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Gianni Volpe
La “galleria di rare pitture”
Non abbiamo trovato espressione migliore per
intitolare questo capitolo dedicato alla fama che
in tutt’Italia la chiesa di San Pietro in Valle acquisì sin dal nascere. L’espressione “galleria di
rare pitture”, certamente tra le più felici ed eloquenti, è dello storico dell’arte Luigi Lanzi, gesuita e dotto archeologo maceratese, il quale, nel
descrivere una delle opere qui conservata, così
definì l’intera aula:
[…] Fra i quali è il San Filippo Neri alla sua chiesa di Fano, ch’è una galleria di rare pitture1.
Precisa e puntuale, questa definizione non è comunque l’unico medaglione di cui può fregiarsi
la storica chiesa. Molti altri visitatori stranieri
restarono affascinati dal suo spazio, così ricco
d’arte e cultura e tale da essere appuntato nella
memoria come una visione straordinaria.
La fama di chiesa barocca si era diffusa molto
presto in Italia e persino all’estero, vuoi per essere San Pietro in Valle una delle prime creazioni
dei Filippini fuori dalla Roma papale2, vuoi per
essere Fano situata lungo la via Lauretana, meta
quindi obbligata di viaggiatori colti e raffinati
diretti al santuario mariano. Per di più attorno
all’Oratorio si erano andate consolidando altre
eccellenze culturali, e cioè la fornitissima biblioteca e la ricchissima raccolta di medaglie (ed
altro ancora) donate ai Padri dell’Oratorio dal
canonico Domenico Federici.
Come giustamente faceva notare Aldo Deli,
quando l’abate Federici giunse a Fano nel 1681
“i filippini si erano già imposti alla considerazione dei cittadini sia per le iniziative e le metodologie pastorali sia per lo splendore della loro
chiesa che, sebbene non completata, era già ricca di pregevolissime opere […] La presenza del
Federici naturalmente fece guadagnare nuovo
prestigio e nuova considerazione alla comunità
oratoriana fanese perché l’abate vi giungeva con
una discreta fama di letterato gradito alla corte
di Vienna e con voce di diplomatico con un giro
di qualificate relazioni […]”3.
Abbiamo provato a cercare le prove più significative di questa meritata notorietà, non tanto
nei testi fanesi, passibili ovviamente di una certa
dose di campanilismo e sempre propensi a facili
esaltazioni e che pur velocemente citeremo per
primi, quanto in altri autori, soprattutto stranieri.
Vincenzo Nolfi (siamo negli anni Trenta del
XVII secolo) già raccomandava una sosta in
San Pietro in Valle. La frase che segue, tratta dal
suo Ginipedia overo avvertimenti civili per donna
nobile, dà un’idea molto precisa di quale possa
essere un itinerario cittadino consigliabile per
fare bella figura con un’amica forestiera:
A fronte
La volta affrescata dal Viviani
Se occorrerà servirla a spasso, procurerete di condurla ne’ luoghi più belli, e cospicui, e più frequentati della città, facendole vedere le cose più notabiL. Lanzi, Storia pittorica della
Italia, Firenze 1834, frontespizio
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LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO
Veduta della città di Fano, dal
dipinto di Alessandro Tiarini, San Paterniano in gloria
sopra la città di Fano (Fano,
chiesa di San Paterniano)
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LA “GALLERIA DI RARE PITTURE”
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LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO
V. Nolfi, Ginipedia overo Avvertimenti Civili per donna
nobile, Bologna 1662, frontespizio
li di quella, come la Cappella Nolfia nel Duomo,
la Chiesa di S. Patrignano, quella di S. Pietro,
la Divotione del Crocifisso, l’Arco di S. Michele,
che è una bellissima antichità, poscia che questo
fu fabbricato al tempo di Augusto, ed è di meravigliosa architettura, i Molini dentro la città, e il
Porto, discorrendone sempre come di cose singolari
in questa Patria, ma non già come delle meraviglie
del mondo4.
E non mancarono le visite importanti, come
quando il 23 maggio 1657 – racconta l’Amiani –
[…] la regina di Svezia Cristina Alessandra, la
quale giunta in Pesaro, andò a visitare l’Eremo
di Monte Giove abitato da Monaci Camaldolesi, e nello stesso giorno delli 23 sull’ore vent’una
entrata nella Città nostra [Fano] in compagnia
del Cardinale Omodei Legato d’Urbino, Imperiali
Legato di Ferrara, e Borromeo Legato di Romagna
portossi alla visita del Duomo, di S. Maria Nuova, di S. Paterniano, di S. Pietro, e in fine andata
la Regina in Casa di Francesco Sperandio, vide
con istupore una bella, e rara Galeria di Pitture, e
poscia ritornossene in Pesaro5.
Dunque anche una regina entra in San Pietro,
nonostante a quella data la chiesa fosse ancora incompleta di tante opere d’arte e l’oratorio
a fianco non potesse ancora esibire gli scaffali
pieni dei preziosissimi libri del Federici. Ma la
notorietà della nuova chiesa doveva essere già
grande, se anche i due padri bollandisti Godefroid Henschen e Daniel Papebroeck, partiti da
Anversa e diretti a Roma, non mancarono una
visita alla chiesa fanese. Ecco come Mario Battistini ha ricostruito, dopo la tappa pesarese, la
loro sosta a Fano nel novembre del 1660:
[…] ripresero il viaggio e, sul far della sera, arrivarono a Fano ‘parvum, sed honestum oppidulum,
sub insignis ad mare portus labri circumductus saxeo in formam oblongi octagoni, ad cuius extimas
scalas ingens 5 arcuum substructio exponendis de-
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serviens mercibus, super quam corona columnaris
ex ea, quae mare respicit, parte munitam datur
ingressus in urbem, continuoque ad laevam non
nihil deflectentibus occurrit. Ars lateritia justae
magnitudinis sed non satis bene curata’.
Là giunti andarono direttamente dal Rev. Matteo Gatti, già della Compagnia di Gesù ed allora
canonico della cattedrale, il quale viveva con un
fratello ‘a quibus amantissime et reverendissime
excepti, non potuimus charitatem Societatis ipsius desiderare’. Il giorno dopo, 30, dopo aver celebrato la messa, andarono a S. Paterniano degli
Scopetini ‘templum nobile, amplum et altum’,
con un coro luminoso. Visitarono dopo la chiesa dei
Francescani, ricca di decorazioni, S. Pietro, con un
magnifico altare dedicato a S. Martino; il monastero delle monache benedettine, con la elegante chiesa
LA “GALLERIA DI RARE PITTURE”
cò ampio spazio alla libreria che da pochi anni
l’abate Federici aveva trasferito nei locali della
congregazione; libreria già famosa e considerata
Ritratto di Cristina regina di
Svezia (dal Masetti)
una delle più ragguardevoli d’Italia sì per il numero sì per la scelta dei libri, contandosi fino a
quindecimila volumi, tutti egualmente legati
alla francese; viene valutata questa Libreria, con
il nobil museo delle medaglie che vi si vede, circa diecimila doppie. L’uno e l’altro tesoro, della
Libreria e del Museo, sono del Padre Domenico
Federici dell’Oratorio di S. Filippo, soggetto noto
per le cariche sostenute al servizio dell’Imperatore
regnante7.
