LA VOCE DELLA COMUNITA’
APRILE 2014 -
N°48
Cristo
davvero è risorto dai mort!.
Tu, re vittorioso, abbi pietà di noi!(dalla Liturgia)
(In copertina
Gerusalemme: Santo Sepolcro, Edicola dell'Anastasis)
SOMMARIO
Commemorazione della morte di dom Gréa
Papa Francesco ai religiosi
Discorso del Santo Padre Francesco ai parroci di Roma
La controversia trinitaria del IV secolo nell’esegesi dottrinale di
Anfilochio di Iconio
Regina Pacis incontra Papa Francesco
Alcuni parrocchiani di S. Giulio a Santa Marta con il Papa Francesco
Saluti dalla Terra Santa
Una nuova responsabilità per I confratelli del Perù: la nuova parrocchia
de Pueblo Nuevo de Colàn
Perù: professione solenne di fr. Victor Cruz
Nostro ritiro spirituale
50° di Sacerdozio di p. Lorenzo Rossi
COMMEMORAZIONE DELLA MORTE DI D. GRÉA
Roma - 23 FEBBRAIO 2014
I confratelli e gli amici CRIC di Roma si sono incontrati per la preghiera solenne dei Vespri e un momento di convivialità presso la parrocchia S. Giulio, il 23 febbraio, nell’anniversario della morte del nostro fondatore. La predicazione è stata affidata a P. Angelo, il quale ha proposto ai numerosi partecipanti una riflessione riguardante D. Gréa e i Padri della Chiesa, che sintetizziamo qui di seguito. L’opera principale di D. Gréa, pubblicata per la prima volta nel 1885, è senz’altro il trattato
ecclesiologico De l’Église et sa divine constitution. Per provare a spiegare cosa sia la Chiesa, D.
Gréa inizia con una citazione dei Padri della Chiesa, ricavata dal Panarion di S. Epifanio di
Salamina (315 circa-403), in cui si afferma che “la Chiesa cattolica è il principio di tutte le cose”
(cf. Epifanio, Panarion I,2,3; D. Gréa, De l’Église et sa divine constitution, ed. 1965, p. 17).
Gli scritti dei Padri della Chiesa (ossia degli autori dell’antichità cristiana recanti le caratteristiche
dell’ortodossia, della santità della vita e dell’approvazione della Chiesa) costituiscono una delle
fonti più importanti del pensiero ecclesiologico di D. Gréa.
Dai Padri il nostro autore ricava le categorie fondamentali per descrivere la Chiesa: Mistero, Sposa,
Madre, ecc. (cf. S. Liberti, Dom Adrien Gréa (1828-1917) e l’ecclesiologia trinitaria: una voce
profetica?, Tesi di licenza in Teologia Dogmatica, P.U.G., Roma 2005, pp. 36-43).
Molti e di diverse epoche sono i Padri ai quali D. Gréa si riferisce nel corso del suo trattato
ecclesiologico. Tra gli altri ricordiamo: per il I-II secolo S. Ignazio d’Antiochia (35 circa-107 circa);
per il III secolo S. Cipriano di Cartagine (210-258); per il IV secolo Eusebio di Cesarea (265-340);
per il V secolo S. Agostino (354-430) e S. Leone Magno (400-461); per il VI secolo S. Gregorio
Magno (540-604). Si tratta di Padri sia d’Oriente sia d’Occidente, le cui citazioni sono inserite sia
nel testo sia in nota. È interessante notare che i testi di S. Ignazio d’Antiochia, una tra le fonti
patristiche predilette da D. Gréa, sono sempre inserite in nota e in lingua originale greca.
Dai Padri della Chiesa il nostro autore ricava il rapporto esistente tra la Chiesa e la Trinità (Ecclesia
de Trinitate), come pure il legame intimo tra la Chiesa e l’umanità, per cui si può dire che la Chiesa
abbia inizio già in Abele, il primo giusto, o finanche in Adamo (Ecclesia ab Abel; Ecclesia ad
Adam). Dalle lettere di S. Ignazio d’Antiochia provengono alcune importanti affermazioni relative
alla teologia dell’episcopato e al suo ruolo di sintesi all’interno della Chiesa locale. «Dove c’è il
vescovo, lì c’è la comunità; dove c’è Gesù Cristo, lì c’è la Chiesa cattolica» (ep. agli Smirnesi 8) e
«sia ritenuta valida l’Eucaristia che si fa col vescovo» (Ibidem), sono pensieri che trovano ampia
citazione e accoglienza all’interno del trattato di D. Gréa. A proposito del ruolo di sintesi del
vescovo nell’ambito della propria diocesi, il nostro autore più volte allude allo slogan “un solo Dio,
un solo Cristo, un solo vescovo” (cf. De l’Église et sa divine constitution, pp. 53. 308), il quale,
stando al racconto di Teodoreto di Cirro (cf. Historia Ecclesiastica II,17), sarebbe stato innalzato
dai cittadini di Roma per acclamare i diritti del loro legittimo presule Liberio, mandato in esilio
dall’imperatore Costanzo II nel 355 e sostituito con Felice, in precedenza arcidiacono della Chiesa
capitolina.
A proposito del vescovo di Roma, D.
Gréa sottolinea che il papa, vicario di
Gesù Cristo, non è un super vescovo pur
essendo dotato di speciali prerogative. Per
esprimere il proprio pensiero in materia, il
nostro autore menziona, tra l’altro, una
lettera di S. Leone Magno nella quale si
legge che «Tutti gli apostoli sono uguali
ed è stato donato solamente a uno di
presiedere a tutti gli altri. È da questa
forma che si è originata la distinzione dei
vescovi …» (S. Leone Magno, ep. 14,11;
cf. De l’Église et sa divine constitution, p.
182).
Per quanto riguarda l’ufficio del vescovo
di guidare il gregge a lui affidato, D. Gréa
– forse edotto dalla propria esperienza di
vita –, concorda con S. Gregorio Magno e
la sua Regola Pastorale, in apertura della
quale si dichiara che “l’arte delle arti è la
cura delle anime” (S. Gregorio Magno,
Regula pastoralis I,1; cf. De l’Église et sa
divine constitution, p. 306).
Questi
rapidi
accenni,
lasciano
intravvedere la ricchezza e la complessità
di un argomento che meriterebbe ben più
ampia trattazione, ossia le modalità di
utilizzo e l’importanza delle citazioni
patristiche
nell’economia
trattato
ecclesiologico di D. Gréa. Grazie al
ritorno ad fontes, tra cui i Padri occupano un posto privilegiato, il nostro autore riscopre la centralità
dell’episcopato e l’istituto dei Canonici Regolari, ossia il presbiterio corona del vescovo diocesano.
Per D. Gréa – e auspichiamo che lo stesso valga per noi oggi – il ricorso all’argomentazione
patristica non è un’operazione dettata da nostalgia per i tempi passati, bensì la necessità di
riallacciarsi alla tradizione vitale della Chiesa. In questo senso, è significativo notare che nelle
battute iniziali della costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II sia citato un passo
del De oratione dominica di Cipriano («La Chiesa universale si presenta come “il popolo riunito
nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo”», Lumen Gentium 4; cf. Cipriano, De oratione
dominica 23), il quale era già stato menzionato e posto in debito onore circa 80 anni prima nel
trattato ecclesiologico di D. Gréa: «La Chiesa riceve queste testimonianze divine, e ne celebra la
celeste dottrina per bocca dei Padri. Costoro confessano e riveriscono il mistero divino della Chiesa
associata alla gerarchia eterna e inviolabile del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Citiamo
solamente S. Cipriano, così degno di considerazione per l’autorità della sua antichità e del suo
martirio: … “Il grande sacrificio – dice lui – veramente degno di Dio è la nostra pace”, vale a dire,
secondo il linguaggio dell’antichità, la nostra comunione ecclesiale, che unisce e ordina tutti i
membri della Chiesa e “il popolo riunito nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo ”» (De
l’Église et sa divine constitution, p. 36).
