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hiese nel mondo |
FRANCIA
Risvegliamoci
come cristiani!
Lettera pastorale
di mons. Claude Dagens,
vescovo di Angoulême
Che Cristo ci risvegli!
Fratelli e sorelle,
«Dobbiamo risvegliarci come cristiani!». È un appello forte e preoccupato quello lanciato da mons. Dagens, vescovo di Angoulême, nella sua
lettera per l’anno pastorale in corso,
datata 14 settembre. Forte, perché ne
va della fede e della sua trasmissione
in quanto relazione col Cristo risorto;
preoccupato, per almeno due ragioni.
Da un lato, per la rassegnazione che
ci ha «rinchiusi nelle nostre paure e
nei nostri silenzi, incapaci di uscire da
noi stessi e di pensare la vita cristiana
al di là degli orari delle messe della
domenica»; dall’altro, per il numero
crescente «di giovani e adulti, che si
qualificano cattolici, e immaginano
la loro identità ridotta all’opposizione
verso lo stato laico». Per vivere da cristiani «dentro la società», scrive Dagens, occorre risolutamente evitare
«la logica fatta di aggressione e di rassegnazione, che non valuta la presenza
cattolica che in termini di cifre e di
manifestazioni pubbliche». La novità
di papa Francesco, il suo invito a essere Chiesa che «riscalda i cuori» e lo
stile dell’incontro Diakonia 2013 sono
i segni di speranza che accompagnano
un anno dedicato al tema: «Creati per
la vita e provati dalla morte: presenza
nella società e pratiche cattoliche».
Opuscolo, Diocese d’Angoulême, settembre 2013.
Nostra traduzione dal francese.
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vi chiamo a risvegliarvi come cristiani. È un risveglio
necessario. In noi e fra noi vi è troppa rassegnazione, vi
sono troppe paure, troppe persone e comunità ripiegate su
sé stesse e inchiodate a orizzonti ristretti. Nella nostra società vi sono tante inquietudini giustificate dall’aggravarsi
delle povertà, dalle spaccature familiari, da situazioni d’insopportabile isolamento. Vi sono uomini e donne che non
osano gridare per chiedere aiuto.
Dobbiamo risvegliarci come cristiani! «Svegliati, tu che
dormi, risorgi dai morti e Cristo t’illuminerà» (Ef 5,14).
Come cristiani, non ci desteremo per il gusto di farlo, ma
per lasciare che il Cristo vivente ci afferri e ci associ alla sua
Pasqua, al grande passaggio dalla morte alla risurrezione,
dall’umiliazione al riscatto, dall’annientamento alla vita.
Ricordo ancora le parole di un giovane della Grande
Garenne (quartiere periferico di Angoulême – ndt) che si
preparava al battesimo dopo aver scoperto Cristo agli incontri della JOC («Jeunesse ouvrière chrétienne») a La
Courneuve, qualche anno fa. Diceva: «Ho capito che Gesù
è vivo e che posso incontrarlo». E a me, che gli chiedevo
perché volesse ricevere il battesimo, rispose senza esitare:
«Per uscire dalla violenza». Era della Grande Garenne, un
quartiere difficile.
Fratelli e sorelle, non possiamo rassegnarci al fatto che
vi siano giovani e adulti come questi, che fanno esperienza
della liberazione associata alla fede in Cristo mentre noi,
gli habitué, ce ne stiamo rinchiusi nelle nostre paure e nei
nostri silenzi, incapaci di uscire da noi stessi e di pensare
la vita cristiana al di là degli orari delle messe del sabato e
della domenica. Povera Chiesa di Cristo, che si riduce così
a una peau de chagrin («pelle di zigrino», ossia a qualcosa
di sempre più piccolo; cf. il romanzo omonimo di H. de
Balzac – ndt) fra le mani di cattolici piagnucolosi, inchiodati
alle loro piccole vicende.
«Jésus le Christ, lumière intérieure,
ne laisse pas mes ténèbres me parler.
Jésus le Christ, lumière intérieure,
donne-moi d’accueillir ton amour».
E che il tuo amore salvatore venga a risvegliarci!
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No ai club cattolici!
Sì all’iniziazione cristiana!
