Ciclo di Specializzazione
VATICANO II, UN CONCILIO DELLA STORIA E NELLA STORIA
Anno Acc. 2011/2012
Il ressourcement patristico al Vaticano II
ANTONIO MONTANARI
Gli esempi e gli insegnamenti dei Padri, testimoni della
Tradizione, sono stati particolarmente valutati e valorizzati
nel Concilio Vaticano II, che proprio grazie ad essi ha
potuto prendere una coscienza più viva che ha la Chiesa di
se stessa e individuare la strada sicura particolarmente per
il rinnovamento liturgico, per un fruttuoso dialogo
ecumenico e per l'incontro con le religioni non cristiane,
facendo fruttificare nelle odierne circostanze l'antico
principio dell'unità nella diversità e del progresso nella
continuità della Tradizione1.
Introduzione
1.
Il ressourcement alla vigilia del Concilio
1.1. I movimenti di rinnovamento che percorrono il Novecento
1.2. La rinascita patristica del Novecento
1.3. Un nuovo slancio a partire dagli anni Quaranta
1.4. Il ressourcement e la Nouvelle théologie
2.
La presenza dei Padri nei documenti conciliari
2.1. Le citazioni dei Padri nella Sacrosanctum Concilium
2.1.1. Medicum carnalem et spiritualem
2.1.2. Ecclesiae mirabile sacramentum
2.2. Alcuni temi patristici nella Lumen gentium
2.2.1. Ecclesia de Trinitate
2.2.2. Ecclesia ab Abel
2.2.3. Typus Ecclesiae
2.3. Alcuni temi patristici nella Dei Verbum
2.3.1. Una concezione “sacramentale” della Scrittura
2.3.2. Il rispetto per le divine Scritture
Conclusioni
Affrontando un tema come quello riguardante la presenza delle fonti patristiche nel Vaticano
II, non si può evitare il problema dell’ermeneutica del concilio, sebbene non sia questo lo
scopo della nostra riflessione. Non si può cioè ignorare se il concilio ha voluto compiere
un’operazione di continuità o di rottura con il passato.
1
CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Istruzione Inspectis dierum, sullo studio dei Padri della
Chiesa (10 novembre 1989), «Acta Apostolicae Sedis» 82 (1990) 607-636.
1
Fin da una prima lettura dei documenti conciliari non possiamo non notare, nella loro
formulazione, l’abbondante ricorso alla testimonianza dei Padri della Chiesa, citati in una
misura che non ha riscontri nella storia dei concili moderni2. E questo fatto potrebbe far
pensare ad una sostanziale continuità con la Tradizione. La realtà, però, non è così semplice,
perché l’abbondante valorizzazione dei Padri come di altri elementi tradizionali
nell’elaborazione dei testi conciliari, da sola non è sufficiente a orientare l’interpretazione del
concilio in un senso piuttosto che in un altro. Paradossalmente, il costante riferimento ai Padri
non è immediatamente sinonimo di continuità con la tradizione.
Provo a elencare alcuni motivi che mi consentono di giustificare questa affermazione, al fine
di guardare poi più attentamente a questa realtà, che si presenta piuttosto complessa.
Nel suo studio sul Concilio, John O’ Malley ha notato che ogni volta che è accaduto un
fenomeno di ressourcement nella Chiesa ‒ e ciò è avvenuto in diverse occasioni, come ad
esempio la Riforma Gregoriana dell’XI secolo, l’Umanesimo, o la riforma liturgica operata in
Francia da dom Guéranger nella prima metà dell’Ottocento ‒ esso ha operato cambiamenti
non indifferenti3.
Mi soffermo qui su uno solo di questi esempi, la riforma liturgica ottocentesca, operata da
Prosper Guéranger. La situazione che egli si trovava ad affrontare è stata così illustrata:
La giovane generazione clericale [quella cioè della fine dell’Ottocento] non può neppure farsi
un’idea dell’anarchia liturgica alla quale Dom Guéranger ha sottratto il nostro paese [la
Francia]. Venti breviari e venti messali differenti erano in uso nelle nostre chiese e si
dividevano la Francia nel modo più capriccioso. Raramente due diocesi limitrofe avevano la
stessa liturgia, anzi, spesso se ne trovavano due o tre, e talvolta fino a cinque diverse liturgie
nella stessa diocesi4.
Grazie ai due volumi di Institutions liturgiques, pubblicati rispettivamente nel 1840 e 1841, in
un tempo cioè nel quale la liturgia appariva corrotta dai maldestri interventi gallicani e
giansenisti del XVIII secolo, dom Guéranger si proponeva di porvi rimedio, diffondendo
solidi argomenti in favore di una restaurazione della liturgia romana5. Nella sua prefazione,
Guéranger precisava di aver attinto per questo lavoro all’eccellente Bibliotheca ritualis del
gesuita Francesco Antonio Zaccaria del 1776-78, alla quale tuttavia ha aggiunto testi di oltre
ottanta autori dei primi sedici secoli. Tra questi si possono ricordare: Mario Vittorino,
Prudenzio, Paolino, Sedulio, Cassiano, Cesario di Arles, continuando poi con gli autori
medievali e rinascimentali, fino ad Erasmo6.
2
Diversi studiosi del concilio hanno sottolineato il numero considerevole di citazioni e di riferimenti
patristici presenti nei documenti conciliari. Effettivamente, la quantità di richiami alla tradizione è
impressionante: non solo i Padri della Chiesa, ma anche i concili ‒ in particolare il Fiorentino, il Tridentino e il
Vaticano I ‒ , le encicliche e i testi di grandi teologi come Tommaso d'Aquino.
3
J.W. O’MALLEY, Che cosa è successo nel Vaticano II. Continuità e riforma nella Tradizione della Chiesa,
«La Rivista del Clero Italiano» 3 (2010) 187-201: 193. Lo stesso autore ha dedicato uno studio al confronto fra
la posizione di Erasmo e dell’Umanesimo e quella dei padri conciliari al Vaticano II a proposito del
ressourcement: J.W.O’MALLEY, Erasmus and Vatican II. Interpreting the Council, in A. MELLONI - D. MENOZZI
- G. RUGGIERI - M. TOSCHI (ed.), Cristianesimo nella storia. Saggi in onore di G. Alberigo, Bologna 1996, 195211.
4
Così scriveva dom Alphonse Guépin nella Prefazione alla nuova edizione delle Institutions liturgiques del
1887, XXVI-XXVIII.
5
Lo studio della Storia ecclesiastica e dei Padri, che avevano educato Guéranger al gusto per l’antichità e al
senso del linguaggio della Chiesa primitiva, gli avevano anche consentito di riconoscere nel Messale romano gli
stessi accenti dei testi cristiani primevi.
6
Prefazione, XLII. Questo minuzioso lavoro, era estremamente importante agli occhi di Guéranger, perché
«ogni minima cerimonia ha un senso e una storia che occorre ricercare nella tradizione. Dalla Liturgia di san Pio
2
In realtà, questa pubblicazione, in particolare all’apparizione del secondo volume, diede
origine a vivaci e appassionate controversie all’interno della chiesa francese, in particolare da
parte di coloro che erano stati educati ed erano rimasti affezionati alle tradizioni gallicane.
Ho accennato a questa vicenda, forse non molto nota, perché è caratterizzata da una riscoperta
degli scritti dei Padri. E proprio da questo ressourcement ante litteram, operato da dom
Guéranger ‒ il quale individuava il suo centro nei Salmi, la Scrittura e i Padri ‒ è partita
l’iniziativa di una riforma liturgica, nel cui slancio può essere individuata l’origine di quel
movimento liturgico che ha condotto al Vaticano II7.
1. Il “ressourcement” alla vigilia del Concilio
Sebbene il termine «ressourcement» non compaia mai nei documenti conciliari, gli studiosi
sono concordi nel considerarlo un termine chiave del Vaticano II8. Effettivamente, nel
Vaticano II il «ritorno alle fonti» sembra aver trovato una sua inconsueta espressione, ma non
si deve dimenticare che questo processo ha profonde radici nei decenni che hanno preceduto e
preparato il «ressourcement» conciliare.
1.1. I movimenti di rinnovamento che percorrono i primi decenni del Novecento
La fine del XIX secolo e l’inizio del XX sono caratterizzati, dal punto di vista teologico, da
un movimento di ressourcement, un movimento cioè di «ritorno alle fonti» bibliche, liturgiche
e patristiche, nel cui alveo si colloca lo sforzo di rinnovare non solo la teologia, ma anche la
vita stessa della chiesa9.
V si deve risalire ai commentatori e ai monumenti liturgici del Medioevo per poter arrivare alle fonti gregoriane
e raggiungere i primi scritti dei Padri e la stessa Sacra Scrittura».
7
Sul Movimento liturgico si può vedere il volume scritto da uno dei protagonisti, H.E. BOTTE, Il movimento
liturgico, Effatà, Cantalupa (TO) 2010.
8
Yves Congar, in Vera e falsa riforma nella Chiesa, precisa che l’espressione ressourcement è stata desunta
da Peguy. «Nei Cahiers de la Quinzaine del 1° marzo 1904, vi era già l’idea ma non ancora la parola. Ma ne
L’Argent (suite, 9° quaderno della 14a serie, 22 aprile 1913, p. 226; Oeuvres complete, ed. N.R.F., xv, p. 218),
egli scriveva: "Rien n’est aussi anxieusement beau que le spectacle d’un peuple qui se relève d’un mouvement
intérieur, par un ressourcement de son antique orgueil, par un rejaillissement des instincts de sa race". Per Péguy
si trattava di una risalita, di un riscaturire delle sorgenti stesse. Péguy vedeva “una invincibile cristianità sorgere
dal basso” (Clio, p. 170). L’espressione è stata utilizzata e noi l’utilizziamo per tradurre l’idea di un ritorno o di
una risalita alle sorgenti. Questa volta l’espressione è antica ed anche classica . Erasmo parlava di “ex fontibus
praedicare Christum”; Lacordaire scriveva nel 1828 a Lorain: “La forza sta nelle sorgenti e io voglio andarvi a
vedere”; S. Pio X proclamava la necessità di “redire ad fontes”; M. Blondel parlava della necessità di rifarsi ai
grandi autori stessi, sovente traditi da formulazioni ritenute “tradizionali” ma in realtà recenti; Pio XII, nella
Humani generis, 12 agosto 1050, dopo essersi pronunciato contro un ritorno alle fonti che dimenticava
l’insegnamento del magistero vivente, dichiarava: “I teologi devono continuamente risalire alle sorgenti della
divina rivelazione [...]. Mediante lo studio delle fonti, le scienze sacre ringiovaniscono continuamente, mentre
l’esperienza ci insegna che la speculazione che trascura di portare avanti lo studio del deposito rivelato, diventa
sterile” AAS, 42 (1950), p. 568» (Y. CONGAR, Vera e falsa riforma nella Chiesa, Jaca Book, Milano 1972, 40,
nota 35).
9
Yves Congar, sviluppando in Vera e falsa riforma nella Chiesa un’articolata riflessione sulle condizioni che
rendono possibile una riforma nella chiesa, ne elenca quattro: il primato della carità e della dimensione pastorale;
il dovere di restare nella comunione del tutto; la pazienza e il rispetto dell’attesa; il ritorno al principio della
tradizione. A proposito di quest’ultima condizione, egli precisa che non può esserci rinnovamento autentico
senza un ritorno al “principio” della tradizione, cioè alle fonti liturgiche, bibliche e patristiche. E questo ritorno
alle fonti non consiste in una semplice operazione archeologica, ma in un essenziale, “ricentramento” su Cristo e
sul suo mistero pasquale. Cfr. G. FLYNN, Yves Congar’s Vision of the Church in a World of Unbelief, Ashgate
Publishing, Burlington 2004, 28-30.
