La presente pubblicazione è stata promossa dal Progetto "Sulle tracce delle scuole Scomparse" del
106° Circolo Didattico "E. Marchiafava" ed è a cura delle referenti Hilda Girardet e Maria Pia Cedrini.
Progetto grafico di Angelo Brun
Si ringraziano tutti coloro che hanno reso possibile il presente volume.
In particolare un sentito ringraziamento va:
al Comune della Città di Fiumicino che ha contribuito economicamente alla pubblicazione,
al Museo Storico della Didattica della Università di Roma Tre per la consulenza e i materiali
fotografici e documentari forniti,
al Club Motori d’Altri Tempi,
a Luisa Scorletti Triboulet e a Pietro Vergnani per le testimonianze sulla scuola E. Marchiafava e
M. Montessori.
Le fotografie sono state messe a disposizione da: Museo Storico della Didattica della Università di Roma
Tre, Maccarese S.p.a, Rete Bibliolab di Cantarana (Asti) e alle famiglie di Maccarese: Alberina
Antonacci, Fiamma Bellotto, Agnese Bortolin, Luca Bravi, Laura Chierico, Franz Drudi, Elsa Ercolini,
Rita Fenzato, Laura Finesso, Lorenzo Majnoni, Adriano Mancini, Angelo Mattiuzzi, Katia Mazzanti,
Piero Panetta, Albertina Parotto, Antonella Quilli, Antonella Ravarotto, Ludovico Reposi, Iole Turato,
Giovanni Zorzi.
Foto di copertina: la prima scuola elementare del Villaggio San Giorgio di Maccarese.
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Città di Fiumicino
Presentazione
Quando, nel Natale 2004, visitai la mostra "Sulle tracce delle Scuole scomparse" fu quasi istintivo suggerire la pubblicazione di quella ricerca. La forma "libro" permette ora infatti di far assurgere a quell'esposizione, cui continuo a
plaudire, il carattere di documentazione permanente. Un "oggetto culturale" destinato così a passare di mano in mano,
di generazione in generazione.
Questa opera nasce con una finalità didattica che persegue un metodo adeguato ai tempi che viviamo: fa uso
dell'iconografia, ma in una cornice storica, insegnando così a leggere la realtà per immagini. Una dimensione che rappresenta sempre un "punto di vista" e che, quindi, richiede una particolare consapevolezza sia nei più piccoli, sia negli
adulti. "Sulle tracce delle Scuole scomparse" intraprende una strada interessante proprio in questa direzione ponendo
il focus su qualcosa che è ormai invisibile ed eppure ha lasciato traccia di sé.
Un libro che costituisce, inoltre, un'opportunità per estendere la memoria di ciascuno - arricchendola con porzioni di
quella collettiva - tanto nel passato che nel futuro della nostra comunità. Una proiezione in grado di combinare - in
una felice formulazione - il vissuto individuale, le fonti orali, le fonti scritte e quelle fotografiche.
Il Sindaco
Mario Canapini
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Prefazione
Il per ché di un Pr ogetto
Il Progetto "Sulle tracce delle scuole scomparse" nasce dall'esigenza di guidare le bambine ed i bambini del nostro territorio alla conoscenza ed alla comprensione della realtà che
li circonda, attraverso il recupero e la valorizzazione di un
fecondo rapporto con il passato.
E', infatti, nella ricerca del passato che si fonda la comprensione del presente, si aprono nuovi spazi di riflessione e si
costruiscono percorsi attraverso i quali procedono di pari
passo la dimensione culturale e la maturazione affettiva,
contribuendo alla formazione dell'identità personale e culturale dei nostri alunni.
La scuola primaria è infatti l'ambiente educativo di
apprendimento nel quale ogni bambino deve trovare le
occasioni per maturare progressivamente le proprie capacità di autonomia, di azione diretta, di relazioni umane, al
fine di diventare protagonista della costruzione del proprio
sapere ed " imparare ad imparare".
L'obiettivo principale che la scuola si pone è pertanto quello di valorizzare l'esperienza dei bambini ed avviarli alla
ricostruzione dell'immagine del passato muovendo dal presente, attraverso la ricerca storica e l'analisi delle fonti
(fotografie, documenti, testimonianze), che vanno concretamente ricercate, lette e confrontate.
E' questa la strategia didattica privilegiata di questo
Progetto: porre particolare attenzione al vissuto dei bambini ed alle loro esperienze, al fine di suscitare in essi azione,
coinvolgimento ed emozione, promuovendo la conoscenza
del territorio in cui vivono e guidandoli al confronto ed allo
scambio di valori e comportamenti diversi nel presente e nel
passato.
L'analisi delle tracce che il passato ha lasciato nei ricordi
dei genitori, dei nonni e dei bisnonni richiama infatti nei
bambini un universo di aspettative, emozioni, interessi, sensibilità, avviandoli alla conoscenza ed alla comprensione
della storia del nostro territorio e costruendo nel contempo
le abilità di cogliere le relazioni tra gli eventi nel tempo e
nello spazio.
In questo senso, lo studio del passato rappresenta un passaggio fondamentale nella formazione nei nostri alunni di
una positiva immagine di sé, predisponendoli al confronto ed all'incontro con gli altri, allo scambio di esperienze e
allo sviluppo delle competenze, valorizzando il presente e
di conseguenza progettando il futuro.
Ringraziamo in modo particolare il Sindaco del Comune di
Fiumicino, Mario Canapini, per avere concretamente contribuito, insieme all'Amministrazione Comunale, alla realizzazione del Progetto.
Un sentito ringraziamento va inoltre a quanti hanno partecipato alla realizzazione di questo volume, ed in particolare
alle insegnanti referenti Hilda Girardet e M.Pia Cedrini.
Grazie al loro prezioso lavoro, la nostra Scuola ed il
Comune di Fiumicino potranno concretamente divenire
parte attiva nell'impegno comune di consolidare la memoria collettiva diffondendola presso le giovani generazioni,
valorizzando i molteplici aspetti di un territorio ricco di
risorse e di interesse storico, naturalistico, culturale e
sociale.
Il Dirigente Scolastico
Celestina Nava
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Introduzione
Questo volume è nato dall'esigenza di rendere
disponibili dei materiali fotografici e scritti capaci
di motivare e sostenere la didattica della storia
locale fin dalle prime classi elementari. Per questo stesso motivo, abbiamo scelto come tema quello delle scuole elementari a Maccarese, un tempo
numerose e ora ridotte alla sola sede della E.
Marchiafava. Un tema che è vicino all'esperienza
infantile, facile da mettere a confronto nel tempo,
quindi adatto agli interessi e alle capacità dei bambini della nostra scuola, e, al tempo stesso, un
tema interessante e significativo per la storia del
territorio.
A differenza di altre "storie della scuola", che possono contare su una ricca documentazione scritta,
la nostra indagine ha privilegiato la documentazione fotografica. Siamo infatti convinte che la possibilità di 'vedere' il passato abbia un impatto immediato su tutti e in particolare sui bambini, aiutandoli così nel loro primo approccio allo studio storico. Abbiamo però ritenuto di integrare il materiale fotografico con un breve testo introduttivo alla
storia del territorio, in modo da fornire, soprattutto per i periodi più lontani, le conoscenze indispensabili per comprendere appieno il contesto
storico sul cui sfondo collocare le singole fotografie.
La parte centrale del volume è dedicata alla presentazione del materiale fotografico e, sostanzialmente, coincide con la Mostra "Sulle tracce delle
Scuole Scomparse", inaugurata nei locali della
Scuola E. Marchiafava nel Natale 2004 e che ha
ottenuto vivi apprezzamenti da parte delle famiglie
degli alunni, delle classi di scuola elementare e
media che l'hanno visitata e da parte
dell'Amministrazione Comunale che ne ha proposto, sostenendola economicamente, la pubblicazione. Le fotografie sono suddivise in quattro sezioni:
1. Le Origini; 2. Il Villaggio San Giorgio; 3.
Marchiafava e le altre; 4. I momenti, le persone, le
cose.
La prima sezione, "Le Origini", è dedicata al
periodo che va dai primi del Novecento fino agli
anni Venti. La storia che vi è raccontata è una storia che Maccarese ha vissuto in comune con larga
parte dell'Agro Romano, del quale faceva parte.
La seconda sezione, "Il Villaggio San Giorgio" è
centrata sulla bonifica integrale e sulla costruzione
del Villaggio San Giorgio, accanto al Castello: è
qui che è stata costruita la prima scuola elementare di Maccarese.
La terza sezione, "Marchiafava e le altre" è dedicata alle scuole elementari che furono attive a
Maccarese per circa un trentennio, dagli anni '50
agli anni '80 e che ora sono 'scomparse', e utilizzate come sedi di istituti di istruzione secondaria.
L'ultima, "I momenti, le persone, le cose", è invece una sezione tematica, che non segue l'ordine
cronologico e che illustra, attraverso fotografie
scattate in epoche diverse, i diversi aspetti della
vita della scuola, dai momenti della giornata ai
suoi protagonisti, dai libri agli alfabetieri, dai quaderni alle pagelle utilizzate.
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Il v o l u m e si chiude con alcuni sugge r ime nti
per l'utilizzazione didattica del materiale
do c u m e n t a r io pubblicato. C om e inse gna nti,
i n f a t t i , si a mo consapevoli che se "ve de r e il
pa ssa t o " c o s tituisce una risorsa è pe r ò ne c e ss a r i o " i n segnare a vedere" , e quindi, pe r i
ba m b i n i , i mparare a " leggere" la f onte f otogr a f i c a a l l a luce di conoscenze stor ic he a de guate.
Prima di concludere vogliamo ringraziare
t u t t i c o l o r o che con la loro colla bor a z ione
hanno reso possibile la realizzazione di ques t o v o l u m e : in prim o luogo le famiglie de gli
al u n n i c h e h anno fornito le fotog r a f ie e tutte
l e p e r so n e che con i loro ricordi e le lor o
t e st i m o n i a n z e hanno contributo a c hia r ir e e a
de f i n i r e e v enti ed aneddoti partic ola r i.
U n se n t i t o ringraziam ento va alla dott.ssa
G i o v a n n i A latri che collabora al M use o stor ico d e l l a D idattica dell' U niversità di Roma
Tre, e che ci ha aiutato a selezionare il materia l e p i ù r a p presentativo per la s e z ione "Le
O r i g i n i " . S u lla base dei suoi docu me nta tissimi e n u m e r osi saggi, nei quali ha r ic ostr uito
l a st o r i a d ella scuola nell' A gro Roma no ne i
pr i m i d e c e n ni del N ovecento, abb ia mo potut o d a r c o n t o della vicenda delle Sc uole pe r i
C o n t a d i n i , presentata nelle pagine a se guir e .
Un ringraziamento del tutto speciale va, infine , a G i o v a n ni Z orzi, esperto di stor ia loc a le
e socio della Cooperativa Ricerca sul
Te r r i t o r i o e dell' E co Museo del Litor a le , c he
ha m e sso a n ostra disposizione la sua pr of on-
8
da c onosc e nz a de lla stor ia d i M a c c a r e s e , e h a
f or nito una pa r te de lle f o to g r a f ie r a c c o lte ,
sopr a ttutto r e la tiva me nte ag li a n n i c h e h a n n o
immediatamente preceduto e seguito la
Bonif ic a .
