Due testimonianze per Pietro Simone Anno II - n. 3 - febbraio 2009 Vogliamo, anche in questo numero, dedicare la prima pagina al ricordo di Pietro Simone, al quale il Pivot ha intitolato la 10a edizione del Premio Letterario 2009. Scegliamo due testimonianze, che sono state edite nell’opuscolo Nel 10° anniversario della morte del Rag. Pietro Simone 1935 - 12 luglio - 1945, curato da Giovanni Silvestri, stampato a Locorotondo dalle ArtiGrafiche Angelini & Pace, rispettivamente alle pagine 2 e 5. (L’opuscolo è di 16 pagine e le pagg. 7-14 raccolgono brani da conferenze del Simone). La 1a testimonianza, Notizie biografiche, che come si vedrà non sono solo biografiche, è firmata dal Sac. Prof. Giovanni Silvestri, docente del Liceo Classico di Conversano, fondatore dell’Opera Assistenziale oggi a lui intitolata. La 2a testimonianza è di Fra’ Agostino Castrillo, Provinciale O.F.M. (nel ’45), poi vescovo, infine avviato alla causa di beatificazione. Notizie biografiche In Memoria Sono passati dodici anni, o caro e buon Nacque il 28-5-1901 Pietro Simone, e ancor mi dura vivo e musi… Tutta la sua vita spirituale si impernia intorno ai nomi dei due Sacerdoti ed artisti D. cale nell’anima il ricordo dei nostri quasi Giuseppe Ottomano e D. Pietro Giannuzzi e quotidiani incontri nei ventiquattro mesi di intorno al loro programma: «Religione - Patria permanenza nel suggestivo convento di S. - Arte divina dei suoni». Maria della Vetrana. In questo ambiente religiosamente elevato Allora nella pace raccolta della mia e distinto il suo animo, mediante il lavorio nuda cella, e per vie solitarie, snodantisi tra interno della Grazia, venne disponendosi le belle campagne Castellanesi, popolate di all’Apostolato sociale in mezzo alla gioventù e vigne e di oliveti, e, in primavera, festanti di la fondazione, nel maggio 1921, del Circolo giomandorli in fiore, sotto il vasto azzurro del vanile, dedicato alla memoria del Maestro D. cielo, noi si discorreva, cuore a cuore, di Dio Pietro Giannuzzi, primo Cappellano d’Italia … di apostolato … di francescanesimo … di morto in guerra, segna l’inizio della sua attività sociale, a cui attese con santo entusiasmo, poesia … di musica … di che il nostro giovasempre sotto le direttive del proprio Vescovo, il ne spirito era vago e insaziabile. quale ebbe più volte ad incoraggiarlo e in una E di tutte queste cose godevamo e soffrilettera del 21-1-1924, diretta all’Assistente vamo insieme. Ora vive un palpito del tuo ecclesiastico degli Esploratori cattolici, così mondo interiore, e risuona un’eco della tua scriveva: «Invio la mia Benedizione con i più Pietro Simone in perfetta tenuta da caporiparto boy scout, attività di giovane Cattolico e di Terziario durante una conferenza per l’Associazione Scoutistica Cattolica Italiana fulgidi e santi auguri allo zelante Simone Anni 1921-25 Francescano in queste pagine, che si pubbliPietro!» cano a cura e a Conforto dei tuoi Cari e di Da questa attività non andò disgiunta quella francescana. Iscritto infatti al T. O. F. ed entusiasta dell’Apostolato dei Figli di S. molti che ti vollero bene. E a me, che ti fui amico dell’anima e fratelFrancesco in mezzo al popolo, li aiutò nel rendere con il canto più lo in S. Francesco, è serbato l’onore di segnalarle all’ammirazione dei decorose le sacre Funzioni e specialmente nel farsi promotore della buoni e all’imitazione di tanta gioventù bisognosa di orientamento loro sistemazione giuridica nei riguardi del Comune. cristiano. La sua anima ardente non poteva rimanere nascosta ai Dirigenti Tu, ne son sicuro, godrai di poter fare ancora un po’ di bene, e sorsuperiori di A. C.. L’Avv. Rossi, infatti, Presidente della G. C. I., lo riderai dall’alto non più col tuo sguardo velato di soave mestizia, ma volle fra i suoi propagandisti e fu questo incarico che gli procurò scintillante, ormai, di celestiale letizia. l’ambita occasione di guadagnarsi la benevolenza di alcuni Eccellentissimi Presuli della Regione, come di Mons. Curi, Foggia, 17-9-1945 Arcivescovo