Stat Crux
dum volvitur orbis
“La Croce di Cristo è il punto fermo, in mezzo
ai mutamenti e agli sconvolgimenti del mondo”
Benedetto XVI – Certosa S. Bruno – 9.10.2011
9 ottobre 2011
Benedetto XVI visita la Certosa “Serra S. Bruno” – Calabria
Perché il S. Padre è andato pellegrino alla Certosa “Serra s. Bruno che da un millennio,
ininterrottamente, è abitata da monaci che si trasmettono di generazione in generazione,
inalterate, le fiaccole di una fede evangelica radicale, fondata sulle verità e realtà
essenziali in una vita di preghiera, di adorazione, di contemplazione, di silenzio: “Stat
Crux dum volvitur orbis”.
“Il monaco, lasciando tutto, per così dire “rischia”: si espone alla solitudine e al silenzio
per vivere unicamente dell’essenziale, e proprio vivendo dell’ essenziale trova anche una
profonda comunione con i fratelli, con ogni uomo”.
Ci viene spontanea la domanda: “questa vita ha ancora un senso in una mentalità di
attivismo frenetico, di esaltante efficientismo, di assordante intreccio di messaggi?
Queste esistenze umane così separate dal ritmo moderno sono di qualche utilità o sono
sprecate?
Come spiegare che due Papi – Giovanni Paolo II il 5 ottobre 1984 e Benedetto XVI il 9
ottobre 2011- si rechino a visitarli per pregare con questi monaci, così alieni da ogni
forma di pubblicità e spettacolarità, pur apprezzando come una grande grazia l’incontro
col Vicario di Cristo?
Essi amano considerarsi come un’umile sorgente d’acqua sotterranea in grado di
alimentare la fontana che disseta l’umanità.
Sono davvero inutili questi monaci, estranei ad ogni clamorosa attività umanitaria, o
sono quanto mai preziosi e indispensabili per la sopravivenza dell’umanità?
Il Papa ha risposto così: “la Chiesa ha bisogno di voi… il vostro posto non è
marginale… voi che vivete in un volontario isolamento, siete in realtà nel cuore
della Chiesa, e fate scorrere nelle sue vene il sangue puro della contemplazione e
dell’amore di Dio.
La vita in una Certosa partecipa della stabilità della Croce, che è quella di Dio, del
suo amore fedele”
Questi monaci con la loro silenziosa e orante esistenza indicano l’Assoluto di Dio in cui
ogni uomo può trovare speranza e salvezza.
Il presente opuscolo riporta la significativa riflessione del Santo Padre ai Monaci della
Certosa Serra S. Bruno che è come un compendio di tutto l’autorevole e, di alto profilo
spirituale, magistero di Benedetto XVI. Ho voluto accostare a questo importante
insegnamento una piccola e umile riflessione proposta ai fedeli di Isolalta – domenica 31
luglio in preparazione alla GMG di Madrid (16/21 agosto 2011).
D. Mario
VISITA PASTORALE A LAMEZIA TERME E A SERRA SAN BRUNO
CELEBRAZIONE DEI VESPRI
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Chiesa della Certosa di Serra San Bruno
Domenica, 9 ottobre 2011
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
cari Fratelli Certosini,
fratelli e sorelle!
Rendo grazie al Signore che mi ha condotto in questo luogo di fede e di preghiera, la
Certosa di Serra San Bruno. Nel rinnovare il mio saluto riconoscente a Mons.
Vincenzo Bertolone, Arcivescovo di Catanzaro-Squillace, mi rivolgo con grande
affetto a questa Comunità Certosina, a ciascuno dei suoi membri, a partire dal Priore,
Padre Jacques Dupont, che ringrazio di cuore per le sue parole, pregandolo di far
giungere il mio pensiero grato e benedicente al Ministro Generale e alle Monache
dell’Ordine.
Mi è caro anzitutto sottolineare come questa mia Visita si ponga in continuità con
alcuni segni di forte comunione tra la Sede Apostolica e l’Ordine Certosino, avvenuti
nel corso del secolo scorso. Nel 1924 il Papa Pio XI emanò una Costituzione
Apostolica con la quale approvò gli Statuti dell’Ordine, riveduti alla luce del Codice
di Diritto Canonico. Nel maggio 1984, il beato Giovanni Paolo II indirizzò al
Ministro Generale una speciale Lettera, in occasione del nono centenario della
fondazione da parte di san Bruno della prima comunità alla Chartreuse, presso
Grenoble. Il 5 ottobre di quello stesso anno, il mio amato Predecessore venne qui, e il
ricordo del suo passaggio tra queste mura è ancora vivo. Nella scia di questi eventi
passati, ma sempre attuali, vengo a voi oggi, e vorrei che questo nostro incontro
mettesse in risalto un legame profondo che esiste tra Pietro e Bruno, tra il servizio
pastorale all’unità della Chiesa e la vocazione contemplativa nella Chiesa. La
comunione ecclesiale infatti ha bisogno di una forza interiore, quella forza che poco
fa il Padre Priore ricordava citando l’espressione “captus ab Uno”, riferita a san
Bruno: “afferrato dall’Uno”, da Dio, “Unus potens per omnia”, come abbiamo
cantato nell’Inno dei Vespri. Il ministero dei Pastori trae dalle comunità
contemplative una linfa spirituale che viene da Dio.
“Fugitiva relinquere et aeterna captare”: abbandonare le realtà fuggevoli e cercare di
afferrare l’eterno. In questa espressione della lettera che il vostro Fondatore indirizzò
al Prevosto di Reims, Rodolfo, è racchiuso il nucleo della vostra spiritualità (cfr
Lettera a Rodolfo, 13): il forte desiderio di entrare in unione di vita con Dio,
abbandonando tutto il resto, tutto ciò che impedisce questa comunione e lasciandosi
afferrare dall’immenso amore di Dio per vivere solo di questo amore. Cari fratelli,
voi avete trovato il tesoro nascosto, la perla di grande valore (cfr Mt 13,44-46); avete
risposto con radicalità all’invito di Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello
che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!” (Mt
19,21). Ogni monastero – maschile o femminile – è un’oasi in cui, con la preghiera e
la meditazione, si scava incessantemente il pozzo profondo dal quale attingere
l’“acqua viva” per la nostra sete più profonda. Ma la Certosa è un’oasi speciale, dove
il silenzio e la solitudine sono custoditi con particolare cura, secondo la forma di vita
iniziata da san Bruno e rimasta immutata nel corso dei secoli. “Abito nel deserto con
dei fratelli”, è la frase sintetica che scriveva il vostro Fondatore (Lettera a Rodolfo,
4). La visita del Successore di Pietro in questa storica Certosa intende confermare
non solo voi, che qui vivete, ma l’intero Ordine nella sua missione, quanto mai
attuale e significativa nel mondo di oggi.
Il progresso tecnico, segnatamente nel campo dei trasporti e delle comunicazioni, ha
reso la vita dell’uomo più confortevole, ma anche più concitata, a volte convulsa. Le
città sono quasi sempre rumorose: raramente in esse c’è silenzio, perché un rumore di
fondo rimane sempre, in alcune zone anche di notte. Negli ultimi decenni, poi, lo
sviluppo dei media ha diffuso e amplificato un fenomeno che già si profilava negli
anni Sessanta: la virtualità che rischia di dominare sulla realtà. Sempre più, anche
senza accorgersene, le persone sono immerse in una dimensione virtuale, a causa di
messaggi audiovisivi che accompagnano la loro vita da mattina a sera. I più giovani,
che sono nati già in questa condizione, sembrano voler riempire di musica e di
immagini ogni momento vuoto, quasi per paura di sentire, appunto, questo vuoto.
Si tratta di una tendenza che è sempre esistita, specialmente tra i giovani e nei
contesti urbani più sviluppati, ma oggi essa ha raggiunto un livello tale da far parlare
di mutazione antropologica. Alcune persone non sono più capaci di rimanere a
lungo in silenzio e in solitudine.
Ho voluto accennare a questa condizione socioculturale, perché essa mette in risalto il
carisma specifico della Certosa, come un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo,
un dono che contiene un messaggio profondo per la nostra vita e per l’umanità intera.
