IL PUNTO
Le notizie di
LiberaUscita
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N° 68 - Febbraio 2010
SOMMARIO
LE LETTERE DI AUGIAS
1505 - Matrimoni annullati, affare da ricchi
1506 - Una mediazione per il testamento biologico
1507 - Le unioni civili e il concetto di libertà
1508 - Il Belgio non è un paese dall’eutanasia facile
1509 - Non fai religione? Non so dove metterti
1510 - Il buon samaritano e i razzisti di oggi
1511 - Nel paese di “Mario e il mago”
ARTICOLI, INTERVISTE, COMUNICATI STAMPA
1512 - Crocifissi obbligatori: si fa avanti anche il PD - di Cecilia M. Calamani
1513 - Il mio calvario non è finito – di Beppino Englaro
1514 - Per quale famiglia può votare un cattolico? – di Federico Orlando
1515 - Eluana come Neda simboli di civiltà - di Federico Orlando
1516 - Le associazioni laiche scrivono al Consiglio d’Europa
1517 - La religione impedisce di ragionare - di Umberto Veronesi
1518 - Fecondazione eterologa, partono i ricorsi – di Cecilia M. Calamani
1519 - In nome di Eluana - di Beppino Englaro
1520 - Aiutai Eluana a morire, da allora… - di Amato De Monte
1521 - Il testo in discussione è contro la Costituzione - di Umberto Veronesi
1522 - Appello al Presidente della Camera
1523 - Appello per il diritto alla libertà di cura
1524 - Chi comanda sul mio respiratore? di Donatella Chiossi
1525 - Eluana e i cavalieri del miracolo - di Maurizio Mori
1526 - Si chiama “senza legalità” la nuova religione - di Federico Orlando
1527 - PD: il futuro non si costruisce con i teodem – di Arturo Parisi
1528 - L’equivoco teodem - di Franco Monaco
1529 - Regressioni cattoliche - di Franco Monaco
1530 - Che pensiamo di un uomo che uccide per amore – di Adriano Sofri
1531 - Il caso Eluana e la strategia delle illusioni - di Carlo A. Defanti
1532 - Dalla parte della bambina brasiliana - di Cecilia M. Calamani
1533 - Biotestamento: bagarre alla camera - di Caterina Pasolini
1534 - Biotestamento: l’oscurantismo avanza - di Maria Mantello
1535 - Se la vita è senza fede - di Vito Mancuso
I REGISTRI PER I NUOVI DIRITTI CIVILI
1536 - Il registro delle unioni civili all’XI Municipio di Roma
1537 - Il registro dei biotestamenti a San Biagio della Cima
1538 - Il registro dei biotestamenti a Firenze
NOTIZIE DALL’ESTERO
1539 - UK - Nessuna accusa contro le figlie di Jane A. Hodge
1540 - Olanda - in aumento i casi di suicidio assistito
NOTIZIE DALLA ASSOCIAZIONE
1541 - Torino - una nuova rivista: i “quaderni laici”
1542 - Modena – presentato “Ocean terminal”, di Piergiorgio Welby
1543 - Firenze – presentato “Non sono un assassino”, di Frèdéric Chaussoy
1544 - Modena - LiberaUscita al liceo “Carlo Sigonio”
1545 - Sanremo - la verità’
PER SORRIDERE…
1546 - Le vignette di Gianni Carino – gli indagati non si devono dimettere!
1505 - MATRIMONI ANNULLATI, AFFARE DA RICCHI - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di giovedì4 febbraio 2010
Gentile Augias, Benedetto XVI si preoccupa della facilità con cui la Sacra Rota concede la
nullità dei matrimoni. Noi cittadini dovremmo preoccuparci che le decisioni prese da un altro
Stato, il Vaticano, abbiano effetti nel nostro ordinamento. Il regime concordatario, pur rivisto,
comporta ancora forte limitazione di sovranità per il nostro Stato. Nessuno se ne preoccupa, i
politici fanno a gara per conquistarsi il favore della Chiesa, per ovvi motivi elettorali. Lo spirito
laico del Risorgimento, presente anche nella destra storica, è durato poco ed è tramontato
da tempo. Ma non c’è solo questo.
L’istituto dell’annullamento ha aspetti non compatibili con uno Stato di diritto. Retaggio dei
tempi del Papa Re, dichiara il matrimonio mai avvenuto, per un presunto vizio di forma.
Pertanto, produce effetti retroattivi con il conseguente disconoscimento dei diritti del coniuge
al mantenimento, solitamente della moglie. Continua ad essere chiamato divorzio dei ricchi
perché i costi sono tuttora alti, nonostante si dica il contrario. Un processo presso la Sacra
Rota parte da un minimo di 30 mila euro, senza contare i mezzi per sollecitarne
adeguatamente l’iter, ad evitare lungaggini superiori a quelle dei divorzio civile.
Ezio Pelino - [email protected]
Risponde Corrado Augias
Dal suo punto di vista il Papa ha ragione. L’annullamento rotale, costoso che sia, è diventato
piuttosto facile. Lo si è concesso a mogli che rinfacciavano al marito di essere «un
mammone». Amanti che si erano sentiti ingannati perché lei da fidanzata era dolcissima e
dopo le nozze era diventata «rigida, severa, fredda».
A uomini che avevano chiesto alla futura moglie di smettere di fumare e invece no. A donne
che credevano d’aver sposato un laureato mentre lui aveva solo il diploma, e via dicendo.
D’altra parte il numero dei matrimoni civili è in aumento, bisogna reggere la concorrenza del
divorzio.
Ma il vero cuore del problema a mio parere è altrove, cioè nella differenza sostanziale tra
‘annullamento’ e ‘scioglimento’ del matrimonio anche a prescindere dalle conseguenze
patrimoniali cui accenna il signor Pelino.
Annullamento significa che il matrimonio in realtà non c’è mai stato fin dall’inizio,l’atto cioè
non è mai venuto in essere, Lo scioglimento (divorzio) è altra cosa: il matrimonio c’è stato, è
andato avanti per un certo tempo, poi non ha più funzionato, la sua prosecuzione è diventata
penosa o impossibile.
Il diritto della Chiesa guarda al sacramento, il diritto civile guarda alla serenità dei due coniugi
che credevano di poter dividere in armonia ‘il letto e la mensa’ come diceva il diritto romano e
invece si sono resi conto di non poterlo fare. Quando si guarda troppo il Cielo si finisce per
dimenticare che anche i poveri umani hanno diritto a un po’ di serenità, con o senza coniuge.
1506 - UNA MEDIAZIONE PER IL TESTAMENTO BIOLOGICO - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di venerdì 5 febbraio 2010
Egregio dott. Augias, è calato il silenzio sul testamento biologico; forse è un bene, dovrebbe
permettere una pausa di riflessione prima che riprenda il dibattito in Parlamento. Le
discussioni finora hanno avuto un sapore più che altro politico, con i pro e i contro senza
pacatezza e quindi senza mediazioni. E’ ovvio che l’obbligo del sondino è incostituzionale.
Molto meno ovvia la retorica sui «principi non negoziabili». Ma tra i due estremi esistono
tante sfaccettature mai approfondite. Ne indico solo una per brevità: si parla della libertà di
‘<non curarsi». E la libertà di curarsi? Senza testamento biologico le decisioni vengono
affidate a un tutore che si assume ogni responsabilità, foss’anche quella di ‘curare’ il tutelato
nelle cliniche olandesi dove si pratica l’eutanasia. Con il testamento biologico, la persona
avendo «la facoltà di intendere e di volere» può benissimo disporre che non si vuole affidare
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ad «apprendisti tecnocrati» né a «parenti serpenti», bensì vuole continuare ad essere curata
e a rimanere nelle cliniche italiane.
Il testamento quindi amplia, in questo caso, la libertà degli individui.
Marco Comandè – [email protected]
Risponde Corrado Augias
Il signor Comandè ha ragione: l’argomento è stato affrontato con toni da crociata, il peggiore
per la concezione di una legge che deve tener conto della generalità degli interessi e delle
varie sensibilità, oltre che beninteso della Costituzione. Infatti il DdI approvato al Senato è
inaccettabile: la volontà dell’interessato, espressa per scritto, può essere disattesa dal
medico. L’alimentazione via sondino non è considerata ‘terapia’ ma sostegno vitale, dunque
ineliminabile.
Il senatore Domenico Nania (Pdl ascendenza An) ha appena pubblicato un libro
sull’argomento (Koiné ed.) nel quale avanza un’ipotesi possibile di mediazione. La volontà
dell’interessato di non essere curato al di là di ogni ragionevole speranza va rispettata
perché così impongono alcuni protocolli internazionali e (nella sua lungimiranza) la stessa
Costituzione all’art. 32, 2 comma: «Nessuno può essere obbligato a un determinato
trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso
violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Nessun dubbio che l’alimentazione
forzata sia una terapia, trattandosi di una miscela chimica mista di antibiotici e altri
medicamenti. Dunque rientra anch’essa nell’art.32. D’altra parte lo Stato non può far morire
un cittadino in una struttura pubblica. Ergo, il malato dovrebbe essere dimesso, rinviato al
suo alloggio, beninteso con assistenza medica, e che lì si completi il suo destino.
Nania è un costituzionalista, il suo ragionamento è più articolato di come ho potuto
riassumerlo. Ha il merito di smantellare le barricate. Può essere una base su cui discutere.
1507 - LE UNIONI CIVILI E IL CONCETTO DI LIBERTÀ’ - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di domenica 7 febbraio 2010
Caro Augias, ho visto un manifesto 100x70: «Municipio Roma X - Grazie al Popolo della
libertà respinto il registro per le unioni civili. Vince la famiglia, quella vera».
La scorsa settimana era stata sottoposta all’approvazione del Consiglio municipale una
proposta della maggioranza di centrosinistra per consentire ai cittadini di dichiarare, di fronte
ad un funzionario comunale, la volontà di convivere e di sostenersi reciprocamente, aldilà del
loro stato civile e del loro sesso. Alla votazione, il Consiglio si sarebbe spaccato a metà: 9
favorevoli dal centrosinistra e 9 contrari dal centrodestra, 1 astenuto. Risultato: delibera non
approvata.
Le dichiarazioni di convivenza non modificano la legislazione - come non la modificano i
testamenti biologici, anch’essi contestati dal Popolo della libertà - però sono un momento
importante e di serenità per coloro che le rilasciano nonché un fattore di chiarezza nei
rapporti civili. I diritti della famiglia “vera”, quella del matrimonio, religioso o civile, non
vengono scalfiti. Il registro delle unioni rappresenta solo uno spazio di libertà e di
democrazia, cosi come il registro per i testamenti biologici, già istituito dal Municipio XI
malgrado l’opposizione di centrodestra.
Che senso ha dirsi Popolo della libertà se poi la libertà nei fatti viene calpestata?
Giorgio Grossi - [email protected]
Risponde Corrado Augias
Infatti non ha senso. O almeno, non ha il senso che il concetto di “libertà”, ha avuto
nell’illuminismo europeo e nell’utilitarismo britannico dove spicca la figura di J. S. Mill.
Chissà se gli esponenti di quel ”Popolo” hanno mai letto il saggio On Liberty di Mill. Vi si
legge: «La sola libertà che merita questo nome è quella di ricercare il proprio bene a proprio
modo nella misura in cui non si cerca di privarne altri o di ostacolare i loro sforzi per
ottenerla». O anche. «Il solo aspetto della propria condotta di cui ciascuno deve rendere
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conto alla società è quello riguardante gli altri: per l’aspetto che riguarda soltanto lui, la sua
indipendenza è, di diritto, assoluta. Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l’individuo
è sovrano».
Questo tipo di libertà, che impronta la legislazione dei paesi veramente liberali, da noi è
sempre stata scarsa e solo la Costituzione ne ha introdotto alcuni concetti. Basta questo a
spiegare perché quei consiglieri non hanno provato alcuna vergogna nel prendere la loro
decisione. Del resto nei giorni scorsi la candidata di destra Renata Polverini aveva provato a
dichiararsi favorevole a dare riconoscimento alle coppie di fatto. E stata immediatamente
smentita dal sindaco di Roma Alemanno diventato leader dell’ala Teocon ed è passato
dall’assenza di libertà della sua gioventù fascista a quella analoga della sua maturità
clericale.
Commento. Su IL PUNTO del mese scorso avevamo già pubblicato la lettera che in data 31
gennaio il ns. socio Giorgio Grossi aveva inviato a Corrado Augias dal titolo: “Popolo della
Libertà?”. In data 7 febbraio abbiamo letto su “la Repubblica” la sopra riportata risposta di
Corrado. Ad ambedue il grazie di LiberaUscita..
1508- IL BELGIO NON È UN PAESE DALL’EUTANASIA FACILE –DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di venerdì 12 febbraio 2010
Dottor Augias, in una trasmissione delle Iene ho visto un cronista che, in casa di un malato a
Catania, immobilizzato a letto da otto mesi a causa di un incidente, lo ha sottoposto ad uno
stressante interrogatorio; il poveretto doveva reagire aprendo o chiudendo gli occhi, essendo
questa il suo solo strumento di comunicazione. Le domande giravano sul consenso o meno
di Salvatore a recarsi in Belgio per essere sottoposto ad eutanasia data l’impossibilità dei
famiiari di continuare ad assisterlo. L’alternativa dell’ospedale era esclusa a priori dai pur
stressati familiari in quanto il medico aveva detto che stava meglio a casa.
Anche se capitato per caso sul programma, la scena - mi lasci dire - priva di qualsiasi
rispetto per il malato e la superficialità con cui il problema veniva affrontato mi ha spinto a
seguirla finché ho potuto (quindi non fino alla fine).
Lavoro in Belgio da trent’anni, ho seguito l’eutanasia nel Paese. Posso assicurare che non è
al primo venuto in camper che la praticherebbero. E’ necessario il parere di un apposito team
formato da medici nonché da psicologi, il tutto sotto l’egida di una Commissione federale di
controllo. E soprattutto è necessario che la volontà dell’interessato sia stata
precedentemente espressa in maniera chiara nel pieno possesso delle sue capacità.
Dalla data di entrata in vigore della legge, i casi di eutanasia rappresentano solo lo 0,2% dei
decessi.
Pierpaolo Merolla - [email protected]
Risponde Corrado Augias
Il caso cui fa riferimento il signor Merolla è subito rientrato. Si è avuta l’impressione che fosse
stato sollevato con toni così ultimativi soprattutto allo scopo di avere da parte della Regione
un maggior aiuto per accudire un malato tanto grave. Restano, come giustamente fa
osservare il nostro lettore, due altre questioni legate a questo caso.
Il primo è rappresentato dalle Iene che mandano in onda un programma fuori dai denti e
hanno contribuito più volte a strappare la maschera a personaggi mettendone a nudo il vero
volto, lineamenti spesso imbarazzanti, in qualche caso vergognosi. Da questo punto di vista
le Iene sono l’equivalente contemporaneo del teatro satirico dei secoli passati, quello che
metteva i vizi in palcoscenico incarnandoli in certi personaggi esemplari. Proprio per questo
le Iene dovrebbero sapere quando fermarsi essendoci porte che la satira e perfino il
giornalismo devono lasciare chiuse.
Poi c’è il discorso del Belgio che sembra diventato il paese della buona morte a buon
mercato. Non è così. Quando ero a Bruxelles, molti anni fa, riuscii ad ottenere da un medico
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amico la prescrizione per tre farmaci che, assunti successivamente, avrebbero garantito, in
caso di bisogno, un’uscita decorosa e senza dolore.
Ma non è necessario andare in Belgio, qualunque medico sa anche qui di che si tratta.
1509 - NON FAI RELIGIONE? NON SO DOVE METTERTI – DI CORRADO AUGIAS
Egregio dott. Augias, sono mamma di un bimbo di sei anni, prima elementare in una scuola
statale di Roma. Io e mio marito abbiamo deciso di non avvalerci dell’insegnamento della
religione. Negli scorsi anni all’ora di religione usciva con la sua insegnante, poteva fare
disegni e ascoltare storie. Quest’anno nessun insegnante può garantire un suo diritto, quello
di avvalersi dell’ora alternativa. Sono settimane che manifesta malessere. Abbiamo parlato
con lui dicendogli che la religione è una scelta che ognuno dovrebbe seguire fuori dalla
scuola, nelle parrocchie, in chiesa; a sei anni però percepisce solo che lui viene portato in
un’altra classe dove rimane da solo, a fare niente.
Questa mattina mio figlio assisterà all’ora di religione, io e mio marito abbiamo deciso di
mettere da parte i nostri principi per farlo andare a scuola più sereno, ma sono delusa,
arrabbiata. Il preside del Liceo che frequentavo 20 anni fami disse: «Io a te non so dove
metterti, ti parcheggerò da qualche parte come una 500». In tanti anni l’unica cosa cambiata
è il modello della 500.
Alida Leonardi - [email protected]
Risponde Corrado Augias
Tre anni fa la chiesa valdese commissionò alla società demoscopica Eurisko un sondaggio
sulla religiosità degli italiani. Risultati sorprendenti. Per esempio si riscontrò un’ampia
maggioranza favorevole alle coppie di fatto (realtà confermata anche da altre statistiche),
notevoli aperture all’eutanasia, inclinazione a pregare regolarmente. Tre dati che delineano
una confortante religiosità laica confermata dal fatto che «sei italiani su dieci (anche cattolici)
pensano che sia giusto che la Chiesa esprima le sue opinioni, ma poi i legislatori devono
decidere in piena autonomia. Il 67 per cento (66 tra i cattolici praticanti) afferma di cercare di
capire le indicazioni della Chiesa cattolica su materie di ordine sociale e politico ma alla fine
agisce secondo la propria coscienza». I dati dimostrano in modo piuttosto convincente che la
maggior parte degli Italiani è più matura dal punto di vista religioso di quanto non la facciano
apparire gli uomini politici, compresi molti di sinistra.
Per quanto riguarda in particolare il problema delicatissimo sollevato dalla signora Leonardi,
il sondaggio accertò che il 70 per cento era «molto o abbastanza» favorevole
all’insegnamento di storia delle religioni in chiave laica e aconfessionale, in sostituzione
dell’insegnamento della confessione cattolica in vigore. Ciò che la signora Leonardi
giustamente reclama come un diritto di suo figlio è dunque confermato anche da un’ampia
maggioranza di Italiani.
Il resto è pigrizia. disorganizzazione, supina acquiescenza.
1510 - IL BUON SAMARITANO E I RAZZISTI DI OGGI - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di sabato 20 febbraio 2010
Caro Augias, la maggioranza degli italiani frequenta a scuola l’ora di religione. E’ dimostrato
però che molti italiani non conoscono la loro religione. Sorprende comunque il razzismo più o
meno consapevole di molti cristiani. Quando leggo sui muri frasi razziste, mi chiedo: è
possibile essere difensori della cultura cristiana e razzisti? Un razzista che si ritiene cristiano
dovrebbe essere condannato a leggere ogni giorno la parabola del buon Samaritano.
Come si riconosce un razzista? Il razzista è uno che ritiene di appartenere a una razza
superiore e detesta i neri, i musulmani, gli omosessuali, gli ebrei e tutti i popoli che considera
inferiori. Se i “razzisti cristiani” avessero letto il Vangelo avrebbero saputo cosa rispose Gesù
quando gli chiesero qual è il più grande comandamento: “Ama Dio e il prossimo tuo come te
stesso”. “Chi è il nostro prossimo?”. Gesù rispose con la parabola del buon Samaritano.
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Ricordiamo che Gesù era ebreo e parlava agli ebrei. I samaritani in quel tempo erano
disprezzati dagli ebrei perché erano diversi come etnia e religione. E come se oggi Gesù ci
raccontasse che i due “buoni cristiani” scapparono quando videro il ferito, mentre il “cattivo”
musulmano lo salvò.
Gianfranco Dugo - franco.eripac@gmaLcom
Risponde Corrado Augias
Condivido il giudizio del signor Dugo sulla vasta ignoranza religiosa di molti cattolici italiani.
In genere tutta la loro cultura in materia si limita a quattro favolette edificanti. Fanno
eccezione ovviamente i gruppi di discussione biblica e di preghiera ma si tratta di minoranze.
La parabola del buon Samaritano invece avrebbe ancora oggi valore rivoluzionario. Luca (10,
30-37) la racconta così (riassumo): «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e
incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero lasciandolo mezzo morto. Un
sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre. Anche un
levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano passandogli accanto
lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite; poi, caricatolo sopra la
sua giumenta, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due
denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo
rifonderò al mio ritorno”.
Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti? Quegli
(un dottore della Legge - nda) rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’
e anche tu fà lo stesso”». Il senso del racconto sfugge se non si tiene conto della forte ostilità
allora esistente tra Giudei e Samaritani considerati veri e propri pagani.
Il razzista cristiano rappresenta una contraddizione vivente con lo spirito del vangelo e
dovrebbe avere vergogna.
1511 - NEL PAESE DI “MARIO E IL MAGO” - DI CORRADO AUGIAS
Gentile Augias, sono un cittadino dell’Italistan. Vivo a Milano 2, in un palazzo costruito dal
presidente del Consiglio. Lavoro a Milano in un’azienda di cui è azionista il presidente del
Consiglio. L’assicurazione dell’auto è del presidente del Consiglio, come l’assicurazione della
mia previdenza integrativa. Compro il giornale, di cui è proprietario il presidente del
Consiglio, o suo fratello, che è lo stesso. Vado in una banca del presidente del Consiglio.
Esco dal lavoro faccio spese in un ipermercato del presidente del Consiglio, dove compro
prodotti realizzati da aziende partecipate dal presidente del Consiglio. Se decido di andare al
cinema, ho una sala del circuito di proprietà del presidente del Consiglio dove guardo un film
prodotto e distribuito da una società del presidente del Consiglio (questi film godono anche di
finanziamenti pubblici elargiti dal governo presieduto dal presidente del Consiglio). Se
rimango a casa, guardo la tv del presidente del Consiglio con decoder prodotto da società
del presidente del Consiglio, dove i film realizzati da società del presidente del Consiglio
sono interrotti da spot realizzati dall’agenzia pubblicitaria del presidente del Consiglio. Faccio
il tifo per la squadra di cui il presidente del Consiglio è proprietario. Guardo anche la Rai, i cui
dirigenti sono stati nominati dai parlamentari che il presidente del Consiglio ha fatto eleggere.