di Bari, di Mons. Trama, Vescovo di Lecce e di Mons. Gioia, Vescovo di Molfetta, il quale ultimo ne era veramente entusiaFRA AGOSTINO CASTRILLO - PROVINCIALE O. F. M sta. Le numerose conferenze, da lui tenute in Castellana e fuori in varie circostanze, destano ammirazione, se si pensi che queste furono fatte, con un’impronta tutta personale, per promuovere ed affermare, solo con l’aiuto di pochi, l’Azione Cattolica, in tempi ed in ambiente difficili. Degni di speciale rilievo sono poi i suoi frequenti Colloqui con Dio, che sono indice della elevatezza della sua formaRivista a cura del Circolo Pivot - via Tommaso Pinto 32 Castellana Grotte zione spirituale, e che richiamano in qualche modo la figura di un www.circolopivot.it - [email protected] - tel. 0804967250 Giosuè Borsi, del quale egli ammirò le virtù e seguì la preziosa morte nella primavera della vita … Consiglio direttivo eletto nel giugno 2008: presidente Federico Simone; viceMorì il 12-7-1935 presidente Maria Sgobba; consiglieri: Antonino Piepoli, Mino Cardone, Giacomo Castellana, 7 ottobre 1945 SAC. PROF. GIOVANNI SILVESTRI Loperfido, Scipione Navach, Pierino Lanzilotta, Dina Manghisi, Grazia Salvatori, Pierino Iurilli, Vito Dellarosa, Pino Mastrosimini. I I quaderni del Pivot Maria La Volpe Raccolta di poesie: “A riva per qualcosa da ritrovare” 1997 – Libro italiano “Il piacere violato” 1998 (nell’Antologia di A.A.V.V.”Il Calamaio”-Quaderni di poesia) “Spostando termini” 1999 (Ibidem) “Coniugando tracce” insieme ad A. Lestingi 2000 – Book Editore “Il moto perpetuo della quotidianità” 2004 – Ibiskos Editrice. Tranne la prima, che abbraccia gli anni ‘92-‘97, tutte le altre raccolte, anche se pubblicate in anni diversi, si riferiscono esclusivamente al periodo ‘96-‘97. Pertanto, in considerazione della compressione temporale degli anni della massima produttività di Maria e quindi della difficoltà di poter cogliere una linea di effettivo svolgimento storico di questa produzione, comincerò ad analizzare l’ultima raccolta “Il moto perpetuo della quotidianità” (2004), riservandomi di rivolgere successivamente la mia attenzione alle prime, seguendo ovviamente l’ordine cronologico di pubblicazione. La lettura di queste poesie ci traccia subito il ritratto di un’anima scollata dalla realtà e, per così dire, in libera uscita. Ma non si pensi che questo voglia significare assoluto vagabondaggio della coscienza storica, che non sa trovare coordinate, fissare paletti o prendere spunti dalla realtà, per farne oggetto di meditazione e di approfondimento. Una volta A. Einstein affermò che la creatività è più importante della conoscenza. E tra tutti coloro che non oserebbero dargli torto ci potrebbe essere Maria. Se andiamo difatti ad analizzare il senso più profondo della sua poesia, ci accorgiamo che la sua coscienza storica non solo esiste, ma giganteggia, nel momento in cui rifiuta di adagiarsi nella banalità di tutti i giorni ed accetta l’idea base della creatività, che in ultima analisi è quella che fa progredire il mondo: “Ne ha fin sopra i pironi il mio pianoforte del calar di tono delle battute d’arresto di creatività piegate al gusto melenso di mediocrità…” Il mio pianoforte (16) Si può discutere semmai sui risultati di questa poesia, che, disdegnando la pedanteria e la ripetitività, va alla ricerca della creatività, ma non sulla validità del proponimento di fondo né sui temi né sulla sintassi interiore né sul lessico, che Maria si sceglie di volta in volta nel suo percorso. Come accade, leggendo tutti i poeti, portati più allo scavo interiore (a fine lettura, ci accorgiamo difatti che non esiste in tutta la raccolta una sola poesia che non abbia, per lo meno un aggettivo o un pronome possessivo) si rimarrebbe delusi, andando in cerca di descrizioni di cose e di fatti concreti. E questo io, pensante e descrivente se stesso, illudendosi di pensare l’oggetto fisico, il mondo esterno, si sceglie i suoi spazi ed i suoi tempi. Esistono dei topi nella poesia di Maria, che sono come i suoi