Comprensorio. Firmato il contratto di programma per la riconversione dello stabilimento torinese BANDITISMO Dopo la Fiat? Il nulla Solo idee, utopie e aziende stracotte. L’impressione è che si punti più ad accaparrarsi i fondi pubblici che a creare sviluppo e occupazione. Per il sindacalista Roberto Mastrosimone (Fiom Cgil) si tratta di un salto nel buio. L’unica cosa certa è che la fabbrica chiuderà definitivamente a fine dicembre. Il resto purtroppo è solo carta di Ciro Cardinale Termini Imerese Museo Civico Manomesso il dipinto del Seicento di Pietro Novelli A PAG. 9 Madonie. Pubblicazioni Calendari e costi ambientali L di Giuseppe Biundo a pubblicazione di svariati prodotti stampati rientra tra le comuni attività degli Enti, che sono consumatori importanti nel mondo della stampa, tanto che, in alcuni casi si dotano di centri stampa interni. Se pensiamo alla quantità di volantini, pubblicazioni, pieghevoli, fogli informativi, giornali, comunicazioni, ecc. che gli Enti producono, ci rendiamo conto di come esse siano attori di rilievo in questo settore. Conseguentemente la introduzione di criteri ambientali nelle loro attività di stampa può portare a rilevanti benefici ambientali. SEGUE A PAG. 5 CASTELBUONO Il convento di Santa Maria di Liccia A PAG. 11 E ora? Se lo chiedono in molti, dopo che il 15 febbraio è stato firmato al ministero dello sviluppo economico da governo, Fiat ed enti locali siciliani il contratto di programma per la riconversione dello stabilimento Fiat di Termini Imerese, che dovrebbe chiudere a dicembre. Apposte le sigle in calce all’importate documento, posate le biro e spente le luci, adesso ci si domanda cosa accadrà, quale sarà la sorte della fabbrica siciliana, che dalla fine degli anni ’60 ha rappresentato un fiore all’occhiello per lo sviluppo economico isolano in genere e termitano in particolare. L'accordo prevede un investimento complessivo di circa un miliardo di euro SEGUE A PAG. 3 Intervista a Umberto Santino, sociologo controcorrente tra i maggiori esperti di criminalità organizzata Mafia e Antimafia nelle Madonie L’omicidio Li Puma si colloca nel quadro delle grandi mobilitazioni del secondo dopoguerra ed è motivato dalla sua attività di lotta e di denuncia. I racconti dei dirigenti locali e militanti sono una testimonianza preziosa di quella stagione, in un contesto anch’esso aperto a una prospettiva di rinnovamento e alla conquista della democrazia I di Vincenzo Pinello l Centro Siciliano di documentazione, fondato nel 1977 e intitolato a Peppino Impastato nel 1980, ha attraversato tutte le fasi del movimento antimafia. La caratteristica che lo definisce è la capacità di coniugare denuncia e lotta sociale con studio e ricerca. Un centinaio le pubblicazioni realizzate e promosse in trenta anni di attività, decine i progetti di indagine e analisi (acqua pubblica, donne e mafia, droghe, movimento dei senza casa…). Fin dal 1978, con la famiglia Impastato assistita dall’avvocato Vincenzo Gervasi, ha condotto un’inchiesta parallela sull’uccisione di Peppino, insistendo sulla pista mafiosa mentre quasi tutti sostenevano che si era trattato di un attentato terroristico fallito. SEGUE A PAG. 6 Giuseppe La Marca Il “Terrore delle Madonie” L di Antonino Cicero e Madonie non sono mai state un’isola felice. Anche qui mafia e banditismo hanno trovato spazio. Di più. Dorati soggiorni, nascondigli per latitanze anche eccellenti, ricoveri poi non tanto di fortuna per altrettante poco improvvisate riunioni di famiglie, cosche e bande. Luoghi sconosciuti ai più, impervi per certi versi, con la collusione di parte della popolazione a rendere possibile tutto questo. Tempi antichi e tempi moderni, tra banditi e mafiosi, quando gli uni erano gli altri e viceversa. O quasi. SEGUE A PAG. 2 ALL’INTERNO CAMPOFELICE DI ROCCELLA Verso le amministrative: Pedalino candidato a sindaco Pag. 4 ALIMINUSA Associazioni: un miracolo chiamato Avis Pag. 5 GANGI Dopo il crollo del bevaio di “Ciollo”: altre strutture a rischio Pag. 8 ALIA I frati dal secondo dopoguerra: Cappuccini di paese Pag. 8 ALIMENA Piero Di Gangi, da emigrante a pugile Pag. 9 1 Marzo 2011 DALLA PRIMA PAGINA/LAMARCA l rapporto tra mafia e banditismo è reso bene dalle parole del prefetto Cesare Mori che nel suo libro “Con la mafia ai ferri corti” del 1932, così lo dipingeva: “Nell’esercito della malavita la malvivenza (leggi banditismo) rappresenta la truppa, la mafia lo stato maggiore”. E precisa: “La malvivenza siciliana era sostanzialmente una sub-mafia”. Banditi e banditismo, dunque. Giuseppe La Marca è di Alimena. Ha 32 anni quando mette piede a Napoli nel dicembre del 1957 con i ferri ai polsi. Classe 1925 (10 settembre), è figlio di contadini, come tutti, o quasi, i madoniti rimasti quaggiù, senza tentare la carta dell’emigrazione. Terra “bedda” la nostra, ma povera. Si occupa di pecore, le porta al pascolo nelle Madonie e mangia cacio e beve vino. Come tutti. Si muove nella stessa terra di tanti altri banditi, all’opera tra Otto e Novecento. Nella stessa terra dei maurini e di quella di Giuliano, “il” bandito per antonomasia perché più vicino nel ricordo. E approfitta dello scompiglio che crea Turiddu. Le forze dell’ordine sono tutte per Giuliano in quel secondo dopoguerra. È dentro queste Madonie che delinque La Marca, tra Alimena, Geraci Siculo, Gratteri, Isnello, Castelbuono e Collesano, Polizzi Generosa e le Petralie. E poi a Gangi, dove l’odore della mafia è forte. È lo stesso pezzo di terra dove altri banditi hanno messo casa a spese della popolazione: il “patriarca” Melchiorre Candino (morto di vecchiaia e libero, nella sua masseria di San Mauro, benché condannato all’ergastolo), Gaetano Ferrarello (che nell’“assedio” di Gangi del gennaio 1926 ad opera di Cesare Mori, venne arrestato e portato in prigione, dove, due ore dopo, si impiccò nella sua cella) e il fratello Giuseppe, i figli di quest’ultimo Nicolò e Salvatore (detto “il sultano” per quanto fosse avvezzo agli stupri di giovani donne), Giovanni (classe 1898) e Carmelo Dino di Petralia Sottana (accompagnati dai fedelissimi Calo- I gero Bencivenni, Francesco Pulvino e Salvatore Quinto), Antonino Bruno di Ciminna (classe 1901), tutti, a fasi alterne, chiamati “terrore delle Madonie”. E lo stesso si dirà di La Marca. Questi banditi non si rifugiavano nelle montagne, dandosi alla macchia, ma montagne e paesi erano il loro rifugio. Ci stavano dentro i paesi, con le famiglie, tra nascondigli ed “uscite di sicurezza”, come tutte o quasi le case di Gangi. La popolazione non parlava; difficilmente le forze dell’ordine li individuavano e se c’era pericolo, via, su, tra gli anfratti spigolosi delle Madonie. Salirci lì era operazione da esploratori o scalatori e l’inseguimento finiva sul nascere. Erano feroci quei banditi. Taglieggiavano col pizzo anche loro e sparavano senza pensarci su troppo. La rete di protezione, fino ad oltre il secondo dopoguerra ci fu tutta. La loro fedina penale riportava omicidi, sequestri, estorsioni e rapine. E tra i fuorilegge ancora, in quelle terre, Onofrio Lisuzzo di Castellana e poi Cataldo Paternò, Angelo Pugliese detto “don Peppino il Lombardo”, Angelo Rinaldi, Antonino Leone. Tutti maurini questi. San Mauro Castelverde è stato al centro del banditismo madonita: li creava quei figli e dava loro rifugio. Ma anche Francesco Paolo Varsalona, Pietro e Antonino Albanese di Petralia Soprana, Pietro Scavuzzo, Isidoro Franco, i Carini di Polizzi, Francesco Antonino Dispensa di Valledolmo (detto “Ciccio Martello”, classe 1900, come riporta Salvatore Nicolosi nel suo testo “L’impero del mitra”, Tringale Editore), Melchiorre Turrisi sempre di San Mauro e nato nel 1905. E poi “u prefettu” Nicolò Andaloro (anche Gaetano Ferrarello fu appellato in quel modo), figlio del capostipite Cataldo, tirato su dalla madre, Giuseppina Salvo detta “la cagnuzza”, dopo la morte del padre in un conflitto a fuoco con i carabinieri. Nicolò (cui si affiancano Giuseppe e Carmelo) era sanguinario e brutale, tanto da avere autorità. Tanto da essere “il prefetto”. Una sorta di eco a quel prefetto di ferro, Cesare Mori, inviato da Mussolini a sventrare e sradicare la mafia e il banditismo. Perché per un dittatore non ci poteva essere un’autorità superiore… Il quotidi ano “La Stampa”, nell’edizione serale (“Stampa Sera”), nel dicembre del 1957 si occupa proprio del La Marca. E titola: “Il bandito Giuseppe La Marca è sbarcato stamane a Napoli”. La Marca era già stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Michele Richiusa. La sentenza viene pronunciata dalla Corte d’Assise di Palermo il 28 ottobre 1954. Il bandito di Alimena massacra Richiusa a Bompietro nel marzo del 1952. A questa condanna si aggiungono quelle delle Corti d’Assise di Caltanissetta e di Palermo e della Corte d’Appello di Catania, tra il ’52 ed il ’54, per un totale di ulteriori 57 anni e 4 mesi di reclusione. La Marca fa di tutto. Ed uccide. È sintomatico il fatto che sia chiamato, anche lui come i predecessori, il “terrore delle Madonie”. È renitente alla leva militare nel 1944, a diciannove anni, ed inizia a nascondersi. Il primo omicidio certo è a ventitrè anni: cade sotto i suoi colpi, nel 1948, un brigadiere dei Carabinieri, Giuseppe Ficarra, fallendo in quel frangente il doppio delitto, non riuscendo a freddare anche il carabiniere semplice, Giuseppe Musumeci. Pare sia stato lui ad uccidere il sindacalista Epifanio Li Puma, sempre nel 1948, sebbene lui abbia sempre negato l’addebito. Se così fosse, il suo primo omicidio sarebbe di peso, politico, dentro la storia dei movimenti e delle lotte per la terra. A Petralia Soprana avrebbe anche saccheggiato un convento di suore, per poi incendiarlo ed ancora, in successione, gli omicidi dell’ufficiale postale Salvatore Cangemi e, a parere suo, dell’informatore dei carabinieri, Michele Richiusa appunto. I primi tempi della sua carriera criminale, La Marca li passa come affiliato nella banda capeggiata da Giovanni Dino, di cui ben presto prenderà il posto, dopo che il “maestro” verrà ucciso in un conflitto a fuoco CEFALÙ – TERMINI IMERESE Seminario sull’Esoterismo nell’Arte promosso dall’Associaizione SiciliAntica Sette incontri per un seminario sul’Esoterismo nell’Arte che si muove tra Palermo, Cefalù, Bagheria e Termini Imerese, promosso dall’associazione di volontariato SiciliAntica che ha scelto come logo un ottagono d’oro, come tutte le basi dei battisteri, adagiate su un piano di forma ottagonale, dimora di battesimo, esemplificato da torri, come quella di Federico II ad Enna, da chiesette, da fontane monumentali (una delle quali si può ammirare a Gangi) ben diverse da semplici bevai, dove l’acqua rappresenta il simbolo della vita. Nella lezione tenuta a Cefalù il drammaturgo Aurelio Pes ha precisato come, nella nostra terra, il medium tra cultura e dominazione è personificato dalle maestranze: il grande scultore palermitano del ‘700 Giacomo Serpotta, figlio di artigiano, si firmava, come l’architetto Matteo Carnilivari, orgogliosamente come mastro murator. Durante l’incontro tenutosi a Termini Imerese invece l’architetto, noto per i suoi lunghi studi sulle grotte della Gurfa Carmelo Montagna ha parlato delle “geometrie segrete”. (m.r.s.) TERMINI IMERESE Si è costituita la sezione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia Si è costituita la sezione ANPI – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Termini Imerese. La necessità di dare vita anche a Termini Imerese al sodalizio è nata dall’esigenza di non disperdere la memoria partigiana e della lotta antifascista per la liberazione; il sacrificio ed il coraggio dei partigiani, soprattutto nel momento attuale di perdita di tali valori. L’ANPI vuole promuovere e difendere la Costituzione, la libertà, la democrazia, il rispetto per i diritti dei lavoratori e di cittadinanza. In attesa dell’elezione degli organismi direttivi, sono stati nominati coordinatori Franco Bovaconti, nipote di un partigiano termitano fucilato dai nazifascisti, Daniela Cottone, Ciro Cardinale e Angelo Scarpaci. La sezione parteciperà al congresso provinciale ANPI, che si terrà a Palermo sabato 26 febbraio, ed ha subito ricevuto la pronta disponibilità a collaborazione da parte di Michele Galioto, responsabile dell’Associazione combattenti e reduci di Termini Imerese. L’ANPI si riunirà nella sua sede provvisoria, presso la Cgil territoriale, in via Piersanti Mattarella a Termini Imerese. con le forze dell’ordine in un casolare a 20 chilometri da Petralia Sottana nel quale dimorava. Sebbene altre versioni dicano che non ci fu mai alcun conflitto, ma, tradito, venne crivellato di colpi in una vera e propria esecuzione. A quel punto La Marca è al vertice della banda e sotto di lui gli affiliati Giuseppe Salomone di Resuttano (classe 1905), Giuseppe Gallina, Giuseppe Madonia di Resuttano (classe 1912), Giuseppe Riotta di Alimena (classe 1908) e Francesco Renna. È latitante, ma padrone nelle sue terre. Prepotenza e baldanza. È un modo d’essere, criminale, che distrugge un tessuto sociale. E il povero cristo ne è vittima. Lui che lo è stato, figlio di poveri cristi. Già sfuggito alle autorità, La Marca decide di scappare negli States. Si ritrova con un passaporto falso tra le mani e da Genova, a bordo di un piroscafo mercantile, nel 1955, salpa per l’America. Entra subito in contatto con la mafia locale, ma non vuole più delinquere. Viene scaricato e la polizia lo bracca con più facilità. Non è uno sconosciuto e l’FBI già è sulle sue tracce. Sfugge alla cattura a Rochester, Los Angeles e Detroit, per ritrovarsi invischiato, ancora, in un omicidio. Si tratta di Albert Anastasia, il boss del porto newyorkese. Il cerchio si stringe mentre la polizia scava nei curricula di tutti gli stranieri. Intanto La Marca è a Buffalo e si fa chiamare Luigi Timbrici da Trapani. Nome musicale, da onomatopea criminale. È dentro un pastificio, non dà problemi e ci lavora bene. E lì viene fermato. Fine della corsa. Lo impacchettano e lo rispediscono in Italia. Sbarca a Napoli dalla pancia della motonave “Augustus”, scortato dagli agenti federali, della “federal police”, che sa tanto di Sordi. Se non fosse che non è cineteca, ma realtà mista a crimini, reati, brutalità. L’idea di sopprimere il debole, di spadroneggiare e di sputare sul diritto, di delinquere con la prepotenza che tutto è concesso, non è linguaggio nuovo in Sicilia. Linguaggio che SONIA ZITO Cefalù. Il Vescovo mons. Vincenzo Manzella ha confermato Sonia Zito Presidente Diocesano dell'Azione Cattolica per il triennio 2011-2014. Insegnante di Lettere del Liceo Classico Mandralisca, cresciuta nell'Azione Cattolica nella Parrocchia degli Artigianelli, ha in passato ricoperto