Co-educazione e famiglie L’importanza della costruzione dell’alleanza pedagogica tra scuola, famiglia e attori della comunità Quadro storico-concettuale La questione della costruzione dell’alleanza pedagogica tra scuola e famiglia rappresenta un aspetto importante di ogni pratica inclusiva che voglia favorire non solo l’accessibilità di tutti gli alunni ai luoghi di vita , all’istruzione ma anche la possibilità di un nuovo modo , più rispettoso della dignità di ognuno e delle differenze, di vivere e di stare insieme. Tutte le ricerche recenti ci dicono che una delle criticità maggiori sta proprio nella difficoltà del dialogo e dell’incontro tra scuola e famiglie, eppure la costruzione di un patto educativo è necessario per l’inclusione , lo sviluppo delle potenzialità di tutti e la realizzazione concreta di spazi di cittadinanza attiva nel rapporto tra scuola e comunità. Il concetto di co-educazione in Italia fa riferimento all’educazione comune e mista tra alunni dei due sessi; cioè il superamento della divisione sessuata della scuola. Il concetto di co-educazione nasce con il movimento della Scuola Nuova alla fine dell’800 e nei primi del 900’: le figure pedagogiche protagoniste di questo movimento, che divenne internazionale, furono i pedagogisti e psicopedagogisti svizzeri Adolphe Ferrière, Edouard Claparède, il pedagogista francese Roger Cousinet, il medico pedagogista belga Ovide Decroly, il pedagogista e filosofo statunitense John Dewey, Maria Montessori e tanti altri. Questo movimento pedagogico si proponeva di rinnovare radicalmente il modo di fare scuola e di concepire l’educazione puntando sulla libera sperimentazione dell’alunno come attore-autore del proprio percorso formativo, la promozione dell’autonomia e del senso di comunità tramite l’esperienza della cooperazione educativa in gruppo, la co-educazione tra sessi cioè il vivere in comune, alunne e alunni, l’esperienza formativa imparando a conoscersi e a rispettarsi reciprocamente. Lo svizzero Adolphe Ferrière parla di una scuola laboratorio di socialità e di autonomia reciproca ; concepisce la scuola come una comunità aperta e inclusiva in contatto con la vita reale, Edouard Claparède insiste sull’elaborazione di una progettualità pedagogica che sia funzionale ai bisogni e alle caratteristiche di ogni bambino, questo implica la presa in considerazione del suo sistema relazionale di vita sociale, Roger Cousinet si fa promotore del lavoro libero per gruppo per educare alla socialità e favorire l’autogestione pedagogica , il belga Ovide Decroly, fondatore del metodo globale di apprendimento, sperimenta nella sua scuola dell’Ermitage (a Nord di Bruxelles) un approccio integrato che vede il coinvolgimento dei genitori come esperti dei propri figli, degli attori sociali del territorio e che si connette alle risorse ambientali della comunità, Maria Montessori sia con l’esperienza dell’asilo scuola di Roma per bambini disabili che con la casa dei bambini considera come vitale per un buon sviluppo degli apprendimento il coinvolgimento e la partecipazione delle madri nella costruzione del progetto educativo centrato sui bisogni specifici del bambino, John Dewey insiste sull’importanza per la scuola di accogliere le istanze sociali e culturali degli alunni e di aprirsi alla vita sociale e anche alla realtà complessa della vita delle comunità locali. Concepisce la scuola come uno spazio transazionale dove l’interazione tra insegnanti, alunni dei due sessi, genitori e attori sociali crea le condizioni per produrre dei processi di cittadinanza attiva, di cooperazione e di apprendimento della democrazia integrando individualità e senso del bene comune. L’approccio pedagogico della Scuola Nuova sulla co-educazione troverà una sua traduzione originale nell’esperienza educativa di Célestin Freinet, grande educatore e pedagogista francese, fondatore dell’apprendimento cooperativo in classe. In effetti fa della classe non più un auditorio ma un laboratorio cooperativo