rifugi spirituali, i suoi punti di riferimento. C’è, per esempio una piazza famosa: “Non lontana dalla casa che conosco c’è una piazza dove ho smesso d’incontrare il tempo..” “Non lontano dalla casa…” (13) II Analogamente c’è una stanza, in cui questo io narrante si rintana, per poter scrutare furtivamente “ ...le più remote lontananze dell’essere” Anche se la sognante visione dell’orizzonte, riesce appena a stemperare l’assillo del Contingente e della vita, che detta i suoi ritmi del “Qui” e dell’”Ora”, (ambedue scritti non a caso con la maiuscola) - “La mia stanza”. (14) E c’è anche un’ora di diversa natura, non imposta dai ritmi frenetici di vita, ma liberamente eletta come rifugio, da poter dedicare a quelle opere, che Maria chiama “Digressioni”, insolita definizione della poesia, che provvidenzialmente ci allontana dalla realtà, anche se non mancano a cena i soliti “intrusi affogati nel brodo”. - “Comincia al crepuscolo il mio lavoro”. (23) Infine Maria non ama il sole ruggente, che tra l’altro non disdegna di attaccare la pelle del suo volto, che è “pronto a carreggiare via le voci-strascicate degli umani ingorghi. Morenti- lungo i miei fianchi ormai rocciosi - dove il granchio si sposta indisturbato… Trova altre vie di rifugio nel calore dell’amicizia: “Che m’importa!..se avrò ancora notti, per bere l’azzurro dei tuoi sogni e le stelle…” Questi ancoraggi provvisori dell’anima sono il segno inconfondibile di questo “male di vivere”, che contraddistinse un po’ più drammaticamente del solito il secolo appena trascorso. Perché il Monte Tabor, rifugio del recanatese, era sì il colle dell’infinito, che lo faceva naufragare, ma si trattava di un naufragio dolce, ineluttabile, rassegnato, che equivaleva ad un approdo: mentre l’inquietudine, la scontentezza, l’incertezza accompagnano implacabilmente la vicenda umana dell’uomo moderno. Di che pasta è fatta la società, in cui ci tocca di vivere? “…alla sera, incessanti ghignano e turbinano oziose combriccole di mattacchioni… (Non lontano dalla casa che conosco…) (13) E le cosiddette serate intelligenti, come le mostre di pittura, sono per caso liturgie politiche, ove persino lo spazio viene asservito “ ...dal dispotico e trionfale ingresso principale dai suoi annessi e connessi…” (Palazzo S.Gius. - La sinistra bene adunata) (19) Dunque: stagnante men che mediocrità da una parte e politica condita di pseudocultura, dall’altra. Non è certo tra le più confortanti la visione che M. ha della vita. Ripercorriamo, adesso a ritroso l’ordine non cronologico, che l’autrice ha voluto dare ai suoi componimenti . Neanche la scuola, intesa come viva realtà istituzionale, ove M. opera, si salva da questa visione. Espressioni volutamente tronfie, come “pulpito scolastico”, la dicono lunga a proposito, mentre quel participio passato sbreccato”, sottolinea la sensibilità tutta femminile, con cui M. vede soffrire le cose, che, come gli esseri animati, paiono rompersi, a contatto della vita quotidiana. Ci si ritrova dinanzi al “ rivo”, alla “foglia” al “cavallo” di E.Montale, che differentemente, ma tutti intensamente soffrono. Può illuminare questo buio quella “conca di cielo”, che ad un certo punto fa capolino nella poesia? I quaderni del Pivot Anche la poesia “A mia madre”, tanto consacrata dall’uso e divenuta quasi un atto dovuto della classe poetica, che avrebbe potuto costituire per M. una pausa di serenità e di appagamento, appare intristita da queste “lacrymae rerum”: “prato spiegazzato”, “audaci sfrontatezze”, “lotte senza quartiere”, “strinando camicie”, “collera incrinata”, “stanco annaspare”. – “Quando bardavi a festa” (27) e “Il pulpito scolastico” (44). Voglio soffermarmi con particolare riguardo, anche perché so benissimo che sono molto a cuore alla poetessa, su due poesie, che rappresentano, più delle altre, il punto d’approdo più significativo di questa sofferenza, che consiste nel deliberato, stoico proposito di precludersi aprioristicamente la possibilità di sognare. La prima, “Han tranciato