Le Referenti del Progetto
"Sulle tracce delle Scuole Scomparse”
Hilda Girardet e Maria Pia Cedrini
Per una storia del territorio
La storia della scuola nel territorio di Maccarese ha
poco più di cento anni, appena un secolo. Eppure in
un secolo questo territorio - come quello dell'Agro
Romano di cui fa parte - ha visto tanti e tali cambiamenti che non solo sono mutate le condizioni di vita
dei suoi abitanti ma gli stessi suoi paesaggi originari sono diventati irriconoscibili. Una storia, quella
della scuola, che si lega a quella delle possibilità
stesse di sopravvivenza umana e che quindi si
intreccia ai successi ottenuti nel campo della ricerca
sulla malaria e alla realizzazione della bonifica. Una
storia, ancora, scarna di documentazione scritta e
fotografica e per ricostruire la quale è stato necessario includere fonti e testimonianze che, per i periodi
più lontani, riguardano più in generale la storia della
lotta contro l'analfabetismo e della scuola nell'Agro
Romano.
Le origini
I primi anni del Novecento - data di inizio della
nostra indagine - sono stati decisivi per il territorio
di Maccarese: i primi grandi successi nella lotta contro la malaria hanno infatti reso possibile avviare
quel processo di colonizzazione che, con la bonifica
degli anni '20, ha poi trasformato Maccarese nel
luogo che tutti conosciamo. Prima di quella data e
per i secoli precedenti Maccarese era un territorio
del tutto ostile agli insediamenti umani, una zona
paludosa e mefitica, infestata dalla malaria, e utilizzata soprattutto come zona di caccia, così come era
avvenuto per i secoli precedenti. Vi risiedeva in pianta stabile un nucleo minimo di popolazione: quello
strettamente necessario al funzionamento della
Tenuta San Giorgio. I lavori stagionali erano affidati
invece a compagnie di lavoratori: "i guitti". Spesso
ogni compagnia era specializzata in una diversa attività e i suoi componenti di solito provenivano tutti
dal medesimo paesino dell'interno (dall'Abruzzo o
dalle Marche, dall'Umbria, dalla Campania e dal
Lazio).
Gli abitanti di Maccarese, all'inizio del 1900 variavano dalle 80 alle 400 persone, a seconda dei lavori
stagionali che richiamavano minore o maggiore
manodopera.
Per ricostruire le condizioni di vita e di lavoro di
queste popolazioni, una delle testimonianze dell'epoca più interessanti e commoventi, è quella di Antonio
Dionisi, medico patologo che lavorò assieme a
Ettore Marchiafava e ad Angelo Celli alla ricerca
sulla malaria presso l'Ospedale S. Spirito di Roma
(foto a pag. 56). Nel 1899 la Società per gli Studi sulla
malaria, diretta da Angelo Celli istituì nell'Agro
Romano due Stazioni Sanitarie sperimentali - una alla
Cervelletta e l'altra a Maccarese - con il compito di
monitorare l'andamento della malaria. Antonio Dionisi
venne mandato a dirigere quella di Maccarese, dal
marzo 1899 al febbraio 1900 e - oltre a somministrare le
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necessarie dosi di chinino - effettuò osservazioni
sistematiche, mese per mese, sulla popolazione
residente e stagionale che soggiornava a
Maccarese in quell'anno. Queste osservazioni
furono raccolte nel volume intitolato "La malaria
di Maccarese" e costituiscono un materiale prezioso per ricostruire le condizioni di vita e di
lavoro a Maccarese.
Veniamo così a sapere che le famiglie stabilmente
residenti al Casale di Maccarese (ora chiamato
Castello San Giorgio) erano quelle del Fattore e
del Sottofattore, del Guardiacasale che, tra l'altro,
aveva il compito di tenere in buone condizioni gli
attrezzi agricoli, e del Guardiano. Vivevano al
Casale anche il fornaio con moglie e tre figlie e il
loro garzone, due fabbri, un muratore, un dispensiere che vendeva il vino ai bifolchi che "ne bevevano più di quanto dovessero", anche perché l'acqua era pericolosamente insidiosa.
E ancora il massaro dei bufali e dei cavalli, il
capoccia che reperiva e controllava i lavoratori
stagionali e un soldato addetto alla stalla dove si
allevavano cavalli per il governo. Al Procoio di
Primavera, dove vivevano gli addetti alle bufale,
dormivano 26 individui; al Procoio delle vacche, 15.
Gli altri lavoranti dormivano in capannoni o in
rifugi di fortuna. Nella pagina a fianco riportiamo, le descrizioni di Dionisi delle condizioni di
vita del centinaio di mietitori, arrivato da
Capranica e Mentana, l'8 e il 9 giugno del 1899, e
alla pagina seguente di una compagnia di 'monelli' giunti ad ottobre dello stesso anno per occuparsi della semina e degli altri lavori dei campi.
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Per quanto riguarda le condizioni sanitarie della
popolazione, alla fine di un anno di osservazioni,
Dionisi riassumeva così la situazione: su 2480
individui osservati in totale, tra la scarsa popolazione stabile e quella stagionale più numerosa,
1576 persone, cioè il 63%, erano state danneggiate dalla malaria, chi perché l'aveva contratta
durante il soggiorno a Maccarese, chi perché
aveva avuto attacchi di febbri malariche nei mesi
o negli anni precedenti. Commentando l'andamento delle febbri malariche e l'aumento delle febbri
terzane e quartane nei mesi estivi, Dionisi scrive:
"Ora se si pensa al pericolo che sovrasta minaccioso su ogni individuo, colto da infezione estivoautunnale, che può rapidamente diventare perniciosa, si rimane atterriti dinanzi all'abbandono,
nel quale sono stati sempre lasciati i poveri agricoltori e che con molta probabilità, almeno a giudicare dai principii, continuerà ancora, per colpa
di tutti." (pag. 61-62)
Per sottolineare la pericolosità delle febbri estivoautunnali Dionisi ricorda che lui stesso aveva
rischiato la vita, dopo essere stato punto da una
zanzara catturata proprio a Maccarese. Era il 27
novembre del 1898 quando si verificò un incidente: un giovane studente tedesco fece maldestramente cadere una provetta nella quale erano rinchiuse 5 zanzare anofele. Immediatamente si aprì
la caccia alle zanzare: 4 vennero catturate ma la
quinta punse proprio Dionisi che, qualche tempo
dopo fu assalito dalla forma più pericolosa di
malaria e per alcuni giorni fu in pericolo di vita.
”
I Mietitori
"In vicinanza dei campi da mietere fissavano un lenzuolo o una coperta su due bastoni, costituendo così un
simulacro di tenda, e sulla nuda terra davano riposo alle stanche membra, dopo aver passato la giornata
sotto i raggi cocenti del sole, arsi dalla sete e oppressi dagli incitamenti del caporale, che esigeva da essi
tutti gli sforzi possibili. A Maccarese il fattore, giovane di cuore e intelligente, non permetteva che il bastone colpisse rudemente il dorso nudo dell'operaio, il quale, stanco, rallentava l'opera sua: ma dove la direzione del taglio era affidata ad uomini brutali, questo triste spettacolo non mancava! Come i buoi e i bufali aggiogati a una macchina agricola falciano e mietono, punti da un triste arnese affidato ai bifolchi, così
lavorano gli uomini sotto la guida dei caporali a cavallo armati da un lungo randello che qualche volta si
stende minaccioso su di loro e qualche volta li colpisce senza pietà.
I mietitori sono compensati con lire 24 per 11 giorni di lavoro e ricevono anche pane, vino con acqua, un
po' di grasso e di formaggio: il vitto dovrebbe valere una lira; però giunge ad essi assottigliato dalla rapacità dei caporali che talvolta, dopo la mietitura, tornano alle loro case, portando dei barili di vino e delle
pizze di formaggio che hanno prudentemente risparmiato e che rivendono poi nell'inverno, agli stessi che
avrebbero dovuto usufruirne".
(A. Dionisi, La malaria di Maccarese. Dal marzo 1899 al febbraio 1900. Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1901, p. 22.)
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”
I Monelli
"Fanciulli, vecchi e adolescenti, giovani sposi, donne vicine a divenir madri erano pigiati nei malsani
tuguri che sorgono nel casale della tenuta di Maccarese. Assoldati nella provincia di Caserta da un caporale che aveva ad essi fatto sognare la terra promessa, avevano subito perduta ogni illusione, quando il
giorno dopo l'arrivo, svegliati alle 3 ant., avevano dovuto intraprendere, sotto la guida del bastone di
uomini a cavallo, una lunga marcia per raggiungere i campi, ove dovevano lavorare.
Se un pittore fissasse sulla tela le squadre che si muovono per i pantani nelle prime ore del mattino, stimolate dai minacciosi randelli degli uomini, addetti al servizio della tenuta, si crederebbe di vedere un
quadro dei tristi tempi, nei quali la terra raccoglieva il sudore degli schiavi…Erano tutti pagati della
stessa mercede, 1 lira al giorno, ed eguale produzione si attendeva da essi, dimenticando la tenera età
dei fanciulli, la povertà fisica delle donne, e gli acciacchi della vecchiaia.
I capi delle aziende agricole sono meritevoli di elogio solo quando riescono a far guadagnare il 50% ai
padroni; è perciò prova di inettitudine pretendere dall'uomo la giusta misura di lavoro, che può produrre; la meta da raggiungere esige che l'operaio si sforzi oltre ogni limite e dia il massimo contributo al
guadagno…
(A. Dionisi, La malaria di Maccarese. Dal marzo 1899 al febbraio 1900. Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1901, p. 55.)
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”
Gli alloggi dei Monelli
In una casetta di pochi metri quadri abitavano in 19: di questi venivano per la prima volta a Maccarese:
Alonso Antonino, di anni 8; Centracchio Domenico, di anni 15, Manzuocco Egidio di anni 12, Saviani
Sabatino di anni 15…
In un'altra casetta più angusta della precedente alloggiavano in 11 individui che facevano tutti la prima
prova in campagna:
Andreucci Rosa, di anni 32, maritata a Mancini Pompeo, di anni 56, sarto di professione, trasformato per
bisogno in monello, Mancini Alessandro di anni 10 e Mancini Vincenzo di anni 13, figliuoli di Pompeo …
In una specie di stalla, molto più bassa di quella ove sono i cavalli del personale di sorveglianza pei lavoratori, erano ricoverati altri 19 miseri operai, costituendo uno strano miscuglio di donne, bambini e adulti…
Alla Moletta detta dei Tre Pini, in una casa sulla sponda dell'Arrone erano ricoverati ed ammassati un gran
numero di individui: erano ripartiti in tre camerette, due a piano terra e un'altra al primo piano. Il caporale aveva per sé e per la famiglia, composta da moglie e di un figlio, una stanzetta accanto a quest'ultima. (pp.56-57)
(A. Dionisi, La malaria di Maccarese. Dal marzo 1899 al febbraio 1900. Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1901, p. 56-57.)
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La lotta contro la malaria
In occasione della recente uscita di un volume sulla
storia della malaria (Frank M. Snowden, The
Conquest of Malaria: Italy 1900-1962) è stato
notato che la lotta contro la malaria ha rappresentato un successo tutto italiano: una vittoria che ha
consentito di debellare un male che imperversava
da secoli, rendendo praticamente impossibile la
vita in vaste regioni del territorio nazionale. Una
situazione che, come a volte accade in Italia, è
stata rapidamente dimenticata, tanto che quando
negli anni 60 (poco più di dieci anni dopo la sconfitta definitiva della malattia) Fausto Coppi tornò
dall'Africa presentando i sintomi tipici della malattia, la diagnosi fu formulata con un ritardo tale da
essergli fatale.
La malaria, nota fin dall'Antichità, aveva imperversato per secoli rendendo insalubri vaste porzioni dell'Italia (dal Delta del Po alla Maremma,
dall'Agro Romano e Pontino alla Sardegna e alle
Puglie).
