TURI GRASSO SATIRA CARNASCIALESCA EDITO DA TURI GRASSO TURI GRASSO SATIRA CARNASCIALESCA EDITO DA TURI GRASSO Tutte le stampe qui riprodotte, copertina compresa, sono state tratte da Internet. PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento totale o parziale (comprese le copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati per tutti i Paesi Giugno 2013 I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento totale o parziale (comprese le copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati per tutti i Paesi TAVOLA I TAVOLA II PIETOSO PROLOGO Nel costituire il seguente florilegio di amenità ho titubato parecchio, perché si sa, quanto il terreno sollazzevole, molto più di quello grave, sia difficile da preparare. L’input ad avermi fatto decidere è partito da parecchio lontano, e precisamente da una mia forse trentennale collaborazione al “Numero Unico”, annuale rivista satirica in occasione del carnevale acese edita dal Circolo Universitario della città. Difatti i tanti bozzetti accumulatisi, da soli avrebbero potuto formare una abbondante raccolta di sketch, quindi era tempo di guardare con più impegno ad una rispettabile antologia, cogliendo ed elaborando, frequenti nel quotidiano, gli spunti nuovi che andassero ad arricchire la rassegna. Un ulteriore incoraggiamento mi venne da una mia brusca decisione di non collaborare più con il “Numero Unico” dopo la scelta della sua redazione del 2013 di non pubblicare l’articolo da me al solito fattole arrivare a seguito della richiesta da parte di amici, risultato indegno a causa di una nebulosa mancanza di bon-ton verso la categoria professionale carnascialescamente satireggiata in esso. La cosa curiosa consisteva, già da subito dopo averlo letto, nel ritrovarsi i curatori vigilatori unanimemente concordi sull’impiego del garbo nel pezzo in esame, in linea con il principio di fondo da fare assolutamente salvo, cioè il decoro, solo demeritava per non aver voluto l’autore acconsentire alla sostituzione di una delle definizioni qualificative, ovviamente quella che caratterizzava meglio, riguardante una parte della casta sotto ricreativa osservazione, e questo tentativo di maquillage coerentemente con il passato l’autore non l’ha permesso, così come mai lo permetterà in futuro, perché culturalmente refrattario al partecipare all’abituale salameleccare di quanti nel praticarlo, amabilmente gioiscono di coprirsi di ridicolo, pur di interpretare un ruolo, quale che sia. Si pretendeva che, dovendosi trattare anche lepidamente di un aspetto dell’etica professionale, lo si dovesse fare modellando il non visto, il non udito, il non emozionalmente sentito, il non constatato, il non vissuto, il completamente estraneo, il parto di fantasia, dedicando solo ammiccanti incensamenti, e dando così prova di prediligere la diversione piuttosto della giusta direzione, per giunta su uno dei settori delicati, quale potrebbe essere quello riguardante la scuola, la giustizia, la difesa, la salute… Insomma collaborare al formarsi della collaudata condizione del fruitore finale di gabbato e cornuto, e lo si chiedeva con animo leggero, tanto che per antifrasi l’ubriaco potesse diventare un esilarante clown, il biscazziere un provetto finanziere, l’imbroglione un illustre avvocato, il debosciato un viveur o latin lover del ca…, il mafioso un autorevole paciere, l’usuraio un filantropo, il terrorista un patriota, il ricattatore un esperto broker, il ciarlatano guaritore un ottimo clinico, il politicante un genio… finendo tra l’altro, che a questa pletora di mestatori allo sbaraglio si facesse violenza al meritato giudizio di propria spettanza da se stessa cucitosi addosso, e di conseguenza la si sbeffeggiasse maggiormente di quanto le si volesse risparmiare. Per una mia migliore comprensione, mi è stato confidato che nella categoria da me compostamente caricaturata vi appartenesse un figlio di un qualche importante personaggio del Circolo Universitario, coincidenza questa che automaticamente faceva scattare la sanzione del tabù. Io non so se fosse stata effettiva l’individuazione della motivazione dell’alt, ma nel caso positivo di verosimile predisposizione alla vergogna da parte del presunto traffichino, dopo aver rispettato ogni garanzia di decenza verso i destinatari dei miei leggeri frizzi, non potevo non constatare, che sui curatori dell’opuscolo, presto mummificatisi, pendessero arroganti imposizioni da ufficio divino, rispettosamente ubbiditi. E proprio in virtù di ciò, alla luce della risposta ostativa da me ricevuta, tranne le rare volte che non mi si fosse potuto scansare, nelle quali si osservava un silenzio tombale sull’argomento, si produsse di dovere, il volatilizzarsi dei suaccennati presunti amici ritrovatisi con le spalle al muro di fronte al mio peccato di apostasia, essendo da loro erroneamente ritenuto anch’io, un accolito alla dimestichezza al compromesso di comune osservanza del gruppo! Evidentemente da allergico a subire simili autoritari comportamenti, soprattutto ligio alla mia fede ateoprogressista, non mi è restato altro che fare non uno, ma più e in fretta passi indietro. Agli universali carnilavarini protagonisti della auspicata gioviale berlina, ed effettivi eredi cromosomici di Carnevale, del quale oltre a nutrirsi stabilmente nel cuore e nella mente, il suo sangue avvertono fluire nelle vene! TAVOLA III TAVOLA IV AD ACIREALE E’ SEMPRE CARNEVALE “Signore, signori, grandi, bambini, invalidi, sani, soli, sposati, amanti, mercanti, servi, sciacquini, politici, ladri, nudi, impiegati, dottori, ignoranti, professionisti, tutori di legge, birbe, fetenti, aruspici, preti, suore, sacristi, munifici, tirchi, furbi, potenti, strozzini, tafani, ermafroditi, carogne, pezzenti, lubrichi, santi, nemici di Dio, vili, pentiti, drogati, briachi, bari, furfanti, lor tutti fedeli, sudditi amati, ringrazio di cuor, Io, Re Carnevale, v’accoglie frementi, gai, pigiati, la splendida piazza d’Acireale. 13 Mi fanno un onore troppo toccante, ed Io commosso prèsone atto, m’asciugo quest’occhio già gocciolante, intono un inno ben soddisfatto: beviamo, cantiamo,tutti balliamo, coriandoli, acqua, talco lanciate, lasagne, ragù, salsicce mangiamo, petardi, filanti, manganellate spartiam tra le teste cavoliòli, di noi acesi noti nel mondo, gazzarra teniam, di stille si scoli, allegri, felici, in girotondo!” “Scusate, mio Sire, Vostr’Eccellenza, se tanta baldoria turbo, noioso, Vi chiedo d’avere Vostra licenza, d’esporVi con lagne temi ch’io sposo.” 14 “Parlate, piagnone, Io vi ascolto, stringate nel dire, più che potete. Fermar tutta l’orda mi sembra stolto ordunque, trattate, cosa volete?” “Sovrano potente, vengo agli eventi, la nostra città incerta cammina, le aule mancan per gli studenti, gl’impianti sportivi vanno in rovina. Imbrattano i muri, rompon vetrine, riman l’ospedale sovraffollato, le fulgide spiagge sono latrine, il pubblico impiego viene donato Strombazzan marmitte, clacson snervanti, parcheggi intasati sono le strade, le case s’affollan come giganti, mangiandosi il verde senza pietade 15 Le opere d’arte vanno in sfacelo, le stanze d’uffici abbandonate, i fatti di sangue gettan nel gelo, esplodono bombe, pistolettate! Di tanto marasma io mi lamento, e chièggioti stufo d’intervenire, rimango di stucco, teso mi sento, sì, voglio che presto vada a finire! Non credo s’addica far sempre festa, un anno continuo senza pensieri; pazzesco sarebbe, cosa molesta, ci sta ogni tanto essere seri “Perché manigoldo sbraiti tanto? La folla linciarti ora ti vuole, ma, Io per pietà, coprir col mio manto infin ti dovrò, perché a me duole! 16 Però mi rincresce, pene tu avrai! L’esilio ti do per l’impertinenza, dal Regno più fasto emigrerai: farò eseguire questa sentenza! Pel culo, gendarmi, l’agitatore prendete, battete come vi piace, buttatelo fuori il turbatore, speriam perdio vivere in pace! Beviamo, cantiamo, tutti balliamo, coriandoli, acqua, talco lanciate, lasagne, ragù, salsicce mangiamo, petardi, filanti, manganellate spartiam tra le teste cavoliòli, di noi acesi noti nel mondo, gazzarra teniam, di stille si scoli, allegri, felici, in girotondo!” 17 18 TAVOLA V TAVOLA VI Facce di culo ridens Gentili lettori, mi preme precisare che la categoria antropologica “facce di culo ridens” da me modestamente sottoposta alla vs. cortese attenzione, non è una trovata carnascialesca, ma è l'individuazione di paziente ricerca scientifica che colloca nell'ultimo decennio il raggiungimento del suo apogeo. Si fonda sulla presunzione di superiorità sia intellettiva ed intellettuale che pratica, sullo spirito di servizio al di sopra di ogni sospetto, è di fede populista e non disdegna di ammiccare ai valori dell'aurea mediocritas, di andreottiana memoria. Capostipite indiscutibile (per sua ferma determinazione accompagnata sempre da modestia) è uno scrupolosissimo imprenditore, presidente di un celebrato clan s p o r t i v o , d i p a r e c c h i e t e l e v i s i o n i , d i s o c i e t à i m mo b i l i a r i , a s s i c u r a t iv e , e d i to r i a l i , di governo, e aspirante (se non ci f osse già) padreterno, con modestia parlando.Co me tutti i personaggi illustri segnano il suo tempo ed oltre, rivitalizzandosi con il contributo dei suoi più fedeli incorruttibili collaboratori ed epigoni quali ad es. e non è poco, un Tremonti, un Bondi, un Calderoli, uno Storace, un Giovanardi, un Rotondi, un Cuffaro un Garozzo etc. etc. Basterebbe il solo menzionarli per suscitare ilarità, prerogativa principale di questo volumetto scacciapensieri. Intrattenersi con loro sarebbe il top del teatrino, ma richiederebbe troppo tempo, cosa che mi consiglia con qualche rimpianto di soffermarmi sul rappresentante di casa nostra, per prestigio minore solo nella carica non sulla somatizzazione della caratterizzazione più in voga del momento. Sindaco di Acireale, a parte la sua predilezione per le castagnole nei civili rituali delle feste religiose, e per l'illuminazione festaiola nelle di per sé f r i z z anti s e r e e st iv e , bi sb ig li a nt i con si gli e r e di te po r e , a p a r te l a s ua s od di s f a zione sul decoro del centro storico cittadino (basta una fugace panoramica del c.so Umberto per convenirne), sullo stato del traffico veicolare, sullo stato del verde pubblico, sullo stato igienico generale..., la perla intuitiva di questo impareggiabile politico risalta 19 proprio sull'ultimo punto: l'immondezza! Se tolta alla mafia può produrre oro, con ricadute miracolose sull ’occupazione e può creare ricchezza per le comunità. Questo lo sa bene il Presidente della Regione che accettando (forse per fare qualche favore però d'indubbia trasparenza) lo stoccaggio dei rifiuti dei campani a preferenza dei nostri lasciati imputri dire sulle strade (è nel carattere siciliano togliersi il pane di bocca per gli altri) ha potenzialmente immagazzinato occasioni di prezioso sviluppo. Ma il ns. sindaco ha visto più lontano e prima del più blasonato commilitone politico regionale. L’illuminato amministratore rimuginando tra sé e sé la situazione delle fognature realizzate per non essere attivate (certamente per scopi esoterici), da un precedente campione di pubblica amministrazione della stessa appartenenza politica e sicuramente precursore della specie "faccia di culo ridens", sorprendentemente ebbe ad avvertire lo scocco della scintilla nella sua mente tesa a realizzare sotto ogni profilo un’opportunità di notevoli gratificazioni. Certo le grandi scoperte non capitano a caso: lui era già sulla buona strada lasciando a riposo forzato il cesso cloaca di Villa Belvedere, dove solo a passargli accanto si rischia di doversi ritrovare in un reparto infettivo, e costringendo così i clienti dei bisogni (e non son pochi specie quando i pullman dei visitatori avventizi, cosa non infrequente, occupano p.zza Indirizzo ), a giocar di braghe dentro le aiuole con il sorprendente risultato. di far lussureggiare a costi zero la parte più discreta del parco, la levantina, mentre agl'ipertrofici acesi della prostata indica i locali pubblici (nella zona l'unico è il bar Belvedere, dove occorrerebbe l’eliminacode per assegnare il turno ad ognuno, sempre che, per sopraggiunti guasti non s’incappi nel fuori servizio del bagno). E allora? Altra insospettata utilità per i bisognevoli malcapitati che dall’impellente necessità di svuotare la vescica (specie quando il problema si fa più serio con l'arrivo del freddo e dell'umidità) possono, dalla negata minzione, con l'orina non potuta più trattenere, trarne un provvidenziale riscaldamento dalla 20 cintola in giù. Ed è proprio dall'esito positivo della mancata attività del cesso che l'illustre innovatore abolisce, creando armonia tra i cittadini e immondezzai di fortuna; vedi, quello accosto all'angolo nordorientale della Zelantea (edificio . che dovrebbe essere un tempio di cultura quali per la religione lo sono la Cattedrale, S.Pietro o S.Sebastiano, e non credo che sui loro muri e s t e r n i u g ualmente sacri si permetterebbe di ammassare rifiuti di sorta, certo in quel caso la rivolta acese si farebbe sentire, e come!), dunque dicevo, l'illustre riformatore abolisce i cassonetti dei rifiuti del centro storico, poiché con la loro grossolana foggia (l’ambiente meriterebbe qualcosa di carino tipo macrobeauty-case) deturpano la grazia d'un patrimonio tanto invidiato. Tuttavia la decisione a prima vista insensata mostra tutta la sua genialità con l’arrivo delle piogge, evento che con il contributo delle fognature stagne fa diventare tutta la zona pressoché navigabile ideata per i sacchetti a galleggiarvi belli come candide ninfee creando un'atmosfera di rara suggestione, (meritatissima emozione per gli utenti della nettezza urbana ripagati così in parte di quanto sborsano di tassa), tanto da sorprendere lo stesso ideatore, intenzionato però in avvenire a creare più policromia nello spettacolo mediante la raccolta differenziata dei rifiuti in appositi sacchetti variamente colorati forniti dall'amministrazione comunale, e poi organizzare dei veri e propri circuiti turistici sull'incantevole laguna ricavata. L'autoconvincimento del progetto nell'insospettato brillante scenografo sindaco raggiunse una tale euforia da fargli consacrare, con ordinanza (della quale una copia affissa in vetta all'immondezzaio sorto a ridosso del muro esterno della Zelantea legittimandolo di fatto) successiva di tre mesi circa dall'esperimento, la regolamentazione degli orari di conferimento e per i trasgressori delle relative multe. Chissà che una tale realizzazione non ispiri più di uno dei tanti talenti locali a dar vita a una crestomazia magari sotto un titolo evocativo quale potrebbe essere: "I fiori del male...intenzionato". 21 Comunque sia una quota d'indecisi è rimasta a chiedersi se la situazione igienica generale acese non ne venga a soffrire per contraccolpi negativi sulla salute. Ebbene posso io rassicurar costoro invitandoli a recarsi all'affacciata Belvedere, dove sotto la ringhiera nell'aiuola a sinistra riservata al calendario verde potranno trovare la risposta e, constatando che ad Acireale il tempo si è fermato, restare felicemente sorpresi del fatto che di conseguenza la vita si allunga a dismisura! Buon Carnevale! 22 TAVOLA VII TAVOLA VIII Esegesi sulla soppressione dei cessi pubblici acitani In occasione del rinnovo della carta d’identità in un ufficio sito in p.zza Cappuccini, a ridosso dei vecchi bagni pubblici, dovetti notare con una stretta al cuore che la grande buca dov’essi erano calati era stata addirittura coperta come a riparazione di un’onta da dimenticare. L’emozione da me provata scaturiva principalmente dai ricordi della fanciullezza nel tanto tempo trascorso assieme a una piccola brigata, amica del sorvegliante ragazzo come noi, sostituto del padre appaltatore del servizio, da questi costretto a guadagnarsi la pagnotta, e quel tempo si spendeva in allegria durante le marinate a scuola, stipati in una specie di guardiola unta, anzi bisunta, giocando a carte siciliane e fumando in santa pace al riparo della vista di familiari e parenti. Cosa non facevamo i precoci del vizio del fumo di allora, scriteriati imbecilli! Però al di là dell’emozione per il personale amarcord da me sentito quasi sfregiato, chiedendomi senza sapermi rispondere perché si fosse arrivati a quella soluzione, tacciavo di crassa insipienza chi preposto a decidere lo avesse fatto in tal guisa, negando all’occorrenza alla comunità l’agevole soddisfazione di un primario bisogno in forte espansione, specie per i prostatici grazie all’allungamento della vita. E così per un certo periodo, cercando spiegazioni, mi riproposi il tema di quello che per me continuava a rimanere un indigesto boccone da digerire, non potendo minimamente supporre che il disegno fosse più corposo, infatti, un giorno recandomi alla pescheria attraverso via Lancaster dovetti constatare, che lo stesso servizio era stato reso ai bagni di p.zza Lionardo Vigo. Certo non si trattava di una decisione volta al risparmio del personale che li avrebbe dovuto curare perché avevo saputo, durante il mio informarmi sulle cause, ch’era stata rigettata la proposta di un volenteroso, fino a qualche giorno prima dello sciagurato K.O., disposto a caricarsi un tal onere senza ambire a ricompensa o stipendio, (che in questo 23 caso sarebbe stato ben guadagnato specie se al posto di uno dei tantissimi intascati ad es. da dipendenti comunali fantasma), ma alla sola riscossione delle mance. E allora perché insistere a negare una comodità tanto utile? Fino a quando ho affrontato la questione in termini di economicità ho sempre bucato la soluzione, e fu solo grazie all’ispirazione turisticosocioantropologicomedicale che finalmente potei centrare il bersaglio. Si fa un gran dire dell’invecchiamento della popolazione italiana, e tale realtà influisce negativamente specie in campo turistico dove Acireale si picca di voler spiccare. La bella cittadina arrampicata sulla timpa e per l’aspetto sia natural lussureggiante, sia artistico, sia climatico molto clemente nel corso dell’intero anno, attira visitatori a bizzeffe. E con suddette peculiarità tanto incoraggianti, quale categoria avrebbe potuto interessare se non principalmente quella degli anziani? Infatti il flusso turistico giovane sceglie altre contrade a torto più rinomate. In un simil frangente in una città ridotta a gerotrofio allargato a causa dell’emigrazione dei suoi figli per sfuggire all’asfissiante disoccupazione dopo che con impegno incredibile, proprietari terrieri, operatori del commercio, politici, tutti in perfetta sintonia, negli ultimi tre decenni sistematicamente hanno fatto a gara a sfasciare le lucrosissime attività del posto prosperate a favore degli acesi riusciti ad andare contro corrente rispetto alle ristrettezze del tempo, per essersi assicurati un opulento dopoguerra, quasi da piccola Svizzera, attività per insufficienza di braccia supportate da manodopera dei paesi limitrofi, in una così decadente popolazione cosa poteva aggiungere il turismo della terza età se non più accentuata tristezza? Bisognava porvi riparo, e come se non con una folgorazione geniale, che al direttore della solita solfa da sala consiliare parve balenargli fortunosamente? S’imponeva la chiusura dei cessi pubblici e scoraggiare almeno gli anziani locali come si sa ad una certa età in maggioranza prostatici, ad uscire di casa. L’uovo di Colombo per risolvere il problema dello svecchiamento visivo. L’anziano, dopo avere ottemperato al rituale bisognino, esce di casa tranquillo, ma si accorge presto che il riflesso condizionato della differenza 24 di umidità per esempio tra il chiuso e l’aperto, o del flusso di una fontana, o dello spirare di una semplice brezza, basta a dare l’incipit a una sofferenza bisognosa di una insospettata urgenza di orinare, e non trovando il locale di riferimento appropriato, perché i cessi pubblici sono inesistenti, le toilette dei bar fuori servizio, la strada concessa solo ai cani, non gli rimane altro o dal farsela addosso o di restarsene agli arresti domiciliari. Ed ecco che il gioco è fatto. Però, malgrado la straordinaria congettura non facesse una grinza, a far giustizia bastò l’altra metà della medaglia. Come accennato i nostri visitatori turistici sono, vedi caso, anziani, ed hanno anche loro uguali esigenze. E allora, mettendoli nella situazione di non poterli facilmente assolvere, non li si scoraggia a venire, di fatto rischiando una grossa fetta di ricchezza indispensabile al locale commercio agonizzante? Il suicidio no, quindi necessità fece virtù e tornando sui suoi passi l’acuto capo amministratore batté un colpo, dando a capire che finalmente stava per provvedere tanto per cominciare a ristrutturare l’agognatissimo cesso di Villa Belvedere, e lo fece recintare pure, con i caratteristici pannelli ondulati che indicano lavori in corso (riposanti ad libitum). Inoltre per farsi perdonare della trascorsa incuria ha pensato di promozionarlo dotandolo, questa volta da subito, di una misteriosa sorgente di delicati, grati effluvi in un misto di gelsomini, rose e gardenie, combinazione seconda solo a quella… di inconsolabile memoria, determinante un vero godimento nel desiderare, se si arrivasse finalmente ad avverare, di andarvi presto deliziosamente a pisciare, parola di… 25 26 TAVOLA IX TAVOLA X Sogno di civiltà Memore dei messaggi del subconscio lanciati nel periodo dell’ultimo carnevale, in un sogno, si sa nella forma strampalata che questo psicoproiettore normalmente produce, e visto che le cose nei 360 gradi compiuti dalla terra attorno al sole, sono rimaste immutate, mi solletica l’occasione di riproporre la confusa sequenza originaria dei flash, tentando alla fine di scioglierne il senso. I Si attenuano un po’ le scariche elettriche, e ad intermittenza scoprono, quasi n carcasse, le vittime del troppo bere, troppo mangiare, troppo fumare, troppo giocare, troppo fare sesso, troppo tifare, ammonendo che la virtù sta nel mezzo e il troppo stroppia u anzi stroppìa. n Da lontano un improvviso squarcio mostra una sagoma indefinita, timida e velata, a una bella, misteriosa donna che indugia a rivelarsi completamente: la democrazia, non g certo quella della pubblicità in TV, imposta e aborrita da tutti, e nemmeno quella scaturita dall'argomentare di Berlusconi venuto ormai a noia perché non fa più i ridere anzi è penoso quasi come i lutti sui muri di Acireale, o le cacate dei cani sui r marciapiedi ancora di Acireale, o l’illuminazione festaiola durante la canicola di a luglio-agosto sempre in Acireale e come di seguito a non finire nelle a l t r e s v a r i a t e n ed n o r mi t à c h e a l l i e t a n o l a s o l i t a A c i r e a l e . D i q u e s t e e n o r mi t à , p o a r t i colare attenzione meritano i botti durante lo scorrere del giorni dell’anno e al tutte le ore in Acireale, con la convinzione per i devoti che quello sia il miglior sistema per onorare il santo. Vorrei vedere loro, i devoti, festeggiati a quel modo, sotto a un diluvio di esplosioni per l'intero giorno se approverebbero o protesterebbero irati. E d qui il sogno ha preso a trasmettere le tragiche immagini di Afghanistan ed i f o 27 Iraq determinate da un altro amorevole intervento degli americani e degni compari. Ma per fortuna il tragico nel caso nostro va solo sfiorato anche se non mancano inquietanti risvolti. Intanto procediamo per gradi, ed in barba all'inquinament o acustico, alle precarie condizioni di salute dei monumenti a causa dei forti spostamenti d’aria, della privacy e della quiete pubblica, ai veri e propri attentati ai più piccini, ai più anziani, alle donne incinte, ai c a r d i o p atici, ai neuropatici, e alla rottura dei coglioni, al resto della popolazione, nonché ai più elementari principi di civiltà, ad Acireale imperterriti si continua a non badare a spese riguardo le deflagrazioni nelle ricorrenti orge religiose. I l p r o b l e ma p u r t r o p p o è d i d i f f i c i l e s o l u z i o n e i n , q u a n t o c i s o n o t r o p p e c h i e se, e ognuna ha il suo bel protettore da osannare, inoltre l’inveterata pratica bomba rdistica ha prodotto assuefazione, e a voler smett ere ci sarebbero tante di quelle crisi di astinenza che creerebbero più conseguenze di quante se ne vorrebbero e potrebbero risolvere. Ecco che a questo punto il viluppo onirico chiarisce i suoi significati: uno, la tanto vituperata pena di morte eseguita in pochi secondi è meno agghiacciante di una conduzione a morte dopo lunga e costante sevizie (un anno intero di spesso imprevedibili cannoneggiamenti), aggiungendo così crudeltà ad infamia; due, ogni cos a d o v r e b b e a v e r e u n l i m i t e o l t r e i l q u a l e c o n d u r r à a d u n a p e r i c o l o s a c r o n i c i z z a zione per . sé e per gli altri; tre, di quale democrazia si parla, quando contro tutte le regole di civile convivenza si va a colpire a suon di granate l'iner me cittadino sin dentro il più recondito rifugio? L'argomento è ghiotto, però, perché questo coscienza tra le pieghe del sonno nel corso dell'allegoria 28 rimestamento di carnascialesca? E' chiaro l’ammonimento a chi vive nel convincimento di svolgere una missione non scorgendo l'ambiente grottesco entro cui si muove. Cortese, caro mio lettore, la vita è una carnevalata, e più i piedi non si pog g i a n o p e r t e r r a p i ù s i r i s c h i a l o s c o p p i o c o me u n a c a s t a g n o l a c h e a l t r o o l t r e i l b otto non lascerà! La tiratina di orecchi, qualcuno dirà che mi riguarda in toto, ma i l f i n q u i d e t t o , e s p l i c i t a quanto io abbia ben saldi i piedi a terra, e piuttosto vuol raggiungere quanti nelle varie direzioni, t r a l’ovvio e il lapalissiano, operano con la presunzione di non si sa qua le superiorità morale, intellettualculturale, civicopolitica. Che bel campionario di provetti carnevali! Per chiudere mi è d'obbligo, sempre dietro invito del sogno, comunicare ai dev o t i e a c h i a u t o r i z z a q u e s t i f e s t i v a l d i p e r v i c a c e o t t u s i t à , c h e i l s a n t o d i turno non potrà esaudire mai le loro preghiere, perché non le sente, in quanto è stato reso sordo dallo sgomentevole fuoco di fila, dedicatogli. Meditate gente e buon carnevale! 