LA VOCE DELLA COMUNITA’ APRILE 2014 - N°48 Cristo davvero è risorto dai mort!. Tu, re vittorioso, abbi pietà di noi!(dalla Liturgia) (In copertina Gerusalemme: Santo Sepolcro, Edicola dell'Anastasis) SOMMARIO Commemorazione della morte di dom Gréa Papa Francesco ai religiosi Discorso del Santo Padre Francesco ai parroci di Roma La controversia trinitaria del IV secolo nell’esegesi dottrinale di Anfilochio di Iconio Regina Pacis incontra Papa Francesco Alcuni parrocchiani di S. Giulio a Santa Marta con il Papa Francesco Saluti dalla Terra Santa Una nuova responsabilità per I confratelli del Perù: la nuova parrocchia de Pueblo Nuevo de Colàn Perù: professione solenne di fr. Victor Cruz Nostro ritiro spirituale 50° di Sacerdozio di p. Lorenzo Rossi COMMEMORAZIONE DELLA MORTE DI D. GRÉA Roma - 23 FEBBRAIO 2014 I confratelli e gli amici CRIC di Roma si sono incontrati per la preghiera solenne dei Vespri e un momento di convivialità presso la parrocchia S. Giulio, il 23 febbraio, nell’anniversario della morte del nostro fondatore. La predicazione è stata affidata a P. Angelo, il quale ha proposto ai numerosi partecipanti una riflessione riguardante D. Gréa e i Padri della Chiesa, che sintetizziamo qui di seguito. L’opera principale di D. Gréa, pubblicata per la prima volta nel 1885, è senz’altro il trattato ecclesiologico De l’Église et sa divine constitution. Per provare a spiegare cosa sia la Chiesa, D. Gréa inizia con una citazione dei Padri della Chiesa, ricavata dal Panarion di S. Epifanio di Salamina (315 circa-403), in cui si afferma che “la Chiesa cattolica è il principio di tutte le cose” (cf. Epifanio, Panarion I,2,3; D. Gréa, De l’Église et sa divine constitution, ed. 1965, p. 17). Gli scritti dei Padri della Chiesa (ossia degli autori dell’antichità cristiana recanti le caratteristiche dell’ortodossia, della santità della vita e dell’approvazione della Chiesa) costituiscono una delle fonti più importanti del pensiero ecclesiologico di D. Gréa. Dai Padri il nostro autore ricava le categorie fondamentali per descrivere la Chiesa: Mistero, Sposa, Madre, ecc. (cf. S. Liberti, Dom Adrien Gréa (1828-1917) e l’ecclesiologia trinitaria: una voce profetica?, Tesi di licenza in Teologia Dogmatica, P.U.G., Roma 2005, pp. 36-43). Molti e di diverse epoche sono i Padri ai quali D. Gréa si riferisce nel corso del suo trattato ecclesiologico. Tra gli altri ricordiamo: per il I-II secolo S. Ignazio d’Antiochia (35 circa-107 circa); per il III secolo S. Cipriano di Cartagine (210-258); per il IV secolo Eusebio di Cesarea (265-340); per il V secolo S. Agostino (354-430) e S. Leone Magno (400-461); per il VI secolo S. Gregorio Magno (540-604). Si tratta di Padri sia d’Oriente sia d’Occidente, le cui citazioni sono inserite sia nel testo sia in nota. È interessante notare che i testi di S. Ignazio d’Antiochia, una tra le fonti patristiche predilette da D. Gréa, sono sempre inserite in nota e in lingua originale greca. Dai Padri della Chiesa il nostro autore ricava il rapporto esistente tra la Chiesa e la Trinità (Ecclesia de Trinitate), come pure il legame intimo tra la Chiesa e l’umanità, per cui si può dire che la Chiesa abbia inizio già in Abele, il primo giusto, o finanche in Adamo (Ecclesia ab Abel; Ecclesia ad Adam). Dalle lettere di S. Ignazio d’Antiochia provengono alcune importanti affermazioni relative alla teologia dell’episcopato e al suo ruolo di sintesi all’interno della Chiesa locale. «Dove c’è il vescovo, lì c’è la comunità; dove c’è Gesù Cristo, lì c’è la Chiesa cattolica» (ep. agli Smirnesi 8) e «sia ritenuta valida l’Eucaristia che si fa col vescovo» (Ibidem), sono pensieri che trovano ampia citazione e accoglienza all’interno del trattato di D. Gréa. A proposito del ruolo di sintesi del vescovo nell’ambito della propria diocesi, il nostro autore più volte allude allo slogan “un solo Dio, un solo Cristo, un solo vescovo” (cf. De l’Église et sa divine constitution, pp. 53. 308), il quale, stando al racconto di Teodoreto di Cirro (cf. Historia Ecclesiastica II,17), sarebbe stato innalzato dai cittadini di Roma per acclamare i diritti del loro legittimo presule Liberio, mandato in esilio dall’imperatore Costanzo II nel 355 e sostituito con Felice, in precedenza arcidiacono della Chiesa capitolina. A proposito del vescovo di Roma, D. Gréa sottolinea che il papa, vicario di Gesù Cristo, non è un super vescovo pur essendo dotato di speciali prerogative. Per esprimere il proprio pensiero in materia, il nostro autore menziona, tra l’altro, una lettera di S. Leone Magno nella quale si legge che «Tutti gli apostoli sono uguali ed è stato donato solamente a uno di presiedere a tutti gli altri. È da questa forma che si è originata la distinzione dei vescovi …» (S. Leone Magno, ep. 14,11; cf. De l’Église et sa divine constitution, p. 182). Per quanto riguarda l’ufficio del vescovo di guidare il gregge a lui affidato, D. Gréa – forse edotto dalla propria esperienza di vita –, concorda con S. Gregorio Magno e la sua Regola Pastorale, in apertura della quale si dichiara che “l’arte delle arti è la cura delle anime” (S. Gregorio Magno, Regula pastoralis I,1; cf. De l’Église et sa divine constitution, p. 306). Questi rapidi accenni, lasciano intravvedere la ricchezza e la complessità di un argomento che meriterebbe ben più ampia trattazione, ossia le modalità di utilizzo e l’importanza delle citazioni patristiche nell’economia trattato ecclesiologico di D. Gréa. Grazie al ritorno ad fontes, tra cui i Padri occupano un posto privilegiato, il nostro autore riscopre la centralità dell’episcopato e l’istituto dei Canonici Regolari, ossia il presbiterio corona del vescovo diocesano. Per D. Gréa – e auspichiamo che lo stesso valga per noi oggi – il ricorso all’argomentazione patristica non è un’operazione dettata da nostalgia per i tempi passati, bensì la necessità di riallacciarsi alla tradizione vitale della Chiesa. In questo senso, è significativo notare che nelle battute iniziali della costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II sia citato un passo del De oratione dominica di Cipriano («La Chiesa universale si presenta come “il popolo riunito nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo”», Lumen Gentium 4; cf. Cipriano, De oratione dominica 23), il quale era già stato menzionato e posto in debito onore circa 80 anni prima nel trattato ecclesiologico di D. Gréa: «La Chiesa riceve queste testimonianze divine, e ne celebra la celeste dottrina per bocca dei Padri. Costoro confessano e riveriscono il mistero divino della Chiesa associata alla gerarchia eterna e inviolabile del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Citiamo solamente S. Cipriano, così