Piante e cambiamenti ambientali
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Piante e
cambiamenti
ambientali
Piante e
cambiamenti
ambientali
Piante e cambiamenti ambientali
Testi di:
Francesco Bracco, Marco Caccianiga, Cristina
Delucchi, Gelsomina Fico, Federica Gironi,
Fabrizio Grassi, Marcello Iriti, Valentino Martinelli,
Emanuela Martino, Gabriele Rinaldi, Mara Sugni,
Sara Vitalini, Gabriele Zoia.
© Rete degli Orti Botanici della Lombardia.
Redazione:
Pia Meda, Gabriele Rinaldi, Francesco Zonca.
Fotografie
© W. Anselmi, F. Gironi, Shutterstock, F. Valoti.
Stampato nel mese di luglio 2009.
Con il sostegno di:
Indice
Introduzione
Le piante rispondono ai cambiamenti ambientali
di GABRIELE RINALDi Rete degli Orti Botanici della Lombardia
Le piante e l’inquinamento
di Mara Sugni Orto Botanico di Bergamo “Lorenzo Rota”
5
9
Piante e sfruttamento dei pascoli alpini
di FEDERICA GIRONI e VALENTINO MARTINELLI
Giardino Botanico Alpino “Rezia”
19
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
a cura di Gabriele Zoia* e Marco Caccianiga**
Orto botanico di Brera*, Università degli Studi di Milano**
Le piante e l’inquinamento dell’acqua
di FABRIZIO GRASSI dell’orto Botanico di Cascina Rosa di Milano
31
47
Piante e allergie
di Francesco Bracco Dell’orto Botanico di Pavia
Schede a cura di: Cristina Delucchi e Emanuela Martino
55
Le piante e i cambiamenti climatici
di Marcello Iriti, Sara Vitalini, Gelsomina Fico
Orto Botanico Di G. E. Ghirardi
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INTRODUZIONE
Le piante rispondono
ai cambiamenti ambientali
di Gabriele Rinaldi,
Rete degli Orti Botanici della Lombardia
Le piante rispondono ai cambiamenti ambientali, sempre, e lo fanno
a modo loro. Gli Orti botanici della Lombardia sono luoghi ideali per
rendersi conto di questo fenomeno: essi infatti ospitano una moltitudine di specie e varietà che sono l’espressione della storia delle flore,
della diversità ambientale, della plasticità genetica. Piante di montagna, di pianura, acquatiche, rupicole, di deserto, di foreste tropicali,
ruderali, di coltivi e di molti altri ambienti convivono artificiosamente
ed ogni individuo in coltivazione ha una storia propria che si innesta
su quella della specie o della varietà colturale o naturale a cui appartiene. Tutte sono espressione dell’evoluzione ed al contempo delle
dinamiche dei popolamenti, di un cambiamento interiore, intimo, genetico e delle vicende ambientali cui esse stesse hanno contribuito.
Questo opuscolo ha lo scopo di introdurre il tema secondo sei punti di
vista differenti, quello degli Orti botanici di Bergamo, Bormio, Milano
- Brera, Milano - Cascina Rosa, Pavia, Toscolano Maderno costituitisi
in associazione per dare corpo a progetti d’interesse comune.
Le principali modificazioni ambientali prese in considerazione sono
dovute ai cambiamenti climatici, all’inquinamento dell’atmosfera e
delle acque, all’effetto sulle vegetazioni delle attività antropiche, compresa la loro sospensione, senza perdere di vista il fatto che le piante
stesse sono esseri che influenzano marcatamente la vita degli altri
organismi. Basti pensare alle specie allergeniche per l’Uomo, esempio di interazione problematica con le piante, oppure ai molteplici effetti positivi degli alberi in città.
L’opuscolo aiuta a comprendere che l’inquinamento atmosferico e le
modificazioni climatiche agiscono direttamente sul metabolismo degli organismi influenzando poi le relazioni tra specie.
Vi sono cambiamenti ambientali che portano al notevole successo
di specie un tempo svantaggiate e, al contempo, minacciano la sopravvivenza di altre. Il riscaldamento climatico in corso sta favorendo sia l’affermazione di specie di climi caldi anche in Lombardia, sia
l’espansione dei boschi di conifere in quota, ed al contempo minaccia
le specie microterme d’altitudine che trovano condizioni idonee di vita
ai limiti superiori delle montagne. Un altro tema toccato è l’uso oculato delle piante, fondamentale per indurre cambiamenti ambientali
positivi anche per il nostro habitat, grazie alla fitodepurazione delle
acque, alla decontaminazione del suolo, alle mitigazioni degli effetti
di un ambiente urbano che a volte è percepito come ostile proprio da
noi che lo abitiamo.
Molti sono gli stimoli proposti dagli autori, ci auguriamo che queste
pagine riescano ad offrire ai visitatori, agli insegnanti e alle scolaresche, alcune delle chiavi di lettura alle collezioni dei nostri Orti botanici, agli habitat, alle comunità vegetali, all’evoluzione, al legame con
la vita dell’Uomo.
Orto Botanico di Bergamo
“Lorenzo Rota”
Scaletta di Colle Aperto, Città Alta
Ufficio, Direzione, Erbari:
Passaggio Torre d’Adalberto, 2 - 24129 Bergamo
tel 035 286060 - fax 035 270318
www.ortobotanicodibergamo.it
e-mail: [email protected]
Le piante e l’inquinamento
Le piante come bioindicatori
Da decenni la sensibilità delle piante alla presenza di inquinanti
viene studiata per mettere a punto sistemi di monitoraggio della
qualità di aria ed acque. Questi metodi sono basati sulla conoscenza delle caratteristiche di resistenza alle sostanze tossiche
inquinanti da parte di alcune specie e sulla valutazione della presenza o assenza (oppure anche delle alterazioni strutturali, morfologiche, fisiologiche in qualche modo misurabili) di tali specie
in una data area.
In pratica si tratta di usare le piante come “misuratori” dello stato
di degrado dell’ambiente, studiando le comunità vegetali e valutando se le specie presenti sono quelle caratteristiche di ambienti
inquinati oppure no.
Le piante e la qualità dell’aria: i licheni
I licheni, straordinari organismi costituiti da una simbiosi tra un fungo
e un’alga, sono dei tipi bioindicatori. Essi hanno infatti la caratteri-
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ORTO BOTANICO DI BERGAMO “LORENZO ROTA”
Quando si parla di inquinamento ci si riferisce ai possibili effetti
negativi sulla vita e sulla salute umana. Spesso ci si dimentica,
però, che le modificazioni ambientali dovute alla produzione e
all’emissione di sostanze nocive da parte dell’uomo riguardano
tutti gli organismi, vegetali inclusi. E poiché la nostra vita dipende interamente dalle piante (ce ne nutriamo e se ne cibano gli
animali che alleviamo, ci curano dalle malattie, ci vestono, ecc.)
forse dovremmo soffermarci maggiormente su questo aspetto.
Le piante, infatti, risentono dell’inquinamento ambientale ma
possono anche influire positivamente sui danni che da esso derivano o addirittura attenuarne gli effetti.
Le piante e l’inquinamento
di Mara Sugni
Orto Botanico di Bergamo “Lorenzo Rota”
Le piante e l’inquinamento
stica di dipendere totalmente dalle condizioni atmosferiche e chimiche dell’aria: non possedendo radici, assorbono ciò che è loro
necessario solo attraverso la propria superficie esterna che, oltretutto, non possiede rivestimenti protettivi. Questo significa che
se l’aria è inquinata e le sostanze inquinanti sono tossiche per i
licheni questi ne risentono in maniera diretta.
Negli anni ‘90 del secolo scorso un importante studio condotto
sulla provincia di Bergamo (Progetto Lichenes, Arosio e Rinaldi,
1994, a cura del Museo Civico di Scienze Naturali) ha consentito
di redigere una mappa relativa alla qualità dell’aria in base allo
studio delle popolazioni licheniche epifite (ovvero dei licheni che
vivono sulla corteccia degli alberi).
Le immagini riportano alcune fra le specie più sensibili e quindi
caratteristiche di zone a basso livello di inquinanti (metalli pesanti e sostanze organiche, ecc.) ma anche esempi di specie più
tolleranti e perciò individuabili anche in aree inquinate.
ORTO BOTANICO DI BERGAMO “LORENZO ROTA”
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Phaeophyscia orbicularis (Foto di F. Valoti)
ORTO BOTANICO DI BERGAMO “LORENZO ROTA”
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Candelaria concolor (Foto di F. Valoti)
Le piante e l’inquinamento
Le piante e l’inquinamento
I danni dell’inquinamento sulle piante
Nonostante le piante possano rivelarsi utili coadiutori nel contrastare
l’inquinamento, esse stesse risentono della presenza nell’ambiente
di sostanze tossiche.
Uno dei maggiori fattori di rischio per la salute dei vegetali nelle nostre città è la presenza di ozono, che danneggia il DNA, le macromolecole lipidiche e proteiche.
ORTO BOTANICO DI BERGAMO “LORENZO ROTA”
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Danni da ozono su foglie di Nicotiana tabacum Bel-W3 in seguito ad esposizione acuta
ad ozono (100ppb/3h), e relativo controllo. I tipici sintomi sono delle allessature.
A differenza degli animali, però, le piante producono, come prodotti primari o secondari del proprio metabolismo, diverse sostanze in
grado di contrastare l’effetto dell’ozono e delle specie radicaliche ossidanti (come ad esempio l’acido ascorbico o vitamina C). Gli animali,
e quindi anche l’uomo, per contrastare l’azione di tali sostanze sono
costretti ad assumere con la dieta gli antiossidanti di cui hanno bisogno (vitamine A, E e C).
Fonte: M. Iriti, F. Faoro, “Oxidative Stress, the Paradigm of Ozone Toxicity in Plants
and Animals” Water Air Soil Pollut (2008) 187:285–301.
Le piante contro l’inquinamento
1. Inquinamento dell’aria: assorbimento di
sostanze tossiche e delle polveri sottili
Che le piante abbiano un effetto benefico sulla salute umana è
noto da tempo. Diversi studi evidenziano i motivi di questa positiva
influenza.
Le piante e l’inquinamento
fonte: Marcello Iriti e Franco Faoro
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ORTO BOTANICO DI BERGAMO “LORENZO ROTA”
Danni da ozono su foglie di Lycopersicon pimpinellifolium in seguito ad esposizione
acuta ad ozono (60-100 ppb/3h). I tipici sintomi sono le picchiettature clorotiche (sin.) e
le bronzature (centro); a destra controllo.
Le piante e l’inquinamento
ORTO BOTANICO DI BERGAMO “LORENZO ROTA”
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Da una parte sembrano essere coinvolti meccanismi indiretti: un
esempio viene richiamato dallo studio pubblicato sul Journal of
Epidemiology and Community Health da un gruppo di ricercatori
della Columbia University di New York (G. S. Lovasi, J. W. Quinn,
K. M. Neckerman, M. S. Perzanowski, A. Rundle, Children living
in areas with more street trees have lower prevalence of asthma,
JECH, 2008;62:647-649).
Esso riguarda la correlazione tra i casi di asma infantile e la possibilità da parte dei bambini di frequentare aree verdi. E’ stato dimostrato che i bimbi abitanti in quartieri dove sono presenti molti
alberi sono meno soggetti ad attacchi di asma; si ipotizza che ciò sia
dovuto al fatto che il loro sistema immunitario venga in contatto con
una moltitudine di sostanze diverse, in particolare quelle emesse
dai vegetali, ed è quindi più difficile che insorgano episodi di allergie
ed asma.
In secondo luogo vi sono evidenze relative a meccanismi diretti che
vedono le piante come agenti efficaci della mitigazione degli effetti
dell’inquinamento.
Alcune specie resistenti agli inquinanti, infatti, possono agire come
elementi di riduzione di queste stesse sostanze in ambiente urbano
perchè sono in grado di eliminarle tramite assorbimento e successiva metabolizzazione.
Ciò è possibile perché durante il giorno le foglie, oltre ad emettere
ossigeno e assorbire anidride carbonica attraverso gli stomi, possono anche assorbire, sempre attraverso gli stomi, gas inquinanti
come ozono (O3), monossido di carbonio (CO), biossido d’azoto (NO2)
e anidride solforosa (SO2). Tale rimozione avviene a livello della superficie fogliare e nei tessuti vegetali ed è specifica per ogni specie
vegetale. A partire da un accurato studio delle caratteristiche di diverse specie, il CNR di Bologna, ha realizzato un data base delle
specie vegetali caratteristiche della zona ed ha individuato fra queste le più adatte ad assorbire le sostanze tossiche provenienti dalle
emissioni antropiche.
Sembra ad esempio che il tiglio selvatico (Tilia cordata), il biancospino (Crataegus oxyacantha) e l’orniello (Fraxinus ornus) siano tra
le specie migliori da utilizzare per ridurre la concentrazione di anidride carbonica nell’aria. Sarebbe invece opportuno non utilizzare
lo storace (Liquidambar styraciflua) per questo scopo a causa delle
alte emissioni di composti organici volatili che in aree molto inquinate reagiscono con altre sostanze producendo nuovi veleni.
Fonte: (Rita Baraldi, presentazione dei primi risultati della ricerca:“Alberature e
mitigazione del microclima urbano”e prospettive applicative, Centro Servizi per il
Florovivaismo)
Tiglio
Orniello
Un altro effetto benefico diretto delle piante è dovuto all’azione di mitigazione sul microclima urbano: con l’evapotraspirazione fogliare,
infatti, si ha un abbassamento locale della temperatura (così come
succede col sudore sul nostro corpo!), con una ricaduta diretta sulla
produzione di radicali dannosi, come ad esempio l’ozono, che si forma più facilmente in condizioni di temperature elevate.
Le piante e l’inquinamento
Biancospino
Sinistra:L’energia solare incidente su ampie zone verdi viene in gran parte utilizzata dalla vegetazione per processi traspiratori e fotosintetici, provocando un sensibile abbassamento della temperatura dell’aria.
- 1 Ombreggiamento
- 2 Riflessione
- 3 Convezione
- 4 Evapotraspirazione e processi fotosintetici.
Destra: In aree urbane densamente edificate, l’energia solare viene riflessa ed assorbita
dalle pareti verticali degli edifici, aumentandone così il carico termico.
Fonte: Marelli F., Rossi S., Georgiadis T., Il riscaldamento della città, Scienza on
line, 2006, 30.
