28 Sabato,20 aprile 2013 RuscaBeato Nicolò Rusca Sabato, 20 aprile 2013 Sondrio, 21 aprile 2013 Nicolò Rusca è beato Chiamati a raccogliere la sua testimonianza L a corona di santi e beati della diocesi di Como accoglie, da domenica 21 aprile, l’arciprete Nicolò Rusca, del quale, tra l’altro, ricorrono i 450 anni dalla nascita. La vicenda umana e sacerdotale del Rusca è cronologicamente remota, ma ha molto da raccontare e insegnare anche alla nostra epoca. La sua vicenda si consumò cinque secoli fa, in un contesto sociale, geografico e politico assai diverso dall’attuale, in una Valtellina crocevia di imperi, religioni e culture, spesso teatro di scontro, e di incontro, fra entità sovranazionali e correnti religiose, all’epoca particolarmente fiorenti e vivaci. Il 19 dicembre 2011, quando Benedetto XVI autorizzò la promulgazione del decreto con il quale si riconosceva Nicolò Rusca martire per la fede, ricordai che la Diocesi di Como, dopo aver salutato, solo poche settimane prima (il 23 ottobre dello stesso anno), la canonizzazione del suo sacerdote Luigi Guanella – il quale fu tra primi a impegnarsi per ufficializzare le virtù dell’arciprete di Sondrio – accoglieva, con gioia, un nuovo riconoscimento della forte testimonianza di fede di un membro del clero diocesano. Già molti contemporanei riconobbero al Rusca una limpidezza di vita e una levatura morale davvero notevoli. San Carlo Borromeo, per esempio, il quale gli profetizzò il martirio quando era ancora giovane seminarista presso il Collegio Elvetico di Milano. O Giovanni Antonio Paravicini, suo immediato successore alla guida dei fedeli di Sondrio e della Valmalenco. Ma anche il cardinale San Roberto Bellarmino, che in un significativo scambio epistolare, si complimenta con l’arciprete Rusca per la preparazione teologica e la curiosità che alimentava la sua passione per quella che oggi chiameremmo “formazione permanente”. Ci interroghiamo su cosa il Rusca e il suo martirio dicono a noi, cristiani del Terzo Millennio. Esprimiamo, intanto, il nostro «grazie» a coloro che, con anni di ricerche approfondite e accurate, hanno restituito alla memoria dell’intera famiglia diocesana la storia e la testimonianza di questo figlio umile e coraggioso, il quale, prima di essere un “martire”, è stato innanzitutto un “parroco”: impegnato nello studio e nell’approfondimento delle conoscenze proprie e altrui, attivo, sensibile verso il gregge affidato alla sua cura, accogliente e aperto. Non dobbiamo disperdere la forza dirompente e liberante del suo messaggio: ricercare il dialogo, annunciare con la parola e le opere il Vangelo ai fratelli e non rinnegare la Croce, anche quando questa chieda di donare la propria vita. Accanto alla persona e all’impegno pastorale dell’ormai prossimo beato, dobbiamo fare nostro il valore della sua “ecumenicità”. Questa beatificazione è occasione da vivere come linfa per un cammino ecumenico di reciproca e rispettosa conoscenza. È un momento da vivere non gli uni contro gli altri, ma dialogando insieme, nel rispetto, ciascuno, delle proprie peculiarità, guardando all’unica Verità che è Cristo. Il recupero di una fede che non sia solo tradizione, ma parte integrante della nostra vita, radicata nel cuore e nelle azioni, passa anche attraverso la conoscenza di testimoni credibili come l’arciprete Nicolò, la cui beatificazione, molto significativamente, giunge nell’anno che il papa emerito Benedetto XVI ha voluto fosse dedicato proprio alla Fede e che il successore papa Francesco ha detto di far suo con il massimo impegno. Come accennavamo poco sopra, la centralità dei sacramenti, la sensibilità culturale, l’attenzione ai fragili (tanti i poveri ai quali il Rusca non faceva mancare la sua vicinanza, anche concreta!), l’impegno per il confronto con i cristiani riformati, lo rendono una figura molto attuale. Da domenica Nicolò sarà modello di vita cristiana per tutti i fedeli e i sacerdoti della Chiesa di Como. Il cammino comincia adesso. La gioia di questa circostanza sostenga la responsabilità di raccogliere e perpetuare la sua testimonianza. + Diego Coletti, vescovo «Credo di essere nella vera fede, et in essa voglio vivere, e per quella sono preparato, per spargere il sangue (...) So bene che di mia natura sono debole, et infermo, spero nondimeno che in tale occasione Iddio mi darebbe fortezza, come la diede alle Sante Donne, che patirono il martirio...». Nel momento in cui Rusca dovrà sottoporsi ai tormenti, dopo averli temuti e aver tentato di evitarli, li accettò liberamente, dichiarando di «voler morire nella fede cattolica romana». I II Nicolò Rusca Sabato, 20 aprile 2013 Benedetto XVI, Angelus, 11 agosto 2010 ■ Note biografiche Rusca arciprete a Sondrio in un’epoca complessa attraversata da conflitti Dove si fonda il martirio? La risposta è semplice: sulla morte di Gesù, sul suo sacrificio supremo d’amore, consumato sulla Croce, affinchè noi potessimo avere la vita (cfr Gv 10,10)... Il martire segue il Signore fino in fondo, accettando liberamente di morire per la salvezza del mondo, in una prova suprema di fede e di amore (cfr Lumen Gentium, 42)... Da dove nasce la forza per affrontare il martirio? Dalla profonda e intima N icolò Rusca nacque il 20 aprile 1563 a Bedano, nei pressi di Lugano, nel Canton Ticino, in territorio posto, a quel tempo, sotto la giurisdizione della diocesi di Como. I genitori, Giovanni Antonio, notaio, e Daria, figlia del medico Giangiacomo Quadrio, ebbero cinque figli: Nicolò primogenito; Bartolomeo e Luigi – anch’essi preti diocesani –; Margherita, monaca benedettina nel monastero di San Lorenzo a Sondrio; Cristoforo, che portò avanti la discendenza con Giovanni Antonio e Carlo, a loro volta sacerdoti. Dopo gli studi a Pavia e a Roma, Rusca frequentò il Collegio Elvetico di Milano, fondato da san Carlo Borromeo per la formazione dei chierici svizzeri. Venne ordinato prete il 23 maggio 1587. Il primo incarico, nel 1588, fu la cura della parrocchia di Sessa (in Ticino), dove rimase per circa due anni. In seguito, venne nominato arciprete di Sondrio, territorio dipendente dalla diocesi di Como, ma politicamente soggetto alle Tre Leghe Grigie, che da 80 anni occupavano la Valtellina, Bormio e Chiavenna, consapevoli dell’importanza strategica di questo territorio. Permetteva, infatti, il collegamento diretto dei possedimenti spagnoli del Milanese con quelli del Tirolo e quindi con l’Austria, fino alla Germania e ai Paesi Bassi, da una parte, il collegamento della Repubblica di Venezia, avversario politico-militare del ducato di Milano, con gli Svizzeri e i loro alleati, fino alla Francia, dall’altra. Nei trent’anni di permanenza a Sondrio – dal 1590 al 1618 – Nicolò Rusca svolse esemplarmente il ministero: predicazione e scuole della dottrina cristiana, amministrazione dei sacramenti, istituzione di confraternite (in particolare quella del Santissimo Sacramento), rinnovamento dei luoghi sacri e delle suppellettili liturgiche, pietà unita a una condotta di vita che fosse «a edificazione de popoli», continuo studio. La riforma del clero, secondo quanto il concilio di Trento richiamava, da cui doveva derivare la più generale riforma dell’intera comunità cristiana, trovò in lui un modello di prete “rinnovato”. Non di meno, fervente fu la sua azione a difesa della dottrina cattolica, mediante scritti e dispute – se ne ricordano almeno tre, tra il 1592 e il 1597 –, mossa dal desiderio di preservare e ravvivare la fede delle popolazioni della valle. Le fonti documentarie attestano la sua fermezza e chiarezza quanto ai contenuti dottrinali e all’appartenenza ecclesiale, dall’altra emerge anche il suo sincero rispetto verso le persone di diversa fede, talora anche l’amicizia, ad esempio, con il pastore di Sondrio, Scipione Calandrino, con il quale ebbe anche uno scambio di libri, o con il governatore e storico grigione Fortunato Sprecher, che per due anni gli fu «familiare». All’inizio del Seicento la situazione politico-religiosa interna alle Tre Leghe condusse lo Stato retico a un periodo di forte disorientamento. In reazione a un patto sancito tra i Grigioni e la Spagna, nel 1617, si era prodotto il “sollevamento in armi” di alcuni Comuni filo-veneti. Tale iniziativa assunse anche un chiaro connotato confessionale, individuando indistintamente quali nemici dello Stato sia i sostenitori della Spagna, sia alcuni cattolici più eminenti. Gli insorti, confluiti nei pressi di Thusis, istituirono un tribunale per i sospettati di tradimento. Iniziarono così processi sommari e faziosi, influenzati da alcuni giovani pastori riformati di tendenza radicale, presenti come “supervisori” ecclesiastici. Ne fu vittima, tra gli altri, l’arciprete di Sondrio, che già aveva subìto due processi, nel 16081609, da cui era uscito completamente scagionato. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1618 venne sequestrato da alcune decine di uomini armati, scesi a Sondrio attraverso la Valmalenco, sotto la guida del pastore protestante Marcantonio Alba. Condotto nei Grigioni, prima a Coira, poi a Thusis, il primo settembre fu processato, affermando sempre di essere innocente. Posto sotto tortura, morì la sera del 4 settembre 1618. ● In sintesi la cronistoria dell’iter che giungerà a compimento il 21 aprile unione con Cristo... il martirio e la vocazione al martirio non il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta a un’iniziativa e a una chiamata di Dio, sono un dono della sua Grazia... La Grazia di Dio non sopprime o soffoca la libertà di chi affronta il martirio, anzi la arricchisce e la esalta: il martire è una persona libera,che in un supremo atto di fede, speranza e carità si abbandona nelle mani del Redentore. ● Un cammino durato quasi un secolo fra ricerche e analisi ● Nel 2003 il sì degli storici, nel 2009 quello dei teologi, nel 2011 l’annuncio La causa di beatificazione L a donazione all’arciprete di Sondrio Giovanni Antonio Paravicini, nel 1634, di un osso della gamba di Nicolò Rusca da parte dell’abate di Pfäfers (Svizzera), dove il corpo del futuro beato era stato portato dopo l’umiliante sepoltura sotto il patibolo, aprì il cammino al primo tentativo di onorarlo quale martire. Nei secoli successivi, la fama di martirio non venne meno, ma solo con l’arrivo a Sondrio, nel 1845, dei resti mortali, il vescovo Carlo Romanò fece richiesta di pubblica venerazione alla Congregazione dei Riti, ricevendo risposta negativa poiché non era ancora stato istruito il processo canonico. Motivi per lo più di carattere economico rimandarono le pratiche al nuovo secolo. Fino alla sua morte, avvenuta nel 1915, fu poi san Luigi Guanella a interessare i vescovi di Coira, Lugano e Como, nonché la Santa Sede, a riguardo della causa di beatificazione. Dopo alcuni anni dedicati a studi sulla figura di Nicolò Rusca e a verificare le modalità per l’apertura della causa, verso la fine del 1913 si registrò il primo atto ufficiale: il 13 dicembre, il vescovo Alfonso Archi nominò postulatore don Giovanni Baserga, che iniziò subito le ricerche. Al 1925 risale il secondo tentativo per dare inizio alla causa, quando venne stesa una petizione, che i preti valtellinesi dovevano sottoscrivere e che fu presentata l’8 dicembre 1927 al vescovo Adolfo Luigi Pagani, cui giunse una nuova sollecitazione nel 1929, in occasione del raduno diocesano dell’Azione cattolica a Sondrio. Con l’arrivo del vescovo Alessandro Macchi venne designato un Comitato di studio provvisorio formato da don Giovanni Baserga, don Giacinto Turazza e don Giovanni Battista Rapella. Grazie al Comitato, il 15 maggio 1931 fu chiesto che avessero inizio «le opportune pratiche, secondo le norme del diritto canonico, per la doverosa esaltazione del martire di Cristo Nicolò Rusca»: fu questo l’atto decisivo per l’apertura del processo la cui competenza giuridica fu affidata alla Diocesi di Como. Il 15 dicembre, una quarantina di preti – vicari foranei, prevosti di Como e una rappresentanza del Capitolo della Cattedrale – deliberarono di costituirsi «collegialmente in attore della causa», nominando sei rappresentanti, tra i quali don Giovanni Baserga e don Gioacchino Cachat. Don Giacinto Turazza avrebbe cooperato per gli aspetti legali del processo e per la posizione storica. Il 28 settembre 1933, Alessandro Macchi affidò l’incarico di postulatore a Giuseppe Trezzi, avvocato presso la Congregazione dei Riti, mentre il 21 dicembre il canonico Giovanni Piccinelli fu scelto come vicepostulatore. Poté così avere inizio il processo diocesano: il primo febbraio 1934 fu costituito il tribunale; per oltre un anno, fino a giugno del 1935, si svolsero le tre sezioni previste, quella sugli scritti del servo di Dio, quella informativa per le prove del martirio e quella di non culto. Consegnati gli atti in Vaticano, spettava alla Congregazione dei Riti promuovere il processo ordinario. A tale scopo, il 18 novembre 1936 il cardinale Carlo Salotti fu nominato cardinale ponente della causa, assegnata nel 1941 alla Sezione storica. Negli anni successivi, risultando tutto fermo, monsignor Macchi, nel 1945, inviò a Roma don Pietro Gini per verificare se ci fossero impedimenti; chiese aiuto, inoltre, ai presuli di Lugano e di Coira. Agli inizi di dicembre del 1950, il suo successore, Felice Bonomini, poteva annunciare al postulatore che i vescovi Angelo Jelmini di Lugano e Cristiano Caminada di Coira assicuravano una raccolta di fondi nelle rispettive diocesi per condurre a termine il processo di beatificazione. Con il compito di mantenere i contatti con le congregazioni romane, nel 1952 venne incaricato di interessarsi alla causa don Giuseppe Cerfoglia, al quale si unì, nel 1953, don Tarcisio Salice, valente studioso che per oltre cinquant’anni tenne viva la ricerca storica e l’interesse su Rusca. Nel gennaio del 1957, dopo la morte di don Giuseppe Trezzi, furono nominati un nuovo postulatore, Alfonso Codaghengo, e vicepostulatore, don Pietro Gini; nel settembre fu costituito un Comitato promotore, con il vescovo Felice Bonomini quale presidente onorario e con Giovanni Tirinzoni, arciprete di Sondrio (sostituito nel 1962 da Ambrogio Fogliani, suo successore), quale presidente esecutivo. Il nuovo postulatore predispose per il relatore generale della Sezione storica della Congregazione dei Riti, Amato Pietro Frutaz, la documentazione per la stesura della Positio Causae e del Summarium. Con grande soddisfazione della diocesi comasca, nel 1960 giunse il parere positivo sugli scritti di Nicolò Rusca da parte dei due teologi censori della Congregazione dei Riti. Il 10 maggio 1961, la Congregazione dei Riti concesse il nullaosta per la prosecuzione della causa, affidata ad alcuni frati cappuccini della Svizzera. Cappuccino svizzero era anche il nuovo postulatore, Mathis Burckard, che svolse l’incarico dal 1966 fino all’ottobre del 1978, quando rinunciò per ragioni di età e di salute. Approfondirono lo studio storico Lorenzo Casutt, che compì ricerche negli archivi di Berna, Coira, Zurigo, Venezia, Sondrio, Milano, e Theophil Graf, che consultò gli archivi di San Gallo, Ginevra, Coira e si procurò copie di interessanti documenti conservati nell’Archivio generale di Simancas (Spagna). Da ultimo, Rocco Casari di Bedano mise mano alla biografia di don Rusca. Al vescovo Teresio Ferraroni fu fatta presente la necessità di portare a termine uno «studio storico accuratissimo e critico in ogni sua parte», ma, con la morte di padre Casari, tutto si bloccò e il materiale fu ritirato da monsignor Gini. Spettò al vescovo Alessandro Maggiolini riprendere con decisione la causa: nel 1994 affidò l’incarico di postulatore, dopo la rinuncia di Gilberto Agustoni (19791984), a padre Paolino Rossi, cappuccino, e di vicepostulatore a monsignor Enrico Radice dell’Opera Don Folci; richiese a Roma la prosecuzione dell’iter del processo, con il nullaosta che giunse il 27 marzo 1995; consegnò scatoloni di documenti a don Saverio Xeres, direttore dell’Archivio storico della diocesi di Como. Sotto la responsabilità di quest’ultimo il materiale venne ordinato, schedato e selezionato, nonché integrato con le carte dell’Archivio di Stato di Sondrio, fornite da don da Prada. Gli anni successivi videro il lungo lavoro dei membri della Commissione storica diocesana, tra cui Giovanni Giorgetta e Gianluigi Garbellini, che portò alla stesura della Positio super martyrio, stampata a Roma nel 2002. Essa fu sottoposta al vaglio della Congregazione per le Cause dei santi, prima dei consultori storici, che nel 2003 diedero parere affermativo, poi dei consultori teologi, la cui valutazione, nel 2009, fu «unanimemente positiva». L’ultima approvazione è venuta dalla sessione ordinaria dei cardinali e dei vescovi, con la conseguente promulgazione del decreto di riconoscimento del martirio, lunedì 19 dicembre 2011, da parte di Benedetto XVI. Nicolò Rusca Il Decreto vescovile I n accordo con il Consiglio Episcopale e i Vicari foranei, sentiti durante la Sessione del 2829 gennaio 2013, DISPONGO che in data 21 aprile 2013, in occasione della celebrazione del rito di beatificazione del sacerdote Sabato, 20 aprile 2013 III Nicolò Rusca, martire, vengano sospese tutte le Sante Messe vespertine di quella domenica in tutto il territorio della provincia di Sondrio, per permettere ai sacerdoti e alle loro comunità cristiane di poter convergere nel capoluogo valtellinese e partecipare al rito di beatificazione. Per il restante territorio diocesano, ci si attenga a quanto stabilito in sede di Consiglio vicariale. Inoltre, a tutte le parrocchie del territorio diocesano, chiedo di suonare a festa le campane alle ore 15.45, come segno di