Se oggi mi si chiedesse: «A che cosa dobbiamo resistere, per essere cristiani in una società che non è più
cristiana?», risponderei senza esitazione: alla logica fatta
di aggressione e di rassegnazione, che non valuta la presenza cattolica nella nostra società che in termini di cifre
e di manifestazioni pubbliche. Perché queste due attitudini vanno insieme: da una parte, ci si lamenta dicendo
che le chiese sono vuote, i praticanti sempre meno numerosi, i preti in estinzione e la fede quasi consunta; ma,
dall’altra, si sogna la riconquista politica e si identifica
il cattolicesimo francese con la sua resistenza alle leggi
della Repubblica.
Vorrei essere compreso: non sono per nulla favorevole a questa nuova legge che apre il matrimonio e
l’adozione alle coppie omosessuali. È una menzogna pretendere l’uguaglianza dei diritti per fare prevalere i desideri individuali e rinunciare ai valori comuni di cui oggi
abbiamo bisogno per non essere sottomessi alla dittatura
dell’individualismo separatore. E, in un certo modo, la
«Charte de la laïcité» (cf. Regno-doc. 17,2013,552) onora
questi valori comuni, molti dei quali hanno origine nella
tradizione cristiana.
Ma sono preoccupato quando vedo giovani e adulti,
che si qualificano cattolici, immaginare la loro identità
ridotta all’opposizione verso lo stato laico. Ho imparato
da René Rémond ed Émile Poulat, due grandi storici del
cattolicesimo in Francia, che occorre accettare relazioni
a tre termini: la Chiesa, lo stato laico e la società. E che
dobbiamo imparare non solo a collocarci rispetto allo
stato laico, ma soprattutto a essere presenti dentro la nostra società, che non è più cristiana e che è divenuta allo
contempo fragile e ostica.
In ragione dell’esigenza primaria di presenza dentro
la società (e non fuori di essa), dico no alle strategie difensive e offensive, agli appelli alla resistenza che non
possono che creare illusioni, anche se sono rivestiti di
inviti alla preghiera!
Dico chiaramente no alla tentazione di costituire dei
«club» o delle «tribù» cattoliche. Lo facciamo talvolta in
modo inconsapevole: si resta fra noi; ci si racconta senza
fine le medesime piccole storie; si sparla con garbo degli
altri, soprattutto se assenti, senza rendersi conto che in
questo modo ci si condanna a morte. Proprio a morte:
rimanendo attaccati alle proprie idee, alle proprie preferenze, alle proprie piccole esperienze, ci si impedisce di
prendere il largo verso quelle «periferie esistenziali» di cui
parla con tutta la sua esperienza pastorale il nostro papa
Francesco. I club e le tribù cattoliche sono portatori di
morte; si autodistruggono, si condannano da sé all’agonia.
Vorrei che questa tendenza desolante non venisse coperta da una pastorale del tappabuchi, in nome della quale
la vita della Chiesa si riduce alla sola celebrazione della
messa del sabato e della domenica e alle sue domande
lancinanti: dove? Quando? Come? Con quale prete? In
questo modo, la Chiesa di Cristo diventa una tribù che gestisce la sua sopravvivenza, mentre i buchi che si coprono
provvisoriamente rischiano di diventare sempre più larghi
e sempre più profondi.
Ma, che diavolo, se si può dire! La Chiesa di Cristo è
infinitamente più grande di questo. Essa è grande della
grandezza di Cristo, che viene «a cercare e a salvare ciò
che era perduto» (Lc 19,10). Essa è profonda della profondità di Cristo, che è sceso agli inferi per riafferrare tutto
della nostra povera e santa umanità e trascinarlo nella scia
della risurrezione. «Svegliati, o tu che dormi…».
Occorre invece dire risolutamente sì a una pastorale
dell’iniziazione cristiana, che ci chiede non soltanto di accogliere e di ascoltare, ma soprattutto di uscire da noi stessi
e dai nostri piccoli club per metterci in cammino insieme
a uomini e donne che faticano a camminare, poiché sono
feriti o ansiosi; uomini e donne che hanno paura del futuro
e di una strada che non conoscono. Siamo chiamati a essere attenti alle situazioni di sconforto e di solitudine, che
ci sono talvolta vicinissime e che preferiamo ignorare, perché siamo rassegnati al nostro immobilismo. Rischiamo
di svegliarci quando sarà troppo tardi e questi uomini e
queste donne avranno compiuto l’irreparabile dandosi la
morte. Anche questo fa parte della realtà ordinaria.
Siamo all’inizio dell’anno, è il momento di scegliere
e di darsi delle priorità. È vitale essere consapevoli di ciò
che è più importante. Più importante per noi è qualunque
campo in cui si compie l’iniziazione al mistero di Cristo,
attraverso persone che non sono dei clienti, ma dei segni
che Dio ci dona. Apriamo gli occhi!
