MUKKA EXPRESS: UNA CONTRAZIONE MANCATA ? Alice Giannitrapani Negli ultimi mesi del 2004 si inizia a trovare negli scaffali dei negozi di casalinghi uno strano oggetto: una sorta di caffettiera, ma più grande del normale, colorata (a chiazze bianche e nere), dal design accurato. Si tratta di Mukka Express (fig. 1); è prodotta dalla Bialetti – azienda leader nella produzione di caffettiere, la stessa che produce Moka Express, Brikka, e altre ancora. Essa serve a preparare in casa il cappuccino (ma anche il caffellatte, come vedremo). Fig. 1: Mukka Express Nelle parole di Edoardo Acciarino, Marketing Manager della Bialetti Industrie Coffeemaker Division: “È un prodotto che nasce dalla considerazione dell’universalità di consumo del cappuccino, sia in termini geografici che di profilo del consumatore. Considerando il gradimento del cappuccino presso i target più giovani, riteniamo che la nascita di Mukka Express significhi l’ingresso di Bialetti nel mondo della prima colazione all’italiana, in cui protagonista è la famiglia giovane con bambini. Per ciò che concerne l’estero, dove il consumo del 1 prodotto è diffuso a tappeto, la penetrazione di mercato sarà principalmente rivolta ai paesi in cui l’abitudine di consumo è già molto sviluppata: penso principalmente alla Germania e ai paesi del nord Europa”. In questo breve articolo, ci si propone di studiare la funzionalità (operativa e comunicativa) di questo oggetto, seguendo le operazioni che un ideal tipico acquirente/consumatore dovrebbe compiere per acquistare l’oggetto e metterlo in funzione, degustando, infine, il cappuccino. Verrà anche analizzato l’annuncio stampa che pubblicizza Mukka Express, al fine di indagare il tipo di consumatore inscritto nel testo, nonché la strategia comunicativa adottata dall’enunciatore. Il tutto verrà portato avanti avendo, come termine di confronto, altre due caffettiere Bialetti: Moka Express (in quanto rappresenta il grado zero della caffettiera) e Brikka (in quanto la sua peculiarità – fare il caffè con la cremina – la assimila, per tipo di sistema valvolare e per tipo di risultato “cremoso” alla nostra Mukka). 1. Mukka e la colazione Mukka Express è un oggetto particolare che pone non pochi problemi a un primo approccio anche solo descrittivo. In effetti, cosa è? Cosa fa per l’uomo e/o al suo posto? Come si situa nell’universo degli altri prodotti Bialetti? A chi si rivolge? Come si utilizza? Che immagine vuole veicolare? Mukka non è una caffettiera, bensì una “macchina per cappuccino” (come viene indicata nel packaging): essa cioè consente o, almeno dovrebbe consentire, come vedremo, di preparare due tazze di cappuccino senza ricorrere all’ausilio di altri elementi accessori. Si pone, quindi, come prodotto del tutto innovativo, non esistendo altri strumenti per la preparazione del cappuccino sui fornelli domestici. Seguendo i passi che Greimas (1983) indicava come pertinenti per un’analisi esaustiva dei lessemi, possiamo iniziare a studiare la nostra macchina per cappuccino indagando: la componente configurativa (ovvero l’indagine delle singole parti, in relazione al tutto, dell’oggetto in questione), la componente tassica (ovvero l’analisi delle relazioni che l’oggetto intrattiene con altri oggetti), 2 infine, la componente funzionale (la funzione, sia pratica che simbolica, che l’oggetto riveste). Componente configurativa. La base (parte inferiore) è costituita da una caldaia, che perde la spigolosità di quella delle normali caffettiere per diventare tondeggiante; essa è dotata di “valvola di sicurezza ispezionabile” (e vedremo come questo sia solo un primo accenno alla /sicurezza/ che verrà altrove ribadita). Su di essa si incastra il filtro ad imbuto, che è dotato di un “sistema a molla” (ancora una volta troviamo analogie strutturali con la Moka, ma ulteriori diversificazioni in vista di una complessità sempre maggiore). La parte superiore (raccoglitore) è a sua volta composta da diversi pezzi: piastrina e guarnizione che verranno in contatto con la miscela posta nel filtro (che, dunque, mediano tra parte superiore e inferiore); manico (in plastica e dotato di apposite scanalature per le dita, ergonomico); coperchio, differente dalle normali caffettiere perché forato (nel foro si incastra il pulsante). È proprio il raccoglitore che si differenzia maggiormente dal reso delle caffettiere: esso è abbastanza grande perché dentro va posto il latte (fino al livello contrassegnato da un’apposita tacca interna); in più è dotato di una “valvola pressostatica” (simile, ma ancora più grande rispetto a quella di Brikka). La valvola è smontabile: nelle istruzioni verrà dedicata ad essa un’intera facciata in cui si spiega come si smonta e come si pulisce (pulizia “consigliata dopo ogni singola produzione”): è, quindi, un oggetto segnalato come particolarmente importante, di cui bisogna aver cura, in quanto è proprio questo che consente di ottenere la schiuma nel cappuccino. Sulla valvola è incastrato un “pulsante”che consente di impostare le modalità di funzionamento della macchina per cappuccino – segnalate attraverso istruzioni (“per cappuccino premi”) inscritte direttamente nell’oggetto. La Mukka, infatti, può preparare non solo il cappuccino, ma anche (sollevando il pulsante) un caffellatte; componente configurativa e componente funzionale risultano così legate attraverso il pulsante. Componente tassica. Le alternative (o opposizioni paradigmatiche) p e r degustare un cappuccino prima dell’invenzione di Mukka comportavano: 3 • Andare al bar; Rinunciare al cappuccino e optare per un caffelatte • (senza schiuma) ottenuto riscaldando il latte in un apposito contenitore e aggiungendovi del caffè preparato con la normale moka; Preparare un caffellatte successivamente “montato” • (quindi con la schiuma) con un piccolo aggeggio a immersione la cui elica, rotando, produce una schiuma simile a quella del cappuccino del bar. Preparare un cappuccino con la macchina elettrica • casalinga per caffè, il cui funzionamento è simile a quello della macchina professionale da bar. La prima alternativa si distingue dalla Mukka nel dar vita a una pratica totalmente diversa, nel porre in gioco spazi (bar vs casa) e attori (macchina professionale, barista, eventuali altri clienti vs Mukka, eventuali “commensali”) nettamente distinti. La seconda alternativa si distingue per una differenza sostanziale nel risultato: a essere valorizzata, nella preparazione del caffelatte, è più la velocità del processo che la qualità dell’oggetto di valore; a cambiare, insomma, è l’assiologia dei valori in gioco, nonché il risultato del giudizio di gusto. Si noti, tra l’altro, che un cappuccino si differenzia da un caffellatte per qualità che sono soprattutto estesiche (densità, corpo, consistenza) ed estetiche (vista della crema). Nel terzo caso siamo di fronte a un risultato pressoché simile, ma ottenuto attraverso una