29 30 Tavola XI TAVOLA XII Ideopsicogoduria Il sole era declinato da poco, l'aere quasi immoto confortava con le ultime carezze di tepore prima che il cielo così terso da sembrare inventato, cominciasse a diffondere l’algore. In città agghindata per la festa, si curavano gli ultimi ritocchi. Mentre curiosavo tra gli addobbi dell'illuminazione di c.so Umberto, dopo il lungo int erv allo di t e mpo che si p ar tiva p rop rio dallo sco rso carnevale, mi ritrovai davanti l'amico più caro. Ci abbandonammo ad una affettuosa rimpatriata, foriera di sicura giocondità in quanto lui era ricco di facezie ed io ben felice di assorbirle. Infatti non perse tempo ad offrirmi qualche chicca e subito mi volle raccontare una ghiotta scenetta recitata da un bel pezzo di arciprete locale ( “già papa” ) e mezzo esecutivo del Palazzo. Il posto dove costoro si ritrovarono per il momento me lo taceva, promettendomi di rivelarlo alla fine. Il reverendo intendeva approfondirsi sulle ultime vicissitudini cittadine, attingendole direttamente dalla fonte. Iniziò con il chiedere se fossero fondate le illazioni che il cominciare i lavori della rete di scolo dallo sbocco, avrebbe evitato molti fastidi alla cittadinanza, cosa che non avrebbe consentito invece l'attivazione progressiva dell’opera man mano che fossero state allacciate le confluenze durante la risalita. Il destinatario della domanda spiegò agevolmente, e con molta padronanza della si tu a z ion e - M i consenta! Abbiamo di fronte l'astratto concepimento di deduzione logica, nel concreto indiscutibilmente illogica! Bastano pochi esempi. Potrebbe il sole tramontare se non sorgesse? Il sarto inizierebbe a cucire il vestito dall'asola? Il calzolaio impianterebbe la scarpa sulla forma dalla suola o dal tomaio? Inizierebbe il pittore a comporre il suo quadro con l'apposizione della firma? Vossia, reciterebbe le orazioni dall’amen? E perché dovrebbe essere 31 l’ingegnere ad avanzare come il gambero con il rischio di mal distribuire la pendenza, perderla, e trovarsi costretto a dover sollevare il fondo stradale? Non voglio pensare a simili baggianate! Piuttosto cittadini con un po’ di romanticismo apprezzerebbero l'immensa fortuna in contraccambio dei disagi: la grazia di piazza Duomo con le sue chiese e palazzi specchiati e cullati nel tremolio dell'acqua come a Venezia! Divina suggestione, dovrebbero gioirne!- Compiaciuto esclamò mellifluamente il poetico digressore. -E invece, no- Ribatté perentorio il reverendo con il contrarre l'espressione abitualmente gioviale del viso paffuto, negandogli una via d’u s c i t a inopportunamente spiritosa e dopo aver ribadito la sua disapprovazione con un ultimo sguardo, mentre quello farfugliava -Che volgari!,- si volse ad interrogare il secondo sulla chiusura tanto prolungata della villa Belvedere a c a u s a della potatura degli alberi. - M a , i l n o n a v e r l o f a t t o , s a r e b b e e q u i v a l so a lasciar violare il boudoir di una prima donna- Esordisce sconcertato il responsabile -e lasciar cogliere lo sconforto dell'incipiente decadimento. Co n s e n t i r d i s c o p r i r e t u t t i i d i f e t t u c c i c h e l ' a r t e d i l i g e n t e d e l m a q u i l l a ge promette di mantenere segreti. Questo per l'impazienza ad attendere e l'ottusità di comprendere. Quando sappiamo che è la presentazione in forma smagliant e nella leggiadra ribalta ad incantare, a rapire, a stuzzicare il de si de r i o e… -Andiamoci piano con la f a n t a s i a -Pa r lo sempre del parco -Appunto, è per esso che bestemmia la gente! -La gente! Bisogna p ensare ai turisti, altro che alla gente. Noi 32 abbiamo il dovere di tenere al ta l'immagine della città. E poi la gente, sempre la gente e ancora la gente, non le risulta che codesta gente rompe? -A me risulta solo che bestemmia -Maleducata -Già, maleducata- Fece flebile eco il reverendo controllandosi a stento e sospirando di biasimo chiese al terzo spiegazioni sul recente sciopero e corteo. -Una sfilata di ricattatori- Questi sentenziò decisamente -Ci danno appuntamento a maggio. Non sanno di farci il solletico -Potrebbero mantenere la promessa- Osservò pazientemente il reverendo. -Stia tranquillo non c i ma n c a l ' i n t el lig e n za p ol it ic a p er v o lg e r e a n os t ro v a nt a ggi o l a si tua z i o ne. Ascolti e vedrà se ho ragione. Li faremo cuocere nel loro brodo, tenendoli a stecchetto con gli stipendi arretrati sino alla fatidica data, quando con la prospettiva d'incassare, docilmente si faranno prendere al laccio. A parte che i loro voti ci servono relativamente, perché con il passaggio del servizio ad ente pubblico si dovranno fare nuove assunzioni. Riesce Vossia ad immaginare quante persone potremo illudere con la valanga di voti ? Voti nuovi, pieni di entusiasmo, voti contagiosi. E non già come quelli, sparuti, anemici, sforzati -Bé, forse i voti pioveranno quando sarà, ma ciò che preoccupa, è che già piovono e continueranno a piovere di sicuro le bestemmie -Mascalzoni- ardì inveire il machiavellico demagogo. Le pupille del reverendo saettarono terribilmente. Per poco, poiché giunto a quel punto, a tutti i costi doveva trovare la forza di resistere all'esigenza di sfuriare per sentire l'ultima campana, quindi addolcitele artatamente, le rivolse al quarto che in soprappensiero non s'accorse nemmeno dell'ammorbidito abbordaggio. Infatti nonostante la simulata degnazione dell'inquisitore quello trasalì quando gli venne chiesto -E tu che hai combinato mai per 33 provocare una sommossa? -Potrei soprassedere? - Un ca…volo - Tartagliò inopinatamente il reverendo spinto dall'agitazione quasi satura e togliendo la maschera alla cordialità spalmata magistralmente nella domanda, mentre il viso gli s'illuminava come un tarocco. -Ebbene,- Riprese incerto ed impacciato l'assediato -sebbene abbia calcolato giusto, subito dopo mi sono pentito e vergognato. E’ stata una de b o l e z z a d e l l a n a t u r a u m a n a . I o n o n s o p p o r t a v o i l r e c e n t e r i n n ov o d e l l ' a r r e damento del salone. Un colore minaccioso, il rosso, comunista ed arrogante, una vera provocazione! Però la spesa era fresca e non si vedevano possibilità di rimedio. L'occasione b u o n a s i mo s t r ò d u r a n t e l a ma n i f e s t a z i o n e d i p r o t e s t a d i q u e l l a f o t t u t a c a tegoria. Fu il classico lampo di genio. Occorreva portarla all'esasperazione per realizzare il vero disegno. Essa infatti recepì il messaggio telepaticame nte , e qu elle polt roncin e sc agliò sulla pi az zett a . A cose f att e for te me nte g rato , le con cessi i mma ntin ente que l che chie deva -Che figlio di b uona donna- Esclamò il reverendo, rimediando in extremis ad un lapsus già avviato e stimolando un esorbitante afflusso di sangue nella rete facciale da congestionarla a tal punto da farle cambiare l e s e mb i a n z e d a tar o c c o p e r qu e ll e d e l s an gu in el lo e d a i p r es e nt i l o s tu p o r e i n a p p r e n s i o n e . P o i r i p r e s e - P o r c o d i . . . ( o f o r s e D i . . . ) addentando la sillaba e scuotendo il capo a maggior strazio, s o f f o c a t o d a l l a c o l l e r a . Frattanto i capelli degli ascoltatori si rizzarono come missili in posizione di massima all'erta, finché non completò con sforzo disperato -...avolo- espirando lungamente assieme al resto della comitiva, salva dalla calvizie per miracolo. Giunto qui l'amico allargò le braccia, in segno di fine della storiella. Mentre io tra lo sdegno e la commiserazione ero in difficoltà a trovare un id on e o i mp r o p e r io t i l 34 b i rb on e c an t e r el la n do " ti fi c i n a pe d di c c u s e tt i ci a reddi...” si decise a palesare la sua capricciosa intenzione. Poi seriamente mi confessò il suo stupore di non trovarmi stupito di fronte ad un racconto così paradossalmente surreale. In effetti ero stato troppo semplicione per credere alla descrizione di un profilo e c c e s s i v a me n t e picaresco sugli acitani a m mi n i s t r a t o r i , a n c h e s e a causa di non essere iniziato alla loro filosofia esoterica, che contro ogni apparenza è rivolta sempre a fini esclusivamente nobili. Inoltre non mi ero risparmiato di bere che cittadini tanto equilibrati potessero sfogare eventuali malumori nella bestemmia - S o no s t ato u no st up id o - Ri b ad ii a me s t e s so , f i ss a nd o in f a s e d i p rova, l’accendersi de l l e innumerevoli e minute lampadine del tunnel del corso che parve scuotersi come attraversato da un brivido. Poi mi girai verso l'amico per fare ammenda d e l l a mia i n g e n u i t à , s e n z a e s i t o p o i c h é e r a s p a r i t o , s i era v ol a ti li z z at o . Tirai dritto. Sentivo gli sguardi di coloro che incrociavo p e n e t r a r m i a causa del mio ridere da solo, ma, non vi facevo caso perché sapevo perfettame n t e che lo ro no n pot evano c apir e in quanto non gli e ra st ato dato di s en t i r e . 35 36 TAVOLA XIII TAVOLA XIV Ad onore del buon pastore... Ad onta di chi dice che la Chiesa (con suoi adepti) è conservatrice nel senso che ostacola la modernizzazione, spiegando a sostegno della tesi che il certo per l'incerto è sempre meglio accetto nel gioco del potere di una delle più grandi comunità del mondo, consigliata di guardare, sebbene costantemente strattonata, le innovazioni con sospetto, fino a rimpiangere ancora il Medioevo, quando la massa era cieca, muta, sorda, schiava, affamata, lacera, ignorante, sciocca e ubbidiente, in una parola, perfetta alla disciplina sovrannaturale, disciplina che cozza con la naturale, quella a cui guardano fiduciosi gl'indocili dell'altra sponda convinti che se nel terzo millennio imperversa la campagna contro l'inquinamento acustico, essa bacchetta anche la Chiesa, specie nel suo cachet folkloristico, ad onta di tali faziosi denigratori il caso a seguire serva da lezione. Sappiamo che nei giorni festivi nelle chiese di Acireale il tripudio si trasforma in diluvio di colpi dei battagli dell'armamentario campanario in tutte le sonorità dell'acuto e quando pare che sia per spiovere, riprende più vigo roso di prima e così i sigg. parroci, compiacendosi del concerto si dilungano ad libitum e si appagano (dopo interminabili saliscendi lunghi quarti d'ora di note argentine, intramezzate da qualche castagnola), quando sembra si convincano che sia stato lanciato il giusto messaggio al loro superiore (vescovo) riguardo il loro zelo, o in alternativa in tempo di vacche magre, credono di essere riusciti a riempire la chiesa sempre meno affollata, o in ultima istanza per spontaneo afflato mistico goduto. Completano il capolavoro durante la festa del santo, durante la quale la soprano campanaria duetta con il portento dei fuochi d'artificio (sublime tandem). 37 Tuttavia ad Acireale, (le chiese non si contano) assediata da tanto bailamme, sbalordisce l'iniziativa del parroco di p.zza S.Domenico, che da buon pastore, ligio al rispetto della quiete di tutti, ma nello stesso tempo rispettoso anche delle attese dei devoti, organizza l’ariosa ricreazione, senza dimenticare di invitare il ns. sindaco, gran patron delle castagnole, a proposito delle quali, ho sentito qualcuno lanciare l'auspicio che si trasformino in bombe vere per ri cadere sulle case di chi le vuole, senza con questo per nulla intimidire con l'invocata disgrazia l'illustre primo cittadino, tetragono a non badare a spese nell’impiegarle nell'augurio alla cittadinanza delle feste di fine anno, in sostituzione di manifesti, giornali, televisioni, Internet, strumenti, a questo punto per forza ritenuti da lui meno efficaci, perché ci si rifiuta di credere che non li conosca, ma poi chi lo sa. Il sensibilissimo parroco della chiesa di S.Domenico al presentarsi delle ricorrenze che fa? Sceglie di organizzare i festeggiamenti in chiesa a porte chiuse, e solo all'interno del tempio si decide ad attivare un nastro registrato di tocchi e rintocchi, invitando inoltre i fedeli a non risparmiarsi in lanci di scattiole, tricchi-tracchi, assicutacriati, maschittuni. Lui sa bene che le campane avevano un senso in un passato molto remoto per comunicare al vicini borghi allar mi seri e le bordate venivano sparate dai corsari, e conosce la reazione dei più di fronte a molto meno, quando infuriati del passaggio di una macchina con lo stereo ad alto volume, gridano dietro al conducente . -cafone!- magari esagerando perché si sa che non è colpa sua, ma del vacuo che ha in testa. Il mite parroco cosi comportandosi concede ad agnostici e miscredenti la tranquillità, e nello stesso tempo, felicità agli sbandieratori della tradizione, dimostrando un alto grado di rispetto per tutti. Per tanti ancora oggi, l’insolubile problema dell'inquinamento acustico, ha il greve sapore di trovata pubblicitaria per prodotti farmaceutici 38 antipatologicischemicineuropsicocardiologicicircolatorioncologicoigienicomentali, non certo per il parroco di P.zza S.Domenico molto interessato all'argomento e che lasciando di stucco specie le malelingue, con un'eccezionale brillante .trovata ha risolto non a chiacchiere come spesso si fa, il disagio civile e soddisfatto le attese del suo clero e oltre, e a chi stenta a crederlo e vorrà verificarlo non gli resta che raggiungere nei giorni festivi la suddetta piazza con la massima comodità, tanto sia dal primo mattino, sia all'ora dei pasti e volendo anche di sera, troverà un'isola ecologica di tutto rispetto, così come nel giorno consacrato al patrono, eponimo del luoghi, da rimanere talmente impressionato che non gli parrà nemmeno vero. 39 40 TAVOLA XV TAVOLA XVI Demopatia La democrazia, si sa è la miglior forma di governo conosciuta: solo che passare dalla semplice enunciazione all’articolata fruizione ne corre, e nel ns. Paese, tanto! E chi sono coloro che ne determinano l’atrofia? I più convinti, i dichiarati democratici, gli accaniti sostenitori, i veri e propri sbandieratori, gli stessi, i politici, che la affamano, stornando nelle proprie tasche in modo non solo arrogante, ma soprattutto beffardo le risorse ricavate da tanta fecondità. Loro prosperano prendendo per i fondelli il prossimo e lo fanno con sadica dedizione, anche perché il loro conducator, l’unico in buona fede, approva simile condotta, ne è soddisfatto e allegramente la interpreta e, ripeto in buona fede, la dichiara sana, servizievole ed economicamente soffice, perché insiste nel dire che è molto oculata da non dover mettere le mani in tasca ad alcuno, (più onesto di così!). E intanto la manna piove nel Belpaese. Però a proposito del Primus inter (im)pares sorge qualche perplessità sulla sua perspicacia: i suoi collaboratori li sceglie lui nell’ambito delle persone di sua fiducia e frequentazione e non sempre affidabili. Ora è mai possibile che tra la cerchia dei suoi amici spiccano principalmente persone moralmente evanescenti, facilmente liquefabili? Vuol dire che viene scelto un metro di valutazione che s’ispira al principio di tanto più inconsistente, tanto più valido: solo così si riescono a capire le debolezzucce di alcuni suoi collaboratori più stretti, quali suoi certi ministri, sindaci, organizzatori e funzionari vari. Ce ne sono quanti granelli di sabbia potrebbe contenere un bicchierino da liquore. Cosa volete che sia! E forse anche in virtù di ciò un tal statista dai sondaggi più impietosi risulta in assoluto il più amato dagli italiani (pare da sempre). Se tanto fosse, sbaglia chi pensa che sia per caso, o un paradosso, è solo invece perché lui è assolutamente mondo da qualsiasi macchia, e pur se di olfatto fievole nel fiutare certi farfallini, le investiture 41 tranne eccezionali casi deve assegnarle su degli eletti dal popolo anche se precedentemente indicati da lui, ma questo è di secondaria importanza. Dunque in effetti chi claudica è il popolo. Infatti non è una sorpresa per alcuno, anzi è la cosa più naturale di questo mondo che vi siano risultati di tal fatta, per un certo verso segnati da difettucci di poco conto, rispetto a quanto invece avrebbero potuto produrre designazioni di sana pianta effettuate e votate dalla maggioranza degli italiani, una turba di corrotti in pectore, cioè a dire agevolmente corruttibili e quindi preparati al momento della giusta occasione a sgomitare per entrare in ballo. E allora cosa hanno a pretendere le persone oneste da una tal platea di aspiranti imbirboniti fanatici? Questi hanno ben donde di scegliere Mammona e se la passerebbero pure bene se anche loro venissero risucchiati meglio se minorenni, dal vortice di veline, conigliette, massaggiatrici, escort, etc. etc., magari ai ritmi del bunga bunga, solo che loro il piacere sono abituati a provarlo per induzione, così come dovranno al massimo saperle afferrare solo virtualmente le sorprese più incredibili quale quella di ritrovarsi al momento di comprare casa con un omaggio di metà costo piovuto dal cielo! Non è ‘na peddi ccu centu ciareddi di Carnilavari, è il pane quotidiano nel Paese dove Re burlone governerà a vita con un consenso mai prima conseguito da alcuno, perché ha saputo dimostrare quali doti di buffone possiede, caratteristica molto ambita nello “Stivale”, nonché in Europa, così pure in tutto il mondo, un ecumenico buffone, e di tutto questo ci vogliono privare una manica di giudici impiccioni e non solo perché a ‘mmidia ci mangia l’occhi, ma perché anche stalinisti! Non sia mai, il popolo deve insorgere a scanso di equivoci (vedi paesi arabi) in supporto di un premier che sa dare prova della sua alta qualità clownesca, tessendo speciali rapporti con i più affermati pagliacci della politica mondiale, non a caso è diventato preferito interlocutore di un tal rais libico: pares cum paribus facillime congregantur! 42 TAVOLA XVII TAVOLA XVIII Capovolgiamoci Il mondo vive interamente capovolto e noi non facciamo che plaudire, accettarlo entusiasticamente e copiarlo nelle sue più disparate incongruenze. Cominciamo dal nostro inizio di vita, con tante lotte per sopravvivere e irrobustirci, finalizzate al prefissato scopo di indebolirci presto, languire e scomparire! E’ codesta una programmazione idonea, intelligente o divina, oppure il venire al mondo già centenari vivendo il nostro tempo a ritroso non sarebbe l’opzione più auspicabile, più corretta dal punto di vista, per così dire, burocratico, ed anche più promettente e vantaggiosa a favore dei vecchi? La natura è lo spettacolo di un articolato infinito di produzioni e come per qualsiasi spettacolo per assistervi bisogna pagare, ed il prezzo che c’impone la vita è l’invischiarci nelle sofferenze e la conseguente morte, prezzo che non possiamo esimerci dal pagare dopo aver fruito dello spettacolo. Ed è il dopo lo spettacolo, cosa che è alquanto irregolare, l’anomalia burocratica, perché il biglietto di ogni spettacolo di norma va pagato all’inizio, prima che il divertimento cominci. Stando così le cose bisogna trovare un compromesso: pagare subito, scontando le sofferenze agli albori della vita, per arrivare, nascendo vecchi, visto che non si può evitare, alla morte nell’ultimo stadio dei nostri giorni, in tenera età, con graduale demotivazione inavvertita e indolore. Pertanto invertendo l’alfa e l’omega, cosa cambierebbe? Tutto! Uno, si risolverebbe con la piena guarigione la piaga più schifosa dell’umanità: la tratta dei bambini. Chi cercherebbe più un bambino, sapendo che con la nuova regolamentazione, questi sarebbe prossimo alla morte? Non solo, ci sarebbe invece la 43 gara per l’accaparramento dei vecchi in tutti i sensi soprattutto in quello sentimentale, interesse che al ricordo del trattamento a loro riservato oggi farebbe accapponare la pelle di commozione! Due, si pagherebbe all’inizio per non pensarci più. Tre, si vivrebbe vedendosi rifiorire e non avvizzire. Quattro, tante malattie batterebbero la fiacca, ma soprattutto ci libereremmo dalla paranoia della morte, perché quando si è in forma non ci si pensa proprio mai. Cinque, a tavola, la pastina, qualche uovo sodo, la lattuga, il pancotto, scomparirebbero dall’ordinaria dieta alimentare degli anziani, e per ultimo, ma è la cosa più importante, potremo goderci veramente la pensione e avere voglia di spendere lieti di assecondare desideri ed entusiasmi. Inoltre, a parte il raddrizzamento delle tante storture, il più confacente ordinamento di vita ci abituerebbe ad una più aperta mentalità e ad una più efficace cura contro ingiustizie e tragedie, cosicché non si andrebbe più ad incriminare chi ferisce o ammazza qualcuno se a determinare il fatto come si apprende da giornali e telegiornali è la concomitanza che improvvisamente spunta un coltello, una pistola, un cacciavite, un crick… e allora che colpa ha quel povero cristiano del ritrovarsi uno di questi arnesi inspiegabilmente spuntare in mano? O se i soldi prendono la strada delle tasche di Tizio, Caio o Sempronio, come, sempre giornali e telegiornali ci riferiscono, che ci azzecca punire i destinatari per essere stati scelti dalla fortuna? E ancora inveire contro ubriachi e drogati per avere arrotato qualcuno sulle strisce pedonali, non è fuor di luogo sapendo che i sobri non si privano certo di tale passatempo? O se a seguito di pistolettate e coltellate i colpiti muoiono, non c’è da dubitare sulla loro resistenza sicuramente molto debilitata? O se si muore per fughe di gas, perché dare addosso all’utilissima composizione di idrocarburi, quando il più delle volte non si è osservata l’importantissima avvertenza del preparare a “nemico che fugge, ponti d’oro!” Così s’interviene dove bisognerebbe saper comprendere, come è stato a seguito per esempio della rassicurazione di un ministro nel caso del disastro di Viareggio 44 dove fa chiarezza del tutto, rincuorandoci e tranquillizzandoci con l’informarci che il cedimento di un asse del vagone è stato per colpa della ruggine, escludendo altre responsabilità, e questo ci sarebbe bastato, ma si vanno a cercare altri cavilli per mettere in croce chissà quanti poveretti estranei all’incidente, diversamente da quando una valanga, una piena, un sisma, un cavallone, un fulmine etc. etc. colpiscono a tradimento, portandosi via tanti innocenti disgraziati. E contro tali ladri, omicidi? Niente! Li si lascia tranquilli, indisturbati e facoltati a colpire quando meglio credono, diversamente di quanti li si fanno pagare, come già accennato per colpe improprie. Si potrebbe andare avanti di questo passo all’infinito perché purtroppo nella vita si opera più da stolti che da virtuosi, e tutto per colpa del cattivo esempio fornito dalla natura, fondamentalmente capovolta. E noi abituati ad assorbire da lei operiamo spesso con folle discernimento. Un esempio plateale: il nostro carnevale. Incomparabile manifestazione di allegria che ci fa vivere alla grande e nonostante ciò le dedichiamo una piccola finestra in un anno e incomprensibilmente ce lo neghiamo per il resto dei dodici mesi! Io penso che ci sia molto da riflettere, ma detto tra noi è tempo perso, o no? Chiudo augurando un buon onomastico a tutti gli acesi e non. 45 46 TAVOLA XIX TAVOLA XX E’ solo colpa nostra Cos’è che ci fa arrancare dietro Paesi in tutti i settori meno dotati del nostro? Indubbiamente la guida politica ancora pervasa da retaggi prebellici, quali l’impegno ad uniformare il pensiero, la valorizzazione