Lo riassumerei così: ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo, per così
dire, si “espone” al reale nella sua nudità, si espone a quell’apparente “vuoto” cui
accennavo prima, per sperimentare invece la Pienezza, la presenza di Dio, della
Realtà più reale che ci sia, e che sta oltre la dimensione sensibile. E’ una presenza
percepibile in ogni creatura: nell’aria che respiriamo, nella luce che vediamo e che ci
scalda, nell’erba, nelle pietre… Dio, Creator omnium, attraversa ogni cosa, ma è
oltre, e proprio per questo è il fondamento di tutto. Il monaco, lasciando tutto, per
così dire “rischia”: si espone alla solitudine e al silenzio per non vivere di altro che
dell’essenziale, e proprio nel vivere dell’essenziale trova anche una profonda
comunione con i fratelli, con ogni uomo.
Qualcuno potrebbe pensare che sia sufficiente venire qui per fare questo “salto”. Ma
non è così. Questa vocazione, come ogni vocazione, trova risposta in un cammino,
nella ricerca di tutta una vita. Non basta infatti ritirarsi in un luogo come questo
per imparare a stare alla presenza di Dio. Come nel matrimonio non basta
celebrare il Sacramento per diventare effettivamente una cosa sola, ma occorre
lasciare che la grazia di Dio agisca e percorrere insieme la quotidianità della vita
coniugale, così il diventare monaci richiede tempo, esercizio, pazienza, “in una
perseverante vigilanza divina – come affermava san Bruno – attendendo il ritorno
del Signore per aprirgli immediatamente la porta” (Lettera a Rodolfo, 4); e proprio in
questo consiste la bellezza di ogni vocazione nella Chiesa: dare tempo a Dio di
operare con il suo Spirito e alla propria umanità di formarsi, di crescere secondo la
misura della maturità di Cristo, in quel particolare stato di vita. In Cristo c’è il tutto,
la pienezza; noi abbiamo bisogno di tempo per fare nostra una delle dimensioni del
suo mistero. Potremmo dire che questo è un cammino di trasformazione in cui si attua
e si manifesta il mistero della risurrezione di Cristo in noi, mistero a cui ci ha
richiamato questa sera la Parola di Dio nella Lettura biblica, tratta dalla Lettera ai
Romani: lo Spirito Santo, che ha risuscitato Gesù dai morti, e che darà la vita anche ai
nostri corpi mortali (cfr Rm 8,11), è Colui che opera anche la nostra configurazione a
Cristo secondo la vocazione di ciascuno, un cammino che si snoda dal fonte
battesimale fino alla morte, passaggio verso la casa del Padre. A volte, agli occhi del
mondo, sembra impossibile rimanere per tutta la vita in un monastero, ma in realtà
tutta una vita è appena sufficiente per entrare in questa unione con Dio, in quella
Realtà essenziale e profonda che è Gesù Cristo.
Per questo sono venuto qui, cari Fratelli che formate la Comunità certosina di Serra
San Bruno! Per dirvi che la Chiesa ha bisogno di voi, e che voi avete bisogno della
Chiesa. Il vostro posto non è marginale: nessuna vocazione è marginale nel Popolo di
Dio: siamo un unico corpo, in cui ogni membro è importante e ha la medesima
dignità, ed è inseparabile dal tutto. Anche voi, che vivete in un volontario isolamento,
siete in realtà nel cuore della Chiesa, e fate scorrere nelle sue vene il sangue puro
della contemplazione e dell’amore di Dio.
Stat Crux dum volvitur orbis – così recita il vostro motto. La Croce di Cristo è il
punto fermo, in mezzo ai mutamenti e agli sconvolgimenti del mondo. La vita in
una Certosa partecipa della stabilità della Croce, che è quella di Dio, del suo amore
fedele. Rimanendo saldamente uniti a Cristo, come tralci alla Vite, anche voi, Fratelli
Certosini, siete associati al suo mistero di salvezza, come la Vergine Maria, che
presso la Croce stabat, unita al Figlio nella stessa oblazione d’amore. Così, come
Maria e insieme con lei, anche voi siete inseriti profondamente nel mistero della
Chiesa, sacramento di unione degli uomini con Dio e tra di loro. In questo voi siete
anche singolarmente vicini al mio ministero. Vegli dunque su di noi la Madre
Santissima della Chiesa, e il santo Padre Bruno benedica sempre dal Cielo la vostra
Comunità. Amen
Stat Crux
“Dum volvitur orbis”
Queste parole, scritte a caratteri cubitali si trovano all’ingresso di un monastero di
monaci che hanno come impegno prioritario la preghiera e la contemplazione, il lavoro
ha lo scopo di favorire questa loro vocazione alla preghiera, e, di conseguenza,
provvedere anche al loro sostentamento.
Mentre il mondo è in continua evoluzione rimane stabile e incrollabile la Croce.
È la Croce la méta, il traguardo verso cui si mobilitano in questi giorni milioni di giovani
di tutto il mondo. La Croce, il punto fermo non esposto a variazioni e a mutamenti.
Il mondo è in subbuglio, tutto è in fermento, è in movimento non sempre nella
direzione giusta. Si parla di crisi economica, di crisi politica, di emergenza educativa,
di destabilizzazione di Stati, di catastrofe umanitaria…
Non sappiamo a quale spiaggia stiamo approdando, siamo in mare aperto, costatando
una fragilità che ci costringe a prendere coscienza che non siamo onnipotenti, che non
tutto è sotto controllo, non tutto è nelle nostre mani.
Ci domandiamo sgomenti:
Sarà ancora possibile un massacro indiscriminato di giovani (22 luglio 2011) per
mano di un giovane squilibrato e spregiudicato, com’è avvenuto in Norvegia?
Sarà ancora possibile che un gruppo di fanatici fondamentalisti abbattano degli
edifici simbolo del progresso e della tecnica di un popolo, com’è avvenuto l’11
settembre 2001 in America?
Sarà ancora possibile intentare guerre con pretesti umanitari, in realtà mossi da
obiettivi mascherati, meramente economici, come il petrolio?
Sarà ancora possibile sfruttare la povertà per motivi egemonici, di potere e di
prestigio e intanto milioni di persone muoiono di fame e di malattie?
Stat Crux
In tutte le realtà del pianeta sovrasta la Croce su cui è appeso un “Uomo-Dio” scevro
da ogni compromesso col male.
Su quel trono scandaloso e ripugnante della Croce risplendono la verità, la libertà,
l’amore, la vita vera. La Croce è un tribunale strano che fa giustizia sulla falsità, sulla
perversità, su ogni forma di male.
La Croce rimane –in mezzo al caos del mondo- a indicare l’unica via di salvezza.
In Cruce salus!
Da questa Croce, dal Crocefisso che vi è appeso, viene la salvezza per tutti. Il
Crocefisso del Venerdì Santo è il Pane che fa vivere l’umanità affamata di fraternità,
disorientata, confusa, vittima del suo egoismo, del suo delirio di onnipotenza –di
autosufficienza- del suo orgoglioso rifiuto del Dio Creatore e Redentore!
Si vuole eliminare la Croce, il Crocefisso.
Le conseguenza di questa eliminazione sono sotto i nostri occhi, sono disastrose.
La Croce, il Crocefisso, sono un messaggio strano, incomprensibile a un’umanità
incentrata sul permissivismo, sul piacere incontrollato e irresponsabile.
Il Crocefisso è rifiutato, ridicolizzato, al suo posto sono state intronizzate le droghe
del piacere, del denaro, del potere.
Alcuni si sforzano “furbescamente” di mascherare con delle apparenze di bene questi loschi obiettivi. La verità del Crocefisso, la verità dell’amore puro non si
sopporta, si vuole ucciderla. Tutto è lecito ciò che è possibile e ciò che piace! Ecco lo
slogan aberrante che impera indisturbato, sotto l’insegna del progresso!
Dio è strumentalizzato o viene annientato come un reperto da museo, innocuo e
insignificante.
La vita, la scienza, la tecnica vanno avanti per il loro verso, Dio non ha nessuna voce in
capitolo. Anzi è considerato un ingombro, un guastafeste… perché paralizza la libertà
incondizionata rivendicata dall’uomo autodivinizzato. È l’uomo che decide ciò che è
bene e ciò che è male con giudizio inappellabile, niente sta al di fuori e al di sopra di
lui, Dio è un’ombra un fantasma!