degno di considerazione per l’autorità della sua antichità e del suo martirio: … “Il grande sacrificio – dice lui – veramente degno di Dio è la nostra pace”, vale a dire, secondo il linguaggio dell’antichità, la nostra comunione ecclesiale, che unisce e ordina tutti i membri della Chiesa e “il popolo riunito nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo ”» (De l’Église et sa divine constitution, p. 36). Padre Angelo Segneri PAPA FRANCESCO AI RELIGIOSI: SECONDA PARTE a cura di padre Stefano Liberti 27 luglio 2013, GMG di Rio (Brasile) Nella Cattedrale di San Sebastiano di Rio, il Papa ha celebrato l’Eucaristia con i vescovi e i religiosi partecipanti alla GMG. In questa occasione il Papa ha voluto riflettere su tre aspetti della vocazione sacerdotale e religiosa: “chiamati da Dio; chiamati ad annunciare il Vangelo; chiamati a promuovere la cultura dell’incontro”. Dobbiamo «chiedere la grazia di essere persone che conservano la memoria di questa prima chiamata», ha detto in una cattedrale strapiena di vescovi, sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose che hanno accompagnato i ragazzi dei rispettivi Paesi all’appuntamento della Gmg. « Non è la creatività», ha continuato il Papa, «per quanto pastorale sia, non sono gli incontri o le pianificazioni che assicurano i frutti, anche se aiutano e molto, ma quello che assicura il frutto è l’essere fedeli a Gesù, che ci dice con insistenza: «Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4) ». In quanto chiamati ad annunciare il Vangelo ha invitato i presenti ad aiutare i giovani avendo la pazienza di ascoltarli in profondità «nel confessionale, nella direzione spirituale, nell’accompagnamento. Sappiamo perdere tempo con loro» seminando (cosa che costa e affatica moltissimo) senza pretendere di godere del raccolto. «Non risparmiamo le nostre forze nella formazione dei giovani» aiutando «i nostri giovani a riscoprire il coraggio e la gioia della fede, la gioia di essere amati personalmente da Dio», educandoli ad uscire come inviati perchè «non possiamo restare chiusi nella parrocchia … quando tante persone sono in attesa del Vangelo». Infine in quanto chiamati a promuovere la cultura dell’incontro ha ricordato come in troppi ambienti «si è fatta strada una cultura dell’esclusione, una “cultura dello scarto”. Non c'è posto né per l’anziano né per il figlio non voluto; non c’è tempo per fermarsi con quel povero nella strada. A volte sembra che per alcuni, i rapporti umani siano regolati da due “dogmi” moderni: efficienza e pragmatismo. (…) Abbiate il coraggio di andare controcorrente a questa cultura efficientista, a questa cultura dello scarto. L’incontro e l’accoglienza di tutti, la solidarietà - una parola che si sta nascondendo in questa cultura, quasi fosse una cattiva parola -, la solidarietà e la fraternità, sono elementi che rendono la nostra civiltà veramente umana». 4 ottobre 2013, ASSISI Nella Cattedrale di San Rufino, il Papa ha incontrato il clero e i religiosi della comunità diocesana. A loro ha ricordato che «la Chiesa non cresce per proselitismo. La Chiesa cresce per attrazione, l’attrazione della testimonianza che ognuno di noi da al Popolo di Dio». Ha poi preso in esame diversi aspetti della vita di comunità: «La prima cosa- ha detto- è ascoltare la Parola di Dio. E’ la Parola di Dio che suscita la fede, la nutre, la rigenera. E’ la Parola di Dio che tocca i cuori, li converte a Dio e alla sua logica che è così diversa dalla nostra; è la Parola di Dio che rinnova continuamente le nostre comunità… Penso al sacerdote, che ha il compito di predicare. Come può predicare se prima non ha aperto il suo cuore, non ha ascoltato, nel silenzio, la Parola di Dio? Via queste omelie interminabili, noiose, delle quali non si capisce niente». Il secondo aspetto che ha analizzato è quello del camminare. «Non siamo isolati, non camminiamo da soli, ma siamo parte dell’unico gregge di Cristo che cammina insieme. Qui penso ancora a voi preti…Che cosa c’è di più bello per noi se non camminare con il nostro popolo? Quando io penso a questi parroci che conoscevano il nome delle persone della parrocchia, che andavano a trovarli; anche come uno mi diceva: “Io conosco il nome del cane di ogni famiglia”, anche il nome del cane, conoscevano! Che bello che era! ». Bisogna «camminare con il nostro popolo, a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro: davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita perché nessuno rimanga troppo, troppo indietro, per tenerla unita, e anche per un’altra ragione: perché il popolo ha “fiuto”! Ha fiuto nel trovare nuove vie per il cammino, ha il “sensus fidei”, che dicono i teologi». «Ma la cosa più importante- ha proseguito- è camminare insieme, collaborando, aiutandosi a vicenda; chiedersi scusa, riconoscere i propri sbagli e chiedere perdono, ma anche accettare le scuse degli altri perdonando». Agli sposi ha ricordato: «Litigate quanto volete. Se volano i piatti, lasciateli. Ma mai finire la giornata senza fare la pace! Mai!… E mentre si cammina si parla, ci si conosce, ci si racconta gli uni agli altri, si cresce nell’essere famiglia». Il terzo aspetto è quello missionario: annunciare fino alle periferie. Ha così ribadito «l’importanza di uscire per andare incontro all’altro, nelle periferie, che sono luoghi, ma sono soprattutto persone in situazioni di vita speciale».. «Ecco, cari amici, - ha concluso- non vi ho dato ricette nuove. Non le ho, e non credete a chi dice di averle: non ci sono. Ma ho trovato nel cammino della vostra Chiesa aspetti belli e importanti che vanno fatti crescere e voglio confermarvi in essi. Ascoltate la Parola, camminate insieme in fraternità, annunciate il Vangelo nelle periferie! Il Signore vi benedica, la Madonna vi protegga, e san Francesco vi aiuti tutti a vivere la gioia di essere discepoli del Signore! Grazie». DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARROCI DI ROMA (sintesi) Aula Paolo VI - Giovedì, 6 marzo 2014 Quando insieme al Cardinale Vicario abbiamo pensato a questo incontro, gli ho detto che avrei potuto fare per voi una meditazione sul tema della misericordia. All’inizio della Quaresima riflettere insieme, come preti, sulla misericordia ci fa bene. Tutti noi ne abbiamo bisogno. E anche i fedeli, perché come pastori dobbiamo dare tanta misericordia, tanta! Il brano del Vangelo di Matteo che abbiamo ascoltato ci fa rivolgere lo sguardo a Gesù che cammina per le città e i villaggi. E questo è curioso. Qual è il posto dove Gesù era più spesso, dove lo si poteva trovare con più facilità? Sulle strade. Poteva sembrare che fosse un senzatetto, perché era sempre sulla strada. La vita di Gesù era nella