ORTO BOTANICO DI BERGAMO “LORENZO ROTA”
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Le piante e l’inquinamento
ORTO BOTANICO DI BERGAMO “LORENZO ROTA”
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Il potenziale di riduzione dell’inquinamento da parte delle piante è
ancora più evidente se si considera che gli alberi (e i cespugli, ma
in maniera minore) intercettano e sequestrano le polveri sottili presenti nell’atmosfera. Ciò grazie all’ampia superficie fogliare che essi
espongono all’aria delle città, dove fungono da veri e propri filtri. E’
stato appurato che, nell’ambito del complesso fenomeno della deposizione del particolato, piante con rami densi, fogliame fitto e foglie
numerose e rugose o frastagliate hanno un elevatissimo effetto filtrante e di abbattimento delle polveri. In generale le latifoglie hanno
una attitudine maggiore di sequestro di queste ultime perché con la
caduta delle foglie promuovono l’eliminazione del particolato, che
però viene trattenuto dal suolo. Si è anche appurato che le piante giovani, che hanno più foglie e quindi una maggior superficie esposta
costituiscono un filtro più efficiente. 2. Inquinamento del terreno: fitoremediation
Un altro ambito di utilizzo delle piante come elemento di ausilio nella
mitigazione dell’inquinamento ambientale è quello relativo alla fitoremediation, ovvero all’impiego dei vegetali come sistemi di detossificazione di acque e suoli inquinati.
Alcune specie vegetali, infatti, sono in grado di sequestrare metalli
pesanti e sostanze organiche “risanando” siti contaminati.
Tutti i modi per ripulire il terreno e le acque con le piante.
In alcuni casi l’inquinante è assorbito dalle radici e viene trasformato
all’interno della pianta (fitodegradazione). In altre situazioni, invece,
la sostanza viene degradata dai microrganismi che vivono attorno alle
radici, grazie allo stimolo delle sostanze prodotte dalle radici stesse
(rizodegradazione). Può anche accadere che l’inquinante sia immobilizzato nell’interfaccia radice-suolo, con conseguente riduzione
della sua biodisponiblità (fitostabilizzazione). Può inoltre capitare
che l’inquinante sia assorbito e poi liberato (eventualmente anche in
un’altra forma) nell’atmosfera: si parla allora di fitovolatilizzazione.
Infine è possibile utilizzare I vegetali per depurare le acque reflue in
insediamenti civili di piccole dimensioni: sono già in commercio appositi kit per la costruzione di piccoli impianti di fitodepurazione che
consentono di ripulire le acque di scarico delle abitazioni ed eventualmente di riutilizzarle per altri scopi (ad esempio per l’irrigazione).
Diverse specie vegetali sono allo studio per verificare il loro potere
fitorisanante: eccone un elenco.
specie vegetale metalli accumulabili
Arabidopsis spp Cd, Fe, Zn
Artemisia princeps Cd, Zn, Cu, Pb
Beta maritima Pb, Cu, Zn
Brassica campestris Pb, Cu, Zn
Brassica Carinata Pb, Cd, Cr
Le piante e l’inquinamento
Si possono effettuare interventi di rizofiltrazione quando le radici assorbono un contaminante presente in una soluzione acquosa, oppure
di fitoestrazione quando le piante accumulano i contaminanti all’interno dei loro tessuti: in tal caso è necessario asportare periodicamente la biomassa vegetale per allontanare la sostanza.
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Helianthus annuus Pb, Sr, Cs, Zn, As, Cd, U
Lactuca sativa Cd
Linum usitatissimum Cd, Pb
Medicago sativa Cd, Pb
Miscanthus spp Cd, Zn, Cu, Pb
Poa annua Cd, Cu, Ni, Pb, Cr
Raphanus sativusCd, Cu, Pb, Zn, Cr
Zea mais Cd, Cu, Ni
Gli studi effettuati evidenziano come questa tecnica sia la più economica ma anche quella più rispettosa dell’ambiente tra quelle attualmente disponibili (trattamenti chimici, lavaggio del suolo, trattamenti
termici) per il risanamento di suoli inquinati.
Fonte: A. Contangelo, A. Petrozza, A. Palma, Specie Vegetali per risanare terreni
contaminati da metalli, Agrifoglio, (2008) 25:14-15
ORTO BOTANICO DI BERGAMO “LORENZO ROTA”
Cyperus spp Cd, Zn, Cu, Pb
Giardino Botanico Alpino “Rezia”
Via G. Sertorelli, 23032 Bormio (So)
tel. 0342 927370 - fax 0342 919357
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PIANTE E SFRUTTAMENTO
DEI PASCOLI ALPINI
Piante e sfruttamento dei pascoli alpini
di FEDERICA GIRONI e VALENTINO MARTINELLI
Giardino Botanico Alpino “Rezia”
Il paesaggio alpino è stato a lungo considerato come “ambiente naturale”, isolato e ben distinguibile dal resto del territorio e, come tale,
non soggetto alle diffuse trasformazioni a opera dell’uomo. In tempi
più recenti si è affermata la consapevolezza delle profonde relazioni
tra uomo e montagna che hanno portato alla lenta trasformazione di
intere fasce vegetazionali. Osservando un versante coperto da foreste,
risulta molto difficile immaginarlo privo delle caratteristiche aree prative (maggenghi) e ancor più arduo pensare che il limite delle foreste
possa sfumare gradualmente in una ampia fascia di cespuglieti, anziché affacciarsi all’improvviso sulle praterie d’alta quota (alpeggi).
Sopra: vista dal Passo del Mortirolo verso le Alpi Retiche.
Sotto: Cima Piazzi, Valdidetro (So) – (autore: Gironi F.)
GIARDINO BOTANICO ALPINO “REZIA”
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Piante e sfruttamento dei pascoli alpini
GIARDINO BOTANICO ALPINO “REZIA”
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La vegetazione alpina è determinata dalla convivenza di due principali
fattori limitanti, che interagiscono reciprocamente: il clima rigido e
l’utilizzo da parte dell’uomo.
Negli ultimi decenni entrambi questi fattori stanno cambiando, con
l’aumento globale della temperatura e l’abbandono della montagna.
A un occhio attento non possono sfuggire le prime avvisaglie di queste modificazioni in atto: c’è un deciso innalzamento del limite degli
alberi e una progressiva riduzione delle aree prative intraforestali.
I profondi cambiamenti che sono in atto nel paesaggio alpino sono
quindi determinati sia dal “global change” sia dal cambiamento
nell’uso del suolo da parte dell’uomo.
Distinguere gli effetti causati dall’uno o dall’altro è assai difficile;
spesso viene erroneamente attribuito un peso preponderante al
cambiamento climatico.
L’effetto prodotto dalla mancata gestione dei pascoli alpini, allo stato attuale, può essere molto significativo, sia in termini qualitativi sia
quantitativi.
Il limite degli alberi
Il limite degli alberi (treeline) e il limite della foresta (timberline) sono
elementi facilmente individuabili nel paesaggio alpino. Entrambi sono
determinati da fattori che limitano la crescita delle specie arboree, in
particolare la temperatura e le precipitazioni, ma anche, localmente,
il tipo di vegetazione e di suolo, la copertura nevosa, la topografia e il
vento. In particolare la crescita delle specie arboree richiede la produzione di grandi quantità di biomassa, che è fortemente ridotta alle
basse temperature (Körner 1999).
Schema rappresentativo di come si presentano i limiti della foresta e del bosco (autore: Gironi F.)
Sotto: Val Cedéc, Valfurva (So) - espansione della fascia dei cespuglieti che invadono i
pascoli alti. Si noti come la timberline e la treeline, visibili in secondo piano, siano molto
più alti di quello che appare in primo piano. Il limite del bosco visibile in primo piano è
stato storicamente “abbassato” per far posto ai pascoli, che ora appaiono completamente ricolonizzati da arbusti e alberi isolati. (autore: Gironi F.)
Piante e sfruttamento dei pascoli alpini
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GIARDINO BOTANICO ALPINO “REZIA”
Nelle aree alpine, in condizioni naturali, la zona di passaggio tra il
limite della foresta e quello degli alberi è costituita da una stretta fascia altitudinale di circa 100-200 metri. L’impatto antropico, ad esempio il disboscamento del margine forestale, ha provocato nei secoli
un abbassamento del limite della foresta che può superare i 300-400
metri (Tinner & Vescovi, 2007).
Gli studi dei pollini fossili mostrano come, in tempi geologici, le variazioni del limite della foresta e del limite degli alberi abbiano seguito
l’andamento climatico, con oscillazioni comprese entro i 300-400 metri. Risulta quindi evidente che, essendo paragonabili le due escursioni (dovute rispettivamente ad azione antropica e al cambiamento
climatico), i loro effetti siano difficilmente scindibili.
L’effetto combinato di questi due elementi ci permette di osservare
attualmente un’ampia fascia dove il bosco avanza alle quote superiori, invadendo le aree tradizionalmente occupate dai pascoli alpini.
Osservando con attenzione si nota come la risalita degli alberi sia accompagnata da una netta variazione della composizione del pascolo.
Specie più prettamente forestali, sia arbustive sia erbacee, prendono
il sopravvento sulle specie di prateria man mano che la componente
arborea avanza. Come per l’innalzamento del limite degli alberi, si
nota una rapidissima espansione della fascia degli arbusti, con la formazione di estesi cespuglieti a rododendro o ginepro che sostituiscono i pascoli alpini. Anche questo fenomeno può essere ricondotto in
buona parte alla sospensione dell’attività antropica di cura del pascolo. Tradizionalmente, infatti, la fascia dei cespuglieti era attivamente
“contenuta” mediante incendio, allo scopo di guadagnare preziosi
spazi per il pascolo del bestiame.
Piante e sfruttamento dei pascoli alpini
Shifting e scomparsa specie alpine
GIARDINO BOTANICO ALPINO “REZIA”
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La ricerca sul possibile effetto del “global change” sulle aree di
prateria alpina è appena agli albori e i diversi progetti attivati per
comprendere i complessi fenomeni in atto sono spesso ancora
alle fasi iniziali. Tralasciando gli effetti fisiologici e fenologici,
trattati più dettagliatamente dalle altre relazioni della presente
pubblicazione, si accenna soltanto all’effetto che l’innalzamento
della temperatura potrebbe avere sulla distribuzione delle fasce
di vegetazione.
Tra le altre, alcune osservazioni temporali sulla distribuzione
della vegetazione alpina mostrano uno slittamento delle fasce di
vegetazione variabile da 1 a 4 metri ogni dieci anni (Walther et al.,
2002 Nature).
Tralasciando la complessa questione dei modelli utilizzati, che
producono dati non sempre coerenti tra loro, appare evidente
come lo slittamento verso l’alto delle vegetazioni di alta quota potrebbe portare alla scomparsa di alcune cenosi alpine, laddove
non siano presenti rilievi sufficientemente alti da ospitarle.
A questo scopo è stato attivato il progetto GLORIA (“Iniziativa di
ricerca a livello globale in ambiente alpino”) che mira ad istituire
una rete mondiale di ricerca per valutare le potenziali minacce dei cambiamenti climatici sulla biodiversità delle aree d’alta
montagna.
Pressione di pascolo e biodiversità
Tra i cambiamenti indotti dall’attività antropica sui pascoli alpini, si
nota una crescente “polarizzazione” dell’uso del suolo, che determina aree in cui la concentrazione del pascolo è prossima al punto di
saturazione e aree marginali in stato di abbandono.
Questo fenomeno determina profondi cambiamenti nella composizione dei pascoli e nella ricchezza in specie degli stessi, che in entrambi i casi vanno incontro a un progressivo impoverimento.
Altro fenomeno in aumento, diretta conseguenza della mancata
gestione del pascolo, è la concentrazione delle attività di pascolo in zone di torbiera. Con il progressivo avanzare degli arbusti
sui pascoli, che richiederebbero azioni dirette di contenimento,
le zone pianeggianti con suolo intriso d’acqua e prive di invasione
arbustiva appaiono sempre più “comode” per gli alpeggiatori e
pertanto vengono utilizzate diffusamente, provocandone un irreparabile degrado.
Piante e sfruttamento dei pascoli alpini
Si assiste così talvolta a situazioni paradossali dove pascoli ricchi, in
avanzato stato di abbandono e ormai invasi dagli arbusti, contornano
torbiere afflitte da diffuse opere di drenaggio, condotte al fine di “arricchire” cenosi vegetali dal valore pabulare (l’appetibilità per il bestiame) assai basso, ma di grande valore naturalistico.
Sopra: Valfurva (So) - esempio di contrazione delle aree di pascolo (linea arancione), qui
invase diffusamente da cespuglieti a ginepro (linea rosa). (autore: Gironi F.)
Le praterie che si estendono lungo i versanti hanno subito nel corso
degli anni trasformazioni imputabili alle diverse attività di pascolamento che si sono susseguite nei tempi.
Questi cambiamenti hanno però riguardato maggiormente le zone
meno impervie e più floride, lasciando quasi intatti i prati posti a quote più elevate e più difficili da raggiungere.
E’ opportuno ricordare che, se da una parte l’attività di pascolamento
ha aspetti produttivi, dall’altra è pure vero che questa attività debba
essere svolta e gestita in maniera adeguata, evitando il sovraccarico o
l’eccessiva riduzione di carico di bestiame su aree delimitate.
Se da un lato, come visto in precedenza, la riduzione del carico provoca l’invasione da parte delle specie arbustive ed arboree, dall’altro l’eccessivo carico di bestiame provoca profondi mutamenti nella
composizione della copertura erbosa.
GIARDINO BOTANICO ALPINO “REZIA”
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Piante e sfruttamento dei pascoli alpini
L’eccessivo calpestio causa, ad esempio, la scomparsa degli orizzonti
superficiali del suolo, con conseguente dilavamento dei minerali in
esso presenti. L’eccessivo stazionamento produce invece una forte
fertilizzazione, dovuta alla deiezione degli animali pascolanti.
GIARDINO BOTANICO ALPINO “REZIA”
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Sopra: Val Cedéc, Valfurva (So) - (autore: Anselmi W.)
Nei pascoli si vengono così a formare vere e proprie comunità vegetali dalle specifiche caratteristiche ecologiche, biologiche e produttive. La fitosociologia analizza in dettaglio le relazioni che intercorrono tra le diverse specie a formare le varie cenosi, unità distinte
e classificabili in base ai diversi parametri di presenza/abbondanza
delle diverse specie.
L’approccio fitosociologico è affascinante e permette di cogliere le
piccole sfumature ambientali a cui molte specie rispondono con
precisione. Qui però ci si limita a descrivere brevemente le tipologie
di pascolo presenti nel territorio del Parco dello Stelvio, dal punto di
vista più “produttivo”, che pure rispecchia l’andamento di alcuni parametri fondamentali.
1. Pascoli pingui
Sono i più pregiati per la qualità e quantità del foraggio che forniscono. Si ritrovano spesso in aree non molto estese, presso alpeggi o
altri fabbricati rurali. La loro produttività elevata è dovuta sostanzialmente all’accumulo delle acque di scorrimento superficiale ed alle
deiezioni organiche del bestiame.
In questi pascoli possono essere distinte quattro tipologie di comunità
vegetali dominanti, di seguito riportate.
• Associazione a Poa alpina e Deschampsia caespitosa
Comunità tipica di terreni più pianeggianti, fertili e umidi dove si diffonde a cespi la Deschampsia caespitosa, la quale ha però scarso
valore foreggero. Le specie che si affiancano sono: Alchemilla gr.
vulgaris, Festuca gr. rubra, Ligusticum mutellina, Potentilla aurea e
Ranunculus montanus.