Padre Angelo Segneri
PAPA FRANCESCO AI RELIGIOSI: SECONDA PARTE
a cura di padre Stefano Liberti 27 luglio 2013, GMG di Rio (Brasile)
Nella Cattedrale di San Sebastiano di Rio, il Papa
ha celebrato l’Eucaristia con i vescovi e i religiosi
partecipanti alla GMG.
In questa occasione il Papa ha voluto riflettere su
tre aspetti della vocazione sacerdotale e
religiosa: “chiamati da Dio; chiamati ad
annunciare il Vangelo; chiamati a promuovere la
cultura dell’incontro”.
Dobbiamo «chiedere la grazia di essere persone
che conservano la memoria di questa prima
chiamata», ha detto in una cattedrale strapiena di
vescovi, sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose
che hanno accompagnato i ragazzi dei rispettivi
Paesi all’appuntamento della Gmg. « Non è la
creatività», ha continuato il Papa, «per quanto
pastorale sia, non sono gli incontri o le
pianificazioni che assicurano i frutti, anche se
aiutano e molto, ma quello che assicura il frutto è
l’essere fedeli a Gesù, che ci dice con insistenza:
«Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4) ».
In quanto chiamati ad annunciare il Vangelo ha
invitato i presenti ad aiutare i giovani avendo la
pazienza di ascoltarli in profondità «nel
confessionale,
nella
direzione
spirituale,
nell’accompagnamento. Sappiamo perdere tempo
con loro» seminando (cosa che costa e affatica moltissimo) senza pretendere di godere del raccolto.
«Non risparmiamo le nostre forze nella formazione dei giovani» aiutando «i nostri giovani a
riscoprire il coraggio e la gioia della fede, la gioia di essere amati personalmente da Dio»,
educandoli ad uscire come inviati perchè «non possiamo restare chiusi nella parrocchia …
quando tante persone sono in attesa del Vangelo».
Infine in quanto chiamati a promuovere la cultura dell’incontro ha ricordato come in troppi
ambienti «si è fatta strada una cultura dell’esclusione, una “cultura dello scarto”. Non c'è posto né
per l’anziano né per il figlio non voluto; non c’è tempo per fermarsi con quel povero nella strada. A
volte sembra che per alcuni, i rapporti umani siano regolati da due “dogmi” moderni: efficienza e
pragmatismo. (…) Abbiate il coraggio di andare controcorrente a questa cultura efficientista, a
questa cultura dello scarto. L’incontro e l’accoglienza di tutti, la solidarietà - una parola che si sta
nascondendo in questa cultura, quasi fosse una cattiva parola -, la solidarietà e la fraternità, sono
elementi che rendono la nostra civiltà veramente umana».
4 ottobre 2013, ASSISI
Nella Cattedrale di San Rufino, il Papa ha incontrato il clero e i religiosi della comunità
diocesana.
A loro ha ricordato che «la Chiesa non cresce per proselitismo. La Chiesa cresce per attrazione,
l’attrazione della testimonianza che ognuno di noi da al Popolo di Dio». Ha poi preso in esame
diversi aspetti della vita di comunità:
«La prima cosa- ha detto- è ascoltare la Parola di Dio. E’ la Parola di Dio che suscita la fede, la
nutre, la rigenera. E’ la Parola di Dio che tocca i cuori, li converte a Dio e alla sua logica che è così
diversa dalla nostra; è la Parola di Dio che rinnova continuamente le nostre comunità…
Penso al sacerdote, che ha il compito di predicare. Come può predicare se prima non ha aperto il
suo cuore, non ha ascoltato, nel silenzio, la Parola di Dio? Via queste omelie interminabili, noiose,
delle quali non si capisce niente».
Il secondo aspetto che ha analizzato è quello del camminare. «Non siamo isolati, non camminiamo
da soli, ma siamo parte dell’unico gregge di Cristo che cammina insieme.
Qui penso ancora a voi preti…Che cosa c’è di più bello per noi se non camminare con il nostro
popolo? Quando io penso a questi parroci che conoscevano il nome delle persone della parrocchia,
che andavano a trovarli; anche come uno mi diceva: “Io conosco il nome del cane di ogni famiglia”,
anche il nome del cane, conoscevano! Che bello che era! ».
Bisogna «camminare con il nostro popolo, a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro:
davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita
perché nessuno rimanga troppo, troppo indietro, per tenerla unita, e anche per un’altra ragione:
perché il popolo ha “fiuto”! Ha fiuto nel trovare nuove vie per il cammino, ha il “sensus fidei”, che
dicono i teologi».
«Ma la cosa più importante- ha proseguito- è camminare insieme, collaborando, aiutandosi a
vicenda; chiedersi scusa, riconoscere i propri sbagli e chiedere perdono, ma anche accettare le scuse
degli altri perdonando».
Agli sposi ha ricordato: «Litigate quanto volete. Se volano i piatti, lasciateli. Ma mai finire la
giornata senza fare la pace! Mai!… E mentre si cammina si parla, ci si conosce, ci si racconta gli
uni agli altri, si cresce nell’essere famiglia».
Il terzo aspetto è quello missionario: annunciare fino alle periferie. Ha così ribadito «l’importanza
di uscire per andare incontro all’altro, nelle periferie, che sono luoghi, ma sono soprattutto persone
in situazioni di vita speciale»..
«Ecco, cari amici, - ha concluso- non vi ho dato ricette nuove. Non le ho, e non credete a chi dice di
averle: non ci sono. Ma ho trovato nel cammino della vostra Chiesa aspetti belli e importanti che
vanno fatti crescere e voglio confermarvi in essi. Ascoltate la Parola, camminate insieme in
fraternità, annunciate il Vangelo nelle periferie! Il Signore vi benedica, la Madonna vi protegga, e
san Francesco vi aiuti tutti a vivere la gioia di essere discepoli del Signore! Grazie».
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARROCI DI ROMA (sintesi)
Aula Paolo VI - Giovedì, 6 marzo 2014
Quando insieme al Cardinale Vicario abbiamo pensato a questo incontro, gli ho detto che avrei
potuto fare per voi una meditazione sul tema della misericordia. All’inizio della Quaresima riflettere
insieme, come preti, sulla misericordia ci fa bene. Tutti noi ne abbiamo bisogno. E anche i fedeli,
perché come pastori dobbiamo dare tanta misericordia, tanta!