3
Nel processo di ressoucement, il movimento più antico è certamente quello liturgico che,
cronologicamente, precede gli analoghi movimenti biblico e patristico. Esso, infatti, ha avuto
una lunga gestazione, a partire dal rinnovamento ottocentesco del monachesimo benedettino
‒ iniziato a Solesmes in Francia, e continuato poi a Mont César in Belgio, e Maria Laach
Germania ‒ che, grazie anche agli sforzi di Pio X e di Pio XII, ha irradiato nuovo fervore non
solo in questi paesi, ma anche in Italia e Spagna, fino alle Americhe10.
In questo percorso di rinnovamento, al movimento liturgico si è affiancato il movimento
biblico, inaugurato in ambito cattolico con l'istituzione dell’École Biblique di Gerusalemme
nel 1890, la pubblicazione dell’enciclica Providentissimus Deus di Leone XIII nel 1893, e
successivamente confermato dall'istituzione della Pontificia Commissione Biblica nel 1902 ad
opera di Leone XIII e la fondazione del Pontificio Istituto Biblico in Roma (con succursale a
Gerusalemme) per volere di Pio X nel 190911. Pertanto, al tempo in cui il concilio elaborava
la costituzione dogmatica Dei verbum (1965), il movimento biblico stava lavorando da circa
settant'anni, non solo in vista di una più approfondita ricerca esegetica, ma anche di un
rinnovamento della spiritualità, favorito da una nuova familiarità con il testo sacro.
Accanto a questi due movimenti alcuni autori ne ricordano un terzo, caratterizzato
dall’interesse per i Padri della Chiesa, che avrebbe preso l’avvio nella prima metà del
Novecento, il cosiddetto «movimento di rinnovamento degli studi patristici» di cui Louis
Bouyer, già nel 1947, tracciava a grandi linee il percorso in un articolo intitolato Le
renouveau des études patristiques12. È però utile precisare a questo riguardo che, sebbene
l’interesse per i Padri, che ha caratterizzato questi anni, sia stato qualificato talvolta come
“movimento patristico” per una imprecisa analogia con gli altri movimenti, in realtà è
improprio parlare, a proposito della ricerca patristica, di un movimento vero e proprio13. Se di
fatto i movimenti biblico e liturgico potevano appoggiarsi a importanti infrastrutture, come la
10
Fra i nomi più significativi legati al movimento liturgico si possono ricordare Guéranger, Beauduin,
Herwegen, Casel, Baumstark, Guardini, Parsch, Vagaggini e Marmion. Certamente un ruolo di primo piano è
stato svolto dall’abbazia di Maria Laach, con la sua opera di apostolato liturgico, che si rivolgeva però
prevalentemente alle classi colte e intellettuali. Grazie all’impegno di Guardini, questa prospettiva non solo ha
trovato diffusione tra le fila della katholische Jugendbewegung, ma ha oltrepassato i confini tedeschi per
raggiungere, a partire dagli anni Trenta, anche i movimenti giovanili di area francofona. In Italia il movimento
liturgico ha avuto inizio intorno ad alcuni centri monastici ‒ Praglia, Finalpia e Parma ‒ sotto l’influenza di
quelli belgi (M. PAIANO, Liturgia e società nel Novecento. Percorsi del movimento liturgico di fronte ai processi
di secolarizzazione, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2000, 87; F. TROLESE, I benedettini italiani e il
movimento liturgico, in F. TROLESE [ed.], Il monachesimo in Italia tra Vaticano I e Vaticano II. Atti del III
convegno di studi storici sull’Italia benedettina, Badia di Santa Maria del Monte, Cesena 1995, 378). Sulla storia
del movimento liturgico si possono vedere gli studi di O. ROUSSEAU, Histoire du mouvement liturgique.
Esquisse historique depuis le début du XIXe siècle jusqu’au pontificat de Pie X (Lex Orandi 3), Cerf, Paris 1945;
tr. It. Storia del movimento liturgico, Paoline, Roma 1961; E.B. KOENKER, The liturgical Renaissance in the
Roman Catholic Church, University of Chicago Press, Chicago 1954; L. BOUYER, La vie de la liturgie, Cerf,
Paris 1956; T. BOGLER (ed.), Liturgische Bewegung nach 50 Jahren, Maria Laach 1959; B. NEUNHEUSER, Il
movimento liturgico: panorama storico e lineamenti teologici, in S. MARSILI (ed.), Anàmnesis. Introduzione
storico-teologica alla liturgia, vol. I, Marietti, Casale Monferrato 1991, 9-30; B. NEUNHEUSER, Mouvement
liturgique, in Dictionnaire Encyclopédique de la Liturgie, vol. 2. Brepols, Turnhout 2002, 45-55.
11
Sulle origini e gli sviluppi del Movimento bilico cattolico si può vedere J. LEVIE, La Bible, parole humaine
et message de Dieu, Paris-Louvaine 1958 e J. TRINQUET, Le Mouvement biblique, in C. SAVART - J.-N. ALETTI
(ed.), Le monde contemporain et la Bible, Beauchesne, Paris 1985, 299-318.
12
L. BOUYER in Le renouveau des études patristiques, «La vie intellectuelle» 2 (1947) 6-25. Tra le figure più
significative di questo movimento di rinnovamento degli studi patristici possiamo ricordare Jean Daniélou,
Henri-Irénée Marrou ed Henri de Lubac per il mondo francofono, Leslie Cross ed Henry Chadwick per quello
anglofono, Kurt Aland e Hans Urs von Balthasar per quello germanofono.
13
É. FOUILLOUX, Autour de l’histoire des “Sources Chrétiennes”, in J. BUSQUET - M. MARTINELL (ed.), Fe i
teologia en la historia : estudis en honor del prof. Dr. Evangelista Vilanova, Abadia de Montserrat, Barcelona
1997, 519-535: 524.
4
Ligue catholique de l’Évangile o il Centre de Pastorale Liturgique, per dare ampia diffusione
al loro pensiero, gli studi patristici riuscivano a catalizzare l’attenzione di un pubblico molto
ristretto di specialisti e, soprattutto, non si proponevano come obiettivo immediato un
rinnovamento della pietà dei fedeli e neppure l’apostolato, ma semplicemente lo sviluppo del
pensiero cattolico. Ciò che invece accomunava i diversi “movimenti” era la consapevolezza
sempre più diffusa dell’importanza di ciò che è stato definito ressourcement. Basti pensare al
convergente interesse di teologi, liturgisti, patrologi ed ecumenisti per le fonti antiche, reso
possibile dai preziosi strumenti che la ricerca patristica metteva ormai a disposizione degli
studiosi.
Certamente gode di maggiore notorietà l’alleanza che si è costituita nel tempo tra movimento
liturgico e movimento biblico (la pubblicazione dei primi messalini nelle lingue nazionali ha
di fatto contribuito a stimolare la curiosità nei confronti della Bibbia); tuttavia non deve essere
sottovalutato il ruolo che il movimento liturgico ha svolto anche nella riscoperta della teologia
dei Padri14. Ne è un esempio significativo la «teologia dei misteri» elaborata da Odo Casel
(1886-1948) il quale, attraverso lo studio delle liturgie dei primi secoli e in particolare dei
testi patristici, ha potuto scoprire che nelle opere del II secolo l’espressione «Mistero della
Pasqua (to tou pascha mystērion)» era l’equivalente della formula paolina «Mistero di Cristo
(to mystērion tou Christou)» di Colossesi 4,315. O ancora al volume di Jean Daniélou, Bible
et Liturgie, nel quale uno studio approfondito sul simbolismo del culto cristiano al tempo dei
Padri, spalancava ai lettori un mondo di conoscenze abitualmente riservate all’ambito ristretto
dei patrologi16.
1.2. La rinascita patristica del Novecento
Già la seconda metà del XIX secolo, con il graduale affievolimento della polemica tra
protestanti e cattolici, il progressivo affinarsi dei metodi di ricerca e il rinnovato interesse per
la storia e per il sentimento religioso, aveva consentito un nuovo progresso degli studi
patristici, che andavano assumendo un carattere sempre più scientifico in senso moderno,
mentre i progressi ormai acquisiti in ambito filologico, mettevano a disposizione degli
studiosi raffinate edizioni scientifiche dei testi patristici17. Nel 1866 l’Accademia delle lettere
di Vienna dava l’avvio alla pubblicazione del Corpus Scriptorum ecclesiasticorum latinorum
(Corpus di Vienna = CSEL) e dal 1897 l’Accademia delle Scienze di Berlino pubblica i
Griechische Christliche Schriftsteller der ersten drei Jahrhunderte (Corpus di Berlino =
GCS). A queste collane si aggiungevano a partire dal 1877 a Berlino i Monumenta Germaniae
Historica; dal 1882 a Lipsia i Texte und Untersuchungen, e dal 1891 a Cambridge i Texts and
Studies
14
Cfr. A. SCHILSON, Theologie als Sakramententheologie: Die Mysterientheologie Odo Casels, Matthias
Grünewald Verlag, Tübingen 1982.
15
Il riferimento è agli studi di O. CASEL, Das Mysteriengedächtnis der Messliturgie im Lichte der Tradition,
«Jahrbuch für Liturgiewissenschaft» 6 (1926) 112-204 e, in particolare, Das christliche Kultmysterium, Pustet,
Regensburg 1935; tr. It. Il mistero del culto cristiano, Borla, Torino 1985, che può essere considerato il suo
capolavoro. Cfr. J.-L. SOULETIE, Destin du mystère pascal en christologie, «La Maison-Dieu» 240 (2004) 59-87.
16
J. DANIELOU, Bible et liturgie. La théologie biblique des Sacrements et des fêtes d'après les Pères de
l'Église, Cerf, Paris 1951.
17
Per una presentazione del panorama complessivo degli studi patristici nella prima metà del Novecento si
può vedere D. GIANOTTI, I Padri della Chiesa al concilio Vaticano II. La teologia patristica nella Lumen
gentium, EDB, Bologna 2010, 25-69. In questo stesso volume, alle pp. 465-476 viene riportata una Bibliografia
storica riguardante il rinnovamento degli studi patristici pubblicati a partire dall’inizio del XX secolo fino al
1964, utile per rendersi conto dell’interesse progressivo suscitato dallo studio dei Padri in questi decenni.
5
L’ultimo decennio dell’Ottocento attesta inoltre la nascita di un nuovo settore di studi,
alimentato dalle nuove scoperte e da un nuovo interesse per gli scrittori orientali, editati
secondo i criteri della moderna ricerca filologica: a Parigi, dal 1894 al 1926 veniva pubblicata
la Patrologia syriaca, e a partire dal 1903 la Patrologia orientalis, mentre a Lovanio nasceva
nello stesso anno il Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium (CSCO).
Dall’inizio del XX sec. si potevano ormai contare più di 30 collezioni, periodici e altre
pubblicazioni dedicate esclusivamente o prevalentemente allo studio dei Padri18. Tuttavia,
fino alla seconda Guerra mondiale questo prezioso patrimonio sarebbe rimasto relegato
all’ambito universitario, non solo perché le traduzioni erano piuttosto scarse, ma anche perché
la ricerca procedeva allora in un’unica direzione, cioè sul terreno più concreto della filologia,
e si occupava quasi esclusivamente di problemi di attribuzione, di cronologia e di ricerca delle
fonti, mentre lo studio delle dottrine, era solo marginalmente affrontato19.
