ANNO XXXVII - N. 6 GIUGNO 1989 MENSILE DELL'AICCRE ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale dopo il 18 giugno Strategia globale ed articolata per la Costituente europea di Gianf ranco Martini I Nella foto un momento della manifestazione conclusiva per il «Sì» al referendum di indirizzo del 18 giugno. La manifestazione, svoltasi a Piazza di Spagna a Roma, era stata organizzata dal Movimento federalista europeo e dall'Intergruppo federalista del Parlamento italiano. I1 risultaD D, to più che lusinghiero, addirittura eccezionale, del referendum premia giustamente l'impegno 2 che I'AICCRE e i suoi Enti associati, a cominciare dalle Regioni, hanno profuso nella campagna E per il mandato costituente al Parlamento Europeo 3a I lettori di «Comuni d'Europa», che hanno seguito quanto in esso pubblicato durante la campagna dell'AICCRE in vista delle elezioni del Parlamento europeo e del voto nel Referendum del 18 giugno, hanno sostanzialmente a loro disposizione tutti gli elementi per una valutazione sia della campagna stessa, sia dei suoi risultati: su questi temi, comunque, si soffermano altri contributi in questo stesso numero. Ma questa analisi è sempre un qualcosa che, pur doverosamente, si rivolge al passato per confronti, verifiche, bilanci non eludibili da parte di un'Associazione come I'AICCRE, impegnata in prima persona in questo campo. Resta invece ancora scoperto l'interrogativo: «Che fare?», ora che si è voltata la pagina del voto e si è aperta quella della «terza legislatura» del Parlamento europeo, anche se il termine «legislatura» non si addice ancora perfettamente alle attuali competenze e poteri di detta istituzione. Non è solo ad uso interno - cioè nell'ambito della nostra Associazione - che si pone questo interrogativo: esso coinvolge esperienze più ampie, a livello italiano ed europeo, sul piano politico, istituzionale, delle forze, dei contenuti e dei metodi di azione, della partecipazione specifica delle autonomie territoriali. Un editoriale non è un saggio che consenta approfondite e dettagliate considerazioni: è piuttosto un'occasione per tracciare schematicamente alcune linee di sviluppo del pensie'O e breve e medio periodo. Si possono a tale proposito individuare quattro direttive, nei confronti a) della Comunità europea; b) del CCRE; C) delle istituzioni e delle forze che operano in Ita- lia; d) degli amministratori comunali, provinciali e regionali. Inutile sottolineare che di una strategia globale si tratta, che non ammette segmentazioni o scelte parziali. Vediamo di precisare meglio questi orientamenti. a) Tutta la campagna dell'AICCRE è stata rivolta ad evidenziare un obiettivo assolutamente prioritario e irrinunciabile: puntare sul Parlamento europeo neo-eletto per farne la leva politico-istituzionale di un radicale mutamento dell'attuale Comunità e della sua trasformazione - urgente - in Unione europea. Non ritorniamo sulle motivazioni di questa scelta e di questa insistenza nel ritenere un Parlamento costituente come la via obbligata e più democratica per far uscire il processo di unificazione da incertezze, contraddizioni, paralisi estremamente pericolose specie se comparate alle grandi attese che maturano nella società europea, talvolta in modo acritico ed emotivo, per la scadenza del 1993 (il completamento del mercato unico europeo), e alle importanti evoluzioni in atto nel mondo e particolarmente nell'Europa dell'Est, alle quali deve rivolgersi la crescente attenzione anche degli eletti locali e regionali. Vi sono già iniziative in proposito allo studio dell'AICCRE e del CCRE, nel quadro della Comunità e del Consiglio d'Europa. I1 referendum attuato nel nostro paese con l'appoggio di tutte le forze politiche del Parlamento nazionale ha confermato quanto l'intuizione e la proposta di un'élite di federalisti si sia trasformata in convinzione comune dei parlamentari nazionali e poi in consenso popolare (1'88,1% dei votanti ha espresso appoggio alla proposta referendaria). Allora il primo impegno della nostra Associazione consiste nel richiamare i nuovi membri italiani del Parlamento europeo - anche con appositi, specifici messaggi - ad essere coerenti col mandato espresso dai loro elettori affinché l'istituzione, nel suo complesso, si ponga decisamente alla testa della trasformazione della Comunità in Unione europea. Non attendendo - aggiungiamo - deleghe o investiture formali da parte dei rispettivi governi nazionali, nel loro insieme ancora eccessivamente cauti o restii ad incamminarsi in questa direzione (anche se il clima generale dopo il Consiglio europeo di Madrid apre alcune speranze sulla presa di coscienza di alcuni governi della natura politica dello scontro in atto nella Comunità): rivendicando invece, con propria iniziativa, il compito costituetrte nella persuasione che i Parlamenti hanno do- som ma rio COMUNI D'EUROPA 3 7 11 13 17 18 19 21 24 26 27 vuto sempre lottare per conquistare i loro poteri. Nessuna occasione andrà trascurata per richiamare i neo-eletti alla consapevolezza di questo loro dovere di coerenza democratica prima ancora che di avanguardia europeista, da testimoniare fin dai primi atti del nuovo Parlamento, quelli attinenti alla composizione dei suoi organi istituzionali. Non è questa certo una legislatura di routine o di attesa! Di qui l'esigenza di ricostituire I'Intergruppo federalista nel P.E. e di pervenire ad una composizione e ad una concezione della Commissione istituzionale che dovrà divenire - nel suo ruolo sostanziale, e non solo sul piano dell'etichetta formale - la Commissione costituzionale per la Democrazia europea che la renda capace di svolgere con autorevolezza ed efficacia i suoi compiti. L'AICCRE esporrà e riprenderà questa esigenza nell'incontro che essa intende organizzare a Strasburgo, come già fece nell'avvio delle due precedenti legislature europee, con tutti gli 81 parlamentari europei eletti in Italia; sottolineando anche la necessità che essi saldino sempre più i loro rapporti con la società, con i cittadini, con gli eletti locali e regionali. Non mancherà sicuramente l'appoggio dell'AICCRE per raggiungere questo risultato che ha, del resto, efficaci precedenti nei rapporti di stretta collaborazione e nelle numerose iniziative (attività dell'Intergruppo degli eletti locali e regionali del P.E., incontri e seminari di quest'ultimo con delegazioni di amministratori) che hanno caratterizzato il precedente quinquennio. I1 Consiglio Consultivo degli Enti locali e regionali, di recente istituzione, dovrà essere riconosciuto quale interlocutore costante del Parlamento europeo e non solo della Commissione. Saldatura tra Parlamento europeo e società, abbiamo detto: non solo in una comune ricerca di superamento del deficit democratico attuale della Comunità e di rafforzamento politico del processo di integrazione, ma anche come mezzo per rendere il Parlamento stesso portavoce sensibile ed informato delle attese e dei problemi delle varie aree della Comunità: non mancheranno, nel prossimo quinquennio, i temi per questo confronto, dalla moneta alla politica regionale, dall'agricoltura all'innovazione tecnologica, dalla cultura all'ambiente, dalla liberalizzazione dei fattori produttivi e del credito (tema, quest'ultimo, di essenziale interesse per gli Enti locali e regionali) all'esigenza irrinunciabile di un'Europa «sociale». b) Tutto ciò verrà perseguito dall' AICCRE nel quadro di tutto il CCRE, e in sintonia con tutta l'Associazione a livello europeo, badando non solo ad evitare qualsiasi visione «nazionale» del nostro impegno ma anche a stimolare i colleghi delle altre Sezioni del CCRE a muoversi nella stessa direzione, a raccordarsi con i loro parlamentari europei, a vegliare sul loro operato come è esigenza fisiologica nelle democrazie ove il ruolo degli elettori non si deve limitare alla sola espressione del suffragio. Non ci nascondiamo certo le difficoltà che il raggiungimento di questo ambizioso (ma indispensabile) traguardo comporta, tale è la disparità di «sensibilità europea» che si manifesta nei diversi paesi membri della Comunità, come anche recenti sondaggi di opinione hanno confermato. M a non abbiamo mai creduto che la battaglia europea fosse cosa facile e che bastasse scuotere l'albero per raccogliere i frutti. L'AICCRE non è nuova al ruolo di sollecitatrice e di avanguardia all'interno del CCRE: deve mantenerlo con intelligenza, con aderenza ai problemi concreti, con iniziative che rispondano alle attese dei cittadini e dei loro rappresentanti eletti, superando la tentazione e gli inviti (che nel passato le sono stati rivolti da alcuni colleghi europei) ad abbassare il profilo del suo impegno, ad attenuare la sua identità «politica» (quella vera, che non è astrattamente massimalista). Gli Stati generali del CCRE che si svolgeranno a Lisbona dal 3 al 6 ottobre 1990 sono un'occasione politica di evidente rilevanza. I1 problema è, ancora una volta, anzi oggi più che mai, quello di un'alleanza stabile da tessere tra le forze democratiche (non specificamente militanti quali i federalisti) disposte e disponibili a colmare il deficit democratico della Comunità e ad affermare, nei fatti, l'esigenza di sovranazionalità sempre più evidente. Si è parlato già, su queste colonne, di un «movimento trasversale» che corre attraverso partiti, sindacati, gruppi vari ecc.; il termine può non piacere, rischia di essere ambiguo, ma fotografa comunque una realtà. Legato a tutto ciò rimane l'obiettivo della convocazione, nel 1990, di un congresso europeo di dette componenti della realtà europea, vera e propria Convenzione per la Democrazia europea, di cui vanno tempestivamente definiti i contorni e gli obiettivi. C) L'AICCRE è componente di una organizzazione europea, ma opera prevalentemente in Italia: con le istituzioni e le forze che operano nel nostro paese (partiti, sindacati, categorie imprenditoriali, ambienti della scuola e della cultura, mondo giovanile, e, na(segue a pag. 6) - Una vergognosa campagna elettorale, di Umberto Serafini - La questione tedesca, di Luigi V. Majocchi - Bilancio dopo 10 anni di vita, di Adriano Biasutti - - La nostra campagna Il Consiglio Consultivo inizia la propria attività, di Fabio Pellegrini Un nutrito ordine del giorno, di G.M. Seminario di studi del19AICCRE, di Antenore Mercato finanziario aperto per gli enti locali, di Giulio Cesare Filippi L'altra faccia della luna Protocollo di intesa AICCRE-SPS Salone del libro di Torino, di Carla Valentino GIUGNO 1989 una vergognosa campagna elettorale Elezioni europee: domina ogni sorta di corporazione Ancora una volta la moneta cattiva scaccia la buona di Umberto Serafini Il successo del voto referendario. Due i problemi aperti: il collegamento tra sovranazionalità e democrazia e il rapporto tra I'europeismo diffuso e gli eletti al Parlamento comunitario. Ma questi temi sono stati spesso ignorati da giornalisti disinformati e da partiti nazionali troppo sensibili alla cucina locale. Coalizzare tutte le forze democratiche perché vigilino su Strasburgo: le sorti della Federazione europea coincidono sempre più con quelle della democrazia Per commentare utilmente le elezioni europee da un punto di vista europeista - o, più semplicemente, europeo - occorre chiarire, in via preliminare, che cosa si andava cercando. Credo che oggi ci si debba render conto, essenzialmente, dell'identità di una corretta costruzione unitaria europea con la conservazione ed il progresso della democrazia. I problemi più scottanti che ci sovrastano - produttivi e occupazionali, di mercato, di ricerca e applicazione tecnologica, di giustizia sociale nelle nazioni e fra le nazioni, di sviluppo economico impostato sul pieno rispetto dell'ambiente naturale e della qualità di vita, di pace garantita nella sicurezza reciproca - chiedono tutti una strategia sovranazionale e, qui il continente dove abitiamo - e ora, una dimensione europea. Simmetricamente, se non si rinuncia a questo obiettivo, si verifica, piaccia o dispiaccia alla signora Thatcher, una perdita di fatto di sovranità nazionale e di relativo controllo politico e democratico: per cui o si crea una effettiva democrazia sovranazionale - e, per cominciare, europea - o si ha una perdita secca di democrazia; aggiungiamo: e di governabilità. La signora Thatcher la facciamo spesso passare per una vetero-liberista, talvolta ci casco anch'io: ma in realtà, molto prima di Beveridge, di Luigi Einaudi o di Allais (convinti assertori del libero mercato, senza frontiere, ma in pari tempo della esigenza di adeguate istituzioni politiche), addirittura nel pensiero di Adamo Smith e dei suoi contemporanei si capiva che il mercato libero è tutt'altro che automatico e si -guardava con interesse al ruolo della comunità politica. Ne parlavamo con Federico Chabod intorno al 1947: se rinascerò e se, per far piacere alla Levi Montalcini, non mi reincarnerò in una blatta, voglio mettermi ad approfondire l'argomento. Comunque un mercato unico europeo affidato agli attuali potentati economico-finanziari, coi parlamenti nazionali e i relativi governi dediti a discutere sul sesso degli angeli, è chiaramente una prospettiva che va bene per le chiacchiere che si fanno in drogheria, ma non degna di persone intelligenti - non ho detto di intellettuali, di cui non mi fido, ma di persone di solido buon senso -. Le attuali elezioni europee si sono svolte nella chiarezza di questa problematica? L'altra questione sul piatto era stabilire un rapporto non fittizio e distorto tra l'elettorato europeo e gli eletti al Parlamento comunitario. L'Eurobarometro ci ricorda continuamente che nella maggioranza dei Paesi della Comunità il sentimento istintivo - confuso, GIUGNO 1989 generico quanto volete, ma evidente - della gente (non delle corporazioni che «si fanno ovunque sentire», non delle burocrazie nazionali e partitiche, non degli intellettuali - ecco! - al soldo delle industrie culturali nazionali) è un sentimento nettamente favorevole agli Stati Uniti d'Europa. Ma forse più importante, più continuativa, più capillare e approfondita dell'Eurobarometro è l'esperienza del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa: esperienza singolare, perché assai spesso (nei gemellaggi, per esempio, che si gestiscono nel nostro quadro, quelli «seri» di cui moralmente rispondiamo) cittadini che sembrano tiepidi di fronte all'«europeismo» - abbastanza schfati di un'Europa che si delinea lontana, psicologicamente e idealmente, dai loro interessi - si svegliano improvvisamente di fronte alla possibilità di un'Europa «dei cittadini» (non di quei «cittadini» che sono divenuti un'altra divagazione nominalistica, retorica, con cui governi ed eurocrati volenterosi coprono pudicamente l'Europa dei mercanti). La gente ricade poi nell'inerzia e nel disinteresse quando si avvede che è così difficile «partecipare», non per burla, all'edificazione della Federazione europea. Quali saranno mai gli ostacoli? Nessuno glielo spiega: anzi spesso, rovesciando la realtà, qualcuno insinua che i governi non possono far avanzare l'unione, perché «la gente non è pronta». Ebbene, queste elezioni europee hanno mandato al Parlamento Europeo una rappresentanza di questa gente oppure dei «delegati» delle varie corporazio- ni, delle burocrazie nazionali e partitiche, dei capi e capetti professionisti della politica nazionale? (Attenzione! non mi si dia del qualunquista, perché ho detto male di Garibaldi ... Diceva Aristotele nella «Politica» che di ogni regime - quindi anche d i quello partitico-parlamentare, stando all'oggi - c'è la forma pura e quella corrotta: di quest'ultima naturalmente, ma con diversa graduazione, le responsabilità sono di noi tutti, incluso chi scrive). Come si vede, non basterà, per valutare queste elezioni europee, limitarci a contare i risultati numerici delle varie formazioni politiche, richiamare quanto - almeno a parole esse si sono impegnate a fare a livello europeo, soffermarci su alcuni deputati «eccellenti». Del resto c'è un risultato di difficile lettura immediata: quello degli astenuti e - non è proprio la stessa cosa - delle schede bianche. Astenuti e polemisti della scheda bianca perché? Non sarà perché sotto copertura ideale si voleva far passare merce di contrabbando e loro hanno, nauseati, scoperto il giuoco? Paradosso conseguente: non saranno dunque proprio gli astenuti e i bianco-schedisti o parte di essi l'espressione dello sdegno degli europeisti «istintivi» più generosi? Personalmente posso dire che diversi elettori siffatti, massimalisti e delusi, li ho incontrati qua e là: indaghiamo, dunque. In ogni caso eleggere un Parlamento con poteri minimi e che non sia fronteggiato da un governo, ad esso responsabile, non è certo stimolante: l'europeismo non c'entra. Non cambia nel tempo l'abitudine al manifesto elettorale «selvaggio»: per votazioni nazionali di qualche anno fa (qui sopra) o per le europee di questo giugno (a pagina 5) COMUNI D'EUROPA Tuttavia, prima di spingere la nostra indagine e la nostra analisi - come ci tocca - a livello europeo dei Dodici, vorrei in questo articolo, subito, fare i conti con la vergognosa campagna elettorale italiana. L'abbiamo potuta seguire passo passo e, direi, un aspetto l'ha caratterizzata inequivocabilmente: è stata una campagna, oltre che stupida, antieuropea, proprio perché profondamente antidemocratica. I1 Parlamento Europeo scaduto non era stato capace, ancora una volta, d i pervenire a un progetto di legge elettorale comunitaria uniforme: quindi ciascun Paese ha votato con la sua legge; e quella italiana era delle peggiori. Invano il Consiglio italiano del Movimento Europeo - ove sono presenti, tra gli altri (c'è anche L'AICCRE), tutti i partiti del cosiddetto «arco costituzionale» - aveva stilato, col consenso di tutte le componenti, un suo progetto, che si preoccupava anche degli interessi di partiti minori, i quali temevano di essere penalizzati: le Case Madri partitiche e il Parlamento nazionale non sono riusciti a trovare un accordo (avevano ben altro da pensare!) e non se ne è fatto nulla. La legge è rimasta quella di prima, con collegi enormi e la piaga corruttrice delle preferenze, corretta - si fa per dire - dai capilista-réclame. Su questa cattiva premessa si è preparata e poi si è svolta la campagna. I partiti politici - i nostri partiti, perché la gran maggioranza di noi amministratori locali apparteniamo ai partiti - hanno continuato a interpretare, anche questa volta, caricaturalmente l'articolo 49 della Costituzione (concorrendo «a determinare la politica nazionale), è diventato concorrendo «a determinare quella politica che non esca dalla propria sfera di influenza nazionale),) e hanno presentato per il Parlamento di Strasburgo, in casi numerosi e in testa di lista, candidature che si commentano da sé, con ministri in carica che, eletti, improbabilmente avrebbero optato per Strasburgo e segretari di partito che difficilmente - anche se conviene sperarlo - daranno più importanza, come è necessario, a Strasburgo che a Roma, accanto a personaggi-civetta, accattivanti immagini che coprono un «vuoto europeo»: questi privilegiati di lista, appoggiati dalle strutture partitiche, si trovavano insieme a sinceri europei - malvisti o ignorati dai capibastone del partito («l'Europa? boh!») e a pessimi personaggi, mossi solo dal bisogno individuale di riciclarsi o rappresentanti di interessi costituiti, tutti ammucchiati in una lotta fratricida su collegi immensi, in cui la moneta cattiva scacciava inevitabilmente la buona (che poi era assai spesso addirittura la mancanza di moneta). Scartato il collegio uninominale secco - che può produrre anche sparizioni come quella dei liberali inglesi, più o meno un quinto dell'elettorato e il più europeista del Regno Unito - e ridotta la dimensione dei collegi (non senza compensare le «piccole» formazioni con il collegio nazionale, che tra l'altro reca positivamente esigenze qualitative - o, almeno, «dovrebbe recare» -), la logica avrebbe voluto la lista bloccata - evitando, appunto, i guasti, se non il cannibalismo delle preferenze -, a condizione che la formazione delle liste fosse preceduta da «elezioni primarie)), ove nella fattispecie si sarebbero dovute chia- rire le proposte europee di ciascuno e la relativa preparazione in materia. Dunque, ferma la premessa d i una procedura elettorale nefasta, si sono presentate e appoggiate candidature con criteri assai spesso lontani da quel che elezioni cosiddette europee ovviamente richiedevano nell'interesse generale: cioè si è barato al giuoco. Ma vediamo lo svolgimento della campagna. Oggi i comizi non hanno più - come tutti sappiamo - il vecchio ruolo determinante, mentre la cosiddetta «influenza sull'opinione» viene prevalentemente esercitata dai mass media, e tra questi dalla radio-televisione: cominciamo dunque dallo scandalo della televisione di Stato. La RAI-TV in occasione di altri referendum ha dato largo spazio ai promotori, ma questa volta per il referendum di indirizzo (non consultivo, come ha male informato pasticciando) sul mandato costituente al Parlamento Europeo ha concesso ai suoi promotori dieci minuti una tantum contro ore concesse ai partiti e alle liste variopinte - come se referendum ed elezioni per Strasburgo fossero due mondi separati: e in realtà nella sede elettorale ci si è scordati del fine europeo, dedicandosi per lo più a risse di quartiere -. È stato inutile per noi promotori del referendum protestare alla Commissione parlamentare di indirizzo e di controllo della RAI-TV - fonte del resto della scorretta distribuzione di tempo -, perché composta dagli stessi nostri partiti della cui mancanza di visione europea ci lamentiamo. Ci siamo rivolti - AICCRE e Movimento Federalista Europeo - al Presidente della Repubblica, garante definitivo del rispetto dell'articolo 11 e d i tutto il resto della Costituzione, ma abbiamo avuto una risposta tardiva e inefficace (circolo vizioso: si era rivolto anche lui, povero Presidente, alla Commissione partitica, e con ovvia riservatezza): il Presidente, che pur dispone - più d i quanto non ci si ricordi - di strumenti autonomi per rivolgersi alla nazione e inchiodare tutti alle loro responsabilità, dà l'impressione, assai sgradevole, di essere prigioniero dell'oligopolio dei partiti nazionali - oligopolio non previsto dai costituenti nell'ellittico articolo 49 né altrove e certamente in contrasto col complesso della Costituzione e del suo spirito informatore -. Qui l'Europa e lo spirito europeo della gente non c'entra - o non c'entra esclusivamente -: si tratta del fatto