Il brano del Vangelo di Matteo che abbiamo ascoltato ci fa rivolgere lo sguardo a Gesù che
cammina per le città e i villaggi. E questo è curioso. Qual è il posto dove Gesù era più spesso, dove
lo si poteva trovare con più facilità? Sulle strade. Poteva sembrare che fosse un senzatetto, perché
era sempre sulla strada. La vita di Gesù era nella strada. Soprattutto ci invita a cogliere la profondità
del suo cuore, ciò che Lui prova per le folle, per la gente che incontra: quell’atteggiamento interiore
di “compassione”, vedendo le folle, ne sentì compassione. Perché vede le persone “stanche e sfinite,
come pecore senza pastore”. Abbiamo sentito tante volte queste parole che forse non entrano con
forza. Ma sono forti! Un po’ come tante persone che voi incontrate oggi per le strade dei vostri
quartieri… Poi l’orizzonte si allarga, e vediamo che queste città e questi villaggi sono non solo
Roma e l’Italia, ma sono il mondo… e quelle folle sfinite sono popolazioni di tanti Paesi che stanno
soffrendo situazioni ancora più difficili…
Allora comprendiamo che noi non siamo qui per fare un bell’esercizio spirituale all’inizio della
Quaresima, ma per ascoltare la voce dello Spirito che parla a tutta la Chiesa in questo nostro tempo,
che è proprio il tempo della misericordia. Di questo sono sicuro. Non è solo la Quaresima; noi
stiamo vivendo in tempo di misericordia, da trent’anni o più, fino adesso.
1. Nella Chiesa tutta è il tempo della misericordia.
Questa è stata un’intuizione del beato Giovanni Paolo II. Lui ha avuto il “fiuto” che questo era il
tempo della misericordia…
Oggi dimentichiamo tutto troppo in fretta, anche il Magistero della Chiesa! In parte è inevitabile,
ma i grandi contenuti, le grandi intuizioni e le consegne lasciate al Popolo di Dio non possiamo
dimenticarle. E quella della divina misericordia è una di queste. E’ una consegna che lui ci ha dato,
ma che viene dall’alto. Sta a noi, come ministri della Chiesa, tenere vivo questo messaggio
soprattutto nella predicazione e nei gesti, nei segni, nelle scelte pastorali, ad esempio la scelta di
restituire priorità al sacramento della Riconciliazione, e al tempo stesso alle opere di misericordia.
Riconciliare, fare pace mediante il Sacramento, e anche con le parole, e con le opere di
misericordia.
2. Che cosa significa misericordia per i preti?
Mi viene in mente che alcuni di voi mi hanno telefonato, scritto una lettera, poi ho parlato al
telefono… “Ma Padre, perché Lei ce l’ha con i preti?”. Perché dicevano che io bastono i preti!...
Domandiamoci che cosa significa misericordia per un prete, permettetemi di dire per noi preti. Per
noi, per tutti noi! I preti si commuovono davanti alle pecore, come Gesù, quando vedeva la gente
stanca e sfinita come pecore senza pastore. Gesù ha le “viscere” di Dio, Isaia ne parla tanto: è pieno
di tenerezza verso la gente, specialmente verso le persone escluse, cioè verso i peccatori, verso i
malati di cui nessuno si prende cura… Così a immagine del Buon Pastore, il prete è uomo di
misericordia e di compassione, vicino alla sua gente e servitore di tutti. Questo è un criterio
pastorale che vorrei sottolineare tanto: la vicinanza. La prossimità e il servizio, ma la prossimità, la
vicinanza!… Chiunque si trovi ferito nella propria vita, in qualsiasi modo, può trovare in lui
attenzione e ascolto…
In particolare il prete dimostra viscere di misericordia nell’amministrare il sacramento della
Riconciliazione; lo dimostra in tutto il suo atteggiamento, nel modo di accogliere, di ascoltare, di
consigliare, di assolvere… Ma questo deriva da come lui stesso vive il sacramento in prima
persona, da come si lascia abbracciare da Dio Padre nella Confessione, e rimane dentro questo
abbraccio…
Il prete è chiamato a imparare questo, ad avere un cuore che si commuove. I preti - mi permetto la
parola - “asettici” quelli “di laboratorio”, tutto pulito, tutto bello, non aiutano la Chiesa. La Chiesa
oggi possiamo pensarla come un “ospedale da campo”. Questo scusatemi lo ripeto, perché lo vedo
così, lo sento così: un “ospedale da campo”. C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante
ferite! C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa... Gente
ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia
significa prima di tutto curare le ferite. Quando uno è ferito, ha bisogno subito di questo, non delle
analisi, come i valori del colesterolo, della glicemia… Ma c’è la ferita, cura la ferita, e poi vediamo
le analisi. Poi si faranno le cure specialistiche, ma prima si devono curare le ferite aperte. Per me
questo, in questo momento, è più importante. E ci sono anche ferite nascoste, perché c’è gente che
si allontana per non far vedere le ferite… E si allontanano forse un po’ con la faccia storta, contro la
Chiesa, ma nel fondo, dentro c’è la ferita… Vogliono una carezza!
E voi, cari confratelli - vi domando - conoscete le ferite dei vostri parrocchiani? Le intuite? Siete
vicini a loro? E’ la sola domanda…
3. Misericordia significa né manica larga né rigidità.
Ritorniamo al sacramento della Riconciliazione. Capita spesso, a noi preti, di sentire l’esperienza
dei nostri fedeli che ci raccontano di aver incontrato nella Confessione un sacerdote molto “stretto”,
oppure molto “largo”, rigorista o lassista. E questo non va bene. Che tra i confessori ci siano
differenze di stile è normale, ma queste differenze non possono riguardare la sostanza, cioè la sana
dottrina morale e la misericordia. Né il lassista né il rigorista rende testimonianza a Gesù Cristo,
perché né l’uno né l’altro si fa carico della persona che incontra. Il rigorista si lava le mani: infatti la
inchioda alla legge intesa in modo freddo e rigido; il lassista invece si lava le mani:solo
apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio il problema di quella coscienza,
minimizzando il peccato. La vera misericordia si fa carico della persona, la ascolta attentamente, si
accosta con rispetto e con verità alla sua situazione, e la accompagna nel cammino della
riconciliazione. E questo è faticoso, sì, certamente. Il sacerdote veramente misericordioso si
comporta come il Buon Samaritano… ma perché lo fa? Perché il suo cuore è capace di
compassione, è il cuore di Cristo!...
Per spiegarmi faccio anche a voi alcune domande che mi aiutano quando un sacerdote viene da me.
Mi aiutano anche quando sono solo davanti al Signore!
Dimmi: Tu piangi? O abbiamo perso le lacrime? Ricordo che nei Messali antichi, quelli
di un altro tempo, c’è una preghiera bellissima per chiedere il dono delle lacrime. Incominciava
così, la preghiera: “Signore, Tu che hai dato a Mosè il mandato di colpire la pietra perché venisse
l’acqua, colpisci la pietra del mio cuore perché le lacrime…”: era così, più o meno, la preghiera. Era
bellissima. Ma, quanti di noi piangiamo davanti alla sofferenza di un bambino, davanti alla
distruzione di una famiglia, davanti a tanta gente che non trova il cammino?… Il pianto del prete…
Tu piangi? O in questo presbiterio abbiamo perso le lacrime?
Piangi per il tuo popolo? Dimmi, tu fai la preghiera di intercessione davanti al
Tabernacolo? Tu lotti con il Signore per il tuo popolo, come Abramo ha lottato: “E se fossero
meno? E se fossero 25? E se fossero 20?...” (cfr Gen 18,22-33). Quella preghiera coraggiosa di
intercessione…
Un’altra domanda che faccio: la sera, come concludi la tua giornata? Con il Signore o
con la televisione? Com’è il tuo rapporto con quelli che aiutano ad essere più misericordiosi? Cioè,
com’è il tuo rapporto con i bambini, con gli anziani, con i malati? Sai accarezzarli, o ti vergogni di
accarezzare un anziano?