Certamente non sono mancate già nell’Ottocento alcune figure significative di un
rinnovamento teologico, come Johann Adam Möhler (1796-1838), John Henry Newman
(1801-1890) e Matthias Joseph Scheeben (1835-1888), i quali avevano cercato nei Padri una
via di rinnovamento della Teologia. Il loro sforzo era stato però ben presto dimenticato, come
anche i Padri erano stati accantonati nel rinnovamento tomistico degli inizi del Novecento. I
teologi continuavano a citare i Padri, ma essenzialmente in una prospettiva apologetica, dalla
quale era praticamente assente ogni attenzione alla dimensione storica della teologia 20. E le
citazioni patristiche venivano usate essenzialmente come loca teologica, allo scopo di
confermare le tesi dogmatiche, come si evince facilmente dagli strumenti allora diffusi, in
particolare i vari enchiridia, come l’Enchiridion Fontium Historiae ecclesiasticae antiquae di
Konrad Kirch, del 1910, o l’Enchiridion patristicum del gesuita Marie-Joseph Rouët de
Journel, pubblicato nel 1911 e da allora continuamente ristampato21.
18
Nel 1947, il gesuita belga Joseph De Ghellinck, nel secondo volume di Patristique et Moyen Age,
ripercorrendo progressi e tendenze degli studi patristici negli ultimi quindici secoli, elogiava le pubblicazioni di
cui si poteva disporre nella prima metà del Novecento, caratterizzate da un duplice progresso: da una parte
l’arricchimento dei testi e il miglioramento delle edizioni, in particolare degli autori anteniceni, e dall’altra lo
sforzo critico che portava ad affrontare con precisione non solo i problemi di autenticità e di cronologia, ma
anche a chiarire meglio i contesti letterari e culturali delle singole opere (J. DE GHELLINCK, Patristique et Moyen
Age, vol. II: Introduction et compléments a l'étude de la patristique [Museum Lessianum 7], J. Duculot,
Bruxelles 1947).
19
Un sintomo di questo modo di accostare lo studio dei Padri si riscontra nella tendenza ad attribuire al
termine “patrologia” un senso storico-filologico. Per cui la Patrologia veniva concepita come una disciplina
storica ‒ ed è stato così fino al Vaticano II ‒ , una disciplina che si occupava essenzialmente della bibliografia
cristiana antica, nel suo aspetto cronologico e letterario. Cfr. M. SIMONETTI, La teologia dei Padri, in G.
CANOBBIO - P. CODA (ed.), La Teologia del XX secolo, un bilancio: 1. Prospettive storiche, Città Nuova, Roma
2003, 359-389; B. CZESZ, Los effectos de la renovación de los estudios patrísticos sobre la pneumatología
postconciliar, «Scripta Theologica» 35 (2003) 875-887.
20
D. GIANOTTI, I Padri della Chiesa al concilio, 25.
21
Gli enchiridia erano raccolte di loci sanctorum Patrum, doctorum, scriptorum ecclesiasticorum, cioè brani
scelti dei Padri della Chiesa, sia in greco che in latino, riuniti tamquam in summulam, finalizzati allo studio del
dogma. I testi, collocati in ordine cronologico, dalla Didaché a Giovanni Damasceno, erano corredati di piccoli
numeri, apposti nel margine interno, che permettevano di collegare i singoli brani agli articoli di un Indice
teologico: Religio revelata, Ecclesia, Sacra Scriptura, Traditio, Deus unus, Deus trinus, Creatio, ecc.
6
1.3. Un nuovo slancio a partire dagli anni Quaranta
A partire dagli anni Quaranta del Novecento avviene però una svolta negli studi teologici, per
quanto riguarda il ritorno alle fonti sia bibliche che patristiche22. Nel 1943, la pubblicazione
dell’enciclica Divino afflante Spiritu aveva incoraggiato lo studio storico e letterario della
Bibbia, che anche in ambito cattolico poteva ormai proseguire in un’atmosfera più serena23. E
lo studio biblico, così rinnovato, trovava un complemento nella rinascita patristica la quale,
grazie a un’opera di traduzione dei testi e di divulgazione, riusciva finalmente a raggiungere
un pubblico più ampio che non quello dei soli specialisti.
Questa nuova fase degli studi patristici è segnata sia dalla scoperta di nuovi testi ‒ i papiri di
Tura nel 1941 e la biblioteca gnostica di Nag-Hammadi nel 1945 ‒ , sia da nuove edizioni
critiche delle opere degli antichi autori cristiani, fra le quali merita certamente un posto di
rilievo la collana francese di Sources chrétiennes. Tale collana, nata in modo umile e tra non
poche difficoltà nel novembre del 1942 ad opera di tre gesuiti: Fontoynont, de Lubac e
Daniélou, sostenuti da padre Chifflot, domenicano delle Éditions du Cerf, sarebbe ben presto
diventata un’opera prestigiosa di alta qualità scientifica24. Inoltre, superato ormai il limite
apologetico o polemico, anche lo studio dei Padri si andava trasformando. Emancipandosi
infatti dalla questione prevalentemente filologica o di pura erudizione, la patrologia
22
Un ampio quadro della storia del pensiero cattolico in Francia relativo a questi anni, è stata tracciata da E.
FOUILLOUX, Une Église en quête de liberté. La pensée catholique française entre modernisme et Vatican II
(1914-1962), Desclée de Brouwer, Paris 1998.
23
Il cambiamento avvenuto è stato così tracciato da von Balthasar: « Nel mondo cattolico di oggi il ritorno
alla parola di Dio è esaltato come il segno più bello e più chiaro di speranza, e non si può dubitare che tale sia
realmente. [...] Rimaniamo sconcertati dinanzi all’oscuro passato in cui tanti fili spinati erano tirati attorno al
testo sacro e, toccandoli, ci si poteva tirare addosso la scarica elettrica di una scomunica, allo stesso modo del
popolo ebraico che non poteva toccare le pendici del Sinai senza morire. Oggi è caduto lo stesso muro millenario
della Volgata che, anche dopo i lavori degli umanisti sul testo originario, ne sbarrò a lungo l’accesso. Si
moltiplicano traduzioni e commenti per soddisfare al bisogno che la folla, la quale per la prima volta entra nella
terra promessa del testo originale, ha di comprendere. [...] Non è il caso di smorzare la gioia di questo inizio.
Essa tuttavia è resa umile dal sapere che il moderno movimento biblico cattolico non deve, come quello di
Lutero, la sua origine primariamente ad una elementare brama della parola originaria di Dio che sta dietro la
scolastica e la dottrina della Chiesa, ma essenzialmente alla convinzione di esegeti intelligenti che la scienza
biblica cattolica non poteva più continuare come nel passato senza rendersi ridicola a tutto il mondo scientifico.
Con infinita fatica la navicella di una esegesi rispondente ai tempi dovette essere pilotata attraverso Scilla e
Cariddi di incombenti condanne ecclesiastiche – fino in epoca recentissima – per giungere infine alla relativa
sicurezza di un libero studio oggettivo» (H.U. VON BALTHASAR, Chi è il cristiano? Meditazioni teologiche,
Queriniana Brescia 19848, 30-31).
24
Scopo della collana di Sources chrétiennes era di rendere accessibile il tesoro ancora troppo ignorato dei
Padri della Chiesa, abbattendo il pregiudizio che questi antichi autori erano illeggibili. «Se i Padri sono difficili
‒ scriveva Jean Daniélou, introducendo il primo volume della collana ‒ , è perché ignoriamo completamente la
loro mentalità. Essi rappresentano per noi un ambito culturale assai lontano, quasi come quello dell’India o della
Cina» (citato in C. MONDÉSERT, Lire les Pères de l'Église dans Sources Chrétiennes, Cerf, Paris 1988, 19).
Questa pubblicazione si proponeva pertanto di illuminare dall’interno questo mondo, offrendo al lettore gli
strumenti per penetrarlo, così da poter gustare «il piacere di scoprire dei tesori che altrimenti non avrebbe
neppure immaginato». Sull’avventura di Sources chrétiennes si possono vedere anche É. FOUILLOUX, Autour de
l’histoire des “Sources Chrétiennes”, in J. BUSQUET - M. MARTINELL (ed.), Fe i teologia en la historia: estudis
en honor del prof. Dr. Evangelista Vilanova, Abadia de Montserrat, Barcelona 1997, 519-535; Les Pères de
l'Eglise au XXe siècle. Histoire-Littérature-Théologie. L'Aventure des Sources chrétiennes, Cerf, Paris 1997; D.
BERTRAND, L’envol de la patristique en France au milieu du XX e siècle (1942-1958), «Bulletin de l’Association
cardinal Henri de Lubac» 7 (2005) 28-49 ; ID., Poids théologique des Sources chrétiennes, «Esprit et Vie» 168
(2007) 1-11.
7
concentrava ormai l’attenzione sui problemi di ordine teologico, consentendo così al
messaggio dei Padri di affiorare con tutta la sua ricchezza dottrinale e spirituale25.
Questo nuovo orientamento non poteva che apparire ricco di promesse per la teologia, come
attestano gli studi innovativi di Henri De Lubac (Catholicisme, les aspects sociaux du dogme,
Paris 1938 e Histoire et esprit. L'intelligence des Écritures d'après Origène Paris 1950) ;
Hans Urs von Balthasar (Présence et pensée. Essai sur la philosophie religieuse de Grégoire
de Nysse, Paris 1942 e Maxime le Confesseur. Liturgie cosmique Paris 1947); Jean Daniélou
(Platonisme et Théologie Mystique. Essai sur la doctrine spirituelle de S. Grégoire de Nysse,
Paris 1944 e Origène, Paris 1948), e Thomas Camelot (Foi et Gnose. Introduction à l'étude de
la connaissance mystique chez Clément d'Alexandrie, Paris 1945).
1.4. Il ressourcement e la Nouvelle théologie
Il fenomeno del ressourcement, che ha caratterizzato gli anni intorno alla metà del Novecento
(1940-1950) è di fatto all’origine della cosiddetta Nouvelle théologie. È noto che il sintagma
Nouvelle théologie è stato coniato in modo derisorio dai suoi avversari. E benché
abitualmente vengano compresi sotto questa etichetta alcuni membri della Facoltà di Teologia
dei Gesuiti di Lion Fourvière, occorre precisare che esso in realtà indicava una corrente, per
altro ben poco unitaria, alla quale appartenevano membri di istituzioni universitarie o
congregazioni religiose diverse, che differivano fra loro per molti aspetti26. Ciò che univa
questo gruppo di persone erano alcune convinzioni condivise: anzitutto che la teologia deve
parlare alla Chiesa presente, nella sua situazione attuale; e inoltre, la chiave che dà rilievo alla
teologia nel presente risiede nella sua capacità di recuperare in modo creativo il passato. In
altre parole, essi avevano chiaramente percepito che il primo passo di un autentico
aggiornamento non poteva che consistere in una forma di ressourcement, cioè nella riscoperta
del tesoro di duemila anni di storia della Chiesa, che può essere raggiunto grazie a un ritorno
alle sorgenti stesse della tradizione cristiana.
