Centro Studi
Roberto Angeli
Una vita
per la libertà
Don Roberto Angeli
a 100 anni dalla nascita
Istituto Storico
della Resistenza
e della Società
Contemporanea
Provincia
di Livorno
Ministro per la
Cooperazione
Internazionale
e l’Integrazione
Don Roberto Angeli,
una vita per la libertà
Sommario
di Enrica Talà.................................3
Dall’antifascismo alla
ricostruzione, il percorso
biografico di don Angeli
di Gianluca della Maggiore.............8
Don Angeli, Viktor E. Frankl,
Primo Levi e il senso
dell’esperienza del lager
“I cattivi imprigionano
i buoni.
E io non so perchè...”
Guido, 4 anni
Fossoli, giugno 2013
di Novella Domenici.....................15
Nel martirio di Dachau
l’aurora di un rinnovato
cristianesimo
di Anna Ajello...............................18
Una vita per la libertà
don Roberto Angeli
a 100 anni
dalla nascita
Pubblicazione a cura del Centro Studi Roberto Angeli
Progetto grafico, impaginazione Gianluca della Maggiore
Iniziativa a cura di:
Il Comitato Livornese Assistenza
per la ricostruzione di Livorno
di Valeria Cresti............................24
Don Angeli 2.0 un testimone per
la “net generation”
di Luca Paolini..............................26
Centro Studi Roberto Angeli,
Istituto Storico della Resistenza e della Società
contemporanea nella provincia di Livorno,
Provincia di Livorno.
Col patrocinio del Ministro per la Cooperazione
internazionale e l’integrazione.
Pubblicazione edita in occasione della giornata intitolata Una vita
per la libertà. Don Roberto Angeli a 100 anni dalla nascita, Sala
Consiliare del Palazzo della Provincia di Livorno, 27 settembre
2013. Nell’occasione, alla presenza del Presidente della Provincia
di Livorno Giorgio Kutufà, del sindaco Alessandro Cosimi, del
Presidente dell’Istoreco Laura Bandini e del direttore del Centro
Studi Roberto Angeli Enrica Talà, è stata consegnata una
onoreficenza al Comitato Livornese Assistenza fondato da don
Roberto Angeli.
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale
con qualsiasi mezzo (compreso microfilm o copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.
2
Fare storia/fare memoria
Stampa realizzata da:
di Catia Sonetti.............................28
La foto di copertina è dell’agosto 1965 (Archivio Centro Studi Angeli).
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
Stamperia provinciale (g.c.)
© 2013 Centro Studi Roberto Angeli, Livorno
Introduzione
Don Roberto Angeli
Una vita per la libertà
Un testimone della Chiesa italiana e tra le figure più
significative del Novecento toscano, accanto a La Pira,
padre Balducci, don Milani, don Facibeni, don Bensi
di Enrica Talà*
onsignor Roberto Angeli è
indiscutibilmente
un
testimone della Chiesa
italiana ed in particolare lo è per
la Chiesa livornese. La sua forte
esperienza di fede parimenti al
coinvolgimento nelle problematiche del tempo in cui visse, lo
colloca accanto alle più note
figure
significative
del
Novecento toscano: La Pira,
padre Balducci, don Milani, don
Facibeni, don Bensi.
Egli fa parte di quella schiera di
persone che captando i segnali
M
17 giugno
1972, don
Angeli ritratto
con Paolo VI in
occasione dello
storica udienza
concessa dal
pontefice ai
sacerdoti italiani
deportati a
Dachau.
(Archivio Centro
Studi Roberto
Angeli)
della storia ne hanno compreso
in anticipo la direzione prendendovi parte come se un imperativo morale ne guidasse i passi, le
scelte, le parole. La sua figura e
la sua opera sono preziosi tasselli su cui ricalibrare la storia di
Livorno all’indomani dell’8 settembre, il valore storico (regionale, nazionale ed europeo) del
coinvolgimento dei sacerdoti
nella Resistenza e nel periodo
della Ricostruzione.
Don Angeli nacque il 9 luglio
1913, non in terra toscana, studiò nel Seminario Minore di
Livorno, venne ordinato sacerdote nel 1936 e nel 1942 divie-
ne, su nomina dal Vescovo
Giovanni Piccioni, parroco della
Pieve di S. Iacopo. È proprio in
questa sede che, attorniato da
folti gruppi di giovani provenienti da realtà culturali e sociali
diverse, palesò l’opposizione al
regime dapprima con la ricerca
della verità, la critica delle ideologie e lo studio appassionato
della dottrina sociale cristiana.
Prese contatti con Giorgio La
Pira e Gerardo Bruni per costituire in città il Movimento dei
Cristiano Sociali; il programma
da seguire, allo stesso tempo
sommario ma innovativo,
appassionò i giovani a lui affidati: instaurazione e difesa di tutte
le libertà politiche, limitazione
della proprietà privata, socializzazione dei complessi economici, federazione europea.
Opuscoli divulgativi, programmi
e lettere circolari ebbero vasta
diffusione. Creò anche un periodico: “Rinascita- Foglio toscano
del movimento cristiano-socia-
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
3
Rinascita del 10
le” che uscì coi primi quattro
marzo 1944,
numeri dattiloscritti e col quinto
l’unica copia
stampato alla macchia presso la
conservata tra
quelle
Libreria Fiorentina, a Firenze.
dattiloscritte
Con gli universitari cattolici
in periodo
cominciò un serrato e affasciclandestino.
Sotto,
nante dialogo a partire dalle
don Angeli negli
encicliche e dai discorsi di Pio
anni ‘50.
XII, incitando alla resistenza spi(Archivio Centro
Studi Roberto
rituale e al coinvolgimento perAngeli)
sonale.
Poi, dopo l’incerta speranza del
25 luglio, con il tragico crollo
dell’8 settembre 1943 al
dire si unì il
fare: azioni
di sabosalvataggio e di assistenza a
taggio, di
favore di militari in fuga; non
solo i giovani di leva che non
avevano risposto ai bandi
di arruolamento ma
anche un gran numero di
“sbandati” dell’esercito
regio appena disciolto.
Le azioni più pericolose furono riservate a
tanti ebrei livornesi e
profughi soprattutto
francesi. Nonostante
la vasta area di
“zona nera” praticamente invalicabile, vennero loro
garantiti asilo, medicinali, vestiti e identità nuove.
Don Angeli si pose dinanzi al nazismo in un contrasto assoluto, teorico
ed operativo. Per questo,
su delazione, fu catturato dalla Gestapo e subìti
gli interrogatori preliminari e le torture a Villa
Triste (Firenze), venne
poi deportato a Fossoli,
Gusen, Mauthausen e
Dachau.
Scriverà poi che il
dovere della ribellione
4
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
era un imperativo di coscienza
dal quale non era possibile
prescindere: la dignità e la
sacralità della persona creata
Don Angeli si da Dio a sua immagine e
pose dinanzi somiglianza, non si prestava a
al nazismo in compromessi. La fraternità e
un contrasto la solidarietà non erano svendibili, specie per un sacerdote.
assoluto,
La Statolatria, con l’idolatria
teorico ed
della razza superiore, come il
operativo.
peggiore dei paganesimi non
Per questo, era affatto accettabile e la
su delazione, “ribellione per amore” fu semfu catturato plicemente quanto era necessario fare.
dalla Gestapo
Per tutto questo, il 22 gennaio
e dopo le
1956, nei locali delle Scuole
torture a
Israelitiche in Via Fanciulli, alla
presenza del Presidente della
Villa Triste
(Firenze) fu Comunità Ebraica il professor
deportato a Roberto Menasci, del Rabbino
Capo Alberto Toaff e dei memFossoli,
bri del Consiglio e della
Gusen,
Comunità, fu donato a don
Mauthausen Angeli un attestato di riconoscenza per l’opera svolta
e Dachau
durante l’epoca delle persecuzioni razziali a nome
dell’Unione delle Comunità
Israelitiche d’Italia.
“Una semplice e commovente
cerimonia” titolava Il Tirreno
del 24 gennaio 1956, ma fu
imponente per il numero stragrande delle persone presenti,
la maggior parte ebrei. Sul Fides
del 29 gennaio 1956 (il settimanale diocesano di cui don Angeli
fu direttore dal 1946 al 1959)
troviamo riportato l’intero
discorso del Rabbino Capo Toaff
che in più di un passaggio con
riconoscenza e gratitudine profonda si rivolge a don Angeli
come “esempio luminoso di fraterna solidarietà”, di “bontà infinita”, “di abnegazione”.
Fu rammentato dall’avvocato
Giuseppe Funaro l’episodio del
trasloco dell’Ospedale Israelitico
di via degli Asili in cui don Angeli
intervenne in prima persona e il
professor Menasci lesse una
lettera dell’allora direttrice
dell’Ospedale ebraico, la maestra Fasano–Procaccia, nella
quale erano riportati numerosi
altri episodi dell’operato di don
Angeli. Di tempo ne è passato,
ma se il ricordare oltre ad essere atto doveroso è soprattutto
Don Angeli a
fianco del
vescovo
Giovanni
Piccioni accolgono l’assistente centrale di
Azione
Cattolica,
monsignor
Giovanni Urbani
in occasione
della visita a
Livorno del
1951.
(Archivio Centro
Studi Roberto
Angeli)
A fianco, la
copertina della
riedizione del
Vangelo nei
lager del 1985
curata dal
Comitato
Livornese
Assitenza.
atto di riconoscenza, è sempre
tempo per dare ossigeno alla
memoria. Soprattutto nei confronti di chi, assieme ad altri, ha
rappresentato per
la comunità ecclesiale e civile un
punto di non ritorno.
Uomo sensibile e
roccioso, sacerdote
carismatico e di
grande forza spirituale, don Angeli ha
combattuto per le
proprie idee e per
la libertà con audacia. Per combattere il fascismo ha rischiato
la vita ma si è sempre apertamente scontrato contro gli
inganni dell’ideologia, della politica fine a se stessa e contro
qualsiasi programma che limitasse la libertà personale nel
pensare, nel vivere, nell’operare
con coerenza.
L’uomo, il partigiano, lo scrittore, e soprattutto il sacerdote,
fanno di don Roberto Angeli una
personalità ricca e geniale: così
poliedrica e profetica che a non
ricordarlo, a cento anni dalla sua
nascita, a non rievocare la sua figura, a
non accostarci al
sue esempio per
sentirci provocati,
sarebbe privare la
comunità ecclesiale
e civile di una delle
sue voci più vibranti
ed incisive.
Nei suoi scritti, molteplici, nei suoi articoli lucidi e frizzanti, nella sua
vasta e tenace azione pastorale
e sociale, la sua testimonianza
di fede e di cittadinanza attiva
che fa del sacrificio di sé e dell’impegno nella storia un coerente, non facile programma di
vita.
Vangelo nei lager, un prete nella
Resistenza (rieditato nel 2007
con il Patrocinio della Provincia
di Livorno ed ora in via di riedi-
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
5
zione perché ormai esaurito) è
uno dei più commoventi e suggestivi racconti sulla partecipazione di un prete che, assieme
ai suoi compagni, vive la
Resistenza fino alla estrema
conseguenza della deportazione. La stesura del libro ha una
interessante progressione storica che è indicativa di aspetti
significativi della personalità di
Angeli. Cedendo alle insistenze
degli amici e dei collaboratori,
tra il 1945 e il 1952, “per ricordare a chi cercava di far dimenticare e per rincuorare chi credeva di aver dimenticato”,
comincia a scrivere una serie di
articoli sul settimanale diocesano labronico Fides dal titolo
Eroismi e sofferenze della
Resistenza nei ricordi di un
sacerdote. Questi articoli scarni,
essenziali, toccanti che risentono ancora della desolazione
interiore a seguito della deportazione e delle brutalità subite
nei campi di concentramento di
Mautahusen,
Gusen, Dachau,
nel 1953 vengono
raccolti da un
coraggioso
ma
poco conosciuto
editore, l’Alzani di
Pinerolo, che li
pubblica in un
volumetto dal titolo un po’ retorico:
...e poi l’ Italia è
risorta.
Con l’introduzione
di
monsignor
Emilio Guano ed
una prefazione di
Enzo
Enriques
Agnoletti,
nel
1964, viene riproposta la stampa riveduta ed accresciuta dallo
6
Don Angeli e il
vescovo di
Livorno Emilio
Guano nei primi
anni ‘60.
(Archivio Centro
Studi Roberto
Angeli)
Sotto,
un numero di
Fides del 1952.