Non avere vergogna della carne del tuo fratello (cfr Reflexiones en esperanza, I cap.). Alla fine,
saremo giudicati su come avremo saputo avvicinarci ad “ogni carne” – questo è Isaia. Non
vergognarti della carne di tuo fratello. “Farci prossimo”: la prossimità, la vicinanza, farci prossimo
alla carne del fratello. Il sacerdote e il levita che passarono prima del buon samaritano non seppero
avvicinarsi a quella persona malmenata dai banditi. Il loro cuore era chiuso. Forse il prete ha
guardato l’orologio e ha detto: “Devo andare alla Messa, non posso arrivare in ritardo alla Messa”, e
se n’è andato. Giustificazioni! Quante volte prendiamo giustificazioni, per girare intorno al
problema, alla persona. L’altro, il levita, o il dottore della legge, l’avvocato, disse: “No, non posso
perché se io faccio questo domani dovrò andare come testimone, perderò tempo…”. Le scuse!…
Avevano il cuore chiuso. Ma il cuore chiuso si giustifica sempre per quello che non fa. Invece quel
samaritano apre il suo cuore, si lascia commuovere nelle viscere, e questo movimento interiore si
traduce in azione pratica, in un intervento concreto ed efficace per aiutare quella persona.
Alla fine dei tempi, sarà ammesso a contemplare la carne glorificata di Cristo solo chi non avrà
avuto vergogna della carne del suo fratello ferito ed escluso.
Io vi confesso, a me fa bene, alcune volte, leggere l’elenco sul quale sarò giudicato, mi fa bene: è in
Matteo 25.
Queste sono le cose che mi sono venute in mente, per condividerle con voi. Sono un po’ alla buona,
come sono venute…
Se pensate, voi sicuramente ne avete conosciuti tanti, tanti, perché i preti dell’Italia sono bravi!
Sono bravi. Io credo che se l’Italia ancora è tanto forte, non è tanto per noi Vescovi, ma per i
parroci, per i preti! E’ vero, questo è vero! Non è un po’ d’incenso per confortarvi, lo sento così.
La misericordia. Pensate a tanti preti che sono in cielo e chiedete questa grazia! Che vi diano quella
misericordia che hanno avuto con i loro fedeli. E questo fa bene.
Grazie tante dell’ascolto e di essere venuti qui.
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‘LA CONTROVERSIA TRINITARIA DEL IV SECOLO
NELL’ESEGESI DOTTRINALE DI ANFILOCHIO DI ICONIO’
Tesi di dottorato di Padre Angelo Segneri
Lo scorso 11 dicembre P. Angelo
Segneri ha conseguito il dottorato in
Teologia e Scienze Patristiche, presso
l’Istituto Patristico ‘Augustinianum’ in
Roma, difendendo una tesi dal titolo ‘La
controversia trinitaria del IV secolo
nell’esegesi dottrinale di Anfilochio di
Iconio’, sotto la direzione dei Proff.
Manlio Simonetti e Sever Voicu. Il P.
Generale, alcuni confratelli e i familiari
di P. Angelo hanno partecipato all’atto
accademico, di cui ragguagliamo i nostri
lettori mediante una breve sintesi della
presentazione della tesi
PRESENTAZIONE DELLA RICERCA
1. Oggetto della tesi
Fin dall’inizio del percorso di studi patristici, il nostro interesse è stato catturato dalla controversia
trinitaria del IV secolo, alla quale abbiamo dedicato il lavoro di licenza in teologia, nel 2009, sul
Tomus ad Antiochenos di Atanasio. La provenienza alessandrina di questo documento, datato al
362, non deve però trarre in inganno sui limiti geografici di diffusione della questione esplosa in
concomitanza con le ardite affermazioni teologiche del presbitero Ario. Infatti, dopo un avvio tutto
sommato locale ad Alessandria, la querelle divenne di pubblico dominio già prima del concilio di
Nicea e ben presto travalicò i confini geografici dell’Egitto, estendendosi gradualmente all’intero
mondo cristiano, prima in Oriente e quindi in Occidente, durante tutto il IV secolo.
Un territorio imperiale forse un po’ periferico, quale era quello delle diocesi civili del Ponto e
dell’Asia, in particolare le provincie di Cappadocia (I e II), Licaonia e Pisidia, non rimase tuttavia ai
margini della controversia trinitaria, anzi alcuni vescovi e teologi di tale ambiente assunsero un
ruolo decisivo negli sviluppi del dogma cristiano. Ci riferiamo soprattutto ai cosiddetti tre grandi
Cappadoci, attivi nella seconda metà del IV secolo, Basilio Gregorio di Nazianzo e Gregorio di
Nissa, la cui produzione teologica è stata diffusamente studiata nel corso della storia della Chiesa.
Accanto a loro, ci siamo quasi fortuitamente imbattuti nella figura molto meno conosciuta di
Anfilochio, il quale, di provenienza cappadoce – era cugino del Nazianzeno –, resse la Chiesa di
Iconio come metropolita della Licaonia grossomodo dal 373 alla fine del secolo. Egli, strettamente
legato a Basilio, godette di indubbia rinomanza presso i contemporanei. Basti accennare alle
testimonianze di Girolamo, Basilio, Gregorio di Nazianzo, Teodoreto, i quali elogiano l’erudizione
profana e la perizia biblica del vescovo di Iconio, qualificandolo prezioso fra tutti, piissimo,
gloriosissimo, meraviglioso, il migliore di tutti. Su questa stessa linea – oseremmo dire piuttosto
apologetica –, il kontakion bizantino per la festa di S. Anfilochio così si esprime: «O divino tuono,
tromba dello Spirito,/ padre per i fedeli e scure per i nemici,/ o sommo sacerdote Anfilochio,/ della
Trinità grande ministro,/ con gli angeli trovandoti per sempre,/ di intercedere per tutti noi non
cessare» (PG 39, 33 C).
Tuttavia, la sorte non è stata benevola nei confronti del vescovo di Iconio, il quale, anche a motivo
delle ingenti perdite occorse alla sua produzione letteraria, è progressivamente caduto nell’oblio da
parte degli studiosi della cristianistica antica. Nel momento in cui iniziavamo la nostra ricerca
dottorale, infatti, erano già trascorsi più di cento anni dalla monografia dello storico della Chiesa e
filologo tedesco Karl Holl, datata al 1904, uno dei pochissimi studi scientifici del XX secolo
dedicati espressamente ad Anfilochio.
Il titolo emblematico di questo studio – Anfilochio di Iconio nella sua relazione con i grandi
Cappadoci – ci ha suggerito la necessità, per poter inquadrare in modo adeguato la riflessione
anfilochiana all’interno della controversia ariana, di instaurare un confronto in primo luogo con le
opere di Basilio e dei due Gregori. Inoltre, il reticolo delle citazioni scritturistiche di cui sono
gremiti gli scritti anfilochiani e che si richiamano a vicenda nel passaggio da un autore all’altro, ha
fatto sì che la nostra tesi finisse per configurarsi come una vera e propria storia della controversia
trinitaria del IV secolo, considerata nella sua dimensione esegetica.
