New Port S.
p.a avrebbe avuto reazioni “un po’
scomposte” alla pubblicazione
dell’articolo del Sig. Abbate sul
settimanale “L’Espresso” (terza
pagina, prima colonna del Vostro
articolo), deve essere precisato
che la società non ha avuto alcuna
reazione scomposta, ma ha ritenuto di tentare di ristabilire la verità,
nonché porre l’attenzione sul fatto
che le dichiarazioni del giornalista
e quelle da lui attribuite a ignoti
“investigatori” mettessero in falso
allarme le pubbliche autorità, compromettendo il reddito di oltre trecento famiglie di operai.
3. Con riferimento alla affermazione secondo cui la composizione
della originaria cooperativa Lavori
Portuali di Palermo sarebbe stata
costituita secondo un modello per
il quale “ciascuna famiglia di Palermo
ha
il
suo
rappresentante” (terza pagina, prima
colonna del Vostro articolo), deve
rivelarsi che tale affermazione non
corrisponde al vero e costituisce una grave e gratuita illazione del
Sig. Abbate. La compagnia Lavoratori Portuali di Palermo, così come tutte le altre compagnie portuali d’Italia, è stata costituita negli
anni 20 ed era sottoposta e disciplinata dalle norme del Codice della Navigazione. I lavoratori portuali
erano iscritti in un apposito registro tenuto a cura dell’ex Ente Autonomo del Porto, che aveva funzione di vigilanza e controllo.
La compagnia portuale di Palermo, nel corso degli anni, è stata
destinataria di due concorsi pubblici, banditi dall’Ente Autonomo
del Porto di Palermo su autorizzazione del Ministero della Marina
Mercantile, attraverso i quali sono
stati iscritti e divenuti soci della
Compagnia numero 120 lavoratori
nel 1980 e numero 100 lavoratori
nel 1986, tutti vincitori di concorso
a seguito del superamento di test
pratici, sulla base del possesso di
titoli, sulla verifica del possesso
della buona condotta civile e morale, sulla verifica dell’assenza di
condanne superiori a tre anni di
reclusione e sull’assenza di reati di
contrabbando. La legge n. 84/1994, già citata, ha imposto la trasformazione delle Compagnie Lavoratori Portuali in una o più società di persone, di capitali e cooperative. La Compagnia Lavoratori
Portuali di Palermo, nel rispetto
dell’obbligo imposto da tale legge,
così come le altre compagnie portuali d’Italia, si è trasformata, con
tutti i suoi 209 soci, esistenti nel
registro tenuto dall’Ente Autonomo
del porto, in tre società: - una cooperativa, per l’offerta di lavoro, che
ha ottenuto la regolare iscrizione
nell’allora esistente “registro prefettizio”; - una società a responsabilità limitata, per la pura gestione
dell’attività d’impresa; - una società per azioni, per la gestione dei
beni
della
ex
Compagnia.
Quest’ultima spa, nel tempo, ha incorporato la s.r.l., continuando,
sotto la denominazione sociale di
“New Port s.p.a”, l’attività di impresa. Pertanto, l’asserzione del Sig.
Abbate, secondo cui sono state inserite persone rappresentanti delle
varie “famiglie mafiose”, non risponde al vero.
4. Con riferimento alla risposta fornita dal sig. Abbate alla incredibile
domanda “Chi sono i mafiosi che
controllano la New Port?” rivolta
dal Vostro giornalista, secondo cui
ci sarebbero “molti degli eredi dei
fondatori della Cooperativa e, tra
questi, soggetti condannati per
mafia, o sottoposti a misure di prevenzione, o che hanno subito il sequestro delle quote azionarie da
parte della magistratura; e poi un
nutrito gruppo di indagati per mafia” (terza pagina, prima colonna),
nel ribadire quanto già sopra segnalato al punto 1, in ordine alla
non corrispondenza al vero di tali
affermazioni, deve rilevarsi che la
società New Port è di proprietà,
sin dalla sua costruzione, di 209
soci, tanti quanti erano gli ex lavoratori/soci della Compagnia Lavoratori Portuali, trasformata in ottemperanza alla legge 84/1994,
nessuna nuova immissione è intervenuta negli anni. La società New
Port è amministrata da un Consiglio di Amministrazione nominato
dai soci ed i cui componenti, succedutisi nel corso degli anni, non
hanno mai avuto problematiche relative a reati di stampo mafioso né
sono riconducibili ai nominativi citati nell’articolo. Alcuni dei soggetti
citati, inoltre, hanno manifestato
l’intenzione di aderire le vie legali
per le affermazioni diffamatorie nei
loro
confronti
contenute
nell’articolo.