Se non ho voglia di tv, leggo un libro, la cui editrice è di proprietà del presidente del
Consiglio. E il presidente del Consiglio a predisporre le leggi approvate da un Parlamento
dove molti dei deputati della maggioranza sono dipendenti e/o avvocati del presidente del
Consiglio, il quale governa nel mio esclusivo interesse.
Per fortuna!
Antonio Di Furia - [email protected]
Risponde Corrado Augias
Questa lettera è ovviamente un apologo, ma come spesso succede, rispecchia la possibile
verità di una vita che potrebbe svolgersi proprio come il signor Di Furia scrive. Una volta si
diceva che Torino era una città Fiat-dipendente nel senso che ogni attività e ogni
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passatempo (compreso il calcio) facevano capo a quella grande industria. Oggi potremmo
dire che l’intera penisola dipende in qualche modo dalle attività del presidente del Consiglio.
Cosa che, in questa parte del mondo, succede solo da noi. Perché? Perché l’uomo, per tanti
aspetti goffo fino al ridicolo, possiede indubbia genialità, e altrettanta sfrontatezza, quando si
tratta dei suoi affari. Ma abilità e sfrontatezza non sarebbero bastate se non si fosse trovato
davanti un popolo provato da anni di corruzione e di cattiva politica, pronto a consegnarsi al
‘mago’ che pareva tirar fuori dal cilindro la soluzione di ogni problema.
C’è una bella novella di Thomas Mann che bisognerebbe rileggere: ‘Mario e il mago’,
appunto.
1512-CROCIFISSI OBBLIGATORI: SI FA AVANTI ANCHE IL PD - DI CECILIA CALAMANI
da: www.cronachelaiche.it di martedì 2 febbraio 2010
Qualcuno lo chiama provocatoriamente Partitus Dei e in effetti il Pd, o almeno una sua parte
consistente, dimostra in molte circostanze di essere asservito al verbo vaticano. Timoroso di
assumere posizioni invise all’elettorato cattolico e cavalcando un’incertezza che spesso
rischia di paralizzarne l’azione, il Pd oscilla tra l’anima laica riportata nero su bianco sul suo
Manifesto dei valori e una dipendenza, che sembra vitale, dall’approvazione di oltretevere.
‘Vorrei ma non posso’, sembra sospirare su ogni questione di diritti e laicità, laddove non si
capisce a cosa si riferisca il ‘vorrei’ e, di conseguenza, il ‘non posso’.
Il tema crocifissi ne è un fulgido esempio. 11 senatori del Pd (Ceccanti, Chiti, Chiaromonte,
Del Vecchio, Di Giovan Paolo, Giaretta, Lumia, Maritati, Pinotti, Tonini e Treu) hanno
presentato un disegno di legge dal titolo “Norme generali sulla affissione di crocifissi nelle
aule scolastiche sulla base del principio di autonomia delle istituzioni scolastiche, in analogia
alla legislazione bavarese e alla giurisprudenza castigliana”. Già qui il ricorso alla
legislazione bavarese e castigliana fa un po’ sorridere. Come dire, serve una pezza
d’appoggio per evitare critiche dall’interno. Una excusatio non petita, direbbero i maligni.
Ma la cosa che più ci ha sorpresi è la lettura del testo, un unico articolo molto breve, quasi a
temere che una parola di troppo potesse scardinare l’equilibrio della botta al cerchio e
contemporaneamente alla botte. E per colpire sia il cerchio che la botte alla fine la proposta
non colpisce nè l’uno nè l’altra.
1. In considerazione del valore della cultura religiosa, del patrimonio storico del popolo
italiano e del contributo dato ai valori del costituzionalismo, come segno del valore e del
limite delle costituzioni delle democrazie occidentali, in ogni aula scolastica, con decisione
del dirigente scolastico, è affisso un crocifisso.
Già non si capisce nulla. A parte una ‘cultura religiosa‘ non meglio specificata, chi avrebbe
dato ‘contributo ai valori del costituzionalismo’? E che significa ‘in ogni aula scolastica, con
decisione del dirigente scolastico, è affisso un crocifisso’? Sembra quasi che il dirigente
scolastico sia obbligato a tale affissione, o che non ci sia dubbio che dia il suo assenso.
Ma, ci diciamo, forse la spiegazione la troveremo più in là, perciò proseguiamo la lettura.
2. Se l’affissione del crocifisso è contestata per motivi religiosi o di coscienza dal soggetto
che ha diritto all’istruzione, ovvero dai suoi genitori, il dirigente scolastico, sulla base del
princìpio di autonomia scolastica, nel rispetto dei princìpi di tutela della privacy e di non
discriminazione nonché tenendo conto delle caratteristiche della comunità scolastica, cerca
un accordo in tempi brevi, anche attraverso l’esposizione di ulteriori simboli religiosi.
Avevamo capito bene. Il dirigente scolastico deve appendere un crocifisso e se qualcuno ha
qualcosa da ridire, allora cercherà un ‘accordo in tempi brevi’. Quindi, ad esempio, se uno
studente buddista contesterà il crocifisso, il dirigente disporrà di appendere anche
un’immagine del Buddha. E se la contestazione viene da un ateo? Ma, ci diciamo, anche
questo sarà chiarito nel prossimo comma.
3. Qualora non venga raggiunto alcun accordo ai sensi del comma 2, nel rispetto dei princìpi
di cui al medesimo comma 2, il dirigente scolastico adotta, previo parere del consiglio di
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circolo o di istituto, una soluzione che operi un giusto contemperamento delle convinzioni
religiose e di coscienza di tutti gli alunni della classe coinvolti e che realizzi il più ampio
consenso possibile.
Quindi, se non si raggiunge un accordo si dovrà adottare ‘una soluzione che operi un giusto
contemperamento delle convinzioni religiose e di coscienza di tutti gli alunni della classe’.
Chiarissimo. Un quarto comma al quale demandare la risposta alle nostre domande non
esiste, la proposta di legge finisce qui.
Gli 11 senatori vogliono dunque il crocifisso nelle aule, ma si vergognano talmente di questa
loro impopolare posizione da lasciare del tutto irrisolti i casi che via via si possono
presentare. Sostengono l’obbligatorietà del crocifisso esattamente come i colleghi del Pdl
ma, non avendo il coraggio di assumersene la responsabilità fino in fondo, assumono che:
(a) i presidi lo affiggano su tutti i muri scolastici senza battere ciglio;
(b) se qualche studente protesterà è solo perché diversamente credente, e allora si
provvederà ad affiancare al Cristo in croce altre immagini sacre, significasse anche riempire
tutta l’aula di simboli diversi.
E se poi questi assiomi non risultassero sempre verificati (e c’è da giurare che sarà così), la
soluzione la forniranno i colleghi del Pdl o della Lega. I senatori del Pd ce l’hanno messa
tutta per salvare il crocifisso, più di così non possono fare. ‘Vorrei ma non posso’, per
l’appunto.
A questo punto, sono più dignitose le proposte di legge della maggioranza: il crocifisso s’ha
da tenere, punto. E chi non lo vuole rischia una multa e anche la galera. Ridicolo per ridicolo,
almeno il senso è più chiaro.
1513 - IL MIO CALVARIO NON È FINITO – DI BEPPINO ENGLARO
Intervista di Elena Lisa – da : www.lastampa.it di martedì 2 febbraio 2010
La legge sul testamento biologico è in questo momento all’esame della commissione Affari
Sociali della Camera, dopo che il Senato ha approvato in marzo un disegno di legge in 9
articolo L’esame è ripreso il 12 gennaio dopo l’interruzione per le vacanze di Natale e resterà
in calendario tutta la settimana per discutere gli emendamenti all’articolo 3, il più delicato,
che prevede «Contenuti e limiti della dichiarazione anticipata di trattamento». Secondo un
sondaggio della scorsa settimana, gli italiani favorevoli ad una legge che istituisca in Italia il
testamento biologico sono l’81,4%. Sul lago di Lecco le nuvole incombono e l’azzurro del
cielo si fa vedere di rado. Sulle sponde, dove l’aria è gelida, ci sono anatre, cigni, gabbiani. E
poi la gente, i lecchesi. Quando ti sono quasi di fronte sorridono. Qualcuno addirittura si
ferma: «Grazie, signor Englaro, per quello che sta facendo per noi».
Il padre di Eluana si toglie il cappello e stringe la mano all’uomo che lo ha appena salutato,
seduto su una carrozzella spinta dalla figlia. «Mio padre, da quando ha avuto un ictus, non fa
che ripetercelo: “Sia chiaro: se dovesse capitarmi di nuovo e non dovessi farcela, io bloccato
in un letto d’ospedale come quella povera ragazza non ci voglio stare”». È passato quasi un
anno da quando Eluana è morta, il 9 febbraio 2009. E oggi l’animo del padre di «quella
povera ragazza» assomiglia al cielo sopra Lecco: grigio, ma percorso da sprazzi di luce.
Signor Englaro, che effetto le fa essere riconosciuto per strada?
«Sono sotto i riflettori da anni, senza volerlo. Non ho velleità personali. L’unica cosa che mi
interessa è difendere mia figlia e la mia famiglia. Per mesi sulla tomba di Eluana non ho
messo neppure una foto: volevo evitare che diventasse la meta di un pellegrinaggio di curiosi
e sconosciuti».
Ma lei come sta?
«Non lo so. Non me lo chiedo da anni. E poi non conta come sto io».
Se non questo, che cosa conta per lei, adesso?
«Arrivare a una legge sul testamento biologico che tuteli tutti e, dopo quel che è accaduto
alla mia famiglia, informare l’opinione pubblica e fare in modo che nessuno dimentichi. Il
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compito del Parlamento è legiferare davanti alla corte suprema per eccellenza: il giudizio dei
cittadini. Questo oggi è il mio calvario, il senso della vita e della morte di Eluana: lottare per
una legge decente che consenta ai cittadini di poter decidere per loro stessi. Perché il
tormento più grande è essere costretto a scegliere per chi ami».
Lei, in quest’anno, non ha mai avuto dubbi su quello che ha fatto?
«Mai. Mia figlia parlava, spiegava, argomentava di ciò che avrebbe voluto per se stessa nel
caso fosse rimasta incosciente. E lo faceva con una chiarezza tale che fingere di pensare
che le sue parole fossero lo sfogo di una persona non ancora matura, sarebbe stata - quella
sì - la più grande crudeltà che si potesse commettere contro di lei. Parlo da padre e da
essere umano».
Eluana non c’è più. Lei da un anno non la vede, non l’accarezza, non le parla e nemmeno
può sperare in un miglioramento, un risveglio, un miracolo. Le manca?
«Mia figlia non c’è più dal giorno dell’incidente. Dal 9 febbraio dell’anno scorso non è più
stata violentata da mani altrui e da terapie senza scopo. Nessuno di noi, per 17 anni, ha mai
sperato in un miracolo. Questa è la linea guida che il nostro Stato sembra aver smarrito: non
si può obbligare qualcuno a restare in attesa di un prodigio. Chi se la sente è libero di farlo.
Altrettanto deve esserlo chi crede nella scienza e non vuole restare sospeso in una
condizione di non vita».
Che cosa significa per lei passare davanti all’ospedale dove Eluana è stata ricoverata per
tanti anni?
«Non ci passo spesso. Certo non posso restare indifferente. Quel posto era diventato casa
mia. Ma non ho rimorsi, sono in pace con la mia coscienza. Se esiste un Cristo, risponderò a
lui e gli spiegherò che ho fatto tutto seguendo la coscienza che lui mi ha dato».
Lei ha fede, signor Englaro?
«Credo in un Dio misericordioso e compassionevole che ci ha dato il libero arbitrio e la
possibilità di agire secondo coscienza».
Come è cambiata la sua vita da quando Eluana è morta?
«In questo le mie giornate non sono troppo diverse da prima. Sono caotiche, non hanno
orari: faccio convegni, incontri, dibattiti. Gli strascichi giudiziari si stanno risolvendo uno dopo
l’altro: come quell’accusa di omicidio che è stata archiviata ma che per mesi e mesi è stata
una spada di Damocle. Vedo i miei avvocati, facciamo il punto sulle cause di risarcimento
contro tutti quelli che ci hanno calunniato. Ogni giorno ho qualcosa da fare per Eluana, le
occasioni non mancano: dalla canzone di Povia all’impegno sulla legge per il testamento
biologico».
Già, Povia. Non crede che l’aver dato l’ok a un cantante che porterà la storia di sua figlia al
Festival di Sanremo le scatenerà contro altre accuse?
«Si accomodino pure. Prima non avevo tempo per perdermi dietro certe idiozie, oggi mi
manca la voglia. Povia mi ha chiamato dopo aver letto il libro che ho scritto («La vita senza
limiti», Rizzoli). Ci siamo incontrati qui a Lecco. È un ragazzo intelligente, senza pregiudizi.
Si è ispirato a Eluana, ha capito la sua storia nei termini giusti ed è andato oltre le polemiche.
Il resto non mi riguarda. Io, che mi batto per la libertà di scelta, figuriamoci se blocco quella di
un artista».
Lei ha dedicato il suo libro «ai grandi della magistratura italiana non servi di alcun potere»: gli
unici che hanno saputo ascoltarla?
«Gli unici che hanno “voluto” ascoltarmi. Avrebbe dovuto pensarci la politica, ma chissà,
forse non si sentiva all’altezza. Il risultato è che nella società italiana c’è un prima e un dopo
Eluana. Questo lo dobbiamo ai giudici».
Oggi, a sua figlia, che cosa deve?
«Il senso della coerenza e della linearità che mi ha trasmesso. Eluana era come un orizzonte
puro, senza limiti. Limpida come un cristallo fin da quando era bambina, al punto che ci sono
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stati momenti in cui ho temuto potesse infrangersi in mille pezzi. E alla fine è andata così,
quasi che il suo fosse un destino già scritto: è diventata il simbolo di una battaglia di civiltà».
1514 - PER QUALE FAMIGLIA PUỒ VOTARE UN CATTOLICO? – DI F. ORLANDO
da: Europa di martedì 2 febbraio 2010
Cara Europa, ascolto in rassegna stampa che il Giornale dice che il nostro presidente del
consiglio si gioca tutto in questi giorni, tra patrimonio, divorzio, processi ed elezioni. La
medesima rassegna stampa mi informa che la vostra deputata Binetti vi pianta e se ne va,
perché la candidatura di una radicale nel Lazio altera l’originario disegno culturale del Pd.
Immagino che il disegno prevedesse anche la difesa della famiglia, che la Bonino
sfascerebbe. Ma, se non si può votare per il centrosinistra perché c’è Bonino e per il
centrodestra perché c’è il divorzio miliardario più escort, per quale partito familiarista può
votare un cattolico che, come me, è anzitutto un democratico?
Felice Di Lonardo – Roma
Risponde Federico Orlando
Ahi ahi ahi, direbbe Mike Bongiorno.
Guardi, Di Donato, che qualcuno le contesterà di dichiararsi cattolico e “innanzitutto
democratico”. Capisco che lei lo dica riferendosi all’atto politico che dobbiamo fare il 29
marzo, votando: ma stia attento a come parla, guardi quel che sta succedendo nelle censure
e nelle tematiche televisive, e capirà. In ogni caso, le trascrivo le prime righe del Giornale, cui
lei si riferisce: «...Una manciata di giorni nei quali il Cavaliere si gioca tutto, o quasi: un
divorzio con in ballo cifre mai viste in Italia, due processi che arrivano a sentenza e almeno
un altro che va a cominciare in assenza di provvedimenti legislativi di tutela... e subito dopo
la sentenza sul Lodo Mondadori che minaccia di assestare un altro durissimo colpo al pur
ragguardevole patrimonio di Berlusconi, a quel punto intaccato dalle pretese della (presto ex)
consorte».
Le pretese della consorte, mi pare d’aver letto domenica, prevedono fra l’altro un
appannaggio di 3 milioni e mezzo di euro al mese. Mobili e immobili a parte. Affari loro,
naturalmente. Ma lei si immagina quante decine di migliaia di famiglie potrebbero vivere un
intero anno ripartendosi quella somma mensile: senza morire bruciati in un canile come i due
vecchi di Santa Severa che vi pagavano 1500 euro al mese, o senza darsi a fuoco a 35 anni
come il lavoratore di Bergamo che aveva perso il posto?
Beh, siccome il papa ha detto che bisogna salvare il lavoro a chi lo sta perdendo in Sicilia e
in Sardegna, qualcuno (cattolico e laico, di destra e di sinistra e di centro) dovrebbe spiegare
“chi” deve pagare il lavoro a chi lo sta perdendo, visto che lo stato dice di non aver soldi,
perché chi dovrebbe pagare evade le tasse, diventate un privilegio dei disgraziati che vivono
di buste paga.
Mentre l’Italia gaudente e pagana, l’Italia di destra amatissima da non pochi cardinali (anche
quando rifiutano la berlusconiana equiparazione clandestinicriminali), è esente da tasse.
Ha visto lei domenica sul Corriere della sera la fotografia dell’Italia farabutta nella quale
vivremo fino alle prossime barricate? Siamo 41,7 milioni di contribuenti, solo 149 mila
dichiarano più di 150 mila euro all’anno, e di questi 90 mila sono lavoratori dipendenti, 39
mila pensionati, e solo 20 mila autonomi e altri. Le risultano scomuniche o crisi mistiche per
quest’Italia farabutta che può permettersi vite e divorzi “con cifre mai viste prima in Italia”? A
me no.
Le scomuniche e le crisi mistiche le sento per la Bonino, nemmeno per le “veline” che
tornano a affollarsi presso le liste elettorali. Avvenire bacchetta Casini perché
«l’esasperazione della polemica sulla Lega ha portato l’Udc a scelte contraddittorie», «come
quella di schierarsi coi radicali di Pannella e Bonino». Meglio la Lega del dio Po. Meglio il
divorzio miliardario, la fuga dai tribunali, il lungo supplizio dei morti vivi immolati all’idolatria
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della nutrizione e alimentazione forzate (contro la quale lo stesso Giornale di Berlusconi, non
Avvenire, insorgeva ieri con un articolo della deputata-medico Melania Rizzoli).
Meno male che c’è Avatar a farci sognare un mondo migliore; e che, per restare a terra, c’è
una Bonino che col suo prestigio in Europa può aiutarci ad attivare i finanziamenti
dell’Unione per i nostri lavoratori alla fame e, con la sua personale onestà, può garantirci
quella trasparenza quotidiana e particolareggiata della spesa pubblica che eviterebbe una
terza tangentopoli.
1515 - ELUANA COME NEDA SIMBOLI DI CIVILTA’ - DI FEDERICO ORLANDO
da: Europa di mercoledì 3 febbraio 2010
Cara Europa, grazie a La Stampa, che ha dedicato una pagina al signor Beppino Englaro,
padre della nostra carissima Eluana, ci siamo ricordati che quella solare ragazza di Lecco,
ridotta a un intollerabile fantasma dopo 17 anni di tortura inflittale da leggi e fanatismi, finiva i
suoi tormenti un anno fa, grazie a giudici coraggiosi e a un presidente della repubblica non
fuggiasco. Come ha detto Beppino, quei giudici sono stati gli «unici che hanno voluto
ascoltarmi. Avrebbe dovuto pensarci la politica, ma chissà, forse non si sentiva all’altezza».
In ogni caso, anche per noi che viviamo nella vandea italiana di don Abbondio, Eluana è,
come ha scritto il padre, «simbolo di una battaglia di civiltà».
Emma Denzi – Lecco
Risponde Orlando
Cara signora, la storia va avanti grazie ai sacrifici e al martirio di chi si ribella ai totem.
Eluana morì il 9 febbraio. Nella notte tra il 2 e il 3 quel che restava del suo “corpo” fu
prelevato dalla clinica, dove per 17 anni era rimasta legata al suo letto di contenzione,
assistita dalle suore.
Un’assistenza che, se è stata come quella del giovane infermiere verso la paziente
(anch’essa vegetale) nel bellissimo film di Almodovar Parla con lei, ha quanto meno evitato
che il corpo della ragazza si sfasciasse più rapidamente nella materialità della carne
disanimata. Sette volte il padre e la madre di Eluana avevano chiesto per la figlia non una
morte comprata ma una morte legale, ma non fu possibile nel sultanato, dove tutt’oggi si
nega il testamento biologico.
Finalmente, tre sentenze della Cassazione, della corte d’appello di Milano e ancora della
Cassazione aprirono la strada al trasferimento della ragazza in una struttura sanitaria che
sospendesse l’idratazione e l’alimentazione forzata: i due totem ai quali Eluana è stata
sacrificata, come Ifigenia al dio del mare. Ed Eluana morì anche formalmente, nel tardo
pomeriggio del 9 febbraio. Ma nei giorni precedenti s’era scatenata l’orda per evitare che la
sospensione avvenisse.
Berlusconi, per acquisire consensi clericali, diceva che la poveretta aveva i suoi cicli e poteva
aver figli, senza che nessuna delle veline che lo circondano gli ricacciasse quelle parole in
bocca. Voleva addirittura presentare un decreto legge per annullare la sentenza della
Cassazione, Napolitano gli spiegò che queste cose forse si fanno ancora nella foresta
centroafricana, non in uno stato di diritto. Impavido, il sultano trasforma il decreto in disegno
di legge, e al no di Stefania Prestigiacomo in consiglio dei ministri replica che avrebbe
accolto le sue dimissioni. Ne manda il testo a Napolitano, che aveva preventivamente (e
irritualmente) comunicato le sue perplessità; mentre il socialista di Santa Fede Sacconi
spedisce in clinica un colonnello medico dei carabinieri e due anestesisti locali.