vari incarichi a livello diocesano nel settore ragazzi, giovani ed in quello degli adulti, fino alla responsabilità della presidenza. ACQUE POTABILI SICILIANE Comprensorio. Il gestore del Servizio Idrico ha proposto un concordato preventivo. I comuni che hanno consegnato le reti e che negli anni hanno accumulato crediti nei confronti dell’Aps, invece di avere i soldi, otterrebbero delle azioni della nuova società. Praticamente si vuole scaricare sul pubblico le perdite che discendono da anni di disastrosa gestione privata dell’acqua. parla di mafia; e di mafia come di banditismo. Soffre il mal di mare il La Marca ed ha in tasca un biglietto di sola andata: New York-Napoli, tra pizza, sole e mandolino. In mezzo a quell’Atlantico incrocia i barconi di emigrati italiani: loro vanno per trovare fortuna e lui rientra per un soggiorno nelle patrie galere. Dall’oblò sbarrato della nave scruta l’acqua gonfiarsi. E a terra, ancora, nuove sbarre. Sono le 7,20 ed è un martedì 17. La polizia federale lo consegna a quella italiana; lo caricano su un cellulare in direzione Poggioreale. Sta in isolamento per una notte e l’indomani è già pronto per sbarcare a Palermo. I parenti del La Marca, se è vero quanto ci raccontano ad Alimena, comprano il primo televisore proprio in quei giorni. Lo accendono contenti come un bimbo che scarta il suo nuovo regalo, come il resto degli italiani in fondo. E però la prima notizia che a s c o l t a n o è p ro p ri o q u e l l a dell’arresto e dello sbarco a Napoli del loro congiunto. Lo vedono con quei ferri ai polsi e non va loro a genio. Soluzione: riportano indietro, stizziti, il televisore al negoziante… Giuseppe La Marca da Poggioreale, lo mettono su un treno, su un vagone speciale e come i cicli che si rispettino, ritorna nella sua terra. Non più come padrone, ma come ergastolano. Nuova residenza: Ucciardone. Uscirà dopo ventidue anni dal carcere, passati tra Palermo, Ventotene ed Augusta, per ritornare infine ad Alimena. E lì ne parlano come di un uomo schivo, immerso nella terra della sua campagna. Sposa una donna a modo e bella: Mariannina di Vallelunga che gli starà accanto per poco. Morirà, infatti, appena cinquantenne a causa di un tumore. E La Marca, vedovo, rimane proprio lì, a Vallelunga, dove morirà il 23 dicembre 2006 a 81 anni. Muore un anziano come tanti altri. Anzi, no. Muore un bandito anziano, che ha fatto la storia, a modo suo. Un pezzo di storia criminale delle Madonie. Antonino Cicero POLLINA Nasce il movimento "Sicilia bene comune" Una rete che raccoglie le esperienze di sviluppo e promozione sociale costruite dal basso e con successo. Un manifesto della società organizzata che si oppone all'immobilismo del governo regionale e che, tanto per programma quanto per metodo, lancia una sfida alla politica e ai partiti. Nel nome di Rita Borsellino e dell'unità del centrosinistra. Tutto questo è "Sicilia bene comune", il movimento che ha messo insieme più di 300 soggetti provenienti da tutta la regione, tra associazioni di categoria, cooperative, sindacati, ambientalisti, imprenditori, gruppi di acquisto solidale. Ma anche docenti, professionisti, operatori culturali e amministratori locali come Magda Culotta, il sindaco donna più giovane d'Italia. "Il nostro è un progetto di sviluppo economico e sociale che parte dalla società attiva - dice Alfio Foti, coordinatore di Un'altra Storia, il movimento di Rita Borsellino che ha promosso l'evento - Parte da tutti quei soggetti che ogni giorno si confrontano con il territorio elaborando dal basso azioni concrete di sviluppo". A Pollina le otto agorà tematiche in cui è divisa "Sicilia bene comune" (lavoro, economia solidale, ambiente, benessere, partecipazione, saperi e conoscenze, cultura e pace) si sono confrontati esponenti di Cgil, Legambiente, Arci, Libera, Rete degli studenti medi. Dal Catanese sono arrivati i gruppi di acquisto solidale di Siqillyah, dal Palermitano la coop Lavoro e non solo, da Siracusa Slow food, da Agrigento il Forum dell'acqua bene comune. "Nella agorà – continua Alfio Foti - stiamo elaborando quelle proposte programmatiche che confluiranno nel nostro manifesto". Le conclusioni sono state affidate a Rita Borsellino. GANGI Si è laureato in ingegneria il nostro collaboratore Giuseppe Biundo Il nostro collaboratore Giuseppe Biundo ha conseguito la laurea vecchio ordinamento in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio presso l’Università degli Studi di Catania con una tesi inerente la tecnica del controllo ambientale dal titolo: “Le centrali idroelettriche nel comprensorio delle Alte Madonie: dalla produzione di energia agli inizi del ‘900 alle prospettive future”. Relatore è stato il professore ingegnere Antonio Gagliano. All’amico Giuseppe gli auguri di tutta la redazione. Espero - Mensile di Cultura - Politica - Informazione - Nuova Serie Anno V n. 47 - 1 Marzo 2011 Direttore: Alfonso Lo Cascio - Redazione: Ciro Cardinale, Antonino Cicero, Giovanni Lo Nero, Vincenzo Pinello, Aurora Rainieri, Giuseppe Spallino. Collaboratori: Antonino Artese, Dario Barà, Giuseppe Biundo, Anna Casisa, Giulio Catanzaro, Giovanni Corrieri, Salvo D’Antona, Giuseppe Di Franco, Filippo Di Carlo, Santi Licata, Marcello Longo, Mirella Mascellino, Martina Pantina, Claudio Pepoli, Salvatore Solaro, Maria Rosaria Sinatra, Mario Siragusa, Roberto Sottile, Carmen Consuelo Spina, Antonino Taulli, Rosario Termotto. Fotografie: Giovanni Agrimi, Benedetto Aiello, Emanuele Carlisi, Francesco La Mantia. Segretaria di Redazione: Cristina Battaglia. Direzione e Redazione: 90018 Termini Imerese via Ospedale Civico, 32 Tel. 091.8112571. Email: [email protected]. Registrazione Testata: Tribunale di Termini Imerese n. 2 del 7/4/1989 Concessionario per la pubblicità: Business & Progress Via Giorgio La Pira, 31 - Termini Imerese. Tel. 091.2737226 - 327.4974205. Email: [email protected] Fotocomposizione e Stampa: Le Madonie s.n.c. via Fonti di Camar, 75 - Castelbuono. Rivista dell’Associazione Comprensoriale Espero - Casa Editrice Don Lorenzo Milani Un numero Euro 1 (Copia arretrata il doppio) Abbonamento annuo Euro 10 (Sostenitore Euro 50) C.C.P. n. 92097070 intestato a DLM Via Ospedale Civico, 32 - 90018 Termini Imerese (PA) 1 Marzo 2011 DALLA PRIMA PAGINA/FIAT (100 milioni stanziati dal governo, 350 dalla regione, il resto dai privati) e dovrebbe essere operativo entro 36 mesi. La cessione degli impianti da parte della Fiat a costo zero è subordinata alla ricollocazione integrale dell'occupazione entro il 2012, con in più la creazione di 3300 nuovi posti di lavoro a regime (oggi a Termini lavorano circa 1600 persone, oltre le 600 unità dell'indotto). Nel periodo di transizione e fino a quando i nuovi insediamenti non saranno operativi, i lavoratori dovrebbero essere coperti dalla cassa integrazione straordinaria. Ma chi verrà al posto della casa automobilistica torinese, già pronta con le valige in mano ad abbandonare la Sicilia? Da una lista iniziale di 31 potenziali candidati disponibili a rilevare il sito termitano, vagliata da Invitalia, si è alla fine giunti ad appena sette probabili investitori, che potranno utilizzare l'infrastruttura a partire dal primo gennaio 2012. Si tratta di De Tomaso, del progetto Sunny Car, di Ciccolella, di Med-studios, di Lima Group, di New Coop e di Biogen Termini Imerese. Nel “mazzo” c’era pure un’ottava, grossa offerta, che per il momento è rimasta esclusa perché arrivata fuori tempo massimo: quella della casa automobilistica molisana Dr Motor Company. L’idea era quella di rilevare l'intero sito, mantenendo lo stesso assetto produttivo della Fiat: lastratura, verniciatura e assemblaggio, per produrre così 60mila auto l'anno per quattro diversi modelli (oltre a Dr 1, 2 e 5 si prevede una nuova vettura). Ma chi sono le “sette sorelle” selezionate per accaparrarsi lo stabilimento ormai ex Fiat? Vediamole insieme un po’ più da vicino. De Tomaso. E’ la capofila nella lista delle sette aziende che dovrebbero salvare lo stabilimento Fiat. Prestigioso marchio automobilistico sportivo, acquistato nel 2009 dall'imprenditore torinese Gian Mario Rossignolo dopo il tracollo finanziario. E dopo la crisi la produzione di auto dovrebbe ripartire proprio quest’anno nello stabilimento ex Pininfarina di Grugliasco, alla periferia torinese, da dove si prevede usciranno a regime ottomila vetture prestigiose, tra suv, limousine e coupé. Finora è stata presentata al pubblico solo la SLC, una berlina di lusso che dovrebbe essere messa in vendita con prezzi a partire da 85mila euro. L'obiettivo di Rossignolo è quello di costruire a Termini due nuove vetture di lusso, che si andrebbero ad aggiungere alle tre già previste nel piano aziendale. Si tratterebbe di un mini suv e di una citycar, che andrebbero a competere con la Bmw X1 e la Mini, per un totale di 35mila pezzi l’anno, secondo le prospettive più entusiastiche. In ogni caso la rinascita di Termini è legata ad una azienda che ancora non c’è e che finora ha speso in attesa di produrre, ma che di certo non si imbarcherà nel progetto siciliano senza solide garanzie. Sunny Car. Finora è solo di un’idea, bella ed interessante quanto vogliamo, ma soltanto un’idea utopistica. È un progetto ancora allo stadio embrionale per fare muovere la Sicilia grazie al sole di cui gode in abbondanza, trasformandola quindi in un innovativo laboratorio sulla mobilità. L'idea è venuta alla Cape Regione Siciliana, un fondo d'investimento chiuso con capitale diviso tra la stessa Cape, che ne possiede il 51 per cento, e la Regione Siciliana, che contribuisce per la restante quota. Al fondo partecipano anche altre realtà, tra cui Unicredit, Natixis Private Equity International e Competitiveness and Innovation Framework Programme. Di produttivo finora niente, solo bei progetti. Secondo l'ideatore e finanziere siciliano Simone Cimino, che per questo ha pure firmato intese commerciali con l’indiana Reva Electric Car Company, una so- Lo stabilimento torinese chiuderà a dicembre Fiat: e ora? Una per una le sette proposte che dovrebbero occupare l’area che fu della Sicilfiat (De Tomaso, Sunny Car, Ciccolella, Med-studios, Lima Group, New Coop, Biogen Termini Imerese) e creare a regime 3300 nuovi posti di lavoro. Ma c’è il rischio di un grande bluff Foto di Emanuele Carlisi cietà di produzione e commercializzazione di auto elettriche, il progetto prevede la produzione e vendita di veicoli alimentati ad energia pulita, nonché l'allestimento di una fitta rete di stazioni di ricarica distribuite sull'intera regione (si parla di 2000 siti a regime), muniti di pannelli fotovoltaici per la raccolta dell'energia proveniente dal sole. E Termini Imerese potrebbe rappresentare proprio il punto di partenza “forte” dell'idea. Qui, dopo la necessaria riconversione degli impianti ex Fiat, si potrebbero realizzare autovetture ad energia pulita, occupando anche mille unità lavorative. Ma siccome l’idea è ancora tutta in divenire, la società si è comunque “messa il ferro dietro la porta”, come si suole dire, e sul sito Internet di Sunny car possiamo leggere che «sono state comunque in concomitanza avviate delle ricerche sulla parte orientale del territorio siciliano, adiacente il distretto dell'elettronica catanese, all'individuazione di impianti dismessi e/o aree idonee alla conversione industriale, qualora l'utilizzo dello stabilimento di Termini non fosse consentito». Come dire, se non ci date Termini ce ne andremo da un'altra parte. E buona notte al secchio ed ai sogni di gloria per la città tirrenica. Ma chi è il patron della Sunny car? Agrigentino, bocconiano, un passato in Montedison, ottimi agganci con il governatore Lombardo, Cimino ha provato più volte a sfondare nell’Isola, ma finora senza successo, costruendo solo debiti. La Ice Cube Impianti, che proprio a Termini Imerese produce ghiaccio alimentare, ha chiuso infatti in perdita il proprio esercizio finanziario per due anni consecutivi (2008 e 2009). E poi ci sono il gruppo alimentare Zappalà e la T-Link, la compagnia di navigazione che collega Termini con Genova e che ha raggiunto lo scorso anno perdite superiori al capitale, costringendo i soci a sostanziose iniezioni di denaro. Ma Cimino non si perde d’animo ed eccolo pronto a tuffarsi in un nuovo progetto imprenditoriale, questa volta nel settore automobilistico. Ci riuscirà? Ciccolella. Si tratta di un gruppo leader in Europa nel settore della produzione e commercializzazione di fiori recisi e piante da vaso, prima azien- da florovivaistica quotata in borsa nel Vecchio continente, anche se non certo con successo, come vedremo più avanti. Attiva da 40 anni, l’azienda ha attualmente a disposizione circa 100 ettari di serre in Italia e gestisce la distribuzione attraverso proprie aziende situate in Olanda e specializzate proprio nella commercializzazione dei prodotti florovivaistici su tutto il continente europeo. La sede amministrativa è a San Nicola di Melfi, in Basilicata, mentre le attività produttive sono distribuite tra la Puglia e la Basilicata. Essa occupa attualmente 1800 dipendenti, che seguono tutti i passaggi della filiera (dalla ricerca, alla produzione e commercializzazione di piante e fiori). Il gruppo Ciccolella progetta e realizza qualsiasi tipologia di impianto del settore florovivaistico, affiancando alle serre progetti innovativi nell'energia. Ed a Termini dovrebbe proprio arrivare la produzione di serre fotovoltaiche, investendo di proprio circa 200 milioni di euro, anche se non se la passa proprio benissimo. Nel 2008 il gruppo ha chiuso i propri bilanci con 452 milioni di ricavi, che l’anno dopo sono scesi a 413. Dove essa sta peggio però è in borsa. Dai 7,6 euro del 2007, il titolo è scivolato a 2,39 euro nel 2008 e a 70 centesimi il 15 febbraio, proprio il giorno dell’annuncio della firma sull’accordo di Termini. Se il buon giorno si vede dal mattino… Med-studios. Arieccola. Ogni volta che la Fiat è in crisi, tutte le volte che si parla di chiusura degli stabilimenti termitani, ecco spuntare l'idea della “Hollywood siciliana”. Teatri di posa per cinema e fiction tv realizzati dalla Einstein Multimedia proprio lì dove fino al 31 dicembre si “stamperanno” automobili. È da tempo che la casa di produzione ci prova ad “accasarsi” in città, ma finora senza grande successo. Dopo il bluff della “città del cinema”, che avrebbe dovuto realizzarsi su un’area artigianale di Buonfornello, “sventato” proprio da Espero nel 2007 e la rinuncia definitiva all’idea, annunciata la scorsa primavera da Gianni Minoli, la Einstein Multimedia si è finora “accontentata” di utilizzare la struttura di contrada Impalastro, di proprietà della provincia di Palermo, già colonia estiva per bambini, girando