Ogni scelta è fatta in piena autonomia. Del proprio operato si risponde solo a sé stessi.
Le decisioni democratiche dell’uomo sono fonte di moralità. È la dittatura della
democrazia! Non ci si rifà a valori preesistenti e universali.
“Dum volvitur orbis”:
mentre il mondo è in movimento, è in cambiamento, va verso obiettivi non sempre
autentici, giusti, veri.
Stat Crux!
La Croce conserva inalterata la sua stabilità e potenzialità d’amore e di perdono. È
ancora il messaggio più eloquente, più salvifico, più vittorioso. L’unico!
Negli anni ’90, il più grande avversario della Croce, l’impero ateo sovietico, nella
persona di Mikhail Gorbaciov, volle un’udienza col Santo Padre, il beato Giovanni Paolo
II, e si recò sulla tomba di San Francesco come umile pellegrino per contemplare
commosso la potenza della Croce che aveva continuato a prevalere su un’Europa
impazzita a motivo dell’odio e dell’arroganza e di ideologie disumane e insensate. Su
ogni catastrofe, su ogni minaccia, su ogni crimine, anche il più efferato, spunta sempre
la Croce luminosa e vittoriosa del Venerdì Santo.
La Croce è il grande segno, l’unico segno che resiste di fronte a tutte le tempeste
della storia.
In hoc signo vinces!
Il giovane imperatore Costantino (313 d.C.) fu colpito da un segno: una scritta apparve
sul cielo di Roma “Nel segno della Croce vincerai!”.
Chi nella storia si è trovato ad abbattere la “Croce” non ha avuto successo. E, prima o
dopo, ha sperimentato il fallimento di questa follia, come è accaduto al sinedrio di
Gerusalemme 2000 anni or sono.
16 – 21 agosto 2011:
Il Santo Padre, Benedetto XVI, centinaia di Vescovi, migliaia di sacerdoti, milioni di
giovani si dirigono come pellegrini verso la Croce di Madrid, da dove, come su un trono,
regna ancora Gesù il Re vittorioso.
“Deus regnavit a ligno”
Su quella Croce c’è un Re che volontariamente accetta di essere raggiunto dalla morte
per annientarla definitivamente con la potenza di un amore, mai visto sulla terra:
l’amore misericordioso vince la morte. “Chi ama è passato dalla morte alla vita”.
Stat Crux!
“Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto!”
la salvezza viene da questo sguardo di fede, di
pentimento, di riconoscenza, di gratitudine.
I giovani, in cammino verso Madrid, hanno percepito che
la
salvezza
scaturisce
dalla
Croce.
Vanno
per
raccogliersi insieme al Papa, ai Vescovi, ai sacerdoti
attorno alla Croce intonando il canto della fede, della
riconoscenza, della gioia:
“Sotto la sua Croce, cantando ad una voce:
è l’Emmanuel!”
Chi si aggrappa tenacemente alla Croce di Gesù non ha motivo di temere, di
spaventarsi davanti alle turbolenze del mondo.
“Abbiate fiducia in me,
in ho vinto il mondo!”
Amen
Domenica 31 luglio 2011
Nell’Adorazione Eucaristica si recupera e
si riafferma il primato di Dio
Benedetto XVI – Congresso Eucaristico di Ancona 11.09.2011
Ave verum corpus natum de Maria Virgine !
Riflessioni di Don Mario sui messaggi di Benedetto XVI al
Congresso Eucaristico di Ancona
Il tentativo di Benedetto XVI è traghettare sul binario del soprannaturale la Chiesa che si è
mondanizzata, professando una religione laica, incentrata sull'assistenza sociale e umanitaria,
disancorata dalla fede in Dio e dalla fedeltà ai Suoi progetti, alla Sua volontà. Il discorso di Gesù sul
pane della vita è "duro" da accogliere anche oggi, come al tempo di Gesù, perché richiede un
cambiamento di vita che non si è disposti a fare..." Accogliere veramente questo dono vuol dire
perdere sè stessi, lasciarsi coinvolgere e trasformare, fino a vivere di Gesù e solo di Gesù... Si pensa
che Gesù sia un ostacolo alla libertà... in realtà, solo nell'apertura a Dio, nell'accoglienza del suo
dono, diventiamo veramente liberi, liberi dalle situazioni del peccato, che sfigura il volto dell'uomo
e capaci di servire al vero bene dei fratelli. Questi insegnamenti oggi vengono solo dal Papa e da
qualche altro pastore. Quasi tutti dicono che basta fare del bene, fare qualcosa... anche se Dio è
messo da una parte. La storia ci dimostra che organizzare la società e il suo benessere in nome del
potere e dell'economia, escludendo Dio, è un'illusione ... E si finisce per dare pietre o bombe
all'uomo anziché pane. Anche le ideologie recenti che hanno dominato per decenni il mondo lo
stanno a dimostrare. "L'uomo è incapace di darsi la vita da se stesso". Egli si comprende solo a
partire da Dio. E' la relazione con Dio a dare consistenza alla nostra umanità e a rendere buona e
giusta la nostra vita. E' anzitutto il primato di Dio che dobbiamo recuperare nella nostra vita,
perché è questo primato a permetterci di ritrovare la verità di ciò che siamo, ed è nel conoscere e
seguire la volontà di Dio che troviamo il nostro "vero bene".
"Dare tempo e spazio a Dio, perché sia il centro vitale della nostra esistenza"
"Da dove partire per recuperare e riaffermare il primato di Dio?
Dall'Eucaristia: qui Dio si fa così vicino da farsi nostro cibo, qui Egli si fa forza nel cammino
spesso difficile, qui si fa presenza amica che trasforma".Gesù è Pane del cielo, vera manna, pane
della vita" Senza questo pane non si può vivere! “Gesù nell'Eucaristia dona se stesso”: la vita
che gli sarà tolta sulla croce la dona in anticipo nell'Eucaristia dell'Ultima Cena. La morte è così
trasformata in un libero atto d'amore, di auto-donazione, che attraversa vittoriosamente la stessa
morte e la creazione umiliata dal peccato ne esce redenta. Nell'Eucaristia Dio si dona a noi, per
aprire la nostra esistenza a Lui, per coinvolgerla nel mistero di amore della Croce e anticipare la
nuova condizione della vita piena in Dio, in attesa della quale viviamo".
Quali conseguenze ci sono per la nostra vita concreta se nell'Eucaristia recuperiamo e riaffermiamo
il primato di Dio? L'Eucaristia ci strappa dall'egoismo che sta al fondo di tutte le deviazioni e
sbandamenti, ci comunica lo Spirito di donazione di Cristo, ci conforma a Lui, ci unisce
intimamente ai fratelli non per sfruttarli ma per promuovere la loro piena realizzazione.
L'Eucaristia sostiene e trasforma l'intera vita. I santi attingono dall'Eucaristia la forza e la
capacità di totale dedizione ai fratelli, entrano nella stessa logica di amore e di dono della Croce; chi
sa inginocchiarsi davanti all'Eucaristia non può restare indifferente davanti all'uomo ferito, piagato,
bisognoso. In ogni persona saprà vedere quel Signore che ha dato tutto se stesso per noi e per la
nostra salvezza. Una spiritualità Eucaristica è anima di una comunità ecclesiale che supera divisioni
e contrapposizioni, e valorizza diversità di carismi e ministeri ponendoli al servizio dell’unità della
Chiesa, della sua vitalità e missione. "Dal Pane della vita trova vigore una rinnovata capacità
educativa, attenta a testimoniare i valori fondamentali dell'esistenza ... " "La vita quotidiana,
incentrata nell'Eucaristia, diventa luogo del culto spirituale, per vivere in tutte le circostanze il
primato di Dio, all'interno del rapporto con Cristo e come offerta al Padre". "Non di solo pane vive
l'uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio." "Signore da chi andremo? Tu hai parole
di vita eterna e noi abbiamo creduto che Tu sei il Santo di Dio".
D. Mario
VISITA PASTORALE AD ANCONA
CELEBRAZIONE EUCARISTICA
A CONCLUSIONE DEL XXV CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE ITALIANO
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Cantiere Navale di Ancona
Domenica, 11 settembre 2011
Carissimi fratelli e sorelle!