dove individualità e socialità diventano complementari; dove lavoro di gruppo e individualizzazione dei percorsi di apprendimento s’integrano in una prospettiva di potenziamento dei processi di autodeterminazione di tutti gli alunni tramite l’esperienza della relazione con l’altro. Co-educazione diventa cooperazione in classe nella pratica pedagogica e nell’organizzazione dell’attività didattica che fa dell’allievo un protagonista del proprio percorso di studio. Ci si educa al rispetto e al riconoscimento delle differenze e alla condivisione cooperativa delle regole. La classe è un microsistema aperto alla società nella misura in cui alunni, insegnanti, genitori, attori sociali della comunità apprendono reciprocamente . Quest’idea dell’integrazione tra collettivo pedagogico e individualità è presente anche nell’opera del grande educatore sovietico Anton Makarenko che organizza le prime colonie educative per bambini e adolescenti abbandonati e sbandati dopo gli eventi della prima guerra mondiale e della Rivoluzione in Russia nel 1920; una esperienza simile che vede anche il coinvolgimento della comunità e del contesto sociale fu sperimentata per la prima volta dall’educatore svizzero Heinrich Pestalozzi nel 1799. Cooperazione, organizzazione comune del lavoro educativo, apertura alla vita, accoglienza positiva dei linguaggi e delle culture come risorse per lo sviluppo e l’arricchimento di tutti, approccio dialogico e autogestione pedagogica sono i principi che guidano queste esperienze di coeducazione e che rimangono ancora oggi di una grande attualità per chi lavoro nel mondo della scuola e nel settore dell’educazione. In questa prospettiva co-educativa e cooperativa troviamo le riflessioni e esperienze che si sono sviluppate in diversi paesi europei ; alcuni psicopedagogisti come i belgi Jean-Pierre Pourtois, Huguette Desmet, Bruno Humbeeck , in relazione con il concetto di resilienza, hanno realizzato delle esperienze coeducative nel Sud del Belgio e a Bruxelles centrate sulle pratiche di mediazione sociale. Il lavoro L’educazione implicita di Pourtois e Desmet ricostruisce il legame che esiste tra bisogni emotivi, cognitivi, sociali, culturali e valoriali; per loro la coeducazione è un approccio che riattiva i legami sociali positivi, un nuovo modo di stare insieme rispettoso della pluralità dei modi di essere e di pensare, le potenzialità della comunità lacerata dalla disgregazione socio-economico e dall’impoverimento del capitale relazionale e solidale. Lo psicopedagogista belga Bruno Humbeeck vede nella coeducazione un potente mezzo per promuovere la presa di coscienza e l’emancipazione di soggetti, gruppi e comunità in difficoltà e in situazione di grosso disagio. Per lui la coeducazione è in qualche modo una pedagogia della resilienza cioè un imparare insieme a rimbalzare positivamente e ad attivare un neo sviluppo sociale e umano sostenibile. L’idea che per favorire l’inclusione e lo sviluppo delle potenzialità di tutti gli alunni sia necessario costruire insieme un nuovo tipo di collaborazione è presente nell’azione e gli studi del sociologo e educatore francese Frédéric Jésu che in un testo importante, Co-éduquer. Pour un Développement social durable (Co-educare. Per uno sviluppo sociale sostenibile) , purtroppo non ancora tradotto in italiano, indica che co-educare vuol dire aprire e rendere creativa la “tavola rotonda” degli attori direttamente coinvolti nell’educazione delle nuove generazioni. La cooperazione tra genitori, insegnanti, esperti, volontari e alunni è diventata una necessità strategica che bisogna costruire nell’esperienza di una relazione altra e più cooperativa. La sfida della co-educazione sta nel creare le condizioni per il mutuo-aiuto, l’apprendimento , il rispetto reciproco, quindi per l’organizzazione tramite le attività didattiche e sociali di un tessuto comunicativo di reciproca fiducia. Si articola su tre principi pedagogici: 1) prevenire il ripiegamento individualistico, l’esclusione