5. Con riferimento all’affermazione
relativa ai nomi “più significativi”
dei “mafiosi” che secondo il Sig.
Abbate e il suo intervistatore controllerebbero la New Port (terza
pagina, seconda colonna del Vostro articolo), deve ribadirsi che
dei soggetti citati soltanto due, secondo le informazioni in possesso
della New Port, hanno avuto problemi con la giustizia relativi a reati
di stampo mafioso e che, come già
evidenziato al punto 1, gli stessi
stati allontanati dalla cooperativa
ed invitati alla cessione delle azioni di loro proprietà.
6. Con riferimento alle affermazioni relative alla società MedLog
(terza pagina, seconda colonna
del Vostro articolo) deve rilevarsi
che la società consortile MedLog è
stata costituita a Roma tra soggetti
con competenze e specializzazioni
nei traffici delle operazioni portuali
e di stoccaggio delle merci.
L’obiettivo di MedLog è quello di
essere soggetto attivo a rispondere a tutte le esigenze del trasporto
delle merci nel territorio nazionale
ed internazionale, al fine di dare
un servizio puntuale e professionale a tutti gli utenti che ne abbiano bisogno. Un unico soggetto
professionalmente capace di gestire la merce “porta a porta”, unendo diversi soggetti con specializzazioni in vari settori (spedizionieri,
terminalisti, ecc.). L’iniziativa è stata pensata per i futuri sviluppi dei
traffici tra l’Europa e il nord-Africa
anche nell’ottica della creazione
del corridoio 1 Berlino - Palermo.
Vedendo nella Sicilia la piattaforma logistica del Mediterraneo, si
sono coinvolti nello stesso progetto altri porti siciliani come Augusta,
Trapani, ecc. Il vedere oltre il proprio naso, la volontà di voler far
crescere il proprio territorio, avere
la capacità professionale di pensare oltre i confini del proprio porto,
per taluni evidentemente non può
che costituire un illecito. La New
Port è di fatto promotrice
dell’iniziativa MedLog e per la propria storia non ha bisogno della
MedLog per sedersi nei “salotti
buoni”. I vertici della ex CLP e gli
attuali manager della New Port
hanno sempre ricoperto ruoli chiave e di prestigio a livello nazionale,
regionale e locale con immediato
riscontro nei “salotti buoni” da
sempre frequentati.
7. Con riferimento all’acquisto da
parte della New port di uno spazio
sul “Giornale di Sicilia” per poter
tempestivamente replicare alle incredibili affermazioni del Sig. Abbate
sul
settimanale
“L’Espresso” (terza pagina, terza e
quarta colonna del Vostro articolo), deve rilevarsi che il diritto di
replica, a Voi richiesto e da Voi
concesso, è stato richiesto anche
al settimanale “L’Espresso”, che
ad oggi non ha ritenuto di far pervenire alcuna risposta. La New
Port, in conseguenza, ha provveduto ad adire le vie legali nei confronti de “L’Espresso” e del Sig.
Abbate. La necessità di precisare
che l’articolo del Sig. Abbate conteneva affermazioni non corrispondenti al vero era del resto impellente, a tutela dei rapporti commerciali, considerata la moltitudine
di tali rapporti che la nostra società
ha con società anche internazionali.
8. Con riferimento all’affermazione
secondo cui l’articolo del Sig. Ab-
bate sarebbe destinato a influenzare le autorità competenti al rilascio della certificazione antimafia
(terza pagina, quarta colonna) da
“poi è uscito il tuo pezzo…a…
produrre
la
certificazione?”),
deve rilevarsi che il Sig. Abbate
evidentemente non conosce le
norme. La certificazione antimafia non può essere richiesta
direttamente dalla New Port, ma
solamente dall’Ente pubblico che
ne abbia la necessità. La New
Port, fino ad oggi, ha prodotto
quanto è nella propria possibilità,
ovvero la certificazione della
Camera di Commercio, riportante
la dicitura “nulla osta ai fini
dell’articolo 10 della Legge 31
maggio 1965 e successive modificazioni”.