“Bisogna
essere
talmente
generosi da
elevare noi
stessi alla
grandezza e
alla purezza
dell’idea e non
costringere a
rimpicciolire
questa alla
nostra
statura”
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
stesso autore col
titolo più suggestivo
di Vangelo nei
lager1. Nel 1971
viene stampata una
edizione speciale
adattata a libro di
lettura per i ragazzi
delle scuole medie;
visto il successo
editoriale2,
nel
1975, in occasione
della celebrazione
del
trentennale
della Resistenza,
esce la seconda
edizione, arricchita
da una appendice
documentaria. Ogni
volta, don Angeli, a
lapis, annota a margine dei testi,
le correzioni, le precisazioni;
sfuma le parole, i ricordi, talora,
invece, li porta in superficie
modificandone la forma espressiva, adattandola ai lettori. Nel
1985 il libro viene ristampato,
postumo alla sua morte, a cura
di don Renato Roberti e Alfio
Sartoni, del C.L.A. (Comitato
Livornese Assistenza) e di tutti i
suoi amici e collaboratori.3
Il libro è una delle opere più
significative della Resistenza
italiana. Racconta di “luminosi
ideali e di inenarrabili miserie”e
di come l’antifascismo assieme
all’esperienza resistenziale non
furono frutto solo di un temperamento imprudente, estremamente insofferente a qualsiasi
oppressione ma la logica conseguenza di istanze morali e teologiche approfondite e meditate
alla luce del Vangelo.
Essere antinazisti ed antifascisti
fu dunque una esigenza cristiana: questa è la testimonianza
che don Angeli ha lasciato alla
riflessione storica ed ecclesiale
per la comprensione della partecipazione alla Resistenza4 del
laicato cattolico ma soprattutto
del clero italiano, e livornese in
particolare.
Il Vangelo nei lager è un libro
caratterizzato da uno stile limpido, immediato, appassionato,
essenziale, affascinante; non è
un diario o un memoriale, ascrivibile alle elaborazioni letterarie
o alle opere sociologiche della e
sulla deportazione. È una storia
vera, personale e collettiva,
scritta “per amore”, nelle cui
pieghe vi è, in maniera coesa, lo
spirito e l’intensità delle pagine
evangeliche e la drammaticità di
una delle pagine più scure della
storia.
Si può dire sia, questa narrazione, la più bella avventura cri-
stiana del dopoguerra italiano,
utile a far luce sulla dimensione
umana e spirituale di chi ha servito un ideale tra azione e contemplazione. “Bisogna - diceva
don Angeli ai giovani che incontrava per parlare della sua esperienza - essere talmente generosi da elevare noi stessi alla
grandezza e alla purezza dell’idea e non costringere e rimpicciolire questa alla nostra statura”. In un tempo di sfide educative, di questioni vitali e di
mutamenti culturali, la sua testimonianza invita ad immergersi
nella complessità storica, con
fatica, con pazienza, con passione, anche nuotando in senso
opposto alle correnti. Ricorda la
via dimenticata della consapevolezza, della responsabilità,
dell’impegno, dell’appartenenza
alla Chiesa ma anche alla società civile.
La celebrazione
del Centenario
della sua nascita
ci interroga. Ci
interroga sulle
idee che don
Angeli ha servito
e sui valori da cui
si sentiva obbligato.
Su quale bilancia
si pesa la vita di
un uomo? Su
cosa “pesa” il
guadagno e la
perdita di una vita ed anche il
suo senso ultimo? Nell’uomo il
fare e l’essere sono affidati alla
libertà; quella libertà che fa
intraprendere strade giuste e
strade errate che accendono,
volta volta, le luci di quelle virtù
poco appariscenti ma fondamentali: l’onestà, la fedeltà,
l’avvedutezza, la coerenza, la
nobiltà interiore.
Ci interroga sull’azione e l’opera. L’azione che intraprende, che
scopre, conquista, libera, rinnova. L’opera che ordina, concretizza, attualizza i progetti, i
sogni, i desideri, le impellenze
morali e religiose. Ci interroga
ancora sulla Resistenza non
solo come fatto
storico ma come
processo tuttora
in atto (fuori da
schemi rigidi e
monocausali
spesso ideologici
o politici o storico
culturali).
Ci spinge più che
a una “memoria
condivisa” ad una
“memoria
da
condividere”; a
noi adulti ed educatori ricorda, infine, la cura e
l’attenzione per la storia locale
nel suo insieme affinché le giovani generazioni non abbiano a
perdere alcunché di quello che è
stato.
NOTE
Don Angeli relatore al convegno
Il clero toscano
nella Resistenza
organizzato a
Lucca nell’aprile
1975.
(Archivio Centro
Studi Roberto
Angeli)
A fianco, don
Italo Gambini,
ucciso da una
mina mentre
tentava di
salvare alcuni
parrocchiani il 9
luglio 1944.
1
Il libro viene stampato da La Nuova
Italia per la collana della rivista fondata da Piero Calamandrei, i Quaderni de
Il Ponte che ne cura nel 1965 la
ristampa.
2 Oltre 15.000 le copie vendute nelle
varie edizioni.
3 Edizione autorizzata da La Nuova
Italia, Editrice, Firenze a cura del C.L.A.
e della Stella del Mare, Livorno.
4 I sacerdoti livornesi impegnati in
diversi modi nella Resistenza sono
stati: don Renato Roberti, monsignor
Amedeo Tintori, monsignor Giuseppe
Bardi, monsignor Mario Volpe, don
Antonio Vellutini, don Giovanni Cardini,
don Aldo Biagioni, don Ezio Giovannini,
don Mario Udina, padre Giuseppe
Maria Spaggiari. Sono deceduti nell’attività resistenziale: don Renzo Gori,
ucciso dai tedeschi in Lucchesia, don
Italo Gambini, già a capo della
Resistenza cattolica nella zona di
Castiglioncello, don Carlo Gradi.
* Direttore Centro Studi Roberto
Angeli Livorno
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
7
La
1913-1978
Biografia
Dall’antifascismo alla ricostruzione
il percorso biografico di don Angeli
Dalla giovanile reazione al fascismo, all’impegno diretto nella Resistenza
italiana. Poi l’arresto, la lunga prigionia nei campi di concentramento in
Austria e Germania. Il ritorno e l’impegno per la ricostruzione di Livorno
in campo assistenziale, sociale e politico.
di Gianluca della Maggiore*
a figura di don Roberto
Angeli (Schio 9 luglio 1913 Livorno 26 maggio1978) è
nota alla storiografia soprattutto
per la testimonianza resa della
sua esperienza nei lager nazisti1
e per il ruolo avuto nella costituzione di quel nucleo cristianosociale che rappresentò un’indubbia
specificità
della
Resistenza di ispirazione cattolica nell’area toscana2.
Figlio di Emilio, un operaio antifascista, Angeli maturò la sua
vocazione al sacerdozio nel
L
8
seminario di Livorno, dove entrò
nel 1926. La figura del vescovo
Giovanni Piccioni (1876-1959, a
Livorno dal 1921 fino alla morte)
fu fondamentale nel percorso
formativo del giovane sacerdote: esponente del primo movimento democratico cristiano
pistoiese accanto a Giuseppe
Toniolo, Piccioni indirizzò don
Angeli e altri giovani sacerdoti
(tra cui don Amedeo Tintori, don
Giuseppe Spaggiari e don
Renato Roberti) sulla via di un
convinto antifascismo.
Ordinato sacerdote nel 1936
don Angeli entrò in contatto con
gli ambienti intellettuali dell’antifascismo cattolico nazionale e
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
23 luglio 1936,
il convegno a
Montenero degli
ex alunni del
Seminario Gavi
della diocesi di
Livorno e di
quella di Massa
Marittima.
Don Angeli è al
centro della foto,
inginocchiato e
sorridente.
Era stato ordinato sacerdote una
decina di giorni
prima, il 12
luglio 1936.
(Archivio
Famiglia Tintori)
internazionale, frequentando la
Pontificia Università Gregoriana
a Roma dove conseguì la licenza in filosofia nel 1939. Proprio
in quell’anno don Angeli cominciò la sua attività come assistente della Federazione degli
universitari cattolici (Fuci) livornese a fianco di don Amedeo
Tintori, fornendo ai giovani universitari gli strumenti intellettuali per una resistenza culturale al fascismo.
A partire dal 1940 don Angeli
cominciò a dedicarsi anche al
mondo del lavoro coordinando
un’azione di assistenza spirituale agli operai. Durante i primi
mesi del 1943 fu tra i principali
animatori delle più di cento conferenze «in preparazione alla
Pasqua» organizzate in 18 fabbriche cittadine che raggiunsero
circa diecimila operai, divenendo cappellano di fabbrica presso
la Motofides, la Metallurgica e la
Vetreria Italiana.
A FIANCO DI DON ANGELI
Anna Maria Enriques
Agnoletti
Tra il 1939 al 1943 don Angeli e
don Tintori trasformarono la Fuci
in una «scuola pubblica di antifascismo»; l’attivazione del
Cenacolo di Studi Sociali
dell’Arciconfraternita di Santa
Giulia portò a Livorno le grandi
personalità della Chiesa italiana
che si distinguevano per un
atteggiamento critico verso il
regime: Paolo Emilio Taviani,
don Emilio Guano, don Franco
Costa, don Sergio Pignedoli, don
Sandro
Gottardi,
padre
Reginaldo Santilli.
Il gruppo di di giovani della Fuci di
don Angeli e don Tintori fuori dalla
canonica di S. Jacopo dove venivano effettuate le riunioni.
Al gruppo partecipavano giovani
universitari, allievi dell’Accademia
Navale e operai.
(Archivio Centro Studi Roberto
Angeli)
Don Angeli, a fianco di queste
personalità, sviluppò una critica
serrata alle teorie nazifasciste
nelle lezioni sulla dottrina sociale della Chiesa rivolte a un pubblico di universitari, giovani laureati, allievi dell’Accademia
Navale, operai. La redazione e
diffusione di una serie di opuscoli antifascisti scritti insieme e
don Tintori contribuì al risveglio
politico dei cattolici livornesi;
gran parte dei fucini andarono
ad animare la Resistenza livornese e, in seguito, la vita politica del dopoguerra.
Sulla base di questa preparazione intellettuale don Angeli dette
una prima struttura politica ed
organizzativa al gruppo di giovani che si raccoglieva attorno
alla Fuci. Prese contatti prima
con l’azionista Guido Calogero,
poi, attraverso Giorgio La Pira,
entrò in contatto con Gerardo
Bruni, funzionario – insieme ad
Alcide De Gasperi – della
Biblioteca Vaticana, che nel
1941 aveva fondato il
Movimento cristiano-sociale.
Il programma politico di questo
movimento, innovatore per la
sua proposta di un socialismo
cristiano radicato nella dottrina
sociale della Chiesa, riscosse
l’adesione entusiastica di don
Angeli e dei suoi giovani. Sotto
I cinque preti italiani (da sinistra:
Mauro Bonzi,
Roberto Angeli,
Camillo Valota,
Giovanni
Tavasci,
Costante
Berselli) poco
dopo la
liberazione di
Dachau nel
maggio 1945.
Tutti erano affetti da grave
edema. Bonzi si
spense pochi
mesi dopo.
Angeli e Tavasci
riportarono
un’invalidità
permanente.
(Archivio Centro
Studi Angeli)
Il movimento
cristianosociale fu
fondato a
Livorno nel
1942 dopo
l’incontro di
don Angeli
con Gerardo
Bruni
Anna Maria Enriques Agnoletti
(1907-1944) ha combattuto nella
Resistenza a fianco di don Angeli e
dei cristiano sociali. Per questo fu
fucilata dai nazisti a Cercina
(Firenze) nel 1944. Pubblichiamo un
ricordo della sua figura scritto da
don Angeli nel 1966.
Q
ggi, se confrontiamo il mondo in
cui viviamo, la nostra società con
quella di allora, penso che dobbiamo
con sereno ottimismo riconoscere
che Anna Maria Enriques Agnoletti e
gli altri, che poi erano i più generosi
e che sono morti, non sono morti
invano. Non sono morti invano, perché ci hanno lasciato tanto; a loro
dobbiamo la libertà, quella di vivere
come quella di pregare e di operare
secondo coscienza, e le speranze di
una società aperta verso il meglio.
Ma se confrontiamo i loro ideali con
la società odierna, balza evidente un
notevole contrasto. Rimane molto
cammino da fare. Essi si impegnarono per qualche cosa di più: per una
libertà radicale, per un riconoscimento più concreto della dignità dell’uomo come figlio di Dio; per una giustizia maggiore, perché al lavoro fosse
finalmente assicurato il “primato” che
gli compete su qualsiasi altro fattore
della produzione; per l’unione fra i
popoli e per una pace effettiva; per il
primato della coscienza sulle strutture e per l’abolizione di ogni discriminazione nell’applicazione di una vera
fraternità evangelica.