poi le puntate di “Agrodolce”, fiction siciliana in salsa buonista, per le vie di Termini e dei paesi limitrofi. Ed adesso ecco che ritorna in auge il vecchio progetto, pronto a risorgere dalle ceneri della Fiat, anche se “Agrodolce”, come il Napoleone cantato dal Manzoni, è già finita più volte sulla polvere ed altrettante sull’altare, con la Regione Siciliana sempre pronta a negare o a favorire i finanziamenti pubblici, a seconda di dove tira il vento (o il patron politico) del momento. In questo clima, quale futuro avrebbe la “Hollywood termitana”? Lima Group. La società si occupa da sessanta anni della produzione di protesi ossee ortopediche, realizzate con materiali innovativi, quali il titanio o la ceramica. Fondata nel 1945, ha sede a Villanova di San Daniele del Friuli, in provincia di Udine e ha tre moderni stabilimenti in Italia (oltre che in Friuli, anche in Emilia Romagna e Sicilia) e dieci filiali estere in Spagna, Francia, Germania, Repubblica Ceca, Svizzera, Croazia, Giappone. In atto occupa trecento dipendenti. Nulla si sa del suo progetto per Termini Imerese. New Coop. Si tratta di una società con sede a Novi Ligure, in provincia di Alessandria, che si occupa di servizi a terzi sin dal 1988. E' specializzata nell'attività di movimentazione delle merci per lo svuotamento ed il riempimento manuale di container, truck e silos. Il suo progetto dovrebbe essere legato all’interporto termitano, coi suoi alti e bassi, i suoi stop e le sue ripartenze. Biogen Termini Imerese. Poco si sa su questa società che si occupa di impianti di stoccaggio e lavorazione delle biomasse. A Termini Imerese dovrebbe investire 163 milioni di euro, con una ricaduta occupazionale di 70 unità. Altro progetto finora presente solo sulla carta. Queste le idee e i progetti per il futuro dello stabilimento. Resta adesso da verificare se tutte le aziende selezionate fin qui vorranno andare fino in fondo, quando si incroceranno richieste e disponibilità concrete di in- centivi pubblici. Nel caso in cui i cordoni della borsa di papà Stato e di mamma regione dovessero rivelarsi più stretti del previsto, infatti, potrebbe accadere che il numero degli investitori cali o che subentrino altri candidati rimasti per il momento in stand by, oppure che tutto il progetto per il futuro industriale termitano salti. In questo caso il grande rilancio potrebbe nascondere solo un grande bluff. Le reazioni? Soddisfatto naturalmente il ministro dello sviluppo economico Paolo Romani. «Da una situazione di crisi ne abbiamo ricavato una straordinaria case history italiana di ristrutturazione aziendale, industriale, che dà anche alla Sicilia la possibilità di raddoppiare l'occupazione». Evviva. Giudizio sospeso invece per i sindacati. Per Roberto Mastrosimone (Fiom Cgil) si tratta di «un salto nel buio. L'unica cosa certa è che la Fiat se ne andrà da Termini Imerese a fine dicembre. Il resto è solo carta». Lo stanziamento di fondi da parte della Regione Sicilia rappresenta, ammette il sindacalista, «un passo in avanti», ma il problema è come queste risorse saranno utilizzate. Critici il leader di Italia dei Valori Antonio Di Pietro, per il quale la chiusura Termini Imerese «manderà sul lastrico oltre duemila famiglie», ed il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo, che invita Marchionne «per il bene di questa nostra area industriale a non farsi più vedere né sentire». Ed i termitani? Come hanno preso la firma dell’accordo? Per intanto consolandosi con il carnevale. “Resterete senza Fiat!" è infatti lo slogan scelto per l'edizione 2011. «Abbiamo scelto l’arma dell'ironia, ingrediente principe del carnevale, per accendere i riflettori sulla città e sulla drammatica situazione che sta affrontando», si è affrettato a precisare il sindaco Salvatore Burrafato, di fronte a coloro che hanno storto il naso davanti allo slogan. Sarà, ma per qualcuno non c'è proprio niente da ridere. Ciro Cardinale 3° Mese Termini Imerese. Museo Civico, le promesse mancate Ma perché non si bandisce ancora il concorso per Direttore? “G arantisco un concorso in tempi brevi”. E’ stato il primo cittadino a promettere, circa quindici mesi fa, il bando per il concorso di nuovo direttore del museo. Ma nel frattempo non arriva nulla. E sorge spontanea la domanda: che interesse ha l’amministrazione cittadina a non bandire un concorso per un posto che è regolarmente previsto nella pianta organica? Cosa si aspetta? O era la classica promessa da marinaio, tanto poi non se la ricorda nessuno? 1 Marzo 2011 Campofelice di Roccella. Verso le amministrative Pedalino candidato a sindaco Siglata in vista delle prossime elezioni l’alleanza programmatica tra la lista “Libertà e Progresso per Campofelice” e “Insieme per cambiare”. Delineate le linee del programma e scelto il candidato a primo cittadino P resentata a Campofelice di Roccella l’alleanza programmatica tra la lista “Libertà e Progresso per Campofelice” e “Insieme per cambiare”, siglata in vista delle prossime elezioni amministrative. Nel corso della manifestazione sono state delineate le linee essenziali del programma elettorale ed ufficializzata la candidatura a sindaco di Giuseppe Pedalino. Pedalino, eletto nella lista dell’attuale sindaco Francesco Vasta, è stato assessore al bilancio sino a quando, sei mesi fa, in polemica con la gestione del bilancio comunale, si è dimesso seguito da quattro consiglieri comunali. Abbiamo chiesto al neocandidato quali sono le proposte alternative pensate per Campofelice. “Questo è un momento molto im- portante per la vita del nostro paese, perché vede due movimenti che insieme provano a raccogliere le indicazioni della gente per proporre un nuovo modello di sviluppo della nostra realtà comunale. Purtroppo Campofelice è stata oggetto negli ultimi anni di gravi dimenticanze; riteniamo di puntare sul recupero urbano ed edilizio del territorio per dare alla nostra gente quelle risposte che da tempo si aspetta”. Due movimenti che si mettono insieme, mancate forse di ottimismo per le adesioni al vostro programma? “Non siamo assolutamente timorosi. Riteniamo che la gente di questo paese abbia recepito il messaggio che abbiamo voluto lanciare. È un movimento di giovani che insieme vuole provare a dare quella sterzata verso un diverso modo di vedere la politi- ca, di approcciarsi alla gente, di fornire risposte concrete ai problemi”. N e l s e g n o d e l l a p o l e mi c a l’intervento del consigliere provinciale Gianni Lanza. “Mi sono chiesto: come mai un gruppo di uomini non condivide il modo di amministrare della giunta di Franco Vasta? Perché vogliono dare a Campofelice di Roccella una prospettiva di crescita sociale, cultu- rale ed economica vera, e non di sola parvenza! L’attuale amministrazione si è spesa solo per l’apparire e per le feste, senza dotare il paese di quelle infrastrutture necessarie per il suo sviluppo”. Con la presentazione della lista si apre la compagna elettorale per le amministrative del 15 maggio che si preannuncia accesa. Carmen Consuelo Spina Un momento della manifestazione. Termini Imerese Strafalcioni carnevaleschi N ell’opuscolo realizzato per pubblicizzare il carnevale le informazioni sulle cose da vedere a Termini lasciano un po’ a desiderare. Sorvoliamo sul fatto che il ponte sul fiume S. Leonardo del XVIII sec. sia stato retrocesso al XVII, che gli affreschi de “La Barbera” siano ospitati in una mai esistita sede storica del museo, ma che addirittura il teatro all’aperto del belvedere costruito circa dieci anni fa compaia come un edificio monumentale da vedere insieme all’acquedotto romano e alla medievale chiesa di S. Caterina è il massimo. Ma queste sono informazioni per un turista o notizie per grasse risate di carnevale? Le Madonie dalla preistoria ai giorni nostri di Antonino Cicero S Salvatore Farinella Storia delle Madonie Dalla preistoria al Novecento Cada Editrice Arianna Geraci Siculo 2010 pp. 262 Euro 30,00 alvatore Farinella, architetto quarantenne, che vive a Gangi e lavora a Nicosia, con all’attivo diverse pubblicazioni ed iniziative culturali ne scrive una fra le più complete: “Storia delle Madonie. Dalla preistoria al Novecento”, edito da Arianna Attinasi di Geraci Siculo (2010). Il lavoro è diviso in tre parti per ripercorrere le tappe, rispettivamente, dell’età antica (dalle origini della civiltà madonita con presenze attestate con certezza fin dal tardo Paleolitico e che parlano, via via che si passi all’Età del rame e del bronzo, dell’homo madoniensis con la Grotta del Vecchiuzzo presso Petralia Sottana o con l’Abisso del Vento o la Grotta della Chiusilla presso Isnello, dell’età medievale e, infine, delle epoche moderna e contemporanea, per un viaggio ricco di vita che va dagli insediamenti preistorici alla colonizzazione greca, dalla ellenizzazione all’epopea romana, dai bizantini, arabi e normanni ai feudatari e ai Ventimiglia, dagli angioin i agli sp agnoli, dai moti dell’Ottocento, ai garibaldini alla nobiltà gattopardiana, all’Unità d’Italia, dalle guerre agli esordi intravisti e immaginati della Repubblica. “Le Madonie” scrive Farinella “sono considerate un territorio omogeneo per storia, per arte e per cultura, una sorta di regione nella regione in cui le diverse comunità che la costituiscono si ritrovano fra loro legate da una “storia comune”…”. Già, epicentro Madonie, storia ecumenica di più campanili. E ancora oggi l’idea che la storia abbia consegnato a queste terre e a queste popolazioni un marchio di sicuro brevetto. Di qualità eccelsa, in fondo. Il toponimo è caro a tanta pubblicistica. Madonie sono monti e anima e per gli scrittori antichi deriva, probabilmente, da “Maro mons” o “Maroneus Mons”, il Monte Marone, il colle su cui sorge Gangi, propaggine orientale della catena, che, “benché … appaia marginale rispetto al gruppo montuoso, il suo oronimo identifica tuttavia l’intero complesso madonita”. Farinella cita il geografo tedesco Adolf Holm, nell’Ottocento quaggiù; e poi l’abate Domenico Scinà, in giro per descrivere gli effetti dei terremoti del 1818-19. In ordine di pagina, ricorda Strabone, Silio Italico, Solino, Plinio il Vecc h i o , Tu c i d i d e c h e s o t t o l i n ea l’impermeabilità del territorio alle penetrazioni esterne. E poi Stesicoro e Vitruvio… Francesco Minà Palumbo, l’Amari, Tommaso Fazello… Per parlare di un territorio occorre averne le coordinate geografiche e noi respiriamo l’aria della “continuazione dei Nebrodi, che insieme a questi e alla catena dei Peloritani (i monti del messinese), costituiscono la spina dorsale della Sicilia, quell’Appennino siculo che è l’ideale prosecuzione dell’Appennino continentale…” ai confini con il mare a nord e col nisseno e l’ennese a sud, per estensione seconde solo all’Etna. E a delimitarle i fiumi Pollina e Rainò (suo emissario) a est, Salso a sud (l’antico fiume Imera meridionale, “quello che scorre dall’altra parte … dove si estrae il sale, e che ha un sapore salso, appunto” come ci ricorda Vitruvio) e Grande (l’Imera settentrionale) a ovest. Farinella parla di un territorio compatto, impermeabile, che riesce a mantenere una sua autonomia antropica. Ma l’influenza c’è. Da parte dei sicani e dei siculi , dei punici e dei greci che ne completeranno l’ellenizzazione nel V secolo a.C. con la perla KephaloidionCefalù (la cui Rocca, tuttavia, attesta precedenti presenze) e la Phiale aurea di Caltavuturo a cavallo fra IV e III secolo a.C., quando tutto comincia a declinare. E quei puzzle culturali si rifletteranno sulle Madonie: “Differenti “culture”, così come differenti parlate e differenti tradizioni, caratterizzano infatti ancora oggi i diversi ambiti su cui gravitano i centri madoniti”. E poi i romani col latifondo, la manna (il miele di rugiada secondo il medico Galeno) e il salgemma inviati nell’Urbe, le mansiones e stationes (forse all’origine delle nostre masserie) e le Madonie al centro delle vie del grano e del sale, appunto; le terme di Sclafani Bagni e quelle probabili di Gangi Vecchio, la Villa a Settefrati e in contrada Santa Marina, vicino Raffo… E poi il cristianesimo a partire dal IV secolo d.C. (testimonianze di Gangi Vecchio, Castellana e Monte Alburchia sempre a Gangi), i bizantini con i monaci e i monasteri (si pensi ai nomi di contrade come San Basilio, Sant’E li a, San t’ Ono frio, San Calogero, Santa Caterina, San Pietro, Sant’Anastasia…), gli arabi e le Madonie islamizzate tra il Val Demone, il Val di Mazara e il Val di Noto (Qual at abu Tawr-Caltavuturo, i normanni nell’XI secolo d.C., Ruggero d’Altavilla, il geografo Idrisi, il Duomo di Cefalù, i centri di potere fra Collesano, Petralia e Geraci, fino all’omogeneizzazione dei Ventimiglia di Geraci, i conti delle Madonie, passando per Svevi, Angioini e Aragonesi, Vespri e confusione politica; quell’omogeneizzazione che oggi, secondo l’autore, vorrebbe rivivere nell’abbraccio unificante del Parco delle Madonie istituito nel 1989. Una storia infinita quella che racconta Farinella, che si chiude con Mariano Rampolla del Tindaro (1843-1913) di Polizzi, il Segretario di Stato della Santa Sede e mancato papa (il suo assistente è il futuro papa Benedetto XV), passando per la Targa Florio, Maria Accascina, Giuseppe Ganci Battaglia “il poeta (dialettale) delle Mad onie”, Giusepp e Antonio Borgese… Una storia lunga che Farinella ha voluto racchiudere in un testo prezioso e di sicuro ausilio per tante ricerche. O per la sola curiosità di sapere qualcosa in più dell’“uomo madonita”. Termini Imerese vendesi avviatissimo locale Pub arredato Heineken ampliabile in pizzeria mq. 100 più mq. 70 esterno coperto più mq. 400 terrazza privata. Cucina attrezzata, ampio parcheggio tutte le autorizzazioni sanitarie. Richiesta molto interessante. Possibile anche vendita dei soli arredi a prezzo di vero affare. Tel 348/0894872 1 Marzo 2011 Gangi Vetuste riflessioni di Giuseppe Biundo N DALLA PRIMA PAGINA/PARCO Analizziamo a questo punto il Calendario 2011 del Parco delle Madonie. Sicuramente un contenitore pregevole di informazioni poiché racchiude tutto lo straordinario bagaglio di conoscenze acquisite dai professionisti del NOC 31, progetto dal quale provengono anche i fondi per la stampa del calendario che è stato a costo zero per l’Ente Parco. Ma per l’ambiente è stato a costo zero? Il prodotto stampato è veicolo di comunicazione; l’utilizzo di un prodotto stampato ottenuto secondo criteri che tengono conto delle problematiche ambientali è una testimonianza concreta dell’attenzione all’ambiente da parte dell’Ente che dimostra la sua coerenza in materia di politiche ambientali e allo stesso tempo veicola il messaggio, attraverso il proprio esempio, anche ai destinatari delle comunicazioni. A tal fine è sempre