che una dinamica liberaldemocratica nel Paese è largamente impedita, ia voce è lasciata ai partiti, che già esistono e come esistono (finanziati dallo Stato come tali), alle forti corporazioni settoriali (senza idee generali, ma con la sola preoccupazione del proprio interesse particolare) e ai potentati economico-finanziari. A rendere interamente scandalosa la campagna elettorale europea c'è stato lo svolgimento delle tribune politiche televisive (TV di Stato), con il contegno inaccettabile della corporazione dei giornalisti. Non riandrò puntualmente adesso alla struttura illiberale della stampa italiana (cioè ai suoi editori e alle ambigue figure dei direttori di giornali e di periodici, maestri di sottili operazioni di autocensura - col permesso di Enzo Biagi, che ritiene che il problema sia fondamentalmente nel coraggio o meno del singolo giornalista -), al mercato della notizia e alle manovre, con ammiccamenti ai partiti nazionali. dei potentati economico-finanziari: ma a questi problemi, anche in funzione europea, si dovrà tornare una buona volta, esigendo che tra gli interessi del capitale e l'illecita egemonia dei nostri incontrollati partiti (i quali non si limitano a «concorrere), a determinare ecc. ecc.) siano dati ai cittadini mezzi stabili per esprimersi direttamente e democraticamente, a partire dalla base (come facemmo inserire Costantino Mortati, Gianbattista Rizzo ed io, nel 1953, nella «Carta europea delle libertà locali))del CCRE). La campagna elettorale europea mi dà frattanto lo spunto per esprimere ancora una volta lo sdegno per l'illecito monopolio - macroscopico illecito monopolio - della corporazione dei giornalisti, protetto da una sentenza anticostituzionale della Corte Costituzionale, che si è messa sotto i piedi il secondo comma dell'articolo 21 della Costituzione (direi che non c'è bisogno di invocare - come ha fatto generosamente Giorgio Bocca - Luigi Einaudi e il primo emendamento della Costituzione americana). Questi signori giornalisti, irrispettosi della deontologia professionale, ignoranti con evidenza dei problemi europei, servi del Palazzo (ma i loro Direttori (1) che facevano durante le tribune elettorali? non le ascoltavano? non se le facevano raccontare?), invece di chiedere per conto dei cittadini elettori cosa i candidati - che, inviati in TV per lo più come prescelti dal Palazzo, stavano al giuoco - intendessero fare al Parlamento Europeo, convinti (i giornalisti), con un cinismo da far ribrezzo, che a questi rozzi cittadini non importasse niente dell'Europa e che comunque non fosse doveroso informarli (a che serve?), continuavano a fare - salvo nobili, rarissime eccezioni - domande ai candidati (per lo più sciocche) che col Parlamento Europeo e col processo di integrazione c'entravano come i cavoli a merenda: così è stato penalizzato oltrettuto l'elettore italiano, che è risultato peggio informato - sulle intenzioni dei candidati della maggioranza degli altri elettori europei. Inoltre sul nesso tra il referendum di indirizzo e le elezioni europee zero. Talvolta i giornalisti - anctie i migliori: anzi, spesso, i migliori - sembrano affetti da paranoia: come quel pazzo che credeva di essere Giulio Cesare. Parlano a nome del popolo italiano, si identificano col popolo italiano, «sono» il popolo italiano. Mario Deaglio, che certo non è l'ultimo venuto, scriveva a metà giugno: «A pochi giorni dal voto, le elezioni europee vengono vissute dagli italiani con il distaccato interesse ecc. ecc ... L'attenzione generale è tesa; in altre parole, a misurare l'effetto delle elezioni europee sulla politica italiana.. .». Scherzava il Deaglio? Certamente confondeva in modo paranoico il dialogo tra una limitata classe di governo e la corporazione subalterna dei giornalisti coi milioni e milioni di italiani, sui quali non era autorizzato a dir niente perché niente, in realtà, sapeva il poveretto. A campagna conclusa, la TV di stato ha (1) «Gli editori, puri e impuri, buoni e cattivi, amano le convergenze tattiche e i rovesciamenti delle alleanze. Anche ai ~-~srnci --..drl - - ~ contratto nazionale giornalistico (articolo sei), il dimissionamento di un direttore e l'ingaggio di un altro è il mezzo più pulito e immediato per oltenere subito il risultato voluto» (Claudio Carabba, *Lo PSI-man», in «Europeo» n. 27/1989). ~ GIUGNO 1989 compiuto i suoi ultimi exploits negativi. Nessuna analisi in funzione degli effetti europei dei risultati elettorali; niente di adeguato (stavo per scrivere: di decente) sul referendum di indirizzo (cosa contano - contano? - i tanti milioni di italiani che hanno votato sì?); porta chiusa ai federalisti (e naturalmente all'AICCRE). Personalmente ero in casa e avevo il televisore aperto, e quindi ho seguito incredulo l'incidente di Marco Taradash con un giovanotto, mi pare inviato di un grande quotidiano italiano, un certo Antonio Padellaro: o mi è sfuggito qualcosa (io sono un po' tardo nel capire anche l'italiano) o ho assistito a una scena degna della mia gioventù, vissuta sotto il fascismo (quindi, in materia, sono un competente). I1 Padellaro ha fatto una domanda, un po' lunga (se ben ricordo), all'eletto Taradash. Taradash ha tentato una risposta, ma è stato subito interrotto dal giornalista, perché gli sembrava che avesse offeso il suo padrone (il giornale ove lavora). Taradash ha pazientemente aspettato di poter ricominciare a rispondere, poi ha ritentato, ma di nuovo ne è stato impedito dall'irruzione del giornalista che aveva di fronte. A questo punto il conduttore della tribuna Nuccio Puleo - a cui non affiderei il governo di un asilo d'infanzia, ma che mi ha comunque ricordato i miei anni giovanili, oltre che la favola del lupo e dell'agnello ha invitato il neo-deputato a non provocare il giornalista e lo ha minacciato di farlo parlare in fondo, da ultimo. Taradash si è alzato e più che giustamente se ne è andato via (non ho capito il perché del commento su questa uscita di un altro membro della corporazione dei giornalisti, Stefano Jesurum: Taradash «che platealmente abbandona gli studi di Tribuna elettorale perché si sente offeso dal moderatore o è un grandissimo villano o è un radicale doc» - che vuol dire? -). Quello poi che mi ha più disgustato (ripeto, ripeto: non ho forse capito niente dell'episodio? sospetto, e lo dico in perfetta buona fede, che mi sia sfuggito qualche particolare: altrimenti c'è da rimanere allibiti) è che surphce dei politici, degli eletti presenti ha protestato - ovviamente a favore di Taradash - solo il grasso e simpatico Jervolino, demoproletario napoletano. Gli altri no: capito? Ma avendo espresso un giudizio spregiudicato (avventato si dirà) sulle T V di Stato, mi tocca poi, onestamente, di dare piena ragione al sindacato dei giornalisti della RAI (Usigrai), «preoccupato» durante la campagna - ma è poco, anche se «profondamente preoccupato» - dei candidati che, al di fuori di ogni regola o legge o fair phy, hanno utilizzato radio e televisioni private contro altri candidati, che non avevano la stessa possibilità. Di più: i lavoranti in RAI-TV (di Stato), che si sono candidati, sono stati messi (si può dire così?) in aspettativa ed esclusi dal rapporto abituale con i cittadini diventati elettori; i colleghi di radio-televisioni private si sono potuti servire sino all'ultimo, al contrario, del loro strumento (o di uno strumento «amico»), spesso - sarebbe divertente, se non fosse sporco - surclassando più sprovveduti compagni candidati della stessa cordata politica, meno - come dire? - dotati. Anche qui il tema delle elezioni - nella fattispecie l'Europa - era «fuori quadro»: si GIUGNO 1989 cercava di influenzare .gli elettori - e non di rado ci si è riusciti, anche se non sempre con «argomenti» e metodi surrettizi. E un discorso grosso: attraverso una campagna per il Parlamento Europeo ci accorgiamo che la democrazia - per ora, che la «nostra ci-Lmocrazia» - funziona male e seleziona male, assai male, i suoi «quadri rappresentativi)). Candidature e candidati a parte, bisogna aggiungere - e qui conviene chiamare piuttosto in causa la stampa, e più particolarmente la stampa quotidiana - che i mass media hanno dato (ma dànno abitualmente) un'informazione assai parziale, «interessata», distorta sulle questioni europee. I giornalisti hanno poi l'abitudine di scrivere con un sussiego che poco si addice alla loro mediocrità - ma forse dipende da questa - e alla loro disinformazione - diciamo: alla loro frequente ignoranza - ~ull'ar~omento I1. 15 maggio il quotidiano «I1 Giorno» pubblica una corrispondenza di Giovanni Cervigni da Rimini, dove si svolge il congresso del Partito Repubblicano, al quale sono intervenuti il mio vecchio amico Henri Kissinger - si fa per dire, ma ricordo quand o nel 1953 mi invitò con qualche timidezza a cena a casa sua (ci si vedeva per altro tutti i giorni alla Harvard) - e Valéry Giscard d'Estaing. I due signori hanno parlato al congresso «a titolo personale»: «con la differenza, però» commenta i1 saputo Cervigni «che mentre Kissinger esercita tuttora una notevole influenza sul Dipartimento di Stato, il peso di Giscard sul Quai d'Orsay è praticamente nullo». I1 corrispondente del «Giorno» sarà più informato di me sulle cose americane, ma credo che oggi sia difficile quantificare il peso di Henri sul Dipartimento di Stato: quello che qui mi importa è sottolineare il giudizio circa il peso di Giscard «sul Quai d'Orsay». Cervigni sa o non sa del sottile giuoco di Mitterrand (e della difficile interpretazione che ne sta dando per lui Rocard, insididato dal segretario del suo stesso partito socialista, Mauroy) al fine di pervenire a un centro-sinistra francese, con chiara incidenza europea? e del complesso giuoco di Giscard, che continua ad appoggiarsi a Chirac - certo assai poco europeista - per tornare alla grande nella politica francese, dopo aver ottenuto in maniera autonoma un succes- so europeo? Ma Cervigni dopo averci rivelato che, alle porte delle elezioni europee, Giscard non conta niente, continua: «L'europeismo di Giscard è sembrato sconfinare nell'utopia quando ha ipotizzato l'evoluzione, in tempi relativamente brevi, dell'unificazione europea dal campo economico a quello politico.. .D. Ma come? Cervigni non si è accorto che Giscard stava parlando al congresso d i un partito che ha appoggiato - insieme a tutti quelli dell'arco costituzionale italiano, e non solo quelli - il referendum per un mandato costituente al Parlamento Europeo? e che per il mandato costituente (ma lo sapeva Cervigni?) si sono espressi tutti i partiti «storici» della Germania occidentale - nella Commissione esteri del Bundestag -? e che rientrando in Francia Giscard trovava un Presidente della Repubblica - appunto Mitterrand - che già il 24 maggio 1984, a Strasburgo, si era dichiarato a favore delllUnione politica europea e aveva appoggiato senza riserve il Progetto Spinelli, dicendo di parlare a nome di tutta la Francia? Poi Cervigni ha proseguito a ruota libera: «Utopia a parte, su un punto solo l'ex presidente francese è stato categorico: l'Europa che noi vogliamo non potrà nascere da un pasticcio socialstatalista, ma dovrà essere liberale, unita, pacifica ed indipendente. Dimostrando così una fiducia esclusiva nei meccanismi di mercato...». Piano, piano, per carità! Certo, l'ha ricordato anche Cervigni, Giscard è un liberale, ma non ha niente a che fare con la «liberista» Thatcher, ci fa venire in mente se mai il sopra ricordato Allais, liberista che ha sempre creduto in istituzioni adeguate al mercato: Giscard, tra l'altro, è accanto al socialdemocratico tedesco Helmut Schmidt l'animatore del Comitato per la moneta comune europea. Cervigni gli oppone il «tecnico» Savona, che pure «non è certo un liberista),: non so proprio cosa ne penserebbe il nostro Paolo, che è certo un pragmatico; ma conveniva spiegare con ben altra professionalità ai lettori del «Giorno» la posizione giscardiana, la cui influenza non è «praticamente» nulla, né in Francia né in Europa. Dopo aver parlato male dei mass media naturalmente ci sono le eccezioni: ma sono veramente tali -, torniamo a parlar male dei candidati e, con loro, dei partiti nazionali (metto quasi sempre l'aggettivo «nazionale» accanto al sostantivo «partito» per ricordare costantemente di un partito il limite, che non possiamo più accettare). Diversi partiti avevano già commesso un suicidio in partenza, non candidando alcuni dei migliori deputati uscenti di Strasburgo - deputati che, oltretutto, si erano guadagnati un notevole prestigio -: una scusa ripetuta da taluni di essi è che si trattava di fisiologica rotazione, in vigore tradizionalmente nel partito sempre e a tutti i livelli (ma è vero?). Poi si sono avute le candidature «appoggiate» di cui abbiamo già parlato: i non o i meno ufficialmente appoggiati, abbiamo appreso a elezioni europee avvenute, hanno dovuto sostenere, per riuscire, spese folli (ma come li avevano tutti questi denari? che ne dice il fisco? quale legge determina un controllo delle spese elettorali?); oppure si sono dovuti appoggiare a loro volta a corporazioni, basate su interessi particolari che niente avevano a che COMUNI D'EUROPA fare con la costruzione sovranazionale europea. Naturalmente fa eccezione l'ondata verde: che tuttavia, superando il puro momento emozionale, dovrà chiarire sempre meglio una sua coerente vocazione sovranazionale e, anche, che non si può intervenire a valle di certi fenomeni perversi, magari rinnegando genericamente l'industrialismo e il consumismo, ma occorrerà sempre di più - come spiegava un tempo Adriano Olivetti - operare una sintesi a priori di sviluppo economico e di pianificazione del territorio (o, in altri termini, occorrerà ~ r o d u r r eanzitutto il necessario, calcolando a priori che anche la qualità della vita è necessaria). A cose fatte, la prima constatazione è che la quasi totalità o la «larga maggioranza» (non voglio davvero offendere qualche amico valoroso, che si è salvato) dei migliori combattenti europei della passata legislatura di Strasburgo è stata trombata. Ci sono delle cadute di cui i rispettivi partiti, se esitesse il pudore, dovrebbero arrossire. Taluni miei amici federalisti si lamentano poi, tanto da pensare a torto, di orientare - nel futuro e sotto questo aspetto - diversamente la tattica elettorale del movimento federalista, dell'insuccesso di qualche candidato d a noi consigliato, perché «militante federalista iscritto»: certo, ciò dispiace e rende alcune nostre operazioni più difficili, ma il peggio è quel che abbiamo or ora indicato, cioè la caduta dei «buoni ex» - europeisti di partito, ma europeisti veraci - e, aggiungo, l'insuccesso di giovani leve «europeiste di partito». Detto in parole povere: per riuscire in un partito e averne l'appoggio non bisogna essere insistentemente europei (dà fastidio), ma occorre semplicemente essere servizievoli e ai scarsa personalità (anche l'intelligenza, la preparazione e la cultura dànno fastidio). Questo è insopportabile e va «riformato». Invece la «forza federalista» italiana - il complesso delle organizzazioni che hanno come primo obiettivo statutario la costruzione della Federazione europea (l'AICCRE, ad esempio) - può essere contenta di sé: ha mandato avanti il referendum di indirizzo con un'azione popolare, senza la quale iniziative parlamentari, già prese nello stesso senso, sarebbero rimaste insabbiate; e mentre appoggiava l'iniziativa referendaria è riuscita simultaneamente a dare all'opinione pubblica il sentore del nesso fra l'obiettivo del referendum (l'unione politica) e il mercato unico del 1993. Ora, per quanto almeno riguarda noi italiani, abbiamo un Parlamento Europeo formato da deputati più scadenti di prima o, quanto meno, formato da giovani inesperti: confidiamo che la funzione (l'esser parlamentare europeo) crei l'organo (un Parlamento Europeo composto di cellule idonee, cioè di deputati che stiano imparando a servire l'Europa). Mentre gli 8 1 eurodeputati italiani sono tenuti a rispettare il referendum di indirizzo, noi dobbiamo comunque coalizzare le forze democratiche a livello europeo e far sì che esse (il fronte democratico europeo) vigilino e premano sul Parlamento di Strasburgo. Come si diceva all'inizio: le sorti della Federazione europea coincidono sempre più con quelle della democrazia. m COMUNI D'EUROPA Strategia globale ed articolata per la Costituente europea (segue da pag. 2) turalmente, associazioni di ispirazione federalista) essa dovrà dunque confrontarsi e cooperare. La cosa ci sembra talmente intuitiva, e del resto ha caratterizzato sempre in passato l'azione dell'AICCRE, che non è il caso di insistere. Tuttavia una linea specifica di impegno ci sembra meritevole di essere sottolineata. I1 quesito proposto agli elettori italiani dal referendum del 18 giugno precisava che il progetto di Costituzione che sarà redatto dal Parlamento europeo sarà sottoposto direttamente alla ratifica dei Parlamenti nazionali. Sono questi ultimi sufficientemente informati e coinvolti in questa prospettiva? O non rimangono in prevalenza ancorati ad una visione «dualistica» - il Parlamento europeo da una parte, quello nazionale dall'altra - come compartimenti stagni, quando invece la realtà europea e quella interna si intrecciano sempre più non solo sotto il profilo delle materie oggetto di intervento ma anche per la profonda connessione che, in un ordinamento democratico ormai europeo, deve legare i vari livelli istituzionali? Al Parlamento nazionale e ai suoi gruppi politici dovrà dunque essere rivolta un'attenzione particolare. Si pensi, ad esempio, al rilancio dell'Intergruppo in seno al nostro Parlamento per favorire e stimolare il governo e i partiti ad agire coerentemente sulla via della Costituzione europea. Non si trascuri la previsione che la Conferenza decisa dal recente Consiglio europeo di Madrid per fissare le fasi successive della realizzazione dell'unione economica e monetaria venga convocata nel periodo di Presidenza italiana della Comunità nel secondo semestre 1990: di qui le responsabilità particolari che nel nostro paese e sulle sue istituzioni e sulle sue forze politiche incombono nei prossimi mesi. d) E , per finire, l'impegno più specifico dell'AICCRE verso i rappresentanti eletti di Comuni, Province e Regioni. L'affermazione sembra banale e scontata: ma ci sono alcuni elementi di novità anche in questo rapporto tra I'AICCRE e i suoi soci che sono stati giustamente sottolineati nella riunione del 9-10 febbraio 1989 (chiamata, per comodità, 1'Attivo dell'Associazione) della quale il numero di aprile 1989 di «Comuni d'Europa» ha offerto un sostanzioso e fedele resoconto. La campagna lanciata dall'AICCRE in vista delle elezioni del P.E. e del Referendum ha trovato un'eco soddisfacente negli Enti territoriali del nostro paese, ben superiore a quella manifestatasi in altri paesi membri. Con provvedimenti legislativi, con prese di posizione nei Consigli elettivi, con manifestazioni varie, con pubblicazioni ad hoc, con dibattiti pubblici, Regioni, Province e Comuni hanno aperto, durante il periodo preelettorale, qualche spiraglio significativo nella cortina, ahimé così densa, dell'indifferenza per i temi europei o, peggio, della loro tenace subordinazione alle questioni, non sempre poste in giusti termini, di cucina nazionale. Si è dunque messo in luce, durante la campagna in vista del 18 giugno, un potenziale prezioso che va coltivato ed accresciuto. Un «giacimento» (per usare un termine di moda) da alimentare e da utilizzare, non considerando chiusa la campagna e le sue iniziative col voto di giugno, ma proseguendo lo sforzo e l'impegno alla luce del dopo elezioni e delle esigenze e dei traguardi ai quali si è fatto cerino qui sopra. I gemellaggi - ora sostenuti da un apposito Fondo comunitario - avranno un crescente ruolo da svolgere in questa prospettiva. Non ripeteremo cose tante volte dette né rifaremo l'elenco delle cose da fare: insisteremo piuttosto sull'ottica che dovrà presiedere alle varie iniziative, fatta di particolare attenzione per le specifiche preoccupazioni degli amministratori locali e regionali e dei loro concittadini, alle quali una risposta «europea» va prospettata, chiarita nei suoi contenuti, collegata con le profonde trasformazioni della Comunità attuale in Unione europea. È un problema di fondo costante, ma un'occasione assai prossima potrà servire da cartina di tornasole per la nostra Associazione: le prossime elezioni comunali, provinciali e regionali che si prevedono, pare, per l'aprile del 1990. Sarà un momento importante per I'AICCRE per dimostrare la sua capacità di elaborazione programmatica che sappia individuare e valorizzare le problematiche locali in vista del mercato unico del 1993 e nella prospettiva dell'unione europea che rimane l'obiettivo essenziale. I prossimi mesi accentueranno questo orientamento e richiederanno alla nostra Associazione un adeguamento di capacità operative e di stretto collegamento, anche tramite il nostro Ufficio di rappresentanza a Bruxelles, con il Parlamento e con la Commissione Esecutiva della Comunità che registra un intensificarsi di iniziative, di proposte e di produzione normativa di diretta incidenza sugli Enti territoriali. È nostro compito valutare con sensibilità politica, oltre che con competenza, questo complesso sovraccarico di informazioni, di proposte e di potenzialità finanziarie canalizzandolo anche in quel Consiglio consultivo che il CCRE ha sempre auspicato e che da alcuni mesi è divenuto realtà: anch'esso di g a n d e significato in quanto si affermi quale organismo politico, non tanto di gestione tecnica, e che l'AICCRE, per la sua parte, si impegna a potenziare nell'interesse delllEuropa e delle autonomie. m GIUGNO 1989 la questione tedesca La risposta al problema dell'identità politica: superare con l'Europa il demone nazionalista di Luigi V. Majocchi * «La Germania che dovrebbe essere in senso politico indivisibile - scrisse Jaspers - è il territorio dello stato bismarkiano la cui durata è stata di soli 75 anni». Il fatto che questo stato sia esistito non costituisce di per sé un diritto a ricostruirlo, tenendo conto che altre popolazioni tedesche non ne hanno mai fatto parte. L'obiettivo è diverso e accomuna tutti i popoli europei che hanno intrapreso la strada del superamento della formula dello stato nazionale Qualche federalista ha osservato, in occasione del referendum del 18 giugno, che il mandato costituente al Parlamento europeo, se conferito, non sarebbe il primo nella storia dell'unificazione europea e ha ricordato la