Importantissima a questo punto la testimonianza di padre Giovanni Marciano, storico della
congregazione di Napoli, che con queste parole
racconta a tutta la comunità dei confratelli il fascino dell’oratorio fanese:
che ‘turriculam habel elegantissimam et in multis Antverpiensi nostrae similem, quoad partium
proportionem’ e nell’interno della quale notarono
specialmente l’altare dedicato a S. Michele. In ultimo Santa Croce, chiesa annessa all’ospedale, nella
quale era un altare dedicato a S. Francesco Saverio,
che si dice avesse curato gl’infermi in quel luogo pio.
Dopo pranzo, contenti di aver constatato come
‘tota urbe magna nostri Ordinis veneratio et expectatio apparet in civibus’, partirono da Fano
e, dopo un difficile viaggio, a cagione del vento,
avanti il tramonto giunsero a Senigallia6.
Altro viaggiatore curioso di fare una visita
all’oratorio fanese dei Filippini fu il conte di
Parma Carlo Emanuele Fontana, il quale, raccontando il suo viaggio attraverso l’Italia, dedi-
[…] Per sì vaghe pitture, e per la ricchezza dell’oro,
e per la bellezza, e magnificenza della costruttura
riesce quella Chiesa una delle della città di Fano,
e de’ suoi contorni, onde ragionevolmente poco fa
affermai, che meglio che lo profano antico Tempio
dedicato alla Fortuna può vantare quella città il
nome di Fano per questo sacro, religioso, e vaghissimo Tempio.
Dopo l’ornamento, che reca a quell’Oratorio la sua
nobil Chiesa, aggiunge non picciol pregio alla medesima una sceltissima Libraria, che devesi annoverare tra le più nobili, e numerose d’Italia, poichè
costa di diecimila volumi legati tutti in corame
dorato, e sono degli autori più celebri di tutte le
professioni, onde la sua valuta si stima che ascenda
a ventiduemila scudi romani. Ad essa è annesso
un museo copiosissimo di medaglie antiche di ogni
genere. Ricchissimo e liberalissimo dono così l’una,
come l’altro del Padre Domenico Federici fanese
fatto alla Congregazione […]”8.
Montesquieu, passando nel 1728 per le Marche
di ritorno da Roma a Bologna, si sofferma guar-
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LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO
Catalogo delle pitture, che
si conservano nella Chiesa
de’ PP. della Congregazione
dell’Oratorio di Fano sotto il
titolo di S. Pietro in Valle con
la notizia degli Autori delle
Medesime, Fano 1759, frontespizio
da caso proprio nella “chiesa dei Padri Filippini”, definita “piuttosto bella, con due quadri del
Guido ed uno del Guercino”9.
Di J. C. Goethe (1710-1782), padre del celebre Wolfgang, abbiamo addirittura una lettera
(del 19 marzo 1740) che, per quanto criptica, ci
testimonia tuttavia che la sua visita contemplò
anche la chiesa di San Pietro in Valle:
[…] Fano, cavalli marini, riflessione fisica circa la
stretta connessione de tre regni della natura, Cascada fuor della città. Chiesa di S. Teresia. L’archè
trionf. disegnato. Teatro privato. Francescani. S.
Pietro.[…]10.
Lo scienziato francese J.J. de Lalande, durante il suo lungo viaggio in Italia compiuto tra il
1765 ed il 1766, ebbe modo anche lui di fare
una sosta nella chiesa fanese. Ancor prima di
vedere il teatro, la cattedrale, l’arco d’Augusto
e le altre cose notevoli di cui è ricca Fano, lo
scrittore francese parte proprio dall’Oratorio
dei Filippini per iniziare il percorso attraverso
le meraviglie della città. Ciò ha portato Cesare
Selvelli ad ipotizzare giustamente che Lalande
“siasi appoggiato ai Padri Filippini”11, i quali
non mancarono di aprirgli anche la biblioteca
federiciana.
C’è da dire che, a parte le valutazioni personali
espresse su alcune opere d’arte, le segnalazioni
dello scienziato francese torneranno utili qualche decennio dopo agli agenti al seguito di Napoleone per asportare da San Pietro in Valle tele
del Reni e del Guercino. Ma leggiamo ora il suo
ricordo:
L’église de San Pietro de’ Padri Filippini est richement décorè; son architecture est en pilastres joniques canelés, mais un peu lourde. Les trois tableaux de sa voute de la nef, e& les trois de la voute
du sanctuaire sont de Viviani : il y a en peu de
couleur, mais il sont en general très maniérés &
incorrects.
Au maitre-autel est un tableau de Guide, rapré-
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sentant J.C. qui remit les clèfs a S. Pierre; il est
très froid & gris de couleur. Les deux tableaux de
cotés du sanctuaire ne sont pas mauvais; ils sont de
cantarini, Vénetian.
Au second autel de la nef à gauche, un S. Jean du
Guerchin, figure roide, dure de dessin & de couler.
La bibliotheque est composée de deux chambre ou
il y a 13 mille volumes: on y montre un tableau
répresentant Jesus-Christ, la Vierge & S. Jean, mal
peinte, en minaiature, mais dont le draperies, les
contours des figures, & les lacs d’amour en forme de
cadre, sont formés par les passions des quatre evangelistes écrits en petits caracteres, par Johan Michael Sehwerkardt, en 1676. […]12.
Una citazione meritano anche le cosiddette “Tavole Albrizziane” del 1763; un testo “illustrato, e
LA “GALLERIA DI RARE PITTURE”
di, ec. come dalla iscrizione sul Quadro Patres
Oratorii s. Phil. Nerii Congregationis Fanensis
a Nobili Hieronymo Gabrielli, publico juvante
Concilio, anno 1598 fundatae; illiusque opera, ac
Nobilium Francisci Equitis Marcolini anno 1623
Camilli Comitis de Monte Veteri anno 1695 perillustri Ecclesia instructae; a Dominico autem
Federici Abate Vasckae in Pannonia Congregationem ingresso, insigni librorum apparatu in publicum bonum a. 1720 donatae’.
Pitture. S. Pietro che sana uno storpio del Cantarini. S. Gio. Battista del Guercino, e S. Paolo che
libera un caduto dall’alto dello stesso. Gesù Cristo
che dà le chiavi a S. Pietro e la Nunziata di Guido.
S. Pietro che risuscita una Donna del Loven Inglese. Due laterali a S. Paolo, e soffitto del Sordo, ecc.
Scolture. Testa in bronzo di s. Pietro, trovata nel
1600 nel Tevere in Roma. 2 Angioli in marmo del
Ferretti da Como.
Cose particolari. Libreria Federici, costata 10
mila Doppie.
Sigillo della Congregazione con quello dell’Istituto
di s. Filippo, montati ambedue dall’Arme di Fano.
Di questo abito vedi nel suddetto catalogo. I Servo di Dio. I Generale di Relig. I Graduato cospicuo. 2 Autori editi13.