• Associazione a Festuca gr. rubra
Questa cenosi è posta in luoghi meno pianeggianti, magri e secchi.
La festuca, che nelle altre comunitaà è subordinata, diventa qui l’elemento principale. Il valore foraggero resta ad ogni modo elevato.
Le specie più comuni sono: Anthoxanthum alpinum, Campanula
scheuchzeri, Lotus alpinus, Nardus stricta, Ranunculus montanus.
2. PASCOLI DA RIPOSO
Sono prati riservati al riposo della mandria. Il terreno in questo caso
si arricchisce di azoto a causa delle deiezioni deposte sul suolo.
Vengono così favorite le specie nitrofile, competitive perché in grado
di produrre grandi foglie e fusti alti, che limitano lo sviluppo delle altre
specie. Si costituiscono in questo modo cenosi semplici, con un basso
grado di biodiversità.
Romiceto nel piano antistante la stalla (autore: Gironi F.)
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GIARDINO BOTANICO ALPINO “REZIA”
• Associazione a Poa alpina e Phleum alpinum
Dove il terreno è più fertile, sostituisce la precedente comunità; il
Phleum alpinum ha un elevato valore foraggero ed è sovente accompagnato da Achillea millefolium, Deschampsia caespitosa, Poa alpina, Trifolium repens.
Piante e sfruttamento dei pascoli alpini
• Associazione a Poa alpina
è la comunità più diffusa tra le zone pascolate, che si contraddistingue per l’abbondanza della specie dominante, Poa alpina, accompagnata da Alchemilla gr. vulgaris, Festuca gr. rubra, Leontodon helveticus, Phleum alpinum, Trifolium repens.
• Associazione a Rumex alpinus
Unità più caratteristica e diffusa che in casi estremi può arrivare a
costituire comunità pure, a discapito di tutte le altre specie, che altrimenti sarebbero: Alchemilla vulgaris, Poa supina, Taraxacum officinale, Trifolium repens, Aconitum napellus e Veratrum album.
Piante e sfruttamento dei pascoli alpini
• Associazione a Chenopodium bonus-henricus
è più rara rispetto alla precedente, affianco allo spinacio selvatico
troviamo: Phleum alpinum, Rumex alpinus, Deschampsia caespitosa, Poa supina.
GIARDINO BOTANICO ALPINO “REZIA”
26
3. TORBIERE PASCOLATE
Sono le zone di torbiera, generalmente in piccole depressioni con
accumulo idrico. Nella classificazione “produttiva” sono considerate
pascoli a pieno titolo e definite “pascoli umidi”.
• Comunità a Carex fusca
Caratterizzata dalla assoluta dominanza della Carex fusca, accompagnata sovente in misura minore da Deschampsia caespitosa ed
Eriophorum angustifolium. Con il progressivo interramento di questa
cenosi si nota l’ingresso di specie più esigenti e dal maggior valore
foraggero, come Crepis aurea, Ligusticum mutellina, Nardus stricta,
Phleum alpinum, Taraxacum officinale.
• Comunità a Trichophorum caespitosum
La si trova nelle zone più marginali o dove la torbiera sia già ad uno stadio avanzato di interramento. Domina in modo assoluto il Trichophorum caespitosum, accompagnato spesso dalla graziosa Viola biflora.
Sopra: Val Grosina (So) - pascoli a confronto: pascoli pingui nei pressi delle case, ben distinguibili dal colore verde vivo, contrapposti a pascoli magri più a monte. (autore: Gironi F.)
• Associazione a Nardus stricta e Anthoxanthum alpinum
In questa comunità le due specie principali sono codominanti; l’ecologia non si discosta di molto dalla precedente, ritrovando pressoché
le medesime specie compagne.
• Associazione a Nardus stricta e Trifolium alpinum
Pur non discostandosi molto dalle precedenti, questa cenosi è considerata a maggior valore foraggero, grazie alla grande quantità di
Trifolium alpinum. Le specie che lo accompagnano, tra le altre, sono
generalmente Carex sempervirens, Festuca rubra e Leontodon helveticus.
5. PASCOLI NATURALI ACIDOFILI
Sono le praterie naturali dell’orizzonte alpino, dove le condizioni ambientali si fanno più severe e la produttività cala drasticamente.
Un tempo diffusamente pascolate, ora rivestono un ruolo assolutamente secondario ai fini produttivi.
• Associazione a Carex curvula
è la vegetazione climacica dell’orizzonte alpino, e si riscontra
diffusamente al di sopra dei 2500 metri di quota, dove rappresenta il massimo stadio evolutivo raggiungibile dalle comunità
naturali. E’caratterizzata da una discreta ricchezza floristica e da
una buona qualità foraggera. La Carex curvula è dominante, ed è
spesso accompagnata da Avenula versicolor, Homogyne alpina,
Huperzia selago, Leontodon helveticus, Ligusticum mutellina. In
situazioni più favorevoli aumenta la presenza dell’Anthoxanthum
alpinum, accompagnato spesso da specie di pascolo come Arnica montana e Geum montanum.
27
GIARDINO BOTANICO ALPINO “REZIA”
• Associazione a Nardus stricta
Se da un lato questa cenosi è considerata di basso valore foraggero, il
suo valore naturalistico è al contrario assai elevato.
Questa prateria presenta una diversità specifica altissima e ospita,
tra le altre, numerose specie di orchidee. Il ricco corredo floristico
annovera, tra le altre, Anthoxanthum alpinum, Campanula scheuchzeri, Carex sempervirens, Euphrasia minima, Festuca halleri, Geum
montanum, Lotus alpinus.
Piante e sfruttamento dei pascoli alpini
4. PASCOLI MAGRI
Nella definizione di pascoli magri rientrano quelle cenosi vegetali
secondarie, derivate dalla antica trasformazione di aree boschive in
pascolo al margine superiore della foresta. L’elemento floristico prevalente è il nardo (Nardus stricta), poco appetibile dal bestiame.
Piante e sfruttamento dei pascoli alpini
• Associazione a Festuca halleri
Poste su pendii ben soleggiati tra i 2300 e i 2600 metri, queste comunità climaciche sono dominate da Festuca halleri, accompagnata spesso da Carex curvula, Nardus stricta, Phyteuma
hemisphaericum, Potentilla aurea, Ranunculus montanus, Trifolium alpinum.
GIARDINO BOTANICO ALPINO “REZIA”
28
• Associazione a Festuca varia
Assai comune nelle Alpi Orobie è poco rappresentata nel nostro
territorio, dove la si può ritrovare sui ripidi pendii assolati, piuttosto aridi. La si trova spesso anche sulle piccole cenge delle pareti
rocciose, anche nell’orizzonte del bosco. Nel territorio del Parco è
costituita principalmente da Festuca scabriculmis, del gruppo di
F. varia. Specie caratteristica, assoluta indicatrice di questa associazione è il Bupleurum stellatum.
6. PASCOLI NATURALI DEL CALCARE
I suoli alpini, soprattutto quelli in quota, sono poco profondi, questo fa
si che la roccia madre sottostante eserciti un forte influsso sulla vegetazione. Le comunità di interesse pabulare che si sviluppano sulle
rocce calcaree, assai diffuse nel Parco, differiscono quindi da quelle
che si sviluppano sui suoli di altre matrici rocciose.
• Associazione a Sesleria varia
Caratterizzata da grande biodiversità, è la prateria più interessante
dal punto di vista pabulare. La si riscontra dove la morfologia permette lo sviluppo di un suolo abbastanza profondo. Dominata dalla
Sesleria varia e dalla Carex sempervirens, in essa si riscontrano frequentemente Oxytropis campestris, Biscutella laevigata, Potentilla
crantzii, Helianthemum nummularium subsp. grandiflorum, Gentiana ciliata, Aster alpinus, Senecio abrotanifolius, Cirsium acaule,
Nigritella nigra.
Nel Parco questa associazione è spesso in contatto con i nardeti ricchi
in specie, che si spingono a quote piuttosto inusuali, ben oltre il limite
del bosco. Proprio per tale peculiarità questi nardeti sono stati oggetto di studio e di un progetto LIFE-Natura 1996 denominato “Parco
Nazionale dello Stelvio – misure urgenti per conservare la Natura”.
Bibliografia:
GIACOMINI V., PIGNATTI S., 1955 - I pascoli dell’Alpe dello Stelvio (Alta Valtellina).
Saggio di fitosociologia applicata e di cartografia fitosociologica. Ann. Sper. Agr., n.
IX: 1-49 (ed anche in Quaderno Ist. Bot. Lab. Critt. Univ. Pavia, n. 6: 1-51).
GUSMEROLI F. ET AL., 2004 – La vegetazione dei pascoli dell’Alta Valtellina – Fondazione Fojanini e Comunità Montana Alta Valtellina.
KÖRNER C., 1999 - Alpine Plant Life: Functional Plant Ecology of High Mountain
Ecosystems – Springer
PAULI H., GOTTFRIED M. & GRABHERR G., 2001a - High summits of the Alps in a
changing climate - In: G.-R. Walther et al. (eds.) “Fingerprints” of climate change
- Kluwer Academic Publ., New York:139-149.
Piante e sfruttamento dei pascoli alpini
CREDARO V. & PIROLA A., 1975 - La vegetazione della provincia di Sondrio - Edizione. Banca Piccolo Credito Valtellinese.
PIGNATTI S., 1994 – Ecologia del paesaggio - UTET, Torino.
TINNER W. & VESCOVI E., 2007 - Ecologia e oscillazioni del limite degli alberi nelle
Alpi dal Pleniglaciale al presente - Studi Trent. Sci. Nat., Acta Geol., 82 (2005): 7-15
Sito ufficiale del progetto GLORIA: http://www.gloria.ac.at
29
GIARDINO BOTANICO ALPINO “REZIA”
PIROLA A., FAIFER D., GIRONI F. E PIROVANO A., 2000 – Le Valli del Parco Nazionale dello Stelvio in Lombardia – Comitato Lombardo del Parco Nazionale dello
Stelvio, Bormio.
Orto Botanico
di Brera, Milano
Via Brera 28
20121 Milano
ingresso da Via Brera 28 (oppure da Via Fiori Oscuri, 4)
tel 02-50314696
[email protected]
www.brera.unimi.it/museo/orto
Gli alberi come
“archivi naturali” del clima
31
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
La dendrocronologia (dal greco δένδρον = albero, χρόνος = tempo,
λογία = studio) è una disciplina che studia l’accrescimento annuale
degli alberi, attraverso l’osservazione degli anelli radiali del fusto.
Gli alberi che crescono alle medie latitudini, in cui vi è una netta distinzione tra stagione estiva e stagione invernale, producono ogni anno
un nuovo anello di accrescimento, facilmente visibile nella sezione
trasversale del tronco. La variazione annua dello spessore di ciascun
anello dipende da fattori biologici (specie, età, patologie), climatici (T,
umidità) e stazionali (altitudine, suolo, pendenza).
Per osservare gli anelli viene prelevata una carota di legno utilizzando un carotiere (succhiello di Pressler). Si tratta di uno strumento composto da un cilindro cavo che, per mezzo di un movimento rotatorio, viene inserito perpendicolarmente alla base del
tronco; successivamente si estrae la carota che verrà osservata al
microscopio binoculare.
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
a cura di Gabriele Zoia* e Marco Caccianiga**
Orto Botanico di Brera*, Università degli Studi di Milano**
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
35
30
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
25
20
15
10
5
Media Luglio
Media Annuale
Media Gennaio
TEMPERATURE MEDIE A MILANO 1763-2008
0
35
-5
1750
30
1800
1850
1900
1950
2000
25
T media (°C)
32
Grazie allo studio degli anelli di più esemplari appartenenti alla stessa
specie e situati nello stesso luogo è possibile ricostruire una serie media di accrescimento e da essa l’andamento del clima nel passato.
Data la mancanza di più esemplari appartenenti alla stessa specie, uno
studio così approfondito non è possibile all’Orto di Brera; tuttavia si è
cercato di verificare come le differenti specie arboree hanno reagito ai
cambiamenti climatici, nello specifico alla variazione di temperatura.
Sono stati selezionati cinque diversi individui appartenenti ad altrettante specie arboree: tre di essi (Prunus avium, Maclura pomifera e Platanus hybrida) erano stati abbattuti negli anni precedenti, mentre gli altri
due (Taxus baccata e Ailanthus altissima) sono tuttora viventi.
Nel complesso di Brera è situato un Osservatorio Meteorologico, che
dal 1763 registra quotidianamente le temperature minime e massime di Milano. Questa preziosa e completa serie di dati è stata presa
come riferimento per la ricostruzione dell’andamento delle temperature negli ultimi 250 anni.
Come si può notare dal grafico sottostante, le T medie annue sono in
progressiva crescita a partire dalla seconda metà del secolo scorso.
L’innalzamento delle temperature riguarda sia i valori dei mesi invernali, sia i valori
dei
mesi estivi.
A partire dagli anni ‘50 solo in due casi
TEMPERATURE
MEDIE
A MILANO
1763-2008
la T media di gennaio è risultata sotto lo 0° (1963, 1985), mentre nei
decenni e nei secoli precedenti ciò è avvenuto con frequenza molto
maggiore. L’ultimo decennio, in particolare, è stato caratterizzato da
inverni molto miti e da estati piuttosto calde. Il 2003 è stato l’anno più
caldo in assoluto degli ultimi tre secoli, con una T media annua di
17,1°C (paragonabile ad un clima di tipo subtropicale).
20
15
10
Media Luglio
Media Annuale
Media Gennaio
5
0
-5
1750
1800
1850
1900
1950
2000
L’accrescimento degli anelli degli alberi ha risentito in maniera differente delle condizioni ambientali, a seconda della specie presa in
considerazione. La seguente tabella evidenzia le correlazioni significative esistenti tra la crescita degli anelli nelle diverse specie.
Platanus
Prunus
Maclura
Platanus
Taxus
Ailanthus
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
Si può notare come il platano non sia correlato a nessuna delle altre
piante: infatti i suoi anelli crescono indipendentemente dalla temperatura. Ciliegio, ailanto e maclura sono correlati positivamente tra
loro: si è visto che le tre specie crescono meglio se le temperature
sono più fresche, in particolare in inverno.
Il tasso, al contrario, è correlato negativamente con il ciliegio e con la
maclura: si è constatato come il primo prediliga inverni miti, mentre
i secondi inverni freddi.
Prunus
Maclura
Taxus
Ailanthus
Correlazione negativa tra specie con la T
Correlazione positiva tra specie con la T
Platanus
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
33
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
34
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
PLATANUS HYBRIDA L.
Anno
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
2004
1999
1994
1989
1984
1979
1974
1969
1964
1959
1954
1949
1944
1939
1934
2007
35
L’esemplare di platano presente in Orto è stato abbattuto
nel febbraio 2008, in quanto poco stabile e potenzialmente
pericoloso per i visitatori.
Il carotaggio effettuato ha permesso di risalire all’anello
del 1918, ma la pianta è sicuramente più vecchia, poichè
la limitata lunghezza del carotiere ha impedito di raggiungere il centro dell’albero.
