Oltre lo sguardo
la mente velata
Illustrazioni
di
Marco
Menaballi
Guida sul Decadimento Cognitivo
per familiari e operatori
in Provincia di Lecco
A cura di:
1
Oltre lo sguardo,
la Mente velata
2
Guida sul Decadimento Cognitivo
per familiari e operatori in Provincia di Lecco
Con il patrocinio di
Con il contributo di
1
2
p. 3
Prefazione
p. 5
Introduzione
p. 7
L’architettura della mente: cenni
p. 9
Che cos’è il decadimento cognitivo?
Che cosa si intende per “mild cognitive impairment”?
p. 11
Invecchiamento e decadimento cognitivo: uno sguardo ai numeri
p. 13
Le figure e i servizi di riferimento
p. 15
Le demenze: aspetti neuropsicologici
p. 18
Le terapie farmacologiche
p. 21
Decadimento cognitivo e vita quotidiana:
consigli per l’assistenza
p. 36
La rete allargata dei servizi e le strutture per le
demenze in Provincia di Lecco
p. 39
Aspetti giuridico-legali
p. 44
Appendice
p. 45
Note sugli autori
p. 46
Spazio appunti e annotazioni personali
Oltre lo sguardo,
la Mente velata
SOMMARIO
Prefazione
Scorrendo le pagine della “Guida sul Decadimento Cognitivo”, mentre ripercorrevo
anche alcune tappe della mia esperienza professionale con diversi colleghi e amici,
mi è venuto in mente uno degli ultimi libri del Cardinale Martini, “Le età della vita”,
dove - riprendendo un proverbio indiano - parla di quattro fasi nella vita dell’uomo.
Fra queste è proprio l’ultima - quella della “mendicità”, della dipendenza dagli
altri, fase nei confronti della quale occorre rispetto, comprensione, gratitudine ma
anche presenza - che ci interpella maggiormente, sia come istituzioni che come
famiglie e singoli cittadini.
Per qualsiasi comunità è importante saper intercettare i bisogni, anche quelli
abbastanza nuovi ma molto concreti, e saper proporre risposte per certi aspetti
anche innovative, che tengano sempre presente la persona e la sua famiglia a cui
un evento imprevedibile ha di fatto cambiato le prospettive globali di vita. Sono
infatti soprattutto le famiglie, che si trovano ad affrontare situazioni particolari,
con un proprio congiunto affetto da Alzheimer o Deterioramento Cognitivo o che
ha subito un evento traumatico, anche in giovane età, o una patologia acuta
che ha interessato comunque la sfera cognitiva, a porre domande concrete ma
anche esistenziali, pratiche ma anche di senso. A volte si rivolgono anche agli
amministratori locali, per avere un aiuto, un consiglio, un’indicazione. E spesso,
non ricevendo risposte, si sentono quasi abbandonate, rischiano di chiudersi e
ripiegarsi su se stesse, mentre - in realtà - anche nel nostro territorio ci sono
servizi, iniziative, professionisti, associazioni che possono offrire un aiuto concreto:
ma occorre conoscere… ed è lo scopo di questo volumetto.
Anche a nome della Conferenza dei Sindaci della Provincia di Lecco, ringrazio
l’Associazione “NUOVAMENTE” che, con la collaborazione di diverse persone,
professionisti e volontari, si è presa l’onere di colmare un vuoto.
L’augurio allora è che questo opuscolo possa essere uno strumento prezioso e un
aiuto significativo per tutti, offrendo alle persone interessate e alle loro famiglie
risposte utili ed efficaci per poter capire e conoscere, per sapere cosa fare, per
sapere dove e a chi rivolgersi.
Guido Agostoni
Presidente Conferenza dei Sindaci della Provincia di Lecco
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
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Introduzione
L’Associazione Nuovamente si occupa di problemi cognitivi acquisiti in esito da
cerebropatie ed è nata dall’idea di un gruppo di persone che si sono conosciute
in ambito ospedaliero per l’esperienza, personale o famigliare, di un problema
cognitivo (linguaggio, memoria o attenzione) conseguente a lesione cerebrale (ictus,
trauma cranico, esiti di intervento neurochirurgico, malattie degenerative).
Poichè le difficoltà quotidiane erano simili e scambiarsi informazioni ed emozioni
consentiva a tutti di affrontare con maggiore leggerezza la vita quotidiana,
abbiamo deciso, con grande entusiasmo e volontà, di unire le energie e destinarle
a migliorare il benessere di chi vive un’analoga realtà.
Il decadimento cognitivo rientra in questo tipo di patologie, che non trovano cura
adeguata nella farmacologia classica e che, quando si manifestano, obbligano le
famiglie a rivedere completamente il proprio stile di vita.
Nel caso specifico, è particolarmente importante intervenire sia preventivamente
con attività di potenziamento cognitivo, che a posteriori, con attività di supporto
ai famigliari così da contribuire a rasserenare gli animi per affrontare al meglio la
“nuova” quotidianità.
In situazioni di patologia ormai conclamata è fondamentale informare famigliari
e care-giver sulle corrette modalità gestionali oltre che sugli ausili e i supporti
disponibili sul territorio.
Abbiamo ritenuto importante pertanto sostenere questa pubblicazione perché
costituisce un utile strumento, del quale si avvertiva la mancanza, oltre che una
fonte di informazioni di grande rilevanza dal punto di vista territoriale come fu, a
suo tempo, la guida messa a punto dall’Associazione Alzheimer.
Offrendo numerosi spunti e fornendo indicazioni puntuali sulla realtà locale, la guida
si presenta infatti come un importante punto di riferimento per la popolazione del
territorio lecchese.
Paola Ruffa
Presidente Associazione
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
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L’architettura della mente: cenni
Quante volte ci siamo fermati in silenzio ad ammirare e fotografare lo splendore e
la bellezza di un’antica cattedrale! Quante volte ci siamo chiesti: “Come avranno
fatto i nostri avi a costruirla?”; “Come avranno potuto sistemare pietre così pesanti
senza l’aiuto di una gru o di uno scavatore?”; “Quale genio ha potuto ideare
un’architettura così sublime?”.
Possiamo immaginare la struttura della nostra mente come l’edificio di una
grande cattedrale. Vi sono tante pietre, ed ognuna di esse ha un compito
specifico e fondamentale per sorreggere l’intera struttura. In una limpida mattina
di primavera, si possono ammirare le guglie della cattedrale che arrivano quasi
a toccare il cielo; esse però non potrebbero alzarsi in tanto splendore se non
fossero rette da un soffitto a volta. Così, il soffitto si dovrà reggere e scaricare il
proprio peso su solide colonne portanti, che a loro volta dovranno supportarsi su
fondamenta profonde e rocciose.
Così è della nostra mente: essa è costituita da tante funzioni, ognuna con un
compito specifico ed ognuna fondamentale per sorreggere l’intera architettura.
Queste funzioni hanno sede nelle varie aree del nostro cervello, che, come in
un computer, costituisce l’hardware (cioè l’insieme di microchip e collegamenti)
sul quale può lavorare quel complesso software (il programma) che è la mente
umana.
Le “pietre” che costituiscono la nostra mente sono in primo luogo tutte quelle
informazioni del mondo esterno che, a partire dagli organi di senso (tatto, vista,
udito, gusto, olfatto) raggiungono particolari aree del nostro cervello, dette aree
sensoriali. In un certo senso, le funzioni sensoriali costituiscono le fondamenta
su cui poggia l’intera architettura della mente umana. Queste informazioni
potranno poi essere ulteriormente elaborate in altre aree del nostro cervello, dette
aree associative, ove hanno sede le cosiddette funzioni cognitive superiori:
l’attenzione, la memoria, il linguaggio, le abilità di ragionamento, le abilità visuospaziali, la capacità di eseguire gesti, la capacità di ideare e pianificare le azioni.
Vi sono poi altre aree, dette aree motorie, che hanno lo specifico compito di
programmare, coordinare ed eseguire una risposta motoria rispetto agli stimoli
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che provengono dal mondo esterno.
L’architettura della mente è sorretta dal funzionamento congiunto e sinergico
di queste aree, ognuna delle quali è deputata ad un compito specifico, ma, allo
stesso tempo, è in collegamento ed in coordinamento con le altre aree.
Pensiamo, ad esempio, alla capacità di guidare. Anzitutto la nostra mente riceve
informazioni visive ed uditive dal mondo esterno, che devono essere elaborate in
pochi decimi di secondi al fine di programmare una risposta adeguata. Ci occorre
poi la capacità di concentrarci e di prestare attenzione alla strada e al traffico per
molto tempo (qualche volta si tratta anche di molte ore). Dovremo poi essere in
grado di leggere i segnali stradali, distinguerne forme, colori e scritte, ricordarci
il loro significato e saper programmare le nostre azioni e i nostri movimenti in
maniera molto fine (pensiamo a quanto sia difficile per l’apprendista imparare a
bilanciare il pedale della frizione con quello dell’acceleratore). Quante operazioni!
Eppure, in pochi mesi, il nostro cervello è in grado di apprendere un’abilità così
complessa come quella della guida e di mantenerla in maniera efficiente per molti
anni.
Come tutte le cose belle, il nostro cervello e la nostra mente sono anche un sistema
fragile che si può ammalare. Ad esempio, ai neuroni (le cellule del cervello)
bastano pochi secondi di mancanza di ossigeno e nutrimento da parte dei vasi
sanguigni per deteriorarsi irreparabilmente.
In questa guida tratteremo varie condizioni che possono compromettere le funzioni
cognitive, sia degenerative che di altra natura, come quelle vascolari o da traumi
cranici e che coinvolgono principalmente le aree associative del cervello e quindi
le funzioni attentive, di memoria, linguistiche. Queste malattie vengono chiamate
con termini diversi, ad esempio decadimento cognitivo, deterioramento cognitivo,
decadimento intellettivo, deterioramento delle funzioni cognitive o demenze. Nel
presente testo utilizzeremo prevalentemente il termine decadimento cognitivo
o, in qualche caso, demenze.
Tra queste patologie, la più nota è senz’altro la malattia di Alzheimer; come
vedremo, esistono però anche altre demenze, che sono causate da meccanismi
biologici diversi e si manifestano in forme diverse rispetto alla malattia di
Alzheimer.
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Oltre lo sguardo,
Cosa è il decadimento cognitivo?
Cosa si intende per “mild incognitive impairment”?