decisione presa dal Consiglio dei ministri della CECA il 10 settembre 1952, quando, per iniziativa di De Gasperi, «i membri dell'Assemblea della CECA sono [stati] invitati, ispirandosi ai principii dell'articolo 38 del Trattato istitutivo della CED, ... a elaborare un progetto di Trattato istitutivo di una Comunità politica europea». In quella occasione De Gasperi aveva potuto contare sull'appoggio senza riserve di Adenauer grazie al quale aveva potuto sormontare le difficoltà determinate dalle perplessità, in verità per nulla estemporanee, di Schuman e dalla pochezza di Sticker, Van Zeeland e Bech. Non diversamente le cose erano andate in occasione della storica riunione che lo stesso Consiglio aveva tenuto a Strasburgo 1'11 dicembre 1951, quando De Gasperi ottenne che nel Trattato C E D fosse inserito un articolo - l'articolo 38 - che attribuiva all'Assemblea il compito di studiare le modalità della sua elezione a suffragio universale diretto, i poteri da conferirle e la riforma delle istituzioni. Quella decisione affermava inequivocabiimente il principio costituente, cioè ii principio democratico: la Comunità politica non poteva che costituirsi mediante il consenso popolare e cioè il voto europeo e il mandato costituente ai rappresentanti del -popolo europeo. -Gli atteggiamenti, assunti in quella circostanza dagli Stati che parteciparono sin dall'inizio al processo d'unificazione europea, non sono da ascriversi al caso. Non è difficile, infatti, sia cogliere nel corso dell'intero processo alcune costanti nella condotta dei diversi Stati che ne furono attori, quasi si trattasse di un «gioco delle parti» che ciascuno Stato era indotto a interpretare, sia identificarne le ragioni. Proprio nell'occasione che abbiamo testé ricordato, questo «gioco delle parti» era risultato assai limpido. La Francia, che al termine della guerra aveva visto riconosciuto il suo diritto a sedere, seppur con le ossa rotte, al tavolo dei vincitori, era cosciente di poter riconquistare una statura internazionale pari al suo ruolo e alla sua storia solo mediante una più stretta collaborazione europea in nome della quale avrebbe potuto rivolgersi con autorità al resto del mondo; ma, gelosa della propria sovranità, non poteva concepire questa errtew* Responsabile formazione quadri del Movimento federalista europeo GIUGNO 1989 te che in termini di cooperazione. Quando dunque il nuovo equilibrio bipolare assunse contorni nitidi con l'aggressività staliniana e la decisione americana di «contenerla» (Dottrina Truman, 11 marzo 1947), a fronte del problema della ricostruzione della Germania che era il bastione più esposto della sicurezza occidentale, fu proprio la Francia a promuovere la nascita della Comunità proponendo (Piano Schuman, 9 maggio 1950) il controllo di un'autorità europea sul carbone e sull'acciaio pur d'impedire alla Germania di rimettere le mani sulle fonti della sua industria pesante e della sua potenza militare. E , quando nell'estate del '50 scoppiò la guerra di Corea e gli Americani, costretti a dislocare le proprie forze sul fronte orientale, chiesero il riarmo della Germania, fu sempre la Francia a proporre (Piano Pleven, 24 ottobre 1950) la costruzione d'un esercito comune con la stessa formula comunitaria, una formula che, nella filosofia di Monnet, avrebbe dovuto condurre gradualisticamente alla federazione europea, ma che, assai più realisticamente, nella filosofia di Schuman altro non era se non la versione moderna delia collaborazione internazionale e, sul terreno prettamente militare, delle coalizioni tradizionali. L'interesse della Francia, dunque, cioè la sua ragion di stato, l'ha spinta, nell'intero corso del processo, ad assumere l'iniziativa; un'iniziativa di pretto carattere confederale, ma a cui merito va ascritta gran parte dei passi compiuti sulla strada dell'unificazione. Basti ricordare al riguardo l'estensione all'agricoltura dell'unione doganale sino alla fissazione di prezzi comuni e il Sistema monetario europeo sino al tentativo in corso di pervenire all'istituzione di una Banca centrale europea. Se questo fu dunque il ruolo della Francia, ugualmente netto e specularmente opposto è risultato quello del Regno Unito. Anch'esso era uscito dalla guerra vincitore, ma con l'illusione di poter svolgere ancora una funzione mondiale: nell'immediato dopoguerra nelle vesti autonome di terza potenza, negli anni '60 in quelle d'interlocutore privilegiato degli Stati Uniti. Fu quest'illusione che portò il Regno Unito a schierarsi costantemente contro le iniziative francesi negli anni '50 e '60 - e pertanto a non aderire alla Ceca, a opporsi alla Ced, a non firmare i trattati d i Roma, etc. e, una volta rilevatasi vana quell'illusione a fronte dei perentori successi dell'integrazione, a subire il processo svolgendovi una funzione attiva di carattere negativo che si manifesta ancora oggi. Tanto il ruolo di Francia e Regno Unito è dunque autonomo e attivo, quanto quello d'Italia e Germania è chiaramente subordinato, ma non per questo passivo. Entrambe sconfitte nel corso dell'ultima guerra, entrambe giunte all'unità nazionale da meno d'un secolo e pertanto assai meno avvelenate dalla sem- Ludwig Meidner, espressionista, Rivoluzione (Lotta sulla barricata). 1913. Olio su tela COMUNI D'EUROPA pre più insulsa retorica patriottarda, Italia e Germania erano assai più disposte a cessioni di sovranità. Per la Germania, spartita in zone d'occupazione, si trattava del resto di rinunziare a qualcosa che non aveva più. Non fu dunque un caso se De Gasperi ascoltò i federalisti che denunziavano l'assurdità della pretesa di costruire un esercito senza stato e decise di battersi per la costruzione democratica del potere europeo. È vero che quest'iniziativa s'innestava in quella francese di carattere confederale, ma per inserirvi il carattere innovativo del salto politico nella federazione. E non fu neppure un caso se Adenauer fu il primo a sostenere De Gasperi senza riserve fino al conferimento del mandato costituente all'Assemblea ad hoc. Quanto ai tre Paesi del Benelux, con qualche sporadica eccezione per il Belgio, essi hanno per lo più seguito, a cagione della loro dimensione e del loro peso politico, il corso degli avvenimenti. Se ci si è soffermati così diffusamente su questo precedente storico non è solo per la straordinaria importanza che esso ha nella lotta federalista, ma anche per rilevare che, se per quanto concerne Francia, Regno Unito, Italia e Benelux, questo copione s'è riproposto più volte nella storia dell'unificazione europea, non così è stato per la Germania. Nella battaglia per trasformare la Comunità europea in una vera unione democratica e federale, i tedeschi, sia nell'azione del loro governo che in quella dei parlamentari europei, si sono distin ti, se si prescinde dalle forze dichiaratamente anti-europee, per la più convinta adesione all'Atto unico e quindi per il sabotaggio del progetto Spinelli, così come si sono distinti per la più sussiegosa indifferenza di fronte all'iniziativa italiana del referendum. Rispetto a questi atteggiamenti, la cocciuta diffidenza della Bundesbank e d i Stoltemberg verso il rafforzamento dello S M E e il maggiore utilizzo deil'ECU, una diffidenza protrattasi per lunghi anni, fanno soio sorridere. Cos'è successo? Molte cose, certamente. Ma fra tutte, una. Caduta la C E D di fronte al Parlamento fraricese il 30 agosto 1954, Eden, che s'era costan temente battuto per impedirne la nascita, s'affrettò a proporre l'estensione a Italia e Repubblica Federale del Patto di Bruxelles, un'alleanza militare tradizionale che includeva Francia, Regno Unito e Beneiux e che era stata esplicitamente concepita per strappare approvvigionamenti militari a costo più basso dagli Americani («dietro questa comune questua di armi», scriveva Spinelli nel 1948, «non vi è nulla: né un piano comune, né un potenziale militare rispettabile»). La Conferenza di Londrz, convocata da Eden il 27 settembre 1954 e conclusasi con eccezionale speditezza, apriva la strada alla firma dei trattati di Parigi del 23 ottobre che davano vita alllUEO, Unione europea occidentale, un'organizzazione che, a dispetto dei ricorrenti tentativi di rilanciarla, nacque morta ancor prima d'esistere, ma che poteva fregiarsi del riarmo tedesco e deila reintegrazione a pieno titolo della sovranità tedesca. Da quel giorno, la Germania, se si costituisse l'Unione europea, dovrebbe anch'essa rinunziare a qualcosa. Ma, ed è ciò che più importa, da quel giorno la Germania, divenuta, come diceva Spinelli, «uno stato nazionale sovrano parziale», ha accettato con un'insofferenza sempre peggio celata uno stato di minorità, quello stato che l'obbligava a una divisione nazional e che appariva sempre più ingiusta perché ritenuta innaturale. La parola d'ordine «wiedervereinigung», la riunificazione, non è più stata solamente bisbigliata, ma proclamata con crescente insistenza e con sempre minor imbarazzo. Non è qui il caso di riassumere in poche righe la storia della politica tedesca di questo secondo dopoguerra. Sarà sufficiente indicarne il risultato e cercarne qualche spiegazione. Dice Kohl: «La Germania divisa è una ferita aperta» (Il Corriere della Sera, 13 giugno 1989). La fedeltà atlantica e l'impegno europeo non sono affatto messi in discussione. Essi rimangono bastioni della sicurezza tedesca, ma sono apertamente indicati come eccellenti presupposti di un'efficace politica di riunificazione. Anche Helmut Schmidt la pensa così: «L'Unione Sovietica rimane l'unica potenza mondiale del nostro continente che conserva la sua potenza solo grazie allo schiacciante peso della sua grandezza. Ecco perché abbiamo bisogno anche nel futuro dell'Alleanza Atlantica e della Comunità Europea. Quanto più stretto è il legame che ad esse lega la Repubblica Federale Tedesca, quanto più la Comunità Europea diventa un'unità economicamente e politicamente operativa, tanto più grand e è l'attrazione che esercita sull'Est e tanto più grande è la possibilità che tutti i Tedeschi abbiano di nuovo una buona volta un solo tetto» (Il Corriere della Serg, 1 1giugno 1989). Persino il leader dei federalisti tedeschi, Gerhard Eickhorn, pur convinto che «supporre che quaisiasi situazione storica possa essere riprodotta è contrario alla storia», ritiene che «la questione tedesca è aperta e deve rimanere aperta». E , commentando la sentenza della Corte costituzionale in merito al Grundlagen-. vertrag tra la RFdG e la RDT, una sentenza che concludeva osservando che «Lisogna evitare tutto ciò che possa pregiudicare la riunificazioneo, afferma - bontà sua - che «qilest'obbligo è compatibile con una decisa politica rivolta all'unificazione dell'Europa» («Riuniiicazione tedesca e unità europea», in Il Fedevalista, 1989, T , p. 44). Ciò che va subito detto è che le tre dichiarazioni cui s'è fatto riferimento non sono stat e scelte a caso. Si tratta, infatti, di dichiarazioni in cui l'obiettivo della riunificazione è proposto sempre con estrema cautela e unitamente ad altri che in qualche modo dovrebbero subordinarlo. Nel caso di Kohl e Schmidt, che si sono espressi così in occasione della recente visita d i Gorbacev a Bonn, alle consuet e riaffermazioni delle solidarietà atlantica ed europea, si unisce persino un giudizio alquanto positivo s d a perestroika e sui progetto deiia «Casa comune». Non ci troviamo, dunque, in presenza di sprovveduti nostalgici. Nel caso di Eickhorn poi dovrebbe essere io stesso carattere del suo impegno federalista a fornire il quadro esplicativo della sua dichiarazione. Ep- pure, persino per Eickhorn, la riunificazione è «l'obbligo» e l'unificazione europea «una compatibilità». Ora, se Eickhorn pensa così, viene spontaneo chiedersi cosa possano pensare gli altri tedeschi. Sappiamo che almeno un tedesco, e particolarmente autorevole, ha pensato diversamente. Si tratta di Karl Jaspers che, nel suo volume «La Germania tra libertà e riunificazione» del 1961, riferendosi a una dichiarazione dell'ex-presidente della Repubblica Heuss (secondo cui l'espressione «Germania indivisibile» contiene «un duplice pathos: anzitutto il pathos derivante d; tradizioni spirituali comuni create dal passato per entrambe le Germanie, e perciò un senso di sicurezza radicato nella coscienza del passato; in secondo luogo una rivendicazione morale rivolta al mondo. I due elementi devono vibrare in quest'espressione»), così osserva: «Entrambi [questi elementi] devono invece esser visti in modo diverso, se si considerano nel contesto di pensiero che finora mi appare convincente. Questa Germania, che dovrebbe essere in senso patetico indivisibile è il territorio dello stato bismarkiano, la cui durata è stata di soli 75 anni. È la «piccola Germania», di fronte a quella «grand e Germania» che riempie la nostra anima e che esiste da mille anni. Quest'ultima ha prodotto molte formazioni politiche, non fu mai un'unità nel moderno senso nazionale (come la Francia e l'Inghilterra), ha corrisposto più o meno alla regione delllEuropa centrale abitata e plasmata da uomini di lingua tedesca, quell'Europa centrale (che a un certo momento della prima guerra mondiale Friedrich Naumann ebbe innanzi agli occhi in una grandiosa visione politica nutrita di speranze romantiche) con i suoi paesaggi tedeschi, con la sua storia molteplice e le sue molteplici patrie! Le «tradizioni spirituali» cui allude la «Germania indivisibile» si riferiscono ad un breve periodo, che è stato spiritualmente un periodo di lento declino malgrado i suoi numerosi grandi uomini, i quali tutti, senza eccezione, avevano in sé qualcosa d'imperfetto e di non rappresentativo per «piccola Germania» che si era battezzata «Reich». Questa Germania della nostra gioventù aveva ancora possibilità di diventare tutt'altra cosa e guardava perciì? al iuturo ancora con speranza. Oggi la nostra anima è ancora dominata dalla presenza di questa Germania determinata, limitata, che nor, entra né spiritualmente né moralmente nel novero delle grandi epoche, e che non esiste più. I1 secondo elemento, «la rivendicazione morale verso il mondo» mi sembra qui fuori iuogo. Rivendicazione morale è quella delia solidarietà fiduciosa nella comune auto-affermazione; è quella della libera auto-determinazione derivante da questa solidarietà. La differenza tra gli interessi particolari tedeschi e gli interessi del mondo libero nel suo insieme che coincidono quando si tratta realmente dell'essenziale - ha trovato qualche tempo fa la sua espressione i n una frase del cancelliere federale [Adenauer] il quale diceva all'incirca: «nella questione della difesa incondizionata di Berlino non si tratta in prima linea del destino di due milioni e mezzo di berlinesi, ma di GIUGNO 1989 sapere se l'occidente mantiene la sua parola». Qui era in gioco «una rivendicazione morale verso il mondo». Pretendere invece aiuto per ristabilire l'unità politica entro i confini dello stato bismarkiano non lo è. Il fatto che questo stato sia esistito non costituisce un diritto morale, dopo tutto quel che è accaduto. Al contrario, il risultato finale getta retrospettivamente un'ombra sullo stato bismarkiano stesso. La rivendicazione morale ed il suo adempimento hanno il grado di serietà delle decisioni in cui sono in giuoco la vita e la morte. Tutto si disgrega se tale rivendicazione è fatta nel punto sbagliato» (pp. 3 1-33). Queste meravigliose sentenze sono il prodotto della pacata riflessione d i un grande saggio che è per altro rimasto, su questo terreno, disperatamente isolato. Ma i tedeschi democratici - non parliamo dei federalisti - debbono rendersi conto che solo parlando questo linguaggio possono cancellare il sospetto che ingenera in ogni uomo libero, in Europa e nel mondo, il solo evocare, non importa con quanti distinguo, lo spettro della «riunificazione» o, per usare ancora le parole di Jaspers, i1 sospetto che la «riunificazione sia la conseguenza del fatto che i tedeschi non vogliano riconoscere quel che è avvenuto» (ibidem, p. 139). Questo giudizio di Jaspers può apparire troppo drastico e sembrerebbe sufficiente richiamare il discorso di Jenninger pronunziato nel quarantesimo anniversario della «notte dei cristalli» per contraddirlo. Come noto, in quella circostanza Jenninger denunziò con nobiltà e coraggio i crimini del nazismo e le aperte corresponsabilità di cui il regime poté avvalersi. Pure a una lettura attenta del testo non sfuggirà come anche quelle posizioni non riescano a fugare il sospetto che i tedeschi non abbiano fatto i conti con il loro passato sino in fondo. Si tratta di un sospetto che, paradossalmente, nasce non quando i tedeschi pretendono con arroganza di restaurare la propria potenza d'un tempo, ma piuttosto quando si cospargono il capo di cenere. Basta al riguardo considerare la soluzione che ancor oggi si dà alla «questione della colpa» d a chi pur apertamente rifugge da ogni nostalgia del passato, una soluzione che finisce sempre per imputare una misteriosa responsabilità collettiva a un altrettanto misterioso soggetto collettivo. Sotto questo profilo, l'analisi di Jenninger è semplicemente paradigmatica. Egli afferma che Auschwitz è «una parte incancellabile della storia dei tedeschi» (e quindi anche delle vittime del nazismo) e può farlo solo perché identifica questa «storia dei tedeschi», quella che ne costituirebbe l'identità, con quella dello stato nazionale tedesco, cioè con la storia di quell'unità, nient'affatto naturale ma costruita dalla politica, che con Bismark si è costituita tra la nazione (un fatto culturale, linguistico, etnico, cioè in sé non politico) e lo stato (il soggetto della politica di potenza). Jenninger così dimentica che fu proprio quell'unità a determinare nei tedeschi la coscienza ideologica nazionale (una coscienza mistificata, il nazionalismo) e a soffocare in essi quella che la loro nazione - una grandiosa Kulturnation - non è mai coincisa, né prima né dopo la fondazioGIUGNO 1989 Kathe Kollwitz, espressionista, Foglio in ricordo di Karl Liebknecht. 1919/20. Xilografia ne del I1 Reich, con la comunità politica. Eppure questa coscienza era la sola che corrispondesse ai fatti. E ciò non solo perché Kant apparteneva contemporaneamente alla Germania e alla «res publica europaea literatorum», scriveva indifferentemente nella lingua di Lutero e in quella di Orazio, era figlio insieme di Leibniz e di Rousseau; ma anche perché la nazione tedesca è certo quella di Cranach e Holbein, Bach e Beetlioven, Hoelderlin e Goethe, Hegel e Marx, ma è anche quella di Musi1 e Burckhardt, Frisch e Husserl, Schoenberg e Freud, Popper e Von Mises, e persino Kafka e Lukàcs. Ricordare questi connotati della nazione tedesca, anche se solo per rilevare l'assurdità d'imputare a questo soggetto «la colpa della Germania», può apparire persino banale. Lo è certo assai meno notare che anche il concetto di popolo tedesco (i cittadini dello stato tedesco) è un concetto storico. Già Jaspers ci ha ricordato la distinzione tra piccola e grande Germania; ma, ripercorrendo a ritrosi la storia del I Reich, cioè del Sacro impero romano-germanico che rimonta all'età degli Ottoni, troviamo che ne furono cittadini quelli che oggi chiameremmo belgi, francesi, italiani, jugoslavi, ungheresi, cecoslovacchi, polacchi etc. e che questo concetto non acquistò contorni definiti e stabiliti neppure con la fondazione del I1 Reich alla fine del conflitto franco-prussiano. Basti ricordare al riguardo che nel 1871 alsaziani e lorenesi ne facevano parte, ma che, con la pace d i Versailles, essi tornarono alla sovranità francese. Sarebbe dunque questo «popolo» dai confini così indefiniti il soggetto della «colpa»? Se così fosse varrebbe anche in questo caso quanto Hegel diceva dell'Assoluto di Schelling che, proprio perché concettualmente indefinito, era «come la notte in cui tutte le vacche sono nere». Ma il fatto è che, proprio perché si tratta di cose così terribili come quelle evocate dall'espressione «colpa della Germania», affermare che «tutte le vacche sono nere» ha oggettivamente il significato di uno sbrigativo espediente assolutorio. Queste considerazioni sono molto importan- ti per chiarire nei suoi termini fondamentali la questione della riunificazione. Come quella della colpa, anche questa assume contorni precisi solo nel momento in cui s'indichi senza ambiguità chi sono i tedeschi in gioco, cioè quelli che s'intende riunificare. Ma basta accingersi al compito per restarne inorriditi. E d è forse proprio questo ciò che spiega le reticenze dei tedeschi al riguardo. Vediamo perché. Le ipotesi possibili sono soltanto due. Se il termine «wiedervereinigung» è riferito alla «Kulturnation», il progetto politico che può realizzarla è solo quello auspicato da chi, ispirandosi al «pangermanesimo», perseguiva l'annessione alla Germania di tutti i territori abitati da tedeschi, a cominciare dai Sudeti. E basta formulare la questione in termini per richiamare alla mente come questo progetto si sia perfezionato con il disegno di metter sotto il tacco l'intera Europa e concluso con l'annientamento della Germania e la fine del sistema europeo degli Stati. Se, viceversa, ciò che si vuole riunificare non è la «Kulturnation», ma il «popolo tedesco», questo, in difetto d i ulteriori determinazioni di carattere storico, non è se non l'insieme dei cittadini organizzati da una statualità che in qualche modo si richiama alla Germania, e cioè la RFdG e la RDT, una statualità i cui confini giungono oggi sino all'Elba e che domani potrebbero giungere sino alla linea dell'oder-Neisse, cioè ai vecchi confini del I11 Reich. Basta tradurre la cosiddetta «rivendicazione morale», cui non paiono insensibili neppure Kohl, Schmidt e Eickhorn, in questa espressione empirica e non ambigua perché il «sospetto» degi uomini liberi in Europa e nel mondo divenga «paura», la paura sacrosanta di chi non ha dimenticato e non può dimenticare la catastrofe della seconda guerra mondiale e il nazismo, e cioè quella tragedia che ha mostrato a qual punto possa condurre la negazione del sistema etico dell'occidente. I1 miglior consiglio che si possa dare ad amici tedeschi è che di questa paura occore quanto meno tener conto. I federalisti hanno, più di chiunque altro, titolo per rivolgersi ai tedeschi in questi terCOMUNI D'EUROPA mini perché sono i soli ad aver capito come sia frutto esclusivamente dell'ignoranza storica la demonizzazione non solo della nazione tedesca, ma persino dello stato tedesco. Sulla scorta del grande insegnamento di Ludwig Dehio, essi sanno che non la Germania, ma il sistema europeo degli Stati fu il motore del