Intanto Marinella Chirico, collega del Tg Friuli, guarda e descrive lo sfacelo fisico di quella
che era stata la bella ridente ragazza delle fotografie. E mentre il senato è riunito per
approvare il ddl, arriva la notizia della morte di Eluana. La destra, tra urla isteriche e bava in
bocca come quando il sangue di san Gennaro non si squaglia, dice che è stata
«assassinata» (da capo dello stato, giudici, genitori, giornalisti, medici).
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Dall’anatema senatorio ad oggi, Beppino ha dovuto difendersi dall’odio teocratico che
avrebbe voluto mettere in galera anche lui, non pago d’averci tenuto la figlia 17 anni. Ho
avuto l’onore di incontrare Beppino quando il 23 aprile, coi colleghi giornalisti, gli consegnai il
riconoscimento “cittadino dell’anno” di Articolo 21; e quando il presidente della repubblica ci
invitò al Quirinale alla giornata dell’informazione.
Come vede, cara signora, nel suo grande o nel suo piccolo, ciascuno di noi cerca di tenere in
piedi lo “stato di diritto”, contro l’urto di forze arcaiche e di interessi molto concreti. Ci
illudiamo che, come nelle civiltà avanzate, anche in Italia i diritti dello legge, delle religioni,
delle culture, si concilino dialetticamente nei diritti del cittadino. Eluana è pietra miliare nel
cammino dell’Italia verso quella civiltà.
Come l’iraniana Neda, 26 anni, fulminata dai fanatici del tiranno. A Teheran la chiamano
“angelo della libertà”, mentre i suoi compagni pendono dalle forche di Allah.
1516 - LE ASSOCIAZIONI LAICHE SCRIVONO AL CONSIGLIO D’EUROPA
Su inziativa dell'avv. Mario Di Carlo, della Consulta romana per la laicità delle istituzioni,
come Associazione nazionale abbiamo sottoscritto una lettera aperta al Consiglio d'Europa
per esprimere la piena solidarietà ai giudici della Corte Europea dei diritti umani a seguito del
comportamento insultante di alcuni membri del Governo italiano dopo la nota sentenza sulla
esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche (caso Lautsi).
La lettera è stata firmata da 128 associazioni. Alcune sezioni di LiberaUscita, che sono in
raccordo con le Consulte laiche del loro territorio, risultano già tra le associazioni firmatarie.
I responsabili territoriali di LiberaUscita che non sono venuti a conoscenza dell'inizitiva,
possono comunicare la loro adesione a [email protected] e per conoscenza a noi.
Riportiamo qui sotto la lettera originale inviata al Consiglio d’Europa. (gps)
- To the Council of Europe
- To the Parliamentary Assembly of the Council of Europe
- To the European Court of Human Rights
Rome, February 2nd 2010.
Dear Sir/Madame,
We, Italian and European citizens and associations, are writing to you in order to let other
Europeans listen to our voice loud and clear.
On November 3rd last the European Court of Human Rights, second section, took an
important decision on the case Lautsi v. Italy, granting protection not only to the rights of Mrs.
Lautsi and her kins but also to our rights and those of millions of Italian and European
citizens.
The question under discussion was the imposition for students in Italy to attend lessons in
classrooms dominated by the Crucifix, a religious symbol. This imposition has been found a
violation of articles 9 of the European Convention for the protection of human rights and
fundamental freedoms and 2 of the First Additional Protocol.
The political debate that followed in Italy has been vicious and violent against non-believers,
non-Catholics, heterodox Catholics and, last but not least, the judges of the European Court
of Human Rights.
Individually and on behalf of the thousands members of our groups and millions of other
Italians we would like to thank the European Court and apologize for the insulting behaviour
of Italian government members. We hereby dissociate ourselves from their speeches and
comments.
Our country suffers more and more the political influence of the hierarchy of the Catholic
church. The fewer people follow their directives the more they demand, call for privilege and
taxpayers’ money, raise their voice in order to impose their will on non-Catholics’ lives and
behaviours. Moreover most political leaders are keen to accept their requests disrespectful of
rights and liberties, lives and personal stories, beliefs and choices of millions of citizens.
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That’s by now the rule, for example, regarding religious symbols, religious teaching in
schools, legal protection for same sex couples, freedom of marriage, freedom of divorce,
medically assisted procreation, advanced healthcare directives, living wills, public funding of
Catholic religious activities.
Some of us are believers and we all do respect believers, but we cannot accept one religion,
not even the most powerful, to be imposed to everyone.
This principle of religious freedom and secularity of public institutions (laicità) is enshrined in
the Italian Constitution itself, is part of our history as Italian and European citizens. With the
help of our fellow Europeans we will do our best to keep our pace on the road of freedom,
democracy, equal social dignity for everybody.
Yours sincerely
Coordinamento Nazionale delle Consulte per la Laicità delle Istituzioni – Tullio Monti;
UAAR - Unione degli atei agnostici e razionalisti – Raffaele Carcano;
Consulta Romana per la Laicità delle Istituzioni – Carlo Cosmelli;
Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni – Tullio Monti;
Consulta Milanese per la Laicità delle Istituzioni – Donatella De Gaetano;
Consulta della Provincia di Pesaro ed Urbino per la Laicità delle Istituzioni - Raffaele A.
Belviso;
Consulta Triestina per la Laicità delle Istituzioni – Gianni Bertossi;
Consulta Napoletana per la Laicità delle Istituzioni;
Fondazione Critica Liberale – Enzo Marzo;
Tavola Valdese – Maria Bonafede;
Associazione nazionale del libero pensiero Giordano Bruno – Maria Mantello;
LiberaUscita Associazione nazionale – Giampietro Sestini;
Associazione “XXXI ottobre per una scuola laica e pluralista (promossa dagli evangelici
italiani)” – Nicola Pantaleo;
FNISM – Federazione Nazionale degli Insegnanti – Gigliola Corduas;
Comitato Insegnati Evangelici Italiani (CIEI) – Lidia Goldoni;
CIDI Nazionale – Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti – Sofia Toselli;
Italialaica – Mirella Sartori;
Democrazia Laica – Enrico Modigliani;
Società Laica e Plurale – Nico Sferragatta;
Associazione “per la Scuola della Repubblica” – Antonia Sani;
Federazione Giovanile Evangelica Italiana (FGEI) – Ilaria Valenzi;
Associazione Radicale Certi Diritti – Sergio Rovasio;
Associazione Famiglie Arcobaleno – Giuseppina La Delfa ;
WILPF Italia (Women's International League for Peace and Freedom) – Antonia Sani;
Comitato nazionale Scuola e Costituzione – Bruno Moretto;
Coordinamento Genitori Democratici – Angela Nava;
AMI Associazione Mazziniana Italiana;
Exit Italia – Emilio Coveri;
Comitato Torinese per la Laicità della Scuola – Cesare Pianciola;
CRIDES- Centro Romano di Iniziativa per la Difesa dei Diritti nella Scuola ;
Circolo Vegetariano VV.TT., Calcata – Paolo D’Arpini;
Associazione Viottoli - Comunità cristiana di base di Pinerolo – Paolo Sales;
Centro evangelico di cultura «Arturo Pascal», Torino - Jean-Jacques Peyronel;
Circolo Liberalsocialista Carlo Rosselli di Torino – Tullio Monti;
Associazione Culturale “La Meridiana”, Rivoli – Carlo Zorzi;
Associazione Radicale Adelaide Aglietta, Torino - Domenico Massano;
Associaziona Radicale Satyagraha, Torino – Stefano Mossino;
Associazione democratica Giuditta Tavani Arquati, Roma – Sandro Masini;
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Associazione Iran Libero e Democratico, Torino – Yoosef Lesani;
Centro di Documentazione, Ricerca e Studi sulla Cultura Laica “Piero Calamandrei”, TorinoOnlus - Palmira Naydenova;
Arcigay, Napoli;
Associazione “Radicali Napoli - Ernesto Rossi”;
Cantiere per il bene comune, Napoli;
Cellula Coscioni di Napoli ;
Comitato Piero Gobetti, Napoli;
Exit Italia, sez. Napoli;
LiberaUscita, Napoli;
UAAR-Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, Circolo di Napoli;
UDI, Napoli;
Giovani Federalisti Europei, Torino - Elias Carlo Salvato;
Associazione Alternativa libertaria, Fano, Pesaro;
Associazione Omnibus, Fano;
Arcigay Agorà, comitato provinciale, Pesaro;
Centro sociale autogestito Oltrefrontiera, Pesaro;
Cgil Nuovi Diritti, Pesaro;
Circolo A. Labriola, Fano;
Circolo L. Polverari, Fano;
Circolo S. Allende, Fano;
Associazione La scala segreta, Fano;
Centro Donna, Urbino;
Movimento Radicalsocialista, Fano – Pesaro;
ANPI Provincia di Pesaro ed Urbino;
Associazione ZED, Torino;
Gruppo di Studi Ebraici, Torino – Franco Segre;
Agedo (Ass. Genitori e Amici di Omosessuali), Milano;
ANPI, sezione zona 1; C.I.G. Arcigay Milano;
Arcilesbica, circolo Zami, Milano;
Centro Culturale Protestante, Milano;
Associazione radicale Certi Diritti, Milano;
Circolo Carlo Rosselli, Milano;
Circolo La Riforma, Milano;
Circolo Giordano Bruno, Milano;
Ass. Culturale Marxista, Milano;
Associazione radicale Enzo Tortora, Milano;
Giuristi Democratici;, Milano;
Keshet, vita e cultura ebraica, Milano;
ICEI (Istituto di Cooperazione Economica Internazionale), Milano;
Ass. La Conta, Milano;
Ass. La Rosa Bianca, Milano;
Le Sarte di Corso Magenta, Milano;
Libera Università delle Donne, Milano;
Saveria Antiochia, Milano;
Omicron, Milano;
UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) circolo di Milano;
AICS – Associazione Italiana Cultura e Sport, Comitato Provinciale di Torino;
Arcigay Torino;
Altera, Torino;
ARCI Nuova Associazione Torino;
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Associazione Amici della Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni;
Associazione Ippocrate, Torino;
Associazione Luca Coscioni Cellula di Torino;
AssoNatura, Cortazzone (AT);
Associazione Silvio Pilocane, Torino;
Associazione Socialdemocratica Giuseppe Saragat, Torino;
CUB Scuola, Torino;
Associazione Il Muretto, Torino;
CEMEA Piemonte;
Centro Evangelico di Cultura Lodovico e Paolo Paschetto, Torino;
Coordinamento TorinoPride GLBT;
FNISM– Federazione Nazionale degli Insegnanti, sez. Roma;
Famiglie Arcobaleno, Torino;
Circolo Ettore Valli, Torino;
Associazione “XXXI ottobre per una scuola laica e pluralista (promossa dagli evangelici
italiani)”, sez. Torino;
UAAR-Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, Circolo di Torino;
Exit Italia, sez. Torino;
UISP Torino – Unione Italia Sport per Tutti;
COOGEN – Coordinamento Genitori Nidi, Materne, Elementari, Medie, Torino;
Casa delle donne di Torino;
Associazione Oltre il razzismo, Torino;
Unione Culturale Franco Antonicelli, Torino;
AMI Associazione Mazziniana Italiana, sez. Torino;
Il girasole, Torino;
Lambda, Torino;
Associazione nazionale del libero pensiero Giordano Bruno, sez. Torino;
FNISM– Federazione Nazionale degli Insegnanti, sez. Torino;
Centro Yoga Shanti Marga;
Circolo di cultura GLBT Maurice, Torino;
LIDH Italia – Ligue Interregionale de droit de l’homme, Torino;
Sotto la Mole, Torino;
Fondazione ReligionsFree Bancale Onlus, Civitavecchia (RM) – Vera Pegna;
LiberaUscita , Torino
LiberaUscita , Modena
LiberaUscita , Emilia Romagna
1517 - LA RELIGIONE IMPEDISCE DI RAGIONARE - DI UMBERTO VERONESI
da: www,corriereonline.it di venerdì 5 febbraio 2010
La religione impedisce di ragionare mentre la scienza vive nella ricerca della verità. Sono
mondi molto lontani. Umberto Veronesi, nel corso di Sky Tg24 Pomeriggio, ha spiegato i
motivi che, da scienziato, lo hanno portato ad allontanarsi dalla fede.
«Scienza e fede non possono andare insieme - ha affermato l' oncologo - perché la fede
presuppone di credere ciecamente in qualcosa di rivelato nel passato, una specie di legenda
che ancora adesso persiste, senza criticarla, senza il diritto di mettere in dubbio i misteri e
dogmi che vanno accettati o, meglio, subiti».
Secondo Veronesi, infatti, la religione, per definizione, è integralista, mentre la scienza vive
nel dubbio, nella ricerca della verità, nel bisogno di provare, di criticare se stessa e riprovare.
In sostanza, è la sua tesi, si tratta di due mondi e concezioni del pensiero molto lontani l'uno
dall'altro, che non possono essere abbracciati tutti e due. Nel corso della trasmissione
l'oncologo ha poi ricordato di venire da una famiglia religiosissima, «ho recitato il rosario tutte
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le sere fino ai 14 anni», ma di aver deciso di allontanarsi, nei primi tempi con grande
difficoltà, dopo aver esaminato a fondo tutte le religioni.
«Perché - ha concluso - mi sono convinto che ogni religione esprime il bisogno di una
determinata popolazione in quel momento storico». (Fonte: Ansa)
1518- FECONDAZIONE ETEROLOGA, PARTONO I RICORSI– DI CECILIA M. CALAMANI
da: www.cronachelaiche.it di sabato 6 febbraio 2010
Pezzo dopo pezzo, la legge 40 sulla procreazione assistita in vigore dal 2004 si sta
frantumando a causa della sua stessa (e prevedibile) incostituzionalità.
Se i referendum abrogativi del 2005 non hanno avuto alcun esito per mancato
raggiungimento del quorum, i ricorsi presentati negli anni hanno ottenuto un maggiore
successo portando alla abrogazione, con la sentenza della Corte costituzionale dell’aprile
2009, del limite di produzione degli embrioni (“non superiore a tre“), dell’”unico e
contemporaneo impianto” da effettuare “non appena possibile” a prescindere dalla salute
della donna e, di conseguenza, della crioconservazione degli embrioni stessi.
Ma un’ulteriore spallata è arrivata anche, nel gennaio scorso, dal Tribunale di Salerno, che
ha stabilito la liceità della diagnosi preimpianto anche per coppie fertili, al fine di evitare
l’insorgenza di gravi malattie genetiche per il nascituro.
Ora sono al via i ricorsi contro il divieto di donazione di gameti maschili e femminili, ossia di
fecondazione eterologa (articolo 4). L’avvocato Maria Paola Costantini, curatrice dei ricorsi
che hanno portato alla sentenza della Corte costituzionale del 2009, a fine marzo presenterà
in vari tribunali italiani le istanze di alcune coppie che, affette da varie patologie genetiche,
chiedono di poter effettuare la fecondazione eterologa per ovviare all’ereditarietà delle loro
malattie.
Il famigerato articolo 4 violerebbe l’articolo 3 della Costituzione, che sancisce l’uguaglianza
tra cittadini. Quelli fertili, o geneticamente sani, sarebbero più ‘uguali’ degli altri, ai quali è
negata la possibilità, per legge, di avere figli o di averli sani. Inoltre favorirebbe il ‘turismo
procreativo’ delle coppie, o meglio di quelle coppie che possono permettersi facoltose
trasferte all’estero per aggirare i divieti della legge. Un’altra discriminazione dunque, e tutta
italiana.
La legge 40 è nata sotto il segno dello scellerato patto politica-religione (cattolica). Ha
applicato, nudi e crudi, i precetti di Santa Romana Chiesa: l’embrione è una vita e come tale
non può essere congelato; un figlio è l’unione dei gameti della coppia, guai a ricorrere a
donatori esterni (traslando così il concetto di fedeltà coniugale); la diagnosi preimpianto può
portare alla scelta inammissibile di eliminare una vita.
Pazienza se tutto ciò ha messo a serio repentaglio la salute delle donne, sottoposte a una
(devastante) stimolazione ormonale per ogni impianto; pazienza se chi ha potuto è andato in
Paesi più civili ad affermare un diritto negato nel suo; pazienza se molte donne si sono
dovute sottoporre a diagnosi post impianto – magari vanificando, con un aborto terapeutico, il
frutto di tanti sacrifici – perché la diagnosi preimpianto è paragonata all’eugenetica.
Pazienza, infine, se tutto ciò ha creato enormi discriminazioni tra i cittadini.
Impossibile pensare che chi ha varato la legge, l’allora Governo Berlusconi II, fosse in buona
fede. Difficile credere che gli stessi promotori non fossero al corrente della sua
incostituzionalità. Eppure, con l’intento di accontentare le gerarchie vaticane, hanno tentato il
colpo di mano, sperando che un eventuale referendum non raggiungesse il quorum (come
poi è stato, grazie alla campagna battente della Cei) e che i cittadini italiani si sarebbero
presto assuefatti a una legge inumana, discriminatoria, ingiusta e finanche ridicola.
Ma, in ogni caso, il messaggio alla Chiesa è arrivato chiaro e forte: i vostri valori sono anche i
nostri, noi li difendiamo e li difenderemo sempre. E i voti non si sono fatti attendere. Come
non si faranno attendere ora, alla prossima tornata elettorale.
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Dopo la legge 40 i crocifissi per legge, il no alle coppie di fatto, la negazione
dell’autodeterminazione della persona, i finanziamenti alle scuole paritarie (cattoliche),
vogliamo continuare?
Il medioevo italiano, all’alba del XXI secolo, è in pieno corso. Ci salva solo una carta
costituzionale che qualche illuminato uomo di Stato, reduce da uno dei periodi più infamanti
della nostra storia, ha redatto con ammirevole lungimiranza. Ma ora si sta tentando di
manomettere anche quella, l’unica garanzia che ci rende degni di essere annoverati,
sebbene agli ultimi posti, tra i Paesi civili.
1519 - IN NOME DI ELUANA - DI BEPPINO ENGLARO
da: la Repubblica di martedì 9 febbraio 2010
Caro direttore, un anno è passato dalla "fine di un incubo". Era un incubo nostro, degli
Englaro, perché avevamo un componente della famiglia in balìa di mani altrui, contro la sua
volontà. Ma credo che questo incubo familiare sia entrato in molte case. Incontro sempre più
persone che vogliono stringermi la mano, salutarmi e dirmi grazie. Penso che questa gente
abbia capito il senso dei diritti individuali di libertà delle persone. Sono convinto che molti si
siano resi conto del prezzo che abbiamo pagato.
C'è una questione che viene sempre capovolta. Mi sento dire: "Mai più Eluane". E cioè, mai
più contro la sacralità della vita e la sua indisponibilità. Ma, secondo me, è l'esatto contrario.
E cioè, nessuno deve avere il potere di disporre di un'altra vita com'è avvenuto per Eluana. Il
miglior modo di tutelare la vita in tutte le situazioni è affidarne le decisioni a chi la vive. Sia a
chi è in condizioni di intendere e volere, sia a chi non è più capace, ma ha spiegato che cosa
avrebbe voluto per sé. Che cosa mi diceva Eluana? "La morte l'accetto, fa parte della vita,
ma che altri mi possano ridurre a una condizione di non-morte e di non-vita, no, questo non
l'accetto". C'è chi la pensa in maniera diversa, e lo so bene. Ma so bene anche che mentre
Eluana moriva, il Parlamento aveva organizzato una corsa per approvare una norma che
annullasse quello che aveva stabilito la corte di Cassazione.
C'era un giudicato e c'erano dei politici che volevano sovvertirlo. C'era una nostra lunga e
dolorosa battaglia, e c'era chi voleva farne carta straccia. Sembrava che quella legge fosse
indispensabile per gli italiani. Che fosse fondamentale per la salvaguardia ideologica di
alcuni partiti. Adesso io vorrei dire: è passato un anno, e la legge non c'è. Come mai? A che
punto è? Tutta quella forza d'urto lanciata mentre una ragazza moriva dov'è finita?
Vedo che non hanno capito niente: i politici ne fanno una questione di conflitto di poteri, di
chi decide che cosa. Dimenticano che la corte costituzionale s'è già espressa, avallando
l'operato della magistratura di fronte a un cittadino che s'era rivolto a loro per il
riconoscimento di un suo diritto. E se questi politici leggono bene la sentenza del 16 ottobre
2007, capiscono che è perfettamente allineata ai principi della nostra Costituzione.
Se i politici vogliono riappropriarsi, come del resto a loro spetta, del diritto "dell'ultima parola"
su temi eticamente controversi, devono tenere conto di quello che è accaduto sinora. E come
diceva Pulitzer, "un'opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema". I sondaggi
ci sono, dicono che il mio è il sentire comune. E invece questa legge, così come viene
formulata, non tiene e non terrà. E poi come non considerare che anche la terza carica dello
Stato si è espressa sul tema, mettendo in guardia il legislatore da autoritarismi da stato
etico?
I cittadini, come era esasperatamente cittadina Eluana, vogliono essere messi in condizione
di assumersi le loro responsabilità. E non essere trattati come se non fossero responsabili
delle loro scelte di coscienza.
Un anno dopo la morte di Eluana, io voglio semplicemente separare la tragedia privata di
aver perso una figlia dalla violenza terapeutica. Non credo che la medicina giusta sia quella
che offre una "vita senza limiti". Eluana un anno dopo è come un anno fa, o diciotto anni fa:
un simbolo pulito della libertà individuale.
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Ed è nel mio cuore costantemente.
1520 - AIUTAI ELUANA A MORIRE, DA ALLORA… - DI AMATO DE MONTE
da la Repubblica di martedì 9 febbraio 2010 – intervista di Piero Colaprico
Un anno fa c´era alla clinica La Quiete un medico robusto, con il camice slacciato, gli occhi
arrossati, in una sorta di "corazza" professionale. Oggi Amato De Monte, anestesista,
primario, l´uomo che osservò Eluana spegnersi e ne avvisò il padre è - come successo a non
poche persone dopo quella tragedia personale e collettiva - un uomo cambiato.
