Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 - CB-NO/TORINO
Nº 2 - 2012
ANNO XXXIII
BIMESTRALE
marzo-aprile
Remo Girone è MURIALDO,
amico di DON BOSCO
pag. 6 Gesù
L’uomo più “ricercato”
della storia
n tema
pag. 26 U
in classe
pag. 38 A Valdocco
Fa riscoprire la
differenza: vivere per Dio
la sfida educativa
è sull’innovazione
hic domus mea
Carissimi lettori, a tutti voi
inde gloria mea
Direzione:
Livio Demarie (Coordinamento)
Mario Scudu (Archivio e Sito internet)
Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione)
Direttore responsabile:
Sergio Giordani
giungano i nostri auguri
Cristo è risorto, alleluia!
Registrazione:
Tribunale di Torino n. 2954
del 21-4-1980
Stampa:
Scuola Grafica Salesiana - Torino
Il Signore è veramente
Corrispondenza:
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Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Centralino 011.52.24.822
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risorto, alleluia!
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Un numero .. .........................................
II MARZO-APRILE 2012
B
Foto di copertina:
Renzo Bussio
E13,00
E20,00
E50,00
E15,00
E18,00
E3,00
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q
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P
a
Il saluto del Rettore
Carissimi amici,
siamo in un momento particolare dell’anno liturgico: Quaresima e Pasqua segnano i mesi di marzo e aprile. Celebrare questi tempi significa richiamare una realtà
concreta, non soltanto come ricordo, ma come “memoria”, presente, attiva e rinnovatrice oggi per ognuno di noi: è il mistero del Signore Gesù che si presenta
vivo nella storia dell’umanità e nella nostra storia, e che, attraverso il mistero della
sua morte e risurrezione, continua a salvare il mondo.
Tempo di Quaresima e tempo di Pasqua sembrano due realtà contrapposte: l’una
chiede penitenza, l’altra invita alla gioia; l’una parla di peccato, e di morte, l’altra di
grazia e di vita. Soltanto chi non è esperto nella logica del Vangelo si meraviglia di
questa contrapposizione. Ma il Signore non parla proprio di contraddizione tra
la sua logica e la logica umana? «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55,8).
Il Vangelo ci dice che alla violenza non si risponde con la violenza, che è grande
chi si fa piccolo, che vince chi perde per amore, che vive chi muore. La croce non
è forse il più grande segno di contraddizione «scandalo per i Giudei, stoltezza
per i pagani» (1Cor 1,23)? E la risurrezione del Signore non spiazza forse tutte le
logiche umane? Persino gli apostoli sono rimasti spiazzati!
Per la nostra vita, allora, questo “fare memoria” diventa occasione di superamento delle nostre logiche umane, approfondimento della nostra fede, conversione
della nostra mente, del nostro cuore, della nostra vita, perché solo così, purificati
da questo cammino potremo scoprire ancora una volta
l’amore di Dio, al di là delle fatiche, delle paure, delle
sofferenze e della croce. Nel Vangelo c’è sì la pagina
della morte di Gesù in croce, ma essa non è l’ultima;
l’ultima è la pagina della sua risurrezione e del trionfo della vita. In questo momento storico, così confuso e complesso, che stiamo vivendo, siamo chiamati
a ricordarlo e a testimoniarlo: “Niente ti turbi” ripeteva
spesso Don Bosco, facendo sue le parole di S. Teresa,
e lo ripete oggi a ciascuno di noi.
Ogni giorno nel nostro Santuario celebriamo per voi,
per i nostri benefattori e per tutti i nostri amici, una S.
Messa, invocando sempre su tutti la benedizione del
Signore e la protezione dell’Ausiliatrice. Buona Pasqua
con gioia a tutti e tanta speranza.
Don Franco Lotto, Rettore
[email protected]
IL SALUTO del rettore
foto Don Bosco Austria
Niente ti turbi:
Cristo è risorto
A tutto campo
Conquistati dalla
meraviglia dei giovani
Anche oggi è possibile appassionarsi ai giovani e diventare per loro una guida
sicura. Basta osservarli per essere conquistati dalla loro meraviglia.
Un impegno educativo a cui Mondo Erre è fedele da 37 anni.
C
Don Valter Rossi, direttore della Rivista Mondo Erre, racconta
il mondo giovanile che si svela
nelle tante lettere che arrivano
alla rubrica “cara Rosy”
2 MARZO-APRILE 2012
ome sono i ragazzi e i giovani? Oggi
come ieri sembrano incomprensibili, superficiali, legati a mode passeggere
e vuote, incapaci di impegno e annoiati.
A volte, gli aggettivi negativi si sprecano,
soprattutto tra adulti con poca memoria
della propria gioventù e tanta nostalgia
di tempi che proprio belli non sono mai
stati. Altre volte ci si blocca perplessi, rinunciando di fatto al dialogo e alla condivisione dei valori propri di ogni ruolo
educativo, o ci si limita ad un cameratismo infantile e vuoto che rivela le fragilità di un mondo che di adulto ha solo
il nome.
Eppure basterebbe uno sguardo amico,
di sincera simpatia, per lasciarsi invadere
dalla meraviglia nel contemplare la gioventù di oggi, così colorata e vivace, così
capace di appassionarsi e stupirsi, così
alla ricerca di verità e così pronta ad
accogliere e condividere. Basterebbero orecchie vuote di pregiudizi
per sentire, nei loro schiamazzi,
la gioia di vivere e le domande di vita vera, le richieste di
aiuto mascherate da aggressività o velate di
tristezza e solitudine.
Sono gli occhi e le
orecchie con cui
Mondo Erre, la
rivista salesiana
per i ragazzi, si
apre al mondo
giovanile da oltre trentacinque anni. Prestare attenzione alla sensibilità dei ragazzi, ai loro problemi e desideri, diventare
compagno di giochi, fratello maggiore,
essere mano sicura e dito che indica la
strada, voce forte che stimola a non essere cervelli all’ammasso. Ecco Mondo
Erre: vivace e colorato, attuale e ricco di
curiosità, mai banale e ancorato ai valori.
Per esempio, i ragazzi e le ragazze che
scrivono alla rubrica di lettere “cara Rosy”
esprimono tutti i loro sentimenti, chiedono consigli, espongono riflessioni.
Si firmava Cocca 96, ad esempio, e scriveva così: «Prima di tutto volevo dirti che ti
ammiro molto per quello che fai per noi
ragazzi che ti regaliamo i nostri problemi:
hai sempre la risposta giusta. È una cosa
bellissima e proprio perché è bellissima
cerco di “sfruttarla” per i miei dubbi. Ho
14 anni e so bene che alla mia età si è
pieni di domande alle quali non si riesce
a rispondere. Solitamente ne parlavo con
mia mamma, ma volevo sentire qualcosa
di nuovo, di diverso...». A pensarci bene
è proprio vero: quando una ragazza ha
il coraggio di aprirti il suo cuore e parlarti dei suoi problemi, ti sta facendo un
grande regalo, e un regalo non si fa a
chiunque. Bisogna avere delle risposte. A
volte anche i genitori danno risposte che
sanno troppo di frasi ripetute. Sul piano
delle risposte concrete noi adulti ci siamo
poco. E dei nostri dubbi, le nuove generazioni non sanno che farsene.
Un’altra ragazza, Claudia, così scriveva:
La curiosità, l’entusiasmo, i dubbi e lo stupore dei ragazzi che
si affacciano alla vita trovano
nelle pagine di Mondo Erre uno
stimolo a crescere e a trovare risposte.
«Ciao, trovo sempre molto costruttive le risposte che dà alle nostre domande. E per
questo mi chiedevo quale fosse il significato di diventare persone adulte. Grazie».
Non è certo una questione da poco! Ci
vuole coraggio per fare una domanda
così importante e questa non può ricevere una risposta banale. La povera Rosy
si sarà dovuta chiedere cosa vogliamo
far diventare questi giovani di oggi, quali
modelli di vita proponiamo e che messaggi trasmettere. Le loro domande ci devono mettere in discussione. Ed ecco la
sua risposta: «Carissima Claudia, hai usato il verbo “diventare” e mi piace, perché
non si tratta di raggiungere un traguardo
e poi sentirsi arrivati, ma camminare ogni
giorno verso una meta. Forse una volta,
molto più di oggi, c’erano dei riti di passaggio: prima eri bambino, poi ragazzo,
quindi adulto ed infine eri un anziano
saggio e rispettato. L’adulto aveva una
libertà strettamente legata alla responsabilità che ogni azione comporta. Oggi
sembra che queste due parole non si riconoscano più a vicenda, e il mondo, che
troppe volte vediamo solo in televisione, sia pieno di bambini desiderosi della
libertà dei grandi e di adulti capricciosi
e insoddisfatti, maleducati e incapaci di
prendersi le proprie responsabilità.
Per questo continuiamo a crescere sen-
za bruciare le tappe, godendoci le gioie
semplici dell’amicizia, accettiamo le sfide
che la vita ci pone e costruiamo le basi
del futuro vivendo con responsabilità il
presente».
Di certo, siete in attesa di sapere anche
il problema di Cocca 96, ma lo spazio è
limitato… Non resta che abbonare il figlio o il nipotino a Mondo Erre e dare
una sbirciatina alla rubrica.
INFO web
www.mondoerre.it
www.facebook.com/
mondoerreragazzi
Valter Rossi
[email protected]
a tutto campo 3 
Leggiamo i vangeli
Come gli apostoli: scelti e
Gli Apostoli sono chiamati in modo speciale dal più numeroso gruppo
dei discepoli. A loro Gesù riserva alcuni doni. La loro vicenda è esemplare
per ogni discepolo del Signore che voglia essere tale e capace di testimonianza.
prattutto che cosa Gesù fece quel giorno
(vv. 13-15). Raccontato questo, l’Evangelista conclude facendo la lista dei nomi
degli uomini chiamati (vv. 16-19).
Su un monte
con quelli che Gesù voleva
Una mano tesa: è la chiamata di
Gesù. Non un vincolo che incatena, ma un’offerta, una proposta
adatta alle caratteristiche e alle
forze di ciascuno.
Via dal mare di Galilea
Sono molte le persone che stanno seguendo Gesù fin dall’inizio della sua attività (Mc 3,8). Gesù è molto generoso con
tutti, non si sottrae a chi è nel bisogno e
gli chiede aiuto. Però, dal momento che
le richieste aumentano smisuratamente, è
costretto per il momento ad allontanarsi
da tutte quelle persone: chiede per questo una barca, «perché non lo schiacciassero», scrive sinceramente Marco (3,9).
Allontanatosi dal Mare di Galilea, sale su
di un monte portando con sé un ristretto
gruppo di persone. Ha qualcosa di importante da proporre loro. Chissà se gli
uomini che egli aveva scelto avevano mai
pensato di scendere da quella montagna
con un’identità e con un compito completamente nuovi rispetto a quelli con cui
vi erano saliti?
Leggiamo il testo con maggior attenzione per scoprire come Marco dapprima ci
narri ciò che è fondamentale, vale a dire il
luogo in cui la vicenda si svolse, ma so-
4 MARZO-APRILE 2012
A volte, nei Vangeli ci sono luoghi che
non hanno valore geografico in sé, ma
per il loro significato. È questo il nostro
caso. Il monte presso il quale Gesù salì
in quel giorno non ha un nome perché
serve ad evocare le alture importanti della
Bibbia in cui si racconta che Dio si avvicinò particolarmente al suo popolo per
stringere un’Alleanza o per proporgli
qualcosa di importante. Se si considera
questo, si giunge più preparati alla lettura di quanto segue. Gesù sale con «quelli che egli voleva». Quanto Marco scrive
è molto significativo. Egli, infatti, intende guidarci a capire che il Signore non
prende a caso qualcuno tra i discepoli,
ma porta con sé coloro che vuole per un
progetto che egli ha da molto in cuore.
L’evangelista Luca ci aiuta a capire questo
scrivendo che il Signore compì la scelta dopo aver pregato per una notte (Lc
6,12)! Il modo di fare del Signore ci conferma che la nostra relazione di discepoli
è unicamente un dono della sua grazia. È
lui che ci sceglie e ci mette nella condizione di poterlo seguire. Intendo dire che l’iniziativa è sua, soltanto sua. Ne viene che
nel nostro rapporto di fede e nel discepolato, noi dipendiamo da Dio e dobbiamo
sempre difendere le sue iniziative. A noi è
data la bella responsabilità di rispondere.
Come? Leggiamo.
amati
Il primo dono: amati e scelti
Quegli uomini non gli rispondono con
domande di chiarimento o altre parole:
semplicemente «andarono da lui». Un’azione di significato ancora più alto di
qualsiasi altra parola pronunciabile in
una simile occasione, esprime nel modo
più esatto la risposta di coloro che poco
prima avevano sentito l’autorevole chiamata del Figlio di Dio.
«Ne costituì Dodici, che chiamò Apostoli» (v. 13): ecco che cosa il Maestro aveva
intenzione di fare da tempo. Innanzitutto, il Signore «costituisce» quegli uomini
come «i Dodici». Per tradurre il testo greco di Marco in modo più vicino all’originale, dovrei dire che Gesù «fece Dodici».
Poco elegante lo scrivere dell’Evangelista?
Tutt’altro! Se si considera che nell’Antico
Testamento il verbo “fare” è detto di Dio
che crea l’universo, allora si capisce che
Marco lo sceglie per tracciare un collegamento: come Dio creò ogni cosa, ora
Gesù crea, cioè fa di quegli uomini persone nuove, con un nome nuovo che li
distinguerà per sempre. Si pensi che nel
resto del Vangelo costoro saranno sempre chiamati «i Dodici» in riferimento a
quello che Gesù fece di loro in quel giorno sul monte! I «Dodici» vengono anche
chiamati «Apostoli», vale a dire «gli inviati
da» Gesù. Un nome che descrive la loro
indissolubile unione a Gesù e l’incarico
di essere suoi messaggeri.
Dai 12 Apostoli oggi una Chiesa
che conta milioni di persone. Da
quella chiamata lungo il mare
di Galilea, milioni di sì in tutto il
mondo portano avanti la missione evangelica. Un annuncio che
coinvolge e unisce se vissuto da
ciascuno in profonda comunione
con Dio nella vita di ogni giorno.
mento e di sé. Soltanto se gli Apostoli rimangono intimamente uniti al Maestro,
possono essere veri suoi messaggeri ed
inviati: a questa condizione potranno
predicare e scacciare i demoni. Non dimentichiamolo. Persa l’unione con Cristo,
tutto si perderebbe.
Ora, ogni cosa è più chiara, perfino quelle
parole misteriose dette da Gesù sul mare
di Galilea a Pietro e ad Andrea: «Venite
dietro a me, e vi farò diventare pescatori
di uomini» (Mc 1,17). Esse non nascondevano l’intenzione di proporre un avvenire oscuro ed incerto ai primi discepoli;
piuttosto, velavano il desiderio di far loro
tre preziosissimi doni: crearli come nuove
persone, metterli nella condizione di stare con Cristo, renderli capaci di predicare
e di guarire. Il cuore dell’Apostolo e del
nostro essere discepoli non è niente altro
che la comunione con Cristo Signore da
cui tutto emana. È il dono più prezioso
da custodire con gioia e con cura.
Marco Rossetti
[email protected]
La comunione con Lui
La sorpresa è grande! Ci si potrebbe immaginare che ai «Dodici» Gesù affidi innanzitutto la missione di andare a predicare e guarire. Invece no. Il primo compito degli Apostoli consiste nell’«essere con
lui»: gli Apostoli sono innanzitutto coloro
che stanno col Signore, quelli a cui egli
avrebbe dato il meglio del suo insegnaLEGGIAMO I VANGELI
5 
In cammino con Maria
Gesù: “ricercato numero uno”
L’unico episodio evangelico che rompe il silenzio sui trent’anni della
vita nascosta di Gesù a Nazaret è quello del pellegrinaggio al tempio di
Gerusalemme. Lì avviene la sua prima autorivelazione come Figlio di Dio:
pieno di sapienza, è assiso come un maestro.
L
’àpice di quell’episodio è il ritrovamento di Gesù dodicenne nel tempio.
Maria, dopo tre giorni di ricerca ansiosa,
nel riabbracciarlo gli domanda: «Figlio,
perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre
ed io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48).
Nel “perché” di Maria è il riassunto di tanti
perché dell’umanità su vicende imprevedibili della vita umana; nel suo affanno,
l’angoscia di tante persone che cercano
faticosamente Dio. Alla domanda della
madre, Gesù risponde in modo
sorprendente e secco: «Perché
mi cercavate? Non sapevate
che io devo occuparmi delle
cose del Padre mio?» (Lc 2,49).
«Perché mi cercavate?»:
questa domanda appare
molte volte nei dialoghi
di Gesù con parecchie
persone incontrate nella sua vita pubblica. È un
dato che colpisce chi legge
con attenzione i Vangeli: Gesù
appare come “il grande ricercato”. Lo cercano, infatti, molte
persone, singolarmente o in
gruppo, con motivazioni e
intensità diverse. Lo cercano in molte circostanze e
in molti luoghi. E in tutte
le fasi della sua vita.