Nonostante l’abbattimento, la pianta è ancora viva e crescono nuovi rami.
Dall’analisi statistica effettuata è risultato che le variazioni
annue della crescita degli anelli di questo esemplare di
platano non hanno una particolare correlazione con il clima. Le cause sono dunque da ricercarsi in altri fattori, che
al momento restano da chiarire.
1918
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
1929
1924
5,0
4,5
4,0
3,5
3,0
2,5
2,0
1,5
1,0
0,5
0,0
1919
Lunghezza anelli (mm)
PLATANUS
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
36
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
PRUNUS AVIUM L.
9,0
8,0
5,0
4,0
3,0
2,0
1991
2003
1998
1993
1988
1983
1978
1973
1968
1963
1958
Anno
2007
37
L’esemplare di ciliegio preso in considerazione è stato abbattuto nell’agosto 2007;
precedentemente era stato danneggiato da
un violento temporale. La base del tronco è
stata trasformata in una curiosa scultura a
forma di madonnina dagli studenti di Brera.
La limitata crescita degli anelli dal 1991 in
poi è probabilmente dovuta ad una drastica
potatura. Il carotaggio effettuato ha inoltre
permesso di accertare che la pianta risale
al 1947. Dall’analisi statistica effettuata è
risultato che gli anelli del ciliegio crescono meno negli anni più caldi, in particolare
negi anni con inverni molto miti.
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
1947
1953
1,0
0,0
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
7,0
6,0
1948
Lunghezza anelli (mm)
PRUNUS
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
38
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
MACLURA POMIFERA (Raf.) Schneid
Anno
1971
1998
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
1998
1993
1988
1983
1978
1973
1968
1963
1958
1953
1948
1943
10,0
9,0
8,0
7,0
6,0
5,0
4,0
3,0
2,0
1,0
0,0
1938
39
1934
La Maclura è una singolare pianta appartenente alla famiglia delle Moraceae, utilizzata un tempo in sostituzione del gelso bianco per l’allevamento dei bachi da seta ed oggi coltivata come ornamentale.
L’esemplare presente in Orto è stato abbattuto nel novembre 1998 a
causa di una malattia; ne è stata recuperata una rondella di legno di un
ramo secondario, in cui gli anelli sono ben visibili fino all’anno 1934.
L’arresto della crescita a partire dal 1971 (è ben visibile una serie di
anelli compressi tra loro) è probabilmente dovuto alla malattia della
pianta. Dall’analisi statistica effettuata è possibile affermare che vi è
una correlazione tra la crescita degli anelli ed la temperatura: l’accrescimento è infatti maggiore negli anni a clima spiccatamente continentale, con inverni freddi ed estati calde, come nel decennio 1944-1954
(es. anno 1950: Tm gennaio 1,93 °C, Tm luglio 28,1 °C).
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
Lunghezza anelli (mm)
MACLURA
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
40
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
TAXUS BACCATA L.
TAXUS
6,0
5,0
4,0
3,0
2,0
1,0
2008
2003
1998
1993
1988
1983
1978
1973
1968
1963
1958
1953
1948
1943
1938
0,0
Anno
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
Lunghezza anelli (mm)
7,0
2008
1956 - 1972
1938
Il tasso è stata l’unica conifera carotata ed è tuttora vivente. Ha una crescita più lenta rispetto
alle latifoglie, quindi gli anelli sono in media più
stretti, anche se presentano il vantaggio di essere maggiormente visibili.
Il carotaggio ha permesso di datare gli anelli
fino al 1938, anche se l’esemplare è di qualche
anno più antico.
Gli anelli dal 1956 al 1972 - come si può osservare in dettaglio - sono molto stretti, probabilmente a causa del disturbo causato dalla perdita di un ramo principale (l’esemplare è piuttosto
asimmetrico).
La pianta si è però ripresa molto bene e nell’ultimo decennio ha prodotto gli anelli più spessi, probabilmente anche a causa delle elevate
temperature.
Dall’analisi statistica effettuata è risultato infatti che la crescita degli anelli è significativamente correlata con la temperatura. I picchi
massimi di crescita si sono verificati nel 2001
(Tm 15,1 °C) e nel 2003 (Tm 17,1 °C).
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
41
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
42
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
AILANTHUS ALTISSIMA Mill.
2008
L’ailanto è una pianta originaria della Cina, coltivata per ornamento e
divenuta infestante nelle aree urbanizzate.
Ha una crescita molto rapida: l’esemplare carotato, infatti, è molto sviluppato, nonostante abbia solo 20 anni.
Dall’analisi statistica effettuata è risultato che la crescita degli anelli è
significativamente correlata in maniera negativa con la temperatura;
in particolare le estati molto calde (come nell’ultimo decennio) ne limitano la crescita.
Questo dato andrebbe integrato con i dati delle precipitazioni; è probabile, infatti, che questa specie soffra particolarmente le estati caldoaride, essendo situata su un suolo piuttosto ghiaioso, che trattiene
poco l’acqua.
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
2008
2006
2004
2002
2000
1998
1996
1994
1992
Anno
43
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
1988
1990
20,0
18,0
16,0
14,0
12,0
10,0
8,0
6,0
4,0
2,0
0,0
1988
Lunghezza anelli (mm)
AILANTHUS
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
La tabella sottostante ricapitola le correlazioni statistiche esistenti tra
la larghezza degli anelli dei cinque esemplari campionati e le temperature medie dei mesi dell’anno (correlazione di Pearson).
In arancione sono state evidenziate le correlazioni significative negative, mentre in verde le correlazioni significative positive.
GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC MEDIA
Platanus
Prunus
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
44
Maclura
Taxus
Ailanthus
Correlazione negativa con la T
Correlazione positiva con la T
Platanus
In questo studio è stata applicata la dendrocronologia al fine di osservare come differenti esemplari appartenenti a diverse specie abbiano
reagito alle variazioni climatiche.
Le potenzialità di questa disciplina sono in realtà molto più ampie.
La dendrocronologia trova infatti applicazione in:
_ Climatologia, per ricostruire il clima dei secoli passati;
_ Geomorfologia, per studiare e datare movimenti franosi, avanzamento o recessione dei ghiacciai ed altri eventi geologici;
_ Architettura, per l’analisi storica degli edifici e per evidenziare
interventi di manutenzione e di restauro.
Nell’ambito propriamente didattico l’osservazione degli anelli del legno dal vivo o al microscopio può risultare particolarmente interessante anche per un pubblico in età scolare.
45
ORTO BOTANICO DI BRERA, MILANO
_ Storia dell’arte e organologia musicale, per datare opere
o strumenti musicali in legno;
Gli alberi come “archivi naturali” del clima
_ Archeologia, per datare manufatti costruiti in epoche storiche;
Orto Botanico
di Cascina Rosa a Milano
Via Valvassori Peroni 8
20133 Milano
Tel: 02 50320886
Le piante e
l’inquinamento dell’acqua
Anche le piante stesse possono agire come fonte di inquinamento naturale. Infatti, anche un organismo può essere definito “inquinante”
quando immesso in un habitat diverso da quello d’origine.
Le piante infine possono risultare utili nell’individuare vari livelli di inquinamento o essere utilizzate come strumento di depurazione delle
acque inquinate.
47
ORTO BOTANICO DI CASCINA ROSA A MILANO
L’inquinamento è un’alterazione dell’ambiente, di origine antropica o
naturale, che può produrre danni permanenti agli organismi viventi
di una determinata area. In senso lato possiamo parlare di inquinamento in molte accezioni, ma sempre per indicare un fenomeno di
alterazione dell’ambiente.
Alcuni dei principali inquinanti idrici sono le acque di scarico contenenti materiali organici, i fertilizzanti e tutte le sostanze che favoriscono una crescita eccessiva di biomassa vegetale, i pesticidi, i fitofarmaci ed i metalli pesanti. Gli inquinanti delle acque provengono
soprattutto dagli scarichi urbani e industriali, dai processi di percolazione, dai terreni agricoli e dalle aziende zootecniche. Gli ecosistemi lacustri sono particolarmente sensibili a tutte queste tipologie di
inquinamento.
L’eccessivo apporto di fertilizzanti dilavati dai terreni agricoli, unito all’aumento delle temperature, può incrementare un processo di
eutrofizzazione, cioè di crescita eccessiva della flora acquatica. La
grande quantità di alghe e di piante acquatiche che si viene a formare
deturpa il paesaggio, ma soprattutto, quando si decompone, consuma l’ossigeno disciolto nell’acqua.
Le sostanze contaminanti contenute nell’acqua inquinata possono
inoltre provocare numerosi danni anche alla salute dell’uomo, oltre
che all’equilibrio degli ecosistemi. Per esempio certi metalli pesanti
come il cromo o il cadmio, contenuti spesso nei fanghi usati come
fertilizzanti, possono essere assorbiti dalle colture e giungere all’uomo attraverso le reti alimentari.
Le piante e l’inquinamento dell’acqua
di FABRIZIO GRASSI
Dell’orto Botanico di Cascina Rosa di Milano
Le piante e l’inquinamento dell’acqua
Piante alloctone
L’espansione e la diffusione delle specie aliene risulta essere una
grave minaccia alla biodiversità italiana e lombardia, ma crea anche problemi economici e gravi danni all’ambiente e all’agricoltura.
Le specie alloctone, meglio conosciute come esotiche o aliene, sono
quelle introdotte in italia accidentalmente o a seguito dell’azione volontaria dell’uomo. Per diversi motivi, principalmente causati dalla
globalizzazione dei commerci e dai cambiamenti climatici, questi fenomeni di invasione stanno aumentando con grande velocità. Nella
maggior parte dei casi le piante alloctone sono inoffensive; qualche
volta invece come succede per alcune specie acquatiche e ripariali
(Azolla filiculoides; Elodea canadensis; Vitis riparia) causano notevoli
danni alla biodiversità.
ORTO BOTANICO DI CASCINA ROSA A MILANO
48
Elodea canadensis Michx., anche conosciuta come Peste d’acqua comune, è stata segnalata come specie invasiva nella pianura padana negli anni 50 del secolo scorso. Gli
utilizzatori di canali d’irrigazione sono stati costretti ad una continua e costosa lotta per
contrastarne lo sviluppo. Originaria dell’America settentrionale (Canada e USA) è sfuggita al controllo e si è largamente diffusa in Italia.
Questo avviene a causa della capacità delle piante esotiche di prevalere su quelle autoctone. I problemi sono poi anche economici: le
piante invasive infatti aumentano i costi di controllo dei fiumi e dei canali e diminuiscono la disponibilità idrica all’agricoltura. In certi casi
riducono anche la produttività dei raccolti, come per esempio il riso
crodo (Oryza sativa var. spontanea).
Le piante e l’inquinamento dell’acqua
Le specie invasive possono influenzare con un effetto a cascata interi
ecosistemi. Infatti l’impatto delle specie aliene in un nuovo ambiente
può portare gradualmente all’alterazione e alla degradazione dell’habitat. L’impatto delle specie aliene su quelle autoctone può riguardare
la competizione per spazi e risorse, l’ibridazione con specie native e
la trasmissione di malattie. L’Italia, che ha una grande variabilità di
ambienti naturali ed un alto livello di antropizzazione, risulta particolarmente soggetta a questo fenomeno.
L’alta densita’ di popolazione, l’alto numero di centri urbani di grandi
e medie dimensioni, il notevole sviluppo della rete stradale, degli aeroporti e dell’agricoltura sono un ottimo presupposto per l’espansione sul territorio delle specie invasive.
Inoltre si può notare che il cambiamento climatico a cui stiamo assistendo sul nostro pianeta facilita la diffusione di particolari piante in aree geografiche in cui prima non esistevano. Il riscaldamento
dell’atmosfera e quindi l’innalzamento delle temperature facilita la
diffusione di nuove piante ed in certi casi rende le fioriture più precoci
e prolungate. La naturale conseguenza di ciò è per esempio il fatto
che in questi ultimi trent’anni si è ampliata notevolmente la distribuzione geografica di piante allergeniche.
49
Il biomonitoraggio della qualità dell’acqua si basa sulla valutazione
degli effetti prodotti dall’inquinamento sugli organismi e sulle loro
comunità. Negli ultimi anni è sorta l’esigenza di affiancare ai comuni
metodi di indagine strumentale altre metodiche di tipo biologico, che
esaminano le variazioni delle popolazioni animali e vegetali in grado
di individuare un livello effettivo di inquinamento.
Generalmente si tratta di organismi viventi che con la loro presenza/
assenza e quantità o qualità consentono la valutazione del livello di
inquinamento.
Sebbene i macroinvertebrati bentonici (organismi che vivono a diretto contatto con i sedimenti di fondo) siano gli indicatori biologici
più frequentemente impiegati nel monitoraggio ambientale dei corsi d’acqua, non sono gli unici: ad esempio si possono impiegare le
macrofite acquatiche, gruppo che comprende macroalghe, muschi e
angiosperme (piante a fiore).
La sensibilità di molte piante verso condizioni di inquinamento dell’ambiente acquatico è oggi nota, in particolare nei confronti
dell’inquinamento di natura organica, anche se ancora molto rimane da approfondire per avvalorarne definitivamente l’efficacia come
bioindicatori.
ORTO BOTANICO DI CASCINA ROSA A MILANO
Biomonitoraggio e fitodepurazione
Le piante e l’inquinamento dell’acqua
ORTO BOTANICO DI CASCINA ROSA A MILANO
50
Verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso, è stato messo a punto
un indice interamente basato sulla presenza o assenza di specie vegetali appartenenti alla flora acquatica capace di evidenziare forme di
inquinamento di origine organica: il macrophyte index scheme (mis).
Il metodo si basa sulla quantizzazione del decremento delle specie
più sensibili all’inquinamento e dell’incremento dell’abbondanza delle piante più tolleranti all’inquinamento.
Semplificando, questo indice prevede che all’aumentare dell’inquinamento organico l’abbondanza delle specie più sensibili si riduca
a vantaggio di quelle più tolleranti passando attraverso un fase di
transizione in cui, complessivamente, è osservabile una riduzione nel
numero di specie presenti.
Oltre all’identificazione delle aree inquinate le piante risultano particolarmente utili anche nella depurazione dell’acqua. La fitodepurazione è un processo che utilizza le piante per risanare l’ambiente
dalla presenza di sostanze tossiche inquinanti.
Questa parola è generalmente usata per descrivere un qualsiasi sistema in
cui le piante sono introdotte nell’ambiente per rimuovere i contaminanti in
esso presenti. Tutte le piante necessitano di nutrienti per crescere e svilupparsi bene, ma un eccesso di nutrienti da fertilizzanti, puo’ influire sia sulla
loro stessa sopravvivenza che più in generale sull’ambiente. Questo eccesso di nutrienti è noto come eutrofizzazione e costituisce un serio problema
ambientale in tutta Europa. La fitodepurazione è principalmente usata per
depurare l’ambiente e risolvere problemi legati all’eutrofizzazione causata
da un eccesso di nutrienti quali l’ammoniaca, nitrati e nitriti, di cui le piante si nutrono. L’eutrofizzazione dell’ambiente si ha quando viene apportata
una quantità spropositata di sostanze nutritive provenienti da terreni agricoli e da acque di scarico.