Professore, c´è una domanda che s´impone: quali contraccolpi ha avuto dalla storia di
Eluana?
«Pensavo che nella fase acuta, del tritacarne tra politica e telegiornali, avessi quasi quasi
dominato la situazione meglio di quanto pensassi. Invece allora ero sotto stress e dovevo
essere presente, reagivo. Le cose più pesanti sono venute fuori dopo».
Non si riferisce solo all´inchiesta...
«No, anche se quando sono partite le denunce di omicidio, sono rimasto di stucco. È stata
anche brutta da sopportare la consegna del silenzio, in modo da essere rispettosi
dell´indagine. Terribile poi non poter ribattere al "battage" sul fine vita, a libri e articoli con
cose inventate di sana pianta. E che dire della scorta?».
Due mesi di scorta per timore di qualche pazzo...
«Queste difficoltà mi hanno un po´ minato. A uno come me non andava proprio giù di essere
accusato e indagato per aver fatto una cosa che era "passata in cassazione". Solo in Italia
sembrava non aver valore. Tutto alla fine passa, ma è che mi è successo quello che
annunciava Borasio».
Il professore Borasio, milanese, cattolico, palliativista, e consulente della Chiesa tedesca sul
"testamento biologico", che oltre le Alpi approvano.
«Già, da collega mi aveva avvertito. Ti arriverà l´onda del lutto, lasciala passare. Io pensavo
di non essere toccato, non è mia parente, mi dicevo. E noi medici, un po´ come alcuni di voi
giornalisti, ne vediamo da vicino di cose terribili. Invece un giorno mi sono scese le lacrime,
copiose».
Come se l´è spiegato?
«Per me, ora come allora, Eluana è morta diciassette anni prima, per l´incidente d´auto. Non
sottovaluto il condizionamento mediatico. Anzi, faccio fatica a dire che Eluana non sia la
persona virtuale di cui si vedono le foto dovunque, ma è quel povero essere... Quante
menzogne sono state diffuse sulla sua salute, io lo so bene, eppure "vedo" l´Eluana delle
foto».
Lei è cambiato come medico?
«Sì, certo. Prima con le persone ero più controllato, più riflessivo. Ora mi viene più facile
parlare con i parenti, mi è più facile trovare le parole per ricordare che la morte è l´unica cosa
certa che abbiamo nella nostra vita».
E sulla vita e la morte? Ha trattato Eluana come doveva o...?
«Il mio punto di vista medico non è cambiato, ero e resto sicuro che in quella stanza ho
assistito a un processo di morte naturale. Non occorre essere anestesisti o grandi specialisti
per capirlo. Lo spegnersi Eluana per la sospensione della nutrizione e dell´alimentazione è
molto simile alla morte a casa sua dell´anziano, che non si alza dal letto, a cui si
affievoliscono funzioni vitali. È che prima non me ne occupavo, lavoravo molto nella terapia
intensiva. Adesso mi sono accorto che anche accompagnare alla morte una persona, senza
farle perdere dignità, è importante».
Non ha tenuto un diario?
«Avevo preso degli appunti. E sa la cosa strana? Con mia moglie, che è stata anche la mia
capoinfermiera (Cinzia Gori, ndr) un po´ evitavamo di parlare delle nostre sensazioni, dei vari
episodi, forse per non stare a rivangare. Ma poi scopro che anche lei ha preso appunti. Ci
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siamo detti delle cose che entrambi abbiamo vissuto. "Ma perché non me l´hai detto subito?",
ci siamo chiesti, ma non esistono risposte in un episodio come questo, che non è passato
liscio sulle nostre vite».
Fatene un libro più serio degli altri che contestate, o no?
«Sì, uscirà tra un paio di mesi. Esiste un prima e un dopo Eluana, descrivere per onore di
documentazione e raccogliere le nostre emozioni ci serve».
1521 - IL TESTO IN DISCUSSIONE E’ CONTRO LA COSTITUZIONE - DI U. VERONESI
da: la Repubblica di mercoledì 10 febbraio 2010
«Penso che Beppino Englaro abbia dato al Paese una grande lezione di civiltà. Invece di
risolvere il suo dramma nell´ombra ha scelto di portarlo nell´agorà, sapendo di esporsi così
alle accuse, anche infamanti, di chi non la pensa come lui. Per questo ho deciso, un anno
dopo, di dare la mia adesione al Comitato scientifico dell´associazione "Per Eluana" (www.
pereluana.it)». Umberto Veronesi è tra i nomi prestigiosi che hanno aderito alla neonata
associazione presieduta da Beppino Englaro, con lo scopo di tutelare il diritto individuale a
una scelta libera e consapevole sull´accettazione dei trattamenti sanitari.
Professor Veronesi, un anno fa moriva Eluana. La discussione sulla fine della vita e su chi
deve decidere, per che cosa, è entrata ormai in tutte le famiglie.
«Quando in Senato è giunta la notizia della fine della tragedia di Eluana ho sentito il dovere
morale di esprimere pubblicamente il mio sostegno alla battaglia di Beppino Englaro per il
rispetto della libera volontà di sua figlia. Tutta questa vicenda è servita a far nascere una
nuova consapevolezza. Sono migliaia le persone che hanno capito il significato del
testamento biologico, lo hanno scaricato da internet e lo hanno consegnato a loro persone di
fiducia. E altri continuano a farlo».
Cosa pensa della proposta attuale di regolamentazione dell´espressione delle volontà
anticipate, cioè di testamento biologico?
«Penso che se fosse approvata peggiorerebbe la situazione. Perché in pratica, imponendo
l´alimentazione e idratazione forzata, vieterebbe a tutti i cittadini di dire lucidamente "no" alla
vita artificiale, come era lo stato vegetativo permanente di Eluana. Sarebbe una legge
anticostituzionale perché tradirebbe il principio della libertà dei cittadini di poter rifiutare
qualsiasi trattamento».
(intervista di Carlo Brambilla)
1522 - APPELLO AL PRESIDENTE DELLA CAMERA
LiberaUscita ha aderito all’appello per il testamento biologico promosso dal sen. Ignazio
Marino e rivolto al Presidente della Camera dei Deputati on.le Gianfranco Fini. Riportiamo
qui sotto il testo dell’appello..
A: [email protected]
Data: mercoledì 10 febbraio 2010 0.47.03
Presidente Fini,
siamo un'associazione di sostenitori dell'appello per il testamento biologico
(www.appellotestamentobiologico.it) promosso dal senatore Ignazio Marino e da numerose
personalità del mondo giuridico, scientifico e culturale italiano.
La legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, approvata dal Senato sarà presto
all'esame dell'Aula della Camera dei Deputati.
Le scriviamo per invitarLa a non ignorare la nostra voce.
Chiediamo una legge per il diritto alla salute ma contro l’obbligo alle terapie.
Chiediamo una legge laica, tracciata nel solco dell'art. 32 della nostra Costituzione.
Ci auguriamo che il Suo contributo sia determinante nell'aprire una nuova fase di riflessione
e condivisione su un testo che attualmente è contro le evidenze scientifiche e la libertà
individuale.
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Un confronto che consenta di uscire da un’impostazione ideologica, rendendo la legge utile
per le persone in modo che ciascuno possa scegliere liberamente a quali terapie sottoporsi e
a quali rinunciare.
Grazie
p. LiberaUscita
Giampietro Sestini
Segretario nazionale
1523 - APPELLO PER IL DIRITTO ALLA LIBERTÀ DI CURA
LiberaUscita ha aderito altresì al seguente appello pubblico lanciato da numerose e note
personalità laiche, fra cui i ns. soci onorari Corrado Augias, Stefano Rodotà e Umberto
Veronesi, a sostegno del diritto alla libertà di cura sancito dall’art. 32 della Costituzione.
Rispettiamo l'Articolo 32 della Costituzione
Il Parlamento, con molti anni di ritardo e sull'onda emotiva legata alla drammatica vicenda di
Eluana Englaro, si prepara a discutere e votare una legge sul testamento biologico.
Dopo quasi 15 anni di discussioni, chiediamo che il Parlamento approvi questo
importantissimo provvedimento che riguarda la vita di ciascun cittadino. Il Parlamento, dove
siedono i rappresentanti del popolo, deve infatti tenere conto dell'orientamento generale degli
italiani.
Rivendichiamo l'indipendenza dei cittadini nella scelta delle terapie, come scritto nella
Costituzione. Rivendichiamo tale diritto per tutte le persone, per coloro che possono parlare
e decidere, e anche per chi ha perso l'integrità intellettiva e non può più comunicare, ma ha
lasciato precise indicazioni sulle proprie volontà.
Chiediamo che la legge sul testamento biologico rispetti il diritto di ogni persona a poter
scegliere.
Chiediamo una legge che dia a chi lo vuole, e solo a chi lo vuole, la possibilità di indicare,
quando si è pienamente consapevoli e informati, le terapie alle quali si vuole essere
sottoposti, così come quelle che si intendono rifiutare, se un giorno si perderà la coscienza e
con essa la possibilità di esprimersi.
Chiediamo una legge che anche nel nostro Paese dia le giuste regole in questa materia, ma
rifiutiamo che una qualunque terapia o trattamento medico siano imposti dallo Stato contro la
volontà espressa del cittadino.
Vogliamo una legge che confermi il diritto alla salute ma non il dovere alle terapie.
Vogliamo una legge di libertà, che confermi ciò che è indicato nella Costituzione.
Primi Firmatari
Ignazio Marino, chirurgo e senatore
Giuliano Amato, ex Presidente del Consiglio
Corrado Augias, scrittore
Bianca Berlinguer, giornalista
Alessandro Cecchi Paone, conduttore televisivo
Maurizio Costanzo, giornalista
Guglielmo Epifani, Segretario Generale CGIL
Paolo Franchi, giornalista
Silvio Garattini, scienziato, farmacologo
Massimo Giannini, giornalista
Franzo Grande Stevens, avvocato
Marcello Lippi, Commissario tecnico della Nazionale italiana
Luciana Littizzetto, attrice e cabarettista
Alessandra Kustermann, medico, ginecologa
Miriam Mafai, giornalista e scrittrice
Vito Mancuso, teologo
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Erminia Manfredi, regista
Simona Marchini, attrice e autrice
Rita Levi Montalcini, premio Nobel
Giuseppe Remuzzi, scienziato, immunologo
Stefano Rodotà, giurista
Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano La Repubblica
Umberto Veronesi, oncologo
Mina Welby, delegato municipale ai diritti civili
Gustavo Zagrebelsky, Presidente emerito della Corte Costituzionale
1524 - CHI COMANDA SUL MIO RESPIRATORE? DI DONATELLA CHIOSSI
Il 9 febbraio si è svolta presso la Facoltà di lettere e filosofia di Modena una conferenzadibattito sul tema “Testamento biologico e autodeterminazione terapeutica”. Presenti, tra gli
altri, la nostra vice-presidente nazionale Maria Laura Cattinari e Mina Welby.
Si riporta qui sotto l’intervento, letto dal marito Stefano, di Donatella Chiossi, 56 anni,
ammalata gravemente di SLA, immobilizzata sulla sua carrozzina col respiratore in trachea.
“Mi scuso perché il mio intervento è già preparato ma non conoscevo la tecnologia presente
in questa aula e se c'era la possibilità di fare interagire il mio computer oculare.
Il titolo della conferenza mi ha colpito positivamente perché si parla di autodeterminazione
terapeutica, una sintesi perfetta dei concetti chiave che voglio trattare.
Non voglio trattenermi complessivamente in merito ad una legge sul testamento biologico. È
per questo che affermo del testamento biologico solo il punto nodale, quello che rappresenta
a mio parere il passaggio necessario alla formulazione di una legge veramente
costituzionale.
Per descrivere questo concetto esporrò alcune riflessioni, partendo anche dalla mia
esperienza diretta di malata cronica grave, la cui vita dipende dal corretto funzionamento di
due macchine biomedicali.
La prima riflessione fondamentale è capire che cosa significa LAICITA': a mio parere bisogna
eliminare da questo termine ogni significato stereotipato, affermando che la laicità è un
metodo per affrontare le questioni nell'interesse generale, una visione nuova della politica e
di conseguenza un'attenzione nuova nei confronti dei problemi del paese e dei cittadini. .
Allora cosa può significare, nella nostra repubblica democratica fondata sui principi espressi
nella Costituzione, esprimere nei fatti e quindi nella costruzione di leggi adeguate, il principio
di laicità?
E in particolare, cosa vuol dire essere laici sulle tematiche del corpo, della malattia, del
dolore, della morte, sulle esperienze che appartengono ad ognuno di noi, che non possono
essere "delegate" a nessuno, perché riguardano la libertà di scelta soggettiva?
Qui introduco il secondo concetto che ne è la diretta conseguenza: il principio
all'autodeterminazione.
Abbiamo capito, attraverso le vicende degli ultimi mesi ciò che fa davvero paura al potere: la
possibilità che le persone si approprino del diritto all'AUTODETERMINAZIONE e che
esigano che questo diritto venga tutelato da regole collettive.
Penso che si possa cominciare quindi a praticare il valore della laicità quando si riconosce
nei fatti questo diritto che si fonda sulla unicità e singolarità di ogni essere umano, e quindi
sulla libertà di espressione e di pratica di stili di pensiero e di vita che hanno come limite
invalicabile solo la tolleranza e il più autentico rispetto di tutti gli altri stili di pensiero e di vita.
Se non vogliamo rinunciare a credere possibile una convivenza civile fra diversi ma uguali
nei fondamentali diritti umani è necessario potere assumerci la responsabilità soggettiva in
merito alla malattia, al dolore, alla morte ed esigere da coloro che abbiamo eletto come nostri
rappresentanti ascolto, attenzione, impegno per una rapida elaborazione di proposte
significative e di leggi il più possibile equilibrate.
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Altrimenti il singolo cittadino continuerà a sentirsi lasciato solo davanti a scelte difficili e
dolorose che la vita impone a ciascuno di noi.
Quando mi hanno praticato la tracheotomia mi sono sentita prigioniera di quel tubo. Il tubo
che mi permette di respirare, di vivere, mi aveva resa una malata pubblica cioè dipendente
dagli altri nel caso decidessi per una scelta estrema.
È un mio diritto o no chiedere chi detiene il potere del mio tubo?
I politici fingono di dimenticare che la nostra Costituzione, nata nel 1947, sancisce un diritto
cioè quello della libertà terapeutica, non potendo prefigurare lo sviluppo e la nascita di nuove
cure cioè delle tecnologie mediche passibili o meno di essere interrotte.
Il punto nodale di cui parlavo all'inizio sta proprio nel negare a certe tecnologie, come la
respirazione attraverso una macchina o l'alimentazione e l'idratazione artificiali attraverso un
sondino, il potere da lasciare in mano al malato.
Vorrei mi venisse spiegato perché un malato che è costretto a sottoporsi a dialisi tre volte
alla settimana, che avviene attraverso una macchina, può liberamente salutare i dottori e dire
BASTA! senza paura di essere denunciato e obbligato a riprendere le cure? Eppure anche in
questo caso sopraggiunge la morte.
Perché non si dà la libertà a un malato impossibilitato ad agire perché inchiodato in un letto
di avere la stessa libertà chiedendo di staccare un tubo?
Io sto bene anche se vivere attaccata alle macchine mi crea ansia. Per ora non voglio morire,
ma non voglio che siano le macchine - ovvero altri - a decidere per me. Se un giorno
valutassi che non ce la faccio più, che voglio rinunciare a questa straordinaria tecnologia,
voglio poter essere libera di farlo. E' questo ciò che chiedo e sostengo per tutti.
Il senatore Marino bene mi risponde nel suo ultimo libro:''Condivido questo approccio e da
sempre affermo che l'esistenza di una tecnologia, per quanto sofisticata e utile, non può
rappresentare in sé un motivo sufficiente per il suo utilizzo. La dignità della vita dal suo inizio
alla fine naturale non si difende prolungandola artificialmente ad ogni costo.
Io esigo con fermezza che a un malato si conceda la migliore vita possibile, perché ciò che ti
è dato con la nascita rimanga un dono nonostante tutto da vivere; ma con la stessa forza
esigo che venga affermato il nostro ruolo di 'protagonisti' del doloroso percorso che ci è
toccato.
Io non ho chiesto di ammalarmi, io non ho nessuna colpa di quello che mi è accaduto,
semplicemente sono malata, e cerco con il coraggio e la forza dell'amore di vivere con
dignità e umanità la mia esistenza, ma al tempo stesso desidero uguale rispetto e dignità nel
potere scegliere la mia fine quando la malattia vincerà totalmente sul mio corpo, lasciandomi
solo il tempo del dolore e della sofferenza.
Sono scelte entrambe difficili, quella di vivere malata o quella di morire pur senza soffrire; ma
voglio ricordare che il malato è pienamente responsabile di ciò che chiede e si attende
un'uguale coerenza da parte di chi ha il compito di tutelarci.
E infine un appello a chi è contrario alla legge perché andrebbe contro i propri principi
religiosi. Io rispondo che il testamento biologico non significa contrapporre una visione della
vita a un'altra, non significa arrogarsi un diritto, non significa negare altre concezioni di
pensiero e soprattutto mai nessuno si sentirà obbligato ad usarla.
Al contrario è una legge che include tutti, diversi ma uguali, che mette al centro il rispetto dei
valori della tolleranza e dell'uguaglianza, che mette il soggetto debole nella condizione di
potere affermare la propria volontà e il proprio diritto di scelta, potendolo realizzare nel modo
più tutelato e dignitoso possibile”.
1525 - ELUANA E I CAVALIERI DEL MIRACOLO - DI MAURIZIO MORI
da: l’Unità di sabato 13 febbraio 2010
Al tempo della rivoluzione astronomica erano gli aristotelici che si rifiutavano di guardare nel
cannocchiale di Galileo. Oggi, al tempo della rivoluzione bioetica, sono i vitalisti che si
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rifiutano di considerare i risultati dell’autopsia di Eluana, che ha confermato la distruzione dei
centri nervosi necessari per provare dolore. Infatti, il direttore di Avvenire (9 febbraio, prima
pagina) continua a scrivere della «dolorosissima morte di Eluana Englaro “per
disidratazione”, cioè per sete – così ha certificato l’autopsia» – dove l’ultima clausola prova la
faziosità nel dare informazione.
Un tempo i cattolici aristotelici dicevano chiaramente che la scienza era una diavoleria, oggi i
cattolici vitalisti preferiscono farle un omaggio formale, per poi usare la retorica per riproporre
la sana semplicità del vitalismo prescientifico contrapponendola ai «digrignanti sofismi» di chi
dubita o nega le cose «così chiare» che sono «dentro di noi e nelle comunità di cui facciamo
parte». Proprio come con Galileo, accusato di fare astrusi ragionamenti per negare il fatto più
semplice del mondo: che il Sole gira intorno alla Terra! Proprio non cambia nulla ...
Più specificamente si afferma che «amare la vita umana, difenderla, sostenerla e comunque
e sempre accoglierla e rispettarla è la cosa più semplice di questo mondo. E viene naturale».
Parole che sembrano piane e condivisibili ma che in realtà sono fuorvianti, perché la scienza
ha scomposto la “vita umana” cosicché chi è in Stato Vegetativo Permanente non tornerà
mai più tra noi. Riproporre l’irenica semplicità del passato ora che le condizioni sono
radicalmente mutate diventa un inaccettabile semplicismo che può avere effetti malvagi,
perché si bolla subito come debole (o depravato) chi non riesce o non vuole fare la cosa che
dapprima è presentata come la cosa che «viene naturale» e poi diventa però una «durissima
prova», la quale è sopportata dalle famiglie coraggiose che capiscono che «l’amore aiuta i
“miracoli”».
Ma insistere sul “miracolo” nel caso del Vegetativo Permanente è spargere illusioni e false
speranze in impossibili ritorni. Dire poi che ora le macchine di Liegi trovano «la vita (spirituale
o personale) anche nei “vegetativi”» è una forma di materialismo radicale che mostra i
paralogismi cui porta il continuare a sostenere l’ormai obsoleto vitalismo.
È vero che i vitalisti sono ancora molti nonostante la dottrina sia ormai obsoleta. Le grandi
svolte storiche richiedono tempo: la Chiesa ha impiegato 400 anni per riconoscere di aver
sbagliato con Galileo. E molta gente continua a credere agli oroscopi, ai riti vodoo, alle
nascite verginali e a tanti altri miti dipendenti da visioni obsolete.
«È più facile spezzare l’atomo che un pregiudizio!».
1526 - SI CHIAMA “SENZA LEGALITÀ” LA NUOVA RELIGIONE - DI F. ORLANDO
da: Europa di martedì 16 febbraio 2010
Cara Europa, la onorevole Binetti ha rotto gli indugi e, in nome dei «credenti», ha lasciato gli
spiriti «laici » del Pd (beata lei che li vede) per confluire nelle file dell’on. Casini, dove troverà
l’onorevole Cuffaro, l’on. Mele e altri credenti di uguale purezza. Ora mi domando se, in un
momento che vede l’Italia travolta da una seconda e più vasta tangentopoli, non dei partiti
ma della società civile e delle istituzioni, governo in testa, appellarsi ai «credenti» e non ai
democratici, per costituire un grande partito di centro, sia la cosa più giusta e urgente.
Maria Teresa Cingali – Milano
Risponde Federico Orlando
Cara Signora, la onorevole Binetti è naturalmente padrona, come ogni altro, di pensare quel
che vuole; e, naturalmente, anche di portare in politica categorie che con la politica, da quasi
tre secoli in Occidente, non c’entrano più: come appunto la categoria dei credenti.
Sono le società teocratiche, a parlare di credenti invece che di cittadini, e di “partiti di Dio”.
Siccome la onorevole auspica di ricomporre la Dc di sessant’anni fa, le dirò che sessant’anni
fa lei forse non c’era, ma io purtroppo sì, e ricordo bene il linguaggio di De Gasperi, che
forgiò il partito democratico cristiano vincente. C’era anche allora chi voleva fare il partito dei
credenti, era Gedda, che perse nonostante il sostegno delle tonache.
