Biagi Francesco, Favilla Ilaria, Gualtieri Samuele Il tempo: una questione di qualità, non di quantità Il tempo come un fiume La fugacità del tempo Il tempo come un punto Il tempo come un abisso De Brevitate Vitae, 8 [5] Ibit qua coepit aetas nec cursum suum aut revocabit aut supprimet; nihil tumultuabitur, nihil admonebit velocitatis suae: tacita labetur. Non illa se regis imperio, non favore populi longius proferet: sicut missa est a primo die curret, nusquam devertetur, nusquam remorabitur. Andrà il tempo della vita per la via intrapresa e non tornerà indietro né arresterà il suo corso; non farà rumore, non darà segno della sua velocità: scorrerà in silenzio. Non si allungherà per editto di re o favore di popolo; correrà come è partito dal primo giorno, non farà mai fermate, mai soste Epistulae ad Lucilium, 49,3 Causam huius rei quaeris? quidquid temporis transit eodem loco est; pariter aspicitur, una iacet; omnia in idem profundum cadunt. Et alioqui non possunt longa intervalla esse in ea re quae tota brevis est. Punctum est quod vivimus et adhuc puncto minus; sed et hoc minimum specie quadam longioris spatii natura derisit: aliud ex hoc infantiam fecit, aliud pueritiam, aliud adulescentiam, aliud inclinationem quandam ab adulescentia ad senectutem, aliud ipsam senectutem. In quam angusto quodam quot gradus posuit! Ne chiedi il motivo? Tutto il tempo trascorso si trova in uno stesso luogo; lo vediamo simultaneamente, sta tutto insieme; tutte le cose precipitano nello stesso abisso. E, del resto, non possono esserci lunghi intervalli in una cosa che nel complesso è breve. È un punto quello che viviamo, e ancor meno di un punto; ma la natura ci ha schernito dando un'apparenza di durata a questo spazio di tempo minimo: di una parte ne ha fatto l'infanzia, di un'altra la fanciullezza, poi l'adolescenza, il declino dall'adolescenza alla vecchiaia e la vecchiaia stessa. Quanti gradini ha collocato in una scala così corta! La fuga del tempo e la riflessione sulla morte EPISTULA LXX Seneca saluta il suo Lucilio. [1] Dopo molto tempo rividi la tua Pompei: mi parve di rivivere gli anni della mia adolescenza. Quanto là da giovane avevo fatto, mi sembrava di poterlo ancora fare e di averlo fatto poco prima. [2] Rapidamente, o mio Lucilio, abbiamo compiuto la traversata della vita e, come in mare, secondo quanto dice il nostro Virgilio, «le regioni e le città si allontanano» così in questa fuga vertiginosa del tempo dapprima abbiamo perduto di vista la fanciullezza, poi l’adolescenza, poi l’età intermedia tra la giovinezza e la vecchiezza, posta sul confine di entrambe, infine gli anni migliori della stessa vecchiezza: di recente comincia a profilarsi sull’orizzonte la fine comune a tutti gli uomini. [3] Noi, nella nostra profonda dissennatezza, crediamo che essa sia uno scoglio, mentre è un porto, cui talvolta dobbiamo tendere, da cui non dobbiamo mai rifuggire; se uno vi è entrato nei primi anni della vita, non deve lamentarsi più di chi ha compiuto una rapida navigazione. Infatti, ben sai, c’è chi è trattenuto come per beffa dal fiacco spirar dei venti e stancato dal fastidio della calma eccessivamente lenta, c’è chi è portato alla meta molto velocemente da un vento continuo. La fuga del tempo e la riflessione sulla morte [4] La stessa cosa, credi, accade a noi: la vita conduce certuni molto celermente alla vita, a cui si deve giungere anche indugiando, altri li consuma e li distrugge a poco a poco. Essa, e tu l’ignori, non la si deve sempre conservare: giacché ciò che conta non è vivere, ma vivere bene. [5] Egli di continuo pensa al valore, non alla lunghezza della vita: se gli capitano molte molestie e disgrazie che turbinino la sua tranquillità, sa andarsene spontaneamente. E non prende questa decisione solo in caso di estrema necessità, ma, non appena ha cominciato a dubitare del favore della fortuna, considera attentamente se deve farla finita. Ritiene che per lui sia di nessuna importanza por fine alla vita o accettarne la fine, che la morte venga più tardi o più presto: non la teme come se si trattasse di un grave danno. L’acqua che cade goccia a goccia non può cagionare ad alcuno gravi perdite. Seneca e la figura del sapiens L’ignorans… De Brevitate vitae, 3 [2] Mi piacerebbe chiedere a una persona anziana scelta a caso tra la folla sei ormai vicino al termine della tua vita e hai cento anni sulle spalle, se non di più; prova a fare un po' di conti sul tuo passato. Calcola quanto del tuo tempo ti hanno sottratto ereditari, amanti, superiori e collaboratori, quanto le liti in famiglia e le punizioni dei servi, quanto gli impegni mondani in giro per la città. Aggiungi le malattie che ti sei procurato da solo e il tempo rimasto inutilizzato, e ti accorgerai di avere molti meno anni di quanti ne conti di solito. [3] Cerca di ricordare quando sei stato fermo nei tuoi propositi; quante giornate sono trascorse proprio come avevi stabilito; quando sei stato padrone di te stesso, e il tuo volto è rimasto impassibile e il tuo animo intrepido; cosa hai realizzato in una vita così lunga e quanto della tua vita ti è stato sottratto dagli altri senza che ti rendessi conto di quel che perdevi; e il tempo che ti hanno portato via l'inutile dolore, la sciocca allegria, un'avidità insaziabile, il frivolo conversare... Vedrai quanto poco, in definitiva, te ne sia rimasto del tuo; allora capirai che muori prematuramente». [4] Quale ne è dunque la causa? È che vivete come se doveste vivere per sempre, non vi ricordate della vostra precarietà; non osservate quanto tempo è già trascorso, lo sciupate come se ne aveste in abbondanza, mentre invece proprio quella giornata che state dedicando a qualcuno o a un affare qualsiasi, potrebbe essere l'ultima. Temete tutto come mortali, ma desiderate tutto come immortali. …e il sapiens Epistulae ad Lucilium, 1 [4] Forse chiederai che cosa faccio io, che ti do questi consigli. Te lo dirò con franchezza: ciò che accade a chi vive nel lusso, ma che tiene in ordine i conti: mi torna il conto delle spese. Non posso dire di non perdere nulla, ma dirò che cosa perdo e perché e in che modo; renderò conto della mia povertà. Ma a me accade ciò che accade alla maggior parte di coloro che sono ridotti in miseria non per colpa loro: tutti li compatiscono, nessuno li soccorre. [5] Quale conclusione, dunque? Non considero povero colui al quale è sufficiente quel poco, se pur minimo, che gli resta. Quanto a te, tuttavia, preferisco che custodisca i tuoi beni; e comincerai per tempo. Infatti, come ritenevano i nostri antenati, «è tarda l’economia quando si giunge al fondo»; sul fondo rimane non solo la parte più piccola, ma anche la peggiore.