Centro Studi Roberto Angeli Una vita per la libertà Don Roberto Angeli a 100 anni dalla nascita Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea Provincia di Livorno Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione Don Roberto Angeli, una vita per la libertà Sommario di Enrica Talà.................................3 Dall’antifascismo alla ricostruzione, il percorso biografico di don Angeli di Gianluca della Maggiore.............8 Don Angeli, Viktor E. Frankl, Primo Levi e il senso dell’esperienza del lager “I cattivi imprigionano i buoni. E io non so perchè...” Guido, 4 anni Fossoli, giugno 2013 di Novella Domenici.....................15 Nel martirio di Dachau l’aurora di un rinnovato cristianesimo di Anna Ajello...............................18 Una vita per la libertà don Roberto Angeli a 100 anni dalla nascita Pubblicazione a cura del Centro Studi Roberto Angeli Progetto grafico, impaginazione Gianluca della Maggiore Iniziativa a cura di: Il Comitato Livornese Assistenza per la ricostruzione di Livorno di Valeria Cresti............................24 Don Angeli 2.0 un testimone per la “net generation” di Luca Paolini..............................26 Centro Studi Roberto Angeli, Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea nella provincia di Livorno, Provincia di Livorno. Col patrocinio del Ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione. Pubblicazione edita in occasione della giornata intitolata Una vita per la libertà. Don Roberto Angeli a 100 anni dalla nascita, Sala Consiliare del Palazzo della Provincia di Livorno, 27 settembre 2013. Nell’occasione, alla presenza del Presidente della Provincia di Livorno Giorgio Kutufà, del sindaco Alessandro Cosimi, del Presidente dell’Istoreco Laura Bandini e del direttore del Centro Studi Roberto Angeli Enrica Talà, è stata consegnata una onoreficenza al Comitato Livornese Assistenza fondato da don Roberto Angeli. I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compreso microfilm o copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi. 2 Fare storia/fare memoria Stampa realizzata da: di Catia Sonetti.............................28 La foto di copertina è dell’agosto 1965 (Archivio Centro Studi Angeli). 100 ANNI don ROBERTO ANGELI Stamperia provinciale (g.c.) © 2013 Centro Studi Roberto Angeli, Livorno Introduzione Don Roberto Angeli Una vita per la libertà Un testimone della Chiesa italiana e tra le figure più significative del Novecento toscano, accanto a La Pira, padre Balducci, don Milani, don Facibeni, don Bensi di Enrica Talà* onsignor Roberto Angeli è indiscutibilmente un testimone della Chiesa italiana ed in particolare lo è per la Chiesa livornese. La sua forte esperienza di fede parimenti al coinvolgimento nelle problematiche del tempo in cui visse, lo colloca accanto alle più note figure significative del Novecento toscano: La Pira, padre Balducci, don Milani, don Facibeni, don Bensi. Egli fa parte di quella schiera di persone che captando i segnali M 17 giugno 1972, don Angeli ritratto con Paolo VI in occasione dello storica udienza concessa dal pontefice ai sacerdoti italiani deportati a Dachau. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) della storia ne hanno compreso in anticipo la direzione prendendovi parte come se un imperativo morale ne guidasse i passi, le scelte, le parole. La sua figura e la sua opera sono preziosi tasselli su cui ricalibrare la storia di Livorno all’indomani dell’8 settembre, il valore storico (regionale, nazionale ed europeo) del coinvolgimento dei sacerdoti nella Resistenza e nel periodo della Ricostruzione. Don Angeli nacque il 9 luglio 1913, non in terra toscana, studiò nel Seminario Minore di Livorno, venne ordinato sacerdote nel 1936 e nel 1942 divie- ne, su nomina dal Vescovo Giovanni Piccioni, parroco della Pieve di S. Iacopo. È proprio in questa sede che, attorniato da folti gruppi di giovani provenienti da realtà culturali e sociali diverse, palesò l’opposizione al regime dapprima con la ricerca della verità, la critica delle ideologie e lo studio appassionato della dottrina sociale cristiana. Prese contatti con Giorgio La Pira e Gerardo Bruni per costituire in città il Movimento dei Cristiano Sociali; il programma da seguire, allo stesso tempo sommario ma innovativo, appassionò i giovani a lui affidati: instaurazione e difesa di tutte le libertà politiche, limitazione della proprietà privata, socializzazione dei complessi economici, federazione europea. Opuscoli divulgativi, programmi e lettere circolari ebbero vasta diffusione. Creò anche un periodico: “Rinascita- Foglio toscano del movimento cristiano-socia- 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 3 Rinascita del 10 le” che uscì coi primi quattro marzo 1944, numeri dattiloscritti e col quinto l’unica copia stampato alla macchia presso la conservata tra quelle Libreria Fiorentina, a Firenze. dattiloscritte Con gli universitari cattolici in periodo cominciò un serrato e affasciclandestino. Sotto, nante dialogo a partire dalle don Angeli negli encicliche e dai discorsi di Pio anni ‘50. XII, incitando alla resistenza spi(Archivio Centro Studi Roberto rituale e al coinvolgimento perAngeli) sonale. Poi, dopo l’incerta speranza del 25 luglio, con il tragico crollo dell’8 settembre 1943 al dire si unì il fare: azioni di sabosalvataggio e di assistenza a taggio, di favore di militari in fuga; non solo i giovani di leva che non avevano risposto ai bandi di arruolamento ma anche un gran numero di “sbandati” dell’esercito regio appena disciolto. Le azioni più pericolose furono riservate a tanti ebrei livornesi e profughi soprattutto francesi. Nonostante la vasta area di “zona nera” praticamente invalicabile, vennero loro garantiti asilo, medicinali, vestiti e identità nuove. Don Angeli si pose dinanzi al nazismo in un contrasto assoluto, teorico ed operativo. Per questo, su delazione, fu catturato dalla Gestapo e subìti gli interrogatori preliminari e le torture a Villa Triste (Firenze), venne poi deportato a Fossoli, Gusen, Mauthausen e Dachau. Scriverà poi che il dovere della ribellione 4 100 ANNI don ROBERTO ANGELI era un imperativo di coscienza dal quale non era possibile prescindere: la dignità e la sacralità della persona creata Don Angeli si da Dio a sua immagine e pose dinanzi somiglianza, non si prestava a al nazismo in compromessi. La fraternità e un contrasto la solidarietà non erano svendibili, specie per un sacerdote. assoluto, La Statolatria, con l’idolatria teorico ed della razza superiore, come il operativo. peggiore dei paganesimi non Per questo, era affatto accettabile e la su delazione, “ribellione per amore” fu semfu catturato plicemente quanto era necessario fare. dalla Gestapo Per tutto questo, il 22 gennaio e dopo le 1956, nei locali delle Scuole torture a Israelitiche in Via Fanciulli, alla presenza del Presidente della Villa Triste (Firenze) fu Comunità Ebraica il professor deportato a Roberto Menasci, del Rabbino Capo Alberto Toaff e dei memFossoli, bri del Consiglio e della Gusen, Comunità, fu donato a don Mauthausen Angeli un attestato di riconoscenza per l’opera svolta e Dachau durante l’epoca delle persecuzioni razziali a nome dell’Unione delle Comunità Israelitiche d’Italia. “Una semplice e commovente cerimonia” titolava Il Tirreno del 24 gennaio 1956, ma fu imponente per il numero stragrande delle persone presenti, la maggior parte ebrei. Sul Fides del 29 gennaio 1956 (il settimanale diocesano di cui don Angeli fu direttore dal 1946 al 1959) troviamo riportato l’intero discorso del Rabbino Capo Toaff che in più di un passaggio con riconoscenza e gratitudine profonda si rivolge a don Angeli come “esempio luminoso di fraterna solidarietà”, di “bontà infinita”, “di abnegazione”. Fu rammentato dall’avvocato Giuseppe Funaro l’episodio del trasloco dell’Ospedale Israelitico di via degli Asili in cui don Angeli intervenne in prima persona e il professor Menasci lesse una lettera dell’allora direttrice dell’Ospedale ebraico, la maestra Fasano–Procaccia, nella quale erano riportati numerosi altri episodi dell’operato di don Angeli. Di tempo ne è passato, ma se il ricordare oltre ad essere atto doveroso è soprattutto Don Angeli a fianco del vescovo Giovanni Piccioni accolgono l’assistente centrale di Azione Cattolica, monsignor Giovanni Urbani in occasione della visita a Livorno del 1951. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) A fianco, la copertina della riedizione del Vangelo nei lager del 1985 curata dal Comitato Livornese Assitenza. atto di riconoscenza, è sempre tempo per dare ossigeno alla memoria. Soprattutto nei confronti di chi, assieme ad altri, ha rappresentato per la comunità ecclesiale e civile un punto di non ritorno. Uomo sensibile e roccioso, sacerdote carismatico e di grande forza spirituale, don Angeli ha combattuto per le proprie idee e per la libertà con audacia. Per combattere il fascismo ha rischiato la vita ma si è sempre apertamente scontrato contro gli inganni dell’ideologia, della politica fine a se stessa e contro qualsiasi programma che limitasse la libertà personale nel pensare, nel vivere, nell’operare con coerenza. L’uomo, il partigiano, lo scrittore, e soprattutto il sacerdote, fanno di don Roberto Angeli una personalità ricca e geniale: così poliedrica e profetica che a non ricordarlo, a cento anni dalla sua nascita, a non rievocare la sua figura, a non accostarci al sue esempio per sentirci provocati, sarebbe privare la comunità ecclesiale e civile di una delle sue voci più vibranti ed incisive. Nei suoi scritti, molteplici, nei suoi articoli lucidi e frizzanti, nella sua vasta e tenace azione pastorale e sociale, la sua testimonianza di fede e di cittadinanza attiva che fa del sacrificio di sé e dell’impegno nella storia un coerente, non facile programma di vita. Vangelo nei lager, un prete nella Resistenza (rieditato nel 2007 con il Patrocinio della Provincia di Livorno ed ora in via di riedi- 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 5 zione perché ormai esaurito) è uno dei più commoventi e suggestivi racconti sulla partecipazione di un prete che, assieme ai suoi compagni, vive la Resistenza fino alla estrema conseguenza della deportazione. La stesura del libro ha una interessante progressione storica che è indicativa di aspetti significativi della personalità di Angeli. Cedendo alle insistenze degli amici e dei collaboratori, tra il 1945 e il 1952, “per ricordare a chi cercava di far dimenticare e per rincuorare chi credeva di aver dimenticato”, comincia a scrivere una serie di articoli sul settimanale diocesano labronico Fides dal titolo Eroismi e sofferenze della Resistenza nei ricordi di un sacerdote. Questi articoli scarni, essenziali, toccanti che risentono ancora della desolazione interiore a seguito della deportazione e delle brutalità subite nei campi di concentramento di Mautahusen, Gusen, Dachau, nel 1953 vengono raccolti da un coraggioso ma poco conosciuto editore, l’Alzani di Pinerolo, che li pubblica in un volumetto dal titolo un po’ retorico: ...e poi l’ Italia è risorta. Con l’introduzione di monsignor Emilio Guano ed una prefazione di Enzo Enriques Agnoletti, nel 1964, viene riproposta la stampa riveduta ed accresciuta dallo 6 Don Angeli e il vescovo di Livorno Emilio Guano nei primi anni ‘60. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) Sotto, un numero di Fides del 1952. “Bisogna essere talmente generosi da elevare noi stessi alla grandezza e alla purezza dell’idea e non costringere a rimpicciolire questa alla nostra statura” 100 ANNI don ROBERTO ANGELI stesso autore col titolo più suggestivo di Vangelo nei lager1. Nel 1971 viene stampata una edizione speciale adattata a libro di lettura per i ragazzi delle scuole medie; visto il successo editoriale2, nel 1975, in occasione della celebrazione del trentennale della Resistenza, esce la seconda edizione, arricchita da una appendice documentaria. Ogni volta, don Angeli, a lapis, annota a margine dei testi, le correzioni, le precisazioni; sfuma le parole, i ricordi, talora, invece, li porta in superficie modificandone la forma espressiva, adattandola ai lettori. Nel 1985 il libro viene ristampato, postumo alla sua morte, a cura di don Renato Roberti e Alfio Sartoni, del C.L.A. (Comitato Livornese Assistenza) e di tutti i suoi amici e collaboratori.3 Il libro è una delle opere più significative della Resistenza italiana. Racconta di “luminosi ideali e di inenarrabili miserie”e di come l’antifascismo assieme all’esperienza resistenziale non furono frutto solo di un temperamento imprudente, estremamente insofferente a qualsiasi oppressione ma la logica conseguenza di istanze morali e teologiche approfondite e meditate alla luce del Vangelo. Essere antinazisti ed antifascisti fu dunque una esigenza cristiana: questa è la testimonianza che don Angeli ha lasciato alla riflessione storica ed ecclesiale per la comprensione della partecipazione alla Resistenza4 del laicato cattolico ma soprattutto del clero italiano, e livornese in particolare. Il Vangelo nei lager è un libro caratterizzato da uno stile limpido, immediato, appassionato, essenziale, affascinante; non è un diario o un memoriale, ascrivibile alle elaborazioni letterarie o alle opere sociologiche della e sulla deportazione. È una storia vera, personale e collettiva, scritta “per amore”, nelle cui pieghe vi è, in maniera coesa, lo spirito e l’intensità delle pagine evangeliche e la drammaticità di una delle pagine più scure della storia. Si può dire sia, questa narrazione, la più bella avventura cri- stiana del dopoguerra italiano, utile a far luce sulla dimensione umana e spirituale di chi ha servito un ideale tra azione e contemplazione. “Bisogna - diceva don Angeli ai giovani che incontrava per parlare della sua esperienza - essere talmente generosi da elevare noi stessi alla grandezza e alla purezza dell’idea e non costringere e rimpicciolire questa alla nostra statura”. In un tempo di sfide educative, di questioni vitali e di mutamenti culturali, la sua testimonianza invita ad immergersi nella complessità storica, con fatica, con pazienza, con passione, anche nuotando in senso opposto alle correnti. Ricorda la via dimenticata della consapevolezza, della responsabilità, dell’impegno, dell’appartenenza alla Chiesa ma anche alla società civile. La celebrazione del Centenario della sua nascita ci interroga. Ci interroga sulle idee che don Angeli ha servito e sui valori da cui si sentiva obbligato. Su quale bilancia si pesa la vita di un uomo? Su cosa “pesa” il guadagno e la perdita di una vita ed anche il suo senso ultimo? Nell’uomo il fare e l’essere sono affidati alla libertà; quella libertà che fa intraprendere strade giuste e strade errate che accendono, volta volta, le luci di quelle virtù poco appariscenti ma fondamentali: l’onestà, la fedeltà, l’avvedutezza, la coerenza, la nobiltà interiore. Ci interroga sull’azione e l’opera. L’azione che intraprende, che scopre, conquista, libera, rinnova. L’opera che ordina, concretizza, attualizza i progetti, i sogni, i desideri, le impellenze morali e religiose. Ci interroga ancora sulla Resistenza non solo come fatto storico ma come processo tuttora in atto (fuori da schemi rigidi e monocausali spesso ideologici o politici o storico culturali). Ci spinge più che a una “memoria condivisa” ad una “memoria da condividere”; a noi adulti ed educatori ricorda, infine, la cura e l’attenzione per la storia locale nel suo insieme affinché le giovani generazioni non abbiano a perdere alcunché di quello che è stato. NOTE Don Angeli relatore al convegno Il clero toscano nella Resistenza organizzato a Lucca nell’aprile 1975. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) A fianco, don Italo Gambini, ucciso da una mina mentre tentava di salvare alcuni parrocchiani il 9 luglio 1944. 1 Il libro viene stampato da La Nuova Italia per la collana della rivista fondata da Piero Calamandrei, i Quaderni de Il Ponte che ne cura nel 1965 la ristampa. 2 Oltre 15.000 le copie vendute nelle varie edizioni. 3 Edizione autorizzata da La Nuova Italia, Editrice, Firenze a cura del C.L.A. e della Stella del Mare, Livorno. 4 I sacerdoti livornesi impegnati in diversi modi nella Resistenza sono stati: don Renato Roberti, monsignor Amedeo Tintori, monsignor Giuseppe Bardi, monsignor Mario Volpe, don Antonio Vellutini, don Giovanni Cardini, don Aldo Biagioni, don Ezio Giovannini, don Mario Udina, padre Giuseppe Maria Spaggiari. Sono deceduti nell’attività resistenziale: don Renzo Gori, ucciso dai tedeschi in Lucchesia, don Italo Gambini, già a capo della Resistenza cattolica nella zona di Castiglioncello, don Carlo Gradi. * Direttore Centro Studi Roberto Angeli Livorno 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 7 La 1913-1978 Biografia Dall’antifascismo alla ricostruzione il percorso biografico di don Angeli Dalla giovanile reazione al fascismo, all’impegno diretto nella Resistenza italiana. Poi l’arresto, la lunga prigionia nei campi di concentramento in Austria e Germania. Il ritorno e l’impegno per la ricostruzione di Livorno in campo assistenziale, sociale e politico. di Gianluca della Maggiore* a figura di don Roberto Angeli (Schio 9 luglio 1913 Livorno 26 maggio1978) è nota alla storiografia soprattutto per la testimonianza resa della sua esperienza nei lager nazisti1 e per il ruolo avuto nella costituzione di quel nucleo cristianosociale che rappresentò un’indubbia specificità della Resistenza di ispirazione cattolica nell’area toscana2. Figlio di Emilio, un operaio antifascista, Angeli maturò la sua vocazione al sacerdozio nel L 8 seminario di Livorno, dove entrò nel 1926. La figura del vescovo Giovanni Piccioni (1876-1959, a Livorno dal 1921 fino alla morte) fu fondamentale nel percorso formativo del giovane sacerdote: esponente del primo movimento democratico cristiano pistoiese accanto a Giuseppe Toniolo, Piccioni indirizzò don Angeli e altri giovani sacerdoti (tra cui don Amedeo Tintori, don Giuseppe Spaggiari e don Renato Roberti) sulla via di un convinto antifascismo. Ordinato sacerdote nel 1936 don Angeli entrò in contatto con gli ambienti intellettuali dell’antifascismo cattolico nazionale e 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 23 luglio 1936, il convegno a Montenero degli ex alunni del Seminario Gavi della diocesi di Livorno e di quella di Massa Marittima. Don Angeli è al centro della foto, inginocchiato e sorridente. Era stato ordinato sacerdote una decina di giorni prima, il 12 luglio 1936. (Archivio Famiglia Tintori) internazionale, frequentando la Pontificia Università Gregoriana a Roma dove conseguì la licenza in filosofia nel 1939. Proprio in quell’anno don Angeli cominciò la sua attività come assistente della Federazione degli universitari cattolici (Fuci) livornese a fianco di don Amedeo Tintori, fornendo ai giovani universitari gli strumenti intellettuali per una resistenza culturale al fascismo. A partire dal 1940 don Angeli cominciò a dedicarsi anche al mondo del lavoro coordinando un’azione di assistenza spirituale agli operai. Durante i primi mesi del 1943 fu tra i principali animatori delle più di cento conferenze «in preparazione alla Pasqua» organizzate in 18 fabbriche cittadine che raggiunsero circa diecimila operai, divenendo cappellano di fabbrica presso la Motofides, la Metallurgica e la Vetreria Italiana. A FIANCO DI DON ANGELI Anna Maria Enriques Agnoletti Tra il 1939 al 1943 don Angeli e don Tintori trasformarono la Fuci in una «scuola pubblica di antifascismo»; l’attivazione del Cenacolo di Studi Sociali dell’Arciconfraternita di Santa Giulia portò a Livorno le grandi personalità della Chiesa italiana che si distinguevano per un atteggiamento critico verso il regime: Paolo Emilio Taviani, don Emilio Guano, don Franco Costa, don Sergio Pignedoli, don Sandro Gottardi, padre Reginaldo Santilli. Il gruppo di di giovani della Fuci di don Angeli e don Tintori fuori dalla canonica di S. Jacopo dove venivano effettuate le riunioni. Al gruppo partecipavano giovani universitari, allievi dell’Accademia Navale e operai. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) Don Angeli, a fianco di queste personalità, sviluppò una critica serrata alle teorie nazifasciste nelle lezioni sulla dottrina sociale della Chiesa rivolte a un pubblico di universitari, giovani laureati, allievi dell’Accademia Navale, operai. La redazione e diffusione di una serie di opuscoli antifascisti scritti insieme e don Tintori contribuì al risveglio politico dei cattolici livornesi; gran parte dei fucini andarono ad animare la Resistenza livornese e, in seguito, la vita politica del dopoguerra. Sulla base di questa preparazione intellettuale don Angeli dette una prima struttura politica ed organizzativa al gruppo di giovani che si raccoglieva attorno alla Fuci. Prese contatti prima con l’azionista Guido Calogero, poi, attraverso Giorgio La Pira, entrò in contatto con Gerardo Bruni, funzionario – insieme ad Alcide De Gasperi – della Biblioteca Vaticana, che nel 1941 aveva fondato il Movimento cristiano-sociale. Il programma politico di questo movimento, innovatore per la sua proposta di un socialismo cristiano radicato nella dottrina sociale della Chiesa, riscosse l’adesione entusiastica di don Angeli e dei suoi giovani. Sotto I cinque preti italiani (da sinistra: Mauro Bonzi, Roberto Angeli, Camillo Valota, Giovanni Tavasci, Costante Berselli) poco dopo la liberazione di Dachau nel maggio 1945. Tutti erano affetti da grave edema. Bonzi si spense pochi mesi dopo. Angeli e Tavasci riportarono un’invalidità permanente. (Archivio Centro Studi Angeli) Il movimento cristianosociale fu fondato a Livorno nel 1942 dopo l’incontro di don Angeli con Gerardo Bruni Anna Maria Enriques Agnoletti (1907-1944) ha combattuto nella Resistenza a fianco di don Angeli e dei cristiano sociali. Per questo fu fucilata dai nazisti a Cercina (Firenze) nel 1944. Pubblichiamo un ricordo della sua figura scritto da don Angeli nel 1966. Q ggi, se confrontiamo il mondo in cui viviamo, la nostra società con quella di allora, penso che dobbiamo con sereno ottimismo riconoscere che Anna Maria Enriques Agnoletti e gli altri, che poi erano i più generosi e che sono morti, non sono morti invano. Non sono morti invano, perché ci hanno lasciato tanto; a loro dobbiamo la libertà, quella di vivere come quella di pregare e di operare secondo coscienza, e le speranze di una società aperta verso il meglio. Ma se confrontiamo i loro ideali con la società odierna, balza evidente un notevole contrasto. Rimane molto cammino da fare. Essi si impegnarono per qualche cosa di più: per una libertà radicale, per un riconoscimento più concreto della dignità dell’uomo come figlio di Dio; per una giustizia maggiore, perché al lavoro fosse finalmente assicurato il “primato” che gli compete su qualsiasi altro fattore della produzione; per l’unione fra i popoli e per una pace effettiva; per il primato della coscienza sulle strutture e per l’abolizione di ogni discriminazione nell’applicazione di una vera fraternità evangelica. E allora io penso che la cosa migliore per lodare i fratelli e le sorelle che sono nel nostro cuore, sia quello di continuare a camminare sulla strada che ci hanno indicato con la loro vita e la loro morte. 