moltiplicazione delle pratiche (e degli oggetti occorrenti). Con l’ultima alternativa, infine, otteniamo un cappuccino ben montato e con la schiuma, ma vi è sempre la necessità di seguire, in sequenza, un certo numero di passaggi (montare e riscaldare il latte con il vapore, preparare il caffè con le cialde, amalgamare le due bevande). Se, quindi, consideriamo la pratica del preparare una prima colazione in casa (escludendo, così, la prima alternativa), notiamo come la mission di Mukka sia quella di superare i punti deboli delle altre possibilità sopra elencate: agire in maniera efficace ed efficiente; preparare un cappuccino dando importanza alla qualità del risultato e contenere, al contempo, i tempi e gli strumenti utili per la 4 preparazione; massimizzare i risultati con un impiego minimo di risorse e conseguente alleggerimento del lavoro per l’attore umano (ma vedremo come, in realtà, le cose non stiano proprio così). In termini più semiotici possiamo dire che ciò che viene accentuato, almeno in questa prima fase descrittiva (in cui la macchina per cappuccino non è ancora stata messa alla prova), è il sema della /contrazione/: un’unica macchina per avere in tempi contenuti ciò che normalmente si ha in tempi estesi e con l’ausilio di una pluralità di strumenti. Ad una dimensione sequenziale e processuale (prima preparare il caffè, poi riscaldare il latte, unificare le due bevande e, infine, amalgamarle montandole insieme) se ne sostituisce una basata sulla sincronia, in cui è sufficiente preparare adeguatamente la macchina per avere il cappuccino. Questa, almeno, dovrebbe essere l’innovazione introdotta. Componente funzionale. La macchina si rivela altamente specifica: Mukka è monofunzionale, serve a preparare il cappuccino e, tutto al più, un caffellatte (non ci si può preparare un normale caffè o, almeno, così non è contemplato nelle istruzioni, né nel packaging) – abbiamo visto come il pulsante consenta di scegliere tra le due modalità. Un’ulteriore funzione assolta è di tipo prettamente estetico: in qualità di oggetto di design, infatti, essa diventa anche un soprammobile da esporre e da guardare (vedremo, nella conclusione, come questa sarà la funzione che la Mukka assolve al meglio). Il cappuccino, ci dirà il packaging, è una bevanda tipicamente relegata a uno specifico momento della giornata (la colazione) – almeno in Italia; ne consegue che la Mukka ha un utilizzo diverso rispetto alla caffettiera: essa effettua una scansione singolativa giornaliera, segnando, iterativamente, l’inizio di una giornata. Una caffettiera, invece, non viene utilizzata durante una specifica fase del giorno: sebbene solitamente associata a determinati momenti (mattina, dopo i pasti,..), il suo utilizzo si rivela molto più flessibile. La preparazione del caffè è, insomma, una pratica iterativa a-temporalizzata che scandisce la giornata in maniera più o meno personalizzata; la preparazione del cappuccino, di contro, viene definita dall’enunciatore come 5 una pratica singolativa, temporalmente specificata, che scandisce il succedersi dei giorni. Ci si potrebbe chiedere come mai i nostri costrutti culturali si rivelino così rigidi e, al contempo, naturalizzino (mistificando?) l’associazione colazione/cappuccino (cui si potrebbe sovrapporre una distinzione Italia vs estero) e lascino, invece, ampi spazi di manovra nell’associare il caffè con un momento della giornata ben determinato, ma non sembra essere questa la sede adatta per disquisire di questioni a cavallo tra una semiotica e una sociologia di processi culturali. 2. Mukka, Moka e Brikka Moka Express e Brikka: è con questi due oggetti che, come si accennava, in questa breve analisi, verrà prevalentemente sviluppato il confronto. Soprattutto si cercheranno di mettere in luce similarità e differenze tra i tre prodotti; o per dirla con Jakobson, l’invarianza nella variazione, al fine di far emergere il senso dell’oggetto nel suo complesso. Avevamo già altrove notato (cfr. Giannitrapani, 2004) come tra le caffettiere le contaminazioni di genere stiano diventando sempre più frequenti: così, ad esempio, troviamo Brikka – la caffettiera in grado di darci il caffè con la cremina (efficace vezzeggiativo con cui viene indicato nel packaging e nelle istruzioni il non meglio identificato effetto del lavoro della caffettiera) simile a quello del bar (rispetto al quale il caffè fatto in casa riserva un complesso di inferiorità) – che contamina moka e macchina professionale. Ma anche ElettriKa – una caffettiera “nomade” e portatile, con fornello elettrico incorporato in grado di darci la nostra bevanda in qualsiasi luogo ci sia una presa – che contamina da un lato tecnologia meccanica e tecnologia elettrica, dall’altro, nel suo nomadismo, ricorda i caffè presi “al volo” nei bar. Essa, tra l’altro, sembra possedere alcune caratteristiche tipiche di quelli che Semprini (2002) indica come oggetti mondializzati: acontestualità (“[…] l’oggetto mondializzato sembra quasi in grado di fluttuare in una sorta di spazio-tempo che gli è proprio”) e transcontestualità (secondo cui l’oggetto “[…] sembra capace di coesistere col contesto locale, senza mai integrarsi veramente ad esso ma senza neppure rimetterlo radicalmente in discussione.”) (ivi, p. 53). Va, comunque, ricordato che 6 questo “sganciamento” dal contesto è solo parziale, in quanto le pratiche di fruizione e di decodifica si attuano sempre e comunque all’interno di codici e norme che sono legati a una certa cultura e sono, dunque, locali (“[…] si potrebbe dire che se l’enunciazione di questi oggetti è acontestuale la loro ricezione è sempre, almeno in parte, contestuale”) (ivi, p. 59). Nel caso di Mukka, però, non ci troviamo in effetti di fronte a una contaminazione, ma a una travalicazione1 di genere: permane, come nel caso di Brikka, la contaminazione casa/bar, ma ad essere enfatizzato è un nuovo oggetto di valore, il cappuccino, appunto; d’altro canto, nella sua attenzione al lato estetico, riprende anche la caffettiera di design. Cambiano, parzialmente, o meglio divento più complesse, anche le interfacce. Nella caffettiera classica interagiscono con l’uomo il manico (che facilita la presa dell’oggetto), il pomello (che serve a sollevare il coperchio), la caldaietta (nell’atto di svitare la moka); interagiscono con gli altri oggetti la caldaia (in contatto con l’acqua e con il fuoco) e il filtro ad imbuto (con la miscela). Nella Mukka, oltre a questi elementi, si aggiungono il pulsante (che serve al soggetto per impostare la modalità cappuccino o caffellatte) e il misurino (che serve per dosare la giusta quantità d’acqua). In realtà, esso non è un elemento indispensabile (la dose di acqua necessaria è contrassegnata anche da un asterisco all’interno della caldaia); serve, più che altro, a rimarcare la diversità del funzionamento della macchina per cappuccino rispetto alle normali caffettiere (l’acqua non deve arrivare al livello della valvola), a spezzare le pratiche consuetudinarie della preparazione del caffé. Il misurino è, insomma, un elemento ridondante (rispetto all’asterisco), con funzione di sottolineatura dell’importanza (e della diversità) dell’operazione da compiere. Un elemento particolarmente critico per Mukka 1 Viene in mente, a tal proposito, ciò che Floch dice a proposito del prefisso tras- : “…trasgressione – nel senso letterale di ‘passare al di sopra’. Il prefisso tras-, che ritroviamo in trasmissione, trasfusione o tradizione, è una delle manifestazioni linguistiche della non-discontinuità.” (Floch, 1997; p.71). In tal senso, la Mukka si pone in una posizione di non-discontinuità rispetto alle altre caffettiere. 