A. Albrizzi, Quadro storicotopo-grafico della città di
Fano, Venezia 1763, medaglione relativo all’Oratorio
dei Filippini
L’irlandese Lady Sidney Morgan visitò Fano nel
1821 ed anche lei non potè fare a meno di appuntare nel suo libro Italy la visita alla biblioteca dell’abate Federici:
definito in sette Tavole” – come si legge nell’incipit – riguardante le cose più importanti della
città. Nella lista delle comunità secolari ed ecclesiatiche quella di San Pietro in Valle occupa un
posto decisamente di rilievo, dopo il “Consiglio
pubblico”, il “Capitolo della Cattedrale”, il “Seminario Vescovile” e il “Collegio Nolfi”:
[…] La chiesa coll’Oratorio dicesi un giojello per
marmi, stucchi, dorature, pitture, e ricchi arre-
Fano si presenta come la tipica città italiana grazie
alla sua posizione vicina al Metauro, fiume della
classicità, alle sue dirute fontane, alla sua statua
tutelare e al ruinoso arco di trionfo, e così ripaga
ampiamente il viaggiatore che fa quello che pochi
viaggiatori fanno: scende cioè di carrozza, passeggia lungo le strade e visita la sua biblioteca[…]14.
Pressocchè coeva è anche la testimonianza di M.
Valery, pseudonimo di Anton Claude Pasquin
(1789-1847), bibliotecario reale a Versailles, che
così annota le sue impressioni dopo la visita alla
183
LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO
città:
Alcune pitture sono notevoli. […] La chiesa di San
Pietro dei Filippini, molto graziosa, ha un‘Annunciazione in pessimo stato, del Guida [Guido
Reni].; un Miracolo del Santo, capolavoro del suo
abile e vanitoso emulo Simone da Pesaro [Cantarini].[…]15.
Nel 1898 uscivano poi contemporaneamente
due pezzi dedicati alla chiesa. Un saggio a firma di Giuseppe Scipione Scipioni sulla “Rassegna Bibliografica dell’Arte Italiana”, diretta dal
professor Egidio Calzini, ed un profilo del professore Gustavo Strafforello nella sua Geografia
dell’Italia dedicata alle Marche. Dello Scipioni,
che molto si dilunga nell’elencazione delle opere e delle decorazioni della chiesa, è già importante la premessa:
Uno dei più belli monumenti dell’arte del seicento
nelle Marche è certamente la chiesa di S. Pietro in
Valle di Fano: non soltanto per la sua architettura che ricorda la fastosa chiesa del Gesù di Roma,
ma anche per le pitture e sculture che l’adornano.
Talchè la si potrebbe dire una galleria dell’arte secentistica.
Né dicendo secentistica intendo arte da condannarsi: troppo s’è sbrigliata la fantasia nel rappresentare come orribile o per lo meno stravagante e
di pretta decadenza l’arte di quel secolo che pure
è dei più tragici e grandiosi che la storia ricordi.
Ora per fortuna nuovi e più pazienti studi vanno
riproponendola sotto più giusto punto di luce; e
quando saranno in tutto scomparse le preoccupazioni retoriche che tuttavia ci annebbiano la vista
e si guarderà con occhio più sereno e con più cura a
quell’architettura e a quella pittura davvero caratteristiche una nuova e non meno splendida pagina
potrà aggiungersi alla meravigliosa storia dell’arte
italiana. Finora i più si sono fermati al cinquecento, e inebriati di quello sfolgorìo, hanno chiuso
gli occhi a tutto il resto, come se l’arte non fosse
anch’essa rappresentazione della vita e non dovesse con la vita cangiare d’aspetto. Ma a più indizi
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si può argomentare che specialmente per la pittura
e più particolarmente della Scuola bolognese, uno
studio accurato anche dell’arte secentistica si va risvegliando, sebbene troppo esclusivamente ancora
si ricerchino i maestri, dimenticando i non meno
importanti discepoli, in special modo marchigiani.
Il tempio di S. Pietro in Fano ha opere dei maestri
e dei discepoli[…]16.
Questo invece per intero il passo dello Strafforello:
Magnifico tempio, eretto con disegni del Cavagna,
architetto della Santa Casa di Loreto donati nel
secolo XVII. Tutte le cappelle sono ricche di marmi,
stucchi, ed affreschi, tra i quali notansi quelli della
volta, eseguiti dal Viviani e rappresentanti i Fatti
dei Santi Pietro e Paolo. All’altar maggiore è una
copia del quadro di Guido Reni, con San Pietro
che riceve le chiavi, eseguita da Carlo Magini. A
destra è il capolavoro di Simone Cantarini da Pesaro, una tela cioè rappresentante San Pietro che
libera lo storpio. I Due Angeli all’altar maggiore
sono del Ferretti da Como. Ricorderemo inoltre: il
San Carlo Borromeo, quadro del Guerrieri; San
Paolo che risuscita il giovane Euticchio, del Garbieri Lorenzo; l’Annunciazione, di Guido Reni,
vero portento dell’arte17.
Non possiamo concludere questo articolo senza
citare alcuni profili che per tanto tempo fecero da medaglioni nelle guide storiche fanesi tra
XIX e XX secolo. Il primo è tratto dalla Breve
guida statistica storica artistica della città di Fano
del cavalier Massimo Fabi e dell’abate Evaristo
Francolini (1863), uscita immediatamente dopo
l’Unità d’Italia:
E’ questo il più bel tempio di Fano, eretto sul principio del secolo XVII per Giovanni Battista Cavagna, architetto della Santa Casa di Loreto. Tutte
le cappelle sono ricche di marmi, di stucchi e di
pregevoli affreschi, dei quali si rimarcano in primo
luogo quelli della volta del tempio, opera distintis-
LA “GALLERIA DI RARE PITTURE”
sima di A. Viviani, detto il Sordo di Urbino, rappresentanti i fatti dei SS. Pietro e Paolo. Bellissima
è la cupola, fregiata di pitture, sculture e dorature,
e tutta la costruzione di questa chiesa è in tale armonia, che non di leggieri è dato scorgere l’eguale
fra le tante altre delle Marche. Sarebbe perciò assai desiderabile che chi presiede alla cosa pubblica,
si prendesse pensiero di mantenere con gelosa cura
questo capo d’opera fatto eseguire in parte dalla
munificenza di un cittadino fanese Conte Cammillo di Montevecchio […]18.
Il secondo medaglione è ne Le cento città d’Italia
curato da Ariodante Manfredi che così inizia a
descrivere Fano:
Città dell’Italia centale, provincia di Pesaro con
19.645 abitanti. Sorge sulla riva del mare Adriadico tra le foci dell’Arzilla e del Metauro con un
porto formato da un ramo di questo fiume incanalato dall’arte. Fano è molto ben fabbricato e possie-
de molti notevoli edifizii, fra quali primeggiano un
bellissimo teatro, opera di Giacomo Torelli, forse
uno dei migliori d’Italia; la Cattedrale S.Petronio,
S.Pietro dei Filippini ed altre chiese decorate di
pregiate pitture del Guercino, del Perugino, del ,
di Raffaello, del Sassoferrato, e principalmente per
gli affreschi del Domenichino che ammiransi nella
Cattedrale […]19.