Cercato dalla
nascita al sepolcro
Alla sua nascita è cercato dai
6 MARZO-APRILE 2012
La spianata del Tempio di Gerusalemme ancora oggi luogo di preghiera e di ricerca di Dio.
pastori invitati dal messaggero celeste,
dai Magi venuti da lontano per adorarlo
e da Erode che lo voleva uccidere. Adolescente a Gerusalemme, i suoi genitori lo
cercano con ansia, credendolo smarrito
nella confusione dei pellegrini. Durante il
suo ministero pubblico egli è cercato dai
discepoli affascinati, dai parenti preoccupati, dai sofferenti desiderosi di aiuto e
dagli avversari pronti a coglierlo in fallo.
Verso la fine della sua vita è cercato dai
sacerdoti e dagli scribi per eliminarlo, da
Giuda per tradirlo, dai soldati per catturarlo. Anche dopo la morte, amici e nemici lo cercano al suo sepolcro.
E Gesù si fa trovare? Non sempre. A chi
lo cerca con la pretesa di trovarlo a modo
proprio, Gesù reagisce sistematicamente
con un rifiuto netto. Quando i discepoli,
visto il desiderio pressante degli abitanti
di Cafarnao, fanno notare a Gesù: «Tutti
ti cercano!». Egli risponde ironicamente:
«Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!» (Mc 1,38). Gesù,
schivo di fama, di gloria e di onore, si
muove libero, in perfetta sintonia con il
volere divino e in totale adesione alla sua
missione di portare la salvezza non a pochi privilegiati, ma a tutti.
Egli rifiuta chi pretende di possederlo, di
sistemarlo nei propri schemi mentali. Si
oppone a chi vuol restringere l’orizzonte
universale della sua missione riducendolo a guaritore a buon mercato, un taumaturgo del paese. Similmente, egli risponde
con parole taglienti alla folla che lo cerca
dopo il miracolo della moltiplicazione dei
pani: «Voi mi cercate non perché avete
visto i segni, ma perché avete mangiato
dei pani» (Gv 6,26). Gesù sa bene che la
folla non cerca lui, ma il vantaggio che
deriva nell’averlo a propria disposizione.
Egli smaschera la falsa ricerca a scopo
egoistico e meschino.
loro ricerca di lui alla sua continua ricerca
delle cose del Padre. Egli li associa nella
tensione comune verso la stessa meta. E
come se dicesse loro: «Non affannatevi a
cercare me, piuttosto unitevi a me nella
ricerca della volontà del Padre».
Gesù ha un “devo” di cui è consapevole,
ma vivendo in profonda comunione con
lui, anche Maria e Giuseppe hanno un
“devo” da scoprire man mano che progrediscono nel cammino della vita e della
fede. Essi prendono coscienza in modo
sperimentale che la vocazione del loro
figlio non è quella da svolgere all’interno
di una famiglia, se pur santa, ma quella di realizzare il progetto del Padre che
abbraccia tutta la storia e tutta l’umanità.
D’altro canto, essi iniziano a comprendere che il loro distacco dal figlio non
è segno di lontananza, ma di vicinanza,
perché con la fede essi entrano sempre
più nel progetto di salvezza che Gesù sta
attuando. Iniziano a sperimentare che il
vero amore comporta lo smarrimento, la
confusione dei sentimenti, il distacco, l’orientarsi verso l’oltre, il salto in alto.
Farsi trovare
in un modo diverso
Alle volte Gesù frustra le attese immediate di coloro che lo cercano non per
rifiutarle in assoluto, ma per sollevarle,
dilatarle, purificarle e trasformarle. Egli si
fa trovare, ma altrove, su un altro piano,
in un modo diverso.
Arrampicato su un albero, Zaccheo “cerca
di vedere” passare Gesù, ma lui sorprende la sua attesa e si fa invitare a casa sua.
La donna emoroissa cerca timidamente
di toccare di nascosto la veste di Gesù,
ma riceve la guarigione e un elogio pubblico. Al sepolcro le donne cercano un
corpo morto, trovano invece il vivente.
«Perché mi cercate? Non sapevate che
io devo occuparmi delle cose del Padre
mio?». La risposta di Gesù adolescente a
Maria va collocata in questa categoria.
Gesù riconosce la sincerità della ricerca
dei suoi genitori, l’accoglie e la ricolloca
su un piano più alto. Egli configura la
Maria Ko Ha Fong
È nel cuore dell’uomo che abita
quel desiderio di Dio che spinge a
cercarlo senza volerlo possedere,
che alimenta quella nostalgia di
allargare gli orizzonti e alzare lo
sguardo, che può cambiare la nostra vita.
[email protected]
in cammino con maria 7 
Maria nei secoli
Il dogma dell’Immacolata:
la luce dell’800
L’Ottocento è stato un secolo di grandi invenzioni scientifiche e conquiste
sociali, ma è stato anche quello del dogma dell’Immacolata, proclamato dal
papa Pio IX nel 1854, e delle apparizioni a Bernardetta, a Lourdes, nel 1858.
Ha quindi una forte impronta mariana.
L
o hanno definito “il secolo delle invenzioni”. Nel XIX secolo si susseguirono, infatti, scoperte e applicazioni
che hanno cambiato la vita della gente:
l’elettricità, i treni, la radio, il cinema. In
Europa, i popoli iniziarono ad appassionarsi all’idea di libertà e di giustizia sociale: nacquero i regimi democratici, ancora
imperfetti, e i sindacati per la difesa dei
diritti dei lavoratori. All’interno della Chiesa, poi, ci fu una fioritura straordinaria di
santi ed uno slancio missionario senza
paragoni con il passato.
In questo secolo ricco di promesse e di
speranze, una giornata fu una specie di
anticipazione del Paradiso: l’8 dicembre
1854. Un Papa che ha molto sofferto a
causa dei nemici della Chiesa e che era
devotissimo della Madonna, il Beato Pio
IX, mentre il suo volto era illuminato da
un raggio di sole che all’improvviso aveva squarciato il cielo plumbeo di Roma,
all’interno della Basilica Vaticana di San
Pietro, proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria.
Mise così il sigillo dell’infallibilità del Papa
a una verità della fede cattolica che da secoli era già viva all’interno della Chiesa. La
gente semplice faceva a gara ad iscriversi
alle confraternite intitolate all’Immacolata.
Artisti eccellenti, come il pittore spagnolo Murillo o l’italiano Tiepolo, l’avevano
espressa nelle loro tele ancor oggi ammirate nei musei. Teologi geniali, come
8 MARZO-APRILE 2012
Duns Scoto nel XIII secolo e Alfonso de’
Liguori nel secolo XVIII, l’avevano spiegata con dovizie di argomenti. La Liturgia, sin dal secolo XI nella lontana Inghilterra, la celebrava con riti e preghiere.
Mistici che hanno ricevuto delle rivelazioni speciali, come Santa Brigida di Svezia,
compatrona d’Europa, l’avevano intuita e
comunicata. I figli di San Francesco si erano sempre distinti nel proclamare l’Immacolata Concezione di Maria al punto da prestare il giuramento di difendere
questa verità sino alla morte contro i suoi
detrattori, imitati dai professori di molte
università spagnole ed italiane.
Papa Pio IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti nacque a Senigallia il
13 maggio 1792 e morì a Roma il
7 febbraio 1878. Il suo pontificato,
di 31 anni, 7 mesi e 23 giorni, rimane il più lungo della storia della Chiesa cattolica.
Era del tutto conveniente
che una Madre così venerabile
risplendesse sempre adorna dei
fulgori della santità più perfetta, e, immune interamente dalla
macchia del peccato originale,
riportasse il più completo trionfo
sull’antico serpente (Beato Pio IX,
Ineffabilis Deus).
Un inno di lode
alla “piena di grazia”
Insomma, un’armonia di voci per cantare un inno di lode alla Madonna che,
in quanto Madre di Dio, non poteva che
essere concepita senza il peccato originale, ed essere dunque la “Tutta Santa”. Il
“la” a questa sinfonia si trova nel Vangelo.
L’arcangelo Gabriele, salutando la Vergine, la chiama «piena di Grazia», come ripetono i fedeli di tutto il mondo quando
recitano la preghiera mariana più diffusa, l’ave Maria. Come già osservò il più
grande teologo della storia, San Tommaso d’Aquino, nessuna creatura ha mai ricevuto questo titolo: dunque la Madonna
gode di un privilegio singolare. E poiché
la “grazia”, cioè la vita stessa di Dio nell’a-
nima, purifica e santifica, la Madonna è
pura e santa, come nessun’altro.
Qualche volta la lingua greca, quella in
cui è stato scritto tutto il Nuovo Testamento, è indispensabile per capire meglio
il Vangelo: la parola “piena di Grazia” è
espressa da un termine che in greco significa che c’è stata una “causa” che nel
tempo ha prodotto un “effetto” che dura
per sempre. L’effetto è la “pienezza della
grazia”. E la causa? Il concepimento di
Maria senza peccato originale. A darne
conferma è venuta la Madonna stessa,
quattro anni dopo la proclamazione del
dogma, nel 1858, a Lourdes. A Bernardette Soubirous che, neppure ne capiva il significato, Ella ha detto di essere
l’“Immacolata Concezione”.
Pio IX proclama il dogma dell’Immacolata Concezione (Francesco Podesti - Vaticano - Sala
dell’Immacolata).
Quel Papa umile e mite che fu Pio IX, il
grande benefattore ed amico di Don Bosco, proclamando il dogma dell’Immacolata Concezione, volle così dare agli uomini del suo tempo e, in fondo, a quelli
di ogni epoca, un ammonimento e volle pure accendere una grande speranza.
L’ammonimento è questo: esiste il peccato originale che, con le sue conseguenze, spinge gli uomini a fare il male; esiste
però anche e soprattutto la Grazia di Dio
che guarisce dal peccato e attrae verso
il bene. L’Immacolata, priva del peccato
originale, mostra quanto sia bello vivere in Grazia di Dio. E con il Suo aiuto a
nessuno è precluso un cammino di purificazione e di santificazione.
Roberto Spataro
[email protected]
Ludovico Mazzanti: “L’Immacolata” (sec. XVIII).
Quanto è bello
vivere in “grazia”
Quel giorno dell’anno 1854 va davvero
considerato come il più importante di
quel secolo XIX in cui, purtroppo, tanti
avvenimenti stavano mostrando quanto
deleterie siano le conseguenze del peccato originale, ieri come oggi: la violenza
delle guerre con il triste corteo di morti e distruzioni, la cupidigia dell’egoismo
dei ricchi che crearono tantissimi poveri
di cui solo la Chiesa si prese cura, la superbia dei cattivi maestri che negavano
l’esistenza di Dio per ribellarsi ai suoi comandamenti.
Don Bosco aveva fervorosamente pregato, aveva celebrato
Messe per affrettare la grazia di
questa definizione dogmatica,
che da lungo tempo desiderava; e continuò a pregare e a ringraziare il Signore per aver così
glorificata in terra la Regina degli Angeli e degli uomini. La festa
dell’Immacolata divenne la sua
prediletta (Don Lemoyne, Memorie Biografiche).
Maria nei secoli 9 
Maria nei secoli
La Madonna in campagna
la novità di Lorenzo Lotto per San Bernardino
L’opera per la chiesa bergamasca fu dipinta nel 1521. Accanto alla Vergine
con il Bambino, San Bernardino, San Giuseppe, San Giovanni Battista
e Sant’Antonio abate. E c’è anche un angelo che con lo sguardo cerca di
coinvolgere lo spettatore.
L
orenzo Lotto era giunto a Bergamo
nel 1513 attratto da incarico prestigioso: la realizzazione della cosiddetta pala
Martinengo, da collocare nella chiesa
domenicana di Santo Stefano, incorniciata da un’ancona lignea, realizzata dal
migliore architetto bergamasco del momento, Pietro Isabello. L’edificio sacro
fu demolito nel 1561, nella costruzione
delle possenti mura difensive della Città
Alta volute dalla Serenissima Repubblica di Venezia e la pala fu poi ospitata
nella chiesa cittadina di San Bartolomeo.
A Bergamo il Lotto vi rimase fin oltre il
1526, dipingendo pale d’altare, affreschi
e ritratti per personaggi nobili o borghesi
della città orobica e il circondario e approntando, nell’ultima fase del suo soggiorno, una serie di disegni per le tarsie
dell’iconostasi e del coro della Basilica di
Santa Maria Maggiore. Sono da annoverare tra i suoi capolavori di questo periodo gli affreschi di san Michele al Pozzo
Bianco e quelli della cappella Suardi di
Trescore.
Il 1521 fu un anno significativo per il Lotto, perché realizzò due importanti pale, la
prima per un altare della chiesa di Santo
Spirito e l’altra per la chiesa di San Bernardino in Pignolo.
L’inconsueta ambientazione
in campagna
In quest’ultimo lavoro, un autentico opera
innovatrice, il pittore si libera dal tradizio-
10 MARZO-APRILE 2012
nale apparato architettonico, tanto caro
a Giovanni Bellini e compagni, inserendo
la scena in aperta campagna con la Madonna e il Bambino in una zona d’ombra
data da un tendone che scivola e ricopre i
gradini del trono marmoreo; questa sorta
di baldacchino è teso da quattro angeli
potentemente scorciati. Affiancano l’alto
podio San Bernardino, titolare della chiesa, con il viso rivolto all’insù, tutto preso
nell’estasi della contemplazione, al suo
fianco un anziano San Giuseppe si appoggia al tradizionale bastone. Sul lato
opposto San Giovanni Battista indica ad
un vecchio sant’Antonio abate la Vergine
con il Bambino. Lo sguardo del fedele è
però attratto dall’angelo che, inginocchiato sull’ultimo gradino del trono, è tutto
intento nello scrivere su un libro chissà
quali misteriosi pensieri; si volge e interroga con uno sguardo lo spettatore quasi
a voler stabilire un legame, coinvolgerlo
in una conversazione a cui tutti possono
e sono chiamati a partecipare. Alcuni particolari del dipinto sono cari al pittore: le
rose canine sparpagliate sul nudo marmo
della base, simbolo di passione e il paesaggio, appena accennato
oltre l’alto parapetto, con
un bosco dove alligna un
principio d’incendio. Sovrasta la sacra conversazione un magnifico cielo
che dal tempestoso anello
dorato si va acquietando
verso l’orizzonte illuminato dalle prime luci dell’alba.
Regalava
l’“Imitazione di
Cristo” agli amici
Il Lotto era nato a Venezia
verso il 1480. Non possediamo l’atto iniziale della
sua vita, ma l’estremo: nel
suo testamento del 1546
si dice «pictor veneziano
di circha anni 66». Nulla
sappiamo della sua famiglia, che doveva essere ci
ceto mercantile, né della
bottega dove svolse il suo
primo apprendistato.
Aveva una fede profonda
e non acritica. Conosceva
la Bibbia, Vecchio e Nuovo
Testamento e l’Imitazione
di Cristo.
Tra il 1503 e il 1504 fu a
Treviso dove la sua presenza è fittamente documentata. Dipinse il ritratto
del vescovo Bernardo de’
Rossi e del suo segretario
Broccardo Malchiostro. Il ritratto del prelato era corredato da una coperta con
un vivace soggetto allegorico. Nel 1506
ottenne un arbitrato dal tribunale acclesiastico di Treviso per il pagamento della pala di santa Cristina al Tiverone, una
delle sue prime opere di rilievo.
Tra il 156 e il 1508 è nuovamente nelle
Marche: lavora a Recanati dove esegue
il polittico di San Domenico.
Dopo la parentesi bergamasca tornò alla
nativa Venezia dove rimase fino al 1549,
tra alterne vicende, cimentandosi idealmente con l’altro campione della pittura
lagunare, Tiziano Vecellio.
Prima della triste partenza per Ancona,
affidò al Sansovino la vendita di sei quadri e dei suoi amatissimi cammei. Nelle
Marche lavorò ad Ancona e a Iesi, fino a
che, nel 1554, divenne oblato nella Santa
Casa di Loreto. Il primo luglio del 1557
era già morto: l’amministrazione della Santa Casa vendeva a dei francesi un
materasso “già di Lorenzo Lotto”.
Natale Maffioli
[email protected]
Maria nei secoli 11 
La parola qui ed ora
Quest’uomo
era Figlio di Dio!
Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi
cercavano il modo di catturarlo con un inganno per farlo morire. (…) Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete,
questo è il mio corpo». (…) E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei
Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli
scribi e dagli anziani. (…) Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei
tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». (…) Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei?»
Ed egli rispose: «Tu lo dici». (…) Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. (…)
Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. (…) Il centurione, che si trovava di fronte a lui,
avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
(Mc 14, 1-15,47)
L
Il cammino della Via Dolorosa
a Gerusalemme.
a lunga lettura della Passione del Signore è un evento unico nell’anno liturgico, così come unici sono i gesti e le
funzioni che si compiono nelle giornate
del Triduo pasquale: lavanda dei piedi,
venerazione della Croce, Veglia pasquale… Il fatto è che per la fede cristiana non
c’è assolutamente niente altro di più importante delle verità che vengono ricordate in questi giorni.
La risurrezione del Signore dai morti non
è un “miracolo” estemporaneo, staccato dal contesto in cui Gesù ha vissuto e
predicato; la vittoria sulla morte è la conseguenza – incredibile e “logica” insieme
- della Passione e della nuova alleanza.
Il mistero cristiano è la gioia piena – la
vita eterna – che si raggiunge attraverso
la croce.