E allora io penso che la cosa migliore per lodare i fratelli e le sorelle che
sono nel nostro cuore, sia quello di
continuare a camminare sulla strada
che ci hanno indicato con la loro vita
e la loro morte.
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
9
LA PONTIFICIA
COMMISSIONE
ASSISTENZA
TOGNI E GRONCHI
I “LIVORNESI” DI PONTEDERA
Appartenevano a correnti molto distani della DC, ma oltre alla comune origine
pontederese, Gronchi e Togni furono accomunati da un legame stretto con
Livorno. Don Angeli legò soprattutto con Gronchi, condividendone la linea
politica, ma per le sue opere assistenziali seppe interagire anche con Togni.
Creata una sezione locale nel
1945, l’opera assistenziale
pontificia si rivelò essenziale
per portare i primi aiuti alla
popolazione livornese messa
in ginocchio dalla guerra.
Per permettere maggiori finanziamenti statali don Angeli
creò nel 1948 il Comitato
Livornese Assistenza a carattere provinciale.
MONSIGNOR TINTORI
FEDELE AMICO
“La nostra fu un’amicizia irripetibile, fatta di ideali comuni,
comprensione, collaborazione,
rispetto, intuizioni consonanti”.
Così don Amedeo Tintori
(1912-1998), scriveva di don
Angeli: insieme furono le
guide che condussero
i giovani cattolici livornesi
dall’antifascismo alla
Resistenza attiva.
la spinta del sacerdote nel 1942
nacque il Movimento cristianosociale livornese che entrò subito nella Concentrazione antifascista livornese, che poi diverrà
Comitato di liberazione nazionale (Cln).
Dopo l’8 settembre 1943 don
Angeli e i cristiano-sociali decisero di passare all’azione. Il
gruppo livornese si prodigò in
aiuto agli ebrei perseguitati,
facilitò la fuga dei militari alleati
e dell’esercito regio allo sbando,
recuperò armi, stabilì contatti
con il comando clandestino del
Cln di Roma e con gli ambienti
della Santa Sede. Grazie soprattutto al lavoro di don Angeli e di
10
Erminia
Cremoni (19031956), altra
figura chiave
sulla strada di
don Angeli.
Partigiana della
prima ora, nel
dopoguerra fu
una delle
anime del Cla,
fondatrice del
Centro Italiano
Femminile e
esponente di
spicco della
Democrazia
cristiana.
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
suo padre Emilio il gruppo
seppe estendere l’attività di
Resistenza alle
zone
della
Garfagnana, del
Mugello,
del
pistoiese, delle
Apuane, del
grossetano e
del modenese.
Nella sua
attività
resistenziale don
Angeli
fu
membro del Cln livornese,
tenente-cappellano
della
Divisione “Giustizia e Libertà” di
Firenze, addetto al servizio
segreto per la Divisione livornese “Lanciotto Gherardi”. Queste
attività partigiane non
sfuggirono alla
Gestapo che operò
numerosi arresti,
decimando
il
Movimento cristiano-sociale.
Don
Angeli venne arrestato
il 17 maggio 1944,
mentre si trova a
Montenero ospite nella
villa del professor Mario
Tinti, primario degli
Spedali Riuniti di Livorno.
Iniziò così la dolorosa esperienza della prigionia, che lo vedrà a
«Villa Triste» a Firenze, quindi
nel campo di smistamento di
Fossoli fino ai campi di concentramento di Mauthausen, Gusen
e Dachau. La prigionia durerà
esattamente un anno. Gli alleati
liberarono Dachau il 29 aprile
1945, ma imposero una quaran-
tena agli internati, per cui solo il
18 maggio don Angeli riuscì con
uno stratagemma a lasciare il
campo di sterminio.
Nel dopoguerra il vescovo
Piccioni investì il «reduce» don
Angeli di numerosi incarichi,
mettendolo di fatto alla guida
dei settori strategici dell’azione
pastorale della diocesi: la stampa, l’Azione Cattolica, le opere
assistenziali.
Venti giorni dopo il suo ritorno
da Dachau, il 23 giugno 1945, il
sacerdote scrisse una «Lettera
aperta agli amici cristiano
sociali» con cui prese le distanze dal gruppo che con lui aveva
animato la Resistenza cattolica.
Durante il periodo del suo internamento il Movimento si era
intanto trasformato in Partito
cristiano sociale. Tra l’agosto e il
settembre 1944 era nata una
«disputa» tra il Pcs e la nascente Democrazia cristiana. Dopo il
tentativo di fusione tra i due
partiti, vissuto come «un trabocchetto» dal Pcs, i cristianosociali tornano ad essere
«intransigentemente cristianosociali». Don Angeli, che già
prima del suo arresto stava
lavorando perché le due correnti politiche potessero «intimamente collaborare nelle questioni di fondo», era convinto
che in quel momento fosse
necessario alzare un argine
comune contro il comunismo,
per cui invitò i cattolici dell’uno
e dell’altro partito alla «necessaria collaborazione».
Dal 23 settembre 1945 assunse
la direzione del settimanale diocesano «Fides» che negli anni
della guerra fredda, divenne
una bandiera per i cattolici
livornesi. Dalle colonne del suo
giornale difese le masse lavoratrici partecipando anche direttamente alla vertenza che interessò la fabbrica Motofides nel
1949. In breve tempo il «Fides»,
che mantenne un filo diretto col
Centro Stampa della Direzione
generale dell’Azione cattolica,
divenne il giornale di altre diocesi toscane (Massa MarittimaPitigliano, Montalcino, San
Miniato, Pescia, Massa Carrara)
arrivando ad una tiratura di 15
mila copie.
La fama del giornalista don
Angeli varcò i confini locali. I
suoi articoli furono più volte
ripresi dal Servizio informazione
settimanale del Centro cattolico
stampa che li fece arrivare sulle
pagine di numerose testate cattoliche regionali dalla «Voce
Cattolica» di Palermo al
Dal 23
«Corriere della Valtellina» di
settembre
Sondrio. Questo fu possibile
1945 don
anche grazie alla stima e alla
Angeli
profonda amicizia che legò il
assunse la sacerdote al direttore del Centro
direzione del stampa dell’Azione cattolica don
settimanale Fausto Vallainc, il futuro direttore dell’Ufficio stampa del
Fides che
Concilio Vaticano II e della Sala
negli anni
stampa della Santa Sede.
della guerra Nel dicembre 1959, il nuovo
fredda
vescovo di Livorno monsignor
divenne una Andrea Pangrazio (arrivato nel
1955 come vescovo coadiutore
bandiera
di Piccioni con diritto di succesper
sione e che reggerà la diocesi
i cattolici
fino al 1962), decise la soppreslivornesi
sione del «Fides» sostituendolo
Emilo Angeli
(1887-1954),
il padre di don
Roberto, fu una
figura di assoluto rilievo nella
Resistenza
italiana.
Soprannominato
il “nonnino”,
venne catturato
dalla Gestapo e
torturato dal
comandante
della polizia
segreta nazista
Herbert Kappler
che lo credeva
un generale.
Riuscì a fuggire
fortunosamente
nel giorno della
Liberazione di
Roma.
Nella pagina a
fianco, Le basi
di un nuovo
ordinamento
sociale, uno
degli opuscoli
diffusi da don
Angeli nel 1943.
(Archivio Centro
Studi Roberto
Angeli)
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
11
col settimanale «La Vita». Era il
segno della nuova linea pastorale e politica impressa alla diocesi dal nuovo vescovo che non
appoggiava gli ideali cristianosociali di don Angeli e l’aperto
appoggio del settimanale alla
sinistra democristiana di
Giovanni Gronchi: la chiusura
del «Fides» provocò vasta eco
sulla stampa cittadina.
Dal 1945 al 1957 don Angeli fu
anche Delegato vescovile per
l’Azione Cattolica. A fianco del
presidente di Ac Francesco
Cecioni il sacerdote organizzò
corsi di studio, attività culturali e
ricreative che polarizzano l’interesse cittadino sulla vita cattolica e culminarono con il grande
evento del 30 settembre 1951,
in cui trentamila giovani di
Azione Cattolica giunsero da
ogni parte d’Italia sfilando per le
vie di Livorno a fianco del loro
presidente nazionale Carlo
Carretto. In questi anni don
Angeli riprese anche l’insegnamento della dottrina sociale cristiana con una serie di affollatissime conversazioni presso il
cinema di Santa Giulia.
12
Montenero, 25
aprile 1951.
Sotto il sagrato
del Santuario
posa il gruppo
del Comitato
Civico livornese retto da
Mario Razzauti
(alla sinistra di
don Angeli).
(Archivio
Centro Studi
Roberto
Angeli).
A fianco,
Giovanni
Gronchi (18871978). Amico
personale di
don Angeli, il
Presidente
della
Repubblica fu
fondatore e
alto patrono del
Comitato
Livornese
Assistenza.
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
Il decennio 1945-1955 è anche
il periodo in cui più aspre furono
le battaglie con i comunisti.
Oltre che dalle colonne di
«Fides» don Angeli ingaggiò
confronti molto tesi con i “rossi”
«con scritti, discorsi, contraddittori talora drammatici».
Pur
nella durezza
dello scontro fu
rispettato dai
suoi avversari
che gli riconoscevano il valore
esemplare della
sua testimonianza
nella
Resistenza
e
nell’esperienza
del lager. Nel
1953 il sacerdote contribuì a
f o n d a r e
l’Associazione
Combattenti Guerra Liberazione
per tentare di spezzare il monopolio dell’Anpi. Nel 1957 dette la
sua adesione al Consiglio
Provinciale della Resistenza.
Fu nelle opere assistenziali cattoliche che don Angeli profuse il
massimo sforzo organizzativo. Il
16 giugno 1945, appena una
decina di giorni dopo il suo ritorno da Dachau, monsignor
Piccioni lo nominò presidente
della Sezione diocesana della
Pontificia commissione di assistenza (Pca). In questo periodo
divenne anche consulente del
Segretariato diocesano di attività sociale (Sedas) e dal 30 ottobre 1945 presiedette l’Istituto
per la educazione religiosa e
l’assistenza morale alla gioventù (Ieramg).
La Pca era una commissione
che operava in stretto contatto
con la Santa Sede e cercava di
rispondere ai problemi sociali
più impellenti dell’immediato
dopoguerra. Forniva notizie su
profughi, combattenti, dispersi;
sussidi e indicazioni a persone
di passaggio e agli internati
usciti
dal
campo di concentramento di
Coltano; distribuiva sacchi di
scarpe, indumenti, latte in
polvere, quintali di pasta e
margarina.
Con la Pca don
Angeli portò
anche nella
provincia di
Livorno
i
Refettori del
Papa
che
distribuivano
ogni giorno pasti caldi agli indigenti. In questi primi anni del
dopoguerra vennero costituite
anche le prime Colonie diurne e
permanenti per i bambini ad
Antignano e al Calambrone.
L’8 settembre 1948, con l’ap-
provazione del vescovo Piccioni,
don Angeli diede vita al
Comitato livornese di assistenza
(Cla). L’onorevole Giovanni
Gronchi, allora Presidente della
Camera dei deputati, legato a
don Angeli da sentimenti di amicizia, ne assunse la presidenza
onoraria divenendone l’autorevole portavoce presso gli organi
governativi. L’allontanamento
degli americani da Livorno, l’assottigliarsi degli aiuti diretti alla
Pca, la trasformazione dei problemi sociali non più legati
all’emergenza dell’immediato
dopoguerra, imposero
scelte
diverse.
L’urgenza era ora
quella di togliere i
ragazzi dalla strada,
combattere la denutrizione e le malattie,
porre i germi di una
educazione cristiana. Il Cla, ispiratore
don Angeli, si caratterizzò per una formula innovativa più
volte citata dall’allora Ministro degli
interni
Mario
Scelba
come
modello di associazione assistenziale provinciale:
il comitato si costituì
come «organismo laico e privato
di assistenza pubblica» e riunì
diversi enti e associazioni cattoliche (il Centro italiano femminile, le ACLI, l’Azione cattolica, la
Pca) evitando così doppioni,
concorrenze e dispersioni di
energie.