Il partito democristiano era un partito di cittadini, non di credenti. C’erano, fra loro, i credenti,
e tanti, ma non era questo che caratterizzava il partito: dove cattolici e laici convivevano in un
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comune progetto politico, non religioso. La onorevole Binetti avrà molte delusioni se spera di
trovare nell’Udc un partito di credenti, come li intende lei; mentre è molto probabile che, se
riuscisse a far pesare le sue opinioni in quel partito, e non lo credo, lo renderebbe assai
meno praticabile da altri sul piano delle alleanze: senza le quali non esiste politica.
Lo sapeva benissimo De Gasperi, alleato con tre partiti superlaici, liberali, repubblicani e
socialdemocratici, in attesa di allearsi coi socialisti: che non erano i Sacconi di oggi, e
avevano altro di cui interessarsi che non embrioni e nutrizioni forzate. Certo, bisognerebbe
essere “credenti” (e io non lo sono) per capire ragioni così remote dalla politica come quelle
illustrate dalla signora Binetti.
Ma ci sono in Italia moltissimi credenti, quasi in ogni famiglia ce n’è uno, che esprimono le
loro preoccupazioni “anche di credenti” facendole coincidere con quelle “di cittadini”. A molti
di loro non piace che in piena tangentopoli il papa si occupi di testamento biologico e Betori
di matrimoni gay (ma quali?) senza che da un pulpito si tuoni contro il più turpe mercimonio
di massa che l’Italia ricordi.
Mentre il contribuente (magari anche credente) è caricato di decine di miliardi di euro per
appalti truccati, concessioni alle mafie, donnine da relax, che tutti abbiamo cercato in una
certa fase della nostra vita ma senza metterne il conto a carico di nessuno. Un mercimonio
dove si realizza in pieno quello “sgranamento privatistico” (ne parliamo nella pagina della
cultura, sui 150 anni d’unità) che è diventato prodotto e modello della società berlusconiana,
la cui religione si chiama “A-legalità”: cioè far morire le leggi non applicandole e non
sostituendole con nuove e più idonee leggi, ma con una cultura del fare che si traduce
spesso in rubare, premiare il più ruffiano o il più corruttore, abbattere le frontiere con la
malavita, abbagliare milioni di ebeti con lo sfavillio delle ricchezze degli straricchi, educare i
ragazzi alla “mignottocrazia” che risolve tutto, dalla schedina del cellulare alla poltrona del
ministero.
Se fossi un credente, vedrei in questa antireligione del malaffare la vera offesa alla mia
religione, lasciando a vescovi e cardinali (non tutti per fortuna) di occuparsi di canoni, dogmi
e di scomuniche.
1527 - PD: IL FUTURO NON SI COSTRUISCE CON I TEODEM – DI ARTURO PARISI
da: www.arturoparisi.it di domenica 14 febbraio 2010
Prima di Castagnetti, che con disappunto sento parlare "a nome della maggioranza dei
credenti che restano nel Pd", a dover manifestare amarezza per l'uscita di Paola Binetti dal
partito dovrebbero essere i democratici tutti non perché credenti ma perché democratici. La
sua uscita segnala infatti il fallimento della sua scommessa personale ma anche l'incapacità
del partito di farsi luogo di confronto tra persone e di sintesi al servizio della decisione
politica.
L'amarezza che manifestiamo oggi è tuttavia figlia della amarezza che non abbiamo
manifestato ieri per il modo in cui Paola Binetti è entrata e ha partecipato alla vita del partito.
Non è in forza della sua ricca umanità e della profondità delle sue convinzioni che Paola
Binetti ha infatti preso parte da protagonista al confronto politico, ma in nome di una etichetta
confessionale, i Teo-dem, che con la sua adesione le è stata costruita addosso con una
irresponsabilità che mi auguro almeno in parte inconsapevole delle sue gravi conseguenze.
E' a causa del modo in cui Paola Binetti è entrata ed è stata nel Pd, che quello che poteva
essere un confronto fecondo tra persone è apparso in troppi passaggi uno scontro tra
posizioni pregiudiziali definite dai diversi passati invece che dal comune futuro.
E' a causa di questo che i valori testimoniati da Paola Binetti sono finiti per diventare
posizioni minoritarie tollerate rispetto alla posizione prevalente. E' con il contributo
determinante suo e dei suoi ispiratori politici che è stata rivendicata una rappresentanza e
una quota cattolica incuranti del fatto che questo avrebbe riportato in vita identità e quote che
per un momento avevamo sperato superate.
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E' a causa di questo che l'uscita di chi aveva preso parte alla nostra avventura non solo "da
cattolica" ma "in quanto cattolica", può essere paradossalmente raccontato come l'uscita dei
cattolici dal Pd.
E' a causa di questo che, come dice Castagnetti, "i credenti che restano nel Pd" cioè a dire "i
cattolici che dal Pd non se ne sono ancora andati" saranno tentati, indotti, o costretti a
indossare gli abiti confessionali che, immaginando di andare in un partito nel quale essi non
sono più necessari, lei ha lasciato alle sue spalle.
Se con la amarezza per l'uscita di Paola Binetti dal Pd, ricordiamo la amarezza che non
abbiamo manifestato in passato, lo facciamo per evitare tempi ancora più amari in futuro.
1528 - L’EQUIVOCO TEODEM - DI FRANCO MONACO
da: Europa di giovedì 18 febbraio 2010
Dare addosso al Pd è sport praticatissimo. Non nego che vi sia nel Pd il problema di
corrispondere compiutamente al suo statuto ideale di partito plurale.
Ma non mi sento di leggere in questa chiave l’annunciatissimo abbandono della Binetti.
Un tormentone («esco, non esco») cui era tempo che si ponesse la parola fine. Fuor di
ipocrisia, la domanda più appropriata non è quella del perché la Binetti sia uscita dal Pd, ma
del perché mai vi sia entrata. Un metaforico tribunale ecclesiastico decreterebbe un
annullamento per vizio d’origine e di consenso, cioè semplicemente registrerebbe che quel
matrimonio (politico) tra la Binetti e il Pd non c’è mai stato. Le parole più acute e meno
convenzionali le ha pronunciate Arturo Parisi.
All’origine stanno un equivoco e la responsabilità di chi, Rutelli in primis, ha avallato o
addirittura patrocinato la costituzione dapprima nella Margherita e poi nel Pd di
un’aggregazione politica autodenominatasi (sottolineo: denominatasi da sé) “teodem”.
Espressione contraddittoria e persino blasfema sotto il profilo religioso (letteralmente: i
Democratici di Dio, simile a Hezbollah; Dio è uno, la democrazia è dei molti) e in radice
incompatibile non dico con un partito laico, ma, di più, con ogni partito moderno. Una ragione
sociale di natura confessionale anziché politica. Un’impostazione in aperto contrasto con
elementari e fondamentali distinzioni conciliari: in politica, ammoniva Jacques Maritain, ci si
sta «da cristiani» e non «in quanto cristiani», cioè coerenti con la propria coscienza cristiana,
ma «in quanto cittadini», dandosi una “ragion politica” e di partito.
Una responsabilità, lo segnalo a Castagnetti, che, per quota, va ascritta anche ai veri cattolici
democratici. Essi, nel cui statuto ideale sta la laicità della politica conquistata a caro prezzo,
avrebbero dovuto più energicamente contestare sin dall’origine quella contraddizione e non
contentarsi di temperarla o distinguersene «in rappresentanza della maggioranza dei
credenti (immagino da intendersi come cattolici, n.d.r.)» dentro la Margherita prima e il Pd
poi. Una responsabilità, ancora, sta in capo a chi ha interpretato il Pd, nel suo primo tempo,
come partito omnibus, una sorta di assembramento, candidando teodem e imprenditori di
destra che poi giustamente ci hanno lasciato. L’abbandono di Binetti e di altri può essere
letto anche come il prezzo pagato a un partito finalmente deciso a darsi un’identità politica
coerente e riconoscibile.
Infine, la responsabilità della Binetti stessa che ha dato mostra di interpretare il partito come
un taxi, misconoscendo ogni vincolo di appartenenza e avallando l’idea di godere di superiori
protezioni. Un cattivo servizio reso ai cattolici in politica, che alimenta il pregiudizio circa la
loro lealtà/affidabilità nelle appartenenze politiche.
Laicità è anche questo: condividere diritti e doveri di tutti anche nell’appartenenza a un
partito e nel mandato elettorale di cui dare conto ai cittadini.
1529 - REGRESSIONI CATTOLICHE - DI FRANCO MONACO
da: Europa di mercoledì 24 febbraio 2010
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Dunque mi sono beccato dell’Ayatollah dai teodem: non era facile. Non sto a replicare
Abbiamo punti di vista diversi, li abbiamo illustrati e i lettori si saranno fatti un’opinione.
Mi preme piuttosto dare conto della ragione di una mia certa durezza che - e me ne dispiace
- ha ferito talune sensibilità. Una ragione duplice. La prima: è la reazione a una dose di
superficialità e ipocrisia, specie in sede politica, ove usa dissimulare specie quando si
suppongono protezioni alte. Penso cioè sia meglio la franchezza e soprattutto il coraggio di
scavare alla radice delle questioni, abbandonando comodi diplomaticismi. Ma soprattutto una
seconda ragione: trattasi di problemi di straordinario rilievo, ove la posta in gioco è alta.
Specie per chi, come me e non per merito ma per mere ragioni anagrafiche, appartiene alla
generazione del Concilio. Problemi ecclesiali, culturali e politici di prima grandezza. Problemi
che ci stanno a cuore anche e più delle questioni che attengono alla vita politica contingente.
Negli ultimi venticinque anni - il punto di svolta può essere fatto coincidere con il convegno
ecclesiale di Loreto del 1985 - si è prodotta un’impasse se non una regressione nella
sensibilità conciliare nella Chiesa italiana. Esemplifico: attenuazione di una chiara distinzione
tra Chiesa e attori politici e, di riflesso, l’appannamento del “primato dell’evangelizzazione” e
della formazione cristiana delle coscienze quale intuizione e scelta pastorale strategica; una
corrispondente sovraesposizione politica dei vertici della Chiesa italiana; una mortificazione
del protagonismo e dell’autonomia responsabile del laicato cattolico, un certo suo grigiore e
spirito gregario. Basti considerare la condizione in cui versano le storiche associazioni del
laicato italiano, un tempo fucina di idee e di classe dirigente. Si osserva non a torto, magari
semplificando un po’, che si sconta un deficit di mediazione politica (e di rispetto della laicità
delle istituzioni) in passato assicurate dal partito democristiano.
E’ difficile non leggere dentro questo orizzonte anche i più concreti problemi relativi alle
forme e agli strumenti che i cattolici si danno nella vita politica. Ed è difficile negare che le
suddette dinamiche ecclesiali abbiano avuto un peso nelle nostre vicende politiche recenti.
Dopo la caduta del suo governo, in una schietta intervista alla rivista cattolica francese
Esprit, Prodi ha confessato che, dai vertici della Cei, egli aveva avuto forse la più pervicace
delle opposizioni politiche. Una Cei politicamente attiva in presa diretta che, in più di un
passaggio, ha dato mostra di confidare nel centrodestra quale strumento di contrasto della
scristianizzazione. Trascurando la circostanza che Berlusconi, le sue tv, i suoi
comportamenti le sue politiche, sono stati semmai il più potente e pervasivo fattore di
corrosione dell’ethos cristiano.
C’è poi il punto di vista dell’Ulivo e del Pd. Quando si pensò l’Ulivo ci si propose un doppio
obiettivo di portata storica: portare a compimento la democrazia italiana come democrazia
competitiva e dell’alternanza dopo il tempo, lungo mezzo secolo, della «democrazia difficile e
bloccata» (Moro); e venire a capo della storica dicotomia tra laici e cattolici finalmente
distribuiti lungo l’asse destra-sinistra in base alle loro naturali e legittime preferenze politiche.
Il discrimine tra laici e cattolici non doveva più forzosamente e artificiosamente coincidere
con quello degli schieramenti politici. Potremmo dire: una sana riduzione della politica allo
stato laicale, un maturo pluralismo politico tra i cattolici che giovasse alla libertà/universalità
della Chiesa e, insieme, allo sviluppo/compimento della democrazia italiana. In una
democrazia normale insomma cattolici e laici si uniscono (o si dividono) appunto su base
politica, non in quanto laici e in quanto cattolici. Anche solo isolando il nostro campo,
sappiamo quanto quel processo sia stato lungo e travagliato. Dentro l’Ulivo in origine stavano
popolari e cristiano sociali oltre che ulivisti già rimescolati. Poi (e per i popolari non fu
passaggio facile, né culturalmente né praticamente) si diede vita alla Margherita che avrebbe
dovuto essere (ci riuscì molto parzialmente) un embrione-anticipazione del Pd. Infine, il Pd
ove finalmente il processo dovrebbe trovare compimento con cattolici (e laici) che vi
aderiscono uti singuli e si articolano al suo interno su posizioni politiche, non ideologiche o
religiose.
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Ecco perché osservo con preoccupazione fenomeni regressivi. Ci siamo lasciati alle spalle il
Ppi e la Margherita appunto per rimescolarci su base strettamente politica e rischiamo di
ritrovarci con una proliferazione di aggregazioni/correnti/cordate che si contendono la
qualifica di cattoliche? Sarebbe una smentita del progetto del Pd come partito unitario e sì
plurale ma non ridotto a confederazione di tribù, alcune delle quali connotate addirittura in
senso confessionale. Forse per surrogare un deficit di creatività politica. Eppure quanto
spesso non solo i media ma anche tra noi, magari nella composizione degli organigrammi, si
fa ricorso improprio all’etichetta di cattolici. E’ sintomatico che abbia dovuto farlo anche
Bersani che pure ha efficacemente risposto all’accusa di Avvenire di emarginare i cattolici
dentro il Pd. Il congresso alle nostre spalle ha segnato un buon inizio, ma la sfida di un vero,
positivo rimescolamento interno è ancora tutta davanti a noi. Spesso e giustamente
denunciamo l’uso strumentale della religione da parte della destra. Ma dovremmo
riconoscere che talvolta vi si indulge anche dalle nostre parti e che non è sul quel terreno che
s’ha da competere con la destra.
Non pretendo di convincere, mi contenterei più modestamente di avere mostrato la portata
delle questioni in gioco e dunque di una certa passione. Sotto certe dispute lessicali si celano
concetti pregni di concretissime implicazioni pratiche e politiche, specie in un paese speciale
come l’Italia per quanto attiene al rapporto tra religione e politica, tra Chiesa e democrazia.
1530 - CHE PENSIAMO DI UN UOMO CHE UCCIDE PER AMORE – DI ADRIANO SOFRI
da: la Repubblica di giovedì 18 febbraio 2010
Ieri il signor Ray Gosling, 71 anni, è stato arrestato dalla polizia del Nottinghamshire con
l´accusa di omicidio volontario. L´omicidio risale ad alcuni anni prima – non si sa quanti,
finora. La vittima è finora senza nome. Ad accusare Gosling, famoso giornalista della Bbc, è
stato Gosling stesso, nel corso di una trasmissione regionale registrata nel dicembre scorso,
e mandata in onda tre giorni fa. Il video era ieri in tutti i siti d´informazione. Un uomo anziano
cammina fra le tombe con il vento che gli drizza i radi capelli bianchi, tira fuori le mani dalle
tasche per rifare i gesti di allora, ha una voce ferma che si incrina alla fine.
Gosling ha raccontato che il suo compagno, malato di Aids in tempi in cui ancora la malattia
non dava scampo, era ricoverato in ospedale e soffriva dolori terribili. Il medico avvertì che
non restava più niente da fare. Gosling chiese di essere lasciato solo col morente e lo
soffocò con un cuscino. Al rientro del medico disse: «È andato». Il medico non aggiunse
parola.
Gosling ha spiegato: «Avevamo fatto un patto: se il dolore fosse diventato insopportabile e
senza speranza, non avrei dovuto lasciarlo così. Non mi importa delle conseguenze per me:
ho fatto quello che ho fatto mosso dal cuore. Non credo di aver commesso un delitto». E noi
che cosa crediamo?
In Inghilterra la discussione sulle questioni di vita e di morte è drammaticamente tesa, si
legge: ma anche da noi, ormai. Là si agita soprattutto il tema del suicidio assistito. Mi
colpisce intanto una differenza laterale, che non so se attribuire al common law. I giudici
italiani, in teoria almeno, parlano attraverso le sentenze, mentre i giudici britannici parlano
con la voce propria commentandole in aula, ciò che a noi sembra cinematografico e
inappropriato, benché dopo aver così liberamente parlato i giudici d´oltremanica non si
affrettino a candidarsi alle elezioni. Neanche un mese fa una ex infermiera del Sussex, Gay
Gilderdale, 55 anni, era stata assolta dall´accusa di aver aiutato a morire la propria figlia
Lynn, ammalata da 17 anni di encefalomielite mialgica. Nel corso di quegli interminabili anni
e giorni e notti la giovane aveva implorato tante volte la morte, aveva tentato ripetutamente di
uccidersi, aveva riempito della sua supplica pagine di diario e di corrispondenza, aveva
dettato il suo rifiuto di essere rianimata e mantenuta artificialmente in vita. Sua madre,
quando smise di resisterle, ricorse alla morfina e ad altri farmaci per aiutarla a morire nel
modo meno doloroso. In tribunale ha detto: «Ti senti il cuore strappato dal petto perché
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l´unica cosa che vorresti è farla stare meglio, farla sopravvivere». Ancora il cuore: chiamato
in causa al vecchio modo, vedete, anche da persone cui professione e disgrazia insegnano a
conoscere anatomia e patologia. Pronunciato il verdetto di non colpevolezza della giuria, il
giudice si è rivolto aspramente alla pubblica accusa: "Che cosa ci fa questa imputata in
tribunale?". Il processo doveva stabilire se i farmaci fossero stati o no decisivi a procurare la
morte di Lynn. Il commento del giudice ha tagliato corto: "La sua scelta di morire è stata
comunque pienamente consapevole".
Pochi giorni fa è stata invece condannata un´altra madre, Frances Inglis, che aveva
procurato con un´overdose di eroina la morte del proprio figlio, sofferente di gravi lesioni
cerebrali e anche lui dichiarato malato terminale, ma, a differenza di Lynn, incapace di
manifestare una limpida volontà di morte. Il commento del giudice, in questo caso, è stato:
"Nessuno ha il diritto di prendere la legge nelle proprie mani e di mettere fine a una vita
umana". Nel dicembre del 2008 un altro processo aveva giudicato i genitori di Daniel James,
un rugbista ventitreenne rimasto paralizzato dal collo in giù, che li aveva persuasi, vincendo
le loro angosciate resistenze, ad accompagnarlo a morire nella clinica zurighese di
«Dignitas». Il giudice concluse che il giovane aveva deciso in modo autonomo e lucido di non
voler più vivere, che i suoi genitori non erano attivisti del suicidio assistito o dell´eutanasia, e
che non c´era alcun interesse pubblico a perseguirli penalmente. E si rivolse a loro: "Non c´è
niente che possa dirvi per rendere più sopportabile la vostra perdita. Vogliate accettare le
mie condoglianze". Nello stesso dicembre del 2008 Sky Real Lives trasmise il filmato della
morte del professor Craig Ewert nella clinica zurighese. "L´alternativa, per me - spiegava
Ewert - era fra morire e prolungare una sofferenza indicibile prima della morte". Qualcuno gli
mise in bocca un interruttore: lui stesso fu in grado di usare i denti per spegnere la
ventilazione.
Nuove linee-guida sul suicidio assistito sono imminenti in Gran Bretagna, rispetto alla lettera
della legge del 1961, che prevede una pena fino a 14 anni per chi istighi o consigli o aiuti a
commettere suicidio. Ha pesato la vicenda di Debbie Purdy, una signora 46enne ammalata
di sclerosi multipla che ha mosso un´ardua sfida alla legislazione inglese e gallese. Purdy
rivendicava il diritto a sapere se suo marito avrebbe dovuto affrontare conseguenze penali
dopo averla accompagnata all´estero a suicidarsi. Finora 92 cittadini britannici si sono recati
all´estero per essere assistiti nel suicidio: alcuni dei loro famigliari sono stati accusati,
nessuno è stato condannato. La signora Purdy ha spiegato che se suo marito avesse dovuto
affrontare un processo, lei avrebbe anticipato il suo viaggio svizzero verso la morte così da
poterlo compiere autonomamente, prima di esserne fisicamente impedita. L´Alta Corte di
Giustizia ammise dunque la sua richiesta, e nell´autunno del 2008 sentenziò che, stante la
legge sul suicidio assistito, suo marito non avrebbe potuto ricevere l´assicurazione di non
essere perseguito. Sostenendo pubblicamente la sua causa in memorabili comparse
televisive, la signora Purdy confutò l´argomento per cui gli ammalati si inducono a desiderare
di morire solo perché si sentono abbandonati dalla società, rivendicò la libertà di decisione
personale, e il diritto di chi si trovi nell´incapacità fisica di darsi la morte a trovare assistenza.
La sua testimonianza mette ancora una volta in luce lo scandalo per cui l´incapacità fisica di
metter fine alla propria vita aggiunge, con la persecuzione penale del cosiddetto suicidio
assistito, un´ulteriore sventura a chi è già colpito da una malattia inesorabile. Da quando
finalmente il tentato suicidio non passa più per reato, è assurdo che lo sia l´aiuto offerto a
chi, pienamente capace di capire e volere, non sia materialmente in grado di dar effetto alla
propria volontà.