LA PERDITA DEL PATRIMONIO INTELLETTIVO
Con il termine decadimento cognitivo si intende la perdita del patrimonio
intellettivo acquisito negli anni, in modo così rilevante da interferire con le attività
della normale vita quotidiana. Come abbiamo visto, il patrimonio intellettivo si può
descrivere come composto da varie funzioni cognitive tra loro integrate, come
la memoria, il linguaggio, l’attenzione, il pensiero astratto, le abilità visuo-spaziali
etc.
Quando la compromissione è circoscritta ad una sola funzione cognitiva, per
esempio la memoria anterograda, cioè la capacità di formare ricordi nuovi, si
parla di deficit cognitivo settoriale o mild cognitive impairment (MCI). Si configura
invece la demenza quando si ha la compromissione di più funzioni cognitive.
Esistono numerose malattie dell’encefalo capaci di condurre a questa condizione,
le più comuni sono:
• Malattia di Alzheimer, di natura degenerativa (con accumulo di proteine
abnormi nelle cellule cerebrali, i neuroni, perdita della loro normale funzione
e poi riduzione del loro numero);
• Altre malattie degenerative principalmente circoscritte ai lobi frontali e
temporali del cervello;
• Malattie dei vasi cerebrali con conseguenti infarti o emorragie cerebrali;
• Traumi cranici gravi, con lesioni focali o con danno diffuso dei neuroni.
COME SI MANIFESTA IL DECADIMENTO COGNITIVO
Nella più comune forma, quella degenerativa, inizialmente si ha di solito la
compromissione di una sola funzione cognitiva. Spesso questa è la memoria
9
per i fatti recenti: in questo caso il paziente non riesce più a ricordare quello
che è appena accaduto e diventa ripetitivo, all’inizio in modo discontinuo, poi
con regolarità. Qualche volta invece è il linguaggio ad essere compromesso: il
paziente non trova più le parole giuste per esprimersi (per es. nomi di oggetti o
di persone), oppure sono alterate le abilità visuo-spaziali: può accadere allora
che il paziente si perda in percorsi nuovi o anche abituali. Nella fase successiva i
disturbi di più funzioni cognitive si associano: viene coinvolta la memoria degli
eventi remoti, con l’impossibilità a collocare nel tempo gli eventi autobiografici più
significativi (nozze, nascita dei figli…), la costruzione delle frasi viene semplificata
e si ricorre alle stesse parole comuni per esprimere concetti diversi, i pensieri
diventano sempre più semplici e rivolti ad argomenti concreti.
Talvolta possono comparire disturbi del comportamento, fenomeni allucinatori
o deliranti, con temi di latrocinio o di persecuzione (mi rubano i soldi, mi mettono
il veleno nel cibo…). Le attività quotidiane vengono ridotte, si trascura la
partecipazione agli eventi della società e della famiglia. Nel contempo si riduce la
cura della propria persona. La consapevolezza dei propri disturbi è in genere
molto ridotta, quindi i pazienti vivono come se i loro disturbi non fossero rilevanti;
questo li espone al rischio di clamorosi errori di giudizio, per esempio sentirsi
ancora capaci di guidare l’automobile o fare acquisti immotivati.
COME SI DIAGNOSTICA
Si è in grado di definire la presenza di una demenza, la sua natura e gravità sulla
base di:
• Una precisa storia clinica;
• Una serie di test neuropsicologici (per rilevare e misurare le funzioni
cognitive);
• Esami strumentali neuroradiologici (Tomografia o Risonanza magnetica
dell’encefalo);
• Esami ematochimici, che esplorano il metabolismo dei principali organi;
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
Quando è necessario un approfondimento diagnostico si possono effettuare esami
di secondo livello, come lo studio del metabolismo encefalico con la SPECT
(tomografia a emissione di singolo fotone) o PET (tomografia a emissione di
positroni), l’elettroencefalogramma o l’esame del liquor cerebro-spinale.
Invecchiamento e decadimento cognitivo:
uno sguardo ai numeri
Le demenze costituiscono una delle patologie più importanti e significative dell’età
avanzata. In Italia il numero degli anziani è – come noto – in costante crescita
e diversi indicatori statistici forniscono evidenze in questa direzione. A partire da
questi dati, si può comprendere come le demenze siano un fenomeno con il quale
le famiglie ed i servizi si troveranno gradualmente sempre più coinvolti.
Si stima che circa 10 persone tra i 65 e gli 80 anni ogni 100 e circa 20 persone
ultra 80enni ogni 100 che risiedono al domicilio manifestano un grado variabile
di deterioramento delle funzioni cognitive1. Più nello specifico, presentano una
qualche forma di demenza:
• 1,5 persone ogni 100 tra i 65 ed i 69 anni
• 3 persone ogni 100 tra i 70 ed i 74 anni
• 6 persone ogni 100 tra i 75 ed i 79 anni
• 12 persone ogni 100 tra gli 80 e gli 84 anni
• 24 persone ogni 100 tra gli 85 e gli 89 anni
• Tra le 35 e le 45 persone ogni 100 oltre i 90 anni
Rispetto alla diffusione delle diverse forme di demenza, in linea generale circa
50-60 casi di demenza ogni 100 sono dovuti alla malattia di Alzheimer; circa 10
casi su 100 sono dovuti alla presenza di ischemie cerebrali (demenza vascolare);
circa 15-20 casi su 100 sono legati alla contemporanea presenza di malattia di
Alzheimer e lesioni vascolari (demenze miste). Altre forme di demenza, meno
diffuse, sono la demenza fronto-temporale, la demenza a corpi di Lewy e forme
associate ad altre malattie degenerative, come la malattia di Parkinson, o dovuti ad
un aumento del contenuto liquorale encefalico, come nell’idrocefalo normoteso.
11
L’impatto di queste malattie in termini socio-sanitari è quindi notevole, sia perché
un numero sempre maggiore di famiglie sarà in futuro più coinvolto in questo
problema, sia perché questi malati richiedono una qualificata rete integrata di
servizi socio-assistenziali.
Altro
15%
Principali cause
di demenza
Miste
15%
Vascolare
10%
Alzheimer
60%
I dati e le statistiche sulle demenze sono tratti da: Bianchetti, A., Trabucchi, M. (2010).
L’Alzheimer. Bologna: Il Mulino.
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
1
Le figure ed i servizi di riferimento
Prima di proseguire con aspetti più specifici e clinici, vediamo subito a chi ci
possiamo rivolgere in caso di sospetto decadimento cognitivo o mild cognitive
impairment.
Il medico di medicina generale
Il primo riferimento da considerare è il medico di Medicina Generale (medico
di base): di fronte ai problemi iniziali della persona (difficoltà di memoria, episodi
di disorientamento…) ci potremo riferire al nostro medico di fiducia, che saprà
tranquillizzarci in caso di nostra eccessiva preoccupazione o indirizzarci verso
gli specialisti più opportuni (valutazione neuropsicologica / valutazione presso
Ambulatorio per le demenze). Nel nostro sistema organizzativo sanitario, infatti,
il medico di Medicina Generale è la figura incaricata di garantire l’accesso ai vari
servizi specialistici del Sistema Sanitario Regionale presenti nelle varie strutture
del territorio. Il nostro medico, inoltre, insieme all’assistente sociale del nostro
comune, ci potrà aiutare per quanto riguarda le procedure per l’accertamento
dell’invalidità civile ed il riconoscimento di handicap (Legge 104/92), le domande
per ottenere ausili e presidi e la domanda per il ricovero in casa di riposo.
L’ambulatorio per le demenze
In concomitanza con la disponibilità dei primi farmaci con un’azione favorevole nei
confronti dei sintomi della malattia di Alzheimer, sono stati istituiti ambulatori
dedicati a questo tipo di patologia, dove vengono proposte tutte le indagini
sopradescritte per giungere ad una diagnosi di demenza (non solo nella forma
alzheimeriana).
Queste indagini consistono nella raccolta dettagliata della storia clinica del paziente,
in test neuropsicologici ed esami neuroradiologici. L’ambulatorio per le demenze
costituirà poi un punto di riferimento nel tempo per il paziente e per i familiari:
con cadenza semestrale o annuale verranno infatti programmate valutazioni a
distanza, in cui verranno svolti ulteriori test ed esami di controllo.
13
Il segretariato sociale
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
Un’altra figura di riferimento è quella dell’assistente sociale presente nel proprio
Comune di residenza. Nei nostri comuni è attiva una rete capillare di servizi di
segretariato sociale, costituiti da un singolo assistente sociale (che in molti casi
lavora parallelamente in più paesi), o da un vero e proprio Servizio Anziani
presente nelle sedi municipali più grandi.
L’assistente sociale ci potrà fornire informazioni ed accompagnare a proposito di
tutti gli aspetti sociali ed organizzativi, quali: le modulistiche per il ricovero in casa
di riposo, la possibilità di nominare un amministratore di sostegno e le pratiche per
ottenere eventuali contributi economici, come l’indennità di accompagnamento.
Le demenze: aspetti neuropsicologici
Memoria
Con il termine memoria si intende la
capacità di acquisire, conservare e
rievocare delle informazioni. Sulla
base della loro conservazione
nel tempo, e della loro modalità
di archiviazione, si possono
distinguere alcune fondamentali
sottocomponenti. Così si
può descrivere una memoria
a breve termine, in cui le
informazioni vengono ricordate
per pochi istanti (come un
numero di telefono, che ci serve
per un breve periodo); o una
memoria a lungo termine, in
cui l’archivio delle informazioni è
duraturo, talvolta anche per tutta la
vita. Un particolare sottotipo di questa
memoria è quella autobiografica, dove gli eventi hanno una loro
precisa connotazione temporale.
Nel passaggio da ricordi instabili a ricordi stabili il ruolo decisivo viene svolto
dalla parte mediale dei lobi temporali dell’encefalo, poi i ricordi duraturi vengono
archiviati in una diffusa rete di neuroni nelle aree associative dell’encefalo. Tutte
le informazioni archiviate non restano comunque cristallizzate, subiscono infatti
un costante rimaneggiamento: nuove informazioni rimodellano e contaminano le
esistenti, una parte delle informazioni vengono perse, una parte viene rievocata
nelle varie esperienze dell’esistenza, sia in riflessioni personali che nelle espressioni
comunicate ad altri. Talvolta addirittura le memorie non rispecchiano gli eventi
reali (false memorie).