– Ecco dei bambini o degli adulti che domandano il
battesimo! Ascoltiamoli raccontare come hanno scoperto
Dio e la sua amicizia! E prepariamoci anche, con il nostro
Consiglio presbiterale, a darci orientamenti comuni per la
pastorale del battesimo, per i bambini, per i fanciulli in età
scolare e per i catecumeni!
– Ecco degli uomini e delle donne che vogliono prepararsi al sacramento del matrimonio! Non hanno le nostre
parole per parlarne, ma hanno i loro desideri interiori,
il loro amore e la loro scelta di varcare la soglia di un
impegno non privo di rischi. Vogliono sapere che cosa
renderà il loro amore più solido dei loro sentimenti, delle
loro esperienze sessuali, delle fragilità delle loro stesse famiglie, senza dimenticare le loro difficoltà economiche!
Non atteggiamoci a controllori: impariamo a camminare
con loro pregando, aprendo la parola di Dio e scoprendo
la vittoria di Cristo su tutto il male del mondo!
– Ecco degli uomini e delle donne di fronte all’evento
della morte di un loro caro! Non osano parlare. Sentono
in loro ogni sorta di domande che non sanno formulare.
E chiedono una celebrazione cristiana. Cristiana; ciò significa che non basterà raccontare la storia del defunto o
della defunta, partiti con il loro mistero!
Occorrerà che a parlare siano l’acqua del battesimo e
la misteriosa presenza di Gesù Cristo, vivente, risorto, che
non si compiace nella morte, ma viene ad attraversarla
e a frantumarla per aprirvi il cammino della vita eterna,
accessibile e presente fin dentro la nostra carne mortale!
Sarebbe triste che la Chiesa cattolica apparisse come la
specialista della morte, capace soltanto di officiare riti funebri in chiese ridotte a nient’altro che camere mortuarie,
più spaziose ma vuote di speranza!
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È in ragione di tali realtà della nostra umanità comune
che ho dato come orientamento al lavoro pastorale di
quest’anno 2013-2014: «Creati per la vita e provati dalla
morte: presenza nella società e pratiche cattoliche», con
riferimento a quanto riguarda il fine vita, le domande legate all’eutanasia e anche alla procreazione medicalmente
assistita, con le modifiche previste in relazione alla legge
Leonetti e alle cosiddette leggi bioetiche.
Ma si tratta soprattutto di comprendere che siamo presenti nella nostra società e sensibili a tali questioni attraverso la nostra pastorale ordinaria: la pastorale della vita,
con il sacramento della vita nuova, il battesimo; la pastorale
dell’amore umano, con la preparazione al matrimonio e
l’accompagnamento delle persone divorziate e omosessuali;
la pastorale della morte, con l’accompagnamento del lutto.
Siamo tutti chiamati, vescovi, preti, diaconi, laici, popolo dei battezzati, a essere, dentro la nostra società incerta, non tanto persone che vogliono imporre le proprie
convinzioni di fede, ma uomini e donne che restano sul
terreno dell’umanità comune per testimoniarvi la verità e
la bontà di Dio!
Come a Lourdes:
lavanda dei piedi, sacramento del perdono,
adorazione di Cristo eucaristia
A Lourdes, in occasione del grande raduno pastorale denominato Diakonia 2013, nella basilica S. Bernadette hanno
avuto luogo, la sera di venerdì 10 maggio, tre avvenimenti
successivi e legati gli uni agli altri: la lavanda dei piedi, il sacramento del perdono e l’adorazione eucaristica. La veglia
è stata animata dalle comunità de L’Arche della Charente.
Vorrei che nelle nostre comunità parrocchiali queste tre
azioni trovassero ordinariamente posto e che ci dicessero,
ognuna a suo modo, come plasmano i nostri corpi e i nostri
cuori, in che modo fanno di noi dei discepoli di Cristo.
La lavanda dei piedi
Alcuni stavano seduti su delle sedie; fra di loro qualcuno s’inginocchiava e versava acqua sui piedi degli altri
e li lavava, come fece Gesù all’inizio dell’ultima cena condivisa con i Dodici, Pietro, Giuda e gli altri.
Lavare i piedi a un’altra persona con le mani: è un
gesto visibile, che si compie in silenzio. È un gesto umile:
ci si mette ai piedi di colui o di colei che s’intende servire.