della mediocrità, il nepotismo, il clientelismo, la gara ad ingraziarsi la Chiesa tanto da rendersi del tutto arrendevoli anche in politica, l’ostentazione di una grandeur che non c’è, cullandoci quasi da razzisti su una inesistente ma presuntuosa superiorità del nostro popolo (molto disunito) rispetto agli altri, l’innalzamento d’importanza alla rappresentanza politica miseramente sconfitta dalla storia e conseguentemente la tentazione a rifascistizzare in modo strisciante etc. etc., il tutto condito da una vuota retorica finalizzata e manovrata da incalliti demagoghi verso scelte prive di sostanza. E questa latente nostalgia di un passato falsamente glorioso e grandioso si appoggia al sapere apparire e con l’arte dell’illusione a far sognare realizzazioni nelle quali paradossalmente i primi a non credervi sono gli stessi proponenti. Così ha agito, infrollendo la complessione della Nazione, il fanatico coltivatore del garofano, così continua ad agire ai giorni nostri un suo pupillo in pectore. Infatti questi con un curriculum personale assai sfuggente ma costellato di massimo successo nell’affermazione da ceto medio, incanta un popolo essenzialmente incolto, sognatore ed aspirante borghese, smanioso di votarsi anima e corpo al solito illusionista di turno, confermandolo oggi con la ferma stima in un demiurgo in grado di dar soluzione a qualsiasi tipo di istanza in corso e prevenire quelle per l’avvenire, come già accaduto con il duce, costruttore del più grande impero di macerie, così pure con la personificazione del socialismo miliardario. Il nostro eroe comunque, profondo conoscitore delle pulsioni umane e del giusto 47 equilibrio del dare per avere, non si scandalizza o storce il naso facilmente, cosicché da incomparabile affarista, nello scendere in politica precisi calcoli di convenienza non gl’impediscono di rappresentare un porto sicuro per tutti gli arrivisti di dubbia reputazione, non per forza scellerati dediti al crimine, ma saltuari grandi corrotti o fidati collusi malavitosi di ampio respiro o mediocri falsi amici dei potenti, particolarmente graditi ex piduisti, transfughi politici, spregiudicati difensori, insomma un’accozzaglia di invertebrati dell’etica pubblica: patetici imbonitori riverniciati di fresco sopra una stantia ipocrisia. E questi figuri non si risparmiano a contraccambiare al momento giusto e intanto si corroborano di conforto e di onori alla corte del cavaliere, garantista di principio, vedi caso quasi sempre non per imputati in attesa di giudizio, ma per condannati in più gradi. Una simile disponibilità sembrerebbe sgorgare da delicatissima sensibilità se non si presentasse ad intorbidarla l’inquietante sospetto di un agire a buon rendere. D’altronde un’insignificante premier politico, e a scanso di equivoci ribadisco, insignificante in politica in quanto il resto in questa sede poco interessa, su quali consensi può cementare l’esercizio del potere? Certamente non su quello di intellettuali liberi e probi, né su gente laboriosa e fattiva, ma con molta sicurezza sul consenso di ribaldi ormai palesi agli occhi dell’opinione pubblica eccetto però a quelli del provvidenziale ricuperatore di verginità al punto che tanto per esempio un sindaco affossatore di un’importante città per punizione lo si gratifica con un posto a palazzo Madama. Con tali feconde precauzioni terminano inventati conflitti d’interesse, noiose discussioni parlamentari, sciocche proposte dell’opposizione, il consenso è unanime e anche quando c’è da rimangiarsi dichiarazioni fatte in barba a qualsiasi registrazione a detta loro, ad una sola voce, inattendibile, si è d’accordo nello smentire categoricamente: un’armonia perfetta se non rievocasse tristi scenari, e 48 questo ci preoccupa anche se è fisiologico ai cicli storici con relativo risorgere dell’araba fenice dalle proprie ceneri! Per l’uomo non ci sono insegnamenti che tengano, e per quante malattie riuscirà a sconfiggere, riguardo all’ingenuità non ne verrà mai a capo. C’è però da dire che non è affatto facile resistere all’instancabile, subliminale bombardamento mediatico di anni ed anni e al delirio di onnipotenza di un moderno re Mida abilissimo a farsi perdonare l’alta considerazione di sé e la sua natura tanto narcisista da imporre un nuovo culto di personalità dovuto al fervente capitalista fortemente impegnato ad esaltare un non proprio limpido, anzi assai discusso arricchimento borghese, tuttavia tanto invidiato da pervicaci toghe rosse da ritrovarsi a causa della loro persecuzione perennemente con il fiato grosso. Da come vanno le cose, il teorema arricchimento-invidia-persecuzioneconsenso si cristallizza e promoziona a meraviglia, pur se la sua cieca accettazione ne comporta un costo magari al momento impalpabile, ma che non tanto alla lontana immancabilmente presenterà il conto come recenti esperienze ben dovrebbero insegnarci. Io appartengo alla nutrita schiera dei predicatori nel deserto e malgrado l’irrisione subita da catechizzati furbi guitti, auspico con tutto il cuore di sbagliarmi sulla pericolosissima diagnosi di oggi foriera di un prossimo futuro assetato di lacrime e sangue, ma in tal caso la colpa è solo nostra che votiamo da schifo! 49 50 TAVOLA XXI TAVOLA XXII Ce la possiamo fare! La politica ha subìto un preoccupante travisamento di finalità. Una volta, parecchi decenni fa l’affermazione politica si ambiva per conseguire il riconoscimento pubblico di onori, ed era talmente forte il desiderio di offrire il proprio impegno al servizio degli altri che i candidati in competizione arrivavano a volte a metterle a disposizione anche il patrimonio personale. Di solito erano le famiglie aristocratiche del tempo (le più abbienti) che attraverso gli appartenenti più ragguardevoli ingaggiavano tra di loro agguerrite sfide. Ma con la legittima volontà popolare all’ampliamento a partecipare nella scelta della rappresentanza e al crescente imborghesimento anche oggi i contendenti non guardano alla propria borsa nel senso di alleggerirla, ma a quella pubblica, pratica purtroppo talmente in uso con il trascorrere degli anni da farla accettare quale normale. E sta qui il busillis: il rovesciamento delle finalità della politica, non più al servizio del pubblico, ma al servizio del manovratore. E’ sotto gli occhi di tutti la strumentalizzazione del conseguimento del benessere nell’interesse privato. Ad Acireale poi non se ne deve prescindere, è un dovere categorico tanto da poter imputare ad occhi chiusi da più di un cinquantennio a questa parte gli amministratori locali ed oltre di interesse privato in atto pubblico, tutti tranne pochissime eccezioni additati da un elettorato ormai vergognosamente corrotto, come incapaci e ladri, invece che onesti e leali. Allora perché a misfatto compiuto per averli votati, dopo ci si cosparge il capo di cenere? E’ un esercizio ad esorcizzare il proprio divertimento da autolesionisti! Così sembrerebbe a prima vista se si ignorano le origini del voto di scambio per cittadini di un dopoguerra privi di mezzi ai quali dinanzi alla possibile 51 fruibilità di qualche piatto di spaghetti gli si annebbiava il lume della ragione, se si ignorano le riunioni in parrocchia e i comizi nelle prediche nel bel mezzo delle messe o le benedizioni e le raccomandazioni invariabilmente per ogni candidato della “sacra” appartenenza promozionato dalla Curia, spesso finito per avere guai con la giustizia, o se si dimenticano tutte le prese per i fondelli destinate ai postulanti per via di promesse già in partenza le più inattuabili. E allora di cosa ci si lamenta, qual’altra situazione ne poteva scaturire? Abbiamo quel che meritiamo! Veramente, Acireale manca di persone serie, oneste, disinteressate, ligie e preparate? Assolutamente no! Il problema è di andarli a stanare e coinvolgerli. E la strada più sicura è l’energico prendere le distanze dal bailamme elettoralistico, smettendo di accettare a scatola chiusa i proposti da coloro che ad urne aperte spartiranno la torta in gioco. I candidati vanno scelti dopo attenta radiografia della loro vita professionale e sociale: è l’unica garanzia di affidabilità. Rinsaviamo quel tanto per comprendere le storture di chi nella stanza dei bottoni si ritaglia leggi ad personam o “lodi” (di genere maschile) ad assicurarsi l’impunità o si prepara ad autoconsacrarsi prossimo presidente della Repubblica e frattanto da premier spargendo fumo negli occhi affronta la grave crisi economica con rattoppi clientelari che il più delle volte per spudorato conflitto d’interessi andranno ad ingrassare il suo personale patrimonio. Invitiamo i nostri parroci ad interessarsi maggiormente alle liturgie spirituali lasciando ad altri le politiche. Non lasciamoci abbindolare dai tanti fanfaroni in giro che come la storia c’insegna facilmente tendono ad una deriva reazionaria com’è stato a casa nostra con il fascismo, come in Germania con il nazismo, come in Spagna con il franchismo. Insomma se ci si vuol preservare da sconsiderate scelte, grazie ad una preziosa democrazia conquistata ad un prezzo altissimo di sangue, lo possiamo con l’arma del voto, mostrandoci avveduti nel 52 puntare questa nelle giuste direzioni e non nelle nostre tempie come finora abbiamo fatto. Noi della Sinistra, malgrado certi invidiose accuse, continuiamo con orgoglio a rivendicare il primato della moralità. Non è un mistero per nessuno l’alto tasso di rappresentanza politica discutibile nelle file di un premier padrone che per esoterici fini ha avuto sempre bisogno di attorniarsi di poco qualificate persone. Noi preferiamo vaccinarci attraverso le primarie così da poterci giustamente proporci quali elementi di garanzia, quindi partecipiamo fiduciosi e compatti al voto, vedrete che con l’ottimismo della volontà come già successo su più vasta scala potremo ritrovarci riconfermato l’auspicio di grande attualità: ce la possiamo fare! 53 54 TAVOLA XXIII TAVOLA XXIV Sconcerto di un onesto lavoratore del rumore -Ciao, novello Charlot, da dove sbuchi fuori? E’ parecchio che non ti si vede. Sapevo ch’eri andato all’estero -Le mie solite peripezie altruistiche: non fare bene, se non vuoi vedertelo reso a male. E’ meglio non parlarne, mi ci rodo il fegato -Dài, dài, racconta, io voglio sapere, vado ghiotto delle tue avventure. Lo sai che sono un tuo ammiratore -E va bene, le preghiere di un amico vanno esaudite. Allora, seguimi. E’ noto che nel mio mestiere oggi non ci si azzecca più. In Italia c’è troppa inflazione di comici: alla radio, in tivù, nei teatri, sulle piazze! Tutti con la pretesa di far ridere, e invece che barba! Gli unici a riuscirci restano i politici, e quando no, fanno piangere. In ogni caso un’emozione diversa dalla delusione te la regalano sempre. Ma torniamo a me. Sulla scia di tale consapevolezza ho capito che bisognava trovare l’idea geniale, e appena ne sono stato toccato non ci penso due volte a seguirla. Mi metto sul treno con destinazione nord, prefiggendomi di andare a rappresentare lo stesso sketch che ha lasciato completamente indifferenti gli ascoltatori conterranei. Lancio la tournée da Roma in su, e salendo salendo, insoddisfatto del consenso mi convinco a sconfinare. Appena dal finestrino del treno comincio a leggere nomi di località tedesche, francesi, italiane, penso di aver trovato la ribalta universale, quella a cui ho sempre modestamente aspirato. Finalmente il successo! Ed alla città che più delle altre mi ha attratto per il nome, scendo 55 -Malgrado i problemi della lingua? -Niente problemi di lingua, invece, perché il mio numero li esclude, in quanto centrato sul sonoro, il linguaggio internazionale, il cemento dei popoli: le delizie della musica, montata secondo i canoni della sinfonia, eseguite ovviamente in playback, e commentate dai mimi di un clown finalmente destinato a sbarazzarsi dell’inesorabile tristezza che lo affligge. Il posto scelto non poteva essere più adatto per farmi da sfondo: la passeggiata sulla riva del grande lago perdutamente immobile, dolorosamente piatto, diafano, quasi spettrale, e di fronte, circondato da verdi giardinetti senz’anima, le piccole case imbellettate, gelide e spaurite, dentro le quali mute persone esangui si lasciano avvinghiare dalle spire di un desolante silenzio. Ero arrivato in tempo a salvarli dalla tragica epidemia di alienazione esistenziale. Corsi a prendere una camera a pigione presso una locanda più cara dell’Hilton, ma non mi scomposi più di tanto ad attingere dalle mie magre risorse che nella stessa serata avrei rinsanguate copiosamente con le offerte ricavate dallo spettacolo. Ed invece che ti realizzo, porca puttana? Il foglio di rimpatrio -Ma come? -Faceva maledettamente freddo, e nonostante ciò, la mia tenuta da clown aveva, pur se compostamente intirizziti, catalizzato attorno a me parecchi curiosi forse in segno di solidarietà con il personaggio. Io battevo i denti con coraggio, perché presto ci saremmo scaldati tutti, lasciandoci irrorare dalle feconde linfe di vita. Con gesto distratto attivai la base sonora dal registratore nascosto sotto le cianfrusaglie di scena. Dietro una flebile musichetta, ottenendo l’immedesimazione degli astanti, cominciai a muovermi davvero triste più che per la parte, per la constatazione del gradimento dei fruitori, meccanicamente trovatala congeniale, e ne 56 ebbi quasi rimorso di aver posato un dito sulla piaga, consolandomene però subito grazie al riscatto che ci saremmo preso tra meno di un minuto. All’acme della languidezza in cui tutti ci trovavamo consegnati ad una specie di assopimento comatoso, un impercettibile tremolo di clacson mi fece gemere la platea dubbiosamente grata o indispettita. In ogni caso avevo fatto bene a preparare l’introduzione del tema liberatorio con un accenno alla lontana. Dovevo sapere influenzare le coscienze al risveglio, alla riscossa, al trionfo della vita sana e dell’amore, sul deperimento cronico. E così a piccoli frammenti s’introdussero nell’idilliaco dialogo concertistico, l’allegro chiasso della gente nostrana, le carezzevoli marmitte dei fracassoni, gli allarmi delicati degli antifurti, i dolci abbai di alani, mastini, dobermann, limieri, siberiani, l’innocente scoppiettio di colpi di pistola (giocattolo e vera), di petardi, mortaretti e castagnole, in un crescendo rossiniano di raro fascino. Il risveglio fu immediato: gli spettatori impazziti mi si scagliarono contro come se fossero stati morsi dalla tarantola, e se non fosse stato per una pattuglia di agenti in servizio di ronda lesti ad intervenire, non ne sarei uscito vivo. Le mie cose furono ferocemente prese a calci e a manganellate finché non le ridussero al silenzio. Condotto in caserma, mi fu compilato il foglio di rimpatrio che molto cortesemente mi ordinava di sloggiare dal Paese entro 24 ore. Che gentaglia, incivili, roba da quarto mondo! Come si fa ancora oggi alla soglia del 2000, a respingere la cultura della musica, a disconoscere i messaggi lanciati da un Mozart, un Bellini, uno Chopin, e ci chiamano pure terroni, facce di mozzarella! A parte che per la diffusione del messaggio e l’immediatezza di captazione non esiste niente di uguale. Infatti quale servizio postale o mediale potrebbe equiparare la funzionalità di una successione di provvidenziali castagnole, nel caso in cui per esempio la giunta comunale volesse porgere gli auguri di una festa capitale alla 57 squisita cittadinanza? Con il beneficio per giunta di prendere due piccioni con una fava, quali il realizzo di un grosso risparmio economico e la certezza di non aver dimenticato alcuno, specie qualche sofferente, di quelli che ormai non escono più di casa e che facilmente se ne potrebbe perdere il conto. O nella ricorrenza di un patrono amato e venerato anche da cani e gatti, una S. Venera per esempio o un S. Sebastiano, qual’altro servizio potrebbe sostituirsi ai melodiosi omaggi collettivi offerti già da parecchi giorni prima della festa oltre che nei giorni dell’onomastico e a seguire fino all’ottavario per l’invio delle congratulazioni da parte dei devoti, evitando di condannare il poveretto al seppellimento per l’eternità sotto la valanga dei messaggi augurali singoli? L’impagabile metodo diventa poi insostituibile quando tramite i preti, loro rappresentanti, la comunicazione ai fedeli la vogliono dare gli esseri celesti, perché qui è importantissima la simultaneità tra l’evento e la disposizione ad onorare da parte del devoto, dato che le forze benigne e maligne si ritrovano sempre in campo a combattersi. Cosicché se si vuole adorare la pipì dell’angioletto, il colpo di tosse del Padreterno, o lo sternuto dello Spirito Santo, bisogna essere sincronizzati a perfezione per non correre il rischio di raccogliersi in un momento di poco successivo, incappando sotto la sovranità di Lucifero e beccarsi la beffa di una qualche scorreggia in faccia di un Belfagor o Farfarello qualsiasi, visto che lì si magna, scorreggia e rotta, come i gran figli de ‘na mignotta! Per cui tante più castagnole, tanta più tutela divina ed alla faccia di quegli stronzi incompetenti che non hanno gradito il mio impegno d’incivilimento. Tuttavia io mi domando e dico come può non fallire l’integrazione dei popoli in un’Europa grande e unita quando diventa intollerabile l’accoglimento dell’apporto culturale di varia provenienza? 58 -Hai ragione per gli Stati che vi aderiscono. Però da quello che ho capito tu eri andato a sbarcare in un Paese neutrale -Allooora, se così è stato, mi perdonino e mi scusassero tanto coloro, se ce ne sono stati in questo resoconto, che si son sentiti mancare di rispetto. E’ stata solo colpa di carnevale! 59 60 TAVOLA XXV TAVOLA XXVI Tristezza o tenerezza per i nostri mezzi Giufà di oggi? Giufà è la maschera nostrana più popolare che in qualche modo ci rappresenta un po’ tutti, ma fa soffrire ed offendere molti se ad essa vengono comparati; costoro ne colgono solo il tratto burlevole, tralasciando il sagace essenzialmente genuino nel personaggio. Infatti il nostro simpatico pacioccone, il gonzo lo faceva per libera scelta, però ad essere sfidato, trovava sempre la giusta risposta, come quella volta dell’accettazione dell’invito ricevuto a partecipare ad un simposio con la raccomandazione a presentarsi in abito decente, puntuale a stupire i convitati per lo zelo speso a dar da mangiare al suo vestito. Insomma Giufà potrebbe rappresentare il progenitore ideale, nient’affatto dei moderni omonimi, per ragioni che spiegherò, ma per esempio del fu Bastianu Pastidda (quanti acesi lo ricordano?) anch’egli portatore rispetto all’apparenza, di più complessa personalità, e per tal motivo insospettato dai suoi balordi irrisori anche le volte che vi s’imbattevano durante le imprevedibili ed impeccabili esecuzioni del suo semplice fischiettare flautato pezzi d’opera seria di struggente dolcezza. Ma siccome qui da noi vale il detto: “fatti fama e va’ cùrcati” e i nostri due campioni sono stati presi in considerazione solo per l’aspetto più superficiale e immediato, è a questo che io cercherò di dar risalto nel parlare di tanti palloni gonfiati in giro esclusivamente costituiti di melenso, pur se indossando in effetti una maschera carnascialesca tutto l’anno, ben sintonizzata con il loro goffo atteggiarsi, meritatissima credenziale perché possano interpretare al top il ruolo di protagonisti della presente miscellanea satirico-allegorico-grottesca, nonostante ciò, vengono comunque riveriti al punto d’acquisire di diritto dignità di padreterni. 61 Purtroppo tali personaggi in Acireale abbondano e dei loro sfolgoranti sorrisi la città s’illumina nel suo faticoso cammino verso la (in)civiltà. Questi fascinosi vip, regolarmente benedetti, gravitano attorno al “Grande Vecchio” che a differenza di quello degli anni “70” è facilmente riconoscibile per le sue ubbie di autodifesa contro, si pensa, un immaginario Dracula, visto che porta sempre, anche nel sonno, appeso al collo un crocefisso forse ad interdire l’avvicinamento ed attacco a sorpresa dell’ossessionante vampiro, della cui ingordigia di sangue avrà grande preoccupazione oltre che per sé per i suoi sudditi già consensualmente e gioiosamente abbastanza sfruttati, per via degli enormi benefici goduti dalla casta a cui appartiene il tanto amato vigilatore, sebbene qualche suo superiore indignato invita a smetterla con le false accuse, a bella posta ignorando, le franchigie e le rigogliose spese di restauro da una reggia all’altra con annessi i possedimenti, accordate agl’incontrastati prìncipi, ovviamente a carico della comunità e in sostituzione di qualsiasi altro opportuno e urgente intervento per il quale non si trovano mai i fondi. Da cinquant’anni almeno, va così, ma a c(o)asa nostra, al timoniere bisogna baciare la mano. Questo excursus andava fatto per capire l’affermazione dei tanti Giufà in circolazione, per giunta totalmente fatui, sostenuti e gratificati dal guazzare in un tal mare di misericordiosa Provvidenza. In una situazione del genere non è stato difficile risultare buon profeta nel bozzetto “Facce di culo ridens” dello scorso “Numero Unico” sulla inevitabile sorte assegnata ad alcune strade della nostra città di diventare durante le piogge autunnali delle lagune per un certo verso molto suggestive con l’apporto dei sacchetti di spazzatura (nel centro storico destinata alla raccolta porta a porta) galleggianti 62 come ninfee. Infatti in un primo tempo, le piogge, tale spettacolo hanno offerto, sennonché il diluvio dei giorni dell’ultimo Ottobre ha sconvolto lo scenario trasformando la laguna in violente cateratte e i fiori del “male…intenzionato” in marcescente pattume incastrato tra le grate dei tombini disattivati. Ma da ora in poi il grande piano indiscriminato della lastricatura in basole delle strade del centro storico, (via Alliotta per es. e via Carcagnolo erano molto più eleganti con le mattonelle di prima e resistenti lo stesso nel tempo essendo quasi solo pedonabili), con la loro miracolosa pendenza assegnata, ci metterà al riparo se non fosse che le lagune le ha trasferite dentro le case. Infatti, studiati meticolosamente pendenza e poco o niente il livello delle soglie, considerato in passato poco importante e quindi ereditato zoppicante tra edificio ed edificio, ed avendo assegnato, alla pavimentazione dei marciapiedi l’altezza dalla carreggiata, si pensa ad occhio e senza alcun criterio, risultata in alcuni punti al di sopra della canaletta di scolo del cortile interno, va a finire che una normale pioggia, occluso lo sfogo trattenga l’acqua a risiedere nei vestiboli, e a volersene liberare, in mancanza di idrovore, non resterebbe altro da fare che assoggettarsi agli stivali o con stracci asciugare e strizzare per un paio di giorni. A riparazione di ciò si è dovuto ricorrere a divellere la basola ostruente dando risalto ad una specie di gattaiola scavata verso il sottostante piano pedonabile (in via Caronda ad es.) e costringendo la canaletta a mostrarsi come un timido pene dal glande mozzato, nel suo ristabilito ruolo di svuotare il male accetto laghetto costituitosi dentro. Quale impressione se ne può trarre da una tale soluzione avallata anche da chi i lavori dovrebbe sorvegliare e pretenderli puliti? Non c’è altro, questi amministratori bisogna che siano per forza dei mezzi Giufà, cioè veri e propri minchioni ridarelli in veste di palloni gonfiati, perfetti testimonial dell’antico ed 63 universale adagio:”risus abundat in ore stultorum”, anche se ad Acireale fanno le loro apparizioni trasfigurati e con l’aureola di superiorità intellettiva ed intellettuale, verso i quali però non si può non provare un indefinito sentimento oscillante fra tristezza e tenerezza! 