9.
Con
riferimento
all’affermazione relativa alle presunte “contromisure di new
port” (terza pagina, quinta colonna), deve rilevarsi che la New
Port sta attuando il proprio piano
strategico già approvato da diverso tempo e non sta mettendo “le
pezze” dopo l’articolo. Nello spirito di ottimizzazione delle attività
e approfittando delle nuove società, si è intrapreso un percorso
avallato dai soci. Negli statuti delle new co. si sono inserite delle
clausole
che
consentono
l’esclusione di tutti i soci che si
dovessero macchiare di reati gravi ed in particolare quelli di mafia.
I soci, inoltre, al momento della
sottoscrizione delle quote dovranno obbligatoriamente sottoscrivere un protocollo di legalità,
a tutela principalmente dei lavoratori e delle stesse società. Ciò
dovrebbe fortemente far riflettere
chi scrive supposizioni e mistificazioni della realtà. Noi siamo
sempre pronti “a fare” e non “a
dire”.
10. Con riferimento, infine alla
conclusione del Vostro articolo
(terza pagina, quinta colonna),
verrebbe spontaneo, questa volta
alla New Port, porre una domanda conclusiva: “a chi può giovare
l’impossibilità di operare della
New Port spa nei porti di Palermo e Termini Imerese…?”
Nel confidare che la replica venga pubblicata con lo stesso spazio dedicato all’intervista al Sig.
Abbate, dandone esplicita notizia
a questa società, porgiamo cordiali saluti.
Vincenzo Spataro
Presidente C.d.A.
New Port S.p.A.
A chi può giovare l'impossibilità
di operare della New Port nel
porto di Palermo e Termini Imerese? La domanda ha una sola
risposta: la violazione del protocollo di legalità firmato il 13 ottobre 2008 fra il prefetto di Palermo
e il presidente dell'Autorità portuale, Antonio Bevilacqua. Un
protocollo di intesa in tema di rilascio e rinnovo delle concessioni
di beni demaniali ed autorizzazioni alle imprese portuali che obbliga l'Autorità portuale al controllo
per evitare le infiltrazioni della criminalità organizzata e alla richiesta in prefettura del certificato
antimafia per le imprese a cui rilascia concessioni. E la New Port
è una di queste. E proprio sul rilascio del certificato antimafia arrivano i problemi per la società
portuale. In base alle informative
riservate ricevute dal Prefetto
non ci sono i presupposti per rilasciare il certificato. Almeno fino a
dicembre 2010. Se poi la compagine societaria è cambiata e i
soggetti ritenuti vicini alle cosche
mafiose di Palermo sono stati posti fuori, questo non ci è dato sapere. Saremmo curiosi di sapere,
però, se la certificazione ad oggi
è stata rilasciata all'Autorità portuale in merito a questa società.
Di certo non si voleva fare della
New Port di tutta l'erba un fascio.
Ma se ci sono delle regole di legalità queste devono essere rispettate da tutti. E non è con le
campagne diffamatorie e denigratorie, avviate anche a pagamento, nei confronti dei giornalisti che raccontano questa storia,
che si può aver ragione (L.A.)
Termini Imerese
L’Assessore Campagna: i
contributi del natale erano
solo un “simbolico gettone”
Sarebbe molto facile entrare nei
dettagli e dare spiegazione di ogni cifra, di ogni contenuto, sottolineare le progettualità che ogni
momento protagonista del Natale
2010 ha in sé, ma trovo che una
polemica sterile non meriti tali attenzioni. Piuttosto è nel rispetto
dell’impegno e del lavoro svolto
da un Coordinamento che ha visto ben 18 Associazioni culturali
produrre, per la prima volta nella
storia di una città tendenzialmente apatica e scoordinata,
un Programma Unico senza sovrapposizioni e animato da spirito
di partecipazione e condivisione,
che devo esprimere tutto il mio
disappunto e la mia amarezza
per una valutazione superficiale
e faziosa dello stato di cose.