Da queste poche battute già si può evincere che la Nouvelle théologie era portatrice, nella sua
stessa denominazione, di una carica di “novità” non facilmente assimilabile: anzitutto una
novità capace di contrastare la neoscolastica o il neotomismo, oggetto di malcontento da parte
di diversi teologi; novità, inoltre, in quanto il ressourcement non intendeva essere
un’operazione archeologica, bensì un «processo di rilettura» capace di rispondere alle
questioni del presente. Se di fatto si volgeva al passato, l’intento era però di individuare in
esso una norma per correggere il presente27.
25
R. AUBERT, La teologia cattolica durante la prima metà del XX secolo, in R. VAN DER GUCHT - H.
VORGRIMLER (ed.), Bilancio della teologia del XX secolo, vol. 2, Città Nuova, Roma 1972, 13-71: 45.
26
Nel 1942 Pietro Parente in un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano attaccava con questo
appellativo anzitutto i Domenicani M. Dominique Chenu e Louis Charlier di Le Saulchoir. Solo negli anni
successivi R. Garrigou-Lagrance lo avrebbe applicato anche ai Gesuiti di Lione nell’articolo La nouvelle
théologie, où va-t-elle?, «Angelicum» 23 (1946) 126-145.
27
È facile percepire questa convinzione nelle pagine degli autori più rappresentativi del ressourcement. Cito
a titolo di esempio una pagina dell’Introduzione di Cattolicismo, in cui Henri de Lubac scriveva: «Le citazioni si
accumulano perché abbiamo desiderato procedere nel modo più impersonale, attingendo soprattutto al tesoro
troppo poco utilizzato dei Padri della Chiesa. Non che per mania d’arcaismo, abbiamo dimenticato le
precisazioni teologiche o gli sviluppi acquisiti dopo di loro, o che abbiamo assunto per conto nostro, nei loro
concreti particolari, tutte le idee che ci propongono: cerchiamo soltanto di comprenderli, andiamo alla loro
scuola, perché sono i nostri Padri nella fede, e hanno ricevuto dalla Chiesa del tempo loro di che nutrire ancora la
Chiesa del tempo nostro» (H. DE LUBAC, Cattolicismo, Jaca Book, Milano 1978 [orig. 1938], XXVI). Anche in
Vera e falsa riforma nella Chiesa, Yves Congar si sofferma a chiarire che il ritorno alle fonti «è ben altro che un
ritorno al passato, che una “restaurazione” alla maniera delle riforme protestanti del XVI secolo e del
giansenismo; esso è reinterrogazione dei testi, ma anche qualcos’altro di più, e di più essenziale; è ricentramento
sul Cristo nel suo mistero pasquale». E poco altre aggiunge: «Esso è, lo ricorderemo ancora, un’opera di vita.
8
Tale pensiero risulta evidente nelle opere di autori come Marie-Dominique Chenu, Yves
Congar, Jean Daniélou o Henri de Lubac, i quali consideravano il ressourcement, e quindi
l’esplorazione dei tempi e delle opere in cui la tradizione cristiana aveva trovato espressione,
come il presupposto per un aggiornamento, cioè per una rinnovata vitalità cristiana, e come
opportunità per «rinnovare la teologia»28.
Effettivamente, in questi anni andavano maturando modalità di ricerca straordinariamente
innovative nel lavoro teologico, come risulta ad esempio dal bilancio dei programmi e dei
metodi che animavano l’équipe dei domenicani di Le Saulchoir, elaborato da MarieDominique Chenu nel 1937 e messo all’indice dal Sant’Uffizio nel 1942 con l’accusa di aver
adottato il «metodo storico in teologia»29. Un impegno analogo si riscontra una decina d’anni
dopo in un articolo provocatorio del 1946, pubblicato da Jean Daniélou, dal quale emerge non
solo il clima in cui avveniva questa ricerca di una teologia in grado di incontrare le sfide della
situazione che si era verificata nel secondo dopoguerra, ma anche il malcontento che molti
pensatori cattolici francesi avvertivano nei confronti dello status quo teologico degli anni
quaranta30. Nel 1950 anche Yves Congar, pubblicando il volume Vera e falsa riforma nella
Chiesa, difendeva il ritorno alle fonti bibliche e patristiche dell’ecclesiologia e denunciava i
pericoli dell’integrismo.
Le reazioni a questi nuovi approcci in teologia non avrebbero tardato a farsi sentire, facendo
ricadere su coloro che erano ritenuti i responsabili della Nouvelle théologie, accuse non solo
ingiuste, ma talvolta anche false. Nel 1950, anche la voce di Pio XII si era levata con autorità,
nell’enciclica Humani generis, per deplorare le «nuove tendenze che si agitano nelle scienze
sacre», creando una diffidenza nettissima nei confronti di quei professori «che insegnano
l’errore «in modo prudente e coperto». Essi, infatti, se «parlano con prudenza nei libri
stampati», si esprimono tuttavia «più liberamente negli scritti trasmessi privatamente nelle
lezioni e nelle riunioni»31. Solo il Concilio avrebbe segnato una svolta a questa incresciosa
Senza un impegno di vita corrispondente, un riformismo, anche intellettualmente alimentato mediante il ritorno
alle fonti e ricentrato, non raggiungerebbe un certo evangelismo necessario, malgrado tutto, ad una pienezza di
autenticità e d’efficacità» (Cfr. Y. CONGAR, Vera e falsa riforma nella Chiesa, 256).
28
Il passaggio dal neotomismo del primo dopo-guerra alla nouvelle théologie del secondo dopo-guerra è stato
individuato da Étienne Fouilloux nell’emergere di una terza via tra modernismo e conservatorismo romano, la
quale ha preso forma con l’alleanza dei tomisti aperti (Maritain, Chenu e Congar) e dei “blondeliani” della
seconda generazione, presenti soprattutto nella Compagnia di Gesù. Effettivamente, i Gesuiti di Fourvière, si
ispirarono alla ricerca blondeliana di una via mistica in filosofia e teologia, per intraprendere il lavoro di
edizione dei testi patristici che trovò realizzazione nella collezione di «Sources chrétiennes». Questo ritorno alle
fonti costituiva in parte una reazione contro la rigidità del neo-tomismo e il muro che allora separava filosofia,
teologia e spiritualità, ma intendeva anche recuperare l’importanza dei Padri greci eclissati dall’attenzione
esclusiva consentita ai Padri latini e in particolare ad Agostino. Tale svolta consentiva il passaggio da una
teologia più tecnica a una teologia “pubblica”, fruibile anche dai laici cristiani diventati ormai piuttosto esigenti
(E. FOUILLOUX, Une Église en quête de liberté. La pensée catholique française entre modernisme et Vatican II
(1914-1962), Desclée de Brouwer, Paris 1998, 184; W.J. HANKEY, Cent ans de néoplatonisme en France. Une
brève histoire philosophique, in W.J. HANKEY - J.-M. NARBONNE, Levinas et l’héritage grec, Librairie
Philosophique J. Vrin - Les Presses de l’Université Laval, Laval 2004, 164-165).
29
M.-D. CHENU, Une école de théologie: Le Saulchoir, Étiolles, Paris 1937. Già in un articolo del 1935,
Marie-Dominique Chenu denunciava non solo un’eccessiva frammentazione della teologia nei suoi vari settori,
ma anche la separazione della teologia speculativa dalla pratica pastorale e dalla spiritualità (M.-D. CHENU,
Position de la théologie, «Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques» 24 [1935] 232-257).
30
Cfr. J. DANIELOU, Les orientations présentes de la pensée religieuse, «Études» 249 (1946) 1-21.
31
Questo clima di diffidenza è facilmente avvertibile fin dalle prime battute dell’enciclica Humani generis,
dove si afferma che «Oggi non mancano coloro che osano arrivare fino al punto di proporre seriamente la
questione, se la teologia e il suo metodo, come sono in uso nelle scuole con l'approvazione dell'autorità
ecclesiastica, non solo debbano essere perfezionate, ma anche completamente riformate. [...] Ciò che viene oggi
insegnato da qualcuno più copertamente con alcune cautele e distinzioni, domani da altri, più audaci, viene
9
situazione, accogliendo le istanze di rinnovamento racchiuse in quel dinamismo teologico ed
ecclesiale che aveva caratterizzato il cattolicesimo della prima metà del Novecento ‒ il
ressourcement ‒ e riabilitando quei teologi, invitati ormai come esperti a sedere nella solenne
assise conciliare.
Un confronto fra gli schemi preparatori del concilio e quelli che sono effettivamente serviti da
base alle discussioni e alla redazione dei documenti, ha consentito agli studiosi di rilevare
come nell’aula conciliare, in un breve spazio di tempio, si era verificata un’evoluzione
analoga a quella che era avvenuta molto più lentamente nei decenni precedenti fra i migliori
teologi, e che aveva consentito di passare da una «teologia delle conclusioni» a una «teologia
delle fonti»32. È tuttavia significativo che a pochi anni di distanza dalla conclusione del
concilio, in un articolo dedicato all’importanza dei Padri nella teologia contemporanea
(1968), Joseph Ratzinger constatasse, con la scomparsa dei grandi studiosi che gli avevano
dato vita, l’esaurirsi di quella grande movimento di rinnovamento teologico, iniziato in campo
cattolico alla fine della prima guerra mondiale, caratterizzato dal programma del
ressourcement patristico giunto fino al Vaticano II33. «In pochi anni ‒ scriveva l’illustre
teologo ‒ si è formata una nuova coscienza tanto determinata dal senso della pregnanza del
momento attuale da farle sembrare in qualche modo romantico il rivolgersi al passato, cosa
che poteva andar bene in tempi poco movimentati, ma in ogni caso non è adatta a noi»34. «Al
ressourcement ‒ egli aggiungeva ‒ subentra ormai l’aggiornamento, il confronto con l’oggi
e il domani, come momento nel quale si deve rendere presente ed operante la teologia»35.
Questo giudizio ‒ non da tutti condiviso ‒ si comprende nel contesto di fine anni Sessanta,
quando Ratzinger, diventato membro della Commissione Teologica Internazionale (1969),
aveva avuto l’opportunità di discutere con Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar e altri
colleghi, la «crescente frattura tra le due scuole di riformatori teologici del Vaticano II, e il
modo per raggiungere una riforma autenticamente cattolica della teologia e della Chiesa alla
luce della cultura contemporanea, dei suoi problemi e delle sue promesse»36. E non stupisce il
pensiero di Ratzinger se si pensa a quanto scriveva già nel 1965 von Balthasar, nel libretto
intitolato Chi è il cristiano?:
proposto pubblicamente e senza limitazioni, con scandalo di molti, specialmente del giovane clero, e con
detrimento dell'autorità ecclesiastica. Se di solito si usa più cautela nelle pubblicazioni stampate, di questi
argomenti si tratta con maggiore libertà negli opuscoli distribuiti in privato, nelle lezioni dattilografate e nelle
adunanze. Queste opinioni non vengono divulgate solo fra i membri del clero secolare e regolare, nei seminari e
negli istituti religiosi, ma anche fra i laici, specialmente fra quelli che si dedicano all'educazione e all’istruzione
della gioventù» (PIO XII, Lettera Enciclica Humani generis, Introduzione). Henri de Lubac ricordando con
amarezza questi avvenimenti, osservava che il padre Congar «vedeva più giusto» quando scriveva non senza
ironia «che la tarasca era in effetti un animale molto pericoloso, ma che, per fortuna, non esisteva» (citato in H.
DE LUBAC, Memoria intorno alle mie opere, Jaca Book, Milano , 213-214).
32
Cfr. J. LECLERCQ, Un demi-siècle de synthèse entre histoire et théologie, ISTITUTO PATRISTICO
AUGUSTINIANUM, Lo studio dei Padri della Chiesa oggi, Augustinianum, Roma 1977, 21-35: 29.