64 TAVOLA XXVII TAVOLA XXVIII Reciprocità clonatoria Per i risvolti etici troppo angoscianti, nel vasto oceano delle manipolazioni delle cellule, prelevate da sotto le ascelle, dal midollo spinale, dal profondo dell'ano, dalla sommità del prepuzio, la più collaudata e meno inquietante, dal cordone ombelicale, etc. , la reciprocità di clonazione, un metodo in via di sperimentazione proprio qui ad Acireale che io proverò ad illustrare comprensibilmente, con la sola condizione per gl'interessati a conoscere, di dover ingurgitare la sbobbia a seguire, è più pericolosa perché meno controllabile, pur se largamente sospettabile dal coinvolgimento degli ormai presunti protagonisti di grande notorietà. La mia scoperta sulla grande scoperta scientifica è solo casuale e si origina dalla notizia di cronaca del pistolettato a morte, causa schiamazzi prodotti dal suo cane, fatale epilogo dopo essere risultate inefficaci le reiterate rimostranze alle forze dell'ordine e dimostratasi infruttuosa l'uccisione dell'incolpevole animale, producente soltanto la sostituzione con un altro, ancor più provocatoria a determinare il ritorno al punto di partenza, cioè alla sorda chiusura della controparte, e conseguente accanita intolleranza da parte del querelante verso l'insostituibile amico dell'uomo, per cui all'autore dello scellerato delitto, l'eliminazione dell'irriducibile cinofilo, era apparsa la più idonea a risolvere il problema, anzi la via obbligata! Orrore! E qui venne alla mente la conoscenza del nostro eroe, il sig. Pelosi, presentatomi or non ricordo da chi: un uomo di grande caninità, tra l'altro risaltante in un volto da schnauzer, semipelato sul cranio, e dedito a non risparmiarsi punto in beneficio della felicità dell'amato quadrupede. Ci raccontava 65 quasi con le lacrime agli occhi, del recupero d'una bestiola abbandonata in autostrada, raccolta in macchina ed inserita in seno alla famiglia, e di conseguenza, del trattamento a casa, delle cure, dell'igiene, dell'alimentazione, a ricambiare la gioia procurata a lui e consorte, ai figli, al vicinato. Sì, anche al vicinato, perché poco a poco il grazioso animale con la sua insinuante voce era arrivato ad introdursi nelle abitazioni dell'isolato ed oltre, facendosi da tutti amare, per essere riuscito di diletto al loro udito. Ad Acireale tant'è: per i cani si nutre un fervore simile alla religiosità. Lo noti dappertutto, tra i servizi degli uffici, occasioni in cui gli utenti non ci pensano due volte ad abbaiare perché cambino, sui marciapiedi con secchiello e paletta pronti a rimuovere nucàtuli, srunza d'angili e piparelli, nei giardini pubblici a gradire le leccate e gli abbracci dei festosi fraternizzatori in libertà di guinzaglio e museruola, sulle spiagge e in acqua a contraccambiarsi l'allegria, nei bar a premurarsi ad offrire al tenero compagno dell'uomo un gelatino, la pizzetta o un arancino, e via di seguito. Come può tanta solidarietà da una parte, trasformarsi in propositi di ferocia in un'altra? Esplosione di follia di gente tutt'al più avvezza a dedicarsi sfacciatamente al prossimo più sfortunato, finendo con l'umiliarlo, in quanto il frivolo altruista si volge ad aiutare esseri intelligenti, forniti delle capacità di autoprovvedersi, i quali se non ci riescono è per via del risultare dei minchioni buoni a nulla, quindi di esempio a spronare durezza verso di loro e alla pietà verso i fedeli animali. Essendo impegnato nell'ambiente della didattica, il signor Pelosi queste cose le conosceva a menadito, e perciò dell'intrapresa opera di rieducazione domestica del trovatello, si pavoneggiava compiaciuto. Il suo cane veniva allevato alla grande: il posto d'onore occupava a tavola ed anche la piazza del letto gli veniva ceduta d'estate dal verace salvatore pronto ad andare a dormire sul ballatoio, invece che d'inverno con il freddo, nonostante il cognome portato e la 66 fitta barbetta, poca cosa, poiché per il resto la sua cotenna non poteva competere con la pelliccia del pregiato ospite, l'ineffabile rinunciatario, riscambiandosi il giaciglio, e regalando all'altro l'addiaccio, tornava accanto alla moglie. E pur se il pedagogo, per l'esigenza di programmare al nobile educando un'impeccabile crescita cinomaniacale, dinanzi agli evidenti capricci del principino a quattro zampe nel lamentarsi intere ore, in pratica tutta la notte, gratificando felicemente i vicini, dagl'invidiosi privi di una tale fortuna, definiti curnuti pacinziusi per la sola grande colpa di gradire i furbi mugolii del relegato sul ballatoio mirati ad intenerire per via del suo ritrovarsi poco entusiasta durante il buio della fredda stagione, pur se il pedagogo, dicevo, aveva autoritariamente dovuto, malgrado le frecciate di ludibrio già subite, usare il polso fermo, nondimeno lo zelo da lui profuso nella sua opera altamente caninitaria era commovente, e anche senza conoscerlo, nell'incontrarlo per istrada, quell'impegno totale di primo acchito gli si riscontrava sul viso radioso. Però all'operatore in didattica sfuggiva l'insegnamento di Darwin sull'adattamento ed evoluzione delle specie. E a furia di abituare il suo pupillo a guardare i fumetti e d'impratichirlo a camminare su due zampe e a pisciare eretto attraverso le aste della ringhiera in modo che il getto scansasse i balconi di sotto, così da essere eliminato il problema igienico dal quarto piano in giù, non si accorgeva, che lui, di contro all'umanizzarsi del diligente discepolo, stesse imbestialendo. II fenomenale neofisiantropo continuava a conseguire incredibili progressi: era arrivato ad usare le zampette anteriori come mani, a superare una miopia agli occhi con lenti correttive, ad ascoltare la radiolina con gli auricolari, e ogni tanto si concedeva uno spinello. Smise di abbaiare, privando i vicini degli assoli della sua armoniosissima ugola, per cui li fece insorgere a rivendicarne il perduto godimento. 67 Da dietro la porta d'ingresso, la padrona di casa, si venne a trovare indaffarata nelconvincere i rivoltosi a pazientare, e con i motivi più disparati, si scusava di non poterli ricevere. In verità non poteva, avendo da nasconder loro il marito ridotto ad abbaiare in un cantuccio dell'appartamento, mentre il cane divenuto il vero padrone, se la godeva sul ballatoio a figurare i movimenti dell’ultimo ballo in voga, in attesa di uscire con il suo ex padrone al guinzaglio, per l'ormai preparato debutto lungo la passeggiata di c.so Umberto. II processo di cinometempsicosi s'era concluso ineluttabilmente, al punto che se si fosse voluto clonare il cane, bisognava agire sul padrone e viceversa, poiché intervenendo sull'uno si finiva per clonare l'altro! Adesso mi spiegavo le sfuriate di un dirimpettaio contro gli schiamazzi prodotti da discoli ragazzini su un ballatoio, invece che al lamentoso abbaiare di un cane carcerato e maltrattato vi si rassegnava. I monelli bisognava riprenderli da piccoli, impartendogli gli elementari principi di educazione civica, se a loro si vuol da grandi evitare di diventare altri sigg.Pelosi, irrimediabilmente paranoici. L'episodio è realmente in corso di svolgimento in contrada c.so Sicilia, e di approfondito studio da parte di autorevoli scienziati (sarebbe meglio se psichiatri) sulla reciprocità di clonazione. 68 TAVOLA XXIX TAVOLA XXX Vivere per fingere? Io mi sono ritrovato spesso ad interpretare il ruolo del difensore delle cause perse, e non per essere un bastian contrario come si potrebbe pensare, o perché ami i torti arrecati, i reati commessi o i crimini consumati, ma esattamente per il suo contrario, nel senso che quasi sempre la traduzione della giustizia nei fatti pare che sia interessata a difendere più gli insubordinati che gli onesti. Non a caso ripone le ricchezze nelle tasche della delinquenza e le ripara da sequestri o espropri. Tutta la rassegna omicidiaria indica come i rei protagonisti vengono trattati con i guanti gialli e quasi sempre i danneggiati diventano i perseguitati, tanto che spesso i ruoli di vittime e carnefici sembrano invertiti. Si dà gran risalto al pentimento, si è molto teneri con l’età avanzata e con il cattivo stato di salute, spesso finto o poco significativo, incompatibile con la detenzione, rassicurando chi ha intenzione di delinquere che a cose sapute fare non si rischia nulla, e si finisce con il protegger lo storto ed onorare il torto. Tutto si basa sulla pesca nel torbido della finzione. Partiamo dal vertice della piramide in Italia: la Chiesa. Papa, piccoli, alti prelati e preti fingono l’onniscienza, della quale si accreditano unici assegnatari per principio e di conseguenza irrefutabili s’intromettono nella scienza e per prassi ne rallentano gli sviluppi, poiché sanno che dai benefici ottenuti dalle scoperte scientifiche dipende l’assottigliamento della loro influenza sulla clientela. Dal loro presunto celibato stupiscono di quanto sono dotti sulle relazioni sentimentali riguardo le quali dovrebbero essere digiuni, poiché a sostituire l’esperienza non c’è studio che tenga, e stupiscono anche quando vi si scoprono implicati, nelle relazioni pedofile, cioè a dire sul loro terreno congeniale 69 grazie alla loro crescita in seminari di rigida apartheid dalle donne e a causa del loro negato matrimonio. Maledicono la vendetta e glorificano il perdono e senza saper tracciare le certificazioni di cosa sostanzialmente siano, creano una gran confusione popolare da lasciare intontiti e a bocca aperta. Segue la macchina dello Stato, una sfiatata locomotiva di carrozze e carrozzoni carichi di pentoloni di svariate ricchezze raschiate alla gran massa di sostenitori dei quali i bisognosi sono i più gravati da amministratori per lo più ladri, corrotti e magnaccia che a seguito dei loro misfatti compiuti approdano alle due camere di decompressione penale del parlamento, rimaneggiando le leggi a loro uso e consumo e aggrappandosi a mostruose impunità, in modo che le pene previste per i loro trascorsi disonorevoli, comportamenti quasi propedeutici al ruolo di onorevoli, risultano evanescenti come farfalle. A giustificazione di tale squallido armeggio si costruiscono una massiccia propaganda di sostegno con il compito d’infangare, facendoli passare, coloro che disapprovano e invocano giustizia, per forcaioli, ghigliottinari e comunisti. Tale compito è affidato in parte ai mass-media per lo più omertosi e all’occasione collusi specie quelli del Sud, e in parte a quote di zelante avvocatura e magistratura compiacente nel dimenticare la scadenza dei termini. Ed è da questo intreccio di intrighi che lo Stato soprintende al benessere del popolo bue, e lo fa da grande narcotrafficante con il monopolio dei tabacchi e da ipocrita operatore di taglia e cuci con la cura dei danni procurati da questa micidiale droga. Inoltre gestisce il monopolio del gioco d’azzardo come il lotto, il gratta e vinci e slotmachine per altri aspetti non meno inquietante, e fino a poco tempo fa quello dei bordelli. Questi sono i capisaldi da cui i cittadini dovrebbero prendere esempio e infatti non deludono nel sapersi distinguere nel mondo come evasori fiscali e migliori progettisti mondiali di truffe e raggiri a tutti i livelli e per tutte le tasche con la complicità di una buona fetta di coloro che dovrebbero vigilare perché non avvengano. In aggiunta si scrivono leggi ridicole per il civile e il penale, e l’economia 70 viene vigilata da sindacati sempre divisi e perciò impotenti che poco alla volta van convincendosi che la disoccupazione si combatte con i licenziamenti. Per perseguire il bene generale e muoverci in piena libertà del far finta, sprofondiamo immersi in una palude nella fitta nebbia dove trovare il passo adatto e la giusta direzione pare non sia più possibile almeno fin quando non si capisce che al calo di produzione di macchine corrisponde una migliorata condizione nazionale di salute, non si capisce che le cassette delle lettere sono state concepite per il recapito della posta e non della pubblicità, che il telefono in casa l’abbiamo installato perché fossimo noi a scegliere con chi comunicare e non gli sponsor, che le strade non sono pattumiere, né le banchine posteggi, che la cementificazione va fermata, sostituendola con il recupero dei centri storici, che il verde pubblico va incrementato e che a fare uscire i cani ci vuole appresso secchiello e paletta, che i clacson si adoperano solo a scampare pericoli e non a far giocare i bambini o a servire da sostituti vocali, che ad accedere a facilitazioni non spettanti si derubano gli aventi diritto, che denunciare non è una cattiva azione, che il rispetto per gli altri è obbligatorio, che se è più comodo esser furbi di certo non gratifica come l’essere onesti e così via all’infinito. Se non ci convinciamo di questo, continueremo a camminare sulle mani e ad operare con i piedi 71 72 TAVOLA XXXI TAVOLA XXXII Il pentitismo degl’incensurati E’ ricorrente nel corso della lunga storia dell’uomo la rivelazione di profeti in grado di galvanizzare grandiose masse, al punto che sia il pensiero sia le azioni dei predestinati predicatori perdano d’importanza nel determinarne l’approvazione, finendo il più delle volte che i fan, a causa di questa irresponsabile credulità, si ritrovino, e purtroppo coinvolgendo gli altri, invischiati in catastrofici eventi, settant’anni addietro c’insegna! Così come allora la nostra sacra Italia ha anche oggi il suo versatile veggente, monarca assoluto con olezzo e corona da narciso: bello, intelligente, spiritoso, ricco senza pari, colto, dinamico, elegante, solare, affascinante, specie con le giovanissime donne, e mi scuso, da superficiale qual sono, per quel che dimentico, che c’è, ma che non colgo. Lui evidentemente sa di essere tutto questo, ne è invaghito ed ovviamente ha contagiato il suo larghissimo seguito di adoratori che lo approvano totalmente financo nelle riserve mentali più nascoste. Purtroppo però come accade quasi a tutti i miti viventi che accanto all’oceanico consenso vi si affianchino petulanti contestatori, così il nostro protagonista malgrado il suo successo continuamente in ascesa (pare abbia sfondato il cento per cento come dimostrano le giornaliere citazioni di rigorosissimi sondaggi), si ritrova da una sparutissima quota d’ingrati denigratori ad essere infaticabilmente perseguitato, complici, cellule impazzite della magistratura. Prova regina, nonostante il suo entourage politico non fa che ricordarlo all’unisono con instancabile martellamento, è il tempo che codeste toghe rosse perdono appresso a un tal pentito del calibro di 73 Spatuzza (anagramma di Sputazza), un feroce pluriomicida quale effettivamente è stato. A primo acchito non si capisce un tale allarme per l’ovvietà della situazione: quali altri possono essere i requisiti di un pentito? Ma se un bagliore di acume attraversasse il nostro cervello, si scoprirebbe una sottilissima finalità difficile da cogliere: a ben ragione un tentativo di colpo di spugna definitivo da parte del governo per il suo leader e in beneficio di una pacificazione degli animi della maggioranza della popolazione nazionale, cioè di coloro che si riconoscono nel bistrattato martire, ribaltando con un ingegnoso stratagemma nient’altro che il fumus persecutorio su chi lo alimenta, in modo da far capire a questi sciagurati la gravità della scriteriata azione da loro condotta. I pentiti con tutti quei crimini commessi non possono essere credibili, e allora i veri pentiti andrebbero ricercati tra gl’incensurati, gli onesti, la gente per bene alla quale appartiene il nostro divinatore, corretta, laboriosa, e sant’Iddio finalmente credibile. Però, malgrado ciò, questi potrebbero non risultare del tutto condiscendenti con la difesa del più perseguitato d’Italia, e allora s’impone certo il non fidarsi lo stesso su coloro dai quali dipende l’ardua impresa, il più delle volte persone atteggiate sempre a quel tono grave, serio, quasi cupo, da soggetti depressi con lo sguardo costantemente a terra nel loro percorso giornaliero, come se cercassero qualcosa persa, custodi di chissà quali scheletri negli armadi, invece che immancabilmente ridanciani quali l’ingiustamente imputato merita. E comunque, in ogni caso bisogna rischiare perché solo gl’incensurati possono determinare la svolta e vedrete se hanno qualcosa da ridire sull’incorruttibilità del forsennatamente, ma ingiustamente vilipeso, non essendoci niente da insinuare sul suo adamantino spessore morale. Che diamine, questa è giustizia! Smettiamola con odio ed invidia se si vuole riconquistare la tranquillità, lasciando in pace le persone colte, allegre, dinamiche, solari, specie se con prestigiosi incarichi sulle spalle che non consentono 74 di far perdere tempo appresso a magistrati comunisti e a ridicoli diffamatori. Ascoltiamo i pentiti che dànno garanzie e liberiamoci degli inaffidabili Spatuzza, che non fa altro che sprecare sputazza. Ci accorgeremmo subito dell’inconsistenza delle accuse, non essendoci niente da ridire su un sant’uomo. Vogliamo esser lieti? Siamolo sino in fondo, solo così possiamo continuare a garantirci il carnevale tutto l’anno. Cavaliere docet! 75 76 TAVOLA XXXIII TAVOLA XXXIV Per uno scherzo del mio cognome Cosa può succedere quando si porta un cognome molto diffuso e inoltre per certi versi pregiudizievole. Avevo bisogno di un elettricista a casa e prego un caro amico di indirizzarmi al suo di fiducia. Telefonicamente contatto l’artigiano indicatomi -Pronto, io sono Grasso- -Lei cerca un centro dietetico, non lo trova qui, anzi- -No, no, io cercavo in verità del signor Grasso- -Cioè a dire del grasso per eccellenza- -Capisco che siamo in una città piena di Grasso, però mi riferivo al Grasso persona- -Grasso persona! Che ci posso fare se al mondo mi ci ha portato un grasso, mica si può scegliere! Piuttosto lei come è diventato grasso?- -Non mi è capitato nulla di eccezionale, anch’io sono stato portato al mondo da un Grasso- -Ma che destino, per giunta con il divieto di provare a prendersi lo sfizio di abbuffarsi, lei è stato disgraziato quanto o chissà anche forse più di me- -Non le permetto. Roba da matti! Io sono contentissimo sia della vita, sia della mia ascendenza. Ma tu guarda che impertinente!- -Contento lei! Credo che sottovaluti il pericolo del diabete con quel che comporta. Gradisce qualche informazione?- -Ma mi faccia il piacere… Dovetti chiudergli la cornetta in faccia, se no lo sfacciato chissà per quanto ancora avrebbe spinto quell’andazzo, però ne risi quasi subito, ma un proposito scelsi a regola: informarmi prima e bene sui miei omonimi sconosciuti con i quali avrei avuto a che fare, anche se dovetti ammettere che tutto sommato l’imprevisto Grasso senza dubbio mi era superiore in humour. Comunque richiamai l’amico che mi aveva consigliato, e quello a sentire le mie ragioni fu lesto a sconfessarmi, assicurandomi senza alcun dubbio che avevo chiamato altrove perché il Grasso a cui lui mi aveva mandato era corto di cerimonie. Infatti da com’era andata, avevo composto male il numero e per combinazione mi ero imbattuto in un altro Grasso di cognome, nelle membra e con ovvi problemi di salute, e quindi vale per me, ma vale anche per tutti 77 voi, gentili lettori, di non avere da dubitare, eccezioni a parte, sui cognominati Grasso di Acireale, parola di… 78 TAVOLA XXXV TAVOLA XXXVI Ridicola psicosi da stalking A breve sarebbe entrata la primavera e una sizzettina marzolina metteva addosso qualche brivido. Uscivo di casa con un po’ di ritardo, mancava un quarto a mezzogiorno e l’aperitivica passeggiata di un’oretta, esclusiva dell’intera giornata, quasi mi rimproverava la mancata puntualità, irritandomi per la mortificazione ricevuta dalla inveterata, piacevole abitudine. Così camminavo di fretta e già avevo percorso un paio di centinaia di metri, quando avvertii un allentamento alla vita: era saltato il bottone che teneva i pantaloni in ordine. Io, purtroppo a causa del mio essere essenzialista, tanto da non portare oggetti di alcun tipo o foggia oltre alle chiavi di casa, al portafogli e ad un pacco di fazzolettini, resomi conto che la circonferenza della mia pancia combaciava con quella della cintura, avevo eliminata questa, con il pericolo concreto che mi ritrovassi cchi càusi persi sulle scarpe senza preavviso, ed ora che la preoccupazione ci mancò poco che si sciogliesse in esito infausto, tale probabile evenienza mi deprimeva più di quanto già fossi per la troppo comoda uscita di casa. Tornare indietro significava rinunciare alla passeggiata. Ero indispettito e bofonchiavo esclamazioni di stizza (rimpiangendo i soppiantati bottoni). Provai a tirare su la cerniera al massimo e pareva che reggesse. Inoltre con il supporto dell’attillatura del giubbotto mi convinsi a rischiare. Non l’avessi mai fatto! Complice un fottutissimo sternuto, e in un baleno le mie gambe restarono nude: il peso degli accessori portati nella tasca dei pantaloni era stato determinante. Nel minuto più lungo della mia vita riuscii a ricompormi e tutto sommato me l’ero cavata con il classico arrossire per avere incrociato qualche sguardo divertito, d’incoraggiamento a non farmene una ragione, se un’attempata signora non avesse 79 ma voluto aggiungerci delle sottolineature -E’ questa l’ultima trovata della moda: mostrarsi in libertà?- -Ma che mostrare e mostrare, signora, alla mia età!- Risposi con un sorrisetto accattivante. Ma quella parve non gradire e sentenziò -Se il cervello sbanda, non c’è età che tenga- -E allora, messa su questo piano- Mi scaldai -Le dico che per mostrare, bisogna avere. Io cosa dovrei mostrare secondo lei, quello che non c’è?- La mia amara ammissione non scoraggiò l’altra che per seguire la sua riserva mentale non si risparmiò a scadere di pudore -Non mi pare rispondente al vero quello che dice, io non ho le traveggole agli occhi!- -Ma che caz… dice, signora, magari fosse! So solo che quando me la voglio vedere, debbo usare lo specchio- -E’ anche screanzato, e la cosa è tanto più grave perché lei non vuol capire di star parlando con una timorata di Dio- Ne risi con sarcasmo -Lei, timorata? Lei è un’assatanata- -Io la denuncio. La denuncio di tentativo di stalking- -E mi denunci, mi denunci, così sarà invitata dal magistrato a mettersi l’anima in pace riguardo il mio mostrare- -Allora ammette di aver mostrato…- -Signora, anzi signorina, lei le polemiche se le cerca con impegno, specie quelle sulle quali pensa molto presuntuosamente di poter dare lezioni, se lo tolga dalla testa, e a questo punto è bene scoprire le carte per intero. Ad Acireale quelli della nostra età si conoscono tra di loro, e lei, lo sappiamo entrambi, è una zitellona acida. La colpa è della legge, che farebbe bene a vietare alle donne il nubilato, tranne che vi facciate monache, in tal caso l’abito preannuncia con chi si ha a che fare. Ed ora per tornare un’ultima volta sulla questione e poi chiuderla lì, se la sua difesa della verginità le ha lasciato qualche rimpianto o semplice curiosità per non dire morbosa, sposti l’attenzione sui giovani che hanno, beati loro, ben altro da mostrare della mia ernia, che la invito a non umiliare ulteriormente. Buongiorno! Finalmente mi ero congedato da quell’arpia, pronta a sfruttare tutte le occasioni per sfogare la sua rabbia d’inconsolabile pinzochera. Mi girai un paio di volte prima di svoltare e constatare di ripercorrere la strada in direzione di casa, sacramentando per aver avuto avvelenata la mattinata da una troppo pia donna che continuava ad implorare il Signore, perché perdonasse la mia sfrontata trovata esibizionistica. 