processo storico europeo nell'età moderna e contemporanea. Questo sistema è stato acutamente descritto dal grande storico tedesco come una situazione non solo caratterizzata da ricorrenti tentativi egemonici sempre contrastati dalle forze dello stesso sistema tese a ricostituire l'equilibrio, ma che ha manifestato anche il volto demoniaco del potere ogni volta che la potenza egemonica è stata tratta ad abbandonare la via cauta della ragion di stato e a precipitare negli abissi della volontà di potenza. Sotto il primo profilo, il tentativo egemonico hitleriano non fu diverso da quelli di Filippo 11, Luigi XIV, Napoleone e Guglielmo 11. Se i suoi aspetti demoniaci furono così marcati da apparire di natura diversa, è solo perché Hitler potè valersi della miscela esplosiva di nazionalismo e di tecnologia distruttiva moderna e perché, giunto ormai all'agonia il sistema europeo degli stati, si trovò a confrontarsi con le nuove potenze del sistema mondiale degli stati. E fu proprio quest'intreccio d'elementi che esaltò la volontà di potenza sino a quella follia demoniaca che l'umanità non aveva sino ad allora conosciuto. Secondo Dehio, dunque, la Germania altri non sarebbe se non una tragica Maddalena, vittima di un destino che era in larga parte segnato e che la condusse, sempre più ostinata e insieme sempre più cieca, sino alla distruzione finale. Ma questa spiegazione, una spiegazione che, imputando correttamente al nazionalismo la catastrofe europea, redime i tedeschi non personalmente coinvolti nel nazismo da una colpa che non hanno, non può giustificare la richiesta di resuscitare quello stato che cagionò la catastrofe e la sottintesa riaffermazione di quel principio - il nazionalismo - che di quello stato costituì la legittimazione. Se ne sia più o meno consapevoli, chiedere la riunificazione tedesca, a voce più o meno sommessa, con argomentazioni accompagnate da un numero maggiore o minore di subordinate, vuol dire esattamente questo e nient'altro. Con molta buona volontà, si può concedere che, quando Adenauer si pronunziava per la riunificazione, l'espressione, a dispetto di quanto s'è detto, avesse in qualche modo il carattere d'una rivendicazione morale. Negli anni '50 almeno undici milioni di tedeschi orientali erano migrati nella Repubblica federale lasciando al di là della cortina di ferro non solo la propria terra, i propri ricordi e le proprie tradizioni, ma anche affetti e cose. Quella generazione, così profondamente lacerata dalla violenza della politica, è oggi ormai tramontata. Per questo la parola «wiedervereinigung» pronunziata ora da un qualsiasi tedesco non evoca più il dramma umano di tante persone costrette all'esodo e il prezzo che esse hanno dovuto pagare alla spartizione del mondo in due zone d'influenza il cui confine s'è venuto a collocare tra la terra dei loro natali, e talvolCOMUNI D'EUROPA ta anche dei loro cari, e quella dove hanno trovato il pane e la libertà. Oggi, in uno stato tedesco che denuncia sempre più scopertamente la contraddizione tra il proprio status di agigante economico» e quello di «nano politico», «wiedervereinigung» è proprio la formula che risolve quella contraddizione. Questo però non è che un modo garbato, ma non per questo meno inquietante, di riproporre l'obiettivo della potenza tedesca e di evocare con questo tutti gli spettri del passato. I1 mondo ha tirato un respiro di sollievo quando, ricorrendo il centenario della nascita di Hitler, la Germania se l'è cavata con qualche folkloristico raduno di nostalgici e qualche patetica commemorazione di cancient combattants». Non è di queste cose che si deve temere. I1 punto è un altro. E d è un punto che accomuna tutti i tedeschi agli europei che, con l'avventura intrapresa il 7 maggio 1950, si sono messi sulla strada del superamento storico della formula politica dello stato nazionale. Con il compimento costituzionale della Comunità, cioè con la sua trasformazione in una vera e propria federazione, gli europei chiuderanno davvero e per sempre l'età storica del nazionalismo, quella in cui il potere politico era considerato legittimo solo quando era espressione della nazione, a dispetto delle ambiguità, per non dire del carattere ideologico, che questo termine ha sempre avuto nell'universo di discorso della politica. Con l'unificazione delle grandi nazioni della storia moderna e contemporanea, l'Europa fornirà al mondo intero un modello che è destinato a incidere sul corso degli avvenimenti quanto l'affermazione del principio nazionale ha inciso ovunque nell'età che è seguita alla Rivoluzione francese. È evidente infatti che, se francesi e tedeschi possono, pur nel rispetto delle proprie identità nazionali, obbedire a una comune legge democraticamente posta e liberamente accettata, non si vede perché domani non potrebbero fare altrettanto iraniani e iracheni, palestinesi e israeliani, dopodomani tutti i popoli dell'tifrica e dell'America latina, e dopodomani l'altro tutti i popoli della Terra. L'Europa dunque, con l'affermazione storica del federalismo, negherebbe definitivamente il principio deli'orda e affermerebbe quello dell'ordinata convivenza della famiglia umana attraverso la molteplicità delle sue espressioni. Pretendere d'insegnare ai tedeschi, e soprattutto ai federalisti tedeschi, queste cose sarebbe presuntuoso e ingiusto. Ma forse non è arbitrario dire che non le hanno comprese sino in fondo. Se ci sbagliamo, essi hanno ampie facoltà di provarlo. Sarebbe sufficiente al riguardo rispondere con argomenti plausibili ad alcuni interrogativi. Eccoli. È vero che i tedeschi hanno abbandonato la Dottrina Hallstein, che ora chiamano la Germania orientale RDT e non più «Die Zone»; ma perché continuano a chiamare «Grundgesetz» la loro costituzione, se non per sottolinearne il carattere di provvisorietà in vista della vera e propria costituzione, quella che dovrà darsi il popolo tedesco una volta riunificato? E ancora: se si vuole prescindere dalla Svizzera, che pur potrebbe considerarsi con non poche ragioni uno stato tedesco con forti minoranze alloglotte, esistono oggi, non due, ma almeno tre stati tedeschi: la RFdG, al RDT e la Repubblica federale austriaca. Ebbene, che cosa rende i tedeschi della R D T più tedeschi degli austriaci? Forse che un renano è accomunabile sotto più profili a un prussiano che un bavarese a un salisburghese? E, se si tratta, come si diceva con ben maggiore credibilità nell'età di Stalin o Breznev che in quella di Gorbacev, di un questiÒne di libertà, perché la libertà dei tedeschi della RDT dovrebbe essere più importante di quella degli ungheresi, dei cecoslovacchi, dei rumeni, etc.? La verità è che a questi interrogativi non vengono date risposte per il semplice fatto che non è possibile trovare il bandolo della ragione nella matassa dell'irrazionale. Ma se vogliamo aiutare i tedeschi a ritrovare quel bandolo dobbiamo dir loro, e nel modo più diretto, che, agli orecchi d'un federalista italiano, la pretesa di riunificare i tedeschi suona, sotto il profilo morale e politico, altrettanto infondata quanto lo suonerebbe quella, che neppur Mussolini avanzò con soverchia convinzione, di ricondurre a unità gli italiani della nostra Repubblica e quelli del Canton Ticino, o quella d'unire la Vallonia alla Francia e le Fiandre ai Paesi Bassi. E va precisato che queste pretese suonerebbero ugualmente infondate anche se fossero accompagnate dalla riaffermazione ormai rituale del principio di autodeterminazione, un principio che anche Eickhorn invoca e che per altro resta altrettanto ambiguo quanto quello della riunificazione sinché, precisandone il soggetto, non si disvela l'effettiva natura dell'operazione politica per la cui legittimazione è invocato. Se poi vogliamo aiutare i federalisti tedeschi, dobbiamo dir loro che, lasciando gli italiani a combattere da soli per il riconoscimento del diritto democratico di scegliersi con l'Europa una comunità politica diversa dallo stato-nazione e capace d'affermare, insieme alla libertà a l l ' e g ~ a ~ l i a n ze aalla giustizia, il valore della pace - questo è il senso profondo del referendum costituente e questa è la sola autodeterminazione che possa esser invocata da un federalista - hanno perduto un'eccellente occasione per affermare che non ci sono compromessi possibili tra nazionalismo e federalismo e che, solo combattendo per affermare questo, si strappano definitivamente le radici di quello. L'idolo nazionale, che non è ancor morto neppure nelle loro coscienze, è ciò che li induce in errore sia nella visione del futuro che nella comprensione del passato. Se, come appare evidente, si tratta d'un classico caso di «natura pratica dell'errore teorico», la strada che conduce alla verità è solo quella della lotta per distruggere, con il federalismo, quell'idolo. I1 giorno in cui decideranno di mettersi davvero su questa strada, essi capiranno che ai7t.varagione Karl Jaspers quando diceva che «gli interessi particolari tedeschi e quelli del mondo libero» (oggi si dovrebbe ormai dire «del mondo» tout court) «coincidono quando si tratta dell'essenzialen. Qui del resto sta la grandezza del compito che si offre ai tedeschi. Ma qui sta anche la dimensione enorme della W loro responsabilità. GIUGNO 1989 bilancio dopo 10 anni di vita Alpe Adria: area di incontro e un po' laboratorio di quattro diversi sistemi politico-istituzionali di Adriano Biasutti * Operano in questa organizzazione paesi aderenti alla Comunità Europea (Italia e Germania Federale), al Comecon (Ungheria), al1'EFTA (Austria) e ai paesi non allineati (Jugoslavia). Il suo ruolo, mentre si rafforzano la distensione e i rapporti tra gli USA e I'URSS, si realizza il grande mercato unico europeo e assume concreta attualità la cooperazione tra CEE e Comecon. Coinvolgere le energie presenti consapevoli che la crescita di ciascuno può trovare sbocco solo nella contemporanea crescita del vicino. Cooperazione nei settori della ricerca scientifica, del turismo, del risanamento del mar Adriatico, della cultura, della società, della prevenzione di catastrofi naturali e dei mutui soccorsi La Comunità di lavoro Alpe Adria, che ha da poco compiuto i dieci anni, è ormai un originale «laboratorio» di collaborazione per 37 milioni di europei che vivono in Regioni, Laender, Repubbliche e Contee appartenenti a cinque Paesi: Italia, Austria, Germania Federale, Jugoslavia ed Ungheria. Sono cinque Stati che rientrano in quattro sistemi politicoistituzionali ed economici diversi tra loro. Nell'area di Alpe Adria, infatti, vengono a contatto la Cee, il Comecon, 1'Efta e le organizzazioni dei non allineati ed è proprio per questa singolare situazione che la vita di questa Comunità è osservata oggi con molto interesse in Europa. Lo sviluppo che si è avuto in questo primo decennio di vita di Alpe Adria testimonia la validità delle intuizioni e degli indirizzi dei fondatori, che hanno senza dubbio anticipato il grande disegno politico di distensione tra Est ed Ovest. Oggi viviamo un momento importante, e per certi aspetti esaltante, per la costruzione di una nuova Europa. Sullo sfondo d i un rafforzamento della distensione e dei rapporti tra gli Usa e l'Urss, ci prepariamo al Mercato Unico nella Comunità economica europea mentre gli accordi Cee-Comecon danno impulso ad una concreta cooperazione economica. I risultati della Conferenza di Vienna sulla sicurezza e cooperazione in Europa, soprattutto in tema di rispetto dei diritti umani, le quasi giornaliere novità politico-economiche che provengono dall'urss e dall'Ungheria, le aspirazioni ad una sempre più incisiva democratizzazione della vita politica ed economica nelle vicine Repubbliche jugoslave stanno ridisegnando in termini positivi il quadro dello scacchiere europeo, statico per decenni. I n questo contesto, la Comunità d i Alpe Adria può contribuire in modo significativo a facilitare nuovi rapporti, affrontando, senza le lungaggini tipiche delle procedure diplomatiche, i problemi reali e comuni che si presentano giornalmente a vasti strati di popolazione al di qua e al di là dei confini delle Regioni della Comunità. Si possono coinvolgere e concentrare tutte le energie presenti in loco, nella consapevolezza che l'equilibrata crescita economica di ciascuno può trovare sbocco solo nel contemporaneo e corrispettivo sviluppo economico del vicino. È questo l'implicito obiettivo di Alpe Adria ed è questa la filosofia che deve ispirare l'azione politica delle Regioni aderenti. In questa opera di consolidamento e rafforzamento generale nessuna Regione di Alpe Adria opera più da sola. Dal giugno 1988, quando i Ministri degli Esteri dei cinque Paesi ai quali fanno capo le Regioni di Alpe Adria hanno sottoscritto un documento ufficiale di riconoscimento ed apprezzamento per questa Comunità, le Regioni operano con il conforto e il sostegno dei rispettivi Governi centrali. Da parte italiana, in più occasioni il Ministro degli Esteri Giulio Andreotti ha espresso pubblicamente attestazioni di fiducia e sostegno all'operato delle Regioni italiane in Alpe Adria. Deve essere anche evidenziato come la Comunità e le iniziative intraprese da queste Regioni hanno in qualche modo contribuito ad accentuare l'attenzione della politica estera italiana su un fronte, quello nord orientale, per anni ritenuto d i minore importanza e, di recente, riconsiderato al punto che ormai sono ricorrenti e periodici gli incontri tra le diplomazie italiana, jugoslava, austriaca ed ungherese con numerosi riferimenti, negli accordi bilaterali, al ruolo del Friuli-Venezia Giulia e di altre Regioni del Nord Est italiano. Gli obiettivi politici di creare i presupposti per una collaborazione attiva in un'area così complessa sono stati raggiunti dalla Comunità Alpe Adria. I primi dieci anni di attività sono serviti soprattutto a rafforzare la reciproca conoscenza e a confrontare e coordinare i rispettivi progetti di sviluppo; a creare, cioè, le necessarie premesse per quel salto di qualità nella collaborazione che è negli auspici di tutti. I n questo contesto, il Friuli-Venezia Giulia ha svolto un'azione costante d i stimolo per dare passo spedito alle iniziative programmate. Probabilmente perché in questa Regione siamo gente di confine e quindi molto sensibili agli effetti della collaborazione transfrontaliera, intendiamo accelerare il cammino del comune lavoro dandogli i connotati della concretezza. Da questa esigenza, soprattutto per cogliere le grandi prospettive che si aprono dall'avvicinamento tra Est ed Ovest in Europa, deriva la proposta del Friuli-Venezia Giulia di sviluppare una grande azione di Alpe Adria nei confronti della realtà economica dell'unione Sovietica. I n questo senso siamo stati sollecitati anche dal segretario generale del Comecon, intervenuto a Venezia alla cerimonia del decennale della Comunità. Si tratta di promuovere una «vetrina» che presenti gli elementi di eccellenza del sistema produttivo di Alpe Adria, che illustri cioè «il meglio del miglior modo di produrre». Non quindi una fiera di Gemelle L'Aquila e Rottweil i * Presidente della Giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia e membro supplente del Consiglio Consultivo degli Enti locali e regionali della Comunità Europea GIUGNO 1989 La ratifica del patto 'cli gemellaggio nella sala del Consiglio comunale a L'Aquila il 29/4/89 COMUNI D'EUROPA prodotti, ma una rassegna di tecnologie e di sistemi di produzione. Di questa vetrina in Unione Sovietica abbiamo ~ a r l a t oanche recentemente nella riunione informale dei presidenti delle Regioni di Alpe Adria, tenutasi a Milano (la Lombardia è attualmente presidente di turno della Comunità). I progetti vanno assumendo dei contorni precisi. Nel campo della cooperazione economica ci si sta muovendo anche sul piano della ricerca scientifica e della promozione turistica. Il settore della ricerca, che nel Friuli-Venezia Giulia vede potenziarsi un polo di rilievo internazionale, pone interessanti prospettive di scambio con istituzioni scientifiche di altre Regioni di Alpe Adria. Su questo piano siamo agli inizi della collaborazione e dovremo precisare meglio gli obiettivi comuni. Per quanto riguarda la promozione turistica, dopo il recente incontro dell'apposito gruppo di lavoro a Dubrovnik, si sta impostando la base per iniziative che consentano di valorizzare le grandi potenzialità dell'area di Alpe Adria con iniziative comuni rivolte soprattutto ai mercati extra europei. Legato ai problemi del turismo, ma più in generale anche a temi di carattere produttivo, è il tema riguardante la salute del mare Adriatico. L'intera Comunità di Alpe Adria è interessata all'attività dell'Osservatorio del mare Adriatico di Trieste, istituito in collaborazione dalle Regioni Friuli-Venezia Giulia e Veneto e dalle Repubbliche di Slovenia e di Croazia. Come è stato avviato lo studio per la salute dei boschi, così le Regioni della Comunità hanno assicurato sostegno ed apporti scientifici alle iniziative per la tutela del mare. Sono iniziative delle quali deve tener conto anche il governo nazionale impegnatosi recentemente su questi problemi. Ci sono state, ed è un impegno che continua, iniziative per snellire il flusso dei traffici Alla Comunità di lavoro Alpe Adria aderiscono, quali membri effettivi, lo Stato libero di Baviera; i Lander austriaci dell'Alta Austria, Carinzia, Stiria e Burgenland: le Repubbliche jugoslave di Slovenia e di Croazia; i Comitati ungheresi Gyor-Sepron e Vas; le Regioni italiane Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Trentina-Alto Adige e Veneto. V i aderiscono come osservatori attivi il Land del Salisburgo, i Comitati del Somogy e dello Zah. L'organizzazione vede al vertice l'assemblea plenaria dei Presidenti, presieduta a turni biennali da uno dei Presidenti delle Regioni aderenti. L'assemblea si avvale del lavoro della Commissione dirigenti. Le commissioni per singoli temi sono sei: Assetto del territorio e tutela dell'ambiente; Trasporti; Cultura, gioventù, sport e scienza; Economia e turismo; Agricoltura, foreste, zootecnia ed economia montana; Sanità ed igiene. Numerosi gruppi di lavoro operano all'interno delle Commissioni per specifici progetti. sia per le merci che per le persone. Infrastrutture di trasporti si stanno completando in quest'area, mentre si vanno affrontando i problemi di una eventuale rete aerea di terzo livello e l'istituzione di servizi ferroviari «intercity» che colleghino i capoluogi di Alpe Adria. Se le iniziative in campo economico hanno notevole importanza, un grande rilievo hanno le iniziative che portano le popolazioni alla reciproca conoscenza; sono iniziative di carattere culturale, che in questi anni si sono intensificate all'interno della Comunità mentre quelle sportive annualmente vedono confrontarsi i giovani delle Regioni aderenti. Si sono avviati gruppi di lavoro in settori, come quello sanitario e per la prevenzione delle catastrofi naturali, che stanno mostrando la loro validità. Alpe Adria si sta avviando quindi all'età matura, quella che dovrà consentire a questa parte d'Europa di assumere un ruolo di rilievo, conseguente alla sua posizione geografica e politica. Le Regioni non hanno competenza in materia politica internazionale, ma oggi, con i riconoscimenti dei governi nazionali, si apre una Festa a Wangen per la gemella Prato I Sindaci di Prato, Claudio Martini, e di Wangen, Jorg Leist, mentre mostrano alla cittadinanza della città tedesca i gonfaloni, durante la cerimonia di gemellaggio il 27 maggio 1989 COMUNI D'EUROPA nuova prospettiva per questo «laboratorio» di collaborazione in Europa. Ci sono ancora dei rilevanti problemi da affrontare, il primo dei quali si riferisce all'importante scadenza del 1993. L'appartenenza alle singole Regioni aderenti alla Comunità di Alpe Adria a sistemi ed organizzazioni internazionali diverse ha fatto emergere una particolare sensibilità sui problemi dei rapporti tra la Cee e i Paesi non aderenti. La realizzazione del Mercato Unico all'interno della Cee è vista con una certa preoccupazione dalle Regioni, partners di Alpe Adria, di Paesi non comunitari. E chiaro quindi l'impegno a prepararsi in tempo per studiare gli effetti e le conseguenze e intervenire politicamente nelle sedi competenti con l'obiettivo di evitare che si allentino i rapporti di collaborazione economica con le aree extracomunitarie confinanti con questo nuovo grande mercato. L'esperienza fatta finora dalla Comunità di Alpe Adria è certamente singolare, ma penso di poter dire che è un'interessente indicazione su come sia possibile realizzare un clima di collaborazione costruttiva a ridosso di confini un tempo ritenuti molto difficili. In questo quadro complesso e dinamico, la Regione Friuli-Venezia Giulia è chiamata a svolgere indubbiamente un ruolo di grande rilievo per rispettare, puntualmente, con intelligenza politica e con efficacia, i due appuntamenti ai quali essa (come del resto le altre Regioni italiane che fanno parte di Alpe Adria) è chiamata. Da un lato, una forte e coerente azione per far progredire la costruzione dell'Unione politica europea che l'esito del referendum del 18 giugno ha confermato quale obiettivo voluto dalle forze politiche e dalla magrande maggioranza dei cittadini del nostro Paese e ribadita, del resto, dallo stesso Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia in un ordine del giorno ispirato alle posizioni assunte in proposito dall'AICCRE; dall'altro, la convinta apertura all'Europa dell'Est nel nuovo clima che suscita tante speranze e che esige sempre più la definizione di una vera Ostpolitik della Comunità. Due attese, quella della Unione politica e quella di una visione globale delle due parti dell'Europa finora contrapposte, che non sono certo alternative ma convergenti. Due appuntamenti ai quali bisogna rispondere con una concezione sinergica, non certo episodica O frammentaria. m GIUGNO 1989 k autonomie locali per la Costituente europea Cimpegno europeo delle autonomie si è rivolto - in questi ultimi dodici mesi -, tra gli altri, verso due obiettivi principali: arricchire il contenuto ((popolare,) della battaglia per l'unificazione politica dell'Europa e indicare con forza I'esigenza che il Parlamento europeo riceva un mandato costituente, cioè sia incaricato di elaborare un'architettura democratica sovranazionale delle istituzioni comunitarie. Per la verità, nulla di nuovo sotto il sole. Cispirazione federalista dell'unificazione europea non avrebbe senso se non si alimentasse continuamente dalI'esigenza di realizzare questi obiettivi. Le scadenze politiche del 1989 