Spesso le demenze esordiscono con la difficoltà nella formazione di nuovi ricordi
15
duraturi e con la conservazione di tutti quelli già archiviati in precedenza; un’altra
condizione comune è la difficoltà nel collocare nel tempo gli eventi autobiografici
fondamentali (nozze, nascita dei figli…).
Linguaggio
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
Il linguaggio è quella funzione che traduce il pensiero in parole; esistono aree
cerebrali che principalmente decodificano le informazioni verbali in ingresso e altre
deputate invece alla loro espressione. A livello encefalico queste funzioni sono
dominanti su un emisfero, il sinistro in genere.
Un disturbo comune già nell’anziano normale è la difficoltà di accesso al proprio
vocabolario, in particolare ai nomi propri (per esempio non ricordare più il nome
di un compagno di scuola, pur avendo presente la sua immagine), ai nomi di altri
esseri viventi o di vari oggetti. Nella demenza questa difficoltà di accesso ai nomi è
notevolmente accentuata, come è frequente la difficoltà nella costruzione di frasi,
che diventano povere, con uso ricorrente di parole passepartout
(per esempio la parola “cosa” per indicare ogni oggetto) o infine
ridotte ad una singola parola che riassume una frase intera;
la comprensione delle frasi viene in genere conservata più
a lungo.
Prassie
L’incapacità ad eseguire gesti (aprassia) nonostante
l’integrità della funzione motoria si osserva o in gesti
che non richiedono l’uso di oggetti (per esempio fare
un saluto) o in quelli che invece lo richiedono, come
usare una forbice o indossare correttamente un
vestito.
In genere si tratta di disturbi che compaiono nelle
fasi avanzate delle demenze.
Allucinazioni e deliri
Le allucinazioni sono percezioni di un oggetto in assenza dello stimolo: quelle più comuni sono quelle visive, per esempio vedere persone che in realtà non ci sono; o
uditive, per esempio sentire voci minacciose ma inesistenti.
I deliri sono idee assurde non correggibili nemmeno di fronte all’evidenza contraria; nelle demenze le
più comuni sono quelle
di latrocinio, in cui la
persona crede che le
vengano rubati soldi o
oggetti personali, o di
persecuzione, quando
crede che gli altri intendano avvelenarla o comunque farle del male.
Raramente sono le manifestazioni
iniziali
delle
comuni
demenze, ma
spesso compaiono nelle fasi più
avanzate.
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Le terapie farmacologiche
Farmaci specifici
Per quanto riguarda la malattia di Alzheimer, e solo nello stadio iniziale o di
media gravità è indicato iniziare una terapia farmacologica specifica. In via
preliminare è necessario escludere la presenza di gravi malattie epatiche, cardiache
e respiratorie.
I vari farmaci utilizzati per questa malattia hanno uno stesso meccanismo di
azione: aumentano l’attività di un neurotrasmettitore (molecola che media la
comunicazione fra le cellule cerebrali) che risulta significativamente ridotto nelle
prime fasi di questa malattia, cioè l’acetilcolina. L’azione di questi farmaci non
modifica drasticamente la malattia, consente tuttavia di migliorare alcune funzioni
cognitive, in particolare l’attenzione, l’iniziativa verbale e motoria, non incidendo
invece in modo significativo sulla memoria. Inoltre, questi farmaci non modificano
in modo apprezzabile l’evoluzione della malattia, che rimane lentamente
progressiva. Quando la malattia diviene grave, i neurotrasmettori coinvolti
diventano numerosi e modulandone uno solo non si ottengono risulti apprezzabili
per cui questi farmaci vengono sospesi, in genere dopo due o tre anni.
Negli altri tipi di demenza, per esempio quella conseguente a disturbi circolatori,
si esegue uno screening dei principali fattori favorenti, come l’ipertensione
arteriosa, il diabete e l’ipercolesterolemia ed eventualmente si interviene con
farmaci mirati a correggere questi fattori (es. antiaggreganti piastrinici, come la
comune cardioaspirina o anticoagulanti).
Altri farmaci
18
Oltre lo sguardo,
la Mente velata
Vi sono alcuni aspetti delle demenze di natura cognitivo-comportamentale
(es. sintomi depressivi, ansia, agitazione, eccessiva irrequietezza, allucinazioni,
disturbi del sonno), che possono essere controllati farmacologicamente. Nel caso
in cui il nostro congiunto presenti nel corso della malattia qualcuno di questi
aspetti, non esitiamo a segnalarlo al nostro medico, che valuterà l’opportunità
e le modalità di intervento.
Il progetto di potenziamento cognitivo
Accanto all’eventuale trattamento farmacologico è sempre più importante prevedere
un intervento di potenziamento cognitivo sulle varie funzioni intellettive. Sono
sempre più numerosi i lavori scientifici che riguardano l’una o l’altra tecnica di
potenziamento o di stimolazione cognitiva.
Questo tipo di stimolazione non è generica, come può esserlo con alcuni esercizi
noti (per esempio parole crociate) ma è mirata a quelle funzioni più vulnerabili
nell’anziano. É noto che tali funzioni sono: la difficoltà di memoria anterograda
(difficoltà a formare nuovi ricordi), l’accesso al lessico (difficoltà a rievocare
nomi di persone o degli oggetti seppur in presenza dell’immagine e dei concetti
corrispondenti), la capacità di rimanere attenti a più stimoli presentati singolarmente
o contemporaneamente (difficoltà attentive) e la possibilità di collocare nel tempo
gli eventi (sia quelli autobiografici, che quelli storici condivisi).
Il potenziamento di queste funzioni cognitive attraverso esercizi mirati consente
di ampliare una riserva cognitiva che, di per sé, non è in grado di prevenire
l’eventuale comparsa di malattie degenerative, ma ritarda la comparsa dei disturbi
clinici mantenendo una miglior qualità di vita.
L’Associazione Nuovamente ha proposto recente-mente un progetto che si
rivolge a persone anziane affette da iniziali deficit cognitivi, che ha come scopo
il potenziamento “mirato” di quelle funzioni cognitive che risultano più fragili con
l’avanzare dell’età, in un contesto che possa favorire anche la socializzazione e
un clima sereno tra le persone coinvolte. Tale progetto ha tra i suoi scopi quello
di accrescere la consapevolezza delle proprie capacità residue e soprattutto di
quelle potenziali, raggiungendo un maggior livello di benessere sia individuale sia
di gruppo.
L’osservazione e le valutazioni soggettive nel corso del progetto hanno mostrato
come il comportamento e l’umore dei partecipanti migliori sensibilmente e,
con essi, la qualità della vita (il che è, in definitiva, l’obiettivo ultimo di ogni
intervento di potenziamento).
I familiari dei pazienti riferiscono inoltre di riscontrare un miglioramento delle
prestazioni del proprio congiunto in termini di reattività, attenzione e interazione
con gli altri; inoltre sono presenti maggiori capacità di iniziativa, nella scelta e
nell’esecuzione pratica di attività quotidiane e domestiche. È da precisare, tuttavia,
che i miglioramenti più consistenti si riscontrano in risposta a trattamenti condotti
piuttosto precocemente, negli stadi iniziali del deterioramento cognitivo rispetto
a quelli condotti in situazioni più avanzate.
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
Per questi motivi, in un prossimo futuro si potranno prevedere percorsi di
potenziamento cognitivo rivolti anche ad anziani senza deficit cognitivi, al
fine di costituire più facilmente una adeguata “riserva cognitiva”.
Decadimento cognitivo e vita quotidiana:
consigli per l’assistenza
Memoria e vita quotidiana
Fin dalle prime fasi della malattia può essere opportuno utilizzare dei
promemoria (come agende, schede e diari settimanali, biglietto per la
spesa) per le varie annotazioni e la gestione di attività che l’anziano vuole
ancora affrontare, ma non riesce a portare a termine in autonomia. È
importante che si crei nell’anziano stesso una “rappresentazione
positiva” rispetto a questi ausili, ovvero che ne venga compreso il
ruolo di supporto per una migliore gestione delle attività domestiche ed
extradomestiche. Inoltre, è opportuno che si stabilizzi nel tempo una
certa routine rispetto alle attività giornaliere, affidando alla persona
dei compiti che sia poi effettivamente in grado di portare a termine.
Ad esempio, se fare la spesa quotidiana può comportare dei problemi
(nell’acquisto delle cose necessarie, nella gestione dei soldi e dei resti…)
può essere utile fornire all’anziano un elenco con i prodotti da acquistare
ed affidargli soltanto i soldi strettamente necessari. Alternativamente,
qualora ci si renda conto dell’incapacità della persona di uscire da sola
(per problemi fisici e/o cognitivi) è opportuno cominciare a presentargli
la possibilità di accompagnarlo, fatto che, almeno all’inizio, può non essere
gradito. In una seconda fase, qualora si riesca a fare accettare all’anziano la
propria non-autosufficienza nell’uscire di casa, è importante cercare comunque
di portarlo fuori e tenerlo stimolato (evitiamo di aiutare “troppo” l’ammalato
sostituendoci a lui!) oltre che da un punto di vista fisico, anche da un punto
di vista cognitivo (ad esempio continuando ad accompagnarlo in negozi non
troppo affollati, in Chiesa, al ristorante o al cimitero…).
Igiene personale
Il paziente può non ricordare la corretta sequenza di alcune azioni (prima
lasciare scorrere l’acqua, poi insaponarsi, quindi risciacquarsi…). È inoltre possibile
che i ritmi di pulizia quotidiani non vengano mantenuti e a lungo termine il malato
non si renda conto della necessità di lavarsi, se ne dimentichi o non riesca più ad
eseguire determinati gesti legati alla cura della propria persona (soprattutto quelli
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che richiedono una programmazione motoria complessa
o una fine abilità manuale, come ad esempio tagliarsi le
unghie oppure allacciarsi e slacciarsi i bottoni del pigiama).