gioia e partecipazione a questo evento di grazia per la nostra Chiesa comense. Como, l’8 aprile 2013 + Diego Coletti, Vescovo La novità dal 2005. Lo svolgimento nelle Chiese particolari; è la prima volta in Diocesi L a beatificazione è un atto del Papa con il quale si permette che un servo di Dio, accertata l’eroicità delle sue virtù e l’esistenza di un miracolo attribuito alla sua intercessione, o il martirio subito per la fede, possa essere venerato pubblicamente in una determinata regione, o diocesi o comunità religiosa con il titolo di Beato. La canonizzazione si differenzia dalla beatificazione in quanto si tratta di un decreto che riguarda la venerazione ecclesiale pubblica di un individuo e ha valore universale. Anticamente la beatificazione non si distingueva dalla canonizzazione che per i limiti del luogo imposti alle manifestazioni di culto: dopo l’inchiesta condotta dal Vescovo, che all’inizio riguardava esclusivamente l’accertamento del martirio ed era detta vindicatio, il Servo di Dio veniva onorato in quella Chiesa particolare. Un tale culto si estendeva anche alle altre Chiese fino ad avere un valore universale. Tale prassi, inizialmente riservata ai soli martiri, a partire dal IV/V secolo cominciò ad essere estesa anche ai confessori, cioè a quei fedeli, che pur non avendo subito il martirio per la fede, erano morti pacificamente dopo aver confessato la fede davanti ai nemici della religione cristiana e avevano sofferto per essa umiliazioni, processi e torture. In seguito i confessori saranno semplicemente coloro che avevano vissuto eroicamente le virtù cristiane. Tale prassi rimase in vigore fino al XI/XIII secolo. A partire dal XV secolo, data anche la lunghezza dei processi di canonizzazione, si cominciò a concedere il permesso di tributare sul piano locale il culto ad alcuni Servi di Dio in attesa della loro canonizzazione e che si potessero definire Beati. Fu Sisto IV (1471-1484), che distinse formalmente il titolo di Beatus da quello di Sanctus. Con Paolo V (1605-1621) e con Urbano VIII (1623-1644), furono riordinate le procedure affidandone la Disponibili fino a 2500 posti a sedere; l’accesso a partire dalle ore 13.30; maxi schermo in piazza Campello; aperta la Collegiata; dirette radio e tv D I caratteri del rito trattazione alla Sacra Congregazione per i Riti, costituita da Sisto V (1585-1590) nel 1587 alla quale è succeduta, con la riforma della curia romana di Paolo VI (19631978) nel 1969, l’attuale Congregazione delle Cause dei Santi. A Paolo VI si deve pure il riordino dei processi per le cause di beatificazione e canonizzazione con il motu proprio Sanctitatis clarior. Al presente la legislazione della Chiesa è retta sia dalla costituzione apostolica Divinus perfectionis magister del beato Giovanni Paolo II (1978-2005) del 1983, sia dalla Istruzione della Congregazione per le Cause dei Santi Sanctorum Mater del 2007. Dal punto di vista liturgico possiamo distinguere quattro periodi. Il primo, precedente al 1662, durante il quale il Papa, concedendo il culto locale (beatificazione), normalmente lasciava agli interessati la possibilità di scegliere il giorno, il luogo e il modo per solennizzare l’evento della avvenuta beatificazione, e per inaugurare il nuovo culto (Missa et Officium). Il secondo periodo è compreso tra il 1662 e il 1969 e inizia con la prima solenne beatificazione celebrata in san Pietro, quella di Francesco di Sales l’8 gennaio 1662, da papa Alessandro VII (1655-1667). Il rito, normalmente celebrato nella basilica vaticana, prevedeva due momenti. Al mattino dopo aver ascoltato alcune note biografiche del venerabile, veniva pubblicato solennemente il Breve di Beatificazione, alla presenza della Congregazione dei Riti. Al termine della lettura si scopriva l’immagine del nuovo Beato e si intonava il Te Deum a cui seguiva la Messa solenne preceduta dalla venerazione delle reliquie. La celebrazione, a cura del capitolo della Basilica, era officiata da un Vescovo canonico del medesimo capitolo. Nel pomeriggio il Papa scendeva in San Pietro per venerare il nuovo Beato o la nuova Beata e si celebrava una breve funzione con la benedizione eucaristica. Il terzo periodo è quello compreso dal 1969 al 2004: il Papa in persona pronunciava la formula di beatificazione posta all’inizio della Santa Messa dopo l’atto penitenziale, accompagnata dallo scoprimento dell’immagine e dalla venerazione delle reliquie. Paolo VI volle così presiedere personalmente il rito della beatificazione e così fece il Beato Giovanni Paolo II. Il nuovo rito fece cadere la cerimonia pomeridiana. La novità assoluta è consistita nelle redazione di una “formula di beatificazione”, letta dal Papa stesso e che sostituiva la lettura del Breve apostolico. Nelle beatificazioni del 1972, 1974, 1975 il Papa, presente alla celebrazione, riceveva la peroratio, cioè la richiesta di procedere alla Beatificazione, e pronunziava la formula di beatificazione, ma non celebrava la Messa. Dal 1975 il Papa tornò a presiedere anche la Messa e così si continuò fino al 2004. Benedetto XVI ha stabilito, a partire dal 2005 che la beatificazione, che è sempre atto pontificio, venga celebrata da un rappresentante del Santo Padre, solitamente il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, nelle chiese particolari. Il Rito della beatificazione posto nel contesto di una celebrazione liturgica, inizia con la presentazione all’assemblea dei tratti essenziali del nuovo Beato, fatta generalmente dal Vescovo diocesano, quindi il rappresentante dal Papa da lettura della Lettera Apostolica con la quale il Sommo Pontefice concede il titolo e gli onori di Beato al Servo di Dio. Seguono la venerazione delle reliquie e lo scoprimento dell’immagine Conformemente alla prassi più recente il rito di Beatificazione si svolge all’interno della celebrazione eucaristica, dopo l’atto penitenziale e prima del canto del gloria, sebbene sia contemplata la possibilità che il rito possa essere collocato all’interno di una celebrazione della parola o della liturgia delle ore. monsignor STEFANO SANCHIRICO cerimoniere pontificio dal Notiziario “Il Campello” Il 21 aprile il rito in piazza Garibaldi omenica 21 aprile, a Sondrio, sono attese migliaia di persone per il rito di beatificazione, presieduto dal cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi. Da allora Nicolò Rusca sarà «modello di vita cristiana per la Chiesa». Una decina i vescovi attesi accanto al nostro presule monsignor Diego Coletti; centocinquanta i sacerdoti concelebranti. In occasione della beatificazione l’Ufficio liturgico ha predisposto dei particolari paramenti: una stola e una casula in color avorio con ricamate delle croci (profilate in rosso per ricordare il martirio) che riprendono il disegno presente sulla mitria del Vescovo Abbondio, patrono della Chiesa comense. Oltre 700 i coristi impegnati nell’animazione di polifonia e assemblea. Il repertorio prescelto ripropone, tra gli altri, alcuni dei canti utilizzati per la visita di Giovanni Paolo II a Como nel 1996: «per sottolineare il fatto che la beatificazione è sempre e comunque “liturgia papale”, anche se, dal 2005, è previsto che si svolga nelle diocesi di provenienza dei beati, in presenza di un delegato del Santo Padre», spiegano i liturgisti diocesani. Il rito si svolgerà all’aperto, in piazza Garibaldi, a partire dalle ore 15.30 (la processione di ingresso muoverà dalla chiesa Collegiata alle ore 15.20): la visuale sul palco rialzato dei celebranti è ottimale da ogni punto. Lo spazio sarà accessibile a partire dalle ore 13.30 (non ci sono biglietti). Circa 1500 i posti a sedere utilizzabili –potranno essere occupati fino a esaurimento – oltre a quelli riservati a coro, concelebranti, autorità, disabili con accompagnatori, religiose e religiosi, per un totale di 2500 disponibilità. La celebrazione potrà essere seguita anche dalle vie attigue: da piazza Campello (con maxi-schermo) e dall’interno della chiesa Collegiata. L’evento sarà trasmesso in diretta televisiva (l’emittente è Telepace, più lo streaming su www.telepace. it) e radiofonica (su Radio Mater; anche sul web www. radiomater.org). La beatificazione sarà preceduta, dalle ore 14.30, da un momento di preghiera. La sera prima, sabato 20 aprile, dalle ore 20.15, Veglia del Vescovo con i giovani (inizio alla chiesa del Sacro Cuore; segue la fiaccolata fino alla Collegiata; alle ore 21.30 Lectio divina di monsignor Coletti, poi adorazione fino alle ore 23.00). «Sebbene si tratti di una vicenda lontana - dice don Emanuele Corti della Pastorale Giovanile -, l’arciprete Rusca ci ribadisce che tutti siamo chiamati alla santità». Gli oratori di Sondrio, e alcune strutture di congregazioni e istituti religiosi, saranno aperti fin dal mattino di domenica per offrire ospitalità e accoglienza, mentre