strada. Soprattutto ci invita a cogliere la profondità del suo cuore, ciò che Lui prova per le folle, per la gente che incontra: quell’atteggiamento interiore di “compassione”, vedendo le folle, ne sentì compassione. Perché vede le persone “stanche e sfinite, come pecore senza pastore”. Abbiamo sentito tante volte queste parole che forse non entrano con forza. Ma sono forti! Un po’ come tante persone che voi incontrate oggi per le strade dei vostri quartieri… Poi l’orizzonte si allarga, e vediamo che queste città e questi villaggi sono non solo Roma e l’Italia, ma sono il mondo… e quelle folle sfinite sono popolazioni di tanti Paesi che stanno soffrendo situazioni ancora più difficili… Allora comprendiamo che noi non siamo qui per fare un bell’esercizio spirituale all’inizio della Quaresima, ma per ascoltare la voce dello Spirito che parla a tutta la Chiesa in questo nostro tempo, che è proprio il tempo della misericordia. Di questo sono sicuro. Non è solo la Quaresima; noi stiamo vivendo in tempo di misericordia, da trent’anni o più, fino adesso. 1. Nella Chiesa tutta è il tempo della misericordia. Questa è stata un’intuizione del beato Giovanni Paolo II. Lui ha avuto il “fiuto” che questo era il tempo della misericordia… Oggi dimentichiamo tutto troppo in fretta, anche il Magistero della Chiesa! In parte è inevitabile, ma i grandi contenuti, le grandi intuizioni e le consegne lasciate al Popolo di Dio non possiamo dimenticarle. E quella della divina misericordia è una di queste. E’ una consegna che lui ci ha dato, ma che viene dall’alto. Sta a noi, come ministri della Chiesa, tenere vivo questo messaggio soprattutto nella predicazione e nei gesti, nei segni, nelle scelte pastorali, ad esempio la scelta di restituire priorità al sacramento della Riconciliazione, e al tempo stesso alle opere di misericordia. Riconciliare, fare pace mediante il Sacramento, e anche con le parole, e con le opere di misericordia. 2. Che cosa significa misericordia per i preti? Mi viene in mente che alcuni di voi mi hanno telefonato, scritto una lettera, poi ho parlato al telefono… “Ma Padre, perché Lei ce l’ha con i preti?”. Perché dicevano che io bastono i preti!... Domandiamoci che cosa significa misericordia per un prete, permettetemi di dire per noi preti. Per noi, per tutti noi! I preti si commuovono davanti alle pecore, come Gesù, quando vedeva la gente stanca e sfinita come pecore senza pastore. Gesù ha le “viscere” di Dio, Isaia ne parla tanto: è pieno di tenerezza verso la gente, specialmente verso le persone escluse, cioè verso i peccatori, verso i malati di cui nessuno si prende cura… Così a immagine del Buon Pastore, il prete è uomo di misericordia e di compassione, vicino alla sua gente e servitore di tutti. Questo è un criterio pastorale che vorrei sottolineare tanto: la vicinanza. La prossimità e il servizio, ma la prossimità, la vicinanza!… Chiunque si trovi ferito nella propria vita, in qualsiasi modo, può trovare in lui attenzione e ascolto… In particolare il prete dimostra viscere di misericordia nell’amministrare il sacramento della Riconciliazione; lo dimostra in tutto il suo atteggiamento, nel modo di accogliere, di ascoltare, di consigliare, di assolvere… Ma questo deriva da come lui stesso vive il sacramento in prima persona, da come si lascia abbracciare da Dio Padre nella Confessione, e rimane dentro questo abbraccio… Il prete è chiamato a imparare questo, ad avere un cuore che si commuove. I preti - mi permetto la parola - “asettici” quelli “di laboratorio”, tutto pulito, tutto bello, non aiutano la Chiesa. La Chiesa oggi possiamo pensarla come un “ospedale da campo”. Questo scusatemi lo ripeto, perché lo vedo così, lo sento così: un “ospedale da campo”. C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante ferite! C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa... Gente ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite. Quando uno è ferito, ha bisogno subito di questo, non delle analisi, come i valori del colesterolo, della glicemia… Ma c’è la ferita, cura la ferita, e poi vediamo le analisi. Poi si faranno le cure specialistiche, ma prima si devono curare le ferite aperte. Per me questo, in questo momento, è più importante. E ci sono anche ferite nascoste, perché c’è gente che si allontana per non far vedere le ferite… E si allontanano forse un po’ con la faccia storta, contro la Chiesa, ma nel fondo, dentro c’è la ferita… Vogliono una carezza! E voi, cari confratelli - vi domando - conoscete le ferite dei vostri parrocchiani? Le intuite? Siete vicini a loro? E’ la sola domanda… 3. Misericordia significa né manica larga né rigidità. Ritorniamo al sacramento della Riconciliazione. Capita spesso, a noi preti, di sentire l’esperienza dei nostri fedeli che ci raccontano di aver incontrato nella Confessione un sacerdote molto “stretto”, oppure molto “largo”, rigorista o lassista. E questo non va bene. Che tra i confessori ci siano differenze di stile è normale, ma queste differenze non possono riguardare la sostanza, cioè la sana dottrina morale e la misericordia. Né il lassista né il rigorista rende testimonianza a Gesù Cristo, perché né l’uno né l’altro si fa carico della persona che incontra. Il rigorista si lava le mani: infatti la inchioda alla legge intesa in modo freddo e rigido; il lassista invece si lava le mani:solo apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio il problema di quella coscienza, minimizzando il peccato. La vera misericordia si fa carico della persona, la ascolta attentamente, si accosta con rispetto e con verità alla sua situazione, e la accompagna nel cammino della riconciliazione. E questo è faticoso, sì, certamente. Il sacerdote veramente misericordioso si comporta come il Buon Samaritano… ma perché lo fa? Perché il suo cuore è capace di compassione, è il cuore di Cristo!... Per spiegarmi faccio anche a voi alcune domande che mi aiutano quando un sacerdote viene da me. Mi aiutano anche quando sono solo davanti al Signore! Dimmi: Tu piangi? O abbiamo perso le lacrime? Ricordo che nei Messali antichi, quelli di un altro tempo, c’è una preghiera bellissima per chiedere il dono delle lacrime. Incominciava così, la preghiera: “Signore, Tu che hai dato a Mosè il mandato di colpire la pietra perché venisse l’acqua, colpisci la pietra del mio cuore perché le lacrime…”: era così, più o meno, la preghiera. Era bellissima. Ma, quanti di noi piangiamo davanti alla sofferenza di un bambino, davanti alla distruzione di una famiglia, davanti a tanta gente che non trova il cammino?