A Livorno e provincia, fino alle
più sperdute frazioni dell’Isola
d’Elba, nacquero così scuole
materne, doposcuola, colonie,
refezioni, laboratori, corsi e
scuole popolari e anche opere
più impegnative come il
«Preventorio per minori» di
Castelnuovo della Misericordia
(nel 1952), la «Casa dei
Ragazzi» in Borgo S. Jacopo e
iniziative di istruzione professionale come la «Tipografia Stella
del Mare» (nel 1953). Nel 1951
vennero ospitati per 5 mesi più
di 100 bambini profughi per l’alluvione del Polesine. In circa 10
anni il Cla arrivò ad assistere più
di 100 mila tra adulti e bambini,
L’opuscolo dell’estate del
1944 che
segnò la breve
stagione della
“fusione” tra
Democrazia
Cristiana e
Cristiano-sociali livornesi.
A fianco, don
Angeli in posa
in Valtellina,
dove spesso
trascorreva dei
periodi di soggiorno per
curarsi dagli
effetti lasciati
dalla lunga
prigionia nei
lager nazisti.
(Archivio
Centro Studi
Roberto Angeli)
beneficiando del lavoro, tra personale dipendente e volontario,
di più di duemila
persone.
Nel 1961 il Cla
venne eretto in
Ente morale ma è
proprio nel corso
di questo decennio
che vide lentamente esaurirsi il
suo ruolo assistenziale col ridursi
delle emergenze
sociali e soprattutto
a causa della riduzione dei fondi erogati dal Governo.
Dopo la chiusura di
«Fides» e diminuendo
i suoi impegni di
carattere assistenziale e pastorale (nel 1953 lasciò la
parrocchia di S. Jacopo e divenne canonico della cattedrale)
don Angeli si dedicò più intensamente all’attività letteraria.
L’opera certamente più conosciuta di don Angeli resta
Vangelo nei Lager uscito per la
prima volta nel 1964 con la collana “Quaderni del Ponte” fondata da Piero Calamandrei, il
libro ebbe numerose recensioni
sulla stampa nazionale e fu
adottato in molte scuole come
testo didattico. Di notevole interesse sono anche i suoi scritti
sui pionieri del pensiero sociale
cristiano (nel 1956 esce La dottrina sociale di G. Toniolo per le
edizioni Alzani di Pinerolo; nel
1959 per le edizioni Cinque
Lune di Roma viene pubblicato
Pionieri del movimento democratico cristiano). Don Angeli
realizzò anche sei biografie di
santi tra cui spicca per la vastità della ricostruzione storica il
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
13
La lettera del Vescovo
Piccioni, scintilla per l’impegno
di don Angeli nel dopoguerra
“E’ stata per te
un’esperienza
di dolori...”
Livorno, 24 giugno 1945
libro dedicato a Niels Stensen
pubblicato dalla Libreria Editrice
Fiorentina nel 1968.
Per un breve periodo sotto l’episcopato di monsignor Emilo
Guano (eletto vescovo di Livorno
nel 1962 fino alla morte nel
1970) don Angeli tornò anche a
dirigere il settimanale cattolico.
Fu nominato direttore de «La
Settimana», il giornale voluto da
Guano in sostituzione de «La
Vita», dal 1966 al 1968.
Caporedattore fu il suo storico
compagno di lotta e di azione
pastorale don Renato Roberti.
Nel 1963 Gianfranco Merli,
Commissario nazionale della
Gioventù Italiana, nominò don
Angeli assistente ecclesiastico
nazionale. Incarico che ricoprirà
fino al 1973.
Nel 1966 il vescovo Guano conferì a don Angeli anche il titolo di
Monsignore e nel 1972 il nuovo
vescovo monsignor Alberto
Ablondi lo nominò Preposto
della Cattedrale. Il 17 giugno del
1972, insieme ad altri dodici
sacerdoti superstiti di Dachau,
fu ricevuto in speciale udienza
da Paolo VI.
Don Angeli morì il 26 maggio
1978 per un male incurabile.
NOTE
Fine anni ‘40,
davanti alla
chiesa del
Soccorso in
piazza della
Vittoria, don
Angeli celebra
la messa in
occasione del
25 aprile.
Sotto, padre
Giuseppe
Spaggiari
(1917) e don
Renato Roberti
(1921-1997),
amici e
collaboratori di
don Angeli.
Entrambi
ebbero un
ruolo
significativo
nella
Resistenza.
Spaggiari
divenne poi
segretario
personale del
vescovo
Piccioni (dal
1945 al 1959).
Don Roberti fu
una delle
penne più
graffianti del
settimanale
diocesano
Fides.
(Archivio
Centro Studi
Roberto Angeli)
*Ricercatore Istoreco
14
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
R. Angeli, La Resistenza nei
campi di deportazione, in Aspetti
religiosi della Resistenza, Atti del
Convegno Nazionale (Torino 18-19
aprile 1970) a cura del Centro Studi
sulla Resistenza piemontese
«Giorgio Catti», Aiace, Torino 1970;
V.E. Giuntella, Il Nazismo e i Lager,
Studium, Roma 1979, particolarmente pp. 41-55 e 105-127; A.
Cauvin – G. Grasso, Nacht und
Nebel (notte e nebbia), uomini da
non dimenticare 1943-1945,
Marietti, Torino 1981, pp. 199-238;
R. Angeli, Vangelo nei lager, un
prete nella Resistenza, stampa a
cura del Comitato Livornese
Assistenza e della «Stella del
Mare», Livorno 1985 (1ª ed. 1964).
2 G. Merli, Don Angeli e i cattolici
democratici in Toscana, Cinque
Lune, Roma 1978; F. Malgeri, La
sinistra cristiana (1937-1945),
Morcelliana, Brescia 1982; A.
1
Caro Angeli,
Grazie degli auguri e delle molte
espressioni affettuose colle quali
mi ti presenti e che mi hanno
commosso. Non temere di avermi
recato dispiacere: questo solo, se
mai, di essere stato in molta preoccupazione ed angustia per la
tua sorte, della quale da tanto
tempo non riuscivo a saper
nulla… ma questo non dipendeva
da te. D'altra parte, quanto già più
penosa l'incertezza, sento più viva
ora la consolazione.
È stata per te una esperienza di
dolori, che in anime volgari può
accendere o approfondire odio e
desiderio di vendetta; ad anime
più delicatamente cristiane come
la tua rende più sentita e operosa
la carità, l'unica cosa di cui il
mondo ha bisogno e che si ostina
a respingere.
Dio ti benedica, caro Angeli, come
con un affetto che non può dirsi a
parole io ti benedico e ti auguro
ogni bene.
Ora riposati per rimetterti in salute,
come ti desiderano tutti quelli - e
sono tanti - che ti vogliono bene e
tra i quali, anzi tra i primi, è il
Tuo aff.mo
+ Giovanni Piccioni
Parisella, Il Partito Cristiano Sociale
1939-1948, Biblioteca di Studi
Cristiano Sociali, Roma 1984;
Gerardo Bruni e i Cristiano Sociali,
a cura di A. Parisella, Edizioni
Lavoro, Roma 1984; G. della
Maggiore, Dio ci ha creati liberi.
Don Roberto Angeli, interprete
ardito del pensiero sociale cristiano, un sacerdote livornese tra
Resistenza e Ricostruzione,
Editasca, Livorno 2008.
La
Prigionia
Don Angeli, Viktor E. Frankl, Primo Levi
e il senso dell’esperienza del lager
di Novella Domenici*
opo l’8 settembre del 1943,
don Roberto Angeli inizia a
prodigarsi in azioni di salvataggio e assistenza dei profughi
ed ebrei livornesi, procurando
loro rifugi sicuri e documenti
falsi. Sono molte le azioni clandestine che mettono a repentaglio la sua vita. Troverà nascondiglio in una villa a Montenero
dove però sarà arrestato dalla
Gestapo il 17 Maggio 1944.
Ricorda don Renato Roberti, suo
intimo amico e collaboratore: «Il
21 maggio del 1944 –don Angeli
D
aveva 31 anni- due tedeschi
della Gestapo, le mani sulle
pistole bussarono alla porta del
prof. Tinti a Montenero dove si
era rifugiato il capo della resistenza cattolica livornese. Don
Roberto avrebbe potuto sottrarsi
alla cattura con una fuga predisposta da tempo, ma preferì
consegnarsi ai nazisti piuttosto
che mettere in pericolo la vita di
chi lo aveva ospitato. Con astuta
prontezza riuscì ad evitare la
perquisizione della sua camera
dove nascondeva documenti
compromettenti, fra cui uno che
mi riguardava. (Devo alla sua
presenza di spirito e al suo
coraggio se non sono finito pure
Ottobre 1954,
don Angeli
torna nei luoghi
della sua prigionia. Il resoconto
del suo viaggio
fu pubblicato in
diversi giornali
d’Italia, tra cui
L’Avvenire
d’Italia, col titolo
Come un
immenso
“museo degli
orrori” il campo
di Mauthausen
il 10 ottobre
1954
(Archivio Centro
Studi Roberto
Angeli)
io in un campo di sterminio)».
Catturato dunque dalla Gestapo,
viene portato a Villa Triste a
Firenze per subire i tremendi
interrogatori con le brutali violenze. Poi il viaggio verso il
campo di smistamento di Fossoli
per procedere ad altri campi di
concentramento fino all’approdo
al campo di Dachau.
In ciascuna delle sue esperienze
concentrazionarie è possibile
scorgere la suggestione che la
sofferenza non è terra di nessuno, inabitata, in cui ogni uomo
viene lasciato solo al suo destino, ma è una landa in cui all’uomo è dato sentire sempre e
comunque il sostegno di Dio.
Il lager diviene, secondo don
Angeli, «un’enorme patena, più
preziosa di quelle dorate delle
nostre chiese, una patena carica
di tutte le atroci sofferenze del
mondo e noi la innalzavamo al
Cielo implorando perdono e
pace. Sì, ci voleva in quei posti il
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
15
sacerdote. Egli doveva raccogliere tutto quell’infinito dolore e
presentarlo a Dio. Perché quel
mare di dolore umano aveva un
valore immenso e non doveva
andare disperso. Forse era ciò
che mancava alla Passione di
Cristo per la redenzione e la salvezza di molti».
Viktor E. Frankl, autore del libro
Uno psicologo nei lager, scrive:
«(…) nei lager fu evidente che
l’amore è come il fuoco: la tempesta spegne la fiamma piccola,
mentre alimenta ulteriormente
quella grossa. Lo stesso accade
negli amanti: se c’è distanza, il
vero amore diventa semmai più
grande, mentre quello piccolo si
spegne. Parafrasando credo di
poter affermare che nel campo
di concentramento la fede debole si è estinta, mentre la fede
salda, potremmo dire quella
autentica, è diventata più forte.
La fede autentica si è rafforzata
mentre quella debole si è spenta. (…) Che cos’è, dunque, l’uomo? Noi l’abbiamo conosciuto
come forse nessun’altra generazione precedente; l’abbiamo
conosciuto nel campo di concentramento, in un luogo dove
veniva perduto tutto ciò che si
possedeva: denaro, potere,
fama, felicità; un luogo dove
restava non ciò che l’uomo può
“avere”, ma ciò che l’uomo deve
essere; un luogo dove restava
unicamente l’uomo nella sua
essenza, consumato dal dolore e
purificato dalla sofferenza.
Cos’è,
dunque,
l’uomo?
Domandiamocelo ancora. È un
essere che decide sempre ciò
che è».
Don Angeli non ha mai sterzato
da questa decisione.
Interessante, a riguardo, sarebbe
potersi dilungare sull’esperienza
16
Roma, 17 giugno 1972,
i sacerdoti
reduci dal
campo di
Dachau vengono ricevuti in
speciale udienza da papa
Paolo VI.
Un incontro
reso possibile
dall’impegno di
don Angeli e di
monsignor
Alberto
Ablondi.
(Archivio
Centro Studi
Roberto Angeli)
A fianco, Primo
Levi.
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
concentrazionaria di don Angeli
e Primo Levi, proprio a partire
dall’arrivo al campo di Fossoli,
dove entrambi furono deportati.
Scrive Levi: «Come ebreo venni
inviato a Fossoli, presso
Modena, dove un
vasto campo di internamento, già destinato a prigionieri di
guerra inglesi e
americani, andava
raccogliendo
gli
appartenenti
alle
numerose categorie
di persone non gradite al neonato
governo
fascista
repubblicano. Al momento del
mio arrivo, e cioè alla fine del
gennaio del 1944, gli ebrei del
campo erano circa centocinquanta ma entro poche settimane il loro numero giunse ad oltre
seicento. Si trattava per lo più di
famiglie, catturate dai nazisti e
dai fascisti per loro imprudenza
o in seguito a delazione. Alcuni
poi si erano consegnati spontaneamente, o perché ridotti alla
disperazione dalla vita randagia,
o perché privi di mezzi per non
separarsi da un congiunto catturato, o anche, assurdamente
“per mettersi in pari con la
legge”».