È anche un gesto che coinvolge il corpo e mette a contatto
dei corpi: le mani toccano i piedi. E certamente il contatto
corporeo può avere dei significati. Alcuni vi vedranno
delle connotazioni sessuali. Toccare il corpo dell’altro non
può essere un gesto anodino. È una relazione fisica, sensibile, e si può immaginare che il toccare i piedi richiami
altre relazioni. Gesù lo sapeva, soprattutto ricordando il
gesto che aveva compiuto per lui quella donna, chiamata
Maria Maddalena, alcuni giorni prima.
Ella si era avvicinata a lui durante un pasto; si era chinata verso il suo corpo e aveva versato sui suoi piedi un
profumo preziosissimo. Amava Gesù, ma con il suo gesto
non lo afferrava, non lo tratteneva per sé, bensì esprimeva
in modo bello e casto la sua immensa tenerezza.
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Alla sera del giovedì santo, nel Cenacolo, Gesù esprime
la sua amicizia e la sua tenerezza molto casta, molto fraterna per quegli uomini, uno dei quali sta per tradirlo e
un altro per rinnegarlo. Perché aver timore di questi gesti
di tenerezza e di amore? Essi sono parte della pratica cristiana dell’amore sensibile e casto, del toccare che non
vuole possedere, ma rispettare, con dolcezza, come segno
di una grande affezione, di un’immensa confidenza.
L’apostolo Pietro ha dapprima rifiutato il gesto di
Gesù. Non perché lo sospettasse d’intenzioni perverse,
ma perché non voleva che il Messia di Dio lo prendesse
fra le mani per purificarlo e associarlo a quel dono di sé di
cui aveva paura. «Non toccarmi! Non venirmi così vicino,
Signore! Non voglio essere afferrato da te e abbandonarti
il mio corpo perché partecipi alla tua Pasqua!».
La lavanda dei piedi è un gesto umile d’amore casto,
un toccare rispettoso che può legarci gli uni agli altri nel
corpo di Cristo. Le parole non riescono a esprimere una
relazione per la quale i nostri corpi sono come portatori,
gli uni per gli altri, dell’amore di Cristo. I nostri amici de
L’Arche sapranno spiegarcelo.
Il sacramento del perdono
Io lo ricevo regolarmente, ogni mese. Lo dono con
gioia e con riconoscenza, come fanno i preti. Ho constatato come le prime parole di papa Francesco abbiano inspirato quest’anno, in occasione della Pasqua, il desiderio
di riceverlo, spesso dopo anni d’abbandono e di silenzio.
Poiché «Dio non si stanca mai di perdonare. Siamo noi
che ci stanchiamo di chiedere perdono».
«La pace sia con voi!». Tutto è detto in questa semplice
parola: anche se in noi vi sono stati episodi di violenza, di
divisione, di vendetta; anche se abbiamo seguito i consigli
dell’Avversario, praticando come lui la seduzione e il dominio, o lasciandoci andare alla disperazione; nulla può
impedire a Cristo di associarci alla sua vittoria sul male.
In noi l’Avversario è vinto dalla Pasqua di Cristo. Anche
se abbiamo acconsentito ai nostri inferni, eccoli infranti!
Gesù Cristo ci afferra e ci solleva; e il prete che è lì, attento, silenzioso, attesta questa vittoria e ci assicura che
non siamo più soli. Forse saremo ancora tentati, scossi,
vinti, ma «nulla potrà mai separaci dall’amore di Dio, che
è in Cristo Gesù» (Rm 8,39).
A Lourdes ho esultato di gioia constatando che il sacramento del perdono può essere vissuto come un atto di
rinascita e di risurrezione. Occorre che sia reso più abituale nei nostri vicariati.
L’adorazione di Cristo nell’eucaristia
Veniva dopo la lavanda dei piedi e il sacramento del
perdono. I partecipanti si sono radunati in silenzio. Davanti a noi, il segno è stato collocato, esposto: il fragile
segno di questa sottile porzione di pane che è il corpo consegnato del Signore. E noi eravamo rivolti verso questo
segno, consegnati a lui, abbandonati alla sua presenza.