necessario ricordarsi di evidenziare sulla comunicazione gli aspetti ambientali considerati per produrla, ad esempio andrà inserita una frase del tipo: “stampato su carta prodotta a partire da fibre riciclate al 100% sbiancate senza utilizzo di gas di cloro, con processi di stampa che non comportano l’uso d i so stanze p er ico lo se p er l’ambiente e la salute e garantiscono la buona riciclabilità”. Prescindendo dal fatto che il calendario può essere trasformato in un libro e quindi conservato, la riciclabilità del prodotto in carta stampata è uno degli aspetti fondamentali da curare per garantire la sostenibilità della filiera ed è quindi fondamentale che tutti gli attori coinvolti, inclusi i grafici e coloro che ordinano prodotti grafici, tengano nella dovuta considerazione le problematiche ad essa correlate. Confidiamo quindi che l’Ente abbia evidenziato fin dal titolo e dall’oggetto dell’appalto che si trattava di “stampa di calendario a basso impatto ambientale” e quindi prestando attenzione alle caratteristiche ambientali del supporto cartaceo utilizzato (carta riciclata, da fibre vergini, da foreste certificate, …) ed eventualmente chiedere informazioni al riguardo. Abbiamo fiducia quindi che sia stata preferita carta che ha ottenuto la cer tificazio ne dell’Ecolabel europeo o altre certificazioni come l’Angelo azzurro, il Cigno Nordico, il marchio FSC o PEFC e che sicuramente ci si sia orientati verso aziende che tengono sotto controllo le proprie interazioni con l’ambiente adottando un sistema di gestione ambientale certificato (secondo il regolamento EMAS – Eco-Management and Audit Scheme o la norma ISO 14001). Facciamo assegnamento che siano state chieste informazioni sul tipo di inchiostri utilizzati nella stampa e che siano stati utilizzati inchiostri e solventi a bassa emissione di composti organici volatili ma soprattutto speriamo che l’azienda che ha prodotto il calendario adotti delle politiche di risparmio energetico e utilizzi energia elettrica da fonti rinnovabili, solo così potremo affermare che questo calendario sia a costo zero…o quasi… per l’ambiente. Sicuramente la scelta di una eccessiva superficie stampata a colori, la rilegatura in legno (sperando che non sia in Abies Nebrodensis) e l’imballaggio costituito da un astuccio di cartone, conducono al risultato che l’operazione ha sicuramente lasciato un’impronta in termini ambientali. Calendario, tra l’altro, carente anche nelle indicazioni poiché mancava di evidenziare la giornata del 18 febbraio 2011, giornata del risparmio energetico della campagna M’Illumino di Meno: “Uniti nell'energia pulita! Spegni la luce e accendi il Tricolore”; un'edizione speciale per celebrare i 150 anni dell'unità di Italia, invitando come consuetudine ormai da alcuni anni, comuni, enti, associazioni, scuole, aziende e case di tutt’Italia, ad aderire all’iniziativa creando quel “silenzio energetico” che sicuramente avrebbe reso più sostenibile anche questo calendario / g.b.) ei mesi scorsi su importanti giornali nazionali e anche sulle reti Rai, è stata data la notizia che a Gangi una coppia ha deciso di acquisire un immobile vetusto da risistemare: “aria pulita in cambio di una ristrutturazione”. Tutti hanno plaudito al successo ma alcune riflessioni sono obbligatorie. In tre anni, su un parco immobili vetusti e abbandonati di qualche migliaio di unità, a seguito di diversi bandi, solo 11 immobili vengono ceduti gratuitamente dai cittadini che non intendono sanare il precario stato di conservazione, di questi, solamente uno è stato assegnato a questa coppia nissena e gli altri attendono ancora una società del Nord che li acquisisca in toto. Sicuramente l’idea è di rilievo ma il risultato non è di certo dei migliori, sempre se la matematica non è un’opinione. Il centro urbano di Gangi ha certamente delle caratteristiche di pregio da molti punti di vista, sicuramente è pittoresco ma allo stesso tempo è fantasma. Dati alla mano, è sotto gli occhi di tutti lo spopolamento in atto, passeggiare tra le viuzze del centro significa camminare nel silenzio assordante della decadenza: non c’è gente quindi non ci sono consumi in definitiva non c’è futuro. Ultimamente due esercizi commerciali hanno abbassato le saracinesche e nei prossimi anni altri lo faranno, nessun ricambio generazionale e sicuramente il raggiungimento dell’età pensionabile per gli esercenti vorrà dire la chiusura per l’esercizio anche perché non c’è mercato. Ristrutturare gli immobili regalati o per abitarvi o per destinarlo ad albergo diffuso o abitazioni stagionali certamente nel breve periodo vorrà dire lavoro per ditte locali ma in una visione di lungo periodo, le cose sono un po’ diverse. Innanzitutto chiediamoci con chi andrà ad interagire questa gente se nel centro non sta rimanendo anima viva e poi è ovvio che questa popolazione fluttuante lascia ben poco dal punto di vista economico, non ha i consumi della famiglia residente. Se un’operazione per recuperare il centro andava fatta era quello di invogliare massicciamente le famiglie e le nuove coppie, quelle che ancora risiedono in paese, a far ritorno in centro o quanto meno a non abbandonarlo. Offrire loro servizi, creare nuovi parcheggi e quelli che ci sono non pretendere il pagamento di un canone, dare degli incentivi a chi vuole aprire un esercizio commerciale in centro e a chi già in centro ha un’attività, pensare ad un piano per la costruzione di alloggi popolari così come ideato nella vicina Petralia Sottana, solo così si potrà fermare l’esodo e riportare la popolazione in centro e le strade prenderanno vita. Mentre il problema più grande che la nostra comunità soffre ormai da ben due anni ha trovato poco spazio sui media nazionali, una iniziativa che mette in luce una differenza ne strappa parecchio, certo perché la televisione e i grandi quotidiani devono impaginare differenze altrimenti la gente non li guarda. Che le strade e i servizi siano carenti forse è una costante che non fa notizia. Aliminusa. Associazioni Un miracolo chiamato Avis Una piccola comunità di appena 1300 abitanti può vantare un considerevole numero di donatori: una solidarietà che va a beneficio di tante persone ammalate ma fa riflettere su quante risorse nascoste esistono ancora nei nostri paesi N el precedente numero Espero si è occupata delle undici sezioni Avis distribuite nel nostro comprensorio, e con un pizzico d’orgoglio, ha sottolineato, che su tutta la provincia di Palermo, un terzo delle donazioni vengono effettuate tra le nostre comunità. Nel 2010 sono state ben 2253 le sacche di sangue raccolte nel nostro comprensorio ed Aliminusa può vantarne ben 140. Si tratta di una cifra senz’altro significativa, ma se rapportata al numero di abitanti, tra i quali solamente 600 persone possiedono i requisiti anagrafici per essere potenziali donatori, ci rendiamo subito conto che siamo di fronte ad un dato importante. In passato ci siamo anche occupati dell’emigrazione che svuota le nostre piccole comunità dell’entroterra che pagano un prezzo troppo alto per le scarse opportunità di lavoro e per l’isolamento geografico che ostacola la mobilità, ma il fuggi fuggi, soprattutto dei giovani, va anche ricercato in altre ragioni che certamente meriterebbero un approfondimento; eppure, in una piccola comunità come quella di Aliminusa, ci sono risorse inaspettate, che meritano di essere raccontate e che passano anche attraverso le donazioni di sangue. Ben 140 le sacche raccolte l’anno scorso ed il 2011 è già iniziato sotto i migliori auspici in quanto in un solo appuntamento sono state raccolte 28 sacche ed effettuate 6 predonazioni. Tutto lascia ben sperare per i prossimi appuntamenti: 10 aprile; 18 giugno; 21 agosto; 9 ottobre ed 11 dicembre. Giuseppe Coppola, Presidente Provinciale Avis, crede molto nelle piccole comunità, perché la solidarietà, così viva e gratuita, che ancora persiste in luoghi come Aliminusa, porta non solo ad una significativa raccolta di sangue ma soprattutto alla continuità. Mentre Vincenzo Agnello, Presidente della Sezione A- vis di Aliminusa, racconta la storia dell’Associazione si comprendono in fretta le ragioni del successo di una sede così piccola. Il segreto è l’associazionismo. In realtà, il direttivo composto da Alberto Nogara, Franco Di Francesca, Liboria Gullo, Franco Rizzo, Giuseppe Faso e Giuseppe Luzi, sebbene concentri gran parte delle energie nella raccolta di sangue, non manca di adoperarsi in altre attività come l’istituzione di borse di studio presso le locali scuole medie ed elementari sul tema delle donazioni riuscendo a stimolare i giovanissimi alla cultura della donazione; così come un viaggio a carattere religioso-ricreativo in Calabria presso la Madonna dello Scoglio; o la raccolta Theleton che si svolge da quando l’associazione è nata nel 200 5 . Da so tto li ne ar e i n fi ne l’ideazione della giornata del donatore che culmina in una cena dove partecipano tutti i donatori con le loro famiglie proprio a simboleggiare nella convivialità il senso della donazione di sangue che salva la vita degli individui ed arricchisce di felicità i familiari del ricevente. Insomma donando il proprio sangue, una parte così estremamente intima di sé, si entra in un circuito di condivisione che va ben oltre la sanità. Ad Aliminusa l’hanno capito, così come hanno compreso che il segreto del successo nel perseguire fini solidali è l’associazionismo, e in un certo senso la gente ad Aliminusa sente come se l’AVIS appartenesse a tutta la comunità. Qualche mese fa, sempre ad Aliminusa, ci eravamo occupati dell’Associazione Aurora stupendoci per tutte le loro attività e con l’Avis continuiamo piacevolmente a sorprenderci, e ci chiediamo perciò se proprio l’associazionismo non possa rappresentare una delle possibili strategie per salvaguardare lo svuotamento delle nostre piccole comunità così ricche di straordinarie risorse umane. Filippo Di Carlo 1 Marzo 2011 Madonie. Intervista a Umberto Santino, fondatore del Centro “Giuseppe Impastato” A pugni nudi contro la mafia Fra memoria e ricerca, Santino parla dei Fasci siciliani, della strage di Caltavuturo, del concetto di “borghesia mafiosa”, fino ad arrivare alla polemica con Saviano, di cui la stampa ha parlato poco. Ha scritto “Storia del movimento antimafia”, dove racconta importanti vicende spesso poco note DALLA PRIMA PAGINA/MAFIA acendo riaprire per tre volte le indagini fino alla sentenza di condanna di esecutore e mandante. Fondatore e animatore del Centro (insieme ad Anna Puglisi) è Umberto Santino, intellettuale e studioso scomodo e controcorrente, uno dei massimi esperti di mafie e criminalità organizzata. Vorrei iniziare parlando della sua “Storia del movimento antimafia”, di cui è uscita una nuova edizione. Nel quadro della sua ricostruzione, che parte dai Fasci siciliani e giunge ai giorni nostri, emerge il ruolo della mafia e dell’antimafia delle Madonie, o perlomeno di un suo pezzo consistente. Nel settembre 1920 a Raffo, una delle frazioni di Petralia Soprana, vengono uccisi i consiglieri comunali Paolo Li Puma e Croce di Gangi. Nel 1948, ventotto anni dopo, cade Epifanio Li Puma. Quali sono i contesti in cui maturano questi tre omicidi e quali le “continuità” e le “trasformazioni” (per usare espressioni a lei care) tra i due periodi? Chiariamo innanzitutto che i Fasci siciliani sono il primo esempio di lotte popolari contro la mafia e per la riforma dei rapporti di lavoro, sviluppatesi in Sicilia tra il 1891 e il 1894. Si trattava di organizzazioni composite, a metà strada tra partiti e sindacati. È bene precisarlo, visto che, tante volte mi sono sentito chie- F Umberto Santino dere se non si trattasse di una versione siciliana del fascismo! Quanto alla sua domanda, il duplice assassinio del 1920 s’inquadra nell’offensiva mafiosa contro il movimento contadino del primo dopoguerra, che si coniuga con l’attività delle squadre di tipo fascista che operavano soprattutto nella Sicilia orientale. Anche in Sicilia ci fu un biennio rosso, negli anni ’19-20, con la ripresa delle lotte contadine e delle lotte operaie con l’occupazione del Cantiere navale di Palermo. E non per caso, nel 1920, furono uccisi il dirigente del movimento contadino Nicolò Alongi e il segretario della Fiom (Federazione Italiana degli Operai Metallurgici) Giovanni Orcel. Due figure quasi completamente dimenticate e che, assieme ad altre, da anni cerchiamo di fare emergere come protagonisti non solo della storia locale ma della storia d’Italia. Negli anni successivi alla fine della prima guerra mondiale le lotte contadine vedono impegnate varie componenti, spesso contrapposte tra loro. Ci sono i socialisti riformisti e rivoluzionari con le Camere del lavoro, le Leghe e le Cooperative, le organizzazioni del Partito popolare di Sturzo con le Cooperative e le Casse rurali, le associazioni dei combattenti e reduci che chiedono che si realizzi la promessa della “terra ai contadini” fatta durante la guerra, come ricompensa di un enorme sacrificio di sangue. Il metodo di lotta è soprattutto l’occupazione simbolica delle terre. E riparte la violenza mafiosa, soprattutto nel corleonese, epicentro storico del movimento contadino dai Fasci agli anni ’50 del secolo scorso. Per quello che sono riuscito a sapere, Li Puma e Di Gangi erano consiglieri comunali socialisti di Petralia Soprana e furono uccisi nella frazione Raffo, mentre tornavano da una riunione della Lega contadina. Possiamo dire che questi fatti avvengono nel contesto di una diffusa prospettiva di rinnovamento, ancorata soprattutto al Partito socialista e al Partito comunista che nascerà nel 1921 e guarderà alla rivoluzione sovietica come un esempio da imitare, ma che sarà troncata dall’ascesa del fascismo. E per quanto riguarda l’omicidio di Epifanio Li Puma? Ancora Raffo è al centro della vicenda che, il 2 marzo 1948, porta all’uccisione di Epifanio Li Puma, parente di Paolo e organizzatore delle lotte contadine nei feudi dei Pottino, Mocciaro e Sgadari, agrari spalleggiati dalla mafia delle Madonie. L’omicidio Li Puma si colloca nel quadro delle grandi mobilitazioni del secondo dopoguerra ed è motivato dalla sua attività di lotta e di denuncia. Su quel periodo, sugli anni ’40 e ’50, ho raccolto storie di vi- ta di dirigenti locali e militanti di base, di cui riporto qualche passo nella “Storia”. Mi riferisco a Gandolfo Albanese, segretario del Pci a Polizzi Generosa, Vincenzo Campisi, anch’egli di Polizzi, dirigente della Fedrebraccianti, Calogero Gennaro, sindaco comunista di Petralia Soprana dal 1953 al 1956, che su mia richiesta ha scritto un’autobiografia. I loro racconti sono una testimonianza preziosa di quella stagione di lotte, in un contesto anch’esso aperto a una prospettiva di rinnovamento e alla conquista della democrazia, ma già nel ’47 era crollata l’esperienza della coalizione antifascista al governo del Paese e la strage di Portella della Ginestra, a dieci giorni dalla prima, e ultima, vittoria delle sinistre alle elezioni regionali, saldava il blocco conservatore guidato dalla Democrazia cristiana, che usava l’arma della violenza mafiosa di fronte a una conflittualità sociale ingovernabile con altri mezzi. Di tutto questo parlano i militanti che ho incontrato, all’interno di un progetto di raccolte di testimonianze di quegli anni che purtroppo ho potuto portare a compimento solo parzialmente. Un patrimonio di esperienze che è andato disperso per sempre, dato che quasi tutti i protagonisti di quelle lotte non ci sono più. In altre parti della sua “Storia” lei parla delle Madonie. Debbo dire che le Madonie nella mia ricostruzione compaiono già al tempo dei Fasci siciliani, con la strage di Caltavuturo del 20 gennaio 1893. A Caltavuturo non si era formato il Fascio, c’era una società operaia che aveva organizzato una manifestazione per le terre comunali usurpate da borghesi locali, con l’occupazione simbolica delle terre. Al ritorno in paese i partecipanti alla manifestazione si recarono davanti al municipio chiedendo un incontro con il sindaco. Il segretario del Comune si affacciò al balcone gridando: “Picciotti chi c’è carnivalata!?”