Al momento dell'Unità d'Italia (1870) la malaria
gravava come un macigno sui destini del Paese. Le
prime statistiche registravano una media annua di
10, 11 mila morti. Negli anni successivi, la malaria
è avvertita non solo come un poderoso ostacolo
allo sviluppo ma anche come una vergogna nazionale, simbolizzata dall'immensa area paludosa alle
porte di Roma. L'Italia era infatti costretta a fare i
conti con un male che i ricercatori francesi o inglesi studiavano solo nelle loro colonie.
All'origine della sconfitta della malaria ci fu proprio quella Scuola malariologica italiana di cui
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fecero parte Angelo Celli, Camillo Golgi, Ettore
Marchiafava, G. Battista Grassi e i loro collaboratori, come Antonio Dionisi.
E il primo passo
venne dal riconoscimento del ruolo di incubazione
e di diffusione svolto nella trasmissione della
malattia dalla zanzara anofela, così chiamata proprio da Grassi. Questo successo inizialmente venne
messo in discussione e solo quando fu possibile
provare il ruolo della zanzara anofela venne riconosciuto pubblicamente. Nelle parole che seguono,
Anna Fraentzel Celli - moglie del dottor Celli chiarisce bene la situazione:
"Celli e Marchiafava erano riusciti a trovare nel
sangue dei malarici l'agente patogeno della malaria, i loro enormi sforzi non erano tuttavia stati
compensati, la fama scientifica della ricerca era
stata loro contestata (…) Fino a che non si fosse
conosciuto l'agente propagatore del morbo non
c'era da pensare alla coltura intensiva nelle zone
infestate dalla malaria e i contadini continuavano
ad ammalarsi. Era dimostrato che le acque stagnanti e le terre paludose non avevano nulla a che
fare con la trasmissione del morbo. Erano forse le
zanzare a inocularlo?"
(M.L.Heid, "Uomini che non scompaiono",
Sansoni Editore, Firenze 1944, p.24)
E come Anna Celli racconta nella pagina a fianco,
fu una zanzara catturata proprio a Maccarese che
permise di provare sperimentalmente il rapporto
tra l'insorgere delle febbri malariche e la puntura
della zanzara anofela.
”
Lo zanzarone di Maccarese
"Poco prima delle 3 entravo per il mio servizio pomeridiano nelle grandi e oscure sale dell'Ospedale di Santo Spirito
quando dalla mia corsia San Carlo sentii venire voci, grida, rumori. Cosa poteva essere accaduto? L'eccitazione era
generale: monache, infermieri, ammalati mi si precipitarono di corsa incontro gridando 'Sola ha i brividi di febbre!'
E l'avvenimento era tale che avrebbe meritato un'eccitazione anche maggiore di quella. Eravamo al 1° novembre
1898, fuori batteva il sole, l'estate di San Martino … Grassi, professore di anatomia comparata presso l'Università,
durante l'estate era andato in giro nelle diverse zone malariche e aveva chiesto agli abitanti che gli indicassero le
zanzare più comuni del luogo. Fra queste ce n'era una piuttosto grande, con delle macchie sulle ali che, volando inavvertita, senza alcun ronzio, pungeva di nascosto lasciando grosse macchie sulla pelle. Fosse questo lo zanzarone che
inocula la malaria? Gli esperimenti del Bignami, infatti, avevano portato a escludere la piccola zanzara grigia
(Culex) che trasmette la malaria agli uccelli. Grassi fece quindi prendere a Maccarese, il luogo più malarico nei dintorni di Roma, alcuni di questi zanzaroni e indusse Bignami a farne pungere Sola. Sola, orgoglioso dell'onore fattogli, dal 27 settembre dormì nella stanza delle zanzare…
Sola continuava ad essere scosso dai brividi quasi fosse al Polo Nord ed il suo viso s'era fatto d'un colore tra il grigio e il giallo verdastro…Il 3 novembre la temperatura salì a 40 gradi, ma nel sangue non si presentavano ancora i
parassiti tanto ardentemente desiderati… Un consulto di medici, convocati da Bignami, decise di attendere ancora
ventiquattro ore… Appena finite di sbrigare le faccende ordinarie del servizio ci precipitammo nel laboratorio.
Bignami era già lì, seduto al microscopio e non parlò: in silenzio si alzò e ci invitò con un muto gesto della mano a
guardare nel microscopio: scarsi parassiti giovani anulari, mobili, con l'aspetto caratteristico dei parassiti della febbri estivo-autunnali erano lì sotto i nostri occhi. Che spettacolo solenne! Dunque Sola aveva veramente la febbre
malarica? Nel pomeriggio comparve finalmente il sudore, e i parassiti divennero innumerevoli. Giunti a questo punto
il prof. Bignami ordinò di fargli delle iniezioni di chinino. L'esperimento era ormai finito… Non ci fu scienziato italiano o straniero che venisse a Roma senza visitare Sola. Non si chiedeva più 'Hai visto il Papa?' ma solo 'Hai visto
Sola?', come cosa più importante. Inoltre, anche il cacciatore di zanzare di Grassi si ammalò, avendo preso l'abitudine di farsi pungere dai 'zanzaroni' per poterli catturare più facilmente, e così anche nel suo caso, come il quello di
Sola si dimostrò trattarsi di malaria estivo-autunnale. Nel nostro piccolo ambiente questi due avvenimenti rappresentarono un grande evento e profonda ne fu la risonanza in tutto il mondo.
(M.L.Heid, "Uomini che non scompaiono", Sansoni Editore, Firenze 1945, pp. 11-27)
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L'analfabetismo
All'indomani dell'unificazione, la situazione dell'analfabetismo in Italia era drammaticamente
arretrata: i dati ufficiali dichiarano che tra il 1861
e il 1871 gli analfabeti passano dal 78 al 7 3 % .
Ma la distribuzione degli analfabeti è ancora più
preoccupante: gli alfabetizzati si concentrano
nelle città e soprattutto in quelle del Nord d'Italia.
Nelle campagne del centro e del sud la popolazione è pressoché totalmente analfabeta. La situazione è particolarmente grave nei territori dell'ex
Stato Pontificio. La scuola, al di fuori dei centri
abitati più consistenti, è praticamente inesistente
e questo malgrado la legge Casati, del 1859 (che
quindi non si riferisce alle zone, come l'Agro
romano, ancora sotto il dominio dello Stato della
Chiesa) affida ai Comuni la scuola elementare,
rendendo unico, gratuito e obbligatorio per tutti il
primo biennio.
La legge Coppino del 1877 estende la gratuità del
primo biennio elementare a tutto il territorio
nazionale e porta a 9 anni l'obbligo scolastico. La
povertà è però ritenuta impedimento legittimo alla
frequenza. Tra il 1886 e il 1902 viene vietato il
lavoro minorile prima ai minori di anni 9 e poi ai
minori di anni 12: come abbiamo visto anche
dalla testimonianza di A.Dionisi, molti bambini
lavoravano ben prima di queste età.
S e n e l p r i m o decennio del 1900, a live llo
na z i o n a l e , viene com piuto un gra nde sf or z o
pe r d i ff o n d ere l' istruzione e gli a na lf a be ti
s c e n d o n o d a l 62% al 47% del 1911, la situa zi o n e r e st a praticam ente invariata pe r qua nto
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r igua r da l'Agr o Roma no.
Qui, in primo piano continua ad essere combattuta
la lotta contro la malaria. E anche la questione dell'istruzione, in un primo tempo, viene assunta come
uno strumento della lotta antimalarica. Com'era possibile infatti convincere una popolazione che viveva
in condizioni igieniche impossibili e che per ignoranza e pregiudizi non era in grado di seguire delle
prescrizioni mediche, a rispettare con regolarità le
indicazioni per una buona profilassi che includevano l'assunzione regolare del chinino?
Inizialmente furono quindi queste motivazioni a
spingere i coniugi Celli e alcuni pochi intellettuali a
preoccuparsi dello stato di ignoranza in cui versava
gran parte della popolazione contadina dell'Agro
Romano e ad impegnarsi per la loro alfabetizzazione. Fu proprio Anna Celli ad istituire per prima delle
scuole domenicali per i contadini. I maestri erano
dei volontari che raggiungevano a piedi e in bicicletta i contadini, che il lavoro dei campi costringeva a spostarsi da una zona all'altra. Le lezioni erano
spesso tenute all'aperto, in capanne o ripari di fortuna (foto pag. 37). Qualche anno dopo, il maestro
Alessandro Marcucci, diventato direttore delle
Scuole per i Contadini dell'Agro Romano, ideò un
arredamento smontabile, poco ingombrante e facilmente trasportabile con i carri, per seguire la popolazione agricola nei suoi frequenti spostamenti.
Nelle pagine seguenti, Marcucci descrive l'attrezzatura che consentiva di fare scuola anche in mezzo ad
un campo (foto pp. 32,33 e 57) e sottolinea i vantaggi delle scuole itineranti rispetto a quelle istituite dai Comuni.
”
La scuola in un armadio
"Fu ordinata la costruzione di 12 cattedre-armadio, anche queste di tipo speciale da noi disegnato, composte ciascuna da due solide casse da sovrapporre e facilmente trasportabili: in esse si contiene tutto ciò
che serve alla scuola, il tavolo per il maestro, la lavagna, il pallottoliere, la custodia per i quaderni, il
magazzino per il materiale scolastico e didattico, un armadio per la farmacia ed una biblioteca…"
La scuola ambulante…
Data la mancanza di una coscienza scolastica nelle nomadi popolazioni della Campagna, alle quali non si
può tuttavia disconoscere il diritto alla scuola, data la mancanza di ogni vita civile nei luoghi di agglomerazione, data la insufficienza dei trasporti, ancorchè fosse possibile ottenere o costruire un locale per la
scuola e per l'abitazione del maestro, non appare né opportuno né utile confinare un insegnante (secondo
la legge, una donna) in mezzo ad un deserto….
La scuola ambulante si dimostra per ora come la più rispondente alle condizioni dei luoghi e della nostra
popolazione agricola; in quanto svolge la sua azione là dove il bisogno la chiama; in quanto è meno costosa (ogni nostra scuola, a corso completo, serale e festivo, frequentata in media da 40 alunni, non costerà
più di 1.200 lire, cioè in media 30 lire per alunno); in quanto il maestro vi è animato da zelo, da spirito di
sacrificio e di emulazione e mantiene continuo il contatto coi maggiori centri.
(Da "Le scuole serali e festive nell'Agro romano. Istituite dalla Sezione Romana dell'Unione Femminile Nazionale". Relazione del
Direttore delle Scuole. Anno 1908-1909).
17
”
La scuola ambulante deve essere serale
Ma la scuola ambulante, che ricerca e segue le popolazioni agricole nel loro peregrinare di tenuta in tenuta nella nostra campagna, deve essere serale. (…)
Le scuole diurne che il Comune di Roma ha istituito in qualche centro, molte affidate a maestre, alcune ai
parroci, sono poco frequentate, tenuto conto del numero degli analfabeti dimoranti nel luogo, e, perché
spesso lontane dalle abitazioni dei contadini, si può dire che costituiscano, pur nella loro misera apparenza, pressoché un lusso, a vantaggio dei ricchi ferrovieri, i soli che possano mandare i figli alla scuola di
giorno. I figli dei nostri contadini all'età di sei anni non sono ancora maturi per la scuola.
Le bambine, per natura più serie dei maschi, fino ai dieci anni compiono alcune faccende domestiche in
assenza della madre che lavora nei campi, così che in questa età le nostre contadinelle sono portatrici d'infanti, e alla domenica molte ne vediamo assise ai nostri banchi col fratellino in collo.