La fitodepurazione è un metodo sicuro e non costoso per risanare
l’ambiente. Infatti la coltivazione delle piante richiede una minima
manodopera e genera un irrilevante impatto all’ambiente mentre il
risanamento di acqua e suolo con mezzi chimici è più costoso e dannoso per l’ambiente.
Le piante più usate negli impianti di fitodepurazione sono Phragmites australis, Arundo donax e Typha latifolia. Queste piante a volte
non risultano ideali a causa del loro aspetto estetico e quindi vengono
utilizzate, anche se con minore efficacia, il papiro, la calla e l’iris. Nonostante questo grande vantaggio economico, l’uso di questa tecnica
non è adatto in tutti i luoghi e, se la contaminazione è troppo profonda a livello del sedimento o se la concentrazione del contaminante è
troppo elevata, allora le piante da sole non sono in grado di risanare
efficientemente una determinata zona inquinata.
Le piante e l’inquinamento dell’acqua
ORTO BOTANICO DI CASCINA ROSA A MILANO
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La fitodepurazione è un processo di tipo biologico che sfrutta la capacità di depurazione
di particolari piante, come la canna palustre (Arundo donax) e la cannuccia d’acqua
(Phragmites australis).
Visti gli elevati costi per la depurazione delle acque di scarico, gli impianti di fitodepurazione rappresentano un’alternativa vantaggiosa oltre che per l’ambiente anche dal
punto di vista economico.
Le piante e l’inquinamento dell’acqua
ORTO BOTANICO DI CASCINA ROSA A MILANO
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Le macrofite acquatiche possono essere ritenute degli ottimi indicatori grazie alla
loro spiccata sensibilità nei confronti dell’inquinamento di natura organica e da eccesso di nutrienti (eutrofizzazione), unitamente alla relativa facilità di identificazione
Le piante e l’inquinamento dell’acqua
ORTO BOTANICO DI CASCINA ROSA A MILANO
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e alla scarsa mobilità. In queste immagini si possono vedere due specie particolarmente utilizzate per il calcolo degli indici di biomonitoraggio: Potamogeton pectinatus e Ranunculus fluitans.
Orto Botanico di Pavia
Via S. Epifanio, 14 - 27100 Pavia
Referente: Prof. Francesco Sartori
tel. 0382 984855 - fax 0382 34240
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PIANTE e ALLERGIE
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ORTO BOTANICO DI PAVIA
Le piante da cui dipendiamo perché fonti di cibo, di principi terapeutici
e di molte altre sostanze utili, interagiscono con noi in modo complesso, sia con effetti positivi, sia talvolta con conseguenze meno desiderabili. Frequentemente le piante sono all’origine di manifestazioni allergiche che condizionano in modo pesante la nostra vita, perchè
fastidiose o addirittura invalidanti. Le allergie sono disturbi del nostro
sistema immunitario che causano una risposta esagerata da parte
dell’organismo in seguito al contatto con sostanze particolari, a esso
estranee, chiamate antigeni o allergeni.
Tali sostanze possono essere prodotte dalle piante; per quanto concerne gli allergeni vegetali essi tendono a raggiungere il nostro organismo con due modalità principali: il contatto diretto con la pelle, oppure l’ingresso nel sistema respiratorio e la conseguente interazione
con il tessuto che lo riveste al suo interno (mucosa).
Piante e allergie
di Francesco Bracco dell’Orto Botanico di Pavia
Schede a cura di: Cristina Delucchi e Emanuela Martino
Piante e allergie
La risposta allergica generalmente comporta l’innesco di un processo infiammatorio con aumento di permeabilità dei vasi sanguigni, la
genesi di gonfiore per accumulo di liquido (edema) al di fuori di cellule e vasi sanguigni, e il forte stimolo alla secrezione di muco da parte
delle mucose.
Nel caso delle allergie da contatto cutaneo la conseguenza più frequente è una dermatite che si manifesta solitamente con arrossamento e rigonfiamento della pelle, desquamazione, formazione di
vescicole, bolle, abrasioni e croste. Il prurito è presente ma è generalmente meno intenso di quello dovuto al contatto con sostanze tossiche irritanti.
Le allergie cutanee sono provocate dal contatto diretto della pelle con
parti diverse, vegetative o riproduttive della pianta; queste possono
suscitare reazioni allergiche se integre, ma risultano più spesso allergeniche quando sono lesionate.
ORTO BOTANICO DI PAVIA
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Quando invece viene interessato il sistema respiratorio l’allergia può
essere causa di rinite, cioè dell’infiammazione delle fosse nasali con
forte secrezione di muco, prurito, starnuti e congiuntivite. La reazione
allergica può anche provocare asma e in questo caso l’infiammazione
della mucosa dell’albero respiratorio implica il suo rigonfiamento con
formazione di edema e modifica della natura delle secrezioni mucose
che tendono a divenire più dense, quindi di più difficile espulsione.
L’asma inoltre implica la contrazione dei condotti respiratori, che ne
diminuisce ulteriormente il lume libero già ridotto a causa del rigonfiamento della mucosa che li riveste al loro interno. Come conseguenza la respirazione diviene più difficile e faticosa.
Il contatto con la mucosa delle vie aeree è legato soprattutto ai granuli di polline che rimangono in sospensione nell’atmosfera; sono
quindi soprattutto le piante impollinate dal vento (anemofile) a essere
responsabili delle allergie da pollini o pollinosi (febbre da fieno); ci
sono però anche svariate specie impollinate dagli insetti (entomofile)
che dimostrano di avere pollini allergenici.
Il ruolo chiave dei granuli pollinici lega la manifestazione dei fenomeni
allergici ai periodi di fioritura delle piante che sono condizionati dalla
localizzazione geografica, dalle caratteristiche ambientali del territorio e soprattutto dell’andamento meteorologico. In Italia settentrionale e in particolare in Lombardia si realizza una scansione temporale
(calendario pollinico) per cui si presentano successivamente nell’atmosfera pollini di specie diverse durante il ciclo stagionale ai quali si
collegano di volta in volta gli specifici fenomeni allergici.
La fine dell’inverno e la primavera precoce (febbraio-aprile) sono
segnati dalla dispersione dei pollini di nocciolo, olmo salici e betulla; la piena stagione primaverile (aprile-inizi di giugno) vede invece
la comparsa massiccia di pollini di faggio, quercia, platano, pioppo,
carpino, pini e cipresso. Nello stesso periodo inizia la fioritura delle
graminacee che si prolunga poi nella stagione estiva fino al mese di
agosto. All’inizio dell’estate (giugno e luglio) sono soprattutto i pollini di castagno, olivo, ligustro, luppolo, piantaggine e romici a essere
ben rappresentati. In questo periodo anche il polline delle parietarie è
molto abbondante, ma queste specie possono avere una produzione
pollinica davvero molto prolungata attraverso tutto il ciclo stagionale.
Alcune piante, infine, tendono ad avere produzioni polliniche più tardive distribuite tra la tarda estate e l’inizio dell’autunno: si tratta ad
esempio di assenzio e chenopodio.
Piante e allergie
I monitoraggi pollinici elaborati da istituzioni sanitarie e enti di analisi
ambientale per territori specifici rendono note con frequenza settimanale o giornaliera le principali specie polliniche presenti in atmosfera permettendo alle persone sensibili di mettere in atto le terapie
opportune.
ORTO BOTANICO DI PAVIA
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Nome scientifico:
Ambrosia artemisiifolia L.
Nome comune: Ambrosia dalle foglie di artemisia
Habitus e caratteristiche morfologiche: pianta erbacea, annua, appar-
Tipo corologico: è originaria dell’America settentrionale.
Proprietà allergeniche: produce un numero elevatissimo di granuli pollinici che per la grande quantità, le esigue dimensioni, il lungo
periodo di antesi (giugno-settembre) e l’elevato potere allergenico
producono seri problemi di salute pubblica. I sintomi principali sono:
oculo-riniti e asma, particolarmente gravi nei soggetti deboli (bambini e anziani) e a rischio (asmatici).
Note: è una pianta esotica, la cui presenza nel nostro paese è stata
segnalata per la prima volta all’inizio del xx secolo e da allora appare in continua attiva espansione. Il suo rapidissimo sviluppo e la sua
formidabile vitalità hanno giustificato la formulazione di norme, da
parte delle pubbliche amministrazioni, miranti al suo controllo e alla
sua eradicazione.
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ORTO BOTANICO DI PAVIA
Distribuzione in lombardia: è ampiamente diffusa in tutta la regione,
da 0 a 700 metri di quota. E’ una pianta ruderale e molto resistente, che colonizza prevalentemente aree dove la vegetazione è stata
rimossa, ad esempio, bordi stradali, massicciate ferroviarie, cantieri
edili e aree abbandonate. Si trova di frequente anche lungo i margini
dei campi e, soprattutto, lungo i fiumi e i corsi d’acqua.
Piante e allergie
tenente alla famiglia delle Asteraceae. Possiede una radice a fittone. Il
fusto è eretto e ramificato, può superare il metro di altezza. Le foglie
sono fortemente frastagliate, simili a quelle dell’artemisia con la quale
può essere superficialmente confusa. I fiori unisessuali formano delle
infiorescenze. I capolini femminili sono localizzati all’ascella delle foglie più alte, mentre i maschili sono riuniti in racemi terminali di colore
giallo-verde. I fiori compaiono da giugno a settembre. La diffusione del
polline avviene ad opera del vento. I frutti sono capsule avvolte nell’involucro fiorale il cui apice è provvisto di spinule.
Nome scientifico:
Carpinus betulus L.
Distribuzione in Lombardia: è diffuso in tutta la regione dalla pianura,
dove è una delle specie forestali più tipiche delle foreste esterne agli
ambiti fluviali, fino ai 1200 metri di altitudine. E’ piuttosto resistente
alle variazioni delle condizioni climatiche. Predilige terreni leggeri,
umidi e ben drenati.
Tipo corologico: è una specie con distribuzione centrata sull’Europa centrale.
pur avendo un’impollinazione anemofila, la
quantità di polline prodotta è piuttosto scarsa; si riscontrano perciò allergie solo negli anni di abbondante fioritura. Il suo potere allergenico è
amplificato dalla contemporanea fioritura di betulle, noccioli e ontani.
Proprietà allergeniche:
Note: è una pianta spontanea che è stata utilizzata tradizionalmente
per costituire siepi e cortine all’interno di parchi e giardini in quanto
sopporta molto bene la potatura e può essere costretta in forme geometriche particolari.
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ORTO BOTANICO DI PAVIA
Habitus e caratteristiche morfologiche: pianta a portamento arboreo,
appartenente alla famiglia delle Betulaceae. Il fusto è eretto, un po’
scanalato e può raggiungere i 25 metri di altezza. La corteccia tende
ad essere chiara e liscia. Le foglie sono ellittiche con apice acuto, base
simmetrica e breve picciolo. La pagina superiore è verde intenso, quella inferiore più chiara; il margine ha una doppia dentatura. I fiori
compaiono nei mesi di aprile e maggio, sono
unisessuati e presenti sulla stessa pianta. Le
infiorescenze maschili sono amenti penduli e
giallastri; quelle femminili sono inizialmente
erette e di colore crema, poi pendule e giallastre. I frutti sono acheni duri e ovoidali, posti
su brattee trilobate, e riuniti in infruttescenze
pendule.
Piante e allergie
Nome comune: Carpino bianco
Nome scientifico:
Corylus avellana L.
Nome comune: Nocciolo
Habitus e caratteristiche morfologiche: pianta a portamento arbusti-
vo della famiglia Betulaceae. che raggiunge i 6 metri o più di altezza.
Le foglie sono ovali o tondeggianti con base cuoriforme; la pagina superiore è verde scuro, quella inferiore più chiara e tomentosa, il margine è doppiamente dentato. I fiori maschili
sono riuniti in lunghi amenti penduli, di colore
giallastro che compaiono alla fine dell’inverno prima delle foglie, mentre i fiori femminili
sono poco appariscenti, globosi e con il breve
ciuffetto terminale degli stimmi di color rosso
vivo. I frutti, detti nocciole, sono noci avvolte da
due brattee verdi dal margine frastagliato.
è ampiamente
diffuso in tutta la regione, dalla pianura alla
montagna.
Caucaso.
è presente dall’Europa centro-meridionale fino al
Proprietà allergeniche: gli amenti sono molto ricchi di polline con alto
grado allergenico. Sono tra i primissimi granuli pollinici dell’anno che
si diffondono con il vento, scatenando il picco di reazioni allergiche dalla
fine dell’inverno alla primavera precoce (gennaio-marzo). Il loro potere
allergenico è amplificato dalla reattività incrociata con i pollini di betulla, ontano e carpino.
Note: Il nocciolo, presente naturalmente nei boschi di latifoglie decidue, presenta numerose varietà coltivate sia a scopo frutticolo che ornamentale.
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ORTO BOTANICO DI PAVIA
Tipo corologico:
Piante e allergie
Distribuzione in Lombardia:
Parietaria judaica L.,
Parietaria officinalis L.
Nome scientifico: Nome comune: Parietaria, vetriola
Distribuzione in Lombardia: ampiamente diffuse per le loro caratteristiche ruderali anche nei centri urbani. Crescono soprattutto su terreni disturbati e macerie con sedimenti ricchi di nutrienti. P. officinalis
predilige stazioni ombreggiate e boschive, mentre P. judaica prevale su
rocce e muri soleggiati.
P. officinalis è una specie a distribuzione europea; P.
judaica è presente nell’Europa centro-meridionale e intorno al bacino
del Mediterraneo.
Piante e allergie
Habitus e caratteristiche morfologiche: piante erbacee perenni della
famiglia delle Urticaceae. Il fusto e’ sottile verde-rossastro, ascendente,
ramificato e alto fino a circa 40 cm in P. judaica ed eretto, poco ramificato
e con sviluppo fino a 1 metro in P. officinalis. Le foglie di P. judaica sono
piccole e leggermente appiccicose; quelle di P. officinalis sono di colore
verde brillante e più lunghe (fino a 10 centimetri). I fiori sono poco appariscenti, piccoli, verdastri, raggruppati in infiorescenze globose all’ascella
delle foglie. La fioritura raggiunge la sua massima intensità nei mesi di
maggio e giugno e perdura fino a ottobre. In siti di accrescimento favorevoli la fioritura di P. judaica può avvenire durante tutto il ciclo stagionale.
Il frutto è un achenio ovale.
Tipo corologico:
Note: essendo piante ruderali sono molto resistenti e si diffondono facilmente anche nei centri urbani creando notevoli problemi nei soggetti
predisposti.
ORTO BOTANICO DI PAVIA
Proprietà allergeniche: il loro potere allergenico è particolarmente
elevato.. I sintomi allergici più frequenti sono: oculo-riniti che si manifestano con starnuti, ostruzione nasale, prurito nasale; sintomi oculari
come prurito, lacrimazione e fotofobia; attacchi di asma.