È importante, invece, cercare di mantenere il più a lungo
possibile le precedenti abitudini, e fissare alcune routine
di pulizia in cui il paziente possa collaborare il più
possibile. Talvolta, può esservi imbarazzo nel ricevere
aiuti, soprattutto da persone estranee al nucleo
familiare. È bene quindi cercare di rendere il “bagno”
una situazione il più possibile rasserenante
e convincere l’assistito dell’utilità della nostra
collaborazione con lui, programmando con cura i
momenti del bagno. Se il paziente non è a suo agio,
si possono tenere le parti intime coperte mentre lo
si aiuta, o incaricarsi soltanto di una supervisione,
cioè avere un occhio di riguardo senza invadere
la sfera più intima della privacy del paziente. Con
l’avanzare della malattia e soprattutto qualora vi
siano rilevanti problemi fisiatrici (ad esempio di
deambulazione o di mantenimento dell’equilibrio)
associati a quelli cognitivi, può essere utile
richiedere
un’assistenza
domiciliare
per
mantenere un buon livello di igiene personale,
oltre che di sicurezza per l’ammalato stesso.
Negli uomini, è bene tener presente che può essere
compromessa abbastanza presto la capacità di
utilizzare il rasoio e dunque, per evitare che il
paziente si tagli, può essere opportuno inizialmente
sostituire il rasoio manuale con un rasoio elettrico, e
successivamente aiutare il paziente nel radersi.
Un altro accorgimento utile è utilizzare la doccia
con tappetino anti-scivolo anziché la vasca, poiché si
riducono i rischi di cadute. Se nella nostra abitazione fosse però presente solo la
vasca, non preoccupiamoci troppo! È possibile dotarsi anche di alcuni ausili (piani
d’appoggio…) che rendono più facile e più sicuro il momento del bagno.
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
Anche l’uso dello spazzolino da denti, che richiede una programmazione motoria
ed una coordinazione dei movimenti della mano molto fine, può risultare molto
presto compromesso. A questo proposito, in alcuni casi può essere utile tentare di
fare utilizzare al malato spazzolini elettrici.
Servizi igienici
Il paziente può non avvertire la necessità di andare
ai servizi, oppure non arrivare in tempo. In secondo
luogo, può non riuscire più ad utilizzare il bagno, o a
rievocare la corretta sequenza di azioni per svolgere i
propri bisogni (a partire, ad esempio, dall’abbassarsi
i pantaloni).
È bene cercare di mantenere il più possibile l’utilizzo
dei servizi igienici, portando il malato in bagno ad orari
più o meno fissi, soprattutto quando si sveglia e prima di
coricarsi ed aiutandolo, per quanto lo consenta, nell’usarli
correttamente. Il bagno potrà essere attrezzato con
maniglie ed appoggi e l’asse del wc innalzato con appositi
presidi, utili a prevenire il rischio di cadute (eliminiamo
inoltre possibili tappetini pericolosi!). Qualora il malato
presenti la tendenza a svegliarsi durante le ore notturne
per andare in bagno, si può pensare all’installazione
di luci notturne nel bagno stesso e nei corridoi. In
alcuni casi, può essere opportuno agganciare al letto
contenitori esterni per le urine, da utilizzarsi durante
le ore notturne.
Con l’incedere della malattia, può essere necessario
fare indossare il pannolone, che all’inizio può essere
limitato a talune fasce orarie, oppure soltanto a
quando si esce di casa. Nelle fasi più avanzate della
malattia, in moltissimi casi il pannolone diventa un presidio
da utilizzare durante tutte le 24 ore.
Vestirsi
Il paziente può non riuscire a rievocare la corretta sequenza con cui indossare
i capi, o non ricordare la maniera di infilarsi alcuni indumenti, come i calzini.
Operazioni ancor più complesse, come allacciarsi i bottoni del cappotto o alzare
una cerniera, possono essere del tutto omesse o rese impossibili da problemi nella
coordinazione dei movimenti fini. A questo proposito, con il progredire della
malattia, è utile cercare di utilizzare un abbigliamento il più possibile semplice, ma
che risulti anche gradito e comodo. Qualora l’anziano rifiutasse di cambiare alcuni
capi del proprio abbigliamento, manifestando aspetti di rigidità di pensiero
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e di fissazione sulle proprie idee, non è proficuo porlo di fronte
all’evidenza, o ancor peggio giungere ad uno scontro. L’unica
“mossa” conveniente per entrambi (ammalato e congiunti) è
quella di giungere a dei compromessi pattuiti di volta in volta,
cercando di non modificare troppo le abitudini dell’anziano, ma
anche facendo in modo che abbia un abbigliamento sempre
decoroso, adeguato al clima e alla stagione, e che lui
stesso in qualche modo gradisca.
Alcuni accorgimenti utili a questo proposito possono
essere quelli di: preferire chiusure a velcro piuttosto
che chiusure lampo e a bottoni; evitare cinture,
bretelle, lacci difficili da affrancare; scegliere
capi in cui sia facile identificare un davanti
ed un dietro o capi reversibili. Circa le
calzature, un paio di comode scarpe
sono preferibili alle pantofole ed
ancor più alle ciabatte, in quanto sono
più facili da portare e comportano
un minor rischio di cadute. È bene
dunque non tenere tutto il giorno il
paziente in pantofole, soprattutto se
ci accorgiamo che ha la tendenza a
trascinarle.
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
Un ulteriore problema consiste, fin dalle
fasi più precoci della malattia, nella difficoltà nel
scegliere un abbigliamento adeguato alla stagione. È possibile che l’anziano
ritardi molto nel cambiare i capi stagionali e quindi, ad esempio, esca ancora
con un cappotto ancora molto pesante in piena primavera. In una prima fase
di relativa autonomia risulta difficile e non sempre possibile controllare questi
aspetti, o cercare di far cambiare al malato le proprie abitudini o rigidità. In fasi
più avanzate, è necessario aiutare e sostituirsi al malato stesso, scegliendo al
suo posto soltanto quei capi di volta in volta adatti alla stagione ed al clima.
Così, si dovranno preparare pochi vestiti necessari soltanto per la singola giornata,
cercando di creare una routine di ricambi stagionali che siano accettati dal malato.
Altro accorgimento può essere quello di collocare i vestiti sempre nello stesso
posto e nello stesso ordine in cui devono essere indossati, al fine di favorire una
certa collaborazione ed una residua autonomia.
Alimentazione
In una prima fase vi possono essere difficoltà nel preparare e cucinare i cibi, ad
esempio rispetto a modalità di cottura, tempi o ingredienti. La persona, però,
può non voler smettere di cucinare: è bene, per quanto possibile, venire incontro
alla sua volontà, aiutandolo e non sostituendosi a lui. Ad esempio, può
essere utile rievocare insieme, o tramite lettura di ricetta, la corretta sequenza
di preparazione di alcuni cibi di tutti i giorni (come le minestre, la pastasciutta, il
risotto o le verdure), in modo da cercare di mantenere queste attività autonome
il più a lungo possibile. Nelle fasi più avanzate di malattia, le difficoltà diventano
via via più gravi, fino a riguardare lo stesso consumo dei pasti. Il paziente può non
ricordarsi di doversi nutrire, altre volte può non avere presente di aver appena
mangiato o voler ricominciare un’altra volta. L’alimentazione dovrebbe invece
essere sempre ben bilanciata e varia; spesso può non essere seguita la corretta
successione nell’assumere le pietanze, oppure taluni cibi non vengono più distinti
e non si riesce più ad utilizzare correttamente le posate. Alcuni accorgimenti
utili possono essere quelli di presentare il pasto poco per volta (se necessario
con il cucchiaio), già sminuzzato e alla giusta temperatura, e allontanare altro
cibo o prodotti che possono venire scambiati per cibo. Per una maggior sicurezza
potrebbe essere opportuno proporre posate particolari, facili da impugnare e non
taglienti. È bene inoltre non dare troppe alternative di scelta al malato (lo si
trarrebbe inutilmente in confusione) e servire, almeno all’inizio, piccole porzioni.
Vista inoltre la difficoltà dei pazienti dementi nello staccarsi dalle proprie abitudini
e dall’introdurre elementi di novità nella propria routine quotidiana, è bene
mantenere i pasti ad orari fissi e regolari, in un contesto sereno e tranquillo. In
linea generale, almeno nelle fasi iniziali, non è sconsigliato portare il malato fuori
a pranzo o a cena; è bene però scegliere luoghi silenziosi e con poche distrazioni,
ove egli si possa sentire riparato ed in un contesto familiare.
Comunicazione
Mentre si comunica con una persona affetta da demenza, è bene non scombussolarla
con troppe informazioni (come ha passato la notte, cosa desidera per pranzo...) ed
è altresì necessario avvertire di questo eventuali persone che dovessero visitare il
malato durante la giornata. È bene inoltre ricordare che, di norma e almeno nelle fasi
iniziali, i pazienti hanno delle difficoltà con l’apprendimento di informazioni nuove,
ma meno con le conoscenze e le capacità da lungo acquisite. Può essere quindi
opportuno non iniziare la conversazione da avvenimenti accaduti di recente o da
persone viste nei giorni precedenti (“è stato qui da noi la scorsa settimana!”) ma
parlare di quei temi e argomenti nei quali sapete che la persona è più sicura (anche
eventi molto lontani nel passato, la cui rievocazione può far piacere al malato).
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Ciò può evitare lo smarrimento e il senso di ansia da parte del paziente e
favorire invece un proficuo scambio comunicativo. Ricordiamoci inoltre
che in molte demenze sono presenti significativi disturbi linguistici.
Nel tempo il vocabolario del paziente può ridursi a soli nomi di uso
comune, la frase può divenire molto povera e costruita in maniera
non corretta. Durante la conversazione, è bene assicurarsi di aver
intercettato l’attenzione e l’interesse del malato (ad esempio
chiamandolo direttamente per nome) ed utilizzare un linguaggio
per quanto possibile naturale (non eccessivamente lento né
eccessivamente veloce) e chiaro, costituito da frasi semplici e brevi
ed evitando di gridare e continuare a ripetere gli stessi concetti.
È inoltre del tutto inopportuno rivolgersi al malato in maniera infantile
(ovvero come ci si rivolgerebbe ad un bambino piccolo), perché non
si otterrebbe alcun risultato, se non una perdita di interesse
ed eventualmente anche un senso di frustrazione. Si
eviti inoltre di “mettere le parole in bocca” al malato e si
rispettino i turni comunicativi, facendoli rispettare a sua
volta al malato se tende a non ascoltarci. Evitiamo inoltre
di contrariare in continuazione il nostro congiunto,
poiché otterremo solo una perdita della relazione. Può
essere utile invece ricordare più volte nel corso della
giornata alcuni elementi di orientamento fondamentali
(es. “oggi è martedì”, “abbiamo da poco finito di
pranzare”…) senza però “forzare” una sua eventuale
comprensione del nostro messaggio (introduciamo
inoltre ogni “correzione” con molta cautela). Sebbene
questi “consigli” possano apparire difficili da mettere in
pratica, con il tempo i familiari di norma acquisiscono una
certa competenza nel relazionarsi con il proprio congiunto.