I racconti (meglio sarebbe dire: le testimonianze) degli Evangelisti dedicano tutti
una parte preponderante ai giorni della
passione morte e risurrezione: proprio
perché fin dall’inizio questo era il nucleo
centrale della fede che veniva trasmesso
nella catechesi degli A postoli e dei discepoli; la liturgia (celebrazione del Signore
morto e risorto) non può che ripercorrere fedelmente questo cammino, per “imparare” i gesti di Gesù e ricordare il loro
significato nell’economia della salvezza.
All’inizio dell’avventura
dell’Occidente
Il senso “celebrativo” (ma anche letterario, e teatrale) della funzione delle Palme
si ritrova anche in questa realtà, fascinosa
e impressionante: ognuno dei passaggi del racconto evangelico ha segnato
12 MARZO-APRILE 2012
profondamente la nostra vita e la cultura dell’Occidente, sia perché le varie scene
sono state rappresentate all’infinito nella
pittura e nella scultura, sia perché ogni
parola di questo racconto (ma non è così
per ogni parola di tutto il Vangelo?) risuona nel profondo della nostra memoria e della nostra coscienza.
Quei tre giorni a Gerusalemme sono all’inizio dell’avventura dell’Occidente e hanno un senso non solamente per chi, con
il dono della fede, riconosce nel sacrificio
e nella risurrezione di Cristo la salvezza,
ma anche per tutti gli altri che, anche al
di fuori di un orizzonte religioso, «non
possono non dirsi cristiani» come ricordò B. Croce.
E se c’è uno spunto che si vorrebbe oggi
sottolineare viene proprio dal versante di
una lettura “laica” della Passione. Mentre
il Sinedrio ha bisogno di una “prova religiosa” per condannare Gesù, e la trova nella sua “bestemmia” di riconoscersi
Messia (Mc 14, 62), nel processo di fronte
a Pilato emerge con una chiarezza assoluta, impressionante, la “liberazione” che
Gesù istituisce con la sua testimonianza
e la sua morte. Il “re dei Giudei” viene a
istituire (o meglio: a rivelare) un regno
che non è in concorrenza con nessuno
dei poteri mondani ma li trascende, affermando che ben altro è la “sudditanza”
dell’uomo.
Un libro indimenticabile (e forse troppo
poco riletto), il Quinto
evangelio di Mario
Pomilio, presenta una versione affascinante
del processo a
Gesù, inquadrandolo proprio nella prospettiva
drammatica del contrasto tra la
“fedeltà a Cesare” (allo Stato, al potere
costituito) e il richiamo profondo alla libertà che è Dio.
Pomilio inventa la recita del processo a
Gesù nella Germania nazista: e il Pilato
interpretato da un capitano della Wermacht giunge alle stesse conclusioni del
personaggio evangelico quando capisce che la “libertà” portata dal Cristo è
propriamente la libertà della coscienza
dell’uomo da ogni Stato etico.
Il “re” che viene acclamato con le palme è
lo stesso deriso dai soldati, e poi crocifisso: ma proprio la libertà profonda di ogni
uomo è il “regno” che viene ad instaurare, e che non potrà essere cancellato da
alcun altro potere terreno.
Sulla croce il “re dei Giudei” viene a
istituire un regno che non è in
concorrenza con nessuno dei
poteri mondani ma li trascende,
affermando che ben altro è la
“sudditanza” dell’uomo.
Marco Bonatti
[email protected]
Crocifisso
per liberare l’uomo
Quella di Gesù è, in verità, una liberazione antica: perché discende direttamente
dal primo Comandamento, «Non avrai
altro Dio all’infuori di me»: è l’assoluta
libertà della coscienza di ogni uomo di
fronte ad ogni altro uomo e a qualunque altra “struttura” e potere del mondo.
Non c’è niente altro che Dio. Gli Ebrei che
vanno a reclamare la morte di Gesù di
fronte a Pilato gridando «non abbiamo
altro re che Cesare» (Gv 19,15) rinnegano qui la propria alleanza, e in questo si
condannano.
LA PAROLA QUI ED ORA 13 
Amici di Dio
La ‘buona a nulla’ di Lourde
Bernardetta, la protagonista delle apparizioni di Lourdes, umanamente
parlando viveva in una situazione psico-clinica familiare desolante, ma era
una “povera in spirito”, cioè si fidava totalmente di Dio. E Maria Immacolata
scelse proprio lei.
L
a “Signora vestita di bianco” le aveva
promesso: «Non ti farò felice in questo mondo, ma nell’altro». Le difficoltà
non furono poche, le incomprensioni e i
sospetti duri a morire, le cause di infelicità tante, le umiliazioni pure. Non ultima,
quella ricevuta all’inizio della sua vita da
religiosa. Finite le apparizioni, Bernardetta rimase ancora a Lourdes, ritirandosi
nel silenzio e nel nascondimento; poi, si
consacrò a Dio, entrando tra le suore di
Nevers. Aveva vent’anni. Al Vescovo, che
aveva ricevuto la sua professione religiosa, la Superiora disse: «Che cosa vuol dire
a costei che è buona a nulla?». E lui con
dolcezza: «Figlia mia, poiché siete buona
a nulla, vi darò l’incarico della preghiera».
Non le mancava mai
il sorriso
Santa Bernadetta Soubirous
nel 1866 entrò nell’ordine delle
suore della carità di Nevers, dove
morì a 35 anni, il 16 aprile 1879.
Quindici anni di vita religiosa
vissuti nel nascondimento e nella
preghiera per lei che era stata
prescelta dalla Vergine per portare
il messaggio salvifico del Figlio
all’umanità.
Bernardetta l’accettò. Sino alla fine della
vita. Trascorse i suoi 15 anni di vita religiosa nel nascondimento e nella preghiera, facendo i lavori più umili e più duri,
tutto alla maggior gloria di Dio, unita a
Cristo sofferente. Ogni azione fatta per la
conversione dei peccatori, come le aveva
chiesto la bella “Signora”. Missione eseguita con fedeltà anche nelle grandi sofferenze che ebbe negli ultimi anni della
sua vita, quando fu costretta a letto. Anche quando fu inaugurato il primo Santuario a Lourdes, lei era ammalata.
Sempre, anche durante la malattia, a
“questa buona a nulla” non mancherà
mai il sorriso proveniente da una gioia
profonda che niente di brutto e di difficile
riusciva a turbare. Il ricordo della Signora
che chiamava “la mia Madre del Cielo”,
le sarà sempre di grande conforto anche nei momenti più duri della malattia.
Diceva spesso: «Maria SS. Immacolata è
così bella che, dopo averla vista una volta, non si attende altro che di rivederla in
Cielo per sempre».
Chi era
questa buona a nulla?
Come accennato, Bernardetta presentava un quadro psico-clinico sociale desolante: situazione familiare povera, salute
debole (asmatica e un po’ ritardata fisi-
14 MARZO-APRILE 2012
s prediletta da Maria
camente), quoziente intellettuale basso
(intelligenza pratica, memoria scarsa per
cui non riusciva ad imparare il Catechismo). A 14 anni, quasi analfabeta. Era una
pastorella e con pecore… veramente «rognose» (dirà lei). Particolare importante:
aveva sempre con sé il «suo tesoro», cioè
un rosario, che recitava tutti i giorni. Ma
San Paolo non aveva forse scritto: «Dio
ha scelto ciò che nel mondo è stolto per
confondere i sapienti» (1Cor 1,27)? Possiamo sorridere quanto vogliamo per la
povertà, in tutti sensi, di lei, ma Maria è
apparsa proprio a lei, l’11 febbraio 1858,
la prima di 18 apparizioni. Che segneranno per sempre Bernardetta.
Proprio a lei «la Signora» affidava un messaggio con il quale chiedeva a tutti conversione, penitenza e preghiera. Da notare che la Madonna, che si presenterà
dicendo «Io sono l’Immacolata Concezione», usava in questa auto-definizione
il contenuto del dogma dell’Immacolata
Concezione proclamato da Papa Pio IX l’8
dicembre del 1854, cioè soltanto quattro
anni prima. Quando poi Bernardetta riferì
quelle parole difficili al parroco, che temeva più dei gendarmi, si capì subito che
esse non potevano essere frutto né della cultura religiosa (scarsa), né della sua
fantasia (non brillante). Lei era soltanto
una povera pastorella, che conosceva la
durezza della vita.
I favori del Cielo si pagano
Apparizioni proprio a lei? La Madonna
non poteva scegliere di meglio? È chiaro
che le visioni per lei significavano nuovi
orizzonti spirituali, nel futuro, ma anche
molte “grane” nel presente. Cominciarono, infatti, i sospetti, le burla, gli interrogatori, le accuse di isterismo, perfino
l’arresto dei gendarmi. Insomma, non era
creduta da nessuno. Dubbi in tutti e do-
Grazie, grazie
«Per la miseria di mamma e
papà, per la rovina del mulino,
per la bocca di troppo che ero
da sfamare, per i bambini che ho
accudito, per le parole rudi di Padre Peyramale grazie.
Per i giorni in cui siete venuta,
per quelli in cui non siete venuta,
non potrò mai ringraziarvi abbastanza che in Cielo.
Grazie perché se ci fosse stata
una giovane più insignificante
di me, non avreste scelto me…
Per Madre Josephine, che mi ha
definito buona a nulla, grazie.
Grazie di essere stato l’oggetto
privilegiato dei rimproveri, per
cui le Sorelle dicevano: «Che
fortuna non essere Bernardetta».
Grazie di essere stata Bernardetta, minacciata di prigione perché vi aveva vista, Vergine Santa,
[grazie] di essere stata guardata
dalla gente come una bestia rara:
questa Bernardetta talmente insignificante, che quando la si vedeva, si diceva: «Quella là?».
E per questa anima che mi avete dato, per il deserto dell’aridità
interiore, per la vostra oscurità e
le vostre rivelazioni, per i vostri
silenzi e i vostri lampi, per tutto, per Voi, assente o presente,
grazie Gesù» (dal “Testamento di
Bernardetta”).
Tratto in forma ridotta da:
vunque. Lei, però, resistette, non si contraddisse mai, non rinnegò niente e non
si sottrasse a nessuna difficoltà. Finché,
quattro anni dopo, nel 1862, arrivò il riconoscimento dal Vescovo che dichiarava
autentiche le apparizioni autorizzando la
prima cappella a Massabielle.
Cominciava, così, la storia di Lourdes:
storia della misericordia di Dio e della
miseria umana, storia di perdono e riconciliazione, di conversione e di molte guarigioni spirituali (e talvolta anche
corporali). Il tutto nel ricordo di Maria
Immacolata.
Due anni dopo ci fu il viaggio da Lourdes
a Nevers, per diventare suora. Alla vestizione religiosa affermò: «Io sono venuta qui per nascondermi». Anche durante
quegli anni continuarono le difficoltà, le
sofferenze, le umiliazioni e la malattia. I
favori del Cielo si pagano!
E la felicità? Arrivò con la morte il 16 aprile 1879, col sorriso sulle labbra. Aveva
35 anni. Il cammino terreno di questa
“buona a nulla” era terminato. Bernardetta non moriva, ma andava a rivedere
la «sua Madre nel Cielo», che l’aspettava
a braccia aperte.
Mario Scudu
[email protected]
AMICI DI DIO 15 
Esperienze
Il silenzio nel cuore della città
A Torino, dove un tempo sorgeva il carcere Le Nuove, è
nato un eremo dedicato all’accoglienza e alla preghiera.
U
n’oasi di pace nel cuore pulsante
della metropoli. Uno spazio aperto
a tutti, per ritrovare il senso di sé e delle
cose, prima di tornare a immergersi nel
caos della città. È la proposta dell’Eremo
del Silenzio, nato all’interno di quello che
fu il carcere Le Nuove di Torino, in via Paolo Borsellino 3, a pochi passi da corso
Vittorio Emanuele II, a metà strada tra
le stazioni ferroviarie di Porta Susa e di
Porta Nuova.
Un sogno accarezzato a lungo, che sta
prendendo forma sempre più compiuta
grazie soprattutto alla determinata passione di Juri Nervo e di un gruppo di
giovani volontari. Trentacinque anni, sposato, salesiano cooperatore, educatore al
carcere minorile Ferrante Aporti e iscritto
alla Facoltà di Teologia, lo abbiamo incontrato per saperne di più.
Uno spazio aperto a tutti
Come è nata l’idea di dar vita a un
eremo all’interno di un’ex struttura
carceraria?
L’ascolto della Parola rende
liberi, ma per ascoltare occorre
cercare di trovare il silenzio.
Preghiera, meditazione e spirito
missionario sono i pilastri sui
quali si fonda l’Eremo
del Silenzio.
«Come risposta, credo, alle mie preghiere di comprendere come essere cristiano e poterlo testimoniare nel mondo. Le
Nuove, costruite sotto il regno di Vittorio
Emanuele II e inaugurate nel 1870, sono
state concepite come un carcere a isolamento totale. Destinato inizialmente agli
imputati e ai condannati con pena non
superiore a un anno, ha visto passare
tra le proprie mura - in oltre un secolo
di storia - soldati disertori della I guerra
mondiale, operai Fiat arrestati nel “biennio rosso”, oppositori al regime fascista,
partigiani, deportati, ebrei e altre vittime delle leggi razziali, mafiosi, terroristi
e tangentopolisti. Le sue celle anguste e
i lunghi corridoi mi hanno ispirato una
scelta che è anche una provocazione: far
sorgere un eremo, per definizione luogo
di esclusione volontaria, all’interno di un
carcere che fino a una trentina di anni
fa è stato per molti luogo di esclusione
forzata e obbligata».
Come si sta concretizzando?
«Tutto è cominciato meno di un anno fa,
nel caldo torrido di agosto, grazie all’entusiasmo e all’impegno di amici e vo-
16 MARZO-APRILE 2012
lontari che hanno da subito condiviso il
progetto e regalato il proprio tempo e le
proprie energie per svuotare, pulire, ridipingere e rendere agibili i locali, abbandonati da oltre vent’anni. Ai loro sforzi si
sono aggiunti quelli della comunità Murialdo, che sta contribuendo ai lavori di
ristrutturazione attraverso borse di lavoro per adolescenti in difficoltà, e dell’Ente
di formazione Engim, che ha organizzato
per gli aspiranti elettricisti un’esercitazione pratica per mettere a norma l’impianto
elettrico».
A chi si rivolge?
«Le porte dell’Eremo del Silenzio sono
aperte a chiunque desideri varcarle: ai
giovani, agli studenti, alle famiglie, ai
gruppi intenzionati a condividerne le regole e lo stile… La struttura si compone
di quattro celle dotate di servizi igienici
e dispone anche di una cappella, di una
piccola biblioteca adibita a sala di studio, di un orto, di un ampio giardino e di
uno spazio comune. La sua caratteristica
principale è l’essenzialità, indispensabile
per fare esperienza concreta del silenzio,
raccogliersi in preghiera, studiare, meditare e vivere momenti forti di spiritualità».
La “provocazione” del salesiano
cooperatore Juri Nervo:
trasformare un luogo di
reclusione e di sofferenza in un
luogo di conversione.
missionario per promuovere i valori della Carità, della Pace e del Perdono. Uno
dei miei sogni è che l’eremo possa, un
giorno, proporsi come luogo ecumenico di incontro e di confronto sul tema
del silenzio».
Come si traduce il tuo essere salesiano cooperatore nell’organizzazione
dell’eremo?
Tra San Francesco
e San Giovanni Bosco
Il silenzio è un elemento comune a
numerosi ordini vocazionali. A quale
di essi l’eremo si ispira?
«Figura centrale del carcere Le Nuove e
guida ideale dell’Eremo del Silenzio è il
francescano padre Ruggero Cipolla, che
per mezzo secolo - dal 1944 al 1994 - ne
è stato cappellano. Padre Ruggero, scomparso nel 2006, ha dedicato la propria
vita a restituire dignità agli uomini e a
promuovere il recupero dei detenuti anche attraverso corsi di alfabetizzazione,
orientamento professionale, ebanisteria, falegnameria e sartoria. Per questo
la vita comunitaria dell’eremo non può
prescindere dai pilastri della Regola francescana: preghiera, meditazione e spirito
INFO web
È possibile seguirne le attività
attraverso il sito Internet www.
eremodelsilenzio.it e la pagina di
Facebook “Eremo del Silenzio”.
«Innanzitutto riservando un occhio di
riguardo ai giovani e ai loro problemi.
Sono loro, infatti, i più “bombardati” dalle immagini, dalle informazioni e dai
messaggi contrastanti che giungono dai
mass-media, costretti a vivere all’interno
di un frastuono emozionale in cui è difficile districarsi. Per questo collaboriamo
con l’associazione Educamente, che organizza corsi di formazione per animatori parrocchiali, programmando seminari didattici di sensibilizzazione e con il
centro di evangelizzazione Didaskaleion,
fondato dal Salesiano don Piero Ottaviano, che da gennaio a giugno propone un
corso di base sui fondamenti del Cristianesimo dedicato ai ragazzi. Inoltre, sta
per partire un laboratorio iconistico per
imparare a realizzare icone e a viverlo
come esperienza di preghiera silenziosa».