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Ginkgo biloba L.
Nome scientifico: Distribuzione in Lombardia: è
molto diffusa a scopo ornamentale in giardini privati, pubblici e nelle
piantumazioni stradali e viali alberati.
Tipo corologico: è originaria dell’Asia orientale (Cina e Giappone) dove
non si conoscono popolazioni spontanee.
l’involucro esterno del seme, nella sua fase
di avanzata maturazione a terra, diviene brunastro e tende a decomporsi. Il contatto con il suo succo provoca dermatiti allergiche anche
assai violente e generalizzate. Il contatto con il tegumento carnoso
ancora verde e compatto, non provoca invece reazioni allergiche.
L’ingestione dei semi crudi, deprivati dei tegumenti, può causare gravi intossicazioni, con comparsa di convulsioni e perdita di coscienza,
fino a risultare addirittura fatale.
Proprietà allergeniche:
Note: gi individui maschili sono frequentemente utilizzati a scopo ornamentale per il bell’aspetto e per la resistenza agli stress ambientali
tipici delle aree urbane. Questa specie esotica non presenta inoltre
carattere invasivo.
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ORTO BOTANICO DI PAVIA
Habitus e caratteristiche morfologiche: è una pianta arborea, della
famiglia delle Ginkgoaceae, che può raggiungere i 40 m di altezza. Il
tronco è indiviso, eretto e può raggiungere, in condizioni ottimali, diametri elevati (circonferenze fino a 8 metri). Ha una chioma piramidale
e densa. Le foglie hanno la tipica forma a ventaglio, colorazione verde
intensa che diventa giallo-oro in autunno. Si distinguono due tipi di
foglie: ad inserzione alterna e margine superiore spesso bilobato, e
foglie riunite in ciuffetti con margine intero e ondulato.
E’ una pianta dioica, con fiori maschili e femminili su individui diversi.
I fiori maschili sono raggruppati in amenti, mentre gli ovuli femminili
sono portati a coppie da un lungo peduncolo.
L’impollinazione è anemofila
e avviene in primavera. La
fecondazione è ritardata di
4-6 mesi, un ovulo abortisce
e l’altro cade a terra verde e
non ancora maturo. Il seme,
dotato di un involucro interno indurito e di uno esterno
carnoso, termina la maturazione al suolo e germina
nella primavera successiva.
Piante e allergie
Nome comune: Ginkgo
Poa sp.pl.,
Anthoxanthum odoratum L., Dactylis glomerata L.
Nome scientifico: 69
ORTO BOTANICO DI PAVIA
Habitus e caratteristiche morfologiche: sono piante erbacee, della famiglia Poaceae (o Graminaceae secondo una nomenclatura
più vecchia, ma ancora molto utilizzata), che possono raggiungere alcuni decimetri di altezza nelle specie perenni; in quelle
annue come Poa annua L. gli individui sono invece alti una diecina
di centimetri. Il fusto, un culmo cavo e pieno solo ai nodi generalmente evidenti, è indiviso salvo nell’infiorescenza terminale; si
sviluppa spesso insieme a
molti altri a partire da una
base comune, col risultato
che si presenta come un
cespo più o meno compatto. Le foglie sono lunghe,
lineari, a margini paralleli
e formano alla base una
lunga guaina tubolare che
decorre intorno al fusto
rinforzandolo. I fiori sono
molti piccoli e contenuti
in complessi (spighette) a loro volta portate in infiorescenze terminali ramificate a pannocchia nelle specie citate. I rami della
pannocchia possono essere allungati (Poa sp.pl., Dactylis glomerata) o tanto brevi così da conferirle l’aspetto di una spiga (Anthoxanthum odoratum). L’involucro fiorale è formato da pezzi verdastri (due glume alla base delle spighette, due glumette relative
a ogni singolo fiore) che li rendono poco vistosi. Gli stami sono
3 e all’epoca della fioritura sporgono in modo piuttosto visibile
all’esterno delle glumette.
Piante e allergie
Nome comune: Fienarole, paleo odoroso,erba mazzolina
Distribuzione in Lombardia: si tratta di specie diffusissime in tutto il
territorio regionale legate soprattutto ai prati falciatI o alle praterie
pascolate e in molti casi anche alle vegetazioni marginali più o meno
disturbate o a quelle ruderali.
le specie citate sono tutte distribuite su territori
molto ampi: Poa annua è presente su tutte le terre emerse, Dactylis
glomerata occupa la fascia temperata di Europa, Asia e Africa settentrionale, Poa pratensis è distribuita in tutto l’emisfero boreale,
Poa trivialis e Anthoxanthum odoratum sono entrambe distribuite
nell’Eurasia temperata.
Tipo corologico:
le Poaceae sono piante anemofile a fiori ridotti ma presenti in gran numero e che producono quantità molto
elevate di polline. Sono caratteristicamente responsabili della fase
delle reazioni allergiche della tarda primavera e dell’inizio dell’estate
note popolarmente con il nome di “febbre da fieno”.
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ORTO BOTANICO DI PAVIA
Note: le specie citate sono solo alcune tra le molte graminacee presenti sul nostro territorio e vengono qui indicate perché davvero molto
comuni. Le piante di questa famiglia, tutte generalmente responsabili di pollinosi, sono presenti in modo ubiquitario in tutti gli ambienti
sia naturali che trasformati dall’uomo in modo più o meno pesante
e ovviamente nelle coltivazioni agrarie, ad esempio nelle colture di
cereali.
Piante e allergie
Proprietà allergeniche:
Sopra: Artemista vulgaris
Artemisia absinthium L.
Nome scientifico: Nome comune: Assenzio maggiore
Habitus e caratteristiche morfologiche: pianta erbacea perenne appar-
tenente alla famiglia delle Asteraceae. Fusto eretto e ramificato che può
superare il metro di altezza. Possiede un rizoma dal quale si sviluppano
getti sterili, riccamente fogliati e steli fioriferi eretti angolosi e ramificati. Le foglie hanno lembo molto frastagliato, ridotto a lacinie pubescenti,
verdi-biancastre sulla pagina superiore e bianco-grigiastre su quella inferiore. I fiori ermafroditi, di colore giallo-bruno, sono raccolti in capolini
e formano delle infiorescenze a pannocchia allungata, con fioritura tardo
estiva. Il frutto è un achenio liscio, molto piccolo, senza pappo.
caratterizzata da un’impollinazione anemofila, produce granuli pollinici medio-piccoli considerati responsabili delle manifestazioni allergiche tardo-estive. Anche il contatto con
questa pianta, in particolare le sommità fiorite, può produrre fenomeni di sensibilizzazione cui seguono eruzioni cutanee.
Proprietà allergeniche:
Note: pianta medicinale già nota agli Egizi ed ai Greci, le sommità
fiorite con le foglie, di un odore forte, sapore aromatico ed amaro,
venivano usate come amaro stomatico, emmenagogo, antielmintico.
L’uso prolungato di prodotti contenenti assenzio può portare a gravi
forme di avvelenamento e ad alterazione del sistema nervoso. Altre
specie dello stesso genere, ad es. Artemisia vulgaris L. molto frequente in Pianura padana, hanno proprietà allergeniche simili.
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ORTO BOTANICO DI PAVIA
probabilmente originaria dell’Asia minore, è divenuta
poi subcosmopolita.
Tipo corologico:
Piante e allergie
Distribuzione in Lombardia: è diffusa in tutta Italia specialmente nella zona
montana, da 0 a 1100 metri di quota con esclusione della Pianura padana,
dove scende sporadicamente solo lungo il corso dei grandi fiumi. E’ una specie ruderale distribuita negli incolti aridi, lungo le siepi e le strade.
Juniperus communis L.
Nome scientifico: Tipo corologico: specie originaria dei continenti dell’emisfero boreale,
oggi è estremamente diffusa ovunque: dall’Europa all’Asia, fino anche
in America settentrionale.
Proprietà allergeniche: i
piccoli granuli pollinici, presenti in grandi
quantità, possono essere causa di allergie. L’impollinazione è anemofila e la fioritura avviene tra febbraio e giugno. l’olio estratto dai
galbuli è stato segnalato quale agente allergogeno in riferimento a
cute e apparato respiratorio, per i lavoratori esposti a sue elevate
quantità.
Note: le numerose varietà, con foglie di colore verde-azzurro dal gra-
devole odore di essenza resinosa, vengono coltivate per decorare parchi, ampi giardini e boschetti di conifere. Juniperus communis viene
utilizzato per il rimboschimento delle zone montuose e aride. Il legno
di ginepro, di colore rosso e dal tipico odore resinoso, viene impiegato per lavori di intaglio e per suffumigi contro i dolori reumatici. Le
bacche di ginepro si usano anzitutto nelle arti culinarie nonché per la
fabbricazione di superalcolici quali gin, grappa di ginepro.
75
ORTO BOTANICO DI PAVIA
Habitus e caratteristiche morfologiche: pianta legnosa appartenente
alla famiglia delle Cupressaceae. In base agli ambienti o alla varietà
considerata il ginepro può avere portamento cespuglioso o strisciante, più raramente arboreo raggiungendo, in quest’ultimo caso, statura
ridotta. La chioma è espansa e irregolare, tozza e ramificata; le foglie,
persistenti, sono aghiformi, appiattite, molto appuntite e pungenti, riunite in tipici verticilli di tre. Il tronco, a volte dritto ma più spesso
sdoppiato, ha una corteccia rugosa, grigiastra con sfumature brune.
Le strutture riproduttive femminili e quelle maschili sono portate da
individui differenti: le piante maschili presentano degli amenti globosi
e ovoidali (4-5 millimetri) che a fine inverno, assumono un colore dorato e liberano il polline; le piante femminili, invece, presentano dei
piccoli coni (galbuli) costituiti da brattee carnose concresciute dopo
la fecondazione; globosi (6-8 millimetri) dapprima verdi poi blu-neri
ricoperti di cera a maturità.
Distribuzione in Lombardia: è un arbusto comune in luoghi aridi, incolti o boschivi fino ad altezze di 2.500 metri s.l.m., con alcune sottospecie adattate alle alte quote Juniperus communis ssp. alpina (Suter)
Celak.
Piante e allergie
Nome comune: Ginepro comune
Toxicodendron radicans (L.) Kuntze
(syn. Toxicodendron pubescens Miller, Rhus radicans L.)
Nome scientifico: Nome comune: Edera velenosa, sommacco velenoso
Distribuzione in Lombardia: assente; coltivata a scopo didattico in qualche Orto botanico. Non esistono molti dati distributivi, ma è segnalata
come spontaneizzata per l’Italia in Veneto, mentre in Trentino non è
stata ritrovata in tempi recenti.
Tipo corologico: è estremamente comune in alcune aree del Nord
America. Negli Stati Uniti cresce in tutti gli stati eccetto l’Alaska, le
Hawaii e la California. Cresce anche nell’America Centrale.
Piante e allergie
Habitus e caratteristiche morfologiche: pianta legnosa, arbustiva, strisciante
o rampicante appartenente alla famiglia delle Anacardiaceae. Le foglie, disposte in modo alternato, sono composte con tre segmenti lunghi da 20 a 50
mm, appuntite all’estremità, e possono essere dentellate, lisce o lobate, ma
mai seghettate. Possono inoltre essere brillanti od opache, ed il colore varia
con la stagione. I rami si aggrappano al loro sostegno oppure crescono quasi
diritti verso l’alto e possono raggiungere gli 8-10 metri di altezza. In alcuni
casi, l’edera velenosa può avvolgere completamente la struttura di sostegno,
e i getti estendersi verso l’esterno come rami, cosicché nel complesso simula
un “albero” di edera velenosa. Si riproduce sia mediante rizomi striscianti
che per seme.
77
gono canali secretori in cui si raccoglie l’ urusciolo (urushiol) che, in caso
di lesione, a contatto con l’aria tende coagulare e a divenire nerastro;
l’imbrunimento non lo priva comunque della sua attività allergizzante.
L’urusciolo tende anche ad essere presente sulla superficie fogliare integra e le foglie giovani paiono più ricche di questa sostanza di quelle
invecchiate. La sua azione allergizzante avviene suscitando fenomeni di
autoimmunità: l’urusciolo si lega ad alcune proteine delle cellule rendendole estranee all’organismo che quindi scatena una intensa risposta
immunitaria contro di esse. Il risultato è una violenta reazione cutanea
che implica prurito, arrossamento, gonfiore e la formazione di bolle,
di dimensioni anche centimetriche, piene di liquido. Le manifestazioni
cutanee possono risolversi in un paio di settimane, sempre che non intervengano sovrainfezioni, lasciando però spesso cicatrici visibili. Oltre al
contatto diretto con la pianta anche il toccare indumenti, attrezzi o il pelo
di animali in vario modo contaminati, risulta efficace e pericoloso.
Note: la presenza dell’olio che può causare una grave reazione allergica per la pelle motiva il nome scientifico del genere, che significa
letteralmente “albero velenoso”. La specie in questione è stata indicata per il nostro paese come un pericolo sempre più frequente per
chi pratica talune forme di arrampicata su roccia.
ORTO BOTANICO DI PAVIA
Proprietà allergeniche: i fusti, la lamina e il picciolo delle foglie conten-
Nome scientifico:
Taraxacum
officinale Weber
Nome comune: Dente di leone, pisciacani, piscialetto, soffione
pianta erbacea perenne
appartenente alla famiglia delle Asteraceae che presenta una radice fittonante lunga e carnosa. Le foglie sono raccolte in una rosetta basale, hanno colore verde chiaro o scuro , sono generalmente
grossolanamente dentate o incise e raramente del tutto intere.
I fiori sono portati in grossi capolini (diametro di 2,5-4 centimetri)
e hanno corolla ligulata di colore giallo carico. Il capolino è circondato da squame in più serie di cui le più esterne appaiono riflesse
all’indietro. I frutti sono acheni grigiastri o brunastri, con piccoli
aculei nella metà superiore e un lungo becco che porta un ombrello di peli bianchi terminali (pappo). Il capolino fruttifero corrisponde
al “soffione” di cui con un soffio disperdiamo gli acheni che rimangono sospesi in aria grazie al pappo.
Tipo corologico: presente in tutto l’emisfero boreale risulta comunissima in tutto il territorio italiano.
Proprietà allergeniche: nonostante l’impollinazione sia entomofila, i pollini possono causare allergie a individui sensibili, qualora questi abbiano contatto con il fiore. La fioritura è primaverile
e si protrae fino all’autunno. Possono presentarsi anche allergie
da contatto che presentano reazioni crociate soprattutto ma non
esclusivamente con altre asteracee.
Note: le foglie giovani vengono tradizionalmente consumate sia
crude che cotte. E’ una pianta di rilevante interesse apistico, che
fornisce alle api sia polline che nettare, e che viene ampiamente
utilizzata nella medicina popolare come diuretica e tonica.
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ORTO BOTANICO DI PAVIA
si trova nelle schiarite di boschi caducifogli in tutti i prati, incolti, fra le vigne, lungo i sentieri e i molti
ambiti antropizzati su suolo fresco e ricco di nutrienti.