hanno tuttavia imposto una particolare attenzione su questi temi. L'elezione per il rinnovo del Parlamento europeo, il constatato deficit democratico della Comunità, il timore che il grande mercato unico si realizzi al di fuori di ogni guida e disciplina politica, trasformandosi in una grande arena capace solo di rendere più forti coloro che sono già forti e più deboli coloro che sono già deboli, la minaccia che lo stesso mercato unico si vanifichi in una grande illusione se non sostenuto dall'unificazione monetaria e da una effettiva armonizzazione fi- scale, l'emergenza ambientale che si manifesta ogni giorno più grave e la cui soluzione richiede il superamento della dimensione nazionale degli interventi, i gravi problemi posti dalla rivoluzione tecnologica e dalla disoccupazione specialmente giovanile, impongono una iniziativa adeguata da parte dei protagonisti della vita democratica: il popolo (con i suoi interessi, le sue aspettative, le sue idealità) e il Parlamento sua espressione politica e formale. L'AICCRE e il CCRE hanno cercato di dar vita a tutto questo - come documentato in queste pagine -: con la campagna per I. petizioni e i quaderni di protesta e di proposta, con la richiesta - avanzata anche dalle autonomie locali e'regionali - di un mandato costituente al Parlamento europeo, con I'iniziativa per la realizzazione di un referendum di indirizzo sull'unione politica d'Europa. Qualche passo innanzi (quanti? è difficile dirlo) è stato mosso nella giusta direzione: è certo tuttavia che il traguardo non è stato raggiunto e che se altri passi non seguiranno anche quelli fino ad oggi compiuti risulteranno vani. La nostra Campagna GIUGNO 1989 COMUNI D'EUROPA Noi, Regioni, Province, Comuni intery Considerando Considerando che, di fronte alle sfide del mondo contemporaneo, gli Stati nazionali non sono generalmente capaci di trovare, ciascuno isolatamente, le soluzioni adeguate che è sempre più urgente trasformare la Comunità economica in una autentica entità politica solidale Considerando il costo della «non-Europa>, derivante dalla mancata eliminazione dei controlli doganali ai confini intracomunitari, dalla mancata armonizzazione delle norme e degli standard, dagli effetti di scala sui prezzi dovuti alle dimensioni ridotte dei mercati nazionali, dalla duplicazione di programmi di ricerca e di investimento, da una inadeguata politica del1'occupazione e dalla necessità di coprire i rischi di cambio nel caso di transazioni tra gli Stati della Comunità e soprattutto dalla mancanza di una politica istituzionale comunitaria degli affari esteri e della difesa GIUGNO 1989 :i delle attese delle nostre popolazioni Considerando Considerando che la Comunità europea, dopo aver contribuito alla stabilizzazione di relazioni pacifiche nuove e durature tra i Paesi e i popoli d'Europa, ha rihciato la crescita economica, ha instaurato una cooperazione più stretta con Paesi del Brzo Mondo meno sviluppati, ma non è riuscita, trentanni dopo la sua creazione, a GIUGNO 1989 realizzare gli obiettivi previsti nel nattato di Roma. Essa non ha potuto ottenere neanche nuove competenze in ciò che concerne h politica comune di sviluppo tecnologico, la difesa dell'occupazione e la creazione di un vero spazio sociale europeo, la cultura, la sicurezza la necessità che l'Europa possa ufficialmente parlare, in particolare nel difficilescenario internazionale, con una sola autorevole voce... COMUNI D'EUROPA esigiamo un Parlamento e un Governo sovranazionali Chiediamo che, parallelamente alle disposizioni che gli Stati membri debbono prendere in relazione all'armonizzazione dei loro sistemi fiscali, delle loro legislazioni sociali, della politica di riequilibrio regionale, il COMUNI D'EUROPA Parlamento Europeo riceva il m a n d a t ~a partire dalla sua prossima legislatura che comincia nel giugno 1989, di elaborare il Dattato di Unione europea, tenuto conto del progetto che esso ha già adottato il 14 febbraio 1984, e di tutti gli elementi nuovi che si sono potuti raccogliere (o si potranno raccogliere), presso i Parlamenti e i governi nazionali, per assicurare il più largo consenso possibile. GIUGNO 1989 la riunione in maggio a Bruxelles Fondi strutturali, sviluppo regionale, appalti: il Consiglio Consultivo inizia la propria attività di Fabio Pellegrini Prima seduta di lavoro, dopo l'insediamento del dicembre scorso, dedicata soprattutto all'informazione. L'utilità dell'incontro non può far dimenticare la necessità di entrare nel merito delle politiche comunitarie rilevanti per gli enti locali e le regioni. Il collegamento tra i 42 membri e l'insieme degli enti territoriali: il ruolo dellYAICCREe del CCRE. Punto di riferimento dovrà sempre di più diventare il Parlamento, l'unica istituzione democratica della Comunità 11 22 maggio 1989 si è tenuta a Bruxelles la prima riunione di lavoro, dopo la seduta d'insediamento con il Presidente della Commissione, Jacques Delors, del 20 dicembre 1988, del Consiglio Consultivo degli Enti regionali e locali della Comunità europea. C'era molta attesa per l'avvio dell'attività di questo organismo ottenuto dopo tanti anni di azione politica e di operosità del precedente Comitato Consultivo CCRE, con il quale la Commissione aveva accettato solo un dialogo informale anche se costruttivo. I1 riconoscimento formale del nuovo Consiglio è stato valutato dal CCRE un fatto positivo, anche se non abbiamo atteso molto ad avanzare critiche e proposte concernenti sia i meccanismi di funzionamento e di lavoro sia gli aspetti più propriamente politici legati al suo ruolo, ai campi di competenza, alla sua autonomia. I1 Consiglio Consultivo, anche se dalla Commissione definito di «esperti», in effetti è un organismo politico se non altro perché è composto da 42 amministratori regionali e locali eletti, e rappresentanti di un mandato popolare. Questo dato non può, già nel tempo breve, che farsi valere sulle interpretazioni riduttive della Commissione. Né si può sottovalutare il fatto che il regolamento C E E istitutivo del Consiglio è stato adottato nel pieno svolgimento di una battaglia politica condotta dal CCRE e dal Parlamento europeo. Nemmeno questo è un caso: cioè che al fianco delle Regioni e degli Enti locali europei sia stato, e da protagonista (grazie anche all'impegno e alla volontà del Presidente della sua Commissione per la politica regionale, l'on. Pancrazio De Pasquale), il Parlamento europeo, l'unica istituzione democratica della Comunità europea. I1 buon lavoro da esso svolto trovò, del resto, un suo momento significativo nella sessione di novembre 1988 con l'approvazione di una risoluzione sulla regionalizzazione nelle Comunità europea con annessa una «Carta» europea delle Regioni. E il Consiglio Consultivo, proprio per il suo carattere politico, dovrà trovare il modo per rafforzare i legami con i! Parlamento europeo e legittimarli come istituzione europea, la cui consultazione non sia lasciata alla discrezionalità dei funzionari della Commissione, ma divenga un altro fatto nuovo, insieme ai poteri legislativi del Parlamento europeo, della riforma costituzionale della Comunità europea. Qui siamo all'altra faccia della medaglia: la consapevolezza e la volontà politica dei rapGIUGNO 1989 presentanti locali e regionali di impegnarsi in un compito, oggi non definito nel tempo, ed in una azione politica tesa a conquistare un crescente spazio ed un ruolo politico sempre più influente nella definizione dei contenuti delle politiche comunitarie ed una partecipazione determinante nella loro gestione. Sotto questo aspetto non c'è da attendersi, d a parte della Commissione, comportamenti comprensivi o di favore. I1 partenariato introdotto con la riforma dei Fondi strutturali è già qualcosa al di sotto di quello sperimentato con i Programmi Integrati Mediterranei; alla sua prima prova si è potuto confermare come sia più facile (e si preferisca) applicarlo tra Commissione e Stato centrale, relegando le regioni a un ruolo marginale. Tutto lo schieramento autonomistico è convergente nella convinzione che solo con il rafforzamento del decentramento regionale e locale sarà possibile avere un effettivo bilanciamento democratico tra potere sovranazionale (unione europea e governo europeo), Stato centrale e poteri locali e regionali. Questo è già un obiettivo inscindibile dell'azione per la democratizzazione della Comunità europea, ma potremmo dire, del futuro della democrazia, se non vorremo una Europa comunitaria unita economicamente e politicamente, ma accentrata, burocratica e quindi autoritaria. Quest'impegno non riguarda soltanto le istituzioni locali, essendo una prospettiva alla quale sono interessate sia le forze sociali, in primo luogo i sindacati, i partiti democratici, ed anche le energie culturali e gli intellettuali, oggi troppo assenti e muti di fronte all'apertura davanti a noi di scenari mondiali nuovi e alle pro- 11 presidente Hofmann e alla sua destra il presidente della Regione Veneto Carlo Bernini spettive che possono dischiudersi non solo per i popoli europei ma per l'intera umanità. Se questa è la prospettiva politica (e ideale) i compiti del quotidiano appaiono più modesti, ma non meno importanti. Le difficoltà a far decollare ed affermare il Consiglio Consultivo, nella nostra prospettiva, sono implicite e c ~ n g e n i t ealla sua nascita. Ma sarebbe esiziale se tra i membri si affermasse l'attitudine a sottovalutare l'importanza e a disertare le riunioni. Si creerebbe un circolo vizioso second o il quale non si partecipa alle riunioni perché non vale la pena, «tanto non serve a nulla», mentre il non funzionamento porterebbe all'insuccesso della prospettiva per la quale siamo impegnati: affermarlo come una istituzione comunitaria, sia pure consultiva, ma con i suoi poteri d i autoconvocazione, autogoverno e di consultazione obbligatoria. Non si tratta quindi solo di una concezione volontaristica, ma a nessuno sfugge il collegamento tra una convinta partecipazione ai lavori del Consiglio Consultivo, la sua attività e influenza e, quindi, l'affermazione politicoistituzionale della Comunità. Rimane, inoltre, un'altra questione. Quella di come garantire un collegamento permanente tra i 42 membri (di cui 6 italiani) e l'insieme degli Enti territoriali e degli amministratori che non ne fanno parte. I n questo senso il CCRE sta già studiando i modi e le forme per affrontare la questione a livello europeo, e per quanto concerne I'AICCRE a livello italiano. Siamo proprio agli inizi, ma abbiamo già presente il cammino che dobbiamo compiere e gli ostacoli che dovremmo superare. L'ordine del giorno della riunione del 22 maggio si è risolto sostanzialmente in tre informazioni: sulla riforma dei Fondi strutturali comunitari, da parte del Commissario Millan; sugli interventi del FEDER nelle regioni in via di sviluppo e nelle zone in declino industriale, d a parte del Direttore generale per la politica regionale, Landaburu; sugli appalti pubblici, da parte del direttore alla DG 111, Coleman. Comunicazioni interessanti e utili, ma pur avendo momenti di lavoro come questi si tratta in seguito di entrare nel merito degli indirizzi politici delle politiche comunitarie, soprattutto di quelle da definire e approntare, dei programmi e dei progetti da adottare, della loro gestione, compresi quelli già in esecuzione i quali quasi regolarmente escludono l'attiva partecipazione delle Regioni e degli Enti locali rendendo contraddittoria, quanto impossibile, ogni politica di programmazioH ne dello sviluppo territoriale. un nutrito ordine del giorno Nell'agenda dei segretari delle sezioni del CCRE un fitto programma di S a t i v e e di attività di G.M. In discussione i criteri di attribuzione del «Fondo europeo dei gemellaggi~di quest'anno, inserito nel bilancio comunitario. L'istituzione di una rete telematica di collegamento all'interno del CCRE. L o sviluppo territoriale. Le grandi città. I rapporti con la IULA e certe proposte da non seguire. La partecipazione degli Enti locali all'Anno europeo del turismo 1990. I1 contributo delle sezioni nazionali al progetto comunitario APEL sul potenziale endogeno locale Una sessione caratterizzata da numerosi problemi di notevole importanza non solo per l'Associazione ma per gli Enti autonomi territoriali europei nel loro complesso, quella dei Segretari delle varie Sezioni nazionali del CCRE svoltasi a Bruxelles il 23 maggio. Nell'ambito del nutrito ordine del giorno i seguenti temi presentano una rilevanza particolare per il loro significato politico e per le loro incidenze operative: la recente creazione, presso la Commissione esecutiva della Comunità europea, di un Fondo europeo dei gemelLaggi; i problemi dello sviluppo urbano in Europa; i rapporti tra CCRE e IULA; il progetto APEL; L'Anno europeo del Turismo. Il Fondo europeo dei gemellaggi È superfluo ricordare l'attenzione e l'impegno che, fin dalla sua istituzione, il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa ha sempre riservato ai gemellaggi tra enti territoriali: anzi la nostra Associazione ne ha la paternità, da quando, nel primo dopoguerra, furono appunto i gemellaggi ad avviare e sostenere l'arduo ma necessario cammino di pacificazione tra paesi europei che si erano ferocemente combattuti per oltre cinque anni. I gemellaggi nacquero dunque come atti di «significato politico» volti non solo a ristabilire un clima di amicizia e di comprensione reciproca, ma anche a rendere progressivamente consapevoli gli europei che bisognava guardare più lontano, a relazioni permanenti di solidarietà, e a soluzioni comuni a problemi divenuti sempre più interdipendenti; in una parola, ad un processo di unificazione politica ed economica tra i popoli d'Europa. Queste iniziative si sono moltiplicate, aprendosi progressivamente a nuove sensibilità, a nuove esigenze poste dall'evoluzione della situazione europea ed internazionale: esse sono state attuate con l'appoggio determinante delle Amministrazioni locali e di alcune leggi regionali ma senza che la Comunità europea svolgesse, di per sé, alcun ruolo di appoggio finanziario ed operativo. I1 CCRE da tempo denunciava l'illogicità di tale situazione, ottenendo ripetute prese di posizione politiche in tal senSO da parte del Parlamento europeo, ma senza che esse si traducessero in provvedimenti concreti. La svolta si è operata nel 1988, a seguito di un rapporto sui gemellaggi della parlamentare europea Nicole Fontaine e di una risoluzione che ne recepiva le indicazioni essenziali. Di qui l'apertura di una voce ad hoc per - - i gemellaggi nel bilancio della Comunità, destinata a rendere possibile l'avvio di un vero e proprio Fondo europeo dei gemellaggi gestito dalla Commissione esecutiva di Bruxelles ma in stretta cooperazione con il CCRE. Di tale Fondo si stanno definendo gli obiettivi, le strutture e le modalità di funzionamento: di tutto questo hanno discusso i Segretari generali nella citata riunione a Bruxelles. Pur con la riserva di completare le informazioni a seguito dei contatti in corso tra CCRE e competenti servizi comunitari, è già ora possibile precisare che la dotazione finanziaria sarà ripartita in tre categorie di oneri: l'aiuto diretto agli Enti interessati secondo criteri e parametri che saranno sollecitamente precisati e comunicati dalllAICCRE ai soggetti interessati; l'infomazione ed animazione per far conoscere l'esistenza e le possibilità offerte dal Fondo e le modalità per concorrere al finanziamento comunitario: la fomazione dei responsabili dei comitati di gemellaggio per migliorare la preparazione e la capacità operativa tenendo ben presente gli obiettivi ai quali il Fondo si ispira e che mirano a rafforzare l'incidenza positiva dei gemellaggi sulla consapevolezza e la partecipazione dei cittadini al processo di integrazione europea. Un programma di iniziative è già in corso di definizione da parte dell'AICCRE per realizzare nel modo più soddisfacente gli obiettivi di informazione e formazione (pubblicazione ad hoc sui gemellaggi, «dépliant» a larga diffusione, promozione di «giornate per i gemeilaggi» e di seminari ecc.). Sarà così più facile tessere una rete di relazioni sempre più strett e tra gli europei appartenenti ai paesi membri della Comunità: questo limite geo-politico potrà gradualmente essere superato via via che si consolideranno le speranze aperte dal nuovo clima creatosi nei rapporti tra Ovest ed Est europeo, dopo tanti anni di conflitto, di tensioni e di chiusure. Intanto è di prossima attuazione una rete telematica all'interno del CCRE, tra le varie sezioni e tra queste e la segreteria di Parigi e l'ufficio di rappresentanza a Bruxelles per facilitare, tra l'altro, anche il moltiplicarsi dei gemellaggi. I problemi urbani e l'Europa La realtà urbana è una componente di primo piano della società europea, sotto il profilo sociale, economico, finanziario, culturale. Lo sviluppo territoriale della Comunità è legato al ruolo delle città, alle corrtiessioni tra loro esistenti, ai rapporti che esse hanno con le aree circostanti, alle varie forme di comunicazione reciproca che le caratterizzano. I1 CCRE da alcuni anni promuove iniziative volte ad approfondire il significato ed i compiti delle città nel processo di integrazione europea; dalla Conferenza di Rotterdam del 1986 su «La città motore della ripresa economica», ai tre convegni del 1986 (Strasburgo), del 1987 (Bruxelles), del 1988 (Roma), su «Le grandi città e i loro banchieri)), ai quali seguirà a Marsiglia, nell'ottobre prossimo, un'ulteriore edizione secondo una linea di progressivo approfondimento di una tematica complessa ma essenziale. I Segretari generali delle Sezioni nazionali del CCRE hanno dedicato ad essa analisi, proposte e confronti di esperienze di cui si vedranno i risultati nei prossimi mesi. CCRE e IULA I rapporti tra CCRE e IULA (International Union of Local Authorities, organizzazione di enti locali che opera a livello mondiale) hanno dato luogo, in questi ultimi tempi, a forme assai utili di collaborazione tra le due associazioni. Su questa premessa sono maturati, da parte della IULA, auspici di un sostanziale mutamento di detti rapporti fino a trasformarli in una vera e propria «integrazione» del CCRE (come organizzazione europea) nel pip vasto quadro della IULA. È un passaggio che va ben al di là di una semplice evoluzione o rafforzamento dei rapporti esistenti; esso assumerebbe infatti i1 carattere di una radicale trasformazione del CCRE, dei suoi obiettivi, della sua stessa natura, del suo modo di essere e di operare. Delicata questione che ha trovato 1'AICCRE su posizioni motivatamente critiche per salvaguardare l'identità del CCRE e la sua funzione, anche se essa è disponibile a valutare ogni proposta valida a migliorare la cooperazione ed attuare iniziative comuni alle due associazioni, ma nel rispetto della loro specificità e complementarietà, senza confusioni e sovrapposizioni. A Bruxelles se ne è parlato informalmente: ma poi il 22 giugno, a Londra, una delegazione del CCRE, formata dai presidenti delle Sezioni francese, italiana, spagnola e tedesca (il Presidente europeo Hofmann è dovuto andar via dopo poche battute), assistiti dal Segretario generale e dalla Segretaria generale aggiun(segue a pag. 20) GIUGNO 1989 seminario di studi dell'AICCRE Ii '93 non è materia riservata alle sole aziende Le responsabilità e il ruolo delle autonomie locali di Antenore La necessità degli enti territoriali di assumere le dovute iniziative in termini di conoscenze, di adeguamenti strutturali e funzionali, di ottimale impiego delle risorse, per essere elementi attivi di un processo che li vede comunque coinvolti. Una tappa di un lavoro coerente dell'Associazione. L 'effetto tromba marina: l'Europa come convergenza di due azioni, quella rivolta a dare ad essa dignità di soggetto politico e quella impegnata a rendere concreto il mercato unico Nel quadro delle varie iniziative promosse dall'AICCRE per approfondire la conoscenza dei problemi che si porranno ai Comuni, alle Province, alle Regioni non appena, nel 1993, sarà stato completato il Mercato unico europeo, è stato organizzato a Roma il giorno 8 maggio un seminario su «Le autonomie locali e regionali di fronte all'unione politica e al Mercato Unico europeo del 1993: responsabilità e partecipazione». I1 tema stesso sintetizza, già nella sua formulazione, gli obiettivi e l'impostazione del convegno e l'orientamento assunto dall'AICCRE di fronte aile scadenze importanti che stanno maturando in Europa. Nella crescente attenzione suscitata dall'ormai prossimo Mercato Unico europeo con tutte le sue profonde implicazioni che non vanno certo sottovalutate, 1'AICCRE introduce costantemente un esplicito richiamo all'unione politica che è cosa ben diversa dal Mercato unico ed è indispensabile per dare a quest'ultimo il suo giusto significato inserendolo in un più vasto processo, quello appunto che si può definire come il grande progetto politico di unificare l'Europa al di là di una semplice zona di libero scambio. Da questi obiettivi (1'Unione politica e il Mercato unico) derivano certamente rilevanti conseguenze per le varie società nazionali dei paesi membri della Comunità, ma non solo per le imprese ed altri soggetti economici e finanziari, bensì anche per Comuni, Province e Regioni e per la Pubblica amministrazione, centrale e periferica, nel suo complesso. Da queste implicazioni deriva la necessità per gli Enti autonomi territoriali di assumere le conseguenti responsabilità, in termini di conoscenza, di adeguamenti strutturali e funzionali, di efficienza nella gestione, di ottimale impiego delle risorse, nella consapevolezza che detti Enti non possono ridursi ad essere dei semplici destinatari o beneficiari degli effetti del Mercato Unico europeo ma elementi attivi di un processo che richiede la loro partecipazione in termini di proposta e di pressione democratica. Appare evidente il carattere ambizioso (taluno potrebbe dire persino presuntuoso) di un convegno come quello di cui ci stiamo occupando; che esso non potesse esaurire una problematica così complessa era del tutto evidente e proprio per questo 1'AICCRE ha tenuto a precisare fin dalle prime battute che l'incontro de11'8 maggio andava considerato una tappa lungo un cammino destinato non solo a svilupparsi progressivamente fino al l o gennaio 1993 ma anche a divenire, oltre questa data, una componente permanente dell'attività dell'Associazione. GIUGNO 1989 Un momento dei lavori del convegno presso la a;ede del Parlamento Europeo a Roma Del resto, proprio negli ultimi mesi gli organi statutari