2. Struttura della tesi
Il lavoro è suddiviso in tre parti, precedute da un capitolo introduttivo e seguite dalla conclusione
generale, da due appendici e dalla bibliografia.
L’Introduzione si sofferma inizialmente nella descrizione delle
vicende biografiche di Anfilochio, soprattutto sulla base delle fonti
antiche, in particolar modo della corrispondenza
epistolare
intrattenuta dal nostro autore con il cugino Gregorio Nazianzeno e
con l’amico e maestro Basilio. Nell’Introduzione tentiamo anche di
giustificare il principio ispiratore della tesi, ossia la sostanziale
equivalenza esistente, nel mondo cristiano antico e soprattutto nel IV
secolo, tra storia del dogma e storia dell’esegesi. La controversia
trinitaria nella Chiesa antica, infatti, fu combattuta – per così dire – a
colpi di esegesi dottrinale: gli esponenti dei diversi partiti addussero a
sostegno della propria impostazione un corredo di passi scritturistici,
interpretandoli in modo spesso decontestualizzato e strumentale.
La I parte del nostro lavoro, pertanto, cerca di delineare la relazione tra Padre e Figlio, così come si
evince in special modo da alcune omelie anfilochiane, dedicate al commento dei seguenti passi: Mt
26,39 (‘Padre se possibile passi da me questo calice’); Gv 5,19 (‘Il Figlio non può far nulla da se
stesso, se non ciò che vede il Padre fare’); Gv 10,30 (‘Io e il Padre siamo una cosa sola’) e Gv 14,28
(‘Il Padre è più grande di me’); Mc 13,32 (‘Quanto a quel giorno o a quell’ora nessuno li conosce,
nemmeno il Figlio, se non il Padre’). Nonostante alcuni di questi versetti contenessero espressioni
dal tenore potenzialmente subordinazionista, l’esegesi proposta dagli scrittori antiariani mirava a
difendere la pari dignità divina del Figlio accanto al Padre.
La II parte della tesi è dedicata in modo più specifico alla cristologia, presentando il difisismo
anfilochiano, caratterizzato dalla dialettica tra Cristo qua deus e qua homo, anche a partire
dall’esegesi di alcuni passi biblici commentati en passant nelle omelie del vescovo cappadoce.
Nell’esegesi dottrinale il nostro autore tenta di eliminare qualsiasi ombra di debolezza dalla divinità
del Figlio, la quale è caratterizzata, invece, da un’assoluta immutabilità e impassibilità. Mentre gli
ariani avevano attribuito le passioni al Logos, per inficiarne la parità di natura divina rispetto al
Padre, il vescovo di Iconio tende piuttosto a dividere parole e gesti elevati, espressione della
potenza divina del Figlio, rispetto a quelli umili, tipici della natura umana assunta. Emerge da ciò
una presentazione quasi simmetrica di Cristo, nella quale a ogni caratteristica della divinità ne
corrisponde una per l’umanità, in linea con la terminologia cristologica in seguito consacrata dal
concilio di Calcedonia.
Molto più sintetica la III parte del nostro lavoro, la sezione pneumatologica, dal momento che il
numero estremamente esiguo di passi anfilochiani autentici nei quali si fa menzione dello Spirito
santo non permette di ricostruire in modo organico la riflessione del vescovo di Iconio sulla terza
persona della Trinità. La perdita pressoché totale del trattato sullo Spirito santo si rivela una lacuna
insanabile, e gli altri testi oggi conservati non lasciano trasparire l’esistenza di un preciso interesse
pneumatologico da parte del nostro autore.
3. Conclusioni
Indirizzandogli all’incirca nel 373-374
l’ep. 161, Basilio esortava il neoeletto
vescovo di Iconio a governare con
prudenza la nave della Chiesa. Quanto
bene Anfilochio abbia corrisposto a tali
aspettative in materia di politica
ecclesiale, ce lo dimostra, tra le altre cose,
il fatto che egli, dopo il concilio di
Costantinopoli del 381, fu costituito dagli
imperatori come garante dell’ortodossia
per la diocesi di Asia.
Tuttavia, a fronte di una indubbia abilità
pastorale, il vescovo cappadoce non si
distingue altrettanto per l’originalità nella
riflessione teologica, giuntaci del resto
attraverso
un
materiale
spesso
frammentario e non sempre soddisfacente
per ricostruirla con esattezza. I numerosi paralleli con gli altri autori riscontrati qua e là nel corso
della ricerca, hanno permesso di chiarire e documentare maggiormente il tipo di influsso esercitato
su Anfilochio da parte degli scrittori antiariani suoi contemporanei, evidenziando la dipendenza del
vescovo di Iconio da Basilio e, in secondo luogo, dal Nazianzeno e, in misura minore, dal Nisseno.
In sintesi, per quanto riguarda Anfilochio, un’attenta e critica esplorazione delle fonti ci ha
permesso di fondare su più solide certezze l’opinio communis sull’esistenza di un influsso di Basilio
e dei Cappadoci nei confronti del nostro autore. A tal proposito, è ancora sostanzialmente
condivisibile il giudizio conclusivo di Holl sulla persona del vescovo di Iconio:
«Anfilochio non è stato un pioniere su nessun punto. Ma sia nelle questioni pratiche sia in quelle
teoriche era in possesso di un istinto sicuro per la via media ecclesiale e di un’energia per andare
avanti con coraggio fino alla fine. Perciò in un periodo in cui la Chiesa cercava la giusta
posizione tra due opposti, egli fu riconosciuto come uno dei validi leader.» (K. HOLL, p. 263 –
nostra traduzione –).
Relativamente all’altro punto focale della ricerca, ossia all’attenzione più generale nei confronti
della storia del dogma, le numerose analisi comparative da noi svolte hanno dimostrato l’indubbia
fecondità di un metodo mirante a delineare l’evoluzione del pensiero teologico cristiano seguendo
diacronicamente l’andamento dell’esegesi scritturistica di argomento dottrinale.
REGINA PACIS INCONTRA PAPA FRANCESCO
Venerdì 21 febbraio 2014
La Messa con il Papa: Luca ci racconta...
“Trasformare le parole in opere”.
Raccontare l'incontro con Papa Francesco,trovare le parole giuste per descrivere l'emozione di poter
partecipare ad una celebrazione eucaristica da lui presieduta e la forza delle sue parole, non è affatto
semplice, così come è spesso difficile raccontare tutte quelle esperienze che davvero riescono a
toccarti il cuore. La nostra parrocchia, una sorta di delegazione in rappresentanza di varie realtà che
compongono la nostra comunità, il 21 febbraio ha avuto la possibilità di prendere parte alla messa
nella chiesa di Santa Marta presieduta dal Santo Padre.
Le parole. Proprio da qui, dalle parole dell'apostolo Giacomo, inizia l'omelia di Francesco. Oggi ci
si trova in un mondo in cui tanti si dicono cristiani, conoscono a memoria il Credo ma poi non lo
fanno loro, non vivono secondo la loro fede. Così facendo queste restano, appunto, solo parole. “La
fede che non da frutto nella vita, la fede che non si trasforma in opere, non è fede. Potete conoscere
tutti i comandamenti, tutte le profezie, tutte le verità di fede, ma se questo non va alla pratica, non
va alle opere, non serve. Possiamo recitare il Credo teoricamente, anche senza fede, e ci sono tante
persone che lo fanno così. Anche i demoni! I demoni conoscono benissimo quello che si dice nel
Credo e sanno che è Verità”.