. I manifestanti si stavano allontanando quando le forze dell’ordine cominciarono a sparare senza preavviso. A dare inizio alla sparatoria risulta che sia stata una guardia municipale. Ci furono 13 morti e molti feriti. Il copione che vede insieme nell’opera repressiva guardie comunali, campieri, militari e forze dell’ordine si ripeterà molte volte e a gennaio del 1894 in Sicilia i morti ammonteranno a 108. Una carneficina. Il massacro di Caltavuturo suscitò una grande emozione a livello nazionale, l’amministrazione comunale fu sciolta, il segretario comunale sospeso ma successivamente ritornò al suo posto. Lei documenta anche un episodio molto significativo accaduto nelle Occupazione delle terre a Petralia Sottana Madonie, montato dall’allora governo nazionale in funzione della delegittimazione del movimento dei Fasci. A Petralia Soprana si registrò un episodio che fu maldestramente strumentalizzato dal presidente del Consiglio Francesco Crispi che ordinò la repressione sanguinosa dei Fasci, il loro scioglimento e lo stato d’assedio. Nel dibattito parlamentare del febbraio-marzo 1894 Crispi mostrò e lesse un manifesto, a suo dire opera dei Fasci di Petralia, su cui era scritto: “Operai! Figli del Vespro: Ancora dormite? Corriamo al carcere a liberare i fratelli. Morte al Re, agli impiegati. Abbasso le tasse. Fuoco al municipio e al casino dei civili. Evviva il fascio dei lavoratori! Quando le campane della Matrice e del Salvatore suoneranno, assieme corriamo armati al castello, che tutto è pronto per la libertà. Attenti al segnale!”. Il deputato socialista Prampolini chiese: “È firmato?” e Crispi rispose “È firmatissimo”. Il documento non era per niente firmato e fu facile venire a sapere che era opera di un impiegato di Petralia Soprana che voleva mettere nei guai il marito di una donna di cui era innamorato e che l’aveva respinto. L’uomo aveva inviato il documento al suo rivale in amore e l’aveva denunciato con una lettera anonima. La carnevalata si recitava in Parlamento e il primo attore era Crispi, l’ex protagonista del Risorgimento ora organica espressione del blocco agrario. Accennavo alla sua teorizzazione di “continuità” e “trasformazione” nei fenomeni di mafia. A questo proposito, molto spesso si sente dire che dalla mafia agricola si sarebbe determinata un’evoluzione verso la mafia imprenditrice. Secondo questa prospettiva, la linea del tempo della mafia madonita contemplerebbe la fase del feudo (e dei Fasci siciliani e delle lotte contadine) e la fase della mafia della fine degli anni ’80 ad oggi, quella delle coperture ai latitanti, del pizzo alle imprese edili e della tassa del 3% su ogni opera pubblica appaltata. Mi pare però che i suoi Copertina del libro: “Storia del movimento antimafia” di Umberto Santino. saggi propongano una lettura un po’ più complessa. Nelle rappresentazioni della storia della mafia è ancora vivo lo stereotipo “mafia vecchia-mafia nuova”, riverniciato nella versione colta come “mafia tradizionale-mafia imprenditrice”. La mafia vecchia sarebbe stata sostanzialmente buona, avrebbe rispettato le donne e i bambini, ucciso con moderazione, mentre la mafia nuova avrebbe tralignato, stravolta dall’ingente flusso di capitali che avrebbe seppellito le vecchie regole. Nella versione “sociologica”, la mafia tradizionale sarebbe stata ancorata alla competizione per l’onore e il prestigio, mentre la mafia imprenditrice avrebbe scoperto, negli anni ’70, la competizione per la ricchezza. Sono ricostruzioni dilettantesche e distinzioni inaccettabili che pretendono di tagliare con l’accetta fenomeni che vanno studiati nella loro complessità. La mafia, come del resto tutti i fenomeni di durata, intreccia continuità e trasformazione e se si può ipotizzare una periodizzazione è solo per indicare la sua capacità di adattamento al mutare dei contesti. Si può parlare di mafia agraria per dire che al centro dell’accumulazione dei rapporti sociali c’era il possesso del- 1 Marzo 2011 La memoria salvata di Epifanio Li Puma D Parenti e società civile in prima fila i solito si parla d’altro. Delle vittime sconosciute di mafia, i cosiddetti ‘morti minori’, non c’è quasi mai cenno sui giornali e in Tv. Tracce delle loro storie sopravvivono con fatica lungo le generazioni dei familiari e grazie all’impegno di pochi. Fintanto che il morto per mafia resta una storia ‘minore’, nessuno ne parla negli uffici, a casa, al bar, in pizzeria. Sulle Madonie, settori di società civile stanno contribuendo a scongiurare la dissoluzione di pezzi di memoria di una vittima della mafia dei “baroni” dell’agro. In prima fila ci sono i parenti, gli eredi culturali di Epifanio Li Puma, crivellato a colpi di lupara nelle Petralie del 1948. La prima manifestazione intitolata a Li Puma risale al 1983, trentacinquesimo anniversario dell’uccisione, celebrato dalla Cgil di zona. 15 anni di silenzio prima del cinquantesimo anniversario, 1994, promotori Cgil e I funerali di Epifanio Li Puma la terra, ma anche allora la mafia c’era sia nelle campagne che nelle città. La mafia urbanoimprenditoriale non abbandona le campagne ma si sviluppa in un quadro di urbanizzazione crescente, in cui diventa decisivo l’accaparramento del denaro pubblico dispensato dalla Regione e dallo Stato. La mafia finanziaria si sviluppa sull’onda dei traffici internazionali che fanno lievitare l’accumulazione illegale ma non si abbandonano le vecchie pratiche. L’estorsione, che è la manifestazione più eclatante della “signoria territoriale” e una forma di fiscalità parallela, è una costante, riscontrabile fin da quelli che ho chiamato “fenomeni premafiosi” documentabili fin dal XVI secolo. E questo vale anche per il territorio madonita. Il Centro Impastato fin dalla sua fondazione si caratterizza per una pratica dell’antimafia basata sull’impegno sociale e sulla ricerca. Assimilabile ad entrambe le sfere mi pare sia la vostra “Agenda dell’antimafia”, della quale è appena uscita la terza edizione. Chi sono i madoniti presenti oltre a quelli che ha già citato? “L’Agenda dell’antimafia” è un libro-agenda che racconta sinteticamente la storia della mafia e dell’antimafia e ogni giorno riporta delle informazioni sui caduti nella lotta contro la mafia e sulle vittime innocenti. L’idea nasce dalla constatazione che i nomi che si leggono da alcuni anni il 21 marzo nella giornata della memoria e dell’impegno organizzata dall’associazione Libera, per tantissimi sono solo dei nomi, senza volto e senza storia. Infatti l’Agenda era stata proposta a Libera nel periodo in cui ne facevamo parte. La proposta prima è stata accolta con entusiasmo e poi abbandonata senza nessuna spiegazione: uno dei motivi per cui siamo usciti da Libera. Evidentemente molti preferiscono recitare una litania di nomi, più o meno conosciuti, che è l’esatto contrario della nostra concezione della memoria, che è studio e ricerca e produzione e diffusione di materiali che ne diano un’immagine concreta. Tra le vittime madonite di cui si dà notizia nell’Agenda, oltre a Croce Di Gangi, Paolo ed Epifanio Li Puma, figurano i costruttori Giuseppe e Salvatore Sceusa, uccisi perché non si sarebbero attenuti alle imposizioni della mafia relative agli appalti. Per una svista non figura il carabiniere Vincenzo Miserendino, ucciso dalla banda Giuliano a Partinico nel 1946, segnalatoci da un ex sindaco di Petralia Sottana. Non abbiamo raccolto informazioni sufficienti sul maresciallo Tralongo ucciso a Gangi nel primo dopoguerra. Voi di “Espero” potreste aiutarci nella ricerca. Soffermiamoci ancora sull’oggi. Lei è stato il primo ad aver utilizzato l’espressione “borghesia mafiosa”. Chiarisce questo concetto? Nella mia analisi la mafia non è solo l’associazione criminale ma anche, e soprattutto, un sistema di rapporti. Un blocco sociale che va dagli strati più bassi a quelli più alti della popolazione che condividono interessi e codici culturali con l’organizzazione mafiosa, al cui interno il ruolo dominante è svolto da soggetti illegali (i capimafia) e legali: professionisti, imprenditori, rappresentanti della pubblica amministrazione, della politica e delle istituzioni. Senza questi Rifondazione Comunista. Ancora la Cgil si incarica della manifestazione in occasione del sessantesimo anniversario dell’omicidio. Era il 2009. Ma i fermenti consolidati intorno alla crescente attenzione sulla figura del protagonista delle battaglie contadine sono già terreno fertile per la nascita del «Centro Studi» Epifanio Li Puma. Dentro ci stanno poeti, cantautori, musicisti, giornalisti, contadini, alcune tra le più interessanti realtà delle Madonie di questi ultimi anni con accanto i parenti di Epifanio. Dal 2000 ad oggi è il Centro Studi a farsi carico degli appuntamenti annuali per tenere viva la memoria, intercalati tra il marzo e il luglio del 2000 dalle manifestazioni del «Progetto San Francesco in ricordo di Epifanio Li Puma», realizzato dai sindacati Filc Cisl lombarda e siciliana e dalla Siulp. Tre i libri che ricostruiscono l’impegno civile e politico del sindacalista madonita: nel 1998 escono «Epifanio Li Puma. Il misterioso delitto di un sindacalista» di Gaetano La Placa e Mario Siragusa (Lancillotto e Ginevra Editore) e «Epifanio Li Puma: una vita e una battaglia: la terra ai contadini» scritto da Emilio Arata ed edito dalla Cgil. Nel 2008 Santo Li Puma dà alle stampe la monografia «Epifanio Li Puma», per i caratteri della edizioni Arianna di Geraci Siculo (v.p.). rapporti la mafia sarebbe soltanto una sparuta minoranza (6000 persone su 5 milioni di siciliani) e potrebbe fare molto poco sul piano degli appalti di opere pubbliche e di una serie di attività che richiedono necessariamente competenze che i padrini non hanno (Riina e Provenzano hanno soltanto la seconda elementare e un bagaglio esperienziale limitatissimo). Si pensi alla sanità. Senza medici, imprenditori e rappresentanti del potere amministrativo e decisionale i mafiosi non avrebbero nessuna possibilità di inserirsi in quello che è diventato un business molto redditizio. La stessa cosa può dirsi per il riciclaggio del denaro sporco effettuato attraverso le banche e il sistema finanziario. La mia analisi ha dei precedenti: i “facinorosi della classe media” di cui parlava Franchetti nell’inchiesta privata del 1876 e la “borghesia capitalisticomafiosa” di cui parlava nei primi anni ’70 del secolo scorso un economista e dirigente della Nuova sinistra, Mario Mineo. Ultimamente ha avuto una polemica con Roberto Saviano, della quale, per la verità, la stampa ha parlato molto poco e comunque molto meno di quanto la vicenda meritasse. Può raccontarci come sono andate le cose? Cominciamo dai fatti. Nel 2009 Saviano è andato a Cinisi per presentare il libro “Resistere a Mafiopoli”, un’intervista a Giovanni Impastato, con la mia prefazione. Nel libro si racconta l’esperienza di Peppino Impastato e tutto quello che i familiari, i compagni, noi del Centro siciliano di documentazione, abbiamo fatto per salvarne la memoria e ottenere giustizia. Quel libro Saviano non lo ha sfogliato o non ne ha voluto tenere conto, perché ha detto che se si parla di Peppino, se si è fatta giustizia, lo si deve al film “I cento passi”. Qualcuno gli ha fatto osservare che c’era stato un lungo lavoro prima del film. Poi, a inizio del 2010, è uscito il libro di Saviano “La parola contro la camorra”, lanciato dal quotidiano “la Repubblica”, con ampi stralci che riportavano l’affermazione secondo cui “un film riapre il processo” per l’omicidio Impastato. Ho inviato una lettera al quotidiano, con le date dei processi e della costituzione del Comitato della Commissione antimafia che ha indagato sul depistaggio delle indagini, dimostrando che erano precedenti all’uscita del film (settembre 2000). La lettera è stata pubblicata dopo solleciti (dicevano che dovevano controllare le date e chiedere a Saviano di replicare), con un grosso taglio e senza replica. Ho fatto passare parecchi mesi e ho incaricato due avvocati di scrivere all’editore Einaudi chiedendo la rettifica di quell’affermazione. Einaudi (ormai nel gruppo Berlusconi, come Mondadori e altre case editrici) ha risposto minacciando ritorsioni giudiziarie perchè avrei “diffamato” la casa editrice. Ho risposto ribadendo le nostre ragioni. Ci sono stati poi una lettera di Giovanni Impastato, un appello ad Einaudi con un buon numero di firme, la richiesta, non accolta, che Giovanni partecipasse alla trasmissione televisiva “Vieni via con me”, ma non siamo riusciti ad ottenere la rettifica. Tolti il “Corriere della sera”, “La Sicilia”, “Liberazione”, che da tempo non arriva in Sicilia, “il Giornale” che, contrariamente al solito, in questo caso si è comportato abbastanza correttamente, alcune radio e alcuni blog, la nostra iniziativa ha incontrato un muro di silenzio. Saviano, che prima aveva un ottimo rapporto con Giovanni Impastato, non ha risposto alle richieste di partecipare a iniziative. C’è un bigottismo dell’antimafia che avevamo riscontrato anche prima. C’è in giro qual- cuno che dice di avere le stimmate e di avere ricevuto dalla Madonna di Fatima la missione di lottare la mafia come “anticristo del nostro tempo” e alle sue iniziative partecipa il gotha della magistratura e della società civile. Negli ultimi anni il bigottismo si è