e la stigmatizzazione di chi è in difficoltà nonché l’organizzazione di una modalità gestionale autoritaria dei processi decisionali 2) rifondare il patto pedagogico e sociale tra famiglie, scuola e attori sociali tramite la co-costruzione di progetti educativi comuni 3) sviluppare un approccio individuale e collettivo orientato al vivere insieme e alla gestione del bene comune nella prospettiva di uno sviluppo sociale umano sostenibile. L’approccio di Jésu riprende in ambito educativo le osservazioni e elaborazioni di Urie Bronfenbrenner con l’ecologia dello sviluppo umano e di Jurgen Habermas con la sua teoria dell’agire comunicativo e L’inclusione dell’Altro. Bronfenbrenner sottolinea il fatto che la persona, nel nostro caso quella dell’alunno , è inserita in un ecosistema sociale e culturale che fonda anche la sua identità; per comprendere la persona, cogliere i suoi bisogni, capire il suo modo di essere e di pensare, occorre partire dal suo sistema di vita che comprende gli affetti , la famiglia, gli amici, il rapporto con la società , nella città , in contatto con le istituzioni e l’autopercezione del proprio ruolo all’interno di un contesto regionale e nazionale, nonché internazionale. E’ l’interconnessione tra questi diversi livelli che fonda lo sviluppo che va quindi preso nella sua globalità. Per Habermas solo una gire comunicativo, basato su l’ascolto e un rapporto dialogico, che considera l’Altro (l’alunno e la sua famiglia) come una finalità (e non come un oggetto di cura o di assistenza) può favorire l’inclusione nella comunità dell’Altro nel rispetto delle differenze vissute come arricchimento positivo per tutti. In Italia la questione dell’importanza di costruire il patto educativo tra scuola e famiglie è stato elaborato da Riziero Zucchi e Augusta Moletto nello loro lavoro intitolato Metodologia Pedagogia dei genitori, per loro solo la realizzazione di una rapporto di ascolto reciproco e di riconoscimento del sapere dei genitori come sapere dell’esperienza dei propri figli (i genitori esperti dal loro punto di vista genitoriale dell’educazione) può creare le condizioni per una vera alleanza pedagogica favorevole alla crescita personale e individuale nonché all’inclusione sociale nel rispetto assoluto delle differenze. La pedagogia dei genitori s’ispira anche dell’approccio pedagogico di Paulo Freire, pedagogista ed educatore brasiliano, che ha sviluppato nei suoi testi La Pedagogia degli oppressi, La pedagogia dell’autonomia e La pedagogia della speranza una concezione dell’educazione come processo di coscientizzazione e di emancipazione individuale e collettiva. Per terminare questo ex cursus sui fondamenti teorici dell’idea di co-educazione occorre anche ricordare il contributo della Pedagogia istituzionale nato e sviluppato negli anni 1970 proprio sulla scia dei percorsi di deistituzionalizzazione proprio nell’ambito psichiatrico (in Francia vedi le esperienze di SaintAlban con François Tosquelles e di La Borde con Jean Oury); questo movimento propone di aprire le strutture psichiatriche alla società e di fare della socialità (tramite un prendersi cura da parte della comunità) un fattore di liberazione ed emancipazione dei malati di mente , oltre che dell’insieme della società , questo in una prospettiva effettivamente inclusiva. Educazione , socialità e psicanalisi diventano i tre pilastri di un nuoco modo di concepire la relazione di aiuto ma anche il rapporto tra malattia e salute, soggettività e diritti di cittadinanza. In quella prospettiva figure come François Tosquelles, Fernand Oury e Aida Vasquez propongono di creare, tramite esperienze nuove di apprendimento cooperativo e di autogestione pedagogica, delle situazioni istituenti in grado di modificare l’istituito e il vecchio modo di fare scuola. In questa prospettiva non solo gli insegnanti, ma soprattutto gli alunni e le loro famiglie, nonché gli attori sociali della comunità, diventano i protagonisti di una progetto di