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 9 LA PONTIFICIA COMMISSIONE ASSISTENZA TOGNI E GRONCHI I “LIVORNESI” DI PONTEDERA Appartenevano a correnti molto distani della DC, ma oltre alla comune origine pontederese, Gronchi e Togni furono accomunati da un legame stretto con Livorno. Don Angeli legò soprattutto con Gronchi, condividendone la linea politica, ma per le sue opere assistenziali seppe interagire anche con Togni. Creata una sezione locale nel 1945, l’opera assistenziale pontificia si rivelò essenziale per portare i primi aiuti alla popolazione livornese messa in ginocchio dalla guerra. Per permettere maggiori finanziamenti statali don Angeli creò nel 1948 il Comitato Livornese Assistenza a carattere provinciale. MONSIGNOR TINTORI FEDELE AMICO “La nostra fu un’amicizia irripetibile, fatta di ideali comuni, comprensione, collaborazione, rispetto, intuizioni consonanti”. Così don Amedeo Tintori (1912-1998), scriveva di don Angeli: insieme furono le guide che condussero i giovani cattolici livornesi dall’antifascismo alla Resistenza attiva. la spinta del sacerdote nel 1942 nacque il Movimento cristianosociale livornese che entrò subito nella Concentrazione antifascista livornese, che poi diverrà Comitato di liberazione nazionale (Cln). Dopo l’8 settembre 1943 don Angeli e i cristiano-sociali decisero di passare all’azione. Il gruppo livornese si prodigò in aiuto agli ebrei perseguitati, facilitò la fuga dei militari alleati e dell’esercito regio allo sbando, recuperò armi, stabilì contatti con il comando clandestino del Cln di Roma e con gli ambienti della Santa Sede. Grazie soprattutto al lavoro di don Angeli e di 10 Erminia Cremoni (19031956), altra figura chiave sulla strada di don Angeli. Partigiana della prima ora, nel dopoguerra fu una delle anime del Cla, fondatrice del Centro Italiano Femminile e esponente di spicco della Democrazia cristiana. 100 ANNI don ROBERTO ANGELI suo padre Emilio il gruppo seppe estendere l’attività di Resistenza alle zone della Garfagnana, del Mugello, del pistoiese, delle Apuane, del grossetano e del modenese. Nella sua attività resistenziale don Angeli fu membro del Cln livornese, tenente-cappellano della Divisione “Giustizia e Libertà” di Firenze, addetto al servizio segreto per la Divisione livornese “Lanciotto Gherardi”. Queste attività partigiane non sfuggirono alla Gestapo che operò numerosi arresti, decimando il Movimento cristiano-sociale. Don Angeli venne arrestato il 17 maggio 1944, mentre si trova a Montenero ospite nella villa del professor Mario Tinti, primario degli Spedali Riuniti di Livorno. Iniziò così la dolorosa esperienza della prigionia, che lo vedrà a «Villa Triste» a Firenze, quindi nel campo di smistamento di Fossoli fino ai campi di concentramento di Mauthausen, Gusen e Dachau. La prigionia durerà esattamente un anno. Gli alleati liberarono Dachau il 29 aprile 1945, ma imposero una quaran- tena agli internati, per cui solo il 18 maggio don Angeli riuscì con uno stratagemma a lasciare il campo di sterminio. Nel dopoguerra il vescovo Piccioni investì il «reduce» don Angeli di numerosi incarichi, mettendolo di fatto alla guida dei settori strategici dell’azione pastorale della diocesi: la stampa, l’Azione Cattolica, le opere assistenziali. Venti giorni dopo il suo ritorno da Dachau, il 23 giugno 1945, il sacerdote scrisse una «Lettera aperta agli amici cristiano sociali» con cui prese le distanze dal gruppo che con lui aveva animato la Resistenza cattolica. Durante il periodo del suo internamento il Movimento si era intanto trasformato in Partito cristiano sociale. Tra l’agosto e il settembre 1944 era nata una «disputa» tra il Pcs e la nascente Democrazia cristiana. Dopo il tentativo di fusione tra i due partiti, vissuto come «un trabocchetto» dal Pcs, i cristianosociali tornano ad essere «intransigentemente cristianosociali». Don Angeli, che già prima del suo arresto stava lavorando perché le due correnti politiche potessero «intimamente collaborare nelle questioni di fondo», era convinto che in quel momento fosse necessario alzare un argine comune contro il comunismo, per cui invitò i cattolici dell’uno e dell’altro partito alla «necessaria collaborazione». Dal 23 settembre 1945 assunse la direzione del settimanale diocesano «Fides» che negli anni della guerra fredda, divenne una bandiera per i cattolici livornesi. Dalle colonne del suo giornale difese le masse lavoratrici partecipando anche direttamente alla vertenza che interessò la fabbrica Motofides nel 1949. In breve tempo il «Fides», che mantenne un filo diretto col Centro Stampa della Direzione generale dell’Azione cattolica, divenne il giornale di altre diocesi toscane (Massa MarittimaPitigliano, Montalcino, San Miniato, Pescia, Massa Carrara) arrivando ad una tiratura di 15 mila copie. La fama del giornalista don Angeli varcò i confini locali. I suoi articoli furono più volte ripresi dal Servizio informazione settimanale del Centro cattolico stampa che li fece arrivare sulle pagine di numerose testate cattoliche regionali dalla «Voce Cattolica» di Palermo al Dal 23 «Corriere della Valtellina» di settembre Sondrio. Questo fu possibile 1945 don anche grazie alla stima e alla Angeli profonda amicizia che legò il assunse la sacerdote al direttore del Centro direzione del stampa dell’Azione cattolica don settimanale Fausto Vallainc, il futuro direttore dell’Ufficio stampa del Fides che Concilio Vaticano II e della Sala negli anni stampa della Santa Sede. della guerra Nel dicembre 1959, il nuovo fredda vescovo di Livorno monsignor divenne una Andrea Pangrazio (arrivato nel 1955 come vescovo coadiutore bandiera di Piccioni con diritto di succesper sione e che reggerà la diocesi i cattolici fino al 1962), decise la soppreslivornesi sione del «Fides» sostituendolo Emilo Angeli (1887-1954), il padre di don Roberto, fu una figura di assoluto rilievo nella Resistenza italiana. Soprannominato il “nonnino”, venne catturato dalla Gestapo e torturato dal comandante della polizia segreta nazista Herbert Kappler che lo credeva un generale. Riuscì a fuggire fortunosamente nel giorno della Liberazione di Roma. Nella pagina a fianco, Le basi di un nuovo ordinamento sociale, uno degli opuscoli diffusi da don Angeli nel 1943. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 11 col settimanale «La Vita». Era il segno della nuova linea pastorale e politica impressa alla diocesi dal nuovo vescovo che non appoggiava gli ideali cristianosociali di don Angeli e l’aperto appoggio del settimanale alla sinistra democristiana di Giovanni Gronchi: la chiusura del «Fides» provocò vasta eco sulla stampa cittadina. Dal 1945 al 1957 don Angeli fu anche Delegato vescovile per l’Azione Cattolica. A fianco del presidente di Ac Francesco Cecioni il sacerdote organizzò corsi di studio, attività culturali e ricreative che polarizzano l’interesse cittadino sulla vita cattolica e culminarono con il grande evento del 30 settembre 1951, in cui trentamila giovani di Azione Cattolica giunsero da ogni parte d’Italia sfilando per le vie di Livorno a fianco del loro presidente nazionale Carlo Carretto. In questi anni don Angeli riprese anche l’insegnamento della dottrina sociale cristiana con una serie di affollatissime conversazioni presso il cinema di Santa Giulia. 12 Montenero, 25 aprile 1951. Sotto il sagrato del Santuario posa il gruppo del Comitato Civico livornese retto da Mario Razzauti (alla sinistra di don Angeli). (Archivio Centro Studi Roberto Angeli). A fianco, Giovanni Gronchi (18871978). Amico personale di don Angeli, il Presidente della Repubblica fu fondatore e alto patrono del Comitato Livornese Assistenza. 100 ANNI don ROBERTO ANGELI Il decennio 1945-1955 è anche il periodo in cui più aspre furono le battaglie con i comunisti. Oltre che dalle colonne di «Fides» don Angeli ingaggiò confronti molto tesi con i “rossi” «con scritti, discorsi, contraddittori talora drammatici». Pur nella durezza dello scontro fu rispettato dai suoi avversari che gli riconoscevano il valore esemplare della sua testimonianza nella Resistenza e nell’esperienza del lager. Nel 1953 il sacerdote contribuì a f o n d a r e l’Associazione Combattenti Guerra Liberazione per tentare di spezzare il monopolio dell’Anpi. Nel 1957 dette la sua adesione al Consiglio Provinciale della Resistenza. Fu nelle opere assistenziali cattoliche che don Angeli profuse il massimo sforzo organizzativo. Il 16 giugno 1945, appena una decina di giorni dopo il suo ritorno da Dachau, monsignor Piccioni lo nominò presidente della Sezione diocesana della Pontificia commissione di assistenza (Pca). In questo periodo divenne anche consulente del Segretariato diocesano di attività sociale (Sedas) e dal 30 ottobre 1945 presiedette l’Istituto per la educazione religiosa e l’assistenza morale alla gioventù (Ieramg). La Pca era una commissione che operava in stretto contatto con la Santa Sede e cercava di rispondere ai problemi sociali più impellenti dell’immediato dopoguerra. Forniva notizie su profughi, combattenti, dispersi; sussidi e indicazioni a persone di passaggio e agli internati usciti dal campo di concentramento di Coltano; distribuiva sacchi di scarpe, indumenti, latte in polvere, quintali di pasta e margarina. Con la Pca don Angeli portò anche nella provincia di Livorno i Refettori del Papa che distribuivano ogni giorno pasti caldi agli indigenti. In questi primi anni del dopoguerra vennero costituite anche le prime Colonie diurne e permanenti per i bambini ad Antignano e al Calambrone. L’8 settembre 1948, con l’ap- provazione del vescovo Piccioni, don Angeli diede vita al Comitato livornese di assistenza (Cla). L’onorevole Giovanni Gronchi, allora Presidente della Camera dei deputati, legato a don Angeli da sentimenti di amicizia, ne assunse la presidenza onoraria divenendone l’autorevole portavoce presso gli organi governativi. L’allontanamento degli americani da Livorno, l’assottigliarsi degli aiuti diretti alla Pca, la trasformazione dei problemi sociali non più legati all’emergenza dell’immediato dopoguerra, imposero scelte diverse. L’urgenza era ora quella di togliere i ragazzi dalla strada, combattere la denutrizione e le malattie, porre i germi di una educazione cristiana. Il Cla, ispiratore don Angeli, si caratterizzò per una formula innovativa più volte citata dall’allora Ministro degli interni Mario Scelba come modello di associazione assistenziale provinciale: il comitato si costituì come «organismo laico e privato di assistenza pubblica» e riunì diversi enti e associazioni cattoliche (il Centro italiano femminile, le ACLI, l’Azione cattolica, la Pca) evitando così doppioni, concorrenze e dispersioni di energie. A Livorno e provincia, fino alle più sperdute frazioni dell’Isola d’Elba, nacquero così scuole materne, doposcuola, colonie, refezioni, laboratori, corsi e scuole popolari e anche opere più impegnative come il «Preventorio per minori» di Castelnuovo della Misericordia (nel 1952), la «Casa dei Ragazzi» in Borgo S. Jacopo e iniziative di istruzione professionale come la «Tipografia Stella del Mare» (nel 1953). Nel 1951 vennero ospitati per 5 mesi più di 100 bambini profughi per l’alluvione del Polesine. In circa 10 anni il Cla arrivò ad assistere più di 100 mila tra adulti e bambini, L’opuscolo dell’estate del 1944 che segnò la breve stagione della “fusione” tra Democrazia Cristiana e Cristiano-sociali livornesi. A fianco, don Angeli in posa in Valtellina, dove spesso trascorreva dei periodi di soggiorno per curarsi dagli effetti lasciati dalla lunga prigionia nei lager nazisti. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) beneficiando del lavoro, tra personale dipendente e volontario, di più di duemila persone. Nel 1961 il Cla venne eretto in Ente morale ma è proprio nel corso di questo decennio che vide lentamente esaurirsi il suo ruolo assistenziale col ridursi delle emergenze sociali e soprattutto a causa della riduzione dei fondi erogati dal Governo. Dopo la chiusura di «Fides» e diminuendo i suoi impegni di carattere assistenziale e pastorale (nel 1953 lasciò la parrocchia di S. Jacopo e divenne canonico della cattedrale) don Angeli si dedicò più intensamente all’attività letteraria. L’opera certamente più conosciuta di don Angeli resta Vangelo nei Lager uscito per la prima volta nel 1964 con la collana “Quaderni del Ponte” fondata da Piero Calamandrei, il libro ebbe numerose recensioni sulla stampa nazionale e fu adottato in molte scuole come testo didattico. Di notevole interesse sono anche i suoi scritti sui pionieri del pensiero sociale cristiano (nel 1956 esce La dottrina sociale di G. Toniolo per le edizioni Alzani di Pinerolo; nel 1959 per le edizioni Cinque Lune di Roma viene pubblicato Pionieri del movimento democratico cristiano). Don Angeli realizzò anche sei biografie di santi tra cui spicca per la vastità della ricostruzione storica il 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 13 La lettera del Vescovo Piccioni, scintilla per l’impegno di don Angeli nel dopoguerra “E’ stata per te un’esperienza di dolori...” Livorno, 24 giugno 1945 libro dedicato a Niels Stensen pubblicato dalla Libreria Editrice Fiorentina nel 1968. Per un breve periodo sotto l’episcopato di monsignor Emilo Guano (eletto vescovo di Livorno nel 1962 fino alla morte nel 1970) don Angeli tornò anche a dirigere il settimanale cattolico. Fu nominato direttore de «La Settimana», il giornale voluto da Guano in sostituzione de «La Vita», dal 1966 al 1968. Caporedattore fu il suo storico compagno di lotta e di azione pastorale don Renato Roberti. Nel 1963 Gianfranco Merli, Commissario nazionale della Gioventù Italiana, nominò don Angeli assistente ecclesiastico nazionale. Incarico che ricoprirà fino al 1973. Nel 1966 il vescovo Guano conferì a don Angeli anche il titolo di Monsignore e nel 1972 il nuovo vescovo monsignor Alberto Ablondi lo nominò Preposto della Cattedrale. Il 17 giugno del 1972, insieme ad altri dodici sacerdoti superstiti di Dachau, fu ricevuto in speciale udienza da Paolo VI. Don Angeli morì il 26 maggio 1978 per un male incurabile. NOTE Fine anni ‘40, davanti alla chiesa del Soccorso in piazza della Vittoria, don Angeli celebra la messa in occasione del 25 aprile. Sotto, padre Giuseppe Spaggiari (1917) e don Renato Roberti (1921-1997), amici e collaboratori di don Angeli. Entrambi ebbero un ruolo significativo nella Resistenza. Spaggiari divenne poi segretario personale del vescovo Piccioni (dal 1945 al 1959). Don Roberti fu una delle penne più graffianti del settimanale diocesano Fides. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) *Ricercatore Istoreco 14 100 ANNI don ROBERTO ANGELI R. Angeli, La Resistenza nei campi di deportazione, in Aspetti religiosi della Resistenza, Atti del Convegno Nazionale (Torino 18-19 aprile 1970) a cura del Centro Studi sulla Resistenza piemontese «Giorgio Catti», Aiace, Torino 1970; V.E. Giuntella, Il Nazismo e i Lager, Studium, Roma 1979, particolarmente pp. 41-55 e 105-127; A. Cauvin – G. Grasso, Nacht und Nebel (notte e nebbia), uomini da non dimenticare 1943-1945, Marietti, Torino 1981, pp. 199-238; R. Angeli, Vangelo nei lager, un prete nella Resistenza, stampa a cura del Comitato Livornese Assistenza e della «Stella del Mare», Livorno 1985 (1ª ed. 1964). 2 G. Merli, Don Angeli e i cattolici democratici in Toscana, Cinque Lune, Roma 1978; F. Malgeri, La sinistra cristiana (1937-1945), Morcelliana, Brescia 1982; A. 1 Caro Angeli, Grazie degli auguri e delle molte espressioni affettuose colle quali mi ti presenti e che mi hanno commosso. Non temere di avermi recato dispiacere: questo solo, se mai, di essere stato in molta preoccupazione ed angustia per la tua sorte, della quale da tanto tempo non riuscivo a saper nulla… ma questo non dipendeva da te. D'altra parte, quanto già più penosa l'incertezza, sento più viva ora la consolazione. È stata per te una esperienza di dolori, che in anime volgari può accendere o approfondire odio e desiderio di vendetta; ad anime più delicatamente cristiane come la tua rende più sentita e operosa la carità, l'unica cosa di cui il mondo ha bisogno e che si ostina a respingere. Dio ti benedica, caro Angeli, come con un affetto che non può dirsi a parole io ti benedico e ti auguro ogni bene. Ora riposati per rimetterti in salute, come ti desiderano tutti quelli - e sono tanti - che ti vogliono bene e tra i quali, anzi tra i primi, è il Tuo aff.mo + Giovanni Piccioni Parisella, Il Partito Cristiano Sociale 1939-1948, Biblioteca di Studi Cristiano Sociali, Roma 1984; Gerardo Bruni e i Cristiano Sociali, a cura di A. Parisella, Edizioni Lavoro, Roma 1984; G. della Maggiore, Dio ci ha creati liberi. Don Roberto Angeli, interprete ardito del pensiero sociale cristiano, un sacerdote livornese tra Resistenza e Ricostruzione, Editasca, Livorno 2008. La Prigionia Don Angeli, Viktor E. Frankl, Primo Levi e il senso dell’esperienza del lager di Novella Domenici* opo l’8 settembre del 1943, don Roberto Angeli inizia a prodigarsi in azioni di salvataggio e assistenza dei profughi ed ebrei livornesi, procurando loro rifugi sicuri e documenti falsi. Sono molte le azioni clandestine che mettono a repentaglio la sua vita. Troverà nascondiglio in una villa a Montenero dove però sarà arrestato dalla Gestapo il 17 Maggio 1944. Ricorda don Renato Roberti, suo intimo amico e collaboratore: «Il 21 maggio del 1944 –don Angeli D aveva 31 anni- due tedeschi della Gestapo, le mani sulle pistole bussarono alla porta del prof. Tinti a Montenero dove si era rifugiato il capo della resistenza cattolica livornese. Don Roberto avrebbe potuto sottrarsi alla cattura con una fuga predisposta da tempo, ma preferì consegnarsi ai nazisti piuttosto che mettere in pericolo la vita di chi lo aveva ospitato. Con astuta prontezza riuscì ad evitare la perquisizione della sua camera dove nascondeva documenti compromettenti, fra cui uno che mi riguardava. (Devo alla sua presenza di spirito e al suo coraggio se non sono finito pure Ottobre 1954, don Angeli torna nei luoghi della sua prigionia. Il resoconto del suo viaggio fu pubblicato in diversi giornali d’Italia, tra cui L’Avvenire d’Italia, col titolo Come un immenso “museo degli orrori” il campo di Mauthausen il 10 ottobre 1954 (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) io in un campo di sterminio)». Catturato dunque dalla Gestapo, viene portato a Villa Triste a Firenze per subire i tremendi interrogatori con le brutali violenze. Poi il viaggio verso il campo di smistamento di Fossoli per procedere ad altri campi di concentramento fino all’approdo al campo di Dachau. In ciascuna delle sue esperienze concentrazionarie è possibile scorgere la suggestione che la sofferenza non è terra di nessuno, inabitata, in cui ogni uomo viene lasciato solo al suo destino, ma è una landa in cui all’uomo è dato sentire sempre e comunque il sostegno di Dio. Il lager diviene, secondo don Angeli, «un’enorme patena, più preziosa di quelle dorate delle nostre chiese, una patena carica di tutte le atroci sofferenze del mondo e noi la innalzavamo al Cielo implorando perdono e pace. Sì, ci voleva in quei posti il 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 15 sacerdote. Egli doveva raccogliere tutto quell’infinito dolore e presentarlo a Dio. Perché quel mare di dolore umano aveva un valore immenso e non doveva andare disperso. Forse era ciò che mancava alla Passione di Cristo per la redenzione e la salvezza di molti». Viktor E. Frankl, autore del libro Uno psicologo nei lager, scrive: «(…) nei lager fu evidente che l’amore è come il fuoco: la tempesta spegne la fiamma piccola, mentre alimenta ulteriormente quella grossa. Lo stesso accade negli amanti: se c’è distanza, il vero amore diventa semmai più grande, mentre quello piccolo si spegne. Parafrasando credo di poter affermare che nel campo di concentramento la fede debole si è estinta, mentre la fede salda, potremmo dire quella autentica, è diventata più forte. La fede autentica si è rafforzata mentre quella debole si è spenta. (…) Che cos’è, dunque, l’uomo? Noi l’abbiamo conosciuto come forse nessun’altra generazione precedente; l’abbiamo conosciuto nel campo di concentramento, in un luogo dove veniva perduto tutto ciò che si possedeva: denaro, potere, fama, felicità; un luogo dove restava non ciò che l’uomo può “avere”, ma ciò che l’uomo deve essere; un luogo dove restava unicamente l’uomo nella sua essenza, consumato dal dolore e purificato dalla sofferenza. Cos’è, dunque, l’uomo? Domandiamocelo ancora. È un essere che decide sempre ciò che è». Don Angeli non ha mai sterzato da questa decisione. Interessante, a riguardo, sarebbe potersi dilungare sull’esperienza 16 Roma, 17 giugno 1972, i sacerdoti reduci dal campo di Dachau vengono ricevuti in speciale udienza da papa Paolo VI. Un incontro reso possibile dall’impegno di don Angeli e di monsignor Alberto Ablondi. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) A fianco, Primo Levi. 100 ANNI don ROBERTO ANGELI concentrazionaria di don Angeli e Primo Levi, proprio a partire dall’arrivo al campo di Fossoli, dove entrambi furono deportati. Scrive Levi: «Come ebreo venni inviato a Fossoli, presso Modena, dove un vasto campo di internamento, già destinato a prigionieri di guerra inglesi e americani, andava raccogliendo gli appartenenti alle numerose categorie di persone non gradite al neonato governo fascista repubblicano. Al momento del mio arrivo, e cioè alla fine del gennaio del 1944, gli ebrei del campo erano circa centocinquanta ma entro poche settimane il loro numero giunse ad oltre seicento. Si trattava per lo più di famiglie, catturate dai nazisti e dai fascisti per loro imprudenza o in seguito a delazione. Alcuni poi si erano consegnati spontaneamente, o perché ridotti alla disperazione dalla vita randagia, o perché privi di mezzi per non separarsi da un congiunto catturato, o anche, assurdamente “per mettersi in pari con la legge”». Scrive don Roberto Angeli: «rasati a zero, smistati nelle varie baracche, segnati col triangolo rosso dei detenuti politici, diventammo un numero nel campo di Fossoli. Io divenni il numero 2188. Fossoli era un campo di smistamento e si riempiva e si svuotava rapidamente nel giro di pochi giorni. C’erano uomini e donne da ogni parte d’Italia, ma dominavano alcuni gruppi tipici: gli ebrei dislocati in alcune baracche separate, che avevano praticamente in mano l’organizzazione alimentare, la segreteria e l’infermeria del campo; i milanesi assai affiatati fra loro che ricevevano e smistavano generosamente viveri e denaro; qualche centinaio di rastrellati romani strappati una notte alle loro famiglie e che un giorno partirono (si disse verso la Germania) per lavorare nella Todt; ed infine la nostra piccola congrega di fiorentini. Allora la vita nel campo ci sembrò bestiale, ma poi quelli fra noi che furono deportati in Germania dovettero riconoscere, che si trattava in confronto di una specie di villeggiatura». Per tutti e due l’esperienza più traumatica tuttavia, per quanto disumana sembrasse la vita nel campo di Fossoli, doveva ancora arrivare. Ricorda Primo Levi: «Gli sportelli erano stati chiusi subito, ma il treno non si mosse che a sera. Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione. Auschwitz un nome privo di significato, allora e per noi, ma doveva pur corrispondere a un luogo su questa terra». Il campo di Auschwitz, uno dei più efficienti nel progetto di “soluzione finale del problema ebraico”, era ancora un non-luogo per i detenuti che dovevano oltrepassare quel cancello su cui ironicamente stava scritto “il lavoro rende liberi”. Don Roberto, diversamente da Primo Levi, non fu indirizzato verso Auschwitz ma a Mauthausen «Continuavano da Fossoli le partenze e gli arrivi. E ogni partenza di amici era una stretta al cuore (Dove andranno? Li ammazzeranno? Ci rivedremo mai più?) ed ogni arrivo segnava un flusso di notizie ansiosamente cercate (Che si dice fuori? Quando finirà la guerra? Credete che i partigiani verranno a liberarci?) (…) Era il 1 agosto, come già da Firenze, le ultime SS che abbandonavano il campo, ci trascinarono dietro, caricati su camion chiusi da sbarre, nel loro trasferimento al campo di Bolzano-Gries. (…) Dopo tre giorni – stivati in novanta dentro un carro bestiame sigillato - eravamo di nuovo in viaggio: e questa volta verso il tanto temuto campo di eliminazione di Mauthasusen». Diversa la destinazione dei due prigionieri; diversa l’esperienza umana nella stessa situazione di deportazione e annientamento. «C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio» ha detto Primo Levi, negando la speranza di un futuro prossimo, la speranza di una redenzione umana, la speranza di un senso. «Se questo è un uomo», scriverà infatti Levi «Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici. Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un si o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi». Altro il sentimento che abitava il cuore di Don Roberto Angeli. Il cardinale Joseph Beran (al centro) con don Angeli e don Berselli. Beran, primate di Cecoslovacchia, fu compagno di prigionia del sacerdote livornese. Nel 1965 Beran fu a Livorno, qualche mese prima si era stabilito a Roma dopo anni di persecuzione comunista. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) «Pochi minuti dopo quegli uomini [si riferisce agli 800 sacerdoti nel campo di Dachau), confusi fra le migliaia di infelici, affrontavano la solita vita intrisa di stenti, di lavoro sfibrante, di insulti, di percosse e di umiliazioni, le più degradanti. Ma nel loro cuore custodivano una fiamma che nessun tormento esteriore avrebbe potuto estinguere. Avevano la fede in Dio, avevano la speranza di cose immortali, avevano la coscienza di continuare, attraverso il dolore, la loro missione santificatrice: avevano, soprattutto, la certezza nella presenza del Dio Vivente che abitava nei loro miseri corpi, deformati dalla fame e dalle percosse». Don Roberto Angeli e Primo Levi, paradigmi di due esperienze umane, tra tante, da meditare, di cui fare memoria e su cui continuare a far riflettere le nuove generazioni. *Laureanda Istituto di Scienze Religiose “Beato Niccolò Stenone” di Pisa 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 17 Vangelo nei Lager. Un prete nella Resistenza, nell’edizione rieditata dalla Diocesi di Livorno, col patrocinio della Provincia di Livorno nel 2007 Nel martirio di Dachau l’aurora di un rinnovato cristianesimo Il lager come esperienza di riscoperta di Dio. La vita di don Angeli e di tanti suoi compagni di prigionia dice in fondo che non dobbiamo aver paura di una vita impegnata con gli altri e impegnata con i poveri, impegnata ad amare di Anna Ajello* ncontrare don Roberto Angeli a tanti anni di distanza dalla sua nascita significa confrontarsi con una grande figura di uomo e di cristiano. Un cristiano serio, non triste, capace di entusiasmo e di passione, simpatico per la capacità di amicizia e prossimità, maturata in una tenace costruzione interiore. Significa anche considerare la ricchezza di una eredità evangelica ricevuta dalle mani di uomini e donne che come lui, I 18 quasi a dispetto della loro debolezza, sono stati capaci di custodirla in tempi e situazioni difficilissime, anche a costo della propria vita. Fu Giovanni Paolo II, in prossimità del Giubileo del 2000, a richiamare l’attenzione del mondo su “questa moltitudine di persone che, nei secoli passati e fino ad oggi, hanno sofferto persecuzione, prigionia e spesso anche la morte nei lager e nei tanti luoghi della barbarie nazifascista, perchè testimoni del vangelo e confessori della fede, o perchè esercitanti le virtù cristiane in situazioni di particolare ostilità, di odio verso la fede”. 100 ANNI don ROBERTO ANGELI Ottobre 1954. Un’altra immagine di don Angeli nel suo viaggio della memoria a Mauthausen. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) Nella Chiesa romana di San Bartolomeo all’Isola, oggi memoriale dei martiri del XX secolo, nei locali che hanno ospitato nel 2000 i lavori della Commissione Nuovi Martiri, è custodita una copia di Vangelo nei Lager, insieme a migliaia di lettere, appunti, testimonianze giunte lì da tutte le parti del mondo, su richiesta di Papa Woityla, per documentare la realtà del martirio nella chiesa contemporanea: “queste testimonianze – è scritto nella Tertio Millennio Adveniente – per quanto è possibile non devono andare perdute nella Chiesa … occorre che le Chiese locali facciano di tutto per non lasciarne perire la memoria”. Il Papa pensava a qualcosa di simile al martirologio dei primi secoli. L’idea nasceva dalla sua esperienza personale, incrociatasi e salvatasi miracolosamente dalla persecuzione nazista della Chiesa in Polonia; ma già Paolo VI, che tanta parte aveva avuto durante la guerra nell’organizzazione di una “resistenza” morale e spirituale al nazifascismo oltre che dell’aiuto e del soccorso ai perseguitati, alla fine del conflitto pensava a rendere nota l’incredibile esperienza di martirio che aveva sofferto la Chiesa in Italia e in tante parti del mondo, sia tra i laici che tra gli ecclesiastici. Rappresentava un grande patrimonio umano e spirituale che poteva dare forza alle Chiese attraverso la memoria, un grande patrimonio evangelico raccolto nelle vite di uomini e donne come tutti. Don Angeli fu tra questi. Molto della sua esperienza nei Lager è descritta – come è noto – nel libro che ne rievoca i tratti più terribili e immediati, ma molto altro emerge dalla riflessione che negli anni successivi accompagnò la vita spirituale e pastorale di questa straordinaria figura. Una lunga, dolorosa e incredibile rielaborazione dell’esperienza concentrazionaria, che tanto aiuto offre a chi, ancora oggi, si interroga su come diando l’esperienza spirituale di A sinistra, don uomini e donne santi come Giovanni Fortin, Niccolò Stenone o Elisabetta compagno di prigionia di don Seaton: la presenza quasi fisica Angeli. di Dio accanto a lui e accanto a loro. Comprende anche il senso Sotto a destra, il libro Il secolo della propria vita e della propria del martirio di missione di cristiano e di sacerAndrea Riccardi, dote: invocare ed evocare la scritto sulla scorta della presenza di Dio nei luoghi del Tertio Millennio dolore. Per questo vorrà che una Adveniente di cappellina, con il Santissimo papa Giovanni Paolo II in pre- Sacramento, fosse sempre preparazione al sente nei posti ospiti delle sue grande Giubileo opere di carità. “E’ stata per te del 2000. un’esperienza di dolori – gli scriverà il vivere il Vangelo nel proprio vescovo tempo, su come custodire uno Piccioni al spazio spirituale in un tempo suo ritorno materialista, convinto che quea Livorno – sto spazio, nel cuore e nella che ad anime più delicatamente cristiane come la tua rende più sensibile e operosa la A sinistra, una illustrazione del carità, l’unica cosa di cui il libro dell’Abbé René Fraysse, mondo ha bisogno e che si osticompagno na a respingere”. di prigionia di Nella piccola cappella di “Notre don Angeli, usate Dame de Dachau” in mezzo ad dal sacerdote una strana “comunità” di 1400 nel Vangelo sacerdoti di 14 diverse nazionanei lager. lità, o nelle sudice brande dell’ “infermeria” dove vittima della dissenteria era stato gettato, e A Dachau, società, rappresenti una fonte di dove riceve di nascosto alcune nel luogo in libertà, di resistenza alle forze particole, Angeli comprende che distruttive e disumane che agi- cui Dio “l’amicizia salva”, l’amicizia di tano la storia, di cambiamento e veniva Dio e l’amicizia degli uomini. di futuro. negato, don Uomini come il cardinale Beran Nella piazza dell’appello di Angeli sente cui rimarrà affezionato per tutta Dachau, nel luogo in cui Dio la presenza la vita e per cui organizzerà a veniva negato e in un momento Montenero, molti anni dopo il quasi fisica di profonda difficoltà fisica e suo ritorno dal lager, una liturgia morale, Angeli sente quello che di Dio eucaristica con tutti i sacerdoti poi comprenderà meglio stuex-internati che aveva potuto 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 19 rintracciare. Beran era chiamato “il sole di Dachau”, per il sorriso che non negava a nessuno, per l’incredibile forza d’animo con cui ogni sera cercava tutti e impediva, con una chiacchera o un gesto di conforto, che “le tenebre della desolazione scendessero nei cuori fiaccando le forze”. Angeli lavorava con lui nel “plantage”. Era chiamato così l’ampio “vivaio” dell’“Istituto sperimentale tedesco – S.p.A.”, una ditta privata di proprietà di Himmler e di cui Goebbels era il principale azionista. Si trattava di un vasto terreno paludoso, di più di 5 ettari, che a prezzo di estenuanti fatiche e di numero- se vite umane, era stato prima dissodato e poi bonificato per la coltura di fiori e piante officinali, destinati alla produzione di medicinali alternativi durante il periodo bellico. Alla “piantagione” di Dachau lavoravano circa 1300 persone durante i mesi primaverili ed estivi, da 400 ad 800 di inverno, soprattutto ebrei ed ecclesiastici, morendovi a migliaia per le terribili modalità 20 e condizioni cui si era costretti. Angeli fu aggregato alla squadra di lavoro in cui lavoravano oltre a mons. Beran anche altri preti Beran era tra cui due che diventarono suoi chiamato “il amici e grazie ai quali sin dall’arrivo a Dachau davvero molte sole di Dachau” per volte scampò alla morte, don Dalmasso e don Fortin. il sorriso Colpisce infatti, nel sistema che non nazifascista di eliminazione delnegava a l’altro, dagli Ebrei ai deboli e ai nessuno. vagabondi, a tutti i propri nemici e oppositori, la rilevanza che Don Angeli ha la rottura delle relazioni, lavorò al l’isolamento progressivo delle suo fianco vittime, la ghettizzazione che nel lager rende più facile la diffamazione prima e poi la distruzione fisica dell’altro, senza il pericolo che Il cardinal Beran e don Angeli a Roma nel 1965. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) Sopra, padre Giuseppe Girotti. Il 28 marzo 2013 papa Francesco ne ha autorizzato il decreto di beatificazione. 100 ANNI don ROBERTO ANGELI alcuno vi opponga resistenza. Ecco perchè vivere l’amicizia nel lager fu anche, per don Angeli e per molti altri, una scelta di “resistenza” all’annientamento dell’umanità, dei legami ordinati dal rispetto e dalla dignità umana. Un tema antico quello dell’amicizia nella riflessione di don Roberto, forse anche per una naturale inclinazione del carat- tere, sin da giovane alla scuola del vescovo Piccioni, un vescovo pastorale, simpatico e affettuoso, un padre e un amico capace da sempre e anche al suo ritorno dal lager, di rispondere al bisogno del suo cuore. Tema di riflessione per lui maestro e per i suoi giovani dell’Azione Cattolica, un’amicizia cresciuta intorno ad una esperienza vera, cementata da valori e ideali comuni, coraggiosi e forti, guascona e piena di ardore giovanile. Tema di riflessione per tutta la vita e fino alla morte: “io non sono solo - disse ormai in agonia a don Renato Roberti – ho con me il Vangelo, i miei libri e i miei amici”. I libri già, i libri che molto amava perchè in fondo erano anch’essi “amici”, strumenti per capire qualcosa di più del suo Dio attraverso l’esperienza di altri. Era questo per lui un utile esercizio di pietà e di umilità, un esercizio consigliatogli da monsignor Bardi, con cui condivide- va un’indole allegra e socievole, l’amore per le relazioni e la compagnia degli altri. Fu dalla Seaton che don Roberto apprese invece un semplice strumento per coltivare le amicizie: usare piccoli biglietti, messaggi per esprimere la sua ansiosa tenerezza o per fissare appuntamenti, per comunicare i suoi stati d’animo o solo i suoi spostamenti o per seguire, amichevolmente, gli spostamenti della vita dei suoi amici. Un altro tratto di questa sorprendente “resistenza” all’orrore dei lager è il parlare di Dio, in due modi: la conversazione e la predicazione; per l’una e l’altra a Dachau si approfitta dei pochi momenti di riposo, si fanno turni, si lotta contro il sonno e la stanchezza. Angeli ricorda ad esempio padre Girotti, un grande teologo domenicano che era stato allievo di Lagrange, che era solito sedere ad un angolo del lungo tavolo che divideva la Stube 3 e la Stube 4 dove studiava e scriveva su Geremia, con un pastore luterano che aveva con sé una Bibbia. Il pastore era il prof. Max Lackamann, docente a Munster; gli altri compagni di studi biblici erano un prete cecoslovacco, tal Merell e uno “scritturista dei fratelli Moravi”. Con i compagni Girotti parlava anche di altre opere lasciate interrotte o appena cominciate nel suo convento di Torino: uno studio sul monachesimo orientale per il quale affermava di aver raccolto molto materiale, durante i suoi ultimi soggiorni in Palestina, dalla stessa letteratura copta; un’antologia sui passi più belli del Talmud, un manuale biblico “del tutto nuovo ed originale” perché basato sui più nuovi criteri e sul metodo dell’esegesi biblica; una vita di san Giuseppe, di cui Girotti come Lagrange era devotissimo. Una notte di gennaio, molto fredda, Girotti non poteva dormire, allora si alzò e scrisse un commento al vangelo su sette piccole paginette che poi lesse ai compagni: è una reliquia – disse Angeli, quando la prof.ssa Agosto 1965, a Montenero, i sacerdoti deportati a Dachau posano con il cardinal Beran dopo la concelebrazione al Santuario. Da sinistra: don Aldrighetti, don Crovetti, don Vismara, don Dalmasso, padre Agosti, don Bartolai, Card. Beran, don Angeli, mons. Manziana, don Fortin, don Berselli, don Neviani. (Archivio Centro Studi Angeli) A sinistra, l’opuscolo La parola del Papa diffuso da don Angeli in periodo clandestino. La meditazione sui testi pontifici alimentò tutto il percorso intellettuale e spirituale del sacerdote. Cauvin, consultandolo per il libro Nacht und Nebel che stava scrivendo, gliele fece vedere. Il testo parte da Gv. 17,19-21 e contiene solo citazioni della Bibbia e dei Padri, Ignazio di Antiochia, Ilario di Poitiers, Cirillo d’Alessandria, Cirillo di Gerusalemme, Ireneo di Lione, che Girotti doveva ricordare a memoria non avendo evidentemente disponibili i testi. La predicazione di Girotti offriva tre punti di riflessione: realizzare l’unità è la preghiera del Signore davanti alla drammaticità dei tempi che l’umanità sta vivendo; una chiesa ferita, dilacerata, non può rispondere alle richieste di un mondo immerso nelle tenebre del male; se la chiesa è una occorre che la sua azione sia unitaria perché il mondo creda e, credendo, superi la malvagità che soffre. Si concludeva con tre esortazioni: pregare “per essere liberati, tra l’altro, da quella pericolosissima tentazione per cui avviene che quelli che hanno la verità, la verità non la vivono, quelli che hanno la forma buona e lo spirito vivifi- 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 21 cante nella loro vita riescono di scandalo a quelli che sono di fuori”; poi testimoniare la fede nella croce di Gesù Cristo attraverso gesti di unità con chi ha la nostra stessa fede ma è da noi separato; infine lo studio della teologia e della storia della chiesa. E poi una citazione di Ilario di Poitiers: “Con la preghiera dunque, con una vita santamente vissuta, con lo studio della verità si compia il nostro terreno pellegrinaggio sacerdotale”. Angeli ascoltava e annotava nella sua mente, trattenendo nel cuore le parole di padre Girotti, già malato e dopo poco ucciso con una iniezione di benzina, tanto che una eco di quelle parole si trova nell’introduzione a Violenza e coscienza. Willi Graf e la Rosa Bianca, Angeli da’ ragione di un ecumenismo nato nel lager: “nei gruppi di resistenza, nelle carceri e nei campi di sterminio, migliaia di uomini di fede di diverse confessioni cristiane impararono a conoscersi, a stimarsi, ad aiutarsi come fratelli, a sacrificarsi gli uni per gli altri, a pregare insieme, a morire insieme. In molti lo abbiamo sperimentato (...) anch’io (…) amavamo ugualmente Cristo e per essergli fedeli, in suo nome, avevamo affrontato il nazismo e ora insieme univamo alle Sue le nostre sofferenze (…) imparammo a scoprire l’essenziale che ci univa e la fragilità delle barriere che ci avevano diviso (…) la lotta comune e la comune sofferenza di tanti cristiani sono dunque senza dubbio all’origine di quella splendida fioritura dell’ecumenismo registrata dalla nostra epoca che, sia pure tra 22 Agosto 1965. Nel suo soggiorno a Livorno il cardinal Beran ebbe modo di visitare anche le opere del Cla. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) Il libro Violenza e coscienza. Willi Graf e la Rosa Bianca. Don Angeli firmò l’introduzione, da molti considerata una sorta di suo testamento spirituale 100 ANNI don ROBERTO ANGELI resistenze e stanchezze, appare come un segno dei tempi e preannuncia l’aurora di un rinnovato cristianesimo”. Si sente una grande esperienza umana e spirituale dietro queste parole. Ecco perché, a tanti anni di distanza, celebrare questa memoria è come ricevere una eredità: c’è molto ancora che si può ascoltare in don Roberto Angeli, qualcosa di nuovo e di antico, che si può estrarre dallo scrigno di un Vangelo vissuto nella storia. E allora ci si può chiedere cosa voglia dire accogliere questa eredità? Nell’esperienza di Sant’Egidio, dei miei amici e delle mie amiche della Comunità, non vuol dire fare cose eccezionali. Non vuol dire sottoporsi a gravi rischi o fare gesti eroici. Ma vuol dire provare a vivere il Vangelo come una parola che ha davvero molto da dire e da indicare, come un orientamento per chi sogna ancora di cambiare il mondo. Vuol dire non rassegnarsi al male, alla violenza, alla guerra. Vuol dire cercare di non essere complici, attori e spettatori del tanto male che inquina l’aria del nostro mondo. Vuol dire essere amici di tutti e particolarmente essere amici dei poveri. La vita di don Angeli e di tanti suoi compagni di prigionia dice in fondo proprio questo: non dobbiamo aver paura di una vita impegnata con gli altri e impegnata con i poveri, impegnata ad amare. Dobbiamo temere una vita senza amore, che non si lascia amare e che non sa amare, che per salvare se stessa elimina gli altri. Dobbiamo temere un cuore vuoto, rivolto al niente che vive e rende tutto grigio e triste. Si potrebbe dire che tutto questo è un po’ irenico e comunque sia qualcosa di personale; forse invece è una risposta a un invito di don Roberto, il quale una volta ebbe a dire a proposito del successo incontrato dal suo libro: «In verità io spero soltanto che questo libretto aiuti ancora i giovani che lo avranno in mano a uscire dal loro particolare e ad aprirsi ai problemi sempre nuovi e spesso drammatici della società. A meditare su valori profondi della loro vita, in relazione all’epoca storica e alle situazioni concrete in cui si trovano e di cui presto saranno protagonisti. A considerare come da una impostazione errata o anche solo da un atteggiamento di indifferenza e di assenteismo possono derivare catastrofi inenarrabili. La libertà, la giustizia, la pace esigono un impegno continuo, un sacrificio da cui nessuna generazione può essere esentata. Essi sono valori che vanno difesi e realizzati in forme sempre nuove e più concrete. La Resistenza, nel suo aspetto più alto, quello positivo, più difficile, di lotta per la costruzione di un mondo migliore, più libero e più giusto non è e non sarà mai conclusa. Questo è il messaggio che color che sono morti e coloro che sono superstiti rivolgono alle nuove generazioni». *Responsabile Comunità S. Egidio di Livorno Dachau, un preludio? Montenero, agosto 1965. Don Angeli e il cardinale Beran concelebrano una messa con i sacerdoti superstiti dal lager. Pubblichiamo la suggestiva riflessione di don Angeli: Dachau, anticipazione del Concilio Vaticano II? itler li aveva fatti chiudere là, Hsterminio, rastrellandoli da tutti i campi di per impedire che influissero sui detenuti, perché in quei lager non doveva esistere alcuna sorgente di speranza o di serena fortezza o di fede. Perciò li avevano voluti ancor più isolare (...). In questo modo - sussurravano quei sacerdoti dopo la Messa - il nazismo aveva, senza accorgersene, dato vita ad una specie di Concilio ecumenico, riunendo insieme sacerdoti di tutte le lingue, di tutte le mentalità, di tutte le confessioni cristiane. Era stata una anticipazione? un misterioso “suggerimento” della Provvidenza? Quelli di Dachau erano sacerdoti allo stato “puro”: senza poteri, né orpelli, né privilegi, né onori umani, ridotti a vivere - anzi a morire lentamente, come i più disgraziati e miserabili tra tutti gli uomini della terra, rosi dalla fame e dal freddo, torturati dai pidocchi e dalla paura, mal coperti di stracci puzzolenti, senza più nessuna dignità oltre quella - soprannaturale e invisibile - del loro sacerdozio. Ma pregavano insieme ed amministravano i sacramenti rischiando la tortura; e si amalgamavano senza alcuna distinzione con tutti gli altri esseri umani, lavorando e penando come loro e peggio di loro; ed esercitavano la carità sopportandosi e aiutandosi; e si scambiavano opinioni e sentimenti; e riuscivano, infine, anche a svolgere segretamente un corso di conversazioni ecumeniche... Vedevano le cose con occhi e cuore nuovi, scoprivano orizzonti mai visti. Coglievano la nuda essenza e la verità delle cose - le cose della vita e della fede - così come avviene, forse, davanti alla morte. Mescolavano esperienze e mentalità, confrontavano i loro metodi e le loro 27 agosto 1965, i 12 sacerdoti ex deportati a Dachau si avviano a concelebrare la Messa al santuario. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) Il testo di don Angeli è tratto da Il Ponte, notiziario bimestrale del Comitato Livornese Assistenza, anno 5, n. 3, settembre 1965. idee, imparavano a vedere le cosa da punti di vista inusitati e pur validi. Si esercitavano a cogliere il vero che è in ogni dottrina e il buono che è in ogni uomo; imparavano a distinguere il molto che è caduco, contingente, variabile, sostituibile, da ciò che invece è eterno ed essenziale. Vivendo e soffrendo insieme si arrischiavano a vicenda comunicandosi esperienze, metodi, nozioni e sentimenti i più disparati. E quasi insensibilmente cresceva nel loro cuore, fino a diventare bruciante, il bisogno di una più profonda comprensione - sul piano umano come su quello religioso - l’anelito alla unione... In quel gruppetto di sacerdoti che stavano in tal modo conversando dopo la Messa a Montenero, c’era anche Mons. Manziana. Annuiva, e poi prese la parola. Portava la sua testimonianza qualificata essendo vescovo e quindi Padre Conciliare. Diceva che più volte, durante le sedute del Concilio Vaticano II, si era commosso sentendo ripetere le idee, le proposte, i progetti e soprattutto le grandi speranze di cui parlavano i preti di Dachau, e che là – nel comune stato di «nudità» e di dolore – erano nate ed erano cominciate a germogliare: - Talvolta, diceva il Vescovo, le ho sentite ripetere al concilio quasi con le stesse parole o addirittura dalle stesse persone, perché non pochi di quei preti destinati alla morte sono ora vescovi o esperti conciliari… Forse – continuava il Vescovo – dovrò proprio scrivere qualcosa sul tema: Dachau e il Concilio Vaticano II. Dachau fu dunque davvero una preparazione, una anticipazione, un preludio? Roberto Angeli 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 23 Le Opere sociali post-bellico. Il CLA nasce dalla sensibilità del cuore sacerdotale di don Roberto Angeli, torchiato dai fili spinati della prigionia subita a Il CLA nasce nel settembre 1948 da un’intuizione di don Angeli, come Mauthausen, Gusen e Dachau, organismo laico e privato di assistenza pubblica e di organizzazione civile. Fu un tassello importante nell’opera di ricostruzione della provincia, in un tempo evidentemente di arrivando ad assistere in 15 anni circa 100mila persone sofferenze, di fame, di aberrazione morale, d’inesistente proattività di solidarietà sul territoDon Angeli in tezione sociale. Egli ne assume di Valeria Cresti* mezzo rio provinciale e per porre al la Presidenza fin dal primo ai bambini ospiti servizio dell’infanzia livornese, e delle colonie momento e ne sarà anima, non solo, la loro esperienza del Cla guida, infaticabile animatore e nell’immediato l Comitato Livornese organizzativa, le competenze fautore di ogni iniziativa fino al dopoguerra. Assistenza nasce nel settem- individuali ed il patrimonio delle (Archivio Centro giorno della sua morte (26 magbre del 1948 come organismo varie associazioni cristiane che Studi Roberto gio 1978). Angeli) laico e privato di assistenza a vario titolo frequentano, conoPer don Roberto il primato evanpubblica e di organizzazione scono o dirigono. Questo è l’atto gelico è credere nell’uomo, è civile1 con il precipuo scopo di di nascita del CLA, “quasi” orgacorrere con audacia ed ingegno contenere compiutamente e no caritativo del CIF, della PCA in soccorso di tutti quei livornesistematicamente la situazione delle ACLI, della ACI, nato per si che con la guerra, perduto di emergenza in cui si trova la togliere i ragazzi dalla strada, tutto, hanno bussato alla sua popolazione della provincia di combatterne la denutrizione e le porta, in cerca sì di beni mateLivorno nel periodo della malattie, porre in loro i germi di riali ma anche di affetto e di Ricostruzione. una educazione integrale e dare fiducia per ricominciare a vivere Nasce con la disponibilità di nuova consistenza al tessuto in un tempo di pace. alcuni amici che decidono di sociale livornese tra povertà, Asili per bambini dai 3 ai 6 anni, unire le forze per potenziare analfabetismo, disorientamento Il Comitato Livornese Assistenza per la ricostruzione di Livorno I 24 100 ANNI don ROBERTO ANGELI doposcuola per bambini dai 6 ai 12 anni, ricreatori per ragazzi dai 12 ai 16 anni, laboratori per ragazze dai 12 ai 20 anni, preventorio antitubercolare per minorenni, scuola tipografica per la qualificazione professionale dei giovani, assistenza sociale per le famiglie bisognose e colonie estive per bambini dai 6 ai 12 anni, una Casa dei Ragazzi, casa-famiglia ante litteram. Tipologie di assistenza e supporto sociale che negli anni sono state costantemente adeguate a necessità sempre mutevoli e che tanto hanno influito sulla realtà sociale livornese dal primo dopoguerra alla fine degli anni ’70. Sono certamente un atto di amore nei confronti dell’uomo, a favore della sua dignità per una presa di coscienza sempre più consapevole dei propri diritti, dei propri doveri e dei talenti spirituali da vivere nella società civile. L’Ente si è costantemente adoperato a dare una risposta alle necessità man mano emergenti nel corso del tempo, cercando di andare incontro al maggior numero di persone possibile. Così le varie iniziative sono sorte e cadute col passare degli anni, Novembre 1951. Il soccorso agli alluvionati del Polesine vide protagonista tutto l’associazionismo laico e cattolico livornese. Anche il CLA recitò un ruolo importante. (Archivio Centro Studi Roberto Angeli) Muovendo da una ispirazione cristiana, il Cla ha operato nella società civile con uno strumento religioso, ma non ecclesiastico col sorgere e il cadere dei bisogni sempre attentamente studiati e vagliati di volta in volta. Grazie a questa strategia attuativa, il CLA ha spesso potuto colmare i vuoti che la società civile presentava ed ha potuto offrire soluzioni a problemi urgenti creando servizi specifici e ben organizzati, con congruo anticipo rispetto ad altre istituzioni o movimenti. Muovendo da una ispirazione cristiana, l’Ente ha operato nella società civile con uno strumento fondamentalmente religioso, ma non ecclesiastico; del CLA, infatti, hanno sempre fatto parte sacerdoti e laici, uomini e donne, radunati in associazione civile ed accomunati da uno spiccato senso civico e da un vivo senso della Chiesa pienamente inserito nello spirito della comunità cristiana come testimoniano i fraterni rapporti con la Diocesi e i Vescovi che nel tempo si sono succeduti nella guida pastorale. Il CLA è stato il primo ente morale in Italia riconosciuto come persona giuridica privata a norma dell’articolo 12 del Codice Civile, eretto con decreto del Presidente della Repubblica del 3 aprile 1961, il cui Statuto è stato approvato con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 129 del 26 maggio. Nonostante lo scopo assistenziale dell’ente, esso non è soggetto alla vigilanza tutoria degli organi statali e neppure è giuridicamente sottoposto all’autorità ecclesiastica. Chi ne fa parte assume la responsabilità e l’onere di reggere questa Associazione in libertà di coscienza, per il bene dei fratelli, nell’ambito - naturalmente delle leggi, dello statuto e della fedeltà ai propri ideali religiosi: ciò significa, in concreto, fedeltà alla Chiesa ed al Vescovo che la rappresenta. A distanza di oltre settanta anni dalla sua fondazione, il Comitato Livornese Assistenza è ancora presente nella realtà sociale livornese e presta la sua opera di assistenza, in parte a titolo volontario, nei confronti degli anziani, ospitando nella struttura del Pensionato persone sole che, altrimenti, avrebbero pochissime possibilità di relazioni sociali interpersonali. Garantisce loro una adeguata assistenza religiosa, morale e sanitaria in un clima accogliente e familiare. A livello culturale, promuove attraverso il Centro Studi Roberto Angeli una pluralità di eventi volti alla valorizzazione della figura e dell’ opera del suo fondatore. *Membro del Consiglio Direttivo del C.L.A. NOTE 1 Lo Stato offre i mezzi materiali sottoforma di contributi e sussidi; il laicato cattolico mette a disposizione braccia, menti e cuori di centinaia di collaboratori che, in varie forme, contribuiscono a quella che risulterà essere una grandiosa opera di elevazione morale e materiale della gioventù livornese. 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 25 IL Futuro Don Angeli 2.0 un testimone per la “net generation” Parlare di questa figura alle nuove generazioni, ai “nativi digitali”, i ragazzi cresciuti a videogiochi e smartphone, è possibile, anzi auspicabile. Educazione e storia nel tempo dei social network di Luca Paolini* osa unisce il nome di Don Angeli al nuovo corso della rete che oggi comunemente viene chiamato 2.0? In realtà sembrerebbero due mondi così distanti e così divergenti l’uno dall’altro tanto da essere ovviamente incompatibili. Eppure a bene vedere anche la figura di Don Angeli può essere letta, vista, analizzata alla luce dei nuovi media e delle nuove tecnologie. Parlare di Don Angeli C 26 alle nuove generazioni, alla “net generation” o ai “nativi digitali”, come vogliamo definire i ragazzi cresciuti a videogiochi e smartphone, è possibile, anzi auspicabile. Partiamo dal presupposto che i nativi digitali passano in età scolare, circa 15000 ore davanti a televisione, computer, cellulare, contro le 11000 dedicate allo studio e alla lettura. Ne risulta che il loro modo di apprendere, di memorizzare, di “vibrare”, passa spesso attraverso uno schermo, che sia per un film, che sia per un videogioco, che sia per una bella imma- 100 ANNI don ROBERTO ANGELI Il blog “Religione 2.0” di Luca Paolini, ha sempre avuto un‘attenzione particolare alla figura di don Angeli. gine magari accompagnata da una bella musica. Perchè dunque non utilizzare questi stessi strumenti, nuovi, digitali e per questo all’apparenza freddi, per scaldare il loro cuore su una figura così vibrante e così forte come quella di Don Angeli? Nella mia esperienza di questi anni lavorare con le nuove generazioni ha significato usare una nuova lingua che loro ben conoscono, quella dei social network, quella delle immagini, dei video e dei suoni, i canali attraverso i quali lo si voglia o no passa gran parte dell’educazione informale dei ragazzi. E non solo... Gli strumenti che oggi i ragazzi hanno a disposizione permettono loro di essere attori e non solo spettatori del processo di educazioneformazione, per cui il messaggio viene da essi visto, letto, ascoltato e poi ricompreso e rielaborato in un nuovo prodotto, il loro questa volta, che contiene non solo il messaggio originale appunto ma anche tutta la loro sensibilità, percezione della realtà, del loro mondo interiore insomma. E’ il caso del primo video che abbiamo realizzato per la intitolazione della scuola ex Colombo di Livorno, a Don Roberto Angeli. In quella occasione è stato lanciato un concorso, vinto da una ragazza di 13 anni che ha realizzato un video immaginandosi di essere una di quei deportati che insieme a Don Angeli furono portati via dalle loro case e condotti nei campi di smistamento e poi di sterminio. Un video così toccante, che grazie anche alla scelta di musiche adatte alle immagini ha meritato il primo premio. I ragazzi se lasciati liberi di creare, possono