rafforzato. Saviano ormai è un’icona intoccabile, consacrata dal pericolo del martirio. Ci dà qualche anticipazione sul suo prossimo libro? Ho finito di scrivere un libro sul ruolo dei bestsellers nella produzione di stereotipi su mafia e antimafia. Nella prima parte parlo di “Don Vito”, il libro con l’intervista al figlio di Vito Ciancimino, Massimo, secondo il quale il padre sarebbe stato al centro della la storia d’Italia degli ultimi decenni (non nego che abbia avuto un ruolo ma non di primo piano come Lima e Andreotti, e la trattativa tra mafiosi e uomini delle istituzioni c’è stata in seguito alle stragi degli anni ’90 ma è antica quanto lo Stato unitario). Nella seconda parte parlo appunto di “Gomorra” e degli altri libri di Saviano, che danno un’immagine dell’antimafia incarnata nello scrittore-eroe-martire. Sia la mafia che l’antimafia sono molto più complesse, ma evidentemente per avere successo bisogna creare il demiurgo che concentra tutto in se stesso. E gli utili li intasca in gran parte Berlusconi con il suo impero mediatico che è stata una componente non secondaria del suo potere economico e politico. Vincenzo Pinello 1 Marzo 2011 Alia e Cerda. I frati dal secondo dopoguerra Cappuccini di paese I due centri del termitano sono gli unici che fanno parte della provincia francescana di Messina. Nel Novecento si sono avuto complessivamente nove vocazioni. Rimane un mistero: l’esistenza dell’aliese fra Sarvatureddu I Gangi. Sopra e accanto stato attuale dell’abbeveratoio San Paolo. Gangi. Dopo il crollo del bevaio di “Ciollo” Altre strutture a rischio Casi di avvisaglie trascurate e scarsa manutenzione portano a sfaceli di grandi entità. Ma sarebbe meglio prevenire che curare. Anche per non rischiare di veder scomparire la memoria storica della comunità di Giuseppe Biundo P erché si propende sempre a minimizzare i segni? Specie quelli che indicano una situazione a rischio? Non i sintomi avvertiti da un malato immaginario bensì segni che sono i sintomi di un malessere vero. Traslando tale ragionamento in ambito strutturale, anche i manufatti manifestano segni di degrado, che sono il preambolo dello sfacelo. Ricordate la SS 120, km 83+500? Crepe più o meno continue si concentravano alla base del muro di sostegno a monte, erano persistenti nel tempo e si ripresentavano nel medesimo punto ogni volta che venivano ricoperte con un nuovo strato di asfalto, chiari segni premonitori dell’instabilità crescente del versante aggravata dal mancato emungimento delle acque di falda a tergo del muro e in profondità a causa, si narra, del mancato funzionamento di una pompa. Tutto ciò, seguito dall’insorgere forse, di un fenomeno che va sotto il nome di sifonamento ha portato al noto risultato: una enorme frana che da due anni ha bloccato i collegamenti da e verso l’ennese e il messinese. Altra strada, la Comunale Monte Marone: in più punti segni di degrado dell’impalcato e delle pile attribuibile principalmente al non corretto smaltimento delle acque piovane che nel tempo ha creato distacchi del copriferro, degrado del calcestruzzo, ossidazione delle armature in pratica si evidenzia un inizio di degrado strutturale. Sappiamo che non c’è pericolo attualmente per la struttura ma che per ripararla costa più il ponteggio che i lavori. Restiamo quindi in attesa che il degrado sia tale da inficiare completamente l’opera in modo che il costo del ponteggio sia paragonabile a quello dell’intervento o magari che quest’ultimo lo superi abbondantemente. Il recente crollo del fronte del bevaio di “Ciollo” non è stato un caso e seppur qualcuno dice che lo spessore murario era esiguo rispetto al altri muri coevi, c’è da dire che era rimasto in piedi per un centinaio di anni per cadere sotto i colpi dell’abbandono e della scarsa manutenzione. Forse non erano crepe quelle che si vedevano sulla parte sommitale del Bevaio osservando lo stesso dal Belvedere sovrastante. Le copiose precipitazioni sono state solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso di una manutenzione inesistente e che se prima aveva un costo ora sarà ben superiore per riportare allo stato originario il manufatto e per risarcire i danni arrecati alle auto in sosta. Eppure è caduto solo un muro, certo perché è meglio addolcire la notizia piuttosto che dare alla gente l’opportunità di farsi un’opinione, ossia quella che non viene salvaguardata la memoria storica della comunità fatta di emergenze architettoniche come i bevai che hanno contribuito allo sviluppo della città. Un altro pericolo per l’incolumità pubblica si nota presso il bevaio di San Paolo. Una pesante inferriata che sormonta il bevaio rischia di rovinare al suolo. Eppure è solito dire “prevenire è meglio che curare” ma in questo caso “Melius abundare quam deficere”. Giuseppe Biundo n mo l t i l o c h ia ma v a n o "Sarvatureddu". Era un frate cappuccino di questua che negli anni ’50 girava per le vie di Castelbuono. Di lui si sa poco o nulla. È sicuro solo il suo luogo di nascita, Alia. Infatti nel cimitero castelbuonese, dove avrebbe svolto il ruolo di custode, c’è una lapide in memoria di "Fra Salvatore d’Alia". Eppure il suo nome non ricorre negli annali dell’ordine dei frati cappuccini di Messina. Perché Alia insieme a Cerda sono gli unici paesi del termitano che fanno parte di questa provincia francescana. Scorrendo le pagine degli annali, scopriamo che nel Novecento ad Alia ci sono state 7 vocazioni francescane: 3 sono diventati semplici frati, fra Antonio Di Marco, fra Giuseppe Chimenti e fra Pacifico Lo Savio, quest’ultimo è ricordato come colui che era dedito al forno e alla panetteria a Gibilmanna durante il periodo bellico, e 4 sono diventati sacerdoti ricoprendo anche cariche importanti, come padre Eugenio Di Buono e padre Giuseppe Todaro, entrambi definitori provinciali, cioè membri dell’organo di governo che guida l’ordine di Messina, di padre Fessura sommitale nell’abbeveratoio Ciollo prima del crollo. Padre Ernesto Francesco Cicero Sante Centanni sappiamo che fu missionario in Brasile, dove completò la costruzione di un convento, e che negli ultimi anni tornò in Sicilia per ragioni di salute, mentre di padre Ubaldo Teriaca sappiamo che fu cappellano militare nel 1936 in Africa orientale, richiamato poi nel conflitto del 1940, e che si dilettava di meccanica e di elettrotecnica. A Cerda invece ci sono state 2 vocazioni: quella del defunto padre Edoardo Di Felice, guardiano della Fraternità di Petralia Sottana e al quale si deve la ristrutturazione del seminario di Gibilmanna; e quella di padre Ernesto Francesco Cicero, diplomato in pianoforte al Conservatorio di Palermo, per cui ha potuto insegnare musica nelle scuole statali, già guardiano della Fraternità di Petralia Sottana e attualmente vicario della Fraternità di Gangi, dove precedentemente aveva svolto il ruolo di guardiano. Giuseppe Spallino PADRI E FRATI CAPPUCINI IN ATTIVITÀ’ Nome e cognome P. Ernesto Francesco Cicero Luogo di nascita Cerda Incarico Vicario della Fraternità di Gangi PADRI E FRATI CAPPUCCINI DEFUNTI DAL SECONDO DOPOGUERRA Nome e cognome Luogo di nascita Incarico F. Antonio Di Marco Alia Parroco a Giarre F. Giuseppe Chimenti Alia Addetto al cimitero di Cefalù F. Pacifico Lo Savio Alia Panettiere e sagrista P. Eugenio Di Buono Alia Definitore Provinciale (4 volte) P. Giuseppe Todaro Alia Definitore Provinciale P. Sante Centanni Alia Missionario P. Ubaldo Teriaca Alia Cappellano militare P. Edoardo Di Felice Cerda Guardiano Fraternità Petralia Sottana 1 Marzo 2011 Termini Imerese. Esposto al Museo Civico Manomesso il dipinto del Seicento di Pietro Novelli “Rattoppato” lo scrostamento della superfice pittorica nella tela del “Monrealese”. Una operazione gravissima che denota incuria e approssimazione nella salvaguardia. SiciliAntica ha chiesto un sopralluogo della Soprintendenza per i Beni Culturali di Palermo e l’intervento del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale dei Carabinieri U n dipinto è una creatura rara, tanto preziosa quanto delicata. Una porcellana plasmata su tela, olio cromato che serpeggia tra gli anfratti della vista e da lì, dentro, giù giù, nell’anima del pittore prima e dell’osservatore poi. È patrimonio inestimabile; è testimonianza storica e con Novelli siamo tra le più alte espressioni della pittura siciliana. Siamo nel gotha delle testimonianze. Nel 1647, quando muore, scompare il maggiore pittore del Seicento siciliano. E proprio al museo “B. Romano” se ne ha la presenza, di quel Novelli che fa bella mostra di sé tra Palermo e Caen. Ma pare che quella tela, alloggiata nel museo civico di Termini Imerese, sia una pezza da rattoppare o da rammendare come il corredo smunto di seconda mano. Ricordate quanto già detto a febbraio su Espero? Il dipinto del Novelli del museo termitano, la sua più antica opera certa, datata 1627 e raffigurante l’“Immacolata”, avrebbe subito dei danni probabilmente a causa di alcuni ventilatori posizionati lì per l’intero periodo estivo, causandone il disseccamento della pellicola pittorica. Se ne sarebbe avuto un visibile scrostamento della superficie pittorica nella parte finale del mantello della Madonna. I sospetti sarebbero confermati, a stare a quanto appreso, dal fatto che, aspetto ancor più grave, per riparare all’incuria distruttrice ci si sia improvvisati restauratori con colla e pennello in mano. Lo strappo, se l’informazione è corretta, che era visibile come una “u” capovolta, pare che non ci sia più! E, a stare alla tempistica, dopo l’articolo dello scorso numero, qualche allarme si sarebbe dunque creato e qualcuno avrebbe pensato bene di mettere mano al Novelli. Già. Lo strappo pare sia stato incollato, se è vero che adesso si noterebbero delle “pennellate”; altro immenso danno, infatti, sarebbe proprio questo: il fatto che sarebbe stato passato sopra pure del colore o della vernice, visto che dopo aver incollato lo strappo, i lembi non coincidevano più. Insomma, colla, pittura o vernice per rattoppare alla meno peggio; per rammendare un calzino vecchio e bucato, un po’ malandato. Operazioni del genere denoterebbero lo spirito che starebbe dietro l ’ i n c u r i a e l’approssimazione nella salvaguardia, tenuta e conservazione del patrimonio artistico. In queste condizioni è impossibile pensare, o solo sperare, ad una sua promozione e valorizzazione. Quanto accaduto è inconcepibile e la gravità è tale che SiciliAntica, l’Associazione per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, che opera sull’intero territorio dell’Isola, ha allertato la Soprintendenza per i Beni Culturali di Palermo per un sopralluogo, chiedendo contestualmente l’intervento del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale dei Carabinieri. Manomettere un dipinto così prezioso varca i confini del semplice reato. Perché un dipinto è creatura rara, tanto preziosa quanto delicata. Una porcellana plasmata su tela, olio cromato che serpeggia tra gli anfratti della vista e da lì, dentro, giù giù, nell’anima del pittore prima e dell’osservatore poi… Antonino Cicero Termini Imerese. In occasione della visita alla Compagnia Comprensorio. Volontariato Un progetto nato per unire Si chiama “Reti di delegazione” il titolo del programma elaborato dal CeSVoP. I comuni che potranno usufruire dei contributi per lo svolgimento di laboratori sono quelli di Campofelice di Roccella, Cefalù, Lascari, Trabia, Cerda, Montemaggiore Belsito e Termini Imerese “R eti di delegazione” è il titolo del nuovo progetto elaborato dalla delegazione territoriale di Termini Imerese del CeSVoP - Centro Servizi per il Volontariato di Palermo - valido per l’anno 2011. Il CeSVoP, istituito nel 2001 da un gruppo di associazioni di volontariato (Anpas regionale Sicilia, MoVi regionale Sicilia, Auser regionale Sicilia, G.V.V. regionale Sicilia, Arciragazzi regionale Sicilia, AVULSS Sicilia, Centro Aiuto alla Vita di Palermo, Bagheria, Partinico, Trapani, Mazzara del Vallo, Gela, A.V.I.S. regionale Sicilia), è finanziato dalle Fondazioni bancarie che prevedono per legge nei propri statuti che una parte dei propri proventi venga destinata alla costituzione di fondi speciali presso le regioni, al fine di istituire centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato, e da queste gestiti, con la funzione di sostenerne e qualificarne l'attività. I comuni del comprensorio che potranno usufruire dei contributi 2011 per lo svolgimento di laboratori sono quelli di Campofelice di Roccella, Cefalù, Cerda, Montemaggiore Belsito, Lascari, Trabia e Termini Imerese. “Quest’anno – ha spiegato Chiara Tavolanti, coordinatrice del progetto - i criteri per la scelta dei laboratori erano due: l’attivazione di un percorso che favorisse lo scambio intergenerazionale e il 150° anniversario dell’Unità d’Italia”. Ben diversi i laboratori in corso: da quello di sartoria realizzato a Lascari, al laboratorio musicale di Termini Imerese, dal decoupage attivo a Trabia, al laboratorio video nei comuni di Cerda e Montemaggiore Belsito. Per Campofelice di Roccella, l’associazione Auser, ha attivato un laboratorio di ballo guidato dai maestri Lucia, Giuseppe e Cettina Vittorino, nel quale si sta studiando una coreografia che unisca la tradizionale Tarantella alla Monferrina piemontese, eseguito da dodici coppie di tutte le età. L’appuntamento per le associazioni è a Termini Imerese in primavera, quando saranno presentati in una manifestazione, i prodotti elaborati in tutti i laboratori. Carmen Consuelo Spina Alimena. Sport Piero Di Gangi, da emigrante a pugile S uccede, talvolta, a chi lascia il proprio paese e i cari, di trovarsi in un nuovo posto e scoprire dentro di sé nuovi talenti che non avrebbe mai pensato di possedere. Le risorse umane vengono in soccorso per dare una mano alla voglia di resistere, contro la solitudine e la noia. É quanto è successo a Piero Di Gangi, giovane ragazzo emigrato da Alimena, come tanti altri ragazzi del sud, partiti per terre più ricche, in cerca di un lavoro che il meridione non garantisce. Piero, dopo la morte della madre va a vivere a Cerese Di Virgilio nel Mantovano. Fa l'operaio e frequenta la palestra. Scopre la boxe. Comincia gli allenamenti e si accorge che è uno sport che lo fa stare bene, un sano antidoto contro il dolore del suo lutto e la scoperta di prestazioni promettenti. Si iscrive così alla Boxe Mantova e si allena per gareggiare tra i dilettanti, nei pesi medi. Il suo nome sportivo diventa Pier Marciano Di Gangi. Sorprendendo tutti, ma in primis se stesso, ottiene tre vittorie e un pareggio. Gli incassi delle riunioni dilettantistiche, seguite da un pubblico numeroso, alla palestra Boni di Mantova, sono andati in beneficienza e Piero è orgoglioso di avere dato il