le dita alla luna” (18), è l’uomo moderno, razionale, che spazza qualsiasi ostacolo, che si frapponga tra il soggetto e l’oggetto; è l’uomo profondamente smagato, che rompe “la spessa corazza (che) chiudeva la sua fiaccola”, che non gli permetteva di vedere “le infiorescenze dei vissuti andati a male”. Ma tale rifiuto non è un caotico, deliberato proposito, che potrebbe suonare conformismo, ma il naturale portato di una civiltà rinsecchita, ripiegata su se stessa, cui non rimane altro che la coscienza dolorosa di questa incapacità: “Sapessi nutrire l’alea col canto eccitato della leggerezza…”. Questo mi pare essere, dopo quello leopardiano, che ancora conserva un barlume di attaccamento a questo mondo, il vero “..tramonto della luna” dell’uomo moderno. La seconda, “Dietro i miei giorni fluttuanti” (17), riecheggia forse inavvertitamente l’ansimare montaliano del mare: “(Ripullula il frangente - ancora sulla balza che scoscende…)” Bene sempre il mare riesce a simboleggiare la mutevolezza della vita. La solitudine s’appiatta dietro i giorni fluttuanti di ognuno di noi e ci fa brillare di sfumature diverse, anche la schiuma della battigia. In questa raccolta non c’è argomento che ci indichi in qualche modo la via del rifugio. Ovunque un diffuso sentimento di sdegnoso e dignitoso distacco dalle cose del mondo, che appare non frutto di un incidente di percorso, ma logica conclusione di un lungo itinerario senza fremiti ne’ scosse. È stato detto della sua poesia che sa toccare le nostre corde talmente in profondità, che le sensazioni rimangono impresse nella memoria sensoriale assai più e ancor prima che in quella razionale. Non sono molto d’accordo con questa visione. Da questa breve opera poetica spira una tristezza serena, che, sotto immagini di poesia, è il risultato di profondi convincimenti ben radicati e verificati. Altrimenti come si spiegherebbero quelle espressioni complesse, in cui il significato d’una parola sembra subire il bombardamento di un’altra, che pare spezzettarla in tante sfumature di significati, che non sembrano affatto affidate al caso. A questo punto si potrebbero fare degli esempi: “Infiorescenze di vissuti andati a male …(18) …dissapori dei crogiuoli di quartiere…fornelli di schietta diffidenza accesi (22)…Pantani di adeguamenti ad alto credito rischio nullo…(28) - …“s’affaccia il tuo plotone d’armonie al muricciolo spento dell’ubbia integralista dei pedanti…(29)…il mio campo umbratile incredibilmente rastrellato dallo zelo di madreggianti prudenze arcaiche (31)…la tua dedizione oscurata da dissimulati ravvedimenti maritali…(34). Questo costante percorso svagato, dettato soprattutto dalla razionalità avrebbe potuto trovare scampo nel “garrulo ritorno”, nel “nostos” alla città d’origine. Ma cosa attendersi da chi, invece di calarsi, seppur per un attimo, in un bagno ristoratore di ricordi, avvolge e dissolve in un sottile velo di humour persino le favole della nonna? “Sbugiardati i brusii freschi di giornata, a bagnomaria cuocevo le narrazioni di mia nonna.” D’immigrazione ed altro (22) Malgrado tutto non appare totalmente spenta la capacità di sognare, in quest’anima bella, anche se i sogni non diventano ali per volare quotidianamente, ma appaiono piuttosto un impegno programmatico, fortemente affidato a quei tempi futuri: “scorrerete… culleranno…saetterete…”. E questa nobile tristezza è presente sin dai primi versi. Un II vol. di poesie di Stefano Mallardi Nostra poesia d’amore! Nel n. 445, a p. 10, di PG del 2008, dicendo poche parole del vol. I di Puglia, nostra poesia d’amore! di Stefano Mallardi, scrivevo: “Un libro piccolo piccolo, pieno pieno d’amore…”. Che dovrei scrivere ora, che è uscito con lo stesso titolo, dello stesso autore, presso lo stesso editore, Suma (non Summa come scrisse il detto n. 445!), stesse pp.: 76, stesso prezzo: 5 euro, il II volume? Che dovrei scrivere? Questo II volume, quanto ad amore, ad ogni pagina tracima, trabbocca ed esonda per impeto coinvolgente e sconvolgente. Dirò di più: ci sono spunti, allusioni, guizzi “piccanti”, arditi, sensuali (vedi – ad esempio – le pp. 12, 16, 23, 27), che coinvolgono tutto il corpo (e specialmente le mani,… ma anche i piedi, vedi le pp. 37, 62, 63). Nella tormenta di tanto amore non manca - ovviamente – il diluvio dei baci: tanti, tanti, tanti… (a p. 67 ce n’è un elenco abbastanza dettagliato: “il primo bacio vicino al mare; il bacio sull’altare; i baci della notte; i baci del mattino; i baci d’estate, d’autunno, d’inverno, di primavera; già sto pensando a quelli di stase- ra, ecc. ecc.: … li ricordo tutti!”