Nella nostra campagna i bambini sono dunque maturi per la scuola verso gli otto anni; a quell'età essi sono
divenuti già seri, più gravi, osservatori e ragionatori; a quell'età già lavorano e guadagnano. Per essi può
dirsi che non esiste fanciullezza; lavorano alle opere più facili: cacciano le cornacchie e i passeri dai seminati, battendo una grossa scatola di latta, conducono e vigilano le bestie al pascolo, seguono i genitori in
qualche viaggio, aiutandoli a portare i pesi; insomma han già una parte nel lavoro dei campi, per cui guadagnano pochi centesimi è vero, ma ai quali la povera famiglia non potrebbe rinunciare.Per essi, che insieme agli adulti analfabeti, costituiscono la vera popolazione scolastica delle nostre campagne, la scuola
diurna è inutile.
(da “Le scuole serali e festive nell'Agro romano, istituite dalla Sezione Romana dell'Unione Femminile Nazionale”. Relazione
del Direttore delle Scuole. Anno 1908-1909)
18
I Protagonisti
Del gruppo promotore delle Scuole per i contadini (foto a pag. 34) abbiamo già incontrato i
coniugi Celli, Angelo e sua moglie Anna
Fraentzel. Del Comitato delle Scuole per i
Contadini entrò a far parte fin dai primi tempi
anche la scrittrice Sibilla Aleramo, che coinvolse il letterato e poeta Giovanni Cena.
Completarono il gruppo, nel 1907, il maestro
Alessandro Marcucci, che assunse l'incarico di
direttore delle Scuole per i Contadini e più
tardi, nel 1930, il pittore Duilio Cambellotti.
Grazie al loro volontariato, negli anni tra il
1906 e il 1926, vennero create numerose scuole serali e festive per i contadini dell'Agro
Romano e, più tardi, dell'Agro Pontino.
Questo gruppo svolse in pochi anni un compito
enorme che contribuì ad avvicinare centinaia di
contadini e di povera gente alla scuola, vicenda
una battaglia contro l'ignoranza e l'oscurantismo che significava anche il riconoscimento a
una dignità umana spesso negata. Di questo
erano ben consapevoli i protagonisti di questa
avventura, come testimoniano le parole di Anna
Celli: "Educhiamo poi questi (i bambini) ed
educandoli insegneremo loro che sono uomini
anch'essi con diritti di uomini, e che non possono, non debbono lasciarsi trattare come
bestie". ( " Cenni sulla vita della c onta dina e
d e i Ba m b i ni nell' A gro R om ano" , in Unione
F e m m i n i l e , anno I, n.10, ottobre 1901) .
Angelo Celli
Era nato nel 1857 a Cagli, nelle Marche. Si era
laureato in medicina all'Università di Roma. Per
un certo periodo lavorò al Laboratorio
Batteriologico di Monaco, poi rientrò in Italia, a
Palermo, dove aveva vinto il Concorso per la cattedra di Igiene. Poco dopo gli venne assegnata la
Cattedra di Igiene sperimentale all'Università di
Roma. Si occupò di ricerca nel campo della tubercolosi, del colera, della rabbia e infine della malaria. Su sua iniziativa venne istituita la Società
Italiana per gli studi sulla Malaria, con il compito
di fornire i supporti necessari, anche economici,
alla ricerca sulla malaria. Accanto alla sua attività
di scienziato e di professore, svolse per sette
legislature anche attività di parlamentare, promovendo ogni legge che potesse sostenere la campagna antimalarica e migliorare le condizioni delle
donne, dei bambini e dei contadini dell'Agro. In
particolare fu promotore della legge che imponeva
la distribuzione gratuita del chinino da parte dello
Stato, "non come opera di beneficenza o carità, ma
come doverosa misura di salute pubblica".
La sua campagna antimalarica si caratterizzò per
essere ad ampio raggio, prendendo in considerazione tutti gli aspetti, da quelli igienici a quelli
culturali, ambientali e climatici. Si preoccupò di
fornire per i bambini del chinino in cioccolatini e
studiò con i suoi studenti il sistema migliore per
distruggere le anofele nelle diverse fasi del loro
sviluppo individuando nei fumi prodotti dalla
combustione della polvere di Zanzolina il rimedio
più efficace.
19
Nel 1899 sposò Anna Fraentzel, che sarà la sua
fedele collaboratrice, impegnata attivamente con
lui nella campagna antimalarica e che proseguirà
l'attività del marito, dopo la morte prematura di lui,
avvenuta nel 1914 a soli 57 anni.
Anna Fraentzel Celli
Quando Anna Fraentzel arrivò a Roma aveva poco
più di venti anni, si era trasferita da poco da Berlino,
dove era nata nel 1878, per fidanzarsi con Angelo
Celli, molto più anziano di lei, e per proseguire i suoi
studi infermieristici. Entrò così a far parte del gruppo di studenti di Marchiafava e Dionisi e insieme ad
altri studenti passava le sue giornate all'Ospedale
Santo Spirito di Roma. Appena sposata, accompagnò
il marito nelle sue esplorazioni nella campagna
romana, dove scoprì le sconvolgenti condizioni di
vita dei lavoratori delle campagne. Fin dal tempo dei
suoi primi contatti, quando visitò le rare scuole rurali sparse nell'Agro (due descrizioni sono riportate
nella pagina a fianco), si rese conto che, accanto alle
pessime condizioni igieniche, alla miseria e alla
fame, anche l'ignoranza e i pregiudizi della popolazione costituivano un ostacolo per la lotta contro la
malaria. Un primo esperimento di aprire delle scuole
festive per le madri e i bambini dell'Agro, condotto
insieme alla Direttrice Scolastica Adele Meneghini,
fallisce in parte anche per l'opposizione del parroco
del luogo all'istruzione femminile.
Fece parte fin dall'inizio del Comitato delle Scuole
per i contadini, insieme al marito, a Sibilla Aleramo
e a Giovanni Cena. Si impegnò senza risparmiarsi
per portare ovunque possibile la scuola vicino ai
20
contadini, per reperire locali e attrezzature, per trovare i maestri volontari, per raccogliere i fondi
necessari a sostenere l'iniziativa.
Con lo scoppio della I Guerra mondiale, lasciò la
Presidenza del Comitato. Nello stesso anno restò
vedova e, dopo un primo momento di disperazione,
si impegnò nuovamente, questa volta occupandosi
della formazione delle infermiere laiche. Nel 1920
ricevette l'incarico da parte della Croce Rossa di
dirigere la profilassi antimalarica a Maccarese (che
continuava ad essere una delle zone malariche peggiori dell'Agro e dove dai tempi di Dionisi nulla
sembrava cambiato. Anzi, nel periodo intermedio,
erano sparite anche le reti metalliche poste a protezione delle finestre delle case dei lavoratori e dell'azienda). L'anno dopo, nel 1921, le venne affidato da
parte del Comitato Romano per l'Assistenza
Antimalarica l'incarico di Ispettrice del personale
ausiliario, e continuò questo impegno per i successivi quindici anni, seguendo le infermiere prima nella
loro formazione, presso la Scuola di Malariologia di
Nettuno, e poi nella loro attività di profilassatrici.
Sibilla Aleramo
Era nata ad Alessandria nel 1876, e con la famiglia
si era trasferita a Civitanova Marche. Venne
costretta a sposare un dipendente del padre, che
aveva abusato di lei e da cui ebbe un figlio. Come
racconta nel suo romanzo più famoso "Una Donna",
il matrimonio fu un fallimento e, dopo aver chiesto
invano al marito la separazione, abbandonò la famiglia, sperando di ottenere in seguito l'affidamento
del figlio, cosa che invece non avvenne mai.
”
La scuola di Castel di Guido
"Come Dio volle arrivammo a Castel di Guido: una solitaria casa di campagna davanti alla quale c'era una
piccola cappella di fronte al camposanto. Attraversammo la chiesa ed entrammo in sagrestia, dove in uno
stretto spazio sedevano cinque ragazzetti e scrivevano, o meglio tentavano di scrivere su un quaderno con
l'inchiostro, come appunto era prescritto nelle scuole di Roma. Lavagna non c'era. Oltre ai banchi, c'era
una strana vecchia cattedra e…una macchina da cucire (…). Dopo qualche istante comparve il maestro che
avevamo mandato a chiamare: un sacerdote piuttosto anziano, dall'aspetto non troppo simpatico, di tipo
contadino, ma pulito, quanto non avevamo supposto vedendo il locale. Si fece una specie di esame ai ragazzetti, i quali, ad eccezione di una bimbetta, non sapevano né leggere né scrivere e, quasi quasi, neppure
tenere tra le piccole dita sporche la penna."
La scuola di Torrimpietra
La scuola era nel Castello, e dopo aver attraversato lunghi corridoi, arrivammo in classe: un grande locale pulito, luminoso, arioso ma…senza maestro e senza alunni. L'Ispettore andò alla ricerca del maestro,
mentre noi, restate in classe, ammiravamo la bella volta del soffitto e l'architettura del Castello.
Improvvisamente ci vedemmo venire davanti il maestro, al cui viso mal si adattava l'abito ecclesiastico. Che
delitto poteva mai aver commesso quell'uomo per essere stato trasferito in questa solitudine? Egli non era
infatti un modesto parroco di campagna come il suo collega di Castel di Guido…quanto agli alunni ce ne
presentò solo un paio: due ragazzetti dai visi scarni ma puliti, che effettivamente sapevano leggere e scrivere, i cui quaderni erano impeccabili. Il maestro teneva anche una specie di registro e sembrava persona
di fine educazione. Mi faceva pena…"
(M.L.Heid, "Uomini che non scompaiono", Sansoni Editore, Firenze 1945, pp. 78-79)
21
Visse per un periodo a Milano, dove venne in contatto con un gruppo di donne borghesi e intellettuali,
impegnate nel miglioramento delle condizioni di vita
delle classi più povere, e, dopo la separazione, si trasferì a Roma dove tentò la carriera letteraria. Qui
conobbe il poeta Giovanni Cena, ed ebbe con lui una
relazione sentimentale forte e intensa che durò quasi
dieci anni. Fu Cena a darle lo pseudonimo di Sibilla
Aleramo, il suo vero nome infatti era Rina Faccio.
Impegnata attivamente in molte attività sociali, fu
fin dall'inizio impegnata nel Comitato delle Scuole
per i Contadini.
Giovanni Cena
Nato in Piemonte da una famiglia modesta, studiò
all'inizio in un Collegio a Torino e poi in Seminario ad
Ivrea. Con molti sacrifici riuscì a continuare gli studi
e si iscrisse alla facoltà di Lettere di Torino.
Apprezzato come poeta e scrittore, venne chiamato a
Roma come redattore capo della rivista letteraria
Nuova Antologia.
Conobbe Sibilla Aleramo, della quale si innamorò
perdutamente; fu lei a fargli conoscere le terribili
condizioni di vita nell'Agro Romano. Con lei, si impegnò nella lotta contro l'analfabetismo tra i contadini
della Campagna romana. Corse anche in soccorso
della popolazione colpita dai terremoti del 1908 in
Calabria e, più tardi, da quello del 1915, in Abruzzo.
Durante la I Guerra Mondiale, si prodigò per i soldati, per i civili e per i feriti, assistendoli e fondando per
loro un giornale di informazione e di cultura: "Il
Piccolissimo", illustrato dal pittore Cambellotti. Morì
a Roma, nel 1917, in seguito a una polmonite.