33
Cfr. J. RATZINGER, Die Bedeutung der Väter für die gegenwärtige Theologie, «Theologische
Quartalschrift» 148 (1968) 257-282; tr. It. I Padri nella teologia contemporanea, in J. RATZINGER, Natura e
compito della teologia, Jaca Book, Milano 1993, 143-161.
34
J. RATZINGER, I Padri nella teologia contemporanea, 143.
35
Ivi.
36
L’idea di Balthasar, condivisa da Ratzinger, era quella di riunire in un coerente movimento intellettuale
«tutti coloro che non intendevano fare teologia sulla base di finalità e posizioni precostituite di politica
ecclesiastica, ma erano coerentemente decisi a lavorare a partire dalle sue fonti e dai suoi metodi»: in breve,
l’aggiornamento profondamente radicato nel ressourcement. Il metodo con cui Balthasar, Ratzinger e i suoi
colleghi decisero di avviare questo movimento fu una rivista che decisero di chiamare Communio (cfr. G.
WEIGEL, Benedetto XVI. La scelta di Dio, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, 237).
10
Il processo cattolico di ritorno all’indietro non è univoco: tra le due guerre mondiali la parola
d’ordine diffusa era: rinnovamento – dietro una (neo) scolastica addomesticata, irrigidita – dei
Padri della Chiesa. In molti questa ‘primavera patristica’ non era che estetica; non era
abbastanza critica per durare a lungo. Oggi, da tempo, c’è di nuovo un autunno patristico a
favore di una ‘primavera biblica’; e si è non poco inclini a porre l’intera tradizione esegetica,
sia patristica (da prima platonizzante, poi costantiniana-politicizzante), sia scolastica, sotto un
forte sospetto di ideologia, praticamente in modo non molto diverso da Lutero che aveva
screditato la prostituta ragione37.
2. La presenza dei Padri nei documenti conciliari
Da quanto siamo andati sin qui dicendo, sembra ormai ovvio constatare che i testi promulgati
dal Vaticano II manifestano, sia nel vocabolario sia nel modo di pensare, un’innegabile
impronta patristica38. Tuttavia, per poterla rilevare nella sua consistenza effettiva e cogliere
l’influsso delle fonti patristiche nel concilio, occorre premettere alcune brevi considerazioni
metodologiche.
La prima domanda è: come ci si accosta al pensiero patristico espresso nei testi conciliari? A
questo riguardo sono possibili diversi atteggiamenti, che elenco sotto tre punti:
a. limitarsi a cercare le citazioni patristiche presenti nei vari documenti;
b. cercare di capire come l’influsso dei Padri ha agito nella formulazione dottrinale e
nel rinnovamento dell’orizzonte teologico e pastorale;
c. percepirne l’influsso attraverso il mutamento linguistico e l’impiego del genere
letterario epidittico39, cioè di quel genere letterario di tipo “espositivo” caratteristico
del linguaggio dei Padri della Chiesa, e di quello stile che connotava l’antico discorso
religioso. Si tratta cioè di un genere letterario che è l’opposto del genere apodittico,
caratteristico dei concili precedenti, e che preferisce il linguaggio biblico/patristico a
quello tecnico-scolastico. Il Vaticano II sembra dunque voler riprendere il genere
epidittico che era già stato riproposto dalla nouvelle théologie (basti pensare allo stile
del libro di de Lubac Méditation sur l’église del 1952), e lo fa in modo certamente
innovativo rispetto ai concili precedenti.
Guardando a queste tre possibilità bisogna riconoscere che certamente l’approccio più
immediato e più facile è quello che consiste nell’individuare le citazioni o allusioni patristiche
presenti nei testi conciliari. È chiaro, tuttavia, che il semplice ricorso ai testi patristici resta
37
H.U.VON BALTHASAR, Chi è il cristiano, 31-32.
38
Abbiamo già avuto modo di notare la straordinariamente abbondante presenza di riscontri patristici nei
documenti conciliari, circa 300 tra quelli riportati nel testo e quelli indicati come semplici rinvii nelle note. Il
documento privilegiato è certamente la Lumen gentium con 184 citazioni o allusioni ai Padri della Chiesa o a
testi di epoca patristica, come testi conciliari o liturgici, a cui segue la Presbiterorum ordinis con una quarantina
di citazioni, e la Dei Verbum con una ventina di citazioni. Con rammarico, però, sia Michele Pellegrino sia
Agostino Trapè sia Achille M. Triacca constatavano, che nel decreto Christus Dominus sull'ufficio pastorale dei
vescovi, non si fa mai ricorso a citazioni patristiche (M. PELLEGRINO, L’étude des pères de l’Église dans la
perspective conciliaire, «Irenikon» 38 [1965] 453-461: 454; A. TRAPÈ, Contributo dei Padri, particolarmente di
S. Agostino al rinnovamento teologico, in A. MARRANZINI (ed.), Fedeltà e risveglio nel dogma. L’insegnamento
della Teologia alla luce del Vaticano II. I Congresso Nazionale ATI, Napoli - gennaio 1967, Ancora, Milano
1967, 65-77: 64; A.M. TRIACCA, L'uso dei "loci" patristici nei documenti del Concilio Vaticano II,
«Salesianum» 53 [1991] 219-253: 235).
39
J.W. O’MALLEY, Che cosa è successo nel Vaticano II. Continuità e riforma, 196.
11
insufficiente al fine di una loro corretta valutazione. Non basta infatti calcolare la quantità
delle citazioni, ma occorre anche valutare la loro pertinenza e l’importanza che esse occupano
nel contesto dei singoli documenti. Di fatto, non tutti i riferimenti hanno un valore strutturante
o dottrinale, talvolta infatti essi sembrano riguardare semplici considerazioni incidentali o
avere un valore meramente retorico o stilistico.
Mi sembra pertanto più utile, per il nostro fine, intrecciare approcci diversi, al fine di cogliere
l’apporto che il pensiero patristico ha conferito all’elaborazione dottrinale, al linguaggio e allo
stile dei documenti.
Lo spazio di cui disponiamo ci consente un affondo sintetico e parziale, per il quale ho scelto
tre soli testi: la Sacrosanctum Concilium, la Lumen gentium e la Dei Verbum. La loro scelta è
giustificata non solo dalla documentazione patristica in essi riscontrabile, ma anche per il fatto
che la mens teologica e pastorale dei Padri ha influito su alcune questioni fondamentali in essi
affrontate40.
2.1. Le citazioni dei Padri nella Sacrosanctum Concilium
La Sacrosanctum Concilium, in ordine cronologico, è la prima costituzione conciliare. In essa
sono presenti solo 10 citazioni di testi patristici, di cui 8 sono contenute nel primo capitolo e 2
nel secondo. Gli autori citati sono Ignazio di Antiochia (4 volte), Agostino (3 volte), Cipriano
(2 volte) e Cirillo Alessandrino (1 volta). È difficile stabilire il criterio con cui questi autori
sono stati scelti e il motivo per cui le citazioni si concentrano nei primi due capitoli. Se si tale
scelta pensando alla natura e ai temi trattati in questa prima parte, ci si accorge facilmente che
altri temi si sarebbero prestati per un ricorso alla dottrina dei Padri. Achille Triacca risolve il
problema con l’ipotesi, del resto verosimile, di «un intervento a più mai e con diversi stili
redazionali che, cozzando con una mancata pianificazione interna, deve aver avuto come
effetto quanto è testimoniato dai dati»41.
2.1.1. Medicum carnalem et spiritualem
Guardiamo ora la prima citazione di Ignazio di Antiochia, collocata al n. 5 della
Sacrosanctum Concilium, inserita cioè nel contesto del primo capitolo, dedicato ai principi
generali della liturgia, nel quale viene delineato il rapporto che unisce Cristo, la Chiesa e la
Liturgia.
Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità» (1
Tm 2,4), «dopo avere a più riprese e in più modi parlato un tempo ai padri per mezzo dei
profeti» (Eb 1,1), quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio, Verbo fatto carne,
unto dallo Spirito Santo, ad annunziare la buona novella ai poveri, a risanare i cuori affranti, «
medico di carne e di spirito medicum carnalem et spiritualem [IGNATIUS ANTIOCHENUS, Ad
40
Da un confronto fra LG o DV con gli schemi della Commissione preparatoria, risulta evidente che questi
ultimi non tenevano conto della riflessione sui temi ecclesiologici o scritturistici che avevano ormai trovato
espressione in diverse pubblicazioni. Tra gli studi più significativi sulla presenza dei Padri della Chiesa nel
Concilio si possono ricordare quelli di M. PELLEGRINO, L’étude des pères de l’Église dans la perspective
conciliaire, «Irenikon» 38 (1965) 453-461; J. MORÁN, Presenza di S. Agostino nel Concilio Vaticano II,
«Augustinianum» 6 (1966) 460-488; A. TRAPÈ, Contributo dei Padri, particolarmente di S. Agostino al
rinnovamento teologico, 65-77; A. TRAPÈ, La presenza dei Padri nel Concilio, «Seminarium» 9 (1969) 145-150;
A. MANDOUZE, Des Pères de l’Église aux fils de Vatican II, in A. MANDOUZE - J. FOUILHERON, Migne et le
renouveau des études patristiques. Actes du colloque de Saint-Flour, 7-8 juillet 1975, Beauchesne, Paris 1985,
433-443; A.M. TRIACCA, L’uso dei “loci” patristici, 219-253.
41
A.M. TRIACCA, L’usi dei “loci” patristici, 227.
12
Eph. 7,2])», mediatore tra Dio e gli uomini. Infatti la sua umanità, nell'unità della persona del
Verbo, fu strumento della nostra salvezza (SC 5).
Questa prima citazione patristica è collocata al culmine di un crescendo che sfocia nella
mediazione espletata dal Cristo Medico, il quale sana e rinnova l’umanità. La linea in cui si
muove il testo è quella di una prospettiva cristocentrico-soteriologica caratteristica dei Padri,
mai separata da una costante attenzione al dato antropologico42:
2.2.2. Ecclesiae mirabile sacramentum
Mi soffermo ancora sulla citazione agostiniana immediatamente successiva (sempre al n. 5),
alla quale il testo sembra però semplicemente alludere, facendo precedere in nota
l’indicazione della fonte da un “cfr”. Si tratta della prima citazione di Agostino, che nei
documenti conciliari è il padre della Chiesa maggiormente presente.
Accennando alla natura della sacra liturgia e alla sua importanza nella vita della Chiesa,
questo passo si sofferma a contemplare il Mistero Pasquale ‒ opera dell’umana redenzione e
della perfetta glorificazione di Dio ‒ , come sintetizzato nell’immagine del Cristo morente che
genera la Chiesa sua sposa:
Quest'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo
preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell'Antico Testamento, è stata
compiuta da Cristo Signore principalmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata
passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione, mistero col quale « morendo ha distrutto
la nostra morte e risorgendo ha restaurato la vita» (Praefatio pascale). Infatti dal costato di
Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa (de latere
Christi in cruce dormientis ortum est totius Ecclesiae mirabile sacramentum [cfr.
AUGUSTINUS, Enarr. in Ps. 138, 2]) (SC 5).