nei vari punti di ingresso del capoluogo ci saranno a disposizione parcheggi gratuiti per pullman e auto. Aperto a tutti anche il parco Adda-Mallero, a pochi minuti a piedi da piazza Garibaldi. (E.L.) Nicolò Rusca IV Sabato, 20 aprile 2013 O Gesù, Buon Pastore, ti ringraziamo per averci dato, come guida al tuo gregge, in tempi difficili, il beato Nicolò Rusca. Egli ha nutrito il tuo popolo con la Parola che illumina e la Grazia che salva, difendendolo con coraggio da errori e divisioni. Per il bene dei fratelli ha offerto, come Te, tutto se stesso, fino al dono supremo della vita. Suscita, ancor oggi, Signore, tra noi, pastori santi che a te ci conducano. Amen Da Santi e Beati energia di amore «I Santi – ha affermato lo scorso gennaio il cardinal Angelo Amato, Prefetto per la Congregazione delle Cause dei Santi, aprendo lo Studium 2013, ovvero il percorso formativo per i postulatori – immettono nella storia dell’umanità l’energia pulita dell’amore, del perdono, della fratellanza, della mitezza e della pace. Con la loro grande bontà essi rendono più ospitale la città dell’uomo e più luminosa la città di Dio, che è la Chiesa. I Santi cambiano il mondo, e le canonizzazioni allietano ma anche la Chiesa, resa più la Chiesa ma soprattutto evangelica e più credibile rilanciano l’entusiasmo della dalla loro testimonianza. fede nelle diocesi e nelle Da questo punto di vista, l’esperienza delle beatificazioni congregazioni religiose… Gli influssi benefici delle e delle canonizzazioni è cause di beatificazione e di sorprendentemente positiva. canonizzazione sono di grande I Beati e i Santi non solo portata spirituale e pastorale. I dalla Chiesa ma anche dalla santi e i beati sono i veri tesori società civile vengono accolti della Chiesa. E tutti coloro con fierezza e cordialmente che collaborano alle cause onorati, perché considerati dei santi sono come degli eroi del bene e modelli di sana orafi, che trattano materiali umanità… Le beatificazioni preziosi come oro, platino, diamanti, perle. Con pazienza e somma perizia questi artisti, spesso sconosciuti, li lavorano con estrema delicatezza, li ripuliscono dalle impurità e li restituiscono al loro vero splendore… Martiri, Confessori, Venerabili, Beati, Santi, Dottori della Chiesa non sono quadri di musei o di antiche dimore abbandonate, ma sono esistenze vive, che ispirano ancora oggi la Chiesa a evitare la paralisi del bene e a mantenere l’ottimismo della fede, dell’amore alla vita e della speranza. La nave della Chiesa trova nei Santi le guide sicure, che, ancorate in cielo, l’aiutano a non naufragare nel mare della storia, ma a raggiungere il porto sicuro della Gerusalemme celeste. Per questo la Chiesa ha bisogno dei Santi. La Chiesa fa i Santi perché i Santi cambiano il mondo e la glorificano davanti a Dio e all’umanità». Conosciamo la ricca schiera di Santi e Beati della Diocesi di Como Da domenica 21 aprile l’arciprete Nicolò Rusca va a unirsi ai tanti uomini e donne che nel corso dei secoli hanno testimoniato la fede con la vita e le opere. N icolò Rusca va ad aggiungersi ad una già ricca schiera di santi e beati legati alla Diocesi di Como. Il sacerdote originario di Bedano, arciprete di Sondrio tra il 1591 e il 1618, si inserisce nel solco della fede testimoniata da grandi figure che hanno segnato la storia della nostra Chiesa diocesana a partire dai primi secoli della cristianità. I soldati romani Carpoforo, Esanzio, Cassio, Severino, Secondo e Licinio, martirizzati all’inizio del IV secolo alle porte di Como, sono infatti i primi santi della Diocesi. Le loro reliquie sono oggi venerate nella chiesa parrocchiale di Camerlata, mentre a San Fedelino, località sulle rive del lago di Novate Mezzola, sono conservate le spoglie di Fedele, ultimo soldato del gruppo riuscito a sfuggire alle persecuzioni sino alle porte della Valchiavenna. «La vicenda di questi santi – per citare monsignor Xeres – ci fa trovare di fronte ad un sorprendente anticipo: la Parola del Vangelo che viene preceduta dal sacrificio dei martiri». Tra i santi della Chiesa comense ci sono poi le figure dei vescovi che aprono la serie di pastori della Diocesi, primo dei quali fu Felice, ordinato da Sant’Ambrogio il 1° novembre 386 e inviato a Como. Grazie alla sua predicazione, molti abitanti del territorio comasco furono iniziati alla fede. Dopo San Felice, le cui reliquie sono conservate nell’omonima basilica nel centro della città di Como, divennero vescovi Probino e quindi Amanzio, entrambi venerati come santi. Il primo, con la predicazione e lo zelo pastorale, conservò immune la Chiesa diocesana dall’eresia ariana, mentre il secondo lavorò assiduamente per l’edificazione di quella che sarebbe stata la Chiesa poi retta da Abbondio, oggi patrono della città e della Diocesi di Como. Oltre che per il grande impegno di evangelizzazione della città e della terra lariana, Sant’Abbondio viene ricordato anche per l’importante ruolo che ebbe, nel 451, al Concilio ecumenico di Calcedonia dove contribuì alla definizione del dogma cristologico che afferma la piena divinità e l’integra umanità di Cristo. Le reliquie di Sant’Abbondio sono conservate nell’omonima basilica assieme a quelle di altri vescovi venerati come santi: Console, Esuperanzio, Eusebio, Eupilio, Prospero e Giovanni. Santo viene considerato anche Eutichio, che governò la Chiesa di Como nel VI secolo. Poi, per immemorabile tradizione liturgica, vengono venerati in un’unica memoria liturgica il 1° settembre, tutti i primi 22 vescovi della Diocesi, fino al VII secolo. Nel VI secolo Como conobbe due figure, le sorelle vergini Liberata e Faustina, che diedero inizio alla prima forma monastica in Diocesi. Provenienti da Piacenza, fondarono a Como il monastero femminile di Santa Maria Vetere, poi detto di Santa Margherita. Dopo questi esempi, che ricordavano alla comunità cristiana che si può vivere solo di Dio, bisogna attendere poi sette secoli per incontrare la figura di San Pietro da Verona, sacerdote che conobbe personalmente San Domenico ed entrò nell’ordine da lui fondato, divenendo priore del convento di San Giovanni in Pedemonte che sorgeva sull’area dell’attuale stazione di San Giovanni a Como. Vittima di un complotto lungo la strada da Como a Milano, San Pietro fu ucciso a colpi di roncola il 6 aprile 1252 e dal 1691 è il secondo patrono della città di Como. Accanto ai santi vanno poi ricordati i beati legati alla Diocesi. Nel XV secolo si incontra la figura della beata Maddalena Albrici, che da monaca del monastero agostiniano di Brunate si prodigò per la pacificazione delle famiglie comasche affiancata dalla predicazione di San Bernardino da Siena, che la volle incontrare. Con loro operò un altro uomo di pace, il sacerdote Antonio Della Chiesa, venerato come beato, originario di San Germano presso Vercelli e inviato al convento di San Giovanni in Pedemonte. Su richiesta di Papa Eugenio IV, aiutò nella soluzione dello scisma creatosi durante il Concilio di Basilea, mentre secondo un’antica tradizione, il frate domenicano fu oggetto di un’apparizione della Madonna, per cui nella pietà popolare fu particolarmente venerato. Tra gli allievi del beato Antonio ci fu Andrea da Peschiera, pure venerato come beato. Originario di Peschiera del Garda, entrò nell’ordine dei frati predicatori e, grazie alla sua opera, si meritò l’appellativo di “apostolo della Valtellina”. Operò anche tra i Grigioni, collaborando alla riforma dei costumi promossa dal Vescovo locale. Negli ultimi anni di vita si ritirò a Morbegno, dove morì il 18 gennaio 1485 e dove sono conservati i suoi resti mortali. Unico papa originario di Como, è venerato come beato anche Innocenzo XI, ritenuto il più grande pontefice del XVII secolo. Benedetto Odescalchi, nato da antica e nobile famiglia, si distinse per austerità di vita e semplicità evangelica. Particolarmente attivo pastoralmente, promosse l’attività missionaria nelle Americhe e in Oriente, ma lavorò anche per il ritorno dei protestanti. Innocenzo XI, di fronte al pericolo turco, seppe poi radunare i principi cristiani attorno alla causa della difesa dell’Europa. Dopo di lui trascorrono quasi 200 anni per trovare un’altra figura di beato, quella di Giovanni Battista Scalabrini, sacerdote diocesano originario di Fino Mornasco dove nacque nel 1839, poi vescovo di Piacenza dove fondò la congregazione dei Missionari di San Carlo, a servizio degli emigranti. Altro vescovo beato è Andrea Carlo Ferrari, che guidò la Diocesi dal 1891 al 1894, prima di essere trasferito alla sede di Milano. Nel breve, ma fecondo ministero in Diocesi, ebbe l’intuizione di sostenere fin dagli inizi della sua opera don Luigi Guanella, che era da molti osteggiato. Al santo di Fraciscio, dove nacque nel 1842, canonizzato nell’ottobre del 2011, si deve il merito di aver dato nuovo