C hiese nel mondo | FRANCIA Risvegliamoci come cristiani! Lettera pastorale di mons. Claude Dagens, vescovo di Angoulême Che Cristo ci risvegli! Fratelli e sorelle, «Dobbiamo risvegliarci come cristiani!». È un appello forte e preoccupato quello lanciato da mons. Dagens, vescovo di Angoulême, nella sua lettera per l’anno pastorale in corso, datata 14 settembre. Forte, perché ne va della fede e della sua trasmissione in quanto relazione col Cristo risorto; preoccupato, per almeno due ragioni. Da un lato, per la rassegnazione che ci ha «rinchiusi nelle nostre paure e nei nostri silenzi, incapaci di uscire da noi stessi e di pensare la vita cristiana al di là degli orari delle messe della domenica»; dall’altro, per il numero crescente «di giovani e adulti, che si qualificano cattolici, e immaginano la loro identità ridotta all’opposizione verso lo stato laico». Per vivere da cristiani «dentro la società», scrive Dagens, occorre risolutamente evitare «la logica fatta di aggressione e di rassegnazione, che non valuta la presenza cattolica che in termini di cifre e di manifestazioni pubbliche». La novità di papa Francesco, il suo invito a essere Chiesa che «riscalda i cuori» e lo stile dell’incontro Diakonia 2013 sono i segni di speranza che accompagnano un anno dedicato al tema: «Creati per la vita e provati dalla morte: presenza nella società e pratiche cattoliche». Opuscolo, Diocese d’Angoulême, settembre 2013. Nostra traduzione dal francese. Il Regno - 626-630.indd 626 documentI 19/2013 vi chiamo a risvegliarvi come cristiani. È un risveglio necessario. In noi e fra noi vi è troppa rassegnazione, vi sono troppe paure, troppe persone e comunità ripiegate su sé stesse e inchiodate a orizzonti ristretti. Nella nostra società vi sono tante inquietudini giustificate dall’aggravarsi delle povertà, dalle spaccature familiari, da situazioni d’insopportabile isolamento. Vi sono uomini e donne che non osano gridare per chiedere aiuto. Dobbiamo risvegliarci come cristiani! «Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo t’illuminerà» (Ef 5,14). Come cristiani, non ci desteremo per il gusto di farlo, ma per lasciare che il Cristo vivente ci afferri e ci associ alla sua Pasqua, al grande passaggio dalla morte alla risurrezione, dall’umiliazione al riscatto, dall’annientamento alla vita. Ricordo ancora le parole di un giovane della Grande Garenne (quartiere periferico di Angoulême – ndt) che si preparava al battesimo dopo aver scoperto Cristo agli incontri della JOC («Jeunesse ouvrière chrétienne») a La Courneuve, qualche anno fa. Diceva: «Ho capito che Gesù è vivo e che posso incontrarlo». E a me, che gli chiedevo perché volesse ricevere il battesimo, rispose senza esitare: «Per uscire dalla violenza». Era della Grande Garenne, un quartiere difficile. Fratelli e sorelle, non possiamo rassegnarci al fatto che vi siano giovani e adulti come questi, che fanno esperienza della liberazione associata alla fede in Cristo mentre noi, gli habitué, ce ne stiamo rinchiusi nelle nostre paure e nei nostri silenzi, incapaci di uscire da noi stessi e di pensare la vita cristiana al di là degli orari delle messe del sabato e della domenica. Povera Chiesa di Cristo, che si riduce così a una peau de chagrin («pelle di zigrino», ossia a qualcosa di sempre più piccolo; cf. il romanzo omonimo di H. de Balzac – ndt) fra le mani di cattolici piagnucolosi, inchiodati alle loro piccole vicende. «Jésus le Christ, lumière intérieure, ne laisse pas mes ténèbres me parler. Jésus le Christ, lumière intérieure, donne-moi d’accueillir ton amour». E che il tuo amore salvatore venga a risvegliarci! 