Carlo Tagliani
[email protected]
ESPERIENZE 17 
Chiesa viva
Noi, pellegrini della verità
Ad Assisi, nella “Giornata per la pace”, Benedetto XVI ha indicato a tutti –
cristiani, credenti di altre religioni, e anche non credenti – la strada per la
giustizia e la pace. Un itinerario a sorpresa: farsi pellegrini della verità.
«miei fratelli e mie sorelle cristiani, rappresentanti del popolo ebraico, distinti
rappresentanti delle religioni del mondo»,
ma anche alcuni non credenti: «persone
di buona volontà, che non seguono alcuna tradizione religiosa ma si impegnano nella ricerca della verità». Con loro il
Papa si è portato nella città del Poverello
in treno, sul convoglio “Freccia Argento”,
rallentando alle stazioni per salutare la
gente. Poi, nella Basilica Santa Maria degli
Angeli ha indicato gli errori che occorre
riconoscere ed evitare. Con la concretezza che gli è solita, con l’aggancio alla storia recente e all’attualità.
V
enticinque anni dopo la storica marcia per la pace guidata da Giovanni
Paolo II, il 27 ottobre 2011 Papa Benedetto ha accolto ad Assisi un gruppo selezionato di credenti e non credenti, proponendo una nuova «Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e
la giustizia nel mondo». E a sorpresa - fin
dal titolo scelto per l’evento - ha indicato loro la strada del pellegrinaggio, da
percorrere insieme se si vuole davvero
perseguire la pace nel mondo. Un pellegrinaggio singolare: secondo il Papa,
occorre farsi “pellegrini della verità”.
Pellegrini, cioè uomini in movimento, in
marcia verso qualcosa di essenziale, appunto la verità. Fare la verità dentro di sé.
Perché senza verità non è possibile vivere
secondo giustizia, né realizzare la pace.
Pellegrinavano con lui (così li ha indicati):
18 GENNAIO-FEBBRAIO 2012
Assisi - “Giornata per la pace”
2011. Il Papa ha anche detto
«Ogni ambiente educativo
possa essere luogo di apertura
al trascendente e agli altri;
luogo di dialogo, di coesione
e di ascolto, in cui il giovane si
senta valorizzato nelle proprie
potenzialità e ricchezze interiori, e
impari ad apprezzare i fratelli».
Materialismo,
mancanza di spiritualità
È questo il primo errore segnalato da
Papa Benedetto. La marcia della pace di
Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986, si
svolse quando il Muro di Berlino era in
piedi e sembrava incrollabile, eloquente
simbolo di un mondo spaccato in due
blocchi contrapposti e armati fino ai denti, pronti a scatenare la guerra. Magari
atomica. Tre anni dopo, con sorpresa dei
politologi, quel muro d’improvviso crollò. «All’improvviso - ha ricordato il Papa
- gli enormi arsenali che stavano dietro
il muro non avevano più alcun significato… La questione delle cause di tale
rovesciamento è complessa… Accanto
ai fattori economici e politici, la causa più
profonda di tale evento è di carattere spirituale: dietro il potere materiale non c’era
più alcuna convinzione spirituale». E senza valori dello spirito si hanno solo muri
contrapposti.
La religione
è causa di violenza?
Altro errore. Ha ricordato il Papa: «La
critica della religione, a partire dall’Illuminismo, ha ripetutamente sostenuto
che la religione fosse causa di violenza,
e con ciò ha fomentato l’ostilità contro
le religioni». Vengono in mente oggi gli
estremismi di tante sette fondamentaliste,
come i talebani, che riempiono le cronache di orrore. Ma non si può esercitare
la violenza in nome di Dio. La religione
- ribadisce Benedetto XVI - non è violenza: «Lo ripetiamo con forza e grande fermezza: questa non è la vera natura della
religione. È invece il suo travisamento, e
contribuisce alla sua distruzione».
Eppure tante pagine di storia portano a
pensare che anche il cristianesimo sia religione violenta, e al riguardo il Papa è
stato chiaro: «Come cristiano, vorrei dire:
sì, nella storia anche in nome della fede
cristiana si è fatto ricorso alla violenza.
Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è
assolutamente chiaro che questo è stato
un utilizzo abusivo della fede cristiana, in
evidente contrasto con la sua vera natura.
Il Dio in cui noi cristiani crediamo è creatore e padre…Tutte le persone sono tra
loro fratelli e sorelle e costituiscono un’unica famiglia». Perciò occorre «purificare
continuamente la religione dei cristiani a
partire dal suo centro interiore, affinché nonostante la debolezza dell’uomo - sia
veramente strumento della pace di Dio
nel mondo».
La contro-religione
dei no a Dio
Benedetto XVI ha poi indicato ai non credenti quali sono nella società «le conseguenze dell’assenza di Dio, della sua negazione… Il no a Dio ha prodotto crudeltà e una violenza senza misura, che è stata
possibile solo perché l’uomo non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice
al di sopra di sé… Gli orrori dei campi di
La violenza non può che contrastare con la religione cristiana,
ma occorre purificare i cuori degli
uomini affinché non cedano alla
tentazione di cedere agli ideologismi e all’uso della forza per affermare una Verità che invece ha
scelto la croce e la debolezza per
rivelare la sua grandezza. Le religioni devono invece divenire via
di pace, luci per un cammino che
conduca tutti gli uomini a comprendere l’importanza e la bellezza della fraternità .
concentramento mostrano in tutta chiarezza le conseguenze dell’assenza di Dio».
Colpevole non è solo l’”ateismo di stato”, sta avvenendo un cambiamento del
“clima spirituale”, che produce una “decadenza dell’uomo”. «L’adorazione di mammona, dell’avere e del potere, si rivela una
contro-religione, in cui non conta più
l’uomo ma solo il vantaggio personale. Il
desiderio di felicità degenera per esempio
in una brama sfrenata e disumana quale
si manifesta nel dominio della droga, con
le sue diverse forme…». In definitiva: «La
violenza diventa cosa normale, la pace è
distrutta, e in questa mancanza di pace
l’uomo distrugge se stesso. L’assenza di
Dio porta al decadimento dell’uomo e
dell’umanesimo».
Dunque farsi pellegrini
La giornata della pace è vissuta in un clima di gioia, alimentata dalle coreografie
e dai canti del Gen Rosso e del Gen Verde. Il Papa ha donato ai 13 rappresentanti delle religioni 13 lampade, perché
«la luce è simbolo della religione che illumina i passi dell’uomo alla ricerca del
cammino verso la pace». In sostanza ha
esortato ognuno alla ricerca, a farsi pellegrino della verità. A mettere in dubbio
le proprie infallibilità. Dio è nel mistero,
la fede porta solo fin sull’orlo del mistero, e occorre continuare la
ricerca. Sempre.
Il giorno dopo Assisi, il
Papa in Vaticano ha preso
commiato dai suoi «distinti
ospiti, cari amici», esortando: «Ovunque siamo, proseguiamo il viaggio rinnovato che conduce alla verità, il pellegrinaggio che
porta alla pace». Ma l’ha
detto per tutti.
Enzo Bianco
[email protected]
CHIESA VIVA 19 
Chiesa viva
Caro Gesù…
còmprati un cellulare
È
una bella consuetudine di qualche
gruppo di catechismo quella delle lettere a Gesù Bambino. Dopo essere lette
pubblicamente in forma anonima, le missive vengono solennemente bruciate nel
cortile della parrocchia l’ultima sera della
novena di Natale. Sono uno specchio interessante della società consumistica ma
anche la spia di piccoli e grandi malesseri familiari. C’è da ridere e da piangere, insomma, ma soprattutto da riflettere. Accanto alle solite richieste di giochi
elettronici, di bambole accompagnate da
auto di lusso e ville miliardarie in miniatura, di strepitose vincite alla lotteria, per
Natale scorso abbiamo trovato i desideri
più spirituali e impegnativi: «Caro Gesù
Bambino, fa’ che i miei genitori smettano di litigare!». «Gesù, fa’ tornare insieme
i miei genitori: non mi piace stare con la
nuova fidanzata di papà perché non vado
d’accordo con i suoi figli!».
«Gesù, per favore fa’ che mio padre non
perda un’altra volta il lavoro!». «Gesù, non
potresti far diventare la mia mamma un
po’ più giovane e bella? Così la mattina
non perderebbe tanto tempo a truccarsi
e non mi farebbe arrivare tardi a scuola!». «Gesù, fa’ diventare più ordinata mia
sorella, perché non ce la faccio più a dividere la cameretta con lei!».
Compare talvolta un serio esame di coscienza con qualche abbozzo di proposito: «Caro Gesù, non riesco ad essere
gentile con mio fratello, ho sempre troppa voglia di fargli i dispetti, ma tu sai che
non sono cattiva. Per favore, quando sto
per rispondergli male, fammi sbattere la
testa, così capisco e mi ricordo».
C’è qualche velato ringraziamento: «Gesù
a me va bene tutto quello che mi hai
20 MARZO-APRILE 2012
dato; non ti chiedo niente. Fa’ continuare la mia vita così».
La richiesta più singolare è quella di Giacomo: «Caro Gesù Bambino, tu che da
grande sei diventato tanto bravo a inventare storielle che piacevano alla gente, non potresti suggerirmene qualcuna
quando devo comporre il testo creativo?
Ogni volta che la maestra ci dà questo
compito mi viene la febbre. Io ho anche
provato a chiederti aiuto, ma forse non
ho parlato abbastanza forte e tu non mi
hai sentito. Non potresti comprarti un
cellulare, così quando devo inventare
una storia potrei mandarti un messaggio e tu, con un altro messaggio, potresti
scrivermi la risposta. Lo so che a scuola
è proibito l’uso del cellulare, ma tu sei
Dio e puoi cambiare le regole, no? Ciao
e grazie». Giacomo.
Anna Maria Musso Freni
[email protected]
Segni & Valori
Leonardo Murialdo è nato nel
1828 a Torino dove ha operato nel
corso di tutto l’Ottocento. Remo
Girone, invece, è nato in Eritrea
nel 1948 e recentemente ha vestito
i panni del santo torinese nel film
“Non sono cavaliere”. Lo abbiamo
incontrato sul set e gli abbiamo
chiesto: quali legami ha Remo
Girone con Torino?
«Io sono nato in Eritrea
però mio padre è nato a
Torino dove è stato operaio
specializzato alla Fiat,
quindi, con questa città ho
dei legami molto forti. Il
fatto che mio padre fosse un
tornitore meccanico crea un
ulteriore legame anche con
il Murialdo che aveva una
predilezione per i giovani e
per gli operai».
fotografie di Renzo Bussio
Non sono cavaliere
UN FILM DI PAOLO DAMOSSO
I
l film «Non sono cavaliere» con la regia di Paolo Damosso (Nova-T) è stato
girato nel novembre 2011, all’interno del
Museo degli Artigianelli in corso Palestro 14, a Torino. L’idea è nata per dare
una visione interattiva e multimediale a
questo luogo, fondato da Murialdo nel
1873. La storia si basa sull’incontro tra
due persone vissute in secoli diversi. Murialdo, in una sorta di viaggio nel futuro,
“ritorna” nel luogo in cui aveva operato
150 anni prima e incontra una madre di
famiglia. Entrambi non si capiscono sui
dettagli che la modernità ha portato con
sé ma si capiranno in modo inquietante
e assoluto sui problemi: «Lo spazio e il
tempo non sono passati perché lui continua a dire delle cose che oggi sono comandamenti – rivela Damosso –. Il suo
impegno nel mondo del giornalismo con
la nascita della Voce dell’Operaio che vive
ancora oggi con la Voce del Popolo, l’amicizia con Cafasso e Don Bosco che, in
un momento di persecuzione della Chiesa, hanno regalato speranze dal punto di
vista sociale – e conclude – Murialdo dovrebbe tornare qui a spiegarci il welfare o
i rapporti tra lavoratori e datori di lavoro».
segni & valori 21 
Segni & Valori
Lei riesce a creare intorno a sé un
clima di distensione, apparendo divertito anche dopo molte ore di lavoro. Come si prepara per i suoi personaggi e quali differenze ci sono
fra cinema, televisione e teatro?
«Prima di tutto studio il copione. Nello specifico ho osservato anche alcune
foto di Murialdo, al quale onestamente io non assomiglio e in questi casi si
cerca di raggiungere una somiglianza
interiore. Era un uomo dotato di grande umiltà. Intellettuale, non molto estroverso e anche schivo. Sicuramente questo aspetto del suo carattere era legato al fatto di essere di Torino (sorride);
La serietà e l’impegno nel cinema e in televisione sono caratteristiche frammentarie; data la natura del lavoro, la concentrazione si gioca sempre nei pochi
secondi in cui si gira – in queste numerose attese, più ci si rilassa e meglio è.
Nel teatro invece è tutto racchiuso nelle due ore circa in cui si è sul palco, la
concentrazione non è frammentaria ma
si prolunga, risultando meno pressante
rispetto a televisione e cinema».
Nel libro “Il risorgimento della carità” di Domenico, Renzo e Domenico
Jr Agasso uscito nel 2011, per Effatà
Editrice - Murialdo è definito «uomo
di preghiera più che di azione». Lei è
un uomo di azione. Quanto è presen-
22 MARZO-APRILE 2012
te Remo Girone nei personaggi che
Lei interpreta?
“Murialdo, come lo stesso Don
Bosco, hanno avuto una vita
piena proprio per la loro generosità”
«Il mio maestro all’accademia, Orazio Costa, diceva: “non si può mettere tutta la
propria personalità dentro un personaggio”; però piccoli frammenti di se stessi, in
fondo, nell’esperienza di tutti gli uomini
sono elementi in comune; basti pensare
al fatto di avere una madre e un padre…
Si pensa molto alla propria vita ed esperienza. Ovviamente, quando s’interpretano figure di santi c’è qualcosa che inevitabilmente sfugge, perché sono esseri
particolari, coraggiosi e operatori di un
“bene” fuori dal comune. Naturalmente
io (sorride) sono estremamente, estremamente, estremamente più egoista. Murialdo, come lo stesso Don Bosco, hanno
avuto una vita piena proprio per la loro
generosità. La mia vita è molto più egoistica e arida e, forse, quando ci si chiede
cosa c’è che non va o il motivo di un periodo grigio, la risposta è proprio questa:
l’egoismo che c’è in noi».
Quali criteri deve tenere presente chi
si avvicina al suo mestiere? E quali
consigli può dare ai giovani una “categoria” tanto cara a Murialdo e Don
Bosco?
“Io sono estremamente, estremamente, estremamente più
egoista”
«Il mestiere non è cambiato. In molti giovani è viva l’idea del “basta apparire”. È
chiaro che chi vuole fare l’attore, voglia
anche diventare famoso ma questo è un
mestiere difficile. Se fatto bene, però, ripaga tantissimo a patto che non si ricerchi solo la celebrità. Consiglio sempre di
fare una scuola; io ho avuto la fortuna di
entrare all’accademia in cui accedevano
soltanto venti persone all’anno. Si faceva
un concorso, all’epoca la scuola durava
tre anni e non si poteva contemporaneamente lavorare, pena l’esclusione dai
corsi. Otto ore al giorno per diventare
attori. Ovviamente, quando si cominciava,
il mestiere vero è molto diverso da come
lo si immagina dai banchi di scuola. Iniziano le frustrazioni: il lavoro è saltuario, ci sono periodi in cui ce n’è molto e
Poster
Nel cuore dell’uomo
le risposte di Dio
È
una parola chiave nella crescita umana. I bambini la usano spesso nella
cosiddetta “età dei perché”. Ma è una parola che usiamo anche noi adulti, davanti
alla sofferenza. Perché il dolore? Perché
proprio io? Interrogativo umano incancellabile, posto anche da Cristo durante
la Passione. Sulla croce, infatti, sperimentò la stessa lontananza di Dio gridando:
«Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
(Mc 15,33).
Sembra che la cultura moderna e postmoderna, non sia attrezzata ad affrontare
il tema della sofferenza e tanto meno della
morte. Nonostante la tecnologia, l’uomo
soffre, ha paura e dovrà morire. L’amore alla vita e a tutto ciò che essa offre di
buono e bello non fiorisce e non cresce
senza prezzo. Tutto ha un prezzo. Talvolta
si dice che “non ci sono rose senza spine”.
È vero. Ma possiamo dire, ed è una sfida all’uomo, che ci possono essere anche
rose dalle spine. Cercare, cioè, di fare della
sofferenza in generale una fonte di energia, che dia vita, luce, calore, diventando
cioè un’occasione positiva. Come?
La sofferenza, dicono gli psicologi, può
diventare un fattore “socializzante”, che
ci aiuta nel maturare il rapporto con gli
altri. Questo però se sappiamo condividerlo e abbiamo la fortuna di trovare le
persone giuste. Un’esperienza di sofferenza, inoltre, può diventare una scuola
di compassione da usare nei rapporti con
gli altri. È interessante notare che, secondo le Scritture, non ci può essere santità senza compassione. Questo ci porta a
considerare il nostro cammino spirituale
e la maturazione umana come crescita
nella nostra capacità di essere compassionevoli verso gli altri.
La sofferenza quando è seria e non ci
distrugge psicologicamente, scava dentro l’uomo, lo “lavora” in profondità, gli
ridona una visione esistenziale più equilibrata, più rispettosa di sé e del prossimo.