delllAICCRE hanno adottato due importanti documenti che possono essere considerati, in un certo senso, propedeutici al convegno de11'8 maggio: «La terza legislatura europea e I'AICCRE. Perché i1 mandato costituente?» e «La riforma delle autonomie locali e regionali nel quadro europeo e nella pro. primo testo accentuava spettiva del 1 9 9 2 ~I1 l'analisi e la proposta politica riguardanti l'urgenza dell'unione europea (pur senza trascurare alcuni aspetti di questo processo più direttamente riconducibili alla realtà e alle esigenze di Regioni e degli Enti locali); il secondo testo costituiva la testimonianza di un tentativo - a quanto ci risulta il primo di tal genere in Italia e forse anche in Europa - di affrontare alcuni problemi di fondo delle autonomie territoriali in una prospettiva non più soltanto nazionale ma europea. Tentativo ancor più significativo nel nostro paese dove è in corso, dinnanzi al Parlamento nazionale e nell'ambito delle varie forze politiche, un vivace dibattito sulla riforma dell'ordinamento locale e regionale. Ci siamo dilungati su questi precedenti dell'incontro de11'8 maggio perché essi forniscono la chiave di lettura del suo svolgimento e di alcuni qualificati interventi che in esso sono stati svolti. I lavori sono stati aperti dal Presidente del1'AICCRE Umberto Serafini che ha chiarito il senso dell'iniziativa e sottolineato l'interdipendenza degli argomenti affrontati, usando a tal fine una curiosa immagine, quella della tromba marina. Questo fenomeno, come no- to, rappresenta la risultante della convergenza di due fenomeni, così come l'Europa unificata sarà il frutto della convergenza di due azioni, la prima volta a dare all'Europa stessa dignità e forza di soggetto politico unitario (e a tal fine il mandato costituente al Parlamento europeo e il Referendum approvato dal Parlamento italiano ne costituiscono le logiche premesse e le condizioni), la seconda impegnata a dare concretezza reale al mercato unico. La relazione introduttiva è stata tenuta dal prof. Onorato Sepe, presidente della I1 Sezione della Corte dei Conti, esperto giurista ma anche europeista coerente, che ha sviluppato il tema generale del convegno, sottolineando come nel contesto delllEuropa del 1993 il rafforzamento delle politiche regionali e locali rappresenta un fattore non solo opportuno, ma indispensabile. La nuova Europa deve affrontare e risolvere piccoli e grandi problemi, e questi - ha sottolineato Sepe con frequenti riferimenti ad altre esperienze europee - hanno bisogno dell'apporto fattivo e intelligente di autorità territoriali più forti e più autonome sotto il profilo istituzionale e finanziario. I1 programma prevedeva alcune specifiche comunicazioni: Alfonso Jozzo, capo dipartimento Affari Esteri dell'Istituto Bancario S. Paolo di Torino, ha fornito un contributo significativo parlando della libera circolazione dei capitali nella Comunità e le implicazioni per gli Enti locali e regionali: la sua lunga esperienza di studioso e di operatore bancario gli hanno consentito di calare nella concretezza delle attese e delle preoccupazioni degli amministratori locali e regionali italiani i proble- mi generali che nel campo finanziario e monetario, specie in quello particolare dell'accesso al credito, si pongono in vista del 1993. E queto un tema al quale I'AICCRE da qualche tempo riserva particolare attenzione: i lettori di «Comuni d'Europa» ricorderanno infatti che la rivista ha ospitato più volte, in questi ultimi mesi, saggi ed articoli dedicati proprio alle prospettive nuove che si apriranno agli Enti territoriali nel campo del credito a seguito della instaurazione del Mercato unico europeo: prospettive alle quali si devono preparare per tempo detti Enti ma anche il Parlamento, il Governo e le Amministrazioni centrali del nostro Paese, in termini di norme e di comportamenti. Una seconda comunicazione è stata sviluppata dal Vice presidente del Consiglio regionale del Lazio, Gabriele Panizzi, su «I1 Cons i g l i ~consultivo degli Enti regionali e locali presso la Comunità europea)). Questo tema si inseriva logicamente in quello più vasto del convegno perché dalla constatazione delle responsabilità che derivano agli Enti locali e regionali dai grandi mutamenti imposti dal 1973 il passo è breve verso l'interrogativo: con quali mezzi e procedure detti Enti potranno e dovranno far sentire la loro voce presso la Comunità europea affinché questa sia tempestivamente informata dei problemi, delle esigenze e delle attese deile istituzioni di autonomia territoriale? Panizzi ha fornito aggiornate notizie su questo nuovo organismo costituito nel giugno 1988 con una decisione formale della Commissione della Comunità e comprendente 42 membri provenienti dai 12 Paesi (fra cui 6 membri titolari italiani), sui suoi compiti, sulle legittime speranze che esso può alimentare ma anche sulle condizioni necessarie alla loro realizzazione: coerente impegno dei membri del Consiglio, sostegno politico delle associazioni alle quali essi appartengono, più acuta sensibilità da parte della Commissione esecutiva di Bruxelles per una consultazione obbligatoria, anche se non vincolante, del Consiglio in questione. H a anche ricordato come il risultato di questa rappresentanza ufficiale di Comuni, Province e Regioni presso la Comunità europea sia il frutto di una tenace e lunga azione svolta a tal fine proprio dal Consiglio Nell'agenda dei segretari dei Comuni e delle Regioni d'Europa. I1 successivo dibattito, alimentato da questo variegato materiale introduttivo, è stato di notevole interesse. Vanno ricordati gli interventi del Sindaco di Codroipo e Presidente della Federazione regionale dell'AICCRE per il Friuli Venezia Giulia, Piero Donada, del Vice presidente vicario dell'AICCRE Giuseppe Bufardeci, del responsabile dell'ufficio Studi della Cassa depositi e prestiti, Giulio Cesare Filippi, del Presidente del C O R E C O di Arezzo Pietro Falagiani, di VincenSo Santantonio in rappresentanza dell'Istituto di Studi regionali del CNR, d i Roberto Grossi per la CISPEL, del Direttore del Dipartimento Ricerca e Sviluppo del SPS (Sistema Permanente di Servizi), Maurizio Zandri, e del Consigliere provinciale di Roma Giancarlo Cascone, a nome del Dipartimento Autonomie locali e regionali della DC. I1 punto di vista dell'AICCRE sugli argomenti trattati e sugli orientamenti dell'Associazione per approfondirli in termini di contenuto e di informazione ai Comuni, alle Province e alle Regioni italiane, è stato esposto dal segretario generale dell'AICCRE Martini e dal segretario generale aggiunto Pellegrini. I1 è pervenuto, ed evidentemente non poteva pervenire, a vere e proprie conclusioni: esso ha affrontato infatti temi in pieno sviluppo, soggetti a continua verifica nell'impatto con una realtà mutevole nella quale confluiscono scelte politiche e normative europee e nazionali. Ma l'interesse suscitato nei partecipanti ha confermato la necessità di proseguire ed approfondire l'analisi dei problemi trattati e il confronto tra società italiana e, in particolare, tra il nostro ordinamento locale e regionale e le prospettive aperte da un processo di unificazione che non si limiti solo ad un grande mercato, ma che punti decisamente alla costruzione di un'Europa politica; è in questa concezione che si colloca, in tutta la sua rilevanza, quell'esercizio di un ruolo costituente da parte del Parlamento europeo che sarà espresso dalle elezioni di giugno e che per aree sempre più ampie di opinione pubblica costituisce un presupposto essenziale per il raggiungimento di questi obiettivi. (segue da pag. 18) t a europei nonchè dal Direttore della Sezione britannica, incontrandosi con una delegazione della IULA ha escluso ogni e qualsiasi «integrazione*, ammettendo al massimo Lin vin. colo federativo, che tuttavia lasci intatta l'indipendenza politica e finanziaria del CCRE, il statuto- col suo preambolo federali. sta europeo - deve restare intangibile 1790: Anno europeo del Turismo La Comunità, che per lungo tempo ha ignorato o quasi i problemi del turismo, sta interi. sificando il suo impegno in questo campo spe. cie in della scadenza del 1792193: l'Anno europeo del turismo potrà essere un tram. polino di lancio per successive iniziative che possano contribuire alla formazione e allo sviluppo di una politica comunitaria del turismo. il^^^^^ intuibile llimpatto di quest!ultima comuni, province e ~ ~e quindi ~ il lo- i ro interesse a partecipare a dette iniziative, per questo motivo i segretari generali delle sezioni del CCRE, riuniti a ~ ~ ~non potevano ~ ~ l non affrontare fin questo tema, specie sotto il profilo delllinformazione, degli sviluppi culturali, delle infrastrutture, delle comunica,ioni, degli stessi gemellaggi e scambi, specie di giovani, l Progetto APEL Tra le sempre più numerose sigle che proliferano nella comunità europea, APEL significa < ( ~del potenziale ~ ~ endogeno ~ ~ loca.~ le)) ed è un programma di indagine della c o munità per individuare gli elementi che in numerose aree (quelle caratterizzate da debolez. strutturale o colpite dal declino industriale) possono favorire il loro sviluppo endogeno sostenuto dagli aiuti comunitari (specie dai fondi strutturali d a poco riformati), Un accordo tra la Commissione Esecutiva della comunità e il CCRE (e, quindi, le sue sezioni nazionali) affida a queste ultime la rac. colta dei dati necessari, L'AICCRE sta già procedendo, in stretto contatto con gli ~~~i territoriali interessati, alla realizzazione degli obiettivi del programma. A Bruxelles si è verificato lo stato di avanzamento dell'indagine. Come sempre, dunque, la riunione dei Segretari Generali ha rispettato il duplice carattere della nostra Associazione: quello di soggetto politico, attento alla priorità della costruzione dell'unione europea basata sulle autonomie locali e regionali e quello dell'approfondimento dei contenuti economici, sociali e «tecnici» dei singoli problemi per ricercare risposte adeguate alle esigenze che la società europea, nelle sue varie articolazioni, esprime lungo il difficile ma indispensabile cammino ¤ verso la sua unificazione. Giornata europea della Scuola i m 1 I I I l I1 Sindaco di Martina Franca, Punzi, riceve gli studenti durante la XXXVI G'iornata COMUNI D'EUROPA EuropaRegioni agenzia settimanale 1 II GIUGNO 1989 nella Comunità Europea dopo il '92 Mercato finanziario aperto per gli enti locali Cessano i «quasi monopoli» e le tutele indirette di Giulio Cesare Filippi * Il problema riguarda soprattutto quei Paesi come l'Italia dove gli Istituti di credito specializzato godono di condizioni privilegiate. Il rapporto tra autonomie impositive, trasferimenti statali e controllo sul livello di indebitamento. Il caso francese. Esigenze di trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti che dovrà adeguarsi alla richiesta di un mercato libero e concorrenziale. Le indicazioni del convegno sulle grandi città e i loro banchieri lo scorso dicembre a Roma Attualmente la CDP, pur godendo di particolare autonomia, evidenziata dal possesso di bilancio, patrimonio ed organizzazione propri e separati da quelli dello Stato, è tuttavia classificata come amministrazione statale ancorché sui generis. L'istituto svolge due principali funzioni: - funzione di istituto di credito, specializzato neli'investire il risparmio privato, per io più raccolto per proprio conto dai servizi di bancoposta, nel finanziamento di opere e di interventi di pubblico interesse a favore delle collettività locali, di altri enti pubblici ed, eccezionalmente, di soggetti privati; - funzione di holdingfinanziaria, per la gestione delle proprie quote di partecipazione degli istituti di credito speciale di diritto pubblico (IMI 50%, Crediop 65%, Istituto di credito sportivo 23,5%, Megliorconsorzio 6,7%), anche attraverso operazioni sul loro mercato obbligazionario. La sua principale funzione creditizia consiste nel finanziare le opere pubbliche di competenza degli enti locali. Infatti, su un totale di 16.000 miliardi di lire mutui concessi nel. 1988, sono andati a favore di tali enti finanziamenti per circa 12.000 miliardi d i lire. Detto importo rappresenta più del 90% del totale dei prestiti assunti dalle collettività locali nel corso dell'anno. Tale situazione di monopolio quasi perfetto deriva dai vincoli imposti agli enti locali dalla attuale normativa (art. 6, XII comma, legge 887184). Questi, infatti, possono accedere liberamente al credito soltanto per le richieste di finanziamento non accolte dalla C D P e, poiché attualmente l'istituto gode di disponibilità finanziarie superiori alla complessiva capacità di indebitamento degli enti locali, ne consegue che la quasi totalità delle loro richieste di mutuo trova accoglimento nella Cassa. L'istituto viene ad agire, dunque, su di un particolare mercato finanziario, ampiamente circoscritto, sul quale impone le proprie condizioni di contraente necessario. La principale giustificazione di una tale anomala situazione va ricercata nella condizione di subordinazione finanziaria nella quale si trovano -li enti locali italiani. Infatti, con la riforma fiscale del 1972, questi sono stati Pressoché privati di capacità impositiva e per converso le loro risorse finanziarie sono quasi completamente derivate dalla finanza statale. * Responsabile Ufficio Studi della Cassa Depositi e Prestiti GIUGNO 1989 I n tal modo, nella sostanza, viene ad essere eluso il dettato costituzionale, secondo cui gli enti locali debbono godere di autonomia finanziaria. Infatti, sebbene formalmente alcune imposte amministrate dalla Stato vengano definite «locali» (es.: ILOR e INVIM), all'interno del bilancio statale non c'è alcuna differenziazione fra le masse finanziarie provenienti dai diversi tipi di entrate tributarie. Gli istituti europei ed il loro mercato La risultante è che agli enti locali vengono assicurati i trasferimenti dal bilancio statale, non in funzione di loro autonome scelte, ma sulla base di decisioni e di riparti centralizzati. Poiché, però, tali riparti dipendono anche dalle situazioni debitorie dei singoli enti, ond e assicurare loro complessivamente una omogeneità di comportamenti e, quindi, di entrate, si è cercato di indirizzarne le operazioni fi- nanziarie verso un unico interlocutore, qualificato anche per effettuare in tal senso una discreta forma di «quasi controllo». Gli istituti di credito europei, specializzati nel finanziamento agli enti locali, hanno complessivamente caratteristiche di mercato particolari. I n tale generale situazione va comunque operata una distinzione fra i paesi a diritto amministrativo di derivazione napoleonica, e quelli a diritto comune di tradizione germanica. Infatti, mentre nei primi sia gli istituti di credito che le collettività locali godono di uno status privilegiato di diritto pubblico, negli altri tutti i soggetti si avvalgono della medesima normativa. La principale differenza fra la situazione europea degli enti locali e quella italiana sta nel diverso grado di autonomia finanziaria degli enti. Un passaggio per l'Europa L'Amministrazione provinciale di Pisa ha promosso, in accordo con il Ministero della pubblica istruzione e il Provveditorato agli studi, iniziative di studio e ricerca sul tema «Un passaggio per l'Europa». L'iniziativa si è conclusa a Cascina, con la partecipazione del segretario generale aggiunto dell'AICCRE, Fabio Pellegrini, del presidente della Provincia, Osvaldo Tozzi, e dell'assessore alla pubblica istruzione, Patrizia Dini, animatrice della manifestazione. Nella foto la grande folla che ha partecipato all'iniziativa nel191stituto tecnico commerciale di Cascina A questo riguardo confrontiamo i dati del la seguente tabella: Stati anno trasferimenti entrate proprie Belgio Danimarca Francia Germania Italia Olanda Portogallo Spagna 1985 1987 1986 1985 1987 1987 1983 1985 26 47 26 37 63 84 58 35 Da un primo esame dei dati della tabella derivano due osservazioni complementari: - nella maggioranza dei paesi esaminati (5 su 8) almeno il 50% delle entrate locali è assicurato da entrate proprie (tributi, prestiti, altre); - nei paesi nei quali le entrate proprie degli enti locali non raggiungono tale livello (50%), i trasferimenti dal bilancio statale superano il 50% delle loro entrate. Esaminiamo ora la situazione esistente negli stessi paesi in merito alla ripartizione delle diverse entrate proprie degli enti locali come evidenziata dalla seguente tabella: Stati anno imposte prestiti Belgio Danimarca Francia Germania Italia Olanda Portogallo Spagna 1985 1987 1986 1985 1987 1987 1983 1985 altre 50 81 61 55 19 12 40 46 prie, e che tale carenza viene parzialmente compensata, rispetto agli altri paesi, con una maggiore percentuale di prestiti. Fra le entrate proprie assume articolare rilevanza l'esame della consistenza delle entrate tributarie, in quanto tali entrate sono quelle che meglio esprimono il livello di autonomia finanziaria dell'ente locale. Le imposte, infatti, sono frutto di decisioni locali, assunte liberamente nell'ambito del potere riconosciuto agli enti dai vari ordinamenti nazionali. In questo senso osserviamo che, nel quadro dei paesi della C E E , l'Italia e l'Olanda sono quelli nei quali gli enti locali sono più scarsamente dotati di potere impositivo e, quindi, detti paesi sono anche quelli nei quali di fatto gli enti locali hanno il più basso livello di autonomia. Una simile situazione ha immediate ripercussioni sul mercato finanziario di tali enti locali. Infatti, il livello della soggettualità giuridica di tali enti, intesa come capacità di assumere rapporti economici nel libero mercato, è funzione diretta della loro autonomia finanziaria. Così appaiono al momento svantaggiati, rispetto alla prospettiva del «mercato interno europeo», quei paesi, come l'Italia e l'Olanda, la cui finanza locale è in massima parte derivata da quella statale. La prospettiva europea e i processi di adeguamen to Dal confronto fra le due precedenti tabelle appare con evidenza, che nei paesi, nei quali gli enti locali dispongono di scarse risorse proprie, vi è anche la minor percentuale di entrate tributarie rispetto al totale delle entrate pro- L'adozione del «mercato interno europeo», prevista per il 31 dicembre 1992, assume, dunque, un preciso ruolo di riferimento e di indirizzo per le prospettive di medio periodo. In questa chiave sono già in fase di attuazione, talora avanzata, processi di adeguamento delle varie regolamentazioni nazionali. I n particolare questi processi coinvolgono, Tanti amici dalla Francia Virgilio Voghesi, Sindaco di S. Marcello Pistoiese, e Louis Desenclos, Sindaco di Sant Martin du Tertre, firmano il patto di gemellaggio tra le loro città. Nei giorni dei festeggiamenti una delegazione di giovani francesi è stata ospite presso famiglie di S. Marcello Pistoiese COMUNI D'EUROPA per quanto concerne il tema della presente ricerca, sia gli enti locali che gli istituti di credito specializzati. I primi nell'intento di raggiungere un livello di autonomia finanziaria sufficiente per poter agire con profitto sul libero mercato; i secondi per assumere un adeguato status giuridico, necessario a consentire loro di affrontare un mercato concorrenziale. A questo riguardo va ricordato che la maggioranza degli istituti di credito specializzati nel credito locale, godendo d i un particolare regime privilegiato, fu a suo tempo esplicitamente esclusa dalla soggezione alle direttive comunitarie in materia di credito (vedi in proposito l'art. 2, secondo comma, della direttiva 771780lCEE). Ora, però, in vista della prefissata scadenza del mercato interno e della conseguente caduta di tutti i regimi privilegiati, la Commissione delle Comunità europee si appresterebbe a modificare le vecchie direttive sul credito, abolendo le predette esclusioni. I n tal senso si è recentemente pronunciato Manuel Hernandez-Lopez, direttore del dipartimento finanziaro della Commissione delle Comunità europee, in occasione del terzo incontro fra i sindaci delle grandi città d'Europa ed i loro banchieri, svoltosi a Roma dal l o al 2 dicembre 1988. In tal senso appaiono indirizzate alcune iniziative, quali: - in Italia, l'adozione di nuove disposizioni in materia di autonomia impositiva degli enti locali (d.1. n. 549188); - in Francia, la trasformazione della CAECL (Caisse d'aide à l'equipement des collectivités locale~),ente pubblico, in «Crédit local de France - Caecl», società per azioni. La già avvenuta trasformazione della CAECL può costituire un utile punto di riferimento per la soluzione dei problemi connessi all'esigenza di inserimento nel mercato dell'attività creditizia della CDP. Questa, infatti, nata da più di un secolo sul modello della «Caisse des depots et des consignations», svolge la propria attività finanziaria in modo fortemente analogo a quello già usato dalla CAECL, che della «Caisse des depots» era diretta emanazione. La necessità di confrontare l'attività creditizia d a essa svolta con le esigenze della propria clientela costituita dalle collettività locali, nella prospettiva di un libero mercato concorrenziale, ha, infatti, indotto la CAECL a trasformare la propria natura pubblica in quella di soggetto di diritto privato. Nel dicembre 1987 si è, in tal modo e per i fini suddetti, costituito il «Crédit local d e France», società anonima, la cui maggioranza del capitale azionario è detenuta dalla «Caisse des depots». I1 nuovo istituto si è sostituito al precedente, assumendone tutta l'attività finanziaria, con l'obiettivo di riuscire a mantenere in un'area «lato sensun pubblica i finanziamenti a favore degli enti locali. In questa prospettiva, il poter usufruire di tutti gli strumenti di diritto privato consentirà al «Crédit local d e France» di differenziare la propria offerta di prodotti finanziari per meglio adattarsi alle esigenze dei propri clienti, GIUGNO 1989 mentre la grande conoscenza delle realtà locali, derivata dall'attività precedentemente svolta come CAECL, confermerà al nuovo ente l'autorevolezza di istituto di riferimento del credito agli enti locali. 