626 04/11/13 18:10 No ai club cattolici! Sì all’iniziazione cristiana! Se oggi mi si chiedesse: «A che cosa dobbiamo resistere, per essere cristiani in una società che non è più cristiana?», risponderei senza esitazione: alla logica fatta di aggressione e di rassegnazione, che non valuta la presenza cattolica nella nostra società che in termini di cifre e di manifestazioni pubbliche. Perché queste due attitudini vanno insieme: da una parte, ci si lamenta dicendo che le chiese sono vuote, i praticanti sempre meno numerosi, i preti in estinzione e la fede quasi consunta; ma, dall’altra, si sogna la riconquista politica e si identifica il cattolicesimo francese con la sua resistenza alle leggi della Repubblica. Vorrei essere compreso: non sono per nulla favorevole a questa nuova legge che apre il matrimonio e l’adozione alle coppie omosessuali. È una menzogna pretendere l’uguaglianza dei diritti per fare prevalere i desideri individuali e rinunciare ai valori comuni di cui oggi abbiamo bisogno per non essere sottomessi alla dittatura dell’individualismo separatore. E, in un certo modo, la «Charte de la laïcité» (cf. Regno-doc. 17,2013,552) onora questi valori comuni, molti dei quali hanno origine nella tradizione cristiana. Ma sono preoccupato quando vedo giovani e adulti, che si qualificano cattolici, immaginare la loro identità ridotta all’opposizione verso lo stato laico. Ho imparato da René Rémond ed Émile Poulat, due grandi storici del cattolicesimo in Francia, che occorre accettare relazioni a tre termini: la Chiesa, lo stato laico e la società. E che dobbiamo imparare non solo a collocarci rispetto allo stato laico, ma soprattutto a essere presenti dentro la nostra società, che non è più cristiana e che è divenuta allo contempo fragile e ostica. In ragione dell’esigenza primaria di presenza dentro la società (e non fuori di essa), dico no alle strategie difensive e offensive, agli appelli alla resistenza che non possono che creare illusioni, anche se sono rivestiti di inviti alla preghiera! Dico chiaramente no alla tentazione di costituire dei «club» o delle «tribù» cattoliche. Lo facciamo talvolta in modo inconsapevole: si resta fra noi; ci si racconta senza fine le medesime piccole storie; si sparla con garbo degli altri, soprattutto se assenti, senza rendersi conto che in questo modo ci si condanna a morte. Proprio a morte: rimanendo attaccati alle proprie idee, alle proprie preferenze, alle proprie piccole esperienze, ci si impedisce di prendere il largo verso quelle «periferie esistenziali» di cui parla con tutta la sua esperienza pastorale il nostro papa Francesco. I club e le tribù cattoliche sono portatori di morte; si autodistruggono, si condannano da sé all’agonia. Vorrei che questa tendenza desolante non venisse coperta da una pastorale del tappabuchi, in nome della quale la vita della Chiesa si riduce alla sola celebrazione della messa del sabato e della domenica e alle sue domande lancinanti: dove? Quando? Come? Con quale prete? In questo modo, la Chiesa di Cristo diventa una tribù che gestisce la sua sopravvivenza, mentre i buchi che si coprono provvisoriamente rischiano di diventare sempre più larghi e sempre più profondi. Ma, che diavolo, se si può dire! La Chiesa di Cristo è infinitamente più grande di questo. Essa è grande della grandezza di Cristo, che viene «a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10). Essa è profonda della profondità di Cristo, che è sceso agli inferi per riafferrare tutto della nostra povera e santa umanità e trascinarlo nella scia della risurrezione. «Svegliati, o tu che dormi…». Occorre invece dire risolutamente sì a una pastorale dell’iniziazione cristiana, che ci chiede non soltanto di accogliere e di