Scrive don Roberto Angeli:
«rasati a zero, smistati nelle
varie baracche, segnati col triangolo rosso dei detenuti politici,
diventammo un numero nel
campo di Fossoli. Io divenni il
numero 2188. Fossoli era un
campo di smistamento e si riempiva
e si svuotava rapidamente nel giro di
pochi
giorni.
C’erano uomini e
donne da ogni
parte d’Italia, ma
dominavano alcuni
gruppi tipici: gli
ebrei dislocati in
alcune baracche
separate, che avevano praticamente in mano l’organizzazione
alimentare, la segreteria e l’infermeria del campo; i milanesi
assai affiatati fra loro che ricevevano e smistavano generosamente viveri e denaro; qualche
centinaio di rastrellati romani
strappati una notte alle loro
famiglie e che un giorno partirono (si disse verso la Germania)
per lavorare nella Todt; ed infine
la nostra piccola congrega di fiorentini. Allora la vita nel campo ci
sembrò bestiale, ma poi quelli
fra noi che furono deportati in
Germania dovettero riconoscere,
che si trattava in confronto di
una specie di villeggiatura».
Per tutti e due l’esperienza più
traumatica tuttavia, per quanto
disumana sembrasse la vita nel
campo di Fossoli, doveva ancora
arrivare. Ricorda Primo Levi: «Gli
sportelli erano stati chiusi subito, ma il treno non si mosse che
a sera. Avevamo appreso con
sollievo la nostra destinazione.
Auschwitz un nome privo di
significato, allora e per noi, ma
doveva pur corrispondere a un
luogo su questa terra». Il campo
di Auschwitz, uno dei più efficienti nel progetto di “soluzione
finale del problema ebraico”, era
ancora un non-luogo per i detenuti che dovevano oltrepassare
quel cancello su cui ironicamente stava scritto “il lavoro rende
liberi”.
Don Roberto, diversamente da
Primo Levi, non fu indirizzato
verso Auschwitz ma a
Mauthausen «Continuavano da
Fossoli le partenze e gli arrivi. E
ogni partenza di amici era una
stretta al cuore (Dove andranno?
Li ammazzeranno? Ci rivedremo
mai più?) ed ogni arrivo segnava
un flusso di notizie ansiosamente cercate (Che si dice fuori?
Quando finirà la guerra? Credete
che i partigiani verranno a liberarci?) (…) Era il 1 agosto, come
già da Firenze, le ultime SS che
abbandonavano il campo, ci trascinarono dietro, caricati su
camion chiusi da sbarre, nel loro
trasferimento al campo di
Bolzano-Gries. (…) Dopo tre
giorni – stivati in novanta dentro
un carro bestiame sigillato - eravamo di nuovo in viaggio: e questa volta verso il tanto temuto
campo di eliminazione di
Mauthasusen».
Diversa la destinazione dei due
prigionieri; diversa l’esperienza
umana nella stessa situazione di
deportazione e annientamento.
«C’è Auschwitz, quindi non può
esserci Dio» ha detto Primo Levi,
negando la speranza di un futuro prossimo, la speranza di una
redenzione umana, la speranza
di un senso.
«Se questo è un uomo», scriverà
infatti Levi «Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case, voi che
trovate tornando a sera il cibo
caldo e visi amici. Considerate
se questo è un uomo che lavora
nel fango che non conosce pace
che lotta per mezzo pane che
muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una
donna, senza capelli e senza
nome senza più forza di ricordare vuoti gli occhi e freddo il
grembo come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai
vostri figli. O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca, i vostri
nati torcano il viso da voi».
Altro il sentimento che abitava il
cuore di Don Roberto Angeli.
Il cardinale
Joseph Beran
(al centro) con
don Angeli e
don Berselli.
Beran, primate
di
Cecoslovacchia,
fu compagno di
prigionia del
sacerdote livornese. Nel 1965
Beran fu a
Livorno, qualche
mese prima si
era stabilito a
Roma dopo anni
di persecuzione
comunista.
(Archivio Centro
Studi Roberto
Angeli)
«Pochi minuti dopo quegli uomini [si riferisce agli 800 sacerdoti
nel campo di Dachau), confusi
fra le migliaia di infelici, affrontavano la solita vita intrisa di stenti, di lavoro sfibrante, di insulti, di
percosse e di umiliazioni, le più
degradanti. Ma nel loro cuore
custodivano una fiamma che
nessun tormento esteriore
avrebbe potuto estinguere.
Avevano la fede in Dio, avevano
la speranza di cose immortali,
avevano la coscienza di continuare, attraverso il dolore, la loro
missione santificatrice: avevano,
soprattutto, la certezza nella
presenza del Dio Vivente che
abitava nei loro miseri corpi,
deformati dalla fame e dalle percosse».
Don Roberto Angeli e Primo Levi,
paradigmi di due esperienze
umane, tra tante, da meditare, di
cui fare memoria e su cui continuare a far riflettere le nuove
generazioni.
*Laureanda Istituto di Scienze
Religiose “Beato Niccolò Stenone”
di Pisa
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
17
Vangelo nei Lager. Un prete nella
Resistenza, nell’edizione rieditata dalla
Diocesi di Livorno, col patrocinio della
Provincia di Livorno nel 2007
Nel martirio di Dachau
l’aurora di un rinnovato cristianesimo
Il lager come esperienza di riscoperta di Dio.
La vita di don Angeli e di tanti suoi compagni di prigionia dice
in fondo che non dobbiamo aver paura di una vita impegnata
con gli altri e impegnata con i poveri, impegnata ad amare
di Anna Ajello*
ncontrare don Roberto Angeli
a tanti anni di distanza dalla
sua nascita significa confrontarsi con una grande figura di
uomo e di cristiano.
Un cristiano serio, non triste,
capace di entusiasmo e di passione, simpatico per la capacità
di amicizia e prossimità, maturata in una tenace costruzione
interiore.
Significa anche considerare la
ricchezza di una eredità evangelica ricevuta dalle mani di
uomini e donne che come lui,
I
18
quasi a dispetto della loro debolezza, sono stati capaci di custodirla in tempi e situazioni difficilissime, anche a costo della propria vita.
Fu Giovanni Paolo II, in prossimità del Giubileo del 2000, a
richiamare l’attenzione del
mondo su “questa moltitudine di
persone che, nei secoli passati e
fino ad oggi, hanno sofferto persecuzione, prigionia e spesso
anche la morte nei lager e nei
tanti luoghi della barbarie nazifascista, perchè testimoni del
vangelo e confessori della fede,
o perchè esercitanti le virtù cristiane in situazioni di particolare
ostilità, di odio verso la fede”.
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
Ottobre 1954.
Un’altra
immagine di don
Angeli nel suo
viaggio della
memoria a
Mauthausen.
(Archivio Centro
Studi Roberto
Angeli)
Nella Chiesa romana di San
Bartolomeo all’Isola, oggi
memoriale dei martiri del XX
secolo, nei locali che hanno
ospitato nel 2000 i lavori della
Commissione Nuovi Martiri, è
custodita una copia di Vangelo
nei Lager, insieme a migliaia di
lettere, appunti, testimonianze
giunte lì da tutte le parti del
mondo, su richiesta di Papa
Woityla, per documentare la
realtà del martirio nella chiesa
contemporanea: “queste testimonianze – è scritto nella Tertio
Millennio Adveniente – per
quanto è possibile non devono
andare perdute nella Chiesa …
occorre che le Chiese locali facciano di tutto per non lasciarne
perire la memoria”.
Il Papa pensava a qualcosa di
simile al martirologio dei primi
secoli. L’idea nasceva dalla sua
esperienza personale, incrociatasi e salvatasi miracolosamente dalla persecuzione nazista
della Chiesa in Polonia; ma già
Paolo VI, che tanta parte aveva
avuto durante la guerra nell’organizzazione di una “resistenza” morale e spirituale al nazifascismo oltre che dell’aiuto e del
soccorso ai perseguitati, alla
fine del conflitto pensava a rendere nota l’incredibile esperienza di martirio che aveva sofferto
la Chiesa in Italia e in tante parti
del mondo, sia tra i laici che tra
gli ecclesiastici. Rappresentava
un grande patrimonio umano e
spirituale che poteva dare forza
alle Chiese attraverso la memoria, un grande patrimonio evangelico raccolto nelle vite di
uomini e donne come tutti.
Don Angeli fu tra questi. Molto
della sua esperienza nei Lager è
descritta – come è noto – nel
libro che ne rievoca i tratti più
terribili e immediati, ma molto
altro emerge dalla riflessione
che negli anni successivi
accompagnò la vita spirituale e
pastorale di questa straordinaria
figura. Una lunga, dolorosa e
incredibile rielaborazione dell’esperienza concentrazionaria,
che tanto aiuto offre a chi, ancora oggi, si interroga su come
diando l’esperienza spirituale di
A sinistra, don uomini e donne santi come
Giovanni Fortin, Niccolò Stenone o Elisabetta
compagno di
prigionia di don Seaton: la presenza quasi fisica
Angeli. di Dio accanto a lui e accanto a
loro. Comprende anche il senso
Sotto a destra, il
libro Il secolo della propria vita e della propria
del martirio di missione di cristiano e di sacerAndrea Riccardi, dote: invocare ed evocare la
scritto sulla
scorta della presenza di Dio nei luoghi del
Tertio Millennio dolore. Per questo vorrà che una
Adveniente di cappellina, con il Santissimo
papa Giovanni
Paolo II in pre- Sacramento, fosse sempre preparazione al sente nei posti ospiti delle sue
grande Giubileo opere di carità. “E’ stata per te
del 2000.
un’esperienza di dolori – gli
scriverà il
vivere il Vangelo nel proprio
vescovo
tempo, su come custodire uno
Piccioni al
spazio spirituale in un tempo
suo ritorno
materialista, convinto che quea Livorno –
sto spazio, nel cuore e nella
che
ad
anime più
delicatamente cristiane come
la tua rende
più sensibile
e operosa la
A sinistra, una
illustrazione del carità, l’unica cosa di cui il
libro dell’Abbé
René Fraysse, mondo ha bisogno e che si osticompagno na a respingere”.
di prigionia di Nella piccola cappella di “Notre
don Angeli,
usate Dame de Dachau” in mezzo ad
dal sacerdote una strana “comunità” di 1400
nel Vangelo sacerdoti di 14 diverse nazionanei lager.
lità, o nelle sudice brande dell’
“infermeria” dove vittima della
dissenteria era stato gettato, e
A Dachau,
società, rappresenti una fonte di
dove riceve di nascosto alcune
nel
luogo
in
libertà, di resistenza alle forze
particole, Angeli comprende che
distruttive e disumane che agi- cui Dio
“l’amicizia salva”, l’amicizia di
tano la storia, di cambiamento e veniva
Dio e l’amicizia degli uomini.
di futuro.
negato, don Uomini come il cardinale Beran
Nella piazza dell’appello di Angeli sente cui rimarrà affezionato per tutta
Dachau, nel luogo in cui Dio
la presenza la vita e per cui organizzerà a
veniva negato e in un momento
Montenero, molti anni dopo il
quasi
fisica
di profonda difficoltà fisica e
suo ritorno dal lager, una liturgia
morale, Angeli sente quello che di Dio
eucaristica con tutti i sacerdoti
poi comprenderà meglio stuex-internati che aveva potuto
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
19
rintracciare.
Beran era chiamato “il sole di
Dachau”, per il sorriso che non
negava a nessuno, per l’incredibile forza d’animo con cui ogni
sera cercava tutti e impediva,
con una chiacchera o un gesto
di conforto, che “le tenebre della
desolazione scendessero nei
cuori fiaccando le forze”.
Angeli lavorava con lui nel
“plantage”. Era chiamato così
l’ampio “vivaio” dell’“Istituto
sperimentale tedesco – S.p.A.”,
una ditta privata di proprietà di
Himmler e di cui Goebbels era il
principale azionista. Si trattava
di un vasto terreno paludoso, di
più di 5 ettari, che a prezzo di
estenuanti fatiche e di numero-
se vite umane, era stato prima
dissodato e poi bonificato per la
coltura di fiori e piante officinali,
destinati alla produzione di
medicinali alternativi durante il
periodo bellico. Alla “piantagione” di Dachau lavoravano circa
1300 persone durante i mesi
primaverili ed estivi, da 400 ad
800 di inverno, soprattutto ebrei
ed ecclesiastici, morendovi a
migliaia per le terribili modalità
20
e condizioni cui si era costretti.