7 diventa la caldaia (sia interfaccia oggetto, che interfaccia soggetto), che sarà fondamentale nella sua messa in pratica (sulla criticità del progetto di questa interfaccia cfr. infra par. 5) Il nome: Mukka. Esso si colloca lungo un continuum, richiamando esplicitamente da un lato Moka, dall’altro Brikka. È una questione di identità aziendale; una variazione che si inserisce su un sistema di tratti comuni (le “m” e le l’allitterazione tra Mukka e Moka), “k”2 ripetute, ripetizione nella variazione, permanenza (che garantisce riconoscibilità) ed evoluzione (che garantisce differenziazione), (Ricœur, 1990). Dal punto di vista semantico, il nome in questione evoca immediatamente un universo organico e biologico di origine animale; convocando proprio la mucca, ovvero l’animale produttore della materia prima di cui la macchina si serve. Di contro, Brikka evoca il bricco, un oggetto che serve a contenere il caffè, richiamando, quindi, il processo che pone in atto ed evocando un universo meccanico e culturalizzato. Moka indica, invece un tipo di caffè, andando ad identificare Moka Express come la caffettiera per antonomasia, il grado zero della caffettiera. 3. Il packaging: una comunicazione multipla Andiamo con ordine e partiamo dall’acquisto della macchina per cappuccino per arrivare alla degustazione. Il packaging di Mukka è molto ricco e si apre a una pluralità di considerazioni. Lo sfondo è a chiazze bianche e nere come quelle della mucca e della Mukka; in tal modo la scatola ricalca il design rafforzandolo e raddoppiandolo, creando una coerenza enunciativa; il progetto del prodotto e quello del pack tendono a incontrarsi, simulando l’effetto trasparenza, ma non consentendo un poter-vedere pieno. Rispetto alla seriosità del packaging monocromatico e per di più scuro di Brikka, quello di Mukka la identifica, già al primo e superficiale sguardo, come un prodotto ludico e giovanile. 2 La sostituzione delle “c” con le “k” è tipica, tra l’altro, dello slang giovanile; fatto che farebbe presupporre la volontà da parte dell’azienda di rivolgersi in maniera ammiccante ad un pubblico giovane. Il termine Mukka non risultando, però, incomprensibile anche ad altri tipi di fruitori, non li esclude, di fatto, dal riconoscersi come enunciatari iscritti. 8 Le informazioni fornite vengono posizionate nei diversi lati della scatola secondo la loro natura: la facciata anteriore e quella posteriore servono da presentazione, forniscono una valorizzazione estetica (fungendo da richiamo immediato, da attrazione); quelle laterali servono da approfondimento, dispongono una valorizzazione cognitiva (informano e convincono). In altri termini, la figura dell’enunciatore assume diverse facce: nel primo caso è un destinante che promette e seduce, nel secondo si trasforma in informatore competente che ha una vocazione scientifica. Un lato (fig. 2) fornisce, infatti, informazioni a proposito di marchi, brevetti, design e ergonomia; quello che in Brikka veniva chiamato “sistema valvolare”, riceve qui ulteriore specificazione diventando una “valvola pressostatica”. Vengono presentate delle foto di dettagli che “si ancorano” rispetto al testo. Infine, viene posta particolare attenzione al sema della /sicurezza/ (si parla di “sicurezza totale nell’utilizzo”) facendo emergere la figura di un enunciatore aiutante e difensore. Questa preoccupazione sembra essere motivata dalla novità dell’oggetto: minore è la familiarità che si ha verso un prodotto, maggiori saranno le remore nei suoi confronti e maggiori saranno le informazioni da fornire per superare tali remore; la stessa cosa, d’altro canto era avvenuta con Brikka, in cui, però, a essere valorizzata era la sola /semplicità/ nell’utilizzo. Figg. 2-3: Facciate latareli del packaging 9 La /semplicità/ e la /velocità/ sono i temi dominanti dell’altra facciata laterale (fig. 3), in cui vengono date delle mini-istruzioni (sempre accompagnate da fotografie illustrative) su come far funzionare la macchina; la conclusione è che “In pochi minuti, sarà possibile gustare due deliziose tazze di cappuccino”; viene, ancora una volta sottolineata la possibilità di /contrazione/ di spazi e tempi cui più sopra si accennava. La facciata anteriore (fig. 4) propone una fotografia della Mukka in un’aspettualizzazione risultativa: la macchina con accanto una tazza di cappuccino; simile è la foto posta ad angolo tra la facciata laterale e posteriore (il cappuccino mentre viene versato nella tazza). La stessa aspettualizzazione la troviamo nel packaging della Brikka, con evidenti richiami sinestetici al corpo e alla densità della schiuma, vero plus di entrambe le macchine. Fig. 4: Facciata anteriore del packaging In alto la scritta “Mukka Exspress” intercalata da un piccolo disegno di una mucca (per chi non aveva ancora capito l’assonanza con il mondo animale) e a capo “l’arte del cappuccino”: il termine arte contiene un tentativo di valorizza- 10 zione della pratica della preparazione della bevanda, consuetudinariamente legata a un ambito di quotidianità e di banalità. Lungi dall’essere atto meccanico, la preparazione del cappuccino con la Mukka si configura come artistico e il soggetto che lo prepara viene così valorizzato come competente e creativo; diventa, appunto, un artista. L’enunciatore seduce, in tal modo, l’enunciatario prospettandogli non solo un’immagine positiva del risultato di un possibile acquisto, ma anche un’immagine positiva del sé. Ulteriore notazione va fatta sul font utilizzato per il nome: è spesso e molto tondeggiante, quasi fumettistico; esso si oppone evidentemente al carattere tipografico esile e aggressivo utilizzato da Brikka (fig. 5). Questo aspetto, d’altro canto, corrobora l’universo semantico associato alle due bevande: il caffè è una bevanda amara, spigolosa e pungente; il cappuccino ha un gusto più morbido e delicato. In altri termini, si instaura un sistema semi-simbolico: font Brikka : font Mukka = durezza : morbidezza. Fig. 5: Font di Mukka e Brikka a confronto La facciata posteriore (fig. 6), infine, introduce un’innovazione nella strategia enunciativa di Bialetti: appare una fotografia di