Distribuzione in Lombardia:
Piante e allergie
Habitus e caratteristiche morfologiche:
Nome scientifico:
Ricinus communis L.
Nome comune: Ricino
pianta di diverso sviluppo
(erbacea annuale, arbustiva o di piccolo albero) appartenente alla
famiglia delle Euphorbiaceae. Presenta fusto dritto e ramificato.
Foglie palmato-partite a 5-12 lobi; i lobi sono lanceolati e a margine
seghettato. I fiori unisessuali sono portati sulla stessa pianta: fiori
maschili con perigonio a 3-5 tepali e stami numerosi a filamento
ramificato e numerose antere; fiori femminili con ovario tricarpellare con 3 stili allungati. Il frutto è una capsula più o meno aculeata
alla superficie con deiscenza lungo tre linee (tricocco), contenente
3 semi con tegumento marmorizzato.
Habitus e caratteristiche morfologiche:
Proprietà allergeniche: l’impollinazione può essere sia anemofila
che entomofila; il polline medio-piccolo viene considerano allergenico. Fioritura luglio-agosto.
i semi vengono utilizzati per l’estrazione dell’olio; la spremitura deve avvenire a pressione e a freddo per evitare di estrarre
anche le componenti tossiche; l’olio di ricino è usato per le sue
proprietà purgative dovute all’acido ricinoleico. Inoltre l’olio è usato
anche come lubrificante e solvente nell’industria delle vernici.
Note:
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ORTO BOTANICO DI PAVIA
originario dell’Africa (Etiopia) e poi diffuso per coltivazione in molte parti del mondo.
Tipo corologico:
Piante e allergie
Distribuzione in Lombardia: coltivato per ornamento nel nostro paese,
è spontaneizzato in Italia mediterranea; spesso nelle nostre regioni
settentrionalI si comporta da pianta erbacea anuale.
Orto Botanico
G. E. Ghirardi
Via Religione, 25
25088 Toscolano Maderno (BS)
tel. 02 50314863
[email protected]
LE PIANTE E
I CAMBIAMENTI CLIMATICI
83
ORTO BOTANICO DI G. E. GHIRARDI
Negli ultimi decenni, i cambiamenti che il sistema climatico terrestre sta subendo su scala globale rappresentano una problematica
di crescente rilievo. Col termine “cambiamenti climatici globali” si fa
riferimento ad una serie di eventi principalmente legati all’innalzamento della temperatura superficiale del pianeta, fenomeno a sua
volta dovuto all’eccessiva emissione dei cosiddetti “gas-serra”. Dal
punto di vista fisico, tali composti gassosi hanno la proprietà di bloccare la radiazione solare riflessa dalla superficie terrestre. Poiché
la radiazione maggiormente riflessa è quella infrarossa ad elevata
lunghezza d’onda e ricca di calore, tale fenomeno, noto come “effetto serra”, genera un innalzamento della temperatura negli strati
bassi dell’atmosfera. In realtà, l’effetto serra, che sfrutta la capacità
di alcuni gas atmosferici di comportarsi proprio come i teli o i vetri di
un’immensa serra, è un processo naturale che, nel corso della coevoluzione tra biosfera e geosfera, ha reso possibile la vita sul pianeta.
Infatti, in sua assenza, la temperatura media annuale sul pianeta, attualmente pari a circa 15°C, si abbasserebbe di parecchi gradi al di
Le piante e i cambiamenti climatici
di Marcello Iriti, Sara Vitalini, Gelsomina Fico
Orto Botanico G. E. Ghirardi
Le piante e i cambiamenti climatici
sotto dello zero (circa -18°C), ben oltre il limite compatibile con la vita.
Tuttavia, in epoca industriale, le continue emissioni di natura antropica di
gas-serra hanno aumentato l’effetto serra, causando una serie di squilibri che, nel loro insieme, caratterizzano i cambiamenti climatici globali.
L’anidride carbonica (co2) rappresenta il più importante gas serra, in virtù della sua crescente concentrazione atmosferica, assieme al metano
(ch4), agli ossidi di azoto (nox), ai clorofluorocarburi (cfc) e all’ozono
troposferico (degli strati bassi dell’atmosfera (o3). Qualsiasi processo di
combustione, nel quale vengano impiegati combustibili fossili (greggio
petrolifero, gas naturale e carbone), produce, inevitabilmente, una certa
quantità di co2, pertanto, le principali emissioni di questo gas sono legate
al traffico veicolare, al riscaldamento domestico, alle centrali termoelettriche e ad impianti industriali di vario genere. Accanto a tali tipologie
di inquinamento, esistono altri processi, anch’essi fortemente di origine
antropica, che contribuiscono ad incrementare la quantita di co2 nell’atmosfera, come ad esempio la deforestazione. Tale pratica, seppur non
produca direttamente co2, contribuisce in maniera rilevante a mantenerne un’elevata concentrazione nell’atmosfera, riducendo la quantità di
tale gas assorbito ed organicato dalla vegetazione forestale (fig. 1).
Fig. 1 Cambiamenti climatici globali causati dall’effetto serra.
ORTO BOTANICO DI G. E. GHIRARDI
84
Emissioni antropiche
traffico veicolare,
riscaldamento domestico,
centrali termoelettriche,
impianti industriali.
CO2
Deforestazione
atmosfera
effetto serra
Aumento della
temperatura
Irregolarità delle
precipitazioni
innalzamento del
livello del mare
scioglimento
dei ghiacciai
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ORTO BOTANICO DI G. E. GHIRARDI
Negli ultimi 30 anni, la temperatura media della superficie terrestre ha
subito un innalzamento medio di circa 0.2°C per decade, cosicché 11 dei
12 anni più caldi registrati dal 1850 si sono verificati tra il 1995 ed il 2006,
con la sola eccezione del 1996. Tuttavia, il cambiamento globale della
temperatura non è ugualmente distribuito nelle varie fasce latitudinali,
essendo più esteso tra i 40°n (gradi di latitudine nord) e i 70°n, la fascia
comprendente, pressappoco, il continente europeo.
L’aumento della temperatura globale genera, a sua volta, un’alterazione del ciclo idrogeologico, aumentando sia il tasso di evaporazione
che delle precipitazioni atmosferiche, anche in questo caso a seconda della latitudine. Pertanto, sempre nell’emisfero boreale (settentrionale), è stato osservato un incremento medio delle precipitazioni
annue nelle zone comprese tra 30°n e 70°n, mentre nell’area compresa tra 0°n e 30°n si è verificata una loro generale riduzione. Oltre
ai suddetti cambiamenti globali, sono rilevabili anche variazioni su
scala regionale nella media delle precipitazioni.
Negli ultimi 100 anni, il livello del mare si è sollevato di circa 10-12
centimetri. Se, da un lato, tale innalzamento è considerato la fase
conclusiva di un processo che perdura dall’ultima glaciazione (circa
12000 anni fa), dall’altro è pur vero che il livello del mare è cresciuto in
maniera più evidente negli ultimi 50 anni, probabilmente, a causa degli effetti del riscaldamento globale sui ghiacciai e sulle calotte polari.
I ghiacciai dell’Europa alpina hanno perso circa il 50% del loro volume nell’ultimo secolo, probabilmente a causa delle estati più lunghe
e calde. Ancora una volta, le aree maggiormente interessate dalla
riduzione di estensione dei ghiacciai si trovano alle medie e basse
latitudini dell’emisfero boreale.
Le piante e i cambiamenti climatici
I cambiamenti climatici
Le piante e i cambiamenti climatici
ORTO BOTANICO DI G. E. GHIRARDI
86
In conclusione, dal punto di vista meteorologico, è evidente che i cambiamenti climatici globali non si manifestano con i medesimi effetti
nelle varie aree geografiche del pianeta. Infatti, alcune regioni possono essere interessate da intensi fenomeni di precipitazione atmosferica, mentre in altre possono subentrare o protrarsi lunghi periodi di
condizioni siccitose. Inoltre, in una determinata area, potrebbe variare
anche solo la frequenza delle precipitazioni, anziché il loro tasso medio per anno, con episodi meno ricorrenti, ma più abbondanti. Proprio
in questo scenario si collocano i sempre più frequenti e catastrofici
eventi meteorologici estremi, dai violenti temporali delle zone temperare fino ai cicloni tropicali ed extra tropicali.
In tabella 1 sono riportati alcuni dati quantitativi relativi ai livelli ed
alle emissioni di co2 nell’atmosfera, dall’epoca pre-industriale ai nostri giorni e fino al 2100, oltre alla stima previsionale dell’incremento
futuro della temperatura media annua della superficie terrestre, in
assenza di un’adeguata politica ambientale.
Concentrazione atmosferica di co2 in epoca pre-industriale 280 ppmv
Concentrazione atmosferica di co2 in epoca industriale (attuale) 380 ppmv
Concentrazione atmosferica di co2 nel 2050 (previsione)
450-600 ppmv
Concentrazione atmosferica di co2 nel 2100 (previsione)
700-1000 ppmv
Emissione cumulativa di c da combustibili fossili dal 1800
330 GtC
Emissione di c da combustibili fossili (attuale)
8 GtC y-1
Accumulo di c in seguito a deforestazione (attuale)
1.6 GtC y-1
Emissione di c da combustibili fossili nel 2050 (previsione) 9-20 GtC y-1
Incremento della temperatura media
superficiale nel 2050-2100 (previsione) 1.5-5.5°C
ppmv: parti per milione per volume; GtC y-1: gigatonnellate (10-9 t) di carbonio
per anno.
Tabella 1. Dati quantitativi relativi ai livelli ed alle emissioni di CO2 nell’atmosfera
dall’epoca pre-industriale fino al 2100, e previsione dell’incremento della temperatura
media annua della superficie terrestre
Normalmente, la concentrazione atmosferica di o2 limita
l’assorbimento di co2 da parte della
pianta, per cui un incremento
del rapporto co2/o2, dovuto,
a sua volta, alle emissioni
di co2 nell’atmosfera, tenderebbe a ridurre l’inibizione della fotosintesi indotta
da o2. Nel contempo, in tali
condizioni atmosferiche, verrebbe anche ridotta la fotorespirazione, un processo che
non porta alla fissazione di co2,
né alla sintesi di glucosio.
87
ORTO BOTANICO DI G. E. GHIRARDI
Data l’importanza delle relazioni che intercorrono tra il clima e l’ecosistema, risulta evidente come i cambiamenti climatici possano generare
delle ripercussioni sulle biocenosi (le comunità dei viventi), in termini sia
di flusso di energia che di trasferimento di nutrienti all’interno di una data
rete trofica. È altresì noto che le condizioni ottimali (optimum) di sviluppo,
crescita e riproduzione di qualsiasi organismo vivente siano comprese
entro più o meno ampi, ma precisi, intervalli di temperatura, piovosità,
umidità e altre condizioni strettamente legate al clima. Il riscaldamento globale ha pertanto alterato, in alcuni casi, gli areali di distribuzione
di molte specie, sia vegetali che animali, con l’ingresso di specie tipicamente nord africane nell’area mediterranea o di specie mediterranee
nell’area europea continentale (fig. 2).
Questo è valido anche per le colture agronomiche, come e’ dimostrato ad esempio dalla sempre più diffusa coltivazione del grano duro,
una specie tradizionalmente coltivata nelle regioni del mezzogiorno
d’Italia e nell’area padana. Cambiamenti simili sono stati registarati
anche secondo un gradiente altitudinale, oltre che latitudinale, come
attestato dall’espansione della flora alpina e del limite della vegetazione verso quote più elevate.
Generalmente, l’incremento di co2 nell’atmosfera stimola positivamente
il metabolismo primario della pianta, favorendone lo sviluppo ed alcuni
processi fisiologici. Con un incremento dell’attività fotosintetica ed una
riduzione della traspirazione per unità di superficie fogliare. L’effetto favorevole sulla fotosintesi è per lo più dovuto ad una riduzione della competizione tra co2 e o2 nei confronti della ribulosio-1,5-difosfato
carbossilasi-ossigenasi (rubisco), l’enzima chiave nella
regolazione di due processi antitetici quali la fotosintesi e la
fotorespirazione (fig. 2).
Le piante e i cambiamenti climatici
Effetti sulla vegetazione
Le piante e i cambiamenti climatici
ORTO BOTANICO DI G. E. GHIRARDI
88
L’aumento di co2 porta anche ad un miglioramento nell’efficienza di
utilizzo di acqua e azoto (fig. 2). L’incremento della concentrazione di
co2 nella camera sottostomatica (una cavità del tessuto dove si accumulano i gas atmosferici penetrati all’interno della foglia) stimola,
infatti, la chiusura degli stomi (soluzioni di continuità sull’epidermide
fogliare preposte alla regolazione degli scambi gassosi della pianta),
limitando, nel contempo, la traspirazione (perdita di acqua in forma di
vapor acqueo attraverso le aperture stomatiche).
Tuttavia l’innalzamento della temperatura atmosferica esercita un
effetto negativo sulla produttività di molte piante coltivate, in parte
dovuto ad un più veloce ciclo vegetativo e riproduttivo della coltura.
In tali condizioni, inoltre, la chiusura stomatica indotta da co2 ridurrebbe la dissipazione di calore dalla foglia dovuta al flusso traspirativo, contribuendo ad un bilancio termico ancora più positivo.
Lo stretto legame tra l’andamento climatico delle stagioni e la vegetazione fa si che l’alterazione di alcuni parametri climatici si ripercuota innanzitutto a livello fenologico, ossia modificando le fasi di sviluppo delle piante nei diversi ambienti (fig. 2). Nella pratica agricola,
ad esempio, le date di semina e di raccolta variano strettamente in
dipendenza degli eventi climatici. Inoltre, notevolmente alterate risultano essere anche le interazioni tra i differenti livelli trofici dell’ecosistema, come in particolare le relazioni pianta-insetto e piantamicrorganismo/patogeno. Pertanto, per molte specie, l’impatto più
importante dovuto ai cambiamenti climatici riguarda l’alterazione
della sincronizzazione dei cicli vitali tra i predatori e le loro prede,
come ad esempio tra insetti fitofagi e piante ospiti (fig. 2).