Il teologumeno patristico dell’origine della Chiesa dalla croce, o più precisamente dal costato
trafitto di Cristo, trae origine dal fatto storico della transverberazione narrato nel Quarto
Vangelo (Gv 19,34). Sebbene il significato originario del testo giovanneo sia cristologico ‒ il
sangue e l’acqua sono infatti simboli dell’offerta della vita e del dono dello Spirito43 ‒ ,
l’esegesi patristica ha voluto vedere nel flusso sgorgato dal fianco di Cristo, il simbolo dei due
sacramenti fondamentali, il Battesimo e l’Eucaristia44.
Nel testo agostiniano delle Enarrationes in psalmos 138,2, si legge: «Ex latere Domini
dormientis, id est in passione morientis et in cruce percusso de lancea, manaverunt
sacramenta quibus formaretur Ecclesia». Il plurale sacramenta ha un chiaro riferimento ai
sacramenti della Pasqua, come a dire che la Chiesa è creata dai sacramenti, cioè il Battesimo e
l’Eucaristia.
Il testo di Sacrosanctum Concilium 5, invece, congiungendo liberamente il testo agostiniano
con l’oratio post secundam lectionem Sabbati sancti, in Missali Romano, ante instaurationem
Hebdomadae sanctae, ha preferito il singolare: «totius Ecclesiae mirabile sacramentum»,
alludendo così al «il mirabile sacramento di tutta la Chiesa». Dato però lo sfondo patristico, al
42
Cfr. ivi, 239.
43
Cfr. I. DE LA POTTERIE, Il costato trafitto di Gesù (Gv 19,34): senso rivelatorio e senso sacrificale del suo
sangue, in F. VATTIONI (ed.), Atti della settimana “Sangue e antropologia nella liturgia” (Roma, 21-26
novembre 1983), Pia Unione Preziosissimo Sangue, Roma 1984, 625-650: 631-635.
44
Cfr. S. TROMP, De nativitate Ecclesiae ex Corde Jesu in Cruce, «Gregorianum» 13(1932) 489-527; H.
RAHNER, L’ecclesiologia dei Padri, Edizioni Paoline, Roma 1994, in particolare il capitolo intitolato Flumina de
ventre Christi, 289-394.
13
quale questo testo rinvia ‒ con l’evidente allusione al sangue e all’acqua e il riferimento
tradizionale ai sacramenti pasquali ‒ , il «totius Ecclesiae mirabile sacramentum», al
singolare, non può designare un sacramento particolare appartenente alla Chiesa, ma sembra
attestare che Battesimo ed Eucaristia costituiscono il mirabile sacramentum Ecclesiae45.
Soffermando lo sguardo sul contenuto di questa costituzione conciliale, non si può ignorare
l’influsso esercitato da Odo Casel, il quale ha riscoperto, negli scritti dei Padri e negli antichi
testi liturgici, la nozione centrale della nostra partecipazione al mistero della morte e
risurrezione di Cristo, proprio grazie alla liturgia. Anzi, non si potrebbe affermare con Louis
Bouyer che
Il cuore della dottrina sulla liturgia sviluppata dalla Costituzione conciliare è anche il cuore
dell’insegnamento di Dom Casel. La citazione costante, nella Costituzione, dei testi patristici,
liturgici o dei concili anteriori sui quali Casel aveva edificato la propria sintesi, come anche
l’interpretazione che ne ha offerto il Concilio in senso proprio, ne attestano la filiazione in un
modo che non può non colpire gli storici del futuro46.
2.2. Temi patristici nella Lumen gentium
La Lumen gentium è stata oggetto di uno studio approfondito, dal nostro punto di vista, da
parte di Daniele Gianotti, nel volume già più volte citato, al quale rimando. Pertanto, in questi
paragrafi mi limiterò a mettere in evidenza alcune idee di fondo, che è possibile far risalire
all’epoca patristica, e che offrono una base alla riflessione del Concilio sulla realtà della
Chiesa.
È noto che il testo definitivo della costituzione dogmatica Lumen gentium costituisce il punto
di arrivo di un lungo processo di maturazione, durato tutto il tempo del concilio, lungo il
quale la riscoperta della teologia dei Padri ha condotto a modificare interamente lo schema
approntato dalla commissione preparatoria47.
È facile constatare che il movimento di «ritorno alle fonti» ha trovato la sua massima
espressione nella Lumen gentium; essa infatti contiene da sola oltre la metà delle citazioni
patristiche di tutto il Concilio. E ciò è estremamente significativo se si pensa che il materiale
patristico, utilizzato in grande abbondanza in alcune fasi della redazione, è stato poi
ridimensionato nella redazione definitiva del documento48. Nel testo finale, tuttavia, più che le
45
È pertanto da ritenere non corretta la lettura che insiste per percepire in questa espressione un’eco della
teologia tedesca della Chiesa come “sacramento fondamentale”, derivato dal “sacramento originario” che è
Cristo, come ha giustamente osservato Giacomo Canobbio: «Voler introdurre qui echi della teologia tedesca
della Chiesa come sacramento fondamentale derivato dal sacramento originario che è Cristo sembra [...] una
forzatura indebita del testo» (G. CANOBBIO, La Chiesa come sacramento di salvezza: una categoria
dimenticata?, in M. VERGOTTINI [ed.], La Chiesa e il Vaticano II. Problemi di ermeneutica e recezione
conciliare, Glossa, Milano 2005, 115-181: 121-122).
46
L. BOUYER, Recensione al volume di O. CASEL, Le Mystère du culte, richesse du Mystère du Christ, «La
Maison Dieu» 80 (1964) 241-243: 242.
47
Le numerose critiche riguardanti soprattutto l’impostazione giuridica dello schema preparatorio consegnato
ai Padri il 23 novembre 1962, convinse Giovanni XXIII a chiedere l’elaborazione di un nuovo schema nel quale
stesse al centro la Chiesa come prolungamento di Cristo, lumen gentium. La nuova scelta di trattare ciò che è
comune a tutti i membri della Chiesa prima di ciò che li distingue, mettendo fine all’ecclesiologia piramidale, ha
causato un capovolgimento nella impostazione dell’ecclesiologia, che Gerard Philips ha definito una
«rivoluzione copernicana». Si è cioè passati da un’impostazione apologetica del tractatus de Ecclesia a una
lettura teologica e a una comprensione misterica della Chiesa.
48
Daniele Gianotti ha rilevato 159 citazioni presenti nella LG (D. GIANOTTI, Padri della Chiesa al Concilio,
172. Un indice delle citazioni patristiche presenti nella Lumen gentium si trova alle pp. 453-461). Analizzando
l’uso delle fonti nel primo capitolo del De Ecclesia, Gianotti ha potuto constatare che rispetto alle 35 citazioni
14
singole citazioni è la visione ecclesiologica che conta e che consente di percepire le categorie
e il respiro profondo di una ecclesiologia che si ricollega alle convinzioni più profonde,
condivise all’età dei Padri.
Ho fatto espressamente riferimento alle «convinzioni più profonde» dell’età dei Padri e non
alla loro ecclesiologia, perché essi non hanno mai avvertito la necessità di dare un’espressione
dogmatica alla realtà ecclesiale, in quanto per loro «la Chiesa ‒ come ha giustamente
precisato de Lubac ‒ era dappertutto». Era cioè «la condizione, l’ambiente e il fine di tutta la
vita cristiana»49.
È noto inoltre che lungo i secoli, rispetto all’età dei Padri, si sono verificati parecchi
mutamenti d’accentuazione o di punti di vista riguardo alle tematiche ecclesiologiche: alcuni
argomenti si sono infatti «atrofizzati», e riguardo ad alcuni temi sono state operate
trasposizioni, in risposta alle nuove esigenze di vita o alle nuove situazioni che si sono
verificate50. Non stupisce, pertanto, il fatto di non poter riscontrare «un parallelismo perfetto
tra l’esposizione del Vaticano II e le esposizioni contenute nelle opere dei Padri»51.
2.2.1. Ecclesia de Trinitate
Uno dei primi temi patristici che la Lumen gentium ha rielaborato è certamente quello in cui si
parla della Chiesa come “simbolo e mistero” ‒ che mette in continuità l’ecclesiologia
conciliare con quella dei primi secoli cristiani ‒ , ampiamente esposto nel primo capitolo,
significativamente intitolato: De Ecclesiae mysterio52.
Proprio per significare che l’essenza della Chiesa non può essere espressa con un’unica
denominazione o un solo concetto, nello stesso capitolo, il concilio accosta diverse immagini
bibliche: quelle del padre, del campo, della vigna, della costruzione, della Gerusalemme e
della sposa. «Come già nell'Antico Testamento la rivelazione del regno viene spesso proposta
in figure, così anche ora l'intima natura della Chiesa ci si fa conoscere attraverso immagini
varie», recita la Lumen gentium (LG 6). Effettivamente il complesso delle immagini qui
raccolte rimane l’unica via di accesso al mistero della Chiesa, e in questo modo
l’ecclesiologia conciliare si ricongiunge con l’antica e suggestiva riflessione dei Padri53.
presenti nello schema elaborato dalla Commissione teologica preparatoria, solo tre (a cui sono state poi aggiunte
altre tre citazioni) sono state conservate nella costituzione dogmatica approvata dal concilio (D. GIANOTTI, Padri
della Chiesa al Concilio Vaticano II, 172). Se poi si guarda ai singoli Padri, è possibile notare che dieci delle
tredici citazioni di san Cipriano presenti nel Vaticano II ricorrono proprio nella Lumen gentium, e che la maggior
parte delle allusioni si riferisce in particolare alla concezione ciprianea del vescovo e del Corpo mistico, quasi a
sottolineare la vitalità del pensiero del martire cartaginese e le sue implicazioni spirituali e pastorali. La presenza
dei grandi temi patristici nella Lumen gentium è stata messa in luce da Gerard Philips nel suo libro La Chiesa e il
suo mistero nel Concilio Vaticano II, e da Henri de Lubac nello studio La costituzione “Lumen gentium” e i
Padri della Chiesa (G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero nel Concilio Vaticano II. Storia, testo e commento
della Costituzione “Lumen gentium”, Jaca Book, Milano 1993, 620-623; H. DE LUBAC, La costituzione “Lumen
gentium” e i Padri della Chiesa, in ID., Paradosso e mistero della chiesa, Queriniana, Brescia 1968, 45-85).
49
H. DE LUBAC, La costituzione “Lumen gentium” e i Padri della Chiesa, 48.
50
Tra i temi che si sono «naturalmente atrofizzati», de Lubac ricorda ad esempio quello dell’Ecclesia ex
Judaeis ed ex Gentibus (H. DE LUBAC, La costituzione “Lumen gentium” e i Padri della Chiesa, 48).
51
Ivi, 47.
52
A questo riguardo, padre Neufeld riteneva che l’apporto indiretto di Hugo Rahner al Concilio fosse proprio
nel primo capitolo della Lumen Gentium, dove si parla della Chiesa come “simbolo e mistero”.
53
Cfr. C. FROSINI, La Chiesa alla scoperta di se stessa, in C. GHIDELLI (ed.), A trent'anni dal Concilio.
Memoria e profezia, Studium, Roma 1995, 24. A proposito delle immagini usate in questi paragrafi della Lumen
gentium, la Commissione Teologica Internazionale ha precisato che «Non tutte [...] possiedono la stessa forza
evocatrice e alcune di esse assumono una particolare importanza, come quella del “corpo”» (COMMISSIO
15
Una delle prime citazioni patristiche che si incontrano nel documento è quella tratta dal De
oratione dominica di Cipriano, collocata a conclusione di LG 4, la quale spiega la Chiesa nel
quadro della storia della salvezza, riletta in chiave trinitaria.