Sei anni fa, il primo viaggio apostolico in Italia del mio pontificato mi condusse a Bari, per
il 24° Congresso Eucaristico Nazionale. Oggi sono venuto a concludere solennemente il
25°, qui ad Ancona. Ringrazio il Signore per questi intensi momenti ecclesiali che
rafforzano il nostro amore all’Eucaristia e ci vedono uniti attorno all’Eucaristia! Bari e
Ancona, due città affacciate sul mare Adriatico; due città ricche di storia e di vita cristiana;
due città aperte all’Oriente, alla sua cultura e alla sua spiritualità; due città che i temi dei
Congressi Eucaristici hanno contribuito ad avvicinare: a Bari abbiamo fatto memoria di
come “senza la Domenica non possiamo vivere”; oggi il nostro ritrovarci è all’insegna
dell’“Eucaristia per la vita quotidiana”.
Prima di offrivi qualche pensiero, vorrei ringraziarvi per questa vostra corale
partecipazione: in voi abbraccio spiritualmente tutta la Chiesa che è in Italia. Rivolgo un
saluto riconoscente al Presidente della Conferenza Episcopale, Cardinale Angelo Bagnasco,
per le cordiali parole che mi ha rivolto anche a nome di tutti voi; al mio Legato a questo
Congresso, Cardinale Giovanni Battista Re; all’Arcivescovo di Ancona-Osimo, Mons.
Edoardo Menichelli, ai Vescovi della Metropolìa, delle Marche e a quelli convenuti
numerosi da ogni parte del Paese. Insieme con loro, saluto i sacerdoti, i diaconi, i consacrati
e le consacrate, e i fedeli laici, fra i quali vedo molte famiglie e molti giovani. La mia
gratitudine va anche alle Autorità civili e militari e a quanti, a vario titolo, hanno contribuito
al buon esito di questo evento.
“Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (Gv 6,60). Davanti al discorso di Gesù sul
pane della vita, nella Sinagoga di Cafarnao, la reazione dei discepoli, molti dei quali
abbandonarono Gesù, non è molto lontana dalle nostre resistenze davanti al dono totale che
Egli fa di se stesso. Perché accogliere veramente questo dono vuol dire perdere se stessi,
lasciarsi coinvolgere e trasformare, fino a vivere di Lui, come ci ha ricordato l’apostolo
Paolo nella seconda Lettura: “Se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo,
moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rm
14,8).
“Questa parola è dura!”; è dura perché spesso confondiamo la libertà con l’assenza di
vincoli, con la convinzione di poter fare da soli, senza Dio, visto come un limite alla libertà.
E’ questa un’illusione che non tarda a volgersi in delusione, generando inquietudine e paura
e portando, paradossalmente, a rimpiangere le catene del passato: “Fossimo morti per mano
del Signore nella terra d’Egitto…” – dicevano gli ebrei nel deserto (Es 16,3), come abbiamo
ascoltato. In realtà, solo nell’apertura a Dio, nell’accoglienza del suo dono, diventiamo
veramente liberi, liberi dalla schiavitù del peccato che sfigura il volto dell’uomo e capaci di
servire al vero bene dei fratelli.
“Questa parola è dura!”; è dura perché l’uomo cade spesso nell’illusione di poter
“trasformare le pietre in pane”. Dopo aver messo da parte Dio, o averlo tollerato come una
scelta privata che non deve interferire con la vita pubblica, certe ideologie hanno puntato a
organizzare la società con la forza del potere e dell’economia. La storia ci dimostra,
drammaticamente, come l’obiettivo di assicurare a tutti sviluppo, benessere materiale e pace
prescindendo da Dio e dalla sua rivelazione si sia risolto in un dare agli uomini pietre al
posto del pane. Il pane, cari fratelli e sorelle, è “frutto del lavoro dell’uomo”, e in questa
verità è racchiusa tutta la responsabilità affidata alle nostre mani e alla nostra ingegnosità;
ma il pane è anche, e prima ancora, “frutto della terra”, che riceve dall’alto sole e pioggia: è
dono da chiedere, che ci toglie ogni superbia e ci fa invocare con la fiducia degli umili:
“Padre (…), dacci oggi il nostro pane quotidiano” (Mt 6,11).
L’uomo è incapace di darsi la vita da se stesso, egli si comprende solo a partire da Dio: è
la relazione con Lui a dare consistenza alla nostra umanità e a rendere buona e giusta la
nostra vita. Nel Padre nostro chiediamo che sia santificato il Suo nome, che venga il Suo
regno, che si compia la Sua volontà. E’ anzitutto il primato di Dio che dobbiamo recuperare
nel nostro mondo e nella nostra vita, perché è questo primato a permetterci di ritrovare la
verità di ciò che siamo, ed è nel conoscere e seguire la volontà di Dio che troviamo il nostro
vero bene. Dare tempo e spazio a Dio, perché sia il centro vitale della nostra esistenza.
Da dove partire, come dalla sorgente, per recuperare e riaffermare il primato di Dio?
Dall’Eucaristia: qui Dio si fa così vicino da farsi nostro cibo, qui Egli si fa forza nel
cammino spesso difficile, qui si fa presenza amica che trasforma. Già la Legge data per
mezzo di Mosè veniva considerata come “pane del cielo”, grazie al quale Israele divenne il
popolo di Dio, ma in Gesù la parola ultima e definitiva di Dio si fa carne, ci viene incontro
come Persona. Egli, Parola eterna, è la vera manna, è il pane della vita (cfr Gv 6,32-35) e
compiere le opere di Dio è credere in Lui (cfr Gv 6,28-29). Nell’Ultima Cena Gesù riassume
tutta la sua esistenza in un gesto che si inscrive nella grande benedizione pasquale a Dio,
gesto che Egli vive da Figlio come rendimento di grazie al Padre per il suo immenso amore.
Gesù spezza il pane e lo condivide, ma con una profondità nuova, perché Egli dona se
stesso. Prende il calice e lo condivide perché tutti ne possano bere, ma con questo gesto Egli
dona la “nuova alleanza nel suo sangue”, dona se stesso. Gesù anticipa l’atto di amore
supremo, in obbedienza alla volontà del Padre: il sacrificio della Croce. La vita gli sarà
tolta sulla Croce, ma già ora Egli la offre da se stesso. Così la morte di Cristo non è
ridotta ad un’esecuzione violenta, ma è trasformata da Lui in un libero atto d’amore, in un
atto di auto-donazione, che attraversa vittoriosamente la stessa morte e ribadisce la bontà
della creazione uscita dalle mani di Dio, umiliata dal peccato e finalmente redenta. Questo
immenso dono è a noi accessibile nel Sacramento dell’Eucaristia: Dio si dona a noi, per
aprire la nostra esistenza a Lui, per coinvolgerla nel mistero di amore della Croce, per
renderla partecipe del mistero eterno da cui proveniamo e per anticipare la nuova condizione
della vita piena in Dio, in attesa della quale viviamo. Ma che cosa comporta per la nostra
vita quotidiana questo partire dall’Eucaristia per riaffermare il primato di Dio? La
comunione eucaristica, cari amici, ci strappa dal nostro individualismo, ci comunica lo
spirito del Cristo morto e risorto, e ci conforma a Lui; ci unisce intimamente ai fratelli in
quel mistero di comunione che è la Chiesa, dove l’unico Pane fa dei molti un solo corpo (cfr
1 Cor 10,17), realizzando la preghiera della comunità cristiana delle origini riportata nel
libro della Didaché: “Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto divenne una
cosa sola, così la tua Chiesa dai confini della terra venga radunata nel tuo Regno” (IX, 4).
L’Eucaristia sostiene e trasforma l’intera vita quotidiana. Come ricordavo nella mia prima
Enciclica, “nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta
gli altri”, per cui “un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se
stessa frammentata” (Deus caritas est, 14).