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
È opportuno inoltre che eventuali visitatori tengano presente che
l’ammalato può non ricordarsi del tempo trascorso dalla visita precedente
(di solito nelle demenze l’orientamento temporale viene perso ancor prima
dell’orientamento nello spazio), né è in grado di rendersi conto del tempo che
intercorrerà fino ad una visita successiva. È bene dunque sorvolare circa questi
argomenti, poiché la gioia dell’attesa si può tramutare in agitazione e paura. Non
fissate quindi né l’orario della vostra partenza né il giorno della vostra prossima
visita. Si potrà dire semplicemente ad esempio: “Adesso vado, ma ritornerò
di nuovo”. Occorre inoltre non sentirsi mortificati se la persona ammalata non
ringrazia per la visita o non pare soddisfatta di essa. Allo stesso modo, occorre non
impressionarsi troppo se l’ammalato piange al momento del congedo, poiché nella
maggior parte dei casi si tratta di reazioni naturali e del tutto
transitorie. È altrettanto importante però, non smettere
di visitare l’ammalato anche al peggiorare delle sue
condizioni cliniche, poiché le visite regolari vengono,
nella maggior parte dei casi, percepite in modo
positivo. Queste persone vivono comunque una visita
in modo diverso da quello che si aspetta il visitatore.
Per evitare incomprensioni, delusioni e conflitti si
consiglia di giungere dal malato “preparati”,
nel senso di informarsi prima con i familiari circa
l’opportunità della visita e l’umore del malato stesso
(evitiamo di parlare delle condizioni del malato in
sua presenza!).
Allucinazioni e deliri
Il paziente può riportare di vedere o
di sentire le voci di alcune persone,
ad esempio il coniuge morto o i propri
genitori. In altri casi, può continuare
ad insistere su alcuni argomenti, ad
esempio relativi alla perdita del proprio
patrimonio, al fatto che vengano i ladri in
casa o che le persone che lo aiutano siano
in realtà dei truffatori.
In questi casi, è spesso poco utile
confrontarsi con il malato e portarlo sul
piano di realtà, come può sembrare naturale, perché
non si fa altro che farlo insistere nelle sue convinzioni, fino ad
arrivare allo scontro. Più utile, invece, può essere rassicurare
il paziente dichiarando di comprendere le sue preoccupazioni,
cercando poi di sviare la sua attenzione o “sfruttare” a nostro
vantaggio i problemi di memoria dell’ammalato portandolo a
parlare di altri argomenti che potrebbero interessarlo e sviarlo
da idee fisse o convinzioni non realistiche.
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Tono dell’umore
Spesso – soprattutto nelle prime fasi – può accadere che il paziente sia consapevole
della riduzione delle proprie facoltà (ad esempio si rende conto di non saper più
usare il telefono, di non saper gestire i resti al supermercato, di avere difficoltà
nella guida…) e ciò può portare ad una flessione del tono dell’umore, con
conseguente riduzione delle iniziative, chiusura e minor coinvolgimento
sociale.
Irritabilità
In molte forme di demenza, tipicamente nella malattia
di Alzheimer, la persona può risultare più irritabile
ed aggressiva rispetto alle fasi di vita precedenti. È
importante sottolineare che non si tratta di una “colpa”
del malato, che magari comincia a trattarci male, ma
è una delle manifestazioni della malattia stessa.
Nelle fasi iniziali, l’aggressività può rappresentare una
sorta di risposta rispetto alla consapevolezza della propria
incompetenza e progressiva compromissione di alcune
funzioni. In generale però, i meccanismi che determinano
l’aggressività in queste malattie sono poco conosciuti.
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
In molti casi, l’irritazione del paziente può limitarsi ad
attacchi verbali del tutto transitori, che possono essere
facilmente controllati non contrariando il paziente (anche
se sappiamo di essere dalla parte della ragione…) e
dimostrando fermezza e comprensione. In altri casi,
l’agitazione può essere conseguenza di una sensazione
di mancato controllo rispetto all’ambiente circostante.
Se avvertiamo, per esempio, che il paziente si agita
quando viene portato in luoghi chiusi (es. in Chiesa),
è inutile insistere: si tratta di una risposta normale
rispetto ad un luogo affollato o a una situazione in cui egli
non si può muovere (in questi casi sarà più opportuno
accompagnare il malato in Chiesa in orari non affollati,
piuttosto che durante le celebrazioni liturgiche). Nei casi
più gravi, se ci trovassimo nelle condizioni di non riuscire a
controllare l’aggressività o gli scatti di collera, è bene chiedere un intervento del
medico, che potrà prescrivere un opportuno trattamento farmacologico sedativo.
Dipendenza
Nella maggior parte dei casi, il malato tende a riferirsi ad una sola persona,
che per lui è quella di maggior fiducia (di solito il coniuge o un figlio). Il rischio è
quello che il care-giver, ossia questa persona particolare “scelta” dal paziente,
si senta sovraccaricato sia da un punto di vista di investimento affettivo, sia
da un punto di vista di compiti materiali da assolvere. È fondamentale quindi
che questa persona non sia lasciata sola durante il percorso della malattia, ma
venga assistita e supportata dagli altri familiari e dai professionisti nei Servizi.
Un ulteriore pericolo, infatti, è quello che, oltre ad una dipendenza del malato nei
confronti del care-giver, si crei anche una dipendenza del care-giver nei confronti
del malato, che si sente investito di una responsabilità enorme e a sua volta perde
poco alla volta i legami sociali e le iniziative che facevano parte della sua vita
quotidiana.
Al termine della malattia, si crea poi in molti casi un senso di colpa molto
grande nel care-giver, che percepisce la morte come un senso di “liberazione”
da un carico assistenziale troppo grande, e gli sembra per questo di essere
“cattivo” nei confronti del paziente deceduto. Si tratta di dinamiche
classiche, molto complesse ma prettamente umane, che potranno essere
affrontare con maggior serenità con il supporto degli altri familiari e, se
necessario, con uno specialista di riferimento.
Se siamo poi un familiare che non è stato “scelto” dal malato come caregiver, non preoccupiamoci troppo: come visto, si tratta di dinamiche
naturali e che fanno parte della malattia, non è un segno di malvagità
o di poca considerazione dell’ammalato nei nostri confronti. Non
prendiamo dunque questa situazione sul “personale”, ma cerchiamo
invece di aiutare il più possibile il care-giver principale (nostra mamma,
nostro fratello…), prendendoci le nostre responsabilità e fornendo
aiuto materiale (andare a fare la spesa, fare qualche commissione…) ma
anche trovando durante la settimana uno o più spazi di assistenza diretta al
malato, in cui lasciare libero il care-giver di uscire e di mantenere una
vita sociale ed attiva.
Comportamento sessuale
In molti casi, soprattutto all’inizio della malattia, possono non riscontrarsi particolari
problemi relativi alla sfera sessuale. Altre volte, il paziente può incominciare a
comportarsi in maniera non adeguata ad una situazione o a mettere in imbarazzo
il partner con comportamenti o esibizioni inadeguate. In questi casi può essere
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utile provare a distrarlo o coinvolgerlo in altre attività; è importante inoltre
riuscire a parlare con il medico al fine anche di valutare un’eventuale terapia
farmacologica.
Gestione finanziaria
Nelle prime fasi della malattia il paziente
può non rendersi conto, ad esempio, di
non saper più contare correttamente i
soldi o gestire i resti. Tuttavia, vista la
delicatezza del tema, è opportuno tenere
sotto controllo il malato senza però
assalirlo o mettendo a nudo le sue
difficoltà. Un’utile soluzione, fin dalle fasi
iniziali, può essere quella di sorvegliare
la gestione finanziaria e lasciare a
disposizione per il malato pochi soldi
contanti da gestire per acquisti
minori, eliminando l’uso di assegni e
carte di credito.
Regolarità del sonno
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
Altri
problemi
che
si
incontrano
sono
nell’addormentamento e nel mantenimento del sonno durante le ore notturne.
Spesso, si assiste a ciò che, in gergo tecnico, viene definito come inversione
del ciclo sonno-veglia (inversione nicta-merale). Il paziente può vagare per ore
in casa durante la notte (provocando serie preoccupazioni e problemi del sonno
anche in chi lo assiste) e appisolarsi facilmente durante il giorno, non riuscendo a
mantenere uno stile di vita attivo. Nei casi più gravi, è necessario l’intervento del
medico, che può prescrivere opportuni farmaci che favoriscano l’addormentamento
ed il mantenimento del sonno. Tuttavia, possono essere utili anche alcuni
accorgimenti non farmacologici, quali il mantenere un certo livello di attività fisica
durante la giornata, ad esempio portando il malato a fare una passeggiata, fatto
che può facilitare un senso di stanchezza durante le ore notturne. Il consumo di
caffè andrebbe regolato e non utilizzato nelle ore pomeridiane.
Cammino
Riguardo agli aspetti motori, occorre distinguere tra le varie forme di demenza. Nella
malattia di Alzheimer, di solito la persona mantiene la capacità di deambulare fino
alle fasi avanzate della malattia, anche se la qualità del cammino può deteriorarsi.
Spesso le cause di disturbi motori e del cammino non sono conseguenza diretta
della malattia di Alzheimer stessa, ma sono dovuti alla presenza di altre patologie
o agli effetti collaterali di alcuni farmaci. Diverso è invece il caso di altre forme di
demenza, quali ad esempio quelle associate ai parkinsonismi o alle vascolari, ove
il cammino è compromesso.
