Il diritto d'asilo
in Lombardia
Il quadro normativo e la rete territoriale dei
servizi d'accoglienza e integrazione
Rapporto 2007
Osservatorio Regionale
per l’integrazione
e la multietnicità
a cura di
Francesco Grandi
FONDAZIONE
ISMU
INIZIATIVE E STUDI
SULLA MULTIETNICITÀ
Regione Lombardia – Direzione Generale Famiglia e Solidarietà sociale
Via Pola 9 – 20124 Milano, Tel. +39 02 6765.1
www.famiglia.regione.lombardia.it
Fondazione Ismu
Via Copernico 1 – 20125 Milano, Tel. +39 02 678779.1
www.ismu.org
Coordinamento editoriale: Elena Bosetti
Editing: Hielen Tekeste Berhe
© Copyright Fondazione Ismu, Milano
Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata,
compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico, non autorizzata.
Stampato a Milano nel mese di marzo 2008
Signum s.r.l. - Bollate (MI)
1
OSSERVATORIO REGIONALE
PER L’INTEGRAZIONE E LA MULTIETNICITÀ
La Giunta Regionale, con provvedimento nr. 2526 del 5 dicembre 2000, ha deliberato di istituire l’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, approvandone il progetto relativo all’attivazione. In data 12 dicembre 2000 è stato sottoscritto l’accordo tra la Regione Lombardia, Direzione Generale Famiglia e Solidarietà Sociale e la Fondazione Ismu che ha definito
gli obiettivi e le attività per il perseguimento degli stesse. Con provvedimento nr. 20099 del 23
dicembre 2004 la Giunta Regionale ha deliberato la prosecuzione delle attività
dell’Osservatorio Regionale e in data 20 gennaio 2005 è stata rinnovata la convenzione tra la
Regione Lombardia e la Fondazione Ismu che consente di dare continuità al collegamento di
tutti i segmenti di conoscenza scientifica del fenomeno dell’immigrazione nella sua composizione e articolazione territoriale. L’Osservatorio, infatti, facendo convergere ruoli e competenze
e coniugando il lavoro di diversi enti di ricerca, analizza gli aspetti quantitativi e qualitativi
della popolazione immigrata, evidenzia le dinamiche riguardanti l’inclusione nel sistema produttivo e i processi di insediamento alloggiativo, affronta le problematiche sanitarie, rileva la
partecipazione al sistema scolastico di alunni con cittadinanza non italiana, svolge un monitoraggio sulle strutture di accoglienza in Lombardia e sui progetti locali per l’integrazione.
STRUTTURA OPERATIVA
Comitato Direttore
Propone le direttive generali per il piano esecutivo annuale. È costituito da:
Regione Lombardia – Direzione Generale Famiglia e Solidarietà Sociale
Umberto Fazzone (direttore generale)
Regione Lombardia – Unità Organizzativa Sistema Socio-Assistenziale
Rosella Petrali (dirigente)
Fondazione Ismu
Vincenzo Cesareo (segretario generale)
Comitato Direttore Integrato
Propone le direttive generali per il piano di lavoro annuale. È costituito da:
Regione Lombardia – Direzione Generale Famiglia e Solidarietà Sociale
Umberto Fazzone (direttore generale)
Rosella Petrali (dirigente Unità Organizzativa Sistema Socio-Assistenziale)
Antonello Grimaldi (dirigente Struttura Interventi e Servizi per l’Inclusione Sociale)
Clara Demarchi (responsabile Unità Operativa Servizi ed Interventi per l’Integrazione Sociale)
Fondazione Ismu
Vincenzo Cesareo (segretario generale)
Gian Carlo Blangiardo (responsabile Settore monitoraggio)
Valeria Alliata di Villafranca (responsabile Sezione consulenza enti Ce.Doc)
Osservatori Provinciali sull’immigrazione della Lombardia
Altre Amministrazioni e Enti locali
Comitato Scientifico
Predispone i progetti relativi al piano annuale ed è costituito da:
3
Regione Lombardia – Direzione Generale Famiglia e Solidarietà Sociale
Clara Demarchi, Antonello Grimaldi
Fondazione Ismu
Elena Besozzi, Gian Carlo Blangiardo, Vincenzo Cesareo
Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia
Anna Maria Crotti, Anna Maria Dominici, Rosa Spadaro
Università degli Studi di Milano Bicocca – Dipartimento di statistica
Patrizia Farina
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – Dipartimento di sociologia
Michele Colasanto
Università degli Studi di Milano – Dipartimento di studi sociali e politici
Alberto Martinelli
Università degli Studi di Milano-Bicocca – Dipartimento giuridico delle istituzioni nazionali ed
europee
Paolo Bonetti
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – Istituto giuridico
Ennio Codini
Politecnico di Milano – Dipartimento di architettura e pianificazione
Antonio Tosi
Caritas ambrosiana
Maurizio Ambrosini
Centro di ricerca Synergia
Luigi Mauri
Tavolo Interprovinciale
Anna Cinelli
Tavolo Interprovinciale
È costituito dai rappresentanti degli Osservatori Provinciali sull’Immigrazione della Lombardia. Indica in sede di Comitato Scientifico, mediante un proprio rappresentante, le linee programmatiche a livello di politiche territoriali.
Coordinamento generale del progetto presso la Fondazione Ismu
Vincenzo Cesareo (coordinatore)
Gian Carlo Blangiardo (vice coordinatore)
Coordinamento operativo
Valeria Alliata di Villafranca
Segretariato generale
Elena Bosetti
Ivana Di Lascio
Francesca Locatelli
Gianna Martinoli
Emanuela Rinaldi
Barbara Visentin
4
Gruppi di ricerca:
L’immigrazione straniera in Lombardia
Gian Carlo Blangiardo (responsabile scientifico), professore ordinario di Demografia, Dipartimento di statistica, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Patrizia Farina, (corresponsabile scientifico), professoressa associata di Demografia,
Dipartimento di statistica, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Elisa Barbiano di Belgiojoso, dottoranda in Statistica, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Maria Paola Caria, collaboratrice presso la cattedra di Demografia, Università degli Studi di
Milano-Bicocca
Alessio Menonna, collaboratore presso la cattedra di Demografia, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Livia Elisa Ortensi, dottoranda in Statistica, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Giuseppe Sciortino, professore associato di Sociologia, Università degli Studi di Trento
Laura Terzera, professoressa associata in Statistica, Dipartimento di statistica, Università degli
Studi di Milano-Bicocca
Laura Zanfrini, professoressa associata di Sociologia dei processi economici, Dipartimento di
sociologia, Università Cattolica del Sacro Cuore
Altre collaborazioni:
La rilevazione è stata realizzata da oltre cento rilevatori coordinati a livello provinciale da:
cooperativa Mediazione Integrazione, cooperativa Chance, cooperativa La Speranza, Agenzia
per la Pace, Giorgia Papavero, Federica Cicciriello, Claudia Cominelli, Amalia Rossi, Said
Boutaga, Cristina Taffelli, Enzo Mesagna.
Il coordinamento regionale è stato curato da Patrizia Farina e Giorgia Papavero, presso la Fondazione Ismu
Il lavoro
Michele Colasanto (responsabile scientifico), professore ordinario di Sociologia, Dipartimento
di sociologia, Università Cattolica del Sacro Cuore
Barbara Barabaschi, assegnista di ricerca, Dipartimento di sociologia, Università Cattolica del
Sacro Cuore
Mauro Bernasconi, collaboratore presso la Fondazione Ismu
Enrica Guanella, collaboratore presso la Fondazione Ismu
Francesco Marcaletti, dottore di ricerca in Sociologia, Dipartimento di sociologia, Università
Cattolica del Sacro Cuore
Egidio Riva, dottorando di ricerca in Sociologia, Dipartimento di sociologia, Università Cattolica del Sacro Cuore
La salute
Alberto Martinelli (responsabile scientifico), professore ordinario di Scienza politica, Dipartimento di studi sociali e politici, Università degli Studi di Milano
Daniela Carrillo, antropologa, collaboratrice del Settore sanità, Fondazione Ismu
Albino Gusmeroli, ricercatore sociale, collaboratore del Settore sanità, Fondazione Ismu
Nicola Pasini, professore associato di Scienza politica, Dipartimento di studi sociali e politici,
Università degli Studi di Milano
Armando Pullini, medico pediatra, collaboratore del Settore sanità, Fondazione Ismu
5
La scuola
Elena Besozzi (responsabile scientifico), professoressa ordinaria di Sociologia dell’educazione,
Dipartimento di sociologia, Università Cattolica del Sacro Cuore
Silvana Cantù, collaboratrice presso la Fondazione Ismu
Chiara Cavagnini, dottore di ricerca in Sociologia, Dipartimento di sociologia, Università
Cattolica del Sacro Cuore
Mara Clementi, collaboratrice presso la Fondazione Ismu
Chiara Colombo, dottoranda di ricerca in Sociologia, Dipartimento di sociologia, Università
Cattolica del Sacro Cuore
Maddalena Colombo, professoressa associata di Sociologia dell’educazione, Dipartimento di
sociologia, Università Cattolica del Sacro Cuore
Anna Maria Crotti, staff Direzione Generale, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia
Donatella Langialonga, collaboratrice presso il La.R.I.S, Università Cattolica di Brescia
Paola Lanzetti, collaboratrice presso il Dipartimento di sociologia, Università Cattolica del Sacro Cuore
Michele Marzulli, dottorando di ricerca in Sociologia, Dipartimento di sociologia, Università
Cattolica del Sacro Cuore
Emanuela Rinaldi, dottore di ricerca in Sociologia e metodologia della ricerca sociale, Dipartimento di sociologia, Università Cattolica del Sacro Cuore
Mariagrazia Santagati, coordinatrice del Settore scuola e formazione, Fondazione Ismu
Rosa Spadaro, responsabile area Successo formativo-intercultura, Ufficio Scolastico Regionale
per la Lombardia
Maria Teresa Tiana, staff Direzione Generale, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia
Mariangela Travagliati, dottore di ricerca in Sociologia, Dipartimento di sociologia, Università
Cattolica del Sacro Cuore
L’accoglienza, richiedenti asilo e rifugiati
Luigi Mauri (responsabile scientifico), direttore di Synergia
Valeria Alliata di Villafranca, responsabile Sezione consulenza enti Ce.Doc, Fondazione Ismu
Paolo Bonetti, professore associato di diritto costituzionale, Dipartimento giuridico delle istituzioni nazionali ed europee, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Ennio Codini, professore associato di Istitituzioni di diritto pubblico, Istituto giuridico, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Francesco Grandi, ricercatore responsabile Area studi immigrazione di Synergia
Caritas ambrosiana - Consorzio Farsi Prossimo
Associazione Naga Onlus
Volontariato e terzo settore
Maurizio Ambrosini (responsabile scientifico), professore straordinario di Sociologia dei processi migratori, Dipartimento di studi sociali e politici, Università degli Studi di Milano
Antonio Tosi (co-responsabile scientifico), professore ordinario di Sociologia urbana, Dipartimento di architettura e pianificazione, Politecnico di Milano
Meri Salati (coordinatrice del gruppo di ricerca), responsabile Centro studi, Caritas ambrosiana
Alfredo Alietti, sociologo, Università degli studi di Ferrara
Alessandro Annoni, collaboratore di ricerca
Carlo Berini, ricercatore di Antropologia, Istituto di Cultura Sinta
Giorgio Bezzecchi, esperto etnie nomadi, segretario nazionale Opera Nomadi di Milano
Claudia Biondi, responsabile area Rom-Sinti della Caritas ambrosiana
6
Alessia Cicuto, collaboratrice presso il Dipartimento di studi sociali e politici, Università degli
Studi di Milano
Alessandro Corradi, collaboratore presso il Dipartimento di studi sociali e politici, Università
degli Studi di Milano
Paolo Cottino, assegnista di ricerca, Dipartimento di architettura e pianificazione, Laboratorio
Casa e quartiere, Politecnico di Milano
Donatella De Vito, Casa della Carità, Milano
Denis Gabrieli, Associazione Sucar Drom
Sabrina Ignazi, collaboratrice area Rom-Sinti, Caritas ambrosiana
Maurizio Pagani, vicepresidente Opera Nomadi Milano
Giovanni Semi, ricercatore di Sociologia, Dipartimento di studi sociali e politici, Università
degli Studi di Milano
Rosi Spadaro, responsabile area Successo formativo-intercultura, Ufficio Scolastico Regionale
per la Lombardia
Marco Trezzi, sociologo, responsabile area Inclusione sociale cooperativa Intrecci, operatore
area Rom-Sinti, Caritas ambrosiana
Tratta e prostituzione
Patrizia Farina, (responsabile scientifico), Dipartimento di statistica, Università degli Studi di
Milano-Bicocca
Caritas Ambrosiana e Farsi Prossimo (segreteria), Milano
Associazioni: Casa Betel 2000, Brescia; Comunità Papa Giovanni XXIII, Crema; Impsex, Brescia; La Melarancia, Bergamo; Lule, Abbiategrasso e Milano; Micaela, Bergamo; Naga, Milano; Pantonoikia, Settala e Milano; Pianzola Olivelli, Cilavegna e Vigevano; Porta Aperta,
Mantova.
Altri enti: Ala, Milano; Caritas, Vigevano; Casa Costanza Gregotti, Vigevano; Casa di Ruth,
Mantova; Comunità Giulia Colbert, Crema; Comunità Santa Rosa, Cremona; Gruppo Mares,
Tradate e Varese; Istituto Suore Adoratrici Casa Nazareth, Como; Segnavia, Padri Somaschi,
Milano; La Grande Casa, Sesto S. Giovanni; Caritas Parrocchiale, Ospitaletto.
Livia Elisa Ortensi e Alessio Menonna, Dipartimento di statistica, Università degli Studi di
Milano-Bicocca (competenze statistiche)
Il monitoraggio degli interventi della Regione Lombardia
Antonio Tosi (responsabile scientifico), professore ordinario di Sociologia urbana, Dipartimento
di architettura e pianificazione, Politecnico di Milano
Roberto Cagnoli, collaboratore presso il Dipartimento di architettura e pianificazione, Politecnico di Milano
Sara Tosi, collaboratrice presso il consorzio Metis, Politecnico di Milano
Federica Verona, collaboratrice presso il Dipartimento di architettura e pianificazione, Politecnico di Milano
Banca dati
Gian Carlo Blangiardo (responsabile), professore ordinario di Demografia, Dipartimento di
statistica, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Alessio Menonna, collaboratore presso la cattedra di Demografia, Dipartimento di statistica,
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Francesca Locatelli, raccordo Fondazione Ismu e Direzione Generale Famiglia e Solidarietà
Sociale-Regione Lombardia
7
Indice
Premessa
pag.
11
Introduzione »
15
1. L’attuazione del diritto d’asilo nell’ordinamento
italiano »
29
»
29
»
38
»
43
»
47
»
49
»
72
»
77
»
77
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
1.6
Il diritto d’asilo nella Costituzione italiana
L’attuazione legislativa del diritto d’asilo in Italia fino
al 2007: la nozione di rifugiato, permesso di soggiorno
per motivi umanitari e protezione temporanea
Le nuove procedure di esame delle domande introdotte
dal 2005 e l’attuazione delle norme comunitarie
Lo scenario del diritto d’asilo dal 2008: le riforme della
disciplina legislativa italiana in materia di asilo a seguito
dell’attuazione delle direttive comunitarie
L’attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio,
del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica
di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta
Diritto d’asilo, disciplina dell’immigrazione, protezione
temporanea e politica estera di tutela dei diritti umani
2. La disciplina dell’accoglienza degli asilanti
2.1 Premessa
9
2.2
2.3
2.4
2.5
3.
Il “Sistema di protezione”
pag.
Il sistema di protezione come concretamente realizzatosi
»
Il sistema di finanziamento
»
La tutela in base alla legislazione ordinaria
»
78
81
85
90
Il monitoraggio dei servizi per richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione umanitaria in Lombardia
e i risultati dell’indagine »
Lombardia, terra di frontiera. Transiti, stabilizzazioni e
ritorni
»
Il disegno della ricerca
»
Il sistema dei servizi per casi territoriali
»
Traiettorie di relazione con i servizi: ostacoli e risorse.
Il punto di vista degli asilanti
»
Verso un modello lombardo? Alcune letture trasversali
»
166
178
»
197
4.1 Il momento della prima accoglienza
»
4.2 L’apprendimento della lingua italiana: uno strumento di
appartenenza
»
4.3 L’ingresso al centro Naga-Har: un modello di presa in
carico
»
4.4 La raccolta delle storie
»
4.5 Conclusioni e criticità aperte
»
5. L’esperienza di Caritas Ambrosiana e Consorzio
Farsi Prossimo »
5.1 Il caso di Varese tra buone pratiche locali e ipotesi di
modellizzazioni regionali
»
5.2 L’asilo in Italia e in Lombardia: problematiche presenti
e prospettive operative
»
200
Bibliografia
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
4. Il Naga-Har: un luogo da abitare. Dalla prima accoglienza al senso di appartenenza
95
95
99
100
206
210
214
217
219
219
241
»
253
Le pubblicazioni dell’Osservatorio Regionale
per l’integrazione e la multietnicità
»
257
10
Premessa
Il fenomeno dell’immigrazione evolve in Italia con dinamiche complesse e articolate. In questo contesto acquisiscono grande rilevanza quegli strumenti di osservazione che consentano una puntuale rilevazione del cambiamento in atto e
prevedano, pur all’interno di un paradigma della complessità, i possibili sviluppi.
Tra gli strumenti a disposizione della Regione Lombardia, l’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità si conferma nuovamente, alla luce delle
attività di ricerca e monitoraggio svolte nel 2007, un luogo particolarmente utile,
flessibile e valido non solo nell’osservare le caratteristiche del fenomeno migratorio e i cambiamenti geopolitici, ma anche nel monitorare gli interventi territoriali destinati alla popolazione immigrata e nel promuovere sperimentazioni
finalizzate a sostenere i processi di integrazione sociale all’interno del territorio
regionale.
L’analisi tempestiva dei cambiamenti in atto nel contesto migratorio nazionale ed europeo, dal punto di vista sociale, giuridico ed economico, consente
all’Osservatorio di anticipare i possibili effetti di tali fenomeni all’interno del
territorio lombardo. Si pensi ad esempio all’allargamento dell’Unione Europea a
Bulgaria e Romania e alle rilevanti novità in materia di condizione giuridica dei
rifugiati e dei richiedenti asilo. L’Osservatorio è inoltre uno strumento che facilita
il mantenimento dell’equilibrio sociale tra la cittadinanza e la popolazione immigrata. Un monitoraggio continuo e costante di queste tematiche consente infatti di
contestualizzare gli eventi di cronaca che, altrimenti, se interpretati isolatamente
rischiano a volte di creare tensioni a livello territoriale. Siamo pertanto convinti
che la conoscenza sia alla base di qualsiasi attività di governo.
La pluralità di enti che partecipano all’Osservatorio della Regione Lombardia
– oltre alla Fondazione ISMU, il Comitato Scientifico è costituto anche da Università pubbliche e private, società di ricerca sociale ed Enti pubblici – garantisce
una prospettiva multidisciplinare di alto valore scientifico, indispensabile allo
studio di un fenomeno così complesso come quello dell’immigrazione. La rete
11
degli Osservatori Provinciali sull’Immigrazione, inoltre, che collabora ormai da
diversi anni alla rilevazione dei dati, si conferma come una risorsa particolarmente valida nella raccolta dettagliata di informazioni sulle caratteristiche di aree
particolari del territorio regionale, per valorizzare ed evidenziare le specificità
provinciali del fenomeno migratorio.
Nel 2007, le attività di ricerca dell’Osservatorio Regionale sono proseguite
nelle tradizionali aree di studio quali il lavoro, la popolazione, la salute, la scuola e la formazione professionale, i progetti territoriali, il volontariato e il terzo
settore e i servizi di accoglienza. Nel corso dell’anno sono stati realizzati tre approfondimenti specifici su tematiche di estrema attualità. Il primo ha riguardato
l’imprenditoria etnica, un fenomeno che attualmente riveste un carattere strutturale nel territorio regionale e che costituisce uno dei fattori significativi della
crescita e della vivacità della microimprenditoria lombarda. Una seconda area di
attenzione è stata quella della tratta degli esseri umani che colpisce donne, uomini
e minori assoggettati a forme di sfruttamento e violenza fisica e psicologica.
Accanto alla migrazione di carattere economico, risulta sempre più rilevante anche l’immigrazione “forzata” derivante da fattori prevalentemente politici,
che obbligano il cittadino alla ricerca di un rifugio sicuro fuori dal suo Paese
d’origine. Il terzo approfondimento ha dedicato a questa categoria, in particolar
modo ai rifugiati e ai richiedenti asilo, uno studio che ha consentito non solo una
ricostruzione delle storie di vita di questi migranti “forzati”, ma anche una conoscenza più puntuale di tutti i servizi di accoglienza, istituzionali e non, a loro
indirizzati.
Le osservazioni e i risultati delle ricerche promosse dall’Osservatorio sono
validi strumenti di analisi della realtà sociale, economica, culturale del territorio
lombardo; strumenti a disposizione dei processi decisionali dei soggetti preposti
istituzionalmente alla definizione e alle scelte programmatiche degli enti di governo e degli Enti locali.
In linea con la programmazione regionale e i principali obiettivi di governo, che prevedono l’attuazione di azioni di integrazione sociale e culturale che
tendono a contrastare situazioni di povertà e emancipazione, l’Osservatorio anche quest’anno ha supportato azioni sperimentali di ricerca-azione volte alla realizzazione di tali obiettivi. Tutto ciò realizza i principi guida dell’anno europeo
2007 delle pari opportunità e dell’anno europeo 2008 del dialogo intercultuale,
promuovendo azioni efficaci in grado di migliorare le opportunità dei cittadini
stranieri e le loro capacità di dialogare all’interno della comunità locale sia da un
punto di vista linguistico sia da uno più operativo – quali l’accesso e l’utilizzo
dei servizi – attraverso la valorizzazione della cultura dell’integrazione sociale,
economica e culturale.
12
Le azioni promosse quest’anno dall’Osservatorio sono, ancora una volta, coerenti con dei principi ispiratori della Regione Lombardia, tra cui la centralità della
persona e del capitale umano. Per questo diventa strategico conoscere e individuare i bisogni dei cittadini e delle famiglie per poi assicurare un’informazione
completa e aggiornata ai cittadini stessi e alle istituzioni. L’auspicio è quello di
costruire un sistema in grado di garantire le condizioni per il migliore sviluppo
culturale, economico e sociale attraverso progetti, risorse e azioni che offrano ad
ogni cittadino la possibilità di esprimere al meglio il proprio potenziale.
Gian Carlo Abelli
Assessore alla Famiglia e Solidarietà Sociale
13
Introduzione
di Francesco Grandi e Paolo Borghi
Non solo immigrati
I risultati dell’indagine che si presentano in questo rapporto riguardano nello specifico le caratteristiche evolutive del diritto e delle politiche d’asilo in Italia e lo
sviluppo di servizi dedicati alla popolazione dei rifugiati, richiedenti asilo e titolari di protezione umanitaria (da qui Raru) nel contesto lombardo.
Sebbene dunque il presente lavoro non si configuri come un’indagine sui Raru
in Lombardia, tuttavia è qui necessario introdurre alcuni dei temi generali che una
definizione non giuridica dello status di asilante comporta, per comprendere in
quale misura questo profilo di migrante esprima una specificità sua propria, di cui
devono tener conto non solo le normative che regolano il riconoscimento amministrativo ma anche i processi di elaborazione delle politiche di accoglienza, protezione e integrazione che vengono implementate a livello nazionale, regionale
e locale. In altri termini, la problematizzazione della figura dell’asilante, proprio
nella prospettiva di un’indagine che ha voluto approfondire le caratteristiche della rete di servizi territoriali a esso dedicati, è utile per articolare e approfondire ulteriormente la nostra idea di integrazione e i criteri multidimensionali in cui essa
si può declinare e avverare attraverso lo sviluppo di politiche mirate ed efficaci.
I Raru appartengono a quei “flussi non programmati” che giungono nel nostro
paese fuggendo da condizioni di pericolo e rischio per la vita, di persecuzione
individuale, per ragioni di razza, religione, nazionalità, gruppo sociale d’appartenenza e opinioni politiche.
Si tratta di flussi che presentano tre caratteristiche principali:
– sono composti da soggetti entrati illegalmente ma non espellibili in quanto
tutelati da norme apposite del diritto internazionale e nazionale;
– nel caso dei richiedenti asilo non hanno uno sbocco immediato nel mercato
del lavoro;
– sono flussi migratori che presentano un costo particolarmente alto per il si15
stema di welfare locale, il quale è chiamato a farsi carico dell’assistenza di
soggetti particolarmente vulnerabili (Caponio, 2004a).
Il presente rapporto intende approfondire proprio le dimensioni di questa tripartizione sintetica, assumendo la prospettiva che siano innanzitutto le ragioni di
quella citata vulnerabilità e fragilità a costituire – pur non esaurendo il profilo
complesso e variegato delle traiettorie biografiche individuali – uno degli aspetti
distintivi o potenzialmente distintivi delle carriere migratorie dei Raru rispetto
agli altri percorsi d’immigrazione.
I risultati dell’indagine dimostreranno come alcuni elementi di distinzione che
qui si elencheranno possano essere maggiormente complicati e attenuati, tuttavia
è al fondo di questa potenziale differenziazione che si giocano le risposte particolari e le possibilità di attivazione di nuove formule di capacitazione degli individui e di supporto alla loro piena integrazione nella nostra società.
Il Raru, in fuga dal proprio paese, spesso non ha alcuna possibilità di definire neanche parzialmente il proprio progetto migratorio se non ormai durante il
viaggio, raccogliendo informazioni nell’ambito delle reti informali ed episodiche
che crea nel tragitto: la particolare condizione d’emergenza in cui si trova ne
condiziona fortemente le possibilità di movimento e la capacità di individuare il
paese di destinazione, di pianificare una serie di contatti prima della partenza per
verificare eventuali opportunità e forme di sostegno.
La migrazione per motivi economici o familiari implica spesso che nel candidato a emigrare si sia generato un immaginario di potenziale riscatto da condizioni socio-economiche insoddisfacenti o che si intraprenda il percorso di migrazione per mantenere uno status economico che si sente lentamente eroso nel proprio
paese d’origine. Per l’asilante non è questo pensiero a costituire il motivo della
partenza e, di contro, in molti casi, la migrazione forzata comporta l’accettazione,
nel contesto di arrivo, di condizioni di deprivazione sociale ed economica mai
prima sperimentati, con le ricadute psicologiche che questo riposizionamento può
comportare.
Le particolari dinamiche sottese alle migrazioni forzate implicano un’ulteriore
difficoltà nell’insediamento e nell’inserimento nel paese d’asilo. La mancanza o
comunque la minore estensione di una rete di supporto costituita da familiari e
connazionali fa sì che le problematiche connesse alla ricerca di un alloggio, di un
lavoro, di un supporto alla cura dei figli, possano risultare, almeno in una prima
fase, piuttosto gravose. Spesso la presenza di connazionali nel paese d’arrivo può
addirittura costituire un problema, qualora dentro quelle reti possano generarsi
dinamiche persecutorie simili a quelle da cui si fugge.
L’asilante inoltre vive spesso la preoccupazione per l’incolumità dei propri
famigliari rimasti nel paese d’origine o per l’impossibilità di sapere dove essi si
16
trovino.
Una distinzione potenzialmente dirimente e che interroga da vicino le dotazioni di risposta dei nostri sistemi di welfare è la condizione psico-fisica del Raru. A
differenza di quello del “migrante sano” che parte per lavorare, in alcuni casi il
corpo del rifugiato è un corpo che ha subito violenze fisiche e psicologiche, carico di una traumaticità che può inibire o rallentare i percorsi di integrazione.
A questo profilo idealtipico la presente indagine avvicinerà percorsi specifici e
testimonianze che mostreranno un campo di dinamiche maggiormente articolato
e profili meno dicotomici. Nello stesso tempo però, proprio questa complessità
e il tratto inedito di alcune sue dimensioni, rappresenterà il motivo di una riflessione sui possibili scenari di sviluppo dei nostri sistemi di risposta e sostegno ai
bisogni specifici che i Raru esprimono sui nostri territori.
Le migrazioni forzate nel mondo: dati e tracciati di scenario
Secondo le statistiche fornite dal rapporto Global Trends 2006. Refugees, Asylumseekers, Returnees, Internally Displaced and Stateless Persons (Unhcr, 2007) i
cui dati sono aggiornati al 31 dicembre 2006, sono 32,9 milioni le persone nel
mondo la cui condizione è stata oggetto di interesse dell’Unhcr, il 56% in più
dell’anno precedente. Tale cifra include diverse tipologie di condizioni di cui si
fa carico l’agenzia delle Nazioni Unite: rifugiati, richiedenti asilo, sfollati, rifugiati rimpatriati volontariamente, apolidi e altre persone che pur non rientrando
formalmente in nessuna delle categorie precedenti beneficiano dell’assistenza
dell’Unhcr1; dalle cifre sopra indicate sono esclusi invece i 4,3 milioni di rifugiati
palestinesi presenti nelle zone coperte dall’azione diretta dell’Unrwa.
L’incremento cospicuo rispetto all’anno precedente (a inizio 2005 erano 19,5
milioni le persone assistite e 20,8 milioni a fine anno con un incremento annuo
del 6%) è dovuto da un lato alla ridefinizione dei parametri per il calcolo delle
stime2, dall’altro dal crescente impegno istituzionale dell’Unhcr nell’assistenza,
in collaborazione con altri soggetti istituzionali, degli sfollati3. Sul totale della poPer una dettagliata descrizione delle tipologie di persone assistite si rimanda direttamente al rapporto (Unhcr, 2007: 3).
2
Una parte dei paesi sviluppati non è dotata di procedure sistematiche di registrazione dei rifugiati,
per questo motivo in questi casi il loro numero viene determinato attraverso una stima. Nel caso
degli Stati Uniti ad esempio, stabilito che il periodo medio affinché un rifugiato ottenga la cittadinanza è di circa dieci anni, il numero di rifugiati definito dalle ultime stime indica un incremento di
464mila unità, per un totale stimato di 844mila rifugiati.
3
La consapevolezza che nessuna delle agenzie delle Nazioni Unite avesse il mandato specifico e le
risorse sufficienti per assistere e proteggere autonomamente il crescente numero degli sfollati inter1
17
polazione assistita dall’Unhcr il 38,9% sono i cosiddetti sfollati, ovvero individui
che a causa di conflitti o calamità naturali si sono spostati in massa all’interno del
proprio paese o in quelli confinanti, il 30,1% sono rifugiati, il 17,7% sono apolidi,
il 2,3% richiedenti asilo e il 2,2% rifugiati rimpatriati volontariamente.
I rifugiati nel mondo
Le serie storiche fornite dall’Unhcr indicano che dal 2002 a inizio 2006 il numero
complessivo dei rifugiati nel mondo è sceso decisamente mentre i dati aggiornati
a fine 2006 indicano un numero di rifugiati pari a 9,9 milioni, il più alto degli
ultimi anni. Da gennaio a dicembre 2006 si registra un incremento di 1,2 milioni
di rifugiati, pari al 14,2% sul totale. Anche in questo caso le ragioni vanno ricercate sia nella ridefinizione delle procedure di calcolo statistico, che negli eventi
che hanno caratterizzato il periodo in questione, gli eventi connessi al conflitto
iracheno infatti hanno prodotto massicci spostamenti della popolazione verso la
Siria e la Giordania.
Nell’arco del 2006, le zone maggiormente interessate da una forte riduzione
della popolazione rifugiata sono state, come si evince dalla tabella qui di seguito
riportata, il Sudafrica (-17,8%) e l’Africa dell’Ovest (-30,6%), riduzione che si
spiega principalmente con l’efficace azione di rimpatrio volontario dei profughi
rispettivamente in Angola e in Liberia.
Il calo di rifugiati registrato in Europa (-12,2%) invece è dovuto sia all’affinamento del monitoraggio dei rifugiati in Germania partito nel 2005, il cui risultato è
una riduzione di 100mila unità, sia alla naturalizzazione da parte della Serbia, con
il conseguente accantonamento della richiesta di cittadinanza, di 37mila rifugiati
provenienti dalla Bosnia-Erzegovina e dalla Croazia. L’incremento dell’83,6% dei
rifugiati nelle Americhe è dovuto, come si accennava poco sopra, alla ridefinizione
dei parametri di calcolo utilizzati dall’Unhcr e la stessa ragione vale per la crescita
del 40,3% del numero dei rifugiati nelle aree individuate con l’acronimo Caswaname (Central Asia, South West Asia, North Africa and Middle East). Inoltre le
rilevanti variazioni nella presenza di rifugiati nel Corno d’Africa sono il risultato
dello spostamento di 20mila cittadini del Ciad profughi in Sudan e da una revisione della stima della presenza, sempre in Sudan, di rifugiati eritrei (+40mila).
ni nelle diverse zone del globo, ha condotto alla decisione da parte dell’Iasc (Inter-Agency Standing
Committee) di sviluppare una strategia comune tra le diverse agenzie impegnate su questo fronte
adottando un approccio collaborativo in grado di unire sforzi e risorse. Per far fronte alle persistenti difficoltà nell’approccio umanitario, la Iasc, nel dicembre del 2005, definì una nuova strategia
d’azione denominata “Cluster Approach” in base alla quale l’Unhcr avrebbe assunto il comando di
tre dei nove raggruppamenti di attività rivolte agli sfollati interni: protezione, ripari d’emergenza,
coordinamento e gestione dei campi profughi.
18
Tab. 1 - Popolazione rifugiata per aree territoriali coperte dall’Unhcr
Variazione annuale
V.a.
%
Aree territoriali Unhcr
Inizio 2006
Fine 2006
Africa centrale e Grandi Laghi
1.193.700
1.119.400
-74.300
-6,2
772.000
852.300
80.300
10,4
Est Africa e Corno d’Africa
Africa del Sud
228.600
187.800
-40.800
-17,8
Africa dell’Ovest
377.200
261.800
-115.400
-30,6
Totale Africa*
2.571.500
2.421.300
-150.200
-5,80
Caswaname**
2.716.500
3.811.800
1.095.300
40,3
564.300
1.035.900
471.600
83,6
Americhe
825.600
875.100
49.500
6,0
Europa
Asia e Pacifico
1.975.300
1.733.700
-241.600
-12,2
Totale
8.653.200
9.877.800
1.224.600
14,2
* Escluso Nord Africa 
**Central Asia, South West Asia, North Africa and Middle East
Fonte: Global Trends 2006. Refugees, Asylum-seekers, Returnees, Internally Displaced and Stateless Persons (Unhcr, 2007)
Nel complesso le attività di sostegno e assistenza messe in atto dall’Unhcr variano anche in funzione delle opportunità di integrazione e di autonomizzazione che
i paesi ospitanti offrono ai profughi. Anche nel 2006 sono state individuate delle
zone critiche dove meno del 75% della popolazione rifugiata ha potuto ricevere
una qualche forma di assistenza; i casi più rilevanti sono il Sudan dove si stima
che i rifugiati assistiti siano stati il 69% del totale nazionale, la Repubblica della
Tanzania (59%), lo Zambia (54%), l’India (7%), l’Armenia (5%), la Repubblica
Democratica del Congo (3%), la Giordania e la Siria, dove la percentuale dei
profughi assistiti si avvicina allo zero.
I principali paesi ospitanti
Anche nel 2006 il Pakistan continua a esser il paese d’asilo con il maggior numero di rifugiati con oltre un milione di persone che si trovano in tale condizione; a
questa cifra va probabilmente aggiunta una parte, ancora imprecisata al momento
della pubblicazione del rapporto Global Trends 2006, dei 1,3 milioni di afgani
che vivono al di fuori dei campi profughi dell’Unhcr e che non ricevono alcun
tipo di assistenza se non quella necessaria per l’eventuale rimpatrio volontario.
La Repubblica Islamica dell’Iran è il secondo paese per numerosità di rifugiati
ospitati sul proprio suolo (968.370 secondo i dati forniti dall’Unhcr aggiornati al
giugno 2007). Pakistan e Repubblica Islamica dell’Iran ospitano il 20% dell’inte19
ra popolazione mondiale di rifugiati. I 387mila afgani che dal Pakistan e dall’Iran
sono stati rimpatriati volontariamente nel corso del 2006 hanno ridotto rispettivamente solo del 4% e dell’1% le statistiche ufficiali sulla presenza di rifugiati in
questi paesi, dal momento che la maggior parte dei rimpatriati non rientrava nei
progetti di assistenza dell’Unhcr. Seguono per numerosità di rifugiati ospitati gli
Stati Uniti con 844mila, la Siria con 702mila individui per la maggior parte di
origine irachena e la Germania con 605mila rifugiati. Altri dati rilevanti riguardano la stima della presenza di rifugiati iracheni in Giordania che si aggira intorno
alle 500mila unità e il calo dei rifugiati (da 549mila a 485mila, -14%) in Tanzania
per il rimpatrio volontario di 43mila cittadini del Burundi e 24mila cittadini congolesi. I dati relativi all’Italia indicano la presenza alla fine del 2006 di 26.865
rifugiati e 886 apolidi.
I principali paesi d’origine
L’Afghanistan continua a essere il principale paese d’origine dei rifugiati. Alla
fine del 2006 sono 2,1 milioni i rifugiati afgani (il 21% della popolazione mondiale di rifugiati) presenti in 71 differenti paesi ospitanti. La popolazione di rifugiati iracheni è la seconda per grandezza, con 1,5 milioni di persone distribuite
prevalentemente nei paesi limitrofi (1,2 milioni solo in Giordania e Siria); dai dati
forniti dall’Unhcr il numero dei rifugiati iracheni, a causa dell’instabilità politica
di cui soffre il paese, si è quintuplicato nell’arco del 2006. Il terzo paese da cui
parte il maggior numero di rifugiati è il Sudan con 686mila cittadini costretti ad
allontanarsi a causa di conflitti interni, seguito dalla Somalia, paese d’origine di
460mila rifugiati (con un incremento del 18% rispetto al 2005), dalla Repubblica
Democratica del Congo e dal Burundi ognuno dei quali è il paese d’origine di
400mila profughi. Nell’arco del periodo che va da gennaio a dicembre 2006 si
riscontra una crescita del 33% del numero di rifugiati turchi presenti in Germania
di rifugiati provenienti dalla Bosnia-Erzegovina negli Stati Uniti (+82%) e di rifugiati di origine eritrea in Sudan (+30%). Il numero totale di rifugiati provenienti
dal Myanmar è cresciuto del 23% nel corso del 2006 (8.600 rifugiati presenti sul
territorio della Malesia e 15,8mila rifugiati in Thailandia). Viene rilevato inoltre
un incremento di rifugiati provenienti dalla Somalia in Yemen e Kenya.
Nel corso del 2006 inoltre sono stati rilevati decrementi significativi del numero di rifugiati provenienti dall’Azerbaijan (-46%), dovuto al processo di naturalizzazione messo in atto dall’Armenia nei loro confronti e una significativa riduzione dei rifugiati provenienti dalla Liberia (-31%) dal Burundi (-10%) e dalla
Repubblica Democratica del Congo (-7%) in virtù dei rimpatri volontari.
20
La revisione delle stime dell’Unhcr o le migliori condizioni polico-sociali hanno portato alla riduzione delle stime relative ai rifugiati provenienti dalla Croazia
(-25mila unità), dalla Serbia (-16mila unità), dal Togo (-24mila unità).
I richiedenti asilo
Nel 2006 sono state presentate 596mila richieste d’asilo agli uffici governativi e
agli uffici dell’Unhcr in 151 paesi. Si stima che in questo stesso anno siano state
depositate per la prima volta 503mila richieste d’asilo. Il totale delle richieste
presentate nel 2006 è inferiore dell’11% rispetto all’anno precedente quando ne
sono state presentate complessivamente 674mila. Molte delle richieste sono state
presentate in Europa (299mila), in Africa (159mila), nelle Americhe (53,5mila)
e in Oceania (7.100); tali cifre includono anche le richieste inoltrate nuovamente
dopo essere state rigettate la prima volta.
Tab. 2 - Nuove richieste d’asilo e ricorsi ricevuti nel 2006
 
Governo
Unhcr
Congiuntamente*
2003
2004
2005
2006
774.000
604.000
576.800
480.900
61.800
75.500
89.300
91.500
4.900
1.800
7.900
23.800
7,0
11,0
13,0
15,0
% Unhcr
* Il dato si riferisce alle procedure di riconoscimento ricevute congiuntamente da Governo e Unhcr.
Fonte: Global Trends 2006. Refugees, Asylum-seekers, Returnees, Internally Displaced and Stateless Persons (Unhcr, 2007)
Il Sudafrica è uno dei maggiori Stati riceventi richieste d’asilo: nel 2006 sono
state 1/10 del totale e, negli anni che vanno dal 2002 al 2006, ha ricevuto nel
complesso 205mila richieste. Al secondo posto si trovano gli Stati Uniti con
50,8mila richieste ricevute nel 2006, seguiti dal Kenya (37,3mila), dal Regno
Unito (27,8mila), dalla Svezia (24,3mila), dal Canada (22,9mila). Il numero più
elevato di richieste d’asilo proviene da cittadini somali (45,6mila), seguiti dai
cittadini iracheni (34,2mila), dai cittadini dello Zimbawe (22,2mila), dell’Eritrea
(19,4mila), della Cina (19,3mila) e del Ruanda (19,2mila). Mentre il 60% dei
cittadini somali richiedenti asilo ha inoltrato la richiesta in Kenya, i richiedenti
asilo iracheni hanno inoltrato la richiesta in 70 differenti paesi fra cui la Svezia
(9.000) che ha visto quadruplicare queste richieste nel 2006, i Paesi Bassi (2.800)
e la Germania (2.100). La maggior parte delle richieste d’asilo inoltrate da cittadini dello Zimbawe si concentra in Sudafrica (19mila) e nel Regno Unito (2.100)
21
mentre le richieste dei cittadini eritrei si concentrano in Sudan (8.700), nel Regno
Unito (2.700), in Etiopia (2.700) e in Svizzera (1.200).
L’Unhcr stima che nel 2006 siano state valutate 691mila richieste d’asilo, il
17% in meno dell’anno precedente, quando ne sono state valutate 834mila di cui
192mila archiviate per ragioni burocratico-amministrative senza una decisione
presa nel merito.
Tab. 3 - Deliberazioni assunte nel merito
 
Governi
2003
2004
2005
2006
676.100
579.400
505.200
426.100
39.900
45.400
60.100
56.400
2.500
500
5.200
16.800
6
7
11
11
718.500
625.300
570.500
499.300
Unhcr
Congiuntamente*
% Unhcr
Totale
* Si riferisce alle deliberazioni sullo status di rifugiato assunte congiuntamente da governo e Unhcr.
Fonte: Global Trends 2006. Refugees, Asylum-seekers, Returnees, Internally Displaced and Stateless Persons (Unhcr, 2007)
Il calo complessivo delle decisioni nel merito prese sulle richieste d’asilo presentate nel 2006 si spiega con il numero inferiore di richieste depositate nello
stesso anno. In questo stesso anno circa 196mila richiedenti asilo sono stati riconosciuti come rifugiati o hanno beneficiato di forme di protezione umanitaria.
In Europa a 33,2mila persone è stato riconosciuto lo status di rifugiato in base
alla convenzione di Ginevra e 37,5mila persone hanno ricevuto forme complementari di protezione. Mentre il numero di persone che ha beneficiato in Europa
di forme di protezione alternative al riconoscimento dello status di rifugiato è
simile all’anno precedente, si riscontra un netto calo dei rifugiati (-34%); tale
tendenza va spiegata probabilmente con le maggiori restrizioni legislative applicate in materia d’asilo. L’Africa è il secondo continente per numero di richiedenti
asilo riconosciuti nel 2006 (53,8mila) seguita dall’Asia (34,9mila) e dal Nord
America (32,5mila). Il numero complessivo delle prime richieste e degli appelli
non ancora valutati è sceso negli anni scorsi raggiungendo un numero stimato
intorno ai 740mila casi alla fine del 2006, il più basso degli ultimi dieci anni e
inferiore di un terzo rispetto al 2002. Anche in questo caso ha inciso il numero
minore di richieste d’asilo presentate, come è successo in molti paesi europei e
una maggiore efficienza delle procedure di valutazione. Alla fine del 2006 era
il Sudafrica a contare il maggior numero di casi non valutati (131mila) seguito
dagli Stati Uniti (124mila), dalla Germania (52,8mila), dall’Austria (42,4mila) e
dalla Francia (39,6mila). Il calo dei richiedenti asilo nei paesi industrializzati ha
22
permesso a molti di essi di ridurre sensibilmente il numero di richieste inevase
nel 2006, inclusi alcuni dei paesi poco sopra citati: gli Stati Uniti (-46,6mila4 di
richieste inevase), la Germania (-18,8mila) e il Belgio (-3.200), in altri paesi invece si è registrato un incremento del lavoro arretrato inevaso, come ad esempio
in Svezia (8.400 richieste inevase in più rispetto al 2005), l’Egitto (+5.300), la
Grecia (+4.600) e il Canada (+3.000).
Le richieste d’asilo nei paesi industrializzati5. L’andamento nel primo semestre 2007
I dati presentati in questo paragrafo sono ricavati dal rapporto Asylum Levels
and Trends in Industrialized Countries, Second Quarter 2007 redatto dall’Unhcr.
Riguardano gli andamenti e le tendenze delle richieste di asilo6 presentate in 36
paesi industrializzati (31 europei e 5 non europei) nei primi sei mesi del 2007.
Negli ultimi anni, il numero complessivo delle richieste di asilo presentate
nei 36 paesi industrializzati considerati nel rapporto, è diminuito continuamente.
Questa tendenza si era invertita nella seconda metà del 2006 quando il numero
di richieste iniziò a crescere per poi ridiscendere nella prima metà del 2007, in
particolare nel secondo trimestre, ma nonostante ciò la previsione sulle richieste
presentate in quest’ultimo anno mette in luce una crescita complessiva rispetto
all’anno precedente. Le serie storiche presentate dall’Unhcr mostrano che, a eccezione del 2004, il numero di richieste presentato nel primo semestre è inferiore
a quello del secondo semestre, perciò se si ipotizza che questa regolarità sia valida anche per il 2007, alla fine dell’anno il numero di richieste d’asilo potrebbe
oscillare da un minimo di 290mila a un massimo di 320mila, con un incremento
possibile del 10% dei richiedenti asilo.
Si stima che durante i primi sei mesi del 2007 le richieste di asilo presentate
nei 36 paesi considerati dal rapporto siano state 147,5mila, il 9% in più rispetto
allo stesso periodo del 2006 (135,7mila) e leggermente inferiori al secondo semestre dello stesso anno (149,1mila).
Nel primo semestre del 2007, le domande di asilo presentate nei 31 paesi euroVa notato che la forte riduzione di richieste inevase negli Stati Uniti è stata in gran parte determinata dall’archiviazione, per ragioni amministrative, di molte richieste d’asilo di cittadini del
Salvador (28,5mila) e del Guatemala (20,3mila).
5
La categoria “paesi industrializzati” utilizzata nel rapporto dell’Unhcr si riferisce ai 27 paesi
dell’Unione europea, Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svizzera, Australia, Canada, Giappone,
Nuova Zelanda, Stati Uniti d’America.
6
Alcuni dei paesi considerati non sono in grado di distinguere le nuove richieste d’asilo dalle domande riconsiderate o ripresentate; per questo motivo è possibile che vi sia una sovrastima delle
richieste d’asilo.
4
23
pei monitorati nel rapporto sono state 107mila (il 10% in più del primo semestre
del 2006 quando le richieste d’asilo presentate erano 97mila), corrispondenti al
73% del totale delle richieste presentate.
Le stesse tendenze si presentano per i 26 paesi appartenenti all’Unione europea (UE) considerati nel rapporto7: le richieste d’asilo sono state 99mila nei primi
sei mesi del 2007, quasi lo stesso numero del secondo semestre del 2006 quando le domande presentate sono state 99,5mila e il 10% in più rispetto al primo
semestre del 2006 (89,8mila). In questi paesi sono state presentate il 67% delle
domande d’asilo complessive del primo semestre 2007.
Si riscontrano tendenze significativamente diverse invece fra i 26 paesi dell’UE:
nei 14 Stati fondatori, Italia esclusa, si registra una crescita continua con 81mila
richieste nel primo semestre 2006, 88,6mila nel secondo semestre dello stesso
anno e 89,5mila nel primo semestre del 2007.
Nei 12 nuovi paesi membri dell’UE l’andamento è più altalenante, si passa
infatti dalle 11mila richieste d’asilo nella prima parte del 2006, alle 8.700 della
seconda metà dello stesso anno e alle 9.500 richieste del primo semestre 2007.
Dal 2004 al primo semestre del 2007 si è registrato nel complesso un calo delle
domande presentate in questi paesi (dal 16% sul totale nel 2004 al 10% dei primi
sei mesi del 2007).
Nei paesi dell’Europa centrale si riducono le domande d’asilo presentate: in
ognuno dei primi due trimestri del 2007 sono state presentate 5.900 domande
d’asilo, 2.000 in meno del secondo semestre del 2006 ma indicativamente lo stesso numero rispetto al primo semestre dello stesso anno (6.000).
Un incremento diffuso delle domande d’asilo si registra nei paesi del Sud Europa,
con la sola eccezione di Malta. Questa tendenza va spiegata sia con gli arrivi di
profughi dall’Iraq sia con il miglioramento delle tecniche di monitoraggio. In
totale le domande presentate in quest’area durante il primo semestre del 2007
sono state 22,6mila, all’incirca lo stesso numero di domande presentate nell’intero 2006 (23,5mila).
Una tendenza analoga, sebbene con un minor incremento, si riscontra nei paesi del Nord Europa dove complessivamente le domande d’asilo nei primi sei mesi
del 2007 sono state 21,6mila, il 5% in più del secondo semestre del 2006 e il 60%
in più rispetto al primo semestre dello stesso anno. Tale incremento è dovuto in
gran parte all’arrivo in Svezia di richiedenti asilo iracheni.
Nei primi sei mesi del 2007 rimane stabile il numero di richieste d’asilo nel
Nord America (38,2mila) rispetto ai sei mesi precedenti, quando le richieste erano state 38,4mila, in crescita comunque rispetto al 2005 quando in ognuno dei
due semestri erano state presentate 34,2mila domande.
7
L’Italia non rientra nelle stime del rapporto dell’Unhcr qui considerato per mancanza di dati.
24
Infine l’Australia registra 2.000 richieste d’asilo nel primo semestre del 2007, il
numero più alto di richieste dal 2003.
Paesi d’asilo dei richiedenti (monitoraggio dei 36 paesi industrializzati)
Gli Stati Uniti risultano essere il principale destinatario delle richieste d’asilo,
26,8mila (18,2% del totale) nei primi sei mesi del 2007, il 5% (1.200) in più dei
sei mesi precedenti e poco di più del primo semestre del 2006 (26,2mila). La
Svezia si conferma al secondo posto con 17,7mila richieste (12% del totale), in
aumento rispetto al 2006 quando nel secondo semestre erano state 15,5mila e
8.900 nel primo semestre dello stesso anno. La Grecia risulta essere il terzo paese
per numero di richieste, 14,9mila corrispondenti al 9,9% del totale; il notevole
incremento (nei 18 mesi che vanno da luglio 2005 a dicembre 2006 erano state
presentate 15,8mila domande), in questo caso, si spiega oltre che con l’arrivo di
richiedenti asilo iracheni anche con la nuova procedura messa in atto per smaltire
il gran numero di richieste d’asilo arretrate inevase.
La Francia nel 2007 si trova al quarto posto con 14mila richieste (9,5% del
totale) dopo essere stata al primo posto negli anni che vanno dal 2003 al 2005.
La Francia è seguita al quinto posto dal Regno Unito con 12,7mila richieste, dal
Canada (11,4mila), dalla Germania (8.200) e dall’Austria (5.700).
In molti paesi è stata rilevata una riduzione delle domande rispetto al secondo semestre del 2006: l’Austria, ad esempio registra un calo del 19%, la Germania e la
Norvegia del 18% ognuna, il Regno Unito e il Belgio del 9%. Anche i Paesi Bassi
registrano un forte calo, -44%, dovuto anche alla ridefinizione delle modalità di
monitoraggio delle richieste che ora esclude le domande ripresentate e riaperte.
In forte aumento invece le richieste d’asilo presentate in paesi come la Grecia
(+65%), la Spagna (+49%), Cipro (+34%) e la Svezia (+14%).
Paesi d’origine dei richiedenti asilo nei 36 paesi industrializzati
Nei primi sei mesi del 2007 l’Iraq si conferma, per numerosità, il primo paese d’origine dei richiedenti asilo con 19,8mila richieste corrispondenti al 14%
del totale di quelle presentate nei 36 paesi industrializzati oggetto del rapporto
dell’Unhcr. I cittadini cinesi sono al secondo posto con 8.600 richieste (6% del
totale) seguiti dal Pakistan (7.300), Serbia e Montenegro8 (7.200) e dalla FedeI dati relativi a Serbia e Montenegro non sono stati scorporati per poterli comparare con quelli
degli anni precedenti.
8
25
razione russa (6.500). L’Iraq era già stato il principale paese di provenienza dei
richiedenti asilo negli anni fra il 2000 e il 2002 ed è ritornato a esserlo nel 2006
confermando questa tendenza anche nel 2007, a causa del deterioramento delle
condizioni socio-politiche del paese. L’incremento dei richiedenti asilo rispetto
al secondo semestre del 2006 è stato del 45% quando il numero di richieste sono
state 13,6mila. Se la tendenza rilevata per il primo semestre 2007 dovesse essere
confermata, il numero di richieste annuali raggiungerebbe i livelli del periodo
2000-2002 (40mila-50mila). Nel solo periodo fra gennaio e marzo 2007, le richieste d’asilo provenienti da cittadini iracheni sono state, nei 36 paesi industrializzati, 10,2mila. Se nel primo semestre 2007 i cittadini iracheni richiedenti asilo
hanno presentato la domanda in 28 dei 36 paesi considerati nel rapporto, quasi la
metà delle richieste, 9.300 corrispondenti al 47% del totale del primo semestre,
sono state presentate in Svezia; questa specificità può essere spiegata in parte
con una presenza importante della comunità irachena in Svezia e con la forte rete
sociale che è riuscita a costruire. Anche la Grecia ha registrato un incremento
delle richieste d’asilo di cittadini iracheni che nel primo semestre 2007 sono state
3.500 rispetto alle 1.400 dell’intero 2006 mentre un numero inferiore di richieste
è stato rilevato in Germania e in Spagna9, rispettivamente 1.500 e 820 sempre nel
primo semestre 2007.
Il numero di richiedenti asilo cinesi invece si dimostra relativamente stabile rispetto al 2005 e 2006 con un leggero decremento nel secondo trimestre del 2007,
quando le richieste presentate sono state 4.200 a fronte delle 4.400 del primo
trimestre dello stesso anno.
I richiedenti asilo di origine pakistana sono in aumento, 7.300 nel primo semestre 2007; la ragione va trovata principalmente nell’implementazione delle
procedure di registrazione messe in atto in Grecia, infatti le richieste registrate
nel terzo trimestre del 2006 sono state solo 370 per diventare 1.700 nel quarto
trimestre dello stesso anno e passare poi a 2.700 e 2.000 nel primo e secondo
trimestre del 2007.
Si registra inoltre una diminuzione delle richieste d’asilo sia da parte di cittadini della Serbia e del Montenegro, sia da cittadini provenienti dalla Federazione
russa, i due territori da cui proveniva il maggior numero di richiedenti asilo nel
2005. I dati relativi alla Serbia e Montenegro indicano che nel primo semestre
del 2007 sono state presentate 7.200 nuove richieste (-6% rispetto il precedente
semestre e -9% rispetto al primo semestre 2006). Dai cittadini della Federazione
russa sono pervenute nell’ultimo semestre di riferimento 6.500 richieste d’asilo,
25% in meno rispetto al secondo semestre 2006, quando le domande sono state
8.700 e il 7% in meno rispetto al primo semestre 2006 quando sono state 7.000.
9
La maggior parte delle richieste sono state presentate nell’ambasciata spagnola de Il Cairo.
26
Nell’arco dell’ultimo semestre di riferimento sono aumentate le domande
d’asilo di cittadini di 16 dei 40 principali paesi da cui provengono tradizionalmente; fra questi troviamo Pakistan (+58%), Iraq (+45%), Siria (+43%), Sri Lanka
(+14%), Somalia (+13%) e Messico (+12%). Una tendenza opposta è invece in
atto in sette paesi in cui il decremento delle richieste supera il 25%; fra i paesi
d’origine, maggiormente interessati dal calo di richieste, troviamo la Repubblica
Islamica dell’Iran (-30%), la Federazione russa (-25%), e l’Eritrea (-28%).
La distribuzione dei richiedenti asilo segue logiche e dinamiche connesse alla
possibilità di mobilità, alla presenza di reti di supporto create da connazionali o
dai servizi del territorio e alle opportunità d’inserimento. Per questi e altri motivi
si creano specifici flussi come testimonia, ad esempio, il 52% dei richiedenti di
origine cinese che, nel primo semestre del 2007, ha presentato domanda negli Stati Uniti. Analogamente gli iracheni richiedenti asilo hanno presentato domanda in
Svezia (47%), Grecia (18%), e Spagna (8%) e più della metà dei 6.500 richiedenti
asilo originari della Federazione russa ha presentato domanda in Francia (19%),
Polonia (17%) e Austria (16%). Nel primo semestre del 2007 i richiedenti asilo
provenienti dalla Federazione russa costituiscono più dell’80% dei richiedenti
accolti dalla Polonia, mentre la quasi totalità delle richiesta d’asilo di cittadini
messicani è stata presentata in Canada (69%) o negli Stati Uniti (31%), tendenza
questa che si ripete da qualche anno; i cittadini somali invece hanno presentato
richiesta d’asilo principalmente in tre paesi: Svezia (33%), Regno Unito (21%) e
Paesi Bassi (20%).
27
1. L’attuazione del diritto d’asilo nell’ordinamento italiano
di Paolo Bonetti
1.1 Il diritto d’asilo nella Costituzione italiana
1.1.1 Oggetto e natura giuridica del diritto d’asilo
La Costituzione italiana tutela l’asilo territoriale1: l’art. 10 comma 3 della Costituzione prevede che “lo straniero al quale sia impedito l’effettivo esercizio delle
libertà democrati­che garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel
territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
Dottrina2 e giurisprudenza ritengono che il diritto d’asilo previsto dall’art.
10, comma 3, Cost., sia il diritto soggettivo perfetto dello straniero (e anche
dell’apolide3), al quale nel suo paese sia effettivamente impedito l’esercizio anche di una sola delle libertà garantite dalla Costituzione italiana, all’ingresso e
al soggiorno nel territorio dello Stato, almeno al fine della presentazione della
domanda di asilo alle autorità italiane, diritto immediatamente azionabile anche
in mancanza delle leggi ordinarie che fissino alcune condizioni per il suo esercizio4. Perciò l’insieme degli stranieri titolari del diritto d’asilo previsto dalla
Costituzione comprende non soltanto le persone perseguitate individualmente,
cioè i rifugiati ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di
Esposito ritiene che il diritto d’asilo previsto dall’art. 10 comma 3 Cost. si configuri propriamente
come diritto di asilo interno o territoriale e afferma che l’asilo esterno o extraterritoriale potrebbe
trovare fondamento nell’art. 2 Cost. (Esposito, 1958: 222).
2
Per ulteriori approfondimenti anche con riferimento ai lavori dell’Assemblea costituente si rinvia
a Bonetti, 2004: 1136 ss.
3
Circa l’accesso degli apolidi al diritto d’asilo, soprattutto nel caso di apolidia a seguito della perdita della cittadinanza per motivi politici vietata dall’art. 22 Cost. cfr., da ultimo, per tutti, Benvenuti,
2007: 50-52.
4
Cfr. Esposito, 1958: 222; 224; Mortati, 1976: 1049;1156; Cassese, 1975: 526;531-534; Ziotti,
1988: 168;173 ss.; Nascimbene, 1988: 111 ss.; Bonetti, 1993: 377 ss.
1
29
rifugiato5, ma anche gli stranieri che fuggano dal proprio paese per la necessità
di salvare la propria vita, sicurezza o incolumità dal pericolo grave e attuale derivante da situazioni di guerra, guerra civile, disordini gravi e generalizzati, ferma
restando la facoltà per lo Stato di adottare nei casi di esodo di massa provvedimenti che fissino limiti all’ammissione degli stranieri nel territorio nazionale6, in
particolare un limite numerico complessivo degli stranieri ammissibili al fine di
salvaguardare quegli interessi generali che trovano diretta protezione in principi
previsti dalla stessa Costituzione7.
La condizione giuridica dello straniero titolare del diritto d’asilo si configura
come una deroga, più favorevole allo straniero, rispetto alla condizione giuridica
ordinaria degli altri stranieri.
Infatti lo straniero in generale è titolare di un mero interesse legittimo all’ingresso e al soggiorno sul territorio dello Stato, salvo che nei casi in cui vi siano
particolari accordi internazionali che prevedano un diritto all’ingresso e al soggiorno (per esempio i Trattati dell’Unione europea per i cittadini comunitari),
sicché la Corte Costituzionale ricorda che “lo straniero non ha di regola un diritto
acquisito di ingresso e di soggiorno nello Stato e pertanto le relative libertà ben
possono essere limitate a tutela di particolari interessi pubblici, quale quello attinente alla sicurezza intesa come ordinato vivere civile”8. Invece lo straniero al
quale nel suo paese, al di là di ciò che dichiarano le norme scritte nelle rispettive
leggi e Costituzioni, non sia effettivamente consentito di esercitare anche una
sola delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione è titolare di un diritto
soggettivo all’ingresso e al soggiorno nel territorio dello Stato 9.
Dunque il contenuto necessario del diritto di asilo consiste nel diritto all’ingresso e nel diritto al soggiorno dello straniero nel territorio della Repubblica10.
Si tratta di un diritto soggettivo perfetto all’ingresso e al soggiorno sul territorio della Repubblica, anche indipendentemente dall’esistenza di leggi ordinarie
che disciplinino le condizioni per il suo esercizio (per esempio un tetto numerico massimo di ingressi di stranieri richiedenti asilo)11: “il carattere precettivo e
Così in dottrina Cassese, 1975: 531 ss.; Conetti, 1986: 821 ss.; Ziotti, 1988: 168; 173 ss. In giurisprudenza cfr. Cass. sez. un. civ., sent. 12 dicembre 1996, n. 04674/97.
6
In tal senso si pronunciano Esposito, 1958: 225; Barile, 1984: 35; Bernardi, 1987: 427, Luciani,
1992: 230.
7
Così D’Orazio, 1994: 102 ss.
8
Così Corte Cost. ord. 25 novembre - 10 dicembre 1987, n. 503.
9
Contra, ma con specifico riferimento ai soli rifugiati, l’art. 10 c. 3 Cost. fonda solo un interesse
legittimo, nel senso che “il rifugiato ha soltanto il diritto soggettivo di chiedere asilo, ma (...) questo è concesso dopo una valutazione discrezionale che ha per oggetto di stabilire se egli non possa
costituire un pericolo per la sicurezza e l’opinione pubblica” (Biscottini, 1989: 900).
10
Cfr. Ziotti, 1988: 95 e Benvenuti, 2007: 127 ss.
11
Così Esposito, 1958: 222; Mortati, 1976: 1156; Cassese, 1975: 534. Si allude a eventuali esodi di
massa, che già erano stati paventati durante i lavori dell’Assemblea costituente dall’on. Nobile.
5
30
la conseguente immediata operatività della disposizione costituzionale sono da
ricondurre al fatto che essa, seppure in una parte necessita di disposizioni legislative di attuazione, delinea con sufficiente chiarezza e precisione la fattispecie
che fa sorgere in capo allo straniero il diritto di asilo, individuando nell’impedimento all’esercizio delle libertà democratiche la causa di giustificazione del
diritto e indicando l’effettività quale criterio di accertamento della situazione
ipotizzata” 12.
1.1.2 I presupposti oggettivi del diritto d’asilo: l’impedimento all’effettivo
esercizio delle libertà democratiche
Il presupposto del diritto d’asilo è una situazione oggettiva e soggettiva, consistente nel fatto che nel paese dello straniero non gli sia garantito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.
È comunque implicito in tale presupposto anche una valutazione soggettiva
dello straniero della propria situazione personale, che lo porta a concludere che
l’impedimento a esercitare anche una sola delle libertà fondamentali garantite
dalla Costituzione italiana sia così grave per la sua personale dimensione di vita
da fargli decidere di lasciare il paese in cui vive per tentare di esercitare quella
libertà altrove e in particolare nel territorio italiano13.
L’impedimento è in sè una situazione oggettiva, che può essere l’effetto di fatti o atti aventi una natura assai diversa: può derivare da un’altra situazione oggettiva che di fatto incida sulla sfera esistenziale del richiedente asilo, anche senza
che vi siano provvedimenti individualmente e concretamente persecutori14, il che
si verifica per esempio in una situazione di disordini generalizzati o di conflitto
o di guerra civile o di sospensione o di deroga dei diritti costituzionali disposta a
seguito di provvedimenti generali che instaurino stati di eccezione o di violazione
grave e persistente di uno o più dei principi di libertà, democrazia, rispetto delle
libertà fondamentali e dello Stato di diritto (in queste ultime situazioni, allorché lo
Stato abbia fatto ricorso alla clausola prevista dall’art. 15 Cedu o sia stato avviato
o concluso il procedimento previsto dall’art. 7 Tue, il Protocollo sull’asilo per i
cittadini degli Stati membri dell’UE aggiunto al Trattato di Amsterdam del 1997
consente a ogni Stato dell’UE di derogare al principio del mutuo riconoscimento
quali paesi d’origine sicuri a tutti gli effetti per le questioni riguardanti l’asilo),
e/o può derivare da atti omissivi o commissivi compiuti, in generale o nella sfera
Così Cass. sez. un. civ. 12 dicembre 1996, n. 04674/97.
Cfr. Barile, 1984: 34.
14
Cfr. D’Orazio, 1994: 94.
12
13
31
individuale del richiedente asilo, da parte dei pubblici poteri dello Stato o da parte di altri soggetti individuali o collettivi (bande armate, gruppi, organizzazioni,
partiti) che operano nel territorio dello stesso paese.
Il riferimento all’ “effettivo esercizio” comporta che per valutare l’impedimento che legittima l’accesso al diritto d’asilo conta la prassi che è stata in concreto applicata in modo individuale al richiedente asilo e non certo la disciplina
normativa formale che nel paese di provenienza sembra tutelare certi diritti15. Ciò
comporta l’esigenza che si faccia sempre una valutazione individuale del singolo
caso, senza che ciò significhi una valutazione complessiva della situazione politica e normativa in atto nel paese di provenienza, anche perché il riconoscimento
del diritto d’asilo è da considerarsi un “atto pacifico e umanitario e che, in quanto
tale, non può essere considerato ostile nei confronti di un altro Stato” (Dichiarazione sull’asilo territoriale adottata nel 1967 dall’Assemblea generale dell’Onu).
Circa la nozione di “libertà democratiche” occorre ricordare che l’Assemblea
costituente intendeva alludere a tutte le libertà fondamentali garantite nell’ordinamento costituzionale italiano, tra le quali sono da ritenersi incluse non soltanto
la libertà personale (art. 13 Cost.), la libertà di domicilio (art. 14 Cost.), la libertà
e segretezza della corrispondenza (art. 15 Cost.), la libertà di circolazione e soggiorno (art. 16 Cost.), la libertà di riunione pacifica e senz’armi (art. 17 Cost.),
la libertà di partecipare o costituire ad associazioni non segrete e che perseguano
scopi non vietati ai singoli dalla legge penale (art. 18 Cost.), la libertà di religione, inclusa la libertà di propaganda religiosa, di cambiare confessione religiosa
o di non professarne alcuna e di esercitare il culto in privato e in pubblico (art.
19 Cost.), la libertà di manifestazione del pensiero con ogni mezzo di diffusione
(art. 21 Cost.), il diritto alla difesa di fronte a ogni grado di giudizio (artt. 24 e
111 Cost.), la libertà e segretezza del voto (art. 48 Cost.), il diritto a costituire e
a partecipare a partiti politici che partecipino con metodo democratico a determinare la politica nazionale (art. 49 Cost.), il diritto a candidarsi a ogni tipo di
elezione (art. 51 Cost.), ma anche il diritto alla vita, presupposto per l’esercizio di
tutti gli altri diritti, e i diritti della famiglia (artt. 29 e 30 Cost.), nonché le libertà
economiche, tra le quali vi sono senz’altro la libertà di organizzazione sindacale
(art. 39 Cost.), il diritto di sciopero (art. 40 Cost.)16, ma anche la libertà di ini“Quello che a noi preme di stabilire è se lo straniero può avere l’effettivo esercizio di questi diritti
e non che questi diritti siano astrattamente incorporati nella Carta costituzionale del paese cui lo
straniero appartiene” affermò l’ on. P. Treves nella seduta antimeridiana dell’11 aprile 1947 dell’Assemblea costituente (in “La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea
costituente”, Roma, 1976, vol. I: 794).
16
Il presidente della I Sottocommissione dell’Assemblea costituente, on. Tupini, affermò che “nella dizione libertà garantite dalla Costituzione italiana sono comprese tutte le libertà da noi garantite, e quindi anche i diritti del lavoro e di libertà sindacale” (in Atti dell’Assemblea costituente:
2724).
15
32
ziativa economica privata (art. 41 Cost.), il diritto del lavoratore a ricevere una
retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del proprio lavoro e in ogni caso
sufficiente a garantire a sè e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa
(art. 36 Cost.). Sembra peraltro da escludersi che il semplice stato di disoccupazione nel paese di provenienza possa configurarsi quale titolo all’asilo17, anche
perché il diritto al lavoro previsto dall’art. 4 Cost. non soltanto non comporta il
diritto al conseguimento di un’occupazione, ma è comunque ritenuto riservato al
cittadino18. Altrettanto esclusi sono i riferimenti ai diritti costituzionali di prestazione in materia sociale, la cui realizzazione è rimessa alla sfera di discrezionalità
del legislatore19.
In ogni caso l’asilo dovrebbe essere negato sia a coloro che siano perseguiti
nelle forme legali per aver contribuito a sovvertire l’ordinamento costituzionale
di uno Stato20, a condizione che però si tratti di un ordinamento costituzionale
nel quale risultano essere effettivamente tutelate le libertà democratiche21, sia a
coloro che, pur provenendo da paesi in cui tali libertà non siano effettivamente
garantite, vogliano godere dell’ospitalità non a causa del fatto di non aver potuto
usufruire di tali libertà, ma al fine di riuscire a sottrarsi alle autorità che in modo
legittimo (e nel rispetto del loro diritto di difesa) li perseguono per aver compiuto
delitti di criminalità comune22.
Occorre infatti ricordare che l’art. 10, comma 4, Cost., vieta l’estradizione
Così D’Orazio, 1994: 108-109; sul punto cfr. altresì, da ultimo, per tutti, Benvenuti, 2007:
100-101.
18
Poichè il diritto costituzionale al lavoro consiste soprattutto in un obbligo di condotta posto a
carico dei pubblici poteri che sono tenuti a perseguire una politica di pieno impiego (Daubler, 1989:
289) la non eguaglianza rispetto al diritto al lavoro è legittima in quanto tale discriminazione abbia
come fine soltanto quello di proteggere o assicurare il diritto al lavoro garantito dalla Costituzione
al cittadino (Viscomi, 1991: 65; Cannizzaro, 1984: 71‑72). Su tale presupposto Corte cost. sent. 16
luglio 1970, n. 144, in Giur. cost, 1970: 1664‑1665 (con nota critica di Cassese) ha affermato che
lo straniero entra nel sistema di avviamento al lavoro predisposto, in conformità dell’art. 4 Cost.,
dalle leggi che prescrivono l’iscrizione nelle liste di collocamento e regolano l’assorbimento delle
forze‑lavoro non occupate soltanto “quando, avendo chiesto il visto consolare per l’ingresso nel
nostro paese al fine di lavoro, ha ottenuto il relativo consenso, che può essergli concesso solo se
non vi siano lavoratori nazionali idonei per il posto che chiede (condizione, quest’ultima, però, non
richiesta per i cittadini degli Stati con cui esistano appositi accordi e trattati, come ad es. quello della
Cee)”.
19
Cfr. Benvenuti, 2007: 102.
20
Così Esposito, 1958: 226.
21
Cfr. Cassese, 1975: 536.
22
Si ricorda che con l’aggettivo “democratiche”, “più che una limitazione, si è voluto segnare una
direttiva al legislatore, il quale dovrà riguardare il diritto d’asilo sub specie politica, non sub specie
criminali” (Falzone, Palermo, Cosentino, 1991: 62), e che a parere dell’on. Tupini, presidente della
I Sottocommissione dell’Assemblea Costituente l’aggiunta dell’aggettivo democratiche intendeva
fugare la preoccupazione espressa con un emendamento dall’on. Patricolo che intendeva “escludere
che i delinquenti comuni possano essere ricevuti in Italia e soggetti al diritto d’asilo”.
17
33
dello straniero per reati politici, esclusi comunque i delitti di genocidio (L. Cost.
21 giugno 1967, n. 1).
Del resto lo stesso art. 14, comma 2 della Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo prevede che il diritto d’asilo non può essere invocato qualora l’individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai
principi delle Nazioni Unite.
1.1.3 La condizione giuridica dello straniero titolare del diritto d’asilo
In ogni caso la condizione dello straniero che gode del diritto d’asilo sembra
dover ricevere un trattamento più tutelato, differente rispetto a quello degli altri stranieri23. E ciò sembra essere stato indirettamente confermato anche dalla Corte costituzionale, quando essa è stata investita del problema in una sola
occasione, giudicando illegittime le norme che subordinavano alla condizione
di reciprocità l’accesso alla professione giornalistica anche dello straniero che
godeva del diritto d’asilo garantito ai sensi dell’art. 10 c. 3 Cost., affermando che
“in sè considerato il presupposto del trattamento di reciprocità per l’accesso alla
professione giornalistica non sia illegittimamente disposto e ciò perché è ragionevole che intanto lo straniero sia ammesso a una attività lavorativa, in quanto
al cittadino italiano venga assicurata una pari possibilità nello Stato al quale il
primo appartiene”24.
In realtà in quanto straniero l’asilante riceve il medesimo trattamento previsto per gli altri stranieri, ma è titolare di un diverso e più favorevole trattamento
speciale sia per quegli aspetti della sua condizione giuridica che siano necessari
ad assicurare la specifica protezione del diritto d’asilo (come per esempio il
divieto di espulsione se non in casi gravissimi)25, sia per quegli aspetti che siano connessi a un ben preciso status (come lo status di rifugiato o di titolare di
protezione sussidiaria o di protezione temporanea) previsto da norme internazionali o comunitarie per determinate categorie di asilanti, che lo rende titolare
di specifici diritti.
Alcuni affermano che lo straniero a cui sia riconosciuto il diritto d’asilo dovrebbe essere titolare
di tutti quei fondamentali diritti democratici che non siano strettamente inerenti allo status civitatis
(Mortati, 1976: 1156; D’Orazio, 1988: 4). Altri invece ritengono che “non deve essere garantito
l’esercizio di tutte necessariamente le libertà riconosciute dalla nostra Costituzione, ma solo di
quelle libertà che saranno individuate dalla legge” (Barbera, Cocozza, Corso, 1997: 309).
24
Corte cost. sent. 21‑23 marzo 1968, n. 11, in Giur. cost 1968, I: 311, con la importante nota di G.
Zagrebelsky, Questioni di legittimità della L. n. 69 del 1963, istitutiva dell’ordine dei giornalisti:
350 ss.
25
Cfr. Luciani, 1992: 229, nota 60.
23
34
1.1.4 Le “condizioni” del diritto d’asilo stabilite dalla legge
La Costituzione prevede che la legge stabilisca le condizioni secondo le quali si
esercita il diritto d’asilo e in base al comma 2 dell’art. 10, trattandosi di norme
in materia di condizione giuridica dello straniero, il contenuto di tale legge deve
essere conforme alle norme e ai trattati internazionali.
Peraltro la giurisprudenza e la dottrina hanno da tempo affermato che il diritto
d’asilo è immediatamente esercitabile, anche in mancanza di una norma che vi
dia concretamente attuazione, nel senso che esso fonda in capo allo straniero un
diritto soggettivo perfetto a essere ammesso nel territorio italiano e a soggiornarvi26.
Come aveva affermato la Cassazione27, il precetto costituzionale sul diritto
d’asilo “e la normativa sui rifugiati politici non coincidono dal punto di vista
soggettivo, perché la categoria dei rifugiati politici è meno ampia di quelli aventi
diritto all’asilo, in quanto la citata Convenzione di Ginevra prevede quale fattore
determinante per la individuazione del rifugiato, se non la persecuzione in concreto, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requisito che non è considerato necessario dall’art. 10, terzo comma, Cost. In secondo luogo tale Convenzione non prevede un vero e proprio diritto di asilo in favore dei rifugiati”.
Peraltro la stessa Cassazione ricorda che “in mancanza di una legge di attuazione
del precetto di cui all’art. 10, terzo comma, Cost. allo straniero il quale chiede il
diritto di asilo null’altro viene garantito se non l’ingresso nello Stato, mentre il
rifugiato politico, ove riconosciuto tale, viene a godere, in base alla Convenzione
di Ginevra, di uno status di particolare favore”.
La dottrina è oggi concorde nell’affermare che il rinvio alla legge non conferisce al legislatore la facoltà di circoscrivere o di limitare il diritto di asilo, bensì
soltanto il potere di precisare le modalità procedimentali o i requisiti soggettivi
del richiedente28, nonché di stabilire le condizioni e gli obblighi di soggiorno
dell’asilante29.
Come si è ricordato, dai lavori dell’Assemblea costituente (in particolare dall’intervento dell’on. Nobile) si ricava comunque che le “condizioni” a cui potrebbe
essere sottoposto il diritto d’asilo secondo l’intenzione dell’Assemblea costituente potrebbero essere soltanto quantitative e non qualitative, sicché il legislatore
potrebbe soltanto introdurre un limite numerico massimo di ingressi di stranieri
Così Barile, 1953: 61; 217; ID., 1967: 116.
Cass. sez. un. civ. sent. 12 dicembre 1996, n. 04674/97.
28
Così D’Orazio, 1994: 102.
29
Cfr. Barile, 1994: 35.
26
27
35
che possano complessivamente godere dell’asilo30, al fine di salvaguardare quegli
interessi generali direttamente protetti dalla Costituzione31.
1.1.5 Asilo provvisorio e asilo definitivo
Occorre da ultimo precisare che, in base all’art. 10, c.3, Cost., presupposto perché
sorga il diritto d’asilo in capo al richiedente è la sussistenza della situazione di
effettivo impedimento allo esercizio delle libertà democratiche in cui si trova lo
straniero nel paese al quale appartiene o comunque risiede32, e che invece non è
necessario che tale situazione sia stata già accertata: allo straniero che richiede di
godere dell’asilo deve essere anzitutto consentito l’ingresso e il soggiorno temporaneo nel territorio dello Stato (asilo provvisorio), ma dopo l’ingresso i pubblici
poteri potranno verificare la sussistenza di tale situazione per garantire allo straniero un asilo a tempo indeterminato33.
Il diritto d’asilo deve cioè intendersi non soltanto come un diritto all’ingresso
nel territorio dello Stato, ma anche e soprattutto come diritto di accedere alla
procedura di esame della domanda di asilo34.
In tal senso il contenuto necessario del diritto d’asilo consiste anzitutto nel
diritto di ingresso nel territorio della Repubblica, cioè nell’obbligo per le autorità preposte ai controlli di frontiera e di pubblica sicurezza di non respingere
alla frontiera e di ammettere nel territorio nazionale chi chiede asilo, ancorché si
tratti di persona che si trovi nelle vicinanze dei valichi di frontiera o nelle zone
internazionali degli aeroporti, poiché i diritti fondamentali sono assicurati anche
allo straniero che si trovi in frontiera ai sensi dell’art. 2 del Testo unico delle leggi
sull’immigrazione (D. Lgs. n. 286/1998), i cui artt. 10 e 19, comma 1, vietano
il respingimento e l’espulsione di uno straniero a cui si debba applicare il diritto
d’asilo.
Il diritto di soggiorno si sostanzia poi in altri diritti fondamentali del richiedente asilo non appena arrivato sul territorio nazionale, ai quali devono inevitabilmente provvedere i pubblici poteri italiani: 1) provvedere alle prime esigenze
Esposito afferma che in caso di asilo collettivo o di massa il legislatore ben potrebbe fissare un
numero massimo di stranieri che trovandosi nelle condizioni “previste dalla Costituzione possano
materialmente trovarsi in Italia” (Esposito, 1958: 225). Ammettono limiti all’asilo in massa Bernardi, 1987: 427; Luciani, 1992: 230; Bisi, 1992: 82.
31
Così D’Orazio ritiene ragionevole invocare in tal caso la giurisprudenza costituzionale sul diritto
di sciopero, tra cui Corte cost. sent. n. 123/1962 (D’Orazio, 1994: 103).
32
Così Esposito, 1958: 226; Cassese, 1975: 536.
33
Cfr. Esposito, 1958: 222; Cassese, 1975: 537.
34
Così D’Orazio, 1994: 92.
30
36
di ricezione, trasporto, alloggio, vestiario, comunicazione telefonica, assistenza
igienico-sanitaria; 2) proteggere lo straniero da eventuali atti ostili provenienti da soggetti pubblici o privati del paese di provenienza; 3) tutelare in modo
specifico i minori non accompagnati (divieto di espulsione e di ogni forma di
trattenimento); 4) garantire il mantenimento o il riacquisto dell’unità familiare
dello straniero asilante mediante condizioni e forme semplificate e agevolate rispetto a quelle previste per gli altri stranieri, al fine di proteggere in modo pieno
il diritto d’asilo ed evitare ai familiari di provare eventuali disagi o di subire
rappresaglie a causa della domanda di asilo presentata in Italia dal loro congiunto; 5) prevedere misure specifiche di assistenza sociale e di integrazione, anche
con riferimento al diritto-dovere all’istruzione, alla formazione professionale e
all’accesso al lavoro35.
In relazione all’esame della domanda di asilo sono strumentali all’ottenimento del diritto d’asilo e perciò meritevoli di protezione altre situazioni giuridiche
in cui si trova lo straniero: a) il diritto di essere informato di ogni adempimento
previsto dalla legge ai fini dell’esame della sua domanda; b) il diritto di ricevere
informazioni utili a una corretta e completa presentazione della domanda e alla
esaustiva esposizione dei motivi a base della domanda stessa; c) il diritto a essere
assistito da un interprete in ogni fase del procedimento e di ricevere gli atti in
lingua comprensibile; d) il diritto a essere assistito da un difensore, da rappresentanti di organismi internazionali e di enti privati che tutelino i diritti dei rifugiati
e i diritti fondamentali36.