suo contributo. In palestra ha trovato una famiglia unita dai valori dello sport e dell'amicizia. Una bella partita per la vita, che Piero dedica a sua madre. Attualmente un incidente al ginocchio lo ha costretto al riposo, ma non vede l'ora di ricominciare a sognare e a lottare sul ring. Mirella Mascellino Il gen. Nobili incontra l’Associazione Carabinieri Il Comandante Interregionale Carabinieri “Culqualber” di Messina, Generale di Corpo d’Armata Lucio Nobili, in occasione della visita al Comando della Compagnia Carabinieri di Termini Imerese, ha incontrato una rappresentanza dell’Associazione nazionale carabinieri Sezione di Termini Imerese. Nell’occasione il Generale ha ringraziato il Presidente S. Ten. Serafino Bartolotta per l’attività che la Sezione svolge nel tenere vivo il sentimento di devozione alla Patria, lo spirito di corpo, il culto delle gloriose tradizioni dell’Arma, la commemorazione dei suoi eroici caduti, per i rapporti di cameratismo tenuti con l’arma con in servizio e per i cordiali rapporti con le Autorità locali. RISERVATO Vendesi avviata Attività commerciale con più di 40 anni di presenza sul territorio di Termini Imerese (alta) corso principale, con clientela selezionata in quanto esclusivista di collezioni prestigiose. Trattative riservate. Tel. 333/4184687 TERMINI IMERESE Pubblicità sul Carnevale. Il sindaco: “Espero no!” L’incaricato della pubblicità per il giornale Espero aveva incontrato il primo cittadino per far inserire la pubblicità del carnevale sul mensile. Ma appena Burrafato ha udito il nome della rivista è quasi saltato dalla poltrona e con piglio risoluto e deciso (almeno su una cosa è fermo!) ha sentenziato: “Espero no!” In realtà il sindaco continua a fare confusione tra fondi privati (i suoi) che può distribuire ad amici e parenti e fondi pubblici (quelli del Comune) che vanno utilizzati con criteri di economicità, efficienza ed efficacia. Quindi se la pubblicità non va inserita nell’unico giornale di informazione che arriva in tutte le edicole del comprensorio, è perché il sindaco è in grado di affermare che la rivista non risponde alla veicolazione del messaggio che l’ente vuole promuovere e non perché il giornale non è gradito al primo cittadino. TERMINI IMERESE Scoccata l’ora X per due assessori: vanno sostituiti Dopo vari rinvii sembra arrivata l’ora X per due assessori della giunta Burrafato. Subito dopo carnevale, a sentire i bene informati, due dei quattro componenti l’amministrazione saranno invitati a farsi da parte per essere sostituiti da due consiglieri comunali. TERMINI IMERESE Presidenti del Consiglio Comunale e i loro vice devono restituire soldi indebitamente percepiti I Presidenti del Consiglio Comunale presenti e passati e i loro vice che si sono seduti nello scranno più alto dell’aula consiliare devono restituire delle somme che sarebbero state inde- NOTIZIE BREVI CAMPOFELICE DI ROCCELLA Riparte “Condividi la tua tesi” L’iniziativa, nata nel 2010, è promossa dal gruppo socio culturale della Parrocchia S. Rosalia di Campofelice di Roccella. Il progetto intende valorizzare i giovani talenti della comunità campofelicese con un ciclo di seminari per presentare e condividere con la comunità le proprie tesi di laurea. Un momento di incontro tra il mondo culturale e universitario di Campofelice. Ad aprire il ciclo di quest’anno la tesi del dott. Marcello Longo presentata presso l’aula Consiliare del municipio il 26 febbraio scorso. Il lavoro proposto analizzava l’inchiesta del quotidiano “L’Ora” del 1958, la prima scottante indagine svolta dalla redazione dei giornalisti guidata dall’allora direttore Vittorio Nisticò. Un’inchiesta coraggiosa che segna una svolta nella storia del giornalismo e che porterà all’ attentato del 19 ottobre del 1958, quando una carica di esplosivo venne fatta esplodere presso la sede storica del quotidiano, in Piazzetta Francesco Napoli a Palermo. Un lavoro di memoria, ma che ben si presta a un’analisi del presente, vista la situazione denunciata dal Rapporto 2010 di Ossigeno per l’Informazione l’Osservatorio Fnsi- Odg sui giornalisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza: almeno 400 i casi di intimidazione e minacce denunciati, rivolte a giornalisti e redazioni italiane, e non solo al sud. Un’occasione per riflettere e per ricordare quanti hanno perso la propria vita per svolgere il proprio lavoro con coscienza e amore della verità, come Cosimo Cristina, il giornalista termitano tra i collaboratori de “L’Ora”, ucciso il 5 maggio del 1960. Il prossimo appuntamento di “Condividi la tua tesi” è previsto per il 9 aprile, quando verrà presentato il lavoro della dott.ssa Maria Pina Fadale “Curare e sorridere” sulla risoterapia. Tutti coloro che fossero interessati ad aderire all’iniziativa o per avere informazioni, possono scrivere all’indirizzo di posta elettronica info. [email protected]. (c.c. s.) TERMINI IMERESE Conferenza sulle grotte della Gurfa e visita guidata In occasione della Settimana della Cultura promossa dal Ministero Beni Culturali si terrà sabato 9 aprile alle ore 17,00, organizzato dall’ Associazione SiciliAntica, una conferenza dal titolo “La Sicilia del mito: da Kokalos a Minosse. Le grotte della Gurfa e gli ambienti a thòlos della Valle del Platani”, tenuta da Carmelo Montagna, architetto e insegnante. Il giorno successivo, domenica 10, è prevista una visita guidata alle grotte della Gurfa di Alia e a Sant’Angelo Muxaro. Un itinerario che consente di rendere concreta la conoscenza della protostoria della Sicilia “prima dei Greci”, fra mito della tradizione letteraria e realtà dei contesti archeologici e paesaggistici di struggente ed arcaica bellezza. Per informazioni tel. 091 8112571 – 346 8241076 email: [email protected]. bitamente percepite nel corso del loro mandato. Secondo i primi conteggi effettuati Carmelo Pace e Totò Burrafato dovrebbero restituire una somma che si aggirerebbe intorno ai venticinquemila euro, circa la metà i vicepresidenti. Il provvedimento colpirebbe anche l’attuale Presidente del Consiglio Comunale Stefano Vitale. TERMINI IMERESE Per un anno 70 extracomunitari vivranno nel convento della Madonna della Catena A seguito di un accordo con il Ministero dell’Interno, parte del convento della Madonna della Catena è stato affittato per ospitare circa 70 extracomunitari. L’accordo sarà valido un anno. TERMINI IMERESE Un musical per ricordare Cosimo Cristina Cosimo Cristina, il giornalista termitano ucciso il 5 maggio del 1960, verrà ricordato nell’anniversario della sua morte a Termini Imerese con un musical del giornalista e scrittore Luciano Mirone, in una giornata organizzata dalle associazioni cittadine. 1 Marzo 2011 lettere Termini Imerese La New Port: “la nostra società non è in mano alla mafia” Egregio Direttore, Le esponiamo quanto segue in merito all’articolo riportato nel numero 44 anno IV dell’1.12.2010, pp. 1 e 3 a firma Vincenzo Pinello dal titolo “Termini, il porto è in mano alla mafia?”. L’articolo in questione, già dal titolo, tende ad accreditare la tesi, già avanzata dal giornalista Lirio Abbate in un articolo pubblicato dal settimanale “L’Espresso”, che la New Port S.p.A. sia in qualche modo condizionata dalla mafia o sia espressione di interessi mafiosi. Ciò non è in alcun modo corrispondente al vero ed è gravemente lesivo della reputazione della New Port S.p.A. Azioni giudiziarie sono state già intrapese nei confronti del sig. Abbate e del settimanale “L’Espresso” dal legale della New Port S.p.A.. Al riguardo, in via preliminare, deve rilevarsi che i soci della New Port S.p.a.. · sono entrati nella compagine sociale della New Port S.p.A., in esito alla trasformazione della storica “Compagnia Lavori Portuali G. Tutrone di Palermo e Termini Imerese” ai sensi della Legge 84/1994; · i soci non sono stati scelti, ma sono transitati quali esclusivi soci-lavoratori al contempo e senza alcun apporto personale di capitale; · il capitale della società è costituito dal patrimonio esistente alla data di trasformazione (24.2.1995) della Compagnia Lavoratoti Portuali di Palermo, determinato sulla base di una perizia redatta da un tecnico nominato dal Presidente del Tribunale; · nel gennaio 2005, tutti i soci lavoratori della “C.L.P. - G. Tutrone Soc. Coop. a r.l.” transitarono nella New Port S.p.a quali dipendenti e contestualmente, ai sensi di legge (che prevede il divieto di detenere direttamente o indirettamente partecipazioni anche minoritarie in una o più imprese autorizzate), si dimisero da soci della stessa cooperativa, i cui amministratori accolsero le domande di ammissione di altri pretendenti soci aventi i requisiti di legge; Appare quindi evidente che la compagine societaria della New Port S.p.a non proviene da una libera scelta di ciascun soggetto socio, ma è esclusivamente imposta da norme di legge. Per quanto poi concerne il contenuto dell’articolo, deve rilevarsi quanto segue: 1. Con riferimento alla affermazione secondo cui “almeno venti soci sono condannati o a misure di prevenzioni o a sequestro di quote azionarie per fatti legati a Cosa Nostra” riportata nell’articolo, la New Port S.p.a è a conoscenza di problematiche avute relative a reati di mafia, soltanto per due soci (su oltre 200). Per tutti gli altri, indicati nel contesto dell’articolo, non ci risulta alcuna segnalazione o notizia. Uno dei due soci sopracitati ha subito il sequestro delle azioni, che è stato successivamente revocato dalla Corte di Appello di Palermo con la conseguente restituzione delle stesse, proprio in quanto il possesso delle azioni è solo il frutto della citata trasformazione per legge (Legge n. 84/1994) della ex compagnia lavoratori portuali. Peraltro, nell’anno 2003, venuti a conoscenza della contestazione dei reati sopra individuati, la cooperativa, ai sensi dello statuto sociale, ha provveduto all’estromissione dei due soci. Le altre due società di capitali, non essendovi la possibilità statutaria che permettesse la estromissione dei soci, hanno provveduto ad invitare i detto soci a vendere le azioni della società in quanto non graditi dalle stesse. 2. Con riferimento alla affermazione secondo cui la New Port S. p.a avrebbe avuto reazioni “un po’ scomposte” alla pubblicazione dell’articolo del Sig. Abbate sul settimanale “L’Espresso” (terza pagina, prima colonna del Vostro articolo), deve essere precisato che la società non ha avuto alcuna reazione scomposta, ma ha ritenuto di tentare di ristabilire la verità, nonché porre l’attenzione sul fatto che le dichiarazioni del giornalista e quelle da lui attribuite a ignoti “investigatori” mettessero in falso allarme le pubbliche autorità, compromettendo il reddito di oltre trecento famiglie di operai. 3. Con riferimento alla affermazione secondo cui la composizione della originaria cooperativa Lavori Portuali di Palermo sarebbe stata costituita secondo un modello per il quale “ciascuna famiglia di Palermo ha il suo rappresentante” (terza pagina, prima colonna del Vostro articolo), deve rivelarsi che tale affermazione non corrisponde al vero e costituisce una grave e gratuita illazione del Sig. Abbate. La compagnia Lavoratori Portuali di Palermo, così come tutte le altre compagnie portuali d’Italia, è stata costituita negli anni 20 ed era sottoposta e disciplinata dalle norme del Codice della Navigazione. I lavoratori portuali erano iscritti in un apposito registro tenuto a cura dell’ex Ente Autonomo del Porto, che aveva funzione di vigilanza e controllo. La compagnia portuale di Palermo, nel corso degli anni, è stata destinataria di due concorsi pubblici, banditi dall’Ente Autonomo del Porto di Palermo su autorizzazione del Ministero della Marina Mercantile, attraverso i quali sono stati iscritti e divenuti soci della Compagnia numero 120 lavoratori nel 1980 e numero 100 lavoratori nel 1986, tutti vincitori di concorso a seguito del superamento di test pratici, sulla base del possesso di titoli, sulla verifica del possesso della buona condotta civile e morale, sulla verifica dell’assenza di condanne superiori a tre anni di reclusione e sull’assenza di reati di contrabbando. La legge n. 84/1994, già citata, ha imposto la trasformazione delle Compagnie Lavoratori Portuali in una o più società di persone, di capitali e cooperative. La Compagnia Lavoratori Portuali di Palermo, nel rispetto dell’obbligo imposto da tale legge, così come le altre compagnie portuali d’Italia, si è trasformata, con tutti i suoi 209 soci, esistenti nel registro tenuto dall’Ente Autonomo del porto, in tre società: - una cooperativa, per l’offerta di lavoro, che ha ottenuto la regolare iscrizione nell’allora esistente “registro prefettizio”; - una società a responsabilità limitata, per la pura gestione dell’attività d’impresa; - una società per azioni, per la gestione dei beni della ex Compagnia. Quest’ultima spa, nel tempo, ha incorporato la s.r.l., continuando, sotto la denominazione sociale di “New Port s.p.a”, l’attività di impresa. Pertanto, l’asserzione del Sig. Abbate, secondo cui sono state inserite persone rappresentanti delle varie “famiglie mafiose”, non risponde al vero. 4. Con riferimento alla risposta fornita dal sig. Abbate alla incredibile domanda “Chi sono i mafiosi che controllano la New Port?” rivolta dal Vostro giornalista, secondo cui ci sarebbero “molti degli eredi dei fondatori della Cooperativa e, tra questi, soggetti condannati per mafia, o sottoposti a misure di prevenzione, o che hanno subito il sequestro delle quote azionarie da parte della magistratura; e poi un nutrito gruppo di indagati per mafia” (terza pagina, prima colonna), nel ribadire quanto già sopra segnalato al punto 1, in ordine alla non corrispondenza al vero di tali affermazioni, deve rilevarsi che la società New Port è di proprietà, sin dalla sua costruzione, di 209 soci, tanti quanti erano gli ex lavoratori/soci della Compagnia Lavoratori Portuali, trasformata in ottemperanza alla legge 84/1994, nessuna nuova immissione è intervenuta negli anni. La società New Port è amministrata da un Consiglio di Amministrazione nominato dai soci ed i cui componenti, succedutisi nel corso degli anni, non hanno mai avuto problematiche relative a reati di stampo mafioso né sono riconducibili ai nominativi citati nell’articolo. Alcuni dei soggetti citati, inoltre, hanno manifestato l’intenzione di aderire le vie legali per le affermazioni diffamatorie nei loro confronti contenute nell’articolo. 5. Con riferimento all’affermazione relativa ai nomi “più significativi” dei “mafiosi” che secondo il Sig. Abbate e il suo intervistatore controllerebbero la New Port (terza pagina, seconda colonna del Vostro articolo), deve ribadirsi che dei soggetti citati soltanto due, secondo le informazioni in possesso della New Port, hanno avuto problemi con la giustizia relativi a reati di stampo mafioso e che, come già evidenziato al punto 1, gli stessi stati allontanati dalla cooperativa ed invitati alla cessione delle azioni di loro proprietà. 