Gestione dello spazio domestico e disorientamento
Teniamo sempre presente che il nostro obiettivo è, in primis, quello della
stimolazione e del fare in modo di limitare la perdita di autonomia. Se ci si
rende conto che le attività di programmazione complessa, come il cucinare,
non portano a risultati soddisfacenti (prima di tutto per l’anziano stesso)
è importante fare in modo che comunque ci sia sempre una
certa routine domestica. Ad esempio si potrà impegnare
il proprio congiunto in attività più semplici e
controllate, come apparecchiare e sparecchiare
la tavola (qualora il malato ne tragga piacere
e non venga a trovarsi in situazioni di
pericolo con gli oggetti della cucina), e
fare in modo che diventino compiti il più
possibile automatizzati. L’impatto con
la novità e con attività diverse dalle solite
può determinare una certa difficoltà di gestione
e smarrimento. È bene quindi evitare di porre
questo tipo di richieste a queste persone, prima di
tutto per scongiurare un loro senso di smarrimento ed
ulteriore perdita di fiducia nelle proprie capacità.
Per dare dei punti di riferimento al malato, un accorgimento utile
può essere quello di posizionare in posti ben visibili dei promemoria
con indicazioni rispetto ai dati telefonici dei famigliari, verificando
che il paziente sappia ancora usare il telefono e monitorandolo. Nelle
fasi intermedie della malattia, in alcuni casi può essere utile marcare
gli ambienti domestici con contrassegni grandi e ben visibili, che ne
rendano esplicita la funzione e che possono aiutare a mantenere l’orientamento.
Questi contrassegni dovranno essere predisposti in forma di disegno e non di
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scritte (ad esempio disegno del water per il bagno, disegno di un piatto con le
posate per la cucina) e in alcuni casi potrà essere utile indicare i percorsi più
importanti con delle frecce (ad esempio il percorso dalla camera al bagno). Tali
ausili potrebbero agevolare il malato nell’orientamento, ma con il progredire della
malattia è probabile che anch’essi non vengano più riconosciuti, e non serviranno
più a molto (in ogni caso non esistono regole generali: gli ausili in casa andranno
adattati di volta in volta in base alle esigenze e alle risposte del paziente).
Sicurezza della casa
Se si lascia il malato solo in casa per alcune ore, un primo ed importante
accorgimento è quello di installare fornelli con dispositivi di sicurezza e rivelatori
anti-incendio. Se la persona presenta comportamenti di smarrimento, può essere
opportuno installare chiusure di sicurezza su porte e finestre e rimuovere le chiavi
delle stanze nella casa. I medicinali andranno tenuti in un luogo sicuro e non
raggiungibile dal malato, così come tutti gli oggetti potenzialmente pericolosi (es.
accendini, coltelli, solventi…). Un altro accorgimento utile è quello di evitare di
lasciare per casa la tavola con il ferro da stiro ancora caldo e fare raffreddare in
fretta il forno dopo aver cucinato.
Disorientamento nello spazio extradomestico
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
All’inizio è possibile che il paziente si perda per strada, non riesca più a trovare
la via di casa o ad imparare nuovi ed anche brevi percorsi. Questi episodi possono
diventare sempre più frequenti, fino ad arrivare ad una perdita di autonomia fuori
da casa. È prudente cercare di accompagnare il paziente nei suoi spostamenti, e
qualora lui non volesse a tutti i costi essere accompagnato, assicurarsi che porti
con sé un documento di identificazione. Anche nelle fasi più avanzate è bene non
perdere l’abitudine di uscire, pur percorrendo brevi e ripetitivi tragitti, in modo da
mantenere nel tempo una certa stimolazione al di fuori dell’ambiente domestico.
È possibile poi che si manifesti un incremento patologico del cammino (il paziente
continua a girare per casa, o esce di casa senza saperci tornare). Di solito i pazienti
si sentono molto più sicuri nel proprio ambiente domestico, perché lo conoscono da
molti anni e riescono a orientarsi meglio. Non è assolutamente sconsigliato, almeno
nelle prime fasi, portare il paziente in altri luoghi chiusi (es. Chiesa, ristorante,
abitazioni di amici), ma bisogna tener presente che l’orientamento sarà minore e
sarà necessaria una supervisione più attenta. Se al paziente fa piacere frequentare
questi luoghi, non ha senso impedirglielo perché lo si percepisce meno sicuro, ma
occorrerà accompagnarlo e concordare con lui la necessità di andarci insieme. Se
invece il paziente non vuole più frequentare questi luoghi – ad esempio perché
stare in luoghi affollati gli crea smarrimento e senso d’ansia – non è opportuno
insistere o scontrarsi con lui. In questi casi le uscite potranno essere limitate a
passeggiate in spazi aperti e tranquilli.
Nelle prime fasi della malattia, se il paziente è abituato a trascorrere alcune
settimane in villeggiatura durante l’estate e se la cosa continua a fargli piacere, lo
si potrà senz’altro portare. Occorre però tenere presente che vi potranno essere
maggiori problemi di orientamento e di gestione nelle attività quotidiane, e dunque
il paziente richiederà un monitoraggio superiore da parte dei familiari. Nelle fasi
più avanzate della malattia, e soprattutto in quei casi ove prevalgono i disturbi
comportamentali, può essere opportuno ed anzi raccomandabile trascorrere
anche i periodi di vacanza nella propria abitazione, ove la persona può essere
gestita con maggiore facilità.
Guida di autoveicoli e patente
Nelle prime fasi il paziente può volere continuare a guidare, anche quando, per
diversi motivi, non risulti palesemente più in grado. Anche se apparentemente
afferma di riuscire ancora a gestire il volante ed i pedali, può non ricordare più il
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significato dei segnali stradali, essere rallentato nelle risposte e nelle reazioni, non
saper valutare adeguatamente situazioni di pericolo, non utilizzare buone norme
di circolazione. In questi casi è necessario valutare, da parte dei familiari, sia
la legittima richiesta di autonomia del congiunto, sia la doverosa necessità di
sicurezza personale e sociale. Non è quindi utile continuare a scontrarsi con la
volontà del malato, che spesso non si riesce a mutare. È bene, comunque, essere
decisi ed affrontare con determinazione il problema. All’inizio può essere sufficiente
ricorre a piccoli trucchi e bugie che possano temporaneamente dissuaderlo dal
guidare (dire che il veicolo è rotto, nascondere le chiavi). È poi utile cominciare
ad accompagnare il malato, mostrandogli che i posti che desidera frequentare
possono essere raggiunti anche in altri modi.
Se le condizioni del malato sono tali da rendere opportuna la revoca della patente,
vista la mancanza dei requisiti psico-fisici alla guida, il medico di riferimento
(neurologo dell’ambulatorio per le demenze o medico di famiglia) dovrà informare
per iscritto la Motorizzazione Civile, che inviterà il paziente a visita di revisione
presso la Commissione Medica Locale dell’ASL di riferimento (analoga richiesta può
essere fatta dai parenti). Tale Commissione, a sua volta, potrà chiedere il parere di
altri esperti (ad esempio neurologo) o esami strumentali e cognitivi (valutazione
neuropsicologica) atti ad accertare l’idoneità psico fisica alla guida del paziente.
In seguito a questi accertamenti la Commissione può disporre la revoca della
patente, se i requisiti per la guida risultano compromessi in maniera definitiva.
In Provincia di Lecco è presente un’unica Commissione Medica Locale , che si
riunisce nella sede dell’ASL di via G. Tubi, 43. Ad oggi la visita è prenotabile
soltanto presentandosi direttamente allo sportello di Lecco (via Tubi, 43, tel. 0341482404) o di Merate (L.go Mandic, 1–Ufficio Invalidi Civili Tel. 039-5916274) e
non è prenotabile telefonicamente (i numeri di telefono qui sopra sono solo per
informazioni relative alla documentazione da consegnare all’atto della prenotazione).
Sul sito internet dell’ASL di Lecco, http://www.asl.lecco.it/, sotto la voce (Servizi ai
cittadini > Patenti) sono riportate tutte le informazioni necessarie.
Armi da fuoco
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
Nel caso in cui il paziente sia possessore di armi da fuoco la prima cosa da fare
consiste nell’avvisare l’autorità che ha emesso la domanda di detenzione
che sempre accompagna l’arma. Se tale documento non è più disponibile, in ogni
caso bisogna contattare l’autorità di pubblica sicurezza più vicina, cioè la Questura
o la stazione dei Carabinieri. Sarà richiesto un certificato medico (redatto anche
dal medico di medicina generale dell’assistito) che attesti la patologia di cui il
possessore dell’arma da fuoco è affetto e si potrà avviare la procedura per la
cessione dell’arma o per la sua distruzione.
Per qualsiasi informazione o chiarimento è possibile contattare l’Ufficio Armi della
Questura di Lecco al n. 0341 – 279744.
In ospedale
Come visto, la diagnosi di demenza viene formulata
dopo esami ambulatoriali (visita neurologica,
valutazione neuropsicologica, esami strumentali…)
e non comporta di norma un ricovero ospedaliero.
Tuttavia, talvolta è necessario eseguire indagini in
ambito di ricovero per approfondimenti diagnostici,
oppure per altri problemi. In questi casi, occorre tener
presente che l’ambiente ospedaliero verrà vissuto con
maggiore difficoltà dal malato, che avrà molta più difficoltà
rispetto agli altri anziani ad orientarsi, mantenere gli orari
dell’ospedale, vedere tanti operatori diversi etc. Di solito il
personale medico ed infermieristico è in grado di gestire
questa situazione e di relazionarsi in maniera opportuna
con questi pazienti.
Come familiari, dovremo cercare di rassicurare il nostro
congiunto e non farci a nostra volta prendere dall’ansia
se assisteremo ad un netto peggioramento nel suo
comportamento e nelle autonomie in ospedale, poiché
nella maggior parte dei casi si tratta di un momento
transitorio: una volta rientrati a casa, il paziente
riacquista più sicurezza e serenità.
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La rete allargata dei servizi e le strutture per le
demenze in Provincia di Lecco
Come abbiamo visto, la figura fondamentale cui fare riferimento, sia durante il
processo diagnostico, sia durante il decorso della malattia, è costituita dal medico
di medicina generale. La rete clinica per la diagnosi di demenza è poi composta
da speciali unità, gli ambulatori per le demenze. In Provincia di Lecco sono
presenti due unità, una presso il presidio di Merate e l’altra presso il presidio di
Lecco. In questi ambulatori vengono svolte le funzioni di diagnosi, valutazione
e gestione clinica del paziente. I medici specialistici, insieme al medico di base,
potranno quindi costituire un valido punto di riferimento, poiché potranno seguire
nel tempo la storia clinica del paziente e rispondere alle domande dei familiari. Le
Strutture Complesse di Neurologia dei due presidi presentano inoltre posti letto
ove è possibile gestire le complicanze di queste malattie.
Quando il nostro familiare può essere gestito in casa, può essere utile attivare una
Assistenza Domiciliare Integrata, che è un servizio erogato dal Dipartimento
Fragilità Interaziendale dell’ASL e dell’Azienda Ospedaliera che serve ad aiutare
il paziente in domicilio attraverso prestazioni medico-specialistiche ed attività
infermieristiche e assistenziali. Le modalità dell’intervento possono essere diverse
e vengono decise in base alle necessità proprie del paziente. Questo servizio può
essere attivato sia in seguito a richiesta del medico di base, sia in seguito ad un
ricovero ospedaliero.
Molte famiglie tendono a mantenere il paziente a domicilio per più tempo
possibile, e ricercano per un aiuto un’Assistente familiare (badante). Si tratta
di un fenomeno in rapido aumento, che coinvolge per lo più persone straniere. È
possibile ricercare un’assistente, ad esempio contattando il Centro di Ascolto
Caritas della nostra parrocchia o qualche altra agenzia, che spesso raccoglie le
domande di lavoro da parte di persone straniere.
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
Il Centro Diurno Integrato (CDI) è invece un luogo ove si può portare il malato
non autosufficiente (ma che ancora può essere parzialmente gestito a domicilio)
per qualche ora al giorno e trascorrere il tempo in attività specializzate che hanno
anche l’obiettivo di cercare di tenere il più possibile attivo il paziente e mantenere
le autonomie residue. In questi centri inoltre i pazienti possono stare insieme ad
altre persone ed in questo modo si tenta di prevenire l’isolamento e la chiusura
caratteristiche delle demenze. I CDI presenti in Provincia di Lecco sono2:
• Centro Polifunzionale per anziani LASER, Lecco
• Casa di Riposo Madonna della Fiducia, Calolziocorte
• Corte Busca, Lomagna
• Il Castello, Cesana Brianza
• Istituti Riuniti Airoldi e Muzzi, Lecco
• Le Querce di Mamre, Galbiate
I ricoveri di sollievo sono invece ricoveri brevi, presso Residenze Sanitarie
Assistenziali (RSA3, comunemente dette “Case di Riposo”), della durata di
qualche settimana, a cui si può ricorrere quando il care-giver o i familiari non
possano garantire l’assistenza per un certo periodo (ad esempio per motivi di
salute). Tali ricoveri temporanei servono anche a “dare respiro” per un po’ di tempo
a chi quotidianamente affronta il grave compito dell’assistenza di un paziente con
decadimento cognitivo. Solitamente il ricovero di sollievo ha la durata di un mese
e può essere richiesto due volte nel corso dell’anno. Per attivare un ricovero di
sollievo occorre riferirsi all’assistente sociale del proprio comune (e non chiamare
direttamente le RSA), che valuterà la situazione e la possibilità di usufruire di
questo servizio.
Quando la malattia si aggrava e, per varie ragioni, non è più possibile tenere il
paziente a domicilio –ad esempio per l’eccessivo carico assistenziale richiesto o
per la presenza di problemi concomitanti– si può considerare la possibilità di un
ricovero in RSA. Questi istituti accolgono persone anziane con un basso livello
di autonomia o non autosufficienti, ed erogano un certo numero di servizi e di
prestazioni sociali e sanitarie. Il personale delle RSA si prende cura dell’ospite da
un punto di vista fisico e di conservazione delle autonomie il più a lungo possibile,
ma anche per quanto riguarda il mantenimento delle relazioni sociali e delle
attività ed interessi. Nella nostra provincia esiste un modello unico per l’ingresso
in RSA, che potremmo reperire presso le strutture stesse o gli assistenti sociali del
nostro comune. Tale modulo, nel caso di demenza, dovrà essere accompagnato
da una relazione clinica aggiornata che attesti le condizioni del paziente. Si tratta
di un ricovero definitivo, che spesso si accompagna a grandi timori ed ansie per
i familiari. A questo proposito, è opportuno sottolineare che, seppur si tratti di
un momento difficile per la famiglia, esso non deve essere vissuto con eccessiva
ansia, poiché nelle RSA del nostro territorio sono presenti qualificate unità di cura
– dette Nuclei Alzheimer – ove opera personale specializzato che saprà prendersi
adeguatamente cura del paziente.
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Questi nuclei sono dotati di tutte le strutture, apparecchiature e personale
necessario per gestire i pazienti al di fuori del contesto familiare, e offrono inoltre
un adeguato livello di protezione. Si tenga presente però che vi è una lista d’attesa
per poter accedere alla RSA ed occorre mettersi direttamente in contatto con le
varie strutture, che possono avere differenti tempi di accesso.
Sul territorio sono poi presenti alcune Associazioni, attive su queste tematiche,
a cui ci potremo rivolgere per valutare la possibilità di partecipare a specifiche
iniziative e percorsi di formazione (es. gruppi di mutuo aiuto…). Tra esse, ricordiamo
in particolare:
• Associazione Alzheimer, che ha sede in Lecco, presso gli “Istituti Riuniti Airoldi
e Muzzi”;
• Fondazione Manuli, attiva sul territorio milanese con importanti progetti
(http://www.fondazione-manuli.com/);
Vi sono poi due grandi associazioni presenti a livello nazionale:
• Federazione Alzheimer Italia, che ha sede in Milano, via Marino 7
(tel. 02-809767, www.alzheimer.it)
• Associazione Nazionale Malattia di Alzheimer, sede in Milano, via Varazze 6
(tel. 02-89406254; Linea Verde Alzheimer: 800-679679,
www.alzheiemer-aima.it)
CISED Centro Informazione Supporto e Documentazione Provincia di Lecco.(a cura di, 2010)
Mappatura dei punti di accesso per l’anziano in stato di bisogno in Provincia di Lecco.
2
38
Una lista delle RSA in Provincia di Lecco è data nell’Appendice di questa guida.
Oltre lo sguardo,
la Mente velata
3
Aspetti giuridico-legali
DOMANDA PER IL RICONOSCIMENTO
DELL’INVALIDITÀ CIVILE, DELL’ACCOMPAGNAMENTO
E DELLA LEGGE 104/92 SULL’HANDICAP.
A partire dal gennaio 2010 le domande di invalidità civile, di accompagnamento
e di handicap vanno presentate direttamente all’INPS, in via telematica, in
due momenti:
1. il medico di medicina generale invia on-line la certificazione sanitaria del
paziente all’INPS;
2. con la ricevuta di trasmissione, il cittadino deve compilare on-line la domanda
(per fare questo si può avvalere di un patronato o di una associazione di
categoria dei disabili) e il certificato medico ha una validità di 3 mesi;
L’INPS trasmette telematicamente la domanda alla ASL che provvede alla
convocazione e alla visita in Commissione. Al momento della visita in Commissione
l’interessato dovrà portare tutta la documentazione sanitaria dalla quale dovranno
emergere le problematiche cliniche del paziente. Se la documentazione non
fosse ritenuta sufficiente la Commissione potrà richiedere ulteriori accertamenti
specialistici integrativi.
La Commissione esprimerà un giudizio attraverso un punteggio e, nel caso
sussistano i requisiti previsti dalla legge, cioè la necessità di assistenza continua
nel compimento degli atti quotidiani della vita, potrà concedere anche l’indennità
di accompagnamento. Il giudizio della Commissione Medica verrà poi inviato
all’INPS per l’approvazione e per il successivo invio dei verbali all’utente. La
Commissione ha anche il compito, nella stessa seduta, di accertare lo stato di
handicap (Legge 104/92), ossia di una situazione di svantaggio sociale che la
disabilità ha creato sul soggetto e sul contesto sociale e familiare in cui la persona
vive.
In particolare il riconoscimento di handicap grave (art.3 comma 3 Legge
104/92), dà diritto ad alcune agevolazioni, quali ad esempio la concessione ai
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familiari di permessi lavorativi per assistere la persona invalida. Si tratta di tre
giorni di permesso retribuito al mese o di sei mezze giornate oppure di due ore
di permesso retribuito al giorno secondo un orario da concordare con il datore di
lavoro.
I permessi sono coperti da contribuzione figurativa (Legge 53/2000) e la loro
fruizione non incide negativamente sulla maturazione di ferie e tredicesima.
Per l’assistenza a persone con handicap grave la legge prevede, per i lavoratori
dipendenti, anche un congedo straordinario della durata di due anni, anch’esso
indennizzato e coperto da contribuzione figurativa. Per usufruire dei permessi o del
congedo il lavoratore dipendente del settore privato deve consegnare il certificato
di handicap grave all’INPS, mentre i dipendenti pubblici devono rivolgersi al proprio
Ufficio Personale. Per ulteriori informazioni visitare il sito dell’ASL di Lecco, http://
www.asl.lecco.it/, sotto la voce “Servizi ai cittadini- Invalidità Civile”.
TUTELA CIVILISTICA E PENALISTICA
Il decorso delle demenze comporta inevitabilmente l’incapacità di provvedere
ai propri interessi da parte dei soggetti colpiti dalla malattia. L’ordinamento
giuridico definisce questa situazione come “incapacità di intendere e di volere”.
Tale incapacità si distingue in incapacità naturale e incapacità legale.
L’incapacità naturale di intendere e di volere è quella del soggetto che si trova
nella incapacità di provvedere personalmente ai propri interessi. L’incapacità
legale è il riconoscimento da parte dell’Autorità Giudiziaria di detta situazione. Il
sistema di protezione legale del soggetto incapace copre vari aspetti.
TUTELA CIVILISTICA
Responsabilità civile
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
Se il paziente affetto da demenza commette un fatto che lo obbligherebbe a risarcire
il danno (ad esempio lascia cadere un vaso di fiori dal balcone che causa lesioni ad
un passante o ad un bene di terzi), la legge stabilisce che il risarcimento è dovuto
da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace (es. genitori, infermiere...). Vale la
pena di sottolineare che tale procedura si applica sia nel caso in cui il soggetto sia
stato dichiarato incapace dall’Autorità Giudiziaria (incapace legale), sia nel caso di
un soggetto incapace “di fatto” di intendere e volere (incapace naturale). Questi
soggetti saranno ritenuti responsabili, salvo che riescano a dimostrare di non avere
potuto impedire il fatto. In altri termini, essi dovranno dimostrare di avere svolto
il compito di sorveglianza con la massima diligenza possibile.