Il terzo medaglione è nella Guida di Fano curata
dal maggiore storico cittadino del Novecento,
l’ingegnere Cesare Selvelli, il quale dedicò alla
città ripetute riedizioni del suo testo. Quello
che segue è il brano nella sua prima edizione;
una breve asciutta introduzione alla chiesa,
come era nel suo stile razionale e concreto:
[…] E’ bello ed è veramente signorile questo tempio, ricco, ma non pesante, d’oro, di stucchi, di
pitture e di marmi. L’architetto ha obbedito alla
inclinazione cui si abbandonava allora l’arte sua,
ma conserva ancora le correttezze del periodo precedente20.
Concludiamo questo saggio segnalando un
racconto, Gli Angeli, tratto dal libro di Giulio
Colavolpe Severi, Fano dei misteri21. La storia
è ambientata nella chiesa di San Pietro in Valle
ed ha come soggetto gli angeli (da cui il titolo)
che numerosi affollano le pareti. Una storia bellissima e ben narrata, esempio vivo ed attuale
– se ce ne fosse ancora bisogno – per dimostrare
quanto fascino continui ad esercitare lo spazio
ricco e misterioso di questa chiesa; uno spazio
straordinario che, nonostante il degrado odierno e le spoliazioni, colpisce ancora chi la visita,
stimolando curiosità e fantasie.
185
LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO
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LA “GALLERIA DI RARE PITTURE”
Veduta e Pianta della città di
Fano, sec. XIX (Fano, Biblioteca Federiciana). Il numero
6 indica il campanile e la cupola di San Pietro
187
LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO
Note
1. Si tratta della descrizione che accompagna La Madonna e il
Bambino nella cappella di destra della chiesa. L. Lanzi, Storia pittorica dell’Italia, Bassano 1795-1796 oppure 1809, ristampa a cura
di M. Cappucci, Firenze 1968-1974, p. 377. Nel testo del Lanzi
vale anche soffermarsi per altre opere e per altri artisti citati (Guido Reni, Simone Cantarini, Lorenzo Garbieri…).” Luigi Lanzi
nasce a Treia nel 1732. Studia presso i Gesuiti e diviene poi abate
e professore di greco. Dopo la soppressione dell’ordine, nel 1775,
viene chiamato dal Granduca di Toscana, Pietro Leopoldo, alla
Galleria degli Uffizi di Firenze come vicedirettore ed antiquario.
Oltre alla citata Storia pittorica dell’Italia (1796), suoi sono pure
una Guida della reale Galleria di Firenze (1782) e un Saggio di
lingua etrusca e di altre antiche d’Italia (1789) Presidente dell’Accademia della Crusca, muore nel 1810 a Firenze, dove è sepolto
nella basilica di Santa Croce. Per i suoi studi e le ricerche svolte,
il Lanzi è unanimemente considerato uno dei fondatori della moderna storiografia artistica.
2. Scrive P. Giuseppe Francesco Fontana nella sua storia delle Congregazioni: “Dopo la morte di questo santo Fondatore [San Filippo Neri] il di lui Istituto fece de’ nuovi progressi. Gallonio, che di
lui ne scrisse prima d’ogni altro la vita, data da lui alla luce sul cominciare del 1600, dice, che oltre gli Oratori di Roma, di Napoli,
di S. Severino, e di Lanciano, che erano insieme uniti, ve n’erano
quattro altri, quelli cioè di Lucca, Fermo, Palermo e Camerino,
e che trattavansi attualmente sei altre fondazioni, in Fano, Pavia,
Vicenza, Ferrara, Tosone nel Chablais nella Diocesi di Ginevra, e
nella Madonna delle Grazie nella Diocesi di Frejus in Provenza.
Da quel tempo in poi sono seguite dell’altre fondazioni in Italia. P.
Giuseppe Francesco Fontana, Storia degli ordini monastici, religiosi
e militari e delle Congregazioni secolari, Tomo Ottavo, Lucca 1739,
p. 25. Cfr A. Gallonio, Vita Beati P. Philippi Neri, Roma 1600.
3. A. Deli, I preti dell’Oratorio di Fano, in Biblioteca Federiciana
Fano, a cura di F. Battistelli, Firenze 1994, p. 27.
4. V. Nolfi, Ginipedia o vero Avvertimento civile per Donna Nobile,
Venezia 1662, pp. 211-212. Cfr. A. Deli, op. cit., p. 27 e nota 10.
5. P. M. Amiani, op. cit., vol. II, p. 292. Cfr. A. Mabellini, Cristina
regina di Svezia in Fano nel 1655, in “Studia Picena”, V (1929), p.
158. A. Mabellini, Cristina di Svezia in Fano nel 1655, in “Fanestria” Fano 1937, p. 48; M. Belogi, Monte Giove un eremo camaldolese a Fano, Fano 1996, pp. 48-52.
6. M. Battistini, I padri bollandisti Henschenio e Papebrochio nelle Marche nel 1660, in “Atti e memorie della R. Deputazione di
storia patria per le Marche”, serie IV, vol. X, Ancona 1933, p. 95.
7. C. E. Fontana, La nobile, e virtuosa Italia mostrata in epilogo,
Parma 1696, pp. 86-87. Cfr. A. Deli, op. cit., p. 28 e nota 12., il
quale cita anche altri due testi per dare conferma di quanto Federici e le sue collezioni di libri e monete avessero eco in tutta Italia.
Cfr. F. Mezzabarba Birago, Imperatorum Romanorum Numismata,
Milano 1863. e G. Marciano, Memorie istoriche della Congregazione dell’Oratorio, Napoli 1698, t. III, lib. 2°, p. 148. Carlo Emanuele Fontana (1678 c..-1730 c.) risulta nel 1693 paggio alla Corte
di Ranuccio Farnese. Viaggiò per le principali città d’Italia alla
ricerca di notizie e materiali relativi agli stati italiani poi pubblicati
nell’opera qui citata.
8. P. G. Marciano, op. cit., Tomo terzo-Libro secondo, Napoli
1698, pp.145-165.
9. Montesquieu, Viaggio in Italia, a cura di Macchia e M. Colesanti, Roma-Bari 1971, p. 298. Charles-Louis de Secondat, ba-
188
rone dela Brede e de Montesquieu, più noto come Montesquieu
(1689-1755), filosofo, giurista e scienziato francese, fu anche un
grande viaggiatore. Nel 1728 fu in Italia, poi documentò col suo
resoconto di viaggio qui sopra citato.
10. La citazione si trova nella lettera XX pubblicata in Viaggio per
l’Italia fatto nel anno MCCXL, Ed. in XLII lettere [1741].