Può portare ad una rivisitazione critica di
ciò che vale nella vita. E può aprire al Trascendente. La mistica Giuliana di Norwich
ha scritto: «Quando Cristo soffriva anche
noi soffrivamo. Tutte le creature del creato che possono provare dolore hanno
sofferto con lui». Completando l’intuizione di Giuliana diciamo che quando noi
soffriamo, è Cristo che soffre con noi perché ci ha guarito con le sue sofferenze,
dopo aver sofferto, per amore, per noi.
Non c’è salvezza dal dolore, purtroppo
ineliminabile, ma vi può essere salvezza
nel dolore, accettato per amore. Una vera
sfida, da affrontare come e con Cristo.
Mario Scudu
[email protected]
Ricordati che ogni sofferenza passa. E tutto ciò che tu veramente soffri l’ha sofferto Dio
prima di te (Meister Eckhart).
Alleviare il dolore di un altro
significa alleviare il proprio e alleviare il dolore di Dio, che condivide il dolore dell’universo (Matthew Fox).
Nicolò Musso (documentato dal
1595 al 1620) - Cristo porta la croce al Calvario - Galleria Sabauda.
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE N. 2-2012
Per la tua giustizia,
liberami e difendimi,
tendi a me il tuo orecchio
e salvami.
Volto adorabile
Volto adorabile di Gesù,
sola bellezza che rapisca il mio cuore,
imprimi in me la tua divina somiglianza,
perché tu non possa guardare la mia anima
senza contemplare te stesso.
Andrea Gastaldi (1826 - 1889) - Addio tra Gesù e Maria
Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
S. Teresa di Lisieux (1873-1897)
Lorenzo Pécheux (1729 - 1821) - Crocifissione con la Vergine
e la Maddalena - Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris
Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
Ti prego, Signore
Rapisca, ti prego, Signore,
l’ardente e dolce forza del tuo amore
la mente mia da tutte le cose
che sono sotto il cielo,
perché io muoia per amore del tuo amore,
come tu ti sei degnato di morire
per amore dell’amore mio.
S. Francesco d’Assisi (1182-1226)
Cristo sia con me
Io avanzo sulla mia strada
con la forza di Dio che mi sostiene
la sapienza di Dio che mi guida
l’occhio di Dio che mi dà luce
l’orecchio di Dio che mi fa ascoltare
la parola di Dio che mi fa parlare
la mano di Dio che mi protegge
la via di Dio che mi traccia la strada
lo scudo di Dio che mi protegge.
Cristo sia con me, Cristo davanti a me
Cristo dietro a me, Cristo dentro a me
Cristo alla mia destra,
Cristo alla mia sinistra
Cristo là dove mi corico,
Cristo ancora là quando mi alzo.
Cristo sia nel cuore di chi mi pensa
Cristo sia nella bocca di chi parla di me
Cristo sia nell’occhio di chi mi guarda
Cristo sia nell’orecchio di chi mi ascolta.
S. Patrizio d’Irlanda (390-461)
Bernardino Lanino (1512 - 1583)
Compianto su Cristo Morto - Galleria Sabauda
concentrato, altri lunghissimi in cui non
si fa nulla. Soprattutto all’inizio è durissimo. La formazione e il primo periodo
di attività sono momenti fondamentali
per capire se si ha realmente intenzione
di intraprendere questa carriera oppure
no. A qualcuno che ci capita dentro può
andar bene anche se mancano voglia e
capacità, ma non dura a lungo».
La figura che emerge dalle memorie
del giovane Murialdo appare travagliata, in particolare in adolescenza,
poi, finalmente, c’è stata la vocazione. Come è nata in Lei, la vocazione
artistica?
«La mia vocazione artistica è nata a scuola. Leggevo bene le poesie, mi facevano
recitare in alcune operette. Poi, da ragazzo, sono entrato in un teatro universitario. Ho tentato il concorso all’accademia
quando già la mia vocazione era chiara. La laurea non l’ho mai presa ma me
l’hanno poi data poco tempo fa, quella
della terza età (scherza). Anch’io, come
quasi tutti, ho vissuto un periodo un po’
difficile durante il passaggio al professionismo, immediatamente dopo la scuola.
Avevo un po’ idealizzato un mestiere non
facile e nel quale si incontrano personalità diverse e anche complesse».
Quali segni e quali valori dei tempi
dello studio e nei primissimi da attore, si sono mantenuti intatti, fino
ad oggi?
Il film “Non sono cavaliere” farà
parte del nuovo allestimento multimediale del Museo degli Artigianelli.
«Si mantengono dei valori importanti. Ad
esempio quelli legati al professor Orazio
Costa. Dopo la sua morte si scoprì che
era un francescano degli ordini minori,
soprannominato il “ciclista di Dio”. Aveva
il talento dell’insegnante. Per esempio, io
conosco il mio mestiere ma non so se
saprei insegnarlo mentre lui conosceva
il mestiere e lo sapeva trasmettere. Noi
eravamo discoli (sorride), ricordo che su
di me aveva scritto: “sembra serio”. Da
lui ho imparato a considerare il mestiere come una cosa seria e ancora oggi,
se ci penso, risuonano in me certe sue
indicazioni e impostazioni fondamentali, come la sincerità. “Essere il più sinceri
possibile” è un modo di avere rispetto
del pubblico.
Il mio è un mestiere che ogni volta permette di verificare le esperienze della
propria vita. E sei contento quando, attraverso un personaggio, hai potuto trasmettere qualche esperienza personale
con sincerità e naturalezza».
Emanuele Franzoso
[email protected]
Segni & Valori 23 
Chiesa viva
Tante povertà, una ricchezz
Aumentano i casi di disagio, ma non mancano i segni di speranza: da marzo
le “sentinelle” di casa Mangrovia aiuteranno i nuovi poveri a ritrovare dignità
e forza per ricominciare.
N
uove povertà, un fenomeno da non
sottovalutare ma neanche da enfatizzare. Eccone un quadro sintetico: secondo stime attendibili, l’incidenza della
miseria sulla popolazione nazionale raggiungerebbe il 12% (Istat). L’osservazione
a cura delle Caritas italiane sposta la stima
un po’ sopra il 13%. A questa cifra, che
comprende le povertà conclamate e quelle
cosiddette “grigie” già emerse, va aggiunto almeno un 7-8% di povertà “grigie” in
ombra, colpendo così il 20% della popolazione. Un quinto degli italiani.
A livello piemontese, le cifre sono decisamente più basse. Si resiste meglio in
provincia, dove l’indigenza è al 5,3%. Se
però a questo dato si aggiunge l’emersione delle nuove povertà, si supera mediamente il 7,5%.
Il pericolo maggiore sta nelle città: a Cuneo il tasso complessivo sfiora il 10%,
come anche ad Alessandria. A Torino,
si attesta al 13% di povertà conclamate.
Sommandole a quelle grigie non emerse,
si arriva tranquillamente al dato nazionale. Nel 2012, nella città della Mole almeno
1500 persone sono ancora senza un tetto
dove dormire. «E questo è uno scandalo»,
commenta il direttore della Caritas diocesana di Torino Pierluigi Dovis.
24 MARZO-APRILE 2012
Un dramma al plurale
Bisogna fare un distinguo: non esiste più
un’unica definizione di povertà, ma tante forme, in cui la mancanza di denaro
è solo uno degli aspetti. Sono povertà
al plurale. Sull’humus della crisi economica s’innestano infatti altre mancanze:
povertà relazionale, cioè l’assenza di reti
prossimali dentro o fuori della famiglia;
povertà di senso, per le quali si cerca un
surrogato nelle sostanze, ma anche nel
gioco, nell’acquisto compulsivo o in internet; povertà di condizione, che colpisce soprattutto determinate condizioni di
vita, come l’essere giovane, o madre sola,
o immigrato, o anziano.
Tuttavia, la prima colpa è sempre dei
soldi, oggi come duecento anni fa. Cosa
cambia allora? «Cambiano le modalità di
espressione e i soggetti – risponde Dovis
– chi è colpito non aveva alcun pregresso
con la povertà, né come disagio, né come
dipendenze, o altri fattori considerati “tipici”. Si tratta di persone che fino a pochissimi mesi fa stavano del ceto medio
o mediobasso e potevano contare su un
buon percorso formativo, un’occupazione e prospettive di vita chiare e definite.
Per questo motivo avevano investito sia
sulla propria persona (matrimonio, figli, famiglia) sia sulla professione, sia sul
futuro (mutuo per la casa, prestito per i
beni di consumo). Costoro, che non hanno nessuna esperienza di povertà o di disagio, sono passati – non per colpa loro,
repentinamente e in modo non protetto
– da una forma garantita a quella precaria di vita. Nel 98% dei casi ciò è dovuto
a un cambiamento nell’assetto lavorati-
L’indigenza colpisce un italiano su
cinque. Ma dove c’è crisi c’è anche
l’opportunità di crescere.
za
Pierluigi Dovis, nato a Pinerolo
il 28 novembre 1963,
è direttore della Caritas
diocesana di Torino e delegato
regionale delle Caritas
di Piemonte e Valle d’Aosta.
INFO web
www.caritas.torino.it
vo». Il che ha portato non pochi alla cassintegrazione, a lunghe attese immobili,
all’insinuarsi di un senso di inutilità e di
sconfitta.
Tutto questo ha reso l’uomo di oggi più
fragile dei poveri classici, che non vivono bene, ma hanno sviluppato degli anticorpi. I nuovi poveri questi anticorpi non
li hanno; perdendo lo status sociale rischiano di perdere la motivazione. Non
ne sono immuni impiegati, ingegneri, avvocati, professionisti in genere. Si può cadere a qualunque età. Ma il peggio è che
ci si vergogna di farlo sapere.
Il cambio di rotta.
Oltre il welfare
La nostra società non si è ancora abituata a “vedere” queste situazioni. Rispetto a
dieci anni fa oggi c’è un problema in più:
non si intravvede nelle scelte delle Istituzioni un messaggio che dia prospettive
future. Chi ha bisogno, si rifugia sempre
più del privato sociale (il “secondo welfare”), che però non è in grado da solo
di rispondere a tutte le richieste d’aiuto.
Ma non tutto è perduto. Dove c’è crisi, c’è
occasione di crescita.
«Ci siamo accorti che i metodi tradizionali
di sostegno al disagio non raggiungono
i “nuovi poveri” – dice Dovis – Stanno
emergendo nuove idee».
Tra queste, la rete telematica offerta ai
servizi di carità, che li aiuta a dialogare
senza sovrapposizioni. Il progetto, sviluppato dalla Regione Ecclesiastica, si
chiama “Rospo” (Regione Osservatorio
Povertà). È partito da due anni: vi aderiscono 15 Enti in Diocesi e 30 realtà a
livello regionale.
Certo, da soli è più dura: in tal modo,
invece, è possibile mettere insieme le risorse di ogni partner. Ulteriore passaggio: la rete può diventare extraecclesiale,
mettendo in correlazione realtà esterne
per convergere su progetti mirati. «Finora è andata crescendo con le istituzioni e
con il welfare. Ci stiamo accorgendo che
non basta più – spiega il direttore della
Caritas –. Bisogna agganciare anche imprenditoria, industria, commercio, istruzione, tempo libero ma anche le politiche
per il territorio».
La novità del 2012, sorta spontaneamente
attorno a un’idea lanciata dalla Caritas,
è il progetto “Mangrovia”, che vedrà la
luce proprio a marzo: una task force di
“sentinelle”, persone o piccole realtà responsabili, che si pongono come soglia
per cercare e incontrare le nuove forme
di povertà. Volontari abituati, per professione o vocazione, a relazionarsi con gli
altri. Saranno loro, dopo avere avviato
un rapporto di reciprocità con chi è divenuto “nuovo povero”, anche telematicamente, a farsi tramite con altri enti della
rete, nella ricerca di risorse e competenze
da mettere in campo. Il tutto, coordinato da un centro-base, denominato “Casa
Mangrovia”.
Un nuovo inizio. Non facile, ma con una
certezza: dove ci sono nuove difficoltà, ci
sono anche gli strumenti per superarle.
Luca Mazzardis
[email protected]
CHIESA VIVA 25 
Giovani in cammino
Quando un incontro
fa la differenza
Un tema in classe fa riscoprire il dono più grande.
La fede non è un modo di comportarsi o un insieme
di dogmi, ma l’incontro tra due libertà: quella di Dio
e quella dell’uomo. Un incontro che cambia la strada
sulla quale si pensava di costruire la vita.
I
Il dono più grande che si può fare
a Dio è offrigli noi stessi riconoscendolo come Padre e fonte della
nostra vita.
26 MARZO-APRILE 2012
n una classe, dopo le vacanze natalizie,
il professore vuole saggiare il grado di
conoscenza religiosa dei suoi alunni. Dà
loro un tema: «I tre Re Magi hanno portato a Gesù tre doni: oro, incenso e mirra.
Secondo voi, quale dei tre è il dono più
prezioso? E perché?». Le risposte, come
poteva supporre, sono varie e disparate.
Chi dice che la mirra è il dono più prezioso perché sottolinea come la sofferenza
e la morte in croce di Gesù siano il segno più grande del suo amore per ogni
uomo. Chi sostiene che il dono dell’incenso mette bene in risalto la funzione
sacerdotale di Gesù, quale ponte tra cielo e terra che ha unito Dio agli uomini e
gli uomini a Dio. Altri studenti scelgono
il dono dell’oro come segno di colui che,
Re del cielo e della terra, è proprietario
di tutte le ricchezze che sono state, sono
e saranno.
Il professore, dopo essersi congratulato con gli alunni per il tema svolto e per
le argomentazioni che hanno motivato le preferenze dei doni, però constata: «Devo rammaricarmi con lo studente che ha consegnato il quaderno senza scrivere una riga sul tema proposto.
Perché?». Roberto, stranamente sereno e
sicuro di sé, si aspettava il rimprovero o
almeno una richiesta di giustificazione, e
risponde semplicemente che, a suo giudizio, nessuno dei tre doni è importante.
«Secondo me, il dono più grande che i
tre Re Magi hanno fatto a Gesù è stato
il loro prostrarsi per adorarlo. Mi pare continuò il saggio studente - che Gesù
abbia gradito dai Magi più l’offerta che
hanno fatto di se stessi, che non quanto
essi avevano in mano».
Quanto lontano
sono i miei pensieri
«Perché i miei pensieri non sono i vostri
pensieri, le vostre vie non sono le mie vie
- oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano
le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i
vostri pensieri». (Is 55,8-9).
Il Profeta sottolinea con forza quanto
noi uomini siamo convinti di essere dalla parte di Dio quando ci comportiamo
come noi vorremmo che lui si comportasse. A noi piace ricevere doni e quindi piace anche a lui. Eppure, dobbiamo
ammetterlo, la preziosità del dono non
si misura da quello che si dà o da quanto si dà, ma dal cuore con cui lo si dà.
Il sorriso che accompagna il dono vale
più del dono stesso. E allora, forse, più
che spingere Dio a pensare come noi, la
fede è sforzarsi di avvicinarsi a pensare
come Dio.
I Magi hanno adorato Gesù. Adorare è
annientarsi per amore. È proprio il dono
più grande: donare la vita per gli altri.
Hanno visto in Gesù un Dio che si annienta per amore dell’uomo. E l’uomo,
per rispondere a un Dio che gli si dona,
non poteva rispondere meglio che con la
propria adorazione, che è il suo sì di ogni
momento al prossimo, dono che Gesù
ritiene fatto a sé. Gesù a San Pietro che
lo invitava a comportarsi da Dio e a non
dire che avrebbe dovuto sopportare la
passione risponde: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma
secondo gli uomini» (Mc 8,33).
Ingredienti per
pensare come Dio
Adorare è consegnarsi a chi finalmente,
dopo tante ricerche, ha aperto gli occhi e
ha riempito il cuore di significato aprendo orizzonti nuovi e mai sperati. La fede
non è un modo di comportarsi. La fede
non è un insieme di dogmi da difendere
contro gli avversari. Tanti operatori pastorali si lamentano che i giovani non
sanno le risposte del Catechismo, non
sanno l’atto di dolore, non sanno elencare i Comandamenti e le quattro virtù
cardinali… Forse dovrebbero chiedersi se
i giovani sanno qualcosa di Gesù Cristo
e soprattutto dovrebbero domandarsi se
hanno fatto qualcosa per “consegnare”
loro Gesù piuttosto che tanti sensi di colpa circa l’osservanza di precetti costruiti dagli uomini e imposti ai fedeli come
pesanti fardelli che «loro non vogliono
muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4).
La fede è innanzitutto incontro tra due libertà: quella di Dio e quella dell’uomo, un
incontro che cambia la storia dell’uomo,
cambia la strada nella quale si pensava
di costruire la propria vita e come i Magi
«per un’altra strada fecero ritorno al loro
paese» (Mt 2,12).
Papa Benedetto XVI nell’enciclica Deus
caritas est scrive: «Al centro dell’esperienza cristiana c’è l’incontro tra la libertà di Dio e quella dell’uomo, che non si
annullano a vicenda. La libertà dell’uomo, infatti, viene continuamente educata
dall’incontro con Dio… All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica
o una grande idea, bensì l’incontro con
un avvenimento, con una Persona, che dà
alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la
direzione decisiva».