Le parole, appunto. Quelle che servirebbero per descrivere l'incontro con Gesù vissuto accanto al
Santo Padre. Ma si può descrivere questo? Forse no. Perché l'unico modo di darne testimonianza è,
appunto, vivere la fede e portare la Parola nel mondo, senza paura, con coraggio, con serenità.
Trasformiamo le nostre parole in opere e diamo testimonianza di Cristo.
“La fede – ha concluso il Pontefice - porta sempre alla testimonianza. La fede è un incontro con
Gesù Cristo, con Dio, e di lì nasce e ti porta alla testimonianza. E’ questo che l’Apostolo vuole dire:
una fede senza opere, una fede che non ti coinvolga, che non ti porti alla testimonianza, non è fede.
Sono parole e niente più che parole”.
Noi una parola la scegliamo. Una semplice parola, prima di rimetterci in cammino.
Grazie Papa Francesco.
ALCUNI PARROCCHIANI DI SAN GIULIO
A SANTA MARTA CON IL PAPA FRANCESCO
Il nostro Papa Francesco ha dato ad alcuni parrocchiani delle Parrocchie romane la possibilità di
partecipare alla Santa Messa mattutina celebrata da Lui a Santa Marta in Vaticano; questa bellissima
iniziativa andrà avanti per tre mesi in alcuni giorni della settimana.
Anche la nostra Parrocchia di San Giulio, grazie all'iniziativa del nostro Parroco Padre Dario, ha
avuto questa grande opportunità. Venticinque persone tra tutti i parrocchiani sono state scelte da
Padre Dario per formare il gruppo che sarebbe andato da Papa Francesco e io sono stata una di loro.
Ci siamo ritrovati tutti il giorno 25 febbraio 2014 alle ore 6.00 del mattino all'ingresso del Vaticano
pieni di trepidazione ed emozione, già lì con uno spirito nuovo di unità e umiltà, consci che da lì a
poco avremmo avuto un grande privilegio... quello di vedere ed ascoltare da vicino, a tu per tu, il
successore di Pietro, colui che con la grandezza degli umili ha voluto per sé il nome Francesco, il
grande Santo, esempio di povertà e mitezza.
Pochi minuti prima delle 7.00 ci hanno concesso di entrare e abbiamo preso posto nella Cappella di
Santa Marta. Questa è una Cappella piccola, raccolta, moderna, luminosa, non sontuosa ma
semplice, specchio di quella semplicità che il Papa ha iniziato a proclamare e vivere fin dai primi
giorni del Suo Papato.
Finalmente Papa Francesco entra e si dirige all'altare... è difficile esprimere le emozioni che si
susseguono nel cuore, è lì a pochi passi e quello che mi colpisce di più è la sua profonda semplicità,
è colui che è umile tra gli umili, povero tra i poveri. Quasi bisogna ripetersi che lui è davvero Lui, il
Papa. Sembra, anzi è un Sacerdote come tanti, non c'è ostentazione, segni di onorificenze, ricchezze
o potere.
Lui è il Papa perchè è stato scelto dallo Spirito Santo per essere il Rappresentante di Dio in terra,
Lui rappesenta un Dio che si è fatto carne, uomo, uomo crocifisso dagli uomini e poi risorto per noi.
Aspettiamo con ansia la sua omelia per farne tesoro nella nostra vita personale e comunitaria e Lui
ripete più volte una frase della Prima Lettura di San Giacomo apostolo: ”Fratelli miei, da dove
vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle passioni?”
Il Papa Francesco parla con voce accorata ma ferma e sottolinea che oggi non ci sono grandi guerre
come nel passato, ma continuano ad esserci tante piccole guerre quotidianamente nel mondo: forse
ci siamo abituati al numero di persone, fratelli che muoiono vittime dell'odio ogni giorno in molte
parti del mondo? Questo è il suo velato rimprovero! Invece non dobbiamo essere indifferenti,
dobbiamo essere segno di pace e portatori di pace.
E poi cita ancora più da vicino le
incomprensioni in famiglia che spesso
facciamo fatica ad appianare, risolvere e
perdonare.
Ma riflettiamo noi stessi, anche nella
famiglia che è la nostra parrocchia, non ci
sono forse tra noi incomprensioni, liti,
gelosie, invidie mentre dovremmo essere i
testimoni per gli altri dell'Amore di Dio,
amore che accoglie, comprende, perdona?
La celebrazione della Santa Messa
continua nel raccoglimento e nella
preghiera;
arriva
il
momento
dell'Eucarestia, e tutti ci accostiamo alla
Mensa e ci cibiamo del Corpo di Gesù. Nel
momento della Comunione preghiamo
ciascuno nel proprio cuore per tutte le
persone che ci sono care e che conosciamo, portiamo le sofferenze e le difficoltà di tutti i nostri
fratelli della nostra Parrocchia.
Siamo consci ora che abbiamo uno grande responsabilità verso tutti i nostri fratelli parrocchiani:
siamo stati scelti come testimoni di un incontro speciale e personale con il Papa e dobbiamo e
vogliamo trasmettere con le parole e con la nostra vita i benefici di questo incontro.
Papa Francesco ancora dà testimonianza di raccoglimento e preghiera al momento del
ringraziamento, dove nel silenzio più profondo lo vediamo seduto di lato all'altare quasi ripiegato su
di sé, come a sentire il peso del suo mandato, così grande e arduo, e il peso del mondo intero, con i
suoi tanti problemi. Viene spontaneo pregare anche per Lui, perchè lo Spirito Santo lo guidi ogni
giorno nel suo cammino, lo sostenga e lo illumini.
Dopo la Santa Messa lo vediamo improvvisamente sedersi di fianco a noi nuovamente in preghiera:
capiamo che è la preghiera a scandire i momenti della sua giornata.
Al termine ci aspetta in una sala vicino alla Cappella dove Lui, con Padre Dario al suo fianco, ci
accoglie uno per uno. Ciascuno di noi è emozionatissimo nell'attesa e ognuno si accosta a Lui
portando sé stesso, la sua famiglia, i suoi problemi: chi li racconta brevemente, chi ha portato una
foto dei suoi figli che lui benedice spontaneamente, chi porta un Suo ritratto, il dono della
Parrocchia di San Giulio.
Forse ciò che è stato più gradito pensiamo sia stato un libro realizzato dalla Parrocchia contenente i
disegni dei nostri bambini, colorati, ingenui ma deliziosi, intercalati da frasi dei nostri parrocchiani
contenenti invocazioni, ringraziamenti, preghiere rivolti al Papa e a Dio.
La mattina con Papa Francesco si conclude così con una gioia profonda nel cuore, ancora increduli
di averlo potuto conoscere personalmente, felici di aver partecipato alla Sua celebrazione della S.
Messa in Santa Marta; non rimarrà solo un ricordo nel cuore ma ci adopereremo affinchè diventi un
seme che giorno per giorno porterà nel nostro cuore frutti di fraternità e amore verso i nostri fratelli.