1 Belgio Danimarca Le esigenze di adeguamento della CDP Francia Di segno contrario appare l'attuale situazione della CDP. Infatti il privilegio finanziario del quale gode non ha certo favorito la ricerca di un equilibrio fra gli interessi dell'istituto e quelli della propria clientela. Sta di fatto che l'offerta di prodotti finanziari della CDP è fortemente limitata e quindi scarsamente differenziata. I n queste condizioni l'istituto, che dal 31 dicembre 1992 dovrà affrontare il libero regime del mercato interno europeo, non può certamente definirsi concorrenziale. Allora nella probabile ipotesi che, come già richiesto dai grandi comuni italiani ed europei in recenti incontri (v. in articolare i tre convegni promossi dal Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa sul tema «i sindaci delle grandi città europee ed i loro banchieri»: Strasburgo, ottobre '86; Bruxelles, novembre '87; Roma, dicembre '88), la liberalizzazione dei mercati debba comportare anche per gli enti locali la libera contrattazione delle opportunità finanziarie offerte dal mercato, la C D P si vedrà costretta a rivedere la propria offerta di prodotti finanziari, a riorganizzare le proprie strutture e ad adeguare la propria normativa. Poiché non è pensabile, in tale prospettiva, di giungere alla scadenza prevista senza aver programmato i necessari mutamenti, è al momento necessario ed urgente ipotizzare i futuri assetti della CDP, al fine di renderne pos- Germania Gran Bretagna Grecia Italia NUOVE ADESIONI D I ENTI TERRITORIALI LOCALI ALL'A.1.C.C.R.E. Comunz Vibonati (SA) Talmassons (UD) Calangianus (SS) Casalgrande (RE) Grizzana Morandi (BO) Arconate (MI) Colleredo di Monte Albano (UD) Porcia (PN) Castelnuovo di Farfa (RI) Melendugno (LE) Santa Maria a Monte (PI) Savignano sul Panaro (MO) Brugnera (PN) Pianoro (BO) Santa Maria Capua Vetere (CE) Savignano sul Rubicone (FO) Rivergaro (PC) Salzano (VE) Taibon Agordino (BL) Noceto (PR) Brenzone (VR) Castelfranci (AV) Ronchi dei Legionari (GO) Atripalda (AV) GIUGNO 1989 Ab 2 957 4 262 4.578 13.413 2 624 4 393 2.256 13 101 796 7.950 10.485 7 444 7 628 12.982 31 920 12 379 4.161 9 481 1.815 9.489 2 354 2.806 10 010 10.409 I Istituti specializzati nel credito agii enti locali Olanda Portogallo Spagna Crédit communal de Belgique Kommunernes pensionsforsikring aktielskab Kreditforeningen af kommuner i Danmark Crédit local de France - CAECL s.a. Crédit foncier de France Deutsche girozentrale - Deutsche kommunalbank Institute of public finance and accountacy Agenzia ellenica per lo sviluppo locale e l'autoamministrazione s.a. Cassa depositi e prestiti Istituti di previdenza Consorzio di credito per le opere pubbliche Istituto per il credito sportivo nv Bank voor nederlandsche gemeenten Caixa geral de depositos Banco de credito local de Espana sibile il funzionamento in concomitanza della prevista apertura del mercato interno europeo. I1 presupposto per la costruzione di un'ipotesi di futuro assetto è che, qualunque sia la risultante della direzione dell'adeguamento, sia necessario che la CDP conservi le finalità pubbliche. Infatti, da un lato la provvista di fondi effettuata principalmente attraverso il sistema delle Casse d i risparmio postali, dall'altro l'afflusso di tali fondi nei conti correnti intrattenuti con la tesoreria dello Stato, da un altro ancora l'utilizzo di dette giacenze per le necessità di cassa del tesoro, da ultimo la necessità di mantenere la C D P quale istituto di riferimento per le operazioni finanziarie degli enti locali, fanno sì che qualsiasi linea di riforma, ristrutturazione o adeguamento funzionale dell'istituto, passi attraverso la conservazione delle sue finalità pubbliche. Dei due possibili comportamenti della CDP nei confronti delle nuove norme che regoleranno il mercato finanziario europeo, cioè l'indifferenza o la ricerca di adeguamento, il primo sembrerebbe senz'altro possibile. Questa scelta, però, comporterebbe da un lato il dover subire la libera concorrrenza degli altri istituti italiani ed europei, dall'altro il non poter usufruire delle possibilità di espansione offerte dall'allargamento del mercato. L'attività della CDP risulterebbe, quindi, rigida e, comunque, compressa a causa della caduta delle posizioni di privilegio eliminate dalla nuova normativa. La seconda ipotesi sembrerebbe invece più praticabile. Essa dovrebbe mirare al raggiungimento di una buona concorrenzialità, sia attraverso una elastica differenziazione dell'offerta in relazione alla frammentazione della domanda, sia attraverso l'affermazione del prestigio, che l'istituto gode nel settore degli enti locali, anche sugli altri mercati. Questa seconda ipotesi richiederebbe, però, di operare esclusivamente secondo regole di diritto privato. Le soluzioni possibili dovrebbero essere due: a. privatizzazione dell'istituto; b. privatizzazione della sua attività. La privatizzazione dell'istituto sarebbe però in contrasto con l'ipotizzato presupposto della conservazione delle finalità pubbliche della CDP. La privatizzazione delle sole attività, invece, non dovrebbe incidere sulla natura pubblica delle sug finalità. Essa si potrebbe ottenere scorporando dall'istituto i suoi servizi operativi e attribuendoli ad una persona giuridica privata controllata dalla CDP, sia essa di nuova formazione che già esistente. Poiché, però,,la creazione di una nuova istituzione potrebbe far nascere legittime perplessità, l'ipotesi di partenza potrebbe essere quella che la C D P rimanga quale holding finanziaria pubblica e che la sua attività creditizia venga totalmente affidata ai già esistenti istituti di credito speciale di diritto pubblico da essa controllati, i quali, giusta prospettiva comunitaria, si apprestano a trasformarsi in società per azioni. Conseguenza positiva di tale operazione sarebbe anche l'unificazione di tutti i flussi finanziari nazionali sotto il controllo della Banca d'Italia. m GIOVANhT BERShM LA PEOSPEmIVA EURO-MEIDlmR PER U N 4 L700f'ERUIOOVF;GI4RACE .VP:LZA REGIOVE DEZ ,MFDITE&VEO Segnaliamo, sul tema cui «C.d'E.» ha dedicato a maggio un numero monografico, questo importante volume dell'on. Bersani, ispiratore dell'lntergruppo per la cooperazione globale mediterranea nel Parlamento Europeo. COMUNI D'EUROPA ' l'altra faccia della Luna Nasce a Bruges l'«europeismodella non-Europa» Con la Thatcher in difesa della nazione sovrana «Il gruppo non si oppone soltanto alla pretesa che hanno certi politici quando pensano di trattare loro da soli il problema della sovranità nazionale; intende anche affermare che questa integrazione politica degli stati europei sarebbe una mossa sbagliata». «La stabilità dellJEuropariposa sulla sovranità dei suoi Stati nazionali creati da un lungo processo storico». Frasi come queste costituiscono la base della Carta di Bruges e si commentano da sole: è bene tuttavia conoscerle per comprendere bene l'esatto quadro delle difficoltà che incontra un autentico impegno federalista C'è anche un Regno Unito che si vergogna commento della Carta di Bruges - nata dopo l'intervento anticomunitario della signora Thatcher al College d'Europe nella città fiamminga pubblichiamo le dichiarazioni rese in Italia, nel corso della campagna elettorale per il Parlamento Europeo, da un autorevole uomo politico, David Steel, leader dell'alleanza liberal-democratica A britannica. «Uomini di Stato non dovrebbero limitarsi a reagire alle circostanze, ma dovrebbero avere una idea del modo in cui vogliono che il mondo si sviluppi, e la capacità di farlo muovere in quella direzione. Ora è il momento di avere il coraggio di mettere a fuoco quella idea. Ciò che dobbiamo fare, all'inizio in Europa Occidentale, e in seguito nell'Europa intera, è abbassare le barriere nazionali ed unire le nostre preziose sovranità nazionali per costruire una sovranità più ampia che sola può risolvere molti dei problemi della nostra éra. Mi vergogno a dover ammettere che nel corso degli anni il mio Paese, il Regno Unito, ha costantemente puntato i piedi su questa fondamentale questione. Nel 1951 siamo rimasti fuori dalla Comunità del Carbone e dellJAcciaio,nel 1957 siamo rimasti fuori dalla Comunità Europea, nel 1979 siamo rimasti fuori dalla piena partecipazione al Sistema Monetario Europeo. Sebbene oggi parlare della CEE faccia venire alla mente soprattutto questioni economiche, le origini della Comunità hanno radici nella Seconda Guerra Mondiale. Essa traeva ispirazione dalla determinazione a mettere fine alla lunga serie di guerre civili europee, come quelle del 1870, 1914 e 1939; e il metodo di attuazione era la creazione di una struttura politica ed economica che vincolasse strettamente stati confinanti, particolarmente Francia e Germania, e costruisse una prosperità comune e coesione sociale. Oggi stiamo procedendo sempre più velocemente sulla strada dell'unione economica, sebbene con molte interruzioni, false partenze e decisa riluttanza a far qualsiasi progresso da parte di almeno uno dei viaggiatori, il Primo Ministro britannico. La necessità di una unione politica democratica sta diventando nello stesso tempo sempre più grande, così come più grandi sono le Oggi, diamo il via a questa campagna, perché pensiamo che da un bel po' di tempo i cittadini dei paesi europei sono stati esclusi dal processo che conduce alla riuscita nella sfida del '92. Tocca ormai al grande pubblico porre le proprie domande su cosa significa realmente l'integrazione europea. Desideriamo diventare un luogo di convergenza per tutti gli europei che sono favorevoli al 1992, ma che nonostante questo sono preoccupati dalle implicazioni dell'unione politica europea. Le ragioni per cui consideriamo che è ora di cominciare questa campagna sono dovute alle recenti dichiarazioni di certi dirigenti europei. Fino a poco tempo fa, la questione dell'integrazione sembrava essere limitata ai problemi della deregolamentazione e della cooperazione economica, cioè all'unità europea e al 1ivello economico. Le dichiarazioni del signor Delors in favore di un'integrazione politica erano riprese solamente da alcuni deputati europei e si configuravano come un'impresa del tutto infruttuosa. Oggi, come lo dimostrano avvenimenti recenti, questo tempo è finito. Un dibattito più fondamentale attorno al tema della integrazione politica è stato sollevato. Questa questione non entra più nel merito dei problemi precedentemente esposti, ma implica la creazione di un esercito europeo, di una forza di polizia europea e della scomparsa delle frontiere nazionali. Tutto ciò è stato programmato parallelamente alla elaborazione di un sistema monetario europeo. I1 nostro movimento stima che nessun uomo politico abbia ricevuto un mandato per prendere tali decisioni. Siamo convinti che la maggioranza dei cittadini europei si oppone alla creazione di uno stato federale europeo. Inoltre, crediamo che le questioni attinenti alla sovranità nazionale non possano diventare oggetto d i nessuna decisione senza che tutti i cittadini delle differenti nazioni europee siano convocati a dare il loro parere con un autentico voto democratico. Visto che finora non è stato effettuato nessun referendum europeo su questo argomento, nessuno sa esattamente di cosa si tratti. Per questa ragione, noi lanciamo una campagna per una «Europa delle Patrie» ed esigiamo che: 1. Tutti gli europei dovranno poter partecipare attivamente agli affari europei e specialmente alla questione del 1992. Gli europei dovranno interrogare i loro deputati europei per essere meglio informati sulle circostanze dell'Atto Unico Europeo. 2. Tutti i parlamentari e membri britannici del Parlamento Europeo dovranno indicare chiaramente la loro scelta riguardo all'integrazione politica europea. 3. I governi europei dovranno organizzare dei referendum in tutta l'Europa per decidere democraticamente le questioni di sovranità nazionale. Quest'ultimo punto riguarda una situazione che ci auguriamo non debba mai verificarsi. Noi vogliamo un referendum sulla sovranità nazionale per verificare se è gradita dal grand e pubblico la realizzazione dell'integrazione europea, rivendicata in continuazione dai dirigenti europei. Speriamo che, se il dibattito europeo viene realizzato, la questione del federalismo sarà nuovamente marginalizzata. Potremo allora concentrarci sul compito che consiste nel costruire un'Europa potente sul piano economico. Lanciamo questa campagna perché crediamo che le cose si siano sviluppate senza la reale partecipazione di un pubblico sufficientemente informato. Tutta la questione della integrazione europea, anche la firma dell'Atto Unico Europeo del 1985, rimane un punto confuso di cui l'uomo della strada resta poco informato perché le decisioni più importanti sono state prese nelle anticamere del potere. Se questa situazione continua, scopriremo un giorno che l'Europa federale è stata fatta senza l'approvazione del nostro popolo. Una volta messa in funzione questa struttura di base, questa situazione diventerà intollerabile perché ci metterà in una condizione di debolezza di fronte agli avvenimenti. La questione della sovranità nazionale è una questione che nessun uomo politico ha il diritto di trattare con leggerezza. Questo non è un qualsiasi fatto politico, e i nostri regimi democratici non sono abilitati ad autorizzare i nostri eletti a decidere per noi. I n Gran Bretagna, esiste la tradizione di trattare le questioni di sovranità nazionale per mezzo del referendum. Non è pensabile rinunciare a secoli di indipendenza politica, culturale ed economica senza l'accordo della maggioranza dei nostri compatrioti. Quindi sarebbe illegittimo e antidemocratico che i dirigenti politici prendano delle decisioni così importanti senza consultare il loro elettorato. Appare incredibile che solo il primo ministro britannico si occupi della sovranità nazionale, dando a questa questione l'importanza che merita. Se si considera il grado attuale delGIUGNO 1989 opportunità di esercitare unitariamente una influenza europea nell'arena della politica mondiale. L'adozione dellJAttoUnico Europeo nel 1987 e la conseguente prospettiva di un unico mercato all'interno della Comunità nel 1992 ha avuto conseguenze significative. Ha dotato la Comunità di qualcosa che potremmo descrivere come attrazione magnetica: Austria, Turchia e Norvegia hanno chiesto, o hanno considerato la posibilità di chiedere, di diventare Stati membri. La questione dell'allargamento è cori diventata reale, e a sua volta aggiunge peso al vecchio ideale europeo. La reazione istintiva della Sig.ra Tatcher contro la Comunità Europea - che nei suoi primi anni al potere era mascherata dalle battaglie, in parte giustificate, sulla contribuzione britannica al budget europeo - riemerge ora nuda e cruda. Il suo Governo si oppone per principio ad ogni iniziativa che parte da Bruxelles, sia essa in materia di amzonizzazione sociale, di protezione dell'ambiente o di unione monetaria. Ella sembra incapace di rendersi conto che la sua stessa accettazione dell'Atto Unico Europeo, la prospettiva di un Mercato interno, e la crescente impotenza di Nazioni isolate, tutto questo richiede non meno azione comunitaria, ma di più; non meno accordo sugli obiettivi, ma di più; non meno democrazia all'interno della Comunità, ma di più. Ma questi cambiamenti avvengono comunque; ed è il suo stesso atteggiamento che rischia di sviluppare quell'incontrollabile impero burocratico a cui essa, nel discorso di Bruges, ha sostenuto di volersi oppowe. Nel suo tentativo di fermare la Raccomandazione della Commissione sull'insegnamento deG le lingue nelle scuole e nell'industria, mi ricorda molto Maria Antonietta. 200 anni fa, ella disse "Che mangino brioches!!". Oggi, la Sign.ra Tatcher dice "Che parlino Inglese!!")). l'indipendenza degli stati europei, ci sembra impossibile che i discorsi sull'unione europea possano essere realmente presi sul serio. 11 gruppo di Bruges non si oppone soltanto alla pretesa che hanno certi politici quando pensano di trattare da loro stessi il problema della sovranità nazionale; intende anche affermare che questa integrazione politica degli stati europei sarebbe una mossa sbagliata che indebolirebbe la sicurezza di cui ha beneficiato P. Robertson, Segretario del Gruppo di Bruges I1 manifesto del I n questi ultimi tempi, il dibattito sul futuro della Comunità Europea ha preso un'importanza improvvisa. Dopo le dichiarazioni di Jacques Delors d i fronte al Congresso dei sindacati britannici (T.U.C.), il Primo Ministro Signora Thatcher ha preso la parola a Bruges. Da allora, abbiamo assistito a diverse prese di posizione da parte dei dirigenti politici europei che reclamavano differenti forme di integrazione politica e economica. I1 «gruppo di Bruges» è stato formato poiché il dibattito sull'Europa non può essere abbandonato in nessun caso ai soli uomini politici, né soltanto agli intellettuali. Sapere in quale forma di Comunità economica europea desideriamo vivere ci riguarda tutti in modo ' d iverso. I1 «Gruppo di Bruges» vuole creare un forum di discussioni informali sugli affari europei. I1 nostro programma riposa sull'approvazione della Comunità economica europea. Siamo favorevoli a una cooperazione economica più stretta sulla base del progetto pubblicato per il 1992. Accettiamo senza difficoltà la formula del progresso per la prosperità delllEuropa e per una concorrenza di successo con il resto del mondo, perciò sosteniamo «la libertà di circolazione dei beni, delle persone, dei servizi e dei capitali». Però vogliamo fare le seguenti domande: Unificazione europea e mercato unico L'Istituto «E. Fermi» di Gorizia ha organizzato una conferenza sui problemi connessi alla formazione del mercato unico del 1993 nella prospettiva dell'unificazione europea. Relatore, tra gli altri, il presidente della Federazione regionale AICCRE del Friuli Venezia Giulia, Donada GIUGNO 1989 l'Europa finora. Crescerebbero allora tensioni e differenze nell'Europa stessa. Questa campagna ha per scopo di riunire tutti gli uomini di convinzione simile ad aiutarci a divulgare l'informazione necessaria affinché l'Europa possa progredire nell'armonia senza distruggere l'indipendenza delle nazioni che dà a questa parte del mondo il suo carattere unico e culturalmente affascinante. 1) In quale misura il protezionismo è una forza importante in Europa? 2) Può essere pensata la cooperazione economica in funzione delllintegrazione politica, cioè in funzione dell'eventuale scomparsa degli stati sovrani d'Europa? 3 ) Perché la Comunità Europea insiste così tanto sull'uniformità e d i conseguenza sulla necessilà di un sistema di regolamentazione centralizzato a Bruxelles? Bisogna rispondere a queste questioni. Stimiamo che la prosperità economica europea cresce incoraggiando al massimo la libera concorrenza e la diversità tra i differenti sistemi nazionali. Così, le imprese e i loro clienti potrebbero disporre della più larga scelta possibile. I1 «Gruppo di Bruges» ammette il ruolo del Parlamento Europeo per fare adottare le leggi rispetto a delle materie che gli hanno delegato liberamente le nazioni europee. Rifiutiamo le interferenze rispetto agli argomenti politici o sociali fondamentali che riguardano la competenza dei parlamenti nazionali. Per concludere, proponiamo il riassunto delle nostre posizioni generali: crediamo profondamente nella necessità di una «Comunità Europea degli Stati Sovrani», i quali dovrebbero cooperare e stare in competizione per creare un mercato libero in Europa che prefigurerebbe un libero scambio a vocazione mondiale. Ci opponiamo allo sviluppo di un regime interventista e corporativista diretto da Bruxelles. La Comunità europea si arricchirà di più dalla sua diversità. Ci opponiamo anche all'integrazione politica, perché la stabilità dell'Europa riposa sulla sovranità dei suoi stati nazionali creati da un lungo processo storico. La libertà e la sicurezza dell'Europa prendono appoggio dagli stati forti incaricati della nostra difesa e della nostra sicurezza. A parere nostro, questa forza è meglio riparata nell'ambito di uno stato nazionale indipendente grazie alla promozione di un patriottismo sano e naturale che il cittadino sente per il suo paese. I1 «Gruppo di B r u g e s ~spera di promuovere queste idee con delle conferenze, delle riunioni e degli incontri universitari o di esperti provenienti d a tutti i paesi dell'Europa. Esamineremo anche la legislazione della Comunità europea e attireremo l'attenzione ogni volta che lo giudicheremo necessario, ad esempio se ci fosse un abuso della regola della maggioranza al Consiglio Europeo. Ricapitolando, desideriamo partecipare al dibattito sul futuro della Comunità Economica Europea per renderlo positivo e quanto più vicino alla realtà. protocollo di intesa AICCRE-SPS Una struttura permanente di informazione e servizi L'intesa intervenuta tra I'AICCRE e il Sistema Permanente di Servizi s.p.a. (S.P.S.) va positivamente valutata non solo per i suoi specifici contenuti, sui quali ritorneremo per grandi linee, ma anche per il significato che essa assume, per il contesto più generale in cui si colloca, per le prospettive che tale scelta apre all'AICCRE. La società SPS è una società consortile per azioni a prevalente capitale pubblico, nata per promuovere e sostenere attivamente la crescita dei molteplici soggetti istituzionali ed economici che operano nelle diverse realtà locali del paese. Svolge un'attività complessa tra cui va ricordato il Rapporto annuo sullo stato delle autonomie locali che essa predispone. Proprio in occasione della stesura del rapporto 1988 il S.P.S. ha sollecitato l'apporto dell' AICCRE intendendo dare in esso spazio ad un'ottica «europea» ritenuta giustamente non più eludibile ogniqualvolta si affrontassero i problemi e le prospettive delle autonomie territoriali sempre più condizionate nel loro sviluppo e nella loro azione dal contesto europeo e dalle tappe future dei processi di integrazione. Questa prospettiva di collaborazione che, ovviamente, non esclude altre intese ed iniziative già proficuamente avviate in tal senso da AICCRE e da SPS con altri «partners» parte dal presupposto che l'obiettivo della libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali tra i 12 Paesi membri della Comunità europea, che dovrà essere raggiunto entro il 3 1 dicembre del 1992, rappresenta per l'Italia, e per le Autonomie locali e regionali in particolare, un'occasione di rilevante impegno. Le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti locali rappresentano soggetti essenziali del processo di integrazione europea, per il ruolo crescente che essi rivestono nelle attività di programmazione economico territoriale, di gestione dei servizi e di amministrazione della cosa pubblica. Le Associazioni che li rappresentano sono sempre più chiamate a svolgere, nel quadro della scadenza del 1992, un ruolo di stimolo e di supporto alla azione necessaria di modernizzazione amministrativa e gestionale e di ottimizzazione delle capacità di governo complessivo. Per la riforma e il progresso delle autonomie territoriali in Italia occorre, infatti, tener