… Il pianto del prete… Tu piangi? O in questo presbiterio abbiamo perso le lacrime? Piangi per il tuo popolo? Dimmi, tu fai la preghiera di intercessione davanti al Tabernacolo? Tu lotti con il Signore per il tuo popolo, come Abramo ha lottato: “E se fossero meno? E se fossero 25? E se fossero 20?...” (cfr Gen 18,22-33). Quella preghiera coraggiosa di intercessione… Un’altra domanda che faccio: la sera, come concludi la tua giornata? Con il Signore o con la televisione? Com’è il tuo rapporto con quelli che aiutano ad essere più misericordiosi? Cioè, com’è il tuo rapporto con i bambini, con gli anziani, con i malati? Sai accarezzarli, o ti vergogni di accarezzare un anziano? Non avere vergogna della carne del tuo fratello (cfr Reflexiones en esperanza, I cap.). Alla fine, saremo giudicati su come avremo saputo avvicinarci ad “ogni carne” – questo è Isaia. Non vergognarti della carne di tuo fratello. “Farci prossimo”: la prossimità, la vicinanza, farci prossimo alla carne del fratello. Il sacerdote e il levita che passarono prima del buon samaritano non seppero avvicinarsi a quella persona malmenata dai banditi. Il loro cuore era chiuso. Forse il prete ha guardato l’orologio e ha detto: “Devo andare alla Messa, non posso arrivare in ritardo alla Messa”, e se n’è andato. Giustificazioni! Quante volte prendiamo giustificazioni, per girare intorno al problema, alla persona. L’altro, il levita, o il dottore della legge, l’avvocato, disse: “No, non posso perché se io faccio questo domani dovrò andare come testimone, perderò tempo…”. Le scuse!… Avevano il cuore chiuso. Ma il cuore chiuso si giustifica sempre per quello che non fa. Invece quel samaritano apre il suo cuore, si lascia commuovere nelle viscere, e questo movimento interiore si traduce in azione pratica, in un intervento concreto ed efficace per aiutare quella persona. Alla fine dei tempi, sarà ammesso a contemplare la carne glorificata di Cristo solo chi non avrà avuto vergogna della carne del suo fratello ferito ed escluso. Io vi confesso, a me fa bene, alcune volte, leggere l’elenco sul quale sarò giudicato, mi fa bene: è in Matteo 25. Queste sono le cose che mi sono venute in mente, per condividerle con voi. Sono un po’ alla buona, come sono venute… Se pensate, voi sicuramente ne avete conosciuti tanti, tanti, perché i preti dell’Italia sono bravi! Sono bravi. Io credo che se l’Italia ancora è tanto forte, non è tanto per noi Vescovi, ma per i parroci, per i preti! E’ vero, questo è vero! Non è un po’ d’incenso per confortarvi, lo sento così. La misericordia. Pensate a tanti preti che sono in cielo e chiedete questa grazia! Che vi diano quella misericordia che hanno avuto con i loro fedeli. E questo fa bene. Grazie tante dell’ascolto e di essere venuti qui. --------------------------------- ‘LA CONTROVERSIA TRINITARIA DEL IV SECOLO NELL’ESEGESI DOTTRINALE DI ANFILOCHIO DI ICONIO’ Tesi di dottorato di Padre Angelo Segneri Lo scorso 11 dicembre P. Angelo Segneri ha conseguito il dottorato in Teologia e Scienze Patristiche, presso l’Istituto Patristico ‘Augustinianum’ in Roma, difendendo una tesi dal titolo ‘La controversia trinitaria del IV secolo nell’esegesi dottrinale di Anfilochio di Iconio’, sotto la direzione dei Proff. Manlio Simonetti e Sever Voicu. Il P. Generale, alcuni confratelli e i familiari di P. Angelo hanno partecipato all’atto accademico, di cui ragguagliamo i nostri lettori mediante una breve sintesi della presentazione della tesi PRESENTAZIONE DELLA RICERCA 1. Oggetto della tesi Fin dall’inizio del percorso di studi patristici, il nostro interesse è stato catturato dalla controversia trinitaria del IV secolo, alla quale abbiamo dedicato il lavoro di licenza in teologia, nel 2009, sul Tomus ad Antiochenos di Atanasio. La provenienza alessandrina di questo documento, datato al 362, non deve però trarre in inganno sui limiti geografici di diffusione della questione esplosa in concomitanza con le ardite affermazioni teologiche del presbitero Ario. Infatti, dopo un avvio tutto sommato locale ad Alessandria, la querelle divenne di pubblico dominio già prima del concilio di Nicea e ben presto travalicò i confini geografici dell’Egitto, estendendosi gradualmente all’intero mondo cristiano, prima in Oriente e quindi in Occidente, durante tutto il IV secolo. Un territorio imperiale forse un po’ periferico, quale era quello delle diocesi civili del Ponto e dell’Asia, in particolare le provincie di Cappadocia (I e II), Licaonia e Pisidia, non rimase tuttavia ai margini della controversia trinitaria, anzi alcuni vescovi e teologi di tale ambiente assunsero un ruolo decisivo negli sviluppi del dogma cristiano. Ci riferiamo soprattutto ai cosiddetti tre grandi Cappadoci, attivi nella seconda metà del IV secolo, Basilio Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa, la cui produzione teologica è stata diffusamente studiata nel corso della storia della Chiesa. Accanto a loro, ci siamo quasi fortuitamente imbattuti nella figura molto meno conosciuta di Anfilochio, il quale, di provenienza cappadoce – era cugino del Nazianzeno –, resse la Chiesa di Iconio come metropolita della Licaonia grossomodo dal 373 alla fine del secolo. Egli, strettamente legato a Basilio, godette di indubbia rinomanza presso i contemporanei. Basti accennare alle testimonianze di Girolamo, Basilio, Gregorio di Nazianzo, Teodoreto, i quali elogiano l’erudizione profana e la perizia biblica del vescovo di Iconio, qualificandolo prezioso fra tutti, piissimo, gloriosissimo, meraviglioso, il migliore di tutti. Su questa stessa linea – oseremmo dire piuttosto apologetica –, il kontakion bizantino per la festa di S. Anfilochio così si esprime: «O divino tuono, tromba dello Spirito,/ padre per i fedeli e scure per i nemici,/ o sommo sacerdote Anfilochio,/ della Trinità grande ministro,/ con gli angeli trovandoti per sempre,/ di intercedere per tutti noi non cessare» (PG 39, 33 C). Tuttavia, la sorte non è stata benevola nei confronti del vescovo di Iconio, il quale, anche a motivo delle ingenti perdite occorse alla sua produzione letteraria, è progressivamente caduto nell’oblio da parte degli studiosi della cristianistica antica. Nel momento in cui iniziavamo la nostra ricerca dottorale, infatti, erano già trascorsi più di cento anni dalla monografia dello storico della Chiesa e filologo tedesco Karl Holl, datata al 1904, uno dei pochissimi studi scientifici del XX secolo dedicati espressamente ad Anfilochio. Il titolo emblematico di questo studio – Anfilochio di Iconio nella sua relazione con i grandi Cappadoci – ci ha suggerito la necessità, per poter inquadrare in modo adeguato la riflessione anfilochiana all’interno della controversia ariana, di instaurare un confronto in primo luogo con le opere di Basilio e dei due Gregori. Inoltre, il reticolo delle citazioni scritturistiche di cui sono gremiti gli scritti anfilochiani e che si richiamano a vicenda nel passaggio da un autore all’altro, ha fatto sì che la nostra tesi finisse per configurarsi come una vera e propria storia della controversia trinitaria del IV secolo, considerata nella sua dimensione esegetica. 