attori umani, vengono figurativizzati gli utilizzatori iscritti. Nonché, ancora una volta, il momento di degustazione della giornata: una della macchie nere della confezione sfuma e dentro l’alone da essa creato si ritrova una giovane coppia in pigiama con una bambina; in basso si intravedono due tazze di cappuccino cremoso. Il pigiama marca, quindi, la dimensione temporale (mattina, colazione) che, tra l’altro, sembra essere sottolineata dalla sfumatura/alone che incornicia la foto; si tratta, infatti, di un’atmosfera sospesa che richiama vagamente il sogno e l’attività onirica. Le due tazze (per le quali è, tra l’altro, tarata la Mukka) indicano l’esclusione della bambina dall’atto del bere (il caffè, è una banalità, non è adatto ai 11 più piccoli). Come facciamo a sapere che l’esclusa sia proprio la bambina? È solo il nostro senso comune a suggerirlo? No, di fatto la bambina indirizza lo sguardo oltre, in una direzione che, se proiettata, ricade al di fuori del contorno fotografato; mentre la giovane coppia guarda, quasi contemplandole, le due tazze, vero oggetto del desiderio (e di valore). Fig. 6: Facciata posteriore del packaging Sempre in questa facciata sono presenti delle frasi che vale la pena comparare con quelle che trovavamo in Brikka; qui si legge, infatti: “Bialetti rivoluziona il rito della colazione. Da oggi potrai preparare il tuo cappuccino con la massima semplicità d’uso. Con Mukka Express puoi gustare comodamente nel calore della tua casa, tutta la cremosità di un cappuccino come quello del bar.” In Brikka, avevamo: “A casa come al bar. Con Brikka è facile ottenere a casa propria due tazzine di caffè espresso con la cremina. Proprio come quello del bar. Con Brikka chi ama l’espresso ha finalmente trovato la sua moka: basta seguire attentamente le istruzioni. E a chi 12 rispetta tutte le fasi di preparazione, Brikka riserva 3 mm. di crema per un caffè davvero speciale.” Brikka e Mukka si pongono come le uniche macchine in grado di eguagliare la bontà della colazione al bar (la cui superiorità qui, come altrove, viene data per scontata). Entrambe ribadiscono, come già avevamo visto, la loro semplicità di utilizzo. Entrambe valorizzano euforicamente la cremosità delle bevande che concorrono a produrre. Ma le analogie terminano qui: mentre il Destinatario modello di Brikka è ben determinato (“chi ama il caffè”); quello di Mukka risulta del tutto indeterminato, viene identificato da un “tu” generico3. Nel testo di Brikka troviamo delle forme verbali impersonali; mentre in Mukka si dà del tu, Una piccola avvicinando enunciatore ed enunciatario4. incoerenza enunciativa: mentre nella facciata laterale le mini-istruzioni avevano una forma impersonale (“Versare il latte nel raccoglitore fino alla tacca di riferimento.”) – che poi verrà mantenuta nel libretto – , qui cambia il modo di porsi rispetto all’enunciatario. Una giustificazione a tale scelta potrebbe essere motivata da una sorta di sdoppiamento dell’enunciatore che si fa più serio quando deve spiegare e conferire un saper fare all’utente; mentre gli si avvicina quando le informazioni riguardano la modalità del volere. All’utilizzatore di Brikka viene prefigurata una prova da affrontare: soltanto mostrando di essere in grado di seguire perfettamente le istruzioni potrà gustare l’oggetto di valore (caffè con cremina). Notiamo, inoltre, come la necessità di seguire le istruzioni venga ribadita già due volte all’interno di queste poche righe, conferendo particolare importanza all’operazione. Per Mukka, invece l’importanza delle istruzioni era già stata ribadita (anzi ne veniva dato un sunto nella facciata laterale); il breve testo si limita qui a sottolineare il risultato della prestazione. 3 Forse è proprio questo il motivo della presenza della fotografia: serve a referenzializzare la comunicazione che altrimenti risulterebbe del tutto spersonalizzata. 4 Curiosamente questa situazione verrà ribaltata, come vedremo, nelle istruzioni che risulteranno molto più distanzianti e serie in Mukka e amichevoli e scherzose in Brikka. 13 Nel complesso la facciata posteriore con la fotografia e la scritta sottolinea un contesto familiare (mai evocato in Brikka) e caloroso ed evidenzia la portata innovativa della macchina (“rivoluziona”). 4. Istruzioni per l’uso ed elementi “paratestuali”...questioni di coerenza Già in Brikka, aprendo la scatola, non trovavamo direttamente la caffettiera (come avveniva per Moka express), ma un incarto. Qui l’incarto si fa trasparente, segnalando subito un poter vedere. Dall’atto di apertura della confezione si può verificare il particolare design di Mukka, le sue chiazze bianche e nere; Mukka è un oggetto di design. Se Brikka manteneva i tratti tipici di una caffettiera limando le superfici appuntite e arrotondando i tratti lineari di Moka, qui, l’innovazione viene portata all’estremo: è un oggetto del tutto nuovo che ci appare. Scompaiono spigoli e linee rette (caratteristiche eidetiche); compare il colore (caratteristiche cromatiche); vengono stravolte le dimensioni e le proporzioni (caratteristiche topologiche). Emerge una forte cesura tra parte inferiore (nera, monocromatica) e parte superiore (bianca e nera, a chiazze) che un po’ richiama il colore del cappuccino, monocromatico alla base e a chiazze (però bianche e marroni) in superficie. Le analogie non finiscono qui. Ancora una volta troviamo un misurino che servirà a dosare l’acqua e conferirà un’aura scientifica all’operazione da compiere. Di nuovo ritroviamo un piccolo foglio di carta che sottolinea l’importanza della lettura delle istruzioni e fornisce qualche ulteriore informazione. Se nella Moka Express le istruzioni erano del tutto anonime e la loro lettura appariva irrilevante, in Brikka, viceversa, ne veniva ribadita l’importanza con ogni espediente. In altri termini, l’enunciatore, conoscendo le abitudini interpretative del proprio enunciatario (non leggere le istruzioni di una caffettiera + saper fare pratico relativo al caffè) si trovava nella necessità di spezzare le consuetudini, di smontarne la competenza presupposta, ribadendo, con ogni mezzo, l’importanza della lettura delle istruzioni. Quello che si vuole impedire è che, come spesso accade, l’utilizzatore si rivolga direttamente all’oggetto sin dal primo uso. In Brikka la funzione di richiamo era assolta da un bollino rotondo con apertura a fisarmonica, 14 dalla grafica accurata. Qui è un vero e proprio foglio, arancione fosforescente, che utilizza un font consuetudinario (fig. 7). Fig. 7: Dentro la confezione: foglietto di Mukka e bollino di Brikka L’incipit del foglietto è “Lettura fondamentale per l’utilizzo” e, oltre a rinviare alla lettura delle istruzioni, fornisce informazioni circa la giusta dose di elementi da utilizzare, la fiamma medio-alta su cui porre la macchina, la valvola e la schiuma da distribuire tra le tazze. Stupisce, in effetti, che un oggetto di design, per definizione particolarmente attento alla cura del piano dell’espressione, non ponga attenzione alla strutturazione di un elemento paratestuale che, tra l’altro, è uno dei primi ad essere incontrato dall’utente. Ma, voluta o no (non è di pertinenza di questo studio dirlo), l’incoerenza con il resto dell’enunciazione suscita proprio una maggiore attenzione nei suoi riguardi, facendolo risaltare rispetto a tutto il resto. L’incoerenza, in altri termini, segnala un pericolo o, più in generale, importanza. 