Proprio perché la condizione giuridica dell’asilante comporta un diritto soggettivo all’ingresso e al soggiorno e il diritto d’asilo rende inapplicabili o comunque deroga alle norme che sanzionano l’ingresso o il soggiorno illegali e dunque
comporta condizioni più favorevoli rispetto a quelle previste per gli altri stranieri
extracomunitari entrati illegalmente sul territorio nazionale. Peraltro lo Stato, che
deve comunque vigilare sulle proprie frontiere e sul rispetto delle norme che
regolano l’immigrazione straniera, ben può prevedere con legge che a carico del
richiedente asilo siano adottate misure restrittive della libertà personale o della
libertà di circolazione e soggiorno nella fase dell’esame della sua domanda al fine
di prevenire elusioni delle norme sull’ingresso e sull’eventuale allontanamento
dal territorio dello Stato in virtù del rigetto della domanda e dei ricorsi giurisdizionali consentiti. È pertanto ragionevole, ancorché non obbligatoria, l’eventuale
previsione di ipotesi in cui il richiedente asilo durante l’esame della domanda ha
l’obbligo di essere trattenuto in centri di permanenza temporanea o di soggiornare in centri di accoglienza o di identificazione per richiedenti asilo.
35
36
Così, per tutti, Benvenuti, 2007: 197-199.
Cfr. Benvenuti, 2007: 206-208.
37
1.2 L’attuazione legislativa del diritto d’asilo in Italia fino al 2007: la
nozione di rifugiato, permesso di soggiorno per motivi umanitari e
protezione temporanea
Fino al 2007 il diritto d’asilo costituzionalmente garantito non fu attuato in modo
completo in Italia.
Infatti da un lato era in vigore una normativa legislativa che con difficoltà consente allo straniero di ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato previsto
dalla Convenzione di Ginevra del 1951, che ha come fondamento la accertata
persecuzione o il fondato timore di persecuzione individuale.
Dall’altro lato la legislazione vigente in materia di stranieri consentiva soltanto in via residuale il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari,
derivante da situazioni diverse dalla persecuzione individuale che non consentono il ritorno in patria dello straniero.
Così fino al 2007 la legislazione italiana non è stata in grado di assicurare efficace protezione a coloro che pur essendo non perseguitati individualmente provenissero da un altro paese in cui potessero essere in pericolo in modo effettivo
le libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. Ciò significa che la
fuga di persone da fenomeni di guerre, guerre civili, esodi di massa è stata finora
regolata in modo assolutamente disorganico.
Il diritto di asilo costituzionalmente garantito può essere raffigurato come un
grande insieme, nel quale vi è un sottoinsieme che è lo status di rifugiato e nella
corona che circonda lo status di rifugiato vi sono altre ipotesi che rientrano tra i
presupposti dello status della cosiddetta protezione sussidiaria.
Le direttive comunitarie recepite nell’ordinamento italiano prevedono altresì
la protezione temporanea in caso di esodi di massa, ma si tratta di un istituto eccezionale e lasciato alla discrezionalità dei Governi e al caso: si accolgono o no persone provenienti da un determinato paese a seconda che ci sia o no una decisione
politica del Consiglio europeo e vi siano risorse, ancorché si tratti di un diritto
soggettivo, sicché lo Stato dovrebbe accogliere l’asilante anche in quei casi.
Tentando di schematizzare un bilancio dell’attuazione del diritto d’asilo previsto dalla Costituzione si possono così individuare diverse tipologie di stranieri
a cui è dato asilo nella legislazione vigente fino al 2007:
A) Stranieri a cui è riconosciuto lo status di rifugiati previsto dalla Convenzione
di Ginevra del 28 luglio 1951 sui rifugiati (ratificata e resa esecutiva con la
L. 24 luglio 1954, n. 72).
Il termine “rifugiato” non è menzionato dalla Costituzione e non coincide con
quello dell’asilante: un individuo può ricevere asilo territoriale senza perciò
rivestire la condizione di rifugiato.
38
Infatti in base alla Convenzione di Ginevra il termine “rifugiato” si applica
soltanto a colui che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di
razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o
per le sue opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui è cittadino e non
può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo
paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del paese
di cui aveva la residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può e non
vuole tornarvi per il timore di cui sopra. Nel caso di persona con più di una
cittadinanza, l’espres­sione “del paese di cui è cittadino” indica ognuno dei
paesi di cui la persona è cittadino. Pertanto non sarà più considerato privato
della protezione del paese di cui è cittadino colui che, senza valido motivo
fondato su timore giustificato, non abbia richiesto la protezione di uno dei
paesi di cui ha la cittadinanza”.
Tralasciando di approfondire gli elementi della definizione di rifugiato37, si
può affermare che potrebbe essere considerato rifugiato lo straniero o l’apolide che possieda i seguenti requisiti:
1) Temere a ragione di essere perseguitato: occorre che vi sia non già un
elemento soggettivo di timore, bensì un elemento oggettivo determinato
dalla situazione concreta di per­secuzione (che la dottrina intende come
un’azione positiva, attuale o temuta, che si concretizzi in provvedimenti contrastanti con i diritti inviolabili dell’uomo e tali da minacciare la
vita o la libertà personale del soggetto); la condizione della persecuzione,
che appare piuttosto individuale, esclude le altre cause di abbandono del
paese (occupazione straniera, calamità naturali, violazione permanente
dei diritti dell’uomo, e, ovviamente, emi­grazione per motivi economici);
comunque l’esame della natura della libertà minacciata o della restrizione
applicata nel singo­lo caso varia da Stato a Stato e riguarda concezioni
diverse della libertà e della protezione come garantite in società demo­
cratiche. In ogni caso occorre non soltanto che il timore di persecuzione
sia reale, ma anche che questa sia rivolta in modo diretto alla persona
che richiede asilo. Lo status di rifugiato è in molti casi negato proprio
sulla base della generalizzazione delle cause che hanno indotto alla fuga
e alla ricerca di protezione: a essere vittime di una guerra o di una diffusa
violazione dei diritti umani sono spesso intere popolazioni e non singoli
individui.
2) Essere perseguitato per uno dei motivi menzionati dalla Convenzione
(razza, religione, nazionalità, ap­partenenza a un determinato gruppo soPer una definizione della nozione di rifugiato cfr. Giuliano, 1958: 204; Migliazza, 1980: 433;
Udina, 1970: 524 ss.; Conetti, 1986: 819; Bernardi, 1987: 421.
37
39
ciale, opinioni politiche): la persecuzione deve essere concreta e attuale
nel paese (non può essere considerato rifugiato chi allude a fatti strettamente collegati a una situazione politica generale ormai completamente
mutata); è da rilevare che la Convenzione non cita i motivi di sesso (si
pensi ai casi di per­secuzioni contro gli omosessuali o contro i diritti delle
donne), né i motivi di lingua (si pensi ai casi di persecuzioni contro coloro
che parlano lingue diverse, pur appartenendo alla medesima razza), casi
che peraltro possono rientrare nell’ipotesi della “appartenenza a un determinato gruppo sociale”; occorre infine precisare che mentre può farsi
rientrare nella persecuzione colui che è punito o punibile perché rifiuta
l’arruolamento in quanto si dichiara obiettore di coscienza all’obbligo
del servizio militare per motivi religiosi, etici, filosofici e anche politici,
di per sè non può riconoscersi come rifugiato colui che è ricercato dalle
autorità del proprio paese per il semplice fatto di aver disertato le Forze
armate o di averle abbandonate in tempo di guerra (reati militari puniti
nell’ordinamento giuridico di tutti i paesi del mondo);
3) Trovarsi fuori del paese di cui si ha la nazionalità: il rifugiato – per essere
riconosciuto tale – deve essere materialmente uscito dal proprio paese, ma
non è necessario che lo straniero abbia lasciato il suo paese il­legalmente
o a causa di fondati timori, perché egli ben può deci­dere di chiedere il
riconoscimento dello status dopo aver risie­duto all’estero, in seguito a
situazioni sopravvenute nel paese di origine durante la sua assenza (per
esempio rivoluzioni, colpi di sta­to, guerra civile, persecuzione contro i
propri amici o familiari);
4) Non potere o non volere avvalersi della protezione del proprio Stato: non
potere avvalersi è circostanza indipendente dalla volontà del soggetto (si
pensi per esempio alla situazione di guerra civile in cui non esiste più un
governo legittimo o capace di imporre la sua autorità su tutto il territorio),
mentre il non volere si ricol­lega al fatto che è lo Stato stesso il responsabile o il complice della persecuzione: agente di persecuzione (chi perseguita), può essere direttamente uno dei poteri pubblici di uno Stato oppure
un altro soggetto da questi tollerato o non contrastato.
La Convenzione di Ginevra prevede anche norme che mirano a garantire l’effettiva tutela del rifugiato sul territorio dello Stato a cui chiede protezione. Tra
queste sono particolarmente rilevanti quelle che vietano di sanzionare l’ingresso o il soggiorno irregolare dei rifugiati (art. 31), che impediscano la loro
espulsione se non per motivi di sicurezza nazionale o ordine pubblico e che, in
ogni caso, garantiscono il pieno esercizio del diritto alla difesa (art. 32).
Centrale all’interno della Convenzione e dell’intero sistema di protezione dei
40
rifugiati è il principio di non refoulment (art. 33), in base al quale il rifugiato
non può essere respinto o espulso verso “le frontiere dei luoghi ove la sua vita
e la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza a una determinata categoria
sociale o delle sue opinioni politiche”.
La Convenzione di Ginevra prevede anche l’obbligo di ogni rifugiato a
conformarsi alle leggi e ai regolamenti del paese in cui si trova. Essa prevede
anche che ogni Stato regoli autonomamente lo status personale del rifugiato,
concedendogli il trattamento più favorevole per il godimento dei diritti civili,
economici e sociali, nonché il medesimo trattamento accordato ai propri cittadini in materia di istruzione e di assistenza pubblica.
In ogni caso l’art. 1 lett. F della Convenzione prevede cause di esclusione:
le disposizioni della Convenzione non si applica­no “a quelle persone nei confronti delle quali si hanno serie ra­gioni per ritenere:
a) che abbiano commesso un crimine contro la pace, un cri­mine di guerra o
un crimine contro l’umanità, come definito negli strumenti internazionali
elaborati per stabilire disposizioni ri­guardo a questi crimini;
b) che abbiano commesso un crimine grave di diritto comune al di fuori del
paese di accoglimento e prima di esservi ammesse in qualità di rifugiati;
c) che si siano resi colpevoli di azioni contrarie ai fini e ai principi delle
Nazioni Unite.”
Tuttavia l’art. 1 L. n. 39/1990, che è rimasto in vigore fino alla fine del 2007,
aveva previsto alcune cause ostative alla presentazione delle domande: non
era consentito l’ingresso nel territorio dello Stato dello straniero che intende
chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato quando, da riscontri obiettivi da parte della polizia di frontiera, risultasse che il richiedente:
a) sia già stato riconosciuto rifugiato in altro Stato;
b) provenga da uno Stato, diverso da quello di appartenenza, che abbia aderito alla Convenzione di Ginevra, nel quale abbia trascorso un periodo di
soggiorno, non considerandosi tale il tempo necessario per il transito dal
relativo territorio sino alla frontiera italiana;
c) si trovi nelle condizioni previste dall’articolo 1, paragrafo F, Convenzione di Ginevra;
d) sia stato condannato in Italia per uno dei delitti previsti dall’articolo 380,
commi 1 e 2, del codice di procedura penale o risulti appartenente ad
associazioni di tipo mafioso o dedite al traffico degli stupefacenti o ad
organizzazioni terroristiche.
B) Stranieri accolti per eventi eccezionali (protezione temporanea) su decisione
del Governo adottata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
41
per rilevanti esigenze umanitarie in occasione di conflitti, disastri naturali o
altri eventi di particolare gravità verificatisi in paesi extracomunitari ovvero
per una decisione adottata in circostanze analoghe dal Consiglio dei Ministri
dell’Unione europea (art. 20 TU e D. Lgs. n. 7 aprile 2003, n. 85, in attuazione della direttiva 2001/55/CE): costoro ricevono un permesso di soggiorno
per motivi umanitari, di durata non superiore a un anno, rinnovabile finché
perdura la protezione accordata, che consente loro di lavorare. La norma è
stata finora applicata soltanto nel 1999 per l’esodo degli albanesi espulsi con
la forza dal Kosovo.
C) Stranieri a cui è rilasciato un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Una forma di protezione sussidiaria fino alla fine del 2007 è stata indirettamente riconosciuta dalle Commissioni territoriali per il riconoscimento dello
status di rifugiato allo straniero: allorché sia rigettata la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, ma si rileva che le conseguenze di un eventuale rimpatrio comporterebbero la violazione degli obblighi costituzionali e
gli obblighi internazionali dell’Italia e in particolare dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (divieto di tortura e di subire pene o trattamenti inumani o degradanti) la Commissione chiede al questore il rilascio
di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, che ha durata di un anno
rinnovabile finché perdurano i problemi nel paese di origine (art. 1-quater,
comma 4, D.L. n. 416/1990, introdotto dalla legge n. 182/2002; art. 5, comma
6, e 19, comma 1 del Testo unico delle leggi sulla disciplina dell’immigrazione e sulla condizione dello straniero approvato con D. Lgs. n. 286/1998,
e art. 11, comma c-ter del suo regolamento di attuazione, approvato con Dpr.
394/1999, come modificato dal Dpr. n. 334/2004).
Dal 2008, come meglio si illustrerà più oltre, quest’ultima situazione riceverà
una completa sistemazione in attuazione di una direttiva comunitaria.
D) Stranieri a cui è rilasciato un permesso di soggiorno per motivi umanitari in
virtù di altri obblighi internazionali o comunitari. Il permesso di soggiorno
per motivi umanitari (previsto dall’art. 5 del Testo unico delle leggi sulla
disciplina dell’immigrazione e sulla condizione dello straniero approvato
con D. Lgs. n. 286/1998, e dell’art. 11, comma c-ter del suo regolamento
di attuazione, approvato con Dpr. n. 394/1999, come modificato dal Dpr. n.
334/2004) ben potrebbe essere rilasciato anche sulla base di altre situazioni
che configurano l’impedimento all’effettivo esercizio delle libertà democratiche: si pensi ai casi di persone che non avrebbero i requisiti necessari per
ottenere la protezione sussidiaria (per esempio militari in fuga) o di persone
nei confronti delle quali nel paese di origine sono stati intrapresi procedimenti penali o vi sono state condanne, ma in virtù di reati politici, in presen42
za delle quali l’estradizione è vietata ai sensi dell’art. 10, comma 4 Cost. e
perciò sia stata rifiutata dalla competente Corte di appello una richiesta di
estradizione o una richiesta di consegna per effetto di un mandato di cattura
europeo.
Peraltro fino alla fine del 2007 il sistema legislativo italiano è stato carente, perché gli stranieri in fuga dal loro paese senza essere individualmente perseguitati
sono stati indotti a usare la sola via praticabile per poter godere almeno di un asilo
provvisorio, presentando la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato,
pur non avendone i requisiti.
Ciò comporta che decine di migliaia di domande di riconoscimento dello status di rifugiato siano state finora respinte, mentre gli stranieri che avevano richiesto asilo sono restati illegalmente nel territorio nazionale proprio a causa della
situazione nel paese di origine.
1.3 Le nuove procedure di esame delle domande introdotte dal 2005 e
l’attuazione delle norme comunitarie
Tuttavia alcuni cambiamenti significativi sono avvenuti anche in virtù dell’entrata in vigore di importanti norme comunitarie, adottate dell’Unione europea in
virtù della politica comune in materia di asilo prevista dai Trattati istitutivi, dopo
le modifiche del Trattato di Maastricht del 1992.
In primo luogo si segnala la comunitarizzazione dei criteri per la determinazione dello Stato competente a esaminare le domande di asilo: la Convenzione
di Dublino del 15 giugno 1990 è stata sostituita dal Regolamento (CE) 18 febbraio 2003, n. 343/2003, entrato in vigore nel settembre 2003, che mira anche a
garantire che nessun richiedente asilo sia rinviato in un paese nel quale rischia
di essere nuovamente esposto alla persecuzione, in ottemperanza al principio di
non respingimento, mentre gli Stati membri dell’Unione europea sono considerati paesi sicuri per i cittadini extracomunitari. Viene applicato, ad esempio, nel
caso in cui il richiedente asilo, dopo essere entrato nel territorio di uno Stato
membro dell’Unione europea, si sia successivamente spostato in un altro paese
membro dell’UE inoltrando in quest’ultimo la propria domanda d’asilo. Lo scopo del regolamento è quello di individuare quale Stato membro sia responsabile
dell’esame di una domanda d’asilo, al fine di condurre un corretto esame di ogni
richiesta e di scoraggiare le persone dall’inoltrare domanda d’asilo in più di un
paese. Il regolamento si applica in tutti i paesi dell’UE, ai quali si aggiungono
Norvegia e Islanda.
Il regolamento si ispira a un regime europeo comune in materia di asilo, nel
43
rispetto del principio di non respingimento e disciplina la determinazione dello
Stato membro competente a esaminare le domande di asilo, fondandola su criteri
oggettivi e equi e miranti a un rapido espletamento delle domande di asilo. Tuttavia un’effettiva armonizzazione delle politiche d’asilo e delle pratiche adottate
all’interno dell’UE non è ancora stata raggiunta, perché le legislazioni nazionali
e le rispettive prassi in materia d’asilo variano ancora molto da paese a paese,
generando così un diverso trattamento dei richiedenti asilo, il che può produrre
disparità anche nell’applicazione dello stesso regolamento.
In ogni caso il regolamento prevede dei criteri gerarchici per la determinazione dello Stato membro competente all’esame della domanda di asilo. Tali criteri
riguardano i richiedenti asilo minori non accompagnati, i richiedenti in possesso
di titoli di soggiorno o visti (in corso di validità, scaduti, o falsi) rilasciati da uno
dei paesi membri dell’UE, i richiedenti asilo entrati irregolarmente, sia attraversando clandestinamente le frontiere esterne, sia in transito in altri Stati membri.
Sono previsti dei criteri residuali e in particolare l’applicazione di una clausola
umanitaria secondo cui ogni Stato membro può, pur non essendo competente in
applicazione dei criteri definiti dal regolamento, “procedere al ricongiungimento
dei membri di una stessa famiglia nonché di altri parenti a carico, per ragioni
umanitarie, fondate in particolare su motivi familiari o culturali. In tal caso detto
Stato membro esamina, su richiesta di un altro Stato membro, la domanda di asilo
dell’interessato. Le persone interessate debbono acconsentire”.
Inoltre il regolamento prevede termini per l’espletamento della determinazione dello Stato membro competente: lo Stato membro dove è stata presentata
l’istanza di asilo deve interpellare lo Stato membro che ritiene competente entro
3 mesi dalla richiesta di asilo e scaduto tale termine, la competenza rimane allo
Stato membro dove è stata presentata la domanda di asilo. Lo Stato membro dove
deve essere esaminata la domanda di asilo deve decidere sulla presa in carico
entro due mesi dalla richiesta altrimenti la scadenza del termine equivale all’accettazione della richiesta e l’obbligo di prendere in carico la persona. In ogni caso
la procedura di interpello di un altro Stato deve durare non più di 5 mesi.
Il trasferimento del richiedente asilo in altro Stato che è competente deve avvenire al massimo entro 6 mesi dall’accettazione della richiesta di presa in carico,
perché se non avviene entro tale termine la competenza ricade sullo Stato membro dove la richiesta di asilo è stata presentata.
In totale l’intera procedura per la determinazione dello Stato competente a
esaminare la domanda di asilo deve durare al massimo 11 mesi, termini prorogabili di 12 o 18 mesi (in caso di trattenimento o irreperibilità). Il richiedente asilo
può presentare ricorso contro la decisione relativa al suo trasferimento nello Stato
membro ritenuto competente, ma il ricorso non sospende l’esecuzione del trasfe44
rimento salvo che sia diversamente disposto dall’autorità giudiziaria.
Occorre poi ricordare il sistema Eurodac, istituito con apposito regolamento
comunitario, che prevede l’obbligo di sottoporre a rilievi dattiloscopici ogni persona che presenti domanda di asilo in uno Stato membro dell’Unione europea,
al fine di evitare elusioni sia delle norme che prevedono i criteri di esame delle
domande di asilo in un solo Stato, sia delle norme sull’immigrazione. Si è così
costituita un’enorme banca dati comune, che è messa a disposizione delle forze
di polizia degli Stati membri dell’UE.
In secondo luogo il sistema complessivo dell’accoglienza in favore dei richiedenti asilo appare migliorato sia a seguito dell’istituzione da parte della legge n.
189/2002 dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) gestito dal Ministero dell’Interno in convenzione con l’Anci e di un apposito Fondo
nazionale per i servizi in favore dell’asilo, annualmente ripartito dal Ministero
dell’Interno sulla base di progetti di accoglienza presentati dagli enti locali anche
in collaborazione con enti del privato sociale, sia a seguito del decreto legislativo
30 maggio 2005, n. 140 che attua la direttiva UE 2003/9/CE, grazie al quale, tra
l’altro, al richiedente asilo è consentito l’accesso a regolari rapporti di lavoro
qualora la competente Commissione non abbia ancora provveduto a comunicare
una decisione circa la sua domanda di asilo entro 6 mesi dalla sua presentazione,
salvo che il ritardo sia collegato a circostanze imputabili allo stesso richiedente.
In realtà il miglioramento appare a tinte chiaro-scure.
Infatti dopo l’avvio dall’aprile 2005 della nuova procedura italiana in materia d’asilo prevista dalla legge n. 189/2002, l’Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati (Acnur) ha evidenziato gli aspetti positivi e negativi della
legge e della sua applicazione.
Tra i più rilevanti aspetti negativi si ricorda soprattutto la previsione di ipotesi
di trattenimento obbligatorio o facoltativo di ampie categorie di richiedenti asilo
e la mancata previsione di un ricorso giurisdizionale con effetto sospensivo contro il rigetto della domanda d’asilo.
Tra le novità positive introdotte dalla legge n. 189/2002 vi è il decentramento
della procedura d’asilo attraverso la creazione di sette Commissioni territoriali
– incaricate di esaminare le domande d’asilo e determinare lo status di rifugiato – che hanno iniziato la loro attività il 21 aprile 2004. Le Commissioni hanno
sede a Milano, Gorizia, Roma, Foggia, Crotone, Siracusa e Trapani e sono coordinate dalla Commissione nazionale per il diritto d’asilo con sede a Roma. Ogni
Commissione è composta da un prefetto, un funzionario della pubblica sicurezza,
un rappresentante degli enti locali e uno dell’Acnur. In base ai dati forniti dalla
Commissione nazionale, dall’inizio della loro attività – il 21 aprile 2005 – alla
fine di febbraio 2006, le Commissioni territoriali hanno preso decisioni in merito
45
a 6.945 domande d’asilo, riconoscendo in 358 casi (oltre il 5%) lo status di rifugiato e in 3.049 (circa il 44%) la protezione umanitaria.
Tra gli elementi della nuova procedura da valutarsi positivamente vi sono la
possibilità di ogni Commissione di richiedere il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, la notevole riduzione dei tempi di attesa e le maggiori garanzie procedurali fornite ai richiedenti asilo (come la facoltà di farsi
assistere da un avvocato durante l’audizione e il rilascio del relativo verbale).
Apprezzabile è anche l’attività di formazione coordinata dei membri delle Commissioni territoriali svolta dalla Commissione nazionale e l’utilizzo di informazioni aggiornate e accurate sui paesi d’origine dei richiedenti asilo.
Vi sono peraltro aspetti negativi. In primo luogo si istituiscono due procedure
(ordinaria e semplificata) e si consente il trattenimento obbligatorio o facoltativo
dei richiedenti asilo nei centri di permanenza temporanea e nei centri di identificazione in molte ipotesi di richiesta di asilo, con misure di dubbia costituzionalità nelle ipotesi di trattenimento nei centri di identificazione senza possibilità
di uscita neppure temporanea e senza alcuna convalida giurisdizionale di una
misura che evidentemente restringe la libertà personale e non soltanto la libertà
di circolazione e soggiorno.
In secondo luogo il concetto di accesso alla procedura inteso nel senso più
garantista del termine dovrebbe comportare l’accesso anche agli eventuali strumenti di ricorso contro provvedimenti di rigetto della domanda che si ritengano
illegittimi, ma il diritto alla difesa, quello garantito dall’art. 24 della Costituzione,
per gli asilanti è vanificato, perché non si prevede la gratuità della difesa nei procedimenti giurisdizionali in materia di asilo e il provvedimento di rigetto senza
che sia stato neppure raccomandato il rilascio di un permesso di soggiorno per
motivi umanitari comporta un allontanamento dal territorio nazionale senza che
lo straniero abbia possibilità di rivolgersi al giudice con un ricorso avente effetto
sospensivo. Per evitare che tutti si allontanino dai centri di permanenza nulla
avrebbe impedito alla legge un ulteriore periodo di trattenimento fino a quando il
giudice non abbia deciso sul ricorso.
Peraltro in questo settore è sempre possibile adottare una disciplina legislativa che contemperi le due esigenze: da un lato il diritto di asilo che comporta
che almeno in via definitiva sia esaminata la domanda dello straniero e dall’altra
l’esigenza di sicurezza dello Stato che ha il diritto e il dovere, dice la Corte Costituzionale, di controllare l’immigrazione alle proprie frontiere. Così la previsione dell’effetto sospensivo del ricorso giurisdizionale sarà introdotta dal 2008
quando sarà data attuazione alla direttiva comunitaria sui requisiti minimi delle
procedure di esame delle domande di asilo, che invece esige la previsione di
quell’effetto sospensivo.
46
In ogni caso i miglioramenti della procedura di esame delle domande di asilo
ne hanno sveltito così tanto le precedenti lentezze che dal 2005 si è creata una
situazione paradossale. Infatti la maggiore rapidità della procedura di esame di
ogni domanda, che molto spesso si conclude complessivamente in 4 mesi dall’arrivo in Italia, e l’aumento notevole delle domande che si concludono con il riconoscimento dello status di rifugiato o col rilascio di un permesso di soggiorno
per motivi umanitari hanno creato una situazione invertita rispetto al passato:
un numero elevato di rifugiati e di titolari di protezione umanitaria si trovano
in un tempo relativamente breve a doversi integrare in una nuova realtà nella
quale hanno il diritto di soggiornare e di cercarsi liberamente un lavoro, senza
però disporre di un’adeguata conoscenza linguistica e di una degna sistemazione
alloggiativa. Tale situazione comporta la necessità di una politica organica di inserimento e integrazione, di formazione linguistica, di formazione professionale
e di inserimento lavorativo, di assistenza psicologica e sanitaria.
In particolare, per quanto riguarda i bisogni alloggiativi e di inserimento sociale i posti di accoglienza copribili mediante lo Sprar e il Fondo non raggiungono la metà di quelli che sarebbero necessari, sicché la maggioranza degli stranieri che hanno ottenuto in Italia il riconoscimento dello status di rifugiato o
una forma di protezione umanitaria vive in abitazioni di fortuna in condizioni
di massimo degrado e senza ricevere adeguata assistenza, il che crea forme di
visibile marginalità. In questo contesto, il crescente problema dei minori stranieri
non accompagnati richiede un’attenzione particolare nell’ambito del necessario
potenziamento di servizi di accoglienza che siano adeguati ai bisogni e tengano
conto delle specificità dei gruppi vulnerabili.
1.4 Lo scenario del diritto d’asilo dal 2008: le riforme della disciplina
legislativa italiana in materia di asilo a seguito dell’attuazione delle direttive comunitarie
L’ordinamento italiano appare dunque fino al 2007 lacunoso, problematico e disorganico, ma dal 2008 l’attuazione delle due seguenti direttive comunitarie introduce notevoli cambiamenti e integrazioni a tutte le norme nazionali di rango
legislativo e regolamentare:
1) Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché
norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta; essa è stata attuata
con il D. Lgs. 19 novembre 2007, n. 251 (entrato in vigore il 19 gennaio
47
2008);
2) Direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1 dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento
e della revoca dello status di rifugiato; essa è stata attuata con il D. Lgs. 29
gennaio 2008, n. 25 (entrato in vigore il 2 marzo 2008).
Si può fin da subito affermare che dal 2008 il diritto d’asilo in Italia dello straniero che abbia presentato un’unica domanda di protezione internazionale riceve
una piena attuazione in 3 forme diverse. In ogni caso si può affermare che con
l’effettiva attuazione di queste direttive gran parte della problematica di base del
diritto di asilo è finalmente risolta. La Costituzione infatti non prevede che il
diritto d’asilo debba essere dato secondo un unico modello di protezione all’asilante, ma lascia alla legge stabilire le condizioni del diritto di asilo, sicché non
impedisce il recepimento di questa duplice figura, rifugiato da una parte e protezione sussidiaria dall’altro.
Più esattamente dagli altri artt. 11 e 17 D. Lgs. n. 251/2007 e dall’art. 32 D.
Lgs. n. 25/2008 si può affermare che dal marzo 2008 il diritto di asilo sarà attuato
secondo i due diversi status di protezione internazionale riconosciuti in tutti i paesi dell’Unione europea (status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra
del 1951 e status di protezione sussidiaria) e in una forma aggiuntiva (permesso
di soggiorno per motivi umanitari) riconosciuta soltanto in Italia:
a) a coloro che abbiano il ragionevole timore di essere perseguitati individualmente, accertato con i criteri previsti dalla direttiva, si riconosce lo status di
rifugiato, con permesso di soggiorno per asilo della durata di 5 anni rinnovabile, che dà accesso al lavoro (anche nel pubblico impiego), allo studio, ai
servizi socio-assistenziali, al ricongiungimento familiare a condizioni agevolate e al documento di viaggio;
b) a coloro che, pur non avendo i requisiti previsti per ottenere lo status di rifugiato, corrano il rischio di subire un danno grave in caso di rientro nel paese
di origine a causa di condanne a morte, torture, pene o trattamenti inumani o
degradanti ovvero delle conseguenze derivanti ai civili da un conflitto armato
internazionale o interno, è riconosciuto lo status di protezione sussidiaria,
con permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, di durata triennale e
rinnovabile previs verifica della persistenza della situazione nel paese di origine o provenienza, che dà accesso al lavoro, allo studio, ai servizi socioassistenziali, al ricongiungimento familiare a condizioni agevolate e a un documento di viaggio;
c) a coloro che non possano ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato
o dello status della protezione sussidiaria (il che potrebbe avvenire anche in
caso di estradizione negata per reati politici o nel caso di militari in fuga o nelle
48
ipotesi di cessazione o di esclusione dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria) la competente Commissione nel caso in cui non accolga la
domanda di protezione internazionale ma ritenga che sussistano gravi motivi
di carattere umanitario trasmette gli atti al questore per l’eventuale rilascio di
un permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi dell’art. 5, comma 6,
del TU n. 286/1998.
Resta infine la facoltà per il Governo di disporre in via eccezionale misure di
protezione temporanea in caso di eventi di massa.
1.5 L’attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile
2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi
terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti
bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul
contenuto della protezione riconosciuta
Questa direttiva appare fondamentale per giungere finalmente alla quasi completa
attuazione del diritto d’asilo previsto a livello costituzionale, sia perché limita la
discrezionalità nell’accertamento degli elementi fondamentali della persecuzione
che sta alla base della nozione di rifugiato, sia perché prevede una tipologia di
circostanze diverse dalla persecuzione, in presenza delle quali si prevede una protezione sussidiaria dello straniero, avente un contenuto minimo piuttosto definito.
La direttiva prevede una richiesta “indistinta” di protezione internazionale,
affidando all’autorità preposta all’esame della domanda in ogni Stato la scelta
di riconoscere lo status di rifugiato, se le persecuzioni addotte dal richiedente,
come meglio individuate dalla direttiva stessa, rientrano tra quelle previste dalla
Convenzione di Ginevra, ovvero, se non sussistono i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, la “protezione sussidiaria” in considerazione dei
danni gravi che il richiedente subirebbe in caso di rimpatrio a causa di guerre,
guerre civili, torture, pene o trattamenti inumani o degradanti.
È importante ricordare che la direttiva prevede che 1) la nozione di protezione
internazionale si applichi sia allo status di rifugiato, sia allo status di titolare della
protezione sussidiaria, 2) il riconoscimento della protezione internazionale è un
atto declaratorio, 3) la protezione internazionale va distinta dalla concessione alla
permanenza nel territorio di uno Stato aderente per “motivi caritatevoli o umanitari riconosciuti su base discrezionale” da ogni Stato (e perciò sarà mantenuto in
Italia il permesso di soggiorno per motivi umanitari in forme diverse).
L’attuazione della direttiva comporta strumenti assai più certi e garantisti di
quelli che erano in vigore tra il 2002 e il 2007 nella normativa italiana che forse
49
mirava a una embrionale forma di protezione sussidiaria, cioè la facoltà che era
data alle Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato
che, pur non ravvisando i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ritenessero pregiudizievoli le conseguenze del rimpatrio e chiedevano al
questore il rilascio di un permesso per motivi umanitari, in attuazione del principio di non refoulement. Il permesso per motivi umanitari fino al 2007 è stato
un permesso annuale, rinnovabile e convertibile in permesso per lavoro, ma non
comportava l’attribuzione di uno status particolare, come quello derivante dal riconoscimento della protezione sussidiaria prevista dalla direttiva. Peraltro anche
l’introduzione della protezione sussidiaria comporta l’eliminazione del permesso
di soggiorno per motivi umanitari, che risponde anche a ulteriori e diverse esigenze, così come la direttiva afferma nel preambolo precisando che essa non si
applica ai cittadini di paesi terzi o apolidi “cui è concesso di rimanere nel territorio nazionale non perché bisognosi di protezione internazionale, ma per motivi
caritatevoli o umanitari riconosciuti su base discrezionale”.
Questa direttiva appare davvero fondamentale anche per altri motivi: essa
rende vincolante un insieme particolareggiato e consolidato di criteri circa il riconoscimento dei vari elementi delle persecuzioni, sicché con l’effettiva applicazione di questa direttiva potrebbero aumentare i casi di riconoscimento dello
status di rifugiato. Occorre infatti ricordare che si tratta di norme vincolanti sia
per le commissioni che decidono in via amministrativa, sia per il giudice: da un
lato si restringe al minimo la discrezionalità nell’esame e nella decisione circa
le domande e dall’altro lato eventuali ricorsi giurisdizionali entrano nel merito
delle decisioni amministrative e si sostituiscono a esse allorché esse siano state
adottate in violazione dei criteri e principi per la determinazione dello status di
rifugiato o della protezione sussidiaria.
Si pone peraltro il dubbio che restino escluse dall’attuazione del diritto d’asilo
nella forma dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria alcune situazioni di stranieri fuggiti né per una persecuzione individuale, né per un pericolo di
subire un danno grave alla persona, tra le quali c’è l’ipotesi dei militari in fuga.
Infatti la direttiva espressamente esclude da protezione sussidiaria il militare
che tema di subire danni gravi dall’esistenza di un conflitto e tale esclusione è
assai importante, perché in un conflitto in ipotesi illegittimo per la legalità internazionale, se un militare fugge sottrae forze alla continuazione di questo conflitto
che non avrebbe dovuto essere combattuto e perché in qualche modo si mette a
proteggere la propria personale incolumità, fuggendo. Peraltro anche a questo
tipo di stranieri si deve dare asilo. Infatti da un lato è vero che costoro avrebbero
compiuto un reato militare di diserzione, che è reato previsto anche dalle leggi
penali militari italiane. Dall’altro lato però è vero che l’ordinamento italiano in
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virtù dell’obbligo delle forze armate di conformarsi all’ordinamento democratico
della Repubblica (art. 52, u.c. Cost.) prevede espressamente il dovere del militare
di rifiutarsi di adempiere, di obbedire a ordini che costituiscano manifestamente
reato, quali i fatti che sono previsti e puniti come crimini internazionali dallo
Statuto della Corte penale internazionale firmato a Roma nel 1998. Perciò la questione del militare che si rifiuti di intraprendere o di proseguire azioni criminose
potrebbe verificarsi in molte vicende. In realtà forse il caso dei militari durante un conflitto secondo questa direttiva sostanzialmente non sarebbe coperto da
protezione perché a essi si dovrebbero applicare le norme del diritto umanitario
vigente durante i conflitti armati. Peraltro il militare in fuga da un conflitto illecito secondo il diritto internazionale potrebbe ottenere lo status di rifugiato se per
tale suo gesto dovesse subire in patria una qualsiasi forma di azione giudiziaria
o sanzione penale persecuzione, come espressamente prevede l’art. 7, comma 2
lett. e) D. Lgs. n. 251/2007.
In ogni caso ciò che è più rilevante è che la direttiva prevede principi e norme
minime comuni in tema di definizione/contenuto dello status, per orientare le
competenti autorità nazionali degli Stati membri dell’applicazione della Convenzione di Ginevra; prevede criteri comuni per l’attribuzione ai richiedenti asilo
della qualifica di rifugiati ai sensi dell’art. 1 Conv. Ginevra; di definizioni comuni per nozioni quali “bisogno di protezione internazionale sorto fuori dal paese
d’origine (sur place)”, “fonti del danno e della protezione”, “protezione interna”,
“persecuzione, ivi compresi i motivi di persecuzione”, “appartenenza a un determinato gruppo sociale”; definizione e elementi essenziali della “protezione sussidiaria”, che dovrebbe avere carattere complementare e supplementare rispetto
alla protezione dei rifugiati sancito dalla Convenzione di Ginevra, nonché criteri
per l’attribuzione della qualifica di beneficiari della protezione sussidiaria, che
dovrebbero essere elaborati sulla base degli obblighi internazionali derivanti da
atti internazionali in materia di diritti dell’uomo e sulla base della prassi seguita
negli Stati membri.
Per quanto riguarda i punti salienti del testo del D. Lgs. 19 novembre 2007, n.
251 che recepisce la direttiva “qualifiche”, esso risolve, in senso positivo, alcuni
dubbi interpretativi, quale quello legato all’attribuzione della protezione internazionale anche nelle ipotesi in cui il rischio di persecuzione ovvero di danno grave
sia sorto successivamente alla partenza del richiedente dal paese di origine.
Si introducono nella legislazione le nozioni di responsabili della persecuzione
o del danno grave, si specifica, tra i motivi di persecuzione, il contenuto dell’appartenenza a un “determinato gruppo sociale”, si ribadisce l’elemento fondamentale rappresentato dal carattere individuale della vicenda della persecuzione,
anche con riferimento alle stesse garanzie procedimentali che devono sussistere
51
sia nell’esame dei presupposti per il riconoscimento sia nella valutazione delle
ipotesi di cessazione.
Più preoccupanti e giuridicamente assai opinabili sono i casi di esclusione
dallo status di rifugiato e dalla protezione sussidiaria per reati connotati da particolare gravità e i casi di diniego dello status di rifugiato nelle ipotesi in cui il
richiedente sia pericoloso per la sicurezza dello Stato ovvero per l’ordine e la
sicurezza pubblica.
Ultimo elemento riguarda la durata dei relativi permessi di soggiorno che per
il titolare dello status di rifugiato sarà di cinque anni, rinnovabile, e per il titolare
della protezione sussidiaria di tre anni, rinnovabile previa verifica delle condizioni che ne hanno giustificato il rilascio; quest’ultimo consentirà l’accesso allo
studio e allo svolgimento di attività lavorativa, oltre a essere convertibile in permesso di lavoro.
Il D. Lgs. n. 251/2007 contiene in gran parte norme legittime e opportune, sia
perché nella grande maggioranza delle disposizioni si recepiscono correttamente
le norme della direttiva comunitaria, sia perché quasi sempre non si avvale delle
numerose facoltà in essa previste in favore degli Stati membri di prevedere talune
misure derogatorie o più sfavorevoli nei confronti dei richiedenti asilo, sia perché
talvolta prevede talune ulteriori significative disposizioni più favorevoli per i richiedenti asilo rispetto a quelle previste dalla direttiva, così come consente l’art.
3 della stessa direttiva, anche rinunciando ad attuare talune norme della direttiva
che appaiono piuttosto ambigue.
Tra gli aspetti più innovativi introdotti nel D. Lgs. di attuazione si segnalano:
1. Regole per l’esame della richiesta di asilo (che è definita oggi “richiesta di
protezione internazionale”), che includono: a) la raccolta e la valutazione delle informazioni sul paese di origine; b) l’esame anche in assenza di documentazione di supporto alle dichiarazioni del richiedente; c) la valutazione delle
circostanze “sur place” ovvero sorte dopo aver lasciato il paese di origine che
possono rendere necessaria la protezione internazionale;
2. Definizione del presupposto della protezione sussidiaria nel “danno grave”
che il richiedente potrebbe subire nel paese di origine, comunque senza essere
oggetto di persecuzioni ai sensi della Convenzione di Ginevra. La protezione
sussidiaria contempla solamente 3 circostanze: a) condanna a morte; b) tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante; c) minaccia
grave e individuale alla vita o alla persona di un civile in situazioni di conflitto armato;
3. Diritti del rifugiato: a) durata del permesso di soggiorno di 5 anni, rinnovabile; b) durata del documento di viaggio di 5 anni, rinnovabile; c) diritto al
lavoro subordinato e autonomo a parità di condizioni col cittadino italiano; d)
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accesso al pubblico impiego, con le modalità previste per i cittadini comunitari; e) accesso agevolato al ricongiungimento familiare;
4. Diritti dei beneficiari della protezione sussidiaria: a) durata del permesso di
soggiorno di 3 anni; b) rinnovo previa verifica della permanenza delle condizioni che hanno consentito il riconoscimento della protezione sussidiaria (non
viene specificato chi fa la verifica – si suppone la Commissione territoriale);
c) convertibilità del permesso di soggiorno per motivi di lavoro; d) rilascio di
un titolo di viaggio per stranieri, quando sussistono fondate ragioni che non
consentono di chiedere il passaporto al consolato del paese di origine; e) diritto al lavoro subordinato e autonomo e all’iscrizione agli albi professionali
in condizioni di parità con il cittadino italiano; f) Diritto al ricongiungimento
familiare, alle condizioni previste per gli altri stranieri, ma con facilitazioni
quanto all’accertamento della parentela, in parità, sotto questo aspetto, con i
rifugiati.
In particolare l’art. 3 individua gli elementi della domanda di protezione internazionale nelle dichiarazioni del richiedente e nella documentazione concernente
tutte quelle circostanze e condizioni da cui possono trarsi utili elementi di valutazione, definendo, altresì, l’ambito di tale valutazione. Si precisano anche le
circostanze da cui può evincersi la veridicità delle dichiarazioni del richiedente
in assenza di documentazione. L’art. 3 si riferisce sia all’ipotesi in cui il rischio
da valutare consista in una persecuzione ai sensi della Convenzione di Ginevra,
sia a quella in cui tale rischio sia rappresentato da quel danno grave che dà luogo
alla protezione sussidiaria.
Circa la valutazione delle domande di protezione internazionale l’Italia si avvale della facoltà di esigere dal richiedente tutti gli elementi necessari a motivare
la domanda e lo Stato è tenuto a esaminarne tutti gli elementi significativi (come,
ad esempio: le dichiarazioni del richiedente e tutta la documentazione in suo possesso in merito alla sua età, estrazione, identità, cittadinanza, paesi e luoghi in cui
ha soggiornato in precedenza ecc.).
L’esame della domanda deve essere effettuato su base individuale e prevede
la valutazione, fra l’altro: a) di tutti i fatti pertinenti riguardanti il paese d’origine
al momento della decisione in merito alla domanda; b) della dichiarazione e della
documentazione presentate dal richiedente, che deve altresì rendere noto se ha
subito o rischia di subire persecuzioni o danni gravi; c) della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, come ad esempio l’estrazione,
il sesso e l’età (per verificare se gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si
configurino come persecuzione o danno grave); d) della eventualità che le attività
svolte dal richiedente, dopo aver lasciato il paese d’origine, abbiano mirato a
creare le condizioni necessarie alla presentazione di una domanda di protezione
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internazionale (per stabilire se tali attività espongano il richiedente a persecuzione o a danno grave in caso di rientro nel paese).
Lo Stato applica il principio per cui il richiedente è tenuto a motivare la sua
domanda, ma secondo un principio di verosimiglianza, sicché qualora taluni
aspetti delle dichiarazioni non siano suffragati da prove documentali o di altro
tipo, la loro conferma non è necessaria purché: a) il richiedente ha compiuto
sinceri sforzi per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi in suo possesso
sono stati prodotti ed è stata fornita una spiegazione soddisfacente dell’eventuale
mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni sono ritenute coerenti
e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni di cui si dispone; d)
il richiedente ha presentato quanto prima la domanda, a meno che non dimostri
di aver avuto buoni motivi per ritardarla; e) è accertato che il richiedente è, in
generale, attendibile.
Peraltro al comma 1 appare troppo vago il riferimento (non previsto dalla direttiva) all’obbligo del richiedente di presentare “comunque appena disponibili”
tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda. Occorre
precisare che deve trattarsi di una immediata disponibilità in Italia da parte dello
stesso richiedente. Inoltre al comma 3 lett. a) si aggiunge un inciso (“ove possibile”) – che non è previsto dalla direttiva – all’obbligo di valutare la domanda
anche alla luce delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti nel paese
di origine e alle relative modalità di applicazione: tale inciso appare assai opinabile perché acquisire e mantenere sempre aggiornate precise informazioni sulle
norme e sulla prassi applicate in ogni paese è un preciso onere posto a carico dei
pubblici poteri per assicurare che effettivamente sia svolta una valutazione sempre obiettiva di ogni domanda presentata da stranieri perseguitati o in pericolo di
subire danni gravi.
L’art. 4 chiarisce, in senso positivo, eventuali dubbi interpretativi sull’attribuzione della protezione internazionale anche nelle ipotesi in cui il rischio di
persecuzione ovvero di danno grave sia sorto successivamente alla partenza del
richiedente dal paese d’origine.
I cosiddetti “rifugiati sur place” sono dunque quelli che rischiano di subire
persecuzioni a causa di avvenimenti accaduti dopo la loro partenza dal paese di
origine o a causa di loro attività svolte dopo la partenza dal paese stesso, in particolare quando sia accertato che le attività addotte costituiscono l’espressione o la
continuazione di condizioni od orientamenti già manifestati nel paese di origine.
L’art. 5 individua i responsabili della persecuzione o del danno grave, a) nello
Stato; b) nei partiti ovvero nelle organizzazioni che eventualmente controllano
lo Stato, c) in soggetti non statuali, qualora il richiedente non possa godere della
protezione dei primi ovvero delle organizzazioni internazionali.
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È significativo rilevare che l’Italia non si è avvalsa della facoltà che l’art.
8 della direttiva dava agli Stati di prevedere di verificare, dopo aver accertato
la fondatezza dei timori del richiedente di essere perseguitato o di subire altri
danni gravi e ingiustificati, se tale timore sia chiaramente circoscritto a una zona
definita del territorio del paese d’origine e se il richiedente possa eventualmente
essere trasferito in un’altra parte del paese dove non avrebbe ragione di nutrire
tali timori. La difficoltà di reperire notizie aggiornate e sicure e l’effettività del
diritto d’asilo hanno suggerito di non avvalersi di una facoltà che avrebbe potuto
produrre arbitri liberticidi.
L’art. 6 individua i soggetti che possono offrire adeguata protezione al richiedente nel paese di origine, nonché il contenuto di tale protezione.
La protezione può essere offerta a) dallo Stato, b) da partiti o da organizzazioni, comprese le organizzazioni internazionali, che controllano lo Stato o una
parte consistente del suo territorio. Per stabilire se un’organizzazione internazionale controlla uno Stato o una parte consistente del suo territorio, lo Stato deve
tener conto degli eventuali orientamenti impartiti nei pertinenti atti del Consiglio
dell’UE e delle valutazioni di competenti organizzazioni internazionali e dell’Acnur.
La protezione consiste nell’adozione di misure adeguate per impedire che
possano essere inflitti atti persecutori o danni gravi, avvalendosi di un sistema
giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di
punire tali atti, e nell’accesso da parte del richiedente a tali misure.
Il D. Lgs. n. 251/2007 attua perciò in modo letterale la disposizione comunitaria e non può certo affermarsi che l’impedimento all’esercizio effettivo delle
libertà democratiche di cui all’art. 10 Cost. si riferisca soltanto ad atti provenienti
da un’autorità statale riconosciuta, bensì da qualsiasi organizzazione eserciti di
fatto il potere sulla zona in cui vive la persona, anche se ciò avvenga in regime di
occupazione militare o durante un conflitto armato non internazionale.
Infatti un partito, allorché eserciti il potere su un determinato territorio con
la forza delle armi, o un’organizzazione internazionale chiamata a svolgere su
un determinato territorio operazioni militari in virtù delle norme del diritto internazionale umanitario hanno obblighi nei confronti della popolazione civile,
obblighi di trattare in modo civile, di non sottoporre a torture o trattamenti o pene
inumani o degradanti o di assicurare la protezione penale e le garanzie della difesa (cfr. Convenzione IV sulla protezione dei civili in tempo di guerra, firmata a
Ginevra il 12 agosto 1949, ratificata e resa esecutiva con legge 27 ottobre 1951,
n. 1739; Protocollo aggiuntivo II sulla protezione delle vittime in conflitti armati
non internazionali, adottato a Ginevra l’8 giugno 1977, ratificato e reso esecutivo
con legge 11 dicembre 1985, n. 762).
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L’art. 7, rinviando alla definizione di “rifugiato” contenuta nella Convenzione
di Ginevra, dispone che gli atti di persecuzione di cui si tratta debbono, in ragione
della loro gravità ovvero della loro pluralità, risolversi in una violazione grave dei
diritti umani fondamentali.
Sono considerati atti di persecuzione sia a) atti gravi per loro natura o frequenza da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, sia b) la
somma di diverse misure aventi un analogo effetto sulla persona.
Il comma 2 prevede una esemplificazione non esaustiva degli atti di persecuzione: a) atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale; b)
provvedimenti amministrativi, legislativi o giudiziari o di polizia discriminatori o
attuati in modo discriminatorio; c) azioni giudiziarie o sanzioni penali discriminatorie o sproporzionate; d) rifiuto di accesso ai mezzi di tutela giuridici e conseguente sanzione sproporzionata o discriminatoria; e) azioni giudiziarie o sanzioni
penali in conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto che
potrebbe comportare la commissione di crimini e reati gravi della stessa specie
di quelli valutati tali nella disciplina delle cause di esclusione dello status; f) atti
specificamente diretti contro un genere sessuale o l’infanzia.
L’art. 8 specifica i possibili motivi di persecuzione, mutuati da quelli indicati
dalla Convenzione di Ginevra (a- razza, b- religione, c- nazionalità, d- appartenenza a un particolare gruppo sociale, e- opinione politica), definendone il contenuto e richiedendo, altresì, la sussistenza di un nesso di causalità con gli atti di
persecuzione specificati all’articolo precedente.
Merita un approfondimento l’appartenenza a un “particolare gruppo sociale”,
che allude a tre distinte ipotesi: a) i membri del gruppo condividono una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata o che è fondamentale
per l’identità e la coscienza; b) il gruppo possiede un’identità distinta perché vi è
percepito come diverso dalla società circostante; c) il gruppo è un’esplicitazione
della caratteristica comune dell’orientamento sessuale, escluse le ipotesi in cui un
particolare orientamento sessuale includa atti punibili ai sensi della legislazione
penale italiana.
Ai fini dell’accertamento della fondatezza del timore della persecuzione, non
rileva che il richiedente non possegga effettivamente le caratteristiche per le quali è perseguitato, purchè tali caratteristiche gli siano attribuite dall’autore delle
persecuzioni.
Peraltro sorge il dubbio che il legislatore delegato italiano sia incorso nell’errore giuridico di ritenere disgiunte le due caratteristiche che definiscono ogni
particolare gruppo sociale che invece la direttiva considera congiunte.
L’art. 9 indica, riprendendole dalla Convenzione di Ginevra, le ipotesi di cessazione dello status di rifugiato (volontario ristabilimento nel paese di origine
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o avvalimento della sua protezione o acquisto della cittadinanza italiana o di un
altro paese della cui protezione il rifugiato possa godere, riacquisto della cittadinanza perduta del paese di origine, cambiamento delle circostanze che hanno
determinato il riconoscimento, ecc.).
L’ultimo comma precisa che la cessazione dello status di rifugiato è dichiarata
sulla base di una valutazione individuale della situazione personale dello straniero: si tratta di un principio ribadito successivamente, con riferimento alle ipotesi
di diniego e di revoca dello status, che sottolinea un elemento fondamentale costituito dal carattere assolutamente individuale che la vicenda di persecuzione deve
rivestire. Sono escluse, infatti, dall’ambito di applicazione del decreto, come del
resto dall’ambito di applicazione della Convenzione di Ginevra, quelle persone
costrette a lasciare il proprio paese a causa di disastri naturali, calamità ma anche
a causa di violenti rivolgimenti politici o crisi belliche, quando da tali fatti o situazioni non siano derivati, per l’individuo, fatti persecutori strettamente inerenti
alla sua persona. Tali ipotesi sono affrontate generalmente con il ricorso a strumenti e misure di accoglienza diversi, come le “misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali” previste dall’articolo 20 del D. Lgs. n. 286/1998 che
autorizza il Governo ad adottare misure di protezione temporanea per far fronte a
tali situazioni di emergenza internazionale. La cosiddetta protezione temporanea
non preclude un successivo riconoscimento dello status di rifugiato, ricorrendone i presupposti, ma consente di offrire soluzioni immediate in caso di afflussi
ingenti.
L’art. 10 specifica, ai primi due commi, i casi di esclusione dello status di rifugiato, conformemente a quanto previsto dagli articoli 1-d (protezione da parte di
un organo o agenzia delle Nazioni unite) e 1-f (crimini contro la pace o l’umanità,
crimini di guerra, atti contrari ai fini e principi delle Nazioni Unite, reato grave di
diritto comune) della Convenzione di Ginevra.
Tra essi la direttiva, così come la Convenzione a cui si ispira, ricomprende
l’ipotesi della commissione di un reato grave di diritto comune, commesso al di
fuori del paese di accoglienza, anche se perpetrato con un dichiarato obiettivo
politico.
Tuttavia ai fini del diritto d’asilo e del divieto di estradizione per reati politici
costituzionalmente garantiti è evidente che è problematica l’applicazione della
nozione di grave reato di diritto comune, anche se perpetrato con dichiarato fine
politico.
Inoltre poiché nella discussione della proposta di direttiva si voleva collegare
la gravità del reato alla durata della pena, il D. Lgs. n. 251/2007 fa riferimento
ai reati per i quali la legislazione nazionale prevede la pena della reclusione non
inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni, ritenendo che
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tali limiti edittali valgano a ricomprendere tutte le ipotesi di reati connotati da
particolare gravità.
Invero alla lett. b) del comma 2 si rileva con notevole preoccupazione la restrizione della protezione assicurata dalla direttiva, perché la causa di esclusione prevista dall’art. 12, comma 2, lett. b) della direttiva è stata attuata in modo erroneo e
inutilmente peggiorativo rispetto alle vigenti clausole ostative alla presentazione
della domanda di asilo.
In proposito occorre ricordare che l’art. 12, comma 2, lett. b) della direttiva
prevede che un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato “ove sussistano fondati motivi per ritenere abbia commesso al di fuori del
paese di accoglienza un reato grave di diritto comune prima di essere ammesso
come rifugiato, cioè prima del momento in cui gli è stato rilasciato un permesso
di soggiorno basato sul riconoscimento dello status di rifugiato, abbia commesso
atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possono essere classificati quali reati gravi di diritto comune”.
Poiché dunque la direttiva si riferisce sia a reati gravi, sia ad “atti particolarmente crudeli” anche se commessi con un determinato scopo politico, stupisce
che il D. Lgs. n. 251/2007 consideri reati “più gravi” non già quelli già considerati come ostativi alla presentazione della domanda di asilo dall’art. 1 del D. L. n.
416/1989, Conv. con mod. nella legge n. 39/1990, cioé quelli indicati all’art. 380
Cod. proc. pen., bensì anche tutti quelli per i quali la pena prevista dalla legge
italiana per tale reato sia non inferiore nel minimo a 4 o nel massimo a 10 anni.
L’effettività del diritto d’asilo richiederebbe di non ampliare ulteriormente i
reati ostativi, ma di ridurli ai delitti più gravi, quali quelli indicati nell’art. 407,
comma 2 , lett. a) Cod. proc. pen. , delitti che del resto lo stesso art. 12, comma 1
lett. c) del D. Lgs. n. 251/2007 prevede siano cause di diniego del riconoscimento
dello status, e non già anche nell’attuazione dell’art. 10, comma 2 lett. c) della
direttiva quali cause di esclusione. In tal senso è evidente che si tratta di una palese contraddizione: lo status di rifugiato non è riconosciuto al richiedente che sia
stato condannato per uno dei reati molto meno numerosi rispetto a quelli previsti
quali cause di esclusione.
Inoltre per rispettare la presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva prevista dall’art. 27 Cost. il riferimento a ogni reato ostativo non
dovrebbe essere generico, ma dovrebbe comunque essere inteso a una sentenza
definitiva di condanna.
Invece il Governo non ha voluto recepire l’osservazione formulata dalla I
Commissione (Affari costituzionali) della Camera dei deputati, che chiedeva
l’accertamento di una sentenza definitiva di condanna per tali reati, sia affermando che esisterebbero esigenze di tutela dello stesso richiedente, sul presupposto
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che l’accertamento della definitività della condanna comporterebbe la richiesta di
informazioni dallo Stato che si presume autore delle persecuzioni, sia ricordando
che non in tutti i paesi esiste l’istituto del processo contumaciale, con la conseguenza che una condanna potrebbe non esserci proprio perché il richiedente si è
sottratto al giudizio lasciando il paese.
In realtà la prima affermazione del Governo comporta conseguenze gravemente lesive del diritto d’asilo perché fondata su argomentazioni del tutto pretestuose e confutabili: è evidente che esigere che sia stata presentata una formale
richiesta di estradizione da parte dello Stato in cui la sentenza di condanna è
stata pronunciata non richiederebbe alcuna ricerca dello Stato ovunque nel globo,
bensì al contrario che si neghi il riconoscimento dello status soltanto dopo che
si attivi lo Stato interessato a far valere l’eventuale condanna e che su di essa si
svolga la doverosa verifica degli organi giudiziari anche a tutela del divieto di
estradizioni per reati politici previsto dall’art. 10, comma 4 Cost.
In ogni caso il Governo ritiene che l’espressione utilizzata, che fa riferimento
alla sussistenza di “fondati motivi” per ritenere che il richiedente abbia commesso un grave reato, sia perfettamente aderente alla direttiva e alla Convenzione
di Ginevra (che prevede “serie ragioni per ritenere […]”). Anche quest’ultima
argomentazione del Governo appare pretestuosa perché la Camera faceva correttamente riferimento alla conformità al testo della direttiva, mentre il Governo
fa riferimento al testo della convenzione sui rifugiati che dunque potrebbe applicarsi soltanto agli stranieri titolari dello status di rifugiato e non anche ai titolari
di protezione sussidiaria, cioè anche a uno degli stranieri ai quali la direttiva si
riferisce.
L’art. 11, parallelo a quanto contenuto nel successivo art. 17 relativo alla protezione sussidiaria, esplica il principio della procedura unica per la concessione
della protezione internazionale a cui si ispira la direttiva. Essa, infatti, precisa che
la domanda di protezione internazionale dà luogo al riconoscimento dello status
di rifugiato quando ricorrano i presupposti di tale status, valutati secondo le disposizioni contenute negli articoli precedenti e sempre che non sussistano cause
di esclusione o di cessazione. Il riconoscimento, come chiarito nel considerando
14 della direttiva europea, è atto declaratorio, in quanto lo status di rifugiato preesiste al riconoscimento.
L’art. 12 individua le cause di diniego dello status di rifugiato, oltre che nelle
ipotesi in cui non ne sussistano i presupposti ovvero ricorrano le cause di esclusione indicate nell’articolo 10, anche quando il richiedente sia pericoloso per la
sicurezza dello Stato ovvero per l’ordine e la sicurezza pubblica, essendo stato
condannato, con sentenza definitiva, per un reato di particolare gravità. A tal fine,
tali reati sono stati individuati in quelli elencati dall’articolo 407, comma 2, lett.
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a) del codice di procedura penale, in relazione alla tipologia e gravità di tali ipotesi delittuose e alla loro attinenza ai profili dell’ordine e della sicurezza pubblica,
come si evince anche dalla circostanza che a essi fa riferimento il nostro ordinamento in numerosi casi in cui è prevista una disciplina differenziata in relazione
alla gravità del reato commesso.
Preliminarmente si osserva che il legislatore delegato fa la scelta – che di per
sé non sarebbe stata obbligatoria – di avvalersi della facoltà prevista dall’art.
14, comma 5 della direttiva, di prevedere che le circostanze previste dall’art. 14,
comma 3 delle stessa direttiva siano configurate quali cause per il diniego del riconoscimento dello status oltre che come cause di revoca dello status di rifugiato,
come prevede l’art. 13 del D. Lgs. n. 251/2007.
Tuttavia le modalità di attuazione delle predette circostanze si rivelano lacunose o giuridicamente errate, con effetti restrittivi della protezione che la stessa
direttiva prevede.
In primo luogo l’art. 12, comma 1 lett. b) del D. Lgs. n. 251/2007 non dovrebbe limitarsi a ripetere la formula, di per sé piuttosto vaga e ambigua, prevista
dalla direttiva, cioè che la persona costituisca un pericolo per la sicurezza dello
Stato, perchè essa dovrebbe essere intesa come riferito a gravi motivi di carattere
concreto e attuale che si riferiscono al comportamento della persona e non già alla
mera circostanza della sua presenza sul territorio statale, circostanza che al fine
di assicurare un’effettiva attuazione del diritto d’asilo già non potrebbe essere
considerata un atto di per sé ostile da ogni altro Stato, come conferma la stessa
dichiarazione sull’asilo territoriale approvata con risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 14 dicembre 1967 che enuncia il principio secondo
il quale l’asilo deve essere rispettato da tutti gli Stati, sicché la sua concessione
deve essere considerata un atto umanitario e pacifico, non ostile verso lo Stato di
origine.
In secondo luogo l’art. 12, comma 1 lett. c) del D. Lgs. n. 251/2007 recepisce
in modo giuridicamente errato la direttiva allorché essa prevede quale causa di
diniego o revoca dallo status di rifugiato la circostanza che la persona “essendo
stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare
gravità, costituisce un pericolo per la comunità” dello Stato membro: tale norma
non può certo essere attuata, come invece fa il legislatore delegato, trasformando
il pericolo per la comunità in un (generico e discrezionale) pericolo per l’ordine
e la sicurezza pubblica di cui sarebbero portatori i condannati definitivi per uno
dei delitti previsti dall’art. 407 Cod. proc. pen. Infatti nell’ordinamento italiano
la nozione di pericolo per la comunità connessa con la condanna penale definitiva
deve riferirsi alla pericolosità sociale accertata dal giudice nella sentenza penale
definitiva di condanna, in presenza della quale lo straniero deve essere espulso a
60
titolo di misura di sicurezza.
L’art. 13 individua due ipotesi di revoca del riconoscimento dello status di
rifugiato:
a) il riconoscimento si è fondato esclusivamente su fatti erronei o su una falsa
documentazione ovvero non abbia valutato fatti determinanti;
b) successivamente al riconoscimento si accerta la sussistenza delle condizioni
che, ai sensi dell’articolo precedente, avrebbero dato luogo a un diniego.
Lo status della protezione sussidiaria è riconosciuta all’extracomunitario o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei
cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel suo paese
di origine, o nel caso di apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave
danno.
L’art. 14 specifica il contenuto di quel danno grave che legittima il riconoscimento della protezione sussidiaria: a) condanna a morte; b) tortura; c) pene o altri
trattamenti inumani o degradanti; d) minaccia grave e individuale alla vita o alla
persona di un civile in situazioni di conflitto armato.
In proposito si deve rilevare che il Governo non ha voluto inserire nella definizione del danno grave il riferimento alla giurisprudenza della Corte europea
dei diritti dell’uomo (Cedu), – come invece richiedeva l’osservazione in tal senso
contenuta nel parere della I Commissione della Camera dei deputati – affermando
che il richiamo ai criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte, oltre a cristallizzare dei principi suscettibili di evoluzione e adattamenti, sarebbe superfluo,
poiché la protezione sussidiaria si fonda proprio sull’art. 3 della Cedu che vieta
le pene o i trattamenti inumani o degradanti di cui la definizione di danno grave
ricalca esattamente il contenuto, pertanto non potrebbe che adeguarsi ai principi
che quella Corte va enucleando. Del resto già l’ articolo 5, comma 6, del D. Lgs.
n. 286/1998 inibisce il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno quando ricorrano seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali
o internazionali dello Stato.
Tuttavia occorre riconoscere che la scelta del Governo non convince poiché
l’art. 14 si limita a recepire in modo letterale tutte le circostanze in presenza delle
quali si ha il danno gravo che legittima il riconoscimento della protezione sussidiaria e tale ripetizione appare inadeguata, anche in riferimento alla legislazione
vigente e alla giurisprudenza Cedu. Infatti le ipotesi di danno grave che dà luogo
a protezione sussidiaria devono essere attuate in modo estensivo adottando in
modo esplicito tutti i criteri della giurisprudenza della Cedu (che vincola tutti
gli Stati membri del Consiglio d’Europa, sicché non potrebbe trattarsi di un trattamento più favorevole previsto soltanto dall’Italia). Infatti di per sé le cause di
61
pericolo grave previste dall’art. 15 sono assai più precise di quelle finora ricavabili dal vago riferimento agli obblighi internazionali e costituzionali e comunque
recepiscono i diritti previsti nell’art. 2 (vita) e gli inderogabili divieti previsti nell’art. 3 (divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti) della Cedu (oltre che
nell’art. 8 del patto internazionale sui diritti civili e politici e nella Convenzione
europea sulla tortura).
In tale ottica la nozione di trattamento inumano e degradante prevista nell’art.14
D. Lgs. n. 251/2007 dovrà comunque essere interpretata in conformità alla giurisprudenza della Cedu che oggi fa proprie definizioni di tortura e di trattamento
inumano e degradante che sono previste dalla Convenzione Onu del 10 dicembre
1984 sulla tortura e altri trattamenti crudeli, disumani e degradanti.
Tale obbligo di conformità è oggi stato reso esplicito, in virtù dell’art. 117,
comma 1 Cost., dalle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del
2007.
L’art. 15 precisa poi che la dichiarazione di cessazione dello status di protezione sussidiaria è dichiarata su base individuale e interviene qualora non sussistano più le condizioni che ne hanno determinato il riconoscimento e sempre
che le mutate circostanze abbiano natura così significativa e non temporanea da
far escludere che la persona ammessa alla protezione sussidiaria sia esposta al
rischio di danno grave e che non sussistano gravi motivi umanitari che impediscono il rientro nel paese di origine.
Si badi che in tali casi 1) l’onere della prova spetta allo Stato; 2) la procedura
è strettamente individuale con applicazione delle medesime garanzie previste per
la procedura di riconoscimento; 3) la modifica della situazione deve essere significativa e non temporanea.
L’art. 16 individua le cause di esclusione dello status di protezione sussidiaria, che in parte coincidono con quelle che escludono, altresì, la sussistenza dello
status di rifugiato (crimini contro la pace, l’umanità e crimini di guerra; atti contrari ai fini e ai principi delle Nazioni Unite, reato grave commesso all’estero), a
cui si aggiungono la commissione di reati nel territorio dello Stato e la pericolosità del richiedente per la sicurezza dello Stato ovvero per l’ordine e la sicurezza
pubblica, che rispetto al riconoscimento dello status di rifugiato sono classificate
come cause di diniego dall’art. 12 D. Lgs. n. 251/2007.
La direttiva richiede presupposti più rigorosi per l’attribuzione dello status di
protezione sussidiaria, perché il giudizio di pericolosità non rappresenta soltanto
motivo di diniego come per lo status di rifugiato (con una previsione che nell’atto
normativo europeo è facoltativa per gli Stati membri) bensì esclude la sussistenza
dello status e, in particolare, la pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica
non è ancorata a una condanna definitiva. D’altra parte la commissione di un
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reato grave nel territorio dello Stato (anche in tal caso valutato secondo i parametri astratti della pena edittale) rappresenta causa di esclusione a prescindere dal
giudizio di pericolosità.
Il Governo non ha voluto recepire le osservazioni della I Commissione della Camera dei deputati relative alla formulazione della lettera b) del comma 1
dell’articolo in esame. In particolare, non ha accolto l’osservazione relativa alla
necessità che causa di esclusione si verifichi soltanto in presenza dell’accertamento dell’esistenza di una condanna definitiva concernente la commissione di
un reato grave per gli stessi motivi già esplicitati all’articolo 10. Inoltre, nell’ambito del quadro sistematico della direttiva europea, la protezione sussidiaria ha
un carattere complementare e “sussidiario” rispetto alla protezione dei rifugiati,
sancita dalla Convenzione di Ginevra. La direttiva, pertanto, prevede criteri più
rigorosi nella definizione delle relative cause di esclusione cui il Governo non
ha voluto derogare per garantire l’armonizzazione dell’ordinamento nazionale
a quelli degli altri Stati membri dell’Unione europea. Inoltre, fermo restando il
rispetto degli artt. 10, comma 4, e 27, comma 4, della Costituzione, la cui violazione renderebbe la norma illegittima, il Governo ha ritenuto ultroneo il richiamo
alle procedure di estradizione, che hanno una propria specifica regolamentazione,
così come quello alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per
i motivi già esplicitati all’articolo 14.
La clausola di transizione prevista all’art. 34, commi 4 e 5, del D. Lgs. n.
251/2007 prevede che gli stranieri titolari del permesso di soggiorno per motivi
umanitari rilasciato prima dell’entrata in vigore dello stesso D. Lgs. 251/2007 (19
gennaio 2008) su richiesta della competente commissione territoriale beneficeranno a tutti gli effetti della protezione sussidiaria (il rinnovo del loro permesso di
soggiorno avrà quindi durata triennale e potranno richiedere il ricongiungimento
familiare) e che il loro permesso sarà convertibile alla scadenza in un permesso
per protezione umanitaria.
L’elenco di motivi per il riconoscimento della protezione sussidiaria contenuto nella direttiva apparentemente è esaustivo e non consente deroghe e modifiche
nell’attuazione nazionale.
Tuttavia occorre riconoscere che la scelta del Governo non convince poiché
in base all’art. 17 della direttiva le cause di esclusione per gravi reati anche dalla
protezione sussidiaria (che sono anche cause di revoca dello status della protezione sussidiaria) sono più ampie rispetto alle cause di esclusione dallo status di
rifugiato, ma devono essere interpretate in modo assai restrittivo facendo riferimento all’art. 15 della direttiva che riconosce la protezione sussidiaria in caso di
pericolo grave derivante da condanna a morte o da esecuzione o da pena o trattamento inumano e degradante.
63
Perciò è indispensabile che l’art. 16, comma 1 lett. b) sia comunque interpretato in senso conforme alla Costituzione e alle norme internazionali vigenti.
In primo luogo in virtù dell’art. 27, comma 2, Cost. che prevede la presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, occorre che la clausola di
esclusione per la commissione del reato grave sia attuata in modo da prevedere
che la commissione del reato grave deve essere stata accertata con sentenza definitiva pronunciata da giudice italiano o straniero.
In secondo luogo il divieto di estradizione dello straniero per motivi politici
previsto dall’art. 10, comma 4 Cost., il divieto di pena di morte previsto dall’art.
27 Cost., e il divieto di subire torture o pene o trattamenti inumani o degradanti
previsto dall’art. 3 Cedu, come definiti dalla giurisprudenza della Corte europea
dei diritti dell’uomo, impongono di adottare l’interpretazione secondo la quale i
fondati motivi per ritenere che il richiedente abbia commesso all’estero un reato
grave sussistono soltanto se lo Stato estero abbia regolarmente presentato all’Italia domanda di estradizione a seguito di una sentenza definitiva di condanna, per
la quale sia definitiva la sentenza favorevole all’estradizione pronunciata dalla
competente Corte d’appello italiana (la Corte d’appello deve infatti pronunciare
una sentenza contraria all’estradizione dello straniero perché sussiste una delle
ipotesi indicate dagli artt. 698, comma 1, e 705, comma 2, Cod. proc. pen.38),
ovvero se lo Stato membro dell’Unione europea abbia regolarmente presentato
un mandato di arresto europeo, per il quale la competente Corte d’appello abbia
pronunciato sentenza favorevole alla consegna oppure una sentenza contraria alla
consegna perché sussiste uno dei motivi indicati nelle lettere i), l), m), n), o), p),
s), casi nei quali si accerta che comunque il reato è stato commesso.
Anche la causa di esclusione della protezione sussidiaria prevista dall’art. 16,
comma 1 lett. d) pur essendo formulata in modo generico deve essere interpretata
in modo rigoroso. Infatti l’art. 17, comma 1, lett. d) della direttiva si riferisce a
persona che “rappresenti un pericolo per la comunità o la sicurezza dello Stato in
cui si trova”. In tal senso l’interpretazione delle norme del D. Lgs. n. 251/2007
deve essere conforme alle esigenze di attuare la norma comunitaria e di dare
38
La Corte d’appello deve pronunciare una sentenza contraria all’estradizione nei casi in cui sussiste una delle ipotesi previste dagli artt. 698, comma 1, e 705, comma 2, Cod. proc. pen.:
a) per un reato politico;
b) quando vi è ragione di ritenere che l’imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni
politiche o di condizioni personali o sociali ovvero a pene o trattamenti inumani o degradanti o
comunque ad atti che configurano violazioni di uno dei diritti fondamentali della persona;
c) se, per il reato per il quale è domandata l’estradizione, la persona è stata o sarà sottoposta a un
procedimento che non assicura il rispetto dei diritti fondamentali;
d) se la sentenza per la cui esecuzione è stata domandata l’estradizione contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato.
64
effettività al diritto d’asilo costituzionalmente garantito e perciò deve riferirsi a
istituti tipici dell’ordinamento italiano e internazionale. Perciò, analogamente a
ciò che si è indicato a proposito dell’analoga clausola di diniego dello status di
rifugiato prevista nell’art. 12, l’art. 16, comma 1, lett. d) deve essere interpretato
in modo rigoroso e conforme alle norme costituzionali e internazionali.
In primo luogo il pericolo per la sicurezza dello Stato deve riferirsi a elementi
di carattere concreto e attuale che si riferiscono al comportamento della persona e
non già alla mera circostanza della sua presenza sul territorio statale, circostanza
che al fine di assicurare un’effettiva attuazione del diritto d’asilo già non potrebbe
essere considerata un atto di per sé ostile da ogni altro Stato (come conferma la
stessa dichiarazione sull’asilo territoriale approvata con risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 14 dicembre 1967 secondo la quale l’asilo
deve essere rispettato da tutti gli Stati, sicché la sua concessione deve essere considerata un atto umanitario e pacifico, non ostile verso lo Stato di origine).
In secondo luogo il pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica deve essere
correttamente riferito alla nozione – prevista dalla direttiva – di pericolo per la comunità, circostanza che nell’ordinamento italiano deve essere riferito soprattutto
alla nozione di pericolosità sociale dichiarata dal giudice nella sentenza definitiva
di condanna, per la quale è disposta l’espulsione a titolo di misura di sicurezza, e
alle ipotesi nelle quali sia applicata una misura di prevenzione da parte del competente tribunale nei confronti della persona o del suo patrimonio.
L’art. 17 precisa che, in presenza di rischio di danno grave, come specificato
dall’articolo 14, e sempre che non sussistano cause di esclusione o di cessazione,
la domanda di protezione internazionale dà luogo al riconoscimento della protezione sussidiaria.
L’art. 18 individua le ipotesi di revoca del riconoscimento dello status di protezione sussidiaria quando, successivamente a tale riconoscimento, si accerti
la sussistenza di una causa di esclusione ovvero che esso sia stato determinato,
esclusivamente, da fatti presentati in modo erroneo o da una falsa documentazione ovvero non abbia tenuto conto di fatti determinanti.
L’art. 19 precisa che la disciplina del contenuto delle 2 diverse forme di protezione internazionale lascia impregiudicati gli obblighi derivanti dalla Convenzione di Ginevra e al secondo comma, ed inoltre enuncia un principio di carattere
generale relativo all’attuazione delle disposizioni sulla protezione internazionale
sulla base di una valutazione individuale, nei confronti delle categorie di persone
particolarmente vulnerabili (minori, persone che hanno subito torture, stupri o
altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale).
L’art. 20 ribadisce il principio di “non refoulement”, attuato nell’ordinamento
italiano dall’ art. 19, comma 1 del D. Lgs. n. 286/1998 che, conformemente agli
65
obblighi costituzionali e internazionali dello Stato italiano, vieta l’espulsione o il
respingimento di uno straniero verso paesi in cui possa essere oggetto di persecuzione o dai quale possa essere inviato nel paese in cui rischia la persecuzione. Il
principio non consente eccezioni, essendo più ampio di quello contenuto nell’art.
33 della Convenzione di Ginevra, in conformità a ulteriori obblighi assunti dallo
Stato italiano come ad esempio quelli derivanti dalla Convenzione europea dei
diritti umani.
Fermo restando il rispetto del divieto di espulsione e di respingimento, il rifugiato e lo straniero ammesso alla protezione sussidiaria sono espulsi solo quando
a) sussistono motivi per ritenere che rappresenti un pericolo per la sicurezza dello
Stato; b) rappresentano un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, essendo
stato condannato con sentenza definitiva per un reato punito con la pena della
reclusione non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni.
Tuttavia l’art. 20 appare costituzionalmente illegittimo, allorché prevede dei
casi di espulsione di stranieri al di fuori dei limiti indicati dalla direttiva e dunque
in violazione dell’art. 76 Cost. cioè dei criteri e dei principi direttivi della delega
legislativa.
Infatti l’art. 21 della direttiva si riferisce soltanto al respingimento ed esige che
l’eventuale respingimento sia attuato in conformità con le altre norme internazionali (cioè con la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati) e al comma 3
dà agli Stati la facoltà di estendere le ipotesi indicate al comma 2 ai casi di revoca,
di cessazione o di rifiuto di rinnovo o di rilascio di un permesso di soggiorno di un
(o a un) rifugiato (e in virtù dell’art. 20 della direttiva tale disposizione si applica
anche ai titolari di protezione sussidiaria). Perciò l’art. 20 è illegittimo perché
prevede un’espulsione anziché prevedere la revoca, la cessazione o il rifiuto di
rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno.
Si deve infatti rilevare che i divieti di espulsione appaiono assai deboli, poiché
essi riguardano la persona allorché sia titolare dello status e non già anche allorché essa si trovi nella fase del rinnovo dello stesso status, che per i titolari di protezione sussidiaria non è automatica, ma è comunque soggetta alla verifica della
permanenza delle condizioni che ne avevano determinato il riconoscimento.
Inoltre la disposizione appare inutilmente ripetitiva di clausole sostanzialmente già previste nel decreto legislativo dal combinato disposto degli artt. 12, 13,
16, 18.
In secondo luogo è indispensabile che le ipotesi indicate nell’art. 20 siano
interpretate in modo restrittivo così come indicato a proposito delle analoghe
clausole previste negli artt. 10 e 12.
In terzo luogo la disposizione non prevede quali siano le autorità competenti
a disporre il provvedimento di espulsione, il che dovrebbe comportare un impli66
cito riferimento alla disciplina generale dei provvedimenti di espulsione degli
extracomunitari. Perciò l’espulsione disposta nell’ipotesi a) dovrebbe riferirsi al
provvedimento amministrativo di espulsione per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato disposto dal Ministro dell’Interno ai sensi dell’art. 13, comma
1 del Testo unico delle leggi sull’immigrazione. Più incerta è l’individuazione del
provvedimento da adottarsi nell’ipotesi b), che potrebbe riferirsi sia a due tipi di
espulsioni disposte dall’autorità giudiziaria nei casi indicati agli artt. 15 e 16 del
citato Testo unico (espulsione a titolo di misura di sicurezza a seguito della condanna per reati gravi nei confronti di straniero ritenuto socialmente pericoloso,
revocabile fino alla fine dell’esecuzione della pena detentiva, ed espulsione a titolo di misura alternativa alla detenzione disposta negli ultimi anni dell’esecuzione
della pena detentiva), sia al provvedimento amministrativo di espulsione disposto
dal Prefetto ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. c) del Testo unico nei confronti
di straniero sottoposto a misura di prevenzione o che appartenga a una di quelle
categorie di persone a cui si applicherebbero le misure di prevenzione.
L’art. 21 mira a garantire al titolare della protezione internazionale la più ampia informazione possibile sui diritti e doveri connessi allo status riconosciuto.
Per agevolare tale conoscenza, già alla presentazione della domanda il richiedente asilo riceve un’informazione preliminare al riguardo. Recependo una osservazione formulata dalle Commissioni I e XIV della Camera dei deputati, il D. Lgs.
n. 251/2007 specifica il contenuto dell’opuscolo informativo: informazioni sui
diritti e sugli obblighi connessi allo status di protezione riconosciuto, redatto in
lingua a lui comprensibile o comunque in inglese, francese, spagnolo o arabo.
Tuttavia circa la lingua dell’opuscolo che concerne le informazioni riguardanti
i diritti e i doveri connessi alla protezione internazionale assicurata alla persona,
l’art. 22 della direttiva si riferisce a una lingua che egli sia in grado di comprendere. Una più adeguata e completa tutela dei diritti e obblighi informativi dovrebbe
indurre a consentire sia lo stesso interessato a scegliere di quale lingua avvalersi e
a far redigere gli opuscoli in moltissime lingue, il che non sarebbe troppo oneroso
essendo effettuato una volta per tutte mediante prestampati.
L’art. 22 disciplina la condizione dei familiari del beneficiario della protezione internazionale.
Essi devono essere in generale individuati secondo ciò che prevede l’art. 22,
comma 1, lett. j) D. Lgs. n. 251/2007 (coniuge e figli minori; si tratta dunque di
una nozione restrittiva rispetto ai familiari ammessi a ricongiungersi agli altri
extracomunitari indicati nell’art. 29 del Testo unico delle leggi sull’immigrazione
che si riferisce anche ai genitori a carico e ai figli maggiorenni impossibilitati a
mantenersi per ragioni di salute).
I familiari che non hanno diritto individualmente allo status di rifugiato o di
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protezione sussidiaria hanno i medesimi diritti riconosciuti al titolare dello status,
salvo che per essi ricorrano le circostanze che ai sensi degli articoli 11, 13 e 17
determinerebbero l’esclusione ovvero il diniego dello status medesimo. La norma
appare in sé un po’ ambigua, perché tra tali ipotesi rientrano anche i casi di diniego del riconoscimento degli status, il che potrebbe comportare una divisione tra
coniugi che abbiano presentato la domanda di asilo e dei quali sia stata rigettata
una domanda (invece per i figli minori conviventi con il richiedente asilo il D.