Non amo rispondere alle provocazioni ma ho troppa stima
dell’opinione pubblica per non
pretendere che le cose siano trasmesse in modo chiaro.
Realtà culturali termitane e prestigiosi Clubs Service sono stati,
per la prima volta, protagonisti
assoluti dei contenuti culturali del
Natale della città, tutti allo stesso
modo “vicini” perché il merito di
queste realtà associative è quello
di essersi messe in gioco , di essersi “proposte”, senza pregiudizio. La Cultura appartiene a tutti
e non esistono “livelli culturali”
meno che mai giudicabili da chi,
credo, non ne abbia neanche le
competenze.
Porsi al di sopra di facili quanto
indegni scontri dal carattere squisitamente e ignobilmente personale ritengo sia imperativo quando ci si rivolge ad una collettività.
Questo aspetto veramente innovativo è il vero significato del coordinamento e molte realtà associative lo hanno colto .
Non posso che invitare l’autore
dell’ articolo Prebende natalizie,
che mi scuso ma non conosco, a
prendere diretta conoscenza di
un lavoro, fatto di impegno , incontri e progettualità, condiviso
da questa Amministrazione con
tutte le Associazioni che hanno
espresso liberamente il desiderio
e la volontà di partecipare. Esprimo un velato ringraziamento per
avere reso ancora più trasparente il mio lavoro pubblicando in
dettaglio con quanta parsimonia
si è cercato di “attenzionare” tutte
le proposte creando una sorta di
“simbolico gettone” le cui piccole
variazioni si sono legate solo ad
aspetti logistici e che ha voluto esprimere
un
modesto
riconoscimento a chi del Natale si
è reso protagonista. Termini non
cambia se non cambiano gli atteggiamenti e l’umiltà e il rispetto
sono le prime qualità da riconquistare e auspicare… a meno che
non si tratti della solita volpe che
non arriva all’uva …..e la trova acerba!
Disposta a qualsiasi confronto.
Colgo l’occasione per ringraziare
le Associazioni ed esortarle ad
andare avanti nel nostro percorso. Porgo inoltre il mio invito a
quanti volessero entrare a far
parte del Coordinamento, finalizzato all’istituzione di un Albo delle Associazioni Culturali della Città. Gli uffici dell’assessorato alla
cultura sono a disposizione di
quanti richiedano informazioni.
Assessore alla Cultura
Dott.ssa Angela Campagna
Affermare che “per la prima volta
nella storia”, assegnandosi il ruolo di “biblico” iniziatore, denota la
scarsa conoscenza della città.
Noi abbiamo soltanto raccontato
come sono stati distribuiti tra le
associazioni i soldi del Natale
perché riteniamo che compito di
un giornale sia quello di informare e rendere trasparenti le spese
di una pubblica amministrazione.
Ma forse è proprio questo che ha
dato fastidio (C.C.)
@ e-mail
1 Marzo 2011
Storie, Fatti, Personaggi
DEL COMPRENSORIO TERMINI, CEFALÙ, MADONIE
Castelbuono, il convento
di Santa Maria di Liccia
di Giuseppe Antista
L’
edificio, recentemente restaurato dall’Ente Parco delle Madonie, sorge su un promontorio a ridosso del bosco di lecci, nella contrada denominata appunto “Liccia”, pochi chilometri a
sud-est di Castelbuono, in una posizione eminente che domina, oltre il
vicino centro abitato, anche Pollina
e San Mauro Castelverde.
Il complesso era in origine la sede
conventuale dei Padri Agostiniani
appartenenti alla Congregazione di
Centorbi (l’odierna Centùripe) e fu
fondato all’inizio del Seicento con il
compito di soccorrere i viandanti e
istruire nella fede pastori e contadini
che dimoravano nelle campagne;
come si evince dalla relazione del 26 marzo 1650, stilata in occasione
dell’inchiesta ordinata dal papa Innocenzo X per accertare lo stato demografico e patrimoniale degli Ordini religiosi maschili, il convento
venne «eretto l’anno 1607 dal Padre
Filippo Lo Possente della terra di
Militello e da frat’Agostino da Caccamo, con la licenza et autorità
dell’Ill.mo e Rev.mo D. Andrea Mastrillo, allora Arcivescovo di Messina»1.