15 Le istruzioni di Brikka (fig. 8) erano contenute in un pieghevole formato brochure, colorato e caratterizzato da una spiccata facilità di lettura (vs difficoltà per la Moka tradizionale). L’opuscolo pieghevole consentiva di avere davanti e su un unico piano l’immagine della caffettiera, seguita dalla spiegazione delle fasi di preparazione. Ogni pagina conteneva una sola istruzione (vs tutte le istruzioni in un micro-foglio per Moka) e tutte con la stessa struttura: numeri grandi in progressione (in alto a sinistra, ancora una volta a rimarcare la sequenzialità dei passi); scritta del numero in lettere seguita dell’istruzione; consiglio; traduzione in altre quattro lingue; illustrazione fumettistica del passo da seguire (in basso a sinistra). Erano delle istruzioni particolari, in cui si abbandonavano le regole di genere dei manuali, per rivolgersi in modo confidenziale all’enunciatario, scherzare con lui (“facile, vero?”), dargli dei consigli (“Stai attento alla quantità d’acqua che utilizzi. Se è troppa, dal raccoglitore uscirà caffè caldo che potrebbe sporcare i fornelli”). Fig. 8: Istruzioni di Brikka Con Mukka le cose cambiano nuovamente. Il formato brochure viene abbandonato; ritroviamo un vero e proprio “libretto di istruzioni” (come si vede scritto nella pagina 16 iniziale). E, per certi versi, abbiamo un ritorno alla strategia enunciativa di Moka Express. In quattro facciate troviamo tutte le informazioni che poi saranno tradotte nelle successive in altre lingue. Vi è, rispetto a Brikka, un ritorno al genere “manuale”: utilizzo di forme verbali neutre, assenza di qualsiasi forma di interpellazione del lettore, istruzioni concentrate in poco spazio, strategia enunciativa distanziante. L a presenza delle figure illustrative non accompagna chiaramente l’informazione cui si riferiscono; molte illustrazioni sono concentrate creando un andamento confusionario della pagina (e della lettura, fig. 9). Di fatto, stupisce che un oggetto ludico e giovanile come Mukka non sia accompagnato da una tipologia di istruzioni ammiccanti, come erano quelle di Brikka. Fig. 9: Istruzioni di Mukka Nella prima facciata delle istruzioni ritroviamo un’assoluta novità: la Mukka “presenta anche la possibilità di preparare un caffelatte […]. Le due modalità si impostano agendo sulla posizione del pulsante”. A questo punto le istruzioni si sdoppiano in “Modalità preparazione del cappuccino (pulsante abbassato)” e “Modalità preparazione del caffelatte (pulsante alzato)”: a variare è, oltre alla 17 posizione del pulsante, la quantità d’acqua necessaria e, quindi, l’equilibrio tra le dosi dei diversi elementi. Se fino a questo momento avevamo visto Mukka come un oggetto monofunzionale e specifico; ora (solo dopo l’acquisto) veniamo a conoscenza del fatto che essa è programmata per fare anche altro. Come mai nessuno lo aveva comunicato? Sicuramente fare un caffelatte non è difficile con i normali strumenti da cucina, né è un’innovazione poterlo preparare a casa; la vera peculiarità di Mukka è il cappuccino, ma ci saremmo aspettati almeno un accenno a questa seconda modalità. Tra testi (macchina per cappuccino) e paratesti (packaging, foglietto arancione, istruzioni), insomma, non è stata adottata un'unica strategia enunciativa, con il risultato di una certa incoerenza nello stile comunicativo e conseguenti momenti di disorientamento per il fruitore. L’enunciatore iscritto è un innovatore che si rivela, a seconda dei contesti, più o meno distante e più o meno amichevole; il simulacro dell’enunciatario è, parallelamente, un valorizzatore della pratica della colazione, sensibile alle seduzioni estetiche e aperto all’innovazione sebbene, come vedremo, non sempre potrà essere soddisfatto. 5. La pratica: una promessa tradita L’essenza trasformatrice di una caffettiera è del tutto peculiare: l’acqua (liquido), passando attraverso la miscela (solido) e acquisendo alcune delle sue proprietà, diventa caffè (liquido commestibile); in questo è coadiuvata dal fuoco che contribuisce al passaggio di stato: /separatezza/ /fusione/. La moka opera, dunque, una trasformazione di tipo qualitativo e non quantitativo. Questo passaggio di stato non viene compiuto a trecentosessanta gradi, su una molteplicità di sostanze (indeterminate) – come invece fanno, ad esempio, la centrifuga e l’amalgamatrice – ma soltanto utilizzando l’acqua e certi tipi di miscela di caffè. In Moka, così come in Brikka, si opera una trasformazione che va dallo strutturato (miscela) all’amorfo (caffè liquido) (Bastide, 1987), ed è proprio l’assenza di struttura a costituire il valore dell’oggetto, nonché del soggetto operatore (caffettiera). Cosa accade in Mukka? Essa non stravolge questa trasformazione (che risulta sempre preliminarmente necessaria), ma vi aggiunge qualcos’altro. 18 Non solo compare, infatti, un’altra sostanza (il latte), ma ulteriori operazioni di trasformazione – sempre a partire da sostanze omogenee e discrete (liquidi). Seguendo la terminologia di Bastide (ivi) possiamo dire che essa mescola insieme latte e caffè (passando dal semplice al composto) e simultaneamente le monta (è qui che viene creata la schiuma), passando dallo stato di concentrazione all’espansione: si espande il sapore del caffè nel latte (espansione gustativa), ma si espande anche la materia (espansione volumetrica). Ed è proprio questa simultaneità di programmi narrativi – che consuetudinariamente, dovrebbero essere sequenziali –, a rendere conto della contrazione spazio-temporale cui si accennava in apertura. Moka e Brikka operano trasformazioni dallo strutturato all’amorfo e dal compatto al discreto creando comunque un oggetto semplice. Mukka opera un ulteriore passaggio complicando l’operazione, aggiungendo altri tipi di trasformazioni e creando un oggetto composto e composito. Il latte, che va posto nella parte superiore della macchina secondo il livello indicato da un’apposita tacca interna, lavora in sinergia con il caffè nella costruzione di questo oggetto di valore complesso (cappuccino); anzi, possiamo dire che, alla fine del processo di preparazione, latte e caffè diventano un tutt’uno, un attante duale (Greimas, 1976), ovvero due elementi che si comportano come un unico attante. La caffettiera è un soggetto operatore dotato di un proprio saper fare (ma anche di un poter fare potenziale) e solitamente, salvo impedimenti, porta a termine un programma narrativo (fare il caffè) contribuendo alla creazione di un oggetto di valore (oggetto di valore culinario). Alla base della sua azione vi è, comunque, una struttura manipolatoria (l’instaurazione nella moka di un dover fare, un far fare) operata dal soggetto umano il quale assume, quindi, il ruolo del destinante (ovvero di colui che stabilisce un contratto con il soggetto/caffettiera, imponendogli un sistema di valori – anch’essi culinari). Il tutto avviene in una dimensione temporale che è caratterizzata da tipi di aspettualizzazioni diversi a seconda della tecnologia utilizzata. Il sistema valvolare di Brikka e Mukka, infatti, le distingue dalla classica Moka: le prime vanno poste sul fuoco a fiamma alta e la fuoriuscita della bevanda non si configura come un processo durativo, ma quasi istantaneo. 19 Anche la dimensione tensiva è radicalmente diversa. Laddove abbiamo un progressivo accumulo di tensione e un parallelo lento momento dis-tensivo (Moka), qui il tutto entra in una dimensione “accelerata”: la tensione arriva subito al suo apice, così come la fase dis-tensiva non è progressiva, ma istantanea. Insomma, la temporalità di una moka tradizionale si configura come processuale e durativa, mentre quella di Brikka e Mukka come sintetica e tendente verso la terminatività. Ma se passiamo dalla teoria alla pratica, dai paratesti ai testi, dalle istruzioni alla preparazione concreta, andiamo incontro ad una sorpresa: il tempo di preparazione è molto breve, il caffè fuoriesce in pochi minuti, ma il cappuccino è freddo. Il calore è un elemento essenziale di questa bevanda, una qualità s-necessaria, un sema inerente (per dirla con Rastier) la cui assenza fa crollare la mission che l’oggetto si era prefissata. La conferma di questa essenzialità della caratteristica ci viene, oltre che dal senso comune, dalla consultazione de La piccola enciclopedia del caffè (Stella, 1999) che alla voce “cappuccino” dice: “Un buon cappuccino […] esige un latte caldo, scaldato al momento, nella quantità necessaria” (ivi, p.42).Se, quindi, la funzionalità comunicativa era efficace, la funzionalità operativa (il modo di funzionare) fallisce. Mukka alla fine non si rivela un soggetto autonomo: è necessario riscaldare prima e separatamente il latte. Viene a cadere la simultaneità, la contrazione dei programmi narrativi. Nella pratica concreta si andrà incontro a una programmazione temporale obbligata dei compiti, obbligata perché fondata su implicazioni logiche (prima riscaldare, poi preparare il cappuccino). Mukka non è così in grado di inglobare in pieno tutte le funzioni di altri strumenti, non è un attante sincretico, ma necessita anche della presenza di altri soggetti operatori (bricco per scaldare il latte). Il programma narrativo di scaldare il latte diventa indipendente (con un proprio spazio utopico) e aggiunto (Greimas, 1983). Queste complicazioni, però, vengono misconosciute e cancellate dall’enunciatore, causando una perdita di fiducia da parte dell’enunciatario e una conseguente rottura del patto comunicativo. Come nota Greimas a proposito della zuppa al pesto, “la programmazione globale avviene a partire dal punto finale del 20 processo immaginato. Essa consiste, partendo da uno scopo fissato, nella ricerca e nella elaborazione dei mezzi per raggiungerlo. […] È solo in una fase successiva che avviene la temporalizzazione dei programmi narrativi e che si fissa l’ordine della loro progressione.” (ivi, p.162). Ed è proprio in questa seconda fase che Mukka non si rivela un soggetto pienamente competente. Ulteriore problema si rivela quello dimensionale: la grandezza della circonferenza della parte superiore e inferiore causano non pochi problemi di natura pratica nell’avvitare e nello svitare i due pezzi. L’oggetto si rivela inadeguato rispetto alla costituzione fisica di alcuni dei possibili utlizzatori, non essendo adeguatamente tarato sui limiti del sistema fisico umano. “La messa in gioco del nostro corpo proprio modifica l’oggetto, gli attribuisce una resistenza particolare, una profondità, una consistenza che avvertiamo, in maniera sensibile, in modo diverso rispetto a un’esperienza puramente cognitiva dello stesso oggetto” (Semprini, 1996; p. 114). Con il cambio di design, insomma, cambiano anche i gesti o, meglio, i sintagmi gestuali, ovvero le sequenze di azioni e le loro gerarchie. Il soggetto si ritrova in una posizione di non-poterfare e viene implicato in un tipo di comunicazione che passa da un regime contrattuale a uno polemico; Mukka e attore umano possono ritrovarsi così in posizione di soggetti antagonisti. Ma questa barriera creata dall’oggetto è, in realtà, di tipo modulare e non categoriale, è selettiva (le difficoltà incontrate nell’apertura saranno direttamente proporzionali alla grandezza della mano): “Il controllo delegato agli oggetti dipende in parte dalle qualità relative dell’attore di cui l’accesso è controllato e in parte dalle qualità dei materiali delegati al controllo” (Hammad, 2003, p.265). La caldaia, in qualità di interfaccia soggetto, risulta mal progettata: in virtù della sua grandezza e della sua levigatezza, non favorisce una presa agevole da parte dell’attore umano (al contrario della moka tradizionale, in cui le piccole dimensioni e la sfaccettatura facilitano l’apertura della caffettiera). In qualità di interfaccia oggetto, invece, la caldaia è ben programmata: proprio la larghezza della base consente di porre l’oggetto su una “fiamma medio-alta” (quella prescritta nelle istruzioni); la 21 larghezza, configura, così, un certo tipo di azione (un certo tipo di fornello e di fiamma). Questo elemento, è, in sostanza, un elemento ambiguo che da un lato favorisce la riuscita della pratica, dall’altro impedisce un’agevole interazione oggetto-soggetto. Infine, quando proviamo a versare la bevanda nella tazza ci rendiamo conto che ci vogliono altri due elementi fondamentali per la degustazione: due tazze. Non si può, infatti, riempire solo una tazza lasciando una parte della bevanda nel raccoglitore, pena la rinuncia alla schiuma del cappuccino. A conferma di quanto detto, nelle istruzioni leggiamo: “Sollevare il coperchio e distribuire prima il liquido poi la crema, aiutandosi con un cucchiaino”. Se si è da soli e si prova a riempire una sola tazza, si otterrà un semplice caffellatte e la schiuma e il resto del cappuccino rimarranno nel raccoglitore. Mentre con la normale Moka una parte di caffè può stare nel raccoglitore, senza che questo implichi una variazione nel giudizio di gusto, qui il contenuto va completamente versato perché la schiuma è l’ultimo elemento a fuoriuscire. Allora la macchina per cappuccino cessa di essere uno strumento autonomo, avendo bisogno di altri due attorioggetto (le tazze) per un efficace funzionamento. In altri termini, il corretto funzionamento della Mukka implica la presenza di una configurazione interoggettuale dalla quale si rivela imprescindibile e, in un ceto senso, dipende: da un punto di vista narrativo e sintagmatico il risultato dell’oggetto presuppone la presenza di altri oggetti che si rivelano gerarchicamente superiori. Mukka e le due tazze vengono a costituire un’unica configurazione, un unico piano oggetto unitario di del contenuto (cappuccino come degustazione) cui corrispondono diversi piani dell’espressione (tazze, bevande, Mukka). 