2. Struttura della tesi Il lavoro è suddiviso in tre parti, precedute da un capitolo introduttivo e seguite dalla conclusione generale, da due appendici e dalla bibliografia. L’Introduzione si sofferma inizialmente nella descrizione delle vicende biografiche di Anfilochio, soprattutto sulla base delle fonti antiche, in particolar modo della corrispondenza epistolare intrattenuta dal nostro autore con il cugino Gregorio Nazianzeno e con l’amico e maestro Basilio. Nell’Introduzione tentiamo anche di giustificare il principio ispiratore della tesi, ossia la sostanziale equivalenza esistente, nel mondo cristiano antico e soprattutto nel IV secolo, tra storia del dogma e storia dell’esegesi. La controversia trinitaria nella Chiesa antica, infatti, fu combattuta – per così dire – a colpi di esegesi dottrinale: gli esponenti dei diversi partiti addussero a sostegno della propria impostazione un corredo di passi scritturistici, interpretandoli in modo spesso decontestualizzato e strumentale. La I parte del nostro lavoro, pertanto, cerca di delineare la relazione tra Padre e Figlio, così come si evince in special modo da alcune omelie anfilochiane, dedicate al commento dei seguenti passi: Mt 26,39 (‘Padre se possibile passi da me questo calice’); Gv 5,19 (‘Il Figlio non può far nulla da se stesso, se non ciò che vede il Padre fare’); Gv 10,30 (‘Io e il Padre siamo una cosa sola’) e Gv 14,28 (‘Il Padre è più grande di me’); Mc 13,32 (‘Quanto a quel giorno o a quell’ora nessuno li conosce, nemmeno il Figlio, se non il Padre’). Nonostante alcuni di questi versetti contenessero espressioni dal tenore potenzialmente subordinazionista, l’esegesi proposta dagli scrittori antiariani mirava a difendere la pari dignità divina del Figlio accanto al Padre. La II parte della tesi è dedicata in modo più specifico alla cristologia, presentando il difisismo anfilochiano, caratterizzato dalla dialettica tra Cristo qua deus e qua homo, anche a partire dall’esegesi di alcuni passi biblici commentati en passant nelle omelie del vescovo cappadoce. Nell’esegesi dottrinale il nostro autore tenta di eliminare qualsiasi ombra di debolezza dalla divinità del Figlio, la quale è caratterizzata, invece, da un’assoluta immutabilità e impassibilità. Mentre gli ariani avevano attribuito le passioni al Logos, per inficiarne la parità di natura divina rispetto al Padre, il vescovo di Iconio tende piuttosto a dividere parole e gesti elevati, espressione della potenza divina del Figlio, rispetto a quelli umili, tipici della natura umana assunta. Emerge da ciò una presentazione quasi simmetrica di Cristo, nella quale a ogni caratteristica della divinità ne corrisponde una per l’umanità, in linea con la terminologia cristologica in seguito consacrata dal concilio di Calcedonia. Molto più sintetica la III parte del nostro lavoro, la sezione pneumatologica, dal momento che il numero estremamente esiguo di passi anfilochiani autentici nei quali si fa menzione dello Spirito santo non permette di ricostruire in modo organico la riflessione del vescovo di Iconio sulla terza persona della Trinità. La perdita pressoché totale del trattato sullo Spirito santo si rivela una lacuna insanabile, e gli altri testi oggi conservati non lasciano trasparire l’esistenza di un preciso interesse pneumatologico da parte del nostro autore. 3. Conclusioni Indirizzandogli all’incirca nel 373-374 l’ep. 161, Basilio esortava il neoeletto vescovo di Iconio a governare con prudenza la nave della Chiesa. Quanto bene Anfilochio abbia corrisposto a tali aspettative in materia di politica ecclesiale, ce lo dimostra, tra le altre cose, il fatto che egli, dopo il concilio di Costantinopoli del 381, fu costituito dagli imperatori come garante dell’ortodossia per la diocesi di Asia. Tuttavia, a fronte di una indubbia abilità pastorale, il vescovo cappadoce non si distingue altrettanto per l’originalità nella riflessione teologica, giuntaci del resto attraverso un materiale spesso frammentario e non sempre soddisfacente per ricostruirla con esattezza. I numerosi paralleli con gli altri autori riscontrati qua e là nel corso della ricerca, hanno permesso di chiarire e documentare maggiormente il tipo di influsso esercitato su Anfilochio da parte degli scrittori antiariani suoi contemporanei, evidenziando la dipendenza del vescovo di Iconio da Basilio e, in secondo luogo, dal Nazianzeno e, in misura minore, dal Nisseno. In sintesi, per quanto riguarda Anfilochio, un’attenta e critica esplorazione delle fonti ci ha permesso di fondare su più solide certezze l’opinio communis sull’esistenza di un influsso di Basilio e dei Cappadoci nei confronti del nostro autore. A tal proposito, è ancora sostanzialmente condivisibile il giudizio conclusivo di Holl sulla persona del vescovo di Iconio: «Anfilochio non è stato un pioniere su nessun punto. Ma sia nelle questioni pratiche sia in quelle teoriche era in possesso di un istinto sicuro per la via media ecclesiale e di un’energia per andare avanti con coraggio fino alla fine. Perciò in un periodo in cui la Chiesa cercava la giusta posizione tra due opposti, egli fu riconosciuto come uno dei validi leader.» (K. HOLL, p. 263 – nostra traduzione –). Relativamente all’altro punto focale della ricerca, ossia all’attenzione più generale nei confronti della storia del dogma, le numerose analisi comparative da noi svolte hanno dimostrato l’indubbia fecondità di un metodo mirante a delineare l’evoluzione del pensiero teologico cristiano seguendo diacronicamente l’andamento dell’esegesi scritturistica di argomento dottrinale. REGINA PACIS INCONTRA PAPA FRANCESCO Venerdì 21 febbraio 2014 La Messa con il Papa: Luca ci racconta... “Trasformare le parole in opere”. Raccontare l'incontro con Papa Francesco,trovare le parole giuste per descrivere l'emozione di poter partecipare ad una celebrazione eucaristica da lui presieduta e la forza delle sue parole, non è affatto semplice, così come è spesso difficile raccontare tutte quelle esperienze che davvero riescono a toccarti il cuore. La nostra parrocchia, una sorta di delegazione in rappresentanza di varie realtà che compongono la nostra comunità, il 21 febbraio ha avuto la possibilità di prendere parte alla messa nella chiesa di Santa Marta presieduta dal Santo Padre. Le parole. Proprio da qui, dalle parole dell'apostolo Giacomo, inizia l'omelia di Francesco. Oggi ci si trova in un mondo in cui