ascoltare, ma soprattutto di uscire da noi stessi e dai nostri piccoli club per metterci in cammino insieme a uomini e donne che faticano a camminare, poiché sono feriti o ansiosi; uomini e donne che hanno paura del futuro e di una strada che non conoscono. Siamo chiamati a essere attenti alle situazioni di sconforto e di solitudine, che ci sono talvolta vicinissime e che preferiamo ignorare, perché siamo rassegnati al nostro immobilismo. Rischiamo di svegliarci quando sarà troppo tardi e questi uomini e queste donne avranno compiuto l’irreparabile dandosi la morte. Anche questo fa parte della realtà ordinaria. Siamo all’inizio dell’anno, è il momento di scegliere e di darsi delle priorità. È vitale essere consapevoli di ciò che è più importante. Più importante per noi è qualunque campo in cui si compie l’iniziazione al mistero di Cristo, attraverso persone che non sono dei clienti, ma dei segni che Dio ci dona. Apriamo gli occhi! – Ecco dei bambini o degli adulti che domandano il battesimo! Ascoltiamoli raccontare come hanno scoperto Dio e la sua amicizia! E prepariamoci anche, con il nostro Consiglio presbiterale, a darci orientamenti comuni per la pastorale del battesimo, per i bambini, per i fanciulli in età scolare e per i catecumeni! – Ecco degli uomini e delle donne che vogliono prepararsi al sacramento del matrimonio! Non hanno le nostre parole per parlarne, ma hanno i loro desideri interiori, il loro amore e la loro scelta di varcare la soglia di un impegno non privo di rischi. Vogliono sapere che cosa renderà il loro amore più solido dei loro sentimenti, delle loro esperienze sessuali, delle fragilità delle loro stesse famiglie, senza dimenticare le loro difficoltà economiche! Non atteggiamoci a controllori: impariamo a camminare con loro pregando, aprendo la parola di Dio e scoprendo la vittoria di Cristo su tutto il male del mondo! – Ecco degli uomini e delle donne di fronte all’evento della morte di un loro caro! Non osano parlare. Sentono in loro ogni sorta di domande che non sanno formulare. E chiedono una celebrazione cristiana. Cristiana; ciò significa che non basterà raccontare la storia del defunto o della defunta, partiti con il loro mistero! Occorrerà che a parlare siano l’acqua del battesimo e la misteriosa presenza di Gesù Cristo, vivente, risorto, che non si compiace nella morte, ma viene ad attraversarla e a frantumarla per aprirvi il cammino della vita eterna, accessibile e presente fin dentro la nostra carne mortale! Sarebbe triste che la Chiesa cattolica apparisse come la specialista della morte, capace soltanto di officiare riti funebri in chiese ridotte a nient’altro che camere mortuarie, più spaziose ma vuote di speranza! Il Regno - 626-630.indd 627 documenti 19/2013 627 04/11/13 18:11 C hiese nel mondo È in ragione di tali realtà della nostra umanità comune che ho dato come orientamento al lavoro pastorale di quest’anno 2013-2014: «Creati per la vita e provati dalla morte: presenza nella società e pratiche cattoliche», con riferimento a quanto riguarda il fine vita, le domande legate all’eutanasia e anche alla procreazione medicalmente assistita, con le modifiche previste in relazione alla legge Leonetti e alle cosiddette leggi bioetiche. Ma si tratta soprattutto di comprendere che siamo presenti nella nostra società e sensibili a tali questioni attraverso la nostra pastorale ordinaria: la pastorale della vita, con il sacramento della vita nuova, il battesimo; la pastorale dell’amore umano, con la preparazione al matrimonio e l’accompagnamento delle persone divorziate e omosessuali; la pastorale della morte, con l’accompagnamento del lutto. Siamo tutti chiamati, vescovi, preti, diaconi, laici, popolo