Occorre tempo per consentirvi, per lasciar pacificare
in noi tutte le agitazioni, tutte le immagini che irrompono, o la sensazione di vuoto, di smarrimento. «Eccomi,
Signore! Vieni! Vieni in mio aiuto! Liberami da ciò che
m’intralcia! Vieni a sciogliere le mie catene! Vieni ad al-
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FRANCESCO LAMBIASI
Accesi
dalla Parola
lontanare l’Avversario! Fa’ che io entri, misero come sono,
nel tuo mistero! Dal profondo a te grido, Signore!».
E per qualche minuto, oppure per ore, ognuno è rimasto là, davanti a lui, al Cristo, che instancabilmente «passa
da questo mondo al Padre amando i suoi fino alla fine» (cf.
Gv 13,1); amandoci, e attendendo che ci lasciamo amare.
Com’è semplice e insieme difficile!
E poi ci si allontana in silenzio. Non si è assolutamente
più come prima. Non si è avuta un’illuminazione, ma si è
fatta in noi come una lieve apertura. Il nostro sguardo non
può non essere impregnato di questa presenza misteriosa.
Che nelle nostre parrocchie, all’ora più conveniente,
sia possibile questo tempo semplice di silenzio e di adorazione, quest’atto di abbandono, questo accogliere la sua
presenza! «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del
mondo» (Mt 28,20).
I vangeli delle domeniche e delle feste - Anno A
PREFAZIONE DI LINA ROSSI
L
a predicazione del Vangelo non
può non passare attraverso
la consapevolezza di essere creature volute dall’amore di un Padre.
I commenti conducono alla scoperta di questo amore profondo,
offrendo spunti di riflessione per
meditare i Vangeli di tutte le domeniche e delle feste dell’anno A.
Con papa Francesco:
per una Chiesa che riscalda i cuori
La sua elezione è stata un avvenimento inatteso, anche
per i cardinali che l’hanno eletto, chiamati a obbedire ai
desideri dello Spirito Santo. Ed ecco, in quella sera del 13
marzo 2013, apparire alla loggia di San Pietro a Roma
Jorge Maria Bergoglio: arcivescovo di Buenos Aires, gesuita, che ha scelto il nome di Francesco.
Si comprende subito che quest’uomo si colloca sulla
scia del Poverello di Assisi, che fu afferrato da Cristo abbracciando un lebbroso, che rispose all’appello di Gesù,
il crocifisso di S. Damiano, e si spogliò di tutto per vivere
interamente il Vangelo della gioia e della croce.
«Va’, Francesco, ripara la mia Chiesa!». Papa Francesco risponde, alla sua maniera, a questo appello: occorre
ancora una volta, come con Giovanni XXIII, Paolo VI,
Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI,
ripartire da Cristo, mettere i nostri passi e i passi della
Chiesa nei suoi.
Cristo prima di tutto, e in particolare il Cristo di Emmaus, il compagno di questi due uomini che fuggono da
Gerusalemme e sono smarriti. A Rio de Janeiro, il 27 luglio 2013, durante la bellissima Giornata mondiale della
gioventù, papa Francesco si è rivolto ai vescovi del Brasile
(cf. Regno-doc. 15,2103,463ss). Ha consegnato loro una
meditazione magnifica, di una semplicità straordinaria,
sull’esistenza cristiana e sulla responsabilità dei vescovi,
in particolare nei confronti di coloro che si allontanano e
sono senza speranza.
È un esame di coscienza che ricevo per me stesso e per
noi tutti, che formiamo la Chiesa cattolica nella Charente
e in Francia. Con due domande estremamente gravi:
– siamo forse una Chiesa che va bene per l’infanzia,
ma non per l’età adulta?
– Siamo una Chiesa capace di riscaldare i cuori?
Sono domande vitali, più importanti di tutti i nostri
problemi di organizzazione e di struttura, che non sono
irreali, ma che restano secondari. Stiamo parlando della
sorgente stessa della nostra esistenza cristiana. Della nostra relazione reale, viva, appassionata, profonda con la
persona di Cristo.
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A queste due domande papa Francesco risponde impegnandosi in prima persona. Fa appello alla propria esperienza di vescovo. Si consegna egli stesso a un esame di
coscienza. Si pone a fianco dei suoi fratelli vescovi. È là, è
vicino, illumina le nostre inquietudini, ci obbliga a risvegliarci, a impegnarci. Ascoltiamolo!
In primo luogo, prende atto del disincanto che ci
minaccia. Forse la Chiesa non ha più presa sulle realtà
umane? Ci dobbiamo considerare degli sconfitti, dei credenti sorpassati dalle evoluzioni del mondo?