Il rischio costante è quello di costruire la
fede intorno a verità e speculazioni teologiche senza aver mai incontrato Colui che
solo può illuminare e giustificare tutte le
verità e le speculazioni. Credere è consegnarsi, adorare una Persona, l’unica che
può dare risposte alle nostre domande
e offrire una direzione alla nostra storia
che è storia della salvezza perché piena
e in sintonia con il Salvatore.
Una fede che va costruita ogni giorno,
continuamente, evitando il rischio della
ripetitività, della noia, della sonnolenza,
della ritualità fine a se stessa.
In famiglia il cammino di
educazione alla fede è un
cammino di educazione a una
libertà capace di realizzare
pienamente ogni uomo, è la
preparazione a un incontro
con un Dio che si svela giorno
per giorno nel dialogo e nella
contemplazione della preghiera.
Giuliano Palizzi
[email protected]
Giovani in cammino 27 
Don Bosco oggi
Verso Milano: famiglie pro
Dal 30 maggio al 3 giugno 2012, arriveranno a Milano migliaia di famiglie
di tutto il mondo. L’adma organizza una giornata di preparazione, presso
l’Istituto Salesiano Sant’Ambrogio.
VII Incontro Mondiale delle Famiglie
ADMA Famiglie: giornata di preparazione
Programma
10.00 Ritrovo
10.15 Lodi
10.40 Meditazione:
“La famiglia via di Dio e della Chiesa”
(Don Roberto Carelli, UPS Torino)
11.30 Silenzio e Adorazione
12.00 Pausa
12.10 Risonanza e Condivisione
12.45 Pranzo
14.15 Condivisione di esperienze
15.15 Testimonianza:
Servo di Dio Attilio Giordani, padre di famiglia e
cooperatore
(Don Pierluigi Cameroni, Postulatore)
16.00 Eucarestia IV Domenica di Pasqua
(Presiede Don Elio Cesari, Delegato Pastorale
Giovanile Ispettoria Lombardo Emiliana)
Per informazioni
[email protected]
www.admadonbosco.org
28 MARZO-APRILE 2012
«Non si può portare avanti la pastorale
giovanile se non è unita e aperta alla pastorale familiare. La presenza di famiglie
e giovani coppie che, sotto la guida di
Maria, condividono un cammino di vita,
fatto di formazione, condivisione e preghiera è veramente un dono provvidenziale di Maria Ausiliatrice che si prende
cura delle nuove generazioni». In questo
modo il Rettor Maggiore, a conclusione
del VI Congresso Internazionale di Maria
Ausiliatrice, consegnava alla nostra Associazione l’impegno per le famiglie e per
i giovani.
In tale prospettiva abbiamo deciso di
coinvolgerci nell’evento ecclesiale del VII
Incontro mondiale delle Famiglie che si
svolgerà a Milano dal 30 maggio al 3
giugno prossimi. Una prima possibilità è
quella di disporre di uno spazio alla Fiera Internazionale della Famiglia. Ci pare
opportuno far conoscere la nostra realtà
alle famiglie partecipanti al Congresso,
per offrire un aiuto a vivere la dimensione
cristiana nella vita “feriale” di ogni giorno. Accanto a tale impegno, intendiamo
organizzare la nostra presenza alle giornate con alcuni rappresentanti, mentre
per domenica 3 giugno prevediamo una
partecipazione più significativa, almeno
delle famiglie italiane dell’adma e anche
dei gruppi della Famiglia Salesiana che
dedicano particolare attenzione alla pastorale familiare.
Papa Benedetto XVI ci ricorda: «La nuova
evangelizzazione dipende in gran parte
dalla Chiesa domestica. Nel nostro tempo, come già in epoche passate, l’eclis-
tagoniste
ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE
INFO web
www.admadonbosco.org
si di Dio, la diffusione di ideologie contrarie alla famiglia e il degrado dell’etica
sessuale appaiono collegati tra loro. E
come sono in relazione l’eclissi di Dio e
la crisi della famiglia, così la nuova evangelizzazione è inseparabile dalla famiglia
cristiana. La famiglia è infatti la via della
Chiesa perché è “spazio umano” dell’incontro con Cristo» (discorso alla Plenaria
del Pontificio Consiglio per la Famiglia, 1
dicembre 2011).
Cordoba (Argentina) 1
Il 12 dicembre 2012 i soci dell’adma del
Collegio Pio X di Cordoba, di cui è animatore spirituale il P. José Cuesta, hanno
eletto il nuovo consiglio locale: Myriam
Giuliano De Pinotti (presidente), Gloria
Beatriz Acosta De Sotti (vice-presidente),
Silvia Beatriz Garay (segretaria) e Delia
Claria de Buteler (tesoriera). Buon lavoro
di animazione con l’aiuto dell’Ausiliatrice!
1
Sicilia 2
Il nuovo consiglio regionale adma è stato
eletto il 18 settembre 2011. Il 15 ottobre
sono stati assegnati i diversi ruoli: Luigina Ciaramella, presidente; Rosario Russo,
vice presidente e incaricato per la pastorale familiare; Nerina Petitto, segretaria;
Giuseppe Auteri, tesoriere; coordinatori
di zona che si occuperanno dei vari centri locali della Sicilia: Nicola Burrascano,
Maria Grazia Fichera, Rosario Russo, Maria Canale.
2
DON BOSCO OGGI 29 
Don Bosco oggi
Da Chieri a Torino: quando
Ripercorriamo alcuni momenti della vita di Don
Bosco, negli anni 1841-1844. Il periodo trascorso
al Convitto Ecclesiastico riveste importanza
fondamentale per la sua maturazione umana e
per l’essere prete totalmente impegnato a favore
dei ragazzi.
I
l giovane figlio di Margherita Occhiena, che scende da Chieri verso Torino,
è pervaso da grande entusiasmo sacerdotale frammisto a paure, consce ed inconsce, che gli derivano dal temperamento focoso e dal cuore assetato di dare, e
ricevere, solidarietà ed affetto.
La sua esperienza presso il seminario di
Chieri non era stata molto positiva. Il clima educativo sapeva di formalismo e di
freddezza affettiva. La cultura teologica
era imbibita da tradizionalismo rigido. La
direzione spirituale era circondata dall’alone della morale giansenista. Le relazioni
amicali, da lui tanto ricercate, erano viste
30 MARZO-APRILE 2012
con sospetto e giudicate come strumento
preferito dal demonio per attentare alla
“bella virtù” dei seminaristi. Il prodotto finale di questa “fabbrica” di preti era quello di preparare sacerdoti-funzionari che
privilegiavano il devozionalismo, invece
di far crescere pastori liberi e maturi, capaci di predicare e vivere una spiritualità liberante, matura ed attraente, serenamente e gioiosamente aperta alla vita
così com’è.
Per Don Bosco, i momenti più belli erano
stati quelli vissuti per le strade chieresi, al
di fuori dalle mura del seminario, in mezzo a ragazzi che aveva saputo attrarre per
la sua prestanza fisica e per la sua abilità
da giocoliere. Inconsciamente Don Bosco
percepisce che la grande passione educativa che egli avverte per la gioventù non è
supportata da un’adeguata formazione,
umana e culturale, che lo abiliti ad affrontare con competenza i problemi, esistenziali e di fede, che trasudano dall’universo
giovanile torinese di quel tempo.
L’aiuto di formatori e amici
Nel colmare questa grande lacuna, è aiutato da grandi preti che la Provvidenza gli
permette di frequentare durante i tre anni
passati al Convitto. Il teologo don Guala
e Don Cafasso gli testimoniano con la
la strada insegna a educare
coerenza della loro vita sacerdotale che
cosa significhi e comporti essere prete.
Don Felice Golzio, che diventerà suo confessore abituale dopo la morte di don
Cafasso nel 1860, lo accompagna con
una direzione spirituale profonda, radicata nella sobrietà del vivere, nella serietà dello studio e nell’umiltà dell’impegno
pastorale costante e generoso. Con tre
colleghi di studio (don Giacinto Carpano,
don Pietro Ponte e don Giuseppe Trivero),
che si prendono cura in particolare dei
numerosi spazzacamini valdostani, condivide il cortiletto del Convitto per i giochi e può confrontarsi, scambiandosi le
rispettive esperienze, sulle prime attività
educative messe in atto.
Imparare ad essere prete
tra i giovani
È in questo contesto che si inserisce
l’incontro con Bartolomeo Garelli. Non
dobbiamo leggere questo episodio con
la freddezza dello storico di professione,
ma, piuttosto, calarlo nel calore esuberante di un ricordo che ha segnato una
tappa fondamentale per la missione di
Don Bosco. Lui, nato il giorno in cui la
liturgia della Chiesa festeggia l’Assunta, comincia la sua attività educativa nel
giorno dell’Immacolata. E la Madonna diventerà un perno inalienabile del suo essere prete educatore. Da subito si spoglia
dell’atteggiamento tradizionale, fatto di
distacco e poco garbo, che il clero attiva
nei confronti della gioventù, per calarsi nel ruolo del prete padre, fratello ed
amico: ruolo che è sconosciuto al “clerico di sacrestia” Giuseppe Comotti, tipico
rappresentante delle relazioni giovanisacrestie di allora.
Il dialogo successivo è ricco di coinvolgimento, libero da ogni accenno di prepotenza e per nulla sussiegoso e saccen-
te. Don Bosco riesce a mettere a proprio agio Bartolomeo, che non si rifiuta
alla relazione umana offerta; anzi, si lascia coinvolgere nella proposta educativa offerta con intelligenza e rispetto, e
non imposta. Mano nella mano, accompagnati da Maria, un prete e un giovane
imboccano il lungo sentiero che li porta
ad iniziare un nuovo modo di incontrarsi, a cui ognuno di noi è invitato a partecipare e, se è il caso, a riscoprire nella
sua irrinunciabile autenticità relazionale
di fede e di avventura educante.
Con la sua vita, Don Bosco ci insegna
che se vogliamo entrare in empatia con
la gioventù dobbiamo spogliarci della
presunzione di avere in tasca la soluzione a qualsiasi problema educativo. Soltanto abbassandoci al livello del giovane, riusciremo a stabilire un rapporto in
cui noi, amando ed apprezzando quello
che lui ama, riusciremo a fargli apprezzare quanto è fondamentale per crescere
“buon cristiano ed onesto cittadino”.
Ermete Tessore
[email protected]
DON BOSCO OGGI 31 
Don Bosco oggi
Tra i giovani e sul territorio:
A
bbiamo intervistato Maurizio Baradello, 51 anni, ingegnere, Salesiano Cooperatore dal 1983. Ha lavorato a lungo in un’azienda che produce moduli per stazioni aerospaziali e nel 2001 è passato alla Pubblica Amministrazione come dirigente del Settore Cooperazione Internazionale Pace della Città
di Torino, che si occupa dei rapporti con centri di Paesi in via di sviluppo,
con cui Torino è gemellata o ha degli accordi.
Quali sono stati i progetti che ha curato
più di recente?
Nello scorso mese di novembre, a chiusura delle celebrazioni dei 150 anni
dell’Unità d’Italia, volevamo raccontare
anche cosa Torino ha fatto nell’ultimo
decennio, nel campo della cooperazione
nei rapporti con i Paesi in via di sviluppo.
Abbiamo quindi organizzato una serie di
appuntamenti dove si è offerta una “carrellata” dei progetti della città nel mondo. Il più rilevante in corso è un progetto europeo con Slow Food International,
sul tema dell’alimentazione in Africa, con
altre tre città europee e che vedrà il suo
apice quest’anno all’inizio dell’autunno
con Terra Madre, evento che si svolge
ogni due anni.
Questi i progetti recenti e immediatamente futuri. Che cosa fanno esattamente i Salesiani Cooperatori? Cosa
portano della loro formazione cattolica
nella società civile?
I cooperatori sono la terza realtà che Don
Bosco ha fondato tra le principali assie-
me alla Congregazione dei Salesiani e
alle Figlie di Maria Ausiliatrice. Già al suo
tempo c’era la volontà di avere una presenza di laici che rispondessero a quelli
che sono lo stile e lo spirito salesiano vivendo la spiritualità salesiana nel luogo
dove si trovano. Non c’è una cosa precisa
che il Cooperatore deve fare in vista, ma
ciascuno fa ciò che può e come può a
seconda del tempo e delle capacità di cui
dispone. C’è spazio per tutti nell’Associazione! Nella nostra Ispettoria e Circoscrizione ci sono alcune opere interessanti
che hanno visto partecipare i Cooperatori
in alcuni casi anche con gli Ex Allievi; per
esempio per la casetta a Chieri di San Domenico Savio, che funziona come centro
di spiritualità e di accoglienza.
Quale apporto sostanziale un Cooperatore riesce a fornire alla vita civile?
Il vivere gli impegni lavorativi con lo stile salesiano è una bella sfida! Sono un
dirigente, un tecnico, ma ho sempre un
occhio attento alla politica. L’attenzione
ai giovani e al futuro del territorio e a ciò
che è legato loro e dev’essere funzionale negli anni che verranno, credo che sia
determinante.
È difficile portare la cultura cattolica
nel mondo civile con un ruolo di mediazione?
Non è semplice, ma aiuta molto lo stile
salesiano con le sue caratteristiche per
l’attenzione al territorio. Ci hanno insegnato a vedere le esigenze di quello che
32 MARZO-APRILE 2012
il “lievito” dei cooperatori
è il “Valdocco” oggi, i problemi nella realtà
che ci circonda… come ha fatto Don Bosco nell’Ottocento. Uno stile che va dentro il problema e cerca di risolverlo. Creando partecipazione e coinvolgimento di
tutti quelli che operano, nella convinzione
che da soli si riesce a fare poco, ma uniti
si riesce a fare molto.
Quindi conta molto il” fare squadra” ed
essere coordinati verso un obiettivo comune…
INFO web
www.salcoopicp.eu
Conta tantissimo, così come contano
attenzione e cuore per capire quelli che
sono i problemi nell’ottica di evitare problemi maggiori. Praticamente quello che
ha animato Don Bosco nella cultura della
prevenzione. Cercare di scoprire i problemi, finché sono piccoli, con le energie
presenti in chi ha capacità e tempo.
Anche la società civile può dare stimoli?
Casetta di Domenico Savio
presso Riva di Chieri,
affidata ai Salesiani Cooperatori
e agli Exallievi di Don Bosco.
Certo, è un interscambio reciproco, ci
sono segnali che vengono confrontati e
maturati dentro l’Associazione, che vengono studiati nei campi scuola, che vengono fatti con momenti formativi in cui
si approfondiscono tematiche culturali
o sociali. Si va avanti proprio perché c’è
arricchimento in questo senso e le rispo-
ste si trovano studiando dei percorsi con
lo stile salesiano. Una continua crescita
reciproca.
Veniamo alla realtà del Comitato per l’Ostensione della Sindone, che Lei ha coordinato nel 2010. Quanto la scelta della
sobrietà nell’organizzazione e l’oculatezza delle spese sono state dettate dall’impegno e dalla cultura cattolica?
Nel 2010 mi è stato chiesto di fare il direttore del Comitato e sicuramente aver avuto esperienza nell’organizzare eventi per
il mondo cattolico ha avuto il suo peso.
L’attenzione alle spese per evitare lo spreco e l’utilizzazione di risorse strettamente
necessarie sotto l’aspetto etico, con risorse
dimezzate rispetto a quelle dell’Ostensione
precedente, ha richiesto un duplice sforzo. L’obiettivo era di fare il più possibile
delle opere che restassero, e così è stato
all’interno del “Polo Reale”, all’interno del
Duomo, nel Museo della Sindone e altri
posti. Questa è stata la prima Ostensione
che ha visto la partecipazione di soggetti
privati commerciali. È stato un compito
delicato trattare con loro la gestione delle risorse investite, ma abbiamo riscosso
successo e soddisfazione.
Anna Rita Messe
[email protected]
DON BOSCO OGGI 33 
Sfide educative
Da Hong Kong a Torino per
Cinese, cresciuta a Hong Kong, suora salesiana per scelta, Maria Ko Ha Fong
parla e scrive in cinese, italiano, inglese e tedesco ed è docente a Roma, Hong
Kong e Gerusalemme. A Torino per una conferenza dalla “Cattedra del dialogo”,
racconta la sua esperienza di fede in una terra dove la situazione religiosa “è
certamente molto complessa”.
C
resciuta a Hong Kong in una famiglia di tradizione buddista, da piccola è “contagiata” dal padre, convertitosi
al cattolicesimo attraverso l’esempio dei
missionari e la conoscenza della figura
di Don Bosco. Con le sorelle, frequenta
l’oratorio salesiano. Con sorriso ammette: «Non mi attirava la vita religiosa in sé,
tanto meno l’abito strano delle Suore, ma
stavo bene con loro, soprattutto con le
missionarie. E poi mi affascinava l’idea di
dedicare la vita non soltanto a una famiglia con alcuni figli, ma a molti giovani e
in forma totale, gratuita». Una scelta coraggiosa la sua, quella di abbandonare
il suo Paese e la famiglia per studiare a
Torino, cuore del mondo salesiano.
34 MARZO-APRILE 2012
In Cina ancora diffusa l’idea che
la vocazione religiosa consista in
una privazione delle libertà.