sviluppo umano nuovo. In Italia questo movimento avrà una sua realizzazione con i progetti attivati da Franco Basaglia in ambito psichiatrico e dal movimento di cooperazione educativo. La co-educazione oggi si lega anche molto alle teorie sulla resilienza a livello sociale cioé alla capacità che hanno i soggetti e le comunità di reagire positivamente , di rimbalzare dopo un evento traumatico (violenza subita, malattia, incidente, guerra) e di ricostruire la propria traiettoria storica. Alcuni fattori di ordine sociali, culturali ed educativi possono effettivamente favorire un processo resiliente nelle comunità e dei soggetti feriti da eventi drammatici. Metodi e strumenti per favorire la co-educazione La scuola come progetto educativo globale e comunità inclusiva La scuola deve essere vista come un progetto educativo globale aperto alla comunità e collegata alla società. Oltre a quello che accade a livello più strettamente didattico nelle classi la scuola deve diventare un laboratorio propositivo sul piano educativo, culturale e sociale. La scuola in quanto tale deve avere un progetto pedagogico che risponde alle esigenze e i bisogni formativi di tutti gli studenti con le loro differenze ma anche che sappia interpellare gli attori della vita sociale. In questo senso l’équipe dei docenti (curriculari e specializzati di sostegno) così come le famiglie e la rete degli operatori sociali, sanitari, culturali ed economici del territorio devono interagire e costruire un dispositivo integrato in grado di sensibilizzare ed educare l’insieme della società all’incontro con l’altro, al rispetto delle differenze, alla solidarietà e alla cittadinanza attiva. La scuola deve diventare un punto di riferimento attivo aperto alle istanze sociali e culturali della comunità, tramite l’organizzazione di eventi seminariali, mostre didattiche a temi (tematiche legate alla storia locale), cineforum collegati ai temi trattati a scuola nelle varie discipline. Una scuola attrezzata anche con una ricca biblioteca gestita insieme da insegnanti e alunni, una scuola laboratorio di ricerca che si apre alle proposte culturali e scientifiche che provengono dalla comunità locale , nazionale e internazionale. L'équipe docente deve avere un ruolo fondamentale nella progettazione pedagogica e culturale dell'Istituto e deve il più possibile coinvolgere in questo alunni e famiglie. I docenti devono lavorare in una prospettiva integrata e in rete tra varie discipline per costruire lo spazio di una progettazione comune sul piano pedagogico. Pedagogia di comunità e ricerca azione partecipata La scuola deve praticare una pedagogia di comunità cioè una pedagogia che sappia interpellare il tessuto sociale vivo della città trasformando questa in una vera città dell'educazione. La pedagogia di comunità si propone di attivare , con diverse attività che partono anche dall'azione didattica in classe, delle reti che creano situazioni di socialità, d'incontro e di riflessione sui temi della formazione, dell'educazione oggi e del ruolo di tutti gli attori della vita sociale nella costruzione di uno sviluppo umano sostenibile e in grado di produrre cittadinanza attiva e benessere. Per esempio la ricerca azione partecipata che fa dell'insegnante e dell'alunno un ricercatore in azione costituisce un modello operativo per una pedagogia di comunità che mira al coinvolgimento attivo di soggetti spesso considerati come passivi nel processo formativo. La costruzione di una dispositivo di ricerca che parte dagli interessi degli alunni, della loro vita sociale e di quella delle loro famiglie puo' stimolare la curiosità di chi spesso viene visto come impossibile da coinvolgere nello studio. Gli strumenti della ricerca azione partecipata sono: i gruppi di ricerca tematici, le interviste, i questionari elaborati insieme, i focus gruppo, i racconti delle storie di vita, il documentario video, l'organizzazione di gruppi d'incontro, spazi artistici e espressivi con l'uso della