Il giudice che si pronunciò sugli infelici genitori del giovane James disse anche che ogni caso
va considerato per sé: che è un altro modo di riconoscere la libertà finale di ciascuno sulla
propria vita, la cura, fino all´ultimo respiro proprio, fino all´ultimo soffio del ventilatore - o
all´opposto la rinuncia alla cura. Ci si illude di una norma assoluta, che provenga da un
comandamento religioso o da una legge secolare. Ma si muore soli, e soli, alla fine, si
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decide. Il suicidio assistito, quando non diventi lo schermo dell´infame proposito di
sbarazzarsi di un´esistenza altrui sentita troppo molesta o troppo costosa, è l´attenuazione di
quella irriducibile solitudine. Fino a che non si riconosca francamente che questa tremenda
responsabilità personale è la condizione della libertà, e dunque anche se ne impediscano le
violazioni, ciascuno per agire secondo coscienza dovrà assumersene le conseguenze. Che è
quello che il signor Gosling ha appena fatto, con molta naturalezza. "Il programma parlava
della morte assistita - ha detto - e io avevo la mia storia da raccontare". Gosling è un famoso
giornalista, un impegnato militante dei diritti gay. Forse è vanitoso, forse è stanco. Non so
niente di lui, ma mi sembra possibile, oltre che augurabile, che l´abbia detto ora per la stessa
ragione per cui lo fece allora: per amore.
1531 - IL CASO ELUANA E LA STRATEGIA DELLE ILLUSIONI - DI CARLO A. DEFANTI
da: l’Unità di sabato 20 febbraio 2010
Prosegue lo scambio a distanza fra Assuntina Morresi e il sottoscritto sulla questione se
Eluana fosse o no capace di interagire con il mondo esterno, così dimostrato in alcuni casi
descritti nel recente articolo di Martin M. Monti. Nella mia replica avevo affermato che i
risultati dell’esame neuropatologico di Eluana avevano chiarito la questione e avevo riferito le
conclusioni dei periti sulla coerenza fra i reperti e la diagnosi di stato vegetativo permanente.
In proposito Morresi fa osservare che «non esistono studi che mostrino un legame fra la
gravità del grado di atrofia e il potenziale di reversibilità del disturbo di coscienza». La sua
asserzione è corretta: non ci sono in letteratura studi scientifici che abbiano correlato in
modo esatto i dati anatomici con lo stato di coscienza. Tuttavia, la gravità delle lesioni
riscontrate, in particolare il gravissimo impoverimento delle fibre nervose che collegano le
aree della corteccia cerebrale fra loro e con i centri sottostanti, soprattutto con il talamo,
nonché la degenerazione di quest’ultima struttura così importante, rendono assai poco
verosimile la loro compatibilità con un’attività di coscienza. I periti, inoltre, hanno sottolineato,
sulla base del confronto fra gli esami radiologici eseguiti in vita, che nel cervello di Eluana
sono avvenuti, a distanza dal trauma, processi degenerativi che hanno interessato strutture
nervose inizialmente non colpite.
Morresi riprende poi le note di una cartella clinica del 1993 in cui viene riferito che Eluana
avrebbe pronunciato due volte la parole “mamma” e che avrebbe eseguito talora semplici
ordini. L’esperienza di chi assiste questi malati è ricca di segnalazioni come queste, che
suscitano nei familiari grandi speranze e che poi tanto spesso sono deluse. Ribadisco però
che, dal febbraio 1996, quando ho preso in cura Eluana, non c’è mai stata alcuna
segnalazione di questo tipo.
Infine Morresi afferma che i risultati scientifici confermano la sua convinzione che queste
persone siano vive e non “inerti vegetali”, ma su questo non c’è mai stato il minimo dubbio:
anzi il problema nasce proprio dal fatto che questi soggetti sono vivi e si trovano in condizioni
che la maggior parte dell’opinione pubblica considera “invivibili”. Mi permetto di osservare
che, contrariamente a quanto Morresi pensa, il riscontro di segni di coscienza in un piccolo
numero di pazienti diagnosticati come vegetativi non risolve affatto il problema morale di
come comportarci nei loro riguardi. Alcuni studiosi di bioetica hanno cominciato a riflettere su
questo e a chiedersi se i nuovi dati scientifici, proprio in quanto dimostrano il persistere (in
alcuni malati) di tracce di coscienza e rendono verosimile che essi provino dolore e
sofferenza, non possano essere addotti come argomento non a favore, ma piuttosto contro il
mantenimento del sostegno vitale.
1532 - DALLA PARTE DELLA BAMBINA BRASILIANA - DI CECILIA M. CALAMANI
da: www.cronachelaiche.it di domenica 21 febbraio 2010
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Cinque membri della Pontificia accademia per la vita, l’organismo vaticano che si occupa di
bioetica, avrebbero scritto una lettera al Papa e al segretario di Stato Vaticano Tarcisio
Bertone per chiedere la rimozione del presidente dell’Accademia, Rino Fisichella.
La pietra dello scandalo è da ricercarsi nell’articolo “Dalla parte della bambina brasiliana” che
il porporato scrisse sull’Osservatore romano poco meno di un anno fa, quando nel mondo
cattolico scoppiava la polemica per la scomunica che il vescovo brasiliano José Cardoso
Sobrinho aveva indirizzato ai medici e alla mamma di una bambina di nove anni per averla
fatta abortire. La bambina, stuprata per anni dal patrigno, era incinta di due gemelli e gli
stessi medici avevano dichiarato che portare a termine la gravidanza avrebbe messo in serio
pericolo la sua stessa sopravvivenza.
L’episodio era, di per sé, agghiacciante. Una infanzia abusata, una vita segnata per sempre
da una violenza domestica perpetrata per anni. E la portatrice del messaggio di Cristo, la
Chiesa cattolica, non trovava di meglio da fare che urlare ai quattro venti una scomunica per
chi risparmiava a una bambina di soli nove anni un ulteriore sopruso, la gravidanza, o
addirittura la morte.
In tutto ciò neanche una parola dalle gerarchie ecclesiastiche brasiliane sul patrigno
stupratore: lo stupro – anche di un bambino - è un peccato infinitamente meno grave
dell’aborto, come gli illustri porporati non dimenticano di sottolineare ad ogni occasione.
Lo stesso mondo cattolico, che guardava con speranza al Vaticano affinché mettesse a
tacere o quantomeno smorzasse i toni del solerte vescovo brasiliano, rimase di stucco
quando Gianfranco Grieco, capo ufficio del Pontificio consiglio per la famiglia, avvallò
l’operato della Chiesa brasiliana: “La Chiesa non può mai tradire il suo annuncio, che è
quello di difendere la vita dal concepimento fino al suo termine naturale, anche di fronte a un
dramma umano così forte, come quello della violenza di una bimba. In questo caso i medici
sono fortemente nel peccato perché sono persone attive nel portare avanti l’aborto, questa
uccisione. Sono protagonisti di una scelta di morte“.
E torniamo ai presunti torti di Fisichella, da tempo in discussione nella Chiesa a prescindere
dalla lettera che Federico Lombardi, portavoce vaticano, nega sia stata ancora recapitata.
Lungi dal condannare la scomunica, il presidente della Pontifica Accademia si poneva delle
domande, oseremmo dire umane:
“Carmen (nome di fantasia, ndr) doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata,
accarezzata con dolcezza per farle sentire che eravamo tutti con lei; tutti, senza distinzione
alcuna. Prima di pensare alla scomunica era necessario e urgente salvaguardare la sua vita
innocente e riportarla a un livello di umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere
esperti annunciatori e maestri. Così non è stato e, purtroppo, ne risente la credibilità del
nostro insegnamento che appare agli occhi di tanti come insensibile, incomprensibile e privo
di misericordia. È vero, Carmen portava dentro di sé altre vite innocenti come la sua, anche
se frutto della violenza, e sono state soppresse; ciò, tuttavia, non basta per dare un giudizio
che pesa come una mannaia”.
Ma il punto cruciale, che potrebbe costare la testa a Fisichella, è il dubbio che traspare dalle
sue stesse parole:
“A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie la sua vita era in serio
pericolo per la gravidanza in atto. Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e
per la stessa legge morale. Scelte come questa, anche se con una casistica differente, si
ripetono quotidianamente nelle sale di rianimazione e la coscienza del medico si ritrova sola
con se stessa nell’atto di dovere decidere cosa sia meglio fare. Nessuno, comunque, arriva a
una decisione di questo genere con disinvoltura; è ingiusto e offensivo il solo pensarlo”.
Nella casa della certezza non c’è dubbio che regga, non c’è pietas che possa, anche solo
per una volta, far cadere quel rigido castello di regole morali che non ammette deroghe o
ripensamenti.
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Non può non correre il pensiero ai numerosi casi di pedofilia nel clero che la Chiesa continua
ad occultare se e quando può. La vita meramente biologica, dall’embrione al malato
terminale che chiede solo di liberarsi del suo corpo, è sacra e inviolabile, quella reale di un
bambino no. A quest’ultimo può essere somministrata un’altra forma di morte eterna che non
sia biologica, ma il suo aguzzino, per la Chiesa, se la cava con una confessione e qualche
preghiera. In attesa, magari, di assassinare un’altra infanzia. Tanto è gratis.
1533 - BIOTESTAMENTO: BAGARRE ALLA CAMERA - DI CATERINA PASOLINI
da: la Repubblica di mercoledì 24 febbraio 2010
«Nutrizione e idratazione possono essere sospese in casi eccezionali quando non sono più
efficaci a mantenere le funzioni fisiologiche». Poche parole e la giornata politica diventa un
susseguirsi di polemiche e proteste. A scatenarle l’emendamento alla legge sul
biotestamento approvato ieri mattina in commissione affari sociali della Camera, con i voti
della maggioranza e dell’onorevole teodem Paola Binetti e quelli contrari dell’opposizione. Un
emendamento giudicato con favore dalla Federazione ordini medici e dallo stesso ministro
della Salute Fazio (“Si va verso un testo condiviso”, ha detto ieri), che però ha riacceso lo
scontro tra favorevoli, contrari e perplessi. La formulazione è stata infatti letta da alcuni come
la possibilità di rinunciare a idratazione e nutrizione o almeno un’apertura della destra in
questo senso, ipotesi poi categoricamente smentita dal sottosegretario Eugenia Roccella.
Mentre altri, come Livia Turco, Pd, Io hanno giudicato «un pasticcio» o un’ovvietà come la
definisce il senatore sempre del Pd Ignazio Marino. «Perché è ovvio che se le cure non sono
efficaci vanno interrotte, altrimenti è accanimento terapeutico I medici sanno perfettamente
quando una terapia non è più efficace e non è necessario che il Parlamento lo indichi in una
legge. Anzi così si umilia la professione del medico e il suo codice deontologico».
Ma andiamo con ordine in una giornata convulsa e a tratti confusa che ha visto la senatrice
dell’Opus dei, ex Pd ora Udc, Binetti, votare a favore e l’onorevole Alessandra Mussolini
andarsene polemizzando, considerando l’approvazione uno «sbraco della maggioranza»
A presentare l’emendamento l’onorevole Domenico di Virgilio, medico. «Il disegno di legge di
Calabrò riguardava solo persone in stato vegetativo permanente, circa tremila, il prossimo
passo sarà aprirlo a tutte le persone incoscienti, come spesso accade ai malati terminali, il
che significa quasi 250mila di cui 11mila bambini. E proprio riguardo a loro, in alcuni casi
nutrizione e idratazione nel momento finale della vita e della malattia possono solo aggravare
la situazione, possono provocare ad esempio un edema polmonare e quindi il medico può
decidere di sospendere Ma parliamo di malati che stanno morendo, non di persone che,
magari in coma ma nutrite, potrebbero vivere anni». Insomma, chiarisce l’onorevole del Pdl,
Eluana Englaro in base a questo emendamento avrebbe continuato ad essere idratata ad
oltranza, attaccata alle macchine per anni.
A togliere gli ultimi dubbi a chi, come i radicali, vedeva nell’emendamento un segnale di
dubbio nella maggioranza governativa sull’argomento della libertà di scelta sulle decisioni di
fine vita, ci ha pensato il sottosegretario Eugenia Roccella «Lo dico e lo ripeto, anche perché
c’è scritto nel ddl: nutrizione e idratazione non sono pratiche alle quali la persona può
rinunciare nello stilare le sue dichiarazioni anticipate, non sono cure, sono sostegno vitale».
Netta la reazione di Livia Turco, capogruppo Pd in commissione Affari sociali, dopo
l’approvazione dell’emendamento: «L’ideologia porta al pasticcio. La maggioranza ha di fatto
introdotto la possibilità di sospendere la nutrizione artificiale ammettendo così che è un atto
medico a differenza di quanto sostenuto fin qui, e ha fatto un pasticcio perché non è chiaro in
quali casi sia possibile la sospensione e chi la decida».
Deluso anche Benedetto Della Vedova, deputato Pdl, che sottolinea come l’emendamento
«pur cercando di migliorare il testo di Calabrò, non affronta il nodo cruciale della
responsabilità della decisione rispetto ai pazienti incapaci, non prevedendo nessun ruolo né
per i medici, né per i familiari, nè per i rappresentanti legali dei pazienti».
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1534 - BIOTESTAMENTO: L’OSCURANTISMO AVANZA - DI MARIA MANTELLO
da: www.micromega-online.it di giovedì 25 febbraio 2010
“Nutrizione e idratazione possono essere sospese in casi eccezionali quando non sono più
efficaci a mantenere le funzioni biologiche”. Questo l’emendamento al ddl Calabrò sul
testamento biologico approvato ieri dalla Commissione Affari sociali della Camera, che non
cambia affatto l’intento di obbligare contro la sua volontà ogni individuo, anche quando si
trova in stato vegetativo irreversibile, a essere ostaggio di macchine che iniettano aria e
soluzioni acquose nel suo inerme corpo: spugna assorbente e evacuante.
Queste le funzioni elementari a cui il ddl Calabrò (passato in Senato e adesso in discussione
alla Camera) vuole ridurre ognuno, sottraendo alla sua decisione il fatto di sottoporsi o meno
a idratazione e alimentazione forzate.
“Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per
disposizioni di legge” stabilisce la nostra Costituzione repubblicana all’art. 32. Dove quel
“disposizioni di legge” vale nel caso in cui si diventi un pericolo pubblico. E la pericolosità di
chi si trova in una condizione di non vita, tanto da dovergli imporre di essere intubato per
eliminarla, resta solo un mistero di fede. Basta un poco di buon senso per rendersi conto
allora che costringere ad alimentazione e idratazione forzate è il modo per stravolgere il
significato del testamento biologico. Di quelle volontà di fine vita dette o scritte ai propri cari
nel pieno delle proprie facoltà mentali.
Il ddl Calabrò è e resta pertanto – e in tutto il suo impianto – il furto della volontà individuale.
E’ uno scippo dell’inalienabile diritto ad essere ciascuno il solo padrone della sua vita: in ogni
sua fase e momento. E per questo è una legge fideistica e inumana.
L’emendamento approvato in fase di discussione perfeziona tutto questo. Se “nutrizione ed
idratazione potranno essere sospese”, solo “in casi eccezionali”, ovvero quando non
riescono più “a mantenere le funzioni biologiche”, è chiaro che si dovrebbe verificare la assai
remota situazione che le meccaniche attività di pompaggio ed espulsione si esauriscano.
Ovvero quando si è del tutto cadaveri.
Allora, se questo sciagurato ddl Calabrò divenisse legge, non resta al poverocristo lasciato
tirannicamente appeso alle macchine, la speranza che queste vadano finalmente in corto
circuito. Solo così la spugna assorbente e defecante potrà essere prosciolta dalla sua fatica
di non vita. Ed essere finalmente, caritativamente lasciata in pace.
1535 - SE LA VITA E’ SENZA FEDE - DI VITO MANCUSO
da: la Repubblica di venerdì 26 febbraio 2010
A distanza di due anni dal duro attacco contro L’anima e il suo destino a firma di padre
Corrado Marucci, “La Civiltà Cattolica” (quaderno n. 3831) torna a criticare frontalmente il
mio pensiero. Lo fa con un articolo più profondo, meno aggressivo e apparentemente meno
insidioso del precedente, scritto da padre Giovanni Cucci sul mio ultimo saggio, La vita
autentica.
Dopo aver presentato finalità e struttura del mio lavoro a cui viene persino riconosciuto che
“non mancano osservazioni interessanti e gradevoli”, “La Civiltà Cattolica” scrive che “la
conduzione del discorso risulta molto ambigua ed equivoca, per non dire contraddittoria” e
giunge a esplicitare la sua critica con questa domanda: “In fin dei conti, per Mancuso, Dio è
necessario o no ai fini del discorso sull’autenticità? Le risposte che giungono dal libro non
consentono di stabilirlo, poiché si afferma in una pagina quanto viene negato alla pagina
successiva”.
Sono accuse senza fondamento. Ma prima di argomentare la mia replica desidero chiarire
quello che ritengo il vero obiettivo della rivista dei gesuiti, le cui bozze, com’è noto, passano
al vaglio della Segreteria di Stato vaticana: l’obiettivo, a mio avviso, consiste nel mostrare ai
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cattolici che a me non è concesso “presentarsi come un teologo cristiano”. E’ questo il vero
disegno della “Civiltà Cattolica”, e forse di qualcun altro dietro di essa.
La questione sollevata è tale da riguardare da vicino ogni uomo pensante: “In fin dei conti
Dio è necessario o no ai fini del discorso sull’autenticità?”. Padre Cucci, per il quale la
risposta è un inequivocabile sì, mi accusa di presentare una risposta “ambigua”, “equivoca”,
‘contraddittoria”. Io, al contrario, ritengo di aver espresso il mio pensiero molto chiaramente,
oserei dire “papale-papale” se non temessi che qualcuno poi concluda che mi sono montato
la testa. Ecco ciò che ho scritto nel mio libro: “Per una vita autentica è necessario credere in
Dio? Sono convinto di no”. Lo ribadisco: un uomo nell’intimo della sua coscienza può
escludere esplicitamente ogni riferimento al divino e al contempo vivere nel modo più
autentico, cioè servendo il bene, la giustizia, la ricerca della verità, la bellezza. E viceversa
un uomo può professarsi credente, magari rivestirsi di sontuosi paramenti, e tuttavia
rappresentare la negazione più drammatica del bene e della giustizia: la storia della Chiesa
offre migliaia di esempi al riguardo, non pochi dei quali sono purtroppo ancora attuali al nostri
giorni. Se qualcuno avesse dei dubbi, provi a pensare da un lato al non credente Primo Levi
e dall’altro a uno dei tanti prelati incriminati per pedofilia, e vedrà che in un istante gli si
chiariscono le idee. Il senso del messaggio spirituale di Gesù, del resto, consisteva proprio in
questo primato della concretezza etica rispetto alle idee dottrinali proclamate a parole: “Non
chi dice ‘Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre” (Matteo
7, 21), prospettiva che Gesù realizzava preferendo ai clericali del suo tempo (scribi, farisei,
sacerdoti) altre tipologie più laiche di persone quali pubblicani, prostitute, poveri, pescatori.
Per una vita autentica, caro padre Cucci, la fede in Dio non è necessaria.
Poi il mio ragionamento proseguiva così: “Ritengo, però, che non sia possibile una vita
pienamente autentica senza credere nel bene e nella giustizia, e che se un uomo crede nel
bene e nella giustizia deve poi giustificare a se stesso perché lo fa e provare a pensare quale
sia la concezione dell’essere più ragionevole che giustifica tale suo affidamento esistenziale
al bene e alla giustizia”.
La vita quotidiana quale ciascuno sperimenta non è tale da mostrare inequivocabilmente il
primato del bene e della giustizia, anzi al contrario sono spesso i furbi e gli ingiusti a
prevalere. Per praticare il bene e la giustizia e risultare interiormente puliti occorre quindi una
certa “fede” in questi valori, senza la quale è quasi inevitabile che la sola verifica
sperimentale porti al cinismo, a non credere più a nulla, a sorridere amaramente al solo
sentire parlare di etica. Affermo quindi che per una vita autentica, se non è necessaria la
fede in Dio, è però necessaria la fede nel bene e nella giustizia quali dimensioni più alte del
vivere. Affermo cioè che la pienezza della vita suppone il riconoscimento pratico del primato
dell’etica e che il vero uomo non è il ricco, non è il potente, non è il dotto, non è il pio, ma è il
giusto, di quella giustizia che non è fredda legalità ma saggezza del bene.
Per essere giusti, però, in un mondo che spesso giusto non è, occorre avere fede nella
giustizia (o, che è lo stesso, nell’armonia dell’essere).
Questo mio ragionamento per “La Civiltà Cattolica” condurrebbe a escludere la possibilità di
Dio e di conseguenza a minare il mio statuto di teologo. Le cose però non stanno per nulla
così, perché il mio percorso pone semmai le basi per una rinnovata fondazione del discorso
teologico, andando a indagare la profondità dell’essere che il primato dell’etica (smentito
dalla cronaca, ma avvertito dalla coscienza) porta con sé. E’ quanto sosteneva già Immanuel
Kant nella Critica della ragion pura: “Io avrò fede nell’esistenza di Dio e in una vita futura, e
ho la certezza che nulla potrà mai indebolire questa fede, perché in tal caso verrebbero
scalzati quei principi morali cui non posso rinunciare senza apparire spregevole ai miei stessi
occhi”. Una coscienza matura non fa il bene perché lo dice il papa, eseguendo quello che
dice il papa, all’insegna della morale eteronoma; la coscienza matura fa il bene
autonomamente, lo fa perché sente che è suo dovere farlo, senza temere, quando è il caso,
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di andare persino contro quello che dice il papa (come quei cattolici che nell’Ottocento si
battevano per la libertà religiosa, condannata aspramente dai papi del tempo).
Mi chiedo però di che cosa sia segno questo senso del dovere rispetto al bene che la
coscienza avverte dentro di sé, mi chiedo che cosa dica dell’uomo. E rispondo dicendo che
esso è l’attestazione di una dimensione più profonda dell’essere, la quale, se risulta così
affascinante e normativa per la coscienza retta, è perché ne costituisce l’origine da cui viene
e il fine verso cui tende, ovvero quel “principium universitatis” che Tommaso d’Aquino in
Summa contra gentiles 1,1 dice essere il nome filosofico di Dio.