dei battezzati, a essere, dentro la nostra società incerta, non tanto persone che vogliono imporre le proprie convinzioni di fede, ma uomini e donne che restano sul terreno dell’umanità comune per testimoniarvi la verità e la bontà di Dio! Come a Lourdes: lavanda dei piedi, sacramento del perdono, adorazione di Cristo eucaristia A Lourdes, in occasione del grande raduno pastorale denominato Diakonia 2013, nella basilica S. Bernadette hanno avuto luogo, la sera di venerdì 10 maggio, tre avvenimenti successivi e legati gli uni agli altri: la lavanda dei piedi, il sacramento del perdono e l’adorazione eucaristica. La veglia è stata animata dalle comunità de L’Arche della Charente. Vorrei che nelle nostre comunità parrocchiali queste tre azioni trovassero ordinariamente posto e che ci dicessero, ognuna a suo modo, come plasmano i nostri corpi e i nostri cuori, in che modo fanno di noi dei discepoli di Cristo. La lavanda dei piedi Alcuni stavano seduti su delle sedie; fra di loro qualcuno s’inginocchiava e versava acqua sui piedi degli altri e li lavava, come fece Gesù all’inizio dell’ultima cena condivisa con i Dodici, Pietro, Giuda e gli altri. Lavare i piedi a un’altra persona con le mani: è un gesto visibile, che si compie in silenzio. È un gesto umile: ci si mette ai piedi di colui o di colei che s’intende servire. È anche un gesto che coinvolge il corpo e mette a contatto dei corpi: le mani toccano i piedi. E certamente il contatto corporeo può avere dei significati. Alcuni vi vedranno delle connotazioni sessuali. Toccare il corpo dell’altro non può essere un gesto anodino. È una relazione fisica, sensibile, e si può immaginare che il toccare i piedi richiami altre relazioni. Gesù lo sapeva, soprattutto ricordando il gesto che aveva compiuto per lui quella donna, chiamata Maria Maddalena, alcuni giorni prima. Ella si era avvicinata a lui durante un pasto; si era chinata verso il suo corpo e aveva versato sui suoi piedi un profumo preziosissimo. Amava Gesù, ma con il suo gesto non lo afferrava, non lo tratteneva per sé, bensì esprimeva in modo bello e casto la sua immensa tenerezza. 628 Il Regno - 626-630.indd 628 documentI Alla sera del giovedì santo, nel Cenacolo, Gesù esprime la sua amicizia e la sua tenerezza molto casta, molto fraterna per quegli uomini, uno dei quali sta per tradirlo e un altro per rinnegarlo. Perché aver timore di questi gesti di tenerezza e di amore? Essi sono parte della pratica cristiana dell’amore sensibile e casto, del toccare che non vuole possedere, ma rispettare, con dolcezza, come segno di una grande affezione, di un’immensa confidenza. L’apostolo Pietro ha dapprima rifiutato il gesto di Gesù. Non perché lo sospettasse d’intenzioni perverse, ma perché non voleva che il Messia di Dio lo prendesse fra le mani per purificarlo e associarlo a quel dono di sé di cui aveva paura. «Non toccarmi! Non venirmi così vicino, Signore! Non voglio essere afferrato da te e abbandonarti il mio corpo perché partecipi alla tua Pasqua!». La lavanda dei piedi è un gesto umile d’amore casto, un toccare rispettoso che può legarci gli uni agli altri nel corpo di Cristo. Le parole non riescono a esprimere una relazione per la quale i nostri corpi sono come portatori, gli uni per gli altri, dell’amore di Cristo. I nostri amici de L’Arche sapranno spiegarcelo. Il sacramento del perdono Io lo ricevo regolarmente, ogni mese. Lo dono con gioia e con riconoscenza, come fanno i preti. Ho constatato come le prime parole di papa Francesco abbiano inspirato quest’anno, in occasione della Pasqua, il desiderio di riceverlo, spesso dopo anni d’abbandono e di silenzio. Poiché «Dio non si stanca mai di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono». «La pace sia con voi!». Tutto è detto in questa semplice parola: anche se in noi vi sono stati episodi di violenza, di divisione, di vendetta; anche se abbiamo seguito i consigli dell’Avversario, praticando come lui la seduzione e il dominio, o lasciandoci andare alla disperazione; nulla può impedire a Cristo di associarci alla sua vittoria sul male. In noi l’Avversario è vinto dalla Pasqua di Cristo. Anche se abbiamo acconsentito ai nostri inferni, eccoli infranti! Gesù Cristo ci afferra e ci solleva; e il prete che è lì, attento, silenzioso, attesta questa vittoria e ci assicura che non siamo più soli. Forse saremo ancora tentati, scossi, vinti, ma «nulla potrà mai separaci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù» (Rm 8,39). A Lourdes ho esultato di gioia constatando che il sacramento del perdono può essere vissuto come un atto di rinascita e di risurrezione. Occorre che sia reso più abituale nei nostri vicariati. L’adorazione di Cristo nell’eucaristia Veniva dopo la lavanda dei piedi e il sacramento del perdono. I partecipanti si sono radunati in silenzio. Davanti a noi, il segno è stato collocato, esposto: il fragile segno di questa sottile porzione di pane che è il corpo consegnato del Signore. E noi eravamo rivolti verso questo segno, consegnati a lui, abbandonati alla sua presenza. Occorre tempo per consentirvi, per lasciar pacificare in noi tutte le agitazioni, tutte le immagini che irrompono, o la sensazione di vuoto, di smarrimento. «Eccomi, Signore! Vieni! Vieni in mio aiuto! Liberami da ciò che m’intralcia! Vieni a sciogliere le mie catene! Vieni ad al- 19/2013 04/11/13 18:11 R1f_lambiasi:Layout 1 16/10/13 22.39 Pagina 1 FRANCESCO LAMBIASI Accesi dalla Parola lontanare l’Avversario! Fa’ che io entri, misero come sono, nel tuo mistero! Dal profondo a te grido, Signore!». E per qualche minuto, oppure per ore, ognuno è rimasto là, davanti a lui, al Cristo, che instancabilmente «passa da questo mondo al Padre amando i suoi fino alla fine» (cf. Gv 13,1); amandoci, e attendendo che ci lasciamo amare. Com’è semplice e insieme difficile! E poi ci si allontana in silenzio. Non si è assolutamente più come prima. Non si è avuta un’illuminazione, ma si è fatta in noi come una lieve apertura. Il nostro sguardo non può non essere impregnato di questa presenza misteriosa. Che nelle nostre parrocchie, all’ora più conveniente, sia possibile questo tempo semplice di silenzio e di adorazione, quest’atto di abbandono, questo accogliere la sua presenza! «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). I vangeli delle domeniche e delle feste - Anno A PREFAZIONE DI LINA ROSSI L a predicazione del Vangelo non può non passare attraverso la consapevolezza di essere creature volute dall’amore di un Padre. I commenti conducono alla scoperta di questo amore profondo, offrendo spunti di riflessione per meditare i Vangeli di tutte le domeniche e delle feste dell’anno A. Con papa Francesco: per una Chiesa che riscalda i cuori La sua elezione è stata un avvenimento inatteso, anche per i cardinali che l’hanno eletto, chiamati a obbedire ai desideri dello Spirito Santo. Ed ecco, in quella sera del 13 marzo 2013, apparire alla loggia di San Pietro a Roma Jorge Maria Bergoglio: arcivescovo di Buenos Aires, gesuita, che ha scelto il nome di Francesco. Si comprende subito che quest’uomo si colloca sulla scia del Poverello di Assisi, che fu afferrato da Cristo abbracciando un lebbroso, che rispose all’appello di Gesù, il crocifisso di S. Damiano, e si spogliò di tutto per vivere interamente il Vangelo della gioia e della croce. «Va’, Francesco, ripara la