Lgs. n. 25/2008 stabilisce l’automatico riconoscimento dello status riconosciuto
al genitore). Tale fenomeno peraltro dovrebbe essere in futuro residuale perché
ora l’art. 3, comma 2, D. Lgs. n. 251/2007 impone al richiedente asilo di produrre tutti gli elementi che riguardano anche la condizione dei suoi congiunti, se
rilevante ai fini del riconoscimento, il che dovrebbe indurre ogni coniuge a far
presente la condizione di persecuzione o di pericolo grave in cui si trova l’altro
coniuge e dovrebbe far riconoscere lo status di rifugiato anche al coniuge convivente col perseguitato.
Si prevede poi che ai familiari di titolare di protezione sussidiaria che sono presenti sul territorio nazionale al seguito del beneficiario dello status è rilasciato un
permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi dell’art. 30 del Testo unico delle leggi sull’immigrazione. Quest’ultimo riferimento comporta che, analogamente
a ciò che l’art. 30, comma 1, lett. d) del citato Testo unico espressamente prevede
per i familiari dei rifugiati che soggiornano in Italia, il permesso di soggiorno per
motivi familiari è rilasciato anche ai familiari del titolare di protezione sussidiaria
che siano entrati anche illegalmente sul territorio italiano e che abbiano i requisiti
oggettivi (alloggio e reddito) per attuare il ricongiungimento familiare.
Il comma 4 dell’art. 22 infatti attribuisce ai titolari dello status di protezione
sussidiaria il diritto al ricongiungimento con le medesime categorie di familiari
per le quali il ricongiungimento è consentito agli altri cittadini stranieri regolarmente soggiornanti (oltre al coniuge e ai figli minori, anche i figli maggiorenni
a carico non in grado di provvedere alle proprie esigenze per ragioni di salute e
i genitori a carico che non dispongano di adeguato sostegno familiare nel paese
di origine), secondo le modalità e alle condizioni previste dall’art. 29 del Testo
unico sull’immigrazione approvato con D. Lgs. n. 286/1998.
Conformemente a quanto richiesto dalla I Commissione della Camera dei Deputati, il D. Lgs. n. 251/2007 estende agli stranieri titolari di protezione sussidiaria le agevolazioni probatorie dei legami familiari previste dall’art. 29-bis del
citato Testo unico per il ricongiungimento familiare dei rifugiati: le ragioni di
maggior debolezza soggettiva e oggettiva in cui si trovano i titolari di protezione sussidiaria e i loro familiari e le probabili difficoltà amministrative in cui si
trovano i Paesi di origine esigono proprio quelle forme e condizioni agevolate e
68
semplificate di ricongiungimento familiare.
La disciplina del ricongiungimento familiare dei rifugiati è già prevista dal
citato art. 29-bis del D. Lgs. n. 286/1998, che non esige per tali stranieri i requisiti
di reddito e di alloggio e assicura l’esercizio del diritto nei confronti delle medesime categorie di familiari per le quali esso è consentito allo straniero regolarmente
soggiornante, estendendo la possibilità di ricongiungimento ai genitori, senza limitazioni, qualora il rifugiato richiedente sia un minore non accompagnato.
L’art. 23 prevede lo status degli stranieri a cui è riconosciuta la necessità della
protezione internazionale:
1. al titolare dello status di rifugiato è rilasciato un permesso di soggiorno per
asilo di durata quinquennale (la direttiva esige un titolo di soggiorno almeno
triennale); rinnovabile senza verifiche (anche se lo status è sempre revocabile). Peraltro appare erronea la denominazione del permesso di soggiorno da
rilasciarsi al rifugiato quale permesso “per asilo”, perché gli stranieri ai quali
l’art. 10, comma 3 Cost. assicura il diritto d’asilo sono sia coloro che hanno i
presupposti per essere riconosciuti rifugiati, sia coloro che hanno i presupposti per godere della protezione sussidiaria.
2. al titolari dello status di protezione sussidiaria è rilasciato un permesso di
soggiorno per protezione sussidiaria di durata triennale (la direttiva esige
un titolo di soggiorno almeno annuale), rinnovabile previa verifica della permanenza delle condizioni che ne hanno giustificato il rilascio. Tale permesso
consente l’accesso allo studio e lo svolgimento di attività lavorativa ed è convertibile in permesso per lavoro.
Si delinea dunque un’ambigua condizione di maggiore fragilità del titolare di
protezione sussidiaria al momento del rinnovo, perché il diniego di rinnovo della
protezione sussidiaria non appare disciplinato dal D. Lgs. n. 251/2007, al contrario dei casi di cessazione, esclusione, diniego di riconoscimento e revoca.
L’art. 24 disciplina i documenti di viaggio utilizzabili ai fini dell’uscita dal
territorio italiano:
a. ai rifugiati le Questure rilasciano un documento di viaggio di validità quinquennale, conforme al modello allegato alla Convenzione di Ginevra;
b. ai titolari dello status di protezione sussidiaria, che si trovino nelle condizioni
di non poter richiedere il passaporto alle autorità diplomatiche del paese di
cittadinanza, la questura rilascerà un titolo di viaggio, a meno che non sussistano ragionevoli dubbi sull’identità del richiedente. Occorre però rilevare
che quest’ultima limitazione non è prevista nell’art. 25 della direttiva ed è
illegittima perché più sfavorevole: la direttiva consente il rilascio in caso di
impossibilità di ottenere il passaporto nazionale almeno se sussistono “gravi
ragioni umanitarie” e in ogni caso l’art. 24 D.Lgs. n. 251/2007 appare con69
traddittorio, perchè non si capisce come possa ottenere o mantenere il riconoscimento della protezione sussidiaria una persona sulla cui identità si nutrono
ragionevoli dubbi, a meno che si voglia alludere a situazioni temporanee nelle
quali sia stata avviata e non ancora conclusa la procedura per la revoca dello
status a causa della sopravvenuta scoperta di sostituzione o falsificazione di
identità o dei relativi documenti.
I documenti di viaggio possono essere rifiutati ovvero ritirati per gravissimi motivi attinenti la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico.
L’art. 25 disciplina l’accesso al lavoro.
In primo luogo si parifica la posizione dei titolari dello status di protezione
internazionale a quella del cittadino italiano riguardo all’accesso al lavoro subordinato e autonomo nonché all’iscrizione agli albi professionali, alla formazione
professionale e al tirocinio sui luoghi di lavoro. L’accesso al lavoro autonomo
avviene senza limiti (come quelli previsti per gli altri extracomunitari che devono
iscriversi agli ordini professionali).
In secondo luogo si consente ai rifugiati l’accesso al pubblico impiego alle
medesime condizioni previste per i cittadini comunitari. Il Governo non ha voluto
accogliere l’osservazione della XIV Commissione della Camera dei deputati, che,
partendo dalla considerazione che la direttiva europea non prevede al riguardo un
trattamento differenziato tra rifugiati e protetti sussidiari, chiedeva di valutare la
possibilità di estendere anche a questi ultimi l’accesso al pubblico impiego. Premesso, infatti, che la direttiva non impone l’accesso al pubblico impiego neanche
dei rifugiati, laddove, come nel caso dell’Italia, tale accesso non sia già conforme
alla legislazione nazionale, il Governo ha ritenuto opportuno introdurre una disciplina più favorevole per i rifugiati, in considerazione della maggiore stabilità
del relativo status, confermato anche dalla vigenza di norme più favorevoli per la
concessione della cittadinanza.
L’art. 26 disciplina l’accesso all’istruzione secondo un criterio di perfetta
equiparazione dei titolari dello status di protezione internazionale ai cittadini italiani se minorenni (il che peraltro non dovrebbe impedire l’applicazione delle
norme previste dal TU sull’immigrazione in materia di educazione interculturale,
che è un metodo di fare didattica in generale, e di ammissione alle classi a età
inferiore o superiore a quella corrispondente a quella anagrafica, il che è già previsto anche per gli italiani nati o vissuti all’estero), mentre per i maggiorenni si
applicano le disposizioni concernenti gli stranieri regolarmente soggiornanti. Il
riconoscimento dei titoli di studio è disciplinato col medesimo sistema previsto
per i cittadini italiani, il che però non chiarisce molti aspetti pratici concernenti
anche traduzioni, legalizzazioni, dichiarazioni di valore, verifiche ecc.
L’art. 27 equipara i titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria
70
ai cittadini italiani in materia di assistenza sociale e sanitaria. Tale equiparazione, peraltro, rispetto ai rifugiati è già, attualmente, riconosciuta dalla normativa
vigente e dalla Convenzione di Ginevra.
Il Governo non ha invece voluto recepire l’osservazione della I Commissione
della Camera dei deputati, relativa alla previsione di uno specifico canale di finanziamento per garantire forme di assistenza e tutela delle categorie vulnerabili
(vittime di tortura, trattamenti inumani, ecc.) poiché interventi specifici in tal
senso sono già previsti e finanziati dal decreto legislativo n. 140/2005 che ha dato
attuazione alla direttiva europea 2003/9/CE relativa all’accoglienza dei richiedenti asilo.
Non è peraltro univocamente condiviso quale sia l’assistenza sociale, che in
gran parte è disciplinata dalla legislazione regionale, a parte i livelli essenziali
delle prestazioni, anche economiche, e la disciplina dei servizi sociali prevista
dalla legge n. 328/2000.
L’art. 28 disciplina la condizione del minore non accompagnato, come definito dall’articolo 2, comma 1, lett. k) del decreto.
Le disposizioni concernenti l’affidamento del minore sono conformi alla normativa vigente nel nostro ordinamento concernente i minori in stato di abbandono – che si applica anche ai minori stranieri – che richiede l’immediato intervento dell’autorità giudiziaria. Conformemente alla direttiva comunitaria, l’articolo
prevede che il minore sia affidato, con priorità, a un familiare adulto e regolarmente soggiornante, se rintracciato sul territorio nazionale.
Nelle more dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria, il minore che abbia
presentato domanda di riconoscimento dello status di protezione internazionale può trovare accoglienza nell’ambito dei servizi del sistema di protezione per
richiedenti asilo e rifugiati finanziato dal Fondo nazionale per le politiche e i
servizi dell’asilo, al cui interno sono attivati, a cura degli enti locali interessati,
specifici programmi di accoglienza riservati ai minori non accompagnati, ai sensi
dell’articolo 8 del D. Lgs. n. 140/2005.
Come richiesto dalla V Commissione della Camera, nel comma 1 dell’art. 28
D. Lgs. n. 251/2007 si prevede che i minori beneficino dei servizi degli enti locali, all’interno del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati nell’ambito delle risorse del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.
In attuazione della norma comunitaria che chiede agli Stati membri di adoperarsi al fine di rintracciare i familiari del minore non accompagnato, l’articolo
rinvia alle convenzioni, già previste dal citato art. 8 del D. Lgs. n. 140/2005, tra il
Ministero dell’Interno e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim)
ovvero la Croce Rossa Italiana, per l’attuazione di programmi diretti a tal fine,
che il D. Lgs. n. 251/2007 estende anche ad altri organismi o associazioni umani71
tarie a carattere nazionale o internazionale.
Nell’applicazione della disciplina gli operatori dovranno ispirarsi al superiore
interesse del minore, secondo un principio già previsto nell’ordinamento italiano
per i minori stranieri in generale dall’art. 28 D. Lgs. n. 286/1998, a cui si aggiunge per i minori richiedenti o beneficiari dello status di protezione internazionale
il naturale corollario della riservatezza a tutela della sicurezza del minore stesso
e dei suoi familiari.
L’art. 29 assicura la libera circolazione dei titolari della protezione internazionale sul territorio nazionale, alla pari degli altri stranieri regolarmente soggiornanti, e l’accesso agli alloggi di edilizia residenziale e pubblica e al credito
agevolato in materia di edilizia, acquisto e locazione della prima casa, in condizioni di parità con i cittadini italiani, analogamente a quanto previsto per gli
stranieri in possesso di un permesso di soggiorno biennale per lavoro autonomo
o subordinato. Nell’ambito delle misure di integrazione sociale che lo Stato favorisce, ai sensi dell’articolo 42 del D. Lgs. n. 286/1998, potranno valutarsi anche
misure destinate specificamente ai titolari di protezione internazionale e in particolare ai rifugiati.
Infine l’art. 30 rinvia, per l’assistenza al rimpatrio volontario, ai programmi
promossi e attuati, d’intesa con il Ministero degli Affari esteri, dal Servizio centrale di informazione, consulenza e supporto tecnico agli enti locali che prestano
servizi finalizzati all’accoglienza, operante presso il Ministero dell’Interno. Anche tali programmi si avvalgono dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ovvero di altri organismi, nazionali o internazionali, di carattere
umanitario.
1.6 Diritto d’asilo, disciplina dell’immigrazione, protezione temporanea e politica estera di tutela dei diritti umani
Occorre alla fine ricordare che ogni straniero che abbia chiesto e/o ottenuto asilo
è un immigrato, ma che gli asilanti sono una parte dei migranti. Ogni asilante è
anche straniero.
Perciò non ha alcun senso una separatezza della disciplina del diritto di asilo
dal resto della disciplina della condizione giuridica degli stranieri, ma non perché
si debbano confondere le due figure, o peggio, dimenticare l’importanza, l’irrinunciabilità del diritto di asilo che è l’eccezione nella regola della protezione
giuridica dello straniero: lo straniero non ha un diritto soggettivo di ingresso nel
territorio nazionale, salvo che nel caso in cui sussistano i presupposti per il diritto
di asilo. Ciò però non comporta che l’asilo stia al di fuori della disciplina degli
72
stranieri, ma che stia sempre dentro.
La legislazione sugli straneri approvata dopo il 1998 ha invece omesso di
disciplinare in modo organico la condizione giuridica dello straniero anche se
asilante. Già nel ’98, appena approvata la legge era chiaro che essa non sarebbe
riuscita a disciplinare la condizione giuridica degli stranieri soltanto allorché vogliano accedere al diritto d’asilo. Si era stralciata la disciplina del diritto d’asilo
rinviandola a una più estesa e distinta legge che poi non fu mai approvata dal
Parlamento.
Subito dal 1999 questa lacuna creò un’inadeguata preparazione alle situazioni
emergenziali, con le vicende dell’arrivo dei curdi, degli albanesi del Kosovo.
Tutti quei famosi esodi di massa erano esattamente quelle forme di asilo di massa
che non erano preventivate e preventivabili, e di cui certo la legge del 1998 si
occupa prevedendo forme di protezione temporanea per eventi eccezionali, ma il
vero problema è stato fino al 2007 un’assurda situazione normativa nella quale,
per poter avere accesso alla “protezione sussidiaria” nel caso in cui lo straniero
non sia perseguitato individualmente, ma fuggisse da un conflitto doveva prima
passare dalla presentazione della domanda dello status di rifugiato.
Questa enorme ambiguità e confusione dei due canali ha comportato che tanti
stranieri formalmente abbiano visto respinta la loro domanda di riconoscimento
dello status, salvo poi ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Un inutile giro della burocrazia, perché fin dall’origine si sarebbero potute dividere bene le due fattispecie senza scandalo per nessuno.
Certo si dice che la protezione sussidiaria e la protezione temporanea sono
status meno protetti dello status di rifugiato, perché lo straniero sarà autorizzato a
soggiornare in Italia per un periodo inferiore. Tuttavia costui godrà comunque del
diritto di asilo e comunque, come prevedono le direttive sulla protezione sussidiaria e sulla protezione temporanea, il suo permesso di soggiorno sarà rinnovabile
fino a quando venga meno il pericolo grave o le ragioni che avevano determinato
l’esodo. E anche quando vengono meno tali ragioni egli non dovrebbe rientrare nel
paese di origine, se le norme nazionali sulla protezione sussidiaria prevedessero,
così come si prevede per la protezione temporanea – ed ecco che bisogna collegare
le normative sull’immigrazione in generale a quelle specifiche sull’asilo – la convertibilità del permesso per motivi umanitari in un altro tipo di permesso, qualora
lo straniero lavori regolarmente o sia iscritto a una scuola o a un’università.
Inoltre una vera e propria politica dell’asilo comporta una politica a questo
punto europea, unitaria della tutela dei diritti umani. Infatti di fronte al problema
degli esodi di massa la prima cosa da fare è impedire che questi fatti accadano,
così come per il problema dello status di rifugiato occorre anzitutto impedire che
vi siano persecuzioni.
73
Tuttavia è estremamente delicata la posizione degli Stati democratici di fronte
agli esodi di massa.
Se si tratta di esodo di massa per motivi di calamità naturale, il problema non
si pone se non a livello di miglioramento delle politiche ambientali e della protezione civile.
Se invece si tratta di un esodo di massa per motivi bellici e/o di pulizia etnica,
accogliendo gli asilanti si rischia involontariamente di fare il gioco di chi quella
pulizia etnica vuole realizzare e si consente il raggiungimento dell’obiettivo. Ciò
non significa che non vanno accolte le vittime della pulizia etnica, ma la protezione temporanea di costoro con l’obbligo di rientro al termine delle situazioni
eccezionali che avevano prodotto l’esodo potrebbe anche essere considerata in
modo meno critico. Proprio perché uno Stato democratico mira a tutelare i diritti
fondamentali di ogni persona e ad estendere tale tutela in tutto il mondo allora
non consente ai propositi distruttivi di chi vuole perseguitare le persone di servirsi dell’esistenza dell’opportunità “liberale” del diritto d’asilo tipica della legislazione dei paesi democratici per portare a termine la sua pulizia etnica.
Si pensi alla questione delle pulizie etniche verificatesi durante i conflitti che
hanno insanguinato gli Stati dell’ex-Jugoslavia. Già nel 1992 il Governo italiano
consentì alle vittime l’accesso al territorio italiano e nel 1993 decise di finanziare
la protezione e la ricostruzione dell’anagrafe bosniaca per consentire il successivo rimpatrio degli stranieri accolti. Oggi si comprende che era una misura profondamente giusta. L’esodo di massa che comporta questo tipo di persecuzioni
quasi si perfeziona con la cancellazione dell’identità e della presenza storica delle
popolazioni espulse. Perciò occorre proteggere la vita nell’immediato nel caso di
esodo di massa, ma la protezione temporanea e il rimpatrio devono essere finalizzati anche allo scopo di evitare che simili fatti si ripetano. Mai si deve permettere
che qualcuno riesca a raggiungere i suoi scopi politici con il furore di milizie o di
forze armate che cacciano chiunque non appartenga al partito di maggioranza al
potere oppure all’etnia o alla religione dominanti.
Dunque non si può rinunciare al principio che nessuno può più violare i diritti
fondamentali delle persone per raggiungere i suoi scopi politici.
Del resto il Tribunale penale internazionale, la sua istituzione e l’elencazione
tassativa dei crimini previsti nel suo statuto firmato nel 1998 comportano che il
genocidio e l’esodo di massa forzato delle persone sono crimini che devono essere perseguiti ovunque e da chiunque siano stati compiuti.
Il tribunale si è riunito dal marzo 2003 e diminuiscono anche gli Stati che non
ne avevano sottoscritto lo Statuto o che poi non l’hanno ratificato. Infatti ci sono
problemi di fondo che, al di là della questione dei militari americani all’estero,
stanno a cuore a tutti gli Stati in sostanza e che conviene a tutti che siano risolti
74
dalla Corte internazionale.
Tuttavia al di là dell’istituzione della Corte, il problema di fondo è che il diritto di asilo non può diventare pretesto per politiche interne razziste comunque
discriminatorie delle minoranze, delle etnie e dei sessi. La storia dimostra che
alla lunga forme di protezione temporanea possono consentire alle persone di
rientrare nei luoghi dai quali non avrebbero dovute essere allontanate con la forza
e dove non avrebbero neanche pensato di ritornare. Si pensi a quegli ebrei tornati
in Germania che si sentivano assolutamente tedeschi. Certo sono milioni gli ebrei
che sono andati in Israele, ma ciò non significa che non sia possibile ritornare.
Lo stesso è accaduto per migliaia di serbi che vivevano in Croazia prima del
1995. Insomma il fatto che Milosevic sia stato arrestato e trasportato al tribunale
dell’Aja o che Saddam Hussein sia stato arrestato e in qualche modo processato
per lo sterminio di migliaia di curdi col gas significa che questo tipo di politica
e quel tipo di atti non si possono fare più ovunque e comunque, perché si sa che
lo Statuto della Corte penale internazionale prevede che la giurisdizione su quei
crimini internazionali o è nazionale o è della Corte.
In questa nuova situazione del diritto internazionale muta anche il ruolo del
diritto d’asilo.
In ogni caso la vita delle persone, la loro sicurezza e incolumità ricevono piena protezione, sicché l’istituto della protezione temporanea non è incompatibile
con il diritto di asilo, ma si completa con l’esigenza tipica della politica estera di
vincolare la sovranità di ogni Stato al rispetto delle norme internazionali, tra cui
quelle che puniscono determinati crimini. Perciò con la protezione temporanea
si afferma che prima o poi gli esodati dovranno ritornare perché uno Stato mai
potrà dare alcuna forma di avallo giuridico all’espulsione con la forza di migliaia
di persone dal luogo in cui vivono, dando il pretesto che comunque potrebbero
vivere altrove.
È chiaro che l’equilibrio è delicatissimo. In proposito è utile ricordare le problematiche che si verificarono poco prima del decreto del 1999 del Presidente del
Consiglio dei Ministri di attuazione della protezione temporanea nel caso degli
albanesi del Kosovo. Si disse che se fosse stato consentito a costoro di lasciare
l’Albania nella quale avevano trovato temporaneo rifugio tutti i kosovari si sarebbero trasferiti, il che però non avvenne.
Perciò in presenza di esodi di massa occorre davvero riflettere su quali siano
le misure più opportune da adottare anche sul lungo periodo e valutare caso per
caso. Da un lato c’è chi fugge perché i persecutori minacciano di uccidere in
tempi brevissimi chi non se ne va e dall’altro lato c’è chi fugge per il terrore collettivo, perché tutti scappano, perché non si sa cosa succede.
È vero che tutte queste vicende si risolvono alla fine mediante misure di carat75
tere diplomatico e politico che non si possono disciplinare fino in fondo. Tuttavia
già stabilire che la sovranità degli Stati non può comunque violare i diritti umani
fondamentali delle persone è un mutamento storico. Kant lo sognava più di due
secoli fa, Kelsen lo auspicò nel 1944, quindi oggi si realizzano sogni antichi,
ma sono gli stessi: impedire che i diritti fondamentali siano calpestati. Proprio
perché qualsiasi persona ovunque ha la stessa dignità e gli stessi diritti, l’asilo è
uno strumento per assicurarglieli, quando quei diritti effettivamente non gli siano
garantiti in patria.
Però è evidente che la soluzione al problema della violazione dei diritti fondamentali non può essere la risistemazione mondiale con esodi di massa, sicché
si avrebbero territori in cui i diritti non sono rispettati e i cui governanti quindi
sarebbero autorizzati a espellere milioni di persone, e territori in cui essendo rispettati quei diritti gli stessi milioni sono autorizzati a entrare, come se fossero
spostamenti indolori e non azioni compiute con la sofferenza, l’oppressione, la
violenza, la minaccia, la paura.
76
2. La disciplina dell’accoglienza degli asilanti
di Ennio Codini e Manuel Gioiosa1
2.1 Premessa
I crescenti flussi di richiedenti asilo hanno determinato l’esigenza, in capo a numerosi soggetti (istituzionali e non), di trovare risposte che, fuori dalle forme
emergenziali degli esordi, fossero in grado di soddisfare i bisogni primari degli
asilanti. La questione ha assunto particolare rilievo in Lombardia, una regione
nella quale per vari motivi si sono trovati e si trovano a soggiornare molti dei
richiedenti asilo e di coloro che conseguono quella che oggi l’ordinamento definisce come “protezione internazionale”.
Le risposte si sono concretizzate soprattutto nell’accesso ai servizi sociali,
all’assistenza sanitaria, agli alloggi, alla formazione professionale, fino all’eventuale aiuto al rientro in patria.
In concreto la legislazione ha previsto anzitutto specifici strumenti di “accoglienza” sulla base delle evidenti specificità della condizione dell’asilante, una
persona che giunge nel territorio italiano in esito a un percorso di vita del tutto
diverso da quello della figura classica del migrante “economico”, un percorso
caratterizzato non dalla “scelta” di emigrare per migliorare le proprie condizioni
economiche bensì dalla “necessità” di fuggire dal proprio paese a seguito di una
condizione di pericolo grave se non di vera e propria persecuzione in atto con i
connessi specifici problemi di “sofferenza”.
Non vanno peraltro trascurate le risposte che possono venire sulla base della
legislazione ordinaria dello Stato sociale che offre una vasta gamma di interventi
e servizi che ben possono rispondere anche ai bisogni degli asilanti.
Agli strumenti specifici previsti dalla legislazione nazionale sono dedicati i
paragrafi 2.2, 2.3 e 2.4. All’applicazione agli asilanti della legislazione ordinaria
dello Stato sociale è dedicato il paragrafo 2.5.
Nel quadro di una riflessione comune Ennio Codini ha redatto i paragrafi 2.1 e 2.5 e Manuel Gioiosa ha redatto i paragrafi 2.2, 2.3 e 2.4.
1
77
2.2 Il “Sistema di protezione”
La legge 30 luglio 2002 n. 189 – cosiddetta legge Bossi-Fini – nel capo II, recante
disposizioni in materia di asilo, raccogliendo l’eredità del Programma nazionale
asilo (Pna), prima esperienza di sistema pubblico di accoglienza degli asilanti, ha
costituito sulle basi di tale programma l’attuale sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati: Sprar2.
Il sistema Sprar si caratterizza per avere come scopo la realizzazione d’una
governance interistituzionale dove istituzioni centrali, locali e società civile, affiancati da organismi internazionali, cooperano alla definizione delle strategie e
alla elaborazione delle prassi.
Della legge Bossi-Fini ai nostri fini rilevano soprattutto le previsioni che sono
andate a introdurre nelle legge n. 39/1990 – cosiddetta legge Martelli – gli articoli
1-sexies e 1-septies.
Il primo disposto stabilisce che il sistema di protezione debba essere composto
dagli enti locali che, aderendo volontariamente al sistema di protezione, prestino
servizi finalizzati all’accoglienza dei richiedenti asilo e alla tutela di rifugiati e
stranieri destinatari di altre forze di protezione umanitaria.
Inoltre, il decreto di attuazione della legge Bossi-Fini (vedi l’art. 11 del Dpr.
n. 303/2004), consente al Servizio Centrale e agli Enti locali di intervenire all’interno dei Centri di Identificazione con servizi di informazione e assistenza
legale, di sostegno socio-psicologico, di insegnamento della lingua italiana e di
orientamento sul rimpatrio assistito.
Per l’attivazione o il rafforzamento di questi servizi, nonché per un’analisi degli interventi già attivati, l’Anci ha promosso una collaborazione con Unhcr, Asgi
e Oim ai fini del potenziamento e riqualificazione degli stessi e di rafforzamento
delle competenze degli operatori di enti locali e associazioni. L’operazione, in
procinto di essere avviata, è coordinata attualmente dal Servizio Centrale3.
Se la norma che prevede la costituzione dello Sprar risale al 2002, il percorso intrapreso per giungere a tale obiettivo ha avuto un forte impulso nel 1999 con il progetto “Azione Comune”. È in
quest’anno, infatti, che con il rilevante ingresso in Italia di cittadini kosovari e il sensibile aumento
delle domande di asilo, lo Stato italiano è progressivamente ma rapidamente giunto alla consapevolezza della necessità di un intervento istituzionale per soddisfare un bisogno di protezione e accoglienza, risolto fino ad allora quasi esclusivamente con l’associazionismo. Così dal mero sostegno
finanziario del progetto “Azione Comune”, il Ministero dell’Interno, come accennato nel testo, è
passato alla sperimentazione diretta del cosiddetto Pna, in accordo con Acnur e con l’Anci per la
gestione operativa, realizzata in cooperazione con i principali enti di tutela a livello nazionale. Questo substrato teorico, quindi, è culminato nella codificazione della cit. L. 189/2002 che ha creato il
primo Sistema pubblico nazionale per l’accoglienza, la tutela e l’integrazione di richiedenti asilo,
rifugiati, titolari di protezione umanitaria (raggruppati nell’acronimo Raru).
3
Cfr. www.serviziocentrale.it.
2
78
Riguardo agli aspetti finanziari rileva, invece, il citato art. 1-septies che rimette l’erogazione di fondi a uno specifico Fondo nazionale per le politiche e i servizi
dell’asilo. In quest’organismo, istituito presso il Ministero dell’Interno, confluiscono anche gli stanziamenti annuali assegnati all’Italia dal Fondo europeo per i
rifugiati (per approfondimenti cfr. par. 2.4).
Per coordinare gli interventi di accoglienza realizzati a livello territoriale,
inoltre, il Ministero dell’Interno ha istituito il Servizio Centrale di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali. Il
Servizio Centrale è affidato, dietro apposita convenzione, all’Anci (Associazione
Nazionale Comuni Italiani)4.
Al fine di garantire un Sistema Integrato di Interventi per un’ampia gamma di
situazioni5, lo Sprar contempla l’erogazione di numerosi servizi, tra cui spiccano
soprattutto quelli in tema di assistenza sanitaria e sociale, attività multiculturali,
inserimento scolastico dei minori, mediazione linguistica e culturale, orientamenCome stabilito dal citato articolo 1-sexies, il Servizio Centrale ha tra i suoi compiti quello di monitorare la presenza sul territorio dei richiedenti asilo, dei rifugiati e degli stranieri con protezione
umanitaria. Tale attività viene realizzata: A) attraverso la raccolta ed elaborazione in una banca
dati centralizzata dei dati relativi ai beneficiari accolti e ai servizi attivati all’interno dello Sprar.
Tale attività ha consentito di avere informazioni dettagliate su tutti i progetti territoriali e sui 5.347
beneficiari accolti nella rete dello Sprar. B) Attraverso la raccolta delle informazioni provenienti
dagli enti locali sui richiedenti asilo, rifugiati e beneficiari di protezione umanitaria che si rivolgono
agli sportelli dei Comuni per avere informazioni e accedere ai servizi. In questo modo il Servizio
Centrale ha avuto informazioni su 1.522 persone, di cui 300 sono state progressivamente inserite in
uno dei progetti territoriali dello Sprar. C) La raccolta delle segnalazioni pervenute dalle Prefetture
in osservanza di quanto previsto dalla procedura per l’accertamento dei posti in accoglienza ai sensi
dell’art. 6 comma 1 del D. Lgs. n. 140/2005. D) L’accoglimento delle segnalazioni provenienti dai
Centri di Identificazione e relative ai Raru in uscita, che ha portato all’accoglienza di 692 beneficiari. Inoltre, il Servizio Centrale ha provveduto anche al monitoraggio delle presenze dei Raru
nei servizi predisposti dagli enti locali ai sensi dell’Ordinanza di protezione civile n. 3476 del 2
dicembre 2005, destinata a rispondere a situazioni di emergenza di 10 Comuni.
5
Una particolare menzione merita una recente direttiva in materia di minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo emanata dal Ministro dell’Interno d’intesa con il Ministro della Giustizia il
7 dicembre 2006. Riservandoci di approfondire il discorso nel paragrafo successivo, in questa sede
osserviamo come la direttiva cit. stabilisca che all’arrivo in frontiera il minore, di fronte all’espressa
volontà di chiedere asilo, venga subito affidato alle strutture del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati e non da una struttura qualsiasi come finora è accaduto. Il sistema di protezione
ai sensi dell’art. 1, comma 1 direttiva cit., infatti, stabilisce che “I pubblici ufficiali, gli incaricati
di pubblico servizio, gli enti che svolgono attività sanitaria o di assistenza, i quali vengono a conoscenza dell’ingresso o della presenza sul territorio dello Stato di un minorenne straniero non accompagnato sono tenuti a fornirgli, in forma adeguata all’età e alla comprensione del minore, tutte le
pertinenti informazioni sulla sua facoltà di chiedere asilo e invitarlo a esprimere la propria opinione
al riguardo, a tali fini garantendo al minore l’assistenza di un mediatore culturale o di un’interprete
che parli la sua lingua d’origine o quella a lui conosciuta”. L’effettivo accesso alla procedura di
presentazione della domanda di asilo è poi garantita dagli uffici di polizia di frontiera, dagli Uffici
Interforze dei Centri di accoglienza e dalle Questure (direttiva cit., art. 1, comma 2).
4
79
to e informazione legale, alloggio, inserimento lavorativo e formazione.
Per comprendere i connotati del sistema di protezione va anche considerato il
decreto legislativo n. 140/2005 che ha contribuito alla rimodulazione delle prassi
di accoglienza e alla ridefinizione dei diritti spettanti ai richiedenti asilo in Italia, incidendo notevolmente anche sulle modalità operative interne al sistema di
protezione. Questo corpo normativo, peraltro, per quanto qui interessa è stato da
ultimo integrato dai due recenti decreti legislativi sullo status dei beneficiari si
“protezione internazionale” e sulle procedure per acquisirlo.
Il citato decreto n. 140/2005 prevede l’obbligo per lo Stato di dare accoglienza
al richiedente asilo in stato di necessità, fino alla definizione della procedura di
riconoscimento; è anche previsto l’obbligo a carico dell’ufficio che riceve la domanda di “protezione internazionale” di informare lo straniero richiedente sulle
modalità di accoglienza in Italia tramite la consegna di un opuscolo appositamente predisposto dalla Commissione nazionale per il diritto d’asilo.
Secondo la disciplina del decreto n. 140, nel caso in cui al momento della
presentazione della domanda il richiedente asilo si dichiari privo di mezzi per il
sostentamento proprio e dei propri familiari, deve essere disposto l’accesso alle
strutture di accoglienza previo accertamento, da parte della locale Prefettura-Utg,
della effettiva insufficienza dei mezzi di sussistenza e del rispetto del termine,
stabilito in 8 giorni, tra l’ingresso in Italia e la presentazione della domanda (art.
11 decreto cit. n. 140).
Particolare attenzione è poi prestata alle condizioni materiali di accoglienza
nei confronti dei minori. A quest’ultimo riguardo se l’art. 8, comma 4 del citato
decreto legislativo n. 140, si limita a prevedere che l’accoglienza dei minori di
età non accompagnati è effettuata, secondo il provvedimento del Tribunale dei
minorenni, a opera degli enti locali cui peraltro è rimessa anche la possibilità di
individuare specifici programmi di accoglienza, ben più articolata risulta essere la
nuova disciplina introdotta dai due più recenti decreti legislativi sopra citati.
In particolare quello in tema di status prevede che nel caso in cui la domanda
sia stata presentata da un minore non accompagnato, l’autorità che la riceve sospende il procedimento per dare immediata comunicazione al Tribunale dei minorenni e al giudice tutelare per l’eventuale nomina e apertura della tutela entro le
quarantotto ore successive alla comunicazione (comma 5, art. 26 cit.).
Ancora più significativamente poi è previsto a carico dell’autorità che riceve
la domanda l’obbligo di informare il Servizio Centrale del sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati, per l’inserimento del minore in una delle
strutture operanti nell’ambito del sistema di protezione stesso, dandone sempre
comunicazione al tribunale dei minori e al giudice tutelare. Nell’ipotesi in cui non
sia possibile l’immediato inserimento del minore in una di tali strutture, inoltre,
80
l’assistenza e l’accoglienza del minore sono assicurate ad interim dalla pubblica
autorità insediata nel comune dove si trova il minore (comma 5, art. 26).
2.3 Il sistema di protezione come concretamente realizzatosi
Per un’analisi di come si è in concreto realizzato il sistema di protezione assume particolare rilievo l’ultimo rapporto annuale dello Sprar elaborato dall’Anci
in collaborazione con il Censis (Censis, 2007: 169). Quest’ultimo per quanto
riguarda la specifica mappatura dei servizi socio-sanitari sui progetti territoriali
dello Sprar, deve essere integrato con il rapporto 2007 curato sempre dall’Anci e
realizzato da Oim e Caritas di Roma (Anci-Oim-Caritas, 2007: 48).
La modalità operativa del sistema adotta un modello a spirale che prevede
un processo dal basso verso l’alto e viceversa, coinvolgendo su di un obiettivo
comune numerosi attori sul piano locale e centrale, ciascuno con le proprie competenze e specificità.
La responsabilità progettuale e operativa del sistema di protezione è stata affidata agli enti locali, come naturale conseguenza di un processo intrapreso da anni
in Italia con la Riforma Costituzionale del 2001 sul titolo V della Costituzione
che, ridisegnando l’assetto istituzionale della Repubblica, ha assegnato un nuovo
status giuridico e più ampi poteri a Regioni, Province e Comuni, portando così
allo spostamento progressivo dal livello centrale a quello locale di numerose e
importanti competenze, funzioni e responsabilità.
In particolare il progetto, contenuto nel rapporto, denominato “Sviluppo assistenza socio-sanitaria nello Sprar: mappatura dei servizi socio-sanitari sui progetti territoriali dello Sprar” ha preso vita con l’obiettivo generale di garantire “ai
richiedenti asilo, rifugiati e persone con protezione sussidiaria dei servizi sanitari,
socio sanitari, psico-sociali, di base e specialistici, su tutto il territorio nazionale
nonché contribuire al processo di integrazione tra i diversi sistemi dei servizi
locali di riferimento e al potenziamento delle competenze degli operatori di accoglienza”6.
La nota caratteristica è che il decreto legislativo n. 140/2005 prevede la priorità di inserimento nella rete dei progetti dello Sprar. In caso di indisponibilità
dei posti, peraltro, è prevista la possibilità sussidiaria di garantire la permanenza
6
Lo studio, in particolare, è stato condotto nell’arco di un anno e ha consentito di raggiungere tutti
i progetti dello Sprar attivi nel 2006, intervistando 109 operatori e rilevando 801 interventi sanitari
effettuati nel mese di dicembre 2006 sul 25% dei 2.780 beneficiari Sprar presi in esame, ovvero
609 tra richiedenti asilo (30%), rifugiati (13%) e titolari di protezione umanitaria (54%) (AnciOim-Caritas, 2007: 4).
81
nei Centri di Identificazione e, per il tempo strettamente necessario all’individuazione di un posto libero all’interno del Sistema di Protezione, nelle strutture di
prima accoglienza allestite ai sensi della L. 29 dicembre 2005 n. 563 (cosiddetta
legge Puglia).
Nel caso in cui nemmeno quest’altra possibilità sia percorribile, è prevista
come ultima soluzione l’erogazione da parte della Prefettura di un contributo
di prima assistenza per il tempo necessario all’acquisizione di un posto in accoglienza (art. 6 cit., comma 7).
Questo progetto si è caratterizzato per aver dato vita a un’indagine trascendente il mero lavoro di analisi, promuovendo nel concreto l’integrazione tra i servizi territoriali di riferimento e il potenziamento delle competenze degli operatori
dell’accoglienza.
Questa multiformità conseguente al modello decentrato ha permesso ai progetti Sprar di rispondere alla richiesta di assistenza socio-sanitaria degli esilianti
in maniera eterogenea modulando l’interazione sulla richiesta delle diverse necessità e garantendo maggiore flessibilità alle caratteristiche del territorio.
In tutto il 2006 lo Sprar ha coinvolto 95 tra Comuni, Province, Unioni e Consorzi di Comuni7 titolari di 104 progetti territoriali che hanno messo a disposizione 2.428 posti di accoglienza, consentendo di garantire protezione a 5.347
(il 20% in più rispetto al 2005) persone di cui 440 inserite in progetti destinati a
categorie particolarmente vulnerabili8.
La Lombardia occupa il secondo posto della graduatoria nazionale con 701
beneficiari, preceduta soltanto dal Lazio che nel 2006 ha accolto il considerevole
numero di 1.412 richiedenti (Censis, 2007: 26).
A fronte di qualche centinaio di posti in meno finanziato rispetto allo stesso
anno, il sistema denota una capacità di assorbimento sociale in crescita fondato
su un ampio turnover e sulla possibilità di restituire le persone vulnerabili prese
in carico dal sistema al territorio in seguito al completamento dei percorsi di integrazione (Censis, 2007: 3).
Da questo punto di vista una sorta di continuità pare seguita dal Decreto del
Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione presso il Ministero
dell’Interno del 31 maggio 2007 con cui è stata fissata la capacità ricettiva massima del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati per l’anno 2008 nella
La concreta articolazione sul territorio di questi enti è stata distribuita nel territorio di 16 Regioni
e 62 Province così divise: 3 Province; 89 Comuni; 2 Unioni di Comuni: 1 Consorzio di Servizi
Sociali.
8
Questo su un totale di 10.348 domande presentate alle sette Commissioni territoriali, il cui 44,5%
è così ripartito per provenienza geografica: 2.151 dall’Eritrea, 830 dalla Nigeria, 584 dal Togo, 530
dal Ghana e 508 dalla Costa d’Avorio (Censis, 2007: 9).
7
82
misura di 2.350 posti di cui 350 per le categorie più vulnerabili ex art. 6, comma
1, del decreto del Ministero dell’Interno del 28 novembre 2005 (per le forme di
accoglienza straordinaria disposte dal Presidente del Consiglio dei Ministri, si
veda il par. successivo).
Le frequenze delle nazionalità coincidono con quelle dei beneficiari dei progetti Sprar: su 5.347 beneficiari, 2.303 pari al 43, 1% sono titolari di una protezione umanitaria, 2.294 (il 42,9%) richiedenti asilo e solo 750 rifugiati. Tra le
prime nazionalità vi sono Togo e Colombia e non compaiono Eritrea e Etiopia
che, invece, sono ai primi posti tra quelle dei beneficiari dei progetti territoriali.
Il 70,40% circa dei beneficiari fuoriusciti dal sistema di accoglienza è rimasto nei
progetti di assistenza per meno di 12 mesi (massimo numero di mesi consentito
per regolamento)9.
Dal citato rapporto effettuato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dalla Caritas di Roma sui servizi socio-sanitari per i rifugiati,
si evince come per tutto il 2006 e gli inizi del 2007, in Italia la Regione con il
più elevato numero di progetti Sprar sia stata la Sicilia, con 16 progetti, seguita a
ruota dalla Lombardia, con 11 progetti (Anci-Oim-Caritas, 2007: 13).
Con riferimento alla rappresentazione territoriale della soddisfazione dei beneficiari, invece, si è riscontrato un andamento diverso da quello usualmente atteso,
in cui cioè il Nord Italia è soddisfatto e si contrappone al Sud Italia insoddisfatto.
È significativo, infatti, che mentre i valori di soddisfazione più elevati si sono
osservati in Piemonte (con il 93,48% di soddisfazione espressa), seguito dal Molise (87,50%), dalla Campania (85,71%) e dall’Emilia Romagna (78,13%), viceversa il grado più basso di questa graduatoria va ascritto alla Lombardia con
il 57% di soddisfazione espressa10. Da questa ricognizione è emerso un sistema
9
Questi dati, evidenziano come nel 2006, in maniera ancora più evidente rispetto all’anno precedente, il cambiamento delle procedure e delle modalità organizzative, abbiano determinato una
riduzione dei tempi di esame delle domande di asilo e, conseguentemente, abbiano abbreviato l’iter
per il riconoscimento della condizione giuridica (Censis, 2007: 32).
10
Con riferimento a questo antiprimato della Lombardia riguardo al grado di soddisfazione dei
beneficiari è importante sottolineare come il rapporto da cui sono tratti i dati si fermi al novembre
del 2006 e quindi non tenga conto degli arrivi successivi a questa data. A questo inoltre si aggiunga
che date le caratteristiche del progetto sia in termini di strutture di accoglienza che di numero di
beneficiari accolti, il rapporto degli operatori con gli ospiti può essere più discontinuo e il livello
di autonomia di questi più elevato. In questa zona d’ombra ben si intende come non sia possibile
registrare tutte le informazioni relative ai processi terapeutici dei beneficiari, soprattutto quelle che
afferiscono alla sfera soggettiva dei beneficiari. Del resto, per il carattere puramente esplorativo
dell’indagine si è considerato di analizzare solamente i bisogni percepiti dal beneficiario e perciò
espressi all’operatore Sprar o dall’operatore stesso che ha successivamente indirizzato il beneficiario verso la soluzione del problema. Scegliendo come informatori gli operatori, si è ancor più limitata la definizione del bisogno poiché non tutti i bisogni percepiti dai richiedenti potevano essere
arrivati alla conoscenza dell’intervistato.
83
sanitario ancora lento, burocratizzato e inadeguato in alcune sue risposte, sebbene
per molti aspetti realmente universale ed equo11.
Riguardo ai deficit del sistema si è considerato come l’assistenza resti critica
soprattutto nelle aree dell’odontoiatria, della riabilitazione fisioterapica e protesica e del disagio psichico, dove sono mancate risposte ai soggetti più fragili e
bisognosi. Nei confronti della tutela della salute, poi un ruolo centrale è spettato
al medico di famiglia. Promosso dal rapporto anche il ruolo degli operatori Sprar
nel garantire l’accesso al sistema. Inoltre si segnala lo scarso peso attribuito alla
determinazione di percorsi di cura o di soluzione dei problemi sanitari da parte di
screening iniziali, in genere per malattie infettive che mostrano meno efficacia e
destano più insoddisfazione, sebbene rassicurino gli operatori.
Una considerazione a sè meritano poi i servizi di accoglimento alla frontiera
presenti nel territorio nazionale e in particolare in quello dell’aeroporto intercontinentale di Malpensa. In quest’ultimo valico, assieme agli altri siti in Roma
(Fiumicino), Gorizia, Ancona, Venezia, Bari, Brindisi, Trapani (con Caritas), il
Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir), ha assunto il ruolo di garante dei servizi
di assistenza, informazione legale e orientamento al territorio per i richiedenti
asilo.
Questi servizi, in particolare, sono stati istituiti all’interno delle zone aeroportuali di transito grazie ad apposite convenzioni con le Prefetture-Utg in base
all’art. 11 comma 6 del D. Lgs. 286/98 che prevede espressamente l’istituzione
di “servizi di accoglienza al fine di fornire informazioni e assistenza agli stranieri
che intendano presentare domanda di asilo o fare ingresso in Italia per un soggiorno di durata superiore a tre mesi”.
Inoltre, tra gli altri servizi offerti sul territorio lombardo da parte del Cir, si
Nell’ultimo rapporto Sprar, peraltro, sono stati evidenziati tre progetti specifici, individuati d’accordo con il Servizio Centrale. Tra questi ai nostri fini si rileva quello di Bergamo. In quest’ultimo
comune, in particolare, il rapporto rileva come il progetto realizzato si inserisca in un contesto
territoriale da tempo interessato dal fenomeno migratorio e che recentemente, insieme a un aumento generale della popolazione immigrata, ha visto crescere notevolmente anche la presenza di
rifugiati, richiedenti asilo e titolari di protezione umanitaria. Il progetto presenta una variegata rete
di soggetti che agiscono con compiti specifici e in modo funzionale alla realizzazione delle attività
previste, integrandosi in modo da evitare il sovrapporsi delle azioni. I posti finanziati per il 2006
nel progetto di Bergamo sono stati 15, 11 per uomini e 4 per donne, mentre gli accolti sono stati
28: 22 uomini, 5 donne sole e 1 nucleo monoparentale. Gli uomini inseriti nel progetto erano già
presenti sul territorio bergamasco, mentre per le donne vi sono stati 2 invii da parte del Servizio
Centrale. La nazione di provenienza prevalente per gli uomini è l’Eritrea, seguono la Costa d’Avorio, la Somalia e la Nigeria; le donne provengono dalla Somalia, l’Eritrea, l’Etiopia, il Congo e la
Colombia. Rispetto al loro status in Italia, 4 sono rifugiati, 12 sono richiedenti asilo e altri 12 titolari
di protezione umanitaria (Censis, 2007: 76). Si veda per maggiori approfondimenti la tabella 1 di
seguito riportata.
11
84
segnala il recente protocollo di intesa raggiunto con la Cgil Lombardia-Camera
del Lavoro Metropolitana, avente per oggetto la fornitura di assistenza e orientamento ai richiedenti asilo. Sulla base di questo accordo, precisamente, è ora attivo
un “Servizio Rifugiati Cir” presso il Centro Immigrati della Camera del Lavoro
di Milano rivolto sia a rifugiati che a richiedenti asilo. A integrazione del progetto
di Milano per l’anno 2007, inoltre, anche la Provincia di Milano ha attivato un
“Servizio integrato per richiedenti asilo della Provincia di Milano” attraverso cui
è stato potenziato il servizio di orientamento legale e sociale mediante l’apertura
di un analogo sportello nel comune di Sesto San Giovanni, sempre in collaborazione con la Camera del Lavoro-Cgil12.
2.4 Il sistema di finanziamento
Come accennato in precedenza, i progetti territoriali di accoglienza sono stati
attuati in tutti questi anni tramite i finanziamenti del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (Fnpsa) introdotto dall’art. 1-sexies del D. L. 30 dicembre 1989 n. 416 convertito, con modificazioni dalla L. 28 febbraio 1990 n.
39 riprodotto nell’art. 32 L. 30 luglio 2002 n. 189, al quale possono accedere,
nei limiti delle risorse disponibili, gli Enti locali che prestano servizi finalizzati
all’accoglienza dei richiedenti asilo in attesa della pronuncia delle Commissioni
territoriali, di titolari dello “status di rifugiato” e di titolari di protezione umanitaria.
Nel fondo confluiscono ogni anno i finanziamenti del Fondo europeo per i
rifugiati destinati a sviluppare tra gli Stati membri una comune politica di accoglienza che ponga le basi per la futura integrazione.
Si noti come fino al 2005 vigesse ancora una sorta di “regime transitorio” che
prevedeva la conferma del sostegno economico agli Enti locali i quali avevano
costituito nel 2001 la rete del Programma nazionale asilo, ampliata nel 2004 attraverso i fondi straordinari dell’Otto per Mille Irpef assegnati ad Anci e da questa
distribuiti agli Enti locali attraverso un invito pubblico a presentare proposte.
Alla fine del 2005, il Decreto del Ministro dell’Interno del 28 novembre ha
stabilito i criteri di accesso al Fnprs, definendo al contempo le linee guida e il
formulario per le domande del contributo.
Il Decreto ministeriale del 28 novembre, confermato successivamente dal già
citato decreto legislativo n. 140 del 2005, ha previsto la predisposizione di due
graduatorie distinte: una per i progetti rivolti alle categorie “ordinarie” e una per
12
Si veda www.cir-onlus.org/servizi_sul_territorio.htm.
85
quelli a favore delle categorie “più vulnerabili”, così come definite dal Decreto,
quali i disabili anche temporanei, le persone che necessitano di assistenza domiciliare, sanitaria specialistica e prolungata, le vittime di tortura e/o violenza, i
minori non accompagnati e gli anziani13.
Sennonché in ottemperanza alla necessità di perfezionare le procedure di accesso al Fondo si è resa necessaria la modifica sia dei criteri per l’assegnazione
dei punteggi che di quelli necessari alla ripartizione delle eventuali risorse residue.
Accanto a queste esigenze, si è resa altresì attuale anche la necessità di ripensare le modalità di utilizzo delle economie maturate nella fase di attuazione
dei servizi da parte degli enti locali ammessi al contributo e di inserire le Prefetture-Utg tra i soggetti interessati alla realizzazione dei progetti di accoglienza,
sia sotto il profilo della conoscenza delle attività svolte sul territorio dagli Enti
locali finanziati dal livello centrale, sia della vigilanza sull’efficienza dei progetti
stessi.
A tutte queste esigenze ha provveduto il DM 27 luglio 2007, dal titolo “Revisione e aggiornamento linee guida, per la verifica della corretta gestione del
contributo erogato dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo in
armonia alle disposizioni del decreto legislativo del 30 maggio 2005, n. 140”,
pubblicato sul supplemento ordinario n. 147 alla GU della Repubblica italiana,
serie generale n. 150.
Secondo quando stabilito dalla L. 189/2002, il Fondo nazionale può contare su una dotazione annuale ordinaria di 5.160.000 Euro. A questa si aggiungono le risorse provenienti dal Fondo europeo
rifugiati (Fer), pari a 2.053.628,78 Euro per l’anno 2006, che vengono destinate esclusivamente al
finanziamento dei progetti per categorie più vulnerabili. Per gli anni 2005, 2006 e 2007 nel Fondo
nazionale sono confluite anche le risorse messe a disposizione dal decreto legislativo n. 140 del
2005 per il recepimento della Direttiva comunitaria 2003/9/CE. Il Decreto ha disposto, pertanto,
un incremento annuale delle dotazioni del Fondo nazionale di 17.731.000 Euro fino al 2007. Nel
dicembre 2006 sono stati resi disponibili dal Ministero dell’Interno i fondi previsti dal decreto
legislativo n. 140/2005, imputabili ai primi mesi di recepimento della Direttiva europea sull’accoglienza e pari a 8.865.500 Euro. Questa somma, peraltro, ascrivibile al 2005 è stata di fatto erogata
al Sistema di Protezione solamente alla fine del 2006. A fronte di questa copertura economica dei
progetti territoriali di accoglienza, è necessario precisare che il Ministero dell’Interno ha distribuito
agli enti locali del Sistema di Protezione il contributo economico loro riconosciuto attraverso due
distinti decreti. A) Un primo decreto nell’agosto 2006 relativo al riparto pari al 55% del costo
delle iniziative a carico del Fnpsa. Gli importi sono stati effettivamente trasferiti agli enti locali
soltanto a partire dal mese di ottobre 2006; B) Un secondo decreto nel novembre 2006 ha ripartito
il restante 45% e i fondi sono stati trasferiti a partire dalla fine dello stesso mese. In sostanza, dei
33.810.128,78 Euro teoricamente disponibili nell’anno 2006, lo Sprar ha avuto effettivamente a
disposizione 31.756.500 Euro, corrispondenti alla somma della dotazione annuale ordinaria, più la
dotazione aggiuntiva prevista dal Decreto n. 140/2005 (cfr. infra) per il 2006 e quella prevista per il
2005, ma accreditata a fine 2006 (Censis, 2007: 18).
13
86
Questo provvedimento è importante perché l’art. 2, comma 1 legittima l’accesso alla ripartizione delle disponibilità del Fondo “(…) gli enti locali, anche
eventualmente associati, le loro unioni e consorzi che prestano servizi finalizzati
all’accoglienza dei richiedenti asilo e dei loro familiari, alla tutela dei rifugiati e
degli stranieri destinatari di altre forme di protezione umanitaria”.
Per accedere alla ripartizione del Fondo, il DM prevede la necessità, da parte
degli enti locali, di presentare in carta libera domanda di contributo corredata da
una relazione illustrativa in cui è descritto l’aspetto gestionale, tecnico e finanziario degli interventi e la loro conformità alle indicazioni e ai requisiti riportate nelle linee guida del provvedimento (art. 2, comma 3); alla domanda di contributo
deve essere allegato poi, il piano finanziario secondo gli schemi uniti al modello
di domanda distinti per progetti relativi a categorie vulnerabili o per categorie
ordinarie di beneficiari (art. 4, comma 1).
La domanda poi deve essere sottoscritta dal rappresentante dell’amministrazione o dell’ente locale, ricorrendo all’apposito modulo allegato al provvedimento stesso. Viene consentita una sola domanda di contributo per ogni ente locale
anche se presentata in forma associata o come unione o consorzio. La possibilità
di proporre una seconda domanda è ammessa, nel rispetto del limite complessivo, solamente se relativa ai servizi finalizzati alle categorie vulnerabili (art. 2,
comma 2).
Il destinatario della domanda in duplice copia è il Ministero dell’Interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione-Direzione centrale dei servizi
civili per l’immigrazione e l’asilo.
Ai fini della valutazione delle domande, poi, con provvedimento del Capo del
Dipartimento è istituita una commissione composta dal direttore centrale dei servizi civili per l’immigrazione e l’asilo del Dipartimento o da un suo delegato che
la presiede, da un funzionario della carriera prefettizia in servizio presso il medesimo Dipartimento, da un rappresentante dell’Associazione nazionale comuni
italiani (Anci), da un rappresentante dell’Unione delle province d’Italia (Upi).
La commissione, ai fini dell’ottimizzazione dell’impiego delle risorse disponibili sul Fondo, può chiedere all’Ente locale di ridurre i posti in accoglienza
rispetto a quelli richiesti dall’ente stesso con la domanda di partecipazione al
bando (art. 5, comma 4); nel caso in cui la commissione ritenga di dover ridurre
i posti, l’ente locale dovrà rimodulare, in maniera conseguente, il progetto e il
relativo piano finanziario (art. 5, comma 5).
All’esito dell’esame delle domande la commissione forma la graduatoria (sui
punteggi per la formazione della graduatoria si veda l’art. 8 DM cit.) degli enti
locali ammessi al contributo e su di essa assegna ai singoli progetti i rispettivi
punteggi attribuendo al singolo ente locale un sostegno finanziario non superiore
87
all’ottanta per cento del costo totale della singola iniziativa territoriale.
Terminato questo iter si prevede infine che il Ministro dell’Interno, acquisita
la proposta della commissione di valutazione e sentita la Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, adotti il decreto di ripartizione del Fondo che viene trasmesso agli organi di
controllo e pubblicato nella GU con la particolarità che della graduatoria degli
enti ammessi al contributo è data diffusione anche mediante inserimento sul sito
internet del Ministero dell’Interno e del Servizio centrale (art. 9)14.
Con riguardo alle modalità concrete di ripartizione del contributo, il cit. DM
prevede l’ammissione di una priorità per i servizi che riservano tutti i posti disponibili nelle strutture di accoglienza alle categorie vulnerabili (art. 6, comma 2).
Tra l’altro l’ordinanza 12 ottobre 2007 n. 3.620 del Presidente del Consiglio
dei Ministri, ha dettato disposizioni urgenti di protezione civile per il contrasto e
la gestione dell’eccezionale afflusso di cittadini stranieri extracomunitari giunti
irregolarmente in Italia.
In questo provvedimento viene deliberato un finanziamento straordinario allo
Sprar al fine di assicurare una maggiore capacità di ricezione del sistema attraverso l’incremento temporaneo dei posti in accoglienza. Siccome il numero degli
sbarchi nel corso dell’estate ha portato a un incremento dei posti delle domande
di riconoscimento dello status di rifugiato e quindi dei richiedenti asilo presenti
in Italia, si è posto il problema logistico alle persone che, presenti nei centri di
identificazione, superano i posti disponibili.
Per far fronte a questa necessità sono stati stanziati 5 milioni di Euro per le
forme di accoglienza straordinaria e temporanea, per una durata di 240 giorni,
che permetterà l’incremento dei posti in accoglienza di circa 500 unità.
L’ordinanza istituisce, inoltre, un fondo pari a 350mila Euro a favore di coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato o il permesso umanitario e non sono
I casi di revoca, totale o parziale, del contributo sono elencati dall’art. 14 e si riferiscono alle
seguenti ipotesi: a) rifiuto non validamente motivato all’accoglienza dei beneficiari dei servizi assegnati alla singola iniziativa territoriale su richiesta del Ministero dell’Interno, tramite il Servizio
Centrale ad eccezione delle ipotesi di autorizzazione di cui all’art. 10, interruzione per un periodo
consecutivo superiore a trenta giorni delle attività del servizio, ovvero erogazione del servizio a un
numero di beneficiari inferiore del 20% alla capienza ricettiva complessiva indicata nella domanda,
al netto della quota riservata alla rete nazionale, per un periodo superiore a sessanta giorni consecutivi; b) grave inadempienza nell’aggiornamento della banca dati gestita dal Servizio Centrale e/o
eventuale non veridicità delle informazioni inserite; c) mancata corrispondenza fra i servizi descritti
nella domanda di contributo e quelli erogati anche in termini di standard qualitativi e quantitativi;
d) erogazione dei servizi finanziati dal Fondo a favore di soggetti diversi da quelli previsti tra i
beneficiari del servizio finanziario; e) inosservanza agli obblighi di comunicazione alla PrefetturaUfficio territoriale del Governo; e infine f), gravi irregolarità contabili accertate in sede di controllo della rendicontazione o emersi a seguito di appositi controllo ispettivi disposti dal Ministero
dell’Interno per il tramite del Servizio Centrale.
14
88
ospitati nelle strutture di accoglienza del sistema di protezione per rifugiati e richiedenti asilo, con le modalità stabilite con provvedimento del Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione. Inoltre, viene autorizzato il Ministero
dell’Interno a istituire presso le Prefetture-Utg ulteriori commissioni territoriali,
fino a un massimo di tre, in aggiunta a quelle previste dal Dpr. 303 del 16 settembre 2004 “al fine di consentire il rapido espletamento delle attività connesse
all’esame delle istanze di asilo degli stranieri giunti irregolarmente in Italia” (art.
3). Infine all’art. 4 si è stabilito un gettone di presenza, nei limiti della vigenza
dello stato di emergenza, pari a 100 Euro e riferito “ai componenti, titolari e
supplenti della Commissione nazionale per il diritto di asilo e delle Commissioni
territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato”.
Con riguardo, invece, alla ripartizione “ordinaria” del Fondo nazionale asilo
per il 2007, ha provveduto il Decreto del Ministero dell’Interno, dipartimento per
le libertà civili e l’immigrazione del 16 agosto 2007 (pubblicato in GU n. 223 del
25 settembre 2007) stanziando un totale di 17.320.055,09 Euro per 2.082 capacità
ricettive per le categorie “ordinarie” e 4.356.925,30 Euro per 329 capacità ricettive con riferimento alle categorie “più vulnerabili”.
Secondo la tabella allegata al predetto Decreto, nell’elenco degli 84 enti assegnatari del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo nell’anno 2007,
10 rientrano nel territorio della Lombardia.
Con riferimento ai Comuni assegnatari del Fondo nazionale “ordinario” riportiamo i dati che interessano la nostra Regione, riassumendoli nella tabella 1.
Tab. 1 - Enti locali assegnatari del Fondo nazionale per le politiche e servizi dell’asilo.
Anno 2007
N.
Enti locali - progetti - categorie ordinarie
1
Milano
Capacità ricettiva
Importo
100
1.025.506,66
2
Brescia
20
160.600,00
3
Sesto Calende
15
123.470,00
198.158,58
4
Caronno Pertusella
25
5
Lodi
16
116.393,33
6
Varese
18
152.679,98
7
Lecco
15
138.373,17
8
Bergamo
15
106.850,00
9
Cremona
15
149.146,18
10
Breno
15
120.450,00
Fonte: Ministero dell’Interno-Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione
Con riferimento, invece, all’elenco degli Enti locali assegnatari del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo nell’ambito delle categorie più vulnera89
bili, il DM citato, nell’allegato apposito, tra i 20 assegnatari considera soltanto
Caronno Pertusella come comune lombardo, datandolo di una capacità ricettiva
di 15 unità e stanziando correlativamente 164.450,68 Euro.
2.5 La tutela in base alla legislazione ordinaria
Malgrado l’indubbia rilevanza delle forme di tutela accordate sulla base di normative speciali, non è certo trascurabile la rilevanza di quelle derivanti dalla normativa ordinaria. Infatti, se è vero che vi sono bisogni del tutto particolari che
richiedono una normativa ad hoc, è altrettanto vero che molti altri bisogni sono
“ordinari”. Inoltre non va trascurato che tradizionalmente e poi sempre più in
questi anni la disciplina generale del welfare state in Italia come altrove si è
caratterizzata per la sua capacità di prevedere interventi e servizi anche assai
differenziati.
Ciò premesso, per quanto qui interessa, la tutela in base alla legislazione ordinaria dipende anzitutto dalla equiparazione o meno ai cittadini italiani. La disciplina generale del welfare state è, infatti, specialmente una disciplina sviluppatasi
per i cittadini sicché quando come in questa sede si tratta di “non cittadini” la
prima questione è se essa preveda o comunque consenta un’estensione delle prestazioni a favore di altre categorie di persone.
A riguardo va osservato che una parte dell’opinione pubblica è stata ed è com’è noto ostile rispetto all’ingresso e al soggiorno in Italia degli stranieri extracomunitari. In tale contesto ha assunto particolare rilievo il diffondersi dell’idea che
gli stranieri di fatto “portino via qualcosa” agli italiani in molti modi e tra l’altro
ponendosi in competizione con essi per l’accesso alle risorse, relativamente scarse, del welfare state.
Non è questa la sede per discutere tale idea. Qui la si considera come un dato
che ne spiega un altro, ossia la tendenza presente nel pubblico potere ad applicare
agli stranieri un regime più o meno marcatamente discriminatorio, nel senso di
sfavorevole, ossia con forme di esclusione per quel che riguarda le prestazione
dello Stato sociale.
Ma passiamo ora a un esame più analitico della disciplina. Nel già considerato
decreto legislativo n. 140/2005 si rinvengono invero pochi rinvii alla disciplina
generale del welfare state, ma di portata non trascurabile. In particolare, all’art. 10
ne troviamo due: nel primo comma si legge che “i richiedenti asilo e i loro familiari”, inseriti nel sistema di protezione di cui al già considerato art. 1-sexies della
legge n. 39/1990, “sono iscritti, a cura del gestore del servizio di accoglienza, al
Servizio sanitario nazionale, ai sensi dell’art. 34, comma 1, del Testo unico”; nel
90
secondo comma si legge che “fatto salvo il periodo di eventuale permanenza nel
centro di identificazione, comunque non superiore a tre mesi, i minori richiedenti
asilo o i minori figli di richiedenti asilo sono soggetti all’obbligo scolastico, ai
sensi dell’art. 38 del Testo unico”.
Rinvii importanti. L’iscrizione al Servizio sanitario nazionale ai sensi dell’art.
34, comma 1, del Testo unico – ossia del decreto legislativo 25 giugno 1998 n.
286 – comporta infatti “parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti e di
doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene (…) all’assistenza erogata
in Italia dal Servizio sanitario nazionale”. D’altra parte, il rinvio all’art. 38 del
Testo unico è rinvio a una normativa molto ricca in materia di istruzione fondata
sui seguenti punti: “i minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all’obbligo scolastico” (art. 38, comma 1); “a essi si applicano le disposizioni vigenti
in materia di diritto all’istruzione, (e) di accesso ai servizi educativi”, ossia quelle
sul cosiddetto diritto allo studio (art. 38, commi 1 e 2); “la comunità scolastica
accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento
del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza” (art. 38,
comma 3).
Se confrontiamo la disciplina di cui al citato art. 10 con quella di cui ai corrispondenti articoli 10 e 15 della già considerata direttiva 2003/9 notiamo che nel
complesso l’art. 10 attua la direttiva in termini favorevoli allo straniero: a fronte
di una direttiva che parla delle necessità di garantire “la necessaria assistenza
sanitaria che comprende quanto meno le prestazioni di pronto soccorso e il trattamento essenziale delle malattie” l’art. 10 prevede in proposito come si è visto
una piena equiparazione ai cittadini italiani; a fronte di una direttiva che parla di
un accesso al sistema educativo “a condizioni simili a quelle dei cittadini” l’art.
10 ancora una volta prevede come si è visto una piena equiparazione e anche
ulteriori specifiche forme di tutela.
Passando ad analizzare i due già citati recenti decreti legislativi su status e
procedure in tema di “protezione internazionale” di attuazione delle direttive
2004/83 e 2005/85 notiamo che per quanto qui interessa rileva in particolare
quello sullo status di chi comunque viene riconosciuto “persona bisognosa di
protezione internazionale”.
In tale decreto si disegna per i titolari di tale status una posizione articolata per
quel che riguarda l’accesso alle prestazioni del welfare state.
Per alcune prestazioni è prevista un’equiparazione ai cittadini. Così è in materia di istruzione per i minori, prevedendosi un “accesso agli studi di ogni ordine
e grado, secondo le modalità previste per il cittadino italiano” (art. 26). Così è in
materia di assistenza sanitaria e sociale, prevedendosi similmente un “diritto al
medesimo trattamento riconosciuto al cittadino italiano” (art. 27).
91
Per altre misure, invece, è prevista un’equiparazione agli altri stranieri regolarmente soggiornanti. Così è in materia di istruzione per i maggiorenni, prevedendosi il “diritto di accedere al sistema di istruzione generale (…) nei limiti e nei
modi stabiliti per gli stranieri regolarmente soggiornanti” (art. 26). Così è formalmente per l’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica; tuttavia essendo
in questo caso il rinvio a una disposizione che prevede l’accesso “in condizione
di parità con i cittadini italiani” sostanzialmente si ha appunto un’equiparazione
a questi ultimi (art. 28).
A ciò va aggiunto che i diritti sono estesi anche ai familiari che eventualmente
non avessero diritto a tale status (art. 22).
Se confrontiamo la disciplina di cui al decreto legislativo con quella della direttiva 2004/83 notiamo una sostanziale corrispondenza della prima agli standard
minimi previsti dalla seconda.
La disciplina tratteggiata propone, lo si sarà notato, per i “richiedenti” indicazioni volte a equipararli agli stranieri regolarmente soggiornanti e per le persone
riconosciute “bisognose di protezione internazionale”, indicazioni volte a equipararle ai cittadini.
La disciplina tratteggiata va poi integrata con quella del Testo unico in quanto
più favorevole (come previsto dall’art. 1 dello stesso Testo unico). Ad esempio,
quando si parla per i minori di “accesso agli studi di ogni ordine e grado, secondo
le modalità previste per il cittadino italiano” trattandosi comunque di stranieri
non si esclude certo l’applicazione della ricca disciplina prevista riguardo all’integrazione scolastica dei minori stranieri.
Più in generale poi per quanto non previsto si applica la disciplina dettata
per gli stranieri. Ad esempio, se per “assistenza sociale” non si intendono tutti i
contributi economici erogati dal pubblico potere alle persone “in difficoltà” si ha
che almeno in una qualche misura l’indicata equiparazione ai cittadini in materia
di “assistenza sociale” non supera l’applicabilità anche alle persone riconosciute
“bisognose di protezione internazionale” di tutte le esclusioni da contributi economici previste dalla legge “a danno” degli stranieri.
Quanto detto sin qui, peraltro, non offre ancora un quadro corretto delle forme
di tutela disponibili sulla base della normativa ordinaria.
Non va dimenticato, infatti, che in materia sanitaria e, ancor più, in materia di
interventi e servizi sociali importanti prerogative sono riconosciute dalla Costituzione e dalle leggi alle Regioni e agli Enti locali.
È vero che la materia “immigrazione” rientra nella competenza legislativa
esclusiva dello Stato ma è altrettanto vero che la materia “tutela della salute” è di
legislazione concorrente – sicché la potestà legislativa spetta alle Regioni, salvo
che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione
92
dello Stato – e che in materia di interventi e servizi sociali vi è addirittura una
competenza legislativa esclusiva delle Regioni fermo restando che è riservata
alla legislazione statale la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale” (art. 117 della Costituzione). Inoltre la legge lascia un ampio spazio ai
Comuni per quel che riguarda la definizione delle politiche sociali.
Ne deriva uno scenario complesso e per certi versi problematico la cui compiuta definizione esula dalle possibili ambizioni di questo studio. Possono però
indicarsi qui alcuni punti fermi assai rilevanti.
Anzitutto, i principi costituzionali e legislativi consentono a Regioni ed Enti
locali di sviluppare politiche a favore degli asilanti o di una parte di essi così come
ci sono a favore di altre categorie di persone comunque connotate da bisogni particolari, si tratti dei rom o delle famiglie monoparentali o degli ultrasettantenni.
Più difficile è dire se, ed eventualmente fino a che punto, Regioni ed Enti
locali possano invece sviluppare politiche discriminatorie a sfavore degli asilanti
in quanto tali o perché stranieri direttamente o anche indirettamente valorizzando
ad esempio (è questa la modalità più comune) gli anni di residenza in un dato
territorio come criterio di accesso o comunque di preferenza per l’accesso a determinate prestazioni (ad esempio per quel che concerne l’ammissione agli asili
nido pubblici).
Di fatto, specie in Lombardia emergono a livello regionale e locale taluni
orientamenti discriminatori, secondo l’impostazione di cui si è detto in apertura
di questo paragrafo.
A riguardo va osservato che, come costantemente ribadito dalla giurisprudenza amministrativa e da quella della Corte costituzionale, se anche la legislazione
statale non funge da limite è comunque limite il principio di “ragionevolezza”
che consente discriminazioni solo in quanto coerenti con la “ratio” della normativa sicché in estrema sintesi per quel che riguarda le prestazioni proprie dello
Stato sociale si può dare “di meno” a una data categoria di persone solo se nel
complesso a quella categoria corrisponde una situazione di minor “bisogno” (o di
minor “utilità” della misura).
93
3. Il monitoraggio dei servizi per richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione umanitaria in Lombardia e
i risultati dell’indagine
di Francesco Grandi
3.1 Lombardia, terra di frontiera. Transiti, stabilizzazioni e ritorni
La regione Lombardia rimane la prima regione italiana per numero di immigrati
regolarmente presenti, circa la metà dei quali vive nell’area metropolitana del capoluogo, seconda provincia italiana per presenze straniere dopo quella di Roma.
Sono noti i potenziali d’integrazione e le strutture d’opportunità che l’economia lombarda offre alla popolazione immigrata e i percorsi di stabilizzazione e
radicamento che ormai descrivono le traiettorie di vita, di lavoro e formazione
della maggioranza degli immigrati sul territorio lombardo. L’aumento progressivo dei ricongiungimenti familiari e la presenza più cospicua delle seconde generazioni, sono alcuni degli indicatori che con maggiore evidenza confermano il
carattere ormai stabile e strutturale della componente straniera all’interno della
popolazione lombarda.
Il carattere sempre più articolato e complesso del profilo sociodemografico
dell’immigrazione presente in Lombardia si affaccia alla rete dei servizi territoriali, del mercato del lavoro e della casa, dell’istruzione, dei consumi, con aspettative e bisogni che chiedono spesso un rinnovamento delle prospettive interpretative e una costante riforma degli interventi e del disegno delle policy.
Alla ricchezza del quadro compositivo della popolazione immigrata in Lombardia contribuisce anche la componente dei richiedenti asilo, rifugiati e titolari
di protezione umanitaria.
La Lombardia si configura per il caso delle migrazioni forzate come uno snodo interessante e in qualche misura unico all’interno del panorama italiano, perché più che in altri contesti regionali si presentano sul suo territorio una maggiore
pluralità di percorsi e di movimenti interni che configurano specifiche funzionalità territoriali e fenomeni di novità che rimangono in larga parte da esplorare.
La Lombardia è infatti insieme terra di arrivi e transiti, contesto di stabilizza95
zione e integrazione, luogo di percorsi interni e di ritorni stagionali.
Per questo stesso motivo sembra costituire un laboratorio privilegiato non
solo per il monitoraggio e l’analisi delle caratteristiche dei flussi di migranti forzati ma anche per lo studio e la sperimentazione di una rete di servizi che sappia
rispondere alle diverse caratteristiche funzionali e ai bisogni che questa pluralità
esprime. In questo senso, il caso lombardo, ha le potenzialità di un case history
che concentra in sé una quantità elevata di elementi che possono descrivere in
modo multiforme e per nulla appiattito e univoco, le principali dimensioni che
caratterizzano i rapporti tra i migranti forzati e le strutture di opportunità dei diversi territori.
a) La Lombardia è da un lato terra di “frontiera”, in particolare il territorio varesino dove dal 2000 ha iniziato la sua attività lo scalo intercontinentale dell’aeroporto di Malpensa. A partire da quell’anno un numero sempre crescente
di persone hanno manifestato alla polizia di frontiera la volontà di presentare
una richiesta d’asilo in Italia. L’aeroporto di Malpensa si colloca ormai al secondo posto tra le “frontiere d’asilo” del territorio italiano, secondo solo allo
scalo di Lampedusa. Può essere utile qui scorrere rapidamente la serie storica
dei dati relativi agli arrivi.
Le rilevazioni circa le utenze totali registrate dall’Ufficio informazioni immigrazione e asilo, gestito congiuntamente dal Consiglio italiano rifugiati e
da Caritas Ambrosiana in convenzione con le Prefetture-Utg, e inserito all’interno della rete Sprar, evidenziano un aumento progressivo degli ingressi
nel nostro paese: dal 2001 al 30 settembre 2007 triplica il numero degli arrivi
che dai 229 ingressi annui del 2001 arriva ai 1091 dell’anno precedente (Fig.
1), più che triplicando la media storica dell’afflusso di profughi a Malpensa,
attestatasi finora intorno alle 360 unità annue.
Fig. 1 - Utenze totali richiedenti asilo. Sportello Rifugiati, anni 2001-2006 (valori
assoluti)
96
Osservando la serie storica degli arrivi è possibile notare come l’incremento
più rilevante, con un tasso di crescita pari a circa il 70% rispetto all’anno
precedente, ha interessato lo scalo di Malpensa, raggiungendo il suo apice
tra febbraio e marzo 2006. Il flusso di profughi in arrivo, apparentemente ridottosi nel mese di aprile torna però, successivamente, a un elevato livello di
crescita sin dal mese di maggio e, dopo un calo estivo, stabilisce un nuovo record nel mese di settembre, passando da 120 (febbraio, marzo, maggio) a 150
arrivi al mese e arrivando a contare nel corso dell’intera annualità il maggior
numero di arrivi richiedenti asilo mai verificatisi nell’intera area lombarda nel
corso degli ultimi anni. Valore estremamente rilevante, quest’ultimo, non solo
in relazione alle cifre decisamente più basse dell’anno precedente (2005), ma
anche in rapporto al flusso complessivamente registrato, pari a ben un decimo
del totale richiedenti asilo, approdato sul territorio italiano nel corso dell’anno considerato. Il trend di crescita appena descritto – contrariamente a quanto
avvenuto in passato e in controtendenza rispetto a quanto accade nel resto
dell’Unione europea dove i flussi dei rifugiati sembrano calare anche del 50%
– si prevede costante anche per l’anno in corso, come lascia intuire l’elevato
numero di domande (475) registrate fin dal mese di giugno presso lo sportello
Malpensa, e trova valida conferma, dagli ultimi dati utilizzabili, relativi ai
primi 9 mesi dell’anno corrente (2007). Il valore si pone, infatti, al 31 ottobre
2007 prossimo ai 747 soggetti giunti in Italia, lasciando presagire un aumento
ulteriore nei mesi successivi che porterà a raggiungere, se non addirittura a
superare i 1.091 ingressi dell’anno precedente.
b) Un secondo flusso, il più consistente ma di più difficile quantificazione, interessa nello specifico il territorio della città di Milano: è un flusso formato
da richidenti asilo, rifugiati e titolari di protezione umanitaria che sbarcati
sulle coste meridionali italiane, dopo un periodo trascorso nei Centri di prima accoglienza o nei Centri d’Identificazione del Sud, risalgono la penisola,
seguendo le strade tradizionali dell’immigrazione economica alla ricerca di
contesti che possano offrire loro possibilità di lavoro e risorse alloggiative.
Sono le informazioni raccolte durante il viaggio o quelle veicolate nel proprio paese d’origine dalle reti diasporiche o indicazioni raccolte nel periodo
di permanenza nell’Italia del Sud, a guidare questi migranti in particolare
verso le aree metropolitane di Roma e di Milano. Sono percorsi non per forza
lineari o diretti, fatti con i mezzi più disparati e quasi sempre in assenza di
risorse economiche adeguate. Se il picco degli arrivi a Sud si registra nel periodo estivo, in particolare tra la fine di giugno e la prima metà di agosto, gli
arrivi sulla città di Milano vengono registrati tra la seconda metà di settembre
in poi. I sensori territoriali che intercettano per primi questi flussi in città
97
(lo Sportello asilo del Comune di Milano, il Centro Naga-Har, lo Sportello
accoglienza immigrati di Caritas), riferiscono di tempi sempre più stretti tra
l’arrivo a Sud e la partenza verso la città: nel 2007 i primi arrivi sono stati registrati già a partire dalla seconda metà del mese di agosto. Il numero elevato
di arrivi di questa estate, inoltre, e la concentrazione dei migranti forzati nelle
strutture d’accoglienza ormai sature del Sud, ha spinto il Servizio Centrale a
mobilitare risorse straordinarie per aumentare la ricettività della rete Sprar di
100 posti, a partire da novembre 2007 e per un semestre.
c) Se quelle descritte sono le traiettorie principali che caratterizzano i flussi più
consistenti in ingresso, gli altri percorsi che investono il territorio lombardo
riguardano alcuni degli effetti di risulta dei flussi principali, in particolare di
quelli sull’area metropolitana milanese. Sono questi i flussi che potremmo
definire del “circuito della non accoglienza”, ovvero composti da quegli asilanti, che pur avendo ottenuto un orientamento sociale di base e aver usufruito per un periodo di un servizio a bassa soglia, non hanno però potuto avere
accesso alle risorse alloggiative della città, decidendo così di diversificare le
loro traiettorie cercando opportunità d’inserimento migliori nei territori limitrofi all’area metropolitana (Bergamo, Brescia e Lecco).
Quando questi spostamenti originano da casi di vera e propria emergenza,
come quelli che la città di Milano ha vissuto nei mesi invernali degli ultimi tre
anni (i casi delle occupazioni degli stabili di Via Lecco e della ex Caserma di
Viale Forlanini), i flussi in uscita, a volte guidati dai servizi a volte autonomi,
raggiungono anche le aree più periferiche del territorio lombardo.
Di portata minore, i flussi dal territorio varesino verso la città di Milano, più
frequenti nei primi anni 2000 quando la rete di accoglienza sul territorio era
meno sviluppata e chi non trovava spazio negli alberghi convenzionati con
la Prefettura o chi aveva qualche contatto sulla città di Milano, decideva di
spostarsi. Gli spostamenti interni tra le aree di frontiera verso il territorio e
dalle grandi aree urbane verso la periferia per gli asilanti che non trovano
accoglienza e non sono oggetto di alcuna presa in carico da parte dei servizi
territoriali, sono una costante anche di altre aree territoriali e urbane, come
Gorizia, Ancona, Trieste, Bolzano, Roma, Genova, Firenze.
d) Un’altra tipologia di flusso che riguarda i Raru e che investe in modo circolatorio la regione e in particolare l’area metropolitana, è quello stagionale
che origina solitamente a partire dai mesi primaverili per la partenza di molti
Raru verso le aree agricole del Mezzogiorno dove è possibile trovare un impiego nell’ambito dei lavori di raccolta stagionale. Dopo un periodo che può
arrivare in alcuni casi fino al semestre, i lavoratori rientrano in Lombardia.
e) Un’ultima tipologia di percorso è rappresentata dai Raru che si spostano sul o
98
dal territorio regionale, in base agli invii che il Sistema Centrale attiva all’interno dei suoi nodi su tutto il territorio nazionale, sulla base delle disponibilità
d’accoglienza delle singole unità o delle loro specializzazioni.
3.2 Il disegno della ricerca
Al quadro delle traiettorie appena tracciato si sovrappone ora la descrizione della
rete di servizi territoriali dedicati ai Raru col fine di delineare una prima mappatura non esaustiva delle risorse d’accoglienza, di tutela e integrazione che sul
territorio regionale si è andata strutturando insieme all’evoluzione delle presenze
di migranti forzati sul territorio e in parallelo alle trasformazioni che hanno investito l’ambito legislativo e dei regolamenti riservato alle politiche dell’asilo nel
nostro paese.
La presente indagine ha perseguito infatti l’obiettivo di ricostruire le caratteristiche della rete dei servizi dedicati ai Raru in regione Lombardia, a partire dai
territori dove fossero presenti nodi del segmento regionale della rete del Sistema
di Protezione nazionale.
Si è proceduto per ogni singolo territorio alla raccolta delle progettazioni
Sprar sintetiche per gli anni disponibili e delle schede illustrative e di valutazione
delle attività dei singoli progetti territoriali finanziati nell’ambito del Servizio di
Protezione, per studiarne gli aspetti tecnici e ricostruire la rete di connessioni e
relazioni territoriali che ogni singolo progetto intrattiene con altri soggetti o istituzioni impegnate nello stesso campo di policy.
Questa prima review ha permesso di ricostruire in modo sintetico sia la struttura organizzativa e i moduli d’offerta di servizio della rete Sprar, sia di recepire una
prima rassegna della rete di servizi, enti e istituzioni che con essa si relaziona.
A questa prima istruttoria è seguita una fase di approfondimento qualitativo
sia presso gli enti titolari e gestori dei progetti Sprar, sia presso alcuni dei soggetti
territoriali che si sono ritenuti interessanti per mostrare il quadro variegato delle
dotazioni dei singoli territori o per chiarirne le specializzazioni e le eventuali
vocazioni funzionali.
Nello specifico, sulla base del giacimento informativo derivato dalla prima
ricognizione dei materiali progettuali, si è proceduto a ricostruire con maggior
dettaglio le caratteristiche dei network di governance verticale e orizzontale strutturati dagli enti responsabili dei progetti, indagandone le seguenti dimensioni:
– caratteristiche del contesto e dell’area di intervento;
– cause, origini e storia del servizio;
– caratteristiche del servizio e del grado di specializzazione (area di bisogno
99
soddisfatta, tipologia d’intervento realizzato, professionalità utilizzate, forme
di comunicazione prescelte, metodologie di intervento sperimentate, dislocazione e raggiungibilità del servizio all’interno della città);
– costi e finanziamenti;
– caratteristiche della rete degli attori coinvolti e capacità ricettiva della rete;
– bilancio d’efficacia dell’intervento;
– prospettive di sviluppo e implementazione dell’offerta della rete territoriale.
Si è deciso di privilegiare in questa fase l’interlocuzione con quelle figure responsabili dei coordinamenti dei progetti che seguissero anche in prima persona
segmenti di operatività. Questa condizione ci ha permesso di ottenere dai colloqui sia la ricostruzione dei modelli di ispirazione e dei paradigmi di riferimento
che connotano l’azione e strutturano le culture d’intervento dei singoli soggetti
territoriali, sia l’analisi di esperienze concrete, il racconto delle difficoltà operative, la conoscenza e l’esperienza diretta dei limiti e delle opportunità definite dal
contesto, dalle trasformazioni legislative, dalle risorse disponibili e dalle richieste
specifiche dell’utenza.
Un terzo modulo d’indagine ha riguardato la raccolta – sempre tramite interviste in profondità – di alcune storie di vita di migranti forzati al fine di ripercorrre
le traiettorie di utilizzo dei servizi da parte dei Raru, per rilevare con precisione
istanze e bisogni, aspettative e grado di affidamento e raccogliere proposte di miglioramento e capacitazione della rete. Si sono inoltre approfondite le caratteristiche della storia migratoria, il capitale sociale, umano e culturale a disposizione
dei migranti nel contesto di insediamento, le particolari condizioni di vantaggio/svantaggio psicofisico che influenzano le traiettorie di vita e integrazione, gli
immaginari e le aspettative rispetto alla stabilizzazione nel contesto regionale e i
percorsi di integrazione lavorativa e abitativa.
3.3 Il sistema dei servizi per casi territoriali
Seguendo la logica analitica perseguita nella fase di field, nella presentazione dei
casi territoriali, si metterà in evidenza in modo particolare la sezione della rete di
servizi che fa capo ai progetti Sprar e a seguire, per alcuni territori, la descrizione
di altri servizi dedicati ai Raru sia all’interno sia all’esterno della rete dei servizi
territoriali o di altri progetti che integrano l’azione dell’offerta Sprar sui singoli
territori o su più territori.
La disponibilità complessiva, di posti finanziati dallo Sprar nell’anno 2007, in
tutta la regione è di 269 unità, cui vanno aggiunte ulteriori 200 unità finanziate
dal Comune di Milano. Le maggiori concentrazioni d’offerta interessano la città
100
di Milano e il territorio della provincia di Varese.
Da segnalare la novità rappresentata nel quadro dei progetti lombardi dai 15
posti riservati a categorie vulnerabili dal Comune di Caronno Pertusella, unico
progetto dedicato a queste categorie in tutta la Lombardia. Interessante da rilevare è l’anzianità della rete lombarda: gli snodi numericamente più consistenti e
i territori maggiormente investiti dai flussi sopra descritti, hanno ormai un’esperienza radicata di erogazione di servizi il cui inizio data con l’inaugurazione del
Pna, Programma nazionale asilo, al 2001.
Il totale dei beneficiari dei servizi della rete Sprar lombarda, dal 2001 al 2007
conta 2.699 persone, il 64,8% accolto dal progetto milanese, il 7% dal progetto
di Caronno Pertusella e il 6,5% dal progetto della città di Como, che nel 2005 ha
interrotto le attività.
Tab. 1 - Posti progetto e anno di inizio attività 2007 (valori assoluti)
Progetto
Posti progetto 2007
Anno inizio attività
Bergamo
15
2004
Breno
15
2004
Brescia
20
2004
Caronno Pertusella
25
2001
Caronno Pertusella - fer
15
2007
Como
-
2001
Cremona
15
2001
Lecco
15
2001
Lodi
16
2001
100
2001
Sesto Calende
15
2001
Varese
18
2001
Totale
269
Milano
I dati aggregati in serie storica ricavati dal database del Servizio Centrale, ci
permettono, in questa forma, di descrivere, solo parzialmente, anche alcune delle
caratteristiche dei beneficiari accolti dalla rete Sprar lombarda dal 2001 al 2007.
Più di due terzi (76,7%) dei beneficiari ospitati dal 2001 appartengono a fasce di
popolazione giovane, in età attiva. Nello specifico osserviamo che la componente
maggiore dei Raru, per un valore molto prossimo alla metà degli utenti complessivi (43,9%), ha un’età compresa tra i 21 e i 30 anni, e il 32,8%, si colloca nella
fascia d’età immediatamente successiva, compresa tra i 31 e i 40 anni.
Un dato interessante riguarda il profilo familiare delle popolazioni beneficiarie:
sulla totalità degli individui, considerando i dati aggregati per tipologia familiare,
risulta che l’83% dei soggetti accolti, tutti collocati in età centrali (21-40anni),
101
sono individui singoli. I nuclei familiari sia monoparentali con minori sia famiglie
tradizionali sono il 17%.
La disaggregazione del totale degli accolti per paese di provenienza, evidenzia
invece una netta prevalenza dei paesi del Nord e del Centro Africa.
3.3.1 Milano: integrare in area metropolitana
L’Area Asilo del Comune di Milano
Il Comune di Milano, la sua vasta area metropolitana è meta strategica di una
parte consistente dei flussi migratori di Raru che gravitano sulla Lombardia. Milano è un centro attrattivo ed è l’area della regione da più lungo tempo chiamata
a fronteggiare gli impegni d’accoglienza ed integrazione anche dei flussi di migranti forzati.
Possiamo dire di essere sempre stati attivi su questo fronte, prima che si predisponessero
piani ad hoc e che si iniziassero percorsi di istituzionalizzazione e formalizzazione delle
reti di risposta. Abbiamo sempre avuto, fin dalla fine degli anni Ottanta, un rapporto diretto con l’Alto Commissariato per far fronte ai bisogni che si presentavano.
Il Comune di Milano fa il suo ingresso nel Pna nel 2001. Negli anni l’offerta e le
modalità d’intervento hanno subito trasformazioni e adattamenti, per rispondere
all’evoluzione legislativa, ai cambiamenti dei flussi e delle problematiche e alle
strutture d’opportunità della città.
Oggi il Comune di Milano interviene a favore dei Raru sia attraverso interventi diretti agli utenti, sia promuovendo azioni di supporto, formazione, specializzazione del personale, sia nella promozione di una rete interistituzionale e di sensori
territoriali che si è nel tempo implementata e arricchita.
La struttura dell’Area Asilo del Comune di Milano, sezione del Servizio stranieri, è articolata in tre sottoaree intercomunicanti e coordinate da una cabina di
regia che fa sintesi delle competenze sviluppate nell’area immigrazione, delle
funzioni più specifiche della gestione amministrativa e della definizione degli
interventi sociali dedicati.
Sportello Rifugiati
Il primo momento di incontro tra il richiedente asilo e il Sistema di Protezione
realizzato sulla città di Milano avviene attraverso l’Area Asilo politico dell’Uffi102
cio stranieri che prevede un’attività di orientamento e accompagnamento giuridico e sociale, rivolta ai Raru e svolta da personale pubblico e dal personale dell’Ati
aggiudicatrice dell’appalto.
Le consulenze giuridiche sono rivolte sia agli utenti sia ad altri operatori di
servizi pubblici o a privati cittadini, sia per consulenze di primo livello per prestazioni ordinarie, sia di livello più approfondito per pratiche più complesse: dinieghi, ricongiungimenti e in collaborazione con l’Oim, accompagnamento al
rimpatrio.
Sul fronte dell’orientamento sociale lo sportello offre informazioni in merito
all’integrazione alloggiativa e presenta la rete delle risorse che il territorio è in
grado di offrire a supporto e promozione dell’autonomia dei percorsi. Una delle
attività dello sportello è quindi informare l’utente sui luoghi e i servizi dove poter
trovare risposta ai singoli bisogni: salute, lavoro, igiene, alloggio, formazione.
Oltre all’informazione, in risposta a esigenze esplicite, lo sportello attiva i contatti con gli altri sportelli, le scuole, i servizi e le associazioni presenti sul territorio.
Gli utenti con necessità di un alloggio vengono inviati agli uffici comunali preposti (Ufficio centri d’accoglienza). Per situazioni gravi e di particolare vulnerabilità che non riescono a essere accolte nelle strutture del Comune, lo sportello attiva
delle prese in carico ad hoc con servizi d’accompagnamento più robusti, per il
tempo necessario alla stabilizzazione.
Affianca l’attività dello sportello il servizio interpretariato in tutte le attività
previste garantendo una prestazione permanente a copertura di numerose lingue
(francese, inglese, arabo, albanese, tigrino, amarico, russo, ecc.).
È invece l’Ufficio centri d’accoglienza a seguire le procedure d’accoglienza
dei richiedenti all’interno dei centri, a monitorare i rapporti con i centri, ad accompagnare il processo di dimissione e a segnalare i casi più complessi al servizio sociale.
Il complesso e articolato sistema d’accoglienza attivo nella città di Milano,
che spiegheremo nel dettaglio nel prossimo paragrafo, arriva a offrire circa 300
posti riservati ai Raru, di cui 100 finanziati dallo Sprar. Le risorse d’accoglienza
sono chiaramente insufficienti rispetto al volume della domanda che gonfia le
liste d’attesa.
Sei mesi per terminare il progetto sono troppo pochi, per molti si arriva almeno a un anno
di presenza nelle strutture e questo fatto rallenta il turnover e aumenta i tempi d’attesa che
possono andare dalle due settimane fino a superare il mese.
103
Accoglienza
Il sistema dell’accoglienza dedicato ai Raru è strutturato su due livelli e internamente articolato e specializzato. Il primo livello comprende:
1) I centri di prima accoglienza, 2) le strutture ricettive di bassa soglia e 3) le
unità attivate in risposta alle emergenze.
1) I centri di prima accoglienza (che in taluni casi prevedono posti anche per la
seconda accoglienza). Le strutture di proprietà del Comune di Milano dedicate all’accoglienza dei Raru sono:
– il centro d’accoglienza di via Giorgi, con 30 posti riservati a uomini;
– il centro d’accoglienza di via Novara con 90 posti riservati a uomini;
– il centro d’accoglienza di viale Fulvio Testi con 50 posti riservati a uomini;
– il centro d’accoglienza di via Sammartini, con 70 posti riservati a donne
sole o con figli a carico;
– il centro d’accoglienza di via Gorlini, con 60 posti per donne sole o con
figli a carico.
2) A partire dal mese di novembre fino al mese di aprile il Comune di Milano
mette a disposizione posti letto con accoglienza di bassa soglia per 600 persone. È un servizio di Pronto intervento non dedicato nello specifico ai Raru
ma che viene occupato da questo tipo di utenti in media per un centinaio di
posti all’anno.
3) Le unità ricettive attivate durante le emergenze riguardano sia posti in strutture già citate, se disponibili, sia in altre unità d’offerta dislocate in città e
nell’hinterland, con cui il Comune risponde alle emergenze che si vengono
a creare sul territorio, stipulando convenzioni ad hoc. Nell’ultimo triennio la
città di Milano ha vissuto le emergenze passate nelle cronache con il nome
dei luoghi degli stabili occupati da Raru che non avevano trovato altre collocazioni in città. L’esperienza dello stabile occupato di Via Lecco, le due
ondate di occupazioni dello stabile di Parco Forlanini e l’odierna occupazione
da parte di Raru dello stabile di Scalo Romana, fanno riflettere sul periodico
riproporsi di situazioni d’emergenza dovuto alle dinamiche dei flussi SudNord, dei periodi di arrivo in città, sull’assenza di strutture ricettive in grado
di assorbire le nuove presenze, non solo in città, ma soprattutto nei territori
limitrofi alla città.
Alla fine del 2005 in via Lecco c’erano 250 persone e una risposta è stata data a tutti. A
tutte queste persone sono state offerte la serie completa di servizi di orientamento e formazione. Non tutti hanno accettato ma tutti sono stati invitati. L’inverno successivo si è
riproposta la stessa emergenza con Forlanini ed è stata data la stessa risposta.
104
Oltre al limite dell’offerta per la piena copertura della domanda, uno dei punti di
riflessione proposto dagli osservatori privilegiati che abbiamo incontrato sembra
risiedere in un meccanismo che non è in grado di responsabilizzarsi in tutti i suoi
segmenti, dall’origine ai territori di insediamento finale:
L’emergenza la creiamo noi nella misura in cui fuori dal Cid o dal campo non sappiamo
dare indicazioni precise alle persone su dove andare. È evidente che ognuno si muova con
strategie proprie, che segua i flussi tradizionali e i suggerimenti dei connazionali o dei
passatori. Tutti sanno che le aree metropolitane sono attrezzate con strutture d’emergenza
o hanno luoghi interstiziali e aree porose dove trovare alloggi di fortuna. Tutte le volte
che dimettiamo gli ospiti, anche qui a Milano, dobbiamo pensare dove finisce quel percorso. Per questo andrebbero irrobustiti i servizi di supporto in uscita e meglio qualificati
i passaggi d’informazione.
Da un lato il richiamo è a una maggiore consapevolezza e a una necessità di regia
che sappia regolare le traiettorie di flussi Sud-Nord, dall’altro il suggerimento è
quello di sviluppare l’offerta d’accoglienza sui territori della provincia, dal momento che a fronte di un dato strutturale come quello degli arrivi sulla città, un
governo intelligente del fenomeno deve sapere valutare le reali opportunità che
le singole aree possono esprimere e i risultati che si possono ottenere dall’area
urbana e dai territori limitrofi.
Al secondo livello del piano d’accoglienza previsto del Comune, sta una rete
di appartamenti o unità di seconda accoglienza presso enti sia convenzionati con
il Comune, sia non convenzionati. La seconda accoglienza è riservata a richiedenti asilo, profughi e titolari di permesso di soggiorno umanitario che al termine del periodo di ospitalità in prima accoglienza non abbiano ancora definito
soluzioni alloggiative autonome o che necessitino di ulteriore sostegno. Accordi
e contatti sono stati presi dal Comune con la Casa per le Famiglie della cooperativa Farsi Prossimo, con l’Associazione Sviluppo e Promozione, l’Associazione
Amici di Martha Larcher, l’Associazione La Grangia di Monluè, l’Associazione
Centesimus Annus e l’Arca, con un volume di ricettività totale di circa altri 100
posti.
Per quanto attiene al primo livello, i posti coperti dal finanziamento Sprar
sono 100, mentre tutto il resto del finanziamento è a carico del Comune. Per i
capitolati speciali legati alle emergenze i fondi vengono stanziati direttamente
dal Ministero dell’Interno. L’accoglienza è offerta a tutti i Raru anche se con permessi di soggiorno non rilasciati dalla Questura di Milano, su deroga dirigenziale
per poter fronteggiare in particolare i consistenti arrivi dal Sud. I centri di prima
accoglienza maschili sono aperti 24 ore per 365 giorni all’anno, e accessibili
agli ospiti dalle 16.30 del pomeriggio fino alle 9.00 del giorno successivo (con
105
deroghe per chi ha problemi di salute o per chi fa lavoro su turni), per tutto l’arco
della giornata il sabato e la domenica e nei giorni festivi del calendario civile e
religioso italiano. Le strutture femminili sono invece a disposizione delle ospiti
senza le limitazioni diurne previste in quelli maschili.
In tutte le strutture si offre vitto e servizi di tipo alberghiero in senso lato
(servizio lavanderia, deposito bagagli, ecc.). In ogni struttura è presente un’unità socio-educativa, composta da educatori professionali e assistenti sociali che
definiscono e sviluppano programmi personalizzati per tutti gli ospiti, sia quelli
coperti dallo Sprar, sia quelli coperti con fondi comunali.
Gli educatori hanno compiti di affiancamento per la realizzazione dei progetti
individuali, sono responsabili dello svolgimento delle attività di gruppo e in alcuni casi anche di attività di tipo didattico e formativo. Svolgono il colloquio in
ingresso nel quale si spiega agli ospiti il Regolamento del centro, si fa un primo
screening della documentazione in possesso dell’ospite e si procede alla stesura
di una scheda personale. Al primo colloquio ne segue un secondo dedicato alla
definizione del progetto individuale in cui si definiscono alcune delle attività di
supporto all’integrazione del Raru nel nuovo contesto. Ogni progetto prevede
un orientamento per l’ottenimento dello status giuridico e un accompagnamento
nella preparazione della documentazione, cura degli aspetti di salute psico-fisica, la frequentazione di un corso di lingua italiana, all’interno o all’esterno
del centro, un orientamento sulle risorse e i servizi del territorio, il sostegno
all’orientamento professionale e un accompagnamento nella fase di dimissione
dalla struttura.
Le diverse attività di orientamento, tutela e supporto all’integrazione sono
svolte nella maggior parte dei casi all’esterno della struttura e prevedono una
ricca rete di collaborazioni e raccordi sull’intero territorio.
Per quanto riguarda i servizi educativo-scolastici gli operatori si appoggiano alle rete degli istituti scolastici, ai centri della formazione professionale, alle
scuole di italiano per stranieri pubbliche e private. I servizi di orientamento al
lavoro e i corsi di qualificazione professionale sono gestiti dallo Sportello Lavoro
del Servizio stranieri Comune di Milano, dal Servizio accoglienza immigrati di
Caritas e dal Servizio Inserimenti Lavorativi del Consorzio Farsi Prossimo. L’attivazione di alcune borse lavoro è stata sperimentata anche con il Celav, Centro
di Mediazione al Lavoro del Comune di Milano.
Abbiamo fatto una convenzione con il Celav, un protocollo d’intesa per tirocini e borse
lavoro. Spesso questo tipo di strumenti falliscono perché non riusciamo a far corrispondere i tempi di permanenza dei beneficiari nei centri e le loro necessità, con i tempi di
attivazione dei percorsi. Quando noi segnaliamo una persona, prima dei successivi sei
mesi non si riescono a inaugurare i percorsi. Le persone non posso aspettare così tanto.
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Questo strumento funziona con i casi più delicati, con quelli più fragili (...) lì si trova una
risposta con le borse lavoro.
Gli operatori del progetto provvedono all’iscrizione del Raru all’Asl per l’ottenimento della tessera sanitaria all’accompagnamento dell’ospite presso le unità
d’offerta dei servizi sociosanitari, in particolare ai Centri psico-sociali, ai presidi
medici specialistici (Villa Marelli, Mts Faravelli), ai servizi offerti dallo staff di
etnopsichiatria di Terrenuove, agli ambulatori e dispensari farmaceutici del privato sociale (Opera San Francesco, Centro San Fedele, Fondazione Fratelli di San
Francesco). Sono inoltre previsti servizi di couselling familiare presso il Centro
Sestante.
Anche per la consulenza relativa all’iter giuridico si attivano una ricca serie di
collaborazioni oltre a quello strutturale con i consulenti legali del Servizio stranieri del Comune di Milano, ancora con il Sai Caritas, l’Associazione Avvocati
per Niente, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni.
Sono note le difficoltà nel reperimento di un alloggio, in particolare per la
posizione in cui i Raru si vengono a trovare allo scadere del periodo di presa in
carico e nella fase di dimissione dalle strutture d’accoglienza. È per questo che in
aggiunta al servizio di consulenza alloggiativa fornita dallo Sportello Rifugiati,
gli operatori orientano i beneficiari in uscita sull’offerta di seconda accoglienza
fornita da enti e associazioni del privato sociale che gestiscono appartamenti e
comunità di seconda accoglienza.
I livelli di presa in carico sono diversi per gli uomini e per le donne e si differenziano e adattano a seconda del profilo personale della persona coinvolta nel
percorso di integrazione:
Per alcuni può bastare un semplice orientamento alla rete dei servizi sul territorio, in altri
casi ci sono accompagnamenti più robusti. Si tende a non costruire servizi all’interno dei
centri ma a promuovere la fruibilità di servizi esterni. L’ottica è sempre quella di fornire
gli strumenti per affrontare la città e il contesto in cui sei.
La situazione dei centri è sempre un po’ destrutturante, soprattutto per un nucleo familiare: tutta una serie di funzioni e pratiche che uno si gestisce di solito in autonomia qui
sono gestite da altri dentro regole, spazi determinati, quindi ci deve essere uno stimolo al
dinamismo. Poi ci sono situazioni ancora più fragili che rendono più complesso questo
percorso. I centri non sono in grado di supportare percorsi che non siano un po’ autonomi. I rapporti tra personale educativo e utenti sono onerosi e quindi situazioni piuttosto
problematiche mettono a dura prova le capacità di tenuta del centro stesso. Quando ci
sono questi casi si tenta, tramite la rete dei servizi territoriali o di quella Sprar, di inviare
le persone verso strutture di servizio più idonee.
La rete degli appartamenti e dei posti letto di seconda accoglienza fungono da
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zona cuscinetto per quei percorsi che al termine della prima fase d’accoglienza
necessitano di un ulteriore periodo di presa in carico o che, avendo raggiunto
anche una parziale autonomia economica, non abbiano ancora rintracciato sul
mercato privato la possibilità di un alloggio. Per questo il Comune di Milano ha
negli anni attivato convenzioni o semplicemente alimentato buone relazioni di
collaborazione con diversi soggetti ed enti del territorio milanese ma anche dell’area metropolitana più vasta.
Una delle direzioni, infatti, che i nuovi capitolati di convenzione stanno perseguendo è quella di decongestionare l’offerta d’accoglienza sulla città e di spostarla nelle aree limitrofe:
Con i capitolati speciali si tenta di fare convenzioni fuori Milano: ci siamo accorti negli
anni che su piccoli numeri si lavora meglio, e che i territori dell’area metropolitana vasta
quando hanno strutture ricettive dal punto di vista lavorativo e alloggiativo, danno chance
maggiori di integrazione rispetto alla città.
Gli ospiti che dispongono di un’autonomia lavorativa e personale, su segnalazione preventiva del responsabile del centro d’accoglienza, vengono inviati alle
strutture di seconda accoglienza dell’Associazione Amici di Marta Larcher, altri
alla Casa d’accoglienza La Grangia di Monluè, altri al Centro Centesimus Annus
dell’Associazione Progetto Arca. Per i Raru che dispongono di un regolare contratto di lavoro si rendono disponibili anche posti presso i Pensionati Belloni, don
Mezzanotti e Brodoloni, gestiti dalla Fondazione San Carlo. Altre possibilità in
uscita dalla prima accoglienza vengono offerte dal Sai, dopo colloquio conoscitivo, che iscrive le persone nella lista d’attesa delle strutture d’accoglienza con
cui collabora: la Casa della Carità e la Casa d’accoglienza Shalom. Anche nel
caso dei percorsi di seconda accoglienza la presa in carico del singolo rimane di
competenza del Comune.
In aggiunta, sempre sul fronte del supporto all’integrazione, il Comune eroga
contributi economici a favore dell’autonomia alloggiativa e di buoni socio-assistenziali, secondo quanto previsto dal Piano di zona, e contributi economici specifici per i ricongiungimenti familiari. Oltre al contributo economico, il Comune
ha sviluppato in collaborazione con la Questura, con la cooperativa Comin e la
Cooperativa Terrenuove un progetto di sostegno al ricongiungimento familiare
che prevede sia attività informative e formative collettive, sia momenti di approfondimento in piccoli gruppi delle relazioni infrafamiliari del neoricongiunto con
il coniuge e fra genitori e figli. È previsto inoltre un servizio di assistenza domiciliare per le persone che vengono avviate a percorsi di autonomia che presentano fragilità o che necessitano di un accompagnamento temporaneo nel percorso
d’integrazione.
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L’attività di consulenza psicologica è garantita dalla collaborazione della cooperativa Terrenuove, mentre la presa in carico specialistica di adolescenti ricongiunti con Raru o minori non accompagnati che necessitano di un trattamento
terapeutico sul modello transculturale possono essere seguiti dal servizio di consulenza psico-terapeutica offerto dalla Cooperativa Crinali.
Sempre sul fronte sanitario il Comune ha stipulato una convenzione con l’Associazione Sarepta di Milano per l’accoglienza presso la Casa Cardinal Colombo di stranieri, anche Raru, portatori di gravi patologie fisiche. È in corso di
definizione e studio una possibile collaborazione tra il Comune, la cooperativa
Terrenuove, l’Asl Città di Milano per la presa in carico medio-psico-sociale delle vittime di tortura e la sperimentazione di protocolli di medicina legale per la
documentazione delle violenze subite anche ai fini del colloquio con la Commissione Territoriale.
I responsabili di progetto e i coordinatori dell’area accoglienza sono consapevoli che tutto questo sforzo di offerta può essere molto migliorato e soprattutto
qualificato anche a partire da cose semplici, come una facilitazione nell’uso dei
mezzi pubblici per gli spostamenti in città, una maggiore flessibilità nell’utilizzo
delle borse lavoro, un sostegno più robusto ai profili con maggiore difficoltà, soprattutto le donne con minori. Un dato inoltre emerge su tutto: l’assenza di centri
diurni dedicati. Il Centro Naga-Har costituisce l’unica eccezione.
Strumenti per lavorare in rete
Lo sviluppo di interventi individualizzati necessita di strumenti di coordinamento, comunicazione, progettazione, applicazione e formazione flessibili e profondamente interconnessi, condivisi e profondamente adattabili alle diverse situazioni. Questo richiede ulteriori investimenti e un monte ore non esiguo da dedicare
alle supervisioni e alla formazione. Il contatto costante tra i nuclei operativi e
la cabina di regia, i verbali e le relazioni periodiche di tutti i sensori della rete,
sostiene un flusso informativo costante e un aggiornamento dello stato dell’arte
della situazione. Capitolati speciali di gara permettono l’attivazione di convenzioni e nuove relazioni con soggetti ed enti del territorio in grado di rispondere a
specifiche esigenze.
La ricca rete di presenze attivate nell’ambito dell’area asilo sia sul fronte della
gestione ordinaria sia su quello emergenziale ha dato vita negli anni a diverse
formule di coordinamento:
– una interna e costantemente affinata dentro le strutture dell’organigramma
comunale, tra la cabina di regia e gli enti che gestiscono in appalto e in con109
venzione segmenti di offerta;
– una esterna e interistituzionale attivata per fronteggiare le emergenze su scala
locale cui partecipano la Prefettura, la Questura, la Regione e la Provincia e
in misura interlocutoria alcune organizzazioni del privato sociale e le organizzazioni sindacali;
– una esterna di scala nazionale che dovrebbe rafforzarsi maggiormente, in
particolare promuovendo scambi e relazioni tra nodi della rete che vivono
esperienze simili – come appunto le aree metropolitane – al fine di avviare
percorsi e modelli di intervento specifici.
Il Servizio integrato per i rifugiati e i richiedenti asilo Cir-Cgil
Il Servizio rifugiati Cir-Cgil Milano è attivo dal 2005 e si propone di offrire un
supporto all’inserimento sociale – lavorativo e abitativo – dei Raru. La nascita
di questo servizio territoriale, come specializzazione e sottoarea dell’attività dell’Ufficio Immigrati della Camera del Lavoro di Milano origina dai rapporti che il
servizio stranieri di Cgil ha intrattenuto negli anni con il Cir, il Consiglio Italiano
per i Rifugiati di Roma, per la soluzione dei casi che si presentano allo sportello
milanese, e dalla volontà del Cir, anche nell’ottica del decentramento delle commissioni sul territorio nazionale, di promuovere la nascita di servizi territoriali a
supporto del percorso amministrativo per il riconoscimento dello status e per tutte
le pratiche burocratiche e legali necessarie all’audizione in Commissione o ai ricorsi. Lo sportello punta a fornire una corretta informazione circa le prescrizioni
normative, le procedure amministrative, i diritti e le opportunità che ne conseguono per la categoria individuata. In particolare il servizio fornisce informazioni
sui diritti, consulenza e assistenza nella procedura di riconoscimento dello status,
mediazione con le istituzioni pubbliche e con la Questura, in particolare per la
soluzione di problemi di natura amministrativa, offrendo inoltre tutela legale per
i ricorsi all’autorità giudiziaria. Il servizio ha potuto incrementare la sua offerta
grazie al contributo della Provincia di Milano su sollecitazione di Cir e Cgil che
percepivano quanto un’attività di front office limitata a una mezza giornata alla
settimana non fosse in grado di rispondere alla domanda. Grazie al nuovo contributo oggi lo sportello può contare sia sulla sede dell’Ufficio stranieri della Camera del Lavoro di Milano, sia su una sede decentrata a Sesto San Giovanni.
Abbiamo aumentato l’offerta, spesso si rivolgono allo sportello di Milano e si prende un
appuntamento successivo a Sesto. La maggior parte degli utenti dello sportello vive a Milano. Offriamo un servizio di orientamento legale, e quindi di orientamento a tutte le fasi
della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato, dalla formulazione della richie110
sta, all’attesa del primo permesso di soggiorno, al rinnovo del permesso, alla preparazione
dell’intervista, dell’audizione, che il richiedente asilo dovrà sostenere in commissione e
non solo, ma anche tutti i casi pendenti della commissione stralcio a Roma, che sono ancora molto numerosi e anche quelli vanno affrontati, però con modalità diverse, nel senso che
si tratta di sollecitare una convocazione che tarda ad arrivare perché c’è un accumulo di
casi ancora in via di definizione che fa sì che ci siano dei ritardi mostruosi, preoccupanti.
La rete Cir dislocata nei territori più caldi e ai valichi di frontiera è anche in grado
di segnalare allo Sportello alcuni casi specifici di cui prendersi carico. Gli utenti
arrivano allo sportello o perché inviati dalla rete Cir che li indirizza, o da altri
servizi del territorio, gli sportelli stranieri dell’hinterland, per esempio.
Lo sportello Cgil risponde inoltre alle problematiche legate alla condizione
lavorativa, cercando di aumentare l’informazione rispetto alle possibilità di legge
sia nei confronti dei lavoratori sia presso i datori di lavoro o le agenzie interinali
o presso quei soggetti deputati alla sottoscrizione dei contratti:
Capita che molto spesso si rivolgano a noi Raru che hanno problemi sul lavoro: questa
è una peculiarità della Cgil. Molto spesso capita di incontrare richiedenti asilo che nonostante abbiamo un permesso che permetta loro di lavorare dopo 6 mesi dalla richiesta,
come da decreto legislativo sul recepimento della direttiva sui minimi standard di accoglienza – si deve consentire a un richiedente asilo, se la pratica non viene definita, di
svolgere regolare attività lavorativa – molti non riescono a farsi assumere regolarmente
e, nonostante sia espressamente previsto, a molti viene richiesto la stipula del contratto di
soggiorno dalle agenzie interinali, perché le agenzie interinali hanno dei coordinamenti
legali molto rigidi, ma in questo caso si dimostrano ignoranti nel senso che non è previsto
che Raru, chiunque cioè abbia un permesso diverso da quello per lavoro, non debba stipulare il contratto di soggiorno. Quindi molto spesso capita di scrivere istanze ai datori di
lavoro, alle agenzie interinali, a chi ne sia interessato per informare correttamente rispetto
ai diritti dei nostri utenti. Questo è un lavoro propriamente sindacale e in questo devo dire
che c’ é una certa soddisfazione, molto spesso sono percorsi che vanno a buon fine.
Anche l’osservatorio privilegiato sul mondo del lavoro di Cgil sottolinea la difficoltà maggiore vissuta dal Raru per l’inserimento lavorativo, in particolare lo
svantaggio legato all’assenza di sistemi migratori e di agenzie strutturate all’interno delle catene migratorie di connazionali in grado di veicolare informazioni
o mediare direttamente il placement lavorativo dei neoarrivati. Ma sono anche le
strutture motivazionali e i progetti migratori a pesare, a costruirsi in alcuni casi
più lentamente, a necessitare tempi di ricostruzione e riposizionamento rispetto a
una condizione di elevato disorientamento e alla volontà di trasferimento in altri
contesti europei che porta al differimento della messa in atto di strategie di adattamento e capacitazione al contesto italiano (apprendimento della lingua, ricerca
lavoro, ricerca offerta formativa):
111
Notiamo delle difficoltà in più nei Raru rispetto agli altri immigrati, perché le migrazioni
economiche possono contare su reti comunitarie che facilitano l’inserimento nell’economia e nella società italiana. Nel caso dei richiedenti asilo e rifugiati questo accade con
minor frequenza e il primo ostacolo che incontrano è la lingua; cioè nel momento in cui
il richiedente asilo arriva, o può contare su servizi di insegnamento della lingua italiana,
che è la prima cosa da fare quando ci si propone sul mercato del lavoro, oppure l’inserimento lavorativo risulterà sempre molto difficile. Ad esempio, se guardiamo ai profughi
del Corno d’Africa che hanno popolato le pagine dei giornali degli ultimi due anni, molti
di loro non parlano italiano e sono qui da uno/due anni. Non hanno avuto l’opportunità
di imparare la lingua, hanno vissuto in maniera estremamente difficile l’approdo in Italia,
allo sbando totale, che questo secondo me li porta a vivere in una situazione di depressione totale, da cui non riescono a risollevarsi neppure per entrare nel mondo del lavoro.
Probabilmente la maggior parte di loro vorrebbe solo fuggire dall’Italia e molti lo fanno
anche, con il risultato però, che poi ritornano perché non possono entrare in altri paesi,
avendo un permesso italiano.
Lo sportello concentra le sue attenzioni sulla tutela del lavoratore straniero e sul
sostegno per le pratiche di regolarizzazione e riconoscimento e funziona da polo
informativo per tutte le istanze legate al mercato del lavoro, inviando gli utenti a
quei servizi territoriali deputati al matching domanda e offerta.
Il servizio Cir-Cgil nella sua funzione di informazione, indirizzo e orientamento, mette in relazione gli utenti con le unità di servizio del territorio con
competenze specifiche:
Dal punto di vista sanitario Naga-Har è molto importante; Naga-Har ha fatto un ottimo
lavoro, si lavora in sinergia reciproca per questioni attinenti al lavoro e all’assistenza sanitaria. Per le questioni legate all’accoglienza ci si riferisce al Comune di Milano perché ha
competenza su prima e seconda accoglienza dei richiedenti asilo, e quindi, la prima cosa
da fare è proprio quella di rivolgersi al comune.
Il servizio rifugiati Cir-Cgil è inoltre stato presente insieme alla rete di attori territoriali, al tavolo costituito in risposta dell’emergenza di Via Lecco, insieme ad
Arci, Naga, Caritas Ambrosiana, Casa della Carità, Acli, Cisl, Uil e partecipa alla
Rete Asilo Lombardia.
Nella rete Caritas: il Servizio accoglienza immigrati
Nell’ampia rete d’offerta di servizi di Caritas Ambrosiana sul territorio della diocesi milanese, un nodo importante per ricostruire le diverse strutture di supporto
ai profughi e rifugiati della città è rappresentato dal Servizio accoglienza im112
migrati. Obiettivo del servizio è quello di fornire un punto di riferimento per la
popolazione straniera che si trovi, per una qualche ragione, in una situazione di
disagio. Il Sai è innanzitutto un luogo d’ascolto, dove attraverso un colloquio personalizzato, si cerca di far emergere il bisogno delle persone, per instaurare una
relazione d’aiuto efficace che punti all’autonomia dei soggetti e al loro affrancamento dal sostegno assistenziale che i servizi possono offrire. Questo servizio è
nato nel 2002 con una:
Mission di ascolto, orientamento, accompagnamento al territorio e in alcuni casi interventi diretti sulle problematiche degli immigrati. Al servizio accedono circa 6mila persone
all’anno, ed esprimono una rosa di problemi a 360 gradi: il problema lavorativo che coinvolge più della metà degli immigrati che si rivolgono allo sportello, il problema legale
(ricongiungimenti, rinnovi, ecc), la richiesta di orientamento e inserimento in comunità
alloggiative temporanee, ovvero la prima accoglienza temporanea. La quarta area è quella
dell’orientamento ai servizi sociali che si occupa anche di profughi rifugiati, ma soprattutto di donne sole con minori.
Nei casi più fragili e nelle situazioni più problematiche il servizio prevede l’attivazione di un vero e proprio accompagnamento.
È attraverso la metodologia dell’ascolto e dell’ascolto prolungato, che gli operatori del servizio raccolgono le istanze dei soggetti e definiscono un progetto individualizzato di intervento e sostegno. Nel caso dei Raru la problematica maggiormente sentita è quella lavorativa a cui il servizio risponde valutando i punti di forza
e le competenze del soggetto e nella maggior parte dei casi orientando le persone ai
numerosi corsi di alfabetizzazione attivi in città. Sebbene la competenza linguistica
rappresenti una condizione abilitante e inderogabile per l’ingresso nel mercato del
lavoro, non sempre l’investimento di tempo in questi corsi è vissuto di buon grado
da soggetti che hanno bisogno di un’entrata economica nell’immediato per pagare
il debito contratto per arrivare e per creare presupposti per l’invio di denaro a casa.
Compito del servizio è quello di spingere gli utenti ad affrontare un percorso di
formazione linguistica che li metta in grado di accedere al mercato del lavoro:
L’impianto formativo nell’alfabetizzazione e nell’offerta di corsi modulari sul territorio
milanese ha avuto delle evoluzioni notevoli negli ultimi 2 anni: sono allocati, ad esempio,
presso agenzie interinali, dei fondi ingenti per la formazione temporanea, i cosiddetti Formatemp. Questo significa che l’agenzia internale ha la facoltà di promuovere numerosi
moduli di alfabetizzazione per il target profugo. Oggi l’offerta formativa è dunque continuativa e costituisce un accesso apprezzabile alla conoscenza della lingua italiana, perché
non solo in 60-70 ore fornisce i rudimenti di una lingua, ma aiuta anche a posizionare un
pochino meglio in termini relazionali queste persone sul territorio, ed evita che ci sia un
ristagno di profughi all’interno del piccolo network etnico. Noi abbiamo visto persone
che dopo un anno di presenza sul territorio di Milano, l’italiano non lo conoscevano an113
cora proprio a causa della chiusura vissuta all’interno della comunità.
I corsi hanno un alto tasso di dispersione e abbandoni: oltre al fatto che il corso di
lingua non sia coerente con le aspettative e le strategie migratorie, spesso non si
concilia con la possibilità di usufruire delle prestazioni vitali offerte dal territorio
(per esempio frequentare la mensa dei poveri) o la frequentazione del corso è resa
difficile dagli spostamenti in città quando non si hanno le risorse per l’acquisto
dei biglietti.
Insieme all’orientamento per rispondere ai bisogni di apprendimento linguistico, il servizio offre la possibilità di definire un bilancio delle competenze e
di valutare la possibilità di un orientamento verso la formazione professionale.
Per quanto il servizio non abbia competenze e non svolga un ruolo nel matching
domanda-offerta, le traiettorie di inserimento lavorativo osservate, soprattutto nel
caso degli uomini, appaiono solide e si stabilizzano nel tempo, salvo i casi di
maggiore vulnerabilità. Per le donne con minori a carico l’integrazione lavorativa
risulta più complessa. Per il tipo di inserimento lavorativo che viene proposto alle
donne si aggiunge un’ulteriore problematica. L’offerta di lavoro domestico e di
cura, l’alto contenuto relazionale delle prestazioni, la vicinanza quotidiana con i
datori di lavoro, possono risultare spesso onerosi dal punto di vista psicologico
per profili di persone che hanno subito traumi o che versano ancora in condizioni
di fragilità emotiva, rendendo le biografie lavorative più precarie.
Il secondo bisogno espresso dai Raru è quello alloggiativo. L’arrivo sulla città
di gruppi consistenti di Raru avviene in concomitanza con l’inizio dell’inverno
quando si attiva il piano antifreddo e vengono potenziate al massimo le possibilità di ricettività alloggiativa delle strutture d’accoglienza del Comune di Milano, senza che questo possa sempre rispondere in pieno alla domanda presente
in città. Il Sai non ha strutture proprie e opera in partnership con una struttura
d’accoglienza che garantisce dai 15 ai 20 posti letto per le donne. Ci sono poi
le strutture della Fondazione dei Fratelli di San Francesco, la Casa della Carità,
mentre il resto delle strutture è gestito da enti appaltanti del Comune di Milano,
che anche se appartenenti alla rete Caritas, non possono accettare invii da altri
servizi che non siano quelli derivanti dall’attività dello Sportello accoglienza del
Comune. Sul fronte dell’accoglienza femminile il Sai ha delle partnership ad hoc
con strutture e istituti religiosi femminili non convenzionati con il Comune, che
offrono la possibilità d’accoglienza.
Per quanto riguarda gli aspetti legali affrontati per i Raru dal Sai la maggior
parte delle pratiche riguarda l’ottenimento del cambio di competenza del permesso di soggiorno, mentre un maggior impegno e sforzo personalizzato è richiesto
per fronteggiare le problematiche dei diniegati.
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3.3.2 Varese: frontiera e filiera1
L’offerta di servizi d’accoglienza e integrazione per profughi e richiedenti asilo
nel territorio di Varese nasce in forza dell’esperienza maturata dalla rete di cooperative sociali del consorzio Farsi Prossimo/Caritas ambrosiana che alla fine
degli anni Novanta, soprattutto sul territorio di Milano e in un coordinamento più
ampio di esperienze nazionali, aveva messo in campo le prime azioni strutturate
d’intervento durante la guerra del Kosovo, aderendo a un’azione di riflessione,
confronto e studio delle esperienze più innovative sperimentate fino ad allora sul
territorio nazionale per l’accoglienza dei Raru. Proprio nel 1999 Caritas Italiana
aderisce al programma Azione Comune, coinvolgendo anche Caritas Ambrosiana. Sulla scorta di questa esperienza e a seguito dell’entrata in vigore della Convenzione di Dublino, dentro il percorso istituzionale di costituzione del Pna, Caritas Italiana inaugura, a sostegno delle Caritas diocesane di tutta Italia, il Progetto
rifugiati, oggi Coordinamento nazionale asilo di Caritas Italiana. Nel contesto del
coordinamento e dell’attenzione sempre più specifica dedicata dalla rete Caritas
al tema dell’asilo, la cooperativa Farsi Prossimo e Caritas Ambrosiana, iniziano
una riflessione specifica sul territorio di Varese, mentre lo scalo di Malpensa acquisisce le funzioni e il volume di traffico che lo rende aeroporto internazionale
e nuova frontiera.
Per una migliore territorializzazione degli interventi e per implementare la
capacità della nascente rete di connettersi alle altre esperienze di servizio del territorio e delle Caritas locali in generale, nasce la Cooperativa Querce di Mamre
cui verrà delegata la gestione della neonata rete, fino ad oggi.
Il servizio di accoglienza Cir-Caritas
Il servizio di accoglienza situato all’interno dell’area arrivi dell’aeroporto di Malpensa e gestito da Caritas e Cir dal 2001 con autorizzazione della Prefettura di
Varese, ha come compiti specifici quello di offrire orientamento sociale e giuridico, prima assistenza materiale e interpretariato linguistico, insomma mettere in
grado chi arriva di poter usufruire e avere accesso alla procedura di richiesta asilo
e protezione.
All’interno della cogestione, Caritas ha maggiormente una funzione di raccordo con il territorio data la titolarità nella gestione di buona parte dei servizi
1
A integrazione di questo paragrafo si rimanda alla presentazione dell’esperienza delle Cooperative del Consorzio Caritas/Farsi Prossimo sul territorio varesino ospitata nel Cap. 5 del presente
rapporto.
115
dislocati sul territorio di Varese, mentre il Cir ha la competenza sugli aspetti relativi alla consulenza legale. Progressivamente i due enti gestori stanno arrivando
a una definizione chiara delle due competenze all’interno del servizio. Presso la
Cgil di Varese c’è un altro sportello con presidio di 2 giorni la settimana per i
richiedenti asilo: un pomeriggio per il ricevimento, e un altro per la gestione dei
casi. All’interno dei progetti Sprar con ente capofila Varese e sesto Calende il Cir
svolge anche ulteriore funzione di orientamento legale. L’attività dello Sportello
di Malpensa costituisce un primo orientamento.
Siccome l’art. 10 della Costituzione è più garantista della Convenzione di Ginevra, la
missione del Cir è quella di garantire a tutti la possibilità di fare richiesta.
Gli operatori e i responsabili dello sportello hanno raggiunto un buon livello di
collaborazione con la polizia di frontiera. Al presente il problema maggiore, in
via di soluzione, è la collocazione dello sportello non precisamente nell’area
transiti ma in quella immediatamente successiva, quindi a seguito del controllo
passaporti svolto dalla polizia di frontiera. In questo modo lo sportello non è in
grado nemmeno di monitorare i respingimenti. All’arrivo del richiedente asilo, lo
sportello chiama la Prefettura che verifica la disponibilità dei posti. La presenza
di Caritas allo sportello rende questo passaggio informativo ancora più snello. In
caso di assenza di posti nella rete varesina e in particolare nelle strutture di pronta
accoglienza si chiede al servizio Sprar di trovare una collocazione all’interno
della rete nazionale. Gli operatori e i consulenti legali dello sportello seguono
tutta la fase istruttoria, raccolgono prove e ricostruiscono i percorsi e la storia
personale, cercando di venire a conoscenza di tutti gli elementi che concorrono a
definire lo stato di persecuzione e di pericolo per la vita del richiedente asilo. Il
Cir ha rapporti diretti con la Commissione Territoriale di Milano alla quale invia
un fascicolo sui casi, integrativo a quello della questura.
Accoglienza
La prima offerta di unità d’accoglienza su Varese, Caronno Pertusella e Sesto
Calende, nasce appoggiandosi a esperienze del privato sociale cattolico, già presenti nei tre territori, e in una fase successiva coinvolgendo le amministrazioni
comunali.
I primi segmenti della rete d’accoglienza sorti tra il 2000 e il 2001 sono un
centro di prima accoglienza a Varese (Centro di Via Pola), una rete di appartamenti di prima e seconda accoglienza a Sesto Calende e un centro di prima e
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seconda accoglienza e dedicato alle famiglie a Caronno Pertusella.
Le strutture di Varese e di Caronno sono strutture a uno o più edifici in cui si
conduce prettamente vita comunitaria o semicomunitaria. Nella prima struttura
sono ospitati solo uomini mentre le altre due ospitano nuclei familiari La rete
degli appartamenti invece ha i suoi nodi d’offerta diffusi sul territorio dei comuni
di Sesto Calende e Cardano al Campo.
Nel 2002 si aggiunge un secondo nucleo di appartamenti di seconda accoglienza “avanzata”, alcuni riservati a nuclei monoparentali di donne con figli e
a partire dal 2004 un altro centro (Via Conciliazione) destinato alla pronta accoglienza di uomini soli. Negli anni le diverse unità d’accoglienza sono maturate
come un vero sistema, specializzando i diversi livelli, articolando progressivamente le funzioni, così da presentare a uno sguardo in prospettiva un percorso a
filiera, segmentato per livelli e in grado di accompagnare il percorso dell’asilante
dal suo arrivo all’aeroporto al nuovo contesto di vita, dal “non luogo” della frontiera al territorio della società ospite.
Il servizio di pronta accoglienza
Intercorre un tempo dall’arrivo all’aeroporto e l’ingresso del beneficiario nella
rete dello Sprar. In convenzione con la Prefettura varesina, la cooperativa le Querce di Mamre gestisce 70 posti di pronta accoglienza distribuiti sul territorio.
Se i migranti forzati arrivano al mattino verso la sera hanno l’autorizzazione
della questura a essere inseriti nel territorio e grazie anche al ruolo svolto dallo
Sportello rifugiati vengono inviati alle strutture di pronta accoglienza.
Il servizio di pronta accoglienza offre quindi una prima sistemazione alloggiativa agli asilanti che giunti a Malpensa sono in attesa del rilascio del primo permesso di soggiorno per richiesta d’asilo dalla Questura di Varese o dell’attestato
rilasciato in seguito alla prima verbalizzazione (attestato nominativo per richiedenti asilo) che permette, secondo la procedura stabilita dal D. Lgs. 140, che la
persona possa essere inviata in una struttura della rete nazionale Sprar.
È un’offerta di posti dislocati all’interno di diverse strutture e che vede una
durata di permanenza dell’utenza che può variare dai 15 ai 30 giorni.
Una persona rimane in pronta accoglienza per una media di 3 settimane che corrisponde
ai tempi medi della verbalizzazione e poi Roma assegna un posto a ciascuno di essi nella
rete Sprar. Da qui partono spesso per andare in Sicilia.
In questo periodo gli unici interventi previsti sono l’approfondimento delle prime informazioni d’orientamento giuridico e territoriale ricevute allo Sportello,
117
e la prosecuzione delle forme di assistenza materiale e in particolare il supporto
linguistico con l’iscrizione degli asilanti ai primi corsi di lingua (Eda presso Ctp
di Varese, erogati e gestiti all’interno dalle strutture da altri soggetti del privato
sociale).
La pronta accoglienza permette anche un’osservazione più attenta e i passaggi vengono
fatti con coerenza, con una presa in carico protettiva e coerente rispetto al singolo profilo.
Questo periodo di osservazione si rivela strategico soprattutto per i profili più vulnerabili.
Il servizio di Prima accoglienza Sprar
Nella sua logica processuale e consequenziale di modello a filiera, segue alla
pronta accoglienza l’offerta di prima accoglienza.
In continuità con la fase precedente e incrementando la gamma dei servizi
erogati, la prima accoglienza viene offerta a tutte le tipologie d’utenza, con una
specializzazione però delle singole strutture per le singole categorie: il centro di
Caronno Pertusella per le famiglie, a Sesto Calende, Cardano al Campo, Somarate e Malnate, sempre per nuclei familiari, e poi Varese per uomini maggiorenni
soli. Per un totale di 58 posti.
I centri offrono servizi di alfabetizzazione linguistica e di avviamento a corsi
di formazione professionale per i beneficiari che raggiungono un buon livello di
competenza della lingua.
Un’attenzione particolare viene dedicata dagli operatori dei centri all’assistenza psicologica e all’ascolto dei beneficiari finalizzata a far riconquistare l’equilibrio e il benessere psicologico agli ospiti. Il centro di prima accoglienza di Varese
non svolge attività di integrazione. Il percorso che comunque viene offerto è stato
definito al di fuori dello Sprar. Prevede un corso di italiano dell’Eda al mattino,
con un’offerta modulare su più livelli. Nelle ore del pomeriggio una volontaria
all’interno della struttura propone delle sessioni di ripasso e di supporto.
Qualsiasi sia il progetto individuale, la prima accoglienza punta per i primi tre
mesi a impegnare gli ospiti all’apprendimento intensivo della lingua. C’è un monitoraggio attento anche delle ore di studio. Nei primi mesi gli operatori lavorano
alla ricostruzione del dossier personale finalizzato all’audizione in Commissione,
in collaborazione con lo staff legale del Cir e preparando il beneficiario all’incontro, simulando i colloqui. Tra il terzo e il quarto mese, se l’ospite ha raggiunto un
discreto livello di apprendimento della lingua, si propone lui la frequentazione
di un corso di formazione professionale, solitamente breve: corsi di informatica,
magazziniere, banconiere, ecc.
118
Al sesto mese il richiedente asilo ha la possibilità di lavorare: inizia qui un
supporto all’orientamento lavorativo, con la stesura del curriculum, una presentazione generale del funzionamento del mercato del lavoro italiano, con una specifica sui diritti e le questioni contrattuali e, contemporaneamente, la spiegazione
delle modalità della ricerca lavoro, con l’iscrizione presso l’Ufficio provinciale
del lavoro, le agenzie interinali, ecc.
Il territorio varesino è un contesto piuttosto ricettivo dal punto di vista lavorativo e nel giro di poche settimane chi ha la possibilità concreta di farlo trova
lavoro, per quanto con contratti brevi, rinnovati periodicamente. Per gli ospiti
in fase di dimissione, in accordo con l’ente titolare, si sono trovati quattro posti
presso il Centro per le emergenze del Comune di Varese. Possono accedere a
questi posti solo quei Raru che hanno trovato lavoro e che hanno iniziato a gestire lo stipendio, a far uso della maggior libertà concessa al di fuori degli spazi
e dei tempi strutturati della prima accoglienza. Il periodo presso il Centro per le
emergenze può durare fino a 3 mesi, a seguito dei quali se ancora il beneficiario
non ha trovato una soluzione alloggiativa, può essere ospitato nelle rete degli appartamenti di seconda accoglienza. Negli appartamenti si accresce la possibilità
di autonomia e di autogestione dei beneficiari, che vengono saltuariamente monitorati dall’operatore. Nella rete degli appartamenti possono rimanere per altri 6
mesi. Il percorso ideale descritto può quindi vedere una presa in carico di 16 mesi
se si esclude la parentesi di passaggio all’interno del centro comunale.
Il reperimento dell’alloggio fuori dalla rete d’accoglienza è reso difficile anche dalla condizione economica in cui versa il Raru lavoratore, che non ha ancora
disponibilità di risorse sufficienti per i costi di ingresso richiesti dall’anticipo del
canone di locazione e dal costo del contratto.
Per l’anno 2007 l’integrazione di risorse è stata resa possibile dai fondi Fai,
predisposti dal Ministero della Solidarietà Sociale a copertura delle spese per la
formazione, l’alloggio, il lavoro e la salute dei Raru presenti sul territorio.
Per due ragazzi abbiamo pagato la caparra, per un altro il computer e l’università, uno per
il lavoro, pagata una borsa lavoro.
Il servizio di seconda accoglienza
La rete di appartamenti per la seconda accoglienza è composta da due nuclei
d’offerta con sede a Varese e un terzo nucleo dislocato tra i comuni di Sesto
Calende, Cardano al Campo, Malnate e Somarate. Questa ulteriore articolazione
dell’offerta alloggiativa è destinata a quei beneficiari che allo scadere del percor119
so nelle strutture di prima accoglienza non abbiano ancora raggiunto una piena
autonomia e necessitino di ulteriore assistenza. Insomma una sorta di servizio
ponte, la cui necessità è dettata dai tempi troppo brevi della presa in carico dello
Sprar, in particolare delle famiglie, se alle difficoltà incontrate nel percorso di insediamento nella società ricevente si aggiungono le difficoltà dettate dal mercato
dell’alloggio.
La seconda accoglienza accompagna i beneficiari al raggiungimento dell’autonomia completando i percorsi attivati nel periodo precedente, con una presa in
carico maggiormente individualizzata e maggiormente specializzata, in particolare nell’attivazione di percorsi di integrazione lavorativa e abitativa. Spesso il
passaggio va monitorato da vicino perchè la presa di autonomia può portare a ulteriore smarrimento. Di solito chi non è ancora stato ascoltato dalla Commissione
e non ha ancora trovato lavoro aspetta di stabilizzare la sua posizione e prolunga
la permanenza all’interno del sistema.
Lavorare con le famiglie in prima e seconda accoglienza
Il progetto attivo a Caronno Pertusella nasce nel 2001 ed è tra i primi progetti della rete Pna. Oggi conta 40 posti per nuclei familiari, 25 posti per categorie ordinarie e 15 per categorie vulnerabili, dal gennaio del 2007. Il progetto si appoggia su
tre strutture collettive di prima accoglienza e una rete di appartamenti di seconda
accoglienza dislocati nel Comune di Saronno, partner del progetto. Quando il
turnover lo permette il progetto prevede un semestre (accoglienza) di percorso
nelle strutture e un semestre (integrazione) negli appartamenti. L’équipe di operatori del progetto lavora con l’obiettivo di permettere alle famiglie di raggiungere
una condizione piena d’autonomia, specializzando i ruoli degli operatori referenti
sulle due macroaree di intervento.
Non si attende di solito il sesto mese per iniziare con le attività di orientamento al lavoro perché i tempi sono già troppo stretti per lasciar maturare un percorso
efficace. Spesso i ritardi di risposta della Commissione giustificano il procrastinarsi delle prese in carico: pur dipendendo da numerose variabili legate alla
tipologia di ospiti e al profilo familiare specifico, gli operatori e il coordinatore di
progetto hanno osservato che le prese in carico, anche sulla base dell’esperienza
di questi anni, non possono durare meno di un anno per cogliere i primi obiettivi.
Per i componenti minorenni dei nuclei familiari si attiva immediatamente il percorso per l’inserimento scolastico e i supporti di mediazione per l’apprendimento
della lingua e per lo studio. Per gli adulti si offrono corsi di lingua italiana su più
livelli, sia presso le strutture (soprattutto per le donne con figli) sia presso i corsi
120
Eda a Saronno.
Il percorso di integrazione prevede azioni mirate di supporto alla ricerca della
casa e del lavoro. Gli operatori lavorano con i beneficiari, senza mai sostituirsi
a loro e li supportano nella ricostruzione della loro storia lavorativa, definiscono
un bilancio di competenze che sappia sondare le aspettative dei singoli rispetto
al mercato del lavoro italiano, propongono un piano di orientamento lavorativo
e di mediazione con le agenzie di orientamento e inserimento lavorativo del territorio.
Come in altri territori, anche all’interno della filiera di servizi Raru del territorio varesino, si è assistito al passaggio da procedure informali e attivazioni estemporanee di collaborazioni per il presidio di specifiche aree di intervento, allo sviluppo di formule convenzionate di coordinamento con altri soggetti territoriali
per la migliore copertura di alcuni segmenti d’offerta. Sul fronte degli interventi
dedicati al lavoro il progetto opera in sinergia con la cooperativa Ozanam, specializzata nell’inserimento lavorativo di persone con svantaggio. Lo svantaggio
specifico individuato dalla condizione giuridica per i richiedenti asilo e rifugiati
risiede nell’impossibilità per legge di avere un lavoro nei primi sei mesi. Grazie
alla collaborazione con Ozanam si rende possibile l’attivazione di borse lavoro
per primi inserimenti lavorativi nei settori dell’assemblaggio, delle pulizie, del
verde pubblico e di una serie di altri servizi per gli enti comunali.
Per il progetto è questa una fase di osservazione e di verifica importante. Con questi inserimenti abbiamo infatti la possibilità di valutare le reazioni dei lavoratori, le loro capacità
linguistiche, le dinamiche di relazione che instaurano con i colleghi e con i datori di lavoro, di avere feedback sugli stati d’animo e di benessere dei beneficiari. Il nostro scopo è
quello di aumentare le possibilità di inserimento, incrementare il numero di borse lavoro
perché queste opportunità si rendano accessibili per tutti gli ospiti.
Il progetto ha in attivo una convenzione ulteriore con l’agenzia Job Cafè di Lainate che interviene con una presa in carico diretta della persona e la accompagna
nella scrittura del curriculum e nell’orientamento e nella ricerca del lavoro. Altri
due nodi importanti per quest’area di intervento sono rappresentati dalle Acli e
dall’Informalavoro.
La nostra necessità è quella di lavorare in modo sempre più trasversale, attivando collaborazioni e mettendo in dialogo le aree tematiche delle diverse cooperative presenti sul
territorio.
Per i casi più vulnerabili ma anche per quei profili che possiedono una più forte
consapevolezza professionale e che vivono la difficoltà di ricollocarsi nel mercato del lavoro italiano in posizioni a bassa qualifica, il progetto prevede la pos121
sibilità di un counselling psicologico specifico fornito da uno staff di psicologi
del lavoro.
Sul fronte della casa il supporto viene da Casa Solidale Onlus, un’iniziativa
consortile tra realtà del non profit, tra cui le Querce di Mamre e la cooperativa
Ozanam, che promuove interventi di housing sociale. Il coordinamento tra le tre
cooperative permette un’azione contestuale e combinata per cui al beneficiario
di servizi gestiti dalla Cooperativa Querce di Mamre che usufruisce delle borse
lavoro della Cooperativa Ozanam si rende disponibile l’accesso agli alloggi della
Cooperativa Casa Solidale. È questo soggetto a rimanere intestatario dei contratti
di affitto e propone ai beneficiari contratti di sublocazione a canone moderato o
contratti d’accoglienza, nel caso di situazioni di forte disagio, che prevedono il
versamento di un contributo proporzionato alle possibilità da parte del beneficiario.
Casa Solidale interviene anche nell’intermediazione domanda/offerta di alloggi in locazione presso privati a favore di quei rifugiati che, pur potendo assolvere
alle spese di anticipo e cauzione, vengono respinti per atteggiamenti pregiudiziali
dei proprietari degli immobili. Casa Solidale propone inoltre azioni di accompagnamento all’acquisto della casa, di orientamento per la gestione immobiliare e
per il supporto agli inquilini. La cooperativa lavora direttamente con le famiglie e
tramite colloqui si mettono a fuoco le aspettative e i bisogni e si formano le famiglie alla gestione e manutenzione dell’immobile, alla pianificazione della spesa
per il pagamento delle utenze e dei canoni di locazione.
Anche il progetto Sprar, di cui Sesto Calende è capofila, opera su nuclei familiari. Attivato nel 2001 nel contesto del Pna vedeva allora come comuni associati Cardano al Campo e Somma Lombardo. Oggi la rete di comuni associati è
composta sempre da Cardano al Campo, dal comune di Samarate e da quello di
Malnate, per un totale di 15 posti riservati a nuclei familiari. Gli enti gestori del
progetto sono la cooperativa le Querce di Mamre e il Cir che si occupa in particolare della sezione tutela. Lavorare con le famiglie significa predisporre progetti
individuali e familiari che tengano conto contemporaneamente delle esigenze dei
singoli e dell’armonizzazione del percorso del nucleo stesso.
L’offerta di servizi e interventi della rete, di cui Sesto Calende è capofila, non
si differenzia dalle azioni già esposte. In entrambi i territori sembrano sussistere
problemi nell’inserimento dei minori negli asili nido e nelle scuole per l’infanzia,
dato il numero limitato di posti a disposizione nelle strutture pubbliche e i prezzi
elevati delle strutture private. In risposta a questo problema nella progettazione
2008 di Caronno Pertusella è previsto un progetto di micronido interno alle strutture con la possibilità di attivare una borsa lavoro per una delle ospiti. Il Comune
di Saronno offre facilitazioni nell’inserimento dei bambini all’asilo e mette a di122
sposizione dei voucher per il sostegno al pagamento delle rette.
Dall’osservatorio privilegiato degli operatori delle strutture e degli appartamenti per nuclei familiari viene la considerazione generale di un necessario prolungamento dei periodi di presa in carico dei nuclei e della necessità di un lavoro
sull’integrazione che parta fin dai primi mesi. Alcune delle azioni dei progetti qui
presentati hanno l’obiettivo di abituare i nuclei alla pianificazione della spesa e
alla gestione delle risorse economiche e al risparmio.
I nuclei familiari vivono in particolare la penuria o la totale assenza di reti di
supporto amicali o parentali e spesso gli operatori dei servizi sono l’unica rete di
mediazione che loro hanno, con il rischio di costruire percorsi di dipendenza eccessivi. L’assenza di reti di supporto rende più difficili le pratiche di conciliazione
cura e lavoro in particolare per le donne. Il rapporto con il mercato del lavoro, in
una prospettiva di genere, può variare sulla base delle appartenenze socio-culturali dei singoli nuclei e della rappresentazione che essi hanno dei diversi ruoli sulla base del genere. Ma come tutte le altre famiglie nei contesti di immigrazione,
anche le famiglie di Raru vivono le tensioni correlate alle dinamiche di trasformazione che il nuovo contesto genera, sia nelle relazioni tra i coniugi, sia nelle
relazione tra genitori e figli. Sono in particolare le traiettorie di emancipazione
dai ruoli tradizionali e le trasformazioni nei rapporti d’autonomia tra i diversi
componenti del nucleo a modificare le dinamiche di relazione interne e a produrre
i principali attriti ma anche a strutturare nuove opportunità. I progetti prevedono
delle prese in carico continuative anche nei diversi passaggi di collocazione dei
nuclei dalla prima alla seconda accoglienza, così da garantire organicità e continuità del progetto personale e non creare ulteriori disorientamenti. La fase più
delicata per i nuclei risulta la fase di dimissione dal progetto.
Lavorare con i più vulnerabili
Il progetto per categorie vulnerabili di Caronno Pertusella, unico in tutto il panorama lombardo, è un servizio dedicato in particolare a beneficiari che versino in
condizioni sanitarie d’emergenza, ovvero affetti da patologie croniche, malattie
infettive, disagio psico-sociale.
Il progetto relativo alle categorie vulnerabili nasce in continuità con l’esperienza svolta
dalla cooperativa con le categorie ordinarie. Ci siamo infatti spesso trovati a dover fronteggiare situazioni di vulnerabilità potendo fare affidamento sulle risorse economiche e
logistiche della gestione ordinaria. Così nel luglio 2006 abbiamo deciso di presentare un
progetto per 15 posti per famiglie che rientrassero nella categorie dei vulnerabili. Abbiamo preferito mantenere la specifica del profilo familiare perché l’esperienza di questi anni
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ci ha mostrato come sia spesso controproducente, ai fini del progetto, ospitare contemporaneamente e negli stessi spazi categorie di utenti diverse.
Questa sezione del progetto prevede una presa in carico maggiore sul fronte sanitario, la costruzione di una rete specifica e specializzata in ambito socio-sanitario
e un operatore dedicato sull’area sanitaria agli accompagnamenti.
È stato questo un anno di sperimentazioni e il prossimo sarà un anno di assestamento e
bilancio della funzionalità delle collaborazioni attivate e dei metodi predisposti. Si è cercato di creare le condizioni perché, insieme ai servizi specialistici del territorio, si potesse
arrivare a una presa in carico maggiore. Le faccio un esempio: per i minori con un ritardo
cognitivo abbiamo attivato una relazione con i servizi della neuropsichiatria territoriale e
con un centro specialistico a Milano per il loro sostegno.
Un’attenzione specifica è dedicata alla composizione dell’équipe e alla scelta dei
profili professionali che la vanno a comporre. Uno psicologo interno alla struttura
è chiamato a fare da osservatore delle dinamiche e suggerire gli interventi, senza
che sia esso direttamente a incaricarsi di prese in carico ad hoc.
Abbiamo una convenzione con la cooperativa Terrenuove che lavora nell’ ambito della
consulenza psicologico-clinica e nell’area dell’etnopsichiatria, con un’attenzione specifica al dato culturale. Questo è importante se si pensa alla categoria di persone a cui si
offrono servizi: i richiedenti asilo mostrano spesso problematiche di adattamento molto
alte, sono spesso persone che hanno subito violenze, fino alla tortura, nei paesi d’origine,
sono portatori di traumi che emergono durante l’accoglienza. Il momento della consulenza psicologica permette di avere uno spazio non medicalizzato. È a volte il limite dell’approccio dei servizi territoriali, quello di funzionare con approccio principalmente medico,
di tendere a leggere patologie dove invece ci sono problemi di adattamento legati alle
specifiche esperienze del rifugiato, alla propria storia e a quella del proprio paese. Questa
consulenza raggiunge due obiettivi: il supporto alle fragilità dei beneficiari ma anche la
capacitazione delle équipe di operatori alla lettura delle situazioni.
In questo contesto diviene ancora più importante lo strumento della supervisione
periodica del lavoro dell’équipe. Una psicoterapeuta specializzata in psicologia
dell’organizzazione, fa supporto sia alla fase di progettazione e di condivisione
degli obiettivi e di rappresentazione delle modalità di lavoro, sia di supervisione
alle dinamiche interne all’équipe ma anche si supervisione dei casi, in particolare
per quei casi più critici e difficili, così da avere uno spazio di consulenza e supporto per le prese in carico più onerose.
Per l’implementazione dei servizi e per un miglioramento costante servirebbe uno scambio maggiore tra tutti quei soggetti che si occupano di categorie vulnerabili, per comprendere quali prassi sono state sperimentate sul versante psico-sociali e quali interventi siano
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risultati più efficaci. C’è una complessità di gestione e di progettazione. Si dovrebbero
studiare delle linee-guida ad hoc e dei protocolli per le uscite.
3.3.3 Brescia: fare rete e formazione
Il progetto territoriale “Brescia accoglie” viene presentato dal Comune di Brescia
per la prima volta nel giugno del 2004. L’ente titolare individuava nell’Associazione Ambasciata della democrazia Locale a Zavidovici-onlus (Adl), il soggetto
attuatore del progetto, in forza dell’esperienza maturata da questa associazione
nell’ambito degli interventi finalizzati all’accoglienza e all’integrazione di richiedenti asilo, rifugiati e beneficiari di protezione umanitaria. La prima iniziativa di
accoglienza di profughi provenienti dalla ex Jugoslavia, era stata infatti lanciata
dall’associazione (allora Coordinamento Bresciano iniziative di solidarietà) nel
1992, a complemento di azioni di soccorso e aiuto umanitario, di cooperazione
decentrata e monitoraggio del rispetto dei diritti umani e delle minoranze, che
l’associazione promuoveva a favore della popolazione civile direttamente nei
luoghi dei conflitti.
Adl ha inoltre operato, nei primi anni del 2000, a supporto dei centri per la
riabilitazione delle vittime di tortura della rete del Consorzio Italiano di Solidarietà e nel campo della formazione e della qualificazione degli operatori dell’area
accoglienza.
La prima esperienza di accoglienza e integrazione di richiedenti asilo, rifugiati e beneficiari di protezione umanitaria che si iscrive nel quadro di Sistema
di protezione nazionale è inaugurata nel 2004, con la precisa finalità di specializzare e articolare l’offerta di prestazioni a sostegno degli asilanti e di sottrarla
all’occasionalità e alla disorganicità, attraendo maggiori risorse da destinare ad
azioni mirate.
L’accoglienza e l’orientamento
Il servizio d’accoglienza ha una capacità ricettiva di 20 posti, di cui 2 riservati alle vittime di tortura e/o violenza, in strutture d’accoglienza del Comune di
Brescia e date in gestione esterna. Gli operatori dell’ente gestore hanno tenuto
a sottolineare come le strutture collettive, la convivenza in luoghi affollati, l’impossibilità di usufruire di spazi di intimità, la scarsità o il pessimo stato delle
forniture minime per l’accoglienza (letti, armadi) possano comportare carichi di
problematicità maggiori, in particolare per quei soggetti che presentano maggiori
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fragilità e che vivono situazioni post traumatiche gravi. Per ovviare alle condizioni più conflittuali della convivenza o per attenuare le fonti di disagio gli operatori
fanno allora da mediatori tra gli utenti e i responsabili gestori delle strutture. Per
rendere le procedure d’accoglienza meno traumatiche e asettiche possibili l’équipe del progetto ha definito una prassi operativa per la quale si concorda con lo
Sportello asilo del Comune di Brescia e il gestore responsabile del centro d’accoglienza la data dell’inserimento, si verifica l’esistenza delle condizioni materiali
per l’inserimento, si accompagna il beneficiario al centro dove il gestore spiega
le regole e consegna le dotazioni.
L’accompagnamento del beneficiario presso le diverse strutture di servizio del
territorio di cui necessita è l’altra azione principale che impegna gli operatori del
progetto ed è anche il setting privilegiato attraverso cui si costruiscono legami
fiduciari e si approfondisce la conoscenza dei soggetti:
Accompagnamo i beneficiari ai servizi per i documenti, dal medico di base o nelle strutture ospedaliere, ai colloqui presso le agenzie o i datori di lavoro: diventa il nostro momento
di ascolto e di conoscenza affinché si creino dei momenti di costruzione della fiducia e le
persone possano aprirsi liberamente. Questo è il nostro setting ideale: durante gli spostamenti, mentre si fanno cose insieme, senza il faccia a faccia costruito. E in questo modo
ci accorgiamo che emergono molte cose, veniamo a conoscenza del progetto migratorio
di queste persone, della rete di supporto che hanno alle spalle, le persone a cui devono
aiuti e risposte.
Corsi di alfabetizzazione e formazione
Le attività di alfabetizzazione sono state strutturate su due canali in modo da soddisfare e rispondere alle esigenze di un utenza varia con conoscenze della lingua
disomogenee. Il progetto propone un corso convenzionato con il Centro Territoriale Permanente con un approccio di didattica per adulti e che opera con piccoli
gruppi di studenti divisi su tre livelli di competenza (stranieri analfabeti, prima
alfabetizzazione, corso avanzato di miglioramento). I corsi hanno l’obiettivo di
migliorare la conoscenza dell’italiano dal punto di vista delle strutture linguistico-grammaticali, approfondire l’utilizzo della lingua nelle situazioni concrete
della quotidianità, fornire al contempo le nozioni fondamentali di orientamento
e conoscenza della vita cittadina e delle sue istituzioni, creare dei momenti di
confronto tra i partecipanti. Nei mesi estivi l’ente gestore organizza inoltre un
corso di italiano propedeutico al corso del Centro Territoriale che avvia la sua
attività solo tra settembre e ottobre, per non far perdere agli inseriti nel progetto
in periodo estivo, la possibilità di iniziare da subito il percorso di apprendimento
126
della lingua.
La seconda tipologia d’intervento, riguarda invece l’erogazione di corsi individuali per supportare l’apprendimento individualizzato tenendo conto dei differenti livelli di scolarizzazione e di conoscenza pregressa della lingua. I corsi
individuali, quando richiesti, permettono inoltre di verificare le competenze acquisite durante i corsi collettivi. Uno dei problemi evidenziato dagli operatori è
l’incremento del numero di analfabeti negli arrivi degli ultimi due anni. Questa
condizione richiede modalità di insegnamento e di intervento didattico diverse ma
soprattutto tempi non compatibili con quelli messi a disposizione dal progetto.
Un altro fattore che incide sui percorsi di apprendimento e che riguarda però
casi limitati, è dovuto al ritardo con cui i servizi apprendono un deficit di tipo
cognitivo nel beneficiario.
L’apprendimento della lingua italiana è il primo passo per avvicinare in modo
efficace il mercato del lavoro. Nella fase di costruzione del curriculum vitae e dei
colloqui con i beneficiari, gli operatori del progetto puntano a comprendere quali
siano le aspirazioni e aspettative, per indirizzare i beneficiari che lo volessero
verso una formazione specifica. Attraverso l’Informagiovani gli operatori mettono a disposizione degli utenti l’offerta formativa territoriale e li accompagnano
presso le sedi formative delle agenzie interinali, per l’avvio, ad esempio, ai corsi
di informatica. È importante sottolineare che i percorsi formativi offerti dal Centro di Formazione Professionale Territoriale richiedono un certificato che attesti
il superamento dell’esame finale di un corso di italiano seguito presso una scuola
riconosciuta.
Le offerte formative più strutturate risultano spesso troppo costose e non sostenibili dall’economie del progetto né chiaramente finanziabili in autonomia dai
beneficiari. Anche l’avvio della pratica per il riconoscimento dei titoli di studio,
per quanto molto complessa e dagli esiti incerti, può risultare un problema per
i titolari di permesso umanitario che, per il loro status, dovrebbero seguire la
procedura ordinaria con presentazione di una domanda alle ambasciate dei paesi
d’origine perché rilascino una dichiarazione di valore dei titoli di studio. Questa
condizione blocca molti beneficiari che hanno timore, in questo modo, di essere
intercettati dai loro potenziali persecutori.
Il lavoro
Sulla dimensione lavorativa il progetto bresciano interviene con diversi strumenti
e percorsi stabiliti sulla base dei differenti profili degli utenti.
Nel corso del triennio di progetto si sono in particolare sperimentati gli stru127
menti delle borse lavoro che a chiusura dei periodi di tirocinio si trasformano,
nella maggior parte dei casi sperimentati, in assunzioni, tranne per quegli utenti
che permangono in situazioni giuridiche sospese.
Cerchiamo l’attivazione di borse lavoro con le ditte del territorio, dai 3 ai 6 mesi: un
tirocinio lavorativo che ha un rimborso mensile di 400 Euro, coperto dal budget di progetto. Questo si è rivelato essere un buon strumento di ingresso nel mercato del lavoro,
soprattutto per lavorare nei cantieri, nel settore della meccanica e degli impianti idraulici.
Si trovano posti per tornitori, saldatori, alcuni trovano lavoro anche in cooperative. Prepariamo i beneficiari attraverso la simulazione di colloqui e facciamo un accompagnamento
alla lettura congiunta di annunci e, quando serve, del contratto.
Un altro percorso all’inserimento lavorativo avviene tramite i canali tradizionali
delle agenzie per il lavoro e degli annunci di lavoro, cui i beneficiari vengono indirizzati con il supporto e l’accompagnamento degli operatori, che ne stimolano
l’autonomia e lo spirito d’intraprendenza. Il successo nell’inserimento lavorativo
di una percentuale elevata di beneficiari, in una situazione mobile di nuovi arrivi,
ha richiesto che il servizio individuasse due categorie di intervento sulla base
della differenziazione dei profili all’interno del processo di integrazione lavorativa: per il gruppo delle persone con una situazione lavorativa già configurata, il
progetto procede a un intervento di orientamento secondario e a un’informazione
specifica sul diritto del lavoro: si perfezionano e aggiornano i curriculum vitae e
si procede alla lettura dei contratti di lavoro per rispondere ai dubbi dei lavoratori
e per renderli più consapevoli dei diritti doveri che la loro posizione comporta.
Per i neoarrivati si interviene piuttosto per fornire la strumentazione necessaria a un’attivazione autonoma della ricerca d’occupazione, con simulazione
di ricerca lavoro tramite gli annunci pubblicati sulla stampa locale, sul sito dell’Informalavoro e dell’Informagiovani e rafforzando la conoscenza dell’italiano
e procedendo a un bilancio delle competenze, al termine del quale si prepara il
curriculum vitae.
Gli operatori accompagnano i beneficiari ai loro primi colloqui e mantengono
un contatto diretto e costante con i datori di lavoro per monitorare la situazione
e con i lavoratori per verificare gli stati d’animo e di benessere, le aspettative e i
dubbi, rispetto ai colloqui effettuati o al lavoro svolto.
Sul fronte del lavoro al di fuori del progetto Sprar e oltre lo strumento delle
borse lavoro si è inaugurato un progetto pilota con Banca Etica e Microfinanza
per lo sviluppo di azioni di microcredito a sostegno della creatività e dell’imprenditorialità dei beneficiari per permettere loro di inaugurare percorsi di lavoro
autonomo e di microimpresa.
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La casa
La questione alloggiativa, in particolare i processi di uscita dalle sistemazioni di
prima accoglienza e il tentativo di reperire una soluzione alternativa alle strutture
collettive, rimane uno dei nodi più problematici. Nel tempo, il progetto bresciano
ha sperimentato diverse possibilità d’intervento. Gli operatori del servizio aprono
un contatto con le agenzie immobiliari, con i singoli affittuari, con associazioni
o enti che si occupano di fornire alloggi a persone in situazione di disagio, presentando il progetto e le esigenze abitative degli utenti. Ma molteplici sono le
ragioni per cui le soluzioni abitative si rivelano difficili, vengono rifiutate o si
dimostrano sul lungo periodo fallimentari: i proprietari assumono atteggiamenti
discriminatori e razzisti nei confronti di alcune nazionalità di asilanti, i canoni
di locazione rimangono troppo elevati e rappresentano una spesa insostenibile
per i beneficiari, oltre all’impossibilità di pagare gli importi cauzionali e i costi
di mediazione dell’agenzia, l’incapacità di sostenere la spesa per l’acquisto di
mobili ed elettrodomestici per arredare gli appartamenti. Spesso gli utenti non
hanno un mezzo proprio e non possono cercare soluzioni più economicamente
favorevoli nel mercato dell’alloggio della provincia. Spesso anche le aspettative
degli utenti non sono realisticamente sostenibili o non trovano risposta nell’offerta del mercato immobiliare. Per costruire percorsi di autonomia maggiore gli
operatori forniscono ai beneficiari le informazioni necessarie sul funzionamento
del mercato della casa, sulla terminologia specifica, le informazioni sulle pezzature immobiliari, sulle formule contrattuali, e invitano gli utenti a muoversi in
prima persona, in particolare gli asilanti con un contratto di lavoro o un entrata
fissa garantita dalla borsa lavoro:
Il mercato della casa è molto complicato, c’è una selezione fortissima da parte dei proprietari, poter accedere agli affitti ha dei costi d’entrata molto alti, ci vuole uno sforzo
economico che è impossibile, per chi ha anche rimesse da gestire. Facciamo opere di
mediazione con le agenzie immobiliari ma non sempre ci sono case disponibili e non
sempre c’è disponibilità da parte dei beneficiari a intraprendere questo percorso di autonomia: molti preferiscono rimanere al centro di accoglienza dove pagano comunque
meno di un affitto. Ci accorgiamo che spesso, soprattutto per gli uomini soli più giovani,
non è prioritario trovare uno spazio abitativo più dignitoso di quello del centro, quanto
piuttosto trovare uno spazio in cui spendere poco. Hanno altre priorità e, soprattutto nella
fase iniziale del percorso, preferiscono fare delle rinunce.
Questa testimonianza è particolarmente efficace per descrivere i punti di contatto
tra le strategie migratorie tradizionali e quelle dei migranti forzati. In entrambi
i casi l’esigenza di capitalizzare il risparmio da destinare alle rimesse, porta gli
individui a procrastinare la gratificazione materiale e a sacrificare alcune opportu129
nità del presente nella prospettiva di un miglioramento che non riguarda una condizione puramente individuale ma che investe una rete più ampia di riferimento.
Fare rete e formare
Uno degli obiettivi perseguiti dell’ente gestore in questi anni di intervento sul
territorio bresciano è stato quello di sensibilizzare il territorio sulla presenza di
profughi e rifugiati e di promuovere azioni di raccordo tra i diversi soggetti ed
enti che si relazionano con i Raru.
L’ente gestore rispetto alla situazione del contesto in cui si trova a operare
osserva un deficit di mobilitazione dei diversi soggetti istituzionali e degli attori
territoriali e la mancanza di un disegno di presa in carico trasversale che possa
coinvolgere per intero la rete dei servizi territoriali, implementando pratiche e
protocolli comuni, standardizzando e semplificando le procedure, qualificando e
specializzando la propria offerta.
Una delle modalità perseguite dall’ente gestore per alimentare un’attenzione
specifica sul tema dei Raru e catalizzare primi nuclei d’azione comune è stato
l’investimento su azioni di formazione e approfondimento delle tematiche riguardanti l’asilo e le vittime di tortura.
Serve un piano di coordinamento per dare una risposta complessiva ai bisogni che si presentano. Il piano di zona potrebbe sopperire a questa carenza di coordinamento e di relazione tra i diversi soggetti. Uno dei problemi più grossi, sia nell’ambito dell’accoglienza
che in quello del sociale, è quello di fare rete rispetto ai problemi. Serve una formazione
comune per far fronte agli specifici casi e alle richieste particolari che i richiedenti asilo e
i rifugiati pongono alle rete dei servizi. Serve rispondere in modo concorde alle esigenze
che si pongono.
Un caso significativo del rischio di alimentare sul territorio percorsi di discriminazione e di tutela asimmetrica, riguarda ad esempio, sul territorio bresciano,
l’iter per l’ottenimento del tesserino sanitario. L’Asl bresciana rilascia il tesserino
ai domiciliati e residenti a Brescia o a titolari di permessi di soggiorno rilasciati dalla questura bresciana. Per i numerosi Raru con permessi rilasciati da altre
questure, in particolare del Sud, diventa così più lungo se non impossibile avere
riconosciuta la tessera sanitaria. Il lavoro svolto dagli operatori dell’ente gestore
su questo fronte ha portato a una convenzione specifica con l’Asl che arriva a
concedere, in deroga ai regolamenti, l’iscrizione al servizio sanitario nazionale
almeno ai beneficiari del servizio Sprar, senza che questa novità abbia però modificato la procedura per la maggioranza del resto dei Raru presenti a Brescia.
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Osservatorio Asilo Lombardia
Sempre nell’ottica di costruire una rete di sensibilizzazione e di confronto, questa volta di natura transterritoriale, nel corso del 2005 per impulso di Adl e del
consorzio nazionale Ics è nata un’esperienza di network, condivisione e ricerca,
tra alcuni dei soggetti impegnati nell’accoglienza e tutela di richiedenti asilo e
rifugiati nel contesto regionale lombardo. A questo coordinamento partecipano
infatti oltre ai sui promotori, lo sportello rifugiati di Brescia, Casa Giona di Breno, lo Sportello rifugiati di Lodi e l’Associazione Lodi per Mostar, il Comune di
Bergamo, il Cir, il Naga-Har e la Caritas Ambrosiana. L’idea di un Osservatorio
sulle politiche dell’asilo è un ulteriore passo verso la costituzione di quella rete
regionale di soggetti che operano nel campo dell’accoglienza e integrazione dei
Raru in Lombardia, rispondendo alla necessità di mettere in comune le difficoltà
e i deficit dell’operare quotidiano, la condivisione delle esperienze e delle risorse
disponibili. La rete si è data tra i suoi obiettivi quello di monitorare l’andamento
dei lavori della Commissione Territoriale di Milano e di raccogliere in modo
sistematico le principali ripercussioni intervenute sui servizi e sui percorsi dei
migranti con l’introduzione delle nuova normativa sull’asilo.
Sportello richiedenti asilo e rifugiati Guido Puletti del Comune di Brescia
Allo Sportello richiedenti asilo e rifugiati fanno capo tutti gli interventi relativi
alla tutela previsti dallo Sprar.
Lo sportello è specializzato in tutte le diverse tematiche relative all’asilo politico e ha l’obiettivo di favorire l’accoglienza e l’integrazione dei Raru sul territorio bresciano.
Lo sportello è gestito dal Comune, ha sede in un’area prossima alla stazione
dei treni, ed è aperto in tutti i giorni feriali della settimana, offre informazioni e
orientamento sulla legislazione e le procedure vigenti in Italia e soprattutto consulenza nelle pratiche di richiesta asilo. Le attività di sportello prevedono anche
formule di segretariato sociale e di orientamento dei Raru ai servizi territoriali,
in particolare per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, l’iscrizione anagrafica,
l’iscrizione alle agenzie per l’impiego e agli uffici per la casa. Si fa carico insomma di una parte del circuito dei non accolti che gravita sulla città di Brescia ed
è per questo un osservatorio privilegiato per leggere le caratteristiche e la composizione dei flussi migratori che dal centro dell’area metropolitana di Milano si
spostano su altri territori in cerca di un inserimento lavorativo e di un alloggio.
131
Ziplò - Fondazione Cariplo
Grazie a un’ulteriore fonte di finanziamento fornita tramite bando dalla Fondazione Cariplo, Adl Brescia ha potuto sviluppare, sempre sul territorio della
città, un progetto rivolto ai richiedenti asilo presenti sul territorio, che prevede
l’accompagnamento e l’accoglienza in una struttura residenziale protetta di 15
persone nell’arco temporale di 2 anni, con una presenza massima di 5 richiedenti
asilo contemporaneamente ospitati nella struttura. Il progetto presta particolare
attenzione soprattutto alle vittime di tortura e ai casi di maggiore vulnerabilità sia
per gli aspetti residenziali sia per fornire servizi di accompagnamento e ascolto.
Questa azione si caratterizza come un percorso di seconda accoglienza, integrata
e mirata a sviluppare una maggiore qualità nell’erogazione dei servizi e di sostegno ai profili più vulnerabili che necessitano di formule d’accoglienza maggiormente protette e scevre da interferenze e dalla costrizione di convivenza in
luoghi affollati. All’interno del progetto sono stati programmati alcuni interventi
legati all’accoglienza residenziale, all’accompagnamento ai servizi d’assistenza
sanitaria, ai percorsi di alfabetizzazione e di formazione professionale, fino alle
sperimentazioni di attività creative e di espressione artistica. Dati i casi di particolare fragilità e con la finalità di prevenire il disagio mentale che si somma
alle sofferenze e alla marginalità già vissute dai soggetti, il progetto prevede un
investimento particolare e un approccio innovativo all’orientamento psicologico
e psicoterapeutico appoggiandosi ai Centri Psico Sociali del territorio e cercando
il coinvolgimento di tutte le competenze necessarie nella rete dei servizi pubblici
e del privato sociale. Anche per questo approccio il progetto prevede l’erogazione
di moduli di formazione in grado di affrontare le tematiche più complesse inerenti
alla condizione dei Raru, con il coinvolgimento di diversi profili professionali
e livelli operativi, sia dell’équipe interna al progetto, sia di tutti gli operatori di
soggetti pubblici e privati coinvolti nel progetto, con la finalità di creare équipe
trasversali e competenze diffuse nella rete territoriale.
Questo progetto pilota intende inoltre stimolare gli enti locali e le istituzioni
del territorio alla realizzazione di interventi di lungo respiro, tramite il rafforzamento della consapevolezza sul tema dei Raru e la messa a sistema degli interventi già sperimentati e con lo sviluppo di nuove azioni integrate, che superino il
grado zero della prima accoglienza.
Un’ulteriore azione di progetto ha portato all’inaugurazione di un primo nucleo di Centro di documentazione e consultazione transculturale in rete nazionale, specializzato sul tema dei diritti umani, dell’asilo politico, della tortura, delle
migrazioni forzate e dell’etnopsichiatria, con un ricco giacimento di libri, report
di ricerca, riviste specializzate, cd rom e una fornita videoteca.
132
3.3.4 Breno: un modello di comunità
L’ente gestore del progetto Sprar di cui il Comune di Breno (Val Camonica) è
ente capofila, è il Centro Casa Giona.
Questa associazione nasce e sviluppa le sue attività intorno a una struttura
d’accoglienza per categorie svantaggiate, voluta nel 1999 da Don Giovanni Gionni vista l’assenza, in tutto il territorio, di una struttura di quel tipo. Dal 1999 al
2002 l’associazione ha sviluppato principalmente progetti di prima accoglienza e
ha inaugurato i primi progetti d’accompagnamento di minori stranieri all’interno
degli istituti scolastici, proponendo moduli di aggiornamento e formazione anche
per il corpo docenti. Nel 2002 il Centro ha potuto incrementare il suo staff e ampliare l’offerta di progetti in particolare nelle scuole.
L’ente gestore del progetto è il soggetto del privato sociale che in Val Camonica, da quasi un decennio, ha la gestione di buona parte dei servizi dedicati
alla popolazione immigrata, sia in relazione agli interventi d’accoglienza sia dei
servizi dedicati all’autonomia, all’alfabetizzazione, al segretariato sociale, alla
mediazione linguistico culturale nelle scuole e presso i servizi. A questo spettro
di attività si aggiungono moduli di intervento di formazione degli operatori. Il
Comune di Breno e Casa Giona entrano nello Sprar nel 2004.
L’accoglienza
Le risorse disponibili per la fase d’accoglienza del progetto sono una struttura
collettiva per la prima accoglienza e tre appartamenti per la seconda accoglienza,
per un totale di 15 posti di categoria ordinaria, uomini e donne singoli anche se
nell’anno d’ingresso nel Sistema il servizio ha ospitato anche famiglie.
La struttura dedicata alla prima accoglienza nasce come un centro di primo
intervento a utenza mista per persone in situazione di difficoltà e disagio (immigrati, senza fissa dimora, tossicodipendenti). Dall’entrata nel Sistema le attività
del Centro sono per la maggior parte dedicate ai Raru anche se la struttura ospita
ancora per periodi di tempo limitato immigrati o donne con minori inviate dai
servizi sociali dell’ente locale o altri casi per situazioni d’emergenza (per esempio italiani sotto sfratto). L’accoglienza straordinaria non supera solitamente i tre
mesi.
La rete di appartamenti per la seconda accoglienza vengono riservati a quei
beneficiari che alla fine del percorso di prima accoglienza non abbiano ancora
raggiunto la piena autonomia o a chi non ha ancora concluso l’iter di tirocinio e
inserimento lavorativo. Il periodo in seconda accoglienza può durare dai sei ai
133
nove mesi. Durante tutto questo periodo gli operatori del progetto continuano un
monitoraggio del percorso dei beneficiari con incontri settimanali.
Al momento dell’inserimento nelle strutture viene sottoscritto un “contratto
d’accoglienza” che riporta i servizi offerti, i vincoli rispetto all’accoglienza, la
durata della presa in carico. Nell’eventualità di un non rispetto dei regolamenti
l’équipe del progetto può valutare l’allontanamento.
La struttura d’accoglienza collettiva è il centro di tutta l’attività del progetto:
Il centro è il punto di riferimento sia per i colloqui, sia per i corsi d’italiano, sia per i piccoli lavori che il centro offre, anche per coloro che sono negli appartamenti e non hanno
ancora trovato un lavoro stabile. Il nostro è un modello comunitario peculiare, in cui
ciascun beneficiario è chiamato a contribuire.
La struttura del Centro funziona come un vero e proprio centro che irraggia e catalizza le attività e che costituisce il punto di riferimento costante di tutti i percorsi.
Il numero elevato di volontari che supportano lo staff di operatori garantisce una
presa in carico solida dei singoli casi individuali ma anche la possibilità di vivere
in una condizione collettiva che responsabilizza tutti reciprocamente, mette alla
prova le capacità di adattamento e stimola alla socializzazione, al confronto e alla
cura degli spazi comuni.
Anche la concentrazione di tutte le attività all’interno del centro, con poche
esternalizzazioni di segmenti di attività, tende a configurare funzionalmente il
modello comunitario: una sorta di microcosmo in cui si sperimentano forme possibili di inclusione, riconoscimento, valorizzazione delle differenze e le difficili e
mai scontate strategie della convivenza.
Agli ospiti vengono offerti da subito corsi di alfabetizzazione, sia gestiti internamente alle strutture dai volontari del centro, in particolare nel periodo estivo
quando l’offerta di corsi strutturati è inesistente, sia tramite una convenzione con
il centro Eda di competenza, da un’insegnante che si reca presso il centro per 4
ore di corso settimanali, più un modulo di due ore integrative gestito dai volontari
del Centro.
I Raru arrivano a Breno su segnalazione del servizio centrale di Roma o su segnalazione della Prefettura. In alcuni casi la comunicazione arriva dal Comune di
Brescia che segnala, tramite lo Sportello asilo, Raru senza fissa dimora. A partire
da questa segnalazione, l’ente gestore chiede il nulla osta al Servizio Centrale per
l’autorizzazione all’accoglienza di questi casi.
Gli inserimenti vengono fatti e valutati a partire da una relazione sociale fornita dal servizio Centrale o dal Comune di Brescia.
Gli snodi più critici del percorso d’accoglienza, come in tutti i casi territoriali
analizzati, risultano essere l’ingresso e la dimissione.
134
Rispetto all’ingresso sembra influire in modo specifico, un certo grado di
smarrimento, acuito dal contesto territoriale dove il centro è situato:
La fase di adattamento e inserimento in una struttura nuova, in una valle alpina a 70 km
dalla città, per chi viene da una capitale ed è stato magari a Napoli, Milano o Brescia, non
è semplice. Arriva qua e pensa di stare sulle montagne assieme agli animali, ai folletti;
quindi c’è un iniziale smarrimento dovuto al fatto che a Breno non c’è un centro grosso,
cittadino. Però, dopo una prima fase di adattamento, le cose sembrano andare bene.
Il lavoro
L’ente gestore si occupa direttamente dell’attivazione delle borse lavoro e dei
tirocini formativi nel semestre in cui i richiedenti non possono ancora lavorare.
Gli operatori prendono contatti con le aziende e accompagnano i beneficiari ai
colloqui di lavoro. Una possibilità di primo inserimento lavorativo è dato anche
dalle commesse che arrivano direttamente al Centro, di solito lavori di trasloco,
trasporto merci o si rendono utili nella gestione degli spazi delle strutture con
piccoli lavori di giardinaggio.
La maggior parte dei beneficiari trova lavoro come operaio generico nel settore metalmeccanico nelle imprese insediate in Valle o in altri settori, in particolare
nella città di Brescia, dove tendenzialmente si trasferiscono.
Gli sbocchi lavorativi per le donne appaiono più limitati e dequalificati, nella
maggior parte dei casi nel settore delle pulizie o dell’assistenza agli anziani.
L’inserimento lavorativo rimane in generale un passaggio difficile perché l’offerta non
è vasta. Il lavoro è la prima cosa che il beneficiario chiede. Spesso hanno attese elevate
rispetto al lavoro che non sempre collima con le loro effettive capacità o competenze
linguistiche in italiano, almeno all’inizio. Sicuramente c’ é l’ambizione, ma è anche vero
che appena si rendono conto della condizione in Italia rispetto al non riconoscimento
del loro titolo di studio si adattano, hanno l’umiltà di fare lavori diversi da quelli che si
aspettavano. Di fatto, la necessità di vivere porta quasi tutti a ridimensionare le proprie
aspettative.
La salute
Il centro offre anche un supporto di tipo psicologico. Solo per i casi più gravi e
che necessitano di un approccio psico-farmacologico gli utenti sono accompagnati al Centro Psico Sociale di Malegno, ma i casi di assistenza specialistica
sono limitati.
135
Gli operatori del progetto accompagnano i beneficiari all’Asl per l’iscrizione
al servizio sanitario nazionale:
Non abbiamo mai avuto problemi con l’Asl con cui abbiamo ottimi rapporti e una collaborazione che dura da anni, perché la nostra équipe di mediatori segue il servizio di
mediazione culturale all’interno dell’azienda ospedaliera.
3.3.5 Bergamo: sperimentare l’integrazione socio-lavorativa
Il Comune di Bergamo aderisce nel 2003 al progetto Integ.r.a., realizzato nell’ambito dell’iniziativa comunitaria Equal, finanziata dal Fondo Sociale Europeo,
con l’obiettivo di realizzare pacchetti e servizi integrati di formazione, inserimento lavorativo e socio-abitativo rivolti ai richiedenti asilo e rifugiati. Il comitato
d’indirizzo del progetto era allora costituito dall’Anci, dall’Unhcr e dal Censis,
responsabili di delineare le strategie di attuazione sviluppate nel progetto da sette
Comuni italiani (oltre a Bergamo, Genova, Ancona, Roma, Forlì, Bitonto e Catania) e 25 partner tra soggetti del privato sociale e università. Nel contesto del
progetto si aprì presso l’Ufficio stranieri del Comune di Bergamo l’Ufficio Integ.
r.a locale che attivò i Tavoli Locali per l’Integrazione, per la definizione delle
azioni da svolgere e l’identificazione dei bisogni primari cui rispondere. Oltre
al supporto alle pratiche burocratiche, in sinergia con altre associazioni ed enti
partner, fu predisposta una rete di soggetti che iniziassero a definire soluzioni per
i bisogni lavorativi e alloggiativi dei Raru presenti sul territorio.
Nella seconda annualità del progetto “IntegRARsi – Reti locali per l’integrazione dei richiedenti asilo e rifugiati” sempre gestito da Anci con la collaborazione di Oim, una rete di otto enti locali, l’Arci, Cir, Ics e Caritas, si definì inoltre
una partnership transnazionale che coinvolse Irlanda, Germania e Slovenia. Si
trattava, attraverso questo progetto, tre le altre cose, di facilitare l’uscita dai campi delle famiglie kosovare, in prevalenza rom con protezione umanitaria, arrivate
in Italia a seguito della guerra e di facilitarne l’inserimento scolastico, lavorativo
e alloggiativi, tramite la sperimentazione di tirocini formativi e lavorativi.
La rete di associazioni e cooperative che negli anni, a livello territoriale, avevano maturato un’esperienza nel campo dell’intervento a favore dei migranti,
entrarono nel coordinamento di questo progetto per sviluppare e sperimentare le
azioni previste.
Avevamo sperimentato molto e il territorio risultava attrezzato sul fronte dell’integrazione socio-lavorativa dei Raru ma mancava la parte sostanziale dell’accoglienza, o meglio noi già l’avevamo in un rapporto esclusivo interno del Comune: il Comune aveva
136
posti letto presso Comunità Ruah tramite una convenzione del Comune con la comunità
dove ospitava richiedenti asilo rifugiati. Proponemmo dunque al Comune di partecipare
ai bandi del Ministero del sistema di protezione in modo da recuperare risorse che potessero ampliare il numero dei posti che già avevamo. Tutte le città della rete di Integrarsi
facevano tutte parte della rete dello Sprar, e noi eravamo l’unica città a non avere dei
posti accoglienza convenzionati con lo Sprar, mentre lavoravamo molto sulle azioni di
integrazione.
In forza di questa esperienza, dei progetti pilota sperimentati sul territorio nel
corso dei due progetti precedenti e della necessità di integrare l’offerta con un
intervento d’accoglienza più robusto e con maggiori risorse a disposizione, il
comune di Bergamo entra nello Sprar nel 2006.
Il progetto Integ.r.a e il progetto IntegRARsi hanno permesso di affinare un
lavoro per reti territoriali, la costituzione di partnership che operassero in modo
integrato intorno al tema specifico dell’inserimento lavorativo dei Raru. Il modello di intervento a rete si è andato affinando tramite una razionalizzazione delle funzioni da delegare ai singoli nodi della rete a copertura di quelle funzioni
specifiche non direttamente gestibili dal Comune. Il Comune ha definito negli
anni, rispetto alla rete, un compito di cabina di regia che cura l’integrazione degli
interventi e la combinazione complementare tra le azioni di IntegRARsi e quelle
Sprar, attivando nelle partnership locali soprattutto gli enti accreditati per la gestione dei tirocini formativi, l’Ufficio diritti della Cgil e le associazioni che sul
territorio, lavorando e intervenendo a favore dei migranti, intercettano nella loro
azione anche i Raru. Il Comune tramite convenzione ha affidato alla Cooperativa
sociale Migrantes compiti di supervisione e gestione del progetto e del monitoraggio, alla Comunità Immigrati Ruah Onlus è stata affidata la gestione dell’accoglienza maschile, mentre all’Associazione Diakonia-Caritas la parte relativa
all’accoglienza femminile.
L’accoglienza
I Raru sono ospitati in strutture collettive: presso le unità d’offerta della Comunità Ruah o nel dormitorio Galgario, gli uomini, presso la struttura “Sara Casa”
le donne. Il posti finanziati dallo Sprar al 2007 sono 15 di cui 11 per uomini e 4
per donne.
La Comunità Ruah nasce come un dormitorio nel 1990 per l’accoglienza della popolazione immigrata. Nel 1997 la struttura si è allargata e garantisce oggi
una ricettività di 78 unità, di cui 12 in dormitorio e il rimanente in camere. La
Comunità Ruah ha dal 2003 con il comune di Bergamo una convenzione per
137
l’accoglienza di stranieri, e mette a disposizione del comune in dormitorio 6 posti
gratuiti per un periodo di 3 mesi e, sempre in dormitorio, altri posti a pagamento;
nelle camere ci sono 11 posti letto dedicati allo Sprar; e ci sono 3 posti per i servizi sociali del comune, che può inserire stranieri in grave stato di bisogno, per
motivi di alcolismo o altri problemi di salute. I restanti posti sono a pagamento
e sono riservati a quegli ospiti che hanno un lavoro o risparmi per lavori svolti
precedentemente e che possono quindi pagare una retta di 150 Euro mensili più
una caparra di 50 Euro.
La struttura d’accoglienza femminile è nato circa 15 anni fa in Bergamo, dalla
collaborazione di Caritas col Comune, in particolare per accogliere donne immigrate sole o con minori. Nel 2000 grazie a una donazione il centro ha avuto la
possibilità di allargare la sua ricettività e si è trasferita a Oriano, località Bettaina,
collegata alla città da mezzi pubblici. L’accoglienza femminile è aperta a donne
sole, o con minori, sia immigrate sia italiane.
I posti femminili sono dislocati in due strutture: in città c’è un appartamento
dove le donne vengono ospitate per le prime due o tre settimane. È questo il periodo che viene dedicato all’osservazione ed alla conoscenza con l’ospite e a una
prima fase di orientamento alla rete dei servizi cittadini, per l’esecuzione di pratiche burocratiche presso la Questura. Dopo questo primo periodo, le beneficiarie
vengono inviate alla struttura d’accoglienza femminile in località Oriano, gestita
da Caritas in convenzione con altri comuni.
Gli 11 posti disponibili per gli uomini si trovano invece presso la Comunità
Ruah che si trova in città, in zona Malpensata, all’interno di una struttura che
conta 70 posti letto per l’accoglienza generica degli immigrati che la Comunità
Ruah gestisce in convenzione con il Comune.
Per il 2008, grazie ai residui d’economia dei bilanci precedenti, è previsto un
aumento di 5 posti in più nel progetto.
È stata data la disponibilità dal Ministero, a partire dal mese di novembre 2007, per l’attivazione di altri 5 posti straordinari per un semestre. Quindi con l’approvazione del nuovo
progetto potremmo arrivare a una ricettività di 20 posti Sprar, più 5 straordinari per un
totale di sei mesi, più la decina di posti previsti per l’accoglienza di bassa soglia nel piano
d’emergenza freddo.
Nelle strutture d’accoglienza ai beneficiari vengono forniti beni di prima necessità direttamente dagli operatori, mentre per piccole spese personali dispongono di
somme dimensionate di pocket money mensili. All’ingresso nel servizio i beneficiari sottoscrivono un contratto d’accoglienza e viene attivato per loro un corso di
italiano presso la scuola della Comunità Ruah, convenzionata al Ctp e al Centro
Eda che ne condividono programmi e metodi didattici (a disposizione anche del138
le donne beneficiarie, che a loro volta possono usufruire di un corso di italiano
gestito da volontari presso il loro centro). Viene inoltre garantito ai beneficiari
anche un budget per gli spostamenti con i mezzi pubblici, in particolare per chi si
sposta in città per il lavoro o la ricerca lavoro.
Spesso i beneficiari trovano una prima occupazione nei centri della provincia
bergamasca, e non sempre il sistema dei trasporti è in grado di garantire una copertura del servizio soprattutto per quei lavoratori impiegati su turni.
Per questo molti beneficiari con i primi stipendi devono pensare all’acquisto
di un mezzo di trasporto e per venire incontro a queste esigenze, il progetto ha
attivato una convenzione con Aci che ha permesso l’accesso dei beneficiari ai
corsi per l’ottenimento della patente.
Gli operatori forniscono inoltre schede telefoniche, quando necessario, per
chiamare e comunicare con la famiglia nel paese d’origine.
Tutti i beneficiari sono accompagnati all’Asl per l’attivazione della tessera
sanitaria. Il turnover dei beneficiari e la differenziazione dei profili e delle competenze linguistiche dei medici di base sono risultati a volte problematici e per
questo in accordo con l’Asl si è studiato un protocollo per l’individuazione di due
medici, uno per le donne e uno per gli uomini, che seguissero con continuità i beneficiari Sprar e tenessero un contatto diretto con gli operatori dell’accoglienza.
Per l’assistenza psicologica, in particolare dedicata alle donne, esiste una convenzione tra il Comune e uno studio specializzato in etnopsichiatria che opera
sul territorio da molto tempo, con una particolare attenzione proprio al mondo
dell’immigrazione.
L’accoglienza femminile è gestita con un approccio comunitario che guarda
nello specifico agli aspetti educativi della convivenza e della cooperazione comunitaria. Si animano e promuovono momenti comuni tra le donne accolte e si
propongono attività ricreative o di studio per aumentare le competenze di socializzazione e le opportunità di integrazione.
L’avvocato consulente del Servizio Migrazione del Comune di Bergamo presta la sua consulenza legale specifica, mentre per le pratiche amministrative e
burocratiche più di routine la gestione è affidata all’Ufficio diritti di Cgil e agli
operatori di Comunità Ruah.
Il lavoro
Durante il primo mese gli operatori predispongono un bilancio di competenza
degli ospiti, verificano le loro aspirazioni e aspettative, valutano le capacità relazionali e i bisogni formativi.
139
Le procedure dell’inserimento lavorativo sono state sperimentate e collaudate
negli anni del progetto IntegRARsi, ancora attivo, che in sinergia con i servizi
Sprar permette una copertura efficace di quest’area d’intervento. Le associazioni
aiutano i beneficiari nella costruzione del curriculum e del bilancio di competenza. Si passa poi alla fase di valutazione delle offerte tramite gli annunci della
stampa locale, i servizi internet e le relazioni dirette con cooperative e aziende del
territorio. Ci si affida nello specifico al ricco network e alla competenza maturata
in questo campo del Consorzio Gerundo. È questo soggetto, infatti, a gestire l’attivazione di tirocini formativi nel contesto del progetto IntegRARsi con ottime
performance di risultato per l’inserimento anche dei beneficiari Sprar.
Il progetto IntegRARsi ci ha permesso di sperimentare e valutare i protocolli d’azione,
comprendere quali fossero le formule vincenti dal punto di vista dell’efficacia dei risultati. Con lo Sprar abbiamo oggi la possibilità di proseguire finanziare alcune pratiche di
intervento, magari con modalità diverse. In futuro, in assenza delle risorse del progetto
IntegRARsi quello che si potrà fare sarà cercare opportunità di tirocinio e borse lavoro
tramite lo Sprar in cui riconoscere una quota forfaittaria mensile ai beneficiari, ma sicuramente non arriverà ai livelli economici che oggi raggiungiamo grazie ai fondi europei,
perché proprio la struttura economica del progetto Sprar non ce lo permette: il costo dell’accoglienza incide moltissimo sugli altri servizi e perché per noi l’accoglienza significa
tutto: dal posto letto al vestiario, al cibo, all’igiene personale, alle medicine, alle spese
mediche.
La rete che si attiva sull’area lavoro procede idealmente con questa articolazione
di funzioni e interventi: il Consorzio Gerundo in qualità di ente delegato per il
progetto IntegRARsi alla gestione dei tirocini formativi ha attivato negli anni una
serie di contatti con associazioni imprenditoriali e piccole aziende su cui orienta
i beneficiari e che gestisce le pratiche di formulazione dei documenti necessari
per l’avvio del tirocinio (la convenzione tra l’azienda e il tirocinante, la stesura
del progetto formativo, le comunicazioni agli enti di controllo Bpl, Centri per
l’impiego, i sindacati, la Regione Lombardia), si occupa inoltre del tutoring sull’azione di tirocinio. Un numero variabile di borse lavoro vengono attivate presso
le cooperative che operano nel settore dei servizi (pulizie, raccolta e riciclo di
arredamento).
Tendenzialmente i tirocini hanno la funzione di portare assunzione dopo il periodo svolto.
I nostri standard di assunzioni, dopo i tirocini si collocano intorno al 60%-70%. Il lavoro
si trova un po’ in tutti gli ambiti: dalle pulizie civili industriali, a operatore sui torni numerici, spazzamento dei rifiuti, posa degli allarmi sui ponteggi dei palazzi in costruzione,
fabbri, sabbiature.
Questo dato mostra, oltre alla buona ricettività del mercato del lavoro locale,
140
l’efficacia della formula combinatoria di tirocinio formativo e inserimento e l’ottima compenetrazione tra le risorse Sprar e gli interventi promossi dal Progetto
IntegRARsi.
L’altro soggetto che collabora nella fase di orientamento e ricerca lavoro è
l’Arci che svolge il bilancio delle competenze per i soggetti segnalati dagli operatori per il loro pregresso formativo e professionale interessante e valorizzabile
nel mercato del lavoro italiano.
Un terzo soggetto che si attiva a presidio di quest’area è l’Agenzia per l’Integrazione, un soggetto con soci pubblici e privati (il Comune, la Provincia, Caritas, Comunità Ruah, il Nuovo Albergo Popolare, ecc.) che fornisce i mediatori
linguistico-culturali fondamentali nella fase di messa a fuoco delle competenze e
di ricostruzione delle storie formative e professionali. Nella fase di orientamento
lavorativo si attivano sinergie con il Centro per l’impiego di Bergamo, cui vengono iscritti subito i beneficiari, e con l’InForma Lavoro della Provincia.
Gli operatori dei servizi hanno riscontrato nell’ultimo biennio una maggiore
difficoltà all’inserimento lavorativo dei beneficiari, principalmente riferibile alle
maggiori difficoltà linguistiche presentate dai beneficiari, rispetto ai Raru seguiti
nel contesto del progetto Integ.r.a negli anni precedenti.
Se questo è un dato può essere riferito alla composizione nazionale dei gruppi
e alla variabilità delle dotazioni e delle skills personali dei beneficiari, un aspetto
che può incidere sulla maggiore impreparazione linguistica sono i tempi sempre
più abbreviati tra l’arrivo in Italia dei migranti forzati e il loro avvio al mercato
del lavoro, dovuto all’accelerazione delle pratiche di riconoscimento e alla possibilità fornita dalle nuove procedure di iniziare a lavorare dopo il primo semestre.
Le nuove procedure hanno di molto accorciato i tempi di riconoscimento e di
concessione dei documenti, ma sei mesi risultano troppo pochi per costruire un
percorso di alfabetizzazione linguistica che dia i suoi esiti e permetta l’inserimento lavorativo.
Il fatto è che i beneficiari hanno sempre meno anzianità migratoria in Italia e, dal punto
di vista linguistico, sono molto meno strutturati. Questa cosa dipende in larga parte dall’introduzione della nuova procedura: fino a due anni fa incontravi tendenzialmente solo
persone che erano richiedenti asilo da 2-3 anni in attesa della risposta da Roma. Con la
strutturazione delle commissioni a livello territoriale si è velocizzato molto, se la persona
che richiede asilo non dispone di un documento d’identità nel giro di un mese esce dal
centro d’identificazione ed esce con foglio in mano, quindi in un mese ha già il suo permesso (…) se passa dalle commissioni territoriali ci vogliono 5-7 mesi ma, in ogni caso,
non sono mai 2 o 3 anni.
I richiedenti asilo e i rifugiati con cui stiamo lavorando hanno notevoli difficoltà linguistiche, sono per la maggior parte eritrei ed etiopi, in Italia da pochissimo tempo, alcuni con
141
una bassa scolarizzazione, quindi con un livello di italiano molto basso, mentre le aziende
necessitano di una conoscenza linguistica un po’ più alta anche solo per una comprensione delle norme sulla sicurezza, la 626, ecc. (…). Questo frena molto l’avvio dei tirocini e
dell’inserimento al lavoro, ed è una cosa che si nota parecchio.
Le donne con figli hanno più difficoltà a seguire i corsi di formazione, i corsi
serali e a trovare un lavoro che gli garantisca tempi di conciliazione con gli oneri
familiari. In alcuni casi si attivano i servizi territoriali per l’infanzia, si studiano
formule di affido familiare nei casi più problematici. Le borse lavoro delle donne
sono gestite dalla cooperativa Memphis, che si occupa anche della stesura dei
curriculum e del supporto all’orientamento lavorativo. Le borse lavoro attivate da Memphis riguardano in particolare il settore delle pulizie e dei laboratori d’assemblaggio. La Comunità Ruah gestisce un laboratorio occupazionale, Il
Triciclo, che permette inserimenti socioccupazionali che garantiscono contributi
mensili di 250 Euro e che consentono il pagamento delle rette per gli utenti in
dimissione dallo Sprar e che ancora non hanno trovato una soluzione lavorativa
e alloggiativi autonoma.
È un’entrata minima che ti permette però un minimo agio per conoscere meglio il territorio, cercare delle opportunità, socializzare con il contesto.
La casa
La questione alloggiativa viene affrontata informando i beneficiari dei canali e
delle modalità di ricerca dell’alloggio sia attraverso il mercato privato sia attraverso le associazioni che sul territorio gestiscono un patrimonio immobiliare
destinato alla seconda accoglienza. In questi casi gli operatori del progettto svolgono anche un tutoraggio per l’avvio dell’autogestione abitativa. Il sistema della
seconda accoglienza costituisce una parentesi breve ma necessaria, intermedia,
tra l’uscita dalla prima accoglienza e la necessità di reperire un alloggio in autonomia. Questo sistema permette di guadagnare qualche mese di tempo per una
ricerca della casa e del lavoro una volta dimessi dal progetto.
Noi garantiamo a tutti, anche alle donne, degli alloggi di seconda accoglienza che sono di
associazioni pubbliche e private sul territorio, ad esempio la Ruah ha una serie di alloggi
in Bergamo e provincia, sono affitti condivisi, accoglienze condivise, è c’é un alto turnover, vanno lì per qualche mese e hanno tempo di trovarsi appartamenti in autonomia.
La Comunità Ruah gestisce oltre alla struttura d’accoglienza una decina di appartamenti, 3 in Bergamo città, 3 a Seriate, 2 ad Albano Sant’Alessandro, una Casci142
na a San Paolo D’Argo, per un totale di circa 50 posti dove i beneficiari che hanno
concluso il percorso d’accoglienza Sprar (o quello di inserimento del Comune
riservato ad altre tipologie d’utenza) e non hanno ancora avuto la possibilità di
trovare una casa in autonomia, possono trovare una collocazione per il periodo
necessario alla ricerca dell’alloggio. Si stipulano solitamente contratti annuali
che possono essere rinnovati per un massimo di tre anni, anche se la media del
turnover si assesta sull’annualità. In media dopo un anno riescono a trovarsi una
soluzione abitativa autonoma.
L’Associazione Casa Amica Onlus inoltre gestisce circa 150 appartamenti per
l’accoglienza di lungo periodo.
Il progetto prevede l’erogazione di contributi straordinari all’uscita, una tantum, pacchetti da 250 Euro, che possono risultare utili ai pagamenti cauzionali
per l’affitto e per tutte le spese che l’uscita dalla prima accoglienza comporta.
3.3.6 Lecco: un territorio d’accoglienza in rete
Come in altri territori la presenza più determinata dell’ente pubblico all’interno
dei progetti, con l’avvio del sistema Sprar, ha creato anche per il territorio lecchese l’opportunità di fare sistema e di prendersi in carico scelte strategiche per
operare a livello più ampio e coordinato.
Il Comune di Lecco presenta il primo progetto nel 2001, in rete con un gruppo
di circa trenta comuni che avevano allora sottoscritto un primo accordo di programma specifico sull’area dei richiedenti asilo. Le strutture ricettive per l’accoglienza erano dislocate in più aree del territorio della provincia lecchese, la più
grande, con 40 posti, era gestita dalla cooperativa la Grande Casa, e si trovava
in una zona periferica della provincia, già verso Milano, la Cooperativa Arcobaleno e Caritas gestivano altri posti su Lecco e Ballabio e alcuni appartamenti
nei comuni della rete. Gli enti locali che aderivano al progetto versavano una
“quota di solidarietà” sulla base del numero degli abitanti dell’anno precedente. Le quote raccolte dalla rete di comuni contribuivano alla costituzione di un
Fondo di Garanzia, gestito da un gruppo tecnico costituito dagli enti locali, dalla
Provincia, dagli enti gestori e dalla Prefettura, finalizzato a sostenere i percorsi di
dimissione: in particolare il pagamento delle cauzioni e degli anticipi per l’affitto
della casa.
L’altro obiettivo che ogni singolo ente della rete si proponeva era quello di
mettere a disposizione delle risorse fisiche e logistiche per l’accoglienza.
Questo è avvenuto in forma limitata e anche su quei pochi casi abbiamo avuto dei proble143
mi, perché spesso gli ospiti, terminato il periodo di presa in carico, non volevano lasciare
gli appartamenti, chiudendo ogni possibilità di turnover e di prosecuzione dell’attività di
accoglienza anche su quelle unità ricettive.
Oggi l’accordo di programma si è esteso e raccoglie 76 enti locali della provincia
di Lecco e, raccordando progettazioni similari e interventi di aree affini nei singoli comuni e piani di zona, propone un intervento di sistema sull’accoglienza degli
adulti in difficoltà: Raru e senza fissa dimora.
Era necessario pensare delle prese in carico specifiche, lavorando molto meno con i minori e i nuclei familiari. Oggi all’accordo partecipano la Prefettura, la Provincia, il Comune
di Lecco come ente capofila e 76 comuni su 90, aderiscono l’Azienda Ospedaliera, l’Asl,
l’Aler, e due comunità montane su tre. Abbiamo creato un sistema per la presa in carico
che vuole superare il singolo progetto territoriale e che vuole essere piuttosto in grado di
guardare alla singolarità dei percorsi.
Il progetto “Lecco: una provincia accogliente” è espressione di un innovativo
accordo di programma territoriale ed è, a partire dal 2005, fortemente integrato
nel quadro organizzativo del Settore Politiche Sociali e di Sostegno alla Famiglia
del Comune di Lecco.
L’accordo di programma territoriale si è strutturato per portare a definizione un
sistema integrato per l’accoglienza, il sostegno e l’integrazione sociale a favore di
richiedenti asilo, rifugiati politici, immigrati e persone in difficoltà sul territorio
provinciale di Lecco. Per la sezione che riguarda gli asilanti gli interventi previsti
dall’accordo si concentrano in particolare nella fase di dimissione dei beneficiari
dal progetto e di inserimento in autonomia sul territorio e riguardano in particolare il supporto per il raggiungimento di adeguate soluzioni abitative e gli strumenti
di accesso al lavoro. Il settore Servizi sociali del Comune di Lecco ha affidato
ai Servizi Interistituzionali e al Servizio Adulti il compito di accompagnare nel
contesto della propria programmazione il progetto della rete Sprar, da un lato a
garanzia di una maggiore integrazione con i servizi del territorio, dall’altro per
accordare consulenze specifiche riguardo a singole situazioni e interventi individuali relativi al disagio adulto e alla fragilità sociale. La multiproblematicità che
alcuni beneficiari presentano, richiede livelli qualitativamente alti d’intervento
che sono reperibili fuori dalle potenzialità del singolo progetto e attingibili proprio all’interno della rete dei servizi territoriali. I protocolli d’intesa attivati dai
Servizi Interistituzionali garantiscono l’accesso a opportunità plurime e sostegni
concreti all’orientamento, alla formazione, all’intervento educativo, alla ricerca e
accompagnamento al lavoro (Centro servizi Formativi, Istituti scolastici, Centro
per l’impiego).
144
L’idea di “patto territoriale” origina da una riflessione puntuale sul concetto di
integrazione e sull’azione di stabilizzazione dei percorsi che il progetto tende a
perseguire, sul mantenimento nel lungo periodo dei risultati ma anche delle garanzie di tutela e assistenza per i percorsi caratterizzati da maggiore fragilità:
C’è un’integrazione di fatto che nasce da un percorso concreto di autonomizzazione, ma
ci sono anche fragilità per cui l’integrazione significa la consapevole presa in carico degli
individui da parte del sistema dei servizi territoriali. Le situazioni di fragilità psicologiche, ad esempio, richiedono che il territorio si attivi: la tutela te la garantisce il Sistema,
solo nella misura in cui il progetto è in grado di attivare sul territorio risposte di più lungo
periodo e se la gestione delle risorse diventa flessibile nella sua ripartizione e allocazione
secondo la gradualità di emergenza e vulnerabilità. L’accordo dovrebbe andare in questa
direzione, utilizzando e rendendo sinergiche risorse e strumenti non solo interni alle competenze proprie del progetto.
La programmazione 2007 rappresenta in questo senso la transizione matura verso
la nuova formula di concezione di un intervento di sostegno ai Raru integrato
nell’accordo di programma territoriale sperimentato in questi anni.
Per questo il progetto lecchese mira a irrobustire, nell’ambito del progetto
Sprar, la rete di raccordo tra i moduli d’intervento dedicati agli asilanti, e l’intera
offerta della rete dei servizi territoriali.
Questa sinergia permette infatti di monitorare e supportare in particolare la
fase di uscita dal progetto, istituendo preventivamente canali di informazione
e di analisi precoce delle situazioni più problematiche, per coordinare in modo
integrato interventi in ambito occupazionale, abitativo, economico e relazionale,
in particolare per i nuclei familiari, favorendo l’individuazione di tutte le risorse
attivabili a livello locale.
L’esperienza di questi anni ha mostrato, secondo le testimonianze raccolte,
come a fronte di rilevanti situazioni personali e familiari problematiche, connesse
alla precarietà di salute, alle condizioni psicologiche, a difficoltà relazionali, le
traiettorie verso l’autonomia e la piena integrazione dei soggetti avvengono in
tempi più lunghi di quelli previsti dal programma con ricadute di prese in carico
nei canali tradizionali dei servizi del welfare locale.
Per questo motivo si è lavorato a definire una strategia che vedesse come
protagonisti la rete dei servizi territoriali e tutti gli attori con competenze di intervento sociale e psico-sanitario.
Questo raccordo deve inoltre promuovere uno scambio di competenze e di
capacità interpretative delle specificità della condizione degli asilanti rispetto agli
altri migranti, così da consentire, nel tempo, lo sviluppo di logiche di intervento
e di segmenti d’offerta più adeguati all’interno dei servizi territoriali. La provincia di Lecco è infatti composta in prevalenza da comuni di piccola dimensione,
145
non sempre dotati di risorse professionali e organizzative adatte a rispondere alla
complessità delle situazioni che si presentano. Per questo motivo il passaggio di
informazioni e competenze deve strutturare una strategia di accompagnamento
di tutti gli enti coinvolti, nello specifico dell’operatività e nell’analisi delle problematiche, così che la disponibilità di risorse che i singoli territori mettono a
disposizione sia davvero efficace e valorizzata.
La continuità e la globalità dell’intervento che origina dall’integrazione delle
attività, come proposto nel patto territoriale lecchese, consente inoltre un monitoraggio dei risultati e la possibilità di individuare le determinanti di alcuni
eventuali fallimenti, ricorreggendo in corso d’opera.
La partecipazione del progetto alla Consulta provinciale degli ImmigratiGruppo Casa, consente inoltre di sottoporre nuovi elementi di conoscenza del
disagio abitativo crescente e contribuire alla definizione di soluzioni concrete.
Allo stesso modo lo scambio informativo sui bisogni, le aspettative e le problematiche legate all’ambito lavorativo, in particolare per le donne con figli a carico,
può nel tempo collaudare la possibilità di progettare nuovi interventi nell’ambito
dell’inserimento lavorativo.
Oggi il progetto mette a disposizione, distribuiti in diversi comuni dei tre ambiti distrettuali 15 posti per l’accoglienza di beneficiari segnalati dalla Prefettura
o dallo Sprar stesso.
Gli enti coinvolti nel progetto d’accoglienza
La gestione del progetto è affidata al Consorzio Consolida, soggetto partner individuato dal Comune di Lecco, che si avvale della collaborazione delle Cooperative sociali “La Grande Casa” di Monticello Brianza e l’“Arcobaleno” di
Lecco. Un supporto tecnico-professionale ulteriore è offerto dal Servizio Adulti
del Comune di Lecco per le competenze maturate nell’ambito dell’assistenza e
del segretariato sociale, dei progetti educativi e domiciliari, per i progetti sociooccupazionali e le borse lavoro, per l’accompagnamento alla ricerca alloggiativa.
È in quell’ambito che viene inoltre raccordata la programmazione dei Servizi
Interistituzionali che riguardano l’orientamento, il sostegno educativo e l’accompagnamento al lavoro, i servizi per la disabilità fisica.
L’accoglienza
Sulla base di un’esperienza maturata in quasi un decennio di attività, il progetto
146
“Lecco: una provincia accogliente” è andato strutturando moduli d’intervento
atti a garantire una progressiva transizione dalla fase di prima protezione e accoglienza a quella d’integrazione territoriale dei soggetti beneficiari. L’obiettivo
di sostenere percorsi individuali e familiari di autonomia e radicamento positivo
nella società d’arrivo, disegna un impianto metodologico che a un’articolata fase
di interventi d’accoglienza e di accesso a servizi di prima necessità, fa seguire
l’avvio di un progetto fortemente personalizzato (sia che si tratti di singoli individui, sia di gruppi familiari), capace di valorizzare le risorse individuali e le competenze, di attivare nei beneficiari la capacità di un autonomo orientamento sulle
opportunità che il contesto offre, riducendo al minimo gli effetti passivizzanti che
i percorsi assistenziali possono produrre.
Quello che il territorio lecchese prospetta è quindi un sistema di servizi e
interventi modulare, con segmenti d’offerta a più livelli di specializzazione e
articolazione per target e aree di bisogno specifiche, dal più standardizzato a
quello individualizzato. Questo modello richiede chiaramente un’alta varietà nella disponibilità d’offerta per permettere una segmentazione efficace delle risorse
e una risposta sia generalista sia specifica.
Pensi ad esempio al livello informativo: è stata importante l’attivazione di uno Sportello
Unico che utilizza competenze intersettoriali, su tutti i target e ha la possibilità di gestire
un primo filtro dell’utenza con quegli stessi operatori che poi sono chiamati alla presa in
carico del caso sul territorio. Così come invece si cerca di creare e articolare maggiormente i singoli livelli dell’accoglienza, soprattutto sulla seconda: abbiamo un segmento di
offerta in cui il beneficiario inizia un percorso di autonomia ma è ancora periodicamente
seguito dagli operatori, e un livello di housing sociale che permette ormai un percorso
di maggiore autonomia anche se in strutture condivise. Oppure, sarebbe necessario predisporre per tutti un servizio di bassa soglia, che possa rappresentare anche un momento
di osservazione per poi specializzare e differenziare i singoli percorsi. Chiaramente con
delle prese in carico individuali più robuste per quanto riguarda i Raru.
È stata l’inaugurazione del Sistema Sprar sul territorio di Lecco a spingere a
sperimentare le prese in carico individuali come un nuovo modello di intervento
e di operatività. Ad agire come modello sono state, ad esempio, le prese in carico
sperimentate in altre aree di intervento affini per tipologia di servizi erogati e
per profili di problemi presentati, in particolare con gli immigrati e con gli adulti
senza fissa dimora.
Ad oggi il richiedente asilo è l’unico che ha un intervento così articolato ma è un modello
assolutamente esportabile.
I progetti individualizzati hanno la possibilità di modularsi con maggiore coe147
renza sui bisogni specifici e di adeguare gli interventi rispetto ai singoli profili.
Questo ha una ricaduta sulla possibilità di razionalizzare la spesa: l’utilizzo di
adeguate gradualità d’intervento permette un risparmio di risorse su profili meno
bisognosi da reinvestire sul supporto dei percorsi più accidentati e vulnerabili:
Si possono razionalizzare le risorse, c’è chi ha meno bisogno, chi con maggiore facilità
raggiunge gli obiettivi che il progetto ha individuato. Il sistema deve essere tutelante ma
deve permettere anche delle gradualità.
A seguito di una valutazione delle abitudini domestiche, igieniche e alimentari,
dei beneficiari, si forniscono beni di prima necessità adeguati alle immediate esigenze dei singoli. A questa fase segue l’accompagnamento del beneficiario alla
conoscenza del territorio e dei luoghi dove potersi rifornire autonomamente dei
beni. Questo è un momento in cui si valutano anche le reali capacità di gestione
del denaro per erogare secondo le modalità stabilite il contributo personale previsto.
Il servizio d’accoglienza prevede inoltre l’accompagnamento dei beneficiari
alla conoscenza della rete dei servizi territoriali utili all’assolvimento delle pratiche e alla costruzione di un percorso di inserimento sociale, economico e culturale nel contesto di arrivo. Il Comune di Lecco al fine di favorire le relazioni e
l’accesso alle istituzioni preposte alle procedure amministrative ha attivato uno
sportello Servizi per l’immigrazione, gestito dalla cooperativa l’Arcobaleno, che
offre consulenza e informazioni per l’espletamento delle pratiche e supporta la
preparazione della documentazione necessaria.
Oltre alle pratiche necessarie presso l’Agenzia delle entrate per l’attribuzione
del codice fiscale e l’iscrizione, presso l’Asl, al Servizio sanitario nazionale, ai
beneficiari vengono fatti conoscere i Centri per l’impiego per l’eventuale iscrizione al collocamento, i servizi scolastici per contributi ed esenzioni, i servizi per
l’infanzia, i servizi culturali e quelli ludico-sportivi sia per minori sia per adulti.
Tutte le attività di orientamento e informazione sono supportate da un servizio
di interpretariato. La presenza del mediatore linguistico è richiesta nello specifico
di quei casi che evidenzino situazioni di particolare disagio o complessità tale da
non essere direttamente risolvibili dai servizi d’accoglienza.
A seguito di una valutazione dei diversi livelli linguistici dei beneficiari il
progetto prospetta due soluzioni di intervento. Per coloro che risultino avere una
competenza nulla o molto bassa della lingua italiana, vengono organizzati internamente alle strutture dei corsi di prima alfabetizzazione, gestiti dagli operatori
del progetto o da tirocinanti universitari o volontari in pensione.
In tutti gli altri casi si iscrivono i beneficiari ai corsi di lingua italiana attivati
presso le strutture dedicate all’educazione degli adulti. Per i minori, al normale
148
inserimento scolastico, si fanno seguire azioni di supporto individualizzate, sia
a scuola sia nel dopo scuola, gestite da mediatori linguistici professionisti. In
collaborazione con il Servizio Minori di Lecco, è attivo il progetto Eis-Esperienze Integrazione stranieri che garantisce interventi di mediazione culturale rivolti
proprio ai minori stranieri.
Con la finalità di offrire soluzioni formative adeguate anche ai beneficiari
adulti, in accordo con il servizio Eda, il progetto appronta percorsi di valutazione
individualizzati per la verifica dei livelli d’istruzione e delle competenze.
Servizi per l’integrazione
È a partire dal 2005 che il progetto lecchese ha sviluppato in modo più strutturato
le attività correlate al sostegno dei percorsi di integrazione:
Nei primi anni del progetto ci si limitava a gestire l’ordinario e un sistema d’assistenza,
senza badare ai fondi che invece erano previsti per il supporto all’integrazione (il fondo
di garanzia era di fatto uno strumento che andava in quella direzione). E questo ha creato
anche delle economie che adesso stiamo investendo. Non che prima mancassero tutte
le azioni di inserimento lavorativo e di ricerca alloggiativa (…) tutt’altro, ma era un
impegno semistrutturato, come qualsiasi accompagnamento e orientamento alla rete dei
servizi (…) La gestione era più informale, si appoggiava sulle reti personali degli operatori e sulle disponibilità occasionali del territorio e mancava una tracciabilità concreta
di questo impegno da poter rendicontare. Successivamente abbiamo iniziato a operare in
modo strutturato e sistematico.
Gli ospiti che hanno raggiunto un buon livello di conoscenza della lingua italiana
vengono invitati ad approfondirla e a migliorarla in corsi organizzati dall’ente
pubblico preposto all’Educazione per adulti, da altri enti formativi del territorio,
attivi grazie al supporto dei Fondi sociali europei, e da associazioni presenti nell’area provinciale (Consorzio Consolida, Arci provinciale, Bondeko, Namaste,
Les Cultures, Missionari della Consolata).
L’Area politiche attive del lavoro del Consorzio Consolida sostiene azioni di
consulenza orientativa (colloqui individuali all’orientamento, bilancio attitudinale e d’esperienza, bilancio di competenze professionali, counselling orientativo)
per la valutazione e la legittimazione delle competenze. Gli operatori dei progetti
raccolgono, tramite accordi con gli enti preposti, le offerte del territorio per la formazione professionale degli adulti. Per questo asse di interventi si attiva inoltre,
sul territorio lecchese, la rete interistituzionale per l’orientamento, la formazione
e l’accompagnamento, rivolta in particolare a giovani e minori del centro Servizi
Formativi, struttura nata dall’Accordo di programma territoriale.
149
Il Comune di Lecco ha attivato da anni il servizio Cesea e a breve, in collaborazione con il consorzio Consolida, il progetto Mentore, che costituiscono
ambiti di offerta di attività socio-occupazionali che garantiscono un lavoro tutelato, all’interno di un progetto sociale più ampio, che prevede la presa in carico
di soggetti nella transizione verso un lavoro futuro. È a questo tipo di percorso
che vengono orientati i beneficiari al termine della fase di accoglienza. Il servizio Cesea-Mentore, oltre a offrire una prima opportunità per la valutazione delle
competenze operative e trasversali dei beneficiari, opera nella direzione di sviluppare la struttura motivazionale, le capacità di tenuta del compito, l’assunzione
di responsabilità e di conoscenza dei diritti/doveri del lavoratore, sviluppare le
capacità relazionali, verificare le possibilità di accesso al lavoro attraverso stage
monitorati. Questo programma ha inoltre la possibilità di garantire una dimensione socio-occupazionale a quei soggetti che per particolari fragilità o limiti oggettivi non sono ancora pronti a un inserimento lavorativo ordinario.
Agli asilanti adulti si propone fin dal secondo mese un progetto socio-occupazionale che consenta di elaborare in forma approfondita il bilancio delle competenze operative, relazionali, motivazionali, utile, da un lato, all’individuazione
di percorsi mirati di orientamento alla formazione e all’inserimento lavorativo,
dall’altro, a cogliere le situazioni di maggiore fragilità, per l’attivazione di risposte di tutela adeguate. Questi percorsi consentono inoltre ai beneficiari di moltiplicare le occasioni di incontro e le opportunità di socializzazione e la progressiva
acquisizione di competenze trasversali che consolidano traiettorie di autonomizzazione.
Il raggiungimento di una condizione di autonomia e di capacità di orientamento rispetto al contesto permette che all’abbandono del progetto, il sistema
dei servizi territoriali si prenda in carico eventuali necessità e specifici bisogni
dell’individuo e del nucleo familiare.
Le testimonianze ribadiscono come, per quanto la provincia di Lecco continui
a garantire un certo grado di ricettività lavorativa, spesso gli inserimenti proposti ai Raru siano svalorizzanti rispetto alle loro competenze o comunque siano
percorsi non stabili e concentrati in quei segmenti del mercato del lavoro a forte
concentrazione di popolazione immigrata:
Nel passaparola c’è anche l’idea di un posto che dà molto lavoro: era anche più vero
qualche anno fa. È vero che ci sono strutture di opportunità, ma poi bisogna anche vedere
che tipo di assunzioni si fanno e se aprono a percorsi stabili. Spesso anche i servizi creano
aspettative a cui non si riesce poi a rispondere.
Anche quando si presentano casi con storie professionali e titoli di studio alti, con molta
difficoltà si riescono a valorizzare qua. Qui ti impiegano come metalmeccanico o nell’edilizia. Per le donne si trovano posti per Asa, o nel settore domestico e della cura.
150
Anche noi come cooperativa facciamo la formazione Asa, e dato che anche noi, sempre
come cooperativa, lavoriamo in questo campo, in passato riuscivamo a collocarle. Ma è
un ripiego.
Per le fasce più deboli si procede all’iscrizione al “collocamento mirato fasce deboli” della Provincia di Lecco. Il progetto, tramite la formula della borsa lavoro,
garantisce il pasto del mezzogiorno, un reddito minimo, un contesto relazionale
mediato da operatori-lavoratori e un riferimento diretto al sistema dei servizi sociali.
La casa
Per il raggiungimento graduale dell’autonomia alloggiativa dei beneficiari come
ulteriore step fondamentale del percorso di integrazione, stante le difficoltà di
accesso al mercato della locazione e della vendita della casa, il progetto ha individuato sei moduli d’intervento: il supporto degli operatori nella fase di ricerca di
un’abitazione idonea alle esigenze del beneficiario e l’assistenza e consulenza in
fase di sottoscrizione dei contratti di locazione, la facilitazione della conoscenza
e dell’accesso alle opportunità offerte dal sistema dei servizi territoriali, quali
richieste di contributo affitti, domande per l’assegnazione di alloggi in Edilizia
Residenziale Pubblica, l’erogazione di un fondo economico per la copertura delle
spese di locazione per un periodo variabile e concordato, per la manutenzione
ordinaria e l’acquisto di arredi.
Al momento dell’erogazione del fondo si concordano con il nucleo tempi e
modalità della cifra concessa, che rimarrà a disposizione della famiglia per essere reinvestita in altre spese, da concordare con l’operatore. Il progetto prevede
inoltre interventi di monitoraggio rispetto alla conduzione e alla gestione della
casa.
Per un supporto alla ricerca che possa intercettare più risorse disponibili possibili sul territorio il progetto promuove contatti sistematici con le società e le agenzie di intermediazione e vendita immobiliare del territorio. Da ultimo in coordinamento con le attività e le prospettive d’azione proposte dal Gruppo Casa della
Consulta per l’immigrazione, il progetto si pone l’obiettivo di aggiungere a un
accordo con Aler per l’individuazione di appartamenti da assegnare a beneficiati
in uscita dal progetto. Una particolare vulnerabilità sembra riguardare i percorsi
di autonomia abitativa delle donne:
Per le donne l’uscita in autonomia è più difficile. Una donna sola è difficile che trovi un
appartamento da sola. Spesso finiscono in soluzioni informali, vanno a vivere con i con151
nazionali. Una donna non prende gli stipendi degli uomini. Se poi sono donne con figli il
tutto è ancora più complesso.
La tutela
Oltre alle attività ordinarie di informazione e orientamento sulla normativa italiana ed europea in materia d’asilo, l’Accordo di programma istituisce un tavolo
tecnico in cui partecipa la Prefettura, gli enti gestori e gli enti locali del territorio
al fine di favorire una corretta informazione sulle normative.
Il servizio di orientamento e informazione legale offerto ai beneficiari, viene espletato dall’attività degli sportelli dei Servizi per l’immigrazione e per le
pratiche che richiedono consulenza legale specifica, per esempio le procedure di
ricorso, è prevista l’attivazione di collaborazioni nell’ambito del coordinamento
degli enti gestori del progetto Sprar di Caritas Ambrosiana.
Le esperienze di intervento d’accoglienza sperimentate in questi anni hanno
fatto maturare l’esigenza di specializzare la fase di ascolto con l’intervento di
mediatori linguistico-culturali, non semplicemente per sciogliere problemi linguistici, quanto per facilitare l’espressione e la rielaborazione del vissuto dei beneficiari e permettere l’individuazione più precisa delle situazioni di maggiore
fragilità. L’attivazione di un supporto psico-socio sanitario è possibile a partire
solo da questa fase di ascolto densa, un passaggio da tutelare e specializzare. I
protocolli d’intesa esistenti tra i Servizi intersistituzionali del Comune di Lecco
e la rete di servizi a valenza provinciale, in particolare i protocolli d’intesa con
il Dipartimento di Salute Mentale, con l’U.O. di Neuropsichiatria, consentono
una risposta mirata e il coinvolgimento di competenze professionali di Asl e dell’Azienda Ospedaliera, in risposta alle problematiche di salute fisica, psichica e
alla disabilità.
3.3.7 Cremona: integrarsi in famiglia
L’esperienza di accoglienza di profughi e rifugiati a Cremona ha inizio nel 1999
nell’ambito del Progetto Azione Comune. Il primo nucleo ospitato è una famiglia
kosovara e un giovane curdo iracheno.
Il Comune di Cremona venne coinvolto da un centro sociale del territorio
che avendo dato la propria disponibilità all’accoglienza di una famiglia di profughi nell’Ambito del Progetto Azione Comune, necessitava del riconoscimento dell’agibilità di una struttura appena ristrutturata all’interno di una cascina. I
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locali si erano però rivelati non a norma e non adatti a ospitare una famiglia. Il
Comune allora, non volendo negare la disponibilità data dal centro sociale a Ics,
mise a disposizione degli alloggi del suo centro di seconda accoglienza.
È stata un’esperienza pionieristica e ci si è inventati un po’ tutti. Abbiamo assunto come
operatore una ragazza del centro sociale. Ricordo le riunioni di Firenze e l’adesione al
Pna. Nel ‘99 abbiamo avuto un numero molto alto di famiglie, tutte kosovare rom, tutte
famiglie molto numerose e le abbiamo accolte al di fuori dei progetti. È stata una spesa
notevole, c’erano anche minori disabili. Poter rientrare nel Pna nel 2001 ci è sembrato,
quindi, la cosa più comoda.
Infatti tra il 1999 e il luglio del 2001, l’ente comunale, al di fuori di contesti di
programmi specifici, ha seguito l’accoglienza e accompagnato al percorso di integrazione e autonomia quattro nuclei famigliari, tutti provenienti dal Kosovo.
Nel luglio del 2001 il progetto cremonese aderisce al Pna con l’accoglienza
di sette nuclei familiari. L’esperienza è cresciuta e si è arricchita in questi anni,
modellandosi sulle specifiche esigenze che i singoli casi portavano all’attenzione
del progetto. Con una dotazione flessibile nella risposta e la capacità di attivare
sempre nuove risorse, la rete di soggetti con cui il progetto si interfaccia si è progressivamente ampliata. L’organizzazione di nuovi interventi e l’attivazione di
nuovi servizi territoriali ha permesso una copertura più specifica delle problematiche. La necessità di individualizzare e personalizzare l’intervento ha richiesto
che negli anni si perseguissero strategie di coinvolgimento di nuovi attori e che
lo staff di progetto acquisisse sempre più ruoli da cabina di regia e di regolazione
delle interconnessioni di sistema.
La gestione del progetto fa direttamente capo all’ente comunale, unico caso
nel panorama dei progetti Sprar lombardi. Il vantaggio della gestione a livello
centrale delle azioni di progetto permette l’attivazione di tutti i settori della struttura comunale che sono in grado rispondere alla diverse problematiche che si
presentano ma anche la possibilità di conoscere la distribuzione e l’allocazione
delle risorse e saper trarre vantaggio e finalizzare eventuali economie prodotte su
altri capitolati ad azioni dedicate ad altri target.
L’integrazione e l’accesso ai servizi dei nuclei familiari è sempre garantito,
anche in quelli notoriamente più difficili: l’asilo nido e il nido infanzia.
Per un’associazione questo percorso è più difficile e può incontrare ostacoli se l’ente locale non è collaborativo. Noi abbiamo la possibilità di garantire l’accesso ai servizi che fanno capo al comune senza stipulare convenzioni o senza doverci rimettere eccessivamente
al volere d’altri. Siamo un unico soggetto e come tale ci muoviamo almeno per reperire le
soluzioni che siamo in grado di garantire al nostro interno. Prima, durante il Pna, il Comune era un interlocutore legittimante la presenza di soggetti altri che sviluppavano progetti
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di gestione, oggi, con lo Sprar il comune ha acquisito un ruolo maggiore. Questo non vuol
dire che si sia preparati a tutto. Spesso gli operatori si sentono inadeguati a fronteggiare
problemi specifici ma questo è anche un deficit del sistema e delle dotazioni che mette in
circolo per far fronte ai problemi.
La gestione diretta sembra inoltre permettere una minore spesa rispetto ai costi
dell’esternalizzazione, dove pesano i costi di gestione e quelli di valutazione e di
monitoraggio delle azioni svolte in outsourcing. Ma una parte del risparmio, nel
caso del progetto cremonese, sembra anche generarsi da un turnover più lento di
beneficiari che su altri territori.
Accoglienza
Il servizio d’accoglienza mette a disposizione 3 alloggi all’interno di una struttura di seconda accoglienza. Gli appartamenti vengono consegnati ai beneficiari
completi di arredi, elettrodomestici, stoviglie e biancherie per la casa, con regolare contratto di locazione della durata di un anno e canone di affitto sociale. Un
servizio di pronto intervento gestito dal Laboratorio di Falegnameria dell’ente
locale garantisce la manutenzione ordinaria delle dotazioni. Ai nuclei familiari
ospitati viene riconosciuto un contributo economico erogato mensilmente sulla
base del regolamento comunale per gli stanziamenti di contributi economici alle
famiglie. I nuclei lo gestiscono programmando le spese della famiglia e per il
canone di locazione, mentre è l’ente ad accollarsi le spese relative a i consumi
di luce, acqua e gas e le spese sanitarie particolari, le attività di integrazione e le
spese scolastiche.
È un contributo che corrisponde a uno stipendio. Con questo, il progetto persegue l’obiettivo della loro autonomia. All’inizio li accompagniamo e li assistiamo ma progressivamente devono riuscire a fare da soli. La nostra presenza non manca soprattutto all’inizio
o, in seguito, se sorge un problema particolare e specifico.
La gestione autonoma del contributo consente una maggiore responsabilizzazione dei beneficiari nell’utilizzo, nella gestione e nella pianificazione della spesa,
permette ai genitori di riacquisire una gestione dell’economia domestica e di non
risultare passivi fruitori di un servizio, di mantenere le abitudini culinarie e alimentari, di conoscere meglio la zona di insediamento, entrare in relazione con le
persone, conoscere le offerte commerciali e orientarsi sul territorio. A partire dal
nuovo anno di programmazione si istituirà inoltre un contratto d’accoglienza per
vincolare con maggior precisione i termini e i tempi di utilizzo dell’alloggio.
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Il Comune di Cremona, da ormai quattordici anni, è dotato di uno sportello
di segretariato sociale dedicato ai cittadini immigrati che facilita, in particolare,
l’accesso ai servizi territoriali. Nella fase di accoglienza l’attività dello sportello
si integra all’intervento degli operatori del progetto che si occupano dell’accompagnamento dei beneficiari. Gli operatori dello sportello offrono inoltre orientamento e assistenza legale personalizzata durante l’iter delle diverse procedure,
per il disbrigo delle pratiche inerenti il soggiorno, il ricongiungimento familiare,
i rinnovi. Gli operatori del Servizio immigrati hanno inoltre maturato e specializzato un percorso di sostegno al ricongiungimento familiare, per le caratteristiche
di fragilità che questo passaggio possiede.
Ai nuclei ospitati è garantito il necessario accompagnamento alle unità d’offerta del Servizio sanitario nazionale, in particolare ai consultori, ai centri di neuropsichiatria infantile, al Centro di riabilitazione Motorio e del Linguaggio, al
Centro Psico-Sociale, ai servizi della medicina di base e agli altri ambulatori e
presidi ospedalieri. Per gli ospiti adolescenti si facilita l’accesso al Consultorio
Giovanile. Inoltre un supporto psico-sociale viene dagli operatori del progetto e
dagli operatori dell’area famiglia con minori del Settore affari sociali del Comune, specializzati in particolare alla tutela dei minori.
Agli ospiti viene garantita inoltre la partecipazione ai corsi di alfabetizzazione
e per il conseguimento della licenza media, organizzati sul territorio da numerosi
enti e associazioni (Caritas, Centro Eda, Acli, ecc.). Per ovviare all’assenza di
corsi nel periodo estivo o ai disagi di un inserimento degli utenti a corso avanzato,
l’ente locale ha un accordo con Caritas che garantisce la gestione di corsi di prima
alfabetizzazione nei mesi di maggio e giugno con programmazione individualizzata e concentrata in brevi periodi.
Gli utenti non frequentano tutti i giorni. Non c’è molta offerta e spesso quando arrivano a
dicembre, è molto difficile inserirli in corsi già iniziati.
È inoltre in corso di sperimentazione, nell’ambito di un progetto finanziato dal
Fondo Sociale Europeo, un modulo intensivo di 200 ore per 4 mesi per il conseguimento della licenza media.
Ai minori presenti nei nuclei viene garantita la frequenza scolastica e la possibilità di usufruire del trasporto pubblico e dei servizi di mensa, di essere inoltre
affiancati da mediatori linguistici e culturali per il supporto alle attività didattiche
svolte con l’intera classe. Si propone inoltre ai minori una vasta offerta di attività
aggregative extrascolastiche tra quelle gestite direttamente dal Comune o appaltate al privato sociale.
155
Servizi d’integrazione
Il progetto mette a disposizione dei beneficiari servizi individualizzati per l’integrazione. Alle donne, in particolare, vengono offerti dal Centro per le famiglie del
Comune di Cremona, corsi di piccola alfabetizzazione gestiti da insegnanti delle
scuole elementari potendo usufruire al contempo di servizi di babysitteraggio,
con lo scopo di insegnare la lingua delle situazioni quotidiane, per gestire i rapporti con i negozianti, con il medico, con la scuola, con approfondimenti specifici
sulle normative e per una conoscenza maggiore del territorio. Questi corsi sono
inoltre un’occasione di scambio e di confronto con altre donne e madri. Ai ragazzi adolescenti è garantito l’accesso all’Informagiovani con la possibilità di ricevere informazioni di orientamento sui percorsi scolastici e formativi, le richieste
di lavoro, la possibilità di utilizzare la connessione a internet. In collaborazione
con Il Girotondo, un’associazione del territorio, si offre ai genitori un servizio di
nido-scuola per l’infanzia flessibile che permette agli adulti di frequentare attività
di integrazione o di inserimento lavorativo e di promuovere la socializzazione dei
bambini. Il Comune, a ulteriore sostegno dei nuclei accolti, ha irrobustito il servizio di assistenza domiciliare educativa, per facilitare lo scambio comunicativo tra
genitori e figli, finalizzato da un lato, a favorire il processo di integrazione sociale
del minore anche attraverso il superamento delle difficoltà personali e familiari,
dall’altro, per il supporto alle figure parentali nel recupero delle loro risorse e
delle competenze genitoriali.
Ai beneficiari, anche sul territorio di Cremona, viene garantito l’accesso ai diversi corsi formazione e formazione professionale attivi sul territorio, organizzati
dalla Regione Lombardia attraverso il Cfp (es. aiuto cuoco, banconiere, macellaio) o dall’Enaip (Asa, Oss, parrucchiera, magazziniere, operatore d’ufficio), o
della locale Scuola edile (manovale, muratore), nonché percorsi di integrazione
sociale per donne immigrate organizzate da agenzie del territorio, corsi di formazione attivati dalle Acli per la preparazione al lavoro domestico o corsi di taglio
e cucito.
I corsi della formazione professionale sono costosi ma sappiamo che danno sbocchi lavorativi e quindi, se veniamo autorizzati dal Servizio Centrale, investiamo su questi percorsi.
Per il supporto all’attività lavorativa sono inoltre previsti percorsi multimisura organizzati dal Centro per l’impiego, che prevedono l’invio e l’accompagnamento
dei beneficiari alle agenzie interinali del territorio o presso le cooperative sociali
convenzionate. È inoltre stato possibile avviare borse lavoro tramite il Servizio
inserimenti lavorativi del Comune di Cremona. Dal 2007 si sperimentano inseri156
menti lavorativi con borse lavoro presso le cooperative sociali locali che svolgono attività di manutenzione del verde pubblico e di pulizia. Sono queste occasioni di formazione in situazione, che permettono di valutare come i beneficiari si
muovono in contesti lavorativi, per comprendere quali siano soprattutto i profili
che falliscono.
Un dato interessante sul mercato del lavoro locale e sui limiti della sua segmentazione ci viene fornito dalla responsabile del progetto:
Qui non ci sono grandi possibilità di lavorare. Ci sono numerosi posti di lavoro in agricoltura, ma gli imprenditori agricoli vogliono solo indiani. I sistemi migratori controllano
il placement dei connazionali; è un mercato saturo e ipercontrollato da questi gruppi
nazionali. Gli indiani lavorano soprattutto come bergamini. È un lavoro ben retribuito e
hanno quasi di default il vitto e l’alloggio. C’è possibilità di buone economie di scala che
poi reinvestono in attività commerciali e di ristorazione. Quindi è un mercato chiuso e
difficilmente penetrabile.
La casa
Per il sostegno alla ricerca di opportunità abitative si forniscono informazioni
rispetto alle diverse opportunità, ai tempi e alle modalità di presentazione delle
domande e di invio alle agenzie titolari del Bando semestrale di Edilizia Residenziale Pubblica. Vengono proposte ai beneficiari le diverse possibilità di presentazione delle richieste e dell’iscrizione alle graduatorie (domanda di accesso
agli alloggi in deroga alla graduatoria, domanda per l’inserimento in alloggi di
seconda accoglienza o di protezione sociale, fruizione dei contributi regionali per
il sostegno alla locazione per inquilini di alloggi privati in difficoltà socio-economica, ecc.). Le leggi regionali non lo permetterebbero ma:
Noi la domanda la facciamo fare lo stesso facendo contestualmente un ricorso contro la
legge. Se il Tar riconosce l’illegittimità magari ce la fanno.
Il Comune ha inoltre avviato una collaborazione con l’associazione dei piccoli
proprietari immobiliari Uppi per facilitare il reperimento dell’alloggio, ma con
scarso successo, per quanto a prezzo calmierato, i canoni di locazione sono risultati infatti difficilmente accessibili alle famiglie Raru.
Il mercato abitativo del cremonese oltre agli ostacoli tradizionali che caratterizzano l’accesso all’acquisto o all’affitto della casa nella nostra regione, sembra
caratterizzato da una minor offerta, confermata dalla presenza di un numero ristretto di proprietari di seconda casa.
157
Il Comune non ha un’agenzia per la casa e ha negli anni sperimentato diverse
soluzioni:
Abbiamo sperimentato con la San Vincenzo, forme di aiuto nella ricerca e nelle diverse
formule di garanzia. Ma nessuno restituiva e nessuno pagava, e la cosa non ha funzionato.
Si è inoltre costituito, con economie residue delle gestioni 2005 e 2006, un fondo
per il sostegno del primo semestre di spese sostenute dai beneficiari per l’affitto
della casa con tutti gli oneri aggiuntivi della contrattazione, degli anticipi e delle
caparre. Spesso gli operatori si scontrano con le aspettative alte dei beneficiari e
con l’impossibilità di poter ad esse realisticamente rispondere.
Integrare le famiglie: criticità e opportunità
Dalle testimonianze raccolte emerge la richiesta che i servizi invianti possano
essere il più possibile precisi e trasparenti rispetto alle reali condizioni delle persone e dei nuclei familiari. Molto spesso passaggi troppo sbrigativi all’origine
tendono a trasferire su territori non sufficientemente attrezzati situazioni molto
problematiche che non possono essere fronteggiate con gli strumenti ordinari:
È uno shock sia per gli operatori che per i servizi e si mettono a rischio gli equilibri di tutti. Spesso ci sono strutture per categorie vulnerabili che riescono a tutelare i minori perché
hanno dotazioni adatte, noi invece abbiamo appartamenti autonomi che rendono difficile
adottare alcune precauzioni e determinate accortezze. L’accoglienza delle famiglie è già
di per sé molto più problematica. Una famiglia recentemente accolta è stata riconosciuta
come vulnerabile. Fino al 2006 la maggior parte di famiglie qui era vulnerabile. Quando
arrivano le famiglie noi ne sappiamo molto poco e solo in seguito capiamo che forse
hanno delle problematiche per cui le nostre strutture non sono sufficientemente adeguate.
Alcune famiglie riconosciute come vulnerabili si sono rifiutate di trasferirsi in centri più
adatti, perché questi centri erano collocati al Sud.
Il nucleo familiare richiede una presa in carico più complessa e un’attivazione
multipla sui singoli elementi e una valutazione del progredire delle dinamiche
interne. Spesso i casi più vulnerabili non hanno piena consapevolezza del loro
stato di bisogno e rifiutano l’invio ai servizi psichiatrici territoriali. È possibile,
come è stato osservato da operatori anche di altri territori, in particolare Varese e
Brescia e come viene confermato anche da un’indagine svolta a livello nazionale,
che sussista nei servizi territoriali un approccio eccessivamente medicalizzato al
problema dell’adattamento e del trauma prolungato che i Raru vivono nel loro
158
percorso di integrazione.
Per questo il progetto del Comune di Cremona ha proposto anche per i Raru la
consulenza dell’associazione Psicologi per i popoli, affinché supportino lo staff
di operatori nella messa a fuoco delle problematiche e perché possano orientare,
in un setting più familiare e meno strutturato, i primi passaggi del processo adattativo, facendo loro accettare, laddove necessario, l’eventualità di una presa in
carico specialistica nei servizi del territorio:
Abbiamo richiesto Psicologi per i popoli, cioè un’attivazione di consulenze. Loro già lavorano con le donne immigrate per il Comune. Adesso danno un supporto agli operatori,
c’è una difficoltà all’indirizzo verso i servizi pubblici di psicoterapia. Se noi riusciamo a
fare prima un percorso con loro forse troviamo maggiore facilità all’invio.
I percorsi di integrazione delle famiglie sembrano richiedere una maggiore tutela, devono essere valutati nella loro efficacia e nella tenuta dei loro risultati nel
tempo: il fallimento di un componente del nucleo può avere effetti di ricaduta e
compromissione anche sulle traiettorie di integrazione degli altri componenti, in
particolare dei più piccoli. Inoltre i fallimenti dei percorsi di integrazione hanno
una ricaduta diretta sulla rete dei servizi territoriali e sui costi di prese in carico
prolungati molto oltre i tempi previsti dai progetti:
Quando falliscono le integrazioni, noi creiamo delle emergenze sul territorio, lavoriamo
in condizioni delicatissime e non possiamo permetterci di sottovalutare niente. Quando
falliscono i percorsi, rimane a noi la presa in carico dei soggetti dentro le reti dei servizi
territoriali, oppure siamo noi a dover attivare inserimenti costosissimi in comunità per
donne e per minori.
3.3.8 Lodi
Il progetto territoriale “Per il diritto di asilo in Lodi” di cui il Comune di Lodi è
titolare e di cui l’associazione Lodi per Mostar Onlus rappresenta il coordinatore
e responsabile della gestione completa del progetto è attivo dal giugno del 2001.
Sulla spinta e l’indirizzo progettuale di questa associazione, aderente alla rete del
Consorzio Italiano di Solidarietà, costituita da insegnanti del territorio lodigiano,
ha inizio nel 2000 il processo per la definizione del progetto che ebbe il pieno
avallo da parte dell’Amministrazione Comunale e confluì nel Programma nazionale asilo a partire dal giugno del 2001.
Il forte impegno dell’associazione proponente nell’ambito della cooperazione,
del sostegno umanitario e della promozione delle reti di società civile presso le
159
comunità della ex Jugoslavia, è alla base della relazione di Lodi per Mostar con
Ics.
A fronte dell’arrivo in Italia e in Lombardia di un numero crescente di singoli
e soprattutto di nuclei familiari dalle aree della ex Jugoslavia, in corrispondenza
delle crisi politiche protrattesi per tutti gli anni Novanta, Lodi per Mostar ha
maturato l’esigenza di reinterpretare la propria azione, concentrando sforzi ed
energie nella valutazione di una possibilità di intervento diretta sul territorio lodigiano:
Ci sembrava un controsenso portare aiuti là e non intervenire con aiuti qua e quindi abbiamo iniziato un’azione qua nei confronti delle famiglie che fuggivano dalla ex Jugoslavia
e poi a seguito della crisi kosovara, con un incremento del flusso di migranti e richiedenti
asilo o protezione di vario tipo. Prima del Pna ci si muoveva più nell’ordine di un sostegno alle pratiche legali e amministrative e in modo informale e non strutturato si cercavano sistemazioni presso amici o nella rete delle associazioni che si conoscevano, era
un’attività precaria e lo era per tutti. Si voleva aiutare, ci si trovava sul territorio persone
da gestire ma senza un’organizzazione competente e delle economie. La Prefettura sistemava le famiglie negli alberghi e poi ci si impegnava a cercare un’altra collazione con
un esborso di risorse notevole e spesso in situazioni emergenziali e con fatiche logistiche
inimmaginabili soprattutto per il Comune, per questo, appena è nato, si è aderito al Pna.
L’adesione al Consorzio italiano di solidarietà prima e l’inserimento del progetto
nel Pna a partire dal 2001 ha offerto la possibilità di un coordinamento e di una
strutturazione delle attività di accoglienza e di tutela.
Gli enti coinvolti
Il progetto Sprar vede la collaborazione del comune di Lodi con associazioni del
privato sociale del territorio tra le quali Lodi per Mostar è identificata come ente
gestore: la Casa dell’accoglienza maschile “Luigi Savaré”, la Casa dell’accoglienza femminile “Rosa Gattorno”, la Cooperativa Sociale “San Nabore e San
Felice”, l’Associazione “Progetto Insieme”.
L’accoglienza
I servizi d’accoglienza sono destinati prioritariamente ai richiedenti asilo presenti
sul territorio locale e nazionale ma anche – sulla base delle specifiche richieste
avanzate dal Sistema Centrale – alle altre categorie di beneficiari ammessi (rifugiati e titolari di permessi di soggiorno per motivi umanitari).
160
Il primo step ineludibile delle prestazioni d’accoglienza è rappresentato dalla
fornitura di vitto, alloggio, vestiario e un pocket money differenziato sulla base
dei diversi profili di beneficiari (singoli, soggetti vulnerabili e nuclei familiari).
Le risorse utilizzate per l’accoglienza sono, per gli uomini, la Casa di accoglienza maschile “Don Luigi Savaré”, per le donne la Casa di accoglienza femminile “Rosa Gattorno”, dislocate in prossimità del centro cittadino. Questa collocazione permette che i beneficiari non rimangano isolati dal resto della comunità
locale e che nel loro tragitto quotidiano possano prendere facilmente confidenza
con il contesto locale e con le risorse allocate nel centro cittadino. La struttura
collettiva maschile, di proprietà della diocesi di Lodi, è gestita dalla Cooperativa
Migrantes e dalla Parrocchia del Duomo, la struttura d’accoglienza femminile è
di proprietà dell’Istituto Figlie di S. Anna e gestita da personale laico e religioso.
Il personale delle due strutture si coordina costantemente con le operatrici del
progetto e con le assistenti sociali del Comune.
Ogni struttura prevede, sulla base di un regolamento interno disponibile nelle
lingue dei paesi d’origine dei beneficiari, che l’utente sottoscriva un contratto
d’ingresso.
Oltre alle strutture collettive, che rappresentano perlopiù le risorse per l’accoglienza dei migranti singoli, sono a disposizione del progetto tre appartamenti:
uno affittato attraverso l’agenzia immobiliare “Target”, il secondo di proprietà
dell’associazione “Progetto insieme” e, da settembre 2007, un terzo appartamento di proprietà del comune di Lodi.
Gli operatori del progetto lodigiano forniscono assistenza lungo tutto l’iter
della procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato, per il rinnovo del
permesso di soggiorno per richiesta d’asilo o per motivi umanitari. Anche in questa fase, per singoli segmenti di prestazione, il progetto si avvale della collaborazione di agenzie e di competenze aggiuntive: per la compilazione dei referti
medici, ad esempio, il progetto si avvale dell’esperienza e specializzazione dell’Ambulatorio Naga di Milano e delle strutture mediche pubbliche del territorio,
per l’assistenza legale, di un servizio aggiuntivo messo a disposizione del Comune, lo Sportello per richiedenti asilo e rifugiati con la collaborazione della legale
dello Sportello stranieri del Comune, sempre gestito dall’associazione Lodi per
Mostar:
Lo sportello ci permette di entrare in contatto anche con quegli asilanti che non sono
seguiti dal progetto. Se dovessi quantificare, credo si possa trattare di una ventina di
persone.
Tra i servizi dedicati alla tutela vengono erogate dallo Sportello tutte le prestazioni che rientrano nell’ambito dell’informazione sulle normative che in Italia e in
161
Europa vigono in materia d’asilo, istituito dal Settore politiche sociali del Comune di Lodi che opera in modo congiunto e in stretta sinergia con la Questura.
Gli operatori del progetto forniscono informazioni e supporto all’accompagnamento legale, collaborando in stretta sinergia con i consulenti legali dello
Sportello stranieri del Comune e dello studio legale Sari-Malaraggia, partner di
progetto, per tutti i casi che necessitano di un supporto di avvocati esperti.
Risulta fondamentale per questa attività il coordinamento costante e la tempestività delle comunicazioni che intercorrono tra le operatrici del progetto e la
Questura.
Abbiamo una macchina burocratica complessa, da comprendere e da far funzionare, sia
per noi, sia per le persone che arrivano da altri contesti e paesi. Spesso, anche tra i richiedenti asilo e nel passaparola delle reti di connazionali si creano – come possiamo definirle
– delle vere e proprie correnti di pensiero rispetto sull’importanza di alcuni documenti
rispetto ad altri, e spesso si fa fatica a smontare questi presupposti. In questi casi ci accorgiamo quanto sia importante costruire delle reti di fiducia solida nella relazione con i
beneficiari. La carta d’identità, ad esempio, non è un documento di particolare valore dal
punto di vista locale, ma per alcuni diventa il documento base, più importante ancora del
permesso di soggiorno. C’è il bisogno di spiegare quale sia il valore reale.
Il Settore Politiche Sociali del Comune mette inoltre a disposizione del progetto
lo staff di interpreti di diverse lingue.
Le attività si svolgono per lo più nella forma dell’accompagnamento, è infatti
importante perseguire progressivamente l’autonomia e la capacità gestionale dell’utenza e la sua consapevolezza rispetto ai diritti e doveri.
La casa
Le associazioni del territorio, Target e Progetto insieme, supportano l’ente gestore per gli aspetti legati ai bisogni alloggiativi dei beneficiari anche al termine
del percorso. La difficile penetrabilità del mercato immobiliare, una sostanziale
diffidenza da parte delle agenzie di intermediazione immobiliare e dei piccoli
proprietari ad affittare a utenza straniera, rappresentano uno dei principali ostacoli con cui i beneficiari si scontrano alla scadenza del progetto. L’erogazione
del contributo-alloggio prevista dal progetto è in questa direzione una misura che
aiuta a calmierare parzialmente l’impatto della spesa per l’ingresso del beneficiario nel mercato della locazione e a reggere l’alto esborso iniziale costituito dagli
anticipi di mensilità richieste.
Le difficoltà maggiori sono vissute dai nuclei familiari, mentre soluzioni al162
loggiative temporanee vengono più facilmente trovate da soggetti soli, che più
agilmente trovano appoggio nelle reti di connazionali o presso altri immigrati.
Per quanto si siano, nel tempo, attivate sinergie territoriali finalizzate al sostegno
della ricerca dell’alloggio e della concessione dei mutui (in particolare tramite
l’Agenzia immobiliare Target e Fanfulla Case) il dato di difficoltà rimanda a una
condizione strutturale del mercato immobiliare che non investe solo il territorio
lodigiano, ma che caratterizza l’intera area regionale:
Noi abbiamo un sistema preciso e con il contributo alloggio risolviamo alcuni degli ostacoli all’accesso. Qui le case ci sono, anche se l’offerta di edilizia pubblica è scarsa e difficilmente accessibile, date le norme restrittive e, a mio avviso, discriminanti note a tutti.
Ma le case ci sono e i fondi previsti dal progetto ci permettono di pagare la cauzione e le
prime mensilità. Questa è una misura che si è rivelata molto efficace e questa soluzione
dovrebbe essere estesa anche ad altre categorie.
Se anche l’inserimento alloggiativo va a buon fine i Raru arrivati a Lodi tendenzialmente decidono di fermarsi.
Nella testimonianza dei responsabili del progetto viene enfatizzata la potenzialità per l’integrazione rappresentata da territori caratterizzati da insediamenti
medio-piccoli, in cui persistono legami comunitari e in cui i numeri di presenze
di stranieri, rispetto all’area metropolitana o ai centri urbani, sono comunque
contenuti:
In genere si fermano, si radicano dove hanno trovato accoglienza. Lodi è una piccola città
ed è più facile costruire legami, conoscenze, Milano offre di più, ma ti lascia più isolato.
Spesso vogliono rimanere addirittura nello stesso quartiere dove hanno costruito reti di
vicinato e condizioni di convivenza positive.
Con le stesse modalità e con lo scopo principale di promuovere l’acquisizione
d’autonomia di gestione delle risorse primarie e le competenze di accesso alla
rete dei servizi territoriali. Un programma di accompagnamento individuale e/
o collettivo viene predisposto dalle operatrici per ogni singolo beneficiario, in
particolare per l’apprendimento delle modalità di gestione dei rapporti di convivenza nel nuovo contesto di arrivo, l’apprendimento del sistema di regole e per
la gestione delle proprie risorse finanziarie, in termini di spese e di risparmi. Le
attività di segretariato sociale svolte dagli operatori garantiscono al beneficiario
l’opportunità di conoscere e orientarsi tra le diverse opportunità e servizi che il
territorio offre loro, capacitandoli a una maggiore autonomia e a costruire le premesse per traiettorie di integrazione meno fragili e precarie.
I beneficiari vengono immediatamente iscritti al Servizio sanitario nazionale.
Oltre quindi all’assegnazione del medico di base, sono a disposizione dei bene163
ficiari del progetto di Lodi i servizi erogati dall’Azienda Ospedaliera di Lodi e
dall’Azienda sanitaria locale in qualità di partner.
Con quest’ultima stiamo perfezionando un protocollo secondo il quale chi arriva possa
avere subito uno screening di ingresso, perché comunque passa del tempo prima di avere
il permesso di soggiorno, il codice fiscale, l’assegnazione del medico di base. È un iter
che richiede tempo, e per questo vogliamo fare un protocollo di intesa operativo immediato, affinché entro due o tre giorni le persone possano conoscere nel dettaglio gli eventuali problemi sanitari. Con il duplice scopo di non trascurare eventuali problematiche di
salute e di indirizzare; nell’immediato, i beneficiari verso percorsi di cura adeguati per
una tutela loro delle problematiche di salute.
L’assistenza psicologica è in prima istanza garantita da una psicologa che è in
staff al nucleo operativo del progetto e quando le situazioni lo richiedono collabora con il Cps locale e con associazioni specializzate in interventi di etno-psicologia come le associazioni Naga-Har e Terrenuove.
Il progetto si avvale, inoltre, di mediatori preparati da specifici corsi di formazione promossi dalla Provincia di Lodi con la collaborazione del Comune e
della Cooperativa “Il Mosaico” che attraverso stage presso il progetto, ha formato
alcuni mediatori specificatamente per la relazione con i beneficiari. Sono spesso
questi ultimi, una volta usciti dal progetto, a svolgere mansioni retribuite di interpretariato e mediazione linguistica.
Corsi di alfabetizzazione, orientamento sociale e supporto alle scelte scolastiche
La sensibilità dell’ente gestore, composto per lo più da insegnanti, all’ambito
della formazione e dell’istruzione, fa sì che una particolare attenzione venga
dedicata all’inserimento dei beneficiari in corsi di alfabetizzazione per adulti
e accompagnamento all’inserimento scolastico dei minori, con una particolare cura nella valutazione delle competenze. I corsi di lingua italiana per adulti
vengono erogati dal Centro Territoriale Permanente dell’Istituto Comprensivo
Cazzulani per i mesi coperti dal calendario scolastico. Questo dato risulta problematico nella misura in cui i corsi non sono più fruibili a partire dai mesi di
febbraio e marzo. Per questo motivo nei mesi non coperti è l’ente gestore Lodi
per Mostar, tramite docenti specializzati nell’insegnamento dell’Italiano L2 che
offre corsi di lingua italiana ed educazione civica direttamente presso le strutture
d’accoglienza.
164
Servizi d’integrazione
I beneficiari possono usufruire dell’inserimento scolastico diretto oppure partecipare a una serie di iniziative coordinate dall’Istituto sperimentale statale “Maffeo
Vegio” che mette in rete nove istituti superiori del territorio lodigiano con la
finalità di promuovere spazi di incontro e laboratorio interculturale. I beneficiari
possono anche accedere alla sportellistica specializzata per la consulenza psicosociale e per la comunicazione con i genitori. Il Ctp Cazzulani offre oltre ai corsi
di prima alfabetizzatone anche corsi di perfezionamento della lingua italiana, corsi annuali e biennali per il conseguimento del diploma conclusivo del primo ciclo
d’istruzione e corsi post-diploma di informatica e di inglese.
Nei limiti dell’offerta e delle possibilità concrete d’accesso ai corsi di formazione offerti dal territorio, per la valorizzazione di competenze scolastiche e di
esperienze professionali pregresse.
Si fa un bilancio delle competenze, si fanno dei colloqui per capire quali siano stati i
loro percorsi formativi e i trascorsi lavorativi, per aiutarli a orientarsi nell’offerta e per
trovare collocazioni che li soddisfino. Anche se non è per nulla facile. Li orientiamo a
corsi di formazione. Li aiutiamo a fare la patente. Cerchiamo di fare seguire alla lingua
qualcosa che li professionalizzi. Non è sempre facile indirizzarli nemmeno a un corso
professionale. È davvero complicato entrare in un corso professionale, sono molto costosi, sono molti iniqui all’accesso, chiedono la licenza di terza media, diventa tutto molto
complesso.
Scuole per adulti ce ne sono poche, chiedono documentazione dei percorsi scolastici precedenti che non possiamo fornire e questi sono spesso i criteri d’ammissione anche a
corsi liberi, quindi, in generale, è sempre difficile accedere. Un colombiano ha fatto un
corso d’alta moda a Milano e adesso lavora là. Tutto dipende molto anche dalle risorse di
partenza. Lodi non ha nemmeno un’offerta così ampia di corsi. In più i beneficiari hanno
spesso bisogno di fare corsi brevi e lavorare da subito. Poi è molto difficile che i corsi abbiano calendari così flessibili da adeguarsi ai periodi di arrivo dei beneficiari. Iscriviamo
al centro per l’impiego chi può lavorare da subito o appena possono lavorare. C’è spesso
anche una collocazione lavorativa gestita direttamente dalle reti di connazionali.
Qui trovano lavoro soprattutto nei centri di stoccaggio della logistica e di immagazzinaggio per la grande distribuzione, alcuni trovano lavoro nell’edilizia e in servizi vari. Le
donne trovano anche più facilmente lavoro ma soprattutto per l’assistenza agli anziani,
24 ore al giorno, il che non è una situazione felice, non hanno tempo di andare a scuola,
di guardarsi intorno, sono segregate nelle famiglie con gli anziani. Per le donne che hanno
figli è più difficile perché devono conciliare il lavoro di accudimento degli anziani con
quello dei propri figli. Devono trovare un lavoro dal mattino alle 16.30 quando i bambini
tornano da scuola, ed è difficile trovare un lavoro compatibile con gli impegni familiari e
il lavoro di pulizia la notte o il badantato risulta incompatibile.
165
La tutela
Il progetto è inoltre attrezzato per la tutela dei beneficiari vulnerabili, in particolare di donne vittime di tratta e di violenza, che richiedono rispetto ad altre
situazioni ed esperienze traumatiche, prestazioni di natura specialistica e programmi individualizzati di sostegno. Questi programmi servono inoltre ad aiutare
le beneficiarie al racconto della loro esperienza in vista del colloquio presso la
Commissione territoriale e per sostenerle in un progressivo e graduale recupero
di una condizione di benessere psico-fisico. Su questo preciso segmento di intervento il progetto, oltre alla messa in campo di programmi mirati predisposti
dalle professionalità dell’ente gestore, è in grado di coordinare in modo integrato,
sulla base dei bisogni specifici rilevati, un network consistente di collaborazioni,
con le risorse specialistiche e la strumentazione ospedaliera del Centro psicosociale dell’Azienda ospedaliera di Lodi o dell’Asl provinciale, con le agenzie
esperte nell’intervento in ambito medico e psicologico dedicato a richiedenti asilo e rifugiati (Naga-Har e Terrenuove di Milano), con gli apporti di consulenza,
supervisione e formazione dell’Unità Psico-sociale Oim e con Ics, con la finalità
di sviluppare protocolli di intervento congiunti e coordinati con altre realtà della
rete che operano con soggetti vulnerabili. Affinché l’intervento di diverse realtà e
figure non risulti ulteriormente disorientante per soggetti già deboli, saranno gli
operatori dell’ente gestore a curare con la loro presenza e l’impegno all’accompagnamento la percezione di un intervento organico.
3.4 Traiettorie di relazione con i servizi: ostacoli e risorse. Il punto di
vista degli asilanti2
Per quanto il focus del presente rapporto fosse incentrato sulla ricostruzione delle
caratteristiche di un’ampia sezione della rete dei servizi per Raru sul territorio
lombardo, si è deciso di raccogliere tramite interviste qualitative semistrutturate
alcune storie di vita di asilanti, finalizzate in particolare alla ricostruzione delle
relazioni che essi definiscono con i servizi territoriali nel loro primo periodo di
residenza a Milano.
Dal momento che la ricostruzione del punto di vista dei beneficiari dei servizi
Sprar in Lombardia è parzialmente e indirettamente ricavabile nei suoi aspetti
problematici e nei suoi punti di forza dalle testimonianze degli operatori e degli
Il presente paragrafo è stato redatto in collaborazione con la d.ssa Eleonora Lecchini, collaboratrice di Synergia e la d.ssa Viviana De Luca, Associazione Naga Onlus.
2
166
enti gestori raccolte nei precedenti capitoli, si è voluto in questo affondo qualitativo privilegiare l’esperienza di rifugiati, richiedenti asilo e titolari di protezione
umanitaria che non avessero beneficiato dei servizi di protezione e integrazione
del Sistema. Si è inoltre scelto di raccogliere queste storie sul territorio della città
di Milano, meta privilegiata dai flussi di asilanti che raggiungono la regione Lombardia, in considerazione del fatto che le informazioni ricavabili da queste traiettorie potessero in qualche misura illuminare alcuni degli aspetti che connotano
le dinamiche di insediamento e accoglienza di buona parte dei Raru che vivono
nella città di Milano o che vi risiedono per un certo periodo.
L’esperienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati sul territorio milanese non è
chiaramente identica per tutti. Ognuno vive la propria, personalissima, vicenda
umana, con le proprie capacità e a partire dal profilo specifico del proprio capitale
umano, culturale, sociale e utilizzando le risorse che trova nella società d’accoglienza, o al contrario supplendo alla loro mancanza, attraverso mezzi e strategie
sue proprie. Sebbene le interviste da noi condotte non abbiano la pretesa di rappresentare l’esperienza di vita di un’intera categoria di persone, tuttavia possono
aiutare a ricostruire alcuni degli aspetti salienti che caratterizzano i percorsi di
primo insediamento dei Raru sul territorio lombardo, e di esemplificare alcune
delle strategie messe in atto per la soluzione dei problemi relativi all’alloggio,
al lavoro, alla formazione, nei primi mesi di approdo in città. Per questo si sono
intervistate solo persone arrivate a Milano nell’ultimo anno (2007).
La fiducia nell’intervistatore e la condivisione delle modalità dell’intervista è
stata la condizione necessaria affinché la dimensione intima e personale dell’intervistato prendesse spazio nel suo racconto. Dato il focus specifico dell’analisi,
si è deciso inoltre di articolare l’intervista sugli aspetti maggiormente attinenti
alle dinamiche di vita del presente, evitando in questo modo di costringere gli
intervistati a rievocare un passato spesso traumatico. Le modalità e le finalità
dell’intervista, sono state preannunciate alla persona nel momento del contatto e
sono sempre state ribadite e maggiormente dettagliate all’inizio delle interviste.
Ad esclusione di un caso, tutti gli intervistati hanno accettato di essere registrati, permettendo così lo svolgersi scorrevole della conversazione e di garantire
una ricostruzione fedele della narrazione. L’unico elemento di difficoltà è stato
rappresentato dalla lingua: la conduzione delle interviste nella lingua veicolare
(inglese, francese, italiano) non ha sempre permesso una comprensione chiara
delle domande ma soprattutto una libertà di espressione e una complessità di
comunicazione da parte degli intervistati.
Si è inoltre deciso di riportare anche brani di testimonianza degli operatori,
laddove alcuni di essi risultassero un rispecchiamento, un chiarimento, un approfondimento delle esperienze raccontate dai Raru.
167
3.4.1 Percorsi e progetti migratori: traiettorie in costruzione
Quali sono le determinanti che modellano il percorso migratorio dell’asilante?
Quali sono le risorse e le strategie che durante il viaggio permettono l’accesso
alle informazioni e possono orientare le traiettorie?
La causa scatenante la partenza è nella maggior parte dei casi un evento traumatico che deflagra improvvisamente e che spinge alla fuga (aspetto che, come si
diceva, non è stato indagato durante l’intervista), la costruzione del percorso migratorio non segue pianificazioni lineari, conosce spesso ritorni al paese e nuove
fughe, può durare anni, fino all’occasione casuale o cercata (e lautamente pagata)
di raggiungere il continente europeo. Se è vero, in termini generali, che l’asilante
rispetto al migrante “economico” ha gradi di definizione bassa o inesistente del
proprio progetto migratorio e in molti casi non condiviso con le reti familiari o
con altri componenti delle catene migratorie già dislocate nei paesi di approdo e
non ha da subito neppure precisamente messo a fuoco la destinazione della sua
fuga, è altresì vero che la durata dei percorsi, l’incontro con persone che condividono la sua stessa esperienza di fuga, la raccolta di informazioni e indicazioni che
avviene durante il viaggio, contribuiscono all’elaborazione di alcune strategie e
all’approntamento di risorse che permettono, in alcuni casi, almeno la messa a
fuoco di passaggi intermedi del percorso, in altri, di individuare con precisione la
meta e di orientare le prime aspettative.
Sì, quando ho lasciato la Guinea, il mio paese, e sono andato in Mauritania, ho passato più
o meno due mesi là, poi sono andato in Libia, a Tripoli. Sono rimasto lì quasi un mese; là
ho preso contatti con un passeur che mi ha fatto entrare in Italia; mi ha fatto arrivare fino
a Genova e il viaggio è durato più o meno 10 giorni.
Sicuramente il profugo parte perché si trova in una situazione critica e sarebbe molto più
contento di restare nel suo territorio e fare il suo lavoro lì, senza la necessità di partire per
venire qua. Però, se penso che i viaggi possono durare anche tre anni allora lì il progetto
migratorio nasce perché sia la partenza che l’arrivo nei Paesi di destinazione, non sono
poi così improvvise. Per esempio ora abbiamo nel nostro progetto molti eritrei che sono
partiti due anni fa da casa, perché prima di arrivare in Italia si sono fermati in Sudan per
lavorare e poi in Libia perché dovevano racimolare i soldi per poter attraversare il mare
(…) quindi è vero che la differenza tra profugo e migrante economico sta nel fatto di
essere costretto a partire, ma questo non esclude il fatto che si possa progettare durante
il viaggio e soprattutto, uno dei denominatore comuni è il fatto di avere una famiglia alle
spalle e sicuramente parte di quello che ricevono lo inviano alla famiglia: sono loro che
devono riscattare chi è rimasto.
Se da una parte il richiedente asilo gode formalmente di tutela internazionale, de
facto è spesso costretto nel momento della fuga a ricorrere ai canali illegali di im168
migrazione approntati dalle organizzazioni criminali3. L’ Unhcr negli ultimi anni
ha implementato diverse azioni di tutela dei richiedenti asilo che giungono in
Nord Africa per imbarcarsi verso l’Europa (Unhcr, 2007c), tuttavia la questione
dei flussi migratori misti (composti da soggetti la cui migrazione è sia volontaria
sia involontaria) rimane un aspetto specifico delle migrazioni verso l’Europa a
seguito del Trattato di Schenghen e la comunanza di percorsi produce non solo
una sovrapposizione dei diversi profili di migranti a livello di rappresentazione
sociale diffusa, ma nei fatti e nelle dinamiche concrete dei processi migratori,
determina una condivisione di risorse informative tra i diversi attori del percorso
(migranti, asilanti, passeur, reti diasporiche), un’elaborazione comune di strategie
di ingresso e uno sviluppo ulteriore della progettualità migratoria di ciascuno.
Sono venuto direttamente qui, a Milano, perché a Genova sentivo che tutti parlavano di
Milano e allora mi hanno consigliato di venire a Milano perché è una grande città e si può
trovare tutto. Genova è una città piccola e così ho avuto la fortuna di venire a Milano.
Nella mia testa c’è sempre stata Milano, anche in barca mi hanno consigliato di venire a
Milano perchè si possono incontrare molti africani che mi potevano aiutare. È per questo
che sono venuto qui.
Le informazioni sui differenziali di opportunità dei diversi territori italiani possono essere reperite direttamente nel paese d’origine, veicolate dai mezzi di comunicazione di massa che inducono a una pre-socializzazione al contesto di approdo
fondamentalmente immaginaria, ma che può funzionare da spinta motivazionale
e agire in profondità nella definizione delle aspettative.
Sì, quando ero in Africa ho sentito molto parlare di Milano e quindi sono venuto qui.
Avevo informazioni solo sullo sport, sul calcio: Milan, Inter (…) io quando ero nel mio
paese ero un giocatore di calcio.
In altri casi, il processo migratorio in direzione dell’Italia e dell’Europa si struttura sugli assi dei percorsi di fuga di chi li ha preceduti. È il caso delle comunità
storiche di asilanti provenienti dal Corno d’Africa o dei curdi che operano da
catena migratoria o meglio da rete diasporica di contatti familiari e amicali che
veicolano informazioni sui contesti d’insediamento e, permettono a chi fugge
3
“I richiedenti asilo e i rifugiati possono utilizzare le stesse modalità di spostamento delle migrazioni irregolari e fare ricorso o essere sfruttati da organizzazioni criminali. In alcuni casi i rifugiati
possono utilizzare questi canali per lasciare un paese d’asilo e muovere verso un’altra destinazione
per ragioni di sicurezza, per gravi difficoltà sociali od economiche, o per vantaggio personale. Nello
stesso tempo, migranti che non possiedono le caratteristiche per beneficiare della protezione internazionale possono ricorrere ai canali dell’asilo nella speranza di ottenere la possibilità di risiedere
temporaneamente o di stabilizzarsi all’estero” (Iom, Unhcr, 2001).
169
di conoscere la direzione da dare al percorso, in molti casi individuando l’Italia
come semplice area di passaggio verso la Germania e altri Stati del Nord Europa,
dove risiedono i collettivi più consistenti di propri connazionali.
Nei casi in cui la fuga sia resa possibile dal supporto di un’organizzazione
umanitaria o da un’associazione per i diritti umani nel paese d’origine è possibile
che, per quanto l’asilante non conosca nulla del paese di destinazione, al suo arrivo trovi persone ad accoglierlo, pronte a offrire lui una primissima ospitalità e un
orientamento successivo alla rete dei servizi:
Sono partito dal Benin. Sono venuti a prendermi (…) la Commissione togolose dei diritti
dell’uomo. Abbiamo passato clandestinamente la frontiera fino al Ghana e da lì ho preso
l’aereo (…). Quando sono arrivato ero con un uomo che lavora per i diritti dei rifugiati
in Ghana, lui mi ha accompagnato fino a Malpensa, mi ha fatto uscire dall’aeroporto. Lì
ha chiamato una donna per farmi portare a casa. Dopo tre giorni la donna mi ha portato
alla Questura per fare domanda (…) la donna mi ha detto che ora che mi avevano dato
un piccolo pezzo di carta mi dovevo sbrigare a trovare un posto dove dormire (…) sono
andato alla centrale per vedere se trovavo qualcuno che mi poteva aiutare.
Sebbene alcune strategie migratorie e percorsi intrapresi dagli asilanti possano
sovrapporsi a quelle delle migrazioni volontarie e veri e propri progetti migratori progressivamente strutturarsi durante il viaggio, tuttavia il trauma dalla fuga,
l’impossibilità del ritorno, o la paura del ritorno in caso di diniego, la lontananza
delle reti familiari e spesso la mancanza di notizie sul loro stato di salute, sono
tutti elementi che concorrono a definire la maggiore fragilità e problematicità del
profilo dell’asilante e a caratterizzare alcune delle sue richieste e delle modalità
di relazione con i servizi:
Pensare al raggiungimento di una autonomia – da parte loro – nel breve tempo è impresa
improponibile, anche per il verificarsi di scompensi: a percorsi avviati con entusiasmo e
tempestività si affiancano momenti di “cortocircuito”, sconforto, disagio psichico. È necessario tenere in debito conto il reale dramma della distanza e della perdita affettiva; una
donna che proviene da altri luoghi sa che può tornare a vedere la sua famiglia, la donna
costretta all’esodo forzato vive il dramma di un distacco affettivo purtroppo incolmabile
per lunghi periodi.
3.4.2 Informazioni a cielo aperto
Oltre alle risorse informative che contribuiscono a modellare le traiettorie migratorie durante il viaggio, l’asilante ha poi bisogno di intercettare nuove risorse
informative nel paese d’approdo. Egli riceve generalmente le prime indicazioni
170
relative alla domanda d’asilo ai valichi di frontiera. Dal 1° marzo 2006 l’ Unhcr,
l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e la Croce Rossa Italiana (Cri) hanno creato un presidio fisso a Lampedusa. Il progetto Presidium I,
finanziato dal Ministero dell’Interno e dal programma Argo dell’Unione europea,
ha appunto lo scopo di dare informazioni e assistenza legale, in particolare sull’asilo, e garantire l’accesso ai servizi a coloro che sbarcano sull’isola. Presso
l’aeroporto internazionale di Malpensa, in applicazione del decreto legislativo
30 maggio 2005, n.140 in “Attuazione della direttiva 2003/9/CE che stabilisce le
norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli stati membri”, è
attivo l’Ufficio informazioni immigrazione e asilo, la cui azione è stata descritta
nei precedenti capitoli.
Chi arriva a Sud, dopo una prima fase di accoglienza o dopo un periodo di
tempo trascorso nei centri d’identificazione, parte verso Nord, dirigendosi verso
le grandi aree metropolitane di Roma e Milano, seguendo le traiettorie tradizionali delle migrazioni economiche, alla ricerca di opportunità lavorative e alloggiative. Le testimonianze raccontano di percorsi verso Nord attivati con estrema
consapevolezza, mobilitando addirittura le famiglie al paese per l’invio di denaro
per finanziare il viaggio di risalita verso l’area metropolitana milanese.
Quando ci hanno dato il permesso di soggiorno, il personale di Trapani ci ha detto che
adesso era finita e che potevamo andare in città. Allora noi abbiamo chiamato i genitori
nel nostro paese per avere un po’ di soldi per venire a Milano.
Chi arriva a Varese trova solitamente una prima collocazione nel sistema d’accoglienza territoriale oppure viene inviato ad altri nodi della rete nazionale. Chi ha
contatti con connazionali o altre reti su Milano spesso si sposta verso la città.
Milano è la meta iniziale, spesso non definitiva. Sono cresciuti, nel corso degli
anni, i Raru che dopo qualche tempo, lasciano l’area metropolitana spostandosi
in aree limitrofe alla ricerca di condizioni migliori o raggiungendo gruppi di connazionali insediati negli altri centri urbani capoluoghi di provincia, non sempre
con esiti positivi:
Inizialmente il luogo di coagulo è Milano. La presa di coscienza di una realtà diversa dalle
aspettative create, e la presa di coscienza della presenza di connazionali, genera sovente
il fenomeno della mobilità te rritoriale. La ricerca di lavoro e di accoglienza alloggiativa
spinge le persone immigrate a identificare luoghi più accessibili rispetto a quelli che si
vivono nelle metropoli.
Non so cosa fare adesso, restare a Milano è difficile. Io vorrei andare fuori ma anche fuori
Milano è tutto uguale. Sono stato a Torino, Brescia, Bergamo, tutte uguali! Tutte hanno un
problema con la casa: io sono andato a Brescia per trovare casa, ma anche lì dormi fuori.
171
A Milano per tutti il primo punto di riferimento è la stazione Centrale, primo
luogo che accoglie gli arrivi in treno da Sud e luogo di ritrovo anche per gli immigrati presenti da più lungo tempo in città: è un centro di incontri e informazioni
preziose per chi ha bisogno di orientarsi in città per il primo periodo e conoscere
le possibilità offerte dalla città per un letto, un pasto caldo, un lavoro:
All’inizio conoscevo solo la Centrale. Quello era il centro per me, conoscevo solo quello!
Oltre alle reti informali, per chi arriva in stazione Centrale nei mesi in cui è attivo
il Piano freddo, è il Centro aiuto a fornire le indicazioni sui dormitori attivi in
città per tutto il periodo invernale, quando le strutture ricettive aumentano in tutta
la città, cercando di rispondere all’impennata delle richieste. Un altro luogo di
riferimento più volte citato dalle testimonianze raccolte è lo Sportello profughi di
via Barbino, che verifica la disponibilità di posti presso le strutture di accoglienza
e gestisce gli invii, offre inoltre orientamento rispetto ai servizi disponibili in
termini di mense, scuole e assistenza legale. Altro punto di riferimento per i neoarrivati è il Naga-Har che, oltre a essere un centro diurno a disposizione dei Raru,
offre orientamento rispetto ai servizi esistenti, le mense, l’alloggio, le scuole
d’italiano, i corsi professionali, i servizi di orientamento al lavoro, le biblioteche.
Presso il Naga-Har gli asilanti trovano tutte le informazioni sulla procedura d’asilo, l’iscrizione al Ssn, e un servizio legale incaricato di valutare i casi di diniego
della commissione territoriale. Ultimo luogo di riferimento è rappresentato dal
Servizio accoglienza immigrati di Caritas Ambrosiana, non molto distante dalla
stazione Centrale.
In questa fase si rivelano determinanti soprattutto i contatti con connazionali,
altri immigrati, altri richiedenti asilo. Sono proprio queste reti, nella maggior
parte dei casi createsi durante il viaggio o casualmente all’arrivo, a veicolare le
informazioni sugli sportelli cui rivolgersi, le mense popolari in cui trovare un
piatto caldo, a fornire un primo alloggio e a suggerire le modalità di ricerca di un
lavoro.
In questi primi percorsi in città si sviluppa una vera e propria catena informativa e
una crescente moltiplicazione delle fonti di informazione che rischiano a volte di
produrre eccessiva ridondanza ed entropia informativa e di alimentare aspettative
che poi risultano deluse e frustrate da una realtà che, in particolare sotto il profilo
dell’accoglienza e della soluzione del problema abitativo, mostra il suo volto più
duro:
D: Hai mai avuto difficoltà ad avere tutte le informazioni per accedere al centro d’acco172
glienza, per sapere quali sono i tuoi diritti, andare in questura, fare domanda e tutte le altre
cose burocratiche?
R: No, non ne ho avute perché qualcuno mi ha mostrato tutto questo (…) è il turco che
mi ha presentato un africano che mi ha indicato di venire al Naga e qui mi hanno dato
tutte le informazioni che mi servivano. Sono andato in Barabino e mi hanno dato il posto
dove dormire.
Spesso il rapporto coi servizi dei Raru appare guidato, o da aspettative dipendenti
da una non conoscenza delle reali potenzialità dei servizi, o da una conoscenza,
in taluni casi stereotipata, in altri casi molto precisa, di quanto venga offerto agli
asilanti in altri sistemi di welfare europei. Anche questi fattori influiscono fortemente sulla relazione col servizio, in particolare se le strategie di mobilità verso
altre destinazioni europee, che a fronte dei deficit d’offerta gli asilanti possono
definire, porta a un investimento limitato o al rifiuto di intraprendere i percorsi di
stabilizzazione e integrazione che eventualmente vengono proposti.
3.4.3 Italiano, lavoro, casa. Una triangolazione difficile
Una delle prime difficoltà che i richiedenti asilo incontrano all’arrivo in Italia è
l’impossibilità di comunicare in una lingua a loro nota e la necessità di affrontare anche pratiche complesse senza il supporto di un mediatore culturale. Non
sempre, infatti, le attività di front office della Questura o degli sportelli dedicati
prevedono un servizio permanente di interpretariato così che le difficoltà linguistiche contribuiscono a rendere ulteriormente oscure le procedure burocratiche
e amministrative, già per loro natura complesse, di cui non sempre gli asilanti
percepiscono l’utilità e la finalità.
D. è arrivato in Italia in Luglio e dopo pochi giorni si è recato presso la questura di Milano per chiedere asilo.
Il giorno che sono andato alla questura la prima volta era il 25, no il 23. Mi hanno detto
di andare, di cercare, mi hanno dato un foglio da riempire, e l’ho riempito ma non avevo
l’indirizzo, mi hanno detto di cercare un indirizzo e che se lo trovavo potevo tornare
il giorno dopo. Il giorno dopo sono andato senza l’indirizzo ma mi hanno accettato lo
stesso. Poi mi hanno dato una piccola ricevuta dicendomi di andare il 27 per le foto e
le impronte digitali. Sono tornato e le ho fatte! Là mi hanno dato la ricevuta per 3 mesi;
avevo l’appuntamento il 9/10/2007. Sono andato per prendere il permesso e a quel punto
mi hanno chiesto i documenti: la carta d’identità della Guinea per dimostrargli che sono
della Guinea (…) io avevo portato solo la fotocopia e quindi mi hanno rinviato ancora,
per l’originale e mi hanno dato appuntamento dopo un mese. Gli ho detto di aspettarmi,
che andavo a casa a prenderla, 15 minuti ma mi hanno detto di no e mi hanno dato appuntamento il mese successivo. Questo appuntamento non è ancora arrivato, non so!
173
Continui rinvii dunque, per incomprensione sulle procedure da rispettare e sulla
documentazione da produrre; ma anche semplicemente perché gli sportelli hanno
un numero limitato di accessi giornalieri che non permettono di rispondere a tutte
le richieste:
Il problema è alla questura. Mi hanno dato appuntamento il 9 ottobre alle ore 8.30. Sono
partito alle 6.30 di mattina, eravamo una trentina (…) ti danno il numerino e quando finisce ti dicono basta, ti fanno andare al primo piano. Anche se hai l’appuntamento ma non
hai il numero, non ti prendono. Non hai il numero e non ti accettano (…) e siamo partiti
alle 6 di mattina. Il problema è la questura (…)non puoi andare alle 4 di mattina! Ti danno
una decina di numeri per l’asilo politico e quando sono finiti sono finiti! E ci sono 100
persone, ma se non hai il numero non ti prendono.
Il continuo protrarsi degli appuntamenti e l’incertezza costante rispetto agli esiti
delle procedure mette di fatto i richiedenti asilo presenti in città, in una situazione
di vulnerabilità e precarietà continua che mina i percorsi di inserimento, le risorse
psico-fisiche da investire nello studio e nel lavoro, e può produrre una sensazione
di sfiducia nella capacità dei servizi di fronteggiare efficacemente i bisogni.
Il vero nodo per i rifugiati e i richiedenti asilo, a Milano – come nel resto della
regione – rimane la questione abitativa. L’offerta di alloggi di prima accoglienza
non è in grado di coprire l’intera domanda e molti, pur regolari, si trovano costretti a dormire all’addiaccio o a trovare soluzioni di fortuna.
D. arriva a Milano in ottobre, già in possesso di un permesso di soggiorno per
motivi umanitari:
Mi spiace, ma quando ho fatto la domanda per un posto per dormire mi hanno detto che
non c’era posto in dormitorio. Tutti gli stranieri dormono fuori; non è buono. Noi abbiamo il permesso e dormiamo sempre fuori. Dormire fuori è un grosso problema, soprattutto adesso che fa molto freddo. Molte persone con il permesso di soggiorno non hanno
ancora trovato casa; questo è un grande problema di Milano.
Il problema abitativo si pone anche per coloro che presentano domanda d’asilo
a Milano e che in qualità di richiedenti asilo avrebbero di fatto diritto all’accoglienza. B., giunto dal Togo attraverso la frontiera di Malpensa a fine settembre,
dopo aver formulato la richiesta e aver ottenuto una prima ricevuta da parte della
Questura, si reca all’Ufficio stranieri per chiedere un alloggio, ma gli viene detto
di aspettare. Quando lo abbiamo intervistato all’inizio di novembre stava ancora
dormendo in strada:
E quando tu vai lì e cerchi posto per dormire ti dicono che i posti sono pieni, come fai ad
arrangiarti fino a quando c’è posto? Ti dicono sempre di tornare, tornare, ma come fai a
174
dormire così!? Io non conosco nessun posto in cui poter andare a dormire (…) quando mi
hanno detto così ero sorpreso! Qualcuno dice alla stazione, ma ci sono difficoltà, troppe
difficoltà anche là.
La prima cosa è la casa. A Milano senza casa non si può far niente. Come posso andare a
scuola o al lavoro senza casa? È impossibile; prima devo avere una casa, poi posso andare
a scuola e poi al lavoro. Così va bene, però se non hai una casa è molto difficile.
Le risorse su cui contare in questa situazione rimangono unicamente quelle della
comunità di riferimento, delle reti di connazionali o di altri immigrati che si sono
instaurati durante i primi mesi di soggiorno in città. Ma quando i richiedenti asilo,
come nella maggior parte dei casi, non possono fare riferimento a reti comunitarie, come accade invece per i gruppi diasporici più strutturati, le soluzioni finiscono per essere un parco, una stazione o un’area dismessa che fa da rifugio.
Quando anche l’accoglienza viene garantita, soprattutto per gli uomini, è un
accoglienza notturna e il problema diventa quello di non rimanere in strada, “abbandonato” alla città, durante il giorno. L’unico centro diurno per asilanti resta la
struttura del Naga-Har di Milano.
La mattina dalle 9 tutti escono; fa freddo, non fa freddo, piove, c’è la neve tu esci; non
hai lavoro, conosci qualcuno, non conosci nessuno, loro se ne fregano, tu esci! Se sono le
9 devi uscire. Il pomeriggio torni, dalle 18.30 (… ) puoi entrare e resti fino alla sera per
mangiare. Il problema è che la scuola non c’è il mattino! Solo il pomeriggio! Al mattino
dove vai? Tu non puoi parlare con un bianco per strada (…) con chi parli?
Dai racconti emerge come i richiedenti asilo, soprattutto nel primo periodo di
insediamento in città, siano in larga parte dipendenti dai servizi di accoglienza e assistenza, anche perché impediti a svolgere attività lavorativa, per legge,
nei primi sei mesi, non avendo spesso nessuna disponibilità economica, né per
comprarsi un biglietto per i mezzi pubblici, né per la biancheria intima o per una
tessera telefonica:
È un po’ difficile per noi rifugiati. Un rifugiato che viene in Italia non ha niente, niente
soldi. Neanche una carta telefonica per chiamare i nostri genitori nel nostro paese. Questo
è un problema.
Questo costringe molti a dipendere dagli orari e dai luoghi delle mense pubbliche,
e determinare l’impossibilità a partecipare a corsi di formazione e di lingua che
non tengono conto, spesso, di queste esigenze particolari. Dall’altro l’asilante
entra in un cortocircuito dettato dalla necessità: tenta di uscire il prima possibile
dalla condizione di precarietà in cui versa investendo sulla ricerca del lavoro, che
175
diventa chiaramente molto complessa a fronte di competenze linguistiche ancora
elementari o nulle.
C’é una dispersione elevata: partecipare a un corso, per un immigrato che è in Italia da
pochi giorni, che va in mensa ad esempio in un determinato orario, non è semplice. Si
deve inserire una persona in un percorso formativo che gli permetta anche di utilizzare
le prestazioni sul territorio, almeno quelle vitali, e anche di potersi pagare il biglietto
dell’autobus. Qui si inserisce l’azione di accompagnamento che ha bisogno però di risorse. L’accesso ad alcuni percorsi risponde ad un patto di reciprocità che si dissolve per
mancanza di soldi; senza questo appoggio si rischia di mortificare la bontà dell’offerta
formativa, quindi il patto di ingaggio deve essere molto chiaro e pertinente: il flusso di
asilanti è spesso fortemente disorientato e ha come unico punto di forza la regolarità.
A fronte di una condizione di così alta precarietà, con comportamenti e strategie
simili a quelle di tutti gli altri immigrati, anche l’asilante prova al più presto a
reperire un lavoro che gli consenta di inviare i primi soldi a casa o a costruirsi
una prima elementare autonomia nel contesto d’insediamento. Nel periodo della
raccolta degli ortaggi in meridione, ad esempio, si registra il più alto numero di
abbandoni dei corsi di alfabetizzazione da parte dei Raru, a conferma dello stato
di necessità e del perseguimento di una propria precisa strategia migratoria di
presa d’autonomia e integrazione, pur nella piena consapevolezza dell’importanza che riveste l’investimento di tempo nella formazione e nell’apprendimento
della lingua italiana.
In un colloquio è uno sforzo immane far comprendere l’utilità dell’investimento, l’obiezione è: io non ho tempo due mesi per aspettare a trovare lavoro (…); e nulla vale l’obiezione: magari tra due mesi sarai ancora nella stessa situazione ma senza aver avuto nemmeno un percorso formativo.
Come prima cosa vorrei imparare l’italiano perché vorrei comunicare con le persone.
Questa è la prima cosa al momento. Io so che voglio fare la scuola, poter parlare bene,
parlare bene italiano, voglio provare a stare bene qui!
Il problema è mio, sono io che voglio parlare con le persone, sono pieno di cose da dire,
ma le persone non parlano francese e io non parlo italiano. So anche che non è per colpa
loro, non è perché loro non sono gentili: so che se parlassi bene la lingua potrei vivere
bene qui: potrei trovare lavoro, potrei andare nei centri a chiedere, potrei chiedere aiuto e
convincerli a darmi un lavoro!
3.4.4 Costruire il futuro su basi fragili
Le relazioni che i richiedenti asilo e rifugiati instaurano con la rete dei servizi
territoriali della città di Milano nel primo periodo d’insediamento, sono mediate
176
da catene informative di composizione varia, dove prevale, almeno inizialmente,
la componente informale. L’avvicinamento al primo nodo strutturato della rete
dei servizi attiva per la maggior parte degli utenti una catena di informazioni che
permette di ricostruire una mappa più completa delle risorse del territorio. Non
sempre tutte le risorse attive sul territorio sono facilmente accessibili, sia per insufficienza delle unità d’offerta, sia per incompatibilità di orari, sia per difficoltà
della mobilità.
Il problema dell’alloggio e la scarsità di disponibilità economica sono la miscela che determina le maggiori fragilità di percorso e l’esigenza per i Raru di
trovare quanto prima una soluzione lavorativa. L’accelerazione, determinata da
questa condizione, non permette agli asilanti di maturare percorsi più lineari e
organici di formazione, prima linguistica e poi professionale, con una ricaduta negativa sui percorsi di inserimento lavorativo. Alcuni tentano di strapparsi
da questo cortocircuito disabilitante uscendo dalla città e dirigendosi verso altri
territori, spesso con esisti nulli. La mancanza di una presa in carico continuativa e individualizzata fa dei Raru, non accolti nella rete Sprar, dei soggetti con
maggiori vulnerabilità. Sembrano vivere una condizione migliore quei Raru che
appartengono a gruppi nazionali con sistemi comunitari strutturati che sono in
grado di veicolare risorse aggiuntive e sostenere gli individui nella fase di stabilizzazione.
Alcuni servizi vengono percepiti come eccessivamente distanti, complessi e
inefficienti e il rischio di una mancanza prolungata di risposte, produce un senso
di sfiducia generalizzato nella rete dei servizi e la scelta di attivare strategie autonome che rischiano di essere maggiormente controproducenti.
In modo indiretto, alcuni degli elementi rilevati nelle storie di vita degli asilanti intervistati, mostra come il modello della presa in carico individuale e l’accompagnamento efficace dell’asilante nei primi mesi d’insediamento, sia la formula più adatta a scongiurare o a contenere gli effetti più depressivi e disabilitanti
dell’assenza di risposte. Le ricadute psicofisiche di notti passate all’addiaccio,
l’impossibilità di muoversi per la città con mezzi pubblici e di avere risorse monetarie minime per garantirsi beni di prima necessità senza dipendere dalle mense
popolari, il disorientamento e il senso di abbandono accresciuto dal ritardo delle
risposte, il peso dei traumi e delle preoccupazioni, sembrano caratterizzare i primi
mesi di vita in città e pesare sui percorsi di integrazione in modo significativo.
Dall’altro lato, le interviste hanno anche registrato la capacità reattiva, la messa in campo di risorse e strategie per il fronteggiamento dei diversi problemi, la
voglia di apprendere la lingua italiana e di comunicare con le persone, la rivendicazione di una maggiore qualità dei servizi e di un’efficienza delle risposte, il desiderio di studiare e di partecipare attivamente alla vita della città: tutti elementi
177
che, non solo mostrano la soggettività e il profilo attivo dei beneficiari ben oltre
le loro fragilità, ma che chiedono una risposta urgente di maggiore tutela e valorizzazione, non solo da parte della rete dei servizi territoriali, ma dalla comunità
cittadina nel suo complesso.
3.5 Verso un modello lombardo? Alcune letture trasversali
Il panorama della rete di servizi dedicati ai Raru nel contesto regionale lombardo,
che si è descritta analiticamente nel precedente paragrafo per casi territoriali, viene in questa sezione analizzato trasversalmente al fine di identificare alcune delle
sue caratteristiche salienti e mettere a fuoco entro quali limiti il sistema d’offerta
descritto sia davvero identificabile come un “sistema” e quali siano le dinamiche
evolutive in atto e le ulteriori prospettive di definizione di ruoli e funzioni dei
singoli nodi della rete.
I livelli di governo locale si sono trovati a partire dagli anni Novanta a svolgere un ruolo cardine nella promozione di interventi di inclusione e integrazione
a favore delle popolazioni immigrate. Nella fotografia delle prime esperienze di
accoglienza di quel decennio rimangono ben visibili proprio i profili delle attivazioni locali e di quegli attori del terzo settore mobilitati a favore delle popolazioni in fuga dalla Jugoslavia in dissoluzione. Flussi non programmati cui
trovare delle risposte che non si limitassero a un alloggio improvvisato e qualche coperta per la notte. La storia di buona parte dei progetti Sprar lombardi e
del profilo motivazionale dei suoi enti titolari e gestori, affonda le sue radici in
quegli anni di sperimentazioni e improvvisazioni, di mobilitazioni repentine e di
paure, di coordinamenti tra enti locali e mancanza di risorse comuni. Lo sviluppo
progressivo di forme sempre più strutturate di raccordo tra i diversi soggetti e la
sperimentazione di interventi decentrati a favore dei richiedenti asilo, profughi e
rifugiati, la promozione di formule di governance sia orizzontale che verticale,
vede il suo coronamento nel Piano nazionale asilo e la sua istituzionalizzazione
nel quadro delle legge n. 189/2002. Qui si formalizza un sistema di intervento
che mette a fuoco precisamente la necessità di un coordinamento stabile nelle due
direzioni (orizzontale e verticale) per la costituzione di una rete diffusa di servizi
d’accoglienza e la promozione di misure dirette a favorire l’integrazione sociale
dei Raru: il coordinamento di una rete di città che rafforzasse e valorizzasse le
diverse forme di coordinamento e rendesse operativi il principio della ripartizione
dei costi derivanti dall’accoglienza, protezione, integrazione dei Raru (burden
sharing) e la condivisione delle risorse d’accoglienza, messe a disposizione dell’intero programma nazionale (resource pooling) (Caponio, 2004b).
178
Questo impianto strutturale comporta l’intersecarsi contestuale di una logica
bottom up e di una top down, in cui pesano le storie dei singoli territori, i profili
culturali e valoriali dei soggetti deputati al policy making e all’assistenza, le logiche organizzative che sovrintendono alla strutturazione dei servizi, le potenzialità
di trasformazione, innovazione, scambio che la messa a regime della rete e la sua
regia possono produrre.
Quanto emerge dalle analisi sulle dotazioni dei singoli territori è da un lato
la conferma della disomogeneità e differenziazione territoriale che caratterizza
il contesto italiano nel suo complesso e la corrispondente eterogeneità delle “Italie sociali” che esso esprime (con la conseguente modellizzazione di prassi di
integrazione e di offerta di servizi fortemente localizzate), dall’altro la tensione
all’implementazione di forme di raccordo, coordinamento e integrazione delle
politiche, sia all’interno delle singole unità amministrative, sia tra i diversi livelli
territoriali, in parte per sopperire all’asimmetria di competenze, in parte per rendere complementari e interconnesse le scelte di intervento.
Una riflessione attenta sulle disparità territoriali e sulla differenziazione delle
logiche di intervento nei singoli territori, sulle asimmetrie nelle strutture d’opportunità per l’integrazione e degli effetti di risulta che questa asimmetria genera in termini di percorsi di mobilità infraterritoriali delle popolazioni, interroga
da vicino proprio la capacità di identificare ruoli e funzioni di governance dei
diversi soggetti e livelli impegnati a fornire una risposta concreta ai bisogni di
stabilizzazione e integrazione della popolazione dei migranti forzati in regione
Lombardia.
Un primo livello di osservazione, per comprendere le caratteristiche della rete
dei servizi per Raru in Lombardia, riguarda i termini specifici dell’articolazione
tra modelli di indirizzo impartiti dal livello centrale e le diverse forme di interpretazione, traduzione progettuale e declinazione operativa svolta dagli enti locali
e dai soggetti del privato sociale che si candidano all’ideazione e alla gestione
dei servizi nei diversi territori, tra vincoli e possibilità normative, tra resistenze e
opportunità individuate dagli obiettivi dal Sistema, tra i dispositivi di risorse dei
singoli territori e la loro capacità concreta di combinarsi e integrarsi con quelle
di ordine superiore.
I diversi segmenti della rete del Sistema di protezione intersecano e si modellano, quindi, sui differenziali propri dei singoli territori. O sarebbe meglio dire,
vengono modellati dal basso, dagli enti proponenti i progetti, dentro il quadro
concesso dalle linee di indirizzo e dai volumi di finanziamento previsti dai livelli
centrali.
L’istruttoria delle diverse esperienze di servizio dedicate ai Raru in Lombardia
presenta un quadro caratterizzato proprio dai differenziali territoriali, principal179
mente determinati da:
– caratteristiche territoriali e geografiche (aree metropolitane, centri abitati medio-piccoli, aree montane, presenza di frontiere ecc.);
– ricchezza economica e struttura delle opportunità, ovvero dotazioni e potenzialità della ricettività lavorativa e/o abitativa;
– grado di sviluppo e specializzazione della rete dei servizi socioterritoriali e
loro grado di integrazione;
– grado di isolamento e capacità di interconnessione e creazione di sistemi territoriali;
– composizione ed estensione della rete del privato sociale (pluriappartenenza
a reti più estese e translocali);
– profilo delle culture politiche e della solidarietà sociale che definiscono i diversi attori in campo (le amministrazioni locali, i funzionari e gli operatori dei
servizi, gli enti e i soggetti del privato sociale, ecc.);
– presenza sul territorio di interventi sperimentali o progetti pilota dedicati all’integrazione sociolavorativa della popolazione immigrata in generale e dei
Raru in particolare.
Se queste sono le principali dimensioni che definiscono le caratteristiche dei territori e lo strutturarsi specifico della rete Sprar sulle singole aree, il modello di
intervento proposto dal Sistema Centrale e il suo orientamento organizzativo ha
contribuito a una maggiore strutturazione e organicità degli interventi già esistenti sul territorio e ha funzionato, in taluni casi, da modello per altre aree di
competenza delle politiche sociali.
L’attivazione di un progetto Sprar in contesti a basso grado di connessione e
coordinamento dei servizi ha inoltre permesso che si promuovessero e sviluppassero azioni di network prima inedite e che si rafforzassero le capacità di collaborazione e integrazione tra aree diverse dell’amministrazione comunale ma
anche tra specializzazioni diverse all’interno di singole organizzazioni del privato sociale. Non solo: il modello della presa in carico individuale e la necessità di
accompagnare con un insieme particolarmente articolato di azioni la traiettoria
ideale del beneficiario dall’accoglienza all’integrazione socio-lavorativa, ha fatto
da elemento propulsore alla nascita di nuovi soggetti del privato sociale o a sviluppi ulteriori dell’attività e dell’offerta da parte degli attori già esistenti.
Molti enti gestori dei progetti, con esperienza pluriennale di attività a favore della popolazione immigrata o delle persone in difficoltà, hanno indicato nel
modello della presa in carico dello Sprar, della progettazione dell’intervento individualizzato, un modello d’intervento da estendere ad altre aree del welfare
territoriale.
180
3.5.1 Un’offerta alla ricerca di qualità
I maggiori limiti intervengono laddove il territorio non riesce a esprimere un
potenziale aggiuntivo di offerta e non ha la possibilità di coprire alcune aree
strategiche per il sostegno dei percorsi e quando il volume di risorse veicolate dal
Servizio Centrale e dal cofinanziamento dei comuni non è sufficiente a fornire un
approccio davvero di qualità.
Quest’ultimo aspetto, su cui si sono soffermate numerose delle riflessioni degli operatori e dei coordinatori dei progetti incontrati durante l’indagine, riguarda
principalmente il limite delle risorse stanziate, l’asimmetria di peso delle singole
voci di budget all’interno del progetto, ma anche la capacità di sviluppare nel tempo azioni di specializzazione. I costi dell’accoglienza incidono infatti sui bilanci
e sulla gestione economica in modo rilevante, assorbendo le risorse che potrebbero finanziare in modo più robusto gli interventi di integrazione. L’incapacità dei
progetti di supportare, nei limiti strutturali indicati (budget e risorse territoriali),
un’offerta coerente con i diversi profili dell’utenza e una risposta compiuta alle
aspettative dei beneficiari, rende poco efficaci gli interventi. Un’erogazione eccessivamente standardizzata e poco flessibile degli interventi, infatti, rischia di
non attivare dei percorsi che siano in grado davvero di aiutare i beneficiari, spingendoli ad abbandonare il percorso o acuendo il senso di frustrazione.
Tutti gli enti gestori sono concordi nel sottolineare la necessità di un maggior
investimento sugli interventi di integrazione, soprattutto in relazione al mutato
profilo dei beneficiari e dell’accelerazione dei percorsi di riconoscimento del loro
status. Molto spesso i tempi di riconoscimento giuridico e quelli necessari all’abilitazione dei beneficiari per intraprendere un percorso di integrazione sociolavorativa e stabilizzarsi sul territorio non corrispondono. I progetti avrebbero necessità di sviluppare maggiormente proprio quei servizi dedicati all’integrazione,
irrobustire le prese in carico e tutti gli strumenti di formazione che possano, nel
minor tempo possibile, sostenere i percorsi di inserimento. A questo proposito,
emerge un dato incontrovertibile dalle testimonianze dei responsabili dei servizi
lombardi: i profili che presentano maggiore vulnerabilità e fragilità e che necessiterebbero di interventi dedicati con maggiore disponibilità di tempo e risorse
sono le donne, le donne sole con figli e le famiglie. Queste tre categorie richiedono lo sviluppo di interventi di sostegno robusti, capaci di raggiungere obiettivi
con una tenuta maggiore nel tempo. La sollecitazione che viene da questi profili
è di natura complessa e la qualità delle risposte dipende anche dalla capacità, da
un lato, di saper far dialogare con maggiore sistematicità quegli interventi che
i servizi già prevedono a presidio di queste problematiche; dall’altro, di sapere
meglio riconoscere le specificità e peculiarità dei percorsi e passare all’ideazione
181
di innovative formule di risposta.
Anche sul fronte dell’integrazione alloggiativa, dati i limiti già indicati nel
mercato immobiliare regionale e ai tempi necessari al raggiungimento di un’autonomia gestionale e a un equilibrio economico in grado di sostenere nel tempo
il progetto d’autonomia, i servizi dovrebbero poter sviluppare formule più articolate di seconda accoglienza e housing sociale come condizioni per accompagnare
gradualmente l’uscita, oltre a incrementare tutte le buone prassi di sostegno alla
ricerca alloggiativa già in essere. Un aspetto comune, che contraddistingue l’impianto generale di tutte le progettazioni Sprar lombarde (ma anche di tutti gli altri
servizi territoriali dedicate ai Raru), è l’enfasi posta sul rifiuto di un’operatività
meramente assistenziale e accuditiva, che abbia ricadute eccessivamente passivizzanti sui soggetti e rischi di cronicizzare gli stadi di vulnerabilità e di disagio:
i diversi moduli di intervento lavorano con i beneficiari e gli utenti dei servizi in
un’ottica promozionale, di empowerment dei soggetti, ancor più giustificata dal
ridursi dei tempi che intercorrono tra l’arrivo dell’asilante e l’inizio del suo percorso di integrazione e i tempi ridotti della presa in carico, che, soprattutto per le
famiglie e per i nuclei monoparentali con figli, non risultano sufficienti.
La maggiore qualificazione degli standard d’offerta riguarda anche la possibilità di accrescere nel tempo le occasioni di formazione degli staff operativi dei
progetti, sia per lo sviluppo di nuovi strumenti di gestione, sia per la formazione
di nuove competenze, in particolare in ambito psicosociale. C’è una variabile
particolarmente problematica a proposito del personale impiegato nei progetti e
della sua progressiva qualificazione: la precarietà degli incarichi e l’insicurezza
e il turnover che questo genera. Tutti i progetti Sprar lombardi hanno lamentato
l’erogazione dei fondi fatta per piani annuali perché, oltre alle quote d’anticipo
che gli enti locali devono garantire per la tenuta di continuità dei progetti territoriali, gli incarichi agli operatori possono essere rinnovati solo di anno in anno,
con l’incognita dell’approvazione del progetto candidato. Questa condizione sviluppa, in alcuni casi, turnover alti e una mancanza di continuità e di incentivo
all’investimento, alla specializzazione e qualificazione sia dei singoli sia delle
organizzazioni.
Le testimonianze raccolte sottolineano, inoltre, che un limite al mantenimento
in continuità degli standard operativi dipende dalla non prevedibilità dei flussi
in arrivo, sebbene per alcune aree territoriali, in particolare l’area metropolitana
milanese, si siano tendenzialmente identificati i periodi di picco d’emergenza nei
mesi dell’autunno e inverno, in coincidenza dell’arrivo dei flussi da Sud dopo gli
sbarchi del periodo estivo. Effetti di risulta delle emergenze, che per lo più gravitano sull’area metropolitana, vengono percepiti anche in tutti gli altri territori,
in particolare quelli di Brescia e Bergamo, chiedendo l’attivazione di procedure
182
d’emergenza che non possono spesso andare oltre a interventi di bassa soglia. In
aggiunta alla pianificazione ordinaria serve, quindi, implementare procedure che
sappiano rispondere alle emergenze in forma maggiormente strutturata e con formule di comunicazione transterritoriale gestite con maggior efficienza.
Alcuni degli elementi maggiormente innovativi e delle azioni sperimentali
che hanno arricchito le prestazioni territoriali e si sono interfacciate con la gestione Sprar sono state fornite in alcuni territori (per esempio Bergamo, Brescia,
Varese) da progetti complementari e integrativi finanziati per lo più da fondazioni
private o elaborate in azioni di sistema finanziati dal Fondo sociale europeo. I
progetti pilota hanno la possibilità di arricchire l’offerta dei territori e suggerire nuovi strumenti e format d’intervento: le difficoltà maggiori si presentano
quando, all’esaurimento delle economie aggiuntive, la rete dei servizi non è in
grado di assumere e integrare nella gestione ordinaria gli elementi maggiormente
qualificanti delle esperienze pilota. Oltre ai differenziali territoriali, questo dato
permette di leggere, a livello diacronico, una discontinuità nelle prestazioni e nelle opportunità offerte, oltre a rappresentare un indicatore di parziale inefficacia di
investimenti quando non siano in grado di perpetuarsi e di entrare a regime.
Ultimo argomento che interessa i differenziali territoriali e la qualificazione
dell’offerta rispetto alla disponibilità degli stanziamenti e alla necessità di superare la logica di standard troppo rigidi e orientati verso il basso, riguarda la
possibilità di inaugurare logiche di erogazione degli investimenti progressive,
che possano tenere conto dei dislivelli di costo della vita nelle diverse regioni e
all’interno delle regioni, tra aree urbane e provincia.
3.5.2 La rete come soggetto progettuale: rete di reti in costruzione
Fin nella sua fase embrionale e sperimentale, il piano di protezione per richiedenti asilo e rifugiati sviluppato in Italia si presenta come un percorso di progressiva
costituzione e formalizzazione di un sistema integrato d’accoglienza, protezione,
integrazione, basato sull’azione coordinata e condivisa di una serie di attori di diverso profilo dislocati sul territorio. Questa condizione fa della “rete” tra i soggetti e delle sue caratteristiche il motore generativo e strutturale del sistema e la sua
capacità di rispondere in modo efficace ed esaustivo agli obiettivi per cui viene
creata e costantemente implementata. È dalle qualità, dalla natura, dall’intensità,
dal grado di formalizzazione e reale interconnessione della rete che dipende la
definizione stessa di Sistema.
L’istruttoria sui progetti Sprar e sugli altri soggetti che offrono assistenza e
protezione ai Raru, presentata nei paragrafi precedenti, ha potuto rilevare l’esi183
stenza di network di diversa dimensione e natura, generati su scale differenziate
da attori di diversa identità, con gradi differenti di interconnessione e capacità
di struttura verticale e orizzontale. L’insieme degli intrecci dei diversi legami
descrive, almeno parzialmente, il reticolo che i soggetti che si occupano di Raru
creano sul territorio lombardo, le fratture e le smagliature della rete, i potenziali
attori che potrebbero candidarsi a svolgere nuove centralità per sostenere e irrobustire la rete, l’individuazione di legami di natura più strategica per il raggiungimento degli obiettivi di sistema.
La rete nazionale connette i settori ministeriali deputati a livello centrale con
gli enti locali. Questa funzione è resa possibile, in una logica bottom up, dalla
candidatura degli enti locali al bando per l’erogazione dei contributi per il finanziamento dei progetti di accoglienza, protezione e integrazione dei Raru. Questa
possibilità è a sua volta generata, in tutti i casi lombardi studiati, dal legame che si
crea tra un soggetto del privato sociale territoriale e l’ente locale che si accredita
come titolare del progetto. La rete che connette il livello centrale al livello locale
è generata, in Lombardia, dal ruolo svolto soprattutto dalla sensibilità e dall’interesse all’intervento dei soggetti del terzo settore e del privato sociale che, per
profilo culturale, sensibilità operativa, esperienza maturata nel campo specifico
delle politiche per profughi e rifugiati o nella cooperazione allo sviluppo o nell’intervento nel campo delle politiche sociali, delle emergenze umanitaria, della
prima e seconda accoglienza, hanno promosso, presso gli enti locali, la possibilità di entrare nella rete del Sistema di protezione asilo. La loro azione si è nella
maggior parte dei casi tradotta nell’attivazione, da parte degli enti locali, di un
legame privilegiato con questi soggetti per l’esternalizzazione della parte attuativa delle progettazioni. Il capitale di fiducia e accreditamento di questi soggetti
presso gli enti locali è dato dalla loro presenza non occasionale sul territorio e
dall’esistenza pregressa di collaborazioni attive su altri progetti o su tematiche
tangenziali a quelle dell’assistenza ai Raru (immigrazione, mediazione culturale,
accoglienza, ecc.).
All’interno di questo triangolo di relazioni verticali, il ruolo del livello centrale è spesso percepito dai livelli locali come freddo, distante, burocratico, non
sempre capace di interpretare i bisogni dei territori, ma anche insostituibile nella
sua funzione di controllo e invio. Il livello intermedio, costituito dall’ente locale, vede, nel caso lombardo, diversi gradi di attivazione e adesione. Alcuni enti
titolari sembrano limitarsi alla gestione economico-amministrativa di loro competenza e a contribuire con le quote di cofinanziamento e anticipando gli importi
necessari, con la conseguente maggiore difficoltà dei soggetti attuatori a creare
dei canali di accesso dedicati ai Raru ai servizi di competenza comunale. In altri
casi, gli enti titolali intervengono in modo più strutturato, facilitando l’operatività
184
dei soggetti gestori, mettendo a disposizione economie e risorse maggiori per il
target degli interventi, svolgendo ruoli strategici nell’attivazione di reti territoriali più ampie o portando a conoscenza dei piani di zona le problematiche che
interessano i Raru. Dalle testimonianze raccolte è emerso che la presenza robusta
dell’ente locale è funzionale al sostegno dei passaggi più complessi di connessione (tra più enti, tra più settori, tra più servizi, ecc.) e a una maggiore formalizzazione dei contatti che i diversi progetti di intervento attivano sul territorio.
I tre soggetti, messi in comunicazione verticalmente dalla rete nazionale, sono
a loro volta connessi a livello orizzontale con altri soggetti. Il livello centrale è in
diretto contatto con le Prefetture e le Commissioni territoriali dislocate nei diversi contesti. Questo è un livello non direttamente indagato dalla presente ricerca.
Così come non si hanno dati sostanziali per descrivere i livelli di coordinamento
orizzontale svolto dall’Anci regionale lombardo.
Un’altra rete a cui è connesso l’ente locale e che può risultare strategico per
l’ottimizzazione delle prestazioni dei progetti territoriali e per lo sviluppo di una
vera integrazione dell’offerta sono i Piani di zona, cui spesso partecipano anche
i soggetti attuatori dei progetti. Per quanto – salvo Lecco e Milano – nessuna testimonianza abbia sottolineato con precisione esperienze attive a livello di piano
di zona a copertura della tematica asilanti, (se non in chiave negativa, in almeno
due casi) in molti hanno sottolineato la potenzialità esclusiva dei Piani di zona
per raggiungere un livello sia di concertazione delle problematiche a livello distrettuale sia di diretta sensibilizzazione di tutti gli enti locali e istituzionali che
partecipano ai tavoli di lavoro del Piano di zona sulla tematiche relative agli
asilanti. Laddove le politiche di intervento dedicate ai Raru richiedono una multisettorialità e multidimensionalità degli interventi, la capacità della messa in rete
e della concentrazione delle risorse, l’attivazione di connessioni e collaborazioni
strutturate con la rete dei servizi territoriali, il Piano di zona appare come uno dei
luoghi deputati a sviluppare proprio il livello interistituzionale, intersettoriale,
multiprogettuale e sussidiario delle politiche, per lo sviluppo della loro integrazione e della loro territorializzazione coerente.
Al livello orizzontale degli enti gestori, quando questi sono soggetti del privato sociale, la ricerca ha potuto rilevare l’esistenza di altre reti di connessione.
Un primo tipo di rete connette, sotto forma di consorzio, il singolo ente attuatore di un progetto con altri soggetti territoriali in forza di un’offerta di servizio
specifica: per esempio, la ricerca dell’alloggio e l’implementazione di progetti di
housing sociale. Questo tipo di rete può preesistere al progetto Sprar o al servizio
dedicato ai Raru o può essere stato generato proprio dall’esigenza di rispondere
a una domanda ancora non coperta da alcun servizio. In ogni caso, arricchisce
l’operatività e l’offerta a livello territoriale e rende più semplici l’attivazione di
185
progetti ad hoc dedicati ai beneficiari.
Un secondo tipo di rete connette soggetti del privato sociale, associati da una
matrice comune di intervento e spinta motivazionale (sotto il profilo delle culture
d’assistenza o solidarietà cui si ispirano, sotto l’aspetto delle filosofie che mobilitano all’azione sociale in un territorio, ecc.) o dall’appartenenza a un soggetto
più ampio che fornisce la struttura di riferimento e sintesi: è il caso dei diversi
soggetti cooperativi e consortili di ispirazione cattolica che fanno capo a Caritas o
ai soggetti attivi nell’ambito della cooperazione e dell’intervento umanitario che
fanno capo a Ics. Questa appartenenza a reti più ampie che condividono tavole
valoriali comuni, prassi di intervento condivise e soprattutto che sono in grado di
contare su reti ampie a livello nazionale ma anche trasnazionale, danno ai soggetti territoriali sia la possibilità di un confronto che supera il livello locale e l’occasione di una verifica e di una tematizzazione preziosa tra più contesti territoriali,
ma anche una forma di accreditamento istituzionale maggiore, dal momento che
la rete veicola elementi di fiducia e reputazione.
Un terzo tipo di rete che la ricerca ha rilevato, si declina a livello degli enti
gestori per pluriappartenenza organizzativa, ma in forza del vincolo comune di
essere soggetti che, a diverso titolo e con diverse competenze, lavorano con e per
gli asilanti. L’occasione per la costituzione di coordinamenti permanenti possono
essere eventi ed emergenze di particolare rilievo che interrogano da vicino i soggetti in un periodo particolare.
Assumendo ora il punto di vista delle progettazioni Sprar lombarde è possibile elencare alcune tipologie di network attivate a livello locale o traslocale per
l’erogazione dei servizi previsti dai singoli progetti finanziati.
Gli enti titolari e gli enti gestori si legano a una rete più istituzionale per la
risposta inerente alle procedure giuridiche costruendo rapporti con la Questura e
la Prefettura e appoggiandosi ai servizi di consulenza legali erogati dagli Sportelli
informativi per l’immigrazione, spesso gestiti dagli enti stessi o, per conto di essi,
dagli stessi enti gestori.
Un diverso segmento di rete collega gli enti titolari verso quei soggetti del
terzo settore che operano su segmenti di offerta particolari e che coprono alcune
aree di interesse per la realizzazione dei progetti (casa, lavoro, salute, ecc.). Dal
momento che è questo network quello che tende a veicolare risorse specifiche e
formule innovative o risposte ad alto grado di specializzazione, la loro estensione
supera il livello locale e distrettuale, mettendo in comunicazione più territori.
Una terza forma di network è quella che riguarda più nello specifico la capacità di raccordo tra la struttura d’offerta dell’ente gestore e l’intera rete dei servizi territoriali che, con diversa intensità e diverse formule di raccordo, vengono
interrogate dai progetti Sprar. È questa rete che meglio può essere coordinata e
186
messa in comunicazione dalla regia dei Piani di zona e sono i suoi nodi quelli
che più da vicino devono essere sensibilizzati alla presenza del profilo di utenza
rappresentato dai Raru.
Una quarta forma di rete è piuttosto contrassegnata da informalità e da un
grado più attenuato di definizione, ma ciononostante capace di veicolare informazioni e risorse. Si crea solitamente a livello dell’ente gestore e dall’apporto che
viene dalle reti personali degli operatori e dei volontari che gestiscono i servizi
e entrano in relazione con gli ospiti. In modo più destrutturato, ma tuttavia non
meno efficace, anche queste reti sono in grado di mettere a disposizione risorse di
informazione per il reperimento di soluzioni alloggiative e lavorative o semplicemente per promuovere momenti di svago e di socializzazione esterni all’offerta
di progetto.
Un’ultima forma di network estemporaneo e invisibile, legato alla contingenza della presente ricerca, è stata prodotta, parzialmente e in modo del tutto inconsapevole, proprio dal lavoro dei ricercatori: nel porre domande e nell’incontrare
i diversi interlocutori territoriali, il lavoro di campo si è reso tramite di informazioni e ha svolto un ruolo di connessione tra soggetti che non erano in dialogo tra
loro, ma che potenzialmente dovrebbero e potrebbero esserlo. Questo particolare
aspetto è un indicatore della presenza di buchi strutturali all’interno della rete e
di deficit di connessione che possono riguardare attori che lavorano nello stesso
ambito di policy e magari nello stesso territorio e con competenze complementari
e, quindi, potenzialmente e proficuamente integrabili, ma che, per diverse ragioni, non dialogano e non entrano in contatto.
Il modello Sprar, così come la tendenza innovativa dell’organizzazione territoriale dei servizi dell’area del welfare, fanno della messa a sistema di diversi nuclei d’offerta e di diverse competenze di attori e istituzioni territoriali la loro chiave di struttura che, su aspetti specifici, intende funzionare “a filiera”. Se questo è
l’obiettivo organizzativo, allora ci si deve domandare in che grado di integrazione
e intreccio le reti dislocate sui diversi territori si presentano e quali siano i nodi e i
livelli del sistema che possono più facilmente ed efficacemente rendere più coesi
e coerenti i diversi segmenti operativi. Tutti gli interlocutori da noi ascoltati hanno posto un’enfasi specifica sul bisogno di maggiore raccordo e coordinamento,
sia all’interno dei singoli sistemi territoriali, sia all’esterno con le reti degli altri
territori. Gli enti gestori e gli operatori hanno sottolineato, in particolare, il ruolo
strategico cui reti più coese assolverebbero in particolare per momenti di supervisione allargata dell’operatività, per un maggiore scambio informativo tra gli
operatori dei diversi nodi della rete, per evitare l’isolamento e la sclerotizzazione
dei punti di vista e delle prassi limitate ai contesti d’azione. La richiesta esplicita
al Sistema Centrale, che emerge dalle interviste, riguarda la possibilità di un mag187
gior finanziamento di occasioni di incontro per la circolazione di idee innovative
e prassi di intervento, in particolare per quei progetti che affrontano le situazioni
più fragili e vulnerabili e che richiedono una capacità di intervento meno standardizzata e un confronto maggiore tra buone prassi. La richiesta è quella di moltiplicare le occasioni di peer review e di valutazione, di prevedere che ai singoli
progetti vengano pagate ore di supervisione interna di sostegno al coordinamento
delle équipe e della rete locale, di collaudare modalità di messa in comunicazione
di nodi tra loro distanti della rete nazionale e dei segmenti regionali per sostenere
le funzioni di coordinamento e di informazione. Tutti gli operatori hanno sottolineato l’importanza di momenti di bilancio e di verifica del proprio operato, di
sostegno alla messa a fuoco delle problematiche e di consiglio sui miglioramenti
attuabili, per prevenire fenomeni di burnt out o di stress eccessivo in condizioni
di lavoro a forte contenuto relazionale ed emotivo. Nella logica di miglioramento
della capacità di far rete e di mettere a sistema competenze, risorse, soggetti, idee,
strumenti di valutazione, quello che alcuni enti gestori prospettano è la possibilità
di costituire nel tempo un team progettuale e operativo allargato che sia in grado di ragionare in ordine transcalare sulla trasferibilità dei modelli di intervento
e sull’arricchimento, la complementarietà, l’integrazione delle azioni. A livello
territoriale e regionale, oltre a formule di autorganizzazione dal basso da parte
degli enti gestori, è possibile che una funzione di raccordo possa essere svolta
dalla Regione. Le disomogeneità territoriali e la specificità di alcune condizioni
di operato spingono a pensare alla possibilità di un confronto e di una messa in
rete di esperienze simili: quelle relative all’integrazione delle categorie vulnerabili, delle famiglie o sui modelli organizzativi dei progetti più grandi, come quelli
che interessano le aree metropolitane. Queste richieste sottolineano, da un lato,
la necessità di una disponibilità finanziaria maggiore per potenziare le funzioni
di raccordo e intreccio tra le diverse reti; dall’altro, il bisogno di un’articolazione
e specializzazione maggiore dei diversi segmenti del sistema, sulla base di una
messa in rete di culture organizzative e prassi d’intervento.
3.5.3 Città metropolitana e territori provinciali: potenzialità e funzioni dei
diversi territori
È possibile, a fronte del quadro che la nostra istruttoria ha delineato, immaginare
che alcune delle specificità territoriali evidenziate guidino all’ipotesi del possibile disegno di un modello lombardo? È possibile ipotizzare che il segmento
lombardo del sistema nazionale Sprar e la rete degli altri servizi esistenti in Lombardia sia formato da diramazioni che possono far maturare e approfondire delle
188
vocazioni funzionali già esistenti?
La descrizione delle dinamiche relative agli arrivi sul territorio lombardo e la
funzione fortemente attrattiva del suo capoluogo con le problematiche che questo
comporta non solo in termini di capacità ricettive da adeguare alla domanda, ma
anche della impossibilità di promuovere per numeri così elevati di Raru le azioni di integrazione socio-lavorative previste dal Sistema, propone diversi scenari
evolutivi.
Per quanto, infatti, lo sforzo finanziario, organizzativo e logistico della città di
Milano e del Sistema per incrementare la disponibilità di strutture di accoglienza
in città sia auspicabile, a partire dalla considerazione che i flussi in direzione
della città di Milano sono da considerarsi ormai fatti strutturali, sia l’ente titolare
che alcuni degli enti gestori dei servizi si augurano che si possa lavorare a una
progressiva decongestione delle prese in carico in città.
Processi d’uscita dalla città verso i territori limitrofi sono originati, da un lato,
dalle scelte di gestione dei servizi che iniziano ad attivare convenzioni per la
seconda accoglienza con enti o strutture nei comuni a corona della città, dall’altro, dagli effetti di risulta della mancata accoglienza in città che già investono i
territori limitrofi, non solo nei periodi d’emergenza (stanno infatti aumentando le
segnalazioni di arrivi su Bergamo, Brescia e Lecco).
La direzione che gli enti e gli operatori suggeriscono di intraprendere vede, da
un lato, il rafforzamento dei sistemi di comunicazione con i centri d’accoglienza
del Sud Italia e la garanzia di una maggiore offerta di informazioni agli ospiti in
uscita, perché possano muoversi non solo verso le aree metropolitane (per lo più
Roma e Milano), seguendo le rotte e le strategie delle migrazioni tradizionali, ma
anche verso altri territori in grado di offrire opportunità alloggiative e lavorative.
Dall’altro, iniziare a lavorare a una polverizzazione dell’offerta sui centri medio-piccoli dell’area vasta della città metropolitana, sensibilizzando gli enti locali
e sostenendoli nella progettazione e nell’attivazione dei piani di intervento. Il
modello della presa in carico individualizzata e l’impegno specifico alla realizzazione di percorsi di integrazione effettivi, risulta maggiormente sostenibile se
operata su piccoli gruppi ed eccessivamente dispersiva e inefficace quando si
opera con grandi numeri, a meno di aumentare in modo considerevole anche gli
staff di operatori disponibili. Questa intuizione di prospettiva porta la riflessione
su un altro aspetto che anche la rassegna dei casi territoriali ha evidenziato: quali
sono le singole capacità e strutture di opportunità che i territori possono offrire?
Nelle aree a economia diffusa le opportunità lavorative non sembrano mancare e
nemmeno la disponibilità dei datori di lavoro ad assumere lavoratori stranieri, per
di più, se tutelati da una mediazione dei servizi e da formule di prova e tirocinio
come le borse lavoro. A fronte di un mercato del lavoro segmentato che desti189
na alla popolazione immigrata settori e mansioni specifiche, in aree con scarsità
d’offerta o nicchie di lavoro già tendenzialmente sature (è il caso, ad esempio, del
settore agricolo nell’area cremonese), l’integrazione lavorativa può comunque
risultare problematica. Il vantaggio proprio dei centri medio-piccoli – da quanto
testimoniato dai nostri interlocutori (e provato da altre ricerche simili sviluppate
su altri territori) – sembra, inoltre, risiedere in una maggiore opportunità di costruzione di legami e di relazioni significative, rispetto all’isolamento e al disorientamento prodotto dall’insediamento nei grandi centri.
Il quadro che si delinea con i diversi profili di dotazione territoriale e le differenziate potenzialità di integrazione che i contesti esprimono, chiedono che sia
uno sforzo di conoscenza e regia di livello superiore a quello locale, che possa
riconoscere e promuovere quelle dimensioni territoriali che risultano più efficaci
a sostenere traiettorie di integrazione e sviluppare capacità di interconnessione
maggiori tra le risorse dislocate asimmetricamente nei territori.
Se l’aeroporto di Malpensa e la città di Milano rimarranno i luoghi di arrivo
e attrazione per la parte più consistente dei flussi di Raru per le ragioni esposte,
si potranno ideare per questi territori specializzazioni dedicate in particolare alla
fase d’accoglienza. Il segmento varesino della rete Sprar e le ulteriori diramazioni
locali sono già incamminati esattamente in questa direzione, sia con il servizio di
“pronta accoglienza”, sia nell’articolazione a filiera del percorso di accoglienza.