La bimillenaria storia della Chiesa è costellata di santi e sante, la cui esistenza è segno
eloquente di come proprio dalla comunione con il Signore, dall’Eucaristia nasca una nuova
e intensa assunzione di responsabilità a tutti i livelli della vita comunitaria, nasca quindi uno
sviluppo sociale positivo, che ha al centro la persona, specie quella povera, malata o
disagiata. Nutrirsi di Cristo è la via per non restare estranei o indifferenti alle sorti dei
fratelli, ma entrare nella stessa logica di amore e di dono del sacrificio della Croce; chi
sa inginocchiarsi davanti all’Eucaristia, chi riceve il corpo del Signore non può non
essere attento, nella trama ordinaria dei giorni, alle situazioni indegne dell’uomo, e sa
piegarsi in prima persona sul bisognoso, sa spezzare il proprio pane con l’affamato,
condividere l’acqua con l’assetato, rivestire chi è nudo, visitare l’ammalato e il carcerato
(cfr Mt 25,34-36). In ogni persona saprà vedere quello stesso Signore che non ha esitato a
dare tutto se stesso per noi e per la nostra salvezza. Una spiritualità eucaristica, allora, è vero
antidoto all’individualismo e all’egoismo che spesso caratterizzano la vita quotidiana,
porta alla riscoperta della gratuità, della centralità delle relazioni, a partire dalla famiglia,
con particolare attenzione a lenire le ferite di quelle disgregate. Una spiritualità eucaristica è
anima di una comunità ecclesiale che supera divisioni e contrapposizioni e valorizza le
diversità di carismi e ministeri ponendoli a servizio dell’unità della Chiesa, della sua
vitalità e della sua missione. Una spiritualità eucaristica è via per restituire dignità ai
giorni dell’uomo e quindi al suo lavoro, nella ricerca della sua conciliazione con i tempi
della festa e della famiglia e nell’impegno a superare l’incertezza del precariato e il
problema della disoccupazione. Una spiritualità eucaristica ci aiuterà anche ad accostare
le diverse forme di fragilità umana consapevoli che esse non offuscano il valore della
persona, ma richiedono prossimità, accoglienza e aiuto. Dal Pane della vita trarrà vigore una
rinnovata capacità educativa, attenta a testimoniare i valori fondamentali dell’esistenza, del
sapere, del patrimonio spirituale e culturale; la sua vitalità ci farà abitare la città degli
uomini con la disponibilità a spenderci nell’orizzonte del bene comune per la costruzione di
una società più equa e fraterna. Cari amici, ripartiamo da questa terra marchigiana con la
forza dell’Eucaristia in una costante osmosi tra il mistero che celebriamo e gli ambiti del
nostro quotidiano. Non c’è nulla di autenticamente umano che non trovi nell’Eucaristia la
forma adeguata per essere vissuto in pienezza: la vita quotidiana diventi dunque luogo del
culto spirituale, per vivere in tutte le circostanze il primato di Dio, all’interno del rapporto
con Cristo e come offerta al Padre (cfr Esort. ap. postsin. Sacramentum caritatis, 71). Sì,
“non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4): noi
viviamo dell’obbedienza a questa parola, che è pane vivo, fino a consegnarci, come Pietro,
con l’intelligenza dell’amore: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e
noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69).
Come la Vergine Maria, diventiamo anche noi “grembo” disponibile ad offrire Gesù
all’uomo del nostro tempo, risvegliando il desiderio profondo di quella salvezza che viene
soltanto da Lui. Buon cammino, con Cristo Pane di vita, a tutta la Chiesa che è in Italia!
Amen.
VISITA PASTORALE AD ANCONA
INCONTRO CON LE FAMIGLIE E CON I SACERDOTI
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Cattedrale di San Ciriaco, Ancona
Domenica, 11 settembre 2011
Cari sacerdoti e cari sposi!
Il colle su cui è costruita questa Cattedrale ci ha consentito un bellissimo sguardo sulla città e
sul mare; ma nel varcare il maestoso portale l’animo rimane affascinato dall’armonia dello stile
romanico, arricchito da un intreccio di influssi bizantini e di elementi gotici. Anche nella vostra
presenza – sacerdoti e sposi provenienti dalle diverse diocesi italiane – si coglie la bellezza
dell’armonia e della complementarità delle vostre differenti vocazioni. La mutua conoscenza e
la stima vicendevole, nella condivisione della stessa fede, portano ad apprezzare il carisma
altrui e a riconoscersi all’interno dell’unico “edificio spirituale” (1 Pt 2,5) che, avendo come
pietra angolare lo stesso Cristo Gesù, cresce ben ordinato per essere tempio santo nel Signore
(cfr Ef 2,20-21). Grazie, dunque, per questo incontro: al caro Arcivescovo, Mons. Edoardo
Menichelli – anche per le espressioni con cui lo ha introdotto – e a ciascuno di voi.
Vorrei soffermarmi brevemente sulla necessità di ricondurre Ordine sacro e Matrimonio
all’unica sorgente eucaristica. Entrambi questi stati di vita hanno, infatti, nell’amore di Cristo,
che dona se stesso per la salvezza dell’umanità, la medesima radice; sono chiamati ad una
missione comune: quella di testimoniare e rendere presente questo amore a servizio della
comunità, per l’edificazione del Popolo di Dio (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n.
1534). Questa prospettiva consente anzitutto di superare una visione riduttiva della famiglia,
che la considera come mera destinataria dell’azione pastorale. È vero che, in questa stagione
difficile, essa necessita di particolari attenzioni. Non per questo, però, ne va sminuita l’identità e
mortificata la specifica responsabilità. La famiglia è ricchezza per gli sposi, bene
insostituibile per i figli, fondamento indispensabile della società, comunità vitale per il
cammino della Chiesa.
A livello ecclesiale valorizzare la famiglia significa riconoscerne la rilevanza nell’azione
pastorale. Il ministero che nasce dal Sacramento del Matrimonio è importante per la vita della
Chiesa: la famiglia è luogo privilegiato di educazione umana e cristiana e rimane, per questa
finalità, la migliore alleata del ministero sacerdotale; essa è un dono prezioso per l’edificazione
della comunità. La vicinanza del sacerdote alla famiglia, a sua volta, l’aiuta a prendere
coscienza della propria realtà profonda e della propria missione, favorendo lo sviluppo di
una forte sensibilità ecclesiale. Nessuna vocazione è una questione privata, tantomeno quella al
matrimonio, perché il suo orizzonte è la Chiesa intera. Si tratta, dunque, di saper integrare ed
armonizzare, nell’azione pastorale, il ministero sacerdotale con “l’autentico Vangelo del
matrimonio e della famiglia” (CEI, Drettorio di pastorale familiare, 25 luglio 1993, 8) per una
comunione fattiva e fraterna. E l’Eucaristia è il centro e la sorgente di questa unità che anima
tutta l’azione della Chiesa.
Cari sacerdoti, per il dono che avete ricevuto nell’Ordinazione, siete chiamati a servire
come Pastori la comunità ecclesiale, che è “famiglia di famiglie”, e quindi ad amare
ciascuno con cuore paterno, con autentico distacco da voi stessi, con dedizione piena,
continua e fedele: voi siete segno vivo che rimanda a Cristo Gesù, l’unico Buon Pastore.
Conformatevi a Lui, al suo stile di vita, con quel servizio totale ed esclusivo di cui il celibato è
espressione. Anche il sacerdote ha una dimensione sponsale; è immedesimarsi con il cuore di
Cristo Sposo, che dà la vita per la Chiesa sua sposa (cfr Esort. ap. postsin. Sacramentum
caritatis, 24). Coltivate una profonda familiarità con la Parola di Dio, luce nel vostro cammino.
La celebrazione quotidiana e fedele dell’Eucaristia sia il luogo dove attingere la forza per
donare voi stessi ogni giorno nel ministero e vivere costantemente alla presenza di Dio: è Lui la
vostra dimora e la vostra eredità. Di questo dovete essere testimoni per la famiglia e per
ogni persona che il Signore pone sulla vostra strada, anche nelle circostanze più difficili (cfr
ibid., 80). Incoraggiate i coniugi, condividetene le responsabilità educative, aiutateli a rinnovare
continuamente la grazia del loro matrimonio. Rendete protagonista la famiglia nell’azione
pastorale. Siate accoglienti e misericordiosi, anche con quanti fanno più fatica ad adempiere gli
impegni assunti con il vincolo matrimoniale e con quanti, purtroppo, vi sono venuti meno.