Angeli fu aggregato alla squadra
di lavoro in cui lavoravano oltre
a mons. Beran anche altri preti
Beran era
tra cui due che diventarono suoi
chiamato “il amici e grazie ai quali sin dall’arrivo a Dachau davvero molte
sole di
Dachau” per volte scampò alla morte, don
Dalmasso e don Fortin.
il sorriso
Colpisce infatti, nel sistema
che non
nazifascista di eliminazione delnegava a
l’altro, dagli Ebrei ai deboli e ai
nessuno.
vagabondi, a tutti i propri nemici e oppositori, la rilevanza che
Don Angeli
ha la rottura delle relazioni,
lavorò al
l’isolamento progressivo delle
suo fianco
vittime, la ghettizzazione che
nel lager
rende più facile la diffamazione
prima e poi la distruzione fisica
dell’altro, senza il pericolo che
Il cardinal Beran
e don Angeli a
Roma nel 1965.
(Archivio Centro
Studi Roberto
Angeli)
Sopra, padre
Giuseppe
Girotti. Il 28
marzo 2013
papa Francesco
ne ha autorizzato il decreto di
beatificazione.
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
alcuno vi opponga resistenza.
Ecco perchè vivere l’amicizia
nel lager fu anche, per don
Angeli e per molti altri, una scelta di “resistenza” all’annientamento dell’umanità, dei legami
ordinati dal rispetto e dalla
dignità umana.
Un tema antico quello dell’amicizia nella riflessione di don
Roberto, forse anche per una
naturale inclinazione del carat-
tere, sin da giovane alla scuola
del vescovo Piccioni, un vescovo pastorale, simpatico e affettuoso, un padre e un amico
capace da sempre e anche al
suo ritorno dal lager, di rispondere al bisogno del suo cuore.
Tema di riflessione per lui maestro e per i suoi giovani
dell’Azione Cattolica, un’amicizia cresciuta intorno ad una
esperienza vera, cementata da
valori e ideali comuni, coraggiosi e forti, guascona e piena di
ardore giovanile. Tema di riflessione per tutta la vita e fino alla
morte: “io non sono solo - disse
ormai in agonia a don Renato
Roberti – ho con me il Vangelo, i
miei libri e i miei amici”. I libri
già, i libri che molto amava perchè in fondo erano anch’essi
“amici”, strumenti per capire
qualcosa di più del suo Dio
attraverso l’esperienza di altri.
Era questo per lui un utile esercizio di pietà e di umilità, un
esercizio consigliatogli da monsignor Bardi, con cui condivide-
va un’indole allegra e socievole,
l’amore per le relazioni e la
compagnia degli altri. Fu dalla
Seaton che don Roberto apprese invece un semplice strumento per coltivare le amicizie:
usare piccoli biglietti, messaggi
per esprimere la sua ansiosa
tenerezza o per fissare appuntamenti, per comunicare i suoi
stati d’animo o solo i suoi spostamenti o per seguire, amichevolmente, gli spostamenti della
vita dei suoi amici.
Un altro tratto di questa sorprendente “resistenza” all’orrore dei lager è il parlare di Dio, in
due modi: la conversazione e la
predicazione; per l’una e l’altra
a Dachau si approfitta dei pochi
momenti di riposo, si fanno
turni, si lotta contro il sonno e la
stanchezza.
Angeli ricorda ad esempio padre
Girotti, un grande
teologo domenicano che era stato
allievo
di
Lagrange, che era
solito sedere ad
un angolo del
lungo tavolo che
divideva
la
Stube 3 e la
Stube 4 dove
studiava e scriveva
su
Geremia, con
un
pastore
luterano che
aveva con sé
una Bibbia. Il
pastore era il prof. Max
Lackamann, docente a Munster;
gli altri compagni di studi biblici
erano un prete cecoslovacco, tal
Merell e uno “scritturista dei
fratelli Moravi”.
Con i compagni Girotti parlava
anche di altre opere lasciate
interrotte o appena cominciate
nel suo convento di Torino: uno
studio sul monachesimo orientale per il quale affermava di
aver raccolto molto materiale,
durante i suoi ultimi soggiorni in
Palestina, dalla stessa letteratura
copta;
un’antologia
sui passi più
belli
del
Talmud, un
manuale biblico “del tutto
nuovo ed originale” perché
basato sui più
nuovi criteri e
sul metodo dell’esegesi biblica;
una vita di san
Giuseppe, di cui
Girotti
come
Lagrange
era
devotissimo.
Una notte di gennaio, molto
fredda, Girotti non poteva dormire, allora si alzò e scrisse un
commento al vangelo su sette
piccole paginette che poi lesse
ai compagni: è una reliquia –
disse Angeli, quando la prof.ssa
Agosto 1965, a
Montenero, i
sacerdoti deportati a Dachau
posano con il
cardinal Beran
dopo la concelebrazione al
Santuario. Da
sinistra: don
Aldrighetti, don
Crovetti, don
Vismara, don
Dalmasso,
padre Agosti,
don Bartolai,
Card. Beran,
don Angeli,
mons.
Manziana, don
Fortin, don
Berselli, don
Neviani.
(Archivio Centro
Studi Angeli)
A sinistra, l’opuscolo La parola
del Papa diffuso
da don Angeli in
periodo
clandestino.
La meditazione
sui testi pontifici
alimentò tutto il
percorso intellettuale e spirituale
del sacerdote.
Cauvin, consultandolo per il libro
Nacht und Nebel che stava scrivendo, gliele fece vedere. Il
testo parte da Gv. 17,19-21 e
contiene solo citazioni della
Bibbia e dei Padri, Ignazio di
Antiochia, Ilario di Poitiers,
Cirillo d’Alessandria, Cirillo di
Gerusalemme, Ireneo di Lione,
che Girotti doveva ricordare a
memoria non avendo evidentemente disponibili i testi. La predicazione di Girotti offriva tre
punti di riflessione: realizzare
l’unità è la preghiera del Signore
davanti alla drammaticità dei
tempi che l’umanità sta vivendo;
una chiesa ferita, dilacerata,
non può rispondere alle richieste di un mondo immerso nelle
tenebre del male; se la chiesa è
una occorre che la sua azione
sia unitaria perché il mondo
creda e, credendo, superi la
malvagità che soffre. Si concludeva con tre esortazioni: pregare “per essere liberati, tra l’altro,
da quella pericolosissima tentazione per cui avviene che quelli
che hanno la verità, la verità non
la vivono, quelli che hanno la
forma buona e lo spirito vivifi-
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
21
cante nella loro vita riescono di
scandalo a quelli che sono di
fuori”; poi testimoniare la fede
nella croce di Gesù Cristo attraverso gesti di unità con chi ha la
nostra stessa fede ma è da noi
separato; infine lo studio della
teologia e della storia della
chiesa. E poi una citazione di
Ilario di Poitiers: “Con la preghiera dunque, con una vita
santamente vissuta, con lo studio della verità si compia il
nostro terreno pellegrinaggio
sacerdotale”.
Angeli ascoltava e annotava
nella sua mente, trattenendo
nel cuore le parole di padre
Girotti, già malato e dopo poco
ucciso con una iniezione di benzina, tanto che una eco di quelle parole si trova nell’introduzione a Violenza e coscienza. Willi
Graf e la Rosa Bianca, Angeli da’
ragione di un ecumenismo nato
nel lager: “nei gruppi di resistenza, nelle carceri e nei campi
di sterminio, migliaia di uomini
di fede di diverse confessioni
cristiane impararono a conoscersi, a stimarsi, ad aiutarsi
come fratelli, a sacrificarsi gli
uni per gli altri, a pregare insieme, a morire insieme. In molti lo
abbiamo sperimentato (...)
anch’io (…) amavamo ugualmente Cristo e per essergli
fedeli, in suo nome, avevamo
affrontato il nazismo e ora insieme univamo alle Sue le nostre
sofferenze (…) imparammo a
scoprire l’essenziale che ci
univa e la fragilità delle barriere
che ci avevano diviso (…) la
lotta comune e la comune sofferenza di tanti cristiani sono dunque senza dubbio all’origine di
quella splendida fioritura dell’ecumenismo registrata dalla
nostra epoca che, sia pure tra
22
Agosto 1965.
Nel suo soggiorno a Livorno il
cardinal Beran
ebbe modo di
visitare anche le
opere del Cla.
(Archivio Centro
Studi Roberto
Angeli)
Il libro Violenza
e coscienza.
Willi Graf e la
Rosa Bianca.
Don Angeli firmò
l’introduzione,
da molti
considerata una
sorta di suo
testamento
spirituale
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
resistenze e stanchezze, appare
come un segno dei tempi e preannuncia l’aurora di un rinnovato cristianesimo”.
Si sente una grande esperienza
umana e spirituale dietro
queste
parole. Ecco
perché, a tanti anni di
distanza, celebrare questa
memoria è come ricevere una
eredità: c’è molto ancora che si
può ascoltare in don Roberto
Angeli, qualcosa di nuovo e di
antico, che si può estrarre dallo
scrigno di un Vangelo vissuto
nella storia.
E allora ci si può chiedere cosa
voglia dire accogliere questa
eredità? Nell’esperienza di
Sant’Egidio, dei miei amici e
delle mie amiche della
Comunità, non vuol dire fare
cose eccezionali. Non vuol dire
sottoporsi a gravi rischi o fare
gesti eroici. Ma vuol dire provare a vivere il Vangelo come una
parola che ha davvero molto da
dire e da indicare, come un
orientamento per chi sogna
ancora di cambiare il mondo.
Vuol dire non rassegnarsi al
male, alla violenza, alla guerra. Vuol dire cercare di non
essere complici, attori e
spettatori del tanto male
che inquina l’aria del
nostro mondo. Vuol dire essere amici di tutti e particolarmente essere amici dei poveri.
La vita di don Angeli e di tanti
suoi compagni di prigionia dice
in fondo proprio questo: non
dobbiamo aver paura di una vita
impegnata con gli altri e impegnata con i poveri, impegnata
ad amare. Dobbiamo temere
una vita senza amore, che non
si lascia amare e che non sa
amare, che per salvare se stessa elimina gli altri. Dobbiamo
temere un cuore vuoto, rivolto al
niente che vive e rende tutto grigio e triste.
Si potrebbe dire che tutto questo è un po’ irenico e comunque
sia qualcosa di personale; forse
invece è una risposta a un invito
di don Roberto, il quale una
volta ebbe a dire a proposito del
successo incontrato dal suo
libro: «In verità io spero soltanto
che questo libretto aiuti ancora i
giovani che lo avranno in mano
a uscire dal loro particolare e ad
aprirsi ai problemi sempre nuovi
e spesso drammatici della
società. A meditare su valori
profondi della loro vita, in relazione all’epoca storica e alle
situazioni concrete in cui si trovano e di cui presto saranno
protagonisti. A considerare
come da una impostazione errata o anche solo da un atteggiamento di indifferenza e di
assenteismo possono derivare
catastrofi inenarrabili. La libertà,
la giustizia, la pace esigono un
impegno continuo, un sacrificio
da cui nessuna generazione può
essere esentata. Essi sono valori che vanno difesi e realizzati in
forme sempre nuove e più concrete. La Resistenza, nel suo
aspetto più alto, quello positivo,
più difficile, di lotta per la
costruzione di un mondo migliore, più libero e più giusto non è
e non sarà mai conclusa. Questo
è il messaggio che color che
sono morti e coloro che sono
superstiti rivolgono alle nuove
generazioni».
*Responsabile Comunità S. Egidio
di Livorno
Dachau, un preludio?
Montenero, agosto 1965. Don
Angeli e il cardinale Beran
concelebrano una messa con i
sacerdoti superstiti dal lager.
Pubblichiamo la suggestiva
riflessione di don Angeli:
Dachau, anticipazione del
Concilio Vaticano II?
itler li aveva fatti chiudere là,
Hsterminio,
rastrellandoli da tutti i campi di
per impedire che influissero sui detenuti, perché in quei lager
non doveva esistere alcuna sorgente
di speranza o di serena fortezza o di
fede. Perciò li avevano voluti ancor
più isolare (...).
In questo modo - sussurravano quei
sacerdoti dopo la Messa - il nazismo
aveva, senza accorgersene, dato vita
ad una specie di Concilio ecumenico,
riunendo insieme sacerdoti di tutte le
lingue, di tutte le mentalità, di tutte le
confessioni cristiane.
Era stata una anticipazione? un
misterioso “suggerimento” della
Provvidenza?