Il testo di Cipriano che fa da sfondo, sebbene non offra una definizione di Chiesa, chiarisce il
pensiero del documento conciliare. Il contesto dal quale la citazione è tratta, illustra infatti la
preghiera del Pater, che precede e fonda ogni altro gesto cultuale. Si legge infatti nel De
oratione:
Il sacrificio più grande e più gradito a Dio è la pace condivisa e la fraterna concordia di un
popolo adunato secondo l’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (de unitate Patris et
Filii et Spiritus Sancti plebs adunata)54.
Gerard Philips, commentando quest’ultima espressione, nota il sottile e quasi intraducibile
gioco di parole posto in atto dal vescovo di Cartagine: «De unitate ... plebs adunata», dove la
preposizione latina de evoca simultaneamente l’idea di imitazione e quella di partecipazione.
Dunque, ciò che in questo contesto sembra premere maggiormente a Cipriano è di sottolineare
l'origine della comunione ecclesiale, che egli individua nella stessa comunione trinitaria, di
cui la seconda non è che l'espressione visibile. Dal contesto del De oratione si evince che i
cristiani, che pregano rivolgendosi allo stesso Dio, sono un popolo che fonda la propria unità
nell'unità stessa del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Di conseguenza, se un’unità nella
Chiesa è possibile, lo è solo in quanto prolungamento dell’unità divina.
Questo modo di concepire la Chiesa, che pone l’accento più sull’unità che sulla pluralità, ha
trovato riscontro anche nella corrente successiva del pensiero occidentale, quella plasmata da
Agostino, il quale concepisce «il legame di unità della Chiesa come opera dello Spirito Santo
(ideo societas unitatis Ecclesiae Dei, extra quam non fit ipsa remissio peccatorum, tamquam
proprium opus est Spiritus Sancti)»55. È lui che, essendo «il legame tra il Padre e il Figlio»,
estende questa sua stessa attività a tutte le creature e, quindi, alla Chiesa.
2.2.2. Ecclesia ab Abel
Nel primo capitolo della LG è possibile rilevare un’ampia presenza di Agostino e in
particolare le grandi idee del De civitate Dei, indicate in nota con un generico passim. La
citazione esplicita di un testo del vescovo di Ippona si trova alla fine del n. 2, dove emerge il
tema dell’Ecclesia ab Abel:
Come si legge nei santi Padri, tutti i giusti, a partire da Adamo, “dal giusto Abele fino
all'ultimo eletto (ab Abel iusto usque ad ultimum electum)”, saranno riuniti presso il Padre
nella Chiesa universale» (LG 2)56.
La nota rimanda a Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli 19,1, Agostino, Discorso 341,9,11, e
Giovanni Damasceno Contro gli iconoclasti 11.
THEOLOGIA INTERNATIONALIS, Themata selecta de Ecclesiologia occasione XX anniversarii conclusionis
Concilii Oecumenici Vativani II, 7 ottobre 1985, EV/9, n 1683).
54
CIPRIANO DI CARTAGINE, De Oratione Domenica 23.
55
AGOSTINO D’IPPONA, Sermo 71,20,33.
56
Sul tema dell’Ecclesia ab Abel si può vedere lo studio di Y. CONGAR, Ecclesia ab Abel, in M. REDING
(ed.), Abhandlungen über Theologie und Kirche. Festschrift Karl Adam, Düsseldorf 1952, 79-108 e le pagine
dedicate da G. PHILIPS nel suo volume La Chiesa e il suo mistero, 80-81.
16
Nell’omelia di Gregorio Magno, Abele viene paragonato al ceppo di una vite che si prolunga
fino all’estremità dei suoi tralci. Invece nel discorso 341 di Agostino si legge:
Tutti insieme siamo membra e corpo di Cristo: non solo noi che ci troviamo qui in questo
luogo, ma tutti su tutta la terra. E non solo noi che viviamo in questo tempo, ma che dire? dal
giusto Abele sino alla fine del mondo (ex Abel iusto usque in finem saeculi)57.
E qui troviamo un esplicito riferimento alla Chiesa che esiste a partire da Abele e che pertanto
comprende tutti i giusti, anche quelli venuti prima di Cristo.
Un altro testo agostiniano viene citato al n. 8, dove si parla della fase attuale della Chiesa,
quella cioè del suo pellegrinaggio «tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio
(Inter persecutiones mundi et consolationes Dei peregrinando procurrit ecclesia)» (Civ Dei
18,51,2).
Se ci soffermiamo sul contesto di questa pagina di Agostino, troviamo un altro riferimento al
tema dell’Ecclesia ab Abel:
In questo tempo, in questi giorni malvagi (Ef 5,16), non solo dal tempo della presenza
corporale del Cristo e dei suoi Apostoli, ma a partire dallo stesso Abele, il primo giusto ucciso
dal fratello scellerato (quem primum iustum impius frater occidit), e di seguito fino alla fine
del tempo la Chiesa cammina (peregrinando procurrit Ecclesia) fra le persecuzioni del mondo
e le consolazioni di Dio (Civ Dei 18,51,2).
Il messaggio trasmesso dalla concezione dell’Ecclesia ab Abel è anzitutto quello
dell’universalità salvifica della Pasqua di Cristo, come ricorda ancora il vescovo di Ippona
commentando il Salmo 118:
La Chiesa non cessò mai di esistere sulla terra a cominciare dai primordi del genere umano (ab
initio generis humani). Essa ha le sue primizie nel santo Abele, anch’egli immolato per
rendere testimonianza al sangue del Mediatore venturo, che sarebbe stato versato per
mano dell’empio fratello (immolatus et ipse in testimonium futuri sanguinis Mediatoris ab
impio fratre fundendi)? (En. Ps 118,29,9).
È tuttavia interessante notare che la costituzione conciliare, pur riprendendo l’idea di un
disegno salvifico universale del Padre, corregge e integra la dizione patristica tradizionale «ab
Abel usque ad ultimum electum», facendola precedere dal riferimento ad Adamo: «omnes iusti
inde ab Adam». Un’aggiunta che dilata ulteriormente il significato universale della salvezza,
includendo la storia umana nella sua totalità.
2.2.3. Typus Ecclesiae
È noto che l’inclusione nella costituzione sulla Chiesa del capitolo dedicato alla Vergine
Maria è stata oggetto di ampie discussioni, sulle quali non mi soffermo. Accenno invece al
fatto, non privo di valore, che la decisione presa dal concilio di trattare la Vergine Maria in
relazione alla Chiesa ‒ suggerita da Polo VI nel discorso di apertura della seconda sessione ‒
ha consentito di prendere in considerazione i due grandi temi patristici della Chiesa come
sposa e madre vergine58.
57
AGOSTINO D’IPPONA, Sermo 341,9,11.
58
Il tema dell’Ecclesia Mater costituisce un vero locus theologicus, non solo a motivo dell’ampio uso
patristico, ma anche dell’ininterrotta tradizione liturgica. Sul tema della Chiesa-Madre si possono vedere: J.C.
PLUMPE, Mater Ecclesia. An inquiry into the concept of the Church as Mother in Early Christianity, The
Catholic University of America Press, Washington D.C. 1943; K. DELAHAYE, Ecclesia Mater chez les Peres des
17
La beata Vergine, per il dono e l'ufficio della divina maternità che la unisce col Figlio
redentore e per le sue singolari grazie e funzioni, è pure intimamente congiunta con la Chiesa:
la madre di Dio è figura della Chiesa, come già insegnava sant'Ambrogio, nell'ordine cioè
della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo (Deipara est Ecclesiae typus, ut iam
docebat S. Ambrosius, in ordine scilicet fidei, caritatis et perfectae cum Christo unionis,
AMBROGIO, Expos. Lc. II,7) Infatti nel mistero della Chiesa, la quale pure è giustamente
chiamata madre e vergine, la beata vergine Maria occupa il primo posto, presentandosi in
modo eminente e singolare quale vergine e quale madre (LG 63).
Certamente, nel fatto che il concilio ha voluto trattare la mariologia nell’ecclesiologia si può
riconoscere l’apporto di alcuni grandi studiosi, come H. Rahner, A. Müller, R. Laurentin e K.
Delahaye, che hanno contribuito al rinnovamento della mariologia e dell’ecclesiologia. Ma in
particolare si deve a Hugo Rahner, di aver insegnato a vedere nuovamente «il mistero di
Maria nella Chiesa e il mistero della Chiesa in Maria», dimostrando che in origine la
mariologia era stata pensata e organizzata dai Padri anzitutto come ecclesiologia59. Come
infatti la Chiesa infatti è anticipata in Maria, Maria a sua volta reca in sé il mistero della
Chiesa e ne è il modello: «Questo è il grande mistero che i Padri onorano nella Chiesa. Essa è
la madre di Cristo. [...] La Chiesa genera la vita conforme a Cristo. La Chiesa è il grande seno
materno della vita eterna. Ma la vita eterna è unità con Cristo che continua a vivere
misticamente e sacramentalmente nella Chiesa60.
2.3. Alcuni temi patristici nella Dei Verbum
Nella Dei Verbum, sono presenti 16 riferimenti in nota ad autori patristici, e tra questi 6 sono
citazioni di Agostino e 4 di Ireneo. Anche in questo caso, per comprendere il significato della
presenza dei Padri non è sufficiente fermarsi alle citazioni, occorre invece un orecchio
allenato, capace di percepire, sullo sfondo della dottrina enunciata, l’uso di una tradizione che
trois premiers siècles (Unam Sanctam 46) Cerf, Paris 1964; M. AUGÉ, Alcune immagini della Chiesa nella
tradizione eucologica romana, «Claretianum» 14 (1974) 53-82; G. ZIVIANI, La Chiesa madre nel Concilio
vaticano II, Ed. PUG, Roma 2001. Sebbene il tema della Chiesa-Sposa sia rimandato in secondo piano rispetto a
quello di popolo di Dio, si trova accennato in LG 6, 7, 9 e 39 (cfr. H. DE LUBAC, La costituzione “Lumen
gentium”, 72-73, dove si possono trovare molti riferimenti patristici).
59
Cfr. H. RAHNER, Maria und die Kirche, Verlagsanstalt Tyrolia, Innsbruck 1962; tr. It. Maria e la Chiesa.
Indicazioni per contemplare il mistero di Maria nella Chiesa e il mistero della Chiesa in Maria, Jaca Book
1974, 12. Karl Rahner, nella lettera d’augurio per il fratello Hugo in occasione del suo 65° compleanno,
scriveva: «Se oggi, nel Vaticano II la Chiesa presenta la propria mariologia all’interno dell’ecclesiologia, ciò
significa che il tuo piccolo libro Maria e la Chiesa merita ancora di essere letto... (chi oltre a te, a quel tempo ha
trattato in maniera tanto esplicita questo argomento?)» (testo riportato in K.H. NEUFELD, Hugo e Karl Rahner,
379). Cfr. J. RATZINGER, L’Ecclesiologia della Costituzione “Lumen gentium” al Convegno Internazionale
sull’attuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II promosso dal Comitato del Grande Giubileo dell’anno 2000,
27 febbraio 2000. In quelle pagine, a proposito dell’ultimo capitolo della Costituzione sulla Chiesa, che tratta
della Madre del Signore e dell’inserimento della mariologia nell’ecclesiologia, si legge: «In questa decisione
sono state messe a frutto le ricerche di H. Rahner, A. Müller, R. Laurentin e Karl Delahaye, grazie ai quali
mariologia ed ecclesiologia sono state allo stesso tempo rinnovate e approfondite. Soprattutto Hugo Rahner ha
mostrato in modo grandioso a partire dalle fonti, che tutta quanta la mariologia è stata pensata e impostata dai
padri prima di tutto come ecclesiologia: la Chiesa è vergine e madre, essa è concepita senza peccato e porta il
peso della storia, essa soffre e nondimeno è già ora assunta in cielo. Molto lentamente si rivela nel corso dello
sviluppo successivo che la Chiesa è anticipata in Maria, in Maria è personificata e che viceversa Maria non sta
come individuo isolato chiuso in se stesso, ma porta in sé tutto quanto il mistero della Chiesa» (L’osservatore
romano del 4 marzo 2000).