11. Della tappa fanese di de Lalande si è occupato C. Selvelli, Viaggio in Italia d’un francese del ‘700, in “Studia Picena”, V
(1929), pp. 55-65 e N. Cecini, La lettera furtiva: trattati e memorie
di un viaggio nel Settecento per un patrimonio artistico involato in
una provincia marchigiana, in L’arte conquistata, a cura di B. Cleri e
C. Giardini, Modena 2003, pp. 41-47, il quale avvalora la tesi del
Selvelli circa l’appoggio dei Filippini visto che sostenendo che “si
sofferma a descrivere in dettaglio la chiesa di San Pietro in Valle,
officiata dagli stessi. “ Cfr. C. Giardini, op. cit., p. 86.
12. M. De La Lande, Voyage en Italie, Chez laVeuve Desaint Libraire, Paris 1776, volume ottavo, pp. 173-174. Jerome Lalande
(1732-1807) astronomo e direttore dell’Osservatorio di Parigi dal
1895 al 1801, è rimasto famoso, oltre che per le sue scoperte scientifiche, anche per questo suo lungo diario di viaggio.
13. A. Albrizzi, Quadro storico-topografico della città di Fano, Venezia 1763.
14. L. S. Morgan, Italy, Londra 1821. Lady Sidney Morgan
(1783-1821), saggista di origine irlandese autrice di un volume su
Salvador Rosa, negli anni 1819-1820 compì un viaggio in Italia
dal quale nacque un celebre libro, Italy, apparso a Londra nel 1821
e contemporaneamente in francese a Bruxelles. A. Brilli (a cura di),
Le Marche e l’Europa. Viaggiatori stranieri fra il XIX e il XX secolo,
Cinisello Balsamo 1997, pp. 23 e 32.
15 A. C. Pasquin, Voyage historique, littéraire, et artistique en Italie,
Parigi 1835. M. Valery è lo pseudonimo con cui Antoine Claude
Pasquin (1789-1847) pubblica il suo Voyage dopo aver effettuato
tre viaggi nel nostro Paese nel 1826, 1827 e 1828. Il Pasquin era
bibliotecario reale a Versailles e al Trianon. Cfr. A. Brilli (a cura
di), op. cit., p. 42.
16. G.S. Scipioni, La chiesa di San Pietro in Valle, in “Rassegna
Bibliografica dell’Arte Italiana”, anno I, fasc. 11-12 (1898), pp.
229-237.
17. G. Strafforello, La Patria - Geografia dell’Italia – Ancona, Ascoli
Piceno, Macerata, Pesaro e Urbino, Torino 1898, p. 348.
18. Breve guida statistica storica artistica della città di Fano, a cura
di M. Fabi e E. Francolini, Pesaro 1863, p. 19.
19. A. Manfredi, Le cento città d’Italia, G. Bestetti, Milano 1871,
p. 331.
20. C. Selvelli, Guida di Fano, Fano 1909, p. 33. In C. Selvelli,
Fano romana, medievale e moderna, in “Le cento città d’Italia illustrate”, Milano 1924, p. 8, l’autore così introduce la descrizione
della chiesa: “Non è grande, ma è bello e nobile questo tempio,
ricco, ma non pesante, d’oro di stucchi, di pitture e di marmi. Lo
costruì Giambattista Cavagna nel principio del seicento. Appartenne ai Filippini. Oggi è del Comune che, nella casa dei religiosi,
ha collocata la Biblioteca Federiciana (dotata di più di quarantamila volumi oltre le miscellanee di opuscoli e i manoscritti) e l’Archivio Storico, nel quale sono conservati anche molte pergamene e
i Codici Malatestiani che comprendono non soltanto i documenti
della signoria di Fano, ma pure quelli della signoria di Brescia e
di Bergamo […].” Qualche anno più tardi il Selvelli pubblicò un
altro medaglione sulla chiesa di San Pietro in Valle in Fano e Senigallia, Bergamo 1931, pp. 78-82, ricco di fotografie in b/n.
21. G. Colavolpe Severi, Fano dei misteri, Fano 2011, pp. 9-15.
LA “GALLERIA DI RARE PITTURE”
Interni della chiesa in due
foto d’epoca. Si notano ancora arredi e dipinti tutti al
loro posto (Fano, Biblioteca
Federiciana)
189
Giovanni Francesco Guerrieri nella Cappella di San Carlo Borromeo
La cappella di San Carlo è la seconda alla sinistra, ed è interamente decorata da opere pittoriche del
Guerrieri. Esse si distribuiscono in undici compartimenti - come minuziosamente descrive il Vernarecci1 - sei dei quali collocati in alto, sulla volta e nel coronamento dell’ancona; e cinque in basso.
Sulla volta, al centro, sta l’Apoteosi di San Carlo Borromeo, sollevato al cielo da angeli e da cherubini.
Ai lati sono due Fatti della Vita di San Carlo, piuttosto evanescenti già allo scadere del secolo scorso
e più ancora oggi. Sull’apice dell’altare, una composizione con la Vergine, il Bambino, San Giuseppe
e, davanti, un Santo Cardinale che, come già il Vernarecci aveva notato, non ha né le caratteristiche
del Borromeo, né quelle di San Girolamo. Si può agevolmente aggiungere, oggi, che questa tela è
comunque più tarda, sia pur non di molto, e che appartiene ad altra mano.
Sull’altare maggiore della cappella è San Carlo inginocchiato che, davanti al crocifisso, medita i Misteri della Redenzione. Sullo sfondo, indicato da un angelo, il Gethsemani. Ai lati, le due storie del
Santo, recentemente beatificato: ma prima di affrontarne la descrizione, completiamo l’assetto dei
partiti decorativi. Ai lati dell’arco della cappella, nel fascione, stanno due figure allegoriche eseguite
ad affresco, ed esattamente - a sinistra - l’Abbondanza, con la sua cornucopia; e a destra la Carità, in
atto di calpestare una corona e di andare all’elemosina. Ambedue le figure alludono probabilmente
alla vita e al pensiero del Borromeo.
Nel pavimento della cappella è la seguente iscrizione, probabilmente dettata dal committente della
decorazione2 autore più tardi, nel 1640, della fondazione del collegio fanese dei Gesuiti. Gli stemmi
sono infatti quelli della famiglia Petrucci e di quella dei Manasangue: SPES IN URNA CONIUGALIS FIDEI VOTO AMICIS CINERIBUS SEPULCRALE HOC SAXUM PETRI PETRUTII ET
ELISABETHAE MANASANGUE CASTUS AMOR DECREVIT.
La tela che si conserva sulla parete di destra della cappella, raffigura il nobile Antonio Petrucci, vestito
da mendico e nell’atto di incontrare San Carlo. L’episodio rinvia a quanto narrato e descritto nelle
memorie fanesi di Pier Maria Amiani (Fano 1752, parte II, p. 190). Negli ultimi giorni dell’aprile
1564, San Carlo passò da Fano per recarsi a Milano, e fu allora che, nei pressi del Ponte Metauro, il
Petrucci, dimessi gli abiti della ricchezza, gli si fece incontro coperto di poveri cenci. Annota il Vernarecci (p. 21) che San Carlo sembra essere appena uscito da una porta, forse quella del Santuario dello
stesso Ponte Metauro.
Nella tela apposita, è raffigurata la guarigione di un bambino nato cieco e ottenuta per le preghiere di
San Carlo Borromeo, come dagli atti della sua canonizzazione (si veda anche, in anni precedenti, la
versione datane dal giovane Guercino nella parrocchiale di Renazzo di Cento).