Allo stesso modo, la variazione temporale dello stadio fenologico
delle fioritura o della maturazione del frutto porterebbe alla perdita
della sincronizzazione tra pianta e impollinatori o vettori della disseminazione (processo di dispersione dei semi). (fig. 2) In tal senso,
oltre che sugli stadi fenologici legati alla crescita e alla riproduzione,
il riscaldamento globale può avere delle ripercussioni anche sul tasso
CO2
alterazioni
metaboliche
Fotosintesi
Traspirazione
Fotorespirazione
Efficienza d’utilizzo H2O e N
Sviluppo fenologico
Metabolismo secondario
CO2
89
CO2
IMPLICAZIONI
ECOLOGICHE
Areale di distribuzione
Sincronismo
Relazioni trofiche
Interazione pianta-pianta
Interazione pianta-insetti
Interazione
pianta-microrganismi
Figura 2. Effetti dell’innalzamento della CO2 atmosferica e della temperatura sul metabolismo e l’ecologia vegetale
ORTO BOTANICO DI G. E. GHIRARDI
CO2
Le piante e i cambiamenti climatici
di natalità o di mortalità degli insetti, con un incremento della loro
fecondità, in termini di numero di generazioni, e una maggiore resistenza degli stadi larvali ad inverni sempre più miti. Anche le relazioni
pianta/patogeno risultano profondamente influenzate. (fig. 2)
L’incremento della fitomassa causato dalla co2 porta, inevitabilmente,
ad una alterazione delle condizioni predisponenti le infezioni fungine
e batteriche a livello fogliare. Infatti, l’eccessiva rigogliosità della vegetazione, facilitando il ristagno di umidità al suo interno, favorirebbe
la penetrazioni di patogeni adattati ad un clima caldo-umido. Al contrario, i patogeni il cui processo d’infezione viene ostacolato dall’elevata umidità sulla vegetazione verrebbero ostacolati da tali condizioni
microclimatiche, indipendentemente dalla densità della chioma. La
medesima considerazione è valida per la relazione tra pianta/patogeno dell’apparato radicale, in base alle condizioni di umidità del suolo.
Anche l’alterato rapporto pianta/insetto, come precedentemente detto, potrebbe modificare l’incidenza delle virosi (infezioni virali), malattie trasmesse alle piante sane da insetti vettori, dopo l’acquisizione di
particelle virali da un ospite infetto (fig. 2).
Le piante e i cambiamenti climatici
Piante, cambiamenti climatici e metabolismo secondario
ORTO BOTANICO DI G. E. GHIRARDI
90
Oltre che a carico del metabolismo primario, sono note anche alterazioni indotte dalle mutazioni climatiche sul metabolismo secondario
della pianta, seppur meno studiate (fig. 2). Il metabolismo secondario raggruppa le vie biosintetiche che portano alla sintesi di composti
implicati nelle interazioni tra la pianta ed il proprio ecosistema. Pertanto, i rapporti tra la pianta, il proprio ambiente fisico e gli organismi
viventi che la circondano, siano essi simbionti (batteri radicali), competitori (piante di un’altra specie), parassiti (patogeni, insetti, piante
infestanti) o anche impollinatori (pronubi), vengono regolati da una
serie vastissima di metaboliti secondari, la cui sintesi impone un costo energetico per la pianta.
Per alcuni importanti inquinanti atmosferici, come ad esempio l’ozono (O3), sono stati riportati effetti sulle principali vie biosintetiche secondarie di alcune specie vegetali, con un generalizzato incremento
della produzione di metaboliti indotto da esposizioni all’inquinante di
tipo sia acuto che cronico. Per quanto riguarda il legame tra CO2, temperatura e metabolismo secondario, nonostante la frammentarietà
dei dati, è possibile affermare che la sintesi di metaboliti con un più
elevato contenuto di carbonio, in particolare i composti fenolici (o fenilpropanoidi) e i terpeni (o isoprenoidi), sia maggiormente stimolata
rispetto a quella di altri metaboliti quaternari (contenenti azoto oltre
a carbonio, idrogeno e ossigeno), come ad esempio gli alcaloidi (fig.
3). Questa tendenza rispecchia la riduzione del contenuto di azoto nei
tessuti fogliari esposti ad elevate concentrazioni di CO2 o ad elevate
temperature, in relazione al fatto che i prodotti finali del metabolismo
primario costituiscono i precursori dei metaboliti secondari.
In esperimenti condotti su Digitalis lanata Ehrh., specie appartenente alla famiglia delle Scrophulariaceae, originaria dell’Europa
Centro-Meridionale, sia in condizioni controllate (fitotroni o camere
di crescita) che in pieno campo, l’esposizione ad una concentrazione
atmosferica di CO2 di circa tre volte superiore rispetto alla norma ha
indotto un aumento considerevole sia della biomassa, che del contenuto di digossina (glicoside cardioattivo di origine steroidea, utilizzato
con successo nel trattamento dell’insufficienza cardiaca) per unità
di peso secco, con una conseguente duplicazione della resa di tale
composto per ettaro di pianta coltivata. Inoltre, una moderata carenza
idrica ha ulteriormente stimolato sia la produzione di biomassa che
la sintesi di digossina. Risultati analoghi sono stati riportati su imenocallide (Hymenocallis littoralis Jacq., Salisb.), una pianta tropicale
della famiglia delle Amarillydaceae, originaria dell’America Centrale,
con un incremento sia della biomassa dei bulbi sotterranei che del
loro contenuto di pancratistatina e narciclasina, due alcaloidi dall’elevata attività antitumorale.
In uno studio effettuato su tabacco (Nicotiana tabacum L.) e stramonio (Datura stramonium L.), della famiglia delle Solanaceae, l’innalzamento della CO2 atmosferica e della temperatura ha prodotto risultati contrastanti sugli alcaloidi prodotti dalle due specie. A carico della
CO2 si è riscontrata una riduzione della concentrazione di nicotina in
tabacco, ed un incremento del contenuto di scopolamina nello stra-
Le piante e i cambiamenti climatici
91
ORTO BOTANICO DI G. E. GHIRARDI
Un ampio e diversificato gruppo di isoprenoidi, collettivamente denominati composti organici volatili di origine biogenica (BVOCs, biogenic
volatile organic compounds), sono prodotti ed emessi dalle piante con
la funzione di mediare le proprie relazioni con gli insetti, siano essi
impollinatori o fitofagi. Questi metaboliti sono anche coinvolti nelle
cosiddette relazioni tritrofiche, ossia in quel complesso scambio di
segnali chimici tra piante, insetti erbivori ed insetti carnivori. In questa particolare forma di interazione, le lesioni indotte dai fitofagi a carico dei tessuti vegetali provocano l’emissione di BVOCs, i quali, a loro
volta, fungono da attrattori per gli insetti predatori dei fitofagi stessi.
Alcuni inquinanti atmosferici, come l’ozono troposferico, e le elevate
temperature possono incrementare l’emissione di BVOCs dalle piante, alterando i meccanismi di difesa della pianta nei confronti degli
artropodi. Sembra, infatti, che l’emissione di BVOCs abbia anche la
funzione di proteggere l’apparato fotosintetico e le membrane biologiche dallo stress indotto dalle elevate temperature o da alcune tipologie di inquinanti. Inoltre, l’emissione di elevate quantità di BVOCs
potrebbe contribuire, assieme ai VOCs di origine antropica, a creare
forme di inquinamento su scala regionale, essendo tali composti tra i
precursori dell’inquinamento fotochimico.
Le piante e i cambiamenti climatici
monio. La temperatura, al contrario, non ha prodotto alcun effetto
su nicotina e scopolamina, incrementando invece i livelli di atropina.
Atropina e scopolamina sono alcaloidi tropanici in grado di modulare le funzioni della muscolatura liscia e delle cellule delle ghiandole
esocrine, così come la frequenza cardiaca, respiratoria e le funzioni
del sistema nervoso centrale.
La nicotina è un alcaloide piridinico con proprietà di sostanza stupefacente. In piccole dosi, ha un effetto stimolante sull’attività fisica, l’attenzione e la memoria, aumenta la frequenza cardiaca, la pressione
sanguigna e riduce l’appetito.
Infine, analoghe considerazioni possono essere poste per alcuni
principi attivi il cui utilizzo esula dall’uso a fini terapeutici, come ad
esempio per l’urusciolo, una olio altamente irritante per la cute e in
grado di scatenare anche gravi reazioni allergiche, presente in alcune piante della famiglia delle Anacardiaceae, come l’edera velenosa
(Toxicodendron radicans (L.) Kuntze). In condizioni di elevata CO2, può
essere favorita la sintesi di alcuni costituenti particolarmente irritanti
di quest’olio, esacerbando le proprietà tossiche ed allergenizzanti di
questa specie.
ORTO BOTANICO DI G. E. GHIRARDI
92
Figura 3. Struttura di un fenilpropanoide (umbelliferone), di un isoprenoide (limonene)
e di un alcaloide (nicotina)
93
ORTO BOTANICO DI G. E. GHIRARDI
Alcaloidi. Composti di origine vegetale contenenti azoto, derivanti,
per lo più, da aminoacidi, e dalle proprietà medicamentose o tossiche, a seconda del tipo di molecola e della dose.
Antropico. Relativo all’uomo ed alle sue attività.
Artropodi. Ampio e diversificato gruppo di invertebrati comprendente il
gruppo dei crostacei, insetti, aracnidi (ragni) e miriapodi (millepiedi).
Biocenosi. La comunità delle specie che vive in un determinato
ambiente (biotopo, v.), a sua volta comprendente organismi animali
(zoocenosi) e vegetali (fitocenosi).
Biodiversità. L’insieme delle forme viventi, animali, vegetali e microrganismi, geneticamente differenti, presenti nella biosfera (v.).
Biomassa. La massa degli organismi vegetali (v. fitomassa) ed animali presenti in una data superficie.
Biosfera. L’insieme delle zone del pianeta nelle quali le condizioni
climatiche consentono lo sviluppo di forme di vita.
Biotopo. Ambiente nel quale vivono organismi appartenenti alla
stessa specie o a specie differenti.
Catena alimentare. v. rete trofica
Consumatori o eterotrofi. Organismi che dipendono dai produttori primari (v.) per il proprio sostentamento; si suddividono in
consumatori primari (erbivori) e secondari (carnivori), occupanti i
gradini più elevati della piramide alimentare (v.).
Ecosistema. L’insieme della biocenosi (v.) e del biotopo (v.).
Effetto serra. Processo naturale di riscaldamento degli strati
bassi dell’atmosfera per effetto della radiazione infrarossa (v.) proveniente dal sole, la cui riflessione ad opera della superficie terrestre
viene limitata dai gas serra (v.).
Fenilpropanoidi o composti fenolici. Composti di origine vegetale derivanti dall’aminoacido aromatico fenilalanina.
Fenologia. Disciplina che studia gli stadi di sviluppo (o fenologici)
di un organismo vivente (ad es. la comparsa, la modificazione o la
perdita di un organo).
Fitofago. Qualsiasi organismo che si nutra di tessuti vegetali, per lo
più vertebrati e insetti erbivori.
Fitomassa. Biomassa (v.) costituita dal peso degli organismi vegetali
presenti in una data superficie.
Fonti energetiche alternative. Fonti rinnovabili di energia (solare, eolica, geotermica, idroelettrica) alternative a quelle esauribili
(combustibili fossili) e in grado di garantire uno sviluppo sostenibile.
Fotorespirazione. Processo nel quale la pianta consuma ossigeno e libera anidride carbonica, senza produrre substrati energetici, in
competizione con la fotosintesi (v.).
Fotosintesi clorofilliana. Processo di organicazione nel quale
Le piante e i cambiamenti climatici
Glossario
Le piante e i cambiamenti climatici
ORTO BOTANICO DI G. E. GHIRARDI
94
molecole inorganiche come l’anidride carbonica e l’acqua, in presenza di luce, vengono trasformate in sostanze organiche (glucosio).
Gas serra. Gas di origine sia naturale che antropica presenti nell’atmosfera e in grado di assorbire la radiazione infrarossa, causando
così l’effetto serra (v.).
Glaciazione. Lungo periodo (migliaia o milioni di anni) caratterizzato da un abbassamento generalizzato della temperatura sul pianeta,
seguito dall’espansione delle calotte glaciali in direzione dell’equatore e da una conseguente recrudescenza climatica (l’ultima glaciazione è terminata circa 12000 anni fa).
Interazione tritrofica. Relazione ecologica tra tre differenti organismi viventi in relazione alle risorse alimentari, come ad esempio tra
pianta, insetto fitofago (v.) e insetto carnivoro predatore di quest’ultimo.
Isoprenoidi o terpeni. Classe di metaboliti di natura lipidica, sia
primari che secondari e di origine sia vegetale che animale.
Latitudine geografica. Coordinata geografica individuata sul globo
terrestre dai paralleli, circonferenze di diametro decrescente dall’equatore (0°) ai poli (90°N o 90°S) e delimitanti le fasce latitudinali.
Metabolismo primario. Insieme delle vie metaboliche essenziali per
l’organismo (biosintesi degli acidi nucleici, lipidi, proteine e carboidrati).
Metabolismo secondario. Insieme delle vie metaboliche che
portano alla sintesi di composti coinvolti nelle relazioni tra la pianta
ed il proprio ecosistema (v. alcaloidi, fenilporpanoidi e isoprenoidi).
Metaboliti secondari bioattivi. Prodotti del metabolismo secondario delle piante aventi attività antiossidante, antitumorale, cardioprotettiva, neuroprotettiva, antinfiammatoria ed immunomodulante; possono giungere all’uomo attraverso la catena alimentare (v.).
Ozono stratosferico. Strato di ozono naturalmente presente
negli strati alti dell’atmosfera, dove svolge un ruolo protettivo nello
schermare la radiazione ultravioletta (v.); la sua deplezione, ad opera
di CFC (clorofluorocarburi, gas utilizzati come propellenti nelle bombolette spray), nota come ‘buco dell’ozono’, riduce l’effetto protettivo
di tale scudo sugli organismi viventi.
Ozono troposferico. Ozono presente come inquinante di origine
antropica negli strati bassi dell’atmosfera (troposfera), potenzialmente tossico per le piante e per gli animali.
Piramide alimentare. v. rete trofica.
Produttori primari o autotrofi. Organismi, come le piante, in grado di
sintetizzare sostanze organiche da semplici composti inorganici (v. fotosintesi
clorofilliana); occupano la base delle piramide o catena alimentare (v.).
Radiazione infrarossa. Radiazione elettromagnetica con una lunghezza d’onda maggiore rispetto a quella della luce visibile e ricca di calore.
Radiazione ultravioletta. Radiazione elettromagnetica con una
lunghezza d’onda minore rispetto a quella della luce visibile e altamente nociva per gli organismi viventi.
Le piante e i cambiamenti climatici
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ORTO BOTANICO DI G. E. GHIRARDI
Rete trofica. L’insieme delle complesse relazioni che si instaurano
tra produttori primari (v.) e consumatori (v.).
Stoma. Aperture naturali attraverso le quali avvengono gli scambi
gassosi (v.) tra l’atmosfera e i tessuti vegetali, e i cui flussi sono regolati da cellule di guardia altamente specializzate.
Scambi gassosi. Passaggio dell’anidride carbonica, dell’ossigeno e
del vapore acqueo attraverso gli stomi (v.).
Sviluppo sostenibile. Sviluppo (economico, industriale, agricolo)
che abbia il minor impatto ambientale sul pianeta, al fine di preservarne le risorse per le generazioni future.
Traspirazione. Perdita di acqua sotto forma di vapore dai tessuti
vegetali (v. scambi gassosi).
Finito di stampare nel mese di Luglio 2009
presso GRAFO srl - Palazzago (BG)
Piante e cambiamenti ambientali
02
Piante e
cambiamenti
ambientali
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