Quelli di Dachau erano sacerdoti allo
stato “puro”: senza poteri, né orpelli,
né privilegi, né onori umani, ridotti a
vivere - anzi a morire lentamente,
come i più disgraziati e miserabili tra
tutti gli uomini della terra, rosi dalla
fame e dal freddo, torturati dai pidocchi e dalla paura, mal coperti di
stracci puzzolenti, senza più nessuna
dignità oltre quella - soprannaturale e
invisibile - del loro sacerdozio.
Ma pregavano insieme ed amministravano i sacramenti rischiando la
tortura; e si amalgamavano senza
alcuna distinzione con tutti gli altri
esseri umani, lavorando e penando
come loro e peggio di loro; ed esercitavano la carità sopportandosi e aiutandosi; e si scambiavano opinioni e
sentimenti; e riuscivano, infine,
anche a svolgere segretamente un
corso di conversazioni ecumeniche...
Vedevano le cose con occhi e cuore
nuovi, scoprivano orizzonti mai visti.
Coglievano la nuda essenza e la verità delle cose - le cose della vita e
della fede - così come avviene, forse,
davanti alla morte.
Mescolavano esperienze e mentalità,
confrontavano i loro metodi e le loro
27 agosto 1965,
i 12 sacerdoti ex
deportati a
Dachau si avviano a concelebrare la Messa al
santuario.
(Archivio Centro
Studi Roberto
Angeli)
Il testo di don
Angeli è tratto
da Il Ponte,
notiziario
bimestrale del
Comitato
Livornese
Assistenza,
anno 5, n. 3,
settembre 1965.
idee, imparavano a vedere le cosa da
punti di vista inusitati e pur validi.
Si esercitavano a cogliere il vero che
è in ogni dottrina e il buono che è in
ogni uomo; imparavano a distinguere
il molto che è caduco, contingente,
variabile, sostituibile, da ciò che invece è eterno ed essenziale.
Vivendo e soffrendo insieme si arrischiavano a vicenda comunicandosi
esperienze, metodi, nozioni e sentimenti i più disparati. E quasi insensibilmente cresceva nel loro cuore, fino
a diventare bruciante, il bisogno di
una più profonda comprensione - sul
piano umano come su quello religioso - l’anelito alla unione...
In quel gruppetto di sacerdoti che
stavano in tal modo conversando
dopo la Messa a Montenero, c’era
anche Mons. Manziana.
Annuiva, e poi prese la parola.
Portava la sua testimonianza qualificata essendo vescovo e quindi Padre
Conciliare.
Diceva che più volte, durante le sedute del Concilio Vaticano II, si era commosso sentendo ripetere le idee, le
proposte, i progetti e soprattutto le
grandi speranze di cui parlavano i
preti di Dachau, e che là – nel comune stato di «nudità» e di dolore –
erano nate ed erano cominciate a
germogliare:
- Talvolta, diceva il Vescovo, le ho
sentite ripetere al concilio quasi con
le stesse parole o addirittura dalle
stesse persone, perché non pochi di
quei preti destinati alla morte sono
ora vescovi o esperti conciliari…
Forse – continuava il Vescovo – dovrò
proprio scrivere qualcosa sul tema:
Dachau e il Concilio Vaticano II.
Dachau fu dunque davvero una preparazione, una anticipazione, un preludio?
Roberto Angeli
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
23
Le
Opere sociali
post-bellico.
Il CLA nasce dalla sensibilità del
cuore sacerdotale di don
Roberto Angeli, torchiato dai fili
spinati della prigionia subita a
Il CLA nasce nel settembre 1948 da un’intuizione di don Angeli, come
Mauthausen, Gusen e Dachau,
organismo laico e privato di assistenza pubblica e di organizzazione
civile. Fu un tassello importante nell’opera di ricostruzione della provincia, in un tempo evidentemente di
arrivando ad assistere in 15 anni circa 100mila persone
sofferenze, di fame, di aberrazione morale, d’inesistente proattività di solidarietà sul territoDon Angeli in
tezione sociale. Egli ne assume
di Valeria Cresti*
mezzo
rio provinciale e per porre al
la Presidenza fin dal primo
ai bambini ospiti
servizio dell’infanzia livornese, e
delle colonie
momento e ne sarà anima,
non solo, la loro esperienza
del Cla
guida, infaticabile animatore e
nell’immediato
l
Comitato
Livornese organizzativa, le competenze
fautore di ogni iniziativa fino al
dopoguerra.
Assistenza nasce nel settem- individuali ed il patrimonio delle (Archivio
Centro
giorno della sua morte (26 magbre del 1948 come organismo varie associazioni cristiane che
Studi Roberto
gio 1978).
Angeli)
laico e privato di assistenza a vario titolo frequentano, conoPer don Roberto il primato evanpubblica e di organizzazione scono o dirigono. Questo è l’atto
gelico è credere nell’uomo, è
civile1 con il precipuo scopo di di nascita del CLA, “quasi” orgacorrere con audacia ed ingegno
contenere compiutamente e no caritativo del CIF, della PCA
in soccorso di tutti quei livornesistematicamente la situazione delle ACLI, della ACI, nato per
si che con la guerra, perduto
di emergenza in cui si trova la togliere i ragazzi dalla strada,
tutto, hanno bussato alla sua
popolazione della provincia di combatterne la denutrizione e le
porta, in cerca sì di beni mateLivorno nel periodo della malattie, porre in loro i germi di
riali ma anche di affetto e di
Ricostruzione.
una educazione integrale e dare
fiducia per ricominciare a vivere
Nasce con la disponibilità di nuova consistenza al tessuto
in un tempo di pace.
alcuni amici che decidono di sociale livornese tra povertà,
Asili per bambini dai 3 ai 6 anni,
unire le forze per potenziare analfabetismo, disorientamento
Il Comitato Livornese Assistenza
per la ricostruzione di Livorno
I
24
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
doposcuola per bambini dai 6 ai
12 anni, ricreatori per ragazzi
dai 12 ai 16 anni, laboratori per
ragazze dai 12 ai 20 anni, preventorio antitubercolare per
minorenni, scuola tipografica
per la qualificazione professionale dei giovani, assistenza
sociale per le famiglie bisognose e colonie estive per bambini
dai 6 ai 12 anni, una Casa dei
Ragazzi, casa-famiglia ante litteram. Tipologie di assistenza e
supporto sociale che negli anni
sono state costantemente adeguate a necessità sempre mutevoli e che tanto hanno influito
sulla realtà sociale livornese dal
primo dopoguerra alla fine degli
anni ’70.
Sono certamente un atto di
amore nei confronti dell’uomo, a
favore della sua dignità per una
presa di coscienza sempre più
consapevole dei propri diritti,
dei propri doveri e dei talenti
spirituali da vivere nella società
civile.
L’Ente si è costantemente adoperato a dare una risposta alle
necessità man mano emergenti
nel corso del tempo, cercando di
andare incontro al maggior
numero di persone possibile.
Così le varie iniziative sono sorte
e cadute col passare degli anni,
Novembre 1951.
Il soccorso agli
alluvionati del
Polesine vide protagonista tutto
l’associazionismo
laico e cattolico
livornese.
Anche il CLA
recitò un ruolo
importante.
(Archivio Centro
Studi Roberto
Angeli)
Muovendo
da una
ispirazione
cristiana, il
Cla ha
operato
nella società
civile con
uno
strumento
religioso,
ma non
ecclesiastico
col sorgere e il cadere dei bisogni sempre attentamente studiati e vagliati di volta in volta.
Grazie a questa strategia attuativa, il CLA ha spesso potuto colmare i vuoti che la società civile
presentava ed ha potuto offrire
soluzioni a problemi urgenti creando servizi specifici e ben
organizzati, con congruo anticipo rispetto ad altre istituzioni o
movimenti.
Muovendo da una ispirazione
cristiana, l’Ente ha operato nella
società civile con uno strumento
fondamentalmente religioso, ma
non ecclesiastico; del CLA,
infatti, hanno sempre fatto parte
sacerdoti e laici, uomini e
donne, radunati in associazione
civile ed accomunati da uno
spiccato senso civico e da un
vivo senso della Chiesa pienamente inserito nello spirito della
comunità cristiana come testimoniano i fraterni rapporti con
la Diocesi e i Vescovi che nel
tempo si sono succeduti nella
guida pastorale.
Il CLA è stato il primo ente
morale in Italia riconosciuto
come persona giuridica privata
a norma dell’articolo 12 del
Codice Civile, eretto con decreto
del Presidente della Repubblica
del 3 aprile 1961, il cui Statuto è
stato approvato con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n.
129 del 26 maggio.
Nonostante lo scopo assistenziale dell’ente, esso non è soggetto alla vigilanza tutoria degli
organi statali e neppure è giuridicamente sottoposto all’autorità ecclesiastica. Chi ne fa parte
assume la responsabilità e
l’onere di reggere questa
Associazione in libertà di
coscienza, per il bene dei fratelli, nell’ambito - naturalmente delle leggi, dello statuto e della
fedeltà ai propri ideali religiosi:
ciò significa, in concreto, fedeltà
alla Chiesa ed al Vescovo che la
rappresenta.
A distanza di oltre settanta anni
dalla sua fondazione, il Comitato
Livornese Assistenza è ancora
presente nella realtà sociale
livornese e presta la sua opera
di assistenza, in parte a titolo
volontario, nei confronti degli
anziani, ospitando nella struttura del Pensionato persone sole
che, altrimenti, avrebbero
pochissime possibilità di relazioni sociali interpersonali.
Garantisce loro una adeguata
assistenza religiosa, morale e
sanitaria in un clima accogliente
e familiare. A livello culturale,
promuove attraverso il Centro
Studi Roberto Angeli una pluralità di eventi volti alla valorizzazione della figura e dell’ opera
del suo fondatore.
*Membro del Consiglio Direttivo
del C.L.A.
NOTE
1
Lo Stato offre i mezzi materiali sottoforma di contributi e sussidi; il laicato
cattolico mette a disposizione braccia,
menti e cuori di centinaia di collaboratori che, in varie forme, contribuiscono
a quella che risulterà essere una grandiosa opera di elevazione morale e
materiale della gioventù livornese.
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
25
IL
Futuro
Don Angeli 2.0
un testimone per la “net generation”
Parlare di questa figura alle nuove generazioni, ai “nativi digitali”,
i ragazzi cresciuti a videogiochi e smartphone, è possibile, anzi auspicabile.
Educazione e storia nel tempo dei social network
di Luca Paolini*
osa unisce il nome di Don
Angeli al nuovo corso della
rete che oggi comunemente
viene chiamato 2.0? In realtà
sembrerebbero due mondi così
distanti e così divergenti l’uno
dall’altro tanto da essere ovviamente incompatibili. Eppure a
bene vedere anche la figura di
Don Angeli può essere letta,
vista, analizzata alla luce dei
nuovi media e delle nuove tecnologie. Parlare di Don Angeli
C
26
alle nuove generazioni, alla “net
generation” o ai “nativi digitali”,
come vogliamo definire i ragazzi
cresciuti a videogiochi e smartphone, è possibile, anzi auspicabile. Partiamo dal presupposto
che i nativi digitali passano in
età scolare, circa 15000 ore
davanti a televisione, computer,
cellulare, contro le 11000 dedicate allo studio e alla lettura. Ne
risulta che il loro modo di
apprendere, di memorizzare, di
“vibrare”, passa spesso attraverso uno schermo, che sia per
un film, che sia per un videogioco, che sia per una bella imma-
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
Il blog “Religione
2.0” di Luca
Paolini, ha
sempre avuto
un‘attenzione
particolare alla
figura di don
Angeli.
gine magari accompagnata da
una bella musica. Perchè dunque non utilizzare questi stessi
strumenti, nuovi, digitali e per
questo all’apparenza freddi, per
scaldare il loro cuore su una
figura così vibrante e così forte
come quella di Don Angeli? Nella
mia esperienza di questi anni
lavorare con le nuove generazioni ha significato usare una nuova
lingua che loro ben conoscono,
quella dei social network, quella
delle immagini, dei video e dei
suoni, i canali attraverso i quali
lo si voglia o no passa gran parte
dell’educazione informale dei
ragazzi. E non solo... Gli strumenti che oggi i ragazzi hanno a
disposizione permettono loro di
essere attori e non solo spettatori del processo di educazioneformazione, per cui il messaggio
viene da essi visto, letto, ascoltato e poi ricompreso e rielaborato in un nuovo prodotto, il loro
questa volta, che contiene non
solo il messaggio originale
appunto ma anche tutta la loro
sensibilità, percezione della realtà, del loro mondo interiore
insomma. E’ il caso del primo
video che abbiamo
realizzato per la
intitolazione della
scuola ex Colombo
di Livorno, a Don
Roberto Angeli. In
quella occasione è
stato lanciato un concorso, vinto da una
ragazza di 13 anni che
ha realizzato un video
immaginandosi di essere una di
quei deportati che insieme a Don
Angeli furono portati via dalle
loro case e condotti nei campi di
smistamento e poi di sterminio.