190
La Cappella di San Carlo
Borromeo
191
La volta affrescata della Cappella di San Carlo Borromeo
Antonio Petrucci e San Carlo
Borromeo
L’Abbondanza con la sua corucopia
192
San Carlo Borromeo inginocchiato
193
La visione di San Carlo Borromeo
Il restauro della bella pala d’altare, intervenuto nel 1988 e seguito del resto da quello delle tele laterali, ricordate da Vernarecci3 consente ora ben altra lettura che non fosse quella possibile in anni
andati. Da decenni infatti, la stupenda chiesa fanese aveva sopportato un lento, progressivo processo
di degrado. Le tele dipinte dal Guerrieri, anche in forza della sua tecnica materiale di consueto modesta, non sfuggivano ad un appassimento cromatico e ad una polverosità che ne ponevano in dubbio
l’esatto profilo di qualità.
Il complesso decorativo nella sua totalità, al contrario, assume un luogo di rilievo nell’arco della vita
artistica del Guerrieri, ed anche in connessione con il profilo adeguatamente elevato della condotta
materiale adottata. Segno evidente, anch’esso, dell’interesse posto dal fossombronese nella commessa di una chiesa che d’altronde sarebbe stato impossibile trascurare. La presenza di opere davvero
fondamentali per l’intero secolo barocco italiano, e a date che inaugurano di fatto il terzo decennio,
avrà anzi sospinto anche il Guerrieri ad un confronto di consistente impegno. Come si ricorderà,
San Pietro in Valle è di fatto un vero museo, e la sua decorazione è il risultato più alto dell’economia
e più ancora della politica di ‘immagine’ che la Chiesa romana aveva attivato su di una città che,
molto più di Fabriano, era già suo protettorato particolare ancor prima della devoluzione (1631).
Un primo intervento è quello della splendida Annunciazione commissionata a Guido Reni nel 1621,
seguita dalla Consegna delle chiavi a Pietro, trasferita in età napoleonica a Parigi, quindi depositata per
decenni e decenni nel piccolo museo di Perpignan, e oggi recuperata al Louvre. Si tratta di opere del
tutte estranee al riformismo naturalistico del nostro Guerrieri: ma è singolare che più tardi Simone
Cantarini - detto il Pesarese - in un’opera come il Miracolo dello Storpio (oggi conservato presso la Pinacoteca di Fano), finisca per congiungere due artisti, e cioè il Reni e il Guerrieri con tutto il rispetto
per le ineguali proporzioni, i quali confluivano nella sua poetica e proprio filtrando da San Pietro in
Valle. Il ricordo breve ma puntuale del Pesarese a riguardo dei brani di vita quotidiana proposti dal
Guerrieri, si mescola fino a scomparire del tutto in quella misura grande e di dignità umanistica che
il miracolo di San Pietro espone. E tuttavia, proprio da questa osservazione, che qui ripeto, fu possibile anni addietro muovere le prime considerazioni e le prime ricerche, a riguardo delle congiunture
marchigiane e bolognesi nei primi decenni del Seicento.
Forse - si argomentava già tempo addietro4 - il modello intero del ciclo borromeiano traeva, in generale, un’ispirazione non trascurabile da qualche episodio gentileschiano che oggi non conosciamo,
ma che in fondo è presente anche nel bellissimo San Carlo della chiesa di San Benedetto a Fabriano.
Qui affiora, di nuovo, quel medium atmosferico ombroso e notturno che abbiamo visto forse elaborarsi anche in un confronto con l’opera di Trophime Bigot e con la sua fortuna, ma che ora si esalta
in un confronto diretto con un concertato diretto caravaggismo di prima fila, dove si alzano i ricordi
oltre che del Gentileschi, di un Borgianni mai davvero dimenticato, e infine del Saraceni. A quest’ultimo, in modo particolare, mi sembrano spettare lo spartito chiaroscurale e l’emersione di un colore,
più ardito, perfino violento sotto la luce artatamente gettata in scena.
È del tutto probabile che l’ultimo lavoro romano, in anni come quelli compresi tra il 1615 e il 1618,
abbia messo in accelerazione altre novità ed altre suggestioni, rispetto al primo impegno naturalistico
della giovinezza, tra il 1608-10 ed il 1614. Nel secondo decennio avanzato, le presenze romane si
accrescono, l’ortodossia della prima ora caravaggesca si attenua: si infittiscono i propugnatori di un
naturalismo di ornati e di orpelli, tra stupefazione del naturale grottesco o fisionomico e meraviglia
del particolare emendato, polito, esaltato fino alla metafora. La natura morta sul tavolo, in primo
piano davanti alla finestra notturna che apre sulla solitaria preghiera del Gethsemani, è stata oppor-
194
La visione di San Carlo Borromeo (Fano, Pinacoteca Civica)
195
tunamente portata ai giusti livelli intellettuali e di spiritualità. In una rete molto vasta di allusioni,
o magari solo di ammiccamenti, si avverte crescere la personalità del Guerrieri: alla quale, tuttavia,
come abbiamo cercato di sottolineare anche in premessa, non è facile assegnare un luogo ed un modo
sufficientemente espliciti e di connotati riconoscibili. Il clima culturale e la convergenza di interessi
di stile prevede certo, nel quaderno piuttosto scarno del fossombronese, che sulla base citata dei
Gentileschi, dei Borgianni e ora del Saraceni, si vengano annotando altre connessioni: magari veloci,
come quella che sempre ritorna - e scompare col piemontese Pietro Vermiglio, fin dal 1612, oppure
col monferrino Musso. Mao Salini, nella sua larga e anche generosa vulgata del mondo romano, sembra essere un compagno di strada anche per il Guerrieri, talora. Per non parlare poi di Artemisia, che
in fondo mostra una specie di iniziale cammino parallelo: fatta salva la moralità cortese e di ambiente
raffinato della ragazza, e quella militante e parrocchiale del Guerrieri.
Ma, alla fine, la personalità dell’artista si rivela più indipendente di quanto non fosse lecito pensare,
soprattutto anni addietro. Sarà forse effetto di una sua cultura di qualche eclettismo combinatorio,
oppure di una condizione presto periferica, lontana dalle rumorosità immediate; eppure il Guerrieri
conduce avanti con folate che oggi si rivelano anche improvvise, perfino aggressive, dal suo atelier
aperto sulla campagna del Metauro, anche un fitto lavoro di indagine. Nella sua evoluzione verso
il più quieto territorio di stile che si distende dopo gli anni Trenta, e che tuttavia inizia proprio da
questa cappella di San Carlo Borromeo, non mancheranno le sorprese, perfino le innovazioni. La sua
è una personalità che è destinata a crescere, nonostante il degrado dei tempi e l’inabissamento della
provincia culturale ed economica.
Una versione del dipinto, eseguita su tela, si trovava presso la Finarte di Milano (oggi presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Fano), ed è stata sottoposta a restauro5. Si tratta, ad evidenza, di un originale di ottima fattura, del quale è possibile avanzare una datazione di poco successiva al 1630 circa.