Cari sposi, il vostro Matrimonio si radica nella fede che “Dio è amore” (1Gv 4,8) e che
seguire Cristo significa “rimanere nell’amore” (cfr Gv 15,9-10). La vostra unione – come
insegna San Paolo – è segno sacramentale dell’amore di Cristo per la Chiesa (cfr Ef 5,32),
amore che culmina nella Croce e che è “significato e attuato nell’Eucaristia” (Esort. ap.
Sacramentum caritatis, 29). Il Mistero eucaristico incida sempre più profondamente nella vostra
vita quotidiana: traete ispirazione e forza da questo Sacramento per il vostro rapporto coniugale
e per la missione educativa a cui siete chiamati; costruite le vostre famiglie nell’unità, dono che
viene dall’alto e che alimenta il vostro impegno nella Chiesa e nel promuovere un mondo giusto
e fraterno. Amate i vostri sacerdoti, esprimete loro l’apprezzamento per il generoso servizio che
svolgono. Sappiate sopportarne anche i limiti, senza mai rinunciare a chiedere loro che siano fra
voi ministri esemplari che vi parlano di Dio e che vi conducono a Dio. La vostra fraternità è per
loro un prezioso aiuto spirituale e un sostegno nelle prove della vita.
Cari sacerdoti e cari sposi, sappiate trovare sempre nella santa Messa la forza per vivere
l’appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa, nel perdono, nel dono di sé stessi e nella
gratitudine. Il vostro agire quotidiano abbia nella comunione sacramentale la sua origine e il suo
centro, perché tutto sia fatto a gloria di Dio. In questo modo, il sacrificio di amore di Cristo vi
trasformerà, fino a rendervi in Lui “un solo corpo e un solo spirito” (cfr Ef 4,4-6). L’educazione
alla fede delle nuove generazioni passa anche attraverso la vostra coerenza. Testimoniate loro
la bellezza esigente della vita cristiana, con la fiducia e la pazienza di chi conosce la potenza
del seme gettato nel terreno. Come nell’episodio evangelico che abbiamo ascoltato (Mc 5,2124.35-43), siate, per quanti sono affidati alla vostra responsabilità, segno della benevolenza e
della tenerezza di Gesù: in Lui si rende visibile come il Dio che ama la vita non è estraneo o
lontano dalle vicende umane, ma è l’Amico che mai abbandona. E nei momenti in cui si
insinuasse la tentazione che ogni impegno educativo sia vano, attingete dall’Eucaristia la luce
per rafforzare la fede, sicuri che la grazia e la potenza di Gesù Cristo possono raggiungere
l’uomo in ogni situazione, anche la più difficile.
Cari amici, vi affido tutti alla protezione di Maria, venerata in questa Cattedrale con il titolo di
“Regina di tutti i Santi”. La tradizione ne lega l’immagine all’ex voto di un marinaio, in
ringraziamento per la salvezza del figlio, uscito indenne da una tempesta di mare. Lo sguardo
materno della Madre accompagni anche i vostri passi nella santità verso un approdo di pace.
Grazie.
VISITA PASTORALE AD ANCONA
INCONTRO CON I GIOVANI FIDANZATI
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Piazza del Plebiscito, Ancona
Domenica, 11 settembre 2011
Cari fidanzati!
Sono lieto di concludere questa itensa giornata, culmine del Congresso Eucaristico Nazionale,
incontrando voi, quasi a voler affidare l’eredità di questo evento di grazia alle vostre giovani vite.
Del resto, l’Eucaristia, dono di Cristo per la salvezza del mondo, indica e contiene l’orizzonte più
vero dell’esperienza che state vivendo: l’amore di Cristo quale pienezza dell’amore umano.
Ringrazio l’Arcivescovo di Ancona-Osimo, Mons. Edoardo Menichelli, per il suo cordiale e
profondo saluto, e tutti voi per questa vivace partecipazione; grazie anche per le domande che mi
avete rivolto e che io accolgo confidando nella presenza in mezzo a noi del Signore Gesù: Lui solo
ha parole di vita eterna, parole di vita per voi e per il vostro futuro!
Quelli che ponete sono interrogativi che, nell’attuale contesto sociale, assumono un peso ancora
maggiore. Vorrei offrirvi solo qualche orientamento per una risposta. Per certi aspetti, il nostro è un
tempo non facile, soprattutto per voi giovani. La tavola è imbandita di tante cose prelibate, ma,
come nell’episodio evangelico delle nozze di Cana, sembra che sia venuto a mancare il vino
della festa. Soprattutto la difficoltà di trovare un lavoro stabile stende un velo di incertezza
sull’avvenire. Questa condizione contribuisce a rimandare l’assunzione di decisioni definitive, e
incide in modo negativo sulla crescita della società, che non riesce a valorizzare appieno la
ricchezza di energie, di competenze e di creatività della vostra generazione.
Manca il vino della festa anche a una cultura che tende a prescindere da chiari criteri morali: nel
disorientamento, ciascuno è spinto a muoversi in maniera individuale e autonoma, spesso nel solo
perimetro del presente. La frammentazione del tessuto comunitario si riflette in un relativismo che
intacca i valori essenziali; la consonanza di sensazioni, di stati d’animo e di emozioni sembra più
importante della condivisione di un progetto di vita. Anche le scelte di fondo allora diventano
fragili, esposte ad una perenne revocabilità, che spesso viene ritenuta espressione di libertà, mentre
ne segnala piuttosto la carenza. Appartiene a una cultura priva del vino della festa anche l’apparente
esaltazione del corpo, che in realtà banalizza la sessualità e tende a farla vivere al di fuori di un
contesto di comunione di vita e d’amore.
Cari giovani, non abbiate paura di affrontare queste sfide! Non perdete mai la speranza.
Abbiate coraggio, anche nelle difficoltà, rimanendo saldi nella fede. Siate certi che, in ogni
circostanza, siete amati e custoditi dall’amore di Dio, che è la nostra forza. Dio è buono. Per questo
è importante che l’incontro con Dio, soprattutto nella preghiera personale e comunitaria, sia
costante, fedele, proprio come è il cammino del vostro amore: amare Dio e sentire che Lui mi ama.
Nulla ci può separare dall’amore di Dio! Siate certi, poi, che anche la Chiesa vi è vicina, vi sostiene,
non cessa di guardare a voi con grande fiducia. Essa sa che avete sete di valori, quelli veri, su cui
vale la pena di costruire la vostra casa! Il valore della fede, della persona, della famiglia, delle
relazioni umane, della giustizia. Non scoraggiatevi davanti alle carenze che sembrano spegnere
la gioia sulla mensa della vita. Alle nozze di Cana, quando venne a mancare il vino, Maria invitò
i servi a rivolgersi a Gesù e diede loro un’indicazione precisa: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”
(Gv 2,5). Fate tesoro di queste parole, le ultime di Maria riportate nei Vangeli, quasi un suo
testamento spirituale, e avrete sempre la gioia della festa: Gesù è il vino della festa!
Come fidanzati vi trovate a vivere una stagione unica, che apre alla meraviglia dell’incontro e fa
scoprire la bellezza di esistere e di essere preziosi per qualcuno, di potervi dire reciprocamente: tu
sei importante per me. Vivete con intensità, gradualità e verità questo cammino. Non rinunciate a
perseguire un ideale alto di amore, riflesso e testimonianza dell’amore di Dio! Ma come vivere
questa fase della vostra vita, testimoniare l’amore nella comunità? Vorrei dirvi anzitutto di evitare
di chiudervi in rapporti intimistici, falsamente rassicuranti; fate piuttosto che la vostra relazione
diventi lievito di una presenza attiva e responsabile nella comunità. Non dimenticate, poi, che, per
essere autentico, anche l’amore richiede un cammino di maturazione: a partire dall’attrazione
iniziale e dal “sentirsi bene” con l’altro, educatevi a “volere bene” all’altro, a “volere il bene”
dell’altro. L’amore vive di gratuità, di sacrificio di sé, di perdono e di rispetto dell’altro.