tanti si dicono cristiani, conoscono a memoria il Credo ma poi non lo fanno loro, non vivono secondo la loro fede. Così facendo queste restano, appunto, solo parole. “La fede che non da frutto nella vita, la fede che non si trasforma in opere, non è fede. Potete conoscere tutti i comandamenti, tutte le profezie, tutte le verità di fede, ma se questo non va alla pratica, non va alle opere, non serve. Possiamo recitare il Credo teoricamente, anche senza fede, e ci sono tante persone che lo fanno così. Anche i demoni! I demoni conoscono benissimo quello che si dice nel Credo e sanno che è Verità”. Le parole, appunto. Quelle che servirebbero per descrivere l'incontro con Gesù vissuto accanto al Santo Padre. Ma si può descrivere questo? Forse no. Perché l'unico modo di darne testimonianza è, appunto, vivere la fede e portare la Parola nel mondo, senza paura, con coraggio, con serenità. Trasformiamo le nostre parole in opere e diamo testimonianza di Cristo. “La fede – ha concluso il Pontefice - porta sempre alla testimonianza. La fede è un incontro con Gesù Cristo, con Dio, e di lì nasce e ti porta alla testimonianza. E’ questo che l’Apostolo vuole dire: una fede senza opere, una fede che non ti coinvolga, che non ti porti alla testimonianza, non è fede. Sono parole e niente più che parole”. Noi una parola la scegliamo. Una semplice parola, prima di rimetterci in cammino. Grazie Papa Francesco. ALCUNI PARROCCHIANI DI SAN GIULIO A SANTA MARTA CON IL PAPA FRANCESCO Il nostro Papa Francesco ha dato ad alcuni parrocchiani delle Parrocchie romane la possibilità di partecipare alla Santa Messa mattutina celebrata da Lui a Santa Marta in Vaticano; questa bellissima iniziativa andrà avanti per tre mesi in alcuni giorni della settimana. Anche la nostra Parrocchia di San Giulio, grazie all'iniziativa del nostro Parroco Padre Dario, ha avuto questa grande opportunità. Venticinque persone tra tutti i parrocchiani sono state scelte da Padre Dario per formare il gruppo che sarebbe andato da Papa Francesco e io sono stata una di loro. Ci siamo ritrovati tutti il giorno 25 febbraio 2014 alle ore 6.00 del mattino all'ingresso del Vaticano pieni di trepidazione ed emozione, già lì con uno spirito nuovo di unità e umiltà, consci che da lì a poco avremmo avuto un grande privilegio... quello di vedere ed ascoltare da vicino, a tu per tu, il successore di Pietro, colui che con la grandezza degli umili ha voluto per sé il nome Francesco, il grande Santo, esempio di povertà e mitezza. Pochi minuti prima delle 7.00 ci hanno concesso di entrare e abbiamo preso posto nella Cappella di Santa Marta. Questa è una Cappella piccola, raccolta, moderna, luminosa, non sontuosa ma semplice, specchio di quella semplicità che il Papa ha iniziato a proclamare e vivere fin dai primi giorni del Suo Papato. Finalmente Papa Francesco entra e si dirige all'altare... è difficile esprimere le emozioni che si susseguono nel cuore, è lì a pochi passi e quello che mi colpisce di più è la sua profonda semplicità, è colui che è umile tra gli umili, povero tra i poveri. Quasi bisogna ripetersi che lui è davvero Lui, il Papa. Sembra, anzi è un Sacerdote come tanti, non c'è ostentazione, segni di onorificenze, ricchezze o potere. Lui è il Papa perchè è stato scelto dallo Spirito Santo per essere il Rappresentante di Dio in terra, Lui rappesenta un Dio che si è fatto carne, uomo, uomo crocifisso dagli uomini e poi risorto per noi. Aspettiamo con ansia la sua omelia per farne tesoro nella nostra vita personale e comunitaria e Lui ripete più volte una frase della Prima Lettura di San Giacomo apostolo: ”Fratelli miei, da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle passioni?” Il Papa Francesco parla con voce accorata ma ferma e sottolinea che oggi non ci sono grandi guerre come nel passato, ma continuano ad esserci tante piccole guerre quotidianamente nel mondo: forse ci siamo abituati al numero di persone, fratelli che muoiono vittime dell'odio ogni giorno in molte parti del mondo? Questo è il suo velato rimprovero! Invece non dobbiamo essere indifferenti, dobbiamo essere segno di pace e portatori di pace. E poi cita ancora più da vicino le incomprensioni in famiglia che spesso facciamo fatica ad appianare, risolvere e perdonare. Ma riflettiamo noi stessi, anche nella famiglia che è la nostra parrocchia, non ci sono forse tra noi incomprensioni, liti, gelosie, invidie mentre dovremmo essere i testimoni per gli altri dell'Amore di Dio, amore che accoglie, comprende, perdona? La celebrazione della Santa Messa continua nel raccoglimento e nella preghiera; arriva il momento dell'Eucarestia, e tutti ci accostiamo alla Mensa e ci cibiamo del Corpo di Gesù. Nel momento della Comunione preghiamo ciascuno nel proprio cuore per tutte le persone che ci sono care e che conosciamo, portiamo le sofferenze e le difficoltà di tutti i nostri fratelli della nostra Parrocchia. Siamo consci ora che abbiamo uno grande responsabilità verso tutti i nostri fratelli parrocchiani: siamo stati scelti come testimoni di un incontro speciale e personale con il Papa e dobbiamo e vogliamo trasmettere con le parole e con la nostra vita i benefici di questo incontro. Papa Francesco ancora dà testimonianza di raccoglimento e preghiera al momento del ringraziamento, dove nel silenzio più profondo lo vediamo seduto di lato all'altare quasi ripiegato su di sé, come a sentire il peso del suo mandato, così grande e arduo, e il peso del mondo intero, con i suoi tanti problemi. Viene spontaneo pregare anche per Lui, perchè lo Spirito Santo lo guidi ogni giorno nel suo cammino, lo sostenga e lo illumini. Dopo la Santa Messa lo vediamo improvvisamente sedersi di fianco a noi nuovamente in preghiera: capiamo che è la preghiera a scandire i momenti della sua giornata. Al termine ci aspetta in una sala vicino alla Cappella dove Lui, con Padre Dario al suo fianco, ci accoglie uno per uno. Ciascuno di noi è emozionatissimo nell'attesa e ognuno si accosta a Lui portando sé stesso, la sua famiglia, i suoi problemi: chi li racconta brevemente, chi ha portato una foto dei suoi figli che lui benedice spontaneamente, chi porta un Suo ritratto, il dono della Parrocchia di San Giulio. Forse ciò che è stato più gradito pensiamo sia stato un libro realizzato dalla Parrocchia contenente i disegni dei nostri bambini, colorati, ingenui ma deliziosi, intercalati da frasi dei nostri parrocchiani contenenti invocazioni, ringraziamenti, preghiere rivolti al Papa e a Dio. La mattina con Papa Francesco si conclude così con una gioia profonda nel cuore, ancora increduli di averlo potuto conoscere personalmente, felici di aver partecipato alla Sua celebrazione della S. Messa in Santa