22
Alessandro Marcucci
Coetaneo di Cambellotti, di cui fu amico, nacque a
Genzano e frequentò l'Istituto tecnico. Lo abbandonò
alla morte del padre per provvedere alla famiglia,
lavorando come contabile presso un ricco proprietario terriero. Prese la Patente di maestro e lavorò per
tre anni per le scuole del Comune di Roma. Tramite
Cambellotti, con il quale amava esplorare la campagna romana, venne in contatto con Cena che gli propose di partecipare all'organizzazione del servizio
scolastico nell'Agro Romano. Da quel momento iniziò un'attività che lo impegnerà fino alla morte,
avvenuta nel 1968, di Direttore delle Scuole per i
Contadini. Seppe creare un modo nuovo di fare
didattica, adatto alle scuole rurali; si occupò di arredamenti e di architettura scolastica, di libri di testo e
della formazione dei maestri, e diede un forte impulso allo sviluppo delle scuole rurali, alle quali dedicò
tutta la vita.
Duilio Cambellotti
Nato a Roma nel 1876 da una famiglia di lavoratori,
imparò dal padre, decoratore e intagliatore del legno,
a conoscere i diversi materiali e dimostrò già da giovanissimo le sue straordinarie doti artistiche. Fu
scultore, decoratore, pittore, incisore, architetto,
ceramista, illustratore, cartellonista, scenografo,
costumista e in tutti i settori ebbe ugualmente successo. Malgrado i suoi molteplici impegni artistici,
lavorò attivamente per le Scuole per i Contadini,
decorando le prime scuole e illustrando i libri di
testo (foto a pag. 84). Insegnò a lungo all'Accademia
di Belle arti. Morì a Roma nel 1960.
Le Scuole Rurali Comunali
Si è detto di come il nuovo Stato Unitario, già a
partire dal 1870, avesse provveduto ad emanare
leggi che affidavano ai Comuni il compito di
garantire l'obbligo scolastico a tutti fino ai 9 anni.
I Comuni però non avevano fondi sufficienti per
l'istituzione di nuove scuole e per il pagamento
dei maestri.
Malgrado gli sforzi compiuti dall'amministrazione comunale sotto il sindaco Nathan, il tasso di
analfabetismo continuava ad essere altissimo: nel
Lazio, Roma inclusa, gli analfabeti erano circa la
metà della popolazione; figurarsi nelle campagne!
Nel 1908, il Comune di Roma, aveva nell'Agro
Romano 27 Scuole rurali: un numero totalmente
insufficiente per le esigenze di una popolazione,
sparsa nelle campagne e spesso stagionale. E
laddove le scuole c'erano, erano del tutto insoddisfacenti, come abbiamo visto dalla descrizioni
di quella di Torrimpietra e di Castel di Guido che
ce ne offre Anna Celli e che abbiamo riportato a
pag. 21.
Nel 1908 l'ispettore Passerini riferisce le condizioni in cui si trovavano nell'a.s. 1906-1908 le
scuole rurali della Campagna romana, segnalando
i molteplici problemi dai quali erano afflitte:
mancanza di locali adeguati, attrezzature e sussidi inesistenti o inadatti; preparazione dei 'maestri'
insufficiente: spesso le lezioni erano svolte dai
parroci, gli unici che nelle lande deserte dell'Agro
avessero una qualche famigliarità con l'alfabeto, a
volte però anch'essi privi persino del titolo ele-
mentare. A queste carenze si aggiungevano le critiche già riportate da Marcucci, riguardanti: la
dislocazione delle scuole - difficilmente raggiungibili e quindi frequentabili alla fine solo dai figli
dei casellanti ferroviari (dove spesso le scuole
erano collocate) o comunque da coloro che potevano raggiungerle a piedi - gli orari - che non
tenevano conto dei lavori dei campi in cui gli
alunni erano impegnati - i programmi stessi totalmente avulsi dalla realtà rurale degli studenti;
l'impreparazione dei maestri ad affrontare le dure
condizioni di vita imposte dall'Agro romano.
Fu anche per questo insieme di ragioni che,
prima, le Scuole ambulanti e festive per i
Contadini e, più tardi l'Ente per le Scuole dei
Contadini, svolsero un ruolo decisivo per colmare
il vuoto lasciato dalle istituzioni pubbliche.
A pag. 38 riportiamo i dati relativi alla scuola
rurale di Maccarese, nella pagina successiva quelli relativi alle scuole rurali delle località più vicine, così come sono riportati da Passerini con riferimento all'a.s. 1906-1907.
Non ci è stato possibile ricostruire con certezza
dove si svolgessero, all'epoca, le lezioni della
prima scuola rurale di Maccarese. Sulla base dei
ricordi di alcuni testimoni abbiamo potuto identificare l'esistenza, per un periodo probabilmente
successivo, di due scuole rurali a Maccarese
(foto a pag. 39.): la prima situata all'interno
delle Idrovore di Maccarese, ora dette di Focene
(funzionante fino agli anni '40), e l'altra sistemata all'interno del Casale dei Torlonia, in località
Lingua d'Oca - Le Vignole.
23
”
Ostia
Scuola classificata. L'insegnamento è impartito da due maestre patentate in due aule scolastiche insufficienti ai bisogni della popolazione. L'arredamento è deficientissimo, i banchi sono di vecchio modello.
Mancano i cessi e l'acqua.
La frazione di Ostia è popolata da una schiera di pionieri, che dalla nativa Romagna sono venuti nell'Agro
per la redenzione della terra, non curanti delle aspre fatiche, e sfidando le insidie mortali della malaria
(a.s.1906-07: Iscritti 35).
Castel di Guido
Scuola non classificata. L'aula nella quale si insegna serve anche da sala da ricevimento, da sala da pranzo e da sacrestia. L'insegnamento è impartito dal parroco che non ha il diploma elementare. Non c'è traccia di arredamento e di materiale didattico (a.s. 1906-1907: Iscritti 28).
Torrimpietra
Scuola mista non classificata, retta dal parroco, non patentato. L'aula è insalubre, manca l'arredamento; i
banchi sono a quattro posti. Non s'insegnano i lavori domestici (a.s. 1906-07: Iscritti 21).
Palidoro
Scuola non classificata, retta dal parroco, che è sfornito di diploma di abilitazione all'insegnamento. Le
lezioni si fanno in chiesa fra i banchi delle orazioni. Manca tutto il necessario. (a.s. 1906-07: Iscritti 28).
Fiumicino
Scuola classificata. Si fa scuola in un casamento di proprietà comunale e si impartisce l'insegnamento,
nella I mista, da una maestra; nella II mista, da un maestro e, nelle III e IV miste da una maestra. Le aule
sono insufficienti ai bisogno della popolazione scolastica; l'arredamento è scadente.
(da P. Passerini, Le scuole rurali di Roma, Tipografia Pontificia dell'Istituto Pio XI, Roma, 1908).
24
Il Villaggio San Giorgio
Si è già accennato come a Maccarese nei vent'anni
intercorsi tra l'arrivo di Antonio Dionisi, nel 1899
e quello di Anna Celli nel 1920 niente pareva cambiato. Ancora cinque anni e sarebbe iniziata una
trasformazione così radicale del territorio da renderlo irriconoscibile.
L a Bo n i f i c a in tegrale
Sulla spinta delle maggiori richieste di prodotti
agricoli da parte della crescente popolazione di
Roma e della richiesta di terre da lavorare da
parte dei molti agricoltori disoccupati delle regioni del nord, il bonificamene delle terre vicino alla
capitale ebbe un impulso che sfociò, nell'aprile
del 1925, con la costituzione della "Maccarese,
Società Anonima di Bonifiche", creata con lo
scopo di eseguire la bonifica idraulica, igienica e
agraria della tenuta "Maccarese San Giorgio". I
lavori, imponenti, iniziarono nel dicembre di
quello stesso anno. Nei tre anni successivi, vennero realizzate opere ingenti: di prosciugamento
delle paludi, di livellamento e di sistemazione dei
terreni, di creazione di una rete di canali e di
impianti di sollevamento delle acque; vennero
costruite strade massicciate per 80 chilometri, fu
arginato l'Arrone. Vennero inoltre costruite le abitazioni per gli agricoltori, seguendo un modello di
insediamento sparso tipico delle campagna lombarda, con i 'centri' organizzati in unità produttive
autonome: ciascuna con stalle per le mucche e i
cavalli, i silos, il fontanile, il forno oltre agli
appartamenti per i lavoratori.
La popolazione, immigrata soprattutto dal Veneto
e dalla Lombardia, arrivò nel 1928 quasi alle 5000
unità.
Per i bambini in età scolare, prima della bonifica,
le prime lezioni scolastiche si erano tenute nella
Casa parrocchiale. Di lì le scuole erano passate
poi nel Castello di Maccarese, intorno al quale
andavano sorgendo le nuove abitazioni del
Villaggio San Giorgio (foto a pag. 42).
La sc uola Maria Monte sso r i
Per l'accresciuto numero degli scolari venne
costruita la nuova Scuola nel locale oggi chiamato degli Ex Combattenti. Non disponiamo di
foto che ne riproducono l'interno, ma dalla fotografia di copertina possiamo dedurre che, come
quasi tutte le scuole rurali, disponeva di un orto
dove gli alunni potevano condurre delle attività
pratiche.
Alla pagina seguente riportiamo le parole con le
quali si dà notizia della istituzione su iniziativa
della "Maccarese che diede i locali, della prima
scuola elementare rurale nel Villaggio San
Giorgio". La scuola venne intitolata a Maria
Montessori - così come, per l'asilo infantile, si
precisa che sarà dotato di materiale per il metodo Montessori -: una scelta significativa e non
certo casuale. La seconda testimonianza riportata è del maestro Marcucci che motiva la bontà
della scelta del metodo Montessori per i bambini
delle scuole rurali.
25
”
Le prime scuole del Villaggio San Giorgio 1928-29
La Società Maccarese, oltre all'Ambulatorio, la Colonia Marina e il Campo solare per i bambini, ha anche
attuato o iniziato altre provvidenze sociali, con funzione educativa e igienica. Le principali sono:
1)
Essa stipendia una levatrice, la quale esercita gratuitamente le sue funzioni
2)
Ha ceduto locali all'Opera Maternità e Infanzia ove questa benemerita istituzione ha impiantato
l'ambulatorio per le madri e i bambini
3)
(…)
4)
Ha posto a disposizione del Governatorato un locale costruito appositamente per le scuole
5)
Ha impiantato un asilo infantile con materiale per il metodo Montessori
( "La Bonifica Integrale di Maccarese" 1930-VIII, p. 95.)
Il metodo Montessori
"Il rendimento scolastico di queste sezioni (montessoriane) è superiore a quello delle altre senza perciò che
la spesa ne sia maggiore come comunemente si crede, allorchè si parla di metodo Montessori, ritenendolo applicabile solo ai bambini di città e di famiglie agiate. Chi passa qualche ora presso i bimbetti delle
case dei bambini… resta ammirato dalla grazia spontanea, dalla gioconda attività, dalle abitudini di ordine, precisione, pulizia e buon senso di quei bambini figli tutti di poverissima gente rurale… Dopo due o tre
anni da che una Casa dei bambini funziona siffattamente non si sentono più genitori deridere o lamentare
le esigenze di pulizia della maestra e dell'alunno e consegnare questo a quella consigliando o imponendo
pene corporali in caso di vivacità o di disattenzione o di disobbedienza. Anche allo spirito del contadino,
il bambino appare allora un essere a cui per debito e diritto di sangue non si debba solo il cibo e il tetto e
l'affetto cieco e più ancora il castigo, ma anzitutto il rispetto… Questa nuova comprensione dello spirito
del fanciullo costituisce forse il più gran passo sulla via della civiltà che il contadino possa compiere, perché, senza estraniarlo dalla sua vita, dal suo mondo, gli fa trovare nelle stesse pareti domestiche una
ragione di elevazione morale."