“In fin dei conti, per Mancuso, Dio è necessario o no ai fini del discorso sull’autenticità?”, si
chiedeva padre Cucci. Spero che a questo punto il mio pensiero risulti chiaro anche per lui:
soggettivamente no (la fede non è necessaria), oggettivamente sì (la giustizia è
indispensabile). Questo mio legare Dio all’oggettività del bene e della giustizia, ben lungi
dall’escluderlo come mi si accusa, riproduce la medesima prospettiva di Gesù: “In quel
giorno molti mi diranno: «Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome?». Ma io
dichiarerò loro: «Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità»”
(Matteo 7, 22-23). E solo la concretezza della giustizia quale forma stabile della nostra più
intima energia vitale a condurre in quella dimensione eterna dell’essere che chiamiamo Dio,
mentre non serve a nulla riempirsi la bocca delle più devote professioni di fede se, dentro, si
è iniqui (“non vi ho mai conosciuti”).
Rimarrebbe da affrontare il discorso altrettanto importante sulla logica alla guida della natura
e della storia, se essa sia di tipo personale come vuole padre Cucci, oppure impersonale
come sostengo io, e spero di poterlo fare in un prossimo articolo. Per ora concludo dicendo
che sarei lieto se “La Civiltà Cattolica” rivedesse il duro e ingiusto giudizio su di me e sul mio
piccolo saggio, ma temo che ciò non avverrà. In ogni caso non ho mai aspirato al patentino
ufficiale di teologo cattolico-romano, visto che da tempo parlo di una teologia “laica”, cioè
abitata dall’aria pulita della libertà di pensiero, unica condizione, a mio avviso, perché
l’occidente torni a interessarsi della sua religione.
1536 - IL REGISTRO DELLE UNIONI CIVILI ALL’XI MUNICIPIO DI ROMA
Riportiamo il comunicato del Presidente dell'XI Municipio, Andrea Catarci, sulla mancata
istituzione del registro delle Unioni civili. Concordiamo pienamente sulle sue dichiarazioni,
che non si discostano da quelle contenute nella lettera inviata il 31 gennaio dal ns. socio
Giorgio Grossi a Corrado Augias per la sua rubrica su "la Repubblica". (gps)
Comunicato Stampa del 2 febbraio 2010
“UNIONI CIVILI: l’impegno del Municipio XI non si deve fermare!”
Il manifesto con cui il PDL esulta per l’esito della votazione sul Registro delle Unioni Civili
contiene i consueti tratti oscurantisti, con l’immancabile riferimento “alla famiglia quella vera”,
fondamentalisticamente intesa in opposizione a tutti gli altri tipi di unione esistenti ed in
costante aumento.
L’atto presentato dalla maggioranza proponeva di offrire riconoscimento e tutele alle coppie
di fatto, eterosessuali o omosessuali che fossero, senza sottrarre niente a nessuno, solo con
un’aggiunta in termini di libertà personali per soggetti che oggi sono condannati all’invisibilità.
La votazione è finita con un pareggio, 9 a 9, che ha impedito di procedere immediatamente
ad istituire il Registro. A far da ostacolo non è stato tanto il PDL, di cui si conoscevano le
posizioni, quanto le molte assenze nelle fila del Partito Democratico, che ha espresso solo 5
voti favorevoli su 10 consiglieri (gli altri voti favorevoli sono arrivati da Sinistra Ecologia e
Libertà - 3 - e dalla Lista Beppe Grillo). L’atteggiamento ostruzionistico messo in atto è stato
fortemente voluto da alcuni dirigenti cittadini che hanno giudicato inopportuno - compiendo
un grave errore - approvare un atto così significativo nell’imminenza della campagna
elettorale per le regionali.
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Leggendo le dichiarazioni odierne di importanti esponenti dello stesso PD irritati per il
manifesto del centro destra, viene da pensare ad un ripensamento, circa la decisione
assunta la scorsa settimana, sul via libera al Registro ed il “regalo” fatto al PDL. Se è
davvero così, e se non si tratta di una ulteriore manovra di tipo elettoralistico si riproponga un
provvedimento analogo in aula in tempi brevi, visto che il pareggio lascia aperta tale
possibilità”
Andrea Catarci - Presidente del Municipio Roma XI
1537 - IL REGISTRO DEI BIOTESTAMENTI A S. BIAGIO DELLA CIMA
Riportiamo qui sotto il resoconto inviatoci dalla ns. Maria Pia Urso, responsabile di
LiberaUscita per la regione Liguria, della cerimonia per l’inaugurazione del registro per i
testamenti biologici a S. Biagio della Cima (Imperia)
Sabato 23 gennaio, alle ore 13, il sen. Ignazio Marino ha inaugurato presso il Comune di San
Biagio della Cima (IM) il registro per il testamento biologico, alla presenza del Sindaco arch.
Massimo Salsi e di un folto pubblico, convenuto per l'eccezionalità dell'evento.
La cerimonia è stata ripresa da Telenord, una televisione locale.
Nella sala consiliare addobbata di mimose e rose (San Biagio della Cima è il “paese delle
rose”, si coltivano prevalentemente rose e annualmente a primavera si tiene un'importante
“mostra delle rose” e a luglio la “festa delle rose”) il momento è stato emozionante.
Fra gli applausi generali hanno apposto la rispettiva firma su un documento ufficiale che
attesta l'apertura del registro per il testamento biologico il sen. Ignazio Marino e il Sindaco
Massimo Salsi.
Il Sindaco, dopo aver ringraziato il sen. Marino per l'onore concesso a San Biagio con la sua
illustre presenza, che ha reso ancor più densa di significato l'apertura del registro come
servizio per la cittadinanza, e aver sottolineato la volontà politica dell'Amministrazione
comunale di essere vicina ai bisogni dei cittadini, ha ceduto la parola alla dott. Maria Pia
Urso, coordinatrice regionale di LiberaUscita , che, come cittadina di San Biagio, ha mosso i
primi passi avviando le iniziative congrue per giungere a questo importante risultato.
La dott. Maria Pia Urso ha parlato ai presenti dell'associazione LiberaUscita , degli illustri soci
onorari che ne fanno parte, dei lunghi anni in cui l'associazione e i suoi iscritti si sono
impegnati per il testamento biologico elaborando proposte di legge presentate a suo tempo
in parlamento, ha sottolineato la sensibilità e la lungimiranza del Sindaco che lo hanno
indotto a farsi parte attiva per giungere all'istituzione del registro e ha ringraziato a nome
dell'associazione LiberaUscita il sen. Marino per la sua presenza in questa importante
circostanza che apre il cuore alla speranza di avere una legge per il testamento biologico e
non contro di esso.
Infine la signora Urso ha fatto dono di un opuscolo di LiberaUscita sia al sen. Marino, sia al
Sindaco.
La cerimonia si è conclusa con la consegna di doni tipici locali al sen. Marino, con le
congratulazioni dei presenti e con un delizioso aperitivo offerto dall'Amministrazione
comunale.
L'eco dell'istituzione del registro per il testamento biologico a San Biagio della Cima si è già
estesa a macchia d'olio nel circondario, coinvolgendo persone sensibili che si stanno
attivando per ottenere gli stessi risultati nei rispettivi comuni di residenza.
1538 - IL REGISTRO DEI BIOTESTAMENTI A FIRENZE
Il 6 febbraio la Giunta comunale di Firenze ha approvato all’unanimità il regolamento per il
registro comunale dei testamenti biologici. Come di regola, la registrazione è gratuita.
L’istituzione del registro sarà comunicata ad ospedali, case di cura e di riposo, hospices.
Si ricorda che nell’ottobre 2009 il Consiglio comunale aveva approvato a maggioranza la
mozione per l’istituzione del registro, malgrado l’opposizione del centrodestra e della Curia. .
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1539 - UK - NESSUNA ACCUSA CONTRO LE FIGLIE DI JANE A. HODGE
da: www.aduc.it di sabato 6 febbraio 2010
Due donne che sono rimaste sedute accanto alla madre per quattro giorni in attesa che
morisse, non saranno perseguite penalmente per assistenza al suicidio. Jane Aiken Hodge,
91 anni, affetta da pressione alta e leucemia, aveva redatto un testamento biologico con
istruzioni di non essere sottoposta a manovre di rianimazione. Aveva anche scritto al proprio
medico spiegando di non voler essere rianimata nel caso in cui avesse ingerito una overdose
di sonniferi.
Michael Jennings, legale della Procura, ha detto di essere convinto che si sia trattato di un
suicidio indipendente, senza assistenza.
Hodge, scrittrice di fama con oltre 40 bestseller, è deceduta lo scorso giugno. La polizia ha
detto che quattro persone, tra cui due figlie, sono rimaste a farle compagnia fino alla fine.
"Il 13 o 14 giugno 2009, la signora Hodge ha ingerito una grande quantità di farmaci ed ha
perso conoscenza. Durante questo periodo, quattro persone sono rimaste accanto alla
donna", ha detto il legale della Procura. "Hodge ha agito da sola. Non c'è alcuna prova che
sia stata aiutata o spinta da terzi a somministrarsi la sostanza. Ho deciso che ci sono prove
insufficienti per procedere con l'accusa di assistenza al suicidio. In assenza di prove
sufficienti, non c'è alcun interesse pubblico ad aprire un procedimento penale, così come
previsto dalle linee guida provvisorie sul suicidio assistito".
La Procura ha aggiunto di aver verificato la validità del testamento biologico, che avrebbe
impedito a qualsiasi ospedale di agire per riportare in vita la donna. "Un ospedale non
avrebbe potuto offrire trattamenti ulteriori rispetto a quelli ricevuti in casa sua".
Dopo la morte nel 2004 della sorella Joan Aiken, rinomata autrice di libri per bambini, Hodge
aveva scritto un editoriale su un quotidiano lamentando la continua resistenza alla
legalizzazione del suicidio assistito: "Tutte queste maldicenze sui presunti pericoli del
testamento biologico fanno sì che sia ancora più difficile morire senza soffrire. E'
deprimente".
1540 - OLANDA - IN AUMENTO I CASI DI SUICIDIO ASSISTITO
da: “Relevant”, rivista di Right to Die-NL (NVVE) Volume 36, nr. 1, Febbraio 2010.
Nel 2009 i casi dichiarati di eutanasia e suicidio assistito in Olanda sono stati 2.500, con un
aumento di 200 casi rispetto al 2008. Secondo il Presidente dei Comitati di sorveglianza
sull’eutanasia, sig. Jan Sluiter, l’aumento ha natura strutturale.
In sei casi è stato concessa l’assistenza al suicidio a persone in stato iniziale di demenza.
Dal 2002, ossia da quando è cominciato il conteggio, si sono registrati 22 casi di questo tipo,
la cui legalità è stata accuratamente accertati dai comitati di controllo.
Le reazioni sono state diverse.
I partiti cristiani chiedono un intervento del Ministro della giustizia.
Un docente di geriatria, Dr. Cees Hertogh, ha detto in un programma televisivo che molti
medici ritengono di non dover aiutare i pazienti che, in stato iniziale di demenza, abbiano
espresso la loro volontà di morire. Questa posizione, risultato dell’ignoranza, non ha senso:
ciò che conta è la sofferenza, non la diagnosi.
Nello stesso programma un medico generico ha dichiarato di aver aiutato a morire un
paziente di 67 anni in stato iniziale di demenza. Ciò dopo aver costatato che il principale
problema di quel paziente era la paura del proprio futuro. Ed è esattamente quanto temono i
partiti cristiani. Temono, infatti, che venga richiesta l’eutanasia a causa dell’angoscia di
essere ospedalizzati in qualche struttura specializzata.
(Traduzione per LiberaUscita di Alberto Bonfiglioli)
1541 - TORINO - UNA NUOVA RIVISTA: I “QUADERNI LAICI”
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Dalla ns. responsabile di Torino, Graziella Sturaro, riceviamo e pubblichiamo il suo resoconto
sulla presentazione della nuova rivista “Quaderni laici”.
Data: mercoledì 10 febbraio 2010 20.33.50
Da: Graziella Sturaro – [email protected]
Il 27/01/2010 presso il Circolo dei Lettori di Torino, il Centro di Documentazione la Ricerca e
Studi sulla Cultura Laica “Piero Calamandrei”, in collaborazione con la Consulta Torinese per
la Laicità delle Istituzioni e la Casa Editrice Claudiana, ha presentato la nuova rivista
semestrale “Quaderni Laici” con la partecipazione di Federico Calcagno Direttore e noto
giornalista professionista, Manuel Kromer Direttore della Casa Editrice Claudiana, Tullio
Monti Coordinatore della Consulta, Alfonso Di Giovine giurista e docente di Diritto
Costituzionale Comparato all’Università di Torino e Massimo L. Salvadori, storico, professore
emerito dell’Università di Torino nonché Presidente del comitato scientifico del Centro.
Presenti anche gli Assessori alla Cultura della Regione Piemonte Gianni Oliva e della
Provincia di Torino Ugo Perone e tra il pubblico, Bruno Segre, noto intellettuale, attualmente
Presidente dell’Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno” aderente alla
Consulta.
“Quaderni Laici” viene proposta come sede di discussione e di elaborazione delle nuove
frontiere del pensiero laico e dei concetti di democrazia, cittadinanza, costituzione e stato di
diritto con l’ambizione di essere l’unica rivista scientifica in Italia dedicata esclusivamente a
questi temi.
Calcagno ha illustrato come sia nata, la motivazione degli argomenti trattati e la loro
complessità tra i quali i principi di autodeterminazione dell’individuo e di laicità dello Stato
denunciando il comodo conformismo della classe politica attuale e l’indifferenza di maggior
parte dell’intellighenzia italiana nei confronti dell’ingerenza del clero precisando che questa
pubblicazione periodica non ha nulla contro i cattolici ma vuole ribadire la difesa di tali
principi.
Tullio Monti ha commentato come dalla globalizzazione in poi la laicità e i diritti civili abbiano
acquisito una valenza fondamentale.
Mentre oggi possiamo assistere ad un ritorno del “sacro” e del “religioso” nella vita di tutti i
giorni o per meglio dire nella “cosa pubblica”, contro il dilagare dei fondamentalismi religiosi
di ogni sorta, la laicità, che non è un reperto dei secoli scorsi, diventa sempre di più l’unico
metodo che può garantire la civile convivenza, il più sicuro punto di riferimento onde evitare
l’inasprimento di alcuni fenomeni d’intolleranza e, aggiungerei, l’unico reale parametro di
valutazione delle problematiche che stanno emergendo nella nostra società in questi ultimi
decenni a causa dello sviluppo scientifico e dell’innovazione tecnologica in rapporto all’etica
dell’individuo.
Il dialogo con i cattolici sembra possibile ma il punto che accomuna deve rimanere il metodo
laico indipendentemente dalla propria fede religiosa o non.
Di Giovine, invece, si è soffermato sul significato di laicità come regola di convivenza, rifiuto
di una verità assoluta, come “relativizzazione di ogni posizione” e “dialogizzazione della
democrazia” focalizzando soprattutto il rapporto tra Stato e Chiesa.
L’Italia è uno stato pluralista e democratico ma purtroppo non si può definire laico a
differenza, per esempio, dello stato americano che, pur impregnato di valori religiosi, può
essere considerato tale.
La causa di questa discrepanza si può rintracciare negli articoli 7 e 8 della Costituzione da
cui emerge un’enorme disparità tra la Chiesa Cattolica e le altre confessioni religiose. L’art. 7
viene visto come vero elemento di rottura ed estraneità rispetto allo stesso impianto
costituzionale.
Il Concordato, dopo la revisione del 1984, che tra l’altro ha trovato molti cattolici discordi,
mina alla radice l’autonomia dei valori su cui lo Stato si fonda e bisogna constatare che
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l’asfissiante interventismo ecclesiastico non è contrario alla Costituzione bensì risulta
un’applicazione dello stesso.
Kromer, Direttore della casa editrice, ritiene il progetto molto valido e ha scommesso che ci
sarà sicuramente un pubblico interessato a queste tematiche in quanto anche il
Protestantesimo è sempre stato sensibile ai valori della laicità spiegando come all’interno di
esso non sia valida una posizione univoca ma è accettato il confronto tra opinioni diverse
anche se nel nostro paese si tratta di una minoranza religiosa.
Inoltre ha illustrato anche come la religione protestante sia più affine al concetto di laicità
rispetto alle altre chiese cristiane in quanto il processo decisionale che si svolge all’interno
della loro comunità compete ad organi assembleari con potere decisivo sempre senza
dimenticare che un presupposto fondamentale consiste nel fatto che il credente deve aprirsi
al dialogo con il non credente.
Perché questo titolo?
L’origine è da rintracciare in un’opera di Guido Calogero “Quaderno Laico”, uno dei massimi
filosofi del secolo scorso e tra i fondatori nel 1955 del Partito Radicale il quale sosteneva che
“il principio del laicismo non è che il principio della democrazia”.
Salvadori invece, tra i promotori di questa iniziativa, ha parlato del principio di laicità in Italia
e in particolare delle radici storiche della sua debolezza nel nostro paese.
Attualmente stiamo assistendo ad un risveglio problematico del mondo attuale, una società
multietnica, multiculturale e multireligiosa in cui tali problemi stanno emergendo con forza.
Il nucleo di tale principio sta dove all’intolleranza e alla tolleranza succede la libertà, il
pluralismo, il diritto di espressione di tutte le fedi religiose e non religiose sul principio di
uguaglianza.
Ha ricordato gli insegnamenti di Gaetano Salvemini e il passato contrasto tra laici e clericali,
tra cattolici clericali e cattolici non clericali citando don Sturzo considerato dallo storico un
prete molto devoto ma non un clericale dal momento che il suo desiderio era fondare un
partito che non si definisse cattolico.
Che cosa chiede lo spirito della laicità alle religioni?
Di entrare in scena nella sfera pubblica, che le religioni siano il consenso che ottengono nella
coscienza senza imposizione mediante la coercizione della legge ribadendo il dovere di
neutralità dello Stato e il diritto di tutti di vivere secondo le proprie scelte.
Le radici della debolezza del pensiero laico in Italia sono da rintracciare dallo Statuto
Albertino in poi mentre all’art. 7 della nostra Costituzione il principio di libertà religiosa non è
mai passato. Secondo Salvadori siamo ancora fermi al principio di tolleranza.
La libertà religiosa è considerata fondamentale, definita come lo specchio che rivela lo stato
di tutte le altre libertà.
Tra i vari interventi apparsi nella rivista citerei “Laicità e nuovi diritti” dell’illustre giurista
Stefano Rodotà, nonché nostro socio onorario, il quale descrive l’importanza crescente dei
nuovi diritti che ha riportato al centro dell’attenzione la questione della laicità intesa come
rispetto del diritto di autodeterminazione delle persone, della libertà della ricerca scientifica,
della regola del dialogo e dei principi del confronto democratico sollevando alcuni dubbi e
riflessioni sulla questione del vuoto normativo utilizzato da alcuni nostri politici per arrivare ad
una disciplina proibizionista come è avvenuto in materia di procreazione assistita.
In effetti anche la vicenda del testamento biologico, in questo senso, si può definire
esemplare.
Rodotà, ricordando la drammatica storia di Eluana Englaro, sostiene che la sentenza chiave
pronunciata dalla Corte di Cassazione nel 2007 in realtà ha semplicemente ricostruito il
quadro legislativo già vigente.
Dagli articoli 2, 13, 32 della Costituzione alle norme che si trovano nelle convenzioni
internazionali, dalla legge sul servizio sanitario nazionale per quanto riguarda il consenso
informato della persona al Codice civile per quanto riguarda l’amministratore di sostegno.
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Tutto questo si può considerare vuoto normativo? O forse è meglio dire che la proposta della
maggioranza parlamentare vuole semplicemente cancellare il diritto fondamentale
all’autodeterminazione utilizzando come pretesto la ricerca di una lacuna legislativa nel
nostro sistema giuridico?
Ricco di accenni storici è l’intervento del costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, intitolato “Il
problema della laicità nella Costituzione” in cui si sottolinea come nel XIX secolo la Chiesa
sia venuta elaborando una posizione diversa da quelle precedenti. Esplicativa è l’enciclica
del 1891 “Rerum Novarum” di papa Leone XIII che prende la parola sulle questioni sociali
grazie alla quale la Chiesa Cattolica diventa forza operante “dentro” la vita civile. Oggi è
mutato il tema dei rapporti Stato-chiesa, non più confinato nel diritto ecclesiastico ma tema
centrale del diritto costituzionale.
Mentre in passato la questione era il posto della religione nello Stato, oggi la questione è il
posto dello Stato rispetto alla religione e Zagrebelsky commenta l’articolo 7, oggetto ormai di
diverse valutazioni critiche, in quanto stabilisce un regime differenziato tra la posizione
giuridica della religione cattolica e quella delle altre religioni.
In conclusione si può considerare la rivista “Quaderni Laici” una vera e propria scommessa
culturale e direi anche, grazie all’importante contributo dei suoi collaboratori, una
dichiarazione di sfida nei confronti delle altre riviste presenti nel panorama italiano.
Sulla Costituzione si è molto dibattuto anche durante la presentazione del libro “Chiesa
padrona” del costituzionalista Michele Ainis sempre a cura della Consulta Torinese per la
Laicità delle Istituzioni tenuta a Torino il 5 febbraio.
Considerato una sorta di manifesto laico, pubblicato da un anno ma riproposto per la sua
forte attualità a causa della deriva confessionale verso cui il nostro paese si sta avviando e
l’esigenza di dibattito riguardo alcune norme costituzionali in contrasto tra loro tra le quali
l’art. 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali” e l’art. 7 “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine,
indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei
Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”,
reale esempio di antinomia normativa. Mentre dall’art. 8 “Tutte le confessioni religiose sono
egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno
diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento
giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con
le relative rappresentanze” emerge la forte disparità tra la religione cattolica e le altre
confessioni religiose.
Anche secondo De Giovine l’art. 7 contrasta fortemente con il principio di laicità.
Inoltre ha ricordato che è solo nel 1989 che la Corte Costituzionale con una sentenza
afferma che la laicità è il principio fondamentale della Repubblica Italiana.