mia Chiesa!». Papa Francesco risponde, alla sua maniera, a questo appello: occorre ancora una volta, come con Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ripartire da Cristo, mettere i nostri passi e i passi della Chiesa nei suoi. Cristo prima di tutto, e in particolare il Cristo di Emmaus, il compagno di questi due uomini che fuggono da Gerusalemme e sono smarriti. A Rio de Janeiro, il 27 luglio 2013, durante la bellissima Giornata mondiale della gioventù, papa Francesco si è rivolto ai vescovi del Brasile (cf. Regno-doc. 15,2103,463ss). Ha consegnato loro una meditazione magnifica, di una semplicità straordinaria, sull’esistenza cristiana e sulla responsabilità dei vescovi, in particolare nei confronti di coloro che si allontanano e sono senza speranza. È un esame di coscienza che ricevo per me stesso e per noi tutti, che formiamo la Chiesa cattolica nella Charente e in Francia. Con due domande estremamente gravi: – siamo forse una Chiesa che va bene per l’infanzia, ma non per l’età adulta? – Siamo una Chiesa capace di riscaldare i cuori? Sono domande vitali, più importanti di tutti i nostri problemi di organizzazione e di struttura, che non sono irreali, ma che restano secondari. Stiamo parlando della sorgente stessa della nostra esistenza cristiana. Della nostra relazione reale, viva, appassionata, profonda con la persona di Cristo. Il Regno - 626-630.indd 629 documenti 19/2013 R1f_Aramini:Layout 1 15-10-2013 «PREDICARE LA PAROLA» pp. 256 - € 19,00 12:38 Pagina 1 Edizioni Dehoniane Bologna MICHELE ARAMINI GIOVANNI GIAMBATTISTA - SANTINA SPATARO Le parole della famiglia Percorso per coppie e gruppi di sposi P er riflettere sulla relazione di coppia alla luce dell’insegnamento della Chiesa, l’autore offre un percorso tematico, ben organizzato grazie a un indice per parolechiave, dedicato a chi è interessato al tema della famiglia. Il testo è utilizzabile anche come traccia di un itinerario per la formazione dei fidanzati e per gli incontri dei gruppi di sposi. «SPIRITUALITÀ CONIUGALE» pp. 168 - € 13,50 NELLA STESSA COLLANA FLÁVIO CAVALCA DE CASTRO COPPIA IN DIALOGO pp. 88 - € 7,50 629 Edizioni Dehoniane Bologna Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299 www.dehoniane.it 04/11/13 18:11 C hiese nel mondo A queste due domande papa Francesco risponde impegnandosi in prima persona. Fa appello alla propria esperienza di vescovo. Si consegna egli stesso a un esame di coscienza. Si pone a fianco dei suoi fratelli vescovi. È là, è vicino, illumina le nostre inquietudini, ci obbliga a risvegliarci, a impegnarci. Ascoltiamolo! In primo luogo, prende atto del disincanto che ci minaccia. Forse la Chiesa non ha più presa sulle realtà umane? Ci dobbiamo considerare degli sconfitti, dei credenti sorpassati dalle evoluzioni del mondo? «Abbiamo lavorato molto e, a volte, ci sembra di essere degli sconfitti, e abbiamo il sentimento di chi deve fare il bilancio di una stagione ormai persa, guardando a coloro che ci lasciano o non ci ritengono più credibili» (Regno-doc. 15,2013,465). Ed ecco la meditazione sui pellegrini di Emmaus come chiave di lettura del presente e del futuro della Chiesa nel nostro mondo. «I due discepoli scappano da Gerusalemme. Si allontano dalla “nudità” di Dio. Sono scandalizzati dal fallimento del Messia nel quale avevano sperato e che ora appare irrimediabilmente sconfitto, umiliato, anche dopo il terzo giorno (Lc 24,17-21). (...) Vanno per la strada da soli, con la loro delusione. Forse la Chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere inquietudini, forse troppo fredda nei loro confronti, R1f_Regan:Layoutalle 1 loro 10-10-2013 12:06 Pagina 1 forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove domande; forse PATRICK REGAN Dall’Avvento alla Pentecoste La Riforma liturgica nel Messale di Paolo VI N el 2007 Benedetto XVI ha consentito la celebrazione della messa tridentina come «forma straordinaria» del Rito romano. Comparando preghiere, prefazi, letture, rubriche, calendario e canti, l’autore intende mostrare l’eccellenza della liturgia postconciliare rispetto alla forma liturgica precedente. Il testo affronta anche questioni aspramente dibattute, come la traduzione del pro multis con «per molti» nella preghiera eucaristica. «STUDI E RICERCHE DI LITURGIA» Edizioni Dehoniane Bologna 626-630.indd 630 pp. 328 - € 32,50 Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299 www.dehoniane.it 630 la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta» (Regno-doc. 15,2013,465). Fratelli e sorelle, ascoltiamo bene questi interrogativi. Non sempre osiamo confessarceli. Siamo davvero incapaci di affrontare queste realtà gravi e nuove riguardanti la vita e la morte, il modo di governare la nostra vita e la nostra morte umane, e l’interrogativo su ciò che fonda la nostra dignità di persone, soprattutto quando siamo di fronte alle fragilità nostre e delle nostre società incerte? La riflessione di quest’anno intorno a tali realtà è un modo di raccogliere la sfida, non solo di organizzarci diversamente, ma di ripensare la nostra condizione umana alla luce di un’intelligenza della fede che dobbiamo maggiormente coltivare. Ma papa Francesco crede tanto al lavoro del cuore quanto a quello dell’intelligenza. Essi camminano insieme. Se la Chiesa, conoscendolo, entra nel mistero di Cristo, essa si lascia rinnovare e quasi come riscaldare, soprattutto se ha tendenza a irrigidirsi. Sono i pellegrini di Emmaus che invocano la presenza di Cristo. Sono le persone che incontriamo che ci obbligano a convertirci e a praticare in modo ordinario una pastorale del cammino. «Serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; (…) Gesù diede calore al cuore dei discepoli di Emmaus. Vorrei che ci domandassimo tutti, oggi: siamo ancora una Chiesa capace di riscaldare il cuore? Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme? Di riaccompagnare a casa? In Gerusalemme abitano le nostre sorgenti: Scrittura, catechesi, sacramenti, comunità, amicizia del Signore, Maria e gli Apostoli... Siamo ancora in grado di raccontare queste fonti così da risvegliare l’incanto per la loro bellezza? (…) Serve una Chiesa che torni a portare calore, ad accendere il cuore» (Regno-doc. 15,2013,466). Fratelli e sorelle, con tutto il cuore e con tutto il mio spirito spero che ci lasciamo toccare da queste parole. Esse illuminano i nostri desideri più profondi, e anche le nostre sofferenze, le nostre inquietudini, la nostra difficoltà ad affrontare il futuro. Ma il futuro è lì, nel cuore di Cristo, fra le nostre mani e anche nei nostri piedi se ci lasciamo toccare, afferrare, purificare dal Signore stesso. Se ci impegniamo a camminare con gli altri, ad aprire cammini, ad «aprire alla gioia di credere in Dio» e di fare di questo terreno il terreno della «nuova evangelizzazione»; il terreno che è sempre quello della nostra umanità comune, terreno dove il Cristo passa e ci chiama a conoscerlo, a seguirlo, ad amarlo e a testimoniare il suo amore umile e liberatore. Che questo lavoro insieme sia la nostra gioia! Ai lettori di questa lettera, a quanti partecipano alla vita della Chiesa e anche a coloro di cui condividiamo le domande e le speranze assicuro la mia fiducia, la mia attenzione, la mia amicizia oggi e in futuro! 14 settembre 2013. ✠ Claude Dagens, vescovo d’Angoulême Il Regno - documenti 19/2013 04/11/13 18:11