La città di Milano, che – anche se in modo ancora embrionale – ha iniziato a sviluppare una sezione della rete d’accoglienza al di fuori del territorio cittadino, oltre a proseguire in questa direzione, necessita di un’attivazione diretta di strutture
e risorse da parte degli enti locali del suo vasto hinterland. Il possibile sviluppo
funzionale del nucleo cittadino dell’area metropolitana può investire, da un lato,
nell’incremento delle risorse di prima, ma soprattutto, di pronta accoglienza, su
modello varesino, e dall’altro, funzionare da centro inviante verso i nodi dell’area
metropolitana per l’intrapresa dei percorsi di seconda accoglienza e di integrazione. Per fare questo non basta incrementare i nodi tramite lo strumento delle convenzioni, perché abbiamo visto come una presenza solo formale dell’ente locale
proponente affatica e deprime le potenzialità reali dei progetti. Serve piuttosto
affrontare una vasta operazione di sensibilizzazione degli enti locali, dei soggetti del privato sociale, delle parti sociali, perché propongano piani d’intervento
che dialoghino in modo sistematico con l’architettura del progetto della città,
più nella direzione di un patto territoriale vasto che nell’ottica di un’attivazione
frammentata di nuovi nuclei d’offerta. Uno sviluppo coerente del principio del
resource pooling chiede, inoltre, che la rete regionale sappia con maggior efficacia far dialogare i territori e definire la messa in comune delle risorse e delle potenzialità. Se ciascun territorio è chiamato nella sua evoluzione e nella program190
mazione del suo sviluppo socioeconomico a superare i propri deficit e calmierare
i gap d’offerta, è anche a partire dalla sua capacità di far sistema e generare buone
prassi di connessione che questa direzione diviene possibile. In altri termini, oltre
all’incremento dei nodi di rete, serve che questi nodi sappiano davvero fare sistema dentro reti più ampie, non solo di livello territoriale e di livello nazionale, ma
anche regionale. La messa in comune più flessibile delle risorse può calmierare
gli eccessivi dislivelli territoriali e può decongestionare e diluire le concentrazioni di domanda in modo razionale. Pur rimanendo un orizzonte ideale quello dello
sviluppo sostanziale dei diversi ordini territoriali, è possibile – data la limitatezza
delle risorse disponibili alla soluzione delle maggiori problematiche – che una
ridondanza di risorse possa addirittura risultare inefficace ed eccessiva, con rischi
di spreco e sottoutilizzo.
In questa direzione sono quindi due gli obiettivi della rete: mutuare buone
prassi e intuizioni per lo sviluppo e la copertura di nuovi bisogni, da un lato,
ma anche, dall’altro, la capacità di mettere davvero in comune le risorse e fare
dialogare bisogni e risposte, sulla base delle specializzazioni funzionali che ogni
singolo territorio può avere maturato: nella sperimentazione all’integrazione lavorativa, nella tutela della salute, nella ricerca delle soluzioni alloggiative, nell’integrazione dei nuclei familiari e delle vittime di tortura. Una gestione sovralocale delle risorse economiche può, inoltre, con maggiore flessibilità, permettere
un’allocazione delle economie prodotte da un territorio verso le emergenze di un
altro territorio, con procedure di rendicontazione semplificate. Una conoscenza
maggiore e più dettagliata di livello intermedio delle strutture d’opportunità dei
diversi territori può sostenere un’azione mirata di sensibilizzazione alle problematiche dei Raru in aree ancora non attivate, uno scoraggiamento all’insediamento di progetti in territori che non garantiscono da principio l’esito positivo
dei percorsi per assenza delle risorse necessarie, un impegno a sostenere parziali
specializzazioni e funzioni d’area per immaginare, a partire da Milano, da Varese
e dal Servizio Centrale, un sistema di invii mirato a beneficio massimo dei percorsi d’integrazione.
Non si tratta, in questo caso, di tradire la logica della governance multilivello
di questo particolare settore di policy, quanto di iniziare a immaginare se ulteriori
livelli di articolazione intermedia possono essere funzionali a migliorare le prestazioni dei singoli punti d’offerta della rete.
3.5.4 Possibilità di futuro: un ruolo per la Regione Lombardia
Il quadro delineato nei suoi punti di forza e debolezza, nelle strutture d’oppor191
tunità che lo caratterizzano e nei profili funzionali che i singoli territori o loro
aggregati esprimono, le potenzialità della messa in rete delle risorse e il mancato
coordinamento di alcuni soggetti, il deficit di unità d’offerta e la loro eccessiva
concentrazione su aree che non possono supportare percorsi di abilitazione opportuni, il dato strutturale di essere la seconda regione per presenze di Raru e le
potenzialità che le competenze proprie che gli ordinamenti nazionali assegnano
ai governi regionali, fa emergere una rosa di possibilità strategiche di governance
ed intervento che la Regione Lombardia potrebbe svolgere in chiave rafforzativa
e di miglioramento della rete dei servizi dedicati ai Raru sul territorio lombardo.
La governance multilivello proposta dal modello di intervento della rete Sprar
e la sua dislocazione e diffusione territoriale sembra dipendere dalla capacità
innovativa di integrazione tra politiche e, nello specifico, dell’integrazione tra le
politiche migratorie e le politiche delle altre aree del welfare. La ricognizione dei
servizi e i trend evolutivi delle dinamiche di incontro tra l’offerta e lo spettro variegato e complesso dei bisogni espressi dagli asilanti, ha mostrato con chiarezza
il carattere trasversale che assume l’impatto della domanda sulla rete dei servizi
territoriali e l’insieme di novità e specializzazione cui tende.
Coerentemente agli indirizzi della legge 328/00, i livelli regionali devono concorrere alla programmazione, al coordinamento e all’indirizzo degli interventi sociali e dei servizi, alla determinazione delle zone sociali, dei criteri che sovrintendono la determinazione dei criteri di partecipazione al costo da parte degli utenti.
È la Regione, insieme agli enti locali, chiamata a promuovere l’integrazione tra
politiche e la loro territorializzazione proprio sulla base delle finalità strategiche
individuate dalla Regione nel Piano sociale regionale. La Regione Lombardia
può, dunque, giocare un ruolo decisivo nel sensibilizzare le zone sociali del suo
territorio a costituire un’interfaccia sistemico alla rete dei progetti Sprar attivi sul
territorio lombardo. Proprio perché i Piani di zona sono chiamati a coordinare
politiche intersettoriali (sociali, sanitarie, educative, abitative, ecc.), a correlare
diverse tipologie di servizi e di risorse d’erogazione e a costruire una rete di
sensori territoriali e di unità d’offerta in un mix congeniale di pubblico-privato,
questo sistema sembra più di altri deputato a costituire quella rete di supporto
agli obiettivi di integrazione socio-economica proposta dai progetti territoriali
Sprar, affinché i beneficiari possano ottenere quella risposta multipla di assistenza
e integrazione e possano vedersi riconosciuta accessibilità piena alle risorse di
servizio del territorio di insediamento.
In riferimento ai bisogni espressi nelle testimonianze raccolte presso i responsabili degli enti gestori dei servizi per Raru in Lombardia, la Regione potrebbe
svolgere un ruolo fondamentale per lo sviluppo di iniziative di sensibilizzazione
degli enti locali e delle zone sociali alle problematiche degli asilanti, con l’obiet192
tivo di incoraggiare nuove candidature degli enti ai finanziamenti Sprar, tramite
la convocazione di tavoli ad hoc. Sulla base delle distinzioni funzionali dei territori e nella direzione di strutturare un sistema territoriale regionale di protezione
attento alla compensazione dei differenziali territoriali, all’integrazione delle risorse e improntato alla definizione di un modello capace di supportare gli effetti
più problematici che interessano la frontiera varesina e la città di Milano (ma
anche il rischio di eccessivo isolamento e periferizzazione delle esperienze dei
territori più lontani dall’area metropolitana), la Regione potrebbe scegliere, sulla
base del giacimento informativo cumulato dalla rete dei diversi Osservatori provinciali sull’immigrazione e degli indicatori socio-economici a sua disposizione,
di sensibilizzare, in particolare, quelle aree che presentano le migliori strutture
d’opportunità per il supporto di traiettorie di integrazione efficaci.
Anche a sostegno di questa direzione di regia, raccordo e promozione, la Regione è chiamata a supportare azioni costanti di monitoraggio e raccolta informativa sistematica sulla condizione degli asilanti presenti sul territorio lombardo e
sugli standard dell’offerta di servizi loro dedicata. In particolare, nell’incrementare gli sforzi di monitoraggio del fenomeno a livello regionale, si dovrebbe lavorare alla definizione di un database che sappia raccordare più fonti amministrative
e istituzionali (dati delle Questure, delle Prefetture, della banca dati Sprar, degli
Sportelli dedicati e delle raccolte dati validate a livello territoriale, ecc.) e inaugurare nuove forme di calcolo e stima delle presenze di Raru sul territorio lombardo, per una quantificazione non peregrina delle presenze e della loro distribuzione territoriale, una tracciabilità dei percorsi interni ai territori, a supporto di una
programmazione e una definizione di linee di indirizzo più razionali e mirate.
La Regione ha, inoltre, la possibilità di rispondere, attraverso lo strumento dei
protocolli regionali, alle esigenze di formazione e specializzazione espresse dagli
operatori dei servizi dedicati ai Raru, attivando risorse e corsi ad hoc, con una
particolare attenzione agli approfondimenti di natura psicosociale.
Un piano regionale che voglia affrontare in modo organico i nodi ancora scoperti delle politiche dell’asilo può, inoltre, aldilà di intervenire a livello legislativo per l’inclusione dei Raru tra i beneficiari degli interventi di programmazione
sociale, come già sperimentato da altri governi regionali, rispondere con interventi mirati in favore dei Raru su alcune delle aree di sua competenza, come i
servizi sanitari, la casa, la formazione professionale.
Tutti i gestori di servizi e di progetti Sprar indistintamente, su tutti i territori
inchiestati, hanno lamentato il problema della casa e della difficoltà di portare a
definizione formule efficaci di integrazione alloggiativa, sia per i Raru presenti
sul territorio, sia per i Raru beneficiari di progetti di integrazione specifica: il livello regionale ha la possibilità di intervenire sulle politiche abitative e sulla pos193
sibilità di promuovere nuovi criteri di accesso al mercato alloggiativo e a formule
di edilizia popolare e di housing sociale che sostengano i percorsi di autonomia
e integrazione.
Ulteriore ruolo strategico di sostegno ai percorsi di integrazione dei Raru,
vista l’efficacia di alcune sperimentazioni e buone prassi rilevate sui territori,
rispetto alla formazione professionale e ai tirocini formativi, è la definizione di
canali di inserimento più semplici per i Raru, la promozione di accordi tra le
agenzie di formazione territoriali e i progetti Sprar, la sperimentazione di moduli
formativi e tirocini che tengano conto dei bisogni specifici degli asilanti, oltre alla
possibilità di aumentare l’offerta, in particolare in quei territori che lamentano
una rosa limitata di opportunità e ostacoli rilevanti all’accesso.
Ancora più strategico può risultare l’apporto del governo regionale nell’ambito
dei servizi sanitari e nella tutela della salute degli asilanti, sia sul piano delle politiche che degli strumenti organizzativi e formativi. Alcuni enti hanno lamentato la
difformità di operato delle Asl territoriali e una serie di difficoltà di relazione con
gli operatori dei servizi sanitari oltre alla carenza, nella rete dei servizi, di approcci specializzati in medicina delle migrazioni e più attenti e preparati agli aspetti
dialogico-relazionali del rapporto medico-paziente. Come già evidenziato in altre
indagini a carattere nazionale un apporto delle competenze esclusive delle regioni
in ambito sanitario potrebbe concentrarsi sulla semplificazione delle procedure
per l’iscrizione al Ssn e al superamento degli ostacoli burocratico-amministrativi
ai livelli locali, omogeneizzando le procedure d’accesso. Dato il modello di presa
in carico individuale proposto dalle progettazioni Sprar e dell’efficacia riscontrata dagli operatori dei servizi rispetto alla valorizzazione degli aspetti relazionali,
la formulazione di linee guida specifiche per garantire l’accesso ai servizi sanitari
tramite il ruolo di mediazione del medico di base, potrebbe risultare un primo step
di formalizzazione di un rapporto abilitante all’accesso ai servizi territoriali per
l’asilante. La presente indagine ha raccolto l’insoddisfazione degli operatori dei
progetti Sprar rispetto a procedure di assegnazione del medico di base improntate
a criteri generici o semplicemente amministrativo-burocratici, senza la possibilità
di una ricerca più accurata di profili maggiormente rispondenti alle esigenze dei
beneficiari. È per questo che, in alcuni territori, si stanno sperimentando convenzioni specifiche con medici di base che, per sensibilità e preparazione specifica,
risultano più efficaci sia nella relazione clinica, sia come punti di riferimento per
gli utenti e gli staff dei progetti.
Questo dato, unito alla percezione di un’impreparazione o di una difficoltà del
personale socio-sanitario a rispondere alle esigenze specifiche dei Raru, chiede
che si rifletta sulla possibilità di un investimento di carattere formativo che la
Regione potrebbe promuovere presso il personale socio-sanitario per lo svilup194
po di competenze specifiche di “medicina delle migrazioni”, ma anche presso i
mediatori linguistico-culturali in ambito sanitario per rafforzare e qualificare le
prestazioni. Gli operatori dei progetti Sprar lombardi hanno, inoltre, lamentato
l’inefficacia di approcci eccessivamente medicalizzati a fronte dell’espressioni di
bisogni che necessitano di prese in carico più lunghe e improntate a un approccio
di tipo psicorelazionale: la maggior parte degli enti gestori sviluppa convenzioni
e collaborazioni con soggetti specializzati in approcci di psicologia culturale e in
couselling non trovando risposte specialistiche nella rete dei servizi territoriali.
Anche su questo fronte la Regione può immaginare la formazione e la presenza di
équipe mediche specializzate sulle sofferenze psichiche e attente alle differenze
culturali degli utenti.
Quelli qui elencati sono solo alcuni degli apporti che la Regione Lombardia
potrebbe realizzare, convergendo in modo strutturato nell’architettura della governance multilivello che le politiche per i Raru strutturano sui territori. Per le
competenze specifiche ed esclusive proprie dei livelli regionali e per la possibilità
di svolgere una funzione di raccordo sovralocale, la Regione ha la possibilità di
svolgere un ruolo significativo, arricchendo i livelli di governance , contribuendo
a rafforzare il coordinamento e il dialogo tra i soggetti, sensibilizzando in modo
mirato alcuni territori per l’implementazione della rete, monitorando in modo
attento non solo le modalità di offerta e il grado di integrazione tra i servizi dedicati ai Raru e la rete più ampia dei servizi territoriali, ma anche i trend evolutivi
del fenomeno e la sua quantificazione, così da sostenere una progettazione maggiormente efficace e un calcolo adeguato delle risorse realmente necessarie a una
risposta che sostenga pienamente i percorsi di integrazione degli individui.
La definizione di un modello regionale lombardo, costruito sulle specificità
del suo essere regione di frontiera e sulle potenzialità di integrazione offerte ai
Raru dalla sua area metropolitana e dagli altri territori, chiede che anche la Regione possa intervenire di concerto con gli altri enti locali e la rete nazionale, al fine
di ottenere un maggiore coordinamento e suggerire e guidare adeguate specializzazioni territoriali e una distribuzione adeguata delle risorse.
195
4. Il Naga-Har: un luogo da abitare. Dalla prima accoglienza al senso di appartenenza1
Il centro Naga-Har nasce nel febbraio 2001 come naturale evoluzione del lavoro svolto all’interno del Naga da un gruppo di volontari che già si occupavano
specificamente dei problemi di richiedenti asilo, rifugiati politici e vittime della
tortura.
Il Naga – Associazione volontaria di assistenza socio-sanitaria e per i diritti di
stranieri e nomadi – identifica un obiettivo preciso sin dalla sua nascita, nel 1987,
nella promozione del diritto alla salute per tutti, indipendentemente da ogni differenza di razza, religione, cultura, posizione politica e condizione giuridica.
Il Naga-Har si sviluppa come unico sottogruppo del Naga dotato di una sede
autonoma, così da segnare l’irriducibilità della realtà dei rifugiati al ben più eterogeneo panorama della migrazione in generale.
Distinguere, anche mediante una precisa separazione architettonica, la condizione di chi è costretto alla fuga per un fondato timore di persecuzione, significa
rifiutare la logica istituzionale imperante che, nei fatti, spesso assimila i rifugiati a
migranti clandestini, privandoli di quel diritto alla protezione umanitaria sancito
dalla Convenzione di Ginevra del 1951.
La cronaca descrive i continui sbarchi di profughi come una realtà ormai endemica alle società globalizzate, negando così le ragioni degli individui e le cause
degli esodi d’intere popolazioni.
“Dare voce a chi si vuol far tacere” è l’esplicito obiettivo del Naga-Har, che
in questo modo intende sostenere le ragioni degli esuli, ricollocando le storie
individuali all’interno della cornice storica che le determina, e così restituendo
dignità alle singole persone.
Riconoscere i diritti dei rifugiati significa anche denunciare la protezione negata nei fatti a migliaia di individui posti in condizioni di estrema debolezza e
Il presente capitolo è stato curato da volontari professionisti e ricercatori del centro Naga-Har di
Milano.
1
197
costretti all’unico orizzonte della sopravvivenza, nonostante specifiche convenzioni internazionali esistenti, anche se ormai datate, definiscano il dovere all’asilo
degli Stati membri.
Testimoniare significa infine dare voce a individui ridotti al silenzio dalla tortura, che più di altro ha come scopo quello di privare le persone della libertà di opinione. Allearsi esplicitamente alle ragioni degli esuli consente di farsi carico della
parola rinnegata, in aperta ed esplicita opposizione alla volontà dei persecutori.
La mancata protezione ai profughi ha come ulteriore effetto quello di vivificare lo scopo della tortura: negare l’umanità degli individui non riconoscendone le
ragioni e perpetrando la riduzione al silenzio, una prima volta, là, nei paesi d’origine, come oppositori a un regime; oggi, qua, come realtà resa muta dall’omologazione sotto l’etichetta universale di “migrante per ragioni economiche”. Come
se il diritto al benessere, alla realizzazione di sé, alla determinazione delle proprie
esistenze, anche al di fuori dal proprio paese di nascita, dovesse essere una colpa,
e non un diritto.
Har cerca di rispondere alla logica dell’emergenza continua, mettendo in luce
la verità storica e geopolitica che determina i flussi di beni e persone. Realtà
quindi tutt’altro che imprevedibile e irrazionale, bensì connaturata a specifiche
dinamiche economiche e a particolari relazioni fra Stati e governi. Nel far questo
il centro non si sottrae certo alla necessità di rispondere all’urgenza di specifici e
fondamentali bisogni delle persone: la ricerca di documenti, di un tetto, un letto,
un lavoro. Soprattutto Har vive la contraddizione del dover stare nell’emergenza,
ma del volerne chiarire l’origine strutturale. Questo significa fare molta attenzione a non accettare la delega e la mancata assunzione di responsabilità da parte
delle istituzioni. Mentre Har si prende così cura della realtà personale, dei bisogni
e dei vissuti dei rifugiati, irriducibili ad astratti discorsi in termini di numeri e di
flussi, per quanto riguarda l’accesso ai servizi e alle risorse esistenti, l’obiettivo
rimane quello di non sostituirsi, ma invece di lavorare nel sociale affinché siano
le istituzioni a farsene carico.
È in questa direzione che risulta tanto più importante l’impegno del Naga-Har
a rimanere un’associazione a forte vocazione volontaristica. Se ciò, da una parte
segna un limite rispetto alla possibilità di rispondere sempre in maniera efficiente
e professionale ai bisogni dei richiedenti asilo, dall’altra costituisce un modello
di accoglienza all’origine del quale vi sia prima di tutto la condivisione umana
delle storie e delle ragioni dei rifugiati, e quindi la pratica di una cultura dell’accoglienza effettivamente solidale. La natura quasi esclusivamente volontaria del
centro Har lo rende anche particolarmente sensibile alle competenze messe in
campo volta per volta dai volontari; sono loro che portando all’interno del centro
esperienze e pratiche diverse ne disegnano le attività.
198
Il Naga-Har è ubicato in via Grigna al 24 all’interno di quattro locali originariamente adibiti a ristorante. La zona, alla periferia Nord-Ovest di Milano, è collegata al resto della città tramite la circonvallazione 90-91, vera e propria cinghia
di trasmissione fra il centro e le periferie della città.
L’Har è quindi facilmente raggiungibile, e allo stesso tempo sufficientemente
isolato in un quartiere dove costituisce l’unico locale che si affaccia sulla strada
attraverso alcune vetrine colorate. Il marciapiede antistante al centro è d’estate
una naturale prosecuzione dei suoi locali. Molti dei nostri utenti ne utilizzano
la posizione riparata per cercare ristoro sotto gli alberi durante le afose giornate
estive. Questo ha talvolta creato qualche attrito con i nostri vicini ma, allo stesso
tempo, costituisce un’essenziale occasione di scambio e confronto con il resto
della città.
A Milano per i richiedenti asilo non vi sono luoghi in cui passare le interminabili ore di attesa per il riconoscimento dello status di rifugiato. Anche questo ha
fatto sì che il centro Naga-Har si occupasse di mettere a disposizione una struttura
capace di affrontare il bisogno abitativo dei rifugiati nelle ore diurne.
Fig. 1 - Mappa del centro Naga-Har di Milano, Via Grigna 24
Nel corso dell’articolo verranno affrontate le caratteristiche del modello di presa
in carico proprio del centro Naga-Har, e i limiti e le difficoltà che si incontrano
inevitabilmente nel tentativo di declinare nella realtà, un modello ideale. Uno dei
vincoli principali risiede nella necessità di dover situare il nostro modello di risposta ai bisogni dei rifugiati all’interno della specifica struttura che ospita il cen199
tro. Si è così scelto di raccontare l’attività del Naga-Har a partire dalla descrizione fisica della sua architettura. L’incrocio fra l’emergere di nuovi bisogni da parte
dei rifugiati e le potenzialità effettive dei luoghi in cui cercare risposta a questi
bisogni, ha concretamente strutturato le modalità d’azione del centro Har. Per delineare come all’interno degli spazi del centro si siano sviluppate attività diverse
ma integrate, il Naga-Har potrebbe essere descritto metaforicamente come un organismo: la segreteria come “cervello” del centro, in cui si danno informazioni e
si depositano memorie; la stanza principale in cui si situano la maggior parte delle
attività di socializzazione, come “ventre”, in cui emergono emozioni e sentimenti
e nella quale si “digeriscono” i cambiamenti che scaturiscono dalla relazione con
i luoghi e le nuove persone incontrate; lo stanzino, in cui i rifugiati raccontano le
proprie storie, come “fegato”, per il coraggio necessario a condividere le esperienze drammatiche da cui è generata la dolorosa decisione della fuga.
Descrivere il centro attraverso le diverse attività che si svolgono all’interno
di ognuno dei suoi locali ci permette di affrontare i cambiamenti intercorsi nel
tempo e che, seguendo il succedersi di flussi, nuove emergenze, e cambiamenti
normativi, hanno continuamente ridefinito il diritto d’asilo.
Il processo verso l’ottenimento dell’asilo porta in parallelo i rifugiati ad attraversare velocemente le fasi dall’assoluta estraneità, alla conoscenza capillare della
città e di tutti quei luoghi, istituzionali e non, dai quali possono ricevere vantaggio e sostegno. Il centro Naga-Har è uno di questi.
L’esperienza a stretto contatto con i rifugiati e l’intimità che deriva dalla condivisione di esperienze così intense è spesso scaturita in amicizie durevoli. Ci
permettiamo quindi qui di usare un espediente narrativo facendoci interpreti e
testimoni del pensiero dei rifugiati, in accordo con l’esplicito obiettivo del centro
Naga-Har: “Dar voce a chi si vuol far tacere”.
4.1 Il momento della prima accoglienza2
Scesi dalla 91 e imboccata la via Grigna, dopo pochi metri iniziamo a intravedere, nel
largo spazio tra gli edifici e la strada, un gruppo di persone. Potrebbe essere una fila; ma
forse è l’abitudine che ce lo fa pensare. Man mano che ci avviciniamo ci rendiamo conto
che le persone non stanno aspettando di entrare; anzi due di loro si sono portati fuori delle
sedie e chiacchierano animatamente sotto un timido sole di Ottobre. Altri, seduti su un
gradino, sorseggiano un tè; ci sorridono. A questo punto entriamo all’interno, sicuri di
I dati quantitativi riportati si riferiscono al periodo che va da giugno del 2001 a settembre del 2007
e si basano sulla compilazione di una scheda che i soggetti compilano la prima volta che arrivano
al centro Har. Sostanzialmente la scheda raccoglie informazioni anagrafiche, notizie rilevanti del
percorso fino all’Italia e l’iter della richiesta dello status giuridico di rifugiato.
2
200
aver trovato il centro di cui molte persone alla stazione centrale parlavano. Nella prima
grande sala in cui entriamo la situazione è molto simile all’esterno: sulla destra due ragazzi stanno utilizzando i computer, mentre sulla sinistra, in un zona semibuia, sul grande
schermo affisso alla parete, si sta proiettando un telegiornale. Ci sono quattro o cinque
persone sedute sui divani; qualcuno segue le notizie, qualcuno riposa. Le persone sembrano sentirsi a loro agio, sembrano sentirsi a casa. Anche a noi sembra accogliente, ma
non capiamo ancora bene di che posto si tratti. La persona al computer si gira e ci saluta;
poi si accorge che siamo nuovi e rimaniamo lì in piedi sulla soglia senza sapere bene che
fare, allora ci indica una sala alla nostra destra. Saliamo lo scalino della soglia e, un po’
timidi, gettiamo uno sguardo dentro. C’è una persona dietro a una scrivania, ci saluta e
noi ci avviciniamo.
La segreteria non è il primo spazio che si incontra arrivati ad Har; ma è la prima
stanza che le persone cercano appena arrivate al centro con precise domande e
bisogni. Qui ha luogo il momento dell’accoglienza. Chi arriva per la prima volta
al centro molto spesso non ha un’idea precisa di cosa sia il Naga-Har e di che tipo
di aiuto possa offrire. Si tratta di persone solitamente appena arrivate a Milano
alle quali qualcuno ha consigliato di rivolgersi al centro Har. È in questa prima
accoglienza che è importante trasmettere che il Naga-Har non è semplicemente
uno sportello che eroga servizi ai rifugiati, ma un luogo per i rifugiati, “uno spazio possibile e passibile di essere vissuto, e che è a disposizione; sarà lo stesso
rifugiato, solo se lo vorrà, a cercare di ivi costruire ciò di cui ha più bisogno”
(Siena, Ottavini, Piacentini 2003: 104). È durante l’accoglienza che ai nuovi arrivati viene presentato il centro, le attività che si svolgono sia al suo interno che all’esterno, e le persone che ci lavorano; ed è durante l’accoglienza che i volontari
fanno conoscenza della persona che si rivolge a loro. È un momento delicato ma
al tempo stesso cordiale, intimo e caloroso. I volontari raccolgono i dati anagrafici necessari a compilare la scheda per poi rilasciare una tessera del centro che
garantisca loro il senso di protezione derivante dalla consapevolezza che in quel
luogo, a esclusivo appannaggio dei rifugiati, loro saranno al sicuro; ma durante
l’accoglienza i volontari raccoglieranno molte più informazioni sulla persona di
quelle chieste e dette in modo esplicito; bisogni non espressi e malesseri non
esplicitati, ma anche aspirazioni e desideri. Più si riesce ad ascoltare e a leggere
nelle parole e negli sguardi e meglio si può consigliare alle persone percorsi, attività, luoghi e persone cui fare riferimento.
Nel corso degli anni l’accoglienza del centro Har è cambiata insieme ai bisogni delle persone che vi si rivolgono. Un tempo, prima dell’entrata in vigore della
Bossi-Fini, un richiedente asilo aspettava in media due anni prima di essere ascoltato dalla Commissione Centrale di Roma, e durante questo tempo il suo permesso di soggiorno esplicitamente non gli permetteva di lavorare. Questo periodo di
attesa lasciava quindi i richiedenti asilo in un vero e proprio limbo giuridico, ma
201
anche psicologico, materiale ed esistenziale. Ciò rendeva il centro un luogo in cui
trascorrere il tempo, utilizzandolo per imparare l’italiano, attraverso le lezioni o
le conversazioni quotidiane con i volontari italiani; un luogo per conoscere altre
persone, per tenersi informati attraverso internet sugli avvenimenti nel proprio
paese di origine e tenersi in contatto con i propri familiari. Questo lungo periodo
di attesa poteva anche essere utilizzato per prepararsi all’intervista con la Commissione, attraverso quel processo di ricordo e ricostruzione del proprio passato
così difficile e spesso traumatico per molti richiedenti asilo. Il bisogno di raccogliere la storia di vita con la quale portare avanti la propria richiesta d’asilo in
Commissione diventava così l’occasione per cominciare quel lento percorso di
ricostruzione del sé e della fiducia negli altri tanto importante per i rifugiati, specialmente se anche vittime di tortura, di cui parleremo più diffusamente oltre.
Dall’entrata in vigore della Bossi-Fini i tempi di attesa si sono ridotti, non
tanto a Milano, dove ancora oggi l’intervista può aver luogo anche a distanza
di un anno dalla prima richiesta d’asilo, ma si sono ridotti notevolmente nelle
Commissioni Territoriali di Siracusa, Trapani, Crotone e Foggia dove la maggior
parte dei richiedenti asilo ottiene un documento, o un diniego, nell’arco di due o
tre mesi; e altrettanto velocemente prende un treno diretto a Nord. Il risultato di
questo cambiamento, è che un gran numero di persone che si presentano al centro
Har provenienti dalle Commissioni del Sud ha già un documento, per lo più per
motivi umanitari, e può lavorare; ma essendo in Italia da pochi mesi, non parla
italiano, non ha fatto ancora alcun corso professionale, non sa da dove iniziare
nella ricerca del lavoro3.
Com’è indicato nell’ultimo dossier sull’immigrazione della Caritas e nel rapporto 2006 dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità4, la
Lombardia continua a essere la regione con il maggior numero di immigrati al
proprio interno e con segnali chiari di radicamento, il che sembra da imputarsi
soprattutto a un sistema produttivo che offre ancora molte opportunità occupazionali, sebbene occorra anche ravvisare qualche segnale di difficoltà in alcuni
aspetti dell’inserimento sociale tra cui la forte incidenza del disagio abitativo
tra gli stranieri provenienti dai paesi più poveri (Caritas, 2006). A prova della
vivacità del mercato del lavoro lombardo sta il fatto che superate le numerose
condizioni che ne ostacolano l’inserimento lavorativo, i richiedenti asilo trovano
I soggetti con permesso umanitario arrivati nel Sud Italia e poi passati all’Har dal 2001 fino al
2007 sono in tutto 327 su un totale di 395.311 di questi hanno fatto la prima domanda in questura
in luoghi del Sud Italia. Interessante anche sottolineare l’incremento quasi esponenziale di soggetti
con permesso umanitario in particolar modo a partire dal 2005 anno soglia in cui si passa da 24 a 64,
e nel 2006 quando si passa a 183 per arrivare fino al primo semestre del 2007 con già 95 permessi
umanitari. Al pari, invece, i richiedenti asilo diminuiscono.
4
Per approfondimenti si veda: Ismu, 2007; Caritas, 2006.
3
202
occupazione a Milano e nell’interland, e qui stabiliscono la loro residenza. Ed
è per questo che molte persone che hanno ottenuto un permesso di soggiorno in
una città del Sud vengono a Milano. È interessante infatti notare come rispetto
all’inserimento nel mercato del lavoro italiano, le divergenze tra la migrazione
economica e la migrazione forzata si assottigliano, ammesso che questa distinzione sia reale e non artificiale. Ad ogni modo, siano motivi economici o fondati
timori di persecuzione a indurre le persone a emigrare dai propri paesi d’origine,
i loro percorsi, una volta in Italia, sono i medesimi e ripercorrono quelli della
migrazione economica interna al nostro paese. È oltretutto importante evidenziare come, rispetto ad altre categorie di immigrati, i richiedenti asilo siano per
la stragrande maggioranza persone in età lavorativa, dunque facilmente inseribili
nel mercato del lavoro italiano.5 Ed è legata a questi bisogni prioritari la richiesta
di accoglienza presso il centro Har: corsi di italiano, corsi professionali, curriculum, un aiuto per trovare lavoro. La fretta di trovare un’occupazione, per poi
costruirsi una propria autonomia, fa sì che per molte persone in possesso di un
permesso di soggiorno il centro, e in particolare la segreteria, sia oggi più che
altro utilizzato per consultare le offerte di lavoro, inviare curriculum ad aziende e
cooperative che cercano personale, informarsi sui corsi professionali cui possono
accedere.
L’inserimento lavorativo, abitativo e sociale di persone giunte da così poco
in Italia non è tuttavia nella maggior parte dei casi un processo immediato; in
particolare nel primo periodo si crea spesso un “circolo vizioso” che ha alla base
l’insufficienza di risorse messe a disposizione dei rifugiati nella città di Milano in
termini di alloggio. La maggior parte delle persone che vengono a Milano con un
permesso di soggiorno ottenuto in altre città, se non ha una rete di amici, parenti,
connazionali a cui rivolgersi per avere ospitalità, è costretta a dormire in strada o
in alloggi di fortuna per giorni e a volte anche per mesi. Questa condizione li costringe a trascorrere il proprio tempo alla ricerca di una soluzione ai propri bisogni primari: dormire, mangiare, vestirsi, lavarsi, curarsi; ciò impedisce pertanto a
queste persone di dedicarsi all’apprendimento della lingua e alla ricerca del lavoro. Un altro grande ostacolo al primo inserimento lavorativo dei richiedenti asilo
nella città di Milano riguarda la limitata autonomia in termini di trasporto. Molte
aziende in cerca di manodopera si trovano in luoghi difficilmente raggiungibili
con i mezzi pubblici, specialmente se vi è la necessità di recarsi in queste località
in fasce orarie notturne; numerose aziende inoltre pongono esplicitamente come
clausola per l’assunzione la disponibilità di una mezzo proprio, che molti richiedenti asilo in questa fase del proprio percorso, non posseggono.
I soggetti censiti dal centro Naga Har dal 2001 al 2007 hanno in media 31 anni. Non ci sono particolari scostamenti nel corso degli anni, e per nazionalità.
5
203
Tutte queste condizioni fanno sì che anche chi ottiene subito un permesso di
soggiorno rimane, nella realtà, in un limbo molto più a lungo. Dunque, soprattutto in questo periodo iniziale, il centro diventa per loro un punto di riferimento,
oltre che per le attività descritte sopra, anche come luogo dove potersi riposare,
stare al caldo e bere un tè dopo una notte passata in strada.
Vi sono poi ancora numerose persone che arrivano al centro subito dopo aver
fatto richiesta d’asilo presso la questura di Milano6. In questi casi le persone,
oltre a un orientamento sulla città, gli uffici, i servizi e i corsi a cui possono accedere, chiedono informazioni rispetto alla procedura per la richiesta d’asilo: i
tempi per ottenere il permesso di soggiorno, per essere chiamati in Commissione
o per potere lavorare. Per chi deve ancora essere ascoltato dalla Commissione
diventa fondamentale sapere che presso il centro potrà farsi inviare documenti
utili alla propria domanda d’asilo e potrà reperire materiale informativo sulla
situazione vissuta nel proprio paese d’origine. Il richiedente asilo potrà inoltre
prendersi il tempo per ripensare agli avvenimenti che hanno preceduto la propria
fuga, le date, i luoghi, il viaggio; più riuscirà a ricostruire in modo dettagliato
la propria storia più sarà in grado di riportare in Commissione tutti gli elementi
necessari alla valutazione della sua domanda d’asilo. Altrettanto numerose sono
poi le richieste di accompagnamento in questura da parte di chi non ha ancora
formalizzato la domanda d’asilo7; ancora una volta spesso la causa di questo
ritardo è la mancanza di un alloggio, che oltre a esporre la persona a una situazione di disagio, pone ostacoli alla richiesta d’asilo. Non vi è in teoria nessun
ostacolo legislativo all’accettazione di una domanda da parte di persone che non
hanno ancora un domicilio; anzi, la procedura prevede la possibilità di dichiarare
al momento della richiesta d’asilo il proprio stato di indigenza così da essere inserito nel piano di accoglienza. Tuttavia, nella pratica, sono molte le persone obbligate a fare ritorno in questura solo in seguito all’acquisizione di un domicilio.
Altri ostacoli alla formalizzazione della domanda d’asilo, per cui viene richiesto
l’accompagnamento in questura, possono essere l’aver ricevuto provvedimenti
di respingimento o di espulsione all’arrivo in Italia prima di aver potuto esplicitare la volontà di chiedere asilo, ma anche le difficoltà comunicative con gli
operatori degli sportelli della questura in assenza di qualche conoscente che parli
l’italiano.
In generale dunque l’attività della segreteria, che ci permette di utilizzare la
metafora del cervello per descriverne le funzioni, è quella di orientamento verso
il territorio e le sue risorse, nel momento della prima accoglienza ma anche in
Sono in tutto 500 (il 19,5% del totale) i soggetti che hanno formalizzato la richiesta d’asilo presso
la Questura di Milano.
7
La percentuale di persone che si rivolgono al centro Har prima di aver formalizzato la richiesta
d’asilo in questura rispetto al totale degli utenti è del 10.88%.
6
204
seguito, durante tutto il percorso di integrazione giuridica, lavorativa, abitativa e
sociale. Le numerose persone che si rivolgono al centro appena dopo essere giunti in Stazione Centrale hanno evidentemente la necessità di orientarsi all’interno
della città e di individuare i servizi primari ai quali devono e possono rivolgersi:
l’ufficio stranieri del comune di Milano, la questura, le mense, le Asl. Ma anche
chi è presente sul territorio da più tempo ha necessità di conoscere le risorse del
territorio: i servizi di avviamento e gli uffici delle agenzie per il lavoro, i sindacati, le biblioteche e le scuole di italiano. Orientare i richiedenti asilo entra così a
fare parte di una più ampia presa in carico da parte del centro della persona, nel
suo insieme, che significa soprattutto cercare di fornire ai richiedenti asilo tutti
gli strumenti di cui possono aver bisogno per ricostruirsi una propria autonomia
e una propria identità.
Tab. 1 - Numero di soggetti delle principali nazionalità registrati dal centro Har.
Giugno 2001-giugno 2007
Paese
di provenienza
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Presenze in Har
dal 2001 al 2007
Bangladesh
-
1
4
3
4
6
24
42
Cameroun
2
9
11
5
6
9
1
43
Congo
6
13
8
36
12
11
4
90
Costa d’Avorio
-
3
31
17
30
44
15
140
224
16
33
62
32
32
17
32
Eritrea
Curdi
-
48
117
96
58
88
69
476
Etiopia
-
3
20
18
30
34
4
109
Gambia
-
3
17
36
11
24
25
116
Iraq
1
11
62
12
3
2
5
96
Liberia
-
23
56
17
5
6
7
114
Nigeria
-
-
-
22
22
83
61
188
Palestina
-
3
34
9
7
1
2
56
Sierra Leone
2
13
32
18
10
8
9
92
Sudan
-
8
63
35
14
62
22
204
Togo
7
36
34
29
17
32
18
173
Totale
61
258
603
430
310
482
379
2523
La segreteria è infine all’interno del centro il luogo della memoria. Dalla sua
apertura ad oggi sono passati per il Naga-Har all’incirca 3.000 persone8. Tutti i
loro dati, le loro storie, le fotocopie dei documenti, delle relazioni, le fotografie e
quant’altro sono conservate nei file, ordinati per paesi, all’interno della cassaforte. Ciò costituisce un grande atto di fiducia e una responsabilità che i nostri rifu-
205
giati ci hanno attribuito. Una tale raccolta di storie e di esperienze costituisce un
patrimonio umano immenso che ci piace immaginare come una grande comunità
di individui affiliati al centro e ai suoi scopi.
4.2 L’apprendimento della lingua italiana: uno strumento di appartenenza
La sala adiacente la segreteria era un tempo il cuore del centro; il perimetro
della stanza era composto da divani e poltrone formando così un grande salotto
intorno alla televisione e al rito del tè. All’inizio l’affluenza al centro Har era tale
da non creare nessun problema di convivenza tra la sala del tè delle chiacchiere e
delle partite alla televisione, e la segreteria; allo stesso tempo il contenuto numero
di utenti nel centro consentiva che gli incontri della scuola di italiano si svolgessero nella sala più ampia, condividendo lo spazio con l’attività informatica. Nel
corso degli anni, il passaparola tra gli utenti e l’aumento in assoluto di richiedenti
asilo e rifugiati, ha fatto sì che all’interno del Naga-Har l’equilibrio tra spazio e
persone iniziasse a vacillare, mettendo di fatto in difficoltà i volontari del centro
e rendendo difficile lo svolgimento delle attività. Durante la coppa d’Africa, ad
esempio, tale è stata l’affluenza di “tifosi” rifugiati, da costringere i volontari a
telefonare dall’esterno del centro in segreteria per segnalare la propria presenza
e la concomitante impossibilità a entrare nei locali gremiti di pubblico. Da qui i
tentativi di mettersi in rete con altri spazi che potessero condividere questi bellissimi momenti di rito calcistico, ma non solo; ciò ha sollecitato una riflessione
sulla totale assenza di spazi pronti ad accogliere nei pomeriggi gelidi d’inverno
i richiedenti asilo e i rifugiati che, obbligati a restare per tutto il giorno fuori dai
loro alloggi, non avevano altro luogo dove andare se non il centro Har. La scelta
ideale allora sarebbe stata quella di cercare una nuova sede, ma, non avendo
disponibilità di fondi per portare avanti questa soluzione, si optò per una ridefinizione delle attività, in modo che i locali del centro fossero dedicati alle differenti
attività in orari alterni, provocando non poche discussioni. Il Naga-Har infatti ha
sempre messo al primo posto i bisogni e i tempi dei richiedenti asilo, non i propri;
da qui la scelta di garantire che il centro rimanesse aperto in tutti i momenti in cui
le persone potevano avere bisogno di un luogo da abitare, ovvero durante gli orari
di chiusura dei centri di accoglienza, per tutto il giorno, senza pause per il pranLa stragrande maggioranza sono uomini (89%). Le nazionalità prevalenti sono: Bangladesh, Cameroun, Congo (Kinshasa, Brazeville, RdC), Costa d’Avorio, Curdi Turchi, Eritrea, Etiopia, Gambia,
Iraq, Liberia, Palestina, Sierra Leone, Sudan, Togo. Come status giuridico il 57,24% sono richiedenti, il 10,88% non hanno ancora fatto alcuna domanda, il 15,8% sono permessi umanitari, il 5,68%
sono ricorrenti, il 6% sono rifugiati, il 3,56% hanno ricevuto un diniego dalla Commissione.
8
206
zo o giorni festivi. L’idea di imporre degli orari per le diverse attività risultava
pertanto estranea alla natura del centro. Ciò nonostante furono fatte delle riunioni
con gli utenti del centro in cui, grazie a una serie di interpreti che traducevano gli
interventi nelle quattro principali lingue veicolari, furono esposte le problematiche e le possibili soluzioni. Gli utenti del centro si dichiararono disponibili a un
periodo di prova in cui le attività sarebbero state suddivise per spazi e per orari;
messa in pratica, tuttavia, la suddivisione oraria non durò a lungo perché, sentendosi obbligato a scegliere tra l’efficienza e il senso di accoglienza, il centro decise
di salvaguardare quest’ultimo. Ma la suddivisione non durò a lungo anche perché
al Naga-Har si continua a lavorare nell’emergenza, e all’emergenza non si può
rispondere con una programmazione rigida. Alcuni elementi di cambiamento tuttavia sono stati apportati e hanno prodotto qualche miglioramento. Uno di questi
è stato lo spostamento della scuola di italiano nel cuore del centro, creando così
una divisione spaziale tra attività didattiche e di segreteria da una parte e quelle
di socializzazione dall’altra.
Fare scuola al centro Har è una realtà complessa con elementi di ricchezza e
difficoltà. La particolarità più evidente consiste nel fatto che si è scelto di lasciare
che la scuola rimanesse aperta ai nuovi arrivi, di non organizzarla in termini di
classi strutturate. Ogni giorno nel pomeriggio ci si trova al centro; qualcuno viene
appositamente per la scuola, qualcuno si trova al centro per altri motivi e decide
di parteciparvi quel giorno; altri sono in attesa di una visita o di un appuntamento
con qualche volontario e si avvicinano al tavolo dove si fa scuola. Allo stesso
modo, non essendoci un inizio e una fine del corso, il turnover avviene in modo
spontaneo; qualcuno lascia la scuola perché si iscrive a un corso professionale,
qualcuno trova un lavoro. Ma c’è anche qualcun altro che deve recarsi in Sicilia
o in Puglia per rinnovare il permesso e si assenta per qualche tempo. Poi magari
ritorna. Intanto ci sono nuovi arrivi al centro e la scuola va avanti, senza soluzione di continuità. L’altro elemento di complessità, ma anche di ricchezza, per la
scuola è rappresentato dall’eterogeneità della “categoria” stessa dei richiedenti
asilo e rifugiati politici. Eterogeneità in termini di paesi di provenienza, quindi
lingue madri e veicolari; eterogeneità anche nei livelli di scolarizzazione, nonostante il numero di persone analfabete rilavato tra gli utenti del centro Har sia
relativamente basso9.
Tutti questi elementi di complessità vengono percepiti meno quando per un
certo periodo si crea, in maniera spontanea, un’identità di gruppo. Quando questo
avviene, anche la distanza tra i livelli di conoscenza della lingua si sente meno;
come nota un’insegnante “i più scolarizzati insistono di buon grado sui verbi,
Prendendo il dato aggregato per anni e per nazionalità i soggetti analfabeti (o che si dichiarano
tali) sono solamente il 10%.
9
207
sulle desinenze di maschile e femminile, singolare e plurale come coloro che
hanno bisogno di un’alfabetizzazione di base; questi ultimi tentano con un certo
entusiasmo la lettura di qualche articolo di giornale o di qualche testo di narrativa
e poesia”.
Quando un gruppo si stabilizza si creano anche le condizioni per conoscersi
meglio e si ha modo di meravigliarsi per come le persone facciano scuola dimenticando o ridimensionando ciò che avviene fuori, nel resto delle loro giornate; in
quei momenti emerge tutto il coraggio delle persone, la loro capacità di ricominciare nonostante le incertezze del presente e del futuro, la loro tenacia.
Quando ci si conosce meglio è anche più facile leggere i bisogni; e allora si
apprende come per molte persone la lingua non è solo uno strumento funzionale
alla vita quotidiana ma anche elemento prezioso per sentirsi, e sperare di essere
considerato, meno “straniero”. È la lingua orale il bisogno primario, la possibilità di capire velocemente quel che viene detto loro e a loro volta riuscire a farsi
capire; entrare il prima possibile in rapporto con il nostro mondo senza farsi più
ferire. Le persone si espongono al tentativo di emettere suoni fino ad allora sconosciuti e senza un senso; e questi sforzi creano le condizioni per instaurare una
relazione, per comunicare. Avviene così che “durante le conversazioni – scambi
di domande e risposte che riguardano le loro giornate nella città, le esperienze
del nostro presente – emerge che qualcuno dorme “fuori”, alla Stazione Centrale.
Allora tutt’intorno al lungo tavolo sul quale scriviamo si reagisce con ironia, si
rincorrono le battute ironiche tra studenti che hanno beccato i compagni di classe
nel tentativo di bigiare: è un’allegria che fa fronte allo sgomento”, racconta Pinuccia, insegnate del centro.
Molti dei cambiamenti visibili al centro Har fanno da eco a eventi che avvengono in luoghi lontani. Quelli più evidenti riguardano la provenienza delle
persone che frequentano il centro.
Se si analizzano i dati relativi agli arrivi al centro Har, si può notare come in
alcuni periodi vi siano stati flussi molto consistenti di persone solamente da alcuni paesi; in altri periodi, invece, gli arrivi sono quasi omogeneamente distribuiti
su diversi continenti e numerosi paesi, testimoniando il moltiplicarsi delle zone
di “crisi”, dove l’indebolimento degli Stati-nazione, le nuove forme di povertà e
la diffusa incertezza sociale che caratterizza la nostra epoca, costringono un sempre maggior numero di persone a emigrare (Appadurai, 2001; Appadurai, 2002;
Geertz, 2000).
Uno dei cambiamenti con cui hanno dovuto far fronte gli insegnanti è dunque
una ancora più accentuata eterogeneità rispetto ai paesi di provenienza tra gli
alunni della scuola. L’altro cambiamento significativo invece è stato rappresenta-
208
to dall’entrata in vigore della legge Bossi-Fini nel 2005, e la conseguente nascita
di una nuova categoria di permessi legati alla richiesta d’asilo, i permessi di soggiorno per motivi umanitari. Come già discusso sopra, i permessi di soggiorno
per motivi umanitari hanno come caratteristica intrinseca la loro temporaneità, e
dunque, anche solo per questa ragione, la precarietà di coloro che lo posseggono.
A questo si aggiunge il fatto che con i tempi ristretti della legge Bossi- Fini, molte
persone ottengono un permesso umanitario dopo poche settimane dal loro arrivo
in Italia perdendo, di fatto, subito il diritto all’assistenza garantito per i richiedenti asilo; spesso dunque queste persone si trovano costrette ad abitare per interminabili giorni in alloggi di fortuna, parchi o stazioni, unici luoghi disponibili nelle
nostre città fino a quando non avranno imparato la lingua e trovato un lavoro.
Il disagio provocato da questa situazione è evidente al centro Har e all’interno
della scuola; si fa fatica a ridere, aumentano le persone che non trovano posto in
un dormitorio e l’esigenza di trovare lavoro. Questa ansia rende faticoso l’apprendimento della “parola diversa”, come viene chiamata dagli insegnanti del centro.
“Fu una gioia per noi volontari quando un giorno M. si presentò al corso, dopo
che per mesi avevamo provato a convincerlo a dedicarsi, in quel lungo tempo di
attesa per la definizione del suo status giuridico, allo studio della lingua italiana.
Pensavamo che fosse la cosa più utile da fare in quel periodo di “limbo”, potersi
distrarre attraverso la scuola dalle difficoltà del proprio presente e prepararsi per
il futuro; ma lui aveva già troppi pensieri in testa, “non mi entra più in testa niente
ora”, ci diceva. E le stesse parole ci venivano dette da quel gruppo di eritrei e sudanesi che hanno abitato per un lungo periodo l’ex- caserma Forlanini; erano tutti
in possesso di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma impediti nel
tentativo di inserimento nella società italiana, perché costretti a vivere nascosti in
una struttura abbandonata e a trascorrere le giornate in cerca di risposte ai propri
bisogni primari. “Come faccio ad andare a scuola e a concentrarmi nello studio
sapendo che fuori è inverno e che quando esco da scuola non so dove andare?”
In questi periodi in cui al centro si condivide l’“emergenza”, che in realtà è
talmente puntuale ogni anno nello stesso periodo da richiedere fin troppa fantasia
per potersi chiamare emergenza, è difficile fare scuola. Il centro è affollato, ma
di persone bisognose di riposo; per questo, più che sedersi intorno al tavolo ad
affrontare “la parola diversa” ci si rifugia nel gioco del computer o nelle immagini televisive. Chi invece ha la forza e la motivazione per partecipare alla scuola,
spesso lo fa con un’ansia di imparare per poter cambiare lo stato di cose nel quale
si trova che lo spinge a sentire il bisogno di possedere una penna e un quaderno,
più che un vocabolo.
209
4.3 L’ingresso al centro Naga-Har: un modello di presa in carico
Come già detto, quando una persona entra per la prima volta al centro Naga-Har
si trova ad attraversare la sala da cui si dipanano tutte le altre stanze. Questa stanza è la più grande presente al centro ed è per questo deputata a tutte quelle attività
genericamente definite “di socializzazione”.
Il centro Naga-Har si propone consapevolmente come uno spazio per l’abitare
diurno di individui che non avrebbero altrimenti alcun altro posto in città dove
poter andare. L’amministrazione pubblica infatti risponde al bisogno di protezione dei richiedenti esclusivamente con l’offerta di un posto letto, offerta per di più
insufficiente rispetto al numero di domande, quindi spesso disertata.
Durante il giorno il centro si trova così a fronteggiare, specie nei mesi invernali, il ben più complesso bisogno abitativo di profughi alle prese con una nuova
società tanto lontana per usi e tradizioni, offrendo non di rado una sedia e un
divano per il riposo di coloro che si siano trovati a passare la notte in strada.
È probabile così che le priorità di un rifugiato, da poco giunto in Italia e appena arrivato al Naga-Har, difficilmente si rispecchino nell’immagine del centro che scaturisce appena varcata la soglia. Prima di raggiungere i volontari in
segreteria, disponibili a rispondere alle urgenze della domanda d’asilo, questa
persona, probabilmente disorientata, si trova così a fare i conti con il lato “meno
formale” del centro.
Questo che a un primo sguardo può sembrare un limite, costituisce un’occasione per comunicare immediatamente un senso di condivisione caldo e amichevole. Il centro Naga-Har vuole così rappresentarsi immediatamente come uno
spazio accogliente, “da abitare”, per aprire alla possibilità di tornare a sentirsi
“appartenente” a una comunità.
Nella grande sala all’ingresso richiedenti asilo e volontari del centro passano
la maggior parte del tempo chiacchierando semplicemente, conoscendosi bevendo un tè, consultando insieme la cartina di Milano appesa al muro.
Nella sala è presente un grande schermo per guardare insieme un film o una
partita, ma anche un notiziario via satellite nelle lingue di origine dei rifugiati.
Nel tempo è stata allestita all’interno della sala (grazie anche a una donazione della Feltrinelli) una medioteca fornita di molti film, dvd e libri, sia di
narrativa che saggi, dei paesi d’origine dei richiedenti asilo. La sola presenza di
questo spazio è un invito alla condivisione e all’incontro fra le diverse culture
presenti al centro. La sala è inoltre dotata di parecchie postazioni computer, un
tempo collegate a internet, ora utili soltanto per svagarsi giocando; la legge antiterrorismo infatti impedisce di utilizzare i computer senza registrare ogni utente,
cosa al momento piuttosto complicata dato il rapporto fra i pochi volontari e i
210
molti rifugiati.
Nella grande sala d’ingresso il centro predispone anche specifiche attività per
favorire l’incontro fra i rifugiati e il nuovo contesto abitato. Alcune di queste
attività sono più spontanee, altre sono maggiormente strutturate e hanno cadenza
settimanale. Tutte hanno lo scopo di offrire ambiti di condivisione e di partecipazione.
L’insieme di queste attività di socializzazione e di supporto ai richiedenti asilo
configura intenzionalmente uno specifico modello di presa in carico allo scopo
di favorire lo sviluppo di nuove forme di appartenenza. È infatti fondamentale
per individui costretti alla fuga dal proprio paese d’origine, tornare a maturare
un senso di fiducia e di possibile espressione di sé nel nuovo contesto abitato.
Questo passa necessariamente attraverso pratiche condivise fra volontari italiani
e rifugiati.
Se attività come il laboratorio musicale possono sembrare estemporanee (e in
gran parte si fondano su di uno spontaneo gioco di improvvisazione), a ben vedere costituiscono potenti occasioni nelle quali vengono rimesse in discussione le
tradizionali forme di appartenenza e di espressione.
Dieci, quindici persone sedute in cerchio si presentano con nome e paese d’origine. Ognuna imbraccia uno strumento, a prescindere dalle effettive competenze
tecnico musicali. Si comincia da brevi e semplici frasi. I suoni si sovrappongono
timidi e a volte sgraziati. Ci vuole un atto di fede per credere che possa scaturirne qualcosa di senso compiuto: ritmi africani, vocalizzi mediorientali, influenze
caraibiche si incontrano con giri elettrici di basso e chitarra smaccatamente occidentali in un ibrido irriverente; ma, se l’alchimia accade, il potere della musica
trascina nella festa, il suono si impenna, qualcuno si alza dalla sedia per compiere
un passo di danza, qualcun altro impugna il microfono ora con più decisione per
proferire parole, spesso per gli altri, incomprensibili. Allora qualcuno ride. Si ride
insieme di quel frankinstain musicale che ha in sé il potere creativo di rappresentare la speranza concreta che dall’incontro fra differenti culture possa nascere la
bellezza, o per lo meno una nuova possibilità di comunicazione.
Altre attività quali ad esempio il teatro, la squadra di calcio, e le feste hanno
bisogno invece di ribalte all’esterno. Se da una parte ciò sottolinea l’impossibilità
di rispondere alla complessità dei bisogni dei richiedenti asilo in un’unica struttura, e i limiti architettonici dei locali di via Grigna; dall’altro apre alla possibilità
di trasferire all’esterno le pratiche di socializzazione che prendono le mosse dal
centro Har. Lo scopo di testimoniare e dare voce alle realtà dei rifugiati ci impone
infatti di abitare altri contesti al di fuori del centro cercando appropriati ambiti di
rappresentazione.
Crediamo che non ci possa essere un effettivo e sostanziale cambiamento nelle
211
condizioni attuali dei rifugiati senza coinvolgere l’intero contesto sociale abitato
nel presente. Si tratta di superare la logica che vorrebbe le cause del disagio dei
rifugiati esclusivamente nel passato dei loro paesi d’origine, trascurando così le
ragioni e le responsabilità proprie delle società di immissione.
Paradigmatica è l’esperienza del Social Club “Interisti Senza Frontiere”. Sono
ormai diversi anni che, grazie a un accordo con la società nerazzurra, possiamo
seguire le partite a San Siro. Italiani e rifugiati che condividono una passione
“transculturale”: quella per il calcio.
La frequentazione di un luogo come lo stadio, tanto connotato rispetto all’appartenenza al territorio, ma allo stesso tempo patrimonio di chiunque si senta
partecipe della cultura sportiva, si può configurare come uno strumento di affiliazione e di apertura di appartenenze. L’accoglienza, mediata dal tifo verso la stessa
squadra, di nuovi supporter stranieri è un modello di sviluppo per tutto il contesto
sociale basato, non sulla retorica del riconoscimento delle differenze, ma semmai
sul riconoscimento dell’altro nelle somiglianze. La rappresentanza di rifugiati
allo stadio delinea la possibilità di ridefinire cosa significhi essere membri titolati
di una comunità in via di sviluppo (Inghilleri, Petrogalli, 2007).
Ciò è anche alla base della proposta del teatro dell’oppresso, attivo nella
rappresentazione delle realtà dei rifugiati; ma anche della squadra di calcio: “la
Multietnica Naga-Har” capace, durante i vari tornei estivi, di far “incontrare sul
campo” i rifugiati col resto della città.
Un’altra esperienza che ci proietta al di fuori dei confini del centro è quella
del laboratorio di fotografia all’interno del quale alcuni rifugiati hanno ritratto la
“loro” Milano. Questa è un’occasione particolarmente importante per dar voce
a bisogni emergenti di nuovi possibili membri della comunità. Per i rifugiati,
soggetti alle drammatiche derive di esperienze di fuga e sradicamento, la possibilità di tornare a sentirsi affiliati e appartenenti a un luogo risulta particolarmente
significativa.
Nel tempo l’ambizione del centro di tutelare quelle attività ritenute fondamentali e imprescindibili ha fatto sì che, per rispondere a bisogni impellenti, nascessero altre associazioni in rete con l’Har. È questo il caso di Nabad, che si
occupa di sviluppare un modello per l’abitare e l’accoglienza notturna innovativo
e integrato nella realtà territoriale entro la quale si pone, o del “Progetto Paguro”,
tavolo di ricerca-azione in cui Har si confronta con architetti e altre competenze
riguardo ai bisogni dei rifugiati in relazione alla progettazione urbana. Tutto questo mette in luce come le dimensioni spaziali e le competenze di Har costringano
il centro ad affacciarsi all’esterno pur di realizzare una pratica maggiormente
completa e integrata.
In molti casi il centro resta solo una struttura di passaggio, un rifugio in cui si
212
soggiorna gomito a gomito con altri richiedenti asilo in attesa dell’assegnazione
di un posto letto, di una chiamata da parte della questura, dell’accoglimento della
richiesta d’asilo, oppure di un lavoro che trascini fuori per cominciare ad abitare
pienamente la città.
Molti sono gli individui in transito verso l’altrove. Per tutti loro il centro costituisce un’occasione per fermarsi e per avere momentaneo ristoro, un momento
di prima presa di distanze e di rielaborazione dell’esperienza che li ha portati alla
fuga e alla richiesta d’asilo. Il centro accetta e tutela questo bisogno offrendo
anche riservatezza, laddove un ingaggio relazionale troppo diretto potrebbe risultare prematuro e potenzialmente traumatico.
In generale, anche per costoro più ritirati nella relazione, il centro deve “agire
partecipazione”.
Il centro si costituisce esplicitamente come una “struttura di plausibilità” (Berger, Luckmann, 1969; Reggi, 2004). Attraverso la testimonianza della realtà nascosta e rinnegata dell’esilio, attraverso la tutela dei diritti dei rifugiati, attraverso
il “dar voce a chi si vuol far tacere”, il centro Naga-Har pratica una cultura dell’accoglienza e dell’autodeterminazione di sé, in aperta opposizione alle ragioni
dei persecutori che hanno costretto alla fuga e al silenzio individui portatori di
una differenza, qualsiasi essa sia. Il centro deve accogliere e testimoniare queste
differenze.
In questo contesto attività culturali, artistiche o sportive si configurano come
occasioni di vera e propria risocializzazione, anzitutto perché offrono spazi per
rappresentare e dar voce alla realtà dell’esilio. Pensiamo al senso che può assumere giocare a calcio in una squadra “multietnica” per individui a cui sia stato
negato il diritto di esprimersi e che ora possono manifestare con dignità la condizione di rifugiato, sperimentando l’appartenenza a un collettivo multiculturale, riappropriandosi attraverso lo sport di una forma di espressione attraverso il
corpo: proprio ciò che la tortura si propone di negare; oppure suonare assieme ad
altri, italiani e non, mettendo in gioco liberamente le proprie diverse tradizioni
musicali, esprimendo nei canti parole tal volta a lungo proibite nei propri paesi
e che ora possono essere condivise con altri testimoni; e così anche esperienze
come il teatro o la fotografia che consentono di liberare e legittimare il proprio
bisogno di rappresentarsi.
La condivisione di queste esperienze con persone del proprio e di altri paesi
può simbolicamente rappresentare la fiducia in uno sviluppo interculturale della
società, manifestando evoluzioni creative scaturite dal contatto fra culture. Il centro Naga-Har stesso appare, attraverso queste attività di nuova socializzazione,
come un artefatto in costante ridefinizione. Lo sviluppo dell’identità stessa del
centro è così il risultato di un processo di negoziazione e co-costruzione dei si213
gnificati fra membri italiani del centro e rifugiati.
4.4 La raccolta delle storie
“Si potrebbe fissare il prezzo dei pensieri. Alcuni costano molto, altri poco. E con
che cosa si pagano i pensieri? Io credo così: con il coraggio” (Ludwig Wittgenstein, 1980: 100).
“Qui al centro, intorno al Samovar del tè e alla macchina del caffé che emettono
in continuazione il loro profumo e il loro gradevole brontolio, rievocavamo i tanti
momenti dolorosi che avevamo vissuto e attraverso le parole facevamo riaffiorare
i ricordi, belli e brutti, delle nostre esistenze.
(…) Ma questi sono i ricordi meno tristi che ognuno di noi si porta dentro quando
arriva qui al Naga-Har. Quelli più drammatici, legati alle esperienze della prigione della persecuzione e della tortura spesso rimangono inespressi, nei nostri cuori
e nelle nostre menti. Perché è difficile dire a voce alta i drammi che abbiamo subito, ciascuno di noi potrà forse iniziare a farlo con il tempo, a poco a poco (…)”
(Lemin Abdallah, 2003: 1).
La “stanzetta”, com’è conosciuta tra i volontari del Naga-Har, è l’unica stanza
del centro che possiede una porta. Vi si accede attraverso l’ampio spazio dedito
alla socializzazione; questo evita di renderlo uno spazio troppo nascosto, ma la
possibilità di chiudere la porta permette lo svolgersi di alcuni importanti momenti
della vita del centro che non sarebbero praticabili altrove. La stanzetta è lo spazio dei ricordi più personali e più intimi, che emergono attraverso i racconti dei
richiedenti asilo o, senza bisogno di parole, attraverso le cicatrici sui loro corpi; è
il “fegato” del centro, il luogo dove risiede il coraggio.
Ciò che avviene nella stanzetta ha quasi sempre un obiettivo ben definito,
legato alla domanda d’asilo. Qui si raccolgono le storie in previsione dell’intervista con la Commissione o dell’avvio del ricorso, qualora la domanda d’asilo
avesse avuto un esito negativo e vi fossero le condizioni per ricorrere avanti al
Tribunale; qui si svolgono le certificazioni mediche, possibili elementi probatori
delle violenze subite e della necessità di protezione. Il riconoscimento dello status di rifugiato dipenderà in larga misura dalla narrazione che il richiedente asilo
farà davanti alla Commissione riguardo agli avvenimenti che lo hanno portato ad
abbandonare il proprio paese di origine; questa necessità di raccontare, nella maniera più chiara e dettagliata, la propria storia di vita per poter provare il fondato
timore di persecuzione su cui si basa la Convenzione che regola il diritto all’asilo
214
è forse il principale motivo per cui molti richiedenti asilo sono spinti a condividere anche con noi il proprio passato. Questa necessità contingente spesso crea il
pretesto per una presa in carico del rifugiato più complessiva, da cui può scaturire
un processo di superamento dei propri traumi. La raccolta “tecnica” della storia
costituisce un formidabile espediente attraverso il quale consentire ai richiedenti
asilo di condividere la propria esperienza con altri, italiani, che ne diventano così
testimoni. Questo momento cruciale permette al rifugiato di sentire di potersi
di nuovo fidare, ristabilendo un contatto umano altrimenti messo in discussione
dalla drammaticità delle esperienze attraversate. La raccolta della storia è così
spesso un momento di vera e propria ricostruzione, co-costruzione, degli eventi
che può aiutare la persona a metter ordine e ridare equilibrio alla propria vita.
Se il richiedente asilo, specialmente se anche vittima di tortura, deve affrontare la sfida del resistere alla perdita d’identità, il ruolo dell’“altro” che lo incontra,
deve essere quello di testimoniare; se lo scopo del torturatore è quello di togliere
la voce alla sua vittima, il ruolo dell’“altro” è quello di non cadere, come nella
legge della proprietà transitiva, anche lui in un silenzio con oblio.
Quando avviene la raccolta della storia presso il centro, è solitamente il richiedente asilo ad averlo deciso; e questo è un presupposto fondamentale. L’altra
condizione che può facilitare sensibilmente il ruolo dell’operatore è il rapporto di
fiducia che il richiedente asilo ha instaurato nel tempo con il centro e con l’operatore stesso; fiducia in un luogo protetto che custodirà le informazioni fornite, ma
anche fiducia negli operatori, in quanto persone disponibili ad ascoltare le parole,
comprendere i silenzi, rispettare i tempi e non giudicare le azioni. Nonostante
questi importanti presupposti tuttavia il momento della raccolta della storia rimane un momento delicato e non privo di difficoltà. Innanzitutto il percorso ideale
descritto sopra non è nella pratica sempre possibile: capita che i richiedenti asilo
si rivolgano al centro solamente dopo aver ricevuto la convocazione per l’intervista con la Commissione, e che quindi la raccolta della storia avvenga senza
che ci sia stato il tempo di instaurare un rapporto di fiducia; ma accade anche
che nonostante il richiedente abbia frequentato il centro per alcuni mesi non sia
ancora sereno nel raccontarsi. Vi sono stati non pochi episodi di persone che nel
condividere con noi la propria storia hanno omesso numerosi elementi, emersi
solo a posteriori, davanti alla Commissione o addirittura solamente anni dopo
all’interno di rapporti di amicizia instauratisi con qualche operatore, al di fuori
del centro. Quel che emerge è la difficoltà, nota nella letteratura sulla tortura, a far
riaffiorare, e a confrontarsi con, il ricordo; ma anche l’impossibilità di trovare le
parole per descrivere l’indicibile, l’inumano (Papparo, Dell’Anna, 2003; Amati,
1994). L’effettività della tortura consiste prima di tutto nell’eliminazione della
rappresentazione, o della possibilità rappresentativa stessa (Bernet, 2000).
215
Raccogliere la storia di vita di un richiedente asilo significa in primo luogo
saper ascoltare e volere capire. Ci sono molti elementi che possono rendere difficoltosa la comunicazione e lasciare spazio a incomprensioni; per questo non
bisogna né avere pregiudizi né fretta pretendendo di sentirsi raccontare i fatti in
modo chiaro e lineare. Durante la raccolta di una storia, molto spesso, sia i volontari che il richiedente asilo comunicano in una lingua che non è la loro. Dunque
anche se comunicano nella stessa lingua veicolare, ognuno organizza i pensieri
in base alle proprie abitudini linguistiche; allo stesso modo, l’interpretazione di
chi ascolta dipenderà in larga parte dalle abitudini linguistiche della sua comunità
(Sapir, 1929). Nella traduzione nella lingua veicolare vi possono essere dunque
espressioni che derivano da un utilizzo linguistico particolare e da concezioni
culturali differenti; questo è per esempio molto evidente nella rappresentazione
delle parentele, aspetto su cui la narrazione si sofferma sovente proprio per quel
bisogno di dimostrare un timore di persecuzione diretta.
In altri casi invece l’assenza di una lingua veicolare comune rende necessario
l’intervento di un interprete. La necessità della presenza di una persona estranea
in un setting tanto delicato risulta particolarmente problematica nel momento in
cui, in assenza di persone italiane in grado di comunicare con il richiedente nella
sua lingua, la scelta ricada su di un connazionale; questi infatti non solo può non
essere completamente estraneo e imparziale rispetto ai fatti narrati dal richiedente asilo, ma può anche, solo per il fatto di avere la stessa provenienza, essere
motivo di sospetto per chi deve raccontare le vicende che lo hanno costretto ad
abbandonare il proprio paese. Per questo motivo la scelta dei volontari del centro
Har è stata quella di salvaguardare lo stato d’animo del richiedente e di chiedere
a lui, quando è possibile, di trovare una persona che possa fare da interprete.
Naturalmente questo risulta particolarmente difficile quando vi sono limiti stretti
di tempo entro il quale riuscire a comunicare, ma non solo; trattandosi, non di
professionisti, ma spesso di amici del richiedente, il volontario dovrà avere ancor
più abilità nel cercare di comprenderne la storia estrapolandola dalla narrazione,
spesso molto soggettiva ed emotiva dell’amico traduttore.
Infine, alla base della raccolta delle storie dei richiedenti asilo vi è una sovrapposizione di bisogni diversi e spesso in contraddizione tra loro; da una parte
il bisogno di consentire, tramite la narrazione, la condivisione di sentimenti e
conflitti che può essere all’origine del superamento del trauma dell’esilio e della
tortura, e dall’altra quello invece di produrre una narrazione in linea con la convenzione di Ginevra che chiede di mettere in luce quali siano i fattori personali
di persecuzione. Ancora più evidente risulta poi la dialettica tra il bisogno, ai fini
del riconoscimento dello status di rifugiato, di un racconto individuale che evidenzi i timori fondati di una persecuzione personale e la necessità del rifugiato
216
di donare senso, storico e politico, alle proprie vicende individuali, proprio come
condizione per riuscire ad attribuire senso alle persecuzioni e torture subite. La
necessità stessa di narrare per poter dimostrare il bisogno di protezione si scontra
di fatto con la necessità di dimenticare gli eventi che hanno sconvolto la propria
esistenza; il dovere della memoria si scontra con la necessità di proteggere il
processo dell’oblio.
“La rete dei legami che la socializzazione va intrecciando negli spazi dell’Har,
consente di sostenere la contraddizione e di accogliere i diversi modi e pratiche
del vivere comunitario, le varie forma di vita, collocando il compito richiesto
dall’ordine giuridico come presupposto, condizione parziale, indispensabile ma
non sufficiente, per parlare di accoglienza” (Calle, 2004: 162).
4.5 Conclusioni e criticità aperte
Il centro Har nasce in esplicita alleanza con le ragioni degli esuli; questo consente di farsi carico della parola rinnegata, in aperta e dichiarata opposizione alla
volontà dei persecutori e alla logica istituzionale imperante che spesso assimila
i rifugiati a migranti clandestini negando loro, di fatto, il diritto alla protezione.
Oltre a lavorare “per” i rifugiati, Har si propone di lavorare “con” i rifugiati per
la tutela e il perseguimento dei loro diritti. Questa logica condivisa si manifesta
anche semplicemente attraverso la visione comune di una partita, suonando, o
cucinando insieme per le feste. In questo modo si favoriscono tutti quelli incroci
possibili che consentono, dopo vari tentativi, di far sentire il rifugiato un soggetto
attivo perché inserito in una comunità.
Prestare ascolto alle ragioni dei rifugiati vuole anche dire saper declinare nella
realtà un modello ideale, accettando le contraddizioni e le difficoltà che inevitabilmente scaturiscono. In questo senso, ci si augura che le buone pratiche del
centro Har possano essere trasferite, ovvero declinate, in altri contesti.
A Milano il bisogno primario dei rifugiati (e degli immigrati in generale) è da
anni quello abitativo. All’insufficienza, in termini quantitativi, di strutture di prima accoglienza si aggiungono i limiti qualitativi dell’offerta che non comprende
altro che un posto letto messo a disposizione nelle ore notturne. Anche per questo
Har, fin dall’inizio, si è posizionato nel panorama milanese come centro diurno
d’aggregazione, per restituire ai rifugiati quel senso di dimora che gli viene negato due volte, prima nel paese d’origine e poi qui, nel paese di destinazione. In
questo modo il Naga-Har accetta la sfida di lavorare nell’emergenza, supplendo
spesso laddove la presa in carico da parte delle istituzioni manca, o è inadeguata.
In questa sfida Har corre inevitabilmente il rischio di oltrepassare i propri limiti e
217
le proprie forze nella pretesa di poter rispondere a tutti i bisogni disattesi; intento
ambizioso se si pensa che Har si basa da sempre sul lavoro di soggetti volontari, i
quali arricchiscono la struttura di potenzialità, ma al tempo stesso inevitabilmente
pongono dei limiti all’andamento dei servizi offerti dalla struttura.
Har si prende in questo modo cura della realtà personale, dei bisogni e dei
vissuti dei rifugiati. Per quanto riguarda l’accesso ai servizi e alle risorse esistenti
tuttavia, l’obiettivo rimane quello di non sostituirsi, ma di lavorare affinché siano
le istituzioni a farsene carico. È in questa direzione che risulta tanto più importante l’impegno del Naga-Har a rimanere un’associazione a forte vocazione volontaristica, accettandone anche il limite, ma evitando di fatto di assumere la delega
e la responsabilità disattesa dalle istituzioni.
218
5. L’esperienza di Caritas Ambrosiana e Consorzio
Farsi Prossimo1
5.1 Il caso di Varese tra buone pratiche locali e ipotesi di modellizzazioni regionali2
5.1.1 Caritas Ambrosiana e Consorzio Farsi Prossimo: una presenza a
sostegno di “Cittadini Possibili”
La presenza di Caritas Ambrosiana e di Consorzio Farsi Prossimo nell’accoglienza dei richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione umanitaria (Raru) presenti
sul territorio della Diocesi di Milano (province di Lecco, Milano e Varese) risale
alla fine degli anni Novanta, ai tempi della guerra in Kosovo e della conseguente emergenza umanitaria, che comportò un inatteso afflusso di richiedenti asilo
anche sul territorio italiano. Fino ad allora le attività condotte, nell’area milanese come nel resto d’Italia, erano per lo più legate alla spontanea azione delle
Caritas presenti sul territorio, e non riconducibili a un progetto strutturato, che
inizia invece a delinearsi a partire dal 1999 quando, su iniziativa di Caritas Italiana, si decide di avviare un gruppo di lavoro incaricato di valutare la situazione
dei richiedenti asilo sul territorio italiano e il livello di sensibilizzazione della
rete Caritas sul tema. Alla fine di questo lavoro emerse l’esigenza di una forma
di coordinamento tra le varie esperienze esistenti sul territorio nazionale. A tale
iniziativa aderì fattivamente anche Caritas Ambrosiana, la quale, attraverso la
cooperativa Farsi Prossimo, già da tempo suo “braccio operativo” sul territorio di
Il presente capitolo è stato curato dai ricercatori e operatori di Caritas Ambrosiana-Consorzio Farsi
Prossimo, sede di Varese e dello sportello presso l’aeroporto di Milano-Malpensa.
2
Gran parte dei materiali utilizzati nella stesura della prima parte del capitolo sono derivati da una
nostra precedente ricerca a cura di Sara Zandrini con contributi di Lorenzo Radice e Monica Molteni, e pubblicata da Caritas Ambrosiana e Consorzio Farsi Prossimo (Zandrini, 2006), reperibile
gratuitamente presso le due organizzazioni citate.
1
219
Milano, iniziò una fase di studio dei progetti di accoglienza realizzati dalle varie
Caritas diocesane delle regioni settentrionali del Paese.
Nel frattempo, sempre nel 1999, l’Unione europea “decise di stanziare dei
fondi straordinari per realizzare progetti di accoglienza in favore della popolazione kosovara in cerca di protezione nei territori degli Stati membri” (Ics, 2005:
127). In Italia diverse organizzazioni decisero allora di riunirsi in un progetto di
accoglienza congiunto, chiamato Azione Comune, che per il primo anno limitò
l’accoglienza ai soli kosovari, mentre per il secondo la estese a tutti i richiedenti
asilo. Caritas Italiana aderì a questo progetto e, per suo tramite, anche Caritas
Ambrosiana ne fu coinvolta.
È anche grazie a questa esperienza, oltre che per l’entrata in vigore della
Convenzione di Dublino, in base alla quale l’Italia non poteva più limitarsi a
essere paese di transito per i richiedenti asilo, che dal Ministero dell’Interno nasce l’idea, nel marzo 2000, di varare un Programma nazionale asilo (Pna) sulla
collaborazione tra ong e Comuni, per creare una rete di accoglienza diffusa sul
territorio nazionale.
La presenza costante di Caritas Italiana in questa fase di confronto tra attori
istituzionali e del Terzo Settore per varare il futuro Pna, funge da stimolo per
dare avvio al “Progetto rifugiati”, consistente nell’impegno volto a sostenere e
rafforzare le Caritas Diocesane che già stavano promuovendo attività sul tema
dell’accoglienza ai richiedenti asilo3.
Derivando da questo impegno ormai consolidato, non stupisce che la rete dei
servizi di accoglienza e a favore dell’integrazione dei Raru di matrice Caritas
Ambrosiana4 sul territorio diocesano sia diffusa su tutti e tre gli ambiti provinciali
che esso coinvolge. Tanto diffusa da far sì che gli enti impegnati come gestori di
progetti di accoglienza all’interno dello Sprar rappresentino oggi oltre la metà (6
su 11) dei progetti dello Sprar in Lombardia.
Come mostra la tabella 1, in termini di posti-letto, nell’ambito della consorziate a Farsi Prossimo sono gestiti 188 dei 259 posti regionali (73%). Se poi sommiamo ai posti finanziati dal sistema nazionale anche quei posti-letto che sono
presenti nei servizi offerti storicamente ai Raru dal Comune di Milano (altri 200
nei Cpa comunali) e gestiti dalle consorziate a Farsi Prossimo, possiamo afferL’esperienza del Progetto rifugiati porterà poi all’avvio del Coordinamento nazionale asilo di Caritas Italiana, che oggi funge da organo di raccordo e di riferimento per tutte le Caritas Diocesane
impegnate, o interessate a impegnarsi, in progetti di accoglienza a richiedenti asilo e rifugiati.
4
D’ora in avanti chiameremo per semplicità “sistema Caritas” quell’insieme di realtà comprendenti
le cooperative sociali afferenti al Consorzio Farsi Prossimo, il Consorzio stesso, associazioni e altre
realtà del privato sociale (ad esempio la Fondazione San Carlo) che con varie modalità e vicende locali sono nate sui territori della Diocesi di Milano per promuovere azioni di sostegno e promozione
della persona umana e, a diverso titolo, sono oggi impegnate anche sul versante dell’accoglienza,
dell’assistenza, dell’integrazione dei Raru.
3
220
mare che queste ultime gestiscono 258 dei 459 posti totali, pari al 56% della
complessiva offerta istituzionale di posti di accoglienza per Raru (offerta Sprar
ed “extra” Sprar). L’intera stratificazione dell’offerta di accoglienza, integrazione
e tutela per Raru presente in Lombardia, tuttavia, si completa solo conteggiando
anche i posti esistenti in strutture equiparabili per funzioni a quelle dello Sprar che
il privato sociale mette a disposizione per questa specifica categoria di persone
migranti. Il sistema Caritas Ambrosiana nella sola Diocesi di Milano offre altri 66
posti di seconda accoglienza a Milano città e in provincia, oltre a 40 posti in provincia di Varese. Si arriva così a un’ulteriore quota di 106 posti-letto, che portano
il totale (al 31/12/2006) a 364 posti-letto. Si tratta del 65%, ovvero dei due terzi,
della rete complessiva (istituzionale e non istituzionale) presente in Lombardia.
Tab. 1 - Posti-letto nei servizi di accoglienza per Raru gestiti dal sistema Caritas
Ambrosiana sul territorio regionale, 2006
Servizio
N. posti-letto “sistema Caritas”
N. posti-letto totali
188
259
Sprar
Cpa Comune di Milano
70
200
Altri servizi
106
N.d.
Totale
364
459
Fonte: Dati del Progetto Cittadini Possibili
Infine, a questi dati si deve aggiungere che un ente del sistema Caritas Ambrosiana (come vedremo nel prossimo paragrafo), gestisce, in partenariato con un altro
ente di tutela per Raru diffuso a livello nazionale, anche i Servizi di accoglienza
alla frontiera dell’aeroporto di Malpensa.
Proprio partendo dalla constatazione di questi dati di fatto in merito alla presenza ormai radicata in territori diversi ma contigui, unita a una notevole esperienza “sul campo” rispetto al fenomeno dei Raru e alle modalità organizzative e
gestionali più efficaci ed efficienti per garantire una reale integrazione sociale nel
territorio di approdo a questi futuri possibili cittadini, le organizzazioni di area
Caritas Ambrosiana hanno deciso di dar vita a un progetto biennale chiamato,
non a caso, “Cittadini Possibili”. “Possibili” proprio a sottolineare con un gioco
semantico l’incertezza della condizione giuridica dei richiedenti asilo, ma anche
la possibilità offerta dai servizi del sistema Caritas a queste persone di diventare
cittadini, se non di diritto sicuramente di fatto, mettendoli in grado di prendere
parte al “retaggio sociale”, ossia di acquisire quegli elementi di base necessari per
partecipare alla vita delle nostre comunità.
Tale progetto, cofinanziato dalla Fondazione Cariplo, intende rappresentare
un primo tentativo organico di standardizzazione delle pratiche di intervento con
221
i Raru in una fetta consistente della regione Lombardia (le province di Lecco,
Milano e Varese come detto). L’idea di fondo del progetto è quella di mettere in
rete tra loro gli operatori e i servizi che a vario titolo hanno a che fare con i Raru
nei tre territori per:
– innescare sinergie non solo tra i territori, ma anche nei territori;
– identificare linguaggi e modalità sia organizzativi che operativi comuni, presupposto per far compiere alla rete interterritoriale un salto di qualità;
– diffondere conoscenza sul fenomeno dei Raru e sulla loro presenza nelle comunità locali.