impulso alla promozione della causa di beatificazione proprio di Nicolò Rusca. Fondatore dei Servi della Carità e, con l’aiuto della Beata Chiara Bosatta, originaria di Pianello del Lario, delle Figlie di Santa Maria della Provvidenza, dopo un’intensa vita di carità, radicata nella più totale fiducia nella Provvidenza, morì il 24 ottobre 1915. Chiude l’elenco il Beato Enrico Rebuschini, nato a Gravedona nel 1860, che entrò nel 1887 tra i Camilliani. Spese tutta la sua vita tra i malati, a Verona dal 1891 al 1899, poi a Cremona fino alla morte avvenuta il 10 maggio 1938. ALBERTO GIANOLI Nicolò Rusca Un’occasione per i sacerdoti, i fedeli, la Chiesa intera. Tutti chiamati alla gioia della beatificazione D omenica 21 aprile vivremo la beatificazione dell’ arciprete Nicolò Rusca. È la prima volta che tale celebrazione si svolge nella nostra Diocesi, e il Vescovo ha scelto Sondrio proprio perché questa comunità ha goduto per quasi trent’anni dell’azione pastorale del futuro beato. È un avvenimento storico al quale porre tutta la nostra attenzione. Si tratta del riconoscimento della santità di un sacerdote diocesano, stimato ed apprezzato dai confratelli nel corso della storia, che vedevano in lui un modello di pastore secondo il cuore di Cristo, a cui ispirarsi nel proprio ministero. Parte del suo lavoro è consistito nel radunare i suoi collaboratori e coinvolgerli in questa opera di amore per la propria vocazione sacerdotale, per le persone affidate alla loro cura pastorale. È un prete che ha saputo, sull’esempio di san Carlo Borromeo, portare nuova vita all’interno della comunità cristiana nel solco del rinnovamento proposto dal Concilio di Trento, con una rinnovata attenzione alle persone, con l’amore per la dottrina cristiana e la celebrazione della liturgia, con la promozione delle confraternite per un laicato attivo e responsabile. È un conoscitore profondo delle Scritture, uno studioso attento della dottrina cristiana, un perspicace lettore della realtà, che coglie i pericoli derivanti dall’eresia protestante portata in valle dai riformati e lotta per la difesa della vera dottrina. È il martire coraggioso che vive il vangelo fino in fondo, nell’amore di Cristo e dei fratelli: “Se hanno odiato me, odieranno anche voi”; “Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. La beatificazione di Nicolò Rusca diviene per la nostra Chiesa l’occasione di rinnovare l’impegno di accoglienza e di attuazione del Concilio Vaticano II; per noi sacerdoti l’opportunità di recuperare il senso profondo della nostra vocazione al servizio del popolo che il Signore ci ha affidato nella comunione fraterna e nella proposta limpida del vangelo; per ogni cristiano la possibilità di essere testimone credibile della fede nel Signore Risorto, unico salvatore del mondo. Partecipare alla celebrazione del 21 aprile è per noi un obbligo morale: non si tratta di essere spettatori di un evento ecclesiale unico, ma di recuperare il ruolo di protagonisti in una storia di salvezza che continua nel nostro tempo. monsignor MARCO ZUBIANI arciprete di Sondrio dal Notiziario “Il Campello” un legame antico Con l’arrivo di Nicolò a Sondrio come arciprete con i “curati” della Valle nacque un vero e proprio rapporto di collaborazione e sincera amicizia Rusca e la Valmalenco E sistono pochi documenti circa la presenza di Nicolò Rusca in Valmalenco (l’archivio di Valle è stato manomesso e in parte incendiato nel passato). È rimasta “l’obbligazione” che don Bartolomeo, canonico di Sondrio e fratello dell’arciprete, fa a Giovanni Moizi con la quale si impegna a pagare venti scudi per il pernottamento di Nicolò e dei soldati presso l’Osteria del Bosco di Chiareggio. Un vero atto di crudeltà è così diventato un importante documento storico! Altri documenti dell’epoca testimoniano poi le usanze, i diritti, i doveri dell’arciprete di Sondrio verso le Quadre della Valmalenco e i doveri dei curati e dei parroci verso l’arciprete di Sondrio. Fino al 1624 la Valmalenco faceva parte della Parrocchia di Sondrio; don Rusca quindi era arciprete di Sondrio e anche della Valmalenco (allora divisa in quadre e cure secondo il nome dei Santi titolari di ogni chiesa). Nelle diverse quadre, il servizio religioso era svolto da curati (sacerdoti ma anche frati) alcuni dei quali, nei sec. XV – XVI, molto autonomi, indisciplinati non sufficientemente colti e a volte motivo di scandalo per la loro condotta morale. Con l’arrivo di Rusca a Sondrio la collaborazione tra arciprete e curati divenne totale in un rapporto di amicizia tra di loro. Vale anche per loro, quanto lo stesso arciprete scrisse nella relazione per la visita pastorale del vescovo Filippo Archinti circa i sacerdoti stabilmente residenti a Sondrio “tra loro e meco et io seco talmente d’accordio che, quando si troviamo insieme, havemo grandissima consolazione come se fossimo tutti figli de una istessa madre”. I principali curati presenti in Valmalenco durante il ministero Rusca erano: don Giovanni Cilichini di Lanzada, laureato in teologia a Padova, curato di Lanzada e nel 1624 primo parroco di Chiesa; don Giovanni Tuana di Grosotto , laureato in teologia al Collegio Elvetico di Milano, curato di Chiesa e scrittore del “De Rebus Vallistellinae”, don Andrea Sasso morto prematuramente a 29 anni. La presenza di sacerdoti molto dotti ed esemplari in Valtellina e nei contadi di Bormio e Chiavenna, all’epoca sotto la dominazione delle Tre Leghe Grigie, era una scelta fatta dai vescovi di Como Gianantonio Volpi, Feliciano Ninguarda (nativo di Morbegno) e Filippo Archinti per contrastare l’avanzata del Protestantesimo e attuare la Riforma del Concilio di Trento. Ma oltre il ministero del Rusca in Valle tramite intermediari, sappiamo dagli atti notarili la sua venuta in Valmalenco in qualità di testimone e di arbitro per dirimere questioni tra cattolici e cattolici e tra cattolici e riformati. Rusca era un moderato e quindi non poteva accettare né gli estremisti cattolici né gli estremisti riformati. C’erano poi le stazioni di carattere liturgico che obbligavano gli arcipreti di Sondrio a venire in Valmalenco per cantar Messa con il diritto poi di riscuotere le offerte e di pranzare a spese della Quadra. Per esempio a Chiesa l’arciprete era obbligato a venire: il 25 luglio per la festa di San Giacomo maggiore; il 1° maggio (calende di maggio) per la festa dei Santi Giacomo e Filippo; nell’anniversario della consacrazione della Chiesa. Se l’arciprete era obbligato a venire in Valmalenco, ugualmente i curati (e successivamente i parroci) e le parrocchie erano obbligati al pagamento delle decime all’arciprete e al capitolo dei canonici di Sondrio (cosa accettata malvolentieri e motivo di discussioni continue!); all’offerta della cera e alla presenza a Sondrio in occasione della festa dei Santi Gervasio e Protasio (19 giugno); a partecipare alle funzioni del Sabato Santo con la benedizione del Sabato, 20 aprile 2013 ANNULLO POSTALE D omenica 21 aprile, in occasione della Beatificazione di Nicolò Rusca Arciprete di Sondrio, Poste Italiane dalle ore 12.00 alle ore 18.00 attiveranno in Piazza Campello un servizio filatelico con annullo speciale. L’Annullo è un valore aggiunto che si inserisce nella celebrazione di Beatificazione Nicolò Rusca che sarà ricordato anche nel collezionismo filatelico. La Diocesi di Como a ricordo della celebrazione di Beatificazione allestirà un cofanetto contenente cartoline con vari soggetti. Gli autori delle cartoline sono i ragazzi delle classi 2ªA, 3ªA, 2ªC e 3ªC media dell’Istituto Comprensivo “Sondrio Centro”, il Progetto è stato coordinato dalle insegnanti Amelia De Giovanni e Doriana Forni in collaborazione con Poste Italiane. Particolare attenzione è stata riservata ai francobolli che verranno utilizzati, scelti con la finalità di impreziosire l’oggetto filatelico da conservare a ricordo dell’evento. L’annullo speciale dopo l’utilizzo del 21 aprile 2013 sarà depositato presso lo Sportello Filatelico dell’Ufficio postale di Sondrio Centro per i sessanta giorni successivi, per soddisfare le richieste di bollatura che perverranno dai collezionisti dislocati sul territorio nazionale. A conclusione del servizio i piastrini filatelici saranno depositati presso il Museo Storico della comunicazione. Il cofanetto con le cartoline e l’annullo speciale (al costo di 5 euro) si possono prenotare anche a [email protected]. fonte e per ricevere gli oli santi (l’usanza è continuata fino al Concilio Vaticano II). Un segno tangibile, storicamente importante dell’epoca del Rusca nella chiesa dei Santi Giacomo e Filippo di Chiesa, è il fonte battesimale del 1612 con la frase del Vangelo di Giovanni (3,5): “Nisi quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto, non potest introire in regnum Dei” (Se uno non nasce da acqua e da Spirito