6. Con riferimento alle affermazioni relative alla società MedLog (terza pagina, seconda colonna del Vostro articolo) deve rilevarsi che la società consortile MedLog è stata costituita a Roma tra soggetti con competenze e specializzazioni nei traffici delle operazioni portuali e di stoccaggio delle merci. L’obiettivo di MedLog è quello di essere soggetto attivo a rispondere a tutte le esigenze del trasporto delle merci nel territorio nazionale ed internazionale, al fine di dare un servizio puntuale e professionale a tutti gli utenti che ne abbiano bisogno. Un unico soggetto professionalmente capace di gestire la merce “porta a porta”, unendo diversi soggetti con specializzazioni in vari settori (spedizionieri, terminalisti, ecc.). L’iniziativa è stata pensata per i futuri sviluppi dei traffici tra l’Europa e il nord-Africa anche nell’ottica della creazione del corridoio 1 Berlino - Palermo. Vedendo nella Sicilia la piattaforma logistica del Mediterraneo, si sono coinvolti nello stesso progetto altri porti siciliani come Augusta, Trapani, ecc. Il vedere oltre il proprio naso, la volontà di voler far crescere il proprio territorio, avere la capacità professionale di pensare oltre i confini del proprio porto, per taluni evidentemente non può che costituire un illecito. La New Port è di fatto promotrice dell’iniziativa MedLog e per la propria storia non ha bisogno della MedLog per sedersi nei “salotti buoni”. I vertici della ex CLP e gli attuali manager della New Port hanno sempre ricoperto ruoli chiave e di prestigio a livello nazionale, regionale e locale con immediato riscontro nei “salotti buoni” da sempre frequentati. 7. Con riferimento all’acquisto da parte della New port di uno spazio sul “Giornale di Sicilia” per poter tempestivamente replicare alle incredibili affermazioni del Sig. Abbate sul settimanale “L’Espresso” (terza pagina, terza e quarta colonna del Vostro articolo), deve rilevarsi che il diritto di replica, a Voi richiesto e da Voi concesso, è stato richiesto anche al settimanale “L’Espresso”, che ad oggi non ha ritenuto di far pervenire alcuna risposta. La New Port, in conseguenza, ha provveduto ad adire le vie legali nei confronti de “L’Espresso” e del Sig. Abbate. La necessità di precisare che l’articolo del Sig. Abbate conteneva affermazioni non corrispondenti al vero era del resto impellente, a tutela dei rapporti commerciali, considerata la moltitudine di tali rapporti che la nostra società ha con società anche internazionali. 8. Con riferimento all’affermazione secondo cui l’articolo del Sig. Ab- bate sarebbe destinato a influenzare le autorità competenti al rilascio della certificazione antimafia (terza pagina, quarta colonna) da “poi è uscito il tuo pezzo…a… produrre la certificazione?”), deve rilevarsi che il Sig. Abbate evidentemente non conosce le norme. La certificazione antimafia non può essere richiesta direttamente dalla New Port, ma solamente dall’Ente pubblico che ne abbia la necessità. La New Port, fino ad oggi, ha prodotto quanto è nella propria possibilità, ovvero la certificazione della Camera di Commercio, riportante la dicitura “nulla osta ai fini dell’articolo 10 della Legge 31 maggio 1965 e successive modificazioni”. 9. Con riferimento all’affermazione relativa alle presunte “contromisure di new port” (terza pagina, quinta colonna), deve rilevarsi che la New Port sta attuando il proprio piano strategico già approvato da diverso tempo e non sta mettendo “le pezze” dopo l’articolo. Nello spirito di ottimizzazione delle attività e approfittando delle nuove società, si è intrapreso un percorso avallato dai soci. Negli statuti delle new co. si sono inserite delle clausole che consentono l’esclusione di tutti i soci che si dovessero macchiare di reati gravi ed in particolare quelli di mafia. I soci, inoltre, al momento della sottoscrizione delle quote dovranno obbligatoriamente sottoscrivere un protocollo di legalità, a tutela principalmente dei lavoratori e delle stesse società. Ciò dovrebbe fortemente far riflettere chi scrive supposizioni e mistificazioni della realtà. Noi siamo sempre pronti “a fare” e non “a dire”. 10. Con riferimento, infine alla conclusione del Vostro articolo (terza pagina, quinta colonna), verrebbe spontaneo, questa volta alla New Port, porre una domanda conclusiva: “a chi può giovare l’impossibilità di operare della New Port spa nei porti di Palermo e Termini Imerese…?” Nel confidare che la replica venga pubblicata con lo stesso spazio dedicato all’intervista al Sig. Abbate, dandone esplicita notizia a questa società, porgiamo cordiali saluti. Vincenzo Spataro Presidente C.d.A. New Port S.p.A. A chi può giovare l'impossibilità di operare della New Port nel porto di Palermo e Termini Imerese? La domanda ha una sola risposta: la violazione del protocollo di legalità firmato il 13 ottobre 2008 fra il prefetto di Palermo e il presidente dell'Autorità portuale, Antonio Bevilacqua. Un protocollo di intesa in tema di rilascio e rinnovo delle concessioni di beni demaniali ed autorizzazioni alle imprese portuali che obbliga l'Autorità portuale al controllo per evitare le infiltrazioni della criminalità organizzata e alla richiesta in prefettura del certificato antimafia per le imprese a cui rilascia concessioni. E la New Port è una di queste. E proprio sul rilascio del certificato antimafia arrivano i problemi per la società portuale. In base alle informative riservate ricevute dal Prefetto non ci sono i presupposti per rilasciare il certificato. Almeno fino a dicembre 2010. Se poi la compagine societaria è cambiata e i soggetti ritenuti vicini alle cosche mafiose di Palermo sono stati posti fuori, questo non ci è dato sapere. Saremmo curiosi di sapere, però, se la certificazione ad oggi è stata rilasciata all'Autorità portuale in merito a questa società. Di certo non si voleva fare della New Port di tutta l'erba un fascio. Ma se ci sono delle regole di legalità queste devono essere rispettate da tutti. E non è con le campagne diffamatorie e denigratorie, avviate anche a pagamento, nei confronti dei giornalisti che raccontano questa storia, che si può aver ragione (L.A.) Termini Imerese L’Assessore Campagna: i contributi del natale erano solo un “simbolico gettone” Sarebbe molto facile entrare nei dettagli e dare spiegazione di ogni cifra, di ogni contenuto, sottolineare le progettualità che ogni momento protagonista del Natale 2010 ha in sé, ma trovo che una polemica sterile non meriti tali attenzioni. Piuttosto è nel rispetto dell’impegno e del lavoro svolto da un Coordinamento che ha visto ben 18 Associazioni culturali produrre, per la prima volta nella storia di una città tendenzialmente apatica e scoordinata, un Programma Unico senza sovrapposizioni e animato da spirito di partecipazione e condivisione, che devo esprimere tutto il mio disappunto e la mia amarezza per una valutazione superficiale e faziosa dello stato di cose. Non amo rispondere alle provocazioni ma ho troppa stima dell’opinione pubblica per non pretendere che le cose siano trasmesse in modo chiaro. Realtà culturali termitane e prestigiosi Clubs Service sono stati, per la prima volta, protagonisti assoluti dei contenuti culturali del Natale della città, tutti allo stesso modo “vicini” perché il merito di queste realtà associative è quello di essersi messe in gioco , di essersi “proposte”, senza pregiudizio. La Cultura appartiene a tutti e non esistono “livelli culturali” meno che mai giudicabili da chi, credo, non ne abbia neanche le competenze. Porsi al di sopra di facili quanto indegni scontri dal carattere squisitamente e ignobilmente personale ritengo sia imperativo quando ci si rivolge ad una collettività. Questo aspetto veramente innovativo è il vero significato del coordinamento e molte realtà associative lo hanno colto . Non posso che invitare l’autore dell’ articolo Prebende natalizie, che mi scuso ma non conosco, a prendere diretta conoscenza di un lavoro, fatto di impegno , incontri e progettualità, condiviso da questa Amministrazione con tutte le Associazioni che hanno espresso liberamente il desiderio e la volontà di partecipare. Esprimo un velato ringraziamento per avere reso ancora più trasparente il mio lavoro pubblicando in dettaglio con quanta parsimonia si è cercato di “attenzionare” tutte le proposte creando una sorta di “simbolico gettone” le cui piccole variazioni si sono legate solo ad aspetti logistici e che ha voluto esprimere un modesto riconoscimento a chi del Natale si è reso protagonista. Termini non cambia se non cambiano gli atteggiamenti e l’umiltà e il rispetto sono le prime qualità da riconquistare e auspicare… a meno che non si tratti della solita volpe che non arriva all’uva …..e la trova acerba! Disposta a qualsiasi confronto. Colgo l’occasione per ringraziare le Associazioni ed esortarle ad andare avanti nel nostro percorso. Porgo inoltre il mio invito a quanti volessero entrare a far parte del Coordinamento, finalizzato all’istituzione di un Albo delle Associazioni Culturali della Città. Gli uffici dell’assessorato alla cultura sono a disposizione di quanti richiedano informazioni. Assessore alla Cultura Dott.ssa Angela Campagna Affermare che “per la prima volta nella storia”, assegnandosi il ruolo di “biblico” iniziatore, denota la scarsa conoscenza della città. Noi abbiamo soltanto raccontato come sono stati distribuiti tra le associazioni i soldi del Natale perché riteniamo che compito di un giornale sia quello di informare e rendere trasparenti le spese di una pubblica amministrazione. Ma forse è proprio questo che ha dato fastidio (C.C.) @ e-mail 1 Marzo 2011 Storie, Fatti, Personaggi DEL COMPRENSORIO TERMINI, CEFALÙ, MADONIE Castelbuono, il convento di Santa Maria di Liccia di Giuseppe Antista L’ edificio, recentemente restaurato dall’Ente Parco delle Madonie, sorge su un promontorio a ridosso del bosco di lecci, nella contrada denominata appunto “Liccia”, pochi chilometri a sud-est di Castelbuono, in una posizione eminente che domina, oltre il vicino centro abitato, anche Pollina e San Mauro Castelverde. Il complesso era in origine la sede conventuale dei Padri Agostiniani appartenenti alla Congregazione di Centorbi (l’odierna Centùripe) e fu fondato all’inizio del Seicento con il compito di soccorrere i viandanti e istruire nella fede pastori e contadini che dimoravano nelle campagne; come si evince dalla relazione del 26 marzo 1650, stilata in occasione dell’inchiesta ordinata dal papa Innocenzo X per accertare lo stato demografico e patrimoniale degli Ordini religiosi maschili, il convento venne «eretto l’anno 1607 dal Padre Filippo Lo Possente della terra di Militello e da frat’Agostino da Caccamo, con la licenza et autorità dell’Ill.mo e Rev.mo D. Andrea Mastrillo, allora Arcivescovo di Messina»1. Tale comunità religiosa era nata nel 1517 a opera di alcuni eremiti che si erano ritirati sui monti Scalpello e Iudica, nei pressi di Centùripe, per poi confluire nella Congregazione dei Frati Agostiniani Riformati di Centorbi, che nel 1581 ebbe l’approvazione papale2; erano frati piuttosto umili, che vivevano di elemosina e si dedicavano alla coltivazione delle terre in loro possesso: «salme nove di terre, quale con seminarli e cultivarli con nostri bue e con li travaglia delli frati…, una vigna…, un luogo di olive…, tumina cinque di terre lavorative»3. Questi terreni erano stati in gran parte donati dal marchese di Geraci Giovanni III Ventimiglia, che nel 1608, un anno dopo il loro arrivo in città «vista la bona edificatione di detti Religiosi, ci concesse otto salmi di terra lavorativi» (localizzabili nel vicino borgesaggio di San Focà) e nel 1615 aggiunse ancora «un’altra salma di più che fanno nove, con patto che detti Religiosi mancandoci di starci o lassandolo, o vindendolo casca in commisso a detto Marchese una con tutti li frutti», con il patto quindi che, se i frati avessero abbandonato il sito la terra sarebbe tornata di sua proprietà; nella stessa occasione il marchese concesse pure una rendita annuale di 15 scudi, che andava a sommarsi alle elemosine e ai ricavi delle altre attività condotte dai frati e nel 1650 il convento aveva un introito di 299 scudi, una spesa di 269 e un utile di ben 30 scudi4. Oltre un piccolo gregge di capre e pecore, i frati possedevano pure un giardino, alberi di fico, pira, cirasi, castagni e molti alberi di censi seu mori, quindi un gelseto, certamente usato per la sericoltura, una attività già diffusa nel territorio fin dal secolo precedente5. Secondo un’organizzazione planimetrica consueta, il convento costava di tre corpi di fabbrica realizzati in pietra e mattoni, disposti attorno a una corte, priva di portici e chiusa sul quarto lato da un muro; in particolare aveva «una chiesa di lungheza canne sei e di larghezza tre canne e meza et ogni canna s’intende palmi otto, contiene ancora rifettorio, cocina, dispensa di vino, stalla, stanza di paglia, stanza di legni, capitulo e luogo comune, sacristia, maghazeno e dodici cammere e detto convento è claustrato e finito»6; tra questi ambienti mancava la biblioteca, in quanto i conventuali, che nel 1650 erano tre sacerdoti, un cherico e tre laici, non si dedicavano agli studi teologici, ma al lavoro manuale e inoltre gestivano «un’infirmaria nella città in quattro stanze e suo orticello serrato di mura, quale serve per l’infirmi»7. La piccola chiesa era l’unico ambiente di un certo pregio tra le austere stanze conventuali; ad aula unica, coperta da un tetto in legno, ha la zona presbiteriale delimitata da tre arcate poggianti a centro su colonne (con capitelli e base in pietra) e ai lati su piedritti sporgenti dai muri. Gli Agostiniani per circa due secoli svolsero un’azione sociale importante a Castelbuono e nel territorio madonita (avevano un altro convento a Geraci, accanto alla chiesa di San Bartolo) e la comunità di Liccia rimase attiva fino al 1769, data dalla quale il sito fu trasformato in azienda agricola. 1 Archivio Segreto Vaticano (ASV), Relationes, 6, cc. 43-46v. 2 Gli Agostiniani Scalzi, a cura e con saggio Sotto: Interno della chiesa, sopra il convento. introduttivo di M. Campanelli, Napoli 2001, pp. 119-144. 3 ASV, Relationes, 6, cc. 43-46v. 4 Ibidem; S. Cucinotta, Popolo e clero in Sicilia nella dialettica socio-religiosa fra Cinque-Seicento, Messina 1986, p. 492. 5 O. Cancila, Baroni e popolo nella Sicilia del grano, Palermo 1983, p. 86. 6 ASV, Relationes, 6, cc. 43-46v. 7 Ibidem.