. Cornice sottintesa o dichiarata a tanto amore è la Puglia, magari Sammichele, patria dell’autore, o i suoi dintorni, o la sua campagna (vedi la 1a poesia, p. 7, Il Paradiso, vedi gli ulivi, che son presenti alle pp. 17, 31, 58, 68, 74). E, a proposito di Puglia, voglio richiamare la tua attenzione sulle due copertine dei due libri. Illustrazione del 1° era San Nicola di Bari, del 2° San Nicola Pellegrino di Trani, due delle più importanti cattedrali romaniche di Puglia. Il III vol. (sono quasi certo) avrà in copertina la cattedrale di Conversano, o quella di Bitonto. Una citazione particolare voglio dedicare alle poesie delle pp. 13, 24, 47. Esse faranno arricciare il naso a diversi miei amici. Non a me, che ho studiato Storia Moderna col prof. Vlora della Cattolica di Milano. Il risorgimento italiano fu la conquista e l’umiliazione del Sud. Sono d’accordo con le pagine citate e, proprio nel n. 483, p. 7, di PG, ho detto qualcosa del famigerato brigante, il Sergente SCIPIONE NAVACH Romano di Chiara Curione. Un’ultima notazione. Quando il 20.02.2008, sul Pivot, presentai il I volume del Mallardi, mi complimentai con lui per la 1a poesia di quel vol., dedicata al padre. Lamentai che, della madre - invece - erano dati solo due cenni, ammirevole l’uno (l’augurio per tutti i bambini del mondo, v. I, p. 9), amorevole l’altro (la carezza della mamma al suo bimbo, id., p. 52). Ed osservai che una mamma così doveva essere ricordata ancora. Quasi risposta alla mia osservazione, in questo II vol. ci sono tre poesie, dedicate dalla madre. La prima è 8 marzo, p. 25, che ha nel finale, coprotagonista il padre, un’esplosione di amore (per noi… vecchi!): “.., amò il tramonto del tuo volto”. La 2a è Parole semplici, p. 53, che ha ancora per coprotagonista il padre. La 3a è Mi aspetta, p. 74, che si chiude con due versi semplici e consolanti, sintesi eterna dell’amore materno: “… come mi aspetta / una madre … sempre!” PIERINO PIEPOLI III Pivot news Una raccolta di versi di un valido poeta del Sud “Scaglie di sale” di Domenico Lattarulo A tre anni di distanza dalla 2a è uscita, di nuovo presso le Edizioni VivereIn di Monopoli, la terza raccolta di poesie di Domenico Lattarulo, che fu professore e sindaco di Polignano. Il titolo è marino: Scaglie di sale, come quello degli altri due (s’intitolava Come onde di cristalli il 1°, del 1994; Polignano in versi il 2°, del 2005). È composta , così, una Trilogia del mare, che consacra il Lattarulo fra i più validi poeti contemporanei del nostro Sud. Della Trilogia, la raccolta più “amara” è - senza meno - questa: lo dichiara anche la breve poesia che il Lattarulo pone come epigrafe a tutt’e tre i volumi. L’epigrafe di Scaglie di sale recita: “Scaglie di sale / l’ardente sole / dall’acqua di mare / spreme, / pianto amaro / dell’universo, / in grumi di lacrime / raccolto.” Intanto ci sono i terribili momenti della situazione politica mondiale: i Kamikaze d’Oriente d’ogni giorno (cfr. p. 44), il tragico attentato delle due torri (p. 45), il vigliacco - crudele omicidio dei cecchini (p. 67), il costante “matricidio” che l’uomo commette contro la Madre Terra (p. 55). Non meno drammatico il problema degli emigranti (“Emigrante 2000” è il titolo a p. 27 e sembra un ricordo personalmente vissuto del poeta socialmente impegnato); ed il ricordo della fanciullezza, vissuta durante la II Guerra Mondiale (p. 64); e poche pagine prima - il pianto e il grido soffocato del