Tale comunità religiosa era nata nel
1517 a opera di alcuni eremiti che si
erano ritirati sui monti Scalpello e
Iudica, nei pressi di Centùripe, per
poi confluire nella Congregazione
dei Frati Agostiniani Riformati di
Centorbi, che nel 1581 ebbe
l’approvazione papale2; erano frati
piuttosto umili, che vivevano di elemosina e si dedicavano alla coltivazione delle terre in loro possesso:
«salme nove di terre, quale con seminarli e cultivarli con nostri bue e
con li travaglia delli frati…, una vigna…, un luogo di olive…, tumina
cinque di terre lavorative»3.
Questi terreni erano stati in gran
parte donati dal marchese di Geraci
Giovanni III Ventimiglia, che nel 1608, un anno dopo il loro arrivo in
città «vista la bona edificatione di
detti Religiosi, ci concesse otto salmi di terra lavorativi» (localizzabili
nel vicino borgesaggio di San Focà)
e nel 1615 aggiunse ancora
«un’altra salma di più che fanno nove, con patto che detti Religiosi
mancandoci di starci o lassandolo, o
vindendolo casca in commisso a
detto Marchese una con tutti li frutti», con il patto quindi che, se i frati
avessero abbandonato il sito la terra
sarebbe tornata di sua proprietà; nella stessa occasione il marchese concesse pure una rendita annuale di 15
scudi, che andava a sommarsi alle elemosine e ai ricavi delle altre attività condotte dai frati e nel 1650 il
convento aveva un introito di 299
scudi, una spesa di 269 e un utile di
ben 30 scudi4.
Oltre un piccolo gregge di capre e
pecore, i frati possedevano pure un
giardino, alberi di fico, pira, cirasi,
castagni e molti alberi di censi seu
mori, quindi un gelseto, certamente
usato per la sericoltura, una attività
già diffusa nel territorio fin dal secolo precedente5.
Secondo un’organizzazione planimetrica consueta, il convento costava di tre corpi di fabbrica realizzati
in pietra e mattoni, disposti attorno a
una corte, priva di portici e chiusa
sul quarto lato da un muro; in particolare aveva «una chiesa di lungheza canne sei e di larghezza tre canne
e meza et ogni canna s’intende palmi otto, contiene ancora rifettorio,
cocina, dispensa di vino, stalla, stanza di paglia, stanza di legni, capitulo
e luogo comune, sacristia, maghazeno e dodici cammere e detto convento è claustrato e finito»6; tra questi ambienti mancava la biblioteca,
in quanto i conventuali, che nel 1650 erano tre sacerdoti, un cherico e
tre laici, non si dedicavano agli studi
teologici, ma al lavoro manuale e inoltre gestivano «un’infirmaria nella
città in quattro stanze e suo orticello
serrato di mura, quale serve per
l’infirmi»7.
La piccola chiesa era l’unico ambiente di un certo pregio tra le austere stanze conventuali; ad aula unica,
coperta da un tetto in legno, ha la
zona presbiteriale delimitata da tre
arcate poggianti a centro su colonne
(con capitelli e base in pietra) e ai
lati su piedritti sporgenti dai muri.
Gli Agostiniani per circa due secoli
svolsero un’azione sociale importante a Castelbuono e nel territorio
madonita (avevano un altro convento a Geraci, accanto alla chiesa di
San Bartolo) e la comunità di Liccia
rimase attiva fino al 1769, data dalla
quale il sito fu trasformato in azienda
agricola.
1
Archivio Segreto Vaticano (ASV), Relationes, 6, cc. 43-46v.
2
Gli Agostiniani Scalzi, a cura e con saggio
Sotto: Interno della chiesa, sopra il convento.
introduttivo di M. Campanelli, Napoli 2001,
pp. 119-144.
3
ASV, Relationes, 6, cc. 43-46v.
4
Ibidem; S. Cucinotta, Popolo e clero in Sicilia nella dialettica socio-religiosa fra Cinque-Seicento, Messina 1986, p. 492.
5
O. Cancila, Baroni e popolo nella Sicilia del
grano, Palermo 1983, p. 86.
6
ASV, Relationes, 6, cc. 43-46v.
7
Ibidem.
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Espero marzo