Marta; non rimarrà solo un ricordo nel cuore ma ci adopereremo affinchè diventi un seme che giorno per giorno porterà nel nostro cuore frutti di fraternità e amore verso i nostri fratelli. SALUTI DALLA TERRA SANTA E’ un dono grande quello di poter vivere un pellegrinaggio in Terra Santa (dal 19 al 26 marzo), una terra che parla di Dio e lo fa con una molteplicità di forme, rumori, riti, religioni che troppe volte si sono scontrate tra loro (e che oggi sembrano aver trovato una forma di precaria convivenza). Una terra antica e affascinante che a noi parla di Gesù che qui è nato, vissuto, morto e risorto. Il dubbio è che, come tanti libri e persone e luoghi sacri, ci parli di Gesù, ma con difficoltà Gesù riesca ancora a farsi sentire in queste terre. Si è distratti da tante cose (posti suggestivi, ma anche cibi, alberghi di lusso…), spinti a fare vacanza più che pellegrinaggio. Eppure, nonostante le difficoltà (comprese anche quelle fisiche di dover camminare a lungo per vedere in pochi giorni più cose possibili), rimane nel cuore la preghiera condivisa con tutto il gruppo di parrocchiani (li vedete in fondo a questa pagina e nelle foto successive), 46 persone, quasi tutte di età avanzata. Quello che segue è un resoconto sintetico, in foto e parole, dei luoghi in cui ha vissuto Gesù, seguendo la cronologia dei suoi eventi e non il percorso fatto. Il pellegrinaggio ha inizio sul Monte del Carmelo, nei pressi di Tel Aviv (ex capitale dove si è giunti in aereo, per poi prendere il fedele pullman che ci ha scorrazzati per l’intero stato di Israele. Sul monte Carmelo (qui nascono i carmelitani) il profeta Elia ha scoperto la presenza di Dio e ha sconfitto gli idoli stranieri. Ma l’itinerario che seguiamo è quello di Gesù e ci porta innanzitutto a: 1. NAZARET: l’annunciazione Siamo nel nord del paese, in Galilea, una zona molto fertile. Il villaggio di Nazaret è oggi una cittadina di circa 30.000 abitanti, a maggioranza musulmana. Qui abitavano Maria e Giuseppe. Qui si fidanzano e Maria riceve l’annuncio dell’angelo. Ma dove? Secondo la tradizione ciò avviene nel pozzo pubblico, secondo i Cattolici in quella che oggi è la bella Chiesa dell’Annunciazione, diversa dalla Chiesa Ortodossa che è situata in altro luogo nonostante ricordi lo stesso avvenimento. 2. AIN KAREN: la visitazione (il Benedictus e il Magnificat). Oggi è un sobborgo di Gerusalemme il villaggio in cui, secondo la tradizione, vivono Zaccaria ed Elisabetta, la cugina di Maria. Qui avviene l’incontro tra due donne visitate da Dio, protagoniste del suo progetto. 3. BETLEMME: la nascita Betlemme è a pochi kilometri da Gerusalemme, in territorio palestinese (circondato dal terribile muro divisorio che è lungo più di 300 Km). Nel luogo dove nacque Gesù sorge oggi l’affascinante Basilica della Natività (celebre anche per la porticina d’ingresso che ti obbliga ad inchinarti per poter entrare). A pochi km da qui c’è anche il campo dei pastori, i primi ad accorrere nel rendere omaggio al bambino. 4. FIUME GIORDANO: il battesimo In una zona desertica (siamo poco lontano dal mar morto, tappa obbligata anche per un bagno fuori stagione) troviamo il luogo che ricorda il battesimo di Gesù. Il fiume segna oggi anche il confine che separa Israele e la Giordania. 5. DESERTO: le tentazioni A pochi km di distanza, nei pressi della città di Gerico (quella di Zaccho), troviamo il santuario delle tentazioni. 6. CANA: il primo miracolo Secondo Giovanni a Cana, nel contesto di un matrimonio, avvenne il primo miracolo di Gesù (che cambiò l’acqua in vino). Siamo di nuovo al nord, in Galilea, nei pressi di Nazaret, e qui, secondo tradizione, anche le nostre coppie di sposi hanno rinnovato la loro unione. 7. LAGO DI TIBERIADE: la chiamata degli apostoli, le beatitudini, il primato di Pietro (e tanto altro) Si rimane nel verdissimo nord e, attorno al lago di Tiberiade ritroviamo tantissimi luoghi legati a Gesù. Li abbiamo rievocati in battello, in mezzo al lago, nelle colline dove si ricorda il discorso delle beatitudini, a Cafarnao, la città di Pietro... 8. GERUSALEMME: la città Santa, luogo del: · Padre Nostro · Cenacolo · Getsemani · Via Crucis · Crocifissione e morte (Sepolcro) · Resurrezione · Ascensione · Assunzione di Maria Gerusalemme, città chiamata alla pace, teatro di continue violenze, è una città stupenda, antichissima, ricchissima (a livello archeologico, storico, religioso…). Qui riviviamo le ultime, determinanti vicende umane legate a Gesù. Ne faremo memoria in questi giorni che ci preparano alla Pasqua imminente: il Cenacolo, luogo dell’ultima cena (ma anche piano che sovrasta la tomba di Davide, particolarmente cara agli ebrei), il Getsemani, nel monte degli ulivi, le vie della Passione di Gesù (oggi luogo di mercato, nella zona musulmana della città—suddivisa in quartieri legati alle diverse religioni). La Basilica del S. Sepolcro (un luogo dal fascino unico) e infine i luoghi che ci parlano della Resurrezione e dell’Ascensione (ancora sul monte degli ulivi). I pellegrini ebrei, tenuti a visitare il Tempio (oggi ne rimane solo il celebre Muro del pianto) ogni anno, si salutavano augurandosi: “Il prossimo anno a Gerusalemme”. Noi auguriamo a tutti di poterci andare, ma soprattutto di seguire le orme del Signore che ci promette: “Io sono in mezzo a voi, fino alla fine dei tempi”. BUONA PASQUA, p. Stefano L. ---------------------------------------------- NOTIZIE DAL PERU’ Una nuova responsabilitá per i confratelli dal Perú: la nuova Parrocchia de Pueblo Nuevo de Colán Doménica 2 marzo nostro confratello P.Luis Enrique Serra ha fatto il suo ingreso come párroco alla nuova parrocchia affidata dal vescovo ai CRIC nel Perú. La chiesa parrocchiale Sacro cuore di Gesú de Pueblo Nuevo de Colán, cittá semplice de contadini nella sua maggioranza, contadina nel valle del Chira nella provicia di Paita, con una popolazione di 12 milla abitanti. Per questo evento il vescovo di Piura Mons. José Antonio Eguren Anselmi, viene a consegnare la parrocchia alla comunitá e presentare al nuovo parroco. La chiera era piena , con gli agenti pastorali e i rapresentanti dei consiglio pastorarale e ¡ grupi parrocchiali. P.Luis ha fatto la professione di fede, ha ricevuto le chiavi della chiesa e gli altri spazi significativi della chiesa parrocchiale come el confeionale, el battistero, la Parola di Dio e tutto per la celebrazione eucaristica. Una chiesa bella allo steso modo che la canonica. Chiesa consacrata al Sacro cuore di Gesú, dal 24 giugno de 1911. Hanno celebrato poco fa i centi anni della chiesa. Bella per le sue pinture nei murali nel interno del tempio. Cittá conociuta sopratutto per la famosa spiaggia: Colán. Pure é una zona di grande