60
H. RAHNER, Maria e la Chiesa, 50-51.
18
trova in essi le sue origini61. Mi soffermerò pertanto su alcuni temi fondamentali, come
l’ascolto e l’interpretazione della Parola di Dio, sui quali hanno esercitato nuova attrazione e
fecondità le fonti patristiche.
2.3.1. Una concezione “sacramentale” della Scrittura
Il tema della concezione sacramentale della Scrittura è collocato all’interno del capitolo sesto
della DV, dedicato a La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa. Possiamo subito constatare
che le citazioni dei Padri si trovano solo nell’ultimo numero per corroborare la
raccomandazione alla lettura della Scrittura (DV 21).
La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo,
non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia
della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli (DV 21).
La dottrina qui espressa si comprende appieno solo in riferimento alla cultura patristica, nella
quale era viva la percezione che «Cristo vive nelle Sacre Scritture»62. Questa convinzione è
non solo ben attestata, ma anche continuamente ripresa dalla tradizione. Già Origene era
convinto che «Le Scritture, Antico e Nuovo Testamento, trasportano il Logos di Dio»63 e
Gaudenzio da Brescia era ancora più esplicito quando affermava che «L’intero corpo della
divina Scrittura, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, contiene il Figlio di Dio»64.
L’Antichità, inoltre, ci ha trasmesso una concezione “sacramentale” della Bibbia, che il
concilio ha ribadito quando afferma ‒ riprendendo il tradizionale parallelismo tra Parola ed
Eucaristia ‒ che la Chiesa «ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo
stesso del Signore (Divinas Scripturas sicut et ipsum Corpus dominicum) »65.
Von Balthasar aveva notato come già Origene avesse instaurato uno strettissimo rapporto fra
la presenza eucaristica di Cristo e la sua presenza per mezzo della parola delle Scritture,
manifestando addirittura la convinzione che le parole dell’istituzione eucaristica possono
essere riferite adeguatamente anche alla Scrittura:
Non quel pane visibile che teneva tra le mani, il Dio Verbo chiamava suo corpo, bensì il
Verbo nel cui mistero quel pane doveva essere spezzato. E non quella bevanda visibile
chiamava suo sangue, ma il Verbo nel cui mistero quella bevanda doveva essere versata66.
E, sulla scia di Origene, Girolamo sosteneva:
Io considero l’Evangelo come il corpo di Gesù [...]. E quando egli dice «chi mangia la mia
carne» [...] benché questo possa intendersi anche del sacramento, tuttavia corpo e sangue di
Cristo, in senso più vero, è la parola delle Scritture67.
61
Daniele Gianotti ha dedicato uno studio anche alla presenza dei Padri nella Dei Verbum: D. GIANOTTI, La
Dei Verbum e i Padri della Chiesa, «Parola Spirito e Vita». 58 (2008) 167-184.
62
BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale per il 40° anniversario della
Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione “Dei Verbum”, Venerdì, 16 settembre 2005.
63
ORIGENE, Commento al Vangelo di Giovanni X,30,188.
64
DA
Omne corpus divinae Scripturae, tam veteris quam novi Testamenti, Filium Dei continet (GAUDENZIO
BRESCIA, Secondo discorso sull’Esodo, PL 20,856A).
65
Questo parallelismo tra Parola ed Eucaristia è stato ribadito anche in altri documenti: SC 48, 51 e 56;
AG 6 e 15; PO 18; PC 6.
66
ORIGENE, Commento a Matteo, vol. II, a cura di G. Bendinelli, R. Scognamiglio e M. I. Danieli, Città
Nuova, Roma 2006, 93.
19
E ancora, nel Commento all’Ecclesiaste scriveva:
Poiché la carne del Signore è vero cibo e il suo sangue vera bevanda, secondo il senso
anagogico, questo è l’unico bene nel mondo presente: cibarsi della sua carne e del suo sangue
non solo nel mistero dell’altare, ma anche nella lettura delle Scritture. Vero cibo e vera
bevanda, infatti, è quello che si riceve dalla Parola di Dio, cioè la conoscenza delle
Scritture68.
Origene, che sta all’origine di questo modo di pensare, pur sapendo che la Scrittura non è un
“sacramento” allo stesso titolo dell'Eucaristia e che le due manducazioni si collocano su piani
differenti, è convinto che Eucaristia e Scrittura sono due modi di ricezione dello stesso Logos
e, pertanto, non possono che stare in continuità69. Infatti, la verità della comunione
sacramentale trova la sua verifica nella comunione con la Chiesa e con la sua Parola di Vita70.
2.3.2. Il rispetto per le divine Scritture
A partire da queste premesse, si comprende il rispetto che la Chiesa, fin dall’antichità, ha
tribuito alle divine Scritture, come attesta ancora Origene in un celebre passo dell’Omelia 13
sull’Esodo:
Voi che abitualmente assistete ai divini misteri sapete quale rispettosa precauzione riservate al
corpo del Signore quando vi è offerto, per timore che cadano delle briciole e che una parte del
tesoro consacrato vada perduto. E giustamente vi sentireste colpevoli se, per negligenza,
qualcosa andasse perso. Se dunque quando si tratta del suo corpo, avete a ragione una tale
precauzione, perché la negligenza verso la Parola di Dio dovrebbe meritarvi un minore castigo
rispetto alla negligenza verso il suo corpo?71
Anche Cesario di Arles, così si esprime nel Sermo 7,2:
Fratelli e sorelle, ditemi: cosa vi sembra più grande, la Parola di Dio o il Corpo di Cristo? Se
volete rispondere il vero, dovete dire che la Parola di Dio non è da meno del Corpo di Cristo.
Dunque se siamo solleciti quando ci comunichiamo al Corpo di Cristo perché nulla cada per
terra dalle nostre mani, dobbiamo avere la stessa sollecitudine perché nulla della parola di Dio
che ci viene offerta, vada persa dal nostro cuore a motivo delle nostre chiacchiere o di pensieri
vani. Infatti non è meno colpevole chi ascolta con negligenza la Parola di Dio di colui che per
negligenza lascia cadere per terra qualche frammento del Corpo di Cristo.
È dunque convinzione comune presso i Padri che la Chiesa vive della Scrittura come
dell’Eucarestia. Entrambe sono Corpo di Cristo e nutrimento dell’anima; entrambe
costituiscono un unico Mistero. Entrambe formano la Chiesa, che, a sua volta, è Corpo di
Cristo. È questa la tradizione che giunge fino al Medioevo e viene tramandata ancora da
Tommaso da Kempis nel XV secolo:
67
GIROLAMO, Commento al salmo 147, CCSL 78, Brepols, Turnhout 1958, 337-338.
68
GIROLAMO, Commento all’Ecclesiaste 3,12.13, CCSL 72, Brepols, Turnhout 1959, 278.
69
H.U. VON BALTHASAR, La percezione della forma, Gloria, vol. I, Jaca Book, Milano 1985, 514.
70
Cfr. H.U. VON BALTHASAR, Parola e mistero in Origene, Jaca Book, Milano 1972, 43-44.
71
ORIGENE, In Exodum, hom 13,3.
20
In verità, due cose sento come massimamente necessarie per me, quaggiù; senza di esse questa
vita di miserie mi sarebbe insopportabile. [...] A me, che sono tanto debole, tu hai dato,
appunto come cibo il tuo santo corpo, e come lume hai posto dinanzi ai miei piedi "la tua
parola" (Sal 118,105). Poiché la parola di Dio è luce dell'anima e il tuo Sacramento è pane di
vita, non potrei vivere santamente se mi mancassero queste due cose. Le quali potrebbero
essere intese come le "due mense" (Ez 40,40) poste da una parte e dall'altra nel prezioso
tempio della santa Chiesa; una, la mensa del sacro altare, con il pane santo, il prezioso corpo
di Cristo; l'altra la mensa della legge di Dio, compendio della santa dottrina, maestra di vera
fede, e sicura guida, al di là del velo del tempio, al sancta sanctorum72.
Conclusioni
a. I pochi esempi ai quali ci siamo accostati in queste pagine ci consentono di osservare
anzitutto la casualità, la genericità e l’approssimazione del ricorso ai Padri nei documenti
conciliari. Di fatto, essi vengono spesso citati per semplice accostamento di idee. Anzi,
talvolta nei documenti non vengono neppure ricercati i testi, ma ci si accontenta di un
semplice rimando. Anche la mancanza di uniformità con cui vengono citati e le varianti che si
constatano da un documento all’altro (si cita ad esempio S. Ignatius M. nella Lumen gentium e
S. Ignatius Antiochenus in Sacrosamctum Concilium) sembrano confermare l’ipotesi che la
stesura ha richiesto l’intervento redazionale di più mani, col risultato di uno stile non
uniforme.
b. A giustificazione di tale prassi si possono ricordare le condizioni, non sempre favorevoli ad
una adeguata ricerca, in cui i redattori dei documenti sono stati costretti a lavorare lungo gli
anni conciliari. È significativa, a questo riguardo, la nota con la quale Michele Pellegrino
notava che nel capitolo VI dello schema XIII, sulla presenza della Chiesa nel mondo, la
citazione dell’A Diogneto veniva ripresa dal Migne, come se non fossero esistite edizioni
critiche più attendibili. Questo fatto fa pensare che, in quel contesto, il Migne fosse in realtà
l’unico strumento di cui i redattori potessero effettivamente disporre73.
c. Si può ancora ribadire, come ho già diverse volte osservato, che più importante del numero
di citazioni o dei singoli testi citati è la mentalità e la teologia che informa il discorso del
documento, come del resto anche il linguaggio, molto vicino a quello dei Padri.
d. Un’ultima osservazione riguarda infine proprio la ripresa delle intuizioni dei Padri, che il
concilio non si è limitato ad assumere acriticamente. E questo è particolarmente vero per la
Lumen gentium o la Dei Verbum, dove la dottrina conciliare non coincide con una semplice e
pedissequa riproposizione della teologia patristica, ma rappresenta un reale approfondimento
e uno sviluppo rispetto al pensiero dei Padri, per parlare alla Chiesa nella sua situazione
attuale.
72
TOMMASO DA KEMPIS, Imitazione di Cristo, 4,11.
73
Effettivamente nel testo definitivo di LG 38, in nota appare la citazione di Funk. Cfr. M. PELLEGRINO,
L’étude des pères de l’Église dans la perspective conciliaire, «Irenikon» 38 (1965) 458, nota 1. Cfr. Anche H.
DE LUBAC, La costituzione “Lumen gentium” e i Padri della Chiesa, in Paradosso e mistero della chiesa,
Queriniana, Brescia 1968, 46.
21
Bibliografia
R. AUBERT, La théologie catholique durant la première moitié du XX siecle, in R. VAN DER GUCHT H. VORGRIMLER (ed.), Bilan de la théologie du XXe siècle, vol. l, Casterman, Tournai-Paris
1969-1970, 423-478.
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