conto di quella visione d'insieme del «sistema delle autonomie», dalla quale sarebbe senza senso e inconcludente prescindere: d'altra parte è evidente la necessità di considerare costantemente il nuovo quadro di riferiment o europeo nel quale il nostro Paese si trova sempre più inserito e che è destinato a incidere profondamente su tutta la società nazionale e, quindi, anche sull'attuale situazione delle autonomie territoriali. Del resto, i nuovi traguardi accentueranno il confronto tra i paesi (e le rispettive società) della Comunità negli anni novanta e ogni disfunzione nel sistema degli Enti locali e delle Regioni in Italia renderà precario il sostenere positivamente questo confronto: ma ancor più che il confronto, il progresso delle Autonomie in Italia richiama il fatto che esso sarà condizionato dal progresso federativo dell'intera Comunità (e a sua volta lo condizionerà) e dall'avvio di un'autentica Unione politica sovranazionale, del suo sviluppo, della sua democraticità. Ne derivano, e su queste esigenze si è soffermata particolarmente l'intesa tra 1'AICCRE e il S.P.S.: - una più estesa consapevolezza dei significati culturali e politici dei progressi di integrazione europea; - una maggiore efficienza ed efficacia nella erogazione e gestione dei servizi pubblici; - una modernizzazione e rafforzamento delle infrastrutture di base avanzate; - una riorganizzazione ed innovazione della Amministrazione pubblica locale e nazionale. Per contribuire a conseguire tali risultati e per facilitare il raggiungimento delle opportune condizioni politiche, culturali e tecniche in grado di garantire il successo dei processi di integrazione, sembra necessario, dunque: - sviluppare opportune azioni di informazione sulle implicanze complessive e su quelle settoriali e specifiche dell'unificazione dei mercati, che consentano una adeguata preparazione dei governi locali ai compiti crescenti che da ciò derivano, chiarendo vincoli e potenzialità presenti nel nuovo ordinamento; - attivare momenti mirati di formazione e aggiornamento di amministratori ed operatori istituzionali su condizioni, procedure e normative relative al nuovo scenario europeo; - sistematizzare studi e dati riferiti al complesso dei problemi riguardanti gli enti locali e regionali al fine di fornire strumenti di conoscenza e operativi, utili al raggiungimento di più alti livelli standard nella realizzazione e gestione di servizi ed infrastrutture. Per il raggiungimento di tali obiettivi va tenuto conto, naturalmente, della diversa natura e delle diverse finalità dei due soggetti interessati. L'AICCRE, per sua funzione istituzionale, è impegnata nel sostenere e promuovere il processo di integrazione europea basat o sulla valorizzazione dei ruoli e compiti delle Autonomie locali e regionali, come condizione politica, istituzionale ed economica per l'avvio di un reale processo di «unità» affrancato da condizioni di squilibrio socio-economico; l'Associazione a tal fine ha definito nei propri programmi l'esigenza di opportune iniziative politiche, culturali e di informazione a favore delle Amministrazioni locali e regionali. La società SPS svolge la sua attività professionale nel campo della assistenza operativa e gestionale alla Amministrazione pubblica nazinale e locale, a sostegno dei processi di innovazione e modernizzazione dei servizi e delle infrastrutture ed è particolarmente impegnata nella predisposizione di studi, rapporti ed iniziative formative ed informative. Nella futura collaborazione perciò 1'AICCRE potrà svolgere, in particolare, funzioni istituzionali di indirizzo e rappresentanza; attività di collegamento nazionale ed internazionale; promozione di contatti e di contributi professionali eventualmente necessari. I1 S.P.S. potrà svolgere, in particolare, funzioni esecutive di coordinamento e gestione organizzativa e tecnico-scientifica delle risorse professionali necessarie allo sviluppo dei progetti. L'intesa individua alcune ipotesi di lavoro che, con particolare attenzione al settore dei «servizi», sottolineano l'esigenza di un sistema di informazione permanente per le amministrazioni locali e regionali, che attraverso apposite strumentazioni fornisca elementi su atti e normative ed aspetti finanziari, economici e sociali del processo di integrazione comunitaria; ma anche la necessità di un'attività di formazione, informazione ed aggiornamento rivolte all'alta dirigenza pubblica locale e agli operatori istituzionali interessati, al fine di contribuire a rafforzare una comune cultura comunitaria; di individuare politiche e soluzioni organizzativo-amministrative ottimali in previsione dell'apertura dei mercati comunitari e di fornire elementi di supporto operativo all'attività amministrativa e di governo. Allo sviluppo di tali ipotesi di lavoro si potrà procedere per fasi successive. Questa iniziativa, alla quale altre seguiranno per facilitare un supporto operativo e tecnico all'azione dell'AICCRE in favore di Comuni, Province e Regioni per meglio inserirle e farle partecipare utilmente al processo di integrazione europea e orientarle a coglierne tutto il significato e la rilevanza politica, non solo è pienamente compatibile con le caratteristiche statutarie della nostra Associazione, ma è anche una risposta - sia pure ancora parziale e particolare - all'auspicio emerso dalla riunione dell'Attivo dell'AICCRE del 9-10 febbraio volto ad assicurare maggiore efficacia operativa, calando sempre più il proprio messaggio politico nella concretezza dei problemi e delle esigenze delle autonomie territoriali. Del resto queste stesse preoccupazioni, su un piano più generale, hanno ispirato le prese di posizione dell'AICCRE quando essa ha delineato alcune linee di una riforma dell'ordinamento locale nel nostro paese capace di tenere conto della prospettiva dell'unione europea e del Mercato unico del 1993. A questo orientamento deve ora far seguit o una strategia complessiva della nostra Associazione in grado di ricercare occasioni di cooperazione e di coordinamento anche con altri soggetti dotati di specifiche competenze tecniche e con altre organizzazioni di enti locali o che operano attivamente nel sistema delle autonomie. L'Europa è destinata a recare rilevanti cambiamenti anche in questo campo, che vanno studiati, guidati e coordinati: 1'AICCRE non vuole certo disertare questo appuntamento e ignorare questa sfida. -.. ,. ,. .L GIUGNO 1989 Salone del libro di Torino Poco spazio all'Europa politica, economica e culturale Ma molti uccelli, mammiferi, rettili, arbusti europei! di Carla Valentino * Pochissimo il risalto accordato ai temi europei negli stands delle diverse case editrici, anche se un certo numero di titoli specifici è stato dedicato alla scadenza ormai fatidica del 1992. Troppo nascosto lo spazio occupato dall'apparato delle pubblicazioni ufficiali della Comunità. Iproblemi del libro, della scarsa diffusione della lettura (il 47% degli italiani non legge nemmeno un libro all'anno), dell'editoria, della rinascita saggistica in un salone contraddittorio 873 case editrici (su un totale di 2.159), 330 in più rispetto allo scorso anno; 150.000 visitatori previsti, 12.000 presenti il primo giorno, e 45.000 biglietti venduti ancora prima dell'apertura; un'area di 26.500 metri quadrati: queste sono solo alcune delle cifre del secondo Salone del Libro che ha avuto lugo dal 12 al 18 maggio a Torino. Edizioni speciali, inserti, articoli, magazine, servizi radiotelevisivi e comunicati di ogni genere hanno snocciolato tutti i numeri di questa grande occasione dell'editoria italiana fornendo ogni indicazione sulle presenze annunciate, sugli incontri, le conferenze, le mostre e quant'altro si è svolto durante questa settimana. Una valanga di informazioni e di dati che sono stati però già dimenticati dalle comunicazioni di massa che sono tornate ad occuparsi dei soliti fatti politici e dell'ennesima battuta di Pippo Baudo. Non lamentiamoci troppo, però: l'essenziale è che si sia parlato - anche se per una sola settimana - del libro, della scarsa diffusione della lettura (quasi il 47% degli italiani non legge nemmeno un libro all'anno!), dei problemi della nostra editoria, e della grande rinascita della saggistica. Solo nelle prime due giornate si sono accreditati oltre 450 giornalisti, in rappresentanza di dodici paesi, per un totale di 41 emittenti radiotelevisive; la RAI ha prodotto circa 5 ore di trasmissioni, oltre all'informazione giornalistica. Ancora qualche dato illuminante: in Italia ne11'87 sono stati prodotti 26.785 libri (in Germania Federale 65.680, in Inghilterra 59.837, in Spagna 38.809, in Francia 30.982); 14.456 nuovi titoli e il resto tra ristampe e nuove edizioni; pochissimi, per un fatturato totale di 2.710 rniliardi di lire. Ne11'88, infine, sulle circa 26.000 opere prodotte, del 37% non ne è stata venduta neanche una copia, del 37% una sola, del 18% due, d e l l ' l l % tre, e se togliamo le centinaia di migliaia di copie vendute solo del Pendolo di Foucoult di Eco scopriamo che rimane ben poco.. . Una situazione praticamente desolante. Unico dato di vitalità è il proliferare delle piccole case editrici che proprio grazie alle loro dimensioni e al lavoro di poche ma interessatissime persone riescono a pubblicare opere di grande valore che rimangono ignorate dai magnati dell'editoria, molto spesso più attenti ai profitti che alla qualità. E di queste piccole officine ne sono arrivate moltissime a Torino, proprio per sottolineare con la presenza * Inviata di "Comuni d'Europam a Torino. GIUGNO 1989 la loro grande opera di diffusione del libro e di produzione d i cultura. Passeggiare tra gli stands, curiosando da un angolo all'altro, è stata un'occasione preziosa per tutti i bibliofili: con la carenza di librerie che c'é in Italia (circa 15.000 - l'ultimo numero che fornirò - concentrate quasi esclusivamente nelle grandi città del nord: centinaia di paesini del meridione non dispongono che di una cartolibreria) c'é stato letteralmente da impazzire di «libridine» - come l'ha definita Beniamino Carucci, della omonima casa editrice romana. Quasi impossibile trovare posto in aereo se non prenotandolo con diversi giorni di anticipo. Lettori accaniti, curiosi e intere famiglie con tanti bambini hanno scelto di af- ri», «I1 libro e la televisione),, «I1 futuro della libreria),, «L'informazione culturale dei quotidiani locali), e altri ancora), mostre («I cent'anni della Laterza),, la bellissima «Impressions graphiques), di Giulio Paolini, «Parole, Immagini, Film», «Chagall illustratore),, «Dal film al romanzo dal romanzo al film», «L'Africa nella biblioteca reale», «I1 libro, editoria e cultura dal 1948 ad oggi»), e poi proiezioni e ancora incontri con gli autori: una settimana fittissima, ben diversa - proprio per questo I- dagli altri Saloni del libro che si tengono in tutta Europa. Un'occasione da cogliere, un evento da seguire con attenzione proprio per il «movimento» che ha causato: tutto meno che celebra- Venerdi 12 ha avuto luogo il primo convegno in programma: «Europa: intellettuali e poteri», organizzato dal periodico di informazione bibliografica «L'Indice». Hanno partecipato italiani «eminenti» come Franco Fortini e Gae Aulenti, Sergio Romano e Andrea Corandini, e illustri ospiti stranieri: Claus Clausen, Kerstin Ekman, Salvador Giner, Tony Harrison, Walter Hollerer (italianista e comparatista letterario alla Technische Universitat di Berlino) e il grande scrittore cecoslovacco Bohumil Hrabal; Arne Ruth, Frank Schimnacher, Jeremy Treglown e Daniel Vernet. Un'occasioneveramente «europea» di dibattito e di scambio di informazioni. Martedi 16 - sempre nell'ambito del Salone del Libro - si è svolta una tavola rotonda sull'informazione sul settore dell'editoria libraria, organizzata dal «Giornale della Libreria)), l'organo dell'Associazione Italiana Editori, a cui hanno partecipato rappresentanti dei periodici professionali di tutta Europa: «Delibros» (Madrid), «Livres Hebdo)) (Parigi), «Bockblad» (Amsterdam),«Bookseller» (Londra), «Borsenblattfir den Deutschen Buchandel))(Francoforte e Lipsia). Si tratta di periodici (settimanali e mensili) autonomi o emanazioni dirette di enti e di associazioni di categoria, editori e librai, che forniscono informazioni sui relativi mercati, sui problemi legislativi e amministrativi, e sulle novità. Mettere a confronto le diverse testate europee che si interessano dello stesso settore ha significato sottolineare la necessità di un interscambio continuo di notizie e di dati, proprio per fronteggiare problemi comuni come quelli legislativi o che riguardano la produzione e i sistemi di distribuzione e di vendita dei libri. Già è attivo - comunque - il G.E.L.C., il Gruppo degli editori di libri della Comunità europea. follare l'enorme area immersa nel parco del Valentino invece d i passeggiare al sole, e questo è stato già un bel risultato; ognuno con in mano dei depliants, la mappa del Salone per individuare tutti gli espositori e - tanti - qualche libro comprato: un giro d'affari di miliardi, specie - ancora una volta - per gli editori meno conosciuti. Tanti gli autori presenti per reclamizzare l'ultimo libro pubblicato e per firmare autografi, e soprattutto tanti gli appuntamenti da non mancare: incontri (con Beniamino Placido, Luca Ronconi, Piero Ottone, Claudio Mag r i ~e tanti altri), conferenze (di Eugenio Garin e André Schriffin, ad esempio), veri e propri convegni (su «Europa: intellettuali e pote- zione del libro e di chi lo produce, è stato come ha sintetizzato bene Francesco Alberoni - un invito a prendere confidenza con le persone e gli oggetti della lettura, colto soprattutto da chi difficilmente entra in libreria proprio perché si sente intimidito dalla «sacralità» del luogo, dalla incapacità di dirigersi con disinvoltura verso gli scaffali e non osa chiedere lumi al libraio per timore di confessare la propria incompetenza. La possibilità di scegliere un percorso o di camminare a caso, di correre da uno stand ad una mostra o di rimanere seduti solo a guardare, ha liberato i nonlettori dal timore e scatenato letteralmente la fantasia dei più disponibili. Ma veniamo ai libri presenti. 873 case ediCOMUNI D'EUROPA trici - come abbiamo visto - sono tante, impossibili da visitare tutte: dalle più g a n d i e più note (Mondadori, Garzanti, Rizzoli, Feltrinelli, Laterza, Einaudi, Adelphi, I1 Mulino, solo per fare qualche nome) ad alcune quasi sconosciute (come l'A.C.M.E., Associazione Amici del Museo Egizio), passando per la Rosellina Archinto, Bibiliopolis, Edizioni e/o, Sellerio, Novecento, il Melangolo, Pratiche, HopefulMonster: veri e propri gioielli dell'editoria italiana. Tantissime le novità presentate: ecologia e «nuova scienza», economia e romanzi, soprattutto; poca poesia e molti saggi; non tutta 1'Europa che si sarebbe aspettati di trovare, anzi pochissimo risalto ai temi europei e qualche titolo più specifico sulla scadenza ormai fatidica del '92. Un po' troppo nascosto lo stand dell'ufficio delle pubblicazioni ufficiali della Comunità europea, con documenti, opuscoli informativi, qualche copertina d i libri appena usciti e alcune riviste (vedi riquadro). Alla fine tutti contenti: grandi e piccoli editori, autori, visitatori professionali e semplici curiosi; anche i librai, i quali sanno che un'occasione di questo genere ha creato sicuramente dei nuovi lettori potenziali, disposti così forse - ad entrare più spesso nelle librerie. A parte questo, proprio ai librai e agli altri operatori del settore è stata dedicata la parte conclusiva del Salone, due giorni per contattare editori mai conosciuti ma interessanti, scambiare informazioni e prendere impegni reciproci; un'occasione importante per aggiornarsi sulla produzione e per tener d'occhio tutto il mercato nazionale. in cerca d'Europa Comunità come presenta? Nello stand ufficiale della Comunità e spigolando tra le pubblicazioni che le altre case editrici dedicano ai temi europei, dalla musica alla giurisprudenza Nello stand dell'ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee abbiamo trovato un opuscolo su «EUR-OP»: la «casa editrice per l'Europa» che cura tutte le pubblicazioni ufficiali delle istituzioni (Parlamento, Consiglio, Commissione, Corte di Giustizia, Corte dei Conti e Comitato economico e sociale) e degli altri organismi comunitari con sede a Lussemburgo, Bruxelles e Strasburgo. «EUR-OP», fondata nel 1969, ha sede a Lussemburgo (2 rue Mercier, L - 2985) e ogni anno pubblica circa 60 periodici e 900 monografie, e non soltanto nelle nove lingue comunitarie; inoltre ogni giorno, sempre nelle nove lingue, pubblica la «Gazzetta ufficiale delle Comunità europee». Gli argomenti principali - come indica l'opuscolo - sono: «affari generali, politici ed istituzionali; unione doganale; agricoltura, foreste e pesca; diritto comunitario; questioni sociali; assicurazioni, banche, commercio e professioni; trasporti; concorrenza; questioni economiche, monetarie e finanziarie; relazioni e commercio esterni; energia; industria; politica regionale; ambiente e protezione dei consumatori; scienza e tecnologia; insegnamento e politica culturale; statistiche; bibliografia e documentazione; attività diverse». Tutto quanto serve di sapere non solo in vista del «fatidico» '92 ma proprio per avere una visione veramente «europea» delle diverse problematiche. La Commissione ha presentato anche la collana editoriale «Un'Europa senza frontiere. Obiettivo 92» e alcuni titoli: Nome comuni per le imprese, di F. Nicolas e J. Repussard, Uno spaziofinanziarioeuropeo, D. Servais, guida delle professioni nella prospettiva del grande mercato, di J.C. Séché e con una prefazione di Jacques Delors, Libera circolazione delle persone nella comunità = ingresso e soggiorno di J.-C. Séché, Diritto di scelta e dinamica economica. L'obiettivo di una politica europea dei consumatori di E. Lawlor, Il completamento del mercato interno = Indagine sulla percezione dei probabili effetti da parte dell'industria europea, terzo volume della serie «Ricerca sul costo della non-Europa», a cura di G . Nerb e C. Smyth, La moneta, la politica economica e l'Europa, di T . PadoaSchioppa, e Panorama of EC industry 1989 over 125 sectors of manufacturing and service industrie~in focus, scritto da vari autori, con un messaggio di Jacques Delors, una prefazione di Karl-Heinz Narjes e un'introduzione di Fernand Braun. «EUR-OP» ha presentato anche «La dimensione sociale del mercato interno», numero speciale della rivista «Europa sociale» e «I1 mercato interno dell'energia», numero speciale di «Energia in Europa». Per quanto riguarda le novità editoriali presentate dalle altre case editrici segnaliamo: Una strategia per gli Stati Uniti d'Europa, di Altiero Spinelli, curato da S. Pistone per I1 Mulino, mensile dell'AICCRE Direttore responsabile: Urnberto Serafini Condirettore: Giancarlo Piombino Redattore capo: Edmondo Paolini Questo numero è stato chiuso il 21/7/1989 Direzione e redazione: Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma te1 6840461-2-3-4-5 Abbonamento annuo: per la Comunità europea, inclusa l'Italia L. 30.000 Estero L. 40.000; per Enti L. 150.000 Sostenitore L. 500.000 Benemerito L. 1.000.000 COMUNI D'EUROPA e sempre per la casa editrice bolognese 1992: Europa senza frontiere, di Pier Virgilio Dastoli, 1992. Come convivere con il grande mercato, di G . Baget Bozzo e M. Genovese, pubblicato da Luigi Reverdito, L'Europafra Nord e Sud. Trent'anni di politica internazionale, di R. Ledda, Editori Riuniti, Penultima Europa, di Saverio Vertone, Rizzoli, Musica e cultura nel '700 europeo, di M. Fubini per la Garzanti; Fògola di Torino ha annunciato l'uscita d e Ilsuicidio dell'Europa di P. Valéry. La Electa ha presentato l'opera Europa 1700-1992, diretta da V. Castronovo e E . Castelnuovo, articolata in sei volumi: La disgregazione delllAncien Régime, L'età delle rivoluzioni, Romanticismo e liberalismo, L'età della borghesia, Espansione coloniale e nazionalismi e La crisi del sistema. Sempre della Electa, il IV volume della serie «Storie di viaggiatori italiani» Europa, con due saggi iniziali dedicati a «Le carte dell'Europa» e a «I1 nome dell'Europa». La collana «Problemi di cultura europea»della Vallecchi, diretta d a V. Branca, ha pubblicato L'Europa musicale. Un nuovo Rinascimento: La civiltà dell'ascolto, a cura di A.L.Bellina e G . Morelli, Gli universi del fantastico, a cura di V. Branca e Ossola, e per la collana Vallecchi. Incontri europei e americani col Risorgimento, di G . Spini. Ottimo il catalogo delle Edizioni e/o, puntato proprio sulla cultura dei paesi dell'Europa centrale (Mesidi K. Brandys, ParigiBerlino di W . Gombrowicz e tante altre opere) e interessante l'iniziativa della «Biblioteca Gardesiana di Cultura Europea», edita dal Centro Interuniversitario d i Ricerche sul «Viaggio in Italia», che ha pubblicato quattro libri sul territorio del Garda nella cultura europea. Qualche curiosità: presso le Edizioni Culturali Internazionali di Genova è in preparazione il volume Il Graal in Europa di G . von dem Borne, mentre lo European Language Institute di Recanati cura una serie di fumetti per bambini in italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, latino e russo; ma il settore in cui ogni studio sembra ormai situato all'interno di un orizzonte europeo è quello.. . delle scienze naturali: il gruppo editoriale Muzzio di Padova pubblica guide agli uccelli, ai mammiferi, ai rettili, agli anfibi, ai pesci d'acqua dolce e agli insetti rigorosamente e specificatamente d'Europa, e così la Zanichelli, con le sue p i d e alle vegetazioni, agli alberi e agli arbusti e alle nature d'Europa, come se questo punto di vista «continentale» fosse il più scontato e ormai inevitabile! Per il resto, si tratta quasi esclusivamente di opere sulle normative e sulle giurisprudenze europee, edite d a Giuffré. C.V. Una copia L. 3.000 (arretrata L. 5.000) I versamenti devono essere effettuati: 1) sul c/c bancario n. 300.008 intestato: AICCRE c/o Istituto bancario San Paolo di Tonno, sede a Roma, Via della Stamperia, 64 - 00187 Roma, specificando la causale del versamento; 2) sul c.c.p. n. 38276002 intestato a "Comuni d'Europan, piazza di Trevi, 86 00187 Roma; 3) a mezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a: AICCRE, specificando la causale del versamento. Aut. Trib. di Roma n. 4696 dell'll-6-1955. Tip. Della Valle F. via Spoleto, 1 Roma Fotocomposizione: Graphic Art 6 s.r.l., Via del Caravagio 107 - Roma Associato all'USPI - Unione Stampa periodica italiana GIUGNO 1989