Oggi, Maria Ko Ha Fong, poco più di
sessant’anni splendidamente portati, ha
alle spalle un curriculum eccezionale. Poliglotta, scrive in cinese, italiano, inglese
e tedesco; dal 1978 è docente alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione
“Auxilium” di Roma e all’“Holy Spirit Seminary” di Hong Kong; insegna a Roma
e a Gerusalemme nei corsi di formazione
biblica delle Salesiane, e un semestre in
Cina materie bibliche nei seminari. E altro ancora.
Ancora oggi, a distanza di anni, ogni volta che torna nel Paese d’origine trova curiosità intorno a lei. «Mi domandano se
devo proprio sempre indossare quest’abito, quando posso tornare a far visita
alla famiglia, se posso mangiare al ristorante o andare al cinema… Allora io cerco di far capire loro come la vita consacrata non si basa sulle rinunce, ma mira a
qualcosa di molto più bello, per raggiungere il quale le rinunce diventano vie e
mezzi. Queste domande mi hanno spinta a riflettere sul senso delle limitazioni e
delle restrizioni necessarie nella vita.
La vita consacrata è un’arte che
fa vivere molto nel poco, che
lancia la creatura povera e limitata verso l’infinito, che fa
risplendere la grandezza di
Dio nelle sue umili e piccole
creature. È l’arte di Maria
che esulta nel suo canto
del Magnificat».
una chiamata alla libertà
Presenza cristiana in Cina
Viene spontaneo domandarle qual è la
situazione della Chiesa cattolica in Cina.
Innanzitutto evidenzia che in questi ultimi
decenni si sta assistendo a uno sviluppo che «ha del sorprendente. Una Chiesa
che ha sùbito un taglio netto nelle relazioni con il resto del mondo e della cristianità per oltre quarant’anni, sta lentamente rinascendo. Secondo le statistiche
dell’ufficio centrale della Chiesa “ufficiale”
a Pechino, i cattolici sarebbero oltre dieci
milioni; le chiese riaperte negli ultimi 15
anni, quattromila; oltre 70 vescovi e circa 1500 sacerdoti. Il regime ha permesso
anche la riapertura di un certo numero
di seminari: uno nazionale a Pechino, sei
regionali, una decina tra provinciali e diocesani; i seminaristi impegnati negli studi sono circa un migliaio. Con la politica
di liberalizzazione promossa negli anni
’80, l’atteggiamento del Governo cinese
nei confronti della Chiesa cattolica, si è
fatto più tollerante». Lo Stato continua
a dichiararsi ateo. «La situazione - continua suor Maria - è molto complessa e
ambigua. È difficile affrontare la questio-
ne con poche parole. La mia esperienza
della Cina è limitata ai seminari che ho
visitato e in cui ho insegnato in questi
ultimi quattro anni».
Guardare al futuro
con speranza
Maria Ko Ha Fong, 62 anni,
cresciuta a Hong Kong in
una famiglia di tradizione
buddista, conosciuta la realtà
salesiana ha abbracciato la
vocazione religiosa e oggi
insegna a Roma, Hong Kong,
Gerusalemme.
Scendendo più nel dettaglio, «prima del
1950 in Cina c’erano più di settemila religiose, i due terzi delle quali di origine
cinese. Il destino delle Congregazioni religiose, dopo l’avvento al potere del partito comunista, non è stato diverso da
quello che ha colpito i sacerdoti. Chiusura dei Conventi, espulsione delle Religiose straniere, internamento delle cinesi nelle prigioni o nei campi di lavoro.
Nonostante tutto, molte di loro, incuranti
delle difficoltà hanno continuato a vivere
la propria vocazione in privato. Ora, la
vita religiosa sta lentamente riemergendo.
Recentemente molte case religiose hanno
formalmente o informalmente riaperto le
loro porte. Il numero delle Suore che vive
allo scoperto, o in stato semi pubblico,
si aggira sulle duemila. Non si conosce
nulla, invece, delle religiose della chiesa
clandestina”. Conclude con un messaggio di speranza e fiducia: «Il futuro della Cina risiede nei giovani: a loro guarda con speranza la Chiesa perché sono
capaci di contribuire alla collaborazione
e riconciliazione tra la Chiesa ufficiale e
quella clandestina. Più liberi dal peso del
passato, essi sono capaci di vivere esperienze sincere di fraternità e di amicizia.
Si gioca proprio qui la speranza che accompagna questo lento rifiorire della vita
e della fiducia nella “cultura cristiana” anche da parte delle autorità governative
del paese».
Chiara Genisio – Luca Rolandi
[email protected]
Sfide educative 35 
Sfide educative
Giovani a tutti i costi
Il mito dell’essere sempre giovani attira molti adulti, che non badano a spese
per eliminare i segni del tempo e che talora proiettano sui ragazzi frustrazioni
e stereotipi senza rispondere alle loro domande. Eppure questi attendono
risposte “adulte”.
I
l mito moderno del forever young mette la gioventù al centro dell’interesse
di un certo mondo così detto adulto.
Questa attenzione, molto spesso, attiva
spasmodici tentativi di emulazione comportamentale e di illusione di arrivare ad
ottenere una “perenne giovinezza”. L’esplosione della incredibile vitalità giovanile, la loro statuaria bellezza ed elasticità,
accompagnata da una elegante armonia
corporea, ingenera invidia ed attiva desideri di difficile emulazione.
Per fare questo non si bada a spese, pur
di arrivare ad eliminare i segni che l’implacabile trascorrere degli anni lascia sul
nostro corpo, minando lentamente l’organismo. I miracoli oggi si chiedono ai
chirurghi estetici che con i loro bisturi
tagliano, asportano, aggiungono, rimodellano volti, e non solo quelli, ricorrendo a botulino e silicone a manetta. Non
mancano creme dimagranti o rassodanti
e variopinte tinture di capelli che alimen-
36 MARZO-APRILE 2012
tano l’illusione di essere giovani, nonostante che le carte di identità denuncino
la nostra attempata stagionatura sotto il
sole della vita che da un pezzo ha abbandonato le dorate rive dell’adolescenza.
Lenti di ingrandimento
sovente deformanti
Questo larvato complesso di inferiorità,
porta a coccolare e vezzeggiare i giovani
ed a metterli perennemente sotto le lenti
di ingrandimento, ma sovente deformanti, di “sputasentenze” petulanti che proiettano su di loro vecchie frustrazioni e polverosi stereotipi qualunquistici. Il metro
di giudizio sul mondo giovanile è tarato
sulla lunghezza d’onda della banalità del
vivere di molti nostri contemporanei. Domande importanti sui ragazzi d’oggi non
vengono mai poste. Quali sono i valori
dei giovani? Quali sono le loro certezze
e paure? In chi sperano? Credono ancora in Qualcuno? Per avere dei riscontri
al riguardo, dobbiamo avere il coraggio
di inoltrarci nel web dove li incontriamo
meno restii a manifestarsi e più disponibili al dialogo. Se uno è interessato a
scandagliare il loro vissuto religioso, vi
trova molti elementi da cui è possibile
crearsi un’idea, se non precisa, almeno
verosimile nel suo insieme.
È di questi giorni la notizia che Facebook
ha raggiunto il miliardo di utenti. Fra essi,
i giovani sono presenti in modo massiccio. Bighellonando su Facebook, c’è un
dato che impressiona. Molti adolescenti, nel presentare il proprio profilo, non
esitano a definirsi atei od agnostici. I loro
I social network non sono un
mondo impenetrabile agli adulti,
ma uno strumento che può essere
utile per scoprire meglio cosa vivono i giovani e per aiutarli a trovare
risposte alle tante domande che
affollano la loro vita e che spesso
la società banalizza.
giudizi sulla Chiesa, sulla gerarchia, sui
preti, sul modo di vivere la fede di molti adulti sono impietosi e sferzanti. Tuttavia, questi stessi giovani, all’apparenza così refrattari alla fede, sono gli stessi che danno vita, nel mondo web, ad
una inattesa proliferazione di siti in cui
“lanciano” preghiere bellissime e piene di
pathos; “accendono” candele virtuali alla
Madonna o a qualche Santo che ispira
loro fiducia; “condividono” esperienze di
profonda spiritualità; “ricercano” luoghi
di meditazione e di silenzio in cui ritrovare se stessi.
Nei giovani internettiani
la fede non è morta
L’attenzione a mantenere esteriormente i segni della giovinezza
occupa tempo e risorse che invece potremmo utilizzare per dialogare, attraverso il web con chi
è anagraficamente giovane, per
scoprire con loro i «segreti» della
giovinezza dell’anima.
Il mondo di internet, sempre più, sembra
confermare quello che gli esperti di sociologia religiosa hanno battezzato believing without belonging. La fede giovane
non è morta, ma soffre di nomadismo
esasperato. La fede, ed il suo indotto, è
frutto inconscio di una esangue formazione ed informazione ricevuta nel contesto familiare. È un credere emulsionato
che ha più le caratteristiche di una larvata identità culturale che di una libera e
ponderata scelta che porta ad un nuovo modo di vivere e di relazionarsi. Le
tanto decantate Giornate Mondiali della
Gioventù sono l’esempio più lampante di questa realtà. Esse, infatti, riempiono le piazze, ma non le chiese. Le masse
giovanili, una volta rassicurate di essere
imponenti in termini di visibilità mediatica, si inabissano nell’anonimato individualistico.
Eppure è questa gioventù che aspetta al
varco la Famiglia Salesiana tutta protesa
nel celebrare il bicentenario della nascita
di Don Bosco. Essa non è molto diversa
da quella con cui ha dovuto misurarsi il
nostro Santo fondatore. Lui non si è limitato ad aspettare i giovani all’ombra
della sacrestia, ma è andato a cercarli nei
luoghi dove vivevano, lavoravano od erano sfruttati. Li ha stanati dalla loro paura
proponendo loro progetti concreti di vita
in cui professionalità lavorativa, serietà
di cultura, vita di fede reale si amalgamavano e completavano a vicenda. Ha
spalancato loro le porte di nuove professioni, ha messo a loro a disposizione la
migliore tecnologia del tempo e tutta la
sua santità, esonerandoli dal presenziare
ad inutili convegni, sterili dibattiti o a una
miriade di celebrazioni autoreferenziali,
ridondanti e fuori tempo.
Ermete Tessore
[email protected]
SFIDE EDUCATIVE 37 
Sfide educative
A Valdocco si impara la vita
Il tempo di gesso e lavagna d’ardesia è finito.
Oggi la sfida educativa si gioca sull’innovazione tecnologica e sul tema le
medie di Valdocco hanno molto da dire.
D
all’anno scorso, sono state introdotte nelle classi le lavagne multimediali, collegate direttamente con il computer
del prof, e adesso i ragazzi fanno a gara
per farsi interrogare. Parallelamente, si
è pensato di dotare ogni allievo di un
netbook. La lezione spiegata, gli schemi
messi sulla lavagna interattiva attraverso
la rete interna, possono essere scaricati
come file dagli studenti e portati a casa.
Gli stessi libri sono inseriti per la maggior
parte nei portatili. Un dato interessante, visto l’annoso problema delle cartelle
troppo pesanti. Tutto questo accade alle
medie Don Bosco di Valdocco.
Anche il dialogo con papà e mamma è
molto curato. Spiega in proposito il vicepreside Davide Sordi: «Da qualche anno
si è pensato di introdurre il registro online. Si dà così la possibilità alle famiglie di
essere più vicine alla Scuola. Vi si trovano
non solo voti e annotazioni, ma anche gli
argomenti trattati in aula, nel caso in cui
l’allievo sia malato o non possa recarsi
a Scuola. Il registro è sul sito web dell’Istituto: i genitori possono accedervi con
una password specifica».
L’innovazione è una risposta ai bisogni
dei ragazzi, che sono abituati a vivere la
complessità dei nuovi mezzi di comunicazione. Ma a una condizione: «I preadolescenti di oggi “nascono digitali” – spiega
Sordi – tutto quello che noi chiamiamo
rivoluzione tecnologica, per loro è il presente. La nostra idea è però che la multimedialità debba andare a integrare la tradizione, non a sostituirla. Carta e lettura
dei libri “fisici” non sono abbandonate.
Sarebbe un danno irreparabile. Anche la
38 MARZO-APRILE 2012
lentezza della scrittura è un patrimonio:
nel mondo che va troppo veloce, la possibilità di fermarsi e riflettere è un valore».
A misura di studente
I preadolescenti nascono “digitali”.
Ciò che per noi è rivoluzione tecnologica, per loro è il presente.
INFO web
www.scuolamedia.valdocco.it
Valdocco ha altri punti di forza.
Il complesso, che sorge nel cortile di Maria Ausiliatrice, ospita circa 250, suddivisi in tre sezioni per ogni classe. Oltre al
corpo docente, la struttura conta anche
su due educatori.
Negli anni, la popolazione scolastica è
cambiata molto: ci sono studenti da tutte
le parti del mondo, di seconda generazione, perfettamente integrati. Quest’anno, inoltre, per la prima volta i numeri di
ragazze e ragazzi si equivalgono.
Una cosa non è mai cambiata.
«Oggi come ieri, la nostra Scuola, pur
essendo paritaria, mantiene una dimen-
sione popolare – dice Sordi –. È un nostro punto di forza, in linea con l’idea del
Fondatore».
L’attenzione al singolo è un altro punto
di forza.
«I ragazzi non sono numeri – spiega il direttore, don Enzo Baccini –. Si cerca di far
leva sulle loro potenzialità, non limitandole ma, anzi, valorizzandole. Vogliamo
che credano sempre in se stessi».
Così, il ruolo della Scuola diventa importante anche davanti a varie forme di disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa),
di cui oggi si parla tanto. «Puntiamo a
che i nostri insegnanti siano a conoscenza di queste problematiche e soprattutto
siano vicini ai ragazzi – dice don Baccini
– anche l’approccio multimediale fornisce molti spunti per trasformare il disagio in crescita». La cura per la formazione
umana e cristiana dell’allievo è un aspetto
fondamentale.
Com’è scandita la giornata di un alunno? L’apprendimento scolastico si svolge dalle 8,30 alle 13,30. Le lezioni sono
inframmezzate da un lungo intervallo. È
la parte più corposa della giornata. Tra le
materie più “cliccate”, immancabili Italiano, Matematica e Lingua straniera. Anche
il pomeriggio ha però una parte importante: dopo il pranzo – per chi vuole, c’è
la mensa – arriva il tempo della ricreazione, fatta di gioco in cortile o al coperto, tornei, animazione, arriva il tempo dei
laboratori. Ce ne sono per ogni esigenza,
e tra i più gettonati non mancano Drammatizzazione (teatro) ed Espressione artistica, che sfociano in un grande spettacolo a fine anno. Ma c’è anche spazio per
chi desidera studiare in tranquillità. Meglio se a ripassare la lezione sono piccoli
gruppi. «Insieme si impara più in fretta e
si sviluppa la socialità», dice don Baccini.
Il tutto avviene con la costante presenza
di adulti, come supervisione e accompagnamento. Alle 16,30, o al più tardi alle
17,30, la giornata si conclude, in attesa
della nuova campanella.
La comunità educativa
La scuola punta a far crescere insieme, ragazzi, genitori, insegnanti e comunità salesiana come in
una vera famiglia.
L e medie Don Bosco non si curano solo
della formazione dei più giovani. La loro
vocazione è quella di comunità educativa.
Un esempio in tal senso è quello degli ex
allievi, che tornano volentieri nella loro
“vecchia” Scuola, con cui intraprendono
un percorso aggregativo e formativo.
Ma c’è anche molta attenzione al cammino dei genitori degli allievi di oggi: «Ogni
mese offriamo loro dei momenti di riflessione e di preghiera nella splendida
cornice della Basilica Maria Ausiliatrice,
una possibilità che non ha nessuna altra Scuola al mondo – svela don Enzo
Baccini –. Poi ci sono incontri specifici, le
feste, le gite in luoghi di cultura, di arte
ma anche di spiritualità».
Valdocco è una comunità educativa che
ha come protagonisti i ragazzi e le loro
famiglie; e insieme con loro i docenti e la
comunità salesiana costruiscono insieme
lo stesso cammino.
«Bisogna far sentire ai ragazzi che si vuole loro bene, guadagnarsi la loro fiducia –
conclude don Baccini – renderli responsabili e solidali con il prossimo, dando
loro la possibilità di essere meno arrabbiati con la vita, anche quando appartengono a famiglie con difficoltà».
Luca Mazzardis
Anche il gioco ha un ruolo importante, soprattutto al pomeriggio.
[email protected]
SFIDE EDUCATIVE 39 
Sfide educative
Un progetto europeo: “Euro
A Monaco di Baviera si svolgerà un festival di cortometraggi realizzati
da giovani per i giovani. L’iniziativa coinvolgerà numerose sedi salesiane
d’Europa, secondo lo stile educativo del nostro Fondatore.
© Hervé Vincent - Atelier Multimedia
L
’idea di EuroClip Don Bosco, un Festival europeo di cortometraggi, è nata
durante la riunione dei delegati della
Comunicazione Sociale d’Europa, svoltasi a Bratislava (Slovacchia) due anni fa.
In quell’occasione, i francesi impegnati
in questa pastorale hanno invitato i rappresentanti di Austria, Italia, Spagna e
Repubblica Ceca al “Festiclip”, il festival
didattico di cortometraggi educativi, che
da sette anni è promosso appunto dai
salesiani francesi. In una giornata i giovani, accompagnati dagli educatori che li
hanno aiutati a realizzare i loro filmati, si
ritrovano per assistere alla proiezione dei
loro lavori, discutendo insieme su contenuti e modalità di realizzazione: questo
è “Festiclip”.