Cari amici, ogni amore umano è segno dell’Amore eterno che ci ha creati, e la cui grazia santifica
la scelta di un uomo e di una donna di consegnarsi reciprocamente la vita nel matrimonio. Vivete
questo tempo del fidanzamento nell’attesa fiduciosa di tale dono, che va accolto percorrendo una
strada di conoscenza, di rispetto, di attenzioni che non dovete mai smarrire: solo a questa
condizione il linguaggio dell’amore rimarrà significativo anche nello scorrere degli anni. Educatevi,
poi, sin da ora alla libertà della fedeltà, che porta a custodirsi reciprocamente, fino a vivere l’uno
per l’altro. Preparatevi a scegliere con convinzione il “per sempre” che connota l’amore:
l’indissolubilità, prima che una condizione, è un dono che va desiderato, chiesto e vissuto, oltre
ogni mutevole situazione umana. E non pensate, secondo una mentalità diffusa, che la
convivenza sia garanzia per il futuro. Bruciare le tappe finisce per “bruciare” l’amore, che
invece ha bisogno di rispettare i tempi e la gradualità nelle espressioni; ha bisogno di dare spazio a
Cristo, che è capace di rendere un amore umano fedele, felice e indissolubile. La fedeltà e la
continuità del vostro volervi bene vi renderanno capaci anche di essere aperti alla vita, di essere
genitori: la stabilità della vostra unione nel Sacramento del Matrimonio permetterà ai figli che Dio
vorrà donarvi di crescere fiduciosi nella bontà della vita. Fedeltà, indissolubilità e trasmissione
della vita sono i pilastri di ogni famiglia, vero bene comune, patrimonio prezioso per l’intera
società. Fin d’ora, fondate su di essi il vostro cammino verso il matrimonio e testimoniatelo anche
ai vostri coetanei: è un servizio prezioso! Siate grati a quanti con impegno, competenza e
disponibilità vi accompagnano nella formazione: sono segno dell’attenzione e della cura che la
comunità cristiana vi riserva. Non siete soli: ricercate e accogliete per primi la compagnia della
Chiesa.
Vorrei tornare ancora su un punto essenziale: l’esperienza dell’amore ha al suo interno la tensione
verso Dio. Il vero amore promette l’infinito! Fate, dunque, di questo vostro tempo di
preparazione al matrimonio un itinerario di fede: riscoprite per la vostra vita di coppia la
centralità di Gesù Cristo e del camminare nella Chiesa. Maria ci insegna che il bene di ciascuno
dipende dall’ascoltare con docilità la parola del Figlio. In chi si fida di Lui, l’acqua della vita
quotidiana si muta nel vino di un amore che rende buona, bella e feconda la vita. Cana, infatti, è
annuncio e anticipazione del dono del vino nuovo dell’Eucaristia, sacrificio e banchetto nel quale il
Signore ci raggiunge, ci rinnova e trasforma. Non smarrite l’importanza vitale di questo incontro:
l’assemblea liturgica domenicale vi trovi pienamente partecipi: dall’Eucaristia scaturisce il senso
cristiano dell’esistenza e un nuovo modo di vivere (cfr Esort. ap. postsin. Sacramentum caritatis,
72-73). E non avrete, allora, paura nell’assumere l’impegnativa responsabilità della scelta
coniugale; non temerete di entrare in questo “grande mistero”, nel quale due persone diventano una
sola carne (cfr Ef 5,31-32).
Carissimi giovani, vi affido alla protezione di San Giuseppe e di Maria Santissima; seguendo
l’invito della Vergine Madre – “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” – non vi mancherà il gusto della
vera festa e saprete portare il “vino” migliore, quello che Cristo dona per la Chiesa e per il
mondo. Vorrei dirvi che anch’io sono vicino a voi e a tutti coloro che, come voi, vivono questo
meraviglioso cammino di amore. Vi benedico con tutto il cuore!
Come deve cambiare la Chiesa
VIAGGIO APOSTOLICO IN GERMANIA
22-25 SETTEMBRE 2011
INCONTRO CON CATTOLICI IMPEGNATI NELLA CHIESA E NELLA SOCIETÀ
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Konzerthaus di Freiburg im Breisgau
Domenica, 25 settembre 2011
Illustre Signor Presidente federale,
Signor Presidente dei Ministri,
Signor Sindaco,
Illustri Signori e Signore,
Cari Confratelli nel ministero episcopale e sacerdotale!
Sono contento di questo incontro con voi, che siete impegnati in molteplici modi per la
Chiesa e la società. Questo mi offre un’occasione gradita di ringraziarvi qui
personalmente con tutto il cuore per il vostro servizio e la vostra testimonianza quali
“efficaci araldi della fede nelle cose sperate” (Lumen gentium, 35), come il Concilio
Vaticano II definisce le persone che, in base alla fede, si preoccupano come voi del
presente e del futuro. Nel vostro ambiente di lavoro difendete volentieri la causa della
vostra fede e della Chiesa, cosa – come sappiamo – davvero non sempre facile nel tempo
attuale.
Da decenni assistiamo ad una diminuzione della pratica religiosa, constatiamo un
crescente distanziarsi di una parte notevole di battezzati dalla vita della Chiesa. Emerge
la domanda: la Chiesa non deve forse cambiare? Non deve forse, nei suoi uffici e nelle
sue strutture, adattarsi al tempo presente, per raggiungere le persone di oggi che sono
alla ricerca e in dubbio?
Alla beata Madre Teresa fu richiesto una volta di dire quale fosse, secondo lei, la prima
cosa da cambiare nella Chiesa. La sua risposta fu: Lei ed io!
Questo piccolo episodio ci rende evidenti due cose: da un lato, la religiosa intende dire
all’interlocutore che la Chiesa non sono soltanto gli altri, non soltanto la gerarchia, il
Papa e i Vescovi: Chiesa siamo tutti noi, i battezzati. Dall’altro lato, essa parte
effettivamente dal presupposto: sì, c’è motivo per un cambiamento. Esiste un bisogno di
cambiamento. Ogni cristiano e la comunità dei credenti nel suo insieme sono chiamati ad
una continua conversione.
Come deve configurarsi concretamente questo cambiamento? Si tratta forse di un
rinnovamento come lo realizza ad esempio un proprietario di casa attraverso una
ristrutturazione o la tinteggiatura del suo stabile? Oppure si tratta qui di una correzione,
per riprendere la rotta e percorrere in modo più spedito e diretto un cammino?
Certamente, questi ed altri aspetti hanno importanza, e qui non possiamo affrontarli tutti.
Ma per quanto riguarda il motivo fondamentale del cambiamento: esso è la missione
apostolica dei discepoli e della Chiesa stessa.
Infatti, la Chiesa deve sempre di nuovo verificare la sua fedeltà a questa missione. I
tre Vangeli sinottici mettono in luce diversi aspetti del mandato di tale missione: la
missione si basa anzitutto sull’esperienza personale: “Voi siete testimoni” (Lc 24,48); si
esprime in relazioni: “Fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19); trasmette un messaggio
universale: “Proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15). A causa delle pretese
e dei condizionamenti del mondo, però, questa testimonianza viene ripetutamente
offuscata, vengono alienate le relazioni e viene relativizzato il messaggio. Se poi la
Chiesa, come dice Papa Paolo VI, “cerca di modellare se stessa secondo il tipo che
Cristo le propone, avviene che la Chiesa si distingue profondamente dall'ambiente
umano, in cui essa pur vive, o a cui essa si avvicina” (Lettera enciclica Ecclesiam suam,
60). Per compiere la sua missione, essa dovrà anche continuamente prendere le distanze
dal suo ambiente, dovrà, per così dire, essere distaccata dal mondo.
La missione della Chiesa, infatti, deriva dal mistero del Dio uno e trino, dal mistero del
suo amore creatore. E l’amore non è soltanto presente in qualche modo in Dio: Egli
stesso lo è, è per sua natura amore. E l’amore di Dio non vuole essere isolato in sé, ma
secondo la sua natura vuole diffondersi. Nell’incarnazione e nel sacrificio del Figlio di
Dio, esso ha raggiunto l’umanità – cioè noi – in modo particolare, e questo attraverso il
fatto che Cristo, il Figlio di Dio è, per così dire, uscito dalla sfera del suo essere Dio, si è
fatto carne ed è diventato uomo; non soltanto per confermare il mondo nel suo essere
terreno, ed essere il suo compagno che lo lascia così come è, ma per trasformarlo.