Attività negoziale dell’incapace naturale
La disciplina del codice civile si riferisce a tutti gli atti giuridici, sia di natura
non patrimoniale (matrimonio, testamento) sia agli atti unilaterali di contenuto
economico (disdetta di un contratto di locazione, recesso da un contratto) e
comprende anche i contratti veri e propri (es. compravendita) conclusi da un
soggetto naturalmente incapace di intendere e volere. La regola generale per tutti
questi tipi di atti è la loro annullabilità.
Per gli Atti non patrimoniali: è sufficiente dimostrare l’incapacità; quindi, se un
soggetto naturalmente incapace contrae matrimonio, questo può essere annullato
provando l’incapacità di intendere e volere.
Per gli atti Atti unilaterali a contenututo patrimoniale: l’annullamento è
possibile solo se si dimostra che dall’atto deriva un grave pregiudizio per l’incapace;
in caso contrario l’atto è valido.
Infine per i Contratti: per l’annullamento occorre provare: a) che il soggetto era
incapace nel momento in cui ha concluso il contratto; b) che egli ha subito un
pregiudizio; c) che l’altro contraente era in malafede.
La procura
A prescindere dall’applicazione delle misure di protezione dei soggetti incapaci
previste dalla legge (amministrazione di sostegno, interdizione ed inabilitazione)
è possibile attribuire ad un terzo il potere di agire in nome e per conto
del malato, mettendolo in grado di effettuare in sua vece atti di disposizione
in generale. Per atti di disposizione si intendono azioni che un terzo compie
nell’interesse del malato (es. ritiro della pensione). Il mezzo tecnico utilizzabile è la
Procura, che deve essere rilasciata dal malato quando è ancora in grado di
intendere e volere. La procura può essere Speciale, cioè riferita a singoli affari,
ovvero Generale e deve essere conferita mediante atto pubblico da un notaio.
In esse dovranno essere specificati gli atti di straordinaria amministrazione che
sono compresi nel potere del terzo cui viene conferita la procura. Una volta che la
procura è stata conferita mantiene la sua validità anche nel caso in cui il malato
diventa incapace di intendere e volere fino a quando detto stato di incapacità viene
riconosciuto dall’autorità Giudiziaria con l’emissione di una misura di protezione in
favore dell’incapace. Occorre sottolineare che la procura, se da un lato consente
al terzo cui è stata conferita l’esercizio dei diritti del malato in suo nome e conto,
dall’altro non impedisce che lo stesso agisca in proprio: permane dunque il concreto
rischio che l’infermo compia atti dissennati con grave pregiudizio per sé e la sua
famiglia.
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L’incapace legale
La legge disciplina le conseguenze degli atti compiuti dall’incapace nei casi in
cui il soggetto si trova in condizioni di abituale infermità di mente che gli
renda impossibile provvedere ai propri interessi con il ricorso a procedure che
sfociano nell’applicazione di una misura di protezione dell’incapace: nomina di un
amministratore di sostegno, di un tutore o di un curatore.
Amministratore di sostegno (AdS)
L’AdS è una misura di protezione volta a tutelare il soggetto debole,
limitandone la capacità di compiere atti giuridicamente rilevanti e offrendo, tramite
l’Amministratore stesso, un tipo di assistenza che incide il meno possibile sulla
capacità di agire di chi si trova nella impossibilità anche solo parziale o temporanea
di provvedere ai propri interessi.
Possono fare domanda per ottenere l’AdS: il beneficiario stesso della misura di
protezione, qualora ne sia in grado; il coniuge o la persona stabilmente convivente;
i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo grado; il tutore o il
curatore; il pubblico ministero ed il responsabile dei servizi sanitari e sociali
direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona. Questi soggetti se
sono a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura di un procedimento
di AdS, sono tenuti a presentare al giudice tutelare il ricorso per l’amministrazione
o comunque ad informare della situazione il pubblico ministero.
La richiesta per l’AdS si propone innanzi al Giudice Tutelare del luogo dove
il beneficiario ha la residenza o il domicilio effettivi. La richiesta si effettua con
apposito ricorso da depositare presso la cancelleria del giudice tutelare, unitamente
alla documentazione anagrafica, medica e reddituale/patrimoniale del beneficiario
della misura. A seguito del deposito del ricorso, il Presidente del tribunale nomina
il giudice tutelare e fissa l’udienza di comparizione delle parti innanzi a lui. Il
Giudice, quindi, assunte le informazioni ritenute utili e necessarie all’indagine e
sentite le persone indicate nel ricorso o cui è stato notificato provvede con la
nomina dell’amministratore.
La persona dell’amministratore può essere indicata dallo stesso beneficiario, in
previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o
scrittura privata autenticata. In mancanza o in presenza di gravi motivi, è il giudice
tutelare a designare l’amministratore di sostegno.
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Oltre lo sguardo,
la Mente velata
Il Giudice Tutelare può, in ogni tempo, modificare o integrare anche d’ufficio, le
decisioni assunte con il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno. Se
la durata dell’incarico è a tempo determinato, il Giudice Tutelare, prima della
scadenza del termine, può prorogarlo anche d’ufficio con decreto motivato.
Prima dell’inizio dell’attività, l’amministratore di sostegno deve giurare innanzi al
giudice tutelare di esercitare l’incarico ricevuto con fedeltà e diligenza. L’attività
dell’amministratore di sostegno è gratuita. L’amministratore di sostegno può
compiere gli atti di straordinaria amministrazione solo previa autorizzazione del
giudice tutelare. L’incarico di amministratore di sostegno può essere revocato
quando sussistono i presupposti per la cessazione della misura, ad esempio il
venir meno dell’infermità o l’aggravarsi della stessa con conseguente necessità di
interdizione.
Interdizione e inabilitazione
Nei casi in cui la legge consente l’interdizione del soggetto incapace occorre
dare impulso, a mezzo di un legale, ad una procedura per la dichiarazione di
interdizione (nei casi più gravi) o di inabilitazione (nei casi meno gravi) avanti
il Tribunale competente secondo la residenza del soggetto incapace. Nella quasi
totalità dei casi sottoposti al Tribunale, la valutazione dello stato di intendere e
volere è demandata ad una Consulenza Tecnica d’Ufficio.
Il soggetto dichiarato interdetto non può compiere nessun atto personalmente. Egli
si trova in quella condizione definita di “incapacità assoluta”. In questi casi viene
nominato un Tutore che, in qualità di rappresentante legale dell’interdetto agisce
in suo nome e conto. Quando il soggetto viene dichiarato inabilitato può continuare
a compiere da solo gli atti di ordinaria amministrazione (cioè la gestione del proprio
patrimonio), deve invece essere assistito da un altro soggetto, chiamato Curatore,
negli atti di straordinaria amministrazione (cioè la disponibilità del patrimonio). I
soggetti che possono richiedere queste misure di protezione del soggetto incapace
sono gli stessi che possono richiedere l’apertura dell’AdS.
TUTELA PENALISTICA
Dal punto di vista del diritto penale il demente giunto ad un certo stadio della
malattia, è considerato incapace di intendere e volere, pertanto, se commette
reati non è imputabile e quindi non può essere punito.
In tali ipotesi non occorre che vi sia stata previa applicazione di una misura di
protezione, poiché il giudice penale nel momento in cui si dovrà svolgere un
ipotetico processo a carico del soggetto dovrà accertare “a mezzo di Consulenza
Tecnica d’Ufficio” lo stato di capacità di intendere e volere al momento della
commissione del fatto.
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Appendice
In questa Appendice riportiamo l’elenco delle RSA presenti in Provincia di Lecco.
Sul sito internet dell’ASL (www.asl.lecco.it --> Risorse sul Territorio --> RSACase di Riposo) è possibile verificare in tempo reale la lista di attesa e le rette.
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Struttura
Casa san Antonio
CdR san Francesco
CdR C. e F. Frigerio
Casa Madonna della Fiducia
CdR Maria Monzini
Casa del Cieco Mons. Gilardi
CdR Brambilla-Nava
Villa Serena
Residenza Villa Serena
CdR Mons. Borsieri
CdR Suore Misericordine
Istituti Riuniti Airoldi e Muzzi
Casa dell’Anziano P.Buzzi
Cdr Mandello del Lario Onlus
Istituto Geriatrico Frisia
Villa dei Cedri
Az. Spec. CdR Monticello
CdR Dr. Luigi e Regina Sironi
CdR San Giuseppe
Residenza San Giorgio
Istituto Sacra Famiglia
Casa Madonna della Neve
CdR Opera Pia Magistris
CdR La Madonnina
Fondazione A. - E. Nobili
Telefono
0341.996228
0341.821219
039.5320100
0341.635611
039.9202252
0341.550331
0341.550351
0341.242011
0341.981589
0341.264500
0341.274213
0341.497172
0341.740082
0341.731355
039.999161
039.59101
039.92304201
0341.576391
0341.681456
031.968000
0341.814111
0341.890288
0341.581380
0341.870116
039.958282
Email
[email protected]
[email protected]
[email protected]
uffici@casamadonnadellafiducia.it
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
Oltre lo sguardo,
la Mente velata
Comune
Barzio
Bellano
Brivio
Calolziocorte
Casatenovo
Civate
Civate
Galbiate
Introbio
Lecco
Lecco
Lecco
Lierna
Mandello Lario
Merate
Merate
Monticello Br.
Oggiono
Olginate
Oliveto Lario
Perledo
Premana
Valmadrera
Vendrogno
Viganò
NOTE SUGLI AUTORI
Danila Beltrame
Psicologa, Neuropsicologa clinica
Lorella Castagna
Avvocato
Daniele Coppola
Medico, Servizio Medicina Legale,
ASL Lecco
Nelda Merlo
Assistente sociale,
ASL Lecco
Enrico Ripamonti
Dottorando di ricerca in Statistica,
Dipartimento di Statistica,
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Giuliano Sozzi
Neurologo e Neuropsicologo clinico,
Ospedale “Fatebenefratelli”, Erba (CO)
A CURA DI
Associazione Nuovamente
www.nuova-mente.net
[email protected]
Stampato il 28 Novembre 2011 da Tipografia Commerciale, Lecco
Progetto Editoriale e Grafico: Fabio Dodesini, Lecco
Illustrazioni: Marco Menaballi, Lecco
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46
Oltre lo sguardo,
la Mente velata
Spazio per appunti e annotazioni personali
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