Un video così toccante, che grazie anche alla scelta di musiche
adatte alle immagini ha meritato il primo premio. I ragazzi se
lasciati liberi di creare, possono
tirare fuori dal loro mondo interiore cose straordinarie, e questo l’autorialità delle nuove tecnologie lo amplifica a dismisura.
Lo stesso discorso si è verificato in occasione di un nuovo
evento legato a don Angeli, la
posa di una formella a lui dedicata sempre nella scuola a lui
intitolata. Anche in questo caso i
ragazzi sono stati coinvolti a
creare un video in cui loro stessi ponevano a don Angeli delle
domande e lui, interpretato da
un ragazzo della scuola, rispondeva con i suoi scritti e le sue
parole quelle vere. Il video è
ancora oggi visibile sul sito del
Comune di Livorno che lo ha
scelto come trailer della
“Giornata della Memoria”. Molto
più semplicemente ma sempre
efficacemente, perchè non biso-
gna mai perdere di vista l’efficacia della propria azione educativa quando si utilizzano le nuove
tecnologie, anche l’impiego delle
immagini, delle foto, può aiutare
a cogliere momenti
importanti e significativi, a trattenerli
con se e all’occorrenza a condividerli con altri. Lo
abbiamo visto in
diverse occasioni, la prima
nella posa delle
“Pietre d’inciampo”,
evento realizzato dalla Comunità
di S. Egidio a Livorno, sui luoghi
delle ultime residenze conosciute dei deportati nei campi di
concentramento mai più ritorna-
ti a casa. In quella occasione
alcuni ragazzi hanno catturato
con i loro cellulari i momenti più
significativi della manifestazione, la posa delle pietre, le rose
deposte, i simboli della religione
ebraica, e poi li hanno condivisi
in rete con un semplice “click”.
Anche per realizzare delle belle
foto bisogna avere qualcosa
Il video
realizzato
dall'Istituto
Comprensivo
“Don Angeli” Scuola
Secondaria di I
grado
“Michelangelo”
è pubblicato e
visibile sul sito
del Comune di
Livorno ed è
stato usato
come trailer
della “Giornata
della Memoria”.
dentro da comunicare agli altri,
lo sanno bene i fotografi professionisti, ma anche i ragazzi
sanno tirare fuori dai loro smartphone immagini che fanno
riflettere. Anche durante l’ultimo
viaggio a Fossoli, organizzato
dall’Ufficio Scuola della diocesi
di Livorno e dal “Centro studi
don Angeli” in occasione del
centenario della nascita di don
Angeli, gli alunni della scuola
“Borsi” hanno colto momenti e
situazioni di quel percorso della
memoria e alcuni di loro sono
stati premiati con i loro prodotti,
semplici ma significativi. In questo senso c’è ancora molto da
fare e da esplorare e forse vale
la pena soffermarsi e dare qualche suggerimento a docenti ed
educatori nel caso volessero
condurre i propri alunni su questo terreno nuovo e per certi
versi inesplorato. A cominciare
dalla realizzazione di una pagina
di Wikipedia o Cathopedia, ancora appena abbozzate, che raccolga la storia e il lavoro di don
Roberto Angeli. Come ben sappiamo chiunque può scrivere su
100 ANNI don ROBERTO ANGELI
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queste enciclopedie collaborative allora perchè non fare un
lavoro di ricerca seria e approfondita sulla figura di don Angeli
e poi metterla in rete? E ancora
si possono utilizzare gli strumenti di mappatura per creare
una mappa della città con tutti i
luoghi che a Livorno parlano di
don Angeli, corredando ogni singolo punto con testi, immagini
attuali e d’epoca, che descrivano
il lavoro che don Angeli faceva
anche in campo assistenziale.
Sarebbe interessante poi creare
un profilo Pinterest, dedicato a
don Angeli con tutte le foto che
abbiamo a disposizione corredate da didascalia, in modo da
offrire a tutti un percorso di lettura della sua vita e del suo
messaggio, così come anche
cristallizzare i suoi testi, i suoi
scritti, in tanti piccoli innumerevoli twitt, che come sappiamo
sono piccoli messaggi al massimo di 140 caratteri. Per i più piccoli si potrebbero utilizzare invece gli strumenti della rete per
realizzare dei brevi fumetti animati che ripercorrano a grandi
linee la figura di don Angeli. La
mia convinzione frutto di anni di
lavoro in questo campo, è che il
messaggio arriva, che i ragazzi
si coinvolgono, che il loro cuore
può ancora vibrare anche se
attraverso uno dei media che
circondano la loro esistenza.
Spesso siamo noi adulti a temere che questi strumenti possano
allontanare il senso delle cose,
perché siamo cresciuti in un
altro tempo e mi si permetta di
dire in un altro mondo, che però
non è il loro, e forse solo l’unione e la riappacificazione di questi due mondi può portare buoni
frutti per il futuro.
*Docente di Media 2.0 Istituto di
Scienze Religiose “Beato Niccolò
Stenone” di Pisa
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100 ANNI don ROBERTO ANGELI
Fare storia
Fare memoria
di Catia Sonetti*
erché va usato il verbo
“fare”? Perché la storia ma
anche la memoria, sia quella individuale che quella collettiva sono costruzioni. Sono
intrecci che vengono fatti, nel
senso concreto del termine. Che
nel farsi, vanno condivisi, vanno
intrecciati attraverso narrazioni
che sono sia legate al singolo
individuo, sia legate ai gruppi
nei quali questo individuo, insieme a tutti gli altri, si colloca.
Sono cioè sia la storia che la
memoria costruzioni in parte dei
singoli e in parte delle collettività. In questi tempi, nei quali ci
troviamo a vivere, tutto intorno a
noi ci conduce verso una forzata smemoratezza. Le cerimonie
pubbliche con i loro “discorsi”
istituzionali si sono logorate, le
nostre esistenze private si consumano all’interno di quadri di
P
riferimento dove alcune parole
paiono aver perso sia senso sia
densità. Penso alla parola: antifascismo o alla parola impegno,
che sono praticamente scomparse dai nostri dialoghi, e
ancora di più la parola politica,
che negli ultimi anni è stata sottoposta a un vero e proprio linciaggio mediatico che, anche se
in gran parte giustificabile, porta
solo ad una deriva populista e
qualunquista molto pericolosa.
Allora come inserirsi dentro
questa situazione, dentro un
tempo che rispetto alle nostre
radici democratiche e culturali è
arrivato al 70° dalla data spartiacque della nostra storia
nazionale, quel lontano 8 settembre 1943? Proprio agendo
dentro questo contesto con
azioni concrete, con collaborazioni sempre più estese ma
sempre motivate e scientificamente valide, è possibile prendere e sostenere iniziative ricche di senso. Agendo con
pazienza, tessendo esperienza,
costruendo discussioni condivise dando la giusta rilevanza alle
parole e soprattutto facendo
questo non da soli ma in buona
compagnia.
E con il Centro studi Don Angeli,
l’Istituto storico della Resistenza
e della società contemporanea
di Livorno, ha stabilito già da
alcuni anni una collaborazione
proficua. E’ una collaborazione
che si è strutturata sulla figura
di Don Angeli, sacerdote e antifascista di grande rilievo nel
panorama nazionale. Insieme
abbiamo costruito occasioni di
confronto per intrecciare sguardi differenti su questa figura
capace di produrre confronti critici e ricchi di ipotesi di sviluppo.
Tutto questo è stato fatto perché
siamo fermamente convinti che
sia necessario agire nel presente in cui viviamo sempre con gli
altri, mantenendo ciascuno le
proprie specificità di interpretazione e di intervento ma anche
con la consapevolezza che solo
così facendo, il nostro operato
acquisisca senso.
Sono iniziative che vengono
pensate con un occhio rivolto
non solo agli addetti ai lavori,
agli studiosi cioè, ma anche alle
scuole e al mondo dei giovani
perché in ultima analisi sono
proprio loro il nostro pubblico
preferito. E lo sono non solo perché il futuro è nelle loro
mani ma anche
perché di tutte
le generazioni
che si trovano a
vivere in questi
tempi, loro sono
quelli che hanno
più di tutti gli altri
il diritto di non
sapere.
Sono
spesso stati cresciuti nella smemoratezza più
assoluta, obbligati ad una
dimensione spaziale schiacciata
sul presente e spesso solo sullo
schermo piatto di un computer.
Sta a noi raccontare loro cosa
era questo paese sotto il fascismo, cosa è stata la Resistenza,
cosa ha significato la nascita
della Repubblica e della
Costituzione e quanto tutto ciò
abbia valore e agisca dentro
questo loro e nostro mondo.
Occorre però pensare sempre di
più, perché si fa sempre più
urgente, un intervento di alfabetizzazione e rialfabetizzazione
degli adulti che per
molti aspetti si trovano non solo
senza memoria
storica e senza
basi certe di interpretazioni storiografiche ma, ed è
peggio, spesso
sono convinti
della bontà di
vulgate deteriori
e fuorvianti, semplificatorie e
corrive.
In questa dimensione la figura di
don Angeli ci offre numerose
griglie interpretative, quella del
clero impegnato contro il fascismo e militante fino a fare una
scelta partigiana nel senso profondo e alto del termine, cioè
una scelta di parte, la parte dei
26 maggio 2008,
premiazione del
concorso “Don
Angeli: un testimone per l’oggi”
nella sala
consiliare della
Provincia, nel
30esimo anniversario della
scomparsa del
sacerdote. Una
delle molteplici
iniziative
organizzate in
questi anni dal
Centro Studi
Roberto Angeli
con la collaborazione di Istoreco
e Provincia di
Livorno.
(Archivio
Istoreco)
A sinistra, il
depliant delle
iniziative
organizzate
dall’Istoreco
insieme ad altre
istituzioni
cittadine per il
70° anniversario
della
Liberazione.
più deboli, dei sottomessi, ma
anche degli ingannati dal regime. Una scelta vissuta con adesione fino alla deportazione nei
campi di concentramento. Una
scelta mai venuta meno anche
dopo il ritorno dai campi in una
realtà come quella livornese
contraddittoria e complessa
oltre che profondamente ferita
dalla guerra passata, e ferita
non solo a livello materiale ma
anche a livello morale.
Una figura quella del sacerdote
eminentemente “politica” per i
suoi legami stretti con Roma,
con il Vaticano ma anche per la
sua scelta a favore della
Democrazia Cristiana e lo scioglimento dell’esperienza dei cristiano sociali. Una figura quindi
ricca, vera nella sua complessità, sulla quale sarà possibile
costruire un dialogo franco e
laico che ci arricchisca tutti.
*Direttore Istituto Storico della
Resistenza e della Società
Contemporanea nella Provincia di
Livorno
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1913-2013
Don Roberto Angeli
Preghiere
Nessuno
su quei treni sapeva dove
andava
lo capivano forse dall’odore
che stavano andando in paradiso
e un cancello creava il bivio
fra morte e vita.
I cuochi di uomini
non si fermavano mai:
da quei camini uscivano
sempre fumi e anime.
Un prete
per scherzo del destino
chiamato Angeli
scampò ai forni
per narrare la sua storia
la storia di un uomo che guardava
i fumi dipingere il cielo.
Nella polverosa e assolata città,
già ferita e spezzata dalla guerra
contro la folle ideologia
combattemmo con proibite carte
e fredde armi tinte di speranza.
Lorenza Menga
Scuola Media Statale “G.Bartolena”
Concorso di poesia per il Trentennale
della morte “Don Roberto Angeli (19131978), un prete livornese nella
Resistenza”, 26 maggio 2008
Fui catturato sull’ombroso colle
dove ogni distruzione rimbombava
al passaggio dei grandi bombardieri,
ricordo le botte prese a Firenze
e i promessi compensi al mio tradire
arginati dal mio animo forte
ricordo gli orrori di Mauthausen
e le nostre preghiere clandestine
sussurrate alla gelida luna di Dachau,
dopo agonizzanti giorni di schiavitù
ricordo poi il grido di un Campo Libero
“Due doveri ed un principio:
Amicizia, Fratellanza e non Politica”
E le preghiere di una Città unita,
dopo i grandi dolori della folle guerra.
Gabriele Bacci
Liceo Scientifico Cecioni
Settima edizione del Premio di Poesia
“Giancarlo Bolognesi” 2013
Pubblicazione a cura del Centro Studi Roberto Angeli
Stamperia Provincia di Livorno - settembre 2013
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