6. L’annuncio stampa L’annuncio stampa di Mukka Express (fig. 10) fornisce ulteriori elementi di approfondimento sull’immagine che la macchina per cappuccino intende veicolare e sulla strategia enunciativa adottata. 22 Fig. 10: Mukka: annuncio stampa Il primo elemento che il lettore incontra muovendo il proprio sguardo dall’alto è una mucca che quasi tocca un ragazzo disteso a letto appena sveglio, il quale, alquanto sbigottito, guarda l’animale con la coda dell’occhio. In alto a destra l’headline: “Siete mai stati svegliati da una mucca?”. In basso, in una fascia ben separata dal resto, troviamo gli altri elementi classici di ogni annuncio stampa: il nome dell’oggetto (Mukka express, scritto in rosso e inframmezzato da una piccola mucca, la stessa che si ritrovava nel packaging); il payoff, che segnala il posizionamento del prodotto (“Un cappuccino perfetto per un risveglio morbido tutte le mattine”); il bodycopy (“È nata Mukka Express, la macchina che cambierà il vostro modo di fare colazione. Capace in pochi minuti di preparare un cappuccino dalla schiuma morbidissima”). Procedendo verso 23 destra, troviamo il packshot (l’immagine del prodotto) con accanto le due tazze di cappuccino e, infine il trademark (l’omino Bialetti) e il logotipo (nome dell’azienda). Si tratta di una pubblicità di tipo ironico, che ben si lega all’immagine ludica e giovanile del prodotto. Chiaramente, si gioca qui sul significante “Mucca”, nella sua doppia accezione di Mukka e di animale. Probabilmente, chi non conosce il prodotto rimarrà inizialmente spiazzato e, proprio per questo, potrà essere incuriosito e proseguire nella lettura dell’annuncio, arrivando fino alla fine e scoprendo che in realtà il soggetto incaricato di dare il risveglio è una macchina per cappuccino e non l’animale. Mukka e la mucca sono poste in una situazione di subalternità: l’animale c’è per affermare il prodotto, per operare un richiamo al latte, al mondo organico, alla prima colazione. Il collegamento tra i due elementi è evidente anche a livello visivo: innanzi tutto cromatico (entrambi sono a chiazze bianche e nere), ma anche eidetico (prevalenza di linee curve) e topologico (il muso della mucca sconfina sul soggetto e, parallelamente, la Mukka sconfina dalla parte inferiore a quella superiore dell’annuncio). Il significante, la parola “mucca” nell’headline, vuole rimanere, almeno in un primo momento, indeterminato: è la parte visiva a disambiguare il testo, sono le figure a fare da ancoraggio alla parte scritta. L’elevata densità figurativa dell’annuncio, in tal senso, compensa l’indeterminatezza della parte scritta incanalando solo su essa lo sforzo interpretativo di tipo cognitivo richiesto al lettore. In altri termini, figure (determinatezza) e headline (indeterminatezza) sono due elementi che si compensano a vicenda al fine di consentire una corretta comprensione dell’annuncio. Dal punto di vista del significante, mucca e Mukka sono trattati come termini equivalenti; forse, un’identica scritta con le due “K” avrebbe posto maggiormente in evidenza il prodotto, senza far venire meno il richiamo al mondo biologico. L’annuncio è assimilabile a quel tipo di pubblicità che Floch chiama “obliqua”, una “pubblicità del paradosso, che 24 letteralmente va contro il senso comune, simula l’incongruo e il non immediato, dove colui che guarda il manifesto è il soggetto di un fare interpretativo” (Floch, 1992; p. 245). Non a caso, Floch stesso indica l’ironia coma una forma discorsiva tipica di questo genere di annunci: “Essa [l’ironia, n.d.r.] stipula l’emergenza di un enunciatario a cui l’enunciante attribuisce una competenza interpretativa considerevole. […] Quest’ultimo è promosso all’assenso. In effetti, l’ironia, più di ogni altra forma di discorso, convoca l’enunciatario, provoca in lui un fare interpretativo complesso, sulla base di una fiducia postulata. L’assenso realizza allora, sul modello di un’intesa segreta – di una connivenza – la solidarietà dei soggetti.” (ivi, p. 250) A livello topologico, l’organizzazione spaziale della pagina è classica: headline e visual sono nettamente distinti dagli altri elementi; a tre quarti di pagina circa c’è una cesura fisica, una linea retta che demarca i due spazi; soltanto la parte superiore di Mukka va a finire nel visual dell’annuncio (facendo da rima alla mucca, come abbiamo visto). Notiamo una piccola incoerenza: se sul piano del contenuto i significati veicolati chiamano in causa un fare interpretativo del lettore (i giochi di parole, l’ironia, l’innovazione portata dal prodotto); sul piano dell’espressione, l’impostazione classica e lineare dell’annuncio non conferma questa strategia, creando una sorta di cesura tra i due elementi. Il visual pone in primo piano i due soggetti animati (uomo e animale) creando un contrasto sfondo/figure. Lo sfondo è quello di una stanza da letto, di cui vediamo solo un angolo e alcuni elementi: un comodino su cui sono posate delle riviste, una penna e una lampada, una scarpa buttata a terra. La stanza è disordinata e anche il ragazzo, essendosi appena svegliato, ha i capelli spettinati e l’aria un po’ trasandata. L’immagine dell’uomo, nonché l’ambientazione, contrastano con la fotografia che avevamo trovato nel packaging: lì avevamo una famiglia, con una bambina; nonostante fossero tutti in pigiama (quindi presumibilmente svegli da poco) la composizione della foto e gli 25 atteggiamenti dei personaggi veicolavano un immagine di ordine, pulizia, linearità. Di contro, nell’annuncio è il caos a prevalere, l’uomo fotografato è uno e il risveglio non sembra così piacevole per come sembrava nell’altra immagine. È vero che il letto su cui è disteso sembra essere a due piazze e che nella parte inferiore dell’annuncio sono presentate due tazze di cappuccino – fatto che non esclude la presenza di un’altra persona (o forse è la mucca?) non inquadrata – ma l’ambientazione e la scena di disordine non sembrano evocare un contesto familiare e adulto. Rivolgendosi in entrambi i casi a un pubblico giovane, l’enunciatore convoca, comunque, due contesti discorsivi e ammicca a target diversi, ampliando il pubblico di riferimento, ma perdendo, ancora una volta, in unitarietà di strategia enunciativa. Quello che colpisce, tra l’altro, alla luce di quanto scoperto a proposito dell’essenzialità delle due tazze, è che in tutte le comunicazioni veicolate non siano mai presenti