80 TAVOLA XXXVII TAVOLA XXXVIII Porca scorreggia stonata Verba volant, scripta manent. Saggio ammaestramento riguardo il quale Trunzurbe nel condividerlo mena vanto. Mi trovavo in compagnia di Piero Venuti, ovverossia, del "vichingo" (affettuoso appellativo quasi d'obbligo per via del suo essersi negli anni del bel tempo trasferito in Svezia). Per le più verdi generazioni, trattasi del dinamicissimo, simpaticissimo, intraprendente e popolarissimo giovane concittadino degli anni …nta. Da poco in quiescenza, il "vichingo", abbastanza di frequente e a sorpresa viene a sferrare sul suolo natio dialettiche incursioni, dibattuto com'e, senza che lo voglia ammettere, tra due odii amori: verso i luoghi d'origine e quelli di adozione dove gli abitanti la testa portano apposta all'estremità opposta in cui è attaccata ai trunzurbani. Tale meraviglia lui asserisce, gli procura necessità di ribadite e attente rilevazioni sul campo, atte a consentire l'approfondimento dei suoi avanzati studi per stabilire dove effettivamente si vive capovolti, e gl'impone quella che ad un superficiale sembrerebbe, causata da un sentimentale conflitto di nostalgia o peggio ancora da una saturazione di sopportazione, sregolata: l’imprevedibile spola tra le due latitudini. Nonostante si fosse a metà autunno scorso, la sera era calata tiepida e, passeggiando al c.so Umberto, si disquisiva (naturalmente snobbando il mutismo alla moda) su alcuni dei più amabili comportamenti civici dei trunzurbani, quali: il dialogare per clacson e marmitte, castagnole, petardi, scampanii, cadenze quartiorarie di orologi da campanile (particolarmente predilette, specie la notte, quelle della chiesa di S.Rocco), antifurto, abbai di cani sui balconi, e via discorrendo (sempre più animatamente). Senza 81 dimenticare che, ove codesta abituale pratica di comunicare fosse risultata inesaustiva, ci si sarebbe sacrificati ad inchiostro e penna, molto eccezionalmente ai cellulari, purché non si scadesse nella diretta conversazione. Lui protestava contro la rottura di c... della rivoluzionaria trovata intronante. Io ribattevo che se i traboccanti decibel si consentono, anzi si invocano, risponderanno ad una qualche utilità, inoltre vanno a servire una vasta rete destinataria. Così i clacson surrogano la gamma dei saluti (frettolosi per gli amici, graziosi e concordati per le fidanzate) e degli inviti correttamente reiterati (affinché la persona attesa non facesse attendere troppo, i posteggiati in doppia fila concedessero ai più sciocchi ligi di dissequestrarsi, e il capofamiglia in procinto di rincasare per il pranzo, già dietro il portone, potesse avvisare ca cci si po’ calari a pasta!). Le marmitte delle due ruote, con quel ruggire articolato, quale abilità, affermazione, potenza, intelligenza e giocondità non esaltano di chi le cavalca? Le castagnole, in primis, non toccano il sentimento religioso, cosicché una città molto pia che dai Rettori del paradiso, ai santi, ai beati, agli angeli, nessuno vuole dimenticare (lo testimoniano i sontuosi monumenti intitolati ai gloriosi di ogni ordine e grado), come può quietamente progredire senza ingraziarsi press'a poco quotidianamente il protettore di turno? Sono anche messaggere delle notizie più vitali, quali i risultati positivi colti dalla squadra di calcio granata (cosa non da niente), e servono il primo cittadino, diligentissimo ad augurare rigorosamente di buon mattino alla comunità le varie festività capitali dell'anno, sia politiche, sia laico-religiose. E se i dignitari hanno il privilegio dei botti top, i comuni mortali si consolano con petardi di varia sonorità che, con sudati studi e geniali artifizi, come l'uso di androni da casse di risonanza, possono raggiungere livelli di maestosità da non invidiare i primi. Il ricorrente sbatacchiar di campane è correlato alla nota devozione già menzionata, mentre gli orologi delle chiese 82 nell'operosissima Trunzurbe zelano a ricordare a non distrarsi, poiché il tempo corre. Gli antifurto con le loro beffarde sirene si prendono gioco dei pochissimi ladri ormai operanti, frustrati dalle sfavorevoli opportunità, grazie alle quali, per assicurare beni diventati quasi inviolabili, la spesa occorrente è diventata pressoché irrisoria. I cani signoreggiano sui balconi, e non di rado si sgolano per far conoscere il non comune senso di solidarietà ai loro padroni, arricchendo di dissonanti accordi (vere chicche!) l'armonia di ordinario esercizio. Tutto questo ricco patrimonio culturale evidentemente viene sorvegliato e stimolato a funzionare da solerti agenti delle forze dell'ordine, tant'è che davanti le rispettive caserme le esplosioni si susseguono a ritmo serrato, evidentemente per aver avviato una efficace campagna promozionale. Finalmente a Trunzurbe la modernità lussureggia, sicché nelle ordinarie reazioni di ogni giorno, poiché non giungerebbe all'udito, si è riusciti a far a meno della parola, e grazie a ciò si è trovato il modo di risparmiare fiato. Infatti, restando poco da dire, e quel poco inutilmente, nessuno più parla e, se in qualsiasi momento una magica bacchetta desse l'alt all'eccitante sinfonia, si sentirebbe volare una mosca. Purtroppo poi, all'avvicinarsi delle ore piccole, quando la sublime musica va sfumando, ricorrono frequenti crisi di astinenza, dozzinalmente scambiati per schiamazzi dal solito Bastian contrario. L'interlocutore dissentiva; apertamente mostrava di detestare l'ineffabile concerto, cercando con foga di dissacrarlo. A Stoccolma, diceva, vigeva esattamente il contrario e tutti, altro che solo le forze dell'ordine si adoperavano perché non s'infrangessero i divieti derivanti (cioè i nostri incoraggiamenti). A parte che non capiva a cosa servisse seccare la parola. Insomma vantava un modello di comportamenti rovesciato rispetto al nostro. Roba da matti rigettare l'organizzazione della società a misura d'uomo, e favorire l'affermazione degl'insetti, per salvare un parlare inservibile ad alcunché se non come nel caso 83 suo (scaldandosi nel perorare) a minare la salute, cosa alla quale i trunzurbani ci tengono troppo per cedere nella tentazione di aprir bocca. La nostra passeggiata per il fervore di cui si coloriva dava scandalo. Poveretto, un anziano, allo stremo dal contenere il premere di un vento rettale ormai irrefrenabile, mentre gli passavamo accanto, si liberò d'una ragguardevole scorreggia. Il Piero con naturalezza gli augurò -Salute!- Un terzo con cui ci si era appena incrociati si girò di scatto e, angosciato per dover usare la parola, apostrofò -Porca!- Il "vichingo" afferrata male la flessione grammaticale al femminile, imbaldanzì di brutto mentre io stentavo a placcarlo -Porcu a mia?Protestava, e l'altro, che pur cedendo ai nervi riusciva a controllarsi non creando difficoltà ad un paio di passanti, i quali, avvertito il rischio d'azzuffamento, s'erano fermati prontamente a godersi il probabile spettacolo, continuava a mandarlo a quel paese. Per fortuna, con sofferto allontanarsi dell'emendatore civico, in pochi minuti la tensione allentò ed io cercai di chiarire che la rampogna suonava -Porca!- ed era diretta all'indubitabilmente atassica scorreggia, che lasciando molto a desiderare, fortemente umiliandolo in un baleno, aveva fatto sparire alla nostra vista il disgraziato esecutore. Mi prodigai a far capire quanto disturbi una tuba che stubi all'impianto contrappuntistico, e quindi, l'irritazione del biasimatore diventava legittima poiché il contributo sonoro dello sconcertante concertista, risultato calante rispetto alla tonica della sinfonia in corso, era scaduto a semplice esigenza fisiologica, libertà questa concessa solo agli animali goderla: ce lo insegnano i nostri marciapiedi per nulla avari dei quotidiani bisognini, non di rado bisognoni -L'intestina folata chissà quale grappolo di emorroidi dovette filtrare per gorgogliare così discordante- Aggiunsi -Parli da intenditore?- Chiese, ora canzonando, il "vichingo" -Comunque sia- Proseguì -Penso ugualmente a essermi rotto abbastanza qui, e cambiare clima aiuterebbe a ritemprare l'humour. In Svezia l'avranno vinta gl'insetti, mancheremo di senso di solidarietà, 84 saremo pigri a scrivere, vivremo anche all'incontrario, ma, di sicuro, parlare, tossire, starnutire, ruttare, spetezzare in tono e non.. se impelle, non crea problemi con il risultato di tonificare la salute, non di guastarla. Ne fa fede, senza uguali per modulazione, la pernacchia che vi dedico di cuore! Come di prassi ci salutammo con un -Ci si vede- Ovviamente alla sua prossima incursione in Trunzurbe. 85 86 TAVOLA XXXIX TAVOLA XL Revolution, revolution, revolution! Goliard’Acjr, piccolissimo enclave in territorio trunxicano incastrato tra Ciudad de Tosorela a settentrione e occidente dolcemente profumata come la ginestra fiorita sulle pendici del vulcano, e Ciudad de Lacugina a sud e a levante deliziosa più di quanto lo sa essere il citrigno della polpa che offre l’ostrica del suo afrodisiaco mare, visse momenti difficili. Lo staterello traballò paurosamente scosso dai sussulti di mancato golpe per alcuni, incompresa rivoluzione per altri, rompimento di c… per i più. Ma è bene andare con ordine. Da parecchio erano finiti i tempi quando mancavan sempre cinque centavos per realizzare un peso! La ricca miniera, l’unica fonte di benessere della comunità rendeva abbastanza, specie da quando il valore dell’oro si era moltiplicato per tre. Il tesoro era cresciuto considerevolmente grazie all’oculata amministrazione del governo Ehssalve e nonostante la condotta scialacquatrice dei goliard’acjni, per altro verso, rari esempi di personificazioni di qualità caratteriali le più pregiate, quali, lealtà, garbatezza, generosità, discrezione e soprattutto modestia, che considerato l’inimmaginabile livello medio culturale, era davvero sbalorditivo vederle abbondare nei comportamenti di ognuno! Insomma un piccolo angolo di mondo da suscitare invidia! La popolazione, priva della componente dei giovani, poiché questi attratti dagli aromi delle due ciudad limitrofe vi bivaccavano stabilmente, in maggioranza volgeva a canizie, sicché da amicizie quasi semisecolari non poteva non svilupparsi un’atmosfera di affettuosa, cordiale, fraterna convivenza, per niente inquinata dagli ultimi avvenimenti che da fortuite eccezioni non fecero che confermare la regola! Fu all’improvviso che il germe influenzale della stagione in corso, la discordia, si introdusse nella repubblichetta, sconvolgendo la delicatezza d’animo generale, 87 eccitando la fisima della polemica e provocando un polverone più minaccioso di quello prodotto dall’uragano quando incazzato urla tra i canjons della Sierra Madre. I tranquilli e affiatati amigos sottratti al torpore della siesta, intabarrati nel poncho, il sombrero a ripararla appiccicato sulla faccia, calienti brancolavano nella nebbia della smania alla ricerca della perduta quiete. La pacatezza s’impazientì in tutti i toni sino all’isteria con un susseguirsi di strapazzi, furori e c…ozzi. Il cagionevole Governator Ehssalve, in passato pluriacclamato sin tanto da generare il culto della personalità, fu tacciato di autoritarismo, lui amante di confronti e consigli, ricercator di proposte, proponitor d’assemblee e referendum, lui dittator! Un cristiano il più democratico, un crociato con tanto di scudo cattolico, un militante del partito popular, lui dittator?!!! Perciò si ribellava strenuamente e nella foga di difendersi, per prender fiato e decongestionare il viso ebbro di collera, frombolava il respiro sulle adenoidi, sue antiche molestatrici, con più forza rispetto alla normale abitudine consolidata, e come se stesse sul punto di soffocare. Ci mancava pure l’epidemia! Gli parve il segno premonitore d’una sua prematura fine. Ammise subito che fosse una sciocchezza che il pernicioso contagio avesse voluto toccarlo per condurlo all’Ade fraudolentemente, ma bene che dovesse finire, decise, passato lo spauracchio, di dimettersi da qualsiasi carica. Col voto alle porte, il virus punse forte, tant’ebber triste sorte: lor pensar e dir preser vie storte. Si contestò il funzionamento delle attività morali, delle quali non si aveva esperienza alcuna, poiché nello staterello non se n’era mai fatta pratica. Pur nondimeno si cercò d’individuarne alcune ipoteticamente esplicabili: beneficenza, prenotazioni di loculi, funzioni religiose, vigilante interdizione di fantastici giochetti pederastici, dovendo però ammettere la non esercitabilità di qualcuna di esse in una comunità di ricchi arzilli laici ex ficaioli scelti. E tuttavia si continuava a cicalare; 88 circolarono volantini, si ammannirono ideologie del nulla e si issarono bandiere del niente, si gridò alla revolution, al no pasarant! I goliard’acjni perduta l’ancestrale calma dei trunxicani fremettero dalla cima dei capelli all’unghia del dito piccolo del piede! Torun de la Vergine offuscò il candidato dell’opposizione. Vinse la Sinistra. Eppur s’era alzato dal fronte battuto il grido di revolution. Era dunque quello un golpe mascherato o un rompimento di coglion? Qualsiasi cosa fosse la reboante revolution fu dura a morire. Si voleva disarmare la miniera, avvelenare le posadas natalizie. Sui muri cominciarono ad apparire le liste degli “insonni”, i tramatori nella notte, gl’irriducibili celebranti della gozzoviglia. Nel salon delle fiestas le mense traboccavano d’ogni specie di tortillas, tacos, enchilades, peneques piccanti di chile, di barbacoa e gusanos, di boccali di pulque e tequila, mentre alla radio l’In dei mariachi arpeggiando sulle corde di jaranas, vihuelas, banjos, conchas e chitarroni, produceva il sottofondo ai suggestivi versi di Enrique Gonzales Rojo. Volavano minuti, quarti d’ora, mezz’ore, ore intere. Il fumo dei grossi cigarros ingordamente succhiati avvolgeva il salon. Si centellinavano i refrescos: la chicha, il tepache, la tamarinda. Le amenità capriolavano nella spumosità d’una gazzarra maschia, le note musicali si vestivano dello jarabe, della malaguena, dell’huasteco, e malgrado che già le palpebre cadessero pesanti, gli sbadigli si moltiplicassero, le membra reclamassero un morbido giaciglio, solo all’ora del chicchirichì i satolli convitati biascicando brandelli di Adelita Valentina o della Cucaracha trascinavansi infino al letto, dove il sonno spazzate via bruscamente le morenti sillabe dalle lonze labbra li sballottava sulle spiagge dell’inconscio con la sua possente risacca. Costoro, i più colpiti dall’epidemia cerebrobnubilante dettero non poche preoccupazioni, la più grave quella d’aver superato il limite della reversibilità. Per 89 fortuna la malattia fu completamente benigna e stava per risolversi. Lo si comprese dai lenti ma progressivi ravvedimento e guarigione dalla fissazione. Infatti los amigos si riabbracciarono e si risorrisero. L’aere si ricompose più immoto di prima sotto un cielo insondabile. Lo staterello riconquistò l’invidia dei trunxicani. Però che scantos ragazzi, roba da carnevale! 90 TAVOLA XLI TAVOLA XLII Pesce d’aprile I La solita comitiva di sfacinnati pensionati, per cazzeggiare si ricostituiva ogni mattina in pescheria e la sera alla villetta Garibaldi. Era ben assortita e intonata e l’asse armonizzante per lo più era manovrato da don Nunziu salachiai specializzato a chiuder le ferite degli altri con il sale specie quelle riscontrabili in don Ramunnu culu senza funnu, gran cicalone sempre pronto a protestare che non lo facevano parlare e mai pago di accumulare ricchezze, sebbene già sovraccarico, da destinare chissà a chi, essendo figlio unico, senza eredi. Intorno ai due ruotavano gli altri quattro o cinque stabili in qualità di coreuti, come nell’antico teatro, e pronti a colmare le pause dei protagonisti con sghignazzamenti ed esclamazioni di finto stupore. Don Nunziu all’irrequieto Creso, di sole, gliene aveva rifilate parecchie, a distanza di mesi, per dargli il tempo di digerirle, e così l’aveva abbindolato con l’esca dei grandi risparmi, mandandolo ai mercati generali della frutta, in piena notte al mercato del pesce ad Acitrezza, al macello, ovviamente ai rispettivi reparti “Liquidazioni”, da dove consigliato da impareggiabile taccagneria era tornato a casa con merce da pattumiera che regolarmente la moglie alla presentazione lanciandogliela, gliela faceva arrivare in faccia. Sarebbe curioso constatare che le passate esperienze di tre casi analoghi non gli avessero risparmiato di cadere nel tranello, ma si sa, con diffusissime prove, che la forza dei vizi ottenebra la ragione. L’ultima disavventura invece la visse cercando l’immobiliare “Unica e sola” nel quartiere di S. Berillo dove gli era stato indicato e dove poteva trovare occasioni irripetibili. Al fruttivendolo di zona a cui si rivolse per chiedere informazioni sull’ubicazione della società, gli si arricciarono le labbra e il capo gli ondeggiava in segno di complimentarsi con l’arzillo vecchietto, e dopo qualche minuto l’incredulo informatore si decise a riferire che di unica e sola nel quartiere viveva la geisha molto 91 mobile e lavoratrice du pilu impegnata ad arrifriscari gli arrapati. Al poveretto culu senza funnu non restò che ringraziare, salutare in fretta e allontanarsi a testa bassa. 92 TAVOLA XLIII TAVOLA XLIV Pesce d’aprile II Capitò che al compiersi della notte del 31 marzo del 2012 l’Etna si arrabbiasse di brutto, tanto da sferzare con una pioggia di cenere i paesi pedemontani. Don Nunziu, nostra vecchia conoscenza, ribattezzato Salachiai, per la sua alacrità a spargere sale sulle altrui ferite, come d’abitudine mattiniero, appena aprì l’imposta della cucina di casa sua non poté trattenersi dal sacramentare dinanzi alla vista del ballatoio coperto di nera silice. Era già successo parecchie volte in pochi mesi di doversi sobbarcare alla pulizia di terrazzo e ballatoi e sapeva cosa ciò comportasse in fatica e dolori alla schiena. Però quella volta l’inconveniente era accaduto in una notte particolare preparatoria all’avvento del primo di aprile. A questo punto a don Nunziu di carattere allegro e burlone in quell’avvenimento gli parve di ricevere un regalo, perché si prestava benissimo ad insaporire un’ottima pietanza di pesce d’aprile. L’eletto destinatario tanto per cambiare, fu don Ramunnu culu senza funnu,avido taccagno e cicalone della comitiva lesto a protestare quando qualcun altro gli toglieva la parola perché a suo dire non lo facevano parlare mai, non pago di avere frastornato le teste degli uditori compiacenti a farsi intronare, per una specie di attrattiva psicologicamente esercitata dalle sue ricchezze. Lui, insignificante nella persona, poco istruito ed invece tanto ricco, tanto, tanto, tanto, tanto quanto pidocchioso, pur con la tristezza, non avendo figli, di non sapere immaginare che fine avrebbe fatto dopo tante privazioni quel ben di Dio, quando lui vi si fosse involato incontro. Tuttavia la ferma indisponibilità di tanta disponibilità bloccata parve all’irrequieto don Nunziu Salachiai l’ingrediente perfetto per la burla da realizzare. 93 Il Salachiai si recò all’abituale punto d’incontro con gli amici un po’ in ritardo, e lamentandosi dello strapazzo dovuto subire in tre ore di pulizia della cenere vulcanica. Attese che gli ascoltatori commentassero le sue fatiche ritenute spropositate, e a quel punto gli parve il momento giusto di lanciare l’esca, e dopo avere ammiccato in segno d’intesa in un momento in cui il predestinato s’era distratto, esordì -Però questa volta mi sono rifatto con gl’interessi. Cosa da non crederci. La cenere a tratti si faceva più scintillante, e questo era dovuto alla mescolanza con pagliuzze d’oro eruttate dal vulcano- Seguì un coro di fischi e risa misto a salaci apostrofi, utile a condire meglio la minestra -Non dovete, per forza, crederci! Chi se ne frega! A me basta che ci ho ricavato un mucchietto di circa venti grammi d’oro. E voi che vi stupite, cosa vi sembra che espella l’Etna, se non minerali, e l’oro cos’è? Don Ramunnu, subito scosso da un tal tipo di ghiotta rivelazione parve abboccare, tanto fu convincente l’amico. Lo si notava dalla serietà con cui ascoltava, lui infaticabile oratore, al momento faceva parlare i suoi occhietti accesi di cupidigia, per cui il celiatore proseguì con qualche approfondimento -Uscendo di casa ho incontrato un antico conoscente, anche lui molto meravigliato dell’evento quasi prodigioso. Di ritorno dalla sua campagna in una frazione qui vicina, mi diceva, che gli abitanti del posto, più mattinieri e operosi rispetto a noi, avevano già pulito a specchio l’intera contrada, anche lì rimunerati di qualche pietruzza, chiariva proprio pietruzza, perché più si sale verso la montagna incontro alla bocca eruttiva e più i frammenti sono grossi, che a causa a suo dire della pesantezza cadono appena sfornati- L’appendice di più favorevole ritrovamento in prossimità del vulcano, il Salachiai l’aveva elaborata ad arte, sapendo che culu senza funnu fra le tante proprietà possedesse un gran vigneto con relativa casa di villeggiatura e ampissimo cortile dove avrebbe potuto sbizzarrirsi da fervoroso cercatore d’oro, proprio ai piedi del vulcano. La comitiva rumoreggiava senza impressionare più di tanto don Nunziu 94 entrato ineccepibilmente nella parte, riuscendo a tenere sulla corda il predestinato, che a sentirlo perorare, non ci pensava nemmeno a diffidare, e così si tratteneva dal fare domande, ma deglutiva spesso di bramosia, mentre qualcuno iniziava a sbadigliare perché già si avvicinava l’ora di pranzo. Al solito si salutarono, e fingendo stupore per la prodigiosa rivelazione, ognuno prese alla svelta la strada di casa. L’esca era stata lanciata, ora bisognava attendere, e infatti non ci volle molto a capire ch’era stata anche abboccata, poiché all’incontro abituale della sera all’appello mancava proprio l’incontentabile Creso, per cui bisognava capirne la ragione, così tutti d’accordo decisero d’informarsi telefonicamente a casa dell’assente ingiustificato. La moglie ancora spaesata, anche per le poco incoraggianti condizioni meteorologiche del periodo specie di sera, riferiva che per motivi non proprio da lei compresi, il marito aveva dovuto recarsi alla vigna sopra Milo. A tal notizia gli amici decisero di recarsi tutti quanti sul luogo conosciuto da qualcuno essendovi stato già condotto dal proprietario. La serata era fresca ed umida, intonata alle calorie da spendere della vittima impegnata da una fatica assai dura. Da lontano si accorsero che il cortile era tutto illuminato, così cominciarono man mano che si avvicinavano le grasse risate sempre più corpose nel distinguere la sagoma dell’amico non risparmiarsi nel menare il can per l’aia. All’arresto della macchina e allo sfornare affatto sgraditi visitatori scompisciati dalle risa, scoperto troppo tardi ahimè l’inganno, per non dar soddisfazione, l’ingordo zimbello, si accinse a scimmiottare il comportamento degli amici, presentando insieme le giustificazioni in soccorso alla sua citrullaggine e cercando freneticamente di porvi una toppa, risultata peggiore del buco -Domani debbo prestare la casa ai miei nipoti che ci vengono a svolgere una festa. Non gliela potevo far trovare così conciata, non vi pare? -Eccome no- Gli convenne Nunziu Salachiai -Solo che domattina alla luce del giorno certi lavori sarebbero stati 95 facilitati, e anche tua moglie ne sarebbe stata più contenta, però si sa che se non la si vuol perdere, la fortuna va assecondata subito. Ma si dà il caso che i lingotti viaggino per altre strade, e se li volevi veramente trovare a bizzeffe non occorreva far tanta strada inutile, bastava bussare alle gioiellerie di via Davì. E’ vero che più le cose ce l’hai sotto il naso, più non le vedi. Comunque l’infortunio di stasera dipende in parte anche dalla tua parlantina troppo sfrenata, perché se tu abusassi meno della parola e riflettessi di più, forse non saresti incorso tanto facilmente in un pesce d’aprile del genere! 96 TAVOLA XLV TAVOLA XLVI Gavettone DOC A tutti, credo, è venuto in mente almeno una volta nella vita, di esser nati sotto una specie di segnata predestinazione, proprio per recitare il ruolo che occupiamo in società. Per alcuni l’idea guizza e scompare in un baleno nella mente, per i più si radica come una verità rivelata, anziché convenire che trattasi di colossale minchiata, poiché noi altro non siamo che frutti delle più svariate combinazioni relazionali associate alla tenacia dell’impegno individuale. E’ così che si diventa operai, artigiani, professionisti, scienziati, minchioni! Calogero, di soprannome Triciccia, apparteneva proprio a quest’ultima categoria, poiché la sua vita aveva costellato di flop in quanto sia nella sfera sentimentale, che nella lavorativa, si era comportato sempre da strafottente. Svogliato e incurante, prima nella scuola abbandonata al ginnasio e poi nelle varie esperienze d’impiego, buttò alle ortiche le varie opportunità di lavoro trovate, non ultima quella di commesso in una banca; con la famiglia non fu meno irresponsabile, fino quasi con i figli da lui avuti a costringere la moglie, delle più degne per onestà e dedizione, esasperata al massimo, ad allontanarsi definitivamente e senza appello. Il Triciccia amava gli amici e l’allegria e di tutto il resto non se ne dava pensiero: era un gaudente, buona forchetta e ottima spugna, precipue virtù queste per rivestirlo, origine del soprannome, d’una rispettabile pinguedine, che sfoggiava quasi con civetteria! A sgravio di possibili preoccupazioni, contribuiva il fatto di discendere da famiglia benestante e di avere ereditato abbastanza da continuare fiducioso nella sua condotta di vita solo di consumatore, ma nient’affatto di sperperatore, così da essere approdato alla terza età senza dipendere dagli altri. Le persone con le quali trastullarsi non gli mancavano grazie al suo carattere gioviale, alle fattezze boteriane e al suo comico ritenersi forzuto che lo ispiravano a ripetere -Sono un uomo abbondante, ma purputu, citrignu e atleticu, e 97 cui nun mi cridi mi s’arrìsica a sfidarimi a braccio di ferro, scommettendo però qualcosina, picchì Calogiru non si esibisce gratis! Da questa propalata fantasia, i frequentatori più assidui ordirono un rispettabile piano di messa in prova con il beneplacito di Paulinu ‘nsinzuliddu, pericoloso per chi così lo appellasse, un omino bassino e magro dalla insospettata forza fisica di un toro, dirimpettaio a pian terreno del dichiarato Sansone di carta. Riempirono un borsone in robusta tela di grossi pezzi di ferro avuti in prestito da un amico fabbro e predisposero le cose alla bisogna. Il gruppetto di congiurati vicino al chiosco di piazza Duomo attorniava il Triciccia. Gli andava incontro portando disinvoltamente il carico Paulinu ‘nsinzuliddu che arrivato a pochi metri dai complici, da un emissario della carognata venne apostrofato con l’epiteto tabù, sicché il destinatario recitando la parte con molta naturalezza, lanciandogli il pesantissimo bagaglio, si rivolse a Triciccia, pregandolo di custodirglielo fino al suo ritorno dall’aver dato una lezione all’improvvido sfidante. Chiaramente l’effetto dell’urto del cospicuo peso del borsone, raddoppiato da quello del lancio, travolse il malcapitato ricevente, mandandolo a gambe in aria accompagnato dalle grasse risate dei macchinatori del crudele ludibrio. Triciccia come meglio poté si rimise in piedi, guardò in cagnesco la briccona comitiva e rimasticando le colorite espressioni del caso si allontanò zoppicando. Sbollita la sua ira, con la solita predilezione degli anziani verso le antologiche fantasie sulla virilità maschile e sulle donne, riprese attorniato dai numerosi ammiratori il suo diletto repertorio, riconfermandosi, con posa professorale, perfetto catalizzatore. Ovviamente con queste premesse non poteva non subire il rituale bombardamento di sfottò. I discepoli non mancavano di chiedergli se funzionasse ancora l’organo, e lui rassicurava tutti con il ripeter loro -Sono un vulcano, un vulcano doc- Specificava con nutrito orgoglio, anche se non mancasse chi insinuava di aver dimenticato di aggiungere -Spento- E qui cominciava la solita filastrocca di 98 frustrati desideri ben condite da sciocche considerazioni sulle sue capacità amatorie -A un uomo abbondante in tutto, ma soffice, purputu, citrignu e leggero, inoltre dolce quale sono io, paru fattu di pasta riali, cosa da fare impazzire le donne, specie le intenditrici e golose, cosa manca per non farsi desiderare?