(Relazione di A. Marcucci (1913.1928) p. 23, citato da G.Alatri, "Dal chinino all'alfabeto", 2000.)
26
D u ra n t e i l regim e fascista
In seguito alla Riforma scolastica del 1923, si
cominciò a provvedere in modo più consistente
alla costruzione delle scuole rurali. Le scuole passarono gradualmente alle dipendenze dell'Opera
Nazionale Balilla, che impresse loro un carattere
più militaresco. I bambini rurali, o meglio i
"Balilla rurali" dovettero in parte rinunciare alla
loro spontaneità ma poterono a volte dimenticare
la povertà che da sempre accompagnava la loro
esistenza, beneficiando di una buona assistenza
sanitaria e ricevendo - anche in occasione della
festa della Befana fascista (foto a pag. 44 e a
pag. 45) - doni utili come scarpe, camicie, materiale scolastico o altro.
La scuola, inoltre, continuò a svolgere un ruolo
importante nella campagna antimalarica: non
solo, per una generica formazione all'igiene (che
allora era anche una materia scolastica, (foto
pag. 88) ma per il coinvolgimento attivo degli
insegnanti e degli alunni nella lotta contro la
malaria.
Mentre le infermiere e i medici erano costretti ad
andare a cercare i malati per poterli curare, gli
insegnanti avevano il compito di 'controllare' la
popolazione scolastica quotidianamente e, inoltre,
di stabilire un rapporto di fiducia con le famiglie.
I maestri costituirono quindi un anello importante
nella catena della campagna antimalarica.
Il coinvolgimento degli alunni prevedeva, per
esempio, l'immissione delle gambusie come
mezzo per distruggere le larve di anofele nei
canali (foto a pag. 46). Questi pesci infatti, divo-
ratori di larve di zanzare, si erano rivelati molto
utili per distruggere le zanzare. In Italia vennero
introdotti da G.B. Grassi nel 1922, che li fece
immettere nel lago di Porto, presso Fiumicino.
Vennero utilizzati anche a Maccarese nei canali.
Gli studenti poco più grandi erano inoltre coinvolti nella somministrazione del chinino e nel
prelievo del sangue (foto a pag. 47).
Maccarese del resto si distinse per essere una
delle zone più estese dove fu possibile sferrare un
attacco frontale alla malaria, ricorrendo contemporaneamente a tutti i mezzi allora noti: protezione con le reti metalliche delle finestre e delle
porte; disinfestazione periodica delle abitazioni;
gambusiamento dei canali e delle acque stagnanti;
distruzione con il petrolio o il verde di Parigi
degli eventuali focolai anofelici; controllo sanitario giornaliero sulla popolazione, somministrazione obbligatoria e gratuita del chinino, persino la
caccia manuale alle ibernanti, affidata ai bambini
(che ricevevano 5 centesimi per zanzara). La cosa
fu possibile grazie al fatto che si trattava di una
unica azienda che poteva imporre a tutti i dipendenti il rispetto di procedure precise.
Vennero anche organizzate per i bambini delle
Colonie: nel 1927, per i bambini dai 3 ai 14 anni,
la Colonia infantile antimalarica e autoctona e nel
1928, per bambini fra i 4 e i 1 0 a n n i, il Ca mp o
sola r e ma r ino antimalarico e autoctono.
L'insieme di queste iniziative contribuì a ridurre
drasticamente i casi di malaria, anche se per una
sconfitta definitiva bisognerà attendere il secondo
dopoguerra.
27
Marchiafava e le altre
Nel 1931 viene costruita su Viale Castel San Giorgio
la nuova scuola della "Borgata rurale" di Maccarese,
Si tratta di un vasto complesso, circondato da un
grande giardino e che comprende, oltre alla scuola
elementare, l'asilo infantile e un edificio adibito agli
alloggi per gli insegnanti. Le aule sono ampie e
luminose, i corridoi spaziosi. Al piano terra c'erano
le docce per gli alunni e le cucine per la refezione.
In occasione del trentennale della bonifica, la scuola
pubblicò un opuscolo nel quale così si raccontava:
"… là dove un tempo era il regno dei cacciatori di
folaghe e dei pescatori d'anguille, iniziano la loro
vita lunghi filari di viti, di peschi, di piante ornamentali, di fiori. Come una gigantesca venatura i
canali si irradiano ora apportatori di vita, in una
rete di 465 km.(…). Bestiame di razza selezionata
viene allevato e prodotto nelle stalle costruite secondo i metodi più razionali e moderni. Le strade percorrono tutto il comprensorio per un'estensione di
170 km, mentre le colture specializzate si affermano
sempre più.
Il continuo accrescersi della popolazione impone
così la costruzione di nuove scuole: la prima sorge
nel 1931 lungo il Viale S. Giorgio e viene intitolata
all'illustre clinico Ettore Marchiafava"
(da VI Circolo Didattico "Maccarese", a.s. 1958-59)
La scuola venne dedicata ad Ettore Marchiafava
(1847-1935) al quale abbiamo già accennato (foto a
pag. 50). Professore di Anatomia patologica e di
28
Clinica
Medica
all'Università
di
Roma;
Vicepresidente della Accademia dei Lincei, Senatore
del Regno, fece importanti studi sulla malaria - individuando il ciclo della terzana maligna - che gli conferirono la dignità di capogruppo della grande scuola romana di malariologa, della quale fecero parte
Angelo Celli, Antonio Dionisi, e Gian Battista
Grassi.
Fino agli anni del secondo conflitto mondiale la
Scuola Marchiafava restò la sola scuola elementare
di Maccarese. Durante l'occupazione venne requisita dal comando tedesco, divenendone per un certo
periodo la sede. Fu a quell'epoca che i terreni intorno vennero nuovamente invasi dalle acque: i tedeschi infatti bloccarono le idrovore per ostacolare un
eventuale sbarco alleato sul litorale.
Dopo la guerra, la popolazione di Maccarese raggiunse le 7-8 mila persone: molti erano infatti gli
sfollati che vi avevano trovato riparo. Nuovamente,
vi fu una recrudescenza della malaria che venne
però definitivamente sconfitta grazie all'uso massiccio del DDT.
Non siamo riuscite ad ottenere dati certi sulla
costruzione delle altre scuole elementari di
Maccarese (anche perché essendo delle succursali,
l'Archivio non era a Maccarese). Da una pubblicazione scientifica, risulta che nel 1958 a Maccarese
ci sono 4 scuole elementari e una scuola di avviamento al lavoro.
Le 4 scuole sono: la "E. Marchiafava", le due nuove
costruzioni dedicate a Giovanni Cena, quella situata
alla fine di Viale Maria (foto a pag. 53), e ad Antonio
Dionisi quella di Viale di Porto (foto a pag. 56).
La quarta scuola è quella di Viale Campo Salino
(foto a pag. 54 e 55), che aveva trovato posto in
un casale di proprietà della "Maccarese" e che, a
detta di alcune testimonianze, era in origine un
dormitorio per i lavoratori dei campi poi riadattato a scuola.
In tempi successivi venne costruita una quinta
scuola elementare, quella di Stazione per la quale,
pur essendo stata per un periodo sede della
Direzione del Circolo Didattico, non siamo riuscite a reperire dalle famiglie degli alunni nessuna
fotografia.
Tra il 1987 e il 1988, le due scuole elementari
intitolate a "G. Cena" e ad "A. Dionisi" vennero
chiuse. I pochi alunni che frequentavano la scuola Giovanni Cena (e quelli più numerosi che frequentavano la scuola di Stazione) vennero trasferiti alla Scuola elementare "E. Marchiafava"- che
da allora è l'unica scuola elementare di Maccarese
- mentre quelli della scuola Dionisi furono trasferiti alla scuola San Giusto di Fregene. Fu una
decisione sofferta, - della quale si fece promotrice l'allora Direttrice Ines Cerri - ma necessaria
per il calo della natalità. In seguito a questi cambiamenti i locali delle scuole elementari cambiarono destinazione e nome: attualmente i locali
della scuola "G. Cena" ospitano una sezione
dell'Istituto Agrario; mentre la scuola "A.
Dionisi" è la sede dell'Istituto “P. Baffi”. La scuola di Stazione è invece sede del Liceo “Leonardo
da Vinci”.
Riferimenti bibliografici
A come alfabeto…Z come zanzara. Analfabetismo e malaria
nella Campagna romana. Fratelli Palombi Editori, Roma, 1998.
La bonifica integrale di Maccarese, Roma, 1930-VIII
VI Circolo Didattico "Maccarese", Cenni storici sul Maccarese,
a illustrazione della Mostra Didattica, A.S. 1958-59 Roma.
Alatri Giovanna, "Anna Fraentzel Celli (1878-1958) in
Prassitologia , 1998 (n. 40), pp. 377-421.
Alatri Giovanna, Dal Chinino all'Alfabeto, Fratelli Palombi
Editori, Roma, 2000.
Alatri Giovanna, Ciacciarelli Maria Rosaria (a cura di) La scuola nell'Agro Romano e nell'Agro Pontino dall'Unità d'Italia alle
"città nuove". Poligraf Aprilia 1995.
Celli Anna, "Cenni sulla vita della contadina e dei bambini
nell'Agro Romano", in Unione Femminile, anno I, n. 10, ottobre
1901.
Della Valle Carlo, La Bonifica di Maccarese. Centro studi di
geografia economica del CNR di Napoli. Estratto dalle
“Memorie di Geografia Economica”, Anno VIII, gennaio-giugno 1958, vol. XIV.
Dionisi Antonio, La malaria di Maccarese. Dal marzo 1889 al
febbraio 1900. Società Editrice Dante Alighieri, Roma, 1901.
Heid M.L., Uomini che non scompaiono, Sansoni Editore,
Firenze, 1945.
Marcucci Alessandro, “Le scuole serali e festive nell'Agro
Romano. Istituite dalla Sezione Romana dell'Unione
Femminile Nazionale”. Relazione del Direttore delle
Scuole. Anno 1908-1909.
Marcucci Alessandro, “Le Scuole per i Contadini dell'Agro
romano e delle Paludi Pontine, Relazione (1913-1928)”.
Passerini Pacifico, Le scuole rurali di Roma, Tipografia
Pontificia dell'Istituto Pio XI, Roma, 1908.
29
Le origini
E.R.Franz, "Le paludi di Maccarese"
31
Le origini
32
Scuole per i contadini. Lezione all'aperto con la cattedra-armadio
Le origini
La cattedra-armadio chiusa ed il maestro Marcucci con i suoi allievi
33
Le origini
I Protagonisti
Angelo ed Anna Celli
Alessandro Marcucci
Duilio Cambellotti
I Protagonisti
Sibilla Aleramo
34
Giovanni Cena
Le origini
Bambine in una classe delle scuole per i contadini
35
Le origini
36
La capanna scuola di Colle di Fuori nell'Agro Romano
Le origini
Scuola per i contadini. Lezione in una capanna.
37
Le origini
Maccarese
Scuola non classificata, retta dal parroco, il quale
è sfornito del diploma di abilitazione all'insegnamento. Le lezioni si fanno in un'aula insufficiente ai bisogni della popolazione. L'arredamento è
cattivo, i banchi di vecchio modello; mancano i
cessi e l'acqua.