Santo, non può entrare nel Regno di Do). Tale fonte Rusca l’ha vista e possiamo pensare che l’abbia anche usata! Con l’istituzione del Vicariato Foraneo Sondrio-Valmalenco in parte si ritorna a quei tempi con la possibilità di una maggiore collaborazione tra sacerdoti e sacerdoti, tra laici e laici, tra laici e sacerdoti, tra sacerdoti, laici, religiosi e religiose. Difficile che venga accettata la figura del Vicario Foraneo (l’arciprete di Sondrio) in una prospettiva autoritaria; le parrocchie della Valmalenco sono autonome da 389 anni! Più facile e più evangelico la collaborazione in una prospettiva di vera fraternità sacerdotale, anche a causa della diminuzione del clero, e per essere “sale e luce” (Mt. 5,13.14). Interessante quanto scrive il Rusca circa i rapporti con i sacerdoti e le popolazioni della sua ampia parrocchia: “Da tutti i reverendi curati e vicecurati, e chiese loro, si fa qualche ricognitione verso la matrice di Sondrio. Io però procuro di mantener tutto il clero e li popoli in pace. Non vedo, né cerco tutto, né chiudo gl’occhi, né lascio tutto. Ma la camino con mediocrità procurando che la matrice sia in qualche cosa riconosciuta, ma non rompendo con la troppa curiosità et ansietà il filo della benevolenza e della carità. Non ho di presente alcuna briga con alcuna chiesa della pieve, anzi vado destramente schivando le rotture e le liti, le quali si vede che mai più finiscono e molte volte causano la perdita di quelle recognitioni, l’alienazione delli animi, mormorazione e scandalo nei popoli”. L’unione tra le parrocchie, pur conservando ciascuna la propria identità ma riunite in Unità Pastorali, e la collaborazione tra sacerdoti, laici e religiosi, è la sfida del futuro in un cammino di santità sull’esempio del Beato Nicolò Rusca. don ALFONSO ROSSI parroco di Chiesa Valmalenco V Nicolò Rusca VI Sabato, 20 aprile 2013 Tornare alle radici per un impegno rinnovato L a beatificazione dell’arciprete di Sondrio, don Nicolò Rusca, nativo di Bedano nel Canton Ticino, oggi diocesi di Lugano, ma allora parte integrante della diocesi di Como, ricorda questi legami storici tra la Chiesa di Lugano e quella di Como, fa rivivere momenti intensi di impegno apostolico e di evangelizzazione coraggiosa per la difesa e il sostegno della fede cattolica nelle nostre terre, ci invita a rinsaldare i vincoli di stretta vicinanza e di forte testimonianza delle nostre Chiese per il bene delle nostre comunità. Riandare alle radici della nostra storia, ripercorrere le vicende secolari delle nostre comunità, fa riscoprire persone ed eventi che illuminano non solo il nostro passato, dando ragione della sua complessità, del valore e del significato, ma dicono pure gli impegni del nostro presente e fanno riscoprire la responsabilità con la quale affrontare il futuro. Le ricerche storiche non appagano solamente le nostre curiosità e non sono esercizi di autocompiacimento, ma danno spessore e solidità alla nostra esistenza che si vede confrontata con persone, virtù e gesta meritevoli di considerazione e di stima. Quanto avvenuto in quegli anni della Riforma va ovviamente letto e inserito nel contesto particolare di quel momento, dove, al di là delle controversie di ordine teologico e religioso, erano le tensioni politiche a determinare fatti incresciosi e anche violenti, dove torti, colpe e ragioni non stavano certamente da una sola parte. Ci aiuti il beato Rusca a vivere i rapporti con i fratelli protestanti nello spirito nuovo, riconosciuto dal Concilio Ecumenico Vaticano II, mentre il suo insegnamento e la sua testimonianza eroica di “pastore buono” ci guidino nel continuare nella bontà, che è rispetto della verità, il dialogo ecumenico con i fratelli separati, perché tutti si abbia a camminare verso l’unità che raggiungeremo solo nella piena fedeltà al Signore Gesù. Preghiamo e lavoriamo perché si realizzi la sua preghiera al Padre: “perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Giovanni 17,21). Come disse il vostro don Saverio Xeres in un’intervista al nostro Giornale del Popolo, «Don Rusca La casa natale di Nicolò Rusca a Bedano, in canton ticino, oggi diocesi di lugano fu importante per due ragioni. Egli fu uomo di profonda sintesi di fede e cultura in un’epoca storica in cui non erano molti i sacerdoti cattolici ad essere formati e ad aver studiato. Rusca entrò al collegio Elvetico di Milano dove studiò per desiderio di Carlo Borromeo. Apprese le lingue antiche, anche il greco e l’ebraico, fu uomo dalla vasta cultura umanistica. Non per niente la sua controriforma fu culturale. La seconda ragione della sua importanza per la diocesi di Como è data dal suo essere nato in Ticino, essere passato per Como, aver predicato e vissuto in Valtellina, unendo luoghi, storie e terre della diocesi del tempo». Ecco perché anche la Chiesa di Lugano gioisce e si onora di partecipare alla festa della Chiesa Madre di Como per il riconoscimento delle eroiche virtù di un prete, che, nato in Ticino, ha servito le terre ticinesi e quelle valtellinesi. Non si tratta solo di autocelebrazione dell’ ieri, ma di rinnovare l’impegno e lo slancio per vivere con serietà e coerenza il nostro oggi e dare consistenza e dignità al nostro domani. + PIER GIACOMO GRAMPA Vescovo della Diocesi di Lugano Perchè don Luigi si appassionò del Rusca. Subito lo riconobbe e definì «santo». San Guanella per l’arciprete Nicolò D on Guanella ne era convinto: «Le anime sante si conoscono a vicenda e a vicenda e con tutto il cuore si amano». Come ricorda il primo biografo del Santo, don Leonardo Mazzucchi, la conoscenza della figura di Nicolò Rusca da parte di Luigi Guanella risale agli anni della giovinezza: «Don Luigi ancor giovane sentiva il fratello Don Lorenzo parlare con Della Cagnoletta già prevosto a Campodolcino della causa dell’Arciprete Rusca». Una conoscenza che si era fatta ammirazione e devozione, rafforzata dal pellegrinaggio sul luogo del suo martirio che egli stesso ricorda nelle sue memorie autobiografiche: «Per tutti gli anni di vacanza lo studente Guanella ricorda […] un viaggetto col prevosto Della Cagnoletta da Campodolcino a Splügen, Andeer, Thusis per salutare il luogo di martirio del nostro servo di Dio arciprete Nicolò Rusca e ritornare colle calcagna spelate per il giro di Valle di Lei e di Angeloga». Nel 1885, durante il periodo del suo ministero sacerdotale a Pianello del Lario, don Guanella nella sua operetta Cento lodi in ossequio al IV centenario dal transito del beato Andrea da Peschiera apostolo della Valtellina (e precisamente nel capitolo Lotte e trionfi dei nostri fratelli), così ricorda la vicenda di Rusca, martire per la fede «L’arciprete Nicolò Rusca in Sondrio fu strappato di notte e strascinato al tribunale di Thusis per l’accusa d’aver avversato i predicanti evangelici, e si tormentò fino a farlo spirare sotto alle agonie della tortura», annoverandolo tra i «santi di Valtellina», «illustre per santità». Le anime sante, appunto, si conoscono, anzi si riconoscono. Ma cosa spinse don Guanella ad impegnarsi perché la santità di Rusca fosse solennemente riconosciuta dalla Chiesa? L’affetto e la riconoscenza per il fratello don Lorenzo, che per primo gli aveva fatto conoscere la figura di Rusca. Ecco come lui stesso lo spiega, nel 1909, su La Divina Provvidenza, il periodico delle sue Case, parlando di sé in terza persona: «Nel luglio 1906, nella casa della divina Provvidenza di Como moriva don Lorenzo Guanella, Prevosto di Ardenno e fratello del Fondatore. Da allora a questi nacque l’idea di ordinare a taluno de’ suoi figli spirituali Servi della carità, di raccogliere i materiali necessari e scrivere la vita dell’Arciprete di Sondrio Don Nicolao Rusca martirizzato nel 1600 dai protestanti a Thusis sotto Coira». Idea che si concretizzò nel 1909 con la pubblicazione della biografia “Valtellina e Rezia. Vita dell’Arciprete Nicolò Rusca”, scritta dal confratello don Giovanni Formentelli con lo pseudonimo di Reto-Cenomano. Continua don Guanella: «Ora la vita scritta e stampata, fu esaminata a Roma e trovata degna di venerazione, quindi il Guanella fu consigliato a provarne la causa di venerabilità per il martirio subito e per la sua vita esemplare apostolica. Nella diocesi Comense, in Valtellina e nel Canton Ticino il Rusca è sempre stato venerato dal popolo come apostolo, confessore e martire, ed invocato come patrono e protettore. Queste vite, quantunque non abbiamo ottenuto finora il decreto della Chiesa che sola è giudice competente della santità de’ suoi figli, sono già un grande conforto per noi; che abbiamo bisogno di specchiarci in quanti hanno saputo riescire vittoriosi nelle lotte contro il mondo, contro il demonio e contro se stessi. Ma quanto maggiore sarebbe la riconoscenza nostra e quanto lustro ne verrebbe alle nostre contrade e alla stessa