«Abbiamo lavorato molto e, a volte, ci sembra di essere
degli sconfitti, e abbiamo il sentimento di chi deve fare il
bilancio di una stagione ormai persa, guardando a coloro
che ci lasciano o non ci ritengono più credibili» (Regno-doc.
15,2013,465).
Ed ecco la meditazione sui pellegrini di Emmaus come
chiave di lettura del presente e del futuro della Chiesa nel
nostro mondo.
«I due discepoli scappano da Gerusalemme. Si allontano
dalla “nudità” di Dio. Sono scandalizzati dal fallimento del
Messia nel quale avevano sperato e che ora appare irrimediabilmente sconfitto, umiliato, anche dopo il terzo giorno (Lc
24,17-21). (...) Vanno per la strada da soli, con la loro delusione. Forse la Chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo
lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere
inquietudini,
forse troppo
fredda
nei loro confronti,
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forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un
relitto del passato, insufficiente per le nuove domande; forse
PATRICK REGAN
Dall’Avvento
alla Pentecoste
La Riforma liturgica nel Messale di Paolo VI
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el 2007 Benedetto XVI ha consentito la
celebrazione della messa tridentina
come «forma straordinaria» del Rito romano.
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la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per
la sua età adulta» (Regno-doc. 15,2013,465).
Fratelli e sorelle, ascoltiamo bene questi interrogativi.
Non sempre osiamo confessarceli. Siamo davvero incapaci
di affrontare queste realtà gravi e nuove riguardanti la vita
e la morte, il modo di governare la nostra vita e la nostra
morte umane, e l’interrogativo su ciò che fonda la nostra
dignità di persone, soprattutto quando siamo di fronte alle
fragilità nostre e delle nostre società incerte? La riflessione
di quest’anno intorno a tali realtà è un modo di raccogliere
la sfida, non solo di organizzarci diversamente, ma di ripensare la nostra condizione umana alla luce di un’intelligenza della fede che dobbiamo maggiormente coltivare.
Ma papa Francesco crede tanto al lavoro del cuore
quanto a quello dell’intelligenza. Essi camminano insieme.
Se la Chiesa, conoscendolo, entra nel mistero di Cristo,
essa si lascia rinnovare e quasi come riscaldare, soprattutto
se ha tendenza a irrigidirsi. Sono i pellegrini di Emmaus
che invocano la presenza di Cristo. Sono le persone che
incontriamo che ci obbligano a convertirci e a praticare in
modo ordinario una pastorale del cammino.
«Serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente;
una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella
fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; (…) Gesù
diede calore al cuore dei discepoli di Emmaus.
Vorrei che ci domandassimo tutti, oggi: siamo ancora
una Chiesa capace di riscaldare il cuore? Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme? Di riaccompagnare
a casa? In Gerusalemme abitano le nostre sorgenti: Scrittura, catechesi, sacramenti, comunità, amicizia del Signore, Maria e gli Apostoli... Siamo ancora in grado di
raccontare queste fonti così da risvegliare l’incanto per la
loro bellezza? (…) Serve una Chiesa che torni a portare
calore, ad accendere il cuore» (Regno-doc. 15,2013,466).
Fratelli e sorelle, con tutto il cuore e con tutto il mio
spirito spero che ci lasciamo toccare da queste parole. Esse
illuminano i nostri desideri più profondi, e anche le nostre
sofferenze, le nostre inquietudini, la nostra difficoltà ad
affrontare il futuro.
Ma il futuro è lì, nel cuore di Cristo, fra le nostre mani
e anche nei nostri piedi se ci lasciamo toccare, afferrare,
purificare dal Signore stesso. Se ci impegniamo a camminare con gli altri, ad aprire cammini, ad «aprire alla gioia
di credere in Dio» e di fare di questo terreno il terreno
della «nuova evangelizzazione»; il terreno che è sempre
quello della nostra umanità comune, terreno dove il Cristo
passa e ci chiama a conoscerlo, a seguirlo, ad amarlo e a
testimoniare il suo amore umile e liberatore. Che questo
lavoro insieme sia la nostra gioia!
Ai lettori di questa lettera, a quanti partecipano alla
vita della Chiesa e anche a coloro di cui condividiamo
le domande e le speranze assicuro la mia fiducia, la mia
attenzione, la mia amicizia oggi e in futuro!
14 settembre 2013.
✠ Claude Dagens,
vescovo d’Angoulême
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Risvegliamoci come cristiani! - Edizioni Dehoniane