tirare fuori dal loro mondo interiore cose straordinarie, e questo l’autorialità delle nuove tecnologie lo amplifica a dismisura. Lo stesso discorso si è verificato in occasione di un nuovo evento legato a don Angeli, la posa di una formella a lui dedicata sempre nella scuola a lui intitolata. Anche in questo caso i ragazzi sono stati coinvolti a creare un video in cui loro stessi ponevano a don Angeli delle domande e lui, interpretato da un ragazzo della scuola, rispondeva con i suoi scritti e le sue parole quelle vere. Il video è ancora oggi visibile sul sito del Comune di Livorno che lo ha scelto come trailer della “Giornata della Memoria”. Molto più semplicemente ma sempre efficacemente, perchè non biso- gna mai perdere di vista l’efficacia della propria azione educativa quando si utilizzano le nuove tecnologie, anche l’impiego delle immagini, delle foto, può aiutare a cogliere momenti importanti e significativi, a trattenerli con se e all’occorrenza a condividerli con altri. Lo abbiamo visto in diverse occasioni, la prima nella posa delle “Pietre d’inciampo”, evento realizzato dalla Comunità di S. Egidio a Livorno, sui luoghi delle ultime residenze conosciute dei deportati nei campi di concentramento mai più ritorna- ti a casa. In quella occasione alcuni ragazzi hanno catturato con i loro cellulari i momenti più significativi della manifestazione, la posa delle pietre, le rose deposte, i simboli della religione ebraica, e poi li hanno condivisi in rete con un semplice “click”. Anche per realizzare delle belle foto bisogna avere qualcosa Il video realizzato dall'Istituto Comprensivo “Don Angeli” Scuola Secondaria di I grado “Michelangelo” è pubblicato e visibile sul sito del Comune di Livorno ed è stato usato come trailer della “Giornata della Memoria”. dentro da comunicare agli altri, lo sanno bene i fotografi professionisti, ma anche i ragazzi sanno tirare fuori dai loro smartphone immagini che fanno riflettere. Anche durante l’ultimo viaggio a Fossoli, organizzato dall’Ufficio Scuola della diocesi di Livorno e dal “Centro studi don Angeli” in occasione del centenario della nascita di don Angeli, gli alunni della scuola “Borsi” hanno colto momenti e situazioni di quel percorso della memoria e alcuni di loro sono stati premiati con i loro prodotti, semplici ma significativi. In questo senso c’è ancora molto da fare e da esplorare e forse vale la pena soffermarsi e dare qualche suggerimento a docenti ed educatori nel caso volessero condurre i propri alunni su questo terreno nuovo e per certi versi inesplorato. A cominciare dalla realizzazione di una pagina di Wikipedia o Cathopedia, ancora appena abbozzate, che raccolga la storia e il lavoro di don Roberto Angeli. Come ben sappiamo chiunque può scrivere su 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 27 queste enciclopedie collaborative allora perchè non fare un lavoro di ricerca seria e approfondita sulla figura di don Angeli e poi metterla in rete? E ancora si possono utilizzare gli strumenti di mappatura per creare una mappa della città con tutti i luoghi che a Livorno parlano di don Angeli, corredando ogni singolo punto con testi, immagini attuali e d’epoca, che descrivano il lavoro che don Angeli faceva anche in campo assistenziale. Sarebbe interessante poi creare un profilo Pinterest, dedicato a don Angeli con tutte le foto che abbiamo a disposizione corredate da didascalia, in modo da offrire a tutti un percorso di lettura della sua vita e del suo messaggio, così come anche cristallizzare i suoi testi, i suoi scritti, in tanti piccoli innumerevoli twitt, che come sappiamo sono piccoli messaggi al massimo di 140 caratteri. Per i più piccoli si potrebbero utilizzare invece gli strumenti della rete per realizzare dei brevi fumetti animati che ripercorrano a grandi linee la figura di don Angeli. La mia convinzione frutto di anni di lavoro in questo campo, è che il messaggio arriva, che i ragazzi si coinvolgono, che il loro cuore può ancora vibrare anche se attraverso uno dei media che circondano la loro esistenza. Spesso siamo noi adulti a temere che questi strumenti possano allontanare il senso delle cose, perché siamo cresciuti in un altro tempo e mi si permetta di dire in un altro mondo, che però non è il loro, e forse solo l’unione e la riappacificazione di questi due mondi può portare buoni frutti per il futuro. *Docente di Media 2.0 Istituto di Scienze Religiose “Beato Niccolò Stenone” di Pisa 28 100 ANNI don ROBERTO ANGELI Fare storia Fare memoria di Catia Sonetti* erché va usato il verbo “fare”? Perché la storia ma anche la memoria, sia quella individuale che quella collettiva sono costruzioni. Sono intrecci che vengono fatti, nel senso concreto del termine. Che nel farsi, vanno condivisi, vanno intrecciati attraverso narrazioni che sono sia legate al singolo individuo, sia legate ai gruppi nei quali questo individuo, insieme a tutti gli altri, si colloca. Sono cioè sia la storia che la memoria costruzioni in parte dei singoli e in parte delle collettività. In questi tempi, nei quali ci troviamo a vivere, tutto intorno a noi ci conduce verso una forzata smemoratezza. Le cerimonie pubbliche con i loro “discorsi” istituzionali si sono logorate, le nostre esistenze private si consumano all’interno di quadri di P riferimento dove alcune parole paiono aver perso sia senso sia densità. Penso alla parola: antifascismo o alla parola impegno, che sono praticamente scomparse dai nostri dialoghi, e ancora di più la parola politica, che negli ultimi anni è stata sottoposta a un vero e proprio linciaggio mediatico che, anche se in gran parte giustificabile, porta solo ad una deriva populista e qualunquista molto pericolosa. Allora come inserirsi dentro questa situazione, dentro un tempo che rispetto alle nostre radici democratiche e culturali è arrivato al 70° dalla data spartiacque della nostra storia nazionale, quel lontano 8 settembre 1943? Proprio agendo dentro questo contesto con azioni concrete, con collaborazioni sempre più estese ma sempre motivate e scientificamente valide, è possibile prendere e sostenere iniziative ricche di senso. Agendo con pazienza, tessendo esperienza, costruendo discussioni condivise dando la giusta rilevanza alle parole e soprattutto facendo questo non da soli ma in buona compagnia. E con il Centro studi Don Angeli, l’Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea di Livorno, ha stabilito già da alcuni anni una collaborazione proficua. E’ una collaborazione che si è strutturata sulla figura di Don Angeli, sacerdote e antifascista di grande rilievo nel panorama nazionale. Insieme abbiamo costruito occasioni di confronto per intrecciare sguardi differenti su questa figura capace di produrre confronti critici e ricchi di ipotesi di sviluppo. Tutto questo è stato fatto perché siamo fermamente convinti che sia necessario agire nel presente in cui viviamo sempre con gli altri, mantenendo ciascuno le proprie specificità di interpretazione e di intervento ma anche con la consapevolezza che solo così facendo, il nostro operato acquisisca senso. Sono iniziative che vengono pensate con un occhio rivolto non solo agli addetti ai lavori, agli studiosi cioè, ma anche alle scuole e al mondo dei giovani perché in ultima analisi sono proprio loro il nostro pubblico preferito. E lo sono non solo perché il futuro è nelle loro mani ma anche perché di tutte le generazioni che si trovano a vivere in questi tempi, loro sono quelli che hanno più di tutti gli altri il diritto di non sapere. Sono spesso stati cresciuti nella smemoratezza più assoluta, obbligati ad una dimensione spaziale schiacciata sul presente e spesso solo sullo schermo piatto di un computer. Sta a noi raccontare loro cosa era questo paese sotto il fascismo, cosa è stata la Resistenza, cosa ha significato la nascita della Repubblica e della Costituzione e quanto tutto ciò abbia valore e agisca dentro questo loro e nostro mondo. Occorre però pensare sempre di più, perché si fa sempre più urgente, un intervento di alfabetizzazione e rialfabetizzazione degli adulti che per molti aspetti si trovano non solo senza memoria storica e senza basi certe di interpretazioni storiografiche ma, ed è peggio, spesso sono convinti della bontà di vulgate deteriori e fuorvianti, semplificatorie e corrive. In questa dimensione la figura di don Angeli ci offre numerose griglie interpretative, quella del clero impegnato contro il fascismo e militante fino a fare una scelta partigiana nel senso profondo e alto del termine, cioè una scelta di parte, la parte dei 26 maggio 2008, premiazione del concorso “Don Angeli: un testimone per l’oggi” nella sala consiliare della Provincia, nel 30esimo anniversario della scomparsa del sacerdote. Una delle molteplici iniziative organizzate in questi anni dal Centro Studi Roberto Angeli con la collaborazione di Istoreco e Provincia di Livorno. (Archivio Istoreco) A sinistra, il depliant delle iniziative organizzate dall’Istoreco insieme ad altre istituzioni cittadine per il 70° anniversario della Liberazione. più deboli, dei sottomessi, ma anche degli ingannati dal regime. Una scelta vissuta con adesione fino alla deportazione nei campi di concentramento. Una scelta mai venuta meno anche dopo il ritorno dai campi in una realtà come quella livornese contraddittoria e complessa oltre che profondamente ferita dalla guerra passata, e ferita non solo a livello materiale ma anche a livello morale. Una figura quella del sacerdote eminentemente “politica” per i suoi legami stretti con Roma, con il Vaticano ma anche per la sua scelta a favore della Democrazia Cristiana e lo scioglimento dell’esperienza dei cristiano sociali. Una figura quindi ricca, vera nella sua complessità, sulla quale sarà possibile costruire un dialogo franco e laico che ci arricchisca tutti. *Direttore Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea nella Provincia di Livorno 100 ANNI don ROBERTO ANGELI 29 1913-2013 Don Roberto Angeli Preghiere Nessuno su quei treni sapeva dove andava lo capivano forse dall’odore che stavano andando in paradiso e un cancello creava il bivio fra morte e vita. I cuochi di uomini non si fermavano mai: da quei camini uscivano sempre fumi e anime. Un prete per scherzo del destino chiamato Angeli scampò ai forni per narrare la sua storia la storia di un uomo che guardava i fumi dipingere il cielo. Nella polverosa e assolata città, già ferita e spezzata dalla guerra contro la folle ideologia combattemmo con proibite carte e fredde armi tinte di speranza. Lorenza Menga Scuola Media Statale “G.Bartolena” Concorso di poesia per il Trentennale della morte “Don Roberto Angeli (19131978), un prete livornese nella Resistenza”, 26 maggio 2008 Fui catturato sull’ombroso colle dove ogni distruzione rimbombava al passaggio dei grandi bombardieri, ricordo le botte prese a Firenze e i promessi compensi al mio tradire arginati dal mio animo forte ricordo gli orrori di Mauthausen e le nostre preghiere clandestine sussurrate alla gelida luna di Dachau, dopo agonizzanti giorni di schiavitù ricordo poi il grido di un Campo Libero “Due doveri ed un principio: Amicizia, Fratellanza e non Politica” E le preghiere di una Città unita, dopo i grandi dolori della folle guerra. Gabriele Bacci Liceo Scientifico Cecioni Settima edizione del Premio di Poesia “Giancarlo Bolognesi” 2013 Pubblicazione a cura del Centro Studi Roberto Angeli Stamperia Provincia di Livorno - settembre 2013