fede, se nella sua infinita misericordia in questi tempi d’indifferenza religiosa il Signore si degnasse infervorare gli animi colla esaltazione del suo Servo fedele l’Arciprete –martire». Prese inoltre contatti con i vescovi di Como, Lugano e Coira per favorire l’avviamento della causa di beatificazione e nel gennaio 1910, durante un’udienza, ne parlò anche con Pio X. Si interessò anche presso alcuni consultori della Congregazione dei Riti, «i quali indicarono migliore e facile via per giungere ad ottenere il culto del Rusca il dimostrarne il martirio». Incaricò quindi il nipote don Pietro Buzzetti, che nel 1913 diede alle stampe il volume “Niccolò Rusca martire della fede cattolica”, dimostrando «nel Rusca il carattere di martire della fede, deducendolo criticamente dalla storia - sguernita d’ogni falsità – dell’accusa e della morte di lui, dalle meraviglie seguite alla sua morte, dal contegno stesso dei protestanti e dei carnefici, dalla venerazione per le sue reliquie, dai ricorsi per grazie, dall’attestato degli scrittori - dei pittori - dei biografi». Quando, il 13 dicembre 1913, il vescovo di Como Alfonso Archi nominò ufficialmente postulatore della causa di beatificazione del Rusca l’amico don Giovanni Baserga. Guanella manifestò la sua grande soddisfazione. Gli sforzi di don Guanella, alla fine, hanno dato i loro frutti. Ci piace pensare che, da Santo, abbia contribuito ancora più decisamente per il riconoscimento del martirio del Rusca, sancito da un decreto di Benedetto XVI proprio il 19 dicembre, giorno natale dello stesso Guanella... SILVIA FASANA Nicolò Rusca A la croce al centro di una mostra nche Confartigianato Imprese ha voluto dare il proprio contributo in preparazione alla beatificazione di Nicolò Rusca. Così, se la Sezione di Sondrio ha contribuito alla realizzazione del palco che sarà utilizzato per la celebrazione della Messa, la Categoria Artigianato Artistico ha deciso di realizzare una mostra. “La Croce - Albero di Vita”: questo il tema dell’esposizione realizzata d’intesa con il Comitato per la Beatificazione e con il patrocinio del Comune di Sondrio, allestita nelle sale di Palazzo Martinengo. Inaugurata lo scorso sabato 13 aprile, la mostra che ha visto diciassette imprese partecipanti che hanno realizzato più di venti opere di elevato pregio artistico, sarà visitabile fino a domenica 21 aprile. Fino a venerdì dalle 15.30 alle 19, mentre sabato e domenica dalle 9 alle 12.30 e dalle 14 alle 19. Con l’utilizzo di differenti materiali e tecniche costruttive, gli artisti guidati dall’art director Gabriele Sabato, 20 aprile 2013 VII Radice hanno scelto di realizzare dei crocifissi, lasciandosi ispirare dal fatto che, in ogni immagine in cui Nicolò Rusca è rappresentato, porta in mano, appunto, il simbolo per eccellenza della fede cristiana. «Questa iniziativa – ha affermato Mario Sulis, presidente della Categoria Artigianato Artistico di Confartigianato – si inserisce nel solco delle altre esposizioni realizzate in occasione di altri eventi importanti quali il Gemellaggio Sondrio - Sindelfingen, la 105esima Mostra del Bitto e la festa provinciale dell’artigianato». Ad esporre le loro opere sono arbara Trestini Trimarchi, Bottega Artigiana Pontiggia, Cao Luigi, Ezio & Michele Snc, Ceramiche De Piazza, Enzo Acquistapace, Fanoni Elio & Figlio Snc, Gianoncelli Francesco, Givrem Snc, Gaggi Alberto & C. Snc, La Pietra Ollare di Floriana Palmieri, Martinelli Bruno Giorgio, Pilatti Snc, Ruffoni Tappeti Pezzotti, Spezia Elio, Stilfer Di Mauro Bettini, Tekno Glass, Tonelli Vincenzo. (A. Gia.) Una santità da rendere attuale M olto è stato detto e scritto sull’arciprete Nicolò Rusca. Abbiamo rivolto alcune domande ad Anna Rossi, storica del “Centro Studi” intitolato all’ormai prossimo beato, e a monsignor Saverio Xeres, coordinatore dell’equipe che ha riordinato documenti e svolto le ricerche, gli approfondimenti necessari alla pubblicazione della “Positio super Martyrio”, di confidarci qualche impressione personale. Anna, hai dedicato anni di studio e ricerche alla vicenda di Nicolò Rusca: che cosa ti ha colpito di lui, della sua persona, del suo ministero? «In questi giorni, nell’imminenza della beatificazione, mi è sempre più chiaro che dobbiamo dire “grazie” a Nicolò Rusca. Se la bellezza e la gioia della fede è giunta a noi, lo dobbiamo anche a lui». Puoi confidarci qualche particolarità, emersa dai documenti, dalle carte, dall’epistolario del Rusca, che possono aiutarci a capirlo? «È interessante, per conoscere Rusca da un’altra visuale, partire da quanto scrisse, e ancora più da quanto fece, la sua comunità, i parrocchiani, le monache di San Lorenzo. Ogni volta si scopre qualche particolare che era sfuggito. Un solo esempio, che mostra tutta la delicatezza dell’arciprete: egli era solito stipendiare due confessori “stranieri” a Natale, a Pasqua e a Pentecoste “per quelli che desideravano non essere conosciuti”». In occasione dei convegni di Como e Sondrio hai parlato della “limpidezza” della vita cristiana dell’arciprete, della “straordinarietà” della sua normalità: vuoi dirci qualcosa in proposito? Cosa, oggi, possiamo cogliere di attuale e valido della sua testimonianza? «Nella cura pastorale Rusca non ha inventato nulla, ha semplicemente seguito quanto la Chiesa indicava. Non si è però mai risparmiato – a scapito della sua salute, con i suoi amici che lo rimproveravano, ma inutilmente – per la “salvezza delle anime”. Il nuovo beato mi richiama a riscoprire ogni giorno che questa è l’unica cosa che conta nella vita, è l’unica cosa da annunciare a tutti. Anche perché è solo a partire da qui – come dimostra la storia della Chiesa – che si può affrontare la concreta realtà di ogni giorno, comprese tutte le difficoltà del nostro tempo». Don Saverio, anche a te chiedo di segnalarci che cosa ti rimane particolarmente impresso della persona e del ministero sacerdotale del Rusca... «Per me Rusca rappresenta, essenzialmente, la perfetta traduzione del prete tridentino, ovvero quel “prete di una volta” al quale tutti siamo rimasti affezionati, quando ne abbiamo conosciuto qualcuno, e dal quale cui siamo sentiti attratti, molti di noi che abbiamo intrapreso la strada del ministero. Ovvero, la figura di un uomo totalmente dedito alla “sua” gente, per la quale annuncia la Parola, amministra i sacramenti, prendendosi a cuore ogni situazione umana, soprattutto le più dolorose. Questo è il primo grande “martirio”, ovvero “testimonianza” di Rusca». Il discorso è estremamente complesso, ma possiamo spiegare, in sintesi, che cosa ha convinto le commissioni storica e teologica a dire che sì, la vicenda del Rusca è storicamente attendibile e il suo fu un martirio per la fede? «Dal punto di vista della ricostruzione storica, posso dire che a Roma sono stati positivamente impressionati dall’abbondanza della documentazione e dal rigore metodologico; questo mi è stato detto e ripetuto più volte, per iscritto e a voce. Quanto al riconoscimento del martirio – di spettanza dei censori teologi - c’è stata qualche perplessità in più, ma siamo riusciti a farle rientrare, precisando meglio la nostra ricostruzione in alcuni punti. Ad esempio, il fatto che Rusca abbia cercato sia di sottrarsi alla cattura, sia di evitare la tortura non è segno di scarsa attitudine al martirio, per così dire, ma di equilibrio umano e di lucida visione di fede: non è la sofferenza per la sofferenza, che vale, ma la fede in Cristo per la quale – se necessario, quando è il momento – si accetta anche la sofferenza». Come sono stati affrontati i dubbi sul fronte ecumenico? «In due modi diversi e complementari. Da un lato non lasciandosene condizionare, nel senso che, dal punto di vista storico, i fatti vanno accertati, per quanto possibile, per quello che sono, indipendentemente che ciò corrisponda o meno ad una sensibilità attuale, foss’anche quella ecumenica. Ovvero: se la morte di Rusca è da attribuire, per più di un motivo, ad un gruppo di protestanti, non si può fingere che le cose siano andate in maniera diversa. D’altro canto, erano e sono sempre da tenere sullo sfondo vicende analoghe a quella di Rusca, avvenute sul fronte riformato: quella del pastore Francesco Cellario, ad esempio, arrestato e messo a morte per mano degli inquisitori cattolici, pochi anni prima. Da questo punto di vista Rusca si pone anche come “testimone” di una situazione ecclesiale più ampia, espressione di quel dramma sconvolgente che la cristianità ha vissuto in quell’epoca, anche dalle nostre parti, e che sarebbe sbagliato dimenticare». La beatificazione è l’inizio di qualcosa: ora Nicolò è esempio di vita cristiana per la diocesi di Como. Cosa dobbiamo scoprire, valorizzare, conservare di questa sua testimonianza? «Sono tante le eredità che Rusca ci lascia: la sincera e generosa dedizione