Anche in Spagna si svolgono vari concorsi di cortometraggi, soprattutto nell’Ispettoria di Valencia dove, da cinque anni, si
40 MARZO-APRILE 2012
Da 7 anni i salesiani francesi propongono un festival didattico di
cortometraggi educativi si tratta
di una giornata per giovani in cui
vengono visti e discussi i filmati
realizzati dai giovani stessi con
l’aiuto di educatori.
organizza il Micro-Curts Contest. Ci sono,
poi, altre esperienze più locali nelle Ispettorie di Sevilla e León. A livello nazionale,
da tre anni la Confederazione Don Bosco
dei Centri Giovanili ed Oratori promuove
Protagonízate, un concorso di spot realizzati da giovani dei Centri Giovanili e delle
Scuole, che attraverso i videoclip cercano
di sensibilizzare i coetanei, e non solo,
nella lotta contro il consumo di droghe e
sull’importanza di una vita “sana”.
Sulla base di queste iniziative si è organizzato un incontro per preparare un festival europeo che, a partire dalle esperienze locali, possa diventare occasione
di scambio tra giovani che frequentano
Case salesiane nei vari Paesi. L’incontro
si è svolto in Spagna, a Madrid, dall’11 al
13 settembre 2011: vi hanno partecipato
i rappresentanti di Italia, Francia, Austria,
Spagna e la rete europea salesiana Don
Bosco Youth Net. L’incontro è stato possibile grazie alla Comunicazione Sociale della Congregazione, con don Donato Lacedonio, in rappresentanza di don
Filiberto Gonzalez, Consigliere Generale
per la Comunicazione Sociale. A Madrid
si sono definiti gli obiettivi del festival europeo ed esaminati gli aspetti organizzativi in modo da favorire la partecipazione
di realtà salesiane molto diverse. Così è
nato il progetto Don Bosco Euroclip.
Dopo quattro mesi, informato il Consiglio Generale della Congregazione e ottenuta l’approvazione al progetto, i coordinatori si sono ancora ritrovati per coinvolgere più Paesi e Ispettorie con esperienza in questo settore. Intanto, hanno
aderito al progetto il CGS Italia (Cinecir-
Clip Don Bosco”
coli Giovanili Socioculturali), Germania,
Malta, Slovacchia e Polonia. Dal 13 al 15
gennaio scorso, nella Casa Generalizia,
a Roma, si è svolta una riunione dove è
stato lanciato EuroClip Don Bosco (questo il nome definitivo del progetto), con
lo scopo di coinvolgere i giovani della
realtà salesiana, perché attraverso il linguaggio del cinema possano esprimere
le loro idee, preoccupazioni e speranze.
Due fasi: nazionale
ed europea
Il progetto si articolerà in due fasi. La prima a livello nazionale, dove educatori,
laici e religiosi avranno un ruolo importante a sostegno dei giovani, sia nell’aspetto artistico-tecnico, sia nel pensare
quali messaggi trasmettere con i video.
La seconda fase sarà il festival europeo
vero e proprio, in cui i partecipanti saranno selezionati a livello nazionale. Sarà
un’occasione unica per incontrare gli altri
EuroClip Don Bosco non finirà
con il festival: a conclusione del
progetto sarà realizzato un dvd
didattico per i giovani di tutte le
case salesiane d’Europa.
vincitori nazionali, assistere insieme alla
proiezione dei clip e discuterne il messaggio, in un clima di amicizia e ottimismo, secondo lo spirito salesiano.
Non si può dimenticare, a questo punto, la dimensione pastorale. Il cinema è
uno strumento di evangelizzazione dei
giovani rivolto ad altri giovani, come indicato nello slogan scelto per l’“EuroClip
Don Bosco”: “film di giovani per i giovani”. La rassegna si svolgerà a Monaco
di Baviera, con la partecipazione del Rettor Maggiore, don Pascual Chavez. Sarà
un’occasione unica d’incontro tra culture diverse, un’esperienza indimenticabile
per i partecipanti e per gli educatori che
li accompagneranno.
Il festival fa parte del “Progetto Europa”
che Ispettorie e realtà salesiane molto
diverse tra loro stanno realizzando con
un obiettivo educativo comune. Si tratta
di un progetto multidisciplinare che riunisce la Comunicazione Sociale e la Pastorale Giovanile (chi scrive è presidente
della Confederazione dei Centri giovanili
e oratori di Spagna). “EuroClip Don Bosco” non finirà con il festival, dal quale
ognuno tornerà a casa con i ricordi di
un’esperienza unica. A conclusione dei
questo progetto, infatti, sarà realizzato un
dvd didattico per i giovani di tutte le case
salesiane d’Europa, per mostrare a tanti
altri coetanei che è possibile un mondo
diverso, seguendo lo stile educativo di
Don Bosco.
Dal nostro corrispondente:
Ángel Gudiña Canicoba
President Confederación de Centros
Juveniles Don Bosco de España
© Hervé Vincent - Atelier Multimedia
[email protected]
sfide educative 41 
Don Bosco oggi
A Porta Palazzo i faseuj
di suor Yasmine
P
er tanti, l’immagine simbolo di Torino
e della sua anima, più che la Mole o
la cupola del Duomo, è quella di Porta
Palazzo. Definito il più grande mercato
a cielo aperto d’Italia, con il suo Balon,
mercatino delle pulci in cui si rivendono
tuti i rotam ’dla vita, questo luogo di incontro (e di scontro) tra culture, etnie e
religioni, ha visto nascere, crescere, spesso morire, desideri di integrazione con
una realtà sociale cittadina che diventa
sempre più complessa.
Tra le bancarelle di questo mercato, Don
Bosco cercava i suoi oratoriani e firmava
per loro i primi regolari contratti di lavoro. Qui prendeva corpo il progetto assistenziale del Cottolengo, destinato agli
ultimi fra gli ultimi. Qui, da sempre santità, disperazione e delinquenza si rincorrono accanto alle antiche mura romane.
All’ombra di queste mura, sui passi di
Don Bosco, l’8 dicembre 2006, per commemorare il 125° anniversario della morte di Madre Mazzarello, è nato il progetto
Aperta-mente cittadine. Protagoniste, tre
suore salesiane - Paola, Julieta, Yasmine - e donne di diversa provenienza che
abitano il quartiere, alla ricerca di integrazione, identità, lavoro. La piccola Comunità vive in un appartamento di un
condominio multietnico. Vuole essere
una presenza amica, capace di parlare,
ascoltare, aiutare e accogliere. E soprattutto di testimoniare il Vangelo. Dal 2006
si sono realizzati progetti diversi, come le
feste condominiali multietniche, il gazebo che spunta fra le bancarelle durante il
mercato del sabato o l’avvio di laboratori
di taglio, cucito, alfabetizzazione destinati
alle donne.
L’apostolato salesiano non esclude i to-
42 MARZO-APRILE 2012
Ancora oggi a Porta Palazzo
i Salesiani sono vicini ai più poveri,
non solo gli italiani che ai
tempi di Don Bosco facevano
fatica a trovare un piatto di
fagioli, ma anche gli stranieri che
oggi mangiano cous cous.
rinesi, ai quali rivolge l’invito ad aprire la
mente e il cuore. Anche se nella grande
piazza le molte varietà di arabo e di cinese hanno soppiantato i dialetti alpini e gli
idiomi di tante Regioni italiane. Anche se
oggi si consumano kebab e cuscus negli
stessi locali dove cinquant’anni fa si vendeva, per poche lire, un piatto di pasta e
fagioli agli immigrati del nostro Sud, in
cerca di fortuna.
Ecco la ricetta della tipica minestra piemontese. Soffriggere in poco olio un trito di cipolla, lardo e aglio. Aggiungere 2
litri di acqua e cuocere 200 g di fagioli
secchi, ammollati per una notte. Dopo
un’ora circa, unire 200 g di pasta corta.
A cottura ultimata, versare nella pentola
una cucchiaiata di prezzemolo tritato e
una spruzzata di pepe.
Anna Maria Musso Freni
[email protected]
Lettere a suor Manu
Educare alla fede: sì ma…
Sono mamma di due bambini di terza e
quarta primaria. Sono catechista e ritengo la fede e la vita cristiana il valore più
grande che io possa trasmettere ai miei
figli. Un anno fa mio marito se n’è andato,
poi si è pentito e avrebbe voluto rientrare a
casa ma io non me la sono proprio sentita.
Così ci siamo messi più a meno d’accordo
perché potesse vedere i bambini anche lui.
Ora però, quando i bambini sono con lui,
non li porta a Messa e non li aiuta a pregare, anzi ha uno stile di vita molto lontano dal Vangelo. Non sarebbe opportuno che anche mio marito si preoccupasse
almeno di portarli a messa?
Una mamma sola
Mi ha colpito soprattutto la frase «non
me la sono proprio sentita». Certamente aveva mille motivi però io credo che
il gesto che, più di tutte le Messe e le
preghiere, avrebbe aiutato i suoi bambini
a comprendere la proposta del Vangelo, sarebbe stato il perdono dato a suo
marito. C’è un racconto di Bruno Ferrero
Nei rapporti affettivi, nella coppia,
ma anche tra genitori e figli è importante un reciproco aiuto a coltivare la dimensione della fede.
che ci aiuta a riflettere, sebbene parli di
rapporto padre e figlio che è certamente
diverso dal rapporto coniugale, sul valore
del perdono.
«Intorno alla stazione principale di una
grande città, si dava appuntamento una
folla di relitti umani: poveracci, ladruncoli,
giovani drogati... Infelici e disperati. Barbe lunghe, occhi cisposi, sporcizia. Colpiva, tra tutti, un giovane, che si aggirava
in mezzo agli altri poveri naufraghi della città: quando le cose gli sembravano
proprio andare male, estraeva dalla sua
tasca un bigliettino unto e stropicciato e
lo leggeva. Poi lo rimetteva in tasca. Qualche volta lo baciava, se lo appoggiava
al cuore o alla fronte. La lettura del bigliettino faceva effetto subito: riprendeva coraggio. Su quel biglietto sei piccole
parole soltanto: “La porta piccola è sempre aperta”. Era un biglietto che gli aveva
mandato suo padre. Significava che era
stato perdonato e in qualunque momento avrebbe potuto tornare a casa. E una
notte lo fece. Trovò la porta piccola del
giardino di casa aperta. Salì le scale in
silenzio e si infilò nel suo letto. Il mattino dopo, quando si svegliò, accanto al
letto, c’era suo padre. In silenzio, si abbracciarono».
Essere cristiani non è solo pregare. Il perdono è certamente l’impegno più difficile
che Gesù ci ha lasciato, però è la carta
d’identità del cristiano vero. E per i vostri bambini un gesto di perdono così,
avrebbe più forza di mille Messe. Per non
parlare della pace e della gioia che avvolgerebbe il suo cuore, la sua vita e quella
della sua famiglia.
Manuela Robazza
[email protected]
DON BOSCO OGGI 43 
Un bouquet per Maria
D
on Bosco faceva le cose bene. La sua
operetta sulle meraviglie di Maria lo
dimostra. Di Gesù tutti si stupivano e dicevano: «ha fatto ogni cosa bene; fa udire
i sordi e fa parlare i muti» (Mc 7,37). Ma
anche di Don Bosco, della sua splendida
figura sacerdotale, della fecondità della
sua opera educativa, e anche dell’impegno per la stampa cristiana di carattere
popolare e divulgativo, si doveva ammettere che vi era del prodigioso. Il 27 aprile
1865 veniva posta la pietra angolare della chiesa-santuario di Maria Ausiliatrice
in Torino-Valdocco, destinata a diventare
centro di religiosità popolare ed ecclesiale e fulcro dell’opera salesiana nel mondo. Verrà consacrata solo dopo 3 anni,
il 9 giugno 1868: davvero sorprendente,
come sempre le opere di Dio!
Il progresso straordinario nella costruzione dell’edificio sacro fu frutto sia
dell’insonne elemosinare di Don Bosco,
sia soprattutto delle numerose grazie ottenute per intercessione della Madonna
invocata sotto il titolo di Ausiliatrice, di
cui Don Bosco si faceva paladino e fiduciario. Don Bosco accompagnò questi
eventi con la pubblicazione di opuscoli
che illustravano l’evento, lo motivavano
e stimolavano a collaborare all’opera avviata. Tra questi spicca il libretto Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il
titolo di Maria Ausiliatrice, che riproponiamo a tutti i devoti di Maria Ausiliatrice e ai gruppi della Famiglia Salesiana,
come espressione della dimensione mariana della storia, della pedagogia, della
spiritualità del grande padre e maestro
dei giovani.
Una breve introduzione di don Pierluigi
Cameroni, animatore spirituale dell’Associazione di Maria Ausiliatrice, e un commento teologico a cura di don Roberto
Carelli aiutano ad apprezzare questo florilegio in onore della Madonna, che si in-
44 MARZO-APRILE 2012
serisce nell’illustre filone mariologico che
va sotto il nome delle “glorie di Maria”, in
cui il vigore del pensiero e la devozione
del cuore sono una cosa sola.
San Giovanni Bosco
Meraviglie della Madre di Dio
Prefazione di Pierluigi Cameroni
Commento teologico di Roberto Carelli
Editrice Elledici
Pagine 168, € 6,00
Don Sergio Pellini
alla Tipografia Vaticana
Lo scorso gennaio, il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato Vaticano, ha nominato direttore generale della Tipografia
Vaticana - Editrice “L’Osservatore Romano”
don Sergio Pellini, che subentra a don Pietro
Migliasso, direttore per tre anni.
I lettori conoscono bene i due sacerdoti salesiani
perché entrambi hanno partecipato per anni alla
vita della Basilica di Maria Ausiliatrice e hanno collaborato, anche con ruoli diversi, alla nostra Rivista.
In particolare, don Sergio Pellini è nato a Legnago
(Verona) nel 1959 ed è sacerdote dal 1987. Dopo
vari incarichi, dal 2005 a giugno 2010 è stato Rettore
della nostra Basilica. Poi è stato Rettore della Basilica di Colle Don Bosco. Con il nuovo incarico assume
anche quello di direttore della comunità salesiana
“San Francesco di Sales” in Vaticano. «Il passaggio
dal Colle don Bosco all’Editrice - ha detto - non è
certo semplice, ma è un’ulteriore opportunità per
vivere lo spirito di servizio al Papa, che fa parte del
nostro carisma».
Don Pietro Migliasso, originario di San Damiano d’Asti, dopo tre anni lascia, appunto, l’incarico di direttore generale per altri importanti impegni nella
Congregazione.
Mandateci le vostre
foto con la rivista in mano!
[email protected]
Con i suoi 102 anni, che compirà il
prossimo 17 aprile, Consuelo Felicia
Fetta Cuomo, di Piedimonte Matese
(Caserta), è tra i più “grandi” devoti di
Maria Ausiliatrice e di Don Bosco. Salesiana
cooperatrice, è abbonata alla nostra Rivista,
che legge e commenta con parenti e amici.
Ci uniamo alla sua e loro gioia,
assicurando il ricordo in Basilica.
Mandateci i vostri sms!
Basta inviare un messaggio,
anteponendo alla vostra richiesta
di preghiera la parola RIVISTA al numero 320.2043437.
Pubblicheremo gli sms più significativi
e a tutti assicuriamo il ricordo in Basilica
In questo numero
il saluto del rettore
1 Niente ti turbi, cristo è risorto
Giovani in cammino
26Quando un incontro fa la differenza
a tutto campo
2 Conquistati dalla meraviglia dei giovani
don bosco oggi
28Verso Milano:
leggiamo i vangeli
4
come gli apostoli: scelti e amati
30Da Chieri a Torino:
in cammino con maria
6 Gesù: “ricercato numero uno”
maria nei secoli
8
Il dogma dell’Immacolata: la luce dell’800
10L a Madonna in campagna
la parola qui e ora
12Quest’uomo era Figlio di Dio!
amici di dio
14L a ‘buona a nulla’ di Lourdes
prediletta da Maria
esperienze
16Il silenzio nel cuore della città
chiesa viva
18Noi, pellegrini della verità
20C aro Gesù... còmprati un cellulare
24Tante povertà, una ricchezza
famiglie protagoniste
quando la strada insegna a educare
32Tra i giovani e sul territorio: il “lievito”
dei cooperatori
42A Porta Palazzo i faseuj di suor Yasmine
sfide educative
34Da Hong Kong a Torino per una chiamata
alla libertà
36Giovani a tutti i costi
38 A Valdocco si impara la vita
40Un progetto europeo:
“Euro Clip Don Bosco”
lettere a suor manu
43Educare alla fede: sì ma…
44Un bouquet per Maria
poster
Nel cuore dell’uomo le risposte di Dio
segni e valori
21Non sono cavaliere Nº 2 - 2012
ANNO XXXIII
BIMESTRALE
marzo-aprile
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Remo Girone è MURIALDO,
amico di DON BOSCO
pag. 6 Gesù
L’uomo più “ricercato”
della storia
pag. 26 Un tema
in classe
pag. 38 A Valdocco
Fa riscoprire la
differenza: vivere per Dio
la sfida educativa
è sull’innovazione
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