Da Pacifico Passerini, Le scuole rurali di Roma,
Tipografia Pontificia dell'Istituto Pio IX, 1908
Iscritti dell'a.s. 1906-1907
Classe I Classe II Classe III
M F
M F
M F
Iscritti
38
TOT
M/F
4
4
3
3
3
1
18
Presenti a fine anno 3
1
3
2
2
1
12
Promossi
1
1
2
2
1
7
-
Particolare del Castello. Mappe. Archivio di Stato di Roma. Catasto Alessandrino
Le origini
1
Prime scuole rurali a Maccarese:
1. Scuola all'interno dell'impianto delle Idrovore di Maccarese, oggi Focene;
2. Scuola nell' ex tenuta dei Principi Torlonia. Lingua d'Oca. Le Vignole.
2
39
Il Villaggio San Giorgio
I primi insediamenti a Maccarese dopo la bonifica
41
Il Villaggio San Giorgio
42
Foto e piantina del Villaggio San Giorgio
Il Villaggio San Giorgio
Classe II della Scuola rurale Maria Montessori. a.s.1929-30 Locale degli Ex-combattenti.
43
Il Villaggio San Giorgio
44
Festa della befana fascista. Bambini vestiti da Balilla ricevono dei regali.
Il Villaggio San Giorgio
Festa della Befana fascista all’interno del ristorante San Giorgio
45
Il Villaggio San Giorgio
46
Balilla raccolgono le gambusie, i pesci che mangiano le larve delle zanzare
Il Villaggio San Giorgio
Balilla fanno il prelievo del sangue
47
M a r c h i a f a va e l e a l t r e
La scuola elementare "Ettore Marchiafava"
49
Marchiafav a e le altre
50
Dottor Ettore Marchiafava
Marchiafav a e le altre
ieri...
ieri...
oggi...
oggi...
La Scuola elementare Ettore Marchiafava nel 1931, in alto, e nel 2005 in basso
51
Marchiafav a e le altre
52
L'alloggio insegnanti della Scuola Ettore Marchiafava
Marchiafav a e le altre
1
1. Giovanni Cena.
2. La Scuola elementare Giovanni Cena, attualmente sede dell' Istituto Agrario sezione distaccata
del liceo “Leonardo da Vinci”.
2
53
Marchiafav a e le altre
54
Gruppo di alunni con la loro maestra.Sullo sfondo la Scuola elementare di Campo Salino .
Marchiafav a e le altre
La Scuola di Campo Salino funzionante fino alla metà degli anni '70 e ora abbandonata.
55
Marchiafav a e le altre
1
56
1. Dott. Antonio Dionisi
2. Scuola elementare dedicata ad Antonio Dionisi. Attualmente é sede dell'Istituto Superiore “Paolo Baffi” .
2
I momenti, le persone, le cose
Particolare della cattedra-armadio
57
I momenti, le persone, le cose
58
La giornata scolastica. L'alzabandiera alla Scuola G.Cena.
I momenti, le persone, le cose
1
1. Lezione in classe alla Scuola Marchiafava e 2. alla Scuola di Torrimpietra
2
59
I momenti, le persone, le cose
60
La ricreazione. Gruppo maschile con pallone alla Scuola G. Cena.
I momenti, le persone, le cose
L'uscita alla Scuola A.Dionisi nel 1978.
61
I momenti, le persone, le cose
62
Le occasioni: visita del Vescovo alla Scuola G.Cena.
I momenti, le persone, le cose
1
1. Natale alla scuola Marchiafava, nel 1956-57.
2. Presepe vivente alla Scuola di Campo Salino, nel 1960.
2
63
I momenti, le persone, le cose
64
Carnevale alla Scuola G. Cena
I momenti, le persone, le cose
Bidelle in posa davanti a una Mostra della Scuola G.Cena. 1958-59.
65
I momenti, le persone, le cose
66
Classe femminile con l'insegnante Carmela Gorla Cavaliere. Scuola E. Marchiafava, anno 1949.
I momenti, le persone, le cose
1
1. Classe mista. Scuola di Torrimpietra, anno 1948.
2. Classe mista con maestro. Scuola A. Dionisi.
2
67
I momenti, le persone, le cose
68
Classe femminile. Scuola G. Cena anno 1947.
I momenti, le persone, le cose
Classe maschile con maestra e bidella. Scuola E. Marchiafava anni 1938-39.
69
I momenti, le persone, le cose
70
Gli adulti: la cuoca della Scuola G. Cena.
I momenti, le persone, le cose
Gli adulti: insegnanti della Scuola E. Marchiafava, anni 1948-49.
71
I momenti, le persone, le cose
72
Gli adulti: bidelli intorno al busto di G. Cena
I momenti, le persone, le cose
Scuola dell'infanzia G. Cena anno 1962
73
I momenti, le persone, le cose
74
Scuola dell'infanzia: giochi e cestini
I momenti, le persone, le cose
Scuola dell'infanzia G. Cena
75
I momenti, le persone, le cose
76
Scuola dell'infanzia di Campo Salino
I momenti, le persone, le cose
Le colonie: la corriera
77
I momenti, le persone, le cose
78
Le colonie: altalena sulla spiaggia
I momenti, le persone, le cose
Le colonie: gruppo maschile
79
I momenti, le persone, le cose
80
Un alfabetiere degli anni '50 dei mestieri
I momenti, le persone, le cose
Un alfabetiere degli anni '50 dei mestieri
81
I momenti, le persone, le cose
82
Un alfabetiere degli anni '50 dei mestieri.
I momenti, le persone, le cose
Pagelle: Certificati di studio a.s. 1934-35 e a.s. 1936-37
83
I momenti, le persone, le cose
84
Una pagina del Sillabario per le Scuole per i contadini, illustrato da Duilio Cambellotti
I momenti, le persone, le cose
Quaderni dedicati alle conquiste africane dell'Italia durante il fascismo
85
I momenti, le persone, le cose
86
Le Scuole ritrovate, La bonifica di Maccarese dipinto collocato nel Castello di Maccarese
I momenti, le persone, le cose
87
88
Percorsi didattici
Il materiale fotografico pubblicato in questo volume si
presta ad essere utilizzato didatticamente in più modi.
A seconda dell'età degli alunni e degli obiettivi che
l'insegnante si propone, possono essere scelte alcune
fotografie, per esempio quelle dell'ultima sezione,
selezionate e raccolte in modo da facilitare e favorire
la presa di coscienza di alcune permanenze e di alcune
differenze intervenute nel tempo (negli arredi, negli
abbigliamenti, nei sussidi, negli ambienti, nelle attività, ecc.) nel modo di fare scuola o nella giornata scolastica (i momenti, le occasioni).
Specialmente con i bambini più piccoli può essere utile
limitare l'attenzione a pochi aspetti, selezionando solo
poche fotografie per volta sulle quali impostare un'analisi più approfondita: in una fase iniziale, infatti, l'approccio al passato passa soprattutto attraverso la scoperta delle differenze rispetto all'esperienza vissuta,
che, a questa età, costituisce il solo termine di paragone sul quale misurare e confrontare tutte le altre
situazioni.
Con i bambini più grandi, questa "caccia alle differenze" può essere affidata a gruppetti di alunni, o a singoli, cui affidare il compito di interrogare un certo numero di fotografie allo scopo di ricostruire un aspetto, stabilito sulla base di una conversazione precedente su
"quello che vogliamo sapere".
Un altro possibile percorso è quello che intreccia storia
e geografia e si propone di indagare i mutamenti che si
sono verificati nell'ambiente. In questo caso, la doman-
da che guida l'indagine riguarda i cambiamenti subiti
dagli edifici e dall'organizzazione degli spazi esterni ed
è finalizzata a ricostruire l'ambiente "com'era". Utili
per questo obiettivo sono le fotografie della seconda e
della terza sezione, quelle relative alla prima scuola del
Villaggio San Giorgio (il confronto tra la foto e la piantina che permette di scoprire gli edifici più antichi e la
collocazione originaria del ponte, allora, situato in corrispondenza della "piazzetta"); le foto della scuola
'Marchiafava" e quelle relative alle tre scuole Cena,
Campo Salino e Dionisi (che evidenziano i cambiamenti negli edifici e nella vegetazione, oltre che negli
utilizzi attuali).
Un percorso di indagine più propriamente storica è
quello teso a ricostruire una storia della scuola nel territorio di Maccarese, valido soprattutto per gli alunni
più grandi in quanto si propone l'obiettivo più complesso di risalire alle ragioni delle scelte compiute in
passato: per esempio, quella di fare scuola utilizzando
una "cattedra-armadio" ambulante, oppure - per i periodi meno lontani - di provvedere alla costruzione di
numerosi edifici scolastici. A questo scopo le fotografie
raccolte nella prima sezione si rivelano certamente
molto significative perché documentano un modo di
"fare scuola" sufficientemente diverso da quello attuale
(i locali di fortuna in cui si svolgono le lezioni - quando esse non si fanno addirittura all'aperto - le 'classi'
eterogenee per età, i visi smunti e le povertà dell'abbigliamento, la mancanza dei sussidi, ecc.), da suscitare
domande e curiosità su quelle realtà del passato, e motivando così una ricerca più propriamente 'storica'. Un
caso particolare di indagine può essere condotta a
partire dall'alfabetiere degli anni '50, dalla cui analisi
89
è possibile ricostruire i mestieri dell'epoca, ormai quasi
tutti scomparsi.
Le fotografie della seconda sezione relativa al Villaggio
San Giorgio consentono invece di stabilire un facile collegamento tra la storia locale e le vicende della storia
nazionale. Alcune di queste foto rinviano infatti chiaramente al periodo del fascismo - la data espressa anche
secondo l'era fascista, nella foto della scuola
M.Montessori, le divise da piccoli Balilla o le fotografie
del Re e del Duce appese alla parete del ristorante in
occasione della festa della Befana fascista - e consentono, da un lato, di contestualizzare temporalmente gli
avvenimenti della storia locale e, dall'altro di cogliere
sul piano locale gli effetti di scelte compiute dal governo centrale.
Infine, per i caratteri propri della storia del territorio di
Maccarese, è possibile pensare ad un percorso di indagine storica che mostri come due serie di fenomeni, o,
se vogliamo come due storie 'tematiche' - quella della
scuola, da un lato, e quella della medicina, con la campagna antimalarica, dall'altro - possano intrecciarsi e
richiedere, per essere comprese, di richiamarsi una
all'altra. Si tratta, in questo caso, di costruire una competenza storica più complessa, che riguarda sicuramente i ragazzi più grandi, ma che può essere avviata più
facilmente se il punto di partenza è dato da una familiarità con la storia del proprio territorio, coltivata fin da
piccoli.
Pur nella loro diversità, questi percorsi didattici hanno
però degli aspetti comuni, che, al di là dei differenti
obiettivi e dell'età degli alunni, sono impliciti nell'utilizzazione didattica che proponiamo. Il primo di questi
aspetti comuni è costituito dal fatto che ad essere pro-
90
poste sono delle fotografie, con tutti i problemi che questo tipo di fonte solleva nell'indagine storica.
Il secondo carattere comune è rappresentato dal tipo di
didattica che vogliamo sostenere e che può essere definita con il termine di "didattica di laboratorio".
Questa modalità di apprendimento storico richiama un
terzo aspetto comune: quello relativo al ruolo che in
questi contesti di apprendimento attivo svolgono le preconoscenze degli allievi e quindi all'importanza di trovare modi e contesti adatti a farle emergere e a sollecitarne il cambiamento.
Le fotografie come fonti storiche
Ci sono molti modi di usare le fotografie in relazione al
passato. Possiamo usarle come supporto al ricordo,
come aiuto per ricordare situazioni, persone, eventi
emozioni del passato. E' una modalità che, in classe,
possiamo utilizzare per aiutare un testimone a raccontare la sua esperienza.
Come abbiamo già visto a proposito della foto della
scuola Marchiafava, possiamo confrontare due fotografie che rappresentano il medesimo soggetto ma sono
state scattate in periodi diversi: in questo caso ad emergere sono le differenze dovute al tempo.