turismo, visitata da tanti turisti, enche per la chiesa che si trova in Colán che é la piu antica dal Perú, fatta nell’epoca de la Colonia espagnola nel 1536. La Chieas San Luca di Colán. Confidiamo alla Madonna inmacolata il lavoro pastorale de nostro confratello che con slancio intraprende questa missione dalla mano dei laici e le suore figlie di Santa Ana, per aiutare a questo popolo affamato dalla Paroda di Dio. P.Juan Atarama PERU: PROFESSIONE SOLENNE DI FR.VICTOR CRUZ Domenica sedici marzo, nella Capella Santissima Croce del piccolo vilaggio Miraflores de Piura, ha fatto professione solenne il nostro confratello Victor Cruz. In questo piccolo, semplice e povero luogo dove Victor fa il suo servizio pastorale, con i gruppi di famiglie, ha vissuto questa esperienza nuova mai vista per loro. Quella domenica si é riunita per presienziare questo atto alla messa della mattina. Una messa speciale dove erano presenti tutti i sacerdoti della Comunitá peruviana, tanti amici venuti dalla parrocchia di Zarumilla dove abbiamo laborato fino all’anno scorso, amici della parrocchia di Tamarindo, familiari di Paita, il paese di Victor, tanti amici e sopratutto i suoi genitori. La volontá di conzacrare la sua vita per sempre al Sigore, facendo i voti di povertá, castitá e ubbidienza, nella Comunitá dei Canonici Regolari dell’Inmacolata Concezione é´stato un atto bello e di molta gioia ed speranza per la Comunitá peruviana e per tutta la Congregazione, che ha espresso la sua vicinanza tratime la preghiera e pure alcuni e-mail di saluto e auguri. Che la Madonna Inmacolta accompagni il nostro confratlello nel suo cammino di Consacrazione religiosa e formazione. NOSTRO RITIRO SPIRITUALE: Peru La Comunitá peruviana, la seconda settimana di marzo ha avuto i suoi esserci spituali, accompagani nelle rifflessioni dal Vescono di Chulucanas, Mons.Daniel Thurley. E stato un’ocassione per riffletere insieme, pregare, dialogare e condividere per prendere forze e riprendere con piú slancio questo nuovo anno pastorale. Per noi a fine marzo comincia le attivitá annuali e la scuola. Eravamo tutti i 6 sacerdoti, il diácono, un professo e i postulanti. Il Signore ci acconpagni in questo camminare per vivere ed essere testimoni di questa gioia evanglica con la nostra vocazione religiosa e sacerdotale. 50° DI SACERDOZIO DI PADRE LORENZO ROSSI “Misericordias Domini in aeternum cantabo.” Canterò in eterno le misericordie del Signore. Con queste parole tratte dal salmo 88, Padre Lorenzo Rossi invitava parenti, confratelli, parrocchiani e amici tutti a cantare con lui il Signore che gli ha donato 50 anni di sacerdozio ministeriale a servizio di Dio e dei fratelli nella Chiesa. Raggiungere il traguardo del 50° anniversario di sacerdozio è motivo di gioia e rendimento di grazie non solo della persona interessata ma dell’intera comunità ecclesiale nella quale P. Lorenzo ha vissuto: la famiglia, i Canonici Regolari, la Diocesi di Roma e soprattutto in quella comunità che ha visto crescere sin dal suo inizio e accompagnato per ben 37 anni della sua vita e più della metà del suo servizio pastorale. Da questi motivi di ringraziamento è nato, nella Comunità Parrocchiale Natività di Maria, un comitato per programmare le celebrazioni in ricordo dell’Ordinazione Presbiterale e della prima messa avvenuti rispettivamente il 18 e 19 marzo 1964 nella chiesa parrocchiale di Mairano, in provincia di Brescia, paese natio del festeggiato. Come primo gesto si è voluto andare alla ricerca delle tappe fondamentali nel cammino di P. Lorenzo, producendo un opuscolo contenente delle fotografie, commentate da didascalie, per aiutarci ad entrare in una storia personale non slegata dal mondo ma inserita in un determinato contesto, luogo e relazioni. Insieme a questo gesto simbolico il comitato ha organizzato tre momenti celebrativi: 1. Mercoledì 19 marzo, Solennità di San Giuseppe, alle ore 17 presso la Parrocchia Natività di Maria, P. Lorenzo ha celebrato la santa messa con la presenza degli alunni e docenti dell’Istituto “Figlie di San Giuseppe”, che hanno curato la celebrazione con i canti, le preghiere insieme ai bambini del catechismo parrocchiale con catechisti e genitori. È stato un momento intenso di preghiera grazie anche alla commovente lettera dell’Istituto, letta alla fine della celebrazione eucaristica. 2. Venerdì 21 marzo, alle ore 21, presso la chiesa di Natività di Maria si è svolta la veglia di preghiera Il Bel Pastore. La preghiera suddivisa in tre momenti ha voluto, in un primo momento, far riflettere che la vocazione primaria dell’uomo è quella della santità e che è iscritta in noi sin dal battesimo per passare poi a meditare sulla vocazione particolare dell’ordine sacro richiamando tre segni di questa chiamata (stola, crisma, pane e vino) per concludere dinnanzi a Gesù Eucarestia fonte di ogni santità. Ogni tappa aveva brani della Sacra Scrittura e del Magistero di Papa Benedetto e Papa Francesco per aiutare nella preghiera personale e comunitaria. 3. Sabato 22 marzo, centro del programma con la solenne celebrazione eucaristica alle ore 18.30 presso la Parrocchia Natività di Maria. Erano presenti: Mons. Paolo Selvadagi, Vescovo Ausiliare per la Diocesi di Roma, i confratelli CRIC presenti a Roma, il Superiore dei Missionari della Fede, il Superiore dell’Istituto Padre Monti, altri sacerdoti della Diocesi di Roma, i parenti venuti da Brescia, le Superiore degli Istituti Femminili presenti in parrocchia e la comunità parrocchiale che attraverso i bambini ha espresso sentimenti di grazie, di lode e di auguri presentando al Signore le loro preghiere e omaggiando p. Lorenzo con un mazzo di fiori. Nell’omelia, P. Lorenzo, ha sottolineato l’importanza del sacerdozio legato ad una comunità, quale centro e sorgente di una vera crescita umana e spirituale per qualsiasi componente. A conclusione della celebrazione eucaristica, molto sentita e partecipata, si è svolta la cena in clima di festa e di allegria nella quale è stato consegnato il dono della comunità: un viaggio in Francia sui passi di dom Adriano Gréa, fondatore dei Canonici Regolari Alla fine possiamo davvero cantare l’amore che Dio non fa mai mancare alla sua Chiesa. Aver festeggiato questo anniversario ha dato la possibilità di riflettere ulteriormente quanto sia più che mai opportuno il dono del sacerdozio ministeriale, quanto sia importante, per ognuno di noi, una comunità viva che si trovi insieme per lodare e ringraziare il Signore e che nonostante le fatiche si rimette sempre in cammino nella sua volontà. Ad multos annos Padre Lorenzo! E preghiamo perché il Signore mandi operai alla sua messe. Erasmo RETROCOPERTINA Maria Immacolata Protegga la nostra comunità