due attori umani: nel packaging avevamo tre soggetti umani, qui un ragazzo soltanto. A livello semantico, la parte verbale riprende alcuni elementi della comunicazione già incontrati nel packaging: viene sottolineato ancora una volta il momento della prima colazione e del risveglio come momento appropriato in cui mettere in azione l’oggetto, ma soprattutto viene dato rilievo alla portata innovativa della macchina – essa “cambierà” (e non rivoluzionerà, come è scritto nel packaging) il modo di fare colazione. Nell’headline la marca temporale /mai/ si contrappone a /tutte le mattine/ del payoff: da un prima in cui era impossibile essere “svegliati da una mucca” (ovvero preparare un cappuccino con una macchina simile alla caffettiera), si passa ad un dopo in cui si può preparare il cappuccino “tutte le mattine”, marca che sottolinea, così, una temporalità durativa che accentua il ripetersi routinario delle pratiche quotidiane. Infine, particolare attenzione è data al sema della /morbidezza/ (“risveglio morbido”, “schiuma morbidissima”): essa è una caratteristica tattile, che, sinesteticamente, viene attribuita al gusto e, attraverso il cappuccino, transitivamente al momento del risveglio (e, quindi, al soggetto). Ad essere sottolineato è un processo che tende a sminuire le discontinuità tra il sonno e la veglia, “ammorbidendo” il passaggio tra i due momenti. Questa 26 caratteristica sembra, altresì, essere enfatizzata anche nel font utilizzato: il nome del prodotto scritto in rosso in basso è lo stesso che trovavamo nel packaging, di cui abbiamo già detto, ma anche gli altri elementi scritti utilizzano un carattere senza grazie, rotondeggiante e privo di spigoli. Il sema della /morbidezza/, però, non viene parallelamente trattato a livello eidetico nel visual: nonostante il piumone con le sue pieghe e il viso della mucca siano prevalentemente formati da linee curve, sono presenti numerosi spigoli e linee rette (il comodino, la testata del letto, l’angolo per terra nel parquet) che non contribuiscono a enfatizzare la morbidezza al pari di quanto è stato fatto per la parte scritta, né fanno da rima (e da richiamo) alla rotondità, curvilinearità del design di Mukka. Considerata da un altro punto di vista, questa “incoerenza”, di contro, non si rivelerebbe come tale: il sema della /morbidezza/ è attribuito solo a certi elementi/figure (mucca, Mukka, piumone) che sono in grado di marcare euforicamente il momento del risveglio; tutto il resto (per lo più tutto lo sfondo) rimane invece rettilineo e spigoloso, marcando disforicamente ciò che ricade al di fuori della pratica qui valorizzata (il risveglio e la colazione). Conclusione L’introduzione di un’innovazione è sempre difficile da comunicare, da far accettare, da testare; ed è proprio in questa fase (non del tutto terminata) che Mukka si trova. Essa seduce attraverso stimoli estetici (il suo design) e pratici (la possibilità di “rivoluzionare il rito della colazione”), ma poi delude nei secondi; tradendo la delega cognitiva e funzionale che le era stata accordata. Alla fine, delle tre funzioni che avevamo riconosciuto all’inizio dell’analisi, è quella che sembrava essere secondaria a rivelarsi fondamentale e prioritaria: è la funzione estetica a prevalere, facendo diventare la Mukka un bell’oggetto da esporre, un soprammobile di cui godere esteticamente (e meno estesicamente). Questa considerazione ci fa venire in mente essenzialmente due riflessioni. Da un lato, questa breve analisi conferma un assunto già ben presente alla semiotica degli oggetti: le cose non sottostanno a una gerarchia di funzioni fissate a priori, al cui vertice sta quella pratica; 27 al contrario, essa “è una delle tante possibilità simbolicosociali offerte all’oggetto” (Marrone, 2002, p.32). Si va, cioè, verso un superamento della tradizionale dicotomia strumentalità vs esteticità da un canto, denotazione vs connotazione dall’altro (ivi). Dall’altro, conferma la possibile utilità pratica di un’analisi semiotica degli oggetti. Lungi dall’essere un mero strumento di commento fatto a posteriori su un qualche fatto sociale, l’analisi può diventare elemento di un’azione preventiva, volta al superamento, in sede di test di prototipi, ad esempio, di gap pratici o comunicativi, difficoltà costitutive, meccanismi enunciazionali poco coerenti. Perché ciò possa avvenire, però è necessaria un’opera di comunicazione, è necessario che le riflessioni e le analisi vengano diffuse tra responsabili di comunicazione e marketing, progettisti e designer. Solo aprendo il dialogo con le altre discipline, insomma, sarà possibile un reciproco arricchimento e un incremento di conoscenza; viceversa, le analisi si aggiungeranno le une alle altre avendo come effetto solo una ridondanza e un parziale arricchimento di una ristretta comunità. La nostra macchina per cappuccino è, comunque, ancora all’inizio della sua carriera oggettuale (Semprini, 1996), quindi ancora aperta a possibili innovazioni sia dal punto di vista dell’enunciazione che dell’enunciato; e ancora, il suo senso risulta tutto negoziabile, ri-negoziabile e specificabile nelle pratiche sociali e contestuali quotidiane dei soggetti. 28 Bibliografia generale. Bastide, F. 1987 “Le traitement de la matière: opérations élémentaires”, in Actes sémiotiques – Documents, n. 89 (trad. it. 2001, “Il trattamento delle materie”. In Fabbri, P., Marrone, G. (a cura di), Semiotica in nuce. II. Teoria del discorso. Roma: Meltemi). Floch, J.M. 1992 Semiotica, Marketing, Comunicazione. Milano: Franco Angeli. Giannitrapani, A. 2004 “La cultura del caffè attraverso pratiche e oggetti”, in www.arcojournal.it Greimas, A. 1976 Maupassant:La sémiotique du texte: exercies prattiques, Seuil, Paris (trad. It. 1995, Maupassant. Esercizi di semiotica del testo, Centro scientifico editore, Torino, con una Introduzione di G. Marrone e una postfazione di P. Ricœur ). 1983 Du Sens II, Paris: Seuil (trad. it. 1985, Del Milano: Bompiani). Hammad, M. 2003 Leggere Meltemi. lo spazio, comprendere senso 2, l’architettura. Roma: Landowski, E., Marrone, G. 2002 La società degli oggetti. Roma: Meltemi Marrone, G. 2002 “Introduzione”, In Landowski, E., Marrone, G. (a cura di) La società degli oggetti. Roma: Meltemi. Marrone, G., Mangano, D. 2003 “Intorno allo sbattitore: l’oggetto, i testi”, Versus 91/92 29 Pozzato, M.P. 2001 Semiotica del testo. Roma: Carocci. Ricœur, P. 1990 Soi-même comme un autre, Paris: Seuil (trad. it. 1993 Sé come un altro. Milano: Jaca Book). Semprini, A. 1996 L’oggetto come processo e come azione. Per una sociosemiorica della vita quotidiana. Roma: Esculapio 1999 Il senso delle cose. Milano: Franco Angeli. 2002 “Oggetti senza frontiere”. In Landowski, E., Marrone, G. (a cura di) La società degli oggetti. Roma: Meltemi. Stella, A. 1999 Piccola enciclopedia del caffè. Milano: Rizzoli. Data di pubblicazione in rete : 21 marzo 2005 30