- -A cosa cchiù ‘mpurtantiGli si rispondeva -L’argumenti!- -Si cci hai ‘na soru giuvini prima ma porti a mia e poi ti fai fari u resucuntu- -E mo soru cchi mi putissi cuntari di unu ca ppi vidirisilla a usari u specchiu e ppi affirràrila comu ‘ncentesimu persu ‘nta ‘na sacchetta leggia, prima ca a trova cci scura na sirata- -Ca menu mali ppi tia ca i masculi nun mi piaciunu e s’annunca ‘nspaventu ti l’avissi fattu pigghiari! L’estate con la sua cappa d’umidità imposta dagli anticicloni africani intitolati a personaggi di trista fama faceva boccheggiare giorno e notte. A Triciccia al colmo dell’esasperazione gli accadde che durante il riposo pomeridiano un ortottero canterino prendesse alloggio in una commessura delle tegole sopra la camera da letto. Il disgraziato polisarcico allo stremo della pazienza spalancò la porta del balcone e affacciatosi in mutande e canottiera cominciò ad imprecare, sguardo al cielo, contro il protervo insetto -Cicala maliditta nun nti sumportu cchiù- -Ti l’haiu sempri dittu- Gli rispose a tono u ‘nsinzuliddu, suo dirimpettaio di piano terra, consigliando -Tagghitilla e cci a ietti a ‘ncani, d’accussì tu arrifrischi e iddu ppi ‘na vota fa ‘nspuntinu sapuruseddu- Triciccia, attizzataglisi la collera, corse verso il bagno riempì un pentolone d’acqua e ripresentatosi sul balcone più sconvolto che mai, ne scagliò il contenuto contro il lesto derisore, riuscito a scansarlo quasi del tutto con automatica presenza di spirito, promettendogli però di fargliela pagare. Partì la preparazione del secondo agguato e appena pronto fu proposto al Budda irridente, in una pausa del suo solito sfornare minchiate che passano per la testa degli anziani ossessionati dal desiderio di perdersi, pur se scarsi di energie, tra i fitti boschi di fatale attrazione. Lui ansimando di pancia come un grosso animale da tiro in sosta per qualche minuto di riposo mentre ai lati del collo scendevano due 99 simmetrici rigagnoli di sudore, ascoltava lo svolgimento della proposta, con pupille accese dall’immaginato piacere da provare a breve. Ci si doveva recare nella casetta di villeggiatura in collina du ‘nsinzuliddu, dove avrebbero trovato già accompagnata dallo stesso, una donna ancor piacente e compiacente ad entrare in intimità con quanti lo richiedessero -Mi vuliti purtari a buttani?- Chiese Calogiru con stizza -Ma cchi buttani!- Lo rassicurarono i coalizzati traditori -E’ ‘na fìmmina vulcanica- -Allura è cosa mia, sugnu iù u pumperi ca cci voli La spedizione si mise in moto. Arrivati in loco l’uscio era socchiuso, perché ovviamente già il padrone di casa si era insediato con la “vulcanica” accompagnatrice. Gli amici entrarono quasi in punta di piedi. A Triciccia il cuore gli pompava il sangue a fiotti e lui in risposta si umettava le labbra di continuo con schiocchi di lussuria. I pori espellevano una calda rugiada di sudore. Nella stanza dietro la sala la voce di Paulinu s’ingegnava ad ammansire l’insaziabile seduttrice con l’effetto di portarla a spazientirsi e reclamare la vendemmia promessa -Ma che mi ci avete portato a fare qui? Unni sunu sti masculi di preju?- La mole di Triciccia sobbalzò a seguito di un saltello di disappunto e si mosse incontro al suo non supposto destino, avvisando la provocatoria sfidante -Bedda ccu cui stai parrannu, u sai cu sunu i chistiani? Parola mia, ti farò pentire di quello che hai detto, perché tu non immagini in quali strapazzi ti stai cacciando!- Appena finì la frase e aprì l’insidiosa porta, una doccia lo inzuppò dalla testa ai piedi, fra le risate di tutti e il suo sfogarsi a ripetere -‘nsinzuliddu si ‘nfitusu!- Mentre questo forse per la prima volta a sentirsi appellato a quel modo se ne usciva ridendo dalla stanza con il secchio del gavettone in una mano e nell’altra il registratore con nastro su cui risaltava la sua voce e l’imitazione di quella di una fantomatica ammaliatrice. 100 TAVOLA XLVII TAVOLA XLVIII Don Ascenziu Arancino Don Ascenzio Arancino diventato vedovo, e rimasto solo dopo il convolare a nozze dell’ unica figlia, guardava la vita con avversione. Lui ex guardia carceraria fin quando visse con Venerina figlia e Carmelina Maccarrone moglie, due donne sobrie in bellezza e disponibilità di mezzi, aveva saputo sempre in tutte le contrarietà trarsi d’ impaccio. Con saggia rassegnazione aveva accettato la morte della moglie travolta da un’auto pirata sulle strisce pedonali e con altrettanta rassegnazione s’era abituato alla solitudine, a seguito che la sua unica figlia quasi in tempi supplementari aveva ghermito a poca distanza dalla dipartita della madre l’invito d’ un polentone di passaggio a seguirlo al nord e formare una famiglia. Don Ascenzio ormai da anni abbandonato a se stesso, pur se chiuso di carattere e sfortunato di natura, riusciva a cavarsela in autonomia, non amava cricchi e crocchi e al massimo indulgeva a scambiare poche parole con don Vincinzinu, suo sottostante coinquilino. Riguardo la salute per don Ascenzio l’unica tribolazione gli proveniva da un’ostinata stitichezza che non concedeva alternative al clistere. Ma da quando le sue buone donne avevano preso strade diverse dal convivergli, il problema era diventato irresolubile. Al colmo dell’esasperazione provò da solo, ritrovandosi bagnato da una semidoccia tiepida. I purganti leggeri erano acqua fresca, i più corposi non li tollerava. E intanto continuava a costipare fino a sentirsi male ed evacuava al limite della sopportabilità con grandi sofferenze. Doveva trovare il da farsi, e se no, era preferibile togliersi di mezzo. Sì, era disposto a spingersi fino a tanto: a togliersi la vita! Il nostro cervello è un terreno fertile, per cui una volta che ci si semini, finirà con il mostrare i germogli. E così in uno di quei giorni in cui toccava il fondo dello sconforto oltre che per le amarezze delle piccole frustrazioni derivategli più dalla spigolosità del carattere che da effettivi soprusi di vita, dispiaceri aggravati dal 101 malessere fisico della sua bestia nera, la stitichezza, decise di farla finita. Senza indugio afferrò il coraggio con tutte due le mani, trasse dal cassetto la vecchia rivoltella, mormorò verso il coinquilino il regalo che stava per fargli, sedette, sudò freddo, caricò la pallottola in canna, puntò alla tempia, premette… Un colpo secco distrasse dal suo sfaccendare abituale don Vincinzinu, il quale subito chiamò -Don Ascenzio cchi successi?- -No, nenti, falsu allarmi fu, mi sbagghiai, mi trimau troppu la manu- -Staiu acchianannu. Ossia mi sta fermu. Na ‘nsàutu suggnu ddoca supra- -Don Vicenzu vva dittu ca non successi nenti. Quannu nnun si ni po cchiù, occa cosa sa fari, e iù sbagghiannu a ccu visti e ‘nzittannu a ccu non visti, ‘nrisultatu ‘nspiratu ll’haiu ottenutu e comu!- -U capì, u capì, santu cristianu, ma iù vogghiu vidiri cchi me’ occhi. Ah, cchi fetu!- -Vi l’ava dittu iù di nun ‘nchianari. Non c’è nenti cchi vidiri, c’è sulu di ciarari- -Putennisi ciarari. Menu mali ca ossia è bonu, però accussì fa moriri all’autri- -Ca finitila don Vicenzu, viditi ca ppi fetu nuddu mai ha murutu- -Prima ca mi ni scappu, unn’è ddu billissimu giocattulu?- -Di comu sugnu cumminatu mi scurdai macari cchi successi- -A varda unni ìu a arrivari, a dda gnuni. Chista intantu ma portu iù- -Ca si vv’aggiuva! E a mia mi pareva ca a stu munnu, eru iù sulu u stiticu ‘ncurabili! 102 TAVOLA XLIX TAVOLA L Medici arruffoni Chi nella propria vita è stato dispensato dal non avere bisogno del medico? Nessuno. Chi ne ha avuto gran giovamento? Pochissimi, solo eccezioni riuscite a salvarsi malgrado quelli. L’avvisaglia di ciò che sarà ce l’hai appena dopo essere entrato in ambulatorio ed aver salutato, sentendoti chiedere -Allora, cosa ha?- -Sono qui da lei per saperlo anch’io- Ed è qui che cominciano i guai dovuti ai malesseri che non scompaiono da soli, ed hanno bisogno di una giusta terapia. Si attivano gli esperimenti, intanto la situazione si complica e se sei fortunato ne vieni fuori con una malattia che nel frattempo si cronicizza. Ma loro, gl’improbabili guaritori, non se ne curano più di tanto: è pan giornaliero. Continuano con l’abituale sicumera a dispensar speranze, illudendo quanti vi si affidano a stare tranquilli fino a che le malattie stanche di divorarli non li consegnino alle affollate crociere di Caronte. E come nulla fosse continuano ad indagare, reputar di scoprire, pontificare. Guai, non dico a contraddirli, ma ad avanzare qualche dubbio, sbuffano come locomotive e non ci pensano troppo a mortificare con malacreanza. Spesso usano la strategia di mettere le mani avanti, non risparmiando ai malcapitati pazienti, con il sospettare gravi malattie, gratuite preoccupazioni accompagnate da allarmi strumentalizzati, da servire dopo lo svelarsi della loro infondatezza, ad accrescere la bravura dei fasulli diagnosticatori nell’essere stati solleciti ad evitare il peggio. Ci sono poi gli eruditi che fanno sfoggio di gran dottrina medica, e senza rendersi conto che a te non te ne importi più di tanto, anche perché non è la prima volta che ti rifocillano della stessa pappardella, si sentono gratificati di averti illuminato sull’importanza dei cicli circadiani. C’è anche il buontempone che, specie se la ricorrente trabocca di belle forme, a sentirsi chiedere un rimedio per un ascesso alle gengive, la invita a spogliarsi, perché la possa visitare. C’è chi una semplice costipazione la scambia per 103 blocco intestinale, chi per un raffreddore chiede l’ausilio di uno pneumologo e chi invece ti vuol curare la polmonite con le vitamine e l’influenza con gli antibiotici, le ulcere con sciroppi, chi ti prescrive colliri a posto di ansiolitici, e chi supposte per pillole, chi pensa che con gli esantemi si onorino i defunti, e così di seguito fino all’incredibile. Se a sentirli ci fossero i loro colleghi di una volta addestrati a diagnosticare senza ombra di smentite la patologia dell’ammalato con il solo guardarlo in faccia, quali risate si risparmierebbero? Ma nel frattempo l’arte medica si è trasformata in mestiere è diventata insopportabilmente e immeritatamente lucrosa, e tuttavia malgrado i privilegi conseguiti, codesti beneficiari si ritrovano rosi dal male oscuro della frustrazione a vedersi sviliti a scribacchini di abbuffate di medicine ed esami clinici. Per cui pensano di esorcizzare il pungente svilimento tenendo affollate le sale di attesa in modo da sentirsi valorizzati dalla ressa di poveri illusi, certi, con la estenuante fila da lazzaretto per essere ricevuti, di ripagare il sacrificio grazie alla risoluzione dei propri malanni per mano di tanto richiestissimo medico, dimenticando invece le opportunissime probabilità di entrare sano e uscire contagiato specie nel picco delle influenze quando in questi posti la calca è al massimo e si finisce con il respirare facilmente quanto bisognerebbe assolutamente evitare, così che ci si affida a una toppa peggiore del buco. E se per caso, con gran meraviglia dei presenti votati all’estrema pazienza, azzardi a suggerire all’assediato curatore d’istituire un foglio di prenotazione in modo da non richiedersi l’ininterrotta attesa per essere ricevuto e nello stesso tempo dar più agio alla circolazione d’aria nella saletta, al top del garbo cosa ti senti rispondere dallo scribacchino, con buona pace di chi dovrebbe vigilare sul rispetto delle indispensabili norme igieniche? Che, scambiando il cazzo con il paternostro, perché d’igiene si tratta e non di democrazia, in un regime democratico, quando non ci si sente sufficientemente soddisfatti di un servizio, ci si rivolge altrove. E allora per fargli capire bene una semplice regola di opportuna semplificazione oltre che di rispetto del prossimo, bisognerebbe fare 104 attendere lui diverse ore ad ogni tappa nel giro giornaliero delle commissioni, dal panificio alla macelleria, dal pescivendolo al fruttivendolo, dalla lavanderia alla farmacia e così via, e poi chiedergli dove troverebbe il tempo di svolgere il suo mestiere di scritturale. Ah sprecato nobel della medicina, il problema, senza offesa alcuna, si risolve solo con una lista di prenotazione, o semplice macchinetta eliminacode! Al sentir parlare dei medici moderni, pensando alle nostre traversie consumate con loro, non viene in mente l’insuperabile Molière o il mondo del cabaret? Il tratto che maggiormente distingue la categoria è la presunzione che spesso va a braccetto con l’arroganza. Intanto o malcurato, o affossato o spogliato nel portafoglio, il paziente è sempre dalla loro parte, per la semplice ragione che con la salute a lumicino in posizione di ansiosa debolezza in qualcuno deve rifugiarsi per sentirsi rassicurato e continuare a sperare nel recupero. Questo i catecumeni di Ippocrate lo sanno bene sin dall’università ed è il loro vento in poppa, per cui non si risparmiano nell’adoperarsi da superficiali, male aggiornati, strafottenti, ma non per questo non premiati da vituperato diritto a poter richieder parcelle da strozzinaggio. Quando li incontri per strada sembra che levitino, tanto sono insufflati d’aria dentro. Incedono in pompa magna, e, con collo agile e sguardo vigile, rassicurano che tutto è sotto controllo, e, malgrado tra loro prevalgano coloro che al posto di allungartela te la accorciano la vita, se dopo averli incrociati ti giri per semplice curiosità, non ti stupirai di vedergli sfoggiare sul fondo schiena una rosta dai colori sgargianti, che il popolo belante, orgoglioso dal pendere dalle loro labbra, ammira intenerito da vivo compiacimento. 105 106 TAVOLA LI TAVOLA LII A cicci bella Il signor Pappalardo, alla sua avanzata età poteva considerarsi un sopravvissuto ai terremoti subiti a compendio delle sue discordie coniugali. Da affettuoso capofamiglia, gran lavoratore e ben sistemato, l’ultimo evento catastrofico lo fece ritrovare con il culo a terra grazie ai capricci di una avventuriera di moglie e delle due alleate figlie appena signorinelle. Poveretto da benestante quale era saputo diventare con tenacia d’impegno nel lavoro, era sprofondato nella condizione di sottoproletario senza casa, previdenza scaturita dal suo sangue, e con lo stipendio dimezzato dalle rette di sostentamento da pagare alle tre sanguisughe. Con questo chiar di luna non aveva potuto ripartire a ricostituirsi degli affetti e quindi senza accorgersene s’era ritrovato pensionato costantemente terremotato. Malgrado ciò, benché le tre donne gli avessero corroso il fegato, non aveva perso la capacità di turbarsi nel quotidiano incrociarsi con qualche bella fica, anche se gli toccasse ammirarla con occhi di cane bastonato. Certo ormai era disincantato, e la considerazione verso l’altro sesso aveva subito una rimodulazione dal sentimentale verso l’aspetto più pratico e più naturale, ma per certi versi deformato dalla mancata pratica di uso in seno alle esperienze personali. Viaggiava per teorie psicoantropologicoevoluzionisticodegenerative, il signor Pappalardo, e da uomo assolutamente scrupoloso, ragionava su per giù come da seguito, non tralasciando, pur se il contraddittorio partisse dal suo intimo, di sottolineare che la disamina non avesse dovuto sottrarsi a far salve le normali eccezioni. Da cultore della documentaristica naturalista televisiva aveva potuto scoprire che quasi tutti gli accoppiamenti dei sessi tra le varie specie si svolgono con preliminari violenti, a causa dell’irresistibile attrazione in stabile continuità grazie 107 alla focosità del maschio, contrapposta all’apatia se non frigidità della femmina che si sente scomodata quando ancora non è investita dai calori di ricettività, finalizzati dalla Natura al solo scopo della promessa di generare. Ed è in effetti da questa diversità fisiologica che scaturisce ogni tipo di sin(to-fo)nia o intemperanza che va dal litigherellare al femminicidiare tra i due partner, altro che mito della retorica sentimentale da commedia rosa! La donna conosce e pratica, specie dopo aver capito il tesoro che si ritrova sotto l’ombelico, un solo comportamento: la predazione, sino a spingersi in un gioco molto pericoloso. Incoraggiata dalla sua vanità non bada a spese di bistri, creme, fard, o beauty parlour, per offrire al top la fertile zolla sulla quale seminare, in virtù della quale, sapendo bene dove può condurre ‘npilu di fìmmina non si risparmia in sacrifici pur di correre la cavallina toccando spesso l’indecenza al fine di raggiungere il traguardo del business! Si propone come merce in vendita al migliore offerente e per questo non ci stupiscono ormai atti come quelli delle (ol-or)gettine e fidanzamenti con spasimanti che anagraficamente possono essere loro bisnonni. L’importante è colpire il soggetto debole e come ci azzecca con gl’ingenui maschietti infervorati di gratuito femminismo fino a quando non dovranno disilludersi, nei casi di separazione coniugale, a seguito delle sentenze dei giudici, per essersi ritrovati con la scusa dei figli da sostenere, spogliati di tutto punto a beneficio di vere e proprie vampire. Tuttavia, nonostante la pratica predatoria svolta attraverso i naturali attributi ricevuti per attrarre al solo scopo d’esser fecondate e invece sfruttati per finalità di commercio, ella fa propria la parte della vittima, proclamandosi assolutamente seria, onesta e pudica. Proprio questo ipocrita amor proprio il signor Pappalardo contestava strenuamente nelle occasioni di confrontarsi con gli amici durante il solito bighellonare di routine, o da solo con se stesso, così che spesso si ritrovava talmente assorbito dalle sue elucubrazioni sulle crudeltà femminili da assumere inconsce ed 108 infuocate espressioni di rivolta a testimonianza del suo interiore ribollire, e non di rado si muoveva da automa dando a capire agli altri ben altro di quel che c’era da capire. Perciò gli toccò di sobbalzare investito da un rimprovero campato in aria. Una di quelle fatalone ancora impegnate al combattimento erotico, scambiando il sangue agli occhi del tramestio interiore della povera cappa per allusione all’amplesso, poiché dava l’impressione che stesse fissando qualcuno a cui era interessato, in questo caso lei, redarguì di brutto il signor Pappalardo, solo frastornato dal suo rovello di solitario per costrizione, e verso la facilmente suscettibile maliarda assolutamente innocente, accusandolo di sfacciataggine -Magari da vecchi vi ritrovate con quegli occhi accesi di brama! Sono curiosa di capire cosa andate cercando!- Preso alla sprovvista l’investito poveretto per qualche istante non ci si raccapezzò, cadendo dalle nuvole, ma ripresosi in fretta con inusitato senso dell’humour, ribatté spavaldo -Noi vecchi ci ritroviamo come bambini- -E allora, questo vi autorizza a mancar di rispetto?- Incalzò l’altra con accresciuta insolenza -Siamo sconvenienti perché cerchiamo a cicci bella?- S’informò malizioso e ringalluzzendo con un ammicco allusivo all’ostrica sommersa, lo sventurato ingiustamente rimproverato -Siete dei porconi- Sentenziò al pari di una mignotta l’incauta assalitrice- -Sì è vero, -Ammise il signor Pappalardo ormai sicuro di sé, aggiungendo con vero senso di liberazione -quando ci capita di rispecchiarci in troione! 109 110 TAVOLA LIII TAVOLA LIV I tri da vaniddazza Chiummu, Ferru e Cacazza, locuzione popolaresca, non necessariamente spregiativa indica terzetti di persone che per la continua frequentazione e fin quando l’armonia regna tra di loro sembrano inseparabili. Il sodalizio dei tre, in risalto davvero esemplare per durata e per rispondenza delle loro personalità agli epiteti conquistatisi sul campo, partiva dagli anni dell’adolescenza e si conservava ancora intrigante nonostante il presente stato dei capelli del gruppetto mostrasse più spruzzate di sale che di pepe. Diplomati tutti e tre, Chiummu era il più elastico di cervello, duttile come piombo, non a caso primeggiava tra i compagni di classe e dai restanti due era considerato l’intellettuale, Ferru aveva un carattere quasi autoritario, saldo come il ferro, Cacazza, una povera animella in balia dell’altrui approfittare, era di qualunque celia si andasse preparando a petra spunitura, non per cattiveria degli altri, ma per una quasi sua inclinazione naturale ad attirare facilmente di tutto e di più. Così che da ragazzo non fu casuale la sberla ricevuta da uno sconosciuto tra la folla della fiera settimanale allocata in piazza Cappuccini in contropartita del doloroso impatto alla nuca da quest’ultimo avvertito a causa d’un nocciolo di bacolaro, soffiato con forza dentro una rudimentale cerbottana ricavata da un pezzo di canna tra due nodi, da un bene appostato birichino impegnato a procurare guai a chicchessia malcapitato di passaggio. Ovviamente Cacazza non c’entrava, perché infatti dopo essere stato accostato da uno zio e aver scambiato i convenevoli, all’oscuro dell’incidente, stava tornando dagli amici gingillandosi con il cannolo usato per lanci non finalizzati a bersagli di sorta, ma comunque in mano e bene in vista. Investito dal diluvio di parolacce che l’imbufalito centrato continuava a sfornare mentre si allontanava, restò per qualche minuto intronato dal non previsto manrovescio e si scosse nel trovarsi di fronte gli autori della bravata, travagliati dallo 111 scompisciarsi dalle risa. A determinare quella specie di predestinazione a pagare per le malefatte degli amici contribuiva in Cacazza il suo essere un po’ imbranato, infatti quella volta con Decu Protocollo, l’ingenuo ragazzotto fu salvato in extremis da un amico abitante nella zona, che trovatosi a passare davanti il cancello secondario del “Belvedere”, e incuriosito da un concitato vociare proveniente da dentro la villa, dopo aver scavalcato agilmente come un felino l’ingresso già chiuso per l’ora tarda, avendo riconosciuto i due litiganti si era interposto da paciere, assicurando alla parte offesa l’estraneità del Cacazza quale autore dell’azione compiuta da balordi. Era successo ai tempi dell’ampliamento della strada statale che il Decu, valente bombarolo per la pesca di frodo a S. M. La Scala, più di una volta rincorso inutilmente dalla Guardia di Finanza perché da saittuni qual’era le tracce faceva perdere grazie al veloce arrampicarsi sulla timpa, quella sera il Protocollo si era imboscato dentro il cantiere di lavoro e con effusioni amorose si coccolava una prosperosa mignotta. I tri da vaniddazza che per ammazzare il tempo, avevano oltrepassato il muretto di cinta della villa e s’ingegnavano come lasciare il segno della loro abusiva visita, dalla ringhiera del balcone avevano scorto la tresca e per divertimento, procuratisi dei sassolini, cominciarono a lanciarli in direzione della coppia pomiciona, in verità con le proteste del Cacazza dissenziente, tacciate di pusillanimità dal Ferru e le sfottenti risatine del Chiummu. Dalla strutturanda strada arrivavano avvertimenti di rappresaglia stupidamente inascoltati, fino a che il Decu non si spazientì e staccatosi dalla occasionale compagna, superò il muretto e come folgore su per i vialetti raggiunse i tre in prossimità della vasca con i pesci sotto il ficus gigante intenti a scavalcare la ringhierina per nascondersi dentro la piccola grotta riservata al riparo dei cigni negli sporadici insediamenti, al momento vuota. Decu, da un bordo di aiuola divelse una grossa pietra e la scagliò nell’acqua producendo un inaspettato rinfresco 112 ai due entrati per ultimi. Poi con un solito, triviale inveire ingiunse agl’impauriti rifugiati di fortuna di venir fuori e non ottenuti risultati, andò