SALUTI DALLA TERRA SANTA
E’ un dono grande quello di poter vivere un pellegrinaggio in Terra Santa (dal 19 al 26 marzo), una
terra che parla di Dio e lo fa con una molteplicità di forme, rumori, riti, religioni che troppe volte si
sono scontrate tra loro (e che oggi sembrano aver trovato una forma di precaria convivenza). Una
terra antica e affascinante che a noi parla di Gesù che qui è nato, vissuto, morto e risorto. Il dubbio è
che, come tanti libri e persone e luoghi sacri, ci parli di Gesù, ma con difficoltà Gesù riesca ancora a
farsi sentire in queste terre. Si è distratti da tante cose (posti suggestivi, ma anche cibi, alberghi di
lusso…), spinti a fare vacanza più che pellegrinaggio. Eppure, nonostante le difficoltà (comprese
anche quelle fisiche di dover camminare a lungo per vedere in pochi giorni più cose possibili),
rimane nel cuore la preghiera condivisa con tutto il gruppo di parrocchiani (li vedete in fondo a
questa pagina e nelle foto successive), 46 persone, quasi tutte di età avanzata. Quello che segue è un
resoconto sintetico, in foto e parole, dei luoghi in cui ha vissuto Gesù, seguendo la cronologia dei
suoi eventi e non il percorso fatto.
Il pellegrinaggio ha inizio sul Monte del Carmelo, nei pressi di Tel Aviv (ex capitale dove si è
giunti in aereo, per poi prendere il fedele pullman che ci ha scorrazzati per l’intero stato di Israele.
Sul monte Carmelo (qui nascono i carmelitani) il profeta Elia ha scoperto la presenza di Dio e ha
sconfitto gli idoli stranieri. Ma l’itinerario che seguiamo è quello di Gesù e ci porta innanzitutto a:
1. NAZARET: l’annunciazione
Siamo nel nord del paese, in Galilea, una zona molto fertile. Il villaggio di Nazaret è oggi una
cittadina di circa 30.000 abitanti, a maggioranza musulmana. Qui abitavano Maria e Giuseppe. Qui
si fidanzano e Maria riceve l’annuncio dell’angelo. Ma dove? Secondo la tradizione ciò avviene nel
pozzo pubblico, secondo i Cattolici in quella che oggi è la bella Chiesa dell’Annunciazione, diversa
dalla Chiesa Ortodossa che è situata in altro luogo nonostante ricordi lo stesso avvenimento.
2. AIN KAREN: la visitazione (il Benedictus e il Magnificat). Oggi è un sobborgo di
Gerusalemme il villaggio in cui, secondo la tradizione, vivono Zaccaria ed Elisabetta, la cugina di
Maria. Qui avviene l’incontro tra due donne visitate da Dio, protagoniste del suo progetto.
3. BETLEMME: la nascita
Betlemme è a pochi kilometri da Gerusalemme, in territorio palestinese (circondato dal terribile
muro divisorio che è lungo più di 300 Km). Nel luogo dove nacque Gesù sorge oggi l’affascinante
Basilica della Natività (celebre anche per la porticina d’ingresso che ti obbliga ad inchinarti per
poter entrare). A pochi km da qui c’è anche il campo dei pastori, i primi ad accorrere nel rendere
omaggio al bambino.
4. FIUME GIORDANO: il battesimo
In una zona desertica (siamo poco lontano dal mar morto, tappa obbligata anche per un bagno fuori
stagione) troviamo il luogo che ricorda il battesimo di Gesù. Il fiume segna oggi anche il confine
che separa Israele e la Giordania.
5. DESERTO: le tentazioni
A pochi km di distanza, nei pressi della città di Gerico (quella di Zaccho), troviamo il santuario
delle tentazioni.
6. CANA: il primo miracolo
Secondo Giovanni a Cana, nel contesto di un matrimonio, avvenne il primo miracolo di Gesù (che
cambiò l’acqua in vino). Siamo di nuovo al nord, in Galilea, nei pressi di Nazaret, e qui, secondo
tradizione, anche le nostre coppie di sposi hanno rinnovato la loro unione.
7. LAGO DI TIBERIADE: la chiamata degli apostoli, le beatitudini, il primato di Pietro (e
tanto altro)
Si rimane nel verdissimo nord e, attorno al lago di Tiberiade ritroviamo tantissimi luoghi legati a
Gesù. Li abbiamo rievocati in battello, in mezzo al lago, nelle colline dove si ricorda il discorso
delle beatitudini, a Cafarnao, la città di Pietro...
8. GERUSALEMME: la città Santa, luogo del:
· Padre Nostro
· Cenacolo
· Getsemani
· Via Crucis
· Crocifissione e morte (Sepolcro)
· Resurrezione
· Ascensione
· Assunzione di Maria
Gerusalemme, città chiamata alla pace, teatro di continue violenze, è una città stupenda,
antichissima, ricchissima (a livello archeologico, storico, religioso…). Qui riviviamo le ultime,
determinanti vicende umane legate a
Gesù. Ne faremo memoria in questi
giorni che ci preparano alla Pasqua
imminente: il Cenacolo, luogo
dell’ultima cena (ma anche piano
che sovrasta la tomba di Davide,
particolarmente cara agli ebrei), il
Getsemani, nel monte degli ulivi, le
vie della Passione di Gesù (oggi
luogo di mercato, nella zona
musulmana della città—suddivisa in
quartieri
legati
alle
diverse
religioni). La Basilica del S.
Sepolcro (un luogo dal fascino
unico) e infine i luoghi che ci
parlano della Resurrezione e
dell’Ascensione (ancora sul monte
degli ulivi).
I pellegrini ebrei, tenuti a visitare il Tempio (oggi ne rimane solo il celebre Muro del pianto) ogni
anno, si salutavano augurandosi: “Il prossimo anno a Gerusalemme”. Noi auguriamo a tutti di
poterci andare, ma soprattutto di seguire le orme del Signore che ci promette: “Io sono in mezzo a
voi, fino alla fine dei tempi”.
BUONA PASQUA,
p. Stefano L.
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NOTIZIE DAL PERU’
Una nuova responsabilitá per i confratelli dal Perú:
la nuova Parrocchia de Pueblo Nuevo de Colán
Doménica 2 marzo nostro confratello
P.Luis Enrique Serra ha fatto il suo ingreso
come párroco alla nuova parrocchia affidata
dal vescovo ai CRIC nel Perú. La chiesa
parrocchiale Sacro cuore di Gesú de Pueblo
Nuevo de Colán, cittá semplice de contadini
nella sua maggioranza, contadina nel valle
del Chira nella provicia di Paita, con una popolazione di 12 milla abitanti.
Per questo evento il vescovo di Piura Mons. José Antonio Eguren Anselmi, viene a consegnare la
parrocchia alla comunitá e presentare al nuovo parroco. La chiera era piena , con gli agenti
pastorali e i rapresentanti dei consiglio pastorarale e ¡ grupi parrocchiali.
P.Luis ha fatto la professione di fede, ha ricevuto le chiavi della chiesa e gli altri spazi significativi
della chiesa parrocchiale come el confeionale, el battistero, la Parola di Dio e tutto per la
celebrazione eucaristica. Una chiesa bella allo steso modo che la canonica. Chiesa consacrata al
Sacro cuore di Gesú, dal 24 giugno de 1911. Hanno
celebrato poco fa i
centi anni della
chiesa. Bella per le
sue pinture nei
murali nel interno
del tempio.
Cittá
conociuta
sopratutto per la
famosa spiaggia:
Colán. Pure é una
zona di grande turismo, visitata da tanti turisti, enche per la
chiesa che si trova in Colán che é la piu antica dal Perú, fatta
nell’epoca de la Colonia espagnola nel 1536. La Chieas San
Luca di Colán.