Possiamo invece utilizzare una serie di fotografie per
ricostruire lo sviluppo di un fenomeno nel tempo (per
esempio come sono cambiati i banchi nel corso di un
secolo) o per fondare delle generalizzazioni relative ad
un aspetto che ci interessa (per esempio, dalle foto di
gruppi di alunni possiamo ricavare la numerosità di una
classe in un certo periodo, o l'abitudine di formare classi solo maschile o solo femminili, o, ancora l'uso del
grembiule, ecc).
Possiamo analizzare una sola fotografia utilizzandola
come fonte per confermare delle ipotesi che i bambini
hanno fatto e per ricavare dati e informazioni, oppure
come vedremo tra poco, possiamo introdurla in fase di
avvio dell'indagine, per aiutare gli alunni a identificare
problemi e domande da rivolgere al passato.
Per aiutare i bambini può essere molto utile presentare
la o le fotografie su cui si intende lavorare accompagnandola con una "consegna di lavoro" scritta, che
possa orientare e guidare il loro lavoro di osservazione
e di analisi. La consegna può consistere in un breve questionario, in cui i bambini devono limitarsi ad apporre
una crocetta accanto alla voce giusta, oppure può proporre delle domande più ampie, che non prevedono una
sola risposta corretta, ma che servono ad attirare l'attenzione su un particolare o a sollecitare un ragionamento
o una interpretazione complessiva.
Le fotografie infatti quando vengono usate nella ricerca
storica presentano diversi problemi, o meglio richiedono di farsi carico delle questioni che ogni fonte pone
allo storico: la questione dell'autenticità (questa fotografia è "vera"? rappresenta effettivamente la realtà com'era o è stata manipolata?), quella più complessa della sua
intenzionalità (perché è stata scattata, qual'era l'intenzione del suo autore, come questa intenzione ha modificato le persone riprese?) e della sua rappresentatività
(quanto è significativa la foto che abbiamo di fronte
rispetto al fenomeno che stiamo studiando?).
Se la questione dell'autenticità di solito a scuola non è
rilevante perché nel proporre una certa foto agli alunni,
gli insegnanti implicitamente garantiscono che essa sia
effettivamente quello che sembra (semmai il problema
delle foto qui pubblicate è che non è sempre stato possi-
bile attribuire una data e un luogo certi), l'intenzionalità
delle fotografie e la loro rappresentatività sono questioni di cui tener conto anche nella didattica perché sono
aspetti che interferiscono con il processo di interpretazione.
Per avviare gli alunni a tener conto di questi aspetti, i
bambini delle elementari possono essere aiutati accompagnando le fotografie da una scheda come quella
seguente, le cui domande tendono a far emergere queste
dimensioni.
SCHEDA
Incolla qui copia della fotografia
1.
2.
3.
4.
5.
Questa fotografia è stata scattata nel ..........
Chi sono secondo voi le persone
fotografate ........................................
Secondo voi si sono messe in posa? ...........
e perché? .....................................................
Chi può avere scattato la fotografia? ..........
Secondo voi, per quale occasione o per
quale scopo è stata scattata? ......................
91
L'ostacolo più significativo nell'uso delle fotografie è però dovuto proprio alla loro natura 'visiva',
esse richiedono infatti di essere "messe in parole"
per poter essere usate come fonti da cui ricavare
informazioni. I bambini quindi devono avere l'occasione di verbalizzare ciò che vedono e che spesso coincide con ciò che "riconoscono" alla luce
delle conoscenze pregresse. Indicazioni precise da
parte dell'insegnante di cosa osservare e di come
usare la fonte sono quindi un aiuto indispensabile
per imparare insieme agli altri a decifrare ciò che
"si vede". Ma ancora più importante è consentire ai
bambini di parlare liberamente, lavorando magari
in piccolo gruppo, in modo che ciascuno possa
confrontare le proprie interpretazioni con quelle
degli altri e sia possibile arrivare alla costruzione
di un sapere condiviso.
Le ipotesi dei bambini
Quando abbiamo pensato di raccogliere il materiale fotografico e documentario raccolto in questo
volume lo abbiamo fatto per sostenere i bambini e
gli insegnanti a fare 'storia' del territorio, cioè a
coinvolgere i bambini in un modo di imparare la
storia che li faccia partecipare attivamente: solo
così infatti potranno appropriarsi della propria storia e potranno diventare consapevoli degli strumenti usati per ricostruirla. Perché questo avvenga non basta però disporre di materiali; è anche
necessario organizzare un tipo di attività in cui essi
possano essere i protagonisti del loro apprendimento, imparando a porre domande sempre più
significative al passato e a mettere in questione i
92
propri pregiudizi e le proprie pre-conoscenze per
acquisirne di nuove e più adeguate. E' necessario
cioé coinvolgerli in attività di 'laboratorio' storico,
e lavorare a partire da quello che già conoscono.
Un esempio delle difficoltà che i bambini possono
incontrare nel leggere una fotografia è dato dal
caso seguente, in cui un piccolo gruppo di alunni di
IV elementare cercano di interpretare la fotografia
della cattedra-armadio di pag. 32.
Nella sequenza che riportiamo qui si fronteggiano
due ipotesi: la prima che, basandosi sugli elementi
della cattedra-armadio, identifica la situazione correttamente come un 'fare scuola', la seconda che
basandosi sulle età diverse delle persone fotografate identifica il gruppo come 'una famiglia':
Lucia: vedi la cartina dell'Italia?
Elena: e infatti ce ne hanno più loro che noi!
Lucia: comunque stanno in campagna
Simona: e allora vuol dire che c'avevano le scuole
all'aperto, studiavano all'aperto insomma
Gianna: no io dico che questa era una famiglia.
Lucia: poi noi diciamo, poi discutiamo se…
Gianna: era una famiglia, loro erano una famiglia,
era molto povera e andavano a pesca' (indica le
foglie in alto che l'inquadratura tagliata ha reso
simili a pesci)… i bambini più grandi studiavano
poco perché andavano a lavorare.
E' chiaro che in un caso del genere è importante
che l'interpretazione di Gianna venga discussa e
confutata, ma è altrettanto importante che essa
abbia avuto modo di emergere e di essere presa in
considerazione dagli altri. Altri gruppi che hanno analizzato la medesima fotografia hanno riconosciuto nei
diversi elementi rappresentati gli stessi che caratterizzano la propria esperienza di scolari (la lavagna, la
cartina, la cifra 11 che "forse indica il numero di bambini presenti all'appello", ma anche nell'oscurità della
parte sottostante alla cattedra "vedono" un "pallone
che serviva per la ricreazione". Ciascuna di queste
affermazioni rischia l'anacronismo e richiede di essere confermata sulla base di altre fonti. Anche per questo, nell'introduzione storica, abbiamo voluto riportare alcune testimonianze scritte che forniscono elementi indispensabili per conoscere il contesto entro
cui collocare le singole fotografie. La storia, del resto,
è una disciplina che predilige avvalersi delle testimonianze scritte, le sole che ricorrendo alla parola sono
in grado di riferirci i pensieri, i sentimenti, i desideri
di coloro che quella storia hanno vissuto.
Un modo diverso di dare spazio alle conoscenze pregresse dei bambini, che - come abbiamo detto - è un'operazione importante tanto più nel caso delle fonti
visive, è esemplificato nell'esperienza seguente realizzata in una classe IV, dopo aver osservato attentamente la fotografia di pag. 43 della prima scuola di
Maccarese. In preparazione dell'intervista al
signor Vergnani - il bambino nella foto accanto
alla maestra - sono state formulate moltissime
domande che hanno richiesto ulteriori momenti di
lavoro per confrontarle, eliminare quelle simili, tematizzarle ed arrivare ad una stesura definitiva da sottoporre al testimone. Ecco nello schema qui di seguito
sintetizzate le fasi dell'attività.
Preparazione dell'Intervista al signor Vergnani
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Conversazione libera "Cosa vogliamo sapere"
(definite 45 domande)
Elaborazione scritta individuale "Domande da
formulare al signor Vergnani (112 domande)
Discussione finalizzata a tematizzare l'intervista
(8 temi)
Ripartizione delle domande e attribuzione ai sottotemi individuati
Discussione finalizzata a identificare le domande più
significative: 28 domande
Attribuzione delle domande ai singoli alunni che
le formuleranno e scriveranno le risposte
Svolgimento dell'Intervista.
Questa attività di rielaborazione delle domande,
che sembra inutilmente prolungata, è invece assolutamente cruciale perché è quella che permette la
costruzione di un sapere condiviso dalla classe grazie al fatto che è stato messo a punto proprio in
questi passaggi successivi con il contributo di tutti.
Un'ultima attività può essere finalizzata a sintetizzare e verificare le conoscenze storiche acquisite al
termine di un'indagine condotta sul materiale pubblicato: la proposta di costruire due"cattedre-armadio": una riferita al passato e l'altra al tempo presente in modo da rappresentare e confrontare permanenze e cambiamenti nel modo di fare scuola di
differenti momenti storici.
93
Obbligo scolastico e analfabetismo
Leggi e norme
1859
Legge Casati: La scuola Elementare viene affidata ai Comuni: è unica, gratuita e
obbligatoria per il primo biennio.
1877
Legge Coppino: estende a tutto il territorio nazionale la Legge Casati.
L'obbligo scolastico è portato a 9 anni, ma la povertà è accettata come impedimento
legittimo.
1886
Viene vietato il lavoro ai minori di anni 9.
1902
Viene vietato il lavoro ai minori di 12 anni.
1903
Legge Orlando: le elementari sono ridotte a 4 anni per chi continua gli studi,
con l'aggiunta della V e della VI classe per chi non continua.
Vengono istituite le scuole serali e festive per i semianalfabeti.
1910
Sul libretto di lavoro diventa obbligatorio annotare l'adempimento dell'obbligo scolastico.
1911
Legge Credano: molte scuole elementari comunali passano allo Stato.
1939
Tutte le scuole rurali passano alle dirette dipendenze dello Stato (con l'eccezione
delle Scuole gestite dall'Ente scuole per i Contadini, dall'Opera per l'Italia redenta e
dai Consorzi di Bonifica).
1943
Il Comitato direttivo delle Scuole per i Contadini viene sciolto dal Ministro Biggini.
1947
Costituzione Italiana: art. 34. "La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore,
impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita."
1962
La Legge n. 1859 istituisce la Scuola Media Unica, che diventa gratuita e obbligatoria per tutti dagli 11 ai 14 anni.
1999
La Legge n. 9 innalza di due anni l'obbligo scolastico: in via iniziale l'obbligo
viene portato fino ai 15 anni.
94
Tasso di Analfabetismo in Italia
Gli analfabeti passano dal 78% del
1861 al 73% del 1871
Gli analfabeti nel 1881 sono il 62%
Nel 1904 gli analfabeti sono il 47%
Gli analfabeti passano dal 46,7%
del 1911 al 21% del 1931
Gli analfabeti passano dal 12,9%
del 1951 al 5,2%del 1971
Gli analfabeti passano dal 2,1% del
1991 all'1,2% del 2001
Indice
Presentazione
di M. Canapini
3
Prefazione
di C. Nava
5
Introduzione
di H. Gilardet e M.P. Cedrini
7
Per una storia del territorio
9
Le Origini
31
Il Villaggio San Giorgio
41
Marchiafava e le altre
49
I momenti, le persone, le cose
57
Percorsi didattici
89
Appendice: Obbligo scolastico e Analfabetismo
94
95
Finito di stampare nel mese di Settembre 2006
dalla tipografia SARO Italia s.r.l.
Via Serafino Belfanti, 8 - 00166 Roma
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Sulle tracce delle Scuole Scomparse