lui a stanarli, minacciando di scannarli come agnellini, impegno che il promettitore pur se conosciuto come abitudinario inosservante delle leggi, non avrebbe sicuramente messo in atto, perché non si sarebbe macchiato di un simile, assurdo delitto, non avendo affatto l’animo così nero. Nell’operazione dell’essere catturati, Chiummu e Ferru, gli ultimi ad essere entrati nel nascondiglio, riuscirono a svincolarsi e a far perdere le tracce grazie all’oscurità. Decu dovette desistere dall’inseguirli, ma a consolazione della delusione, mentre se ne tornava sconfitto, vide emergere dalla vasca il terzo insospettato ospite convintosi di poter sfruttare quel momento di relativa quiete per squagliarsela, facendo male i conti dopo essere riuscito, a causa del suo sofferto impaccio, inopinatamente ad entrare per primo e risparmiarsi la doccia. Infatti venne immediatamente abbrancato e ridotto alla mercé dell’incazzatissimo catturatore. Cacazza era diventato piagnucoloso e cercava di convincere il suo aguzzino di non conoscere gli altri due, mentre quello lo lavava con tonante scurrilità di linguaggio. Fu a questo punto che l’angelo salvatore della situazione raggiunse i due, e constatando di conoscerli, cercò di ammorbidire l’infuriato, importunato amante randagio, offrendosi come garante della buona educazione del tremante accusato -Sarà veru- Esitò Decu -Però, vulinniccilla fari di patri, ‘ntimpuluni cci l’haia a dari- Ed eseguì sentenziando -Ca cci arristari ppi ‘nsignamentu Cacazza continuava a incassare sberle per marachelle il più delle volte a lui estranee. Di sua pertinenza si guadagnò quelle della fidanzata, più rigorosa d’una carabiniera, le volte che intraprendeva delle avances, fino a quando stanco di subire, non decise di sposarla. Chiaramente nel tempo, l’amicizia dei tre si estese anche alle rispettive mogli. Fu così che scontate le turbe della menopausa ed entrate in quelle dei profumi mistici, 113 le tre donne con entusiasmo vollero partecipare ad un pellegrinaggio a Lourdes. I mariti non ne vollero sentire e con gran sollievo si ritrovarono a godere della liberazione dalla cavezza coniugale. Ai tre occasionali scapoli, ricordando della perduta giovinezza le illusorie incursioni di conquista a Taormina, nei loro cuori si accese la nostalgia. Per il giorno prescelto della spedizione i figli allocarono presso zii ed amici e loro corsero l’avventura attraversati da palpitazioni di imponderabile tachicardia. Faceva caldo, la turistica spiaggia risuonava d’idiomi incomprensibili che solo Chiummu, dei tre, approssimativo, ma efficace poliglotta, era in grado di riuscire in parte a decriptare. I mattacchioni alla ribalta, intontiti da bikini, topless e tanga, i loro occhi ficcavano fin dentro i pori delle leggiadre valchirie con pupille come intinte di atropina. Pranzarono tra convitati di fragrante giovinezza e di ancor piacente mezza età, alcune non disinteressate alle lusinghe da corteggiamento. S’intrattennero sino al crepuscolo serale quando a frotte i visitatori dopo cena si riversavano sul corso principale della piccola perla ionica per dedicarsi al passeggio. Fu allora che il diavolo non disdegnò di svagarsi anche lui a spese del solito pagatore. Soffiò sui cervelli di tre attempate ed elegantissime signore l’input d’una contagiosa civetteria e attese fiducioso. Il nostro eroe parve folgorato da quell’atmosfera propizia alla seduzione. Si mise presto in cacaticchio e premette su Chiummu, perché sondasse le intenzioni delle tre farfallone, mentre Ferru ricordava ai due la dispotica ora del rientro, e l’interprete della comitiva, ammiccando rassicurava che ci avrebbe impiegato poco tempo. Infatti abbordò quasi confidenzialmente le tre allegre teutoniche e cominciò a conversare con loro in inglese. Il designato capro espiatorio sembrava rigenerarsi alla constatazione del buon andamento fino ad assumere l’espressione d’una pasqua, per poco però, perché una delle tre turiste su indicazione dell’intermediario, avvicinandoglisi impettita, con uno schiaffo il colorito gli accese quale polpa di anguria. Era successo che il Chiummu alla manesca frau aveva chiesto 114 se non aiutasse con protesi le sue prosperità, indicando in Cacazza il depositario del sospetto. L’oltremodo stoica, designata vittima con l’amico tenne il broncio sino al rientro a casa, ma all’atto di congedarsi, in sintonia alla sua indole bonaria commentò -A corda ruppa, ruppa, cci va ‘no menzu cui nun cci curpa. Se fossi nato con la faccia di gomma e i ceffoni avessero potuto rimbalzare, sicuramente avrei steso parecchi miei schiaffeggiatori. Chissà quanti maestri dell’elementari ne avrebbero portato i segni per sempre, specie per le mani pesanti che avevano! La pacchia finì presto, le mogli rientrarono: Cacazza, all’atto di accogliere la propria con un bacio, si beccò un bello sganascione in premio alla sua abbronzatura realizzata a Giardini-Naxos. E non finì qui, perché la dittatora aggiunse -Hai cercato di farmi le corna a mare! Tu che protesti quando si tratta di portarci me. Non mi tieni in considerazione- -Ma che dici?- Ribatté il marito piagnucolando -Tu sei il più prezioso gioiello entrato in questa casa- -Insisti a volermi fare doppia fessa- Sparò lei, affibbiandogli altre due poderose sberle: la prima a ricordargli il vile anello di bigiotteria ricevuto in dono e frantumatosi, cadendo a terra, come un fondo di bottiglia, l’altra per essere stata superficialmente paragonata a quella paccotiglia. Sul viso di Cacazza, ridisegnatosi d’innocente infanzia apparvero le lacrime e chiese querulo -Che vi ho fatto a tutti?- -A tutti chi?- -A mugghieri, amici, conoscenti e non, per essere strapazzato così malamente?- Insospettatamente la commozione contagiò persino la moglie, forse per la prima volta nella lunga convivenza, e accantonate le brusche maniere se lo strinse al petto accarezzandogli i capelli nel ripetergli scherzosamente -Quando approfitto di te, è perché ti voglio bene. D’ora in poi ci starò più attenta a non perdere le staffe!- Ma siccome stringeva forte, Cacazza ormai in apnea spingeva la ravveduta, cercando di riprender fiato e a discolpa del gesto liberatore farfugliò -Io soffoco- Non l’avesse mai detto, inconsapevolmente aveva dato il la alla reazione della provvisoria compassionata che staccandoselo dal seno e affibbiandogli un altro sonoro schiaffo gli urlò –Mi respingi, vero? Da vecchia 115 mugghieri non sono più desiderabile! Lo capisci, almeno adesso, perché fai da parafulmine alle sberle? Picchì i scippi di manu!- Del fatidico sentenziare, all’avvilito marito non restò che darle ragione e aggiungere -E tu, cara, non te ne fare scrupoli, tanto ormai le sberle non le sento nemmeno, perché la mia faccia, per fortuna, ci ha fatto i calli! 116 TAVOLA LV TAVOLA LVI Saggezza di Tuppètturu La prova che la vera ricchezza in assoluto è la salute e non i soldi in quantità maggiore di quella per poter vivere dignitosamente, ce la danno coloro che dopo il trapasso i denari li trasmettono agli eredi, dimostrando di esserseli ritrovati inservibili, quindi da inezie, a differenza della salute che non si finisce mai di desiderare e di impiegare, altro che trascurarla, anzi non ci si stanca di essere gelosi del nostro goderla. Ancora più efficacemente lo attestano i dilapidatori nel dissolvere imponenti fortune, certamente per una evidente insufficienza di valore. Però il riscontro più manifesto lo si trova nei tempi di ricostruzione da guerre o calamità d’ogni genere, quando i cittadini spogliati di qualunque cosa, non solo sopravvivono senza soldi e beni materiali, ma con tenacia riescono a ricostituire le perdute ricchezze. Chiarito ciò, quel che serve è salute e lavoro e chi ce l’ha e chi lo fa, cioè chi è ancora in forma, perché se mancano le braccia, non c’è trippa per gatti! Quindi soldi e ricchezza sono subalterni alla salute e scaturiscono dalla laboriosità delle generazioni più verdi, non certo da quella degli anziani, i più fortunati dei quali, si ritrovano acciaccati di tutto punto. Perciò, a maggior chiarimento, è la salute, più facilmente godibile nella giovinezza, la fonte di soldi e ricchezza, e senza alcun dubbio, il bene più prezioso. Tal limpidità di verità la conosceva bene un appartenente alla terza età, che non mancava di farlo rilevare in qualsiasi occasione si presentasse durante le faccende giornaliere. Puddu Tuppètturu, così inteso per il suo dinamismo di sempre, e agiato grazie al suo stillato sudor di fronte, dal quale ne era stato fiaccato ma non spento, lo sapeva 117 perfettamente, tanto da predicarlo quasi, sino ad essere disposto a remunerare con tutto il suo avere, vestiti addosso compresi, chi era in grado di togliergli dal groppone almeno quarant’anni di età, restituendogli giovinezza e vigore. A volte le discussioni cominciano per gioco e senza accorgercene prendono sentieri più impegnativi. Le donne sono poi le più pratiche negli affari, che specie se convengono loro, conducono sin dove pare non possano cogliersi. E siccome amano i soldi e s’inteneriscono al loro olezzo più delle serpi a quello dell’uccellino, una mattina al supermarket una ben piacente avventora, alle parole del Tuppètturu protese la testa in segno di avere annusato un succulento boccone. Infatti non perse tempo ad entrare in contraddittorio con quanto sentito e ribattere con forza, sostenuta dall’approvazione di altri clienti, che i soldi rappresentano la prima cosa che conta nella vita, ribadendolo nel contestare l’insistenza del competitore di avviso diverso, dopo avergli ancora chiesto se nell’immaginaria evenienza d’essere alleggerito di quarant’anni avesse veramente in animo di onorare, nei confronti del suo molto improbabile miracolista, la promessa prima espressa -Categoricamente- Garantì l’aspirante Faust. La donna accolse quell’assicurazione come quasi un premio da potere incassare e salutò l’eventuale, prodigale rimuneratore con un sorriso di sapore civettuolo. Quella sciocca disputa fu presto dimenticata, tant’è che in qualche sporadico, successivo incontro nello stesso locale, tra i due irriducibili antagonisti vi si scambiava un distaccato saluto di cortesia. Però tra i pensieri della cacciatrice, quell’impegno così promettente del non rassegnato sognatore, portava scompiglio, anche perché la furba interessata aveva trovato da informarsi a dovere sulla consistenza della fortuna in palio e convintasi di valerne la pena, non aveva smesso di pensare al modo di poterci mettere le mani sopra. Però il problema non era di facile soluzione fino a quando capì di possedere la chiave di quella cassaforte e di poter dire completamente soddisfatta che il miracolo fosse alla sua portata. 118 Non pose tempo in mezzo e mise in azione il piano d’attacco. Innanzitutto, quand’era diretta al supermarket, almeno fino a che non avesse sperimentato le prime mosse, doveva prepararsi con più approfondita cura per non mancare di fare colpo: abbigliamento più ardito e compresso, accurato uso di cerone, profumo accattivante, prodigalità di lusinghevoli sorrisi. Essendo tutt’altro che anoressica, sembrava comunque una mannequin in procinto di sfilare! E venne il giorno dell’incontro risolutore. Tuppètturu intento a ritirare una confezione di latte da uno scaffale, si sentì bussare alle spalle. Manco si girò, che gli occhi gli cominciarono a sfavillare e la bocca dallo stupore per tanta grazia di Dio al suo cospetto, da spalancata si modellò a semiaperta, senz’essere affatto in grado di salutare. L’affatturatrice capì di colpo di aver conseguito l’effetto sperato e si premurò a soccorrere lo sconcertato ostaggio, prendendo la parola -Sa, così di botto, all’improvviso mi si è presentata la possibile soluzione della sua aspirazione a sfoltirsi gli anni- -Lei si prende gioco di me- -Nemmeno per sogno- -Se questo la diverte, non sarò io a negarle il piacere, d’altronde gingillarmi immerso nel suo humour non dispiace neanche a me- -In questo frattempo non se ne sarà pentito, per caso?- -In nessun’altra congiuntura sono stato più determinato- -Allora, mi consenta di prendere due cose soltanto e dopo se vuole, mi potrà accompagnare per un tratto di strada. Preferisco che non se ne parli qui dentro di questioni così delicate- -Sono d’accordo con lei, anzi la precedo ad uscire e l’aspetto davanti S. Sebastiano- -Non avrà da attendermi molto Raggiunta che l’ebbe, prima di entrare decisamente in tema, la fatal tentatrice regalò all’ancora stordita scorta un canagliesco sorriso da mandarla in brodo di giuggiole. Quindi si decise a sciorinare la sua ricetta -Noto che non le sono indifferente- -Perché, lo si potrebbe essere con una donna così affascinante?- -E’ anche molto galante- -Ci vuole poco ad esserlo. Ho capito. Lei si burla di me-Niente affatto, debbo essere sicura che ci sia un qualche innamoramento, perché è 119 fondamentale per l’accettazione della mia proposta- Gli sorrise, stavolta ispirata al sensuale- Non c’è trucco, né inganno, tutto si fonda sulla mia capacità di invaghirla. Perché se questo accade, mi dica se non posseggo io la maestria di ricondurlo giovane come lei spera?- Minchia! A tal proposta, più della persona pensante che fisica di Tuppètturu, rimase ben poco; il terremoto che produsse la sua immaginazione fu indescrivibile, per cui noi riportiamo solo quello che poté rispondere, anzi chiedere, non appena si ristabilì un poco -La sua è una dichiarazione all’incontrario, o sbaglio?-Non è una dichiarazione, è un contratto che soddisfa in pieno le due parti- -A me pare una sola parte, cioè a dire, lo spogliarmi a suo esclusivo beneficio- -Solo beneficio mio, o anche suo?- -Solo beneficio suo, per niente mio, anzi per mia rovina se mi spogliassi nel modo alluso, perché la medicina da lei offertami non può che condurmi più frettolosamente a morte, altro che a ringiovanire- -Non faccia l’esagerato! Dovevo capire che mettendolo di fronte all’atto pratico, lei avrebbe cercato la scusa per un ripensamento- -Deliziosa signora, la natura non ci pasce con sollazzi e piaceri, anzi quando noi, e solo noi maschi, ad una certa età per illuderci spingiamo con il praticarli oltre il consentito, essa non fa altro dal tagliarci le gambe. Ficu e muluni su a tempu e stagiuni!- -A fugare tale pericolo, potrei lasciargli i vestiti addosso- -Ma, appetitosa signora da favola, me lo conceda, come potrei abituarmi a mangiare sciapo, specie ad una tavola così squisitamente imbandita? Quindi la ringrazio dell’onore ricevuto e la invito ad associarsi a me nel considerare la vicenda allo stesso modo che se si fosse scherzato. Specie in questo periodo che siamo sotto le feste di carnevale! 120 TAVOLA LVII TAVOLA LVIII Cantonata da assurdo qui pro quo Al nostro eroe Puddu Tuppètturu, reduce da una sofferta, defilata avventura rosa da me posta all’attenzione vostra e da lui per ragioni di opportunità esistenziale respinta con vero tormento di cuore, non gli mancano certo di presentarglisi congiunture a dir poco surreali. Molto dipende dal suo carattere ingenuo, un pizzico di vanità e dal suo coltivato dinamismo. Infatti, conscio che alla sua età la sedentarietà gli potesse anticipare arrugginimenti alle articolazioni costringendolo ad allentare l’autonomia, da navigatore solitario della vita qual’era stato sino al presente, cercava in ogni modo di scongiurarne il molto probabile pericolo. Così non mancava nel corso della giornata di impegnarsi in lunghe passeggiate, tra le intricate viuzze del centro storico della città, in modo da evitare il traffico veicolare e renderle totalmente salutari. Queste camminate lo rivitalizzavano nel corpo e nella mente, perché oltre a farlo sentire sciolto nelle membra, dal punto di vista culturale gli sembrava di muoversi tra mura antiche di una città di rango, tanto più perché da estraneo nelle zone preferibilmente visitate non conosceva qualcuna delle poche persone incontrate, e questo lo conduceva ad estraniarsi sufficientemente, lieto nel rimembrar le gioie del passato. Ne aveva scenette da ricordare da vecchio farfallone rimasto scapolo per incomprensione dei limiti che irrimediabilmente nel tempo s’interpongono tra la vita da gaudente e quella ordinaria. Si era illuso che le feste da ballo non dovessero mai finire, così pure gli altri rendez-vous sentimentali, tra cinema, pizzerie, discoteche, e in macchina in luoghi appartati vari. Del suo fascino, dote di cui all’epoca vantava di essere buon portatore, e rimasto il solo a crederlo anche dopo, si illudeva di esserne ancora dispensatore, e che dovesse accompagnarlo per tutta la vita e non esaurirsi entro lo spazio della sua generazione, in seno alla quale non gli erano mancate mai 121 ottime occasioni di potersi accompagnare con belle fanciulle ammirate soprattutto del buon carattere, della posizione sociale, a suo merito conseguita con l’impegno profuso nel lavoro, e della liberalità di animo. Cose a cui lui nemmeno pensava, ma che per le donne costituiscono la vera attrattiva della persona. Tuttavia fra le tante tentazioni era riuscito a non impigliarsi nelle reti che ora da anziano ogni tanto rimpiangeva, specie le volte che affioravano i turbamenti da solitudine, perché essa, si sa, non è mai una comoda compagnia. Erano questi i pensieri che ripassava nelle divagazioni da passeggio, sospirando spesso per il perduto Eldorado, malgrado ancora sentisse di possedere l’arte della fascinazione. In parte non l’aveva perduta poiché d’indole amabile, sprizzava simpatia da tutti i pori, però le conoscenze si erano assottigliate e quindi anche i beneficiari di questa effervescenza dell’intrattenere. Tuttavia si era accorto, specie nelle ore dedicate dalle donne alle commissioni della spesa che di tanto in tanto qualcuna, non certo tra le giovani, da lontano lo gratificava di un cenno molto significativo, portandosi la mano alle labbra in allusione di volergli regalare un bacio. Tuppètturu fremeva d’orgoglio, ma siccome ne arrossiva pure, nell’incrociare l’autrice del gesto, soprassedeva dal fermarsi e familiarizzare, anzi pudibondo abbassava il capo e procedeva oltre senza controllare nemmeno se fosse stato vezzeggiato anche da qualche sorriso. La soddisfazione più grande la riceveva nelle rare occasioni di transito di qualche macchina guidata da una donna, zelante a lanciargli lo stesso complimento. Dalla scoperta dell’abitudine femminile di allettarlo con quello zuccherino, si ripromise d’imbastire la strategia idonea a chiarire e così i suoi pensieri almanaccavano stabilmente quali potessero essere le prime mosse, fino a quando non notò che anche una sua probabile coetanea gli si ingraziava con lo 122 stesso omaggio. Allora esplose in una sonora risata e in quella convulsiva consumazione si accorse di stare quasi sotto uno dei frequentissimi altarini, per la trascorsa gioia dei nostri antenati colti, disseminati dappertutto lungo le strade del centro storico. L’anziana signora se ne risentì come se fosse stata canzonata a causa del suo atto di devozione e rimproverò anche l’incauto esternatore che cercò di spiegare scusandosi, ma vanamente perché l’altra procedette impettita, bofonchiando. L’episodio fu archiviato presto, ma un bel giorno mentre percorreva una strada di un quartiere nuovo senza altarini di mezzo né portoni di chiese, da lontano una manina di ragazza lo salutava con insistenza, il Tuppètturu ormai scottato dell’ubriacatura già presa, ma dura a morire negli anziani, si girò per controllare chi ci fosse dietro di lui, e siccome non c’era alcuno questa volta si spazientì, solo per qualche attimo però, in quanto subito riesplose in una risata più sbellicante della già nota, e di fretta, dopo averla focalizzata bene nell’avvicinarsi, si diresse ad abbracciare l’ancora giuliva ragazza, non essendo altri che una sua nipote! 123 124 TAVOLA LIX TAVOLA LX Il mago, gigante buono, si arrende al pidocchio Se ai nostri tempi fosse vissuto Fedro, quasi certamente avrebbe scritto, ovviamente con più verve della presente, la stessa verosimigliante favola, oscillante tra il comico ed il patetico. Non molto tempo fa nel Belpaese un uomo corpulento arrivò al vertice del potere politico. Oltre ad esibire stazza, sensibilità e generosi slanci di altruismo era dotato di particolari virtù magiche, per cui se come noi diciamo cci pinneva u nasu era capace di trasformare in cristiani, serpenti, iene, pescecani, avvoltoi, coccodrilli, scorpioni, etc. etc., dei quali si circondava con orgoglio e dai quali dalle fortune che procurava loro veniva contraccambiato con dazioni di tutto rispetto, destinate all’organizzazione da lui diretta in continua espansione, e a volte, specie i bocconi più prelibati, a fini molto misteriosi dei quali se ne perdeva traccia senz’alcuna possibilità di riuscire a raccapezzarcisi. Comunque sia, fu un periodo d’oro, e più che latte e miele scorrevano soldi a fiumi, tanto che il futuro congedo del mago buono sarà salutato con un diluvio di monete. Ma nel corso della sua operosissima attività, un pidocchio cominciò a guardarlo con interesse e a nutrire per sé un’ambizione a lui stesso sembrata, a causa delle sue ridottissime misure, del tutto improponibile. E però più il tempo passava e più avvertiva crescere l’istanza del suo desiderio: anch’egli voleva diventare cristianu. Spinto dalla smania non si perse di coraggio e dopo averci riflettuto bene, capì d’essere in grado di mettere in croce il buon mago: gli si doveva insediare tra le pieghe della sua carne penzolante di grasso, anzi meglio, maggiormente al riparo, in qualche fessura e tormentarlo, così scelse un’ottima nicchia tra le chiappe e avviò l’opera. 