genocidio degli ebrei (Il grido di Auschwitz, p. 61). Un lampo di gioia, in queste “scaglie” di contemporanea attualità, il peana agli atleti ed alle atlete d’Italia, per le vittorie nelle Olimpiadi invernali del 2006, a p. 63. Altri lampi di serenità ed occasioni di consolazione sono qua e là per le pagine di queste Scaglie e sono, specialmente, determinati dagli affetti famigliari. Nelle prime “scaglie”, a p. 12, mite e dolcissima la figura della madre, che carezza la guancia dell’autore “fanciullo felice”. A tutto tondo la figura materna ritorna, a p. 31, colta nell’attesa ansiosa per il ritorno a casa dei figli a notte inoltrata e poi, di nuovo, “la sua mano dolce / che scorreva sul calore / dei nostri giovani corpi”. Alle pp. 40 e 56 si staglia la figura paterna e , mentre in A mio padre ricorda le sue mani gonfie ed inerti e gli occhi espressivi ed il sorriso “irridente”, ne Il pane ricorda il “muto rimprovero” del padre, che lo colpì col bruciare di una ferita” per un boccone di pane, caduto in terra. E i nipotini a p. 17 (ma anche 16); e “Il presepe di casa mia 2008” Nelle foto A. P. due momenti della premiazione del concorso “Il presepe di casa mia”. Quest’anno ha vinto il riconoscimento della giuria presieduta dal noto presepista Pierino Piepoli, Adriana Rizzi (nella foto in basso con Pierino Piepoli, Dina Manghisi e Maria Sgobba), al secondo posto Giovanni Fanelli e Isa Cassano, al terzo il presepe condominiale di via Pertini n.11, con referente Paolo Palmitessa. Menzioni speciali sono andate a Vincenzo Pellegrino junior, Angelo Di Maggio di Conversano e ai bielorussi Ruslan e Vladislav ospiti della famiglia Piepoli a Putignano. Nella foto in alto i primi tre classificati (Rizzi, Fanelli e Pellegrino) posano con la giuria. IV la sorella a p. 41); e la figlia, credo (a pag. 51, ché quegli “occhi d’azzurro di cielo” mi ricordano quelli della figlia Nikla, che il mare hanno prosciugato” (vol. II, p. 63); e l’Incontro di p. 57, che è un tenero… incontro d’amore. Ma la consolazione più grande, per un’anima profondamente religiosa, qual è quella del poeta Lattarulo, proviene da quel DIO, che con tutte le lettere maiuscole è dichiarato a professato a p. 75. Anche quando l’intelligenza ed il cuore sono attraversati dal dubbio (vedi la or ora citata p. 75 e la p. 68, intitolata, appunto, Il dubbio), viva e rassicurante, c’è la presenza del Dio cristiano, che è contenuto nei suoi misteri fondamentali: l’incoronazione e la morte di Gesù (p. 70), la crocifissione e la resurrezione (p. 69). Addirittura La colomba, pag. 72, infine è cantata dal poeta “emblema del divino Spirito / ad illuminare la mente dell’uomo”… E bada bene che si allude proprio alla Spirito Santo, terza persona della Santissima Trinità. Ho superato i limiti che la redazione mi aveva imposto, ma non posso non dire che, anche qui, il prof. Lattarulo non dimentica la sua cultura e la sua formazione classica: ed ecco apparire Aracne (p. 42), Ulisse e le Sirene (p. 50), Afrodite (p. 62), ecc. Ho superato i limiti redazionali, ma non posso non scrivere il “botto” finale: queste Scaglie di sale sanno di salsedine ed hanno il profumo del mare, il gusto delle “cose buone”, condite a dovere” da quelle scaglie che, masticate da sole, hanno sapore amaro… e di amara dolcezza parla l’autore, a p. 46, quando allude all’ultima fetta dell’età. PIERINO PIEPOLI Successo per il recital Nelle foto A. P. due momenti del recitali “Karol Wojtyla finissimo poeta, profondissimo filosofo”, tenuto nella Chiesa Madre il 15 gennaio dal prof. Franco Terlizzi, in occasione della conclusione del calendario dei festeggiamenti del 40° anniversario del circolo Pivot. In alto: Federico Simone, presidente del circolo, Antonella Nuzzi, soprano, Ferdinando D’Ascoli, flauto, Gabriella Colella, arpa, Franco Terlizzi, voce recitante, e Scipione Navach. In basso : il prof. Franco Terlizzi durante il recital al cospetto della Sacra Immagine della Madonna della Vetrana e del ritratto del compianto Giovanni Paolo II.