Rispetto al primo obiettivo, il progetto ha finora permesso non solo di connettere
in modo più stabile realtà operanti nei tre territori interessati, ma anche di coinvolgere organizzazioni non appartenenti al sistema Caritas Ambrosiana che già
operavano con migranti o nello specifico con Raru. Nel concreto esso si è tradotto
in azioni volte a far entrare nel novero dei posti-letto del sistema di accoglienza
una quota a disposizione di alcune realtà del privato sociale (centri di prima e
seconda accoglienza, ma anche “reti di appartamenti”5); nella collaborazione con
associazioni e servizi territoriali per l’alfabetizzazione linguistica e sociale, per
l’orientamento al lavoro, la formazione professionale e l’inserimento lavorativo,
l’orientamento alla ricerca di un alloggio, la tutela psicologica e psichiatrica, la
tutela legale.
Per quanto concerne il secondo obiettivo, invece, “Cittadini Possibili” sta permettendo di “allineare” le conoscenze, i linguaggi di operatori di organizzazioni
differenti operanti in contesti talvolta anche molto differenti6, ma ha anche già
consentito a realtà in passato solo marginalmente coinvolte nell’accoglienza dei
Raru di sperimentare modelli organizzativi e operativi che si vanno via via definendo come lo standard da raggiungere (e per alcuni dal quale ripartire) nell’erogazione dei propri servizi. Oltre a ciò, esso sta contribuendo a rinsaldare la rete
tra organizzazioni del sistema (inizialmente esistente prevalentemente a livello
di dirigenza delle organizzazioni coinvolte) e a farle compiere un salto di qualità
rinforzandone i legami tra i suoi nodi attraverso la diffusione e il rinforzo della
coscienza di appartenenza a uno stesso “ordito” che si genera nei momenti di
incontro, di scambio di esperienze e di formazione coinvolgenti operatori delle
varie organizzazioni partner nel progetto. Questo aspetto è essenziale per creare
la base sulla quale poggiare il prossimo futuro passaggio: quello di far evolvere
Ossia alloggi temporaneamente concessi (per periodi di 6-12 mesi) in attesa di completare il percorso verso l’autonomia abitativa.
6
A titolo di esempio, si pensino le differenti realtà quotidiane che si trovano a dover affrontare
operatori di servizi ubicati a Milano piuttosto che quelle di quanti operano in piccoli centri della
provincia di Varese rispetto alle possibilità di spostamenti e di accesso a servizi pubblici collocati
spesso anche a molti chilometri di distanza.
5
222
la rete in un vero e proprio sistema a rete multilivello, ossia in grado di tenere
connessioni orizzontali (di tipo reticolare) su livelli differenti ma comunicanti tra
loro.
Un primo livello locale, costituito rispettivamente dai territori del varesotto,
del lecchese e della città di Milano, all’interno dei quali le organizzazioni del
sistema Caritas Ambrosiana già operano.
Un secondo livello interprovinciale (o diocesano), rispetto al quale le organizzazioni del sistema siano in grado di tenersi in contatto, operare scambi informativi e risolvere sinergicamente le concrete situazioni che si presentano caso per
caso.
Un terzo livello, infine, regionale e nazionale, sul quale le realtà del sistema
siano in grado di rapportarsi con voce univoca agli interlocutori istituzionali (Regione Lombardia, Anci con il Servizio Centrale dello Sprar, Unhcr, Ministero degli Interni, ecc.), oltre che al Coordinamento asilo di Caritas Italiana, e dal quale
siano in grado di far ricadere sul secondo e sul primo livello flussi informativi ed
esperienziali.
Si tratta di un modello organizzativo reticolare complesso in cui le differenti
parti sono in grado di operare in modo autonomo (ciascuna rispettando il proprio
mandato) ma in cui esse sono al tempo stesso interdipendenti: non solo in quanto
capaci di agire con metodologie e procedure omogenee, ma anche perché capaci di mobilitare sia risorse territoriali e comunitarie, sia informazioni e risorse
provenienti dai livelli superiori per il bene della singola persona presa in carico,
valutando la situazione complessiva del suo percorso verso l’integrazione caso
per caso.
Un sistema di tal genere, che il progetto sta cercando di “modellizzare” su
scala sub-regionale (interprovinciale), è quello che abbiamo rintracciato nell’esperienza realizzata in questi anni all’interno di uno dei tre territori diocesani,
quello di Varese, dalla cooperativa sociale Le Querce di Mamre e che necessita
ora di essere messo a sua volta in rete con le realtà degli altri due ambiti territoriali diocesani. Proprio per la sua peculiarità e la sua positività abbiamo deciso
di dedicare a questo caso uno studio ad hoc (Zandrini, 2006), di cui riportiamo
brevemente nel prossimo paragrafo le principali risultanze e al quale rimandiamo
per un’analisi più approfondita.
Infine, ritornando all’ultimo degli obiettivi del progetto “Cittadini Possibili”,
i partner hanno realizzato e stanno realizzando non solo eventi e momenti di
sensibilizzazione delle comunità locali sulla presenza dei Raru, ma anche attività
di ricerca sociale che sfoceranno in una pubblicazione e in un convegno di restituzione dei risultati di ricerca in occasione delle attività previste in concomitanza
con la Giornata mondiale del rifugiato tra maggio e giugno 2008.
223
5.1.2 Il sistema di accoglienza di Caritas Ambrosiana nella provincia di
Varese: la creazione e le caratteristiche strutturali
Come abbiamo ricordato nel paragrafo precedente l’esperienza del sistema Caritas Ambrosiana rispetto all’accoglienza dei Raru risale agli anni a cavallo tra la
fine del secolo scorso e di quello appena iniziato. È proprio in quel periodo che
la cooperativa Farsi Prossimo, già da tempo attiva insieme a Caritas Ambrosiana
nella realtà milanese nell’accoglienza agli stranieri e ai richiedenti asilo, inizia a
ragionare anche sulla possibilità di intervenire nell’area di Varese dal momento
che proprio in quegli anni avviene lo spostamento da Linate a Malpensa dello
scalo internazionale e conseguentemente della frontiera aeroportuale, che diviene la nuova principale frontiera della Lombardia per quanto concerne i flussi di
richiedenti asilo.
Dunque in breve tempo, attraverso il sostegno di Caritas Ambrosiana e l’impegno della cooperativa Farsi Prossimo, nascono le prime parti della rete di accoglienza varesina: un centro di prima accoglienza in territorio di Varese destinato
a uomini adulti, una rete di appartamenti di prima e seconda accoglienza a Sesto
Calende, un centro di prima e seconda accoglienza destinato a famiglie (Caronno
Pertusella), e dal 2002 un primo nucleo di appartamenti destinati a una fase di
“terza accoglienza”, una sorta di ultima tappa verso l’autonomia.
Questo sistema, tuttavia, da solo avrebbe avuto una grave lacuna a monte:
l’assenza di un servizio di accoglienza e orientamento alla frontiera, ossia all’aeroporto di Malpensa. In questo caso Caritas Ambrosiana, che in realtà fin dall’apertura di Malpensa vi operava con volontari che prestavano esclusivamente
assistenza materiale nei primi momenti dopo lo sbarco, viene identificata, insieme
al Cir (Consiglio italiano per i rifugiati), come ente al quale affidare la gestione
di un servizio creato ad hoc per rispondere ai bisogni essenziali dei richiedenti
al momento dell’arrivo. Nasce così, dopo l’autorizzazione della Prefettura di Varese, lo “Sportello rifugiati” alla Malpensa. Siamo nel luglio 2001 e i servizi per
richiedenti asilo sul territorio varesino, appena nati, iniziano a prendere forma di
un sistema attraverso il quale la persona può essere seguita e sostenuta dal momento dell’arrivo a quello del riconoscimento dello status e del suo inserimento
sul territorio. I servizi di accoglienza alloggiativa, così costituiti, vengono fatti
rientrare nel primo bando del Pna che, con i bandi successivi, li cofinanzia insieme ai Comuni coinvolti.
Dalla constatazione di aver avviato un intervento in un territorio ben definito,
emerge a questo punto l’idea di dare un più stretto rapporto tra il territorio e le
esperienze che su quel territorio si stavano gestendo. Per farlo si decide di dar vita
a una nuova cooperativa che nascendo dal territorio potesse avere col territorio un
224
legame più forte di quello che poteva avere la cooperativa Farsi Prossimo, espressione del legame con Milano e con la Caritas Ambrosiana. Trovando quest’idea
sia l’interesse di Caritas Ambrosiana, sia della Caritas zonale, sia delle persone
che stavano concretamente lavorando in quei servizi è stato possibile fondare la
cooperativa sociale Le Querce di Mamre, alla quale ben presto viene demandata
la gestione dei servizi di accoglienza fino a quel momento gestiti dalla cooperativa Farsi Prossimo per conto di Caritas Ambrosiana e che diventa, così, l’attore
centrale del sistema di accoglienza dei Raru nel varesotto.
Dunque, attraverso la costituzione di una nuova cooperativa che gestisca la
giovane realtà dei servizi d’accoglienza, si cerca di dare applicazione a quel principio della territorialità in base al quale sono gli attori stessi del territorio quelli
che meglio sanno come fare e che più coerentemente possono operare per realizzare, con l’impegno e la propria testimonianza quotidiani, quel welfare di comunità, partecipato e attento ai bisogni della persona considerata nel suo complesso,
per il quale da anni anche Caritas Ambrosiana si sta attivamente impegnando.
E proprio la lettura costante dell’evoluzione pressoché continua del fenomeno
dei richiedenti asilo nel territorio di riferimento, porta la nuova cooperativa Le
Querce di Mamre a progettare e avviare nuovi servizi di accoglienza. A quelli
accennati precedentemente si aggiungono nel giro di pochi mesi un nucleo di appartamenti a Varese, alcuni dei quali riservati a una fascia di ospiti particolarmente fragile (donne sole e/o con minori a carico), un centro di pronta accoglienza
avviato in convenzione con la Prefettura.
Nel tempo, poi, tutti i servizi hanno subito alcune modifiche dettate dal succedersi dei progetti presentati entro il Pna (per il quale era necessario il coinvolgimento dei Comuni che in alcuni casi, come a Varese, hanno talvolta rinunciato
a presentare domanda di finanziamento) e dai finanziamenti di volta in volta ricevuti (che andavano a incidere sul numero di posti disponibili in ogni servizio).
Dettate, inoltre, dai cambiamenti normativi previsti dalla Legge n. 189 del 20027
in materia di procedura per la richiesta d’asilo e dalla conclusione dell’esperienza Pna con la sua trasformazione in un vero e proprio Sistema di protezione per
richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) che prevede la creazione di una rete nazionale
unica di accoglienza, integrazione e tutela per i Raru.
Proprio il profondo legame valoriale, motivazionale, professionale ed economico con la Caritas Ambrosiana, il Consorzio Farsi Prossimo e la cooperativa
Farsi Prossimo, oltre che il fatto di nascere espressamente come risorsa per il
territorio della provincia di Varese, ha fatto sì che Le Querce di Mamre, attore
al centro del sistema di accoglienza varesino dei Raru, appartenesse già a qualSi tratta della cosiddetta Legge Bossi-Fini, le cui previsioni relative alla materia dell’asilo politico sono in realtà divenute attuative solo dal 2005 a seguito dell’approvazione dei decreti Dpr.
303/2004 e D. Lgs. 140/05.
7
225
cosa di consolidato e che sicuramente la comprendeva e la “superava” (Caritas
Ambrosiana e Consorzio Farsi Prossimo, come detto, ma anche Coordinamento
nazionale asilo della Caritas Italiana e per suo tramite lo Sprar); ma, al contempo,
che nascesse anche come “avamposto” nel territorio varesino, favorito naturalmente dal grande appoggio e legame con la Caritas zonale di Varese. Da un lato
dunque la cooperativa si presenta “sulla scena” forte di un patrimonio esperienziale, valoriale, professionale, economico e con una spinta motivazionale rinforzata dalle opportunità di confronto e di approfondimento sul fenomeno dei Raru,
sulle evoluzioni metodologiche per la risposta nei servizi, sulle carenze e le “fatiche” dovute a una normativa non mirata e spesso inadeguata, favorite dall’appartenenza a contesti il cui sguardo supera anche i confini nazionali (ci riferiamo in
particolare alle collaborazioni con Caritas italiana e allo Sprar).
Dall’altro lato, essa nasce per essere espressione e risorsa di un contesto territoriale molto specifico e si dà una connotazione fortemente legata a quel luogo,
eppur non esaurita in questo localismo.
Se volessimo usare un’immagine forse potremmo associare l’azione di Querce
di Mamre alla punta di un iceberg, ovvero alla piccola parte visibile di una realtà
in verità ben più grande. In effetti, sarebbe affetto da miopia chi non cogliesse nei
legami di Querce di Mamre con Caritas Ambrosiana e Consorzio Farsi Prossimo,
ma anche nei legami con il Coordinamento nazionale asilo e con gli altri soggetti
dello Sprar, l’occasione di mantenere uno sguardo sulla dimensione macro del
fenomeno dei Raru, sulle connessioni a livello nazionale e, ancor più, a livello di
politica internazionale.
È questa la peculiarità del sistema varesino di accoglienza dei Raru di area
Caritas. Esso si è sviluppato grazie a un’organizzazione che, per così dire, aveva
ontologicamente inscritti in sé i tratti del lavoro in rete a livelli territoriali differenti, un principio glocalistico connaturato. In effetti, sotto molti punti di vista, la
presenza e l’attività su livelli così distanti da parte di una “piccola” impresa sociale come Le Querce di Mamre ci fa pensare a quei processi di “glocalizzazione”
che i sociologi8 suggeriscono per indicare l’inevitabile intersezione e intreccio tra
globale e locale che appartiene a molti ambiti: economico, culturale, sociale.
Infatti, la scelta “localista” di una “piccola” cooperativa che aderisce a circuiti
attivi anche a livello internazionale risponde anche all’esigenza di contribuire
a rendere evidenti quelle connessioni tra gli scenari che si offrono agli occhi
delle piccole comunità locali e gli scenari sempre più complessi delle politiche
internazionali e dei processi di globalizzazione. Il richiedente asilo e il rifugiato
nella fuga dai paesi d’origine e nell’approdo nelle piccole città varesine diventa
l’espressione visibile, nel nostro stesso contesto e nella quotidianità di ognuno di
8
In particolare ricordiamo Zygmunt Bauman, Roland Robertson, Aldo Bonomi.
226
noi, di quei nessi misconosciuti ma profondi tra Nord e Sud del mondo, tra paesi
liberi e paesi oppressi, tra paesi troppo ricchi e paesi troppo poveri.
Il filo conduttore, ancora una volta, è l’interconnessione, l’interdipendenza,
il legame, la relazione e proprio questi elementi sono al centro della strategia e
del sistema territoriale implementato dalla cooperativa. Sistema che, per altro,
nel corso del periodo intercorso dalla ricerca che abbiamo condotto sul campo
(Zandrini, 2006) a oggi, circa due anni, ha compiuto dei progressi enormi nel
pensarsi, organizzarsi e proporsi proprio come sistema e non solo come rete di
servizi gestiti da un unico soggetto giuridico.
Rispetto ai limiti che segnalavamo allora, infatti, i servizi di accoglienza oggi
costituiscono parti realmente interdipendenti di un unico sistema sia rispetto alle
modalità di connessione tra servizi e operatori dei differenti servizi, sia rispetto
all’omogeneizzazione di standard, metodologie operative (procedure, strumenti,
ecc.), linguaggi. Tali obiettivi sono stati raggiunti tanto grazie all’investimento
in momenti di coordinamento, scambio, confronto, formazione comuni, quanto
investendo in operatori “ponte” ossia attivi contemporaneamente in servizi differenti e in grado di farsi portatori del trasferimento di saperi contestualizzati da
un servizio all’altro.
Rispetto ai punti di forza che emergevano dallo studio di caso, il tempo intercorso ha ribadito la capacità della rete dei servizi gestiti da le Querce di Mamre di
agire come parti di un unico sistema volto a favorire l’empowerment della persona e la sua integrazione nel contesto sociale, economico e culturale locale. Infatti,
a fronte dell’improvviso e drastico incremento di arrivi alla frontiera aeroportuale
di Malpensa verificatisi a partire dal 2006 (con un passaggio da circa 330 arrivi
medi annui registrati tra il 2001 e il 2005 agli oltre 1.000 registrati nel 2006 e nel
2007), non solo i servizi sono riusciti a continuare a portare all’autonomia quote
significative di Raru entrati nel sistema Caritas Ambrosiana, ma addirittura l’ente
territoriale di riferimento (Querce di Mamre) è riuscito a far valere il proprio
“peso” territoriale per coprogettare delle procedure innovative per una gestione della “pronta accoglienza”, ossia il periodo compreso tra la richiesta d’asilo
all’arrivo in frontiera e l’espletamento delle pratiche burocratiche (verbalizzazione e rilascio dell’attestato di richiedente asilo in Questura, invio ai centri Sprar
dalla Prefettura), in grado di superare l’emergenza appoggiandosi all’insieme dei
servizi territoriali già esistenti.
Così, dal 16 marzo 2006 la Prefettura di Varese, attingendo a fondi della cosiddetta ex Legge Puglia (scarsamente utilizzati nel resto d’Italia) ha ampliato le
convenzioni per la gestione della “pronta accoglienza”, convenzionando ulteriori
22 posti-letto con il Consorzio Farsi Prossimo, attraverso Le Querce di Mamre,
portandola così a un patrimonio di 34 posti (pari al 60% dei posti di pronta acco227
glienza presenti nel territorio varesino). In questo modo, da allora, almeno 600
persone sono state accolte da questo ente per il loro primo mese di permanenza in
Italia. Pochissime di queste hanno guadagnato la via dei Centri di Identificazione;
la maggior parte (85%) è stata inviata presso strutture di accoglienza dello Sprar
in tutto il Paese. Molti di costoro hanno trovato un rapido inserimento nelle strutture Sprar del territorio, potendo avviare rapidamente il proprio percorso verso
l’integrazione.
Quello varesino, quindi, si presenta come sistema e non come un insieme di
servizi disgiunti tra loro. Ma che cosa rende questi, che restano qualitativamente
diversi tra loro (come vedremo tra poco), parte di un unico sistema?
Certamente un elemento chiave risiede nel fatto che essi siano stati dapprima progettati, realizzati e avviati da un’unica realtà (la cooperativa sociale Farsi
Prossimo), e che oggi ugualmente la loro gestione sia in capo a un’unica organizzazione (la cooperativa sociale Le Querce di Mamre) e sempre per conto dello
stesso ente (Caritas Ambrosiana).
Eppure il fatto che servizi diversi facciano capo a una medesima organizzazione, non è automaticamente garanzia che essi siano anche coordinati tra loro.
In effetti quel che li rende parte di un unico sistema, a nostro avviso, è il fatto
di essere ispirati ad alcuni principi di fondo che hanno orientato sin dall’avvio la
loro attività, rendendoli “fisiologicamente” parti di un’unica realtà.
Questi principi sono certamente derivati dalla cultura organizzativa e operativa di matrice Caritas da cui trae ispirazione l’operato quotidiano della cooperativa. Quali sono, allora questi principi?
Sicuramente fondamentale è il valore attribuito alla persona umana, che conduce a guardare all’utente del servizio non come individuo appartenente a una determinata categoria di bisogno (il richiedente asilo), ma appunto, come “persona
tra le persone”, come individuo portatore di una dignità umana da salvaguardare a
“tutto tondo”, ossia riconoscendo e valorizzando le peculiarità di cui è portatore,
individualmente e nelle relazioni sociali con altri individui, indipendentemente
dallo stato di bisogno o dalla problematica che gli stia capitando di vivere.
Questo valore attribuito alla persona umana, che rimanda sicuramente a un’idea
di matrice cristiana, è foriera di alcune conseguenze operativamente importanti.
In primo luogo essa conduce a mettere al centro di tutto l’operato dei servizi la
persona e non l’utente. Non si tratta solo di una distinzione terminologica, come
potrebbe apparire a prima vista. Infatti, fin dall’inizio, i servizi varesini sono stati
pensati e realizzati per fornire al richiedente asilo, che necessita in prima battuta
di un’assistenza materiale (vitto e alloggio), tutta una serie di strumenti volti a
garantirgli da un lato un’assistenza a 360 gradi (sanitaria, rispetto all’iter giuridico della domanda di asilo, interpretariato e mediazione linguistico-culturale,
228
psicologica, ecc.), dall’altro a permettergli di acquisire o recuperare rapidamente
una serie di conoscenze, competenze e abilità, la cui ignoranza, incomprensione
o indisponibilità, crea oggettivi disagi alla persona che giunga in un contesto
straniero. E ancor di più quando essa lo faccia fuggendo da situazioni di pericolo
che non gli abbiano permesso di “prepararsi” l’arrivo, mobilitando quelle reti
di supporto che tipicamente operano in emigrazione (reti parentali, amicali e, in
generale, di connazionali).
Tutto questo si è tradotto nella necessità di pensare fin dall’inizio a un sistema d’accoglienza attento a distinguere le diverse esigenze di “vita complessiva”
che possono avere persone accomunate dal fatto di essere per un certo periodo
richiedenti asilo. Le persone che entrano nel sistema d’accoglienza sono soggetti generalmente indeboliti e provati dall’esperienza di fuga che hanno vissuto e
che devono, al di là dell’esito della domanda di asilo, compiere un percorso non
semplice per inserirsi nella “società ricevente” (Ambrosini, 2005) da un punto di
vista economico, sociale e culturale.
Detto altrimenti, sulla strada verso l’integrazione, i richiedenti asilo sono persone che devono generalmente colmare un gap maggiore e superare più ostacoli
di quanto non accada a quelli che per semplicità possiamo definire immigrati
“economici”. Per aiutarli in questo percorso in salita, allora, non basta un’attività
di mera assistenza. A questa bisogna affiancare un’attività costante, meticolosa
e minuziosa di empowerment, ossia di promozione della persona umana, di accrescimento delle competenze, di riattivazione e “messa in opera” delle risorse
individuali e, contemporaneamente, di presa di coscienza delle proprie possibilità
e dei propri limiti.
Si tratta di un’attività molto difficile da compiere, in quanto si scontra quotidianamente con resistenze indotte sia dal contesto (soprattutto organizzativo:
spesso infatti per l’organizzazione delle attività sarebbe più semplice fornire tutto
agli ospiti, piuttosto che sostenerli affinché si attivino per ottenere ciò di cui hanno bisogno), sia dagli ospiti stessi, che vivono in una condizione di sospensione
(in attesa del compimento dell’iter della loro domanda) che li porta frequentemente a opporsi a questi tentativi per la paura che tali sforzi siano vanificati, in
fine, dal diniego della propria richiesta d’asilo.
5.1.3 Il sistema di accoglienza di Caritas Ambrosiana nella provincia di
Varese: l’organizzazione
Ma come è strutturato, allora, il sistema di accoglienza varesino? Proviamo ora
a descriverlo per sommi capi, rimandando alla ricerca precedentemente citata
(Zandrini, 2006) per ulteriori approfondimenti.
229
Il sistema varesino gestito dalla cooperativa Le Querce di Mamre è composto da uno sportello, quello di Malpensa, che offre soprattutto orientamento alla
persona appena arrivata in Italia, e cinque “centri” che offrono varie tipologie di
servizi di accoglienza alloggiativa e per l’integrazione. Come già detto, i primi a
essere avviati sono stati il centro di Via Pola a Varese, quello di Caronno Pertusella e il primo nucleo di appartamenti a Sesto Calende.
Si tratta di strutture differenti: le prime due sono dei veri e propri centri (sebbene quello di Caronno Pertusella sia oggi diviso in tre edifici differenti) nei quali
gli ospiti conducono una vera e propria vita comunitaria (Via Pola) o semi-comunitaria con gradi di indipendenza variabili (Caronno Pertusella).Quello di Sesto
Calende, invece, non può essere definito come un centro, in quanto costituito da
appartamenti (fisicamente collocati in luoghi diversi) in rete tra di loro (gli ospiti rientrano in un comune e coordinato progetto di accoglienza e integrazione),
messi a disposizione inizialmente dai Comuni di Sesto Calende e Cardano al
Campo, ai quali successivamente si sono aggiunti Malnate e Samarate. Mentre la
realtà di Varese offre accoglienza esclusivamente a uomini maggiorenni soli, le
altre due ospitano famiglie (per lo più nella tipologia “tradizionale”: genitori con
uno o più figli minori).
Successivamente a queste, si sono aggiunti a Varese un nuovo nucleo di appartamenti (destinati a un’utenza mista alcuni, riservati a donne sole o con minori altri)
e dal 2004 un altro centro (quello di Via Conciliazione) destinato a ospitare uomini
adulti soli in pronta accoglienza. Nel corso degli anni 2001-2005, questi “centri”
hanno ospitato 506 richiedenti asilo, suddivisi come emerge dalla tabella 2.
Tab. 2 - Distribuzione dei richiedenti asilo nei centri gestiti dalla cooperativa sociale
Le Querce di Mamre. Anni 2001-2005, valori assoluti e percentuali
Centro
N.
Percentuali
Varese - Via Conciliazione
109
21,5
Varese - Via Pola
179
35,4
Varese - Appartamenti
Caronno P. - Centro Famiglie
57
11,3
131
25,9
Sesto C. - Appartamenti
Totale
30
5,9
506
100,0
Fonte: Elaborazione dati servizi di accoglienza Caritas Ambrosiana - cooperativa Le Querce di Mamre
Si osservi come il numero di ospiti vari molto da un “centro” all’altro sia in
funzione della capacità totale di posti-letto, ma, soprattutto, del tipo di servizio
offerto. In questo senso non sorprende che un centro di più recente apertura come
quello di Via Conciliazione, conformemente alla propria natura di centro di pronta accoglienza, abbia ospitato in meno di due anni più persone di quanto abbiano
230
fatto le due reti appartamenti insieme nel doppio del tempo.
Quali sono, dunque, i servizi che offrono questi “centri”? Vediamoli nell’ordine
con il quale sono stati progettati, ovvero nell’ordine con cui il richiedente può transitarvi nel suo percorso verso l’inserimento territoriale e l’autonomia personale.
Il servizio di accoglienza alla frontiera
Il servizio di accoglienza alla frontiera vede la cooperativa Le Querce di Mamre
impegnata, per conto di Caritas Ambrosiana, nella cogestione con il Cir del cosiddetto Sportello rifugiati. Si tratta di un servizio che ha quattro mandati fondamentali: orientamento sociale, orientamento giuridico, assistenza materiale e interpretariato linguistico e culturale per le persone appena arrivate in Italia e, nella
maggior parte dei casi, appena dichiaratesi richiedenti asilo con istanza accettata
dalla Polizia di frontiera. Dunque il primo compito del servizio è quello di fare da
tramite tra la persona che non riesce a capire e farsi capire dall’istituzione e l’istituzione stessa affinché la comprenda e le permetta di usufruire, laddove possibile
a norma di legge, della procedura di protezione per i richiedenti asilo.
Il ruolo dello sportello, tuttavia, è estremamente importante per il richiedente
in quanto ha la duplice funzione di tranquillizzare la persona e ridurle il senso
di spaesamento, fornendole informazioni essenziali alla comprensione di cosa
le stia accadendo e cosa l’attenderà nel futuro da richiedente asilo. Altro aspetto
molto importante dell’attività dello Sportello è quello dato dalla distinzione dei
ruoli. Colui che arriva chiedendo asilo spesso scappa da realtà dove la fonte del
pericolo per la propria incolumità è la polizia del proprio Stato o, comunque,
persone che vestono l’uniforme di qualche gruppo militare o paramilitare. Il fatto di avere a disposizione personale in borghese, che chiaramente può essere
identificato come qualcosa di “altro” rispetto a un’istituzione quale la Polizia
di Stato, permette al richiedente di liberarsi di una parte delle proprie paure per
chiedere e cercare di capire le cose che, in quei momenti, sono fondamentali per
“riprendersi” e orientarsi. Cose che generalmente hanno a che fare con l’assistenza materiale (vitto, vestiario, denaro per il trasferimento alle strutture di pronta
accoglienza), l’orientamento giuridico e sociale (cosa comporta l’inoltro della
domanda? Data la mia situazione di partenza, quali chance avrò di essere riconosciuto rifugiato? Quali prospettive di vita avrò nel tempo di attesa della risposta?
Quanto sarà lungo questo iter?).
Attualmente il servizio di accoglienza alla frontiera riesce a garantire una prima accoglienza e uno “smistamento” delle persone nelle varie possibili destinazioni nell’arco di uno o due giorni lavorativi, riducendo al minimo il disagio della
231
permanenza presso l’area arrivi dell’aeroporto.
Non sempre è stato così: basti pensare a quanto accaduto negli ultimi giorni
del 2005 e nei primi mesi del 2006, quando a fronte di un incremento inatteso e
davvero consistente nei flussi in arrivo (passati, come detto da una media di circa
30 al mese a una di circa 100 al mese), tutto il sistema dell’accoglienza ha faticato
non poco per inserire celermente tutti quanti ne facessero richiesta, determinando
in alcuni casi tempi d’attesa all’aeroporto anche di 15 giorni.
Tuttavia nel corso di questi anni il servizio è positivamente evoluto sia rispetto
a quanto veniva fatto precedentemente all’apertura dello sportello, sia rispetto alle
competenze e le capacità degli operatori di relazionarsi con le persone in transito,
fornendo loro un servizio di accoglienza e orientamento primari a 360 gradi.
Il servizio di pronta accoglienza
Il servizio di pronta accoglienza è rivolto alle persone nel periodo in cui, uscite
dall’aeroporto di Malpensa, sono in attesa del rilascio dell’attestato di richiesta asilo dalla Questura competente per territorio (quella di Varese). Quello della pronta accoglienza, quindi, si delinea come una sorta di “periodo ponte” tra
l’uscita dall’aeroporto e l’inserimento in un’idonea struttura dello Sprar o in uno
dei sette Centri d’Identificazione sparsi sul territorio nazionale. In attesa della
determinazione della destinazione del richiedente, tuttavia, si pone il problema
di ospitare la persona per un periodo di tempo variabile tra i 15 e i 45 giorni a
seconda dei casi, in una struttura adeguata (che evidentemente non può essere
l’aeroporto stesso).
Fin dal 2004, ancor prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. 140/05, per dare
attuazione al dettato normativo della Legge 189/2002 (cosiddetta Legge BossiFini) che già prevedeva l’istituzione di questo doppio binario, la Prefettura di Varese ha stretto un accordo con Caritas Ambrosiana per l’affidamento dell’erogazione di questo servizio in una struttura di proprietà della Parrocchia di Casbeno
a Varese, la cui gestione è stata affidata poi alla cooperativa sociale Le Querce di
Mamre, che garantisce la pronta assistenza per uomini adulti singoli.
Successivamente si è provveduto ad allargare il servizio in parola riservando
dei posti letto a tipologie di richiedenti asilo diverse, quali famiglie e donne sole o
con minori, in altre strutture già gestite dalla cooperativa stessa nell’ambito dello
Sprar (vedi paragrafo precedente). Ad oggi, quindi la pronta accoglienza consta
sostanzialmente di 34 posti letto, di cui 12 gestiti direttamente come cooperativa
sociale Querce di Mamre in convenzione con la Prefettura nella struttura di Via
Conciliazione per uomini adulti singoli, e altri 22 equamente distribuiti tra Vare232
se, Caronno Pertusella, Sesto Calende e Cardano al Campo.
La tipologia del servizio, che determina una permanenza media degli ospiti
molto breve, non consente di impostare in questo periodo un vero percorso di
“crescita personale” e di empowerment verso l’autonomia, ma solo di rasserenare
l’individuo e fornirgli un orientamento giuridico, socio-culturale, linguistico e
territoriale più approfondito di quello ricevuto in frontiera.
La tipologia del servizio, quindi, fa sì che gli obiettivi dell’accoglienza si articolino nelle seguenti attività.
Rispetto all’orientamento giuridico, fin dall’accoglienza all’ingresso viene effettuato un colloquio iniziale in cui si dà spiegazione del percorso in cui è entrato
il richiedente in modo più approfondito di quanto fatto in frontiera. Il maggior
tempo a disposizione rispetto alla realtà dello sportello alla frontiera consente
anche di entrare con la persona più in profondità rispetto al suo vissuto e ai motivi
della sua fuga: in tal senso si inizia a svolgere un lavoro di dialogo con l’ospite,
volto ad aiutarlo a raccontare la sua storia e, se necessario, a raccogliere prove, testimonianze che potranno poi essergli utili in sede di verbalizzazione in questura.
Ma anche rispetto all’orientamento alla realtà socio-culturale e, più semplicemente, organizzativa in cui l’individuo è arrivato, si realizza in questi primi giorni
un lavoro di dialogo e spiegazione che serve a orientare la persona rispetto alla
realtà in cui è arrivata e alle norme di comportamento basilari per convivere con
altre persone nel centro e con una società per lui straniera quale quella italiana.
In questa fase ha un ruolo determinante la capacità degli operatori dei centri di
entrare in contatto con gli ospiti superando le differenze linguistiche e culturali.
Proprio per ciò in tutti i centri vi sono non solo operatori italiani che parlano
inglese, francese, arabo oltre ad altre lingue come lo spagnolo o il portoghese,
ma anche (e questa è stata una precisa e lungimirante scelta della cooperativa)
operatori ex-richiedenti asilo che fanno da mediatori culturali, avendo per di più
il vantaggio di aver vissuto direttamente le esperienze, gli stati d’animo e le difficoltà psicologiche che attraversano le persone in quei momenti.
Proprio per aiutare le persone a raggiungere in questi primi giorni di permanenza il primo e basilare obiettivo sulla strada verso l’autonomia, ossia quello
di potersi esprimere, il servizio di pronta accoglienza punta moltissime energie
sull’educazione linguistica. Non solo tutti gli ospiti vengono iscritti a corsi di
italiano per stranieri9, che si svolgono in normale orario scolastico diurno, ma
viene data loro anche la possibilità di seguire corsi maggiormente basati sulla
conversazione nel pomeriggio, organizzati internamente al servizio stesso.
Oltre a tutte queste attività, ovviamente, vengono fornite agli ospiti tutte le
Si tratta di corsi di educazione degli adulti, organizzati dal Centro territoriale permanente, nel caso
dei centri di Varese, di corsi seguiti presso organizzazioni di volontariato o totalmente realizzati
all’interno del centro, nel caso degli altri servizi di pronta accoglienza.
9
233
forme di assistenza materiale indispensabili: vitto, fornitura di vestiario e di generi di prima necessità oltre che per l’igiene personale, assistenza sanitaria in caso
di bisogno.
Infine si segnala come il centro di Via Conciliazione sia riuscito a sviluppare
rapporti col territorio circostante legati soprattutto alla collaborazione con alcune
realtà della parrocchia adiacente (gruppo missionario, gruppi oratoriali) per attività di assistenza e ludico-ricreative.
Il servizio di prima e seconda accoglienza (in ambito Sprar)
Il servizio di prima e seconda accoglienza10 si pone come passaggio successivo,
consequenziale, a quello della pronta accoglienza, una volta che la persona abbia
ricevuto l’attestato di richiedente asilo o il permesso di soggiorno per richiesta
d’asilo dalla Questura competente (quella di Varese per quanti fanno ingresso da
Malpensa). Per i richiedenti asilo entrati nel territorio varesino il fatto di poter
contare su una filiera di servizi completa costituisce un vantaggio molto importante soprattutto in questo snodo del proprio percorso, in quanto consente loro
di permanere in strutture gestite con modalità simili e comunque complementari
e consecutive rispetto a quelle già sperimentate in fase di pronta accoglienza,
rispetto alla quale il servizio si propone di riprendere e continuare quanto è stato
lì iniziato, dando continuità all’esperienza maturata in quei primi giorni di permanenza entro il sistema d’accoglienza di Caritas Ambrosiana, anche se contando
su delle tempistiche differenti previste dallo Sprar (sei mesi prolungabili per altri
sei) che permettono di impostare tutte le attività viste per la pronta accoglienza in
modo molto più approfondito.
Essendo una tipologia di servizio presente fin dalla costituzione delle prime
parti del sistema d’accoglienza, esso viene offerto a tutte le tipologie di richiedente asilo (donne sole o con minori, uomini adulti soli, famiglie), seppure in strutture differenti relative a progetti Sprar diversi. Uno a Caronno Pertusella (25 posti
per famiglie), uno a Sesto Calende (15 posti per nuclei familiari distribuiti su 4
comuni: Sesto Calende, Cardano al Campo, Samarate e Malnate), uno a Varese
con i 18 posti del centro di Via Pola, per un totale di 58 posti.
Come detto, le attività che si svolgono in questi centri non sono estremamente
Poniamo il discrimine tra le due fasi temporali nella comunicazione data dalla Commissione
territoriale al richiedente asilo circa la sua domanda. Quanti ricevono un diniego devono lasciare
le strutture dello Sprar, quanti si vedono assegnati lo status di rifugiato o un permesso di soggiorno
per protezione umanitaria, invece, hanno diritto a restare ancora nel Sistema di protezione per completare il percorso verso l’integrazione (seconda accoglienza).
10
234
diverse da quelle realizzate dai servizi di pronta accoglienza.
Anche nel servizio di prima e seconda accoglienza, infatti, si opera soprattutto in vista dell’apprendimento dell’italiano, pensato come strumento anche per
aiutare le persone a “entrare” nella cultura e nella società italiana. In particolare,
con quanti nel periodo di permanenza mostrino il raggiungimento di un discreto
grado di acquisizione della lingua, si provvede anche a cercare sul territorio corsi
di formazione professionale nei quali inserirli. Cosa, questa, particolarmente utile
in vista del primo inserimento lavorativo, che con la nuova normativa può avvenire dopo i sei mesi di permanenza del richiedente sul suolo italiano, e che, data
la permanenza media degli ospiti, per molti avviene proprio nel periodo di permanenza nel centro (e grazie alle relazioni instaurate dai servizi con realtà territoriali
impegnate sul versante dell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate).
Per il resto la giornata del richiedente asilo in queste strutture si svolge con
una certa regolarità ruotando intorno ad alcuni momenti fondamentali, che pressappoco sono gli stessi in tutti i centri (i pasti, le lezioni d’italiano, alcune ore
libere nel pomeriggio, l’accompagnamento dei minori nelle scuole e poi al centro
per i nuclei familiari).
La vera differenza, rispetto al servizio di pronta accoglienza, è che il lungo
tempo di permanenza permette di riarticolare tutte queste attività in funzione del
raggiungimento individuale di alcuni obiettivi di fondo, che hanno a che fare da
un lato con l’empowerment della persona, dall’altro con il raggiungimento di una
sua serenità psicologica. Proviamo a vedere.
Rispetto al primo punto, gli operatori hanno sviluppato diverse “tecniche”,
modalità operative che sollecitano la persona a “imparare facendo”, cosa che
spesso permette all’individuo di mettere in gioco e riattivare le proprie competenze e abilità (incrementandone anche la fiducia in se stesso e la consapevolezza
delle proprie possibilità d’azione nel nuovo contesto di vita). Queste “tecniche”
sono le più disparate e riguardano tutti gli ambiti della vita nei centri. Si va
dal coinvolgimento diretto dei richiedenti con maggior anzianità di presenza nei
centri per aiutare gli ultimi arrivati a capire le lezioni di italiano, alla ricerca
di attività formative esterne al centro che permettano alla persona di uscirvi,
conoscere altre persone e confrontarsi con altri ambienti, fino all’abitudine di
istruire gli ospiti a fruire autonomamente di servizi sul territorio dopo un primo
accompagnamento11.
Il secondo aspetto, quello della riconquista di una serenità psicologica spesso perduta nel periodo della fuga e dell’approdo, è particolarmente delicato, in
Si noti come le medesime attività nel servizio di pronta accoglienza non comportano il coinvolgimento attivo dell’ospite, che si limita, per esempio, a frequentare le lezioni e non a farsi “insegnante”, a essere accompagnato e non a muoversi autonomamente.
11
235
quanto è generalmente nel periodo di permanenza nei centri che offrono questo
servizio che il richiedente vive un momento di transizione molto particolare. Superata la fase di stress emotivo iniziale, il richiedente ha qui il tempo di fermarsi
a ripensare e rielaborare quanto gli è successo. L’atteggiamento iniziale di molti
è quello di una certa freddezza (quando non vera e propria paura) nei confronti
degli operatori, visti come persone che potrebbero in qualche modo influire in
senso negativo sull’esito della propria domanda (è il timore che l’operatore possa
riportare alla polizia episodi negativi). Superato questo timore grazie all’instaurazione di un legame di fiducia costruito giorno per giorno, si delinea subito un
nuovo ostacolo. La persona tende a questo punto del cammino a fermarsi, a sentirsi giunto a un punto di approdo del proprio percorso. Lo “scoglio” si produce
nel momento in cui il richiedente, da persona indebolita e facilmente vulnerabile
anche psicologicamente, supera le tensioni psicologiche iniziali, rielabora quanto gli è accaduto e ricomincia a progettare un futuro per sé (ed eventualmente
per la propria famiglia) e, di fronte alle fatiche quotidiane legate al doversi reinventare una vita partendo da zero, si scontra con un’incertezza totale sull’esito
del suo percorso burocratico. Ossia il “momento della stanchezza” che produce
reazioni diverse da persona a persona, è un prodotto della frustrazione indotta
dalla percezione che lo sforzo quotidiano compiuto rispetto a quanto l’individuo
è messo nelle condizioni di fare (lavorare per la propria integrazione sociale nel
territorio), non troverà necessariamente riscontro positivo nel parallelo percorso
di riconoscimento del proprio status giuridico. È la frustrazione che nasce dalla
consapevolezza che il proprio futuro, nonostante i propri sforzi, non è solo nelle
proprie mani; la tensione non fa altro che aumentare più passa il tempo in attesa
di una risposta dalle nuove Commissioni territoriali o dalla vecchia Commissione
centrale.
Proprio per far fronte a queste problematiche gli operatori devono svolgere un’attività di costante monitoraggio e ridefinizione con gli utenti (soprattutto con i nuclei familiari, per i quali le dinamiche relazionali interne al nucleo
complicano le cose) di un progetto individuale, ossia di un percorso fatto di
obiettivi da raggiungere in tempi concordati che portino la persona a riacquisire
un’autonomia che si configura come premessa essenziale verso l’integrazione
nel territorio.
Ma proprio per permettere agli ospiti di raggiungere questi obiettivi, i centri
che offrono il servizio di prima accoglienza hanno negli anni dovuto sviluppare
numerose relazioni con realtà locali impegnate in vari ambiti. Relazioni con medici, pediatri, personale di uffici Asl e di aziende ospedaliere per le problematiche in ambito sanitario; relazioni con scuole e centri di formazione per adulti in
campo educativo e formativo; con organizzazioni del Terzo Settore (cooperative
236
sociali, associazioni, fondazioni) per favorire gli inserimenti lavorativi, il reperimento di una sistemazione abitativa all’uscita dal centro, e per l’organizzazione
di momenti ludico-ricreativi e/o di sensibilizzazione con la partecipazione degli
stessi ospiti.
Il servizio di “terza accoglienza” della rete di appartamenti
Il servizio della “rete appartamenti” rappresenta nel sistema dei servizi l’ultimo
“gradino” verso l’autonomia. Come vedremo tra poco, molti ospiti dei centri di
prima accoglienza, in realtà, riescono già al termine del periodo di permanenza in
queste strutture a raggiungere un’autonomia alloggiativa e/o lavorativa tale per
cui possono uscire dal sistema d’accoglienza varesino gestito dalla cooperativa
Le Querce di Mamre. Vi sono altri casi, invece, di persone che al termine di questo periodo necessitano ancora di assistenza alloggiativa, vuoi perché il loro status giuridico non è ancora stato definito, vuoi perché non hanno ancora raggiunto
un’autonomia sufficiente, vuoi perché, infine, la loro domanda è stata respinta ma
hanno opposto ricorso avverso il diniego ricevuto.
In questi casi la cooperativa offre alle persone un servizio di “terza” accoglienza, che si colloca successivamente all’accoglienza in ambito Sprar e che ha
come obiettivo primario quello di portare le persone al raggiungimento dell’autonomia. Il servizio fornisce un supporto agli individui o ai nuclei familiari per
completare i percorsi (scolastici, formativi, lavorativi, relativi alla conoscenza del
territorio e alla creazione di reti e legami sociali con persone del territorio, ecc.)
intrapresi nella prima fase e per ridefinire un percorso individualizzato con degli
obiettivi di livello più alto rispetto a quanto fatto precedentemente. Obiettivi che
hanno a che fare tutti strettamente con l’autonomizzazione della persona (o del
nucleo familiare) e con il suo inserimento nel territorio, e che comportano un
impiego di energie e risorse molto maggiori rispetto all’orientamento al lavoro,
la ricerca di lavoro e l’inserimento lavorativo, la ricerca di un alloggio e l’inserimento abitativo autonomo.
Il servizio, anche in questo caso viene offerto a tutte le tipologie di richiedenti,
seppure in strutture diverse.
In questo servizio la presenza degli operatori si “alleggerisce” e per gli ospiti
si aprono spazi e tempi di autonomia che, se in un primo momento creano generalmente entusiasmo e soddisfazione, possono anche portare rapidamente a una
sorta di smarrimento (per la presenza ridotta dell’operatore e dei “paletti” della
vita del centro) e frustrazione (per i vincoli esistenti che non permettono ancora
di vivere una vita davvero autonoma).
237
5.1.4 Il sistema di accoglienza di Caritas Ambrosiana nella Provincia di
Varese: flussi, transizioni, tempi
Abbiamo dunque descritto il sistema dei servizi di accoglienza di Caritas Ambrosiana nel territorio varesino nel suo complesso e nelle sue parti. Giunti a questo
punto resta un quesito da sciogliere. Quali sono gli esiti che produce il sistema
d’accoglienza così strutturato e funzionante sul percorso di quanti vi entrano?
Detto altrimenti, possiamo in qualche modo misurare se il sistema d’accoglienza
varesino riesce a raggiungere il proprio obiettivo di fondo, ossia portare le persone richiedenti asilo a un inserimento e a una vita in autonomia nel territorio?
I dati che abbiamo analizzato relativi agli ospiti transitati dai centri del sistema
tra il 2001 e il 200512 ci permettono di osservare la distribuzione rispetto al motivo dell’uscita dal servizio che ha accolto la persona (Tab. 3).
Tab. 3 - Motivo dell’uscita dal servizio, ospiti usciti dal sistema d’accoglienza dal
1/07/2001 al 31/12/2005. Valori assoluti e percentuali
Motivo dell’uscita dal servizio
N.
Passaggio ad altro centro o rete appartamenti
Uscita per autosufficienza
Percentuale
64
21,7
120
40,7
Uscita per espulsione, scomparsa, altri casi*
111
37,6
Totale
295
100,0
Fonte: Elaborazione dati servizi di accoglienza Caritas Ambrosiana - cooperativa Le Querce di Mamre
Dei quasi 350 casi rispetto ai quali disponiamo di questa informazione, notiamo
che la maggioranza relativa dei casi (oltre un terzo del totale) è riuscita a uscire
dal servizio in cui si trovava proprio in quanto aveva raggiunto l’autosufficienza.
Già questo dato basterebbe, da solo, a far capire l’importanza e la validità del lavoro di accompagnamento all’autonomia e all’integrazione sociale delle persone
ospitate svolto dagli operatori della cooperativa.
Per altro, integrando quest’informazione con quelle raccolte nei colloqui con
gli operatori nei centri del sistema, possiamo aggiungere che molti di quanti sono
registrati come “scomparsi”, sono richiedenti asilo arrivati soprattutto nel primo
anno di gestione del sistema da parte della cooperativa, quando ancora era molto diffuso il fenomeno dei richiedenti che utilizzavano l’Italia puramente come
paese di transito, fermandosi solo pochi giorni per poi passare in altri Stati dove
disponevano di reti parentali o amicali di supporto. Se potessimo non consideSi tratta dei dati raccolti per lo studio di caso precedentemente citato (Zandrini, 2006). In quella
sede abbiamo utilizzato i dati raccolti dai servizi gestiti dalla cooperativa sociale Le Querce di
Mamre sugli ospiti transitati nei servizi da essa gestiti tra il 1° luglio 2001 e il 31 dicembre 2005,
costituendo così un database di 506 casi.
12
238
rare queste persone, per le quali evidentemente non si può parlare di fallimento
dell’intervento del sistema d’accoglienza, ma di una precisa volontà di utilizzarlo
in maniera strumentale al passaggio verso altre destinazioni, ecco che troveremmo una quota ancora maggiore di persone rese autonome.
Questi dati ci permettono di giudicare positivamente il funzionamento complessivo del sistema d’accoglienza varesino. Considerazione rafforzata, inoltre,
dalla constatazione che, come vediamo nella tabella 4, ogni servizio produce tendenzialmente uscite coerenti con le proprie finalità13.
Così, passando dalla pronta alla prima/seconda accoglienza (oggi accoglienza
in ambito Sprar) cresce fortemente la quota degli individui condotti all’autonomia; nell’uscita dalla rete di appartamenti (“terza” accoglienza) non troviamo
più nessun passaggio verso altri centri né tanto meno nessuna persona che si
disperde. Ancora osserviamo come non si dia mai il caso di passaggi dalla pronta
accoglienza alla rete di appartamenti, mentre si registra qualche caso di richiedenti che raggiungono subito l’autonomia. In realtà si tratta di persone che rinunciavano a restare nel sistema d’accoglienza e si rendevano autonome in vario
modo (generalmente trovando ospitalità da parenti, amici o conoscenti). Infine,
oltre metà degli ospiti della pronta accoglienza scompare o esce dal centro per
altri motivi (in quanto casi Dublino o perché accettano il rimpatrio assistito).
Questo tipo di conclusione del percorso, invece, interessa solo un terzo degli
ospiti della prima/seconda accoglienza, che in oltre un caso su due raggiungono
l’autosufficienza.
Tab. 4 - Motivo dell’uscita dal servizio per tipologia del servizio, ospiti usciti dal
sistema d’accoglienza 1/07/2001-31/12/2005. Valori assoluti
Tipologia del
servizio
Pronta
accoglienza
Prima/seconda
accoglienza
Rete
appartamenti
Totale
Totale
Motivo dell’uscita dal servizio
Passaggio
Passaggio a rete
Autosufficienza
ad altro centro
appartamenti
Scomparso o altri
motivi d’uscita
35
-
17
56
108
5
12
93
55
165
-
12
10
-
22
40
24
120
111
295
Fonte: Elaborazione dati servizi di accoglienza Caritas Ambrosiana - cooperativa Le Querce di Mamre
Per concludere le considerazioni sul sistema di accoglienza possiamo, infine, interrogarci su un altro aspetto in relazione agli esiti dei percorsi degli ospiti transitati attraverso il sistema d’accoglienza varesino, ossia sulla sua efficienza. Per
13
Per le quali si rimanda la paragrafo precedente.
239
farlo ci concentriamo sulla durata della permanenza entro il sistema.
Vogliamo capire, quindi, se le persone che hanno beneficiato dell’accoglienza
offerta dal sistema varesino, oltre ad aver raggiunto l’autonomia in una buona
percentuale di casi (che abbiamo visto essere intorno al 40%), sono anche usciti
rapidamente dal sistema.
Osservando la tabella 5 si può notare come la permanenza in ogni servizio
sia inferiore all’anno per 9 ospiti su 10. La permanenza media si assesta sui 201
giorni (182 la mediana).
Questi valori ci parlano di un sistema estremamente efficiente, che riesce a non
configurarsi come “trappola”, ossia a non finire con il trattenere gli ospiti molto
a lungo (come a volte accade nei casi di questo genere di strutture volte a dare
accoglienza alloggiativa a categorie in difficoltà).
Tab. 5 - Durata della permanenza, ospiti usciti dal sistema d’accoglienza dal
1/07/2001 al 31/12/2005. Valori assoluti e percentuali
Durata della permanenza
N.
Meno di 2 mesi
40
21,4
Meno di 6 mesi
38
20,3
Meno di 12 mesi
89
47,6
Oltre 12 mesi
20
10,7
187
100,0
Totale
Percentuali
Fonte: Elaborazione dati servizi di accoglienza Caritas Ambrosiana - cooperativa Le Querce di Mamre
Tuttavia, per definire l’efficienza di un sistema d’accoglienza come quello di
cui stiamo ragionando, non basta osservare se le persone rapidamente vi escano
essendosi integrate nel territorio. Provando a capire se vi siano dei fattori che
esercitano una qualche influenza sulla durata della permanenza, scopriamo che
praticamente non vi è correlazione tra i giorni di permanenza in ciascun servizio
e l’età e l’area geografica di provenienza. Al contrario, vi è una correlazione tra
il numero di giorni di permanenza in ciascun servizio e il centro in cui si è stati
ospitati (più si allunga il periodo concesso per la permanenza più si allunga effettivamente la permanenza media), il genere (la permanenza si protrae mediamente
di più per le donne che, non a caso, sono molto spesso presenti con figli), l’appartenenza a un nucleo familiare (la presenza di altri membri del nucleo familiare fa
allungare i tempi di permanenza).
Sono quindi le caratteristiche del servizio offerto dalla struttura in cui si è
ospitati, e la “tipologia” del richiedente (uomo o donna, solo o con famiglia) a
fare la differenza nella durata della permanenza, confermando che nonostante
un buon funzionamento del sistema di accoglienza varesino di Caritas Ambro240
siana, l’inserimento e il raggiungimento dell’autonomia è, alla prova dei fatti,
ancora più difficile per quelle categorie di Raru che maggiormente si allontanano
dal profilo del tipico immigrato “economico” (maschio, adulto in età centrale,
solo).
5.2 L’asilo in Italia e in Lombardia: problematiche presenti e proposte
operative
5.2.1 Le politiche nazionali: l’allargamento dello Sprar dal 2006
Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) rappresenta l’attuale risposta istituzionale italiana ai temi dell’accoglienza, integrazione e tutela
dei richiedenti asilo, rifugiati e protetti umanitari (Raru) presenti nel nostro Paese. Ma non l’unica risposta, come vedremo.
Le risorse su cui il sistema si regge fanno riferimento al Fondo nazionale per
le politiche e i servizi dell’asilo, istituito dalla legge “Bossi-Fini”.
Ente titolare per competenza istituzionale è il Ministero dell’Interno, che si
avvale della struttura dell’Associazione nazionale dei Comuni d’Italia (Anci) per
la gestione del Servizio Centrale, una segreteria con sede a Roma che la Legge
189/2002 ha dotato di alcune competenze di regia del sistema, che conta oggi
sulla capienza di circa 2.500 posti su scala nazionale, temporaneamente portati a
circa 3.000 da un’ordinanza ministeriale.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr nell’acronimo inglese) partecipa alla vita del sistema con una sorta di “patrocinio”, sin da
quando, nel 2000, venne ideato il Programma nazionale asilo (Pna), dai tre enti
suddetti in collaborazione con le principali ong italiane impegnate sul tema dell’asilo (Caritas, Cir, Arci, Ics).
La sperimentazione del Pna (partito nel 2001 con una rete di 63 comuni) si è
conclusa nel 2005. Dal 2006 lo Sprar è ufficialmente attivo e conta su una compagine di 112 progetti diffusi nel territorio nazionale, suddivisi per categorie di
beneficiari in “ordinari” (83) e “più vulnerabili” (29).
Dal 2005 la rete istituzionale comprende inoltre i posti di accoglienza attivati
dalle amministrazioni delle principali aree metropolitane grazie allo stanziamento
di fondi con ordinanze di emergenza della Protezione civile, in sede ministeriale.
Non va infine dimenticato che queste stesse aree sono storicamente interessate
al fenomeno dell’asilo e hanno previsto una rete di servizi per Raru antecedente
alla nascita del sistema nazionale, contribuendo ulteriormente alla creazione di
posti di accoglienza.
241
Alla rete istituzionale si affianca, su cifre più modeste, anche una rete che fa
riferimento ad una delle ong cofondatrici dell’allora Pna, la Caritas, che pure
partecipa massicciamente alla gestione dell’attuale Sprar, dove vanta la gestione
di un terzo dei posti complessivi della rete nazionale.
Le articolazioni territoriali di Caritas Italiana, infatti, basate su scala diocesana,
implementano a loro volta l’offerta di servizi per Raru, grazie alla valorizzazione
data al tema dell’asilo dalla Conferenza episcopale italiana, che ogni anno destina
a progetti sul tema una parte del proprio Otto per Mille Irpef di competenza.
Si può calcolare, con approssimazione relativa, che la rete reale dei posti di
accoglienza per gli oltre 10mila (media annuale dell’ultimo lustro) richiedenti
asilo che ogni anno approdano in Italia si vada ad attestare intorno ai 3.500-4.000
posti in situazioni di libera circolazione del beneficiario.
A questi si vanno ad aggiungere i posti riservati ai richiedenti asilo nei CId
(Centri di Identificazione) e, fortunatamente in piccola parte, nei Cpta (Centri di
permanenza temporanea e assistenza) dalla legge Bossi-Fini.
Si tratta di posti che attengono alla fase di accoglienza, che termina il giorno
della notifica della risposta alla domanda d’asilo del richiedente e si trovano in
strutture di “semi-trattenimento” degli ospiti, che possono abbandonarle solo su
autorizzazione e in orario diurno, salvo alcune eccezioni. I CId sono presenti
nella sette sedi di Commissione territoriale previste dalla legge per l’esame decentrato delle richieste d’asilo (tempi medi attuali: massimo 6 mesi) ed hanno
una capienza complessiva di circa 1.000 posti, alla situazione attuale. Una legge
di recepimento della normativa europea (D. Lgs. 140/2005) ne prevede l’utilizzo
per l’accoglienza dei richiedenti asilo non trattenibili solo in caso di mancanza di
posti nello Sprar.
La Commissione ministeriale presieduta dall’alto funzionario Onu Staffan De
Mistura, nata per analizzare la situazione dei Cpta, ha ben presto esteso la propria
competenza ai Centri di Identificazione: le conclusioni del lavoro della “Commissione De Mistura”, pubblicate il 31/01/2007, ne prevedevano il “superamento”,
esattamente come per i Centri di permanenza temporanea e assistenza.
Sarà il recepimento della direttiva UE sulla procedure per il riconoscimento
della protezione internazionale a determinarne il futuro, che purtroppo sembra essere indirizzato verso un cambiamento poco più che nominale di queste strutture,
i cui limiti di intervento – dovuti all’eccessivo numero di “ospiti” – sono sotto gli
occhi di tutti14.
Il 18/2/2008 la GU ha pubblicato il D. Lgs. 25/2008, sull’ “Attuazione della direttiva 2005/85/CE
recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e
della revoca dello status di rifugiato, che entrerà tuttavia in vigore solo a seguito dell’approvazione
del regolamento Attuativo collegato”.
14
242
5.2.2 Risorse e limiti della rete nazionale
Il 2008 potrebbe segnare l’anno dell’inizio di una svolta radicale per le politiche
dell’asilo in Italia, e in cui lo Sprar costituisce una risposta ancora parziale e limitata, ancorché interessante, in termini di policy dell’asilo.
Ancora in attesa della Legge organica sul diritto d’asilo (che si auspicava
approvata entro il 2008, mentre pare oggi superata – nelle intenzioni del legislatore – dall’approvazione dei decreti di recepimento delle direttive UE per l’armonizzazione, fase 1), siamo tuttavia di fronte ad alcune possibili scelte da parte
dell’esecutivo che potrebbero modificare ulteriormente il quadro, dopo l’assestamento (avvenuto nel 2006) delle importanti modifiche introdotte dai regolamenti
attuativi della 189/02 (Dpr. 303/2004) e dal recepimento della normativa europea
(D. Lgs. 140/2005)15.
Andando a superare di fatto il quadro normativo legato alla Legge 189/2002,
si potrebbe cogliere l’occasione per realizzare alcune importanti riforme:
a) triennalizzare l’uscita dei bandi che finanziano lo Sprar, garantendo agli enti
locali titolari dei servizi in rete (e agli eventuali enti gestori coinvolti) un respiro – progettuale ed operativo al contempo – adeguato all’ottimizzazione
dei servizi offerti ai beneficiari;
b) superare il modello dei CId, portando dentro lo Sprar (adeguatamente rifinanziato con i fondi non più spesi per i CId) i posti di accoglienza;
c) fare uscire i richiedenti asilo dai Cpta;
d) uniformare la durata della fase di richiesta asilo a tempi di 3 mesi al massimo;
e) investire sulla funzione di integrazione dello Sprar.
Tali considerazioni sono state spesso all’ordine del giorno dei rappresentanti istituzionali impegnati nel settore ai massimi livelli nel corso dell’ultimo biennio:
oggi sta per essere implementato il quadro normativo con il recepimento delle direttive europee che sono l’ossatura della prima fase di armonizzazione continentale del diritto d’asilo: sarà interessante capire a quali standard il nostro paese,
capace di esprimere uno Sprar da altri invidiato, vorrà assestarsi16.
5.2.3 Alcune proposte di Caritas Ambrosiana per le politiche nazionali
sull’asilo
Alla luce di queste considerazioni, Caritas Ambrosiana (supportata in tale compi15
16
Ibidem.
Ibidem.
243
to dal Coordinamento nazionale asilo di Caritas Italiana) ha già formulato al Ministero dell’Interno e all’Anci, con cui ha interlocuzione diretta, alcune proposte
di intervento sul sistema nazionale secondo precisi obiettivi da perseguire:
a) la modificazione dello Sprar;
b) la chiusura dei CId;
c) potenziare con vigore la funzione di integrazione del sistema.
Obiettivo a: la modificazione dello Sprar
Dovrebbe attuarsi su almeno 3 linee:
a) riassetto del Servizio Centrale (in particolare sostenendo il potenziamento del
settore amministrativo);
b) regionalizzazione di alcune funzioni del sistema;
c) aumento delle “performance” della banca dati in accesso (nell’applicazione
del D. Lgs. 140/2005, che ha recepito la normativa europea in tema di standard minimi di accoglienza di richiedenti asilo).
Quasi superfluo dire che la prima e la terza istanza dovrebbero andare quasi da
sé, nella fase di ulteriore espansione che il sistema si sta dando, per tentare di
avvicinarsi alla copertura del fabbisogno di accoglienza di tutti, nessuno escluso,
i suoi potenziali beneficiari.
Approfondiamo in questa sede la seconda di queste proposte:
La “regionalizzazione” di alcune funzioni del sistema dovrebbe prevedere nel
2008 la sperimentazione in alcune zone-pilota (una delle quali potrebbe essere
proprio la Lombardia) dell’affidamento ai Coordinamenti regionali di alcune funzioni finora deficitarie nella gestione centralizzata Sprar (che rimarrebbe come
cabina di regia con il Servizio Centrale), nella fattispecie:
– la formazione degli operatori e delle istituzioni su temi territoriali;
– lo scambio di pratiche tra progetti;
– il raccordo con la CT di riferimento e la “Sezione stralcio” della Commissione nazionale, che esamina le pratiche pendenti al 21/4/2005;
– la gestione di parte dei posti-letto a livello regionale (per emergenze, ecc.);
– la funzione di segreteria regionale e raccordo con il centro (ad esempio, attraverso l’ Anci regionale e la disponibilità di un ente gestore).
244
Obiettivo b: la chiusura dei CId17
Come detto, nelle conclusioni dei lavori della “Commissione De Mistura”, è auspicato il superamento del sistema CId introdotto dalla Legge 189/2002.
In quest’ottica, il 2008 potrebbe configurarsi come l’anno della sperimentazione di una forma graduale di riconversione di alcune grandi strutture presenti
sul territorio nazionale, come il CId di Crotone (300 posti, presso il “Campo
Sant’Anna” di Isola Capo Rizzuto) o quello di Borgo Mezzanone (Foggia).
Nei nostri obiettivi, il CId dovrebbe trasformarsi in un centro di identificazione per migranti in arrivo sul territorio nazionale, ivi trasportati dai luoghi di
sbarco. I richiedenti asilo identificati come tali, dovrebbero accedere al sistema
locale di pronta accoglienza, cui potrebbe essere dedicata parte dei posti dell’ex
CId o, meglio, cui andrebbero dedicati centri di pronta accoglienza sul territorio
(modello Malpensa): perciò è in esame una proposta presentata dalla Caritas di
Crotone, che si è avvalsa di Caritas Ambrosiana (che gestisce l’area Malpensa)
per la consulenza alla progettazione del servizio.
Obiettivo c: l’impulso alle attività di integrazione dello Sprar
Con i fondi risparmiati dall’eventuale, progressiva chiusura dei CId, il sistema di
protezione potrebbe perseguire il potenziamento della propria finalità di integrazione, attraverso varie misure:
– l’individuazione di aree omogenee su scala macroregionale o regionale a
maggiore vocazione d’integrazione e la specializzazione delle stesse in questa funzione, a fronte di una specializzazione di altre aree sulla funzione dell’accoglienza;
– la connessione con la banca dati nazionale e le eventuali regie regionali del
sistema di questa attività, in modo da perseguire l’obiettivo della migliore
attuazione possibile del progetto di integrazione per i titolari di permesso di
lungo periodo.
Tali proposte sono ineludibili a seguito degli accordi intercorsi a fine 2007 tra
il Ministero dell’Interno e i sindaci delle aree metropolitane di Roma e Milano, che prevederebbero il cospicuo finanziamento (indipendente dai criteri di
assegnazione fondi dello Sprar) della loro rete cittadina di servizi. Per Milano,
trattandosi di servizi soprattutto improntati all’accoglienza dei Raru, e quindi
per la Lombardia, diventa obbligatorio ripensare – alla luce della presenza di
Il D. Lgs. 25/2008 ne cambia solo il nome da Centro di identificazione a Centro di accoglienza
richiedenti asilo.
17
245
500 posti di fatto finanziati – alla vocazione complessiva del territorio regionale
(forse anche macroregionale, cioè di competenza della CT), che potrebbe avere
nella metropoli il fulcro delle attività di accoglienza e nelle province (lombarde
e non) le prerogative dell’integrazione, a condizione di un altrettanto ponderoso
riconoscimento dei costi sopportati da enti locali e gestori per la loro funzione di
decongestionamento della metropoli.
5.2.4 Le politiche dell’asilo in Lombardia
L’assenza di un quadro regionale di riferimento
La Lombardia si colloca sempre più come “regione d’asilo” nel panorama italiano, per effetto di due dinamiche che si sono rese evidenti in seguito all’applicazione della recente normativa (Dpr. 303/2004 e D. Lgs. 140/2005): l’incremento
esponenziale di richieste d’asilo registrato nel 2006 a Malpensa (da 35 a 100
domande al mese in media), peraltro confermato dai dati 2007 (quasi 475 richieste d’asilo nel primo semestre) e il flusso ininterrotto dalle regioni del Sud Italia
(puntuale, anche in quest’anno di sbarchi numerosi e Cpa del Sud Italia al collasso, al termine della stagione agricola) di persone titolari di status di rifugiato
o di permesso di soggiorno per motivi umanitari, che non hanno trovato in altri
territori della penisola possibilità concrete di integrazione.
Tuttavia, mentre il sistema nazionale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) ha dimostrato di sapere assorbire (talvolta ricorrendo anche ai CId)
il flusso di richiedenti asilo che in Lombardia sono approdati al nostro paese attraverso Malpensa, altrettanto non si può affermare sulla capacità di accoglienza
fuori dai Centri di Identificazione per quel 90% di richiedenti asilo che entrano
in Italia dalla frontiera Sud, interamente (o quasi) concentrati nelle strutture di
semi-trattenimento.
Quanto a Milano (e agli altri capoluoghi lombardi, cui il fenomeno, seppur su
numeri inferiori, si è espanso nel 2007) si continuano a verificare episodi di occupazione di stabili in disuso che – presenti dalla scorsa estate ma non ancora affrontata dalle istituzioni – sta portando al ripetersi delle premesse dello sgombero
delle aree cittadine di via Lecco del dicembre 2005 e dei due di viale Forlanini
nel 2007; quest’anno è il turno dell’ex scalo Vittoria, meta di numerose presenze
dello stesso tipo: una situazione ormai ingestibile.
Un’adeguata gestione delle ingenti risorse dirottate sul capoluogo dal Ministero potrebbe favorire la costruzione di un sistema capace di reggere al flusso
246
da Sud degli ex utenti dei CId di Sicilia, Calabria e Puglia, almeno fino a quando
non sia stata costruita una rete nazionale di accoglienza capiente quanto basta per
garantire – ad esempio, attraverso l’estensione su scala nazionale del sistema di
“pronta accoglienza” finora sperimentato a Malpensa – il definitivo superamento
dei Centri di Identificazione.
Gli enti preposti: Regione e Anci Lombardia: alcuni segnali
In particolare, un approdo possibile del percorso che Anci regionale sta conducendo (con non poca fatica nel 2007) con enti locali e gestori lombardi potrebbe
essere rappresentato dal decentramento di alcune funzioni oggi in capo al Servizio Centrale, gestito dalla stessa Anci per conto del Ministero dell’Interno.
Facendo riferimento ad alcune delle funzioni Sprar indicate dalla normativa si
potrebbe ipotizzare un modello di questo genere:
a) monitorare la presenza sul territorio dei richiedenti asilo, dei rifugiati e degli
stranieri con permesso umanitario: tale monitoraggio ha come strumento locale la segnalazione delle “Presenze sul territorio” attraverso la banca dati del
sistema. L’agibilità di questo strumento andrebbe estesa ad altri enti locali e
ong, per avere una stima più realistica del fenomeno;
b) creare una banca dati degli interventi realizzati a livello locale in favore dei
Raru: tale banca dati si limita ad oggi agli interventi operati dai progetti del
sistema, mentre potrebbe essere ampliata a tutti gli interventi, anche non finanziati dal Fondo nazionale;
c) favorire la diffusione delle informazioni sugli interventi, come sopra esposto;
d) fornire assistenza tecnica agli enti locali: la funzione di formazione permanente potrebbe essere un mix di temi a livello nazionale e locale, cogestiti dal
centro e dalla periferia.
Il tutto costituirebbe la base sui cui poggiare l’attività di definizione della vocazione territoriale (lombarda e, forse, non solo) del sistema, che diverrebbe l’input
di partenza per il lavoro di segreteria da condurre da Anci su scala regionale.
Il ruolo di Anci Lombardia
Anci Lombardia (con l’auspicabile collaborazione di Upi), garante del protocollo
d’intesa tra Servizio Centrale Sprar e servizi locali, potrebbe mantenere il ruolo
di “segreteria” di quest’ambito decentrato di gestione, eventualmente appoggiandosi a enti locali o gestori eventualmente disponibili a coadiuvarla nella gestione
247
dell’organismo.
Le riunioni di coordinamento avrebbero quindi la funzione di analisi, progettazione e verifica gestionale, prevedendo all’ordine del giorno anche momenti di
raccordo diretto con i referenti nazionali Anci, come peraltro finora già avvenuto.
Il ruolo della Regione Lombardia
Anci può inoltre rappresentare il referente primario per il coinvolgimento della
Regione Lombardia su un tema cui ha cominciato a dedicare alcune attenzioni in
sede di fronteggiamento dell’emergenza Malpensa, dedicando al tema dell’asilo
la priorità delle proposte da presentare all’interno del bando “Villaggi Solidali”
e su cui un importante segnale di interesse è costituito dalla presente ricerca dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità di RegioneLombardia.
Risulta pertanto evidente come la presa in carico di una situazione così problematica non debba essere lasciata alla sola istituzione comunale titolare di progetto locale, ma richieda un collegamento alla situazione nazionale, attraverso il
sistema Sprar e il Ministero dell’Interno.
Certamente la disponibilità di fondi immediatamente spendibili attraverso
un’ordinanza di emergenza rappresenta un punto di partenza per affrontare la
questione. Rispetto al 2005-2007 andrebbero però garantite due condizioni:
– un percorso di condivisione con il territorio delle scelte per l’utilizzo dei fondi destinati al comparto;
– l’inserimento dell’intervento in una progettazione su scala regionale degli
interventi, che coinvolga come attori principali l’Anci regionale (in rappresentanza dello Sprar) e la stessa Regione Lombardia.
Entrambi questi attori avevano già cominciato a svolgere, nel 2006, alcune attività nel settore dell’asilo, che auspichiamo ritornare ad essere perseguite con vigore
nel corso del 2008.
Il ruolo regionale degli enti non-profit: la rete Caritas - FP
Caritas Ambrosiana, direttamente o attraverso la rete di servizi che ad essa si ispirano, gestisce ad oggi 6 progetti Sprar (oltre il 50% di quelli lombardi) nella sola
Diocesi di Milano (province di Milano, Varese e Lecco), il 66.20% di un totale di
188 posti-letto sui 284 assegnati nel 2007: gli stessi dati valgono per l’anno 2008,
248
alla luce delle graduatorie ufficiali Sprar appena pubblicate).
In generale, la rete di enti di matrice ecclesiale (Caritas e non) gestisce, per
conto degli enti locali, 9 degli 11 progetti (75%) presenti ad oggi in regione.
Per questo motivo dal 2006 si è cercato di attivare una rete di collegamento
tra gli enti gestori Sprar di matrice ecclesiale, avente ad obiettivo la costruzione
di una proposta gestionale coerente per il sistema di accoglienza e integrazione
lombardo, da proporre alle istituzioni competenti nella sede opportuna, costituita
dal Tavolo regionale Anci sullo Sprar.
Si tratta dell’applicazione del D. Lgs. 140/2005 in merito alle modalità di assegnazione dei richiedenti asilo arrivati a Malpensa alle strutture di accoglienza,
Sprar o governative (CId) che fossero.
Un incontro al vertice ha sancito modalità di gestione di un fenomeno che dal
2006 ha interessato oltre 100 RA al mese, con un incremento del 300% rispetto
agli anni passati.
I primi sei mesi di gestione del flusso attraverso le regole condivise tra Prefettura e Sprar hanno consentito che non si ripetessero gli intasamenti di persone all’aeroporto di Malpensa verificatisi nei mesi iniziali dell’anno; ha permesso alla Prefettura e alla Questura di Varese di razionalizzare i tempi di “pronta
accoglienza” nelle strutture convenzionate di Varese, contenendoli entro i 20-30
giorni al massimo; ha consentito al Servizio Centrale di avere interlocutori precisi sull’ingresso nel sistema nazionale, che quest’anno ha dedicato l’80% della
sua attività ai RA segnalati dalla Prefettura di Varese (dati rapporto Sprar 2007);
ha consentito agli enti locali e gestori Sprar di accogliere beneficiari corredati
da informazioni accurate, in modo da attuare una più approfondita presa in carico.
Tale tendenza si è confermata anche nel 2007, caratterizzato, come detto, da
flussi in ingresso a Malpensa sostanzialmente simili – sul versante quantitativo
– a quelli dell’anno precedente, ma affrontati dalla Prefettura di Varese attraverso
la convenzione con un gestore finalmente unico (la cooperativa sociale Le Querce
di Mamre dell’ambito Consorzio Farsi Prossimo-Caritas Ambrosiana) del servizio di pronta accoglienza nell’area di frontiera.
Il 2007 ha inoltre rappresentato l’anno della sperimentazione di alcune sinergie, sulla scorta di quanto già avvenuto in almeno una situazione nel 2006, che ha
visto protagonisti la Prefettura di Varese e il Servizio Centrale, anche attraverso il
ruolo attivo di un ente gestore territoriale (nella fattispecie Caritas Ambrosiana),
attraverso l’attività formativa della rete del progetto “Cittadini Possibili”, che si è
spinto per l’occasione anche al di fuori dei confini diocesani in cui opera.
249
5.2.5 Alcune proposte per le politiche regionali sull’asilo
Un “modello lombardo” di accoglienza e integrazione per Raru
La collaborazione tra le istituzioni si deve tradurre nell’apertura di un tavolo permanente di confronto e programmazione, che coinvolga, come spesso ricordato
nei Piani ma poco attuato, la società civile, le parti sociali e il privato sociale.
In questo ambito potrebbe essere opportuno l’allargamento della partecipazione
alla Regione Lombardia del Tavolo Anci regionale sullo Sprar, che si doti anche
della funzione di Osservatorio sul tema dell’asilo, in raccordo con le diverse responsabilità e attori, con il compito di:
– analizzare e monitorare la domanda e offerta di accoglienza del pubblico e del
privato sociale, con una specifica attenzione alle dinamiche in corso;
– elaborare informazioni, segnalazioni, proposte;
– elaborare materiali di supporto per gli operatori e di diffusione di report qualitativi e quantitativi sul fenomeno.
Un approdo di questo lavoro, da condurre in tempi chiari e sufficientemente rapidi, potrebbe esser costituito dalla costruzione – su scala regionale – di un vero
e proprio modello, che ha strutture di gestione come quelle ipotizzate sopra, in
accordo con lo Sprar nazionale.
Il modello di accoglienza e integrazione, partendo dalla constatazione di una
insufficienza, e a volte inadeguatezza, delle strutture disponibili, si deve porre
nell’ottica di:
– confermare e rafforzare le strutture di prima accoglienza, con soluzioni alloggiative temporali ma non emergenziali e precarie, verificando se ad esse vada
dedicato prevalentemente il lavoro che si svolge nella metropoli, che è sede
di Commissione territoriale;
– predisporre e investire sulle strutture di seconda accoglienza, verificando la
vocazione territoriale, in tal senso, dei progetti Sprar presenti numerosamente
(2/3 dei posti finanziati nel 2007) sul territorio lombardo;
– affrontare il problema della politica abitativa complessiva del territorio, per
evitare il crearsi e il sovrapporsi di situazioni di necessità che possano essere
contrapposte l’una all’altra, anche facendo riferimento alla proposta di legge
nazionale per l’istituzione di Agenzie territoriali per l’abitare sociale nonché
alle iniziative di housing sociale per migranti e rifugiati presenti nella progettazione presentata anche dalla rete di Caritas Ambrosiana al fine del suo
finanziamento attraverso il Fondo per l’inclusione sociale del Ministero della
Solidarietà Sociale.
Su scala regionale, questo può significare lo studio della “vocazione” dei progetti
250
attualmente esistenti – a seconda delle caratteristiche dei territori – in prima e
seconda accoglienza (nel linguaggio Sprar, di “accoglienza” e “integrazione”).
Per costruire percorsi individuali mirati all’autonomia lavorativa, economica
e sociale delle persone, devono essere strutturali e forniti:
a) nella fase di accoglienza:
– percorsi di formazione linguistica permanenti, realizzando dei veri e propri poli formativi;
– tessere per i trasporti che consentano la mobilità delle persone nella fase
di prima accoglienza;
– percorsi di accompagnamento al lavoro, coinvolgendo le strutture pubbliche dei Centri per l’impiego, e ricomprendendo questa attività nel Piano annuale regionale e in quelli provinciali per l’occupazione;
b) nella fase di integrazione (oltre a quanto previsto per la fase di accoglienza):
– una funzione di accesso al lavoro;
– una funzione di orientamento alloggiativo secondo sperimentazioni già
in corso in alcuni territori;
– luoghi e momenti di socialità e aggregazione, che offrano opportunità
concrete di incontro e di relazione tra i rifugiati e la cittadinanza, nell’ottica di valorizzare e salvaguardare la dimensione familiare di queste
persone, e di offrire spazi di attività diurne al di fuori dei centri di accoglienza.
Solo attraverso un’azione congiunta tra centro e periferia del sistema nazionale
riteniamo possa essere perseguita con efficacia una politica dell’asilo improntata
ad ottenere per davvero quegli obiettivi di accoglienza, integrazione e tutela, che
– insieme al rimpatrio assistito di chi rinuncia alla protezione in Italia – costituiscono i capisaldi non solo del Sistema di protezione istituzionale, ma anche delle
ong – tra loro certamente Caritas – che hanno a cuore l’effettiva fruibilità del
diritto d’asilo, costituzionalmente garantito, per tutti coloro che si affaccino nel
nostro Paese in cerca di protezione.
Per questo motivo la Caritas, in tutte le sue articolazioni locali e sovralocali,
conferma la propria disponibilità ad interloquire ad ogni livello con le istituzioni
per contribuire alla costruzione di un Sistema nazionale di politiche e servizi per
l’asilo sempre più capace di articolare le proprie risposte nei confronti di ogni
storia, di ogni volto, di ogni persona che ogni giorno, approdando ai nostri lidi,
è preziosa testimone diretta dell’ingiustizia planetaria agli occhi di ciascuno di
noi.
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Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Milano, Nono rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Milano. Annuario statistico. Anno
2005. Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la
multietnicità, Milano, 2006
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Mantova, Sesto rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Mantova. Annuario statistico. Anno
2005. Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la
multietnicità, Milano, 2006
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Lodi, Sesto rapporto
sull’immigrazione straniera nella provincia di Lodi. Annuario statistico . Anno 2005.
Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, Milano, 2006
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Lecco, Settimo rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Lecco. Annuario statistico Anno
2005. Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la
multietnicità, Milano, 2006
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Pavia, Terzo rapporto
sull’immigrazione straniera nella provincia di Pavia. Annuario statistico Anno 2005.
Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, Milano, 2006
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Bergamo, Quarto rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Bergamo. Annuario statistico
Anno 2005. Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione
e la multietnicità, Milano, 2006
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Cremona, Terzo rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Cremona. Annuario statistico
2005. Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la
multietnicità, Milano, 2006
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Sondrio, Quarto rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Sondrio. Annuario statistico
Anno 2005. Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione
e la multietnicità, Milano, 2006
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Varese, Quinto rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Varese. Annuario statistico Anno
2005. Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la
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Farina P. (a cura di), Futuro plurale. Percorsi dei giovani stranieri nel mantovano, Fondazione Ismu, Osservatorio Provinciale di Mantova, Milano 2007
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Bergamo, Quinto rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Bergamo. Annuario statistico
Anno 2006. Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione
e la multietnicità, Bergamo, 2007
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Milano, Decimo rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Milano. Annuario statistico.
Anno 2006. Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione
e la multietnicità, Milano, 2007
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Varese, Sesto rapporto
sull’immigrazione straniera nella provincia di Varese. Annuario statistico Anno 2006.
Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, Varese, 2007
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Lodi, Settimo rapporto
sull’immigrazione straniera nella provincia di Lodi. Annuario statistico. Anno 2006.
Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, Lodi, 2007.
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Sondrio, Quinto rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Sondrio. Annuario statistico
Anno 2006. Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione
e la multietnicità, Sondrio, 2007
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Pavia, Quarto rapporto
sull’immigrazione straniera nella provincia di Pavia. Annuario statistico Anno 2006.
Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, Pavia, 2007
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Mantova, Settimo rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Mantova. Annuario statistico.
Anno 2006. Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione
e la multietnicità, Mantova, 2007
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Lecco, Ottavo rapporto
sull’immigrazione straniera nella provincia di Lecco. Annuario statistico Anno 2006.
Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, Lecco, 2007
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Cremona, Quarto rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Cremona. Annuario statistico
2006. Nel quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la
multietnicità, Cremona, 2007
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Provincia di Como, Quarto rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Como. Annuario statistico 2006. Nel
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quadro delle attività dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità,
Como, 2007
I volumi sono consultabili a Milano, presso il Centro Documentazione (CeDoc)
della Fondazione Ismu in via Galvani n. 16, aperto il martedì, il giovedì e il venerdì
dalle ore 9.30 alle ore 17.30. È possibile accedere ai testi anche collegandosi al sito
www.ismu.org/orim.
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