Poiché, infine, la Visione di San Carlo Borromeo ha recentemente toccato anche la fortuna di una ottima mostra di livello europeo, a Caen, condotta sotto la direzione di Alain Tapié, vale credo la pena
di soffermarsi un attimo sulla sapiente interpretazione data a questo dipinto, collocato proprio nel
cuore del tema Les Vanités: “La composizione è una delle più originali che si possano immaginare.
Nella sua grande freschezza e spontaneità, il pittore afferma una sua volontà didattica che giunge a
rappresentare non soltanto il tema, che è la visione di San Carlo, ma anche il giusto modo di comprenderla […]. La visione appare sia nella finzione di un quadro che sta dentro il quadro, sia nella
realtà di un’immagine virtuale intravista nella finestra. Questo procedimento, tra i più esperti, infirma l’apparente ingenuità della finalità didattica; e ricostituisce un’unità di tempo e di luogo senza
venir meno e alla storia e alla natura attraverso un impiego, esclusivamente astratto, di emblemi e di
attributi. L’apparizione del Cristo e della Maddalena acquista così, dentro il quadro, lo statuto di immagine reale, storica, mentre lo studio di San Carlo è rimandato al mondo dell’immaginario, abitato
dagli angeli e dai simboli. AlIa fine, insomma, la posa del Santo si riassesta nel mondo naturale grazie
proprio alla localizzazione del soprannaturale nel ‘quadro’ della visione”6.
196
San Carlo Borromeo e il nobile Petrucci in abito di mendico
Questa versione del viaggio di San Carlo in terra di Fano si pone tra i risultati più cospicui del riformismo marchigiano, anche in ragione della narratività più immediata alla quale esso dà luogo. Era
in condizioni un po’ migliori rispetto alle altre tele della cappella, e questo anche anni addietro dava
“agio di percorrere più attentamente il muovere di una sensibile trama pittorica, fatta di materia terrosa, di biacche ripetute e sovrapposte, nei panneggi tale da ricordare un lombardo”7. Su questa linea,
anche la definizione d’ambiente, con quel taglio alto e colorito del cielo, non dovrebbe aver mancato
la sua suggestione proprio sul più giovane Cantarini, come pure - aggiungiamo ora - sul Cagnacci o
sul Centino: e così anche la natura morta “una bisaccia, un cappellaccio a falda sul freddo gradino
gentileschiano, così ben aggiustata entro il vano riservatole dalla tradizione manierista” ritorna una
volta ancora a colpirci per la sua consistente autonomia. Annotavo ancora8 che, diversamente dal
ciclo di Sassoferrato, questa complessa decorazione di Fano promuove altre suggestioni e illumina
altri indirizzi nell’orizzonte della provincia marchigiana e più ancora montefeltresca, enucleando in
essa quel vasto triangolo che allaccia l’interno montano guidato da Fabriano e da Urbino alla base
litoranea che include lo spazio che va da Fano a Rimini almeno, e che lambisce anche il territorio
cesenate. Aumentano gli apporti di origine toscana e anche senese, del resto mai spenti proprio nella
mediazione continua operata dal Guerrieri. Il San Carlo con il nobile Petrucci non manca infatti
di ricordare una composizione analoga che l’Empoli aveva collocato in San Domenico di Pistoia, e
molte affinità possono ritrovarsi anche con l’Allori e quel gusto crescente di moda e di costume.
Un altro tema critico che pareva nascere, un tempo, dal cantiere di San Pietro in Valle, era quello che vedeva alcune esperienze poste qui in atto, soprattutto dal Guerrieri prima e dal Cantarini
dopo, ritornare per alcuni versi - magari di superficie, ma talora anche incisivamente - dentro quella
singolarissima miscela culturale di antico e di nuovo che è la decorazione pesarese dell’Oratorio del
Nome di Dio, e che è poi l’opera maggiore di Giovan Giacomo Pandolfi, preteso maestro di Simone
Cantarini. Un ottimo, recente contributo qual è quello di Grazia Calegari9 aiuta molto a disaggregare
le componenti della cultura violenta, espressiva e comunque molto interessante del Pandolfi, una
sorta di riepilogatore tardivo del manierismo nelle Legazioni, da Roma e da Taddeo Zuccari fino alle
novità del quadraturismo e della scenografia pesaresi, ma col tono di un William Blake collocato alle
porte del barocco.
197
San Carlo Borromeo e il nobile Petrucci in abito di mendico
(Fano, Pinacoteca Civica)
198
Il miracolo del nato cieco
(Fano, Pinacoteca Civica)
199
Il miracolo del nato cieco
La rara narrazione di questa tela si riferisce al miracolo che Carlo Borromeo fece ridonando la vista ad
un bambino della famiglia Nava che era nato cieco (1604). Essa, oltre che in questa versione fanese,
ricorre in un dipinto già nella collezione Cecconi a Firenze, variamente attribuito e già dal Longhi10
ricondotto alla primissima attività di Artemisia Gentileschi; per riaffiorare anche nel più noto dipinto
della Parrocchiale di Renazzo di Cento, che il giovane Guercino portò a compimento nel 1613-1411.
In questa redazione del Guerrieri “alla vivida colorazione […] di seppie chiare, di ocra e di altre terre,
si aggiunge qualche brano di impegno cromatico, come nella donna di destra e nel bambino che ella
regge” scrivevo quando il quadro non era stato ancora restaurato: “tanto da ricordare qualche buon
esempio bolognese, Massari o Guido tra il ‘15 ed il ‘20; o meglio ancora la fresca materia di Domenichino che allora aveva, da qualche tempo, dato termine al suo ciclo di cinque affreschi nella Cappella
Nolfi nella Cattedrale di Fano stessa”12.
Un ulteriore, diverso legame con la cultura del nord bolognese ed emiliano è poi attestato, a seguire,
nella stessa chiesa, così importante del resto, di San Pietro in Valle: “Non appare più uno splendido
caso di fortunata possibilità di sola lettura stilistica […] se alla distanza di forse neppure un decennio,
Simone da Pesaro, all’opera intorno alla grande tela del Miracolo dello storpio nel presbiterio della
chiesa, sembra rammentarsi in diretta di queste commosse divulgazioni naturalistiche del Guerrieri:
fino a porre […] un eguale motivo di donna nell’angolo di destra”: il quale suona oggi come espunzione immediata dal corpo di quella emozione raccolta sul campo, a Fano stessa. Naturalmente, oggi
ritengo che, per quanto precoce, la tela di Simone non possa datarsi prima del 1634-35, e per giunta
continuando ad ammettere la più grande incertezza a riguardo dell’attività giovanile del Pesarese e
della sua conseguente datazione. Il dipinto antistante, a cornu evangeli, è notoriamente del pittore
inglese e centese Matteo Loves: e per esso si accredita la data possibile del 1630-3213.
D’altronde, della stessa bottega di Guido, è proprio nella chiesa una Fuga in Egitto, ripresa da quella
originale dei Gerolomini di Napoli, dalla quale alcuni aspetti di costume possono essere stati, se non
ripresi, certo motivati. Ma su tutto, prevale quel gusto che congiunge il valore picaresco della natura
morta di cenci, effetto dei Borgianni famosi prima a Sezze (1608) e poi a Roma (1615), mediati
però entro gli effetti di più colorita atmosfera che si dovrebbero probabilmente chiamare saraceniani:
effetti che del resto hanno una consistente durata cronologica, capace di spingersi fino alla fine degli
anni Trenta e appunto a ridosso dei dipinti del Guerrieri - a quanto pensiamo di poter proporre oggi
- eseguiti nel passaggio tra gli anni Venti e gli anni Trenta del secolo.
Connessa a questo stesso ordine di problemi, e anche di cronologia, mi sembrava anni addietro essere anche quell’anonimo, ulteriore Miracolo di San Carlo di collezione privata fiorentina che trovò
il suo momento di notorietà nella mostra di Palazzo Pitti del 1922. “L’apparizione della medesima,
inconsueta iconografia, pur nella mascolina interpretazione che ne dà il Guerrieri in San Pietro […]
potrebbe già tornare a far supporre - come già in altre circostanze avvenne - l’esistenza di un prototipo di mano di Orazio Gentileschi a conforto delle variazioni che conosciamo da quello conseguire”14.
Naturalmente, era soprattutto il dipinto fanese che poneva la questione in quei termini ipotetici: infatti la versione di Renazzo, del Guercino, rinvia poi anche a modelli più immediatamente emiliani,
quali un disegno di cucina e donne, molto bello, di Annibale, e il dipinto di Lavinia Fontana nella
Trinità di Bologna. E tuttavia il tema di una comune discendenza rimane, al di là di queste parziali
suggestioni: ed è probabile che lo si troverà un giorno indagando tra le carte relative alla canonizzazione di San Carlo Borromeo e il programma iconografico da questo evento motivato.
200
Il sogno di San Giuseppe
È a proposito di questo dipinto, firmato e datato 1631, che il Lanzi15, riprendendo l’antica polemica
storiografica, non venne meno alla sua vocazione purista e classicheggiante, parendogli qui scorgere
“lo stile del Caravaggio mitigato nelle tinte e ingentilito nelle forme”. Annotavo nel 1958 che “il
primo termine del ritrovato paragone stilistico vien battuto in breccia dagli aggettivi che lo seguono
e che suonano né più né meno che come una sopraggiunta giustificazione dell’attività in chiave di
‘natura’ del Guerrieri”. Questo resta in ogni modo il modulo ricorrente nelle valutazioni e nei giudizi
della critica ottocentesca locale, dall’Antaldi al Giordani. Ma proprio a proposito di questo dipinto
occorre invece far emergere qualche diversa attenzione: per esempio, ora che esso è stato restaurato,
rivela di percorrere una linea tangente ad altre culture: quella dei pittori veronesi, quali l’Ottino
soprattutto, oppure quella di pittori genovesi, quali tra tutti il Fiasella. Quest’ultima citazione evoca
confronti abbastanza espliciti. Quanto alle presenze veronesi in area marchigiana, esse principalmente decorrono dalla costante e prestigiosa presenza di Claudio Ridolfi, un artista di tutta nobiltà e di
solido temperamento, dotato per giunta di una solida, concreta fedeltà al sistema nativo ma anche
aperto a immissioni e ad aggiornamenti di indole naturalistica. Il dare e l’avere tra costui, che apre la
sua bottega in Urbino prima e poi in area provinciale già nei primi anni del secolo XVII, e il Guerrieri
(ma poi anche il Cantarini), è continuo, intelligente e versatile16.
Alle spalle di questo venetismo cordiale, sembra però costituirsi - ben indagata dal Pasini17 - la presenza alla Barrafonda di Rimini, la popolare San Giuliano, dell’ancor bella anche se tardiva pala col
Martirio di San Giuliano, opera di Paolo Veronese assai più integra e pertinente al maestro di quanto
non si tramandasse. Eseguita nel 1587-88, essa è dotata anche di due monocromi con le Storie di
San Giuliano, che decorano l’ancona alle fiancate: due piccole tele che ci danno una specie di viatico
rinnovato al venetismo di pennello e di lumeggiato che di qui si era diffuso anche a sud: e penso alle
monocromate Celebrazioni del matrimonio di Federico Ubaldo della Rovere, l’atteso erede urbinate,
con Vittoria de’ Medici, conservate nel Palazzo Ducale di Urbino e eseguite nel 1621 dal Ridolfi.
Ma poi altri apporti veronesiani sono, sempre in San Giuliano di Rimini, e della stessa mano dei
monocromi, le figure in piedi e di formato naturale dei Santi Lorenzo Giustiniani e Giorgio, che il
Pasini stesso ha correttamente riferito alla mano di Pasquale Ottino, datandole per giunta intorno
al 1626. Oggettivamente, questo intervento di valore cromatico-naturalistico è molto importante
per i problemi che stiamo analizzando. Tornando comunque alla natura più evidente del dipinto di
San Pietro in Valle, ci sembra che la sua forza stia tutta dalla parte del naturalismo: che questa volta
non è soltanto itinerario o narrativo, ma colpisce proprio per l’intensità di carattere e per la ferma
intenzione, si direbbe, di colpire l’attimo notturno, di riportarne davanti a noi un’entità esistenziale
forte, sicura.
(AE)
201
Il sogno di San Giuseppe
(Fano, Pinacoteca Civica, già
nella Cappella dell’Annunciazione)
202
Note
* Il testo è tratto da A. Emiliani, Giovanni Francesco Guerrieri
da Fossombrone, Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, Nuova
Alfa Editoriale, Bologna 1997, pp. 109-115.
1. Vernarecci 1892, pp. 19 sgg.
2. Emiliani 1958a, pp. 37, 87 e passim; Carloni 1995, p. 223 e
p. 544, n. 104; Arcangeli 1995, p. 538, n. 97. Altra bibliografia:
Morselli 1993, pp. 260 e passim.
3. Vernarecci 1892, p. 20.
4. Emiliani 1958a, nn. 18, 19,20, pp. 82-85; Emiliani 1988,
p. 78, n. 8.
5. Ricerche in Umbria 2, 1980, n. 821 e fig. LIII, pp. 45-52;
Vendita Finarte, Milano, 17 dicembre 1987, 163 con ill.
6. Tapié 1990, n. 19, p. 126, tav. 127.
7. Emiliani 1958a, p. 85, n. 20.
8. Ibidem, p. 84.
9. Calegari 1989b.
10. Longhi, in “L’Arte”, XIX, 1916, p. 287, tav. 24. 0
11. Mahon, in Il Guercino, catalogo della mostra, 1991, n. 5, p. 24.
12. Emiliani 1958a, p. 84, n. 19.
13. Bagni 1986, tav. 8I.
14. Emiliani 1958a, p. 84.
15. Lanzi 1809, II; ms. Antaldi ed. 1936, p. 15 n. 2; Ticozzi
1830-33, II, p. 225.
16. Emiliani 1958a, n. 21, p. 86.
17. Pasini 1981, pp. 5-14.
203
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