Dell’evento cristologico fa parte il dato incomprensibile che – come dicono i Padri della
Chiesa – esiste un sacrum commercium, uno scambio tra Dio e gli uomini. I Padri lo
spiegano così: noi non abbiamo nulla che potremmo dare a Dio, possiamo solo metterGli
davanti il nostro peccato. Ed egli lo accoglie, lo assume come proprio, e in cambio ci dà
se stesso e la sua gloria. Si tratta di uno scambio davvero disuguale che si compie nella
vita e nella passione di Cristo. Egli si fa peccatore, prende il peccato su di sé, assume ciò
che è nostro e ci dà ciò che è suo. Ma nello sviluppo del pensiero e della vita alla luce
della fede, in seguito, si è reso evidente che non Gli diamo solo il peccato, bensì Egli ci
ha dato la facoltà: dall’intimo ci dona la forza di darGli anche qualcosa di positivo, il
nostro amore, di dargli l’umanità in senso positivo. Naturalmente è chiaro che solo
grazie alla generosità di Dio, l’uomo, il mendicante che riceve la ricchezza divina,
tuttavia, può anche dare qualcosa a Dio; Dio ci rende sopportabile il dono, rendendoci
capaci di diventare donatori nei suoi confronti.
La Chiesa deve se stessa totalmente a questo scambio disuguale. Non possiede niente da
sé stessa di fronte a Colui che l’ha fondata, in modo da poter dire: l’abbiamo fatto molto
bene! Il suo senso consiste nell’essere strumento della redenzione, nel lasciarsi
pervadere dalla parola di Dio e nell’introdurre il mondo nell’unione d’amore con Dio. La
Chiesa s’immerge nell’attenzione condiscendente del Redentore verso gli uomini.
Quando è davvero se stessa, essa è sempre in movimento, deve continuamente mettersi
al servizio della missione, che ha ricevuto dal Signore. E per questo deve sempre di
nuovo aprirsi alle preoccupazioni del mondo, del quale, appunto, essa stessa fa parte,
dedicarsi senza riserve tali preoccupazioni, per continuare e rendere presente lo scambio
sacro che ha preso inizio con l’Incarnazione.
Nello sviluppo storico della Chiesa si manifesta, però, anche una tendenza contraria:
quella cioè di una Chiesa soddisfatta di se stessa, che si accomoda in questo mondo, è
autosufficiente e si adatta ai criteri del mondo. Non di rado dà così all’organizzazione e
all’istituzionalizzazione un’importanza maggiore che non alla sua chiamata all’essere
aperta verso Dio e ad un aprire il mondo verso il prossimo.
Per corrispondere al suo vero compito, la Chiesa deve sempre di nuovo fare lo sforzo di
distaccarsi da questa sua secolarizzazione e diventare nuovamente aperta verso Dio. Con
ciò essa segue le parole di Gesù: “Essi non sono del mondo, come io non sono del
mondo” (Gv 17,16), ed è proprio così che Lui si dona al mondo. In un certo senso, la
storia viene in aiuto alla Chiesa attraverso le diverse epoche di secolarizzazione, che
hanno contribuito in modo essenziale alla sua purificazione e riforma interiore.
Le secolarizzazioni infatti – fossero esse l’espropriazione di beni della Chiesa o la
cancellazione di privilegi o cose simili – significarono ogni volta una profonda
liberazione della Chiesa da forme di mondanità: essa si spoglia, per così dire, della sua
ricchezza terrena e torna ad abbracciare pienamente la sua povertà terrena. Con ciò
condivide il destino della tribù di Levi che, secondo l’affermazione dell’Antico
Testamento, era la sola tribù in Israele che non possedeva un patrimonio terreno, ma,
come parte di eredità, aveva preso in sorte esclusivamente Dio stesso, la sua parola e i
suoi segni. Con tale tribù, la Chiesa condivideva in quei momenti storici l’esigenza di
una povertà che si apriva verso il mondo, per distaccarsi dai suoi legami materiali, e così
anche il suo agire missionario tornava ad essere credibile.
Gli esempi storici mostrano che la testimonianza missionaria di una Chiesa distaccata
dal mondo emerge in modo più chiaro. Liberata dai fardelli e dai privilegi materiali e
politici, la Chiesa può dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo intero,
può essere veramente aperta al mondo. Può nuovamente vivere con più scioltezza la sua
chiamata al ministero dell’adorazione di Dio e al servizio del prossimo. Il compito
missionario, che è legato all’adorazione cristiana e dovrebbe determinare la struttura
della Chiesa, si rende visibile in modo più chiaro. La Chiesa si apre al mondo, non per
ottenere l’adesione degli uomini per un’istituzione con le proprie pretese di potere,
bensì per farli rientrare in se stessi e così condurli a Colui del quale ogni persona può
dire con Agostino: Egli è più intimo a me di me stesso (cfr Conf. 3,6,11). Egli, che è
infinitamente al di sopra di me, è tuttavia talmente in me stesso da essere la mia vera
interiorità. Mediante questo stile di apertura della Chiesa verso il mondo è, insieme,
tracciata anche la forma in cui l’apertura al mondo da parte del singolo cristiano può
realizzarsi in modo efficace e adeguato.
Non si tratta qui di trovare una nuova tattica per rilanciare la Chiesa. Si tratta
piuttosto di deporre tutto ciò che è soltanto tattica e di cercare la piena sincerità,
che non trascura né reprime alcunché della verità del nostro oggi, ma realizza la
fede pienamente nell’oggi vivendola, appunto, totalmente nella sobrietà dell’oggi,
portandola alla sua piena identità, togliendo da essa ciò che solo apparentemente è fede,
ma in verità è convenzione ed abitudine.
Diciamolo ancora con altre parole: la fede cristiana è per l’uomo uno scandalo sempre e
non soltanto nel nostro tempo. Che il Dio eterno si preoccupi di noi esseri umani, ci
conosca; che l’Inafferrabile sia diventato in un determinato momento in un determinato
luogo, afferrabile; che l’Immortale abbia patito e sia morto sulla croce; che a noi esseri
mortali siano promesse la risurrezione e la vita eterna – credere questo è per gli uomini
senz’altro una vera pretesa.
Questo scandalo, che non può essere abolito se non si vuole abolire il cristianesimo,
purtroppo, è stato messo in ombra proprio recentemente dagli altri scandali dolorosi
degli annunciatori della fede. Si crea una situazione pericolosa, quando questi scandali
prendono il posto dello skandalon primario della Croce e così lo rendono inaccessibile,
quando cioè nascondono la vera esigenza cristiana dietro l’inadeguatezza dei suoi
messaggeri.
Vi è una ragione in più per ritenere che sia nuovamente l’ora di trovare il vero distacco
del mondo, di togliere coraggiosamente ciò che vi è di mondano nella Chiesa.
Questo, naturalmente, non vuol dire ritirarsi dal mondo, anzi, il contrario. Una
Chiesa alleggerita degli elementi mondani è capace di comunicare agli uomini – ai
sofferenti come a coloro che li aiutano – proprio anche nell’ambito sociale-caritativo, la
particolare forza vitale della fede cristiana. “La carità non è per la Chiesa una specie di
attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla
sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza” (Lettera enciclica Deus
caritas est, 25). Certamente, anche le opere caritative della Chiesa devono
continuamente prestare attenzione all’esigenza di un adeguato distacco dal mondo per
evitare che, di fronte ad un crescente allontanamento dalla Chiesa, le loro radici si
secchino. Solo il profondo rapporto con Dio rende possibile una piena attenzione
all’uomo, così come senza l’attenzione al prossimo s’impoverisce il rapporto con
Dio. Essere aperti alle vicende del mondo significa quindi per la Chiesa distaccata dal
mondo testimoniare, secondo il Vangelo, con parole ed opere qui ed oggi la signoria
dell’amore di Dio. E questo compito, inoltre, rimanda al di là del mondo presente: la
vita presente, infatti, include il legame con la vita eterna. Viviamo come singoli e
come comunità della Chiesa la semplicità di un grande amore che, nel mondo, è insieme
la cosa più facile e più difficile, perché esige nulla di più e nulla di meno che il donare se
stessi.
Cari amici, mi resta di implorare per tutti noi la benedizione di Dio e la forza dello
Spirito Santo, affinché possiamo, ciascuno nel proprio campo d’azione, sempre
nuovamente riconoscere e testimoniare l’amore di Dio e la sua misericordia. Vi ringrazio
per la vostra attenzione.
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