pastorale, per noi preti, soprattutto; per tutti, la dedizione intensa e coerente alla propria vocazione. Insomma: non vite fiacche, ma ben vissute! Ancora: lo studio serio e approfondito, come è stato per lui, soprattutto la conoscenza della Scrittura e del cuore del cristianesimo, ossia la persona di Cristo. Infine: uno spirito di concreta e leale collaborazione nella comunità cristiana e nella società umana, nonché uno sguardo attento al futuro, come ha avuto lui nel prendersi cura particolare dei giovani. In una parola: il suo esempio deve richiamarci a vivere in modo semplice e robusto la “normale” vita cristiana, straordinaria nella sua stessa ordinarietà». a cura di ENRICA LATTANZI Pubblicazioni, immagini, mostre. Un grande impegno su più fronti per approfondire Molte iniziative culturali per conoscere Rusca L unedì 15 aprile, a Sondrio, è stato presentato il volume di Saverio Xeres, «Dà la vita il buon pastore» (Gv 10, 11). Biografia di Nicolò Rusca (1563-1618), un’aggiornato approfondimento sulla vita dell’arciprete di Sondrio, frutto delle accurate ricerche documentarie svolte in occasione della causa di beatificazione, nonché delle recenti pubblicazioni storiografiche sulla Valtellina e la Svizzera dei secc. XVI-XVII. All’opera si aggiunge uno studio sull’iconografia del beato, a cura di Angela Dell’Oca e Andrea Straffi, con schede relative a dipinti, vetrate, stampe e suppellettili liturgiche raffiguranti Rusca. Viene edito, inoltre, a cura di Annalina Rossi, l’epistolario dell’arciprete. Completano il volume due appendici: la storia della causa di beatificazione, con i “protagonisti” di quel lungo percorso iniziato all’indomani della morte di Rusca e conclusosi con il riconoscimento del martirio; un elenco delle fonti, edite e inedite, e la bibliografia su Rusca. Il volume è il n. 15 della Collana Storica della Fondazione Gruppo Credito Valtellinese, che già ospita altre due opere dedicate al Rusca. Nei prossimi giorni saranno comunicate le modalità di diffusione di questo interessante volume. è in distribuzione anche un booklet divulgativo ad ampia diffusione dal titolo “Nicolò Rusca Arciprete di Sondrio Martire per la fede (1563-1618)”. Si tratta di un agile opuscolo con la biografia del Rusca e le vicende legate alle sue reliquie. Inoltre, per un’adeguata preparazione, sono stati inseriti due testi sul significato del “martirio”, tratti dal Concilio Vaticano II e da uno scritto di Benedetto XVI. L’opuscolo si trova presso le parrocchie, presso il Centro Cardinal Ferrari di Como e presso il Centro studi “Nicolò Rusca” (via Baserga, 81, Como). Si trova anche su www.diocesidicomo. it. Info: 031-506130. Sempre nei giorni scorsi è stato distribuito il dvd dal titolo “Patir ogni cosa per puro amore di Dio”, con le immagini girate e montate da Simone Bracchi. Infine, fino all’8 giugno, presso i palazzi Sertoli e Lavizzari è visibile la mostra… mi spinge il zelo di drizzar tutti al cielo. Nicolò Rusca arciprete di Sondrio, testimone della fede. L’iniziativa è promossa e prodotta dalla Fondazione Gruppo Credito Valtellinese in collaborazione con il Museo Valtellinese di Storia e Arte, il Centro studi “Nicolò Rusca” e il Liceo scientifico Pio XII. A Palazzo Sertoli è presentata una sequenza di 18 pannelli di grandi dimensioni, con testi realizzati dai ragazzi del Liceo Pio XII. Nella sede del museo, a Palazzo Sassi de Lavizzari, saranno esposti cinque ritratti inediti della serie gli arcipreti di Sondrio, due effigi seicentesche del beato Nicolò Rusca, e le immagini dei protagonisti del rinnovamento della chiesa dopo il Concilio di Trento in area lombarda e ticinese Carlo e Federico Borromeo, Feliciano Ninguarda. Completano il percorso alcuni dipinti e opere grafiche relativi al contesto valtellinese. VIII Sabato, 20 aprile 2013 Nicolò Rusca ■ Le reliquie del Rusca Con la beatificazione è stata necessaria una nuova collocazione C on la beatificazione di Nicolò Rusca si è posta la questione relativa alla collocazione dei suoi resti mortali, sinora conservati entro un’urna in cristallo ed esposti nella chiesa Collegiata di Sondrio. «L’ufficialità del riconoscimento del “martirio per la fede” imponeva un ripensamento, relativo soprattutto alla venerazione del beato». Lo spiega don Andrea Straffi, dell’Ufficio diocesano Arte Sacra. «Per questa ragione – aggiunge – il vescovo di Como, monsignor Diego Coletti, ha chiesto agli organismi competenti, in collaborazione con l’Arcipretura di Sondrio e il “Comitato per la beatificazione”, di individuare una soluzione che salvaguardasse tutti i valori in gioco: il rispetto per le reliquie; la devozione dei fedeli; l’attenzione al contesto storico-artistico dell’edificio; la tempistica ristretta; la cura estetica dell’intervento; i costi». Le reliquie del Rusca hanno una storia lunga e travagliata. Il corpo dell’arciprete fu dapprima sepolto a Thusis, nel luogo stesso del martirio. Nei mesi e negli anni successivi i suoi resti mortali furono più volte riesumati, addirittura divisi fra diversi monasteri cattolici svizzeri. Una piccola parte ritornò anche in Valtellina. Documenti dell’epoca dicono che, all’indomani della morte, l’arciprete Rusca fu subito riconosciuto dai fedeli «degno di essere onorato». La traslazione a Sondrio del corpo dell’arciprete avvenne a metà 1800, in seguito alla soppressione del monastero di Pfäfers (dove si trovava la maggior parte delle reliquie). Nel 1845 fu effettuata una ricognizione delle ossa e organizzato il trasferimento a Como per il riconoscimento da parte del vescovo. Le reliquie vennero quindi destinate alla chiesa di Santa Maria della Sassella, alle porte di Sondrio. «Ma il desiderio della comunità era quello di onorare il proprio arciprete nella Collegiata – riprende don Straffi –. Roma, nel 1849, concesse di spostare le reliquie nella parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio, dove giunsero con “solenne e trionfale trasporto” l’8 agosto 1852». Le ossa del beato (il teschio, una scapola, l’osso sacro, due parti del bacino e tre parti delle gambe) furono collocate entro un’urna di cristallo e riposte nella cappella del Rosario. «Solo nel 1970 - aggiunge don Andrea - furono sistemate nel vano a destra dell’ingresso, in collegamento ideale con l’Oratorio, demolito, di san Pietro Martire». Questa struttura era sede della Confraternita del Santissimo Sacramento, realtà voluta proprio dall’arciprete Nicolò. L’ultima ricognizione canonica delle reliquie è dello scorso febbraio. In queste settimane le spoglie del Rusca sono state sottoposte ad alcuni trattamenti di pulizia e conservazione proprio in vista della nuova collocazione. Dopo diverse valutazioni – storiche, artistiche, liturgiche – si è stabilito che le spoglie dell’ormai prossimo beato, rinchiuse da un cristallo trasparente su cui sarà innestata una croce dorata, saranno poste nel blocco di marmo sottostante la mensa dell’altare della Collegiata. A chiudere, una lastra, con una bella iscrizione pensata da don Andrea Stabellini, vicario giudiziale della nostra diocesi ed esperto di epigrafi. Il testo così recita: «Il Beato Nicolò Rusca, di nome e di meriti arciprete di Sondrio, torna all’altare maggiore già santificato dal suo ministero pastorale, ora ornato della sua corona di martire». (E.L.) D allo scorso settembre monsignor Saverio Xeres, storico della diocesi di Como e coordinatore del gruppo di lavoro che ha realizzato la straordinaria, ricchissima e complessa raccolta documentaria della “Posytio” sul martirio dell’arciprete Nicolò Rusca, ha pubblicato, con cadenza quindicinale su “Il Settimanale della diocesi di Como”, un’articolata biografia dell’ormai prossimo beato. Ora questo percorso è stato organicamente raccolto ed editato in un libriccino di pratico formato e di agile lettura, completato da un’introduzione del vescovo monsignor Diego Coletti – che definisce gli interventi di don Saverio delle vere e proprie “perle” sulla vita dell’arciprete Rusca – e una conclusione dello stesso autore sul valore della testimonianza del «martire per la fede». La pubblicazione si completa con i disegni che raccontano l’arciprete e alcuni episodi della sua vita realizzati dai ragazzi della Scuola Media Sassi di Sondrio. Il testo, dal titolo “Nicolò Rusca e il suo tempo”, è disponibile (al costo di 1 euro), presso la sede de “Il Settimanale della diocesi di Como”, in viale Cesare Battisti 8, a Como, telefono 031-263533; per la provincia di Sondrio rivolgersi comunque alla segreteria del “Settimanale”, che fornirà indicazioni sulla reperibilità del libretto in Valtellina e Valchiavenna. Per le parrocchie della provincia di Sondrio che lo hanno prenotato, il volumetto si ritira presso la Polaris di Sondrio, in via Vanoni 79, aperta dalle ore 8.00 alle ore 12.00 e dalle ore 14.00 alle ore 17.30.