Confidiamo alla Madonna inmacolata il lavoro pastorale de
nostro confratello che con slancio intraprende questa missione
dalla mano dei laici e le suore figlie di Santa Ana, per aiutare a
questo popolo affamato dalla Paroda di Dio.
P.Juan Atarama
PERU: PROFESSIONE SOLENNE DI FR.VICTOR
CRUZ
Domenica sedici marzo, nella Capella Santissima Croce
del piccolo vilaggio Miraflores de Piura, ha fatto
professione solenne il nostro confratello Victor Cruz. In
questo piccolo, semplice e povero luogo dove Victor fa il
suo servizio pastorale, con i gruppi di famiglie, ha vissuto
questa esperienza nuova mai vista per loro.
Quella
domenica si é riunita
per presienziare questo atto alla messa della mattina. Una
messa speciale dove erano presenti tutti i sacerdoti della
Comunitá peruviana, tanti amici venuti dalla parrocchia di
Zarumilla dove abbiamo laborato fino all’anno scorso, amici
della parrocchia di Tamarindo, familiari di Paita, il paese di
Victor, tanti amici e sopratutto i suoi genitori.
La volontá di conzacrare la sua vita per sempre al Sigore,
facendo i voti di povertá, castitá e ubbidienza, nella Comunitá dei
Canonici Regolari dell’Inmacolata Concezione é´stato un atto
bello e di molta gioia ed speranza per la Comunitá peruviana e per
tutta la Congregazione, che ha espresso la sua vicinanza tratime la
preghiera e pure alcuni e-mail di saluto e auguri.
Che la Madonna Inmacolta accompagni il nostro
confratlello nel suo cammino di Consacrazione religiosa e
formazione.
NOSTRO RITIRO SPIRITUALE: Peru
La Comunitá peruviana, la seconda settimana di marzo ha avuto i suoi esserci spituali,
accompagani nelle rifflessioni dal Vescono di Chulucanas, Mons.Daniel Thurley. E stato
un’ocassione per riffletere insieme, pregare, dialogare e condividere per prendere forze e riprendere
con piú slancio questo nuovo anno
pastorale. Per noi a fine marzo comincia
le attivitá annuali e la scuola.
Eravamo tutti i 6 sacerdoti, il
diácono, un professo e i postulanti. Il
Signore ci acconpagni in questo
camminare per vivere ed essere testimoni
di questa gioia evanglica con la nostra
vocazione religiosa e sacerdotale.
50° DI SACERDOZIO
DI PADRE LORENZO ROSSI
“Misericordias Domini in aeternum cantabo.”
Canterò in eterno le misericordie del Signore.
Con queste parole tratte dal salmo 88, Padre Lorenzo Rossi invitava parenti,
confratelli, parrocchiani e amici tutti a cantare con lui il Signore che gli ha donato 50
anni di sacerdozio ministeriale a servizio di Dio e dei fratelli nella Chiesa.
Raggiungere il traguardo del 50° anniversario di sacerdozio è motivo di gioia e
rendimento di grazie non solo della persona interessata ma dell’intera comunità
ecclesiale nella quale P. Lorenzo ha vissuto: la famiglia, i Canonici Regolari, la Diocesi
di Roma e soprattutto in quella comunità che ha visto crescere sin dal suo inizio e
accompagnato per ben 37 anni della sua vita e più della metà del suo servizio pastorale.
Da questi motivi di ringraziamento è nato, nella Comunità Parrocchiale Natività
di Maria, un comitato per programmare le celebrazioni in ricordo dell’Ordinazione
Presbiterale e della prima messa avvenuti rispettivamente il 18 e 19 marzo 1964 nella
chiesa parrocchiale di Mairano, in provincia di Brescia, paese natio del festeggiato.
Come primo gesto si è voluto andare alla ricerca delle tappe fondamentali nel
cammino di P. Lorenzo, producendo un opuscolo contenente delle fotografie,
commentate da didascalie, per aiutarci ad entrare in una storia personale non slegata dal
mondo ma inserita in un determinato contesto, luogo e relazioni.
Insieme a questo gesto simbolico il comitato ha organizzato tre momenti celebrativi:
1. Mercoledì 19 marzo, Solennità di San Giuseppe, alle ore 17 presso la Parrocchia
Natività di Maria, P. Lorenzo ha celebrato la santa messa con la presenza degli
alunni e docenti dell’Istituto “Figlie di San Giuseppe”, che hanno curato la
celebrazione con i canti, le preghiere insieme ai bambini del catechismo
parrocchiale con catechisti e genitori. È stato un momento intenso di preghiera
grazie anche alla commovente lettera dell’Istituto, letta alla fine della
celebrazione eucaristica.
2. Venerdì 21 marzo, alle ore 21, presso la chiesa di Natività di Maria si è svolta la
veglia di preghiera Il Bel Pastore. La preghiera suddivisa in tre momenti ha
voluto, in un primo momento, far riflettere che la vocazione primaria dell’uomo
è quella della santità e che è iscritta in noi sin dal battesimo per passare poi a
meditare sulla vocazione particolare dell’ordine sacro richiamando tre segni di
questa chiamata (stola, crisma, pane e vino) per concludere dinnanzi a Gesù
Eucarestia fonte di ogni santità. Ogni tappa aveva brani della Sacra Scrittura e
del Magistero di Papa Benedetto e Papa Francesco per aiutare nella preghiera
personale e comunitaria.
3. Sabato 22 marzo, centro del programma con la solenne celebrazione eucaristica
alle ore 18.30 presso la Parrocchia Natività di Maria. Erano presenti: Mons.
Paolo Selvadagi, Vescovo Ausiliare per la Diocesi di Roma, i confratelli CRIC
presenti a Roma, il Superiore dei Missionari della Fede, il Superiore dell’Istituto
Padre Monti, altri sacerdoti della Diocesi di Roma, i parenti venuti da Brescia, le
Superiore degli Istituti Femminili presenti in parrocchia e la comunità
parrocchiale che attraverso i bambini ha espresso sentimenti di grazie, di lode e
di auguri presentando al Signore le loro preghiere e omaggiando p. Lorenzo con
un mazzo di fiori. Nell’omelia, P. Lorenzo, ha sottolineato l’importanza del
sacerdozio legato ad una comunità, quale centro e sorgente di una vera crescita
umana e spirituale per qualsiasi componente. A conclusione della celebrazione
eucaristica, molto sentita e partecipata, si è svolta la cena in clima di festa e di
allegria nella quale è stato consegnato il dono della comunità: un viaggio in
Francia sui passi di dom Adriano Gréa, fondatore dei Canonici Regolari
Alla fine possiamo davvero cantare l’amore che Dio non fa mai mancare alla sua Chiesa.
Aver festeggiato questo anniversario ha dato la possibilità di riflettere ulteriormente
quanto sia più che mai opportuno il dono del sacerdozio ministeriale, quanto sia
importante, per ognuno di noi, una comunità viva che si trovi insieme per lodare e
ringraziare il Signore e che nonostante le fatiche si rimette sempre in cammino nella sua
volontà.
Ad multos annos Padre Lorenzo!
E preghiamo perché il Signore mandi operai alla sua messe.
Erasmo
RETROCOPERTINA
Maria Immacolata
Protegga la nostra comunità
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48 - canonici regolari