musica, del teatro e della danza. Gruppi di lettura nei quartieri che creano prossimità e le mediazioni sociali necessarie per avvicinare adolescenti e cittadini alla grande letteratura e alla poesia partendo dai vissuti di quel contesto: i ricercatori sono dei mediatori attivi che fanno crescere motivazioni e consapevolezza tra tutti gli attori della vita cittadina. I gruppi di narrazione Sono diversi gli autori che evidenziano l'importanza dello strumento narrativo come facilitatore dell'espressione soggettiva e della presa di coscienza. I lavori di Duccio Demetrio, Franco Cambi, Paulo Freire e Riziero Zucchi ci mostrano quanto il raccontare sia metodologicamente aperto all'emergere della soggettività di ciascuno e quindi anche all'apertura dello spazio per il dialogo e l'incontro. Si possono pensare a dei gruppi di narrazione di alunni, di insegnanti , di genitori e di abitanti del quartiere, ma anche a dei gruppi misti integrati di alunni-insegnanti, insegnanti-genitori ecc...Questi gruppi possono produrre dei materiali di riflessione che vengono poi restituiti sia alla comunità scolastica che alla cittadinanza tramite l'organizzazione di eventi gestiti da chi ha partecipato a questi gruppi, si puo' pensare anche alla pubblicazione di opuscoli o di testi da diffondere e sui quali innescare un percorso di educazione sociale permanente. Azioni di mediazione sociale e pedagogica Per riprendere la riflessione dello psicopedagogista sovietico Lev Vygotskij si puo' affermare che la co-educazione passa tramite la capacità di attivare la zone di sviluppo potenziale del contesto sociale tramite una serie di mediazioni fatte da attività laboratoriali ed educative che collegano la scuola e la comunità. Partire per esempio dai linguaggi o dalle storie esistenti in un determinato contesto diventa una fattore di mediazione che interpella insegnanti, alunni, famiglie e attori sociali nel costruire un vivere insieme basato sull'accoglienza, la cittadinanza attiva e la formazione culturale di tutti nella misura in cui tutti apprendono da tutti. La scuola come mediatore nella città e punto di riferimento culturale permette ai suoi attori di diventare soggetti attivi e significati del progetto pedagogico collettivo. Lo spazio d'incontro con le famiglie I genitori vanno visti come alleati e non come nemici o come un problema; occorre creare l'alleanza pedagogica partendo dall'ascolto comprensivo: non è sufficiente incontrarli per comunicare i risultati del 'profitto scolastico' dei loro figli, occorre considerarli come partner importanti. Occorre articolare incontri individualizzati e momenti più collettivi dove tramite la mediazione di iniziative culturali si coinvolgono i genitori nella costruzione del progetto pedagogico dell'Istituto. Azione pedagogica e approccio transculturale Visto che la società e la scuola italiana sono diventate realtà multiculturali e meticce occorre pensare all'attivazione di spazi e momenti di dialogo interculturale coinvolgendo in modo positivo alunni italiani e stranieri con le loro famiglie. L'organizzazione di laboratori interculturali tramite una approccio didattico basato sulla conoscenza dell'altro puo' avvenire tramite l'organizzazione di conferenze, mostre, cineforum, attività ludiche (dalla musica, la danza alla cucina). In questo senso la scuola ha una funzione di mediazione socio-culturale importante nella città. Bibliografia Goussot.A (2014), L'Educazione nuova per una scuola inclusiva, edizioni del Rosone, Foggia Goussot.A e Zucchi.R (2015), La pedagogia di Lev Vygotskij. Mediazioni e dimensione storicoculturale in educazione, Lemonnier Università, Firenze Zucchi.R e Moletto.A (2014), La metodologia Pedagogia dei genitori, Maggioli editore, Sant'Arcangelo Oury.F e Vasquez.A, L'organizzazione della classe inclusiva, Erickson, Trento Pourtois J-P e Desmet H. (2005), L'educazione implicita, Edizioni del Cerro, Firenze Cyrulnik.B e Malaguti.E (2005), Costruire la resilienza, Erickson, Trento