125 La vittima designata cominciò a dimenarsi fuor di controllo e a volte addirittura ad esibire allusioni da debosciato con improvvisi e lascivi pubici scatti in avanti, comportamenti assolutamente inconciliabili con le sue alte relazioni di rappresentanza istituzionale. Così cominciò a spazientirsi e a sacramentare specie dopo gl’inutili tentativi di liberarsi del parassita. A questo punto, lo sgradito ospite, uscì dal rifugio pasciuto e maleodorante, ma baldanzoso, gli si piazzò davanti a debita distanza ed esordì -Si ti voi libirari di mia, fammi cristianuAl buon mago, da grande diplomatico qual’era, gli sovvenne che quando vincere non si può, bisogna cercare la pace. Quindi tra i suoi favoriti, uno in più o in meno non creava problemi e senza indugio applicò l’incantesimo anche all’impertinente anopluro. Questi incredibilmente si distinse dagli altri beneficiati in dinamismo e imprenditorialità tanto da arrivare in fretta all’apice dell’aristocrazia borghese, specie con il continuo appoggio del suo benefattore, che resosi conto della riuscitissima trasformazione sin dalla partenza lo elesse suo pupillo e capì che con quel capolavoro di cristianu avrebbe finalmente potuto realizzare una sua grande innovazione, quella di spostare da Torino a Milano il centro di attrazione internazionale del capitalismo nel Belpaese. Infatti il nuovo cristianu se la meritava tutta quest’alta considerazione poiché da impareggiabile stratega era riuscito a creare un impero anche se quel che acquisiva, uno, lo involgariva tanto per restare in linea con il suo alto sentimento femminista di ossessivo spettacolo di tette, natiche e cosce di abbagliate ed abbindolate belle ragazze, due, lo fagocitava con manovre a volte spericolate delle quali quando i magistrati cominciarono ad incuriosirsi sul suo conto, lui cadeva dalle nuvole e non sapeva regolarmente niente di niente. Tuttavia capì che nel frattempo, il suo benefattore ormai in disgrazia, ritiratosi in esilio da perseguitato politico, per lui le acque cominciavano ad intorbidarsi e se non giocava d’anticipo poteva rimetterci anche la libertà. Allora decise di scendere in politica, formò un 126 nuovo partito e si autoconsacrò leader per tutte le stagioni. I soldi da investire nel progetto non gli mancavano, né mancavano le persone da comprare, sì da costituire uno staff di fedelissimi del tipo di quello aureo prebellico. Grazie al suo alto senso democratico invidiatissimo nel mondo intero riesce ad espugnare anche l’Esecutivo del Belpaese, ed è qui che colto, elegante ed allegro sempre, fa rifulgere maggiormente il suo genio, intuito, le sue direttive. A parte l’immediata scoperta del fanatismo comunista di quasi tutti i magistrati, qualche legge ad personam, un lodo qua e là, il continuo ribadire di essere stato frainteso dopo avere aperto bocca, qualche sberleffo internazionale o incompresa battuta spiritosa, prodigo del garbatissimo rilascio di attestati e riconoscimenti delle alte qualità altrui, molto galante con le donne, generoso nel dispensar pacche sulle spalle, unico a capire che il penultimo presidente americano passerà alla storia (non specificando se positivamente o negativamente, tanto da poter in futuro asserire in ogni caso di essere stato il primo a riconoscerlo), e tuttavia dall’alto dei suoi tacchi, dalla perfetta lisciatura dei fitti capelli, dal rifinitissimo inceronamento del viso, dal suo smagliante e inossidabile sorriso, dagli attillati capi d’abbigliamento da farne un figurino, malgrado tutto questo, e non è poco, spesso risulta incompreso come capita a tutti i grandi, e di tanto in tanto impercettibilmente si coglie in lui qualche segno di disagio però subito ben dissimulato. Fuori dai confini del Belpaese, non di rado subisce immeritate critiche il più delle volte perché ritenuto, dai soliti privi di spirito, troppo divertente, e l’inquietudine, allora sì, lo attanaglia forse tramestato dal sospetto che si fosse potuto sapere delle sue origini. Ma tali insinuazioni di leggera considerazione a suo carico, scaturiscono dal fatto che i denigratori non capiscono che, in tempi come quelli correnti di acuta crisi, è necessità dover tagliare su tutto, basta che i soldi li si regalino a banche e compagnie aeree. Ed è per l’emergenza crisi che anche sul ruolo di giullare di corte con grande spirito di sacrificio non si è tirato indietro, caricandosi di impersonarlo direttamente pur di risparmiare, ed entrando in tal modo a pieno 127 titolo ad essere assoluto protagonista dell’allegorico-grottesco bailamme carnevalesco perdurante nel Belpaese, bontà sua, l’intero anno. 128 TAVOLA LXI TAVOLA LXII Sic transit gloria mundi! I sogni si sa, sono le proiezioni dei fatti più significativi che hanno maggiormente impressionato lo scorrere della giornata. E quali notizie, a parte la buona salute, hanno il dono di entusiasmare di più rispetto al fluire di un benessere diffuso? Nessuna! Da un tal dilagare di agiatezze a volte persino sfrenate da cittadini benestanti, qualificati tali con preordinato cinismo, o superficiale convincimento, o peggio ancora con alto tasso di ottusità politica di qualche nostro troppo ottimista governante, passai una notte parecchio surreale. L’indomani avevo da festeggiare il 35° anniversario di convivenza con la mia compagna e volevo questa volta affrontare la ricorrenza in modo sbarazzino da rinverdito giovane, senza alcun preparativo, perciò io e lei alla stregua dei lontanissimi primi giorni di frequentazione ci avventurammo in macchina a cercare un punto di ristoro che maggiormente ci avrebbe attratto. Non ci si può cre-de-re; dovemmo rassegnarci a rinunciare per l’indisponibilità di due coperti magari in un qualsiasi sottoscala: ogni spazio utile traboccava di avventori, tutti regolarmente prenotati. Un po’ contrariati, ma non più di tanto, ci siamo mossi lungo il litorale a riparare su altri ristoranti: niente da fare, stessa solfa in un raggio di 50 Km. Intanto già si faceva l’ora della chiusura dei negozi e quindi per non restare del tutto a stomaco vuoto, mi fermai al primo Spar del luogo a comprare qualcosa di salumeria e dei panini. Conoscevo i gusti della mia compagna verso i prodotti più raffinati e al banco chiesi proprio quelle prelibatezze delle quali dovetti constatare la loro sparizione; era rimasto un culo di mortadella e pochi salumi più ordinari. Guardai tra i formaggi: roba per palati grossolani. Optai per un etto di mortadella. Uscito che fui a raccontare l’esito, entrambi ci facemmo sopra una gran risata, poi d’accordo decidemmo di cercare una tavola calda o un girarrosto. I locali indicati, su nostra richiesta d’informazione ai residenti, erano stati 129 chiusi in anticipo per esaurimento dei cibi preparati. Per farla breve ci toccò consumare, grazie alla mia previdenza, un panino alla mortadella ciascuno, con il gustarlo come ai tempi andati della scuola media durante la ricreazione. Rientrammo lentamente da dove eravamo partiti, non da cani bastonati come si potrebbe immaginare, ma con buona dose di allegria. Dopo lo smacco subito, non ci siamo persi d’animo e decidemmo di festeggiare la ricorrenza ad entrambi molto cara, ma a me in particolare per l’avvertito bisogno di disobbligarmi della sopportazione della mia amata nei miei confronti per un così lungo tempo, e quindi sapendola fervente fan dello shopping, le proposi, entusiasmandola, di visitare qualche negozio e acquistare un simbolico cadeau da scambiarci. La sorpresa fu incredibile, ma solo per sprovveduti come noi che dalla rarefatta presenza di gente in istrada non eravamo arrivati a supporre quel che ci attendeva, e infatti non potemmo risparmiarci dal constatare che gli assortimenti in carico ad ogni esercizio erano stati assottigliati di grosso, restando ancora a disposizione di qualche sparuto e malaccorto compratore, merce di poco conto. Poteva esser previsto, ritrovandoci sotto le feste natalizie, ma il repulisti generale si era consumato in brevissimo tempo e con largo anticipo -E va bene- Concludemmo -Volgiamoci verso le gioiellerie- Stesso spettacolo con vetrine che sembravano essere state alleggerite da razziatori sfrenati. A questo punto un po’ stanchi e un po’ scornati, ma lieti di aver potuto constatare, altro che crisi!, solo inconvenienti da benessere, decidemmo di rifarci con qualche leccornia al bar: una sfilza di vassoi vuoti, con l’eccezione di residui biscotti da colazione. Ordinai due caffè che sorbimmo amari, tanto da adeguarci alla totale frustrazione del momento. A completamento della baldoria soltanto immaginata, decidemmo di archiviare la sognata giornata, andandocene a letto digiuni. Fu una santa soluzione perché a stomaco vuoto si dorme da prìncipi, tant’è che entrato nel dormiveglia anticipatore del risveglio, almeno io mi ero rifatto con gli interessi di 130 quanto sofferto durante l’antecedente, inglorioso peregrinare, mentre la mia compagna forse meno eccitata dalla vigilia, di conseguenza con un sonno più regolare, da me aveva dovuto subire l’eccessiva euforia e per questo ancora assonnacchiata mi ripeteva –Hai cantato tutta la notte- -Per forza- Ribattevo io -Contro tutte le cucche e i comunisti che negli ultimi tre anni non hanno fatto altro dal crocifiggere con l’inventata crisi, forse il più grande statista che l’Italia abbia mai avuto, fino al suo disamoramento e la tanto sofferta decisione di abbandonarci dopo quanto fatto per… (se stesso)! E’ stato sempre così, bisogna non valere per star saldi al potere. E lui stesso ne è ben conscio, infatti in analoghe situazioni, da persona molto colta non si è risparmiato a commentare “Sic transit gloria mundi!”- Lei mi guardava in tralice, non avendo capito sin qui quanto avevo detto, per cui le spiegai, rassicurandola che io stessi bene, al che aggiunsi -E ora, amata mia, entriamo nell’atmosfera della reale ricorrenza e prepariamoci in fretta ad uscire per rimediare, specie io, un’abbondante colazione che, di certo stimolata a compensazione del digiuno osservato nell’onirico film, il mio stomaco reclama. Poi vedremo se saremo più fortunati della prova generale di stanotte- Chiusi l’uscio a più mandate, sapendo di assentarci tutto il giorno da dedicare al sospirato, sentimentale festeggiamento. Il sole era già alto, le strade spopolate e tristi, le persone incontrate dimesse e nervose, vuoti e stracolmi di merce gli esercizi commerciali che ancora resistevano nel condurre l’attività; sembrava sbadigliassero come ad interpretare la condizione depressiva dei titolari dediti a sorreggere gli stipiti degli ingressi e a cacciare mosche. Al bar in cui siamo entrati, il bancone offriva ogni ben di Dio, al supermarket di fronte mancava l’ordinario andirivieni di clienti. Si respirava un’aria pesante da recessione, tuttavia per scaramanzia informai la mia metà che prima di muoverci avremmo avvisato il ristorante da visitare. Così facemmo, ricevendo uno dei più accoglienti -A tra poco!- 131 In tutto eravamo tre coppie di clienti e un servizio di camerieri che ci soverchiava. Un trattamento da nababbi: non ci facemmo mancare nulla, tanto meno un conto abbastanza salato, tuttavia senza rimpianto perché le ore erano scorse felici! All’imbrunire la mia compagna timidamente sciorinò l’idea dello shopping -Con quali soldi?- Chiesi io divertito -Il sogno di ieri notte mi ha troppo punito di prosperità perché non mi rifacessi oggi di quel che le tasche mi hanno consentito, lasciandomi solo qualche spicciolo a disposizione, quindi il resto al più presto grazie all’opulenza dei tempi- -Cioè a dire- Ribatté lei con intonato spirito sarcastico -Alle calende greche!- -Forse- Ammisi io -Con l’aria che tira, grazie al nostro visionario statista, per fortuna, consentendo finalmente l’inizio d’un risveglio morale, sociale e politico delle coscienze degli italiani, cacciatosi fuori dalle palle, e al quale per la malattia che ha, a detta della sua ex moglie, gli consiglierei a godimento di una sua migliore e tranquilla privacy, e uno squallido spettacolo da risparmiare a tutti noi, di relazionarsi alle sue attese con una inserzione del genere: “Sempreverde satiriasico di irresistibile fascino e illimitate fortune, frequenterebbe giovane (abbastanza) ed avvenente ninfomane, anche lei alla ricerca di un partner alla sua altezza e ben versata all’impegno dello scatenamento di infuocate passioni indispensabili al lenimento della perenne, quale olimpica fiamma, divoratrice concupiscenza. Si garantisce assoluta riservatezza al riparo di castigati “bunga bunga””. Ridemmo di vero cuore ricordandoci l’un l’altra uno dei pochissimi motti saggi -Sic transit gloria mundi!- pronunciati dal nostro eroe tutto da dimenticare, tranne nelle ricorrenti occasioni del carnevale, quale interprete ineguagliabile di buffone di corte. 132 TAVOLA LXIII TAVOLA LXIV La profezia dei Maya Si conosceva da tempo la fatidica data del 12/XII/2012, ma con l’approssimarsi del sopraggiungere, le divertite preoccupazioni cominciavano a intimorire con piccoli morsi. Nelle persone, ovviamente tutte dichiaratamente scettiche totali, si notava un impercettibile, simulato senso di sgradevolezza mista a disagio. Io, supportato dalla mia feconda terza età, francamente ero completamente tranquillo, poiché trovandomi nel periodo incriminato in buona salute, mia unica aspirazione di condizione fino al momento di dover tirare le cuoia, nell’annunciata abbreviazione di vita per cataclisma ci trovavo la mia convenienza a scomparire assieme agli altri in quanto, diversamente da bambini e giovani, ormai ben stagionato sicuramente avrei avuto da risparmiarmi del dover bere l’amaro calice riservatomi a voler resistere ad oltranza. A parte che la scadenza naturale, in rapporto all’estensione del tempo, avrebbe rappresentato qualche attimo in più, attimi in più che avrebbero sempre combaciato con la fine del mondo riservata a chicchessia nel compimento del proprio trapasso! Per di più, oltre codeste considerazioni filosofiche il bicchiere per altri aspetti poteva presentarsi mezzo pieno. In un sol colpo, Acireale dalle macerie sarebbe potuta risorgere urbanisticamente irriconoscibile in positivo, nonostante dovevo convenire che se i successori avessero riportato lo stesso D.N.A. dei padri, altrettante teste di trunzu, avrebbero fugato qualsiasi speranza. Però che l’aspetto sociologico era più promettente lo si poteva intuire dal rapido dissolvimento che si sarebbe prodotto delle stucchevoli ricette delle donne per meglio appetire, dal festival degli sberleffi dei poveracci verso i ricchi e verso la loro disperazione a dover rinunciare a quanto arraffato, dalla tanto agognata e definitiva rivincita di culturale livellamento degli scimuniti verso i più dotati, dei deformi verso 133 gli atletici, dei policromi verso i bianchi, dei carcerati verso i liberi, degli omo verso gli etero, insomma della totalità dei più o meno frustrati verso i vincenti. Poi ci sarebbe stata da godere la sarcastica risata degl’instancabili burloni verso i politici durante il count-down e l’immediato vederli impazzire di fronte allo svaporare delle opulente mense e degli onori ricevuti dai lor seguiti di mandrie di cervi. O la risata più penosa di qualche materialista da strapazzo verso i prenotati al paradiso, i più inconsolabili a dover lasciare l’inferno terreno, e così via… Alla luce di tutto ciò, la mattina seguente il preannunciato annichilamento, al risveglio ancora a letto, ugualmente e automaticamente, per il naturale principio di conservazione mi tastai addosso, scoprendo di essere ancora vivo. Ne sorrisi, vergognandomi di quella debolezza e invogliai l’imbecille che mi ritrovai in me ad alzarsi, e, ancora una volta più scemo, poiché avendo convenuto sulla obbiettiva assurdità che si fosse potuto verificare improvvisamente e privo di alcun prodromo di rilievo un tale evento, mi affrettai ad aprire le imposte del finestrone per guardarmi intorno. Com’era più che scontato potei incontestabilmente appurare di non esser stato io solo a sopravvivere, ma l’insieme di quel che mi circondava, e che quasi a beffarmi per la speciale occasione si deliziava a stagliarsi nitido e fresco, dentro una radiosa giornata di dicembre! Mi rassegnai al solito trantran, constatando che malgrado i cucchi la vita continuava, quindi bisognava non trastullarsi oltre e procedere a soddisfare le incombenze mattutine, così mentre mi recavo in bagno accesi il televisore, e con grande sorpresa chi mi appare? Lui, l’innominabile, non quello divino, il terracqueo, l’italiano per eccellenza, il Cavaliere. Altro che contestatore e oppositore alla ministro Fornero come i tanti sciocchi lamentatori del sovraccarico che imponeva loro, Lui della riforma sulle pensioni ne era diventato il più strenuo promoter per esempio di gratificazione ed abnegazione d’impegno. Lo si notava, più che mai ora 134 da fresco fidanzato con una potenziale pronipote, dal felice sorriso a 32 denti! A Lui non gliela si poteva fare, Maya compresi che tutt’al più gli avevano procurato un leggero solletico, lasciandolo ancora padrone della scena e accresciuto personaggio sponsor d’un carnevale, assolutamente grazie a Lui, molto variegato di frisca e pirita! 135 136 TAVOLA LXV TAVOLA LXVI Riabilitazione del “13” Coloro che càbalano il numero 13 portatore di sfiga dovranno ricredersi sull’anno in corso per aver questo smentito il suo predecessore quale pronosticatore della definitiva (per fortuna rivelatasi minchiata) catastrofe minacciata dai Maya per il 12/XII/2012 e non solo, ma anche per l’abbrivo preso dal ricco carnet di appuntamenti di cui si dovrà occupare specie in campo politico e religioso. Siamo in piena fibrillazione atriovascolare per cui ci si muove al cardiopalmo nel raccapezzarci di quanto sta succedendo sia celestialmente che mondanamente. Malgrado ciò una ventata di ottimismo soffia la speranza di un nuovo più godibile. La Chiesa senza morti di mezzo si rinnova a seguito di inusuali dimissioni del suo capo deciso a bonificare la palude, ma ostacolato dai prìncipi di corte avvezzi a seguire più Satana che lo Spirito Santo e quindi indisponibili a ripulire le torbide acque della pedofilia, dello IOR e del Vatilix. Evidentemente l’atto rivoluzionario d’un papa impotente ha scosso e irretito le coscienze dei fedeli e per quanto la pillola fosse stata amara da ingoiare, almeno preannunciava una ventata di difficile riordino. E questa sensazione avvertita dagli attoniti spettatori li accompagnò anche dove avrebbero avuto più diretta partecipazione, cioè nella politica dove finora tutto è scorso per restare fermo o per arrampicarsi all’incontrario tra le forre del passato. Le scadenze non erano di poco conto: si doveva trovare un nuovo presidente della repubblica, impresa molto disagevole in quanto colui che lasciava s’era distinto non di poco per intelligenza, saggezza e rappresentatività istituzionale, si doveva rinnovare il parlamento e qualche importante Regione. Insomma, per come si svolgono queste cose in Italia c’era tanto da divertirsi, E però questa volta i sudditi ci misero anima e corpo nel determinare il cambiamento che nei numeri si rivelò solare, ma nella 137 sostanza ingarbugliò la situazione ancor più di prima. Il teatrino, quale colorazione dell’operetta scelse al solito il burlesque, così da meritarsi molto appropriatamente lo spontaneo commento del segretario socialdemocratico tedesco di aver visto vincere due clown. E che cosa poteva dire di diverso uno spettatore osservando il procedere degli avvenimenti tra dibattiti televisivi da salotto o nascondimenti, macchiette ed interviste, exitpoll taroccati e dichiarazioni di guerra finte, nuotate sullo stretto e fantasiosi tsunami, smacchiate di giaguari, cenacoli di prostituzione e via di seguito di questo passo? Il tutto comincia dalla strategia di un condottiero di latta più idoneo ad ottenere noci che consensi, e allevare animali da cortile piuttosto che guidar un’alternativa volta al cambiamento di musica ed infatti davanti al suo avversario steso a terra agonizzante invece di affondare il colpo decisivo, gli porge la mano per rialzarlo, non sapendo che la vipera liberata dal sasso non bacia la mano salvifica, ma la morde. E così più signorilmente paciere e perciò stesso inadatto ad “esecuzioni” associa il suo placet ad un governo dei tecnici corroboratore del graziato rivale indefesso a riorganizzarsi e a seminare discordie con arroganza ed indecenza tanto da condurre l’inetto smacchiatore di giaguari a pietire dinanzi al salvatore della patria per quel tratto di tempo ritenuto àncora di salvezza al Senato, ma da affossatore del benessere risultato zavorra per cui la gente arrivò ad odiarlo al punto di lasciarlo con le pile scariche e quindi inservibile nel gioco dell’illuminazione della fiducia, in favore dello straripatore comiziante di piazze e, come se le elezioni avessero dovuto svolgersi all’estero, disertore delle televisioni e delle interviste nazionali, e tuttavia ottenitore dei volts per dar luce al governo da formare, ma che non impiegherà mai a favore di chicchessia, ritenendo forse che la gara delle urne avesse lo scopo di consentire di far spettacolo e basta! Lo stridulo canto del Grillo, vero perno della governabilità, risulta ostico totale e malgrado ciò è corteggiato dai partiti in campo senza che arrivino aperture di sorta. 138 Unica condizione è il governo nelle sue mani o la disponibilità a votare proposte presenti nel suo programma. Tuttavia, per niente scoraggiato, il suddetto buon samaritano, ridicolizzandosi, accettando di proporli in seduta streaming, sottopone ben otto punti a suo avviso contemplate dalla promozione nel programma dell’agitatore di masse, senza purtroppo che l’inghippo della fiducia si ammorbidisca in intenzioni di buona volontà. E allora perché per un semplice dettaglio tecnico di facile aggiramento, deve saltare la fattibile operazione? Si rovescino i ruoli e il gioco si riattiva. Certo sarà un corto respiro e poi si tornerà alle urne a far votare non porci ma cittadini per bene. Un passo indietro, dopo aver messo in fuga tanti giovani di matrice progressista e fallito la promessa della presa della presidenza della Lombardia è il meno che si possa chiedere a un segretario privo di determinazione nel non aver voluto affrontare le elezioni anticipate al tempo giusto e sordo da aver generato i guai per la tenacia di respingere le attese di schierare in campo un rottamatore che avrebbe di sicuro spazzato via personaggi ingombranti e squalificati oltre all’aizzatore di piazze impegnato a preparare la risata cosmica, dopo aver ricacciato il suo più strenuo corteggiatore in un cul de sac senza via d’uscita. Questo è quanto fino ad ora, ma credetemi, l’eufemisticamente divertimento è ancora tutto da venire. Altro che carnevalata alla jacitana! 139 140 TAVOLA LXVII TAVOLA LXVIII SCHERZO DI CARNEVALE Cadeva la sera del berlingaccio, cercavo le chiavi del mio portone, turbato restai con grande impaccio: davanti a me balzò un leone! Sarà una burla ebbi a pensare, malgrado il trucco fosse squisito, ma, quello intuì il mio ragionare, mi fece cadere con un ruggito. Severo scandì in lingua moderna: “ah stronzo, scambiamo tosto la pelle!” Pipì mi colò al suon di caverna. Rimasi di sasso, vuoto, imbelle! “Mi voglio svagar con Re Carnevale. Però martedì, illustre coglione, dovrai presentarti qui puntuale all’ora final d’estremo veglione. 141 La vita salvai ad un fattucchiere, per questo capriccio tanto bramato; di più ei non può l’incanto tenere: il termine dunque va rispettato! Su alzati, vieni, senza paura, accostati, dài, strusciamo i visi, l’amplesso ci vuol per nuova fattura, deciditi Cristo, scaccia la crisi!” Col cuore in gola presi coraggio. Il caldo licor mi fece di gelo. Cedei al comando come un ostaggio; sentii nelle membra tiepido pelo. L’abbraccio sembrò aver funzionato. Finì la codardia nel cambiamento, non solo, ma, fui ancor rinnovato di tutti i timori in ardimento. 142 Potevo sbrigliar gl’istinti peggiori, tensioni represse, tutte le voglie; scacciar per un po’ le ansie, i dolori, saldare il conto alla ria moglie! Però come far così contraffatto? Restare in città non era prudente! Con tanta pietà lasciai lì quel matto, che aveva “bramato” star tra la gente. Poi presi la strada della colline: predando, straziando ogni creatura. Produssi scompiglio, morti, rovine; da dove passai tremò la natura! Con zelo si mosse anche l’amico, per strade anguste d’alti palazzi. Sentì nostalgia del tempo antico, di vita salubre con i gran cazzi!!! 143 Ma, non disperò. Chissà più avanti trovava qualcosa che gli quadrasse: ebbene le cose erano urtanti, malgrado la festa, spente le masse. Gran sfarzo di luci, ressa di suoni! Mancava il caos di folla festante; per cui canti, grida, risa, spintoni, la gioia facevan di qualche gitante. “Ah grullo che fai? Monarca balordo, t’accorgi o no di tal cimitero? Dì, parlo ai turchi, sei anche sordo, o forse qualcun ti tien prigioniero? Mannaggia puttana, quanta tristezza da uomo vestito bere mi tocca! Uscir voglio via da questa immondezza, mai fatto avevo cosa più sciocca!” 144 Sdegnato sgusciò dal vasto intrico, andando di fretta alla campagna. Le orme sbirciò ai piedi d’un fico: portavano chiaro su in montagna. Seguì con stupore tutto l’armeggio, che aveva prodotto quell’animale! Aveva inferto min…chia che sfregio! Con aspra, decisa furia infernale! Ovili, pollai, stalle e cucce, avea smantellato, faccia di culo! Cosparso di sangue le scaramucce, straziato per gioco anche un mulo! Distrutto aiuole, pergole, orti, sfondato le botti gonfie di vini, sprangato in casa coi contrafforti, increduli, terrei i contadini! 145 Un cielo stellato baluginava! Nutrivansi ghiotte l’ombre del giorno, un mare d’inchiostro stese la lava nel freddo tagliente ch’era dintorno. ………………………………….. ………………………………….. ………………………………….. ………………………………….. Crescevano l’ore! “Figlio d’un cane m’hai fatto scordar che il tempo s’oppone ch’io sia ancor qui…Avrò delle grane! Già sento scaldarmi…Torno leone!” …………………………………. …………………………………. …………………………………. …………………………………. 146 “E sia! Da leone voglio morire!” S’eresse regale sotto i fari che già l’abbagliavan, prese a ruggire. Crudeli nell’aer tuonaron gli spari!!! Intanto in piazza davano sfogo a tutte le noie del viver vano: inflitto avean condanna al rogo al sempre bonario, gaio sovrano! Frugai per il ciel dai fuochi acceso: spettacolo bello quasi irreale! Mirando, sentivo perdere peso, ancora per scherzo di Carnevale! 147 148 TAVOLA LXIX INDICE AD ACIREALE E’ SEMPRE CARNEVALE..................................... FACCE DI CULO RIDENS …………………………………………….. ESEGESI SULLA SOPPRESSIONE DEI CESSI PUBBLICI ACITANI SOGNO DI CIVILTA’…………………………………………… IDEOPSICOGODURIA … AD ONORE DEL BUON PASTORE ……………. DEMOPATIA ……………………….. CAPOVOLGIAMOCI . E’ SOLO COLPA NOSTRA …………………….. CE LA POSSIAMO FARE …………………… SCONCERTO DI UN ONESTO LAVORATORE DEL RUMORE TRISTEZZA O TENEREZZA PER I MEZZI GIUFA’ DI OGGI? RECIPROCITA’ CLONATORIA……………………………………… VIVERE PER FINGERE ………………………. IL PENTITISMO DEGL’INCENSURATI …………….. PER UNO SCHERZO DEL MIO COGNOME…… RIDICOLA PSICOSI DA STALKING …………………… PORCA SCORREGGIA STONATA ……………………… REVOLUTION, REVOLUTION, REVOLUTION! …………… PESCE D’APRILE I …………………………….. PESCE D’APRILE II ……………………………….. GAVETTONE DOC ………………………………. DON ASCENZIO ARANCINO ……………………………… MEDICI ARRUFFONI ………………………………… A CICCI BELLA ……………………………………… I TRI DA VANIDDAZZA …………………………… SAGGEZZA DI TUPPETTURU …………………………… CANTONATA DI UN ASSURDO QUI PRO QUO ………… IL MAGO, GIGANTE BUONO, SI ARRENDE AL PIDOCCHIO..... SIC TRANSIT GLORIA MUNDI! ………………………………… LA PROFEZIA DEI MAYA ………………………………… RIABILITAZIONE DEL “13”………………………………. SCHERZO DI CARNEVALE …… Pag. 13 “ 19 “ 23 ” 27 “ 31 ” 37 “ 41 “ 43 ” 47 ” 51 ” 55 “ 61 ” 65 ” 69 ” 73 ” 77 ” 79 “ 81 ” 87 “ 91 ” 93 ” 97 ” 101 ” 103 ” 107 ” 111 ” 117 ” 121 “ 125 ” 129 ” 133 ” 137 “ 141 La stampa del libro è stata eseguita presso la tipografia Aquilia Via S. Martino, 68 Acireale