Sergio Lariccia, esperto di Diritto ecclesiastico e docente presso l’Università La Sapienza di
Roma, ricordando l’insegnamento di Arturo Carlo Jemolo, sostiene che l’articolo 7 ha
introdotto un elemento di confessionalità molto pesante e di affermazione della violazione del
principio di uguaglianza commentando il contesto storico e politico in cui nacque la
Costituzione per cui alcune problematiche, oggi molto dibattute, allora passarono in secondo
piano rispetto ai problemi del nostro paese dopo la guerra mentre, sempre a suo parere, il
nuovo Concordato del 1984 non ha comportato sostanziali novità.
Elencando i vari articoli della Costituzione ha menzionato anche l’art. 19 “Tutti hanno diritto di
professare la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne
propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari
al buon costume”.
Che dire? Sicuramente tutte queste affermazioni susciteranno non poche polemiche e
dibattiti e, si spera, non solo tra i costituzionalisti.
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Senz’altro si tratta di un ottimo punto di partenza per aprire un dialogo su queste tematiche in
cui dare uguale dignità alle posizioni dei credenti e di coloro che non professano alcuna
religione riscoprendo il principio di un’etica laica che consenta ai singoli individui di fare le
proprie scelte a prescindere da una gerarchia di valori che si pretende assoluta ed
indiscutibile.
1542 - MODENA – PRESENTATO “OCEAN TERMINAL”, DI PIERGIORGIO WELBY
Riceviamo da Antonio Marino, socio della sezione modenese di LiberaUscita, laureando in
bioetica alla facoltà di filosofia dell’Università di Bologna, la cronaca della presentazione di
“Ocean terminal”, libro postumo di Piergiorgio Welby.
Modena, 9 febbraio 2010, Aula Magna della facoltà di lettere e filosofia dell'Università di
Modena e Reggio Emilia. Alle ore 17 Mina Welby incontra i cittadini modenesi. L'occasione è
quella della presentazione del libro postumo di Piergiorgio Welby “Ocean terminal”, ma la
tematica più generale che dà il nome all'evento e che viene trattata nel corso dell’incontro,
fra una lettura e l'altra di alcune parti del libro di Welby, è quella della cultura laica, del
testamento biologico e dell'autodeterminazione terapeutica. L'incontro è organizzato dalla
sezione modenese di LiberaUscita e dal Comitato articolo 32 per la libertà di cura, con il
patrocinio del dipartimento di scienze del linguaggio e della cultura.
Cultura laica, dicevamo, è ciò di cui si vuole trattare nel corso dell'incontro, ed è ciò su cui
per primo dice qualcosa il prof. Augusto Carli nel suo intervento di apertura. Il prof. Carli ordinario di glottologia e linguistica e direttore del dipartimento di scienze del linguaggio e
della cultura all’Università di Modena e Reggio Emilia nonché socio di LiberaUscita evidenzia quali siano i limiti culturali di un paese dove l'analfabetismo di ritorno e la
bassissima percentuale di laureati si fanno sentire pesantemente. Una cultura davvero laica
può prodursi solo in un paese che abbia un'opinione pubblica consapevole, informata e
responsabile.
L’introduzione del prof. Carli non può non soffermarsi anche su Eluana Englaro. Un anno fa
infatti Eluana se ne andava, lasciandoci in eredità una serie infinita di dibattiti, polemiche e
strumentalizzazioni del suo nome e della sua storia dalle quali prese vita finanche un disegno
di legge sul testamento biologico. Un motivo in più per innestare il ricordo di Eluana
all’interno della sua introduzione il prof. Carli lo trova nel fatto che la storia dei suoi ultimi
giorni è paradigmatica dell’imbarbarimento culturale che sta vivendo l’Italia. Che Eluana in
quel periodo sia diventata icona massmediatica, oggetto, assieme alla sua famiglia, di
attenzioni morbose, che sfioravano il gossip, sta a dimostrare che è in atto un impoverimento
culturale che sembra rigettare la nostra nazione, e il suo popolo, in quello stato di minorità, di
kantiana memoria, che, secondo il filosofo solo i lumi della ragione possono aiutare a
superare. Questo difetto di cultura generale e di civiltà non può che produrre l’assenza di una
vera cultura laica e la conseguente inesistenza di uno Stato laico.
Si succede al prof. Carli Stefano Daolio con un messaggio affidatogli dalla moglie Donatella
Chiossi, affetta da SLA (vedasi il testo integrale del messaggio sul presente notiziario sotto il
titolo “Chi comanda sul mio respiratore?” ndr). Donatella vuole rendere partecipe il pubblico
presente (quasi 120 persone) di alcune riflessioni maturate a partire dalla sua esperienza. La
riflessione dalla quale parte è quella sul significato di laicità. La laicità è un metodo per
affrontare le questioni nell’interesse generale. Cosa significa nella nostra Repubblica
esprimere con leggi il principio di laicità? Cosa significa questo principio in relazione al
corpo? Ragionando di queste cose, secondo la Chiossi, si deve introdurre una seconda
riflessione: quella sul principio all’autodeterminazione. Al potere spaventa la possibilità che le
persone si approprino del diritto all’autodeterminazione e esigano che venga fatto rispettare
tramite leggi. Il valore della laicità può essere praticato solo se si riconosce nei fatti il diritto
all’autodeterminazione, che è libertà di espressione e di pratica di stili di pensiero e di vita,
che hanno come limite solo la tolleranza di tutti gli altri stili di pensiero e di vita. “Quando mi
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fu praticata la tracheotomia mi sentii prigioniera di quel tubo. Il tubo che mi permette di vivere
mi ha resa una malata pubblica, cioè dipendente dagli altri nel caso decidessi per una scelta
estrema. È un mio diritto oppure no chiedere chi detiene il potere del mio tubo?”. La
Costituzione sancisce il diritto della libertà terapeutica, ma ora si vuole sottrarre certe
tecnologie, come la respirazione o l’alimentazione e l’idratazione artificiali, al potere di scelta
del malato. “Non voglio morire, ma non voglio che siano le macchine, ovvero gli altri, a
decidere per me. Se un giorno valutassi che non ce la faccio più, che voglio rinunciare a
questa straordinaria tecnologia, voglio poter essere libera di farlo. È questo ciò che chiedo e
sostengo per tutti”. A chi è contrario al testamento biologico a causa del proprio credo
religioso Donatella Chiossi risponde, attraverso la voce del marito, che esso non
contrappone una visione della vita a un’altra, non è un obbligo usare lo strumento delle
dichiarazioni anticipate di trattamento, è al contrario uno strumento che include tutte le
concezioni della vita e che difende il soggetto debole dandogli il diritto di affermare la propria
volontà.
Quando la voce di Stefano Daolio ha finito di fare da mezzo per il messaggio di Donatella
Chiossi il succedersi degli interventi viene spezzato da una delle tante bellissime
interpretazioni a cura di Magda Siti e Stefano Vercelli di pezzi estratti dal libro di Piergiorgio
Welby, Ocean terminal, che durante l’incontro si interpongono agli interventi dei relatori
scandendo il ritmo dell’incontro. Dopo Donatella Chiossi ora è la volta di dar voce a
Piergiorgio Welby: “Aveva già potuto ammirare i cieli alla Magritte... quei cieli tanto spaesanti
da dare un lieve capogiro, distese piatte con tante piccole nuvolette tutte uguali... schiere di
soldatini burrosi disposti per l'attacco. I cieli di Renoir, morbide epifanie di corpi femminili,
sensuali, carnosi, cedevoli. Cieli roteanti come galassie impazzite, sulfuree distese corrose
da un sole malato che come un cancro li divorava dolorosamente: erano i cieli di Van Gogh,
vittime, come lui, di un male incomprensibile. I cieli di Aldo Riso, piatti e luminosi come
maioliche... quelli ariosi e vibranti, avvolgenti, i più bei cieli che avesse mai visto, i cieli di
Sisley.
Non aveva mai prestato tanta attenzione al cielo. Questa attenzione maniacale lo
accompagnava dal giorno che, mentre una barella lo trasportava velocemente verso
l'ambulanza, aveva visto il cielo scorrergli sopra, un sudario opalescente che lentamente si
era andato spegnendo lasciandolo a dibattersi in un buio opprimente. La luce era tornata
alcuni giorni dopo. Sopra di lui non c'era più il cielo, ma solo il bianco del soffitto. Per due
mesi non aveva visto altro. Aveva desiderato, con tutte le sue forze, che quel bianco
anonimo, freddo, allucinante, si cambiasse in un colore qualsiasi, foss'anche il nero, ma il
bianco era sempre lì. (…) Forse l'inferno è questo, la vista eterna di un solo colore, piatto,
uniforme, senza la pur minima sfumatura”. (Da Ocean terminal)
L’intervento di Mina Welby inizia prendendo spunto dal pezzo di Ocean terminal appena
citato. Racconta anche lei di come uscendo dal coma Piergiorgio trovò sopra di sé il soffitto
bianco dell’ospedale. La ripetizione giornaliera della visione di quel monotono rettangolo
bianco e il paragone fra questo e i vari tipi di cielo che, da pittore, amava osservare
contribuirono a far scattare in lui una specie di rabbia, di rifiuto per quella condizione e la
parallela volontà di riappropriarsi della propria autonomia. Piergiorgio non voleva essere
espropriato del suo essere e della sua autodeterminazione. Appena tornato a casa le aveva
detto che in quelle condizioni lui non ci voleva stare. Gli era stato tolto tutto: il suo movimento
e, nei primi periodi dopo il coma, anche il poter parlare e comunicare.
Sul testamento biologico Mina non vuole aggiungere nulla a quanto detto da Donatella. Dice
di esserle grata, perché il messaggio di Donatella andrà nelle case di quei malati che si sono
rivolti a lei per poter terminare la loro ventilazione e che non possono essere accontentati
perché i medici hanno paura di incorrere in grane giudiziarie. Mina vuole trova anche
l’occasione di lanciare un messaggio ai medici: “devono essere coraggiosi, perché se si
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mettono insieme, anche attraverso l’Ordine dei medici, si può forse arrivare a una risoluzione
di queste problematiche”.
Tornando sulla storia del marito e su quella di molti altri che non possono far valere il proprio
diritto ad autodeterminarsi Mina dice che nessuno vuole morire, non è una scelta che si
prende a cuor leggero, ma se la decisione, tanto sofferta, viene presa da qualcuno, questo
deve avere la possibilità di lasciare questa vita in modo sereno e in mezzo ai suoi affetti. La
legge che si sta portando avanti in Parlamento non aiuterà a far sì che ciò avvenga.
La chiusura dell’intervento di Mina Welby fa da sponda a quello successivo di Maria Laura
Cattinari - presidente della sezione modenese di LiberaUscitaa, e vicepresidente
dell’associazione a livello nazionale - che mette al corrente il pubblico della situazione
relativa ai registri comunali dei testamenti biologici. Al mattino si è tenuta una conferenza
stampa di presentazione del registro di Pavullo nel Frignano, in provincia di Modena
(ottenuto grazie all’impegno della consigliera comunale della Rosa nel Pugno Bernadetta
Graziani, presente alla conferenza). Anche a Modena sono state raccolte le firme, proprio
dalla sezione modenese di LiberaUscita , e si sta aspettando che avvenga la discussione in
Consiglio comunale. La dott.ssa Cattinari sostiene che l’obiettivo di LiberaUscita è quello di
ridurre al minimo la sofferenza delle persone e di potenziare al massimo la loro
autodeterminazione terapeutica, diritto costituzionalmente garantito. “Nel nostro ordinamento
non esiste un vuoto normativo in materia, bensì un pieno”. Una legge istitutiva del
testamento biologico dovrebbe limitarsi a dettare le regole più semplici e meno onerose per il
singolo e la collettività a garanzia della volontà della persona e a tutela dei medici che quella
volontà intendono rispettare. Il disegno di legge oggi all’esame della Commissione affari
sociali alla Camera è un testo contro il testamento biologico, un testo che ci obbligherebbe a
vivere in stato vegetativo alimentati artificialmente contro la nostra volontà. Tornando a
parlare dei registri comunali dei testamenti biologici la vicepresidente di LiberaUscita spiega
in cosa essi si sostanzino: essendo il Comune l’istituzione più vicina ai cittadini che ha
competenza in materia sanitaria, il registro comunale è solo uno strumento messo a
disposizione dal Comune attraverso il quale con la registrazione dell’atto si dà certezza di
data e firma del documento, e si fa ciò che chiede il codice di deontologia medica all’art. 38
che esige che le direttive anticipate siano certe e documentate per poter essere tenute in
conto dai sanitari.
Riguardo al pubblico presente si può costatarne l’impressionante partecipazione: 120
persone raccolte nell'aula magna della facoltà di lettere e filosofia (in pratica la totalità dei
posti sono stati occupati). La partecipazione non è stata solo numerica: si è riscontrata anche
nell'impegno e nell'interesse dimostrato nei numerosi interventi finali.
Mi pare giusto chiudere questa relazione trascrivendo un’altra lettura molto significativa tratta
dal libro di Piergiorgio Welby “E’ stato ieri o un miliardo di anni fa? E’ successo veramente o
sono prigioniero di un gioco iniziato per caso e che non riesco più a interrompere? Quando
ero bambino mi divertivo a camminare con gli occhi chiusi, contavo i passi, mormorando i
numeri velocemente, tutti d’un fiato, poi li riaprivo e, voltandomi, guardavo quanta strada ero
riuscito a percorrere. Per rendere il gioco più eccitante immaginavo di non poter più aprire gli
occhi, quando il terrore diventava paralizzante li aprivo di scatto e, preso da una strana
vertigine, mi guardavo intorno scoprendo colori e forme che non avevo mai notato prima.
Perché adesso non riesco più ad aprire gli occhi? Perché non appaiono le fate, i maghi, gli
elfi e tutti gli altri esseri incantati che possano ridarmi le mie gambe, le mie mani stregate… i
miei passi, le mie corse che finivano sempre tra le tue braccia. Mi mancano i tuoi abbracci, i
tuoi baci ruvidi, l’odore di tabacco e sicurezza, la tua mano forte dalla quale fuggire… per poi
tornare… e le parole che mi spianavano la strada e le corse sui prati che tu mi lasciavi
vincere… Dio! Dio! Voglio correre!”
1543 - FIRENZE – PRESENTATO “NON SONO UN ASSASSINO”, DI F. CHAUSSOY
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La ns. vicepresidente Meri Negrelli ci ha inviato il 18 febbraio questo breve res6oconto.
Carissimi
sono appena tornata dalla presentazione del libro "Non sono un assassino".
Tenendo conto che oggi a Firenze in contemporanea c'e stata la convocazione di tutti coloro
che avevano partecipato al Town Meeting della biennale di democrazia del 25 aprile 2009 e
che il libro era già stato presentato a Firenze, aver avuto la partecipazione di 15/20 Persone
tutto sommato non è stato male .
Il pubblico presente non era lo stesso che di solito trovo quando a Firenze si parla di TB, e
forse proprio per questo era un pubblico molto attento. Molto seguito è stato l'intervento del
nostro socio Enrico Bertrand che Ha affrontato il problema dal punto di vista giuridico, e tante
sono state le domande che il pubblico a rivolto a lui.
Sono stata molto soddisfatta anche dell'intervento dell'attore Saverio Tommasi che ha letto
alcuni brani del libro, creando un pò di atmosfera.
Tutto sommato è andata bene.
Enrico é dovuto letteralmente scappare per non perdere il treno e io mi sono dovuta
trattenere fino a chiusura della libreria per fare un pò di pubbliche relazioni: spero che questo
mio ulteriore impegno con il laboratorio della laicità possa portare a qualche risultato per
LiberaUscita
un abbraccio
Meri
1544 – MODENA - LIBERAUSCITA AL LICEO “CARLO SIGONIO”
da: Maria Laura Cattinari
Mercoledì 24 febbraio l’ass. LiberaUscita è stata invitata ad incontrare gli allievi del liceo “C.
Sigonio” di Modena. L’incontro è stato preceduto da numerosi contatti intercorsi tra la preside
dell’Istituto e la prof.ssa Anna Maria Minniti, tesoriera della sez. modenese di LiberaUscita .
L’evento presenta una novità rispetto ai precedenti tenuti nelle scuole superiori della
provincia nel 2009: l’invito non è venuto, come in quei casi, dagli studenti all’interno delle loro
ore assembleari autogestite bensì dall’istituto e dal corpo insegnante che ha intenso offrire
agli allievi un’occasione di approfondimento sulle tematiche del fine vita già affrontante in
alcune lezioni di bioetica.
All’incontro erano presenti le due professoresse, rispettivamente insegnanti di scienze sociali
e filosofia, che avevano affrontato in precedenza la materia nelle loro ore curricolari. Erano
presenti due quinte classi, per un totale di circa 50 studenti.
Ha aperto la prof.ssa Anna Maria Minniti presentando brevemente l’ass. LiberaUscita , la sua
storia le sue finalità e dando poi la parola alla sottoscritta presentata come vice-presidente
nazionale dell’associazione nonché responsabile della sezione modenese.
La relazione, quasi una lezione, come nello spirito dell’incontro, ha affrontato tutti gli aspetti
salienti delle problematiche di fine vita, dal controllo della sofferenza (cure palliative e terapia
del dolore) al rispetto della dignità della persona attraverso l’utilizzo degli strumenti che
garantiscono l’autodeterminazione, in particolare l’autodeterminazione terapeutica (consenso
informato e DAT).
Spazio particolare è stato riservato all’analisi critica dell’attuale disegno di legge in
discussione in Commissione affari sociali alla Camera, facendo anche riferimento al recente
emendamento votato a maggioranza che prevede che la nutrizione artificiale forzata non sia
più obbligatoria nei casi in cui il medico ravvisi che non ci sono le condizioni per
l’assimilazione dei nutritivi. Si è rilevato come questo emendamento non modifica la sostanza
del progetto che rimane intrinsecamente incostituzionale poiché nega il diritto
all’autodeterminazione terapeutica che la stessa Corte costituzionale nella sua sentenza 438
del dicembre 2008 ha affermato essere un diritto fondamentale della persona che non può
certo essere sottratto a chi non è più in grado di intendere e di volere visto che la nostra
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Costituzione all’art. 3 afferma che la legge non può operare discriminazioni sulla base delle
diverse condizioni personali in cui versano le persone.
Quanto alle NIA (nutrizioni e idratazioni artificiali) si è ricordato che sono riconosciute come
terapie dall’intera comunità scientifica o quasi e che quindi devono rientrare tra i trattamenti
che la persona deve poter rifiutare, come sostenuto anche dalla FESIN nel corso delle
numerose audizioni in Commissione sanità al Senato.
Un accenno poi è stato fatto ai registri comunali dei testamenti biologici con riferimento
anche alla situazione di Modena dove sta per essere approvata dal Consiglio comunale una
delibera d’iniziativa popolare che ne chiede l’istituzione.
Sollecitato da domande, è stato possibile affrontare anche il tema dell’eutanasia e del
suicidio medicalmente assistito, dandone le necessarie definizioni e fornendo un quadro il
più possibile esaustivo della situazione in Europa e nel mondo.
In complesso senz’altro un’esperienza positiva che speriamo di potere ripetere anche in altri
Istituti del Comune e della Provincia.
Come ho avuto modo di dire all’inizio del mio discorso, noi siamo consapevoli che la nostra
generazione sta ponendo solo le prime pietre di quel grande edificio di norme e di diritto che
garantirà il rispetto all’autodeterminazione nel fine vita: a loro, alle nuove generazioni che mi
stavano di fronte, spetterà il compito di edificarlo.
1545 – SANREMO - LA VERITÀ’
Il ns. socio Carlo Carlotti ci ha inviato il testo della canzone presentata da Povia a Sanremo,
dedicata ad Eluana e alla sua famiglia
Mamma papà ora vi vorrei parlare, solamente dell’amore
L’amore che mi avete dato, per tutta la vita
E dirvi che continuerò a ispirarvi
Perché il vostro cuore è immenso
Perché il vostro cuore vola
Vola sopra le parole
Sopra tutte le persone
Sopra quella convinzione di avere la verità, la verità.
Padre, ora tienimi la mano
Tienila vicino al cuore e potrai sentire che ti amo
E mentre il mondo fa rumore
Mentre il mondo può vedere il sole
Non voglio più dormire in fondo al mare
Chiedo solamente di volare
Volare sopra le parole
Sopra tutte le persone
Sopra quella convinzione di avere la verità
Ora posso amare, ora
Ora posso correre e giocare
Ora volo sopra le parole
Sopra tutte le persone
Sopra quella convinzione di avere la verità
Mamma, che ne sanno del dolore
Di quello che si può provare
Per una disperata decisione
E di quando avevi tu vent’anni
Fatti di progetti e sogni in cui desideravi un figlio
Che cambiava la tua vita
E che stringevi forte al cuore
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E poi vedevi camminare
E lentamente costruire la sua vita con dignità
Ora posso amare, ora
Ora posso correre e giocare
Ora volo sopra le parole
Sopra tutte le persone
Sopra quella convinzione di avere la verità
Mamma, papà, un giorno ci rincontreremo
E ci stringeremo forte e faremo tante cose
Quando sentirete un brivido che corre sulla vostra pelle
È lì che io sarò presente
La vostra bambina per sempre
Ora posso amare, ora
Ora posso correre e giocare
Ora volo sopra le parole
Sopra tutte le persone
Sopra quella convinzione di avere la verità
Ora posso amare, ora, ora.
Commento. Quale verità esiste… che può contrapporsi alla realtà di una figlia che è
cresciuta nell’amore e nella cura della famiglia e che proprio a loro ha espresso di non voler
finire come una dormiente in fondo al mare? Cosa possono insegnarci quei presuntuosi che
guardare il sole e credono di dettare ed imporre verità che non si coniugano col legame
affettivo, emotivo, intimo, ancestrale che lega padre madre e figlia nella vita e nella morte?
(Carlo Carlotti)
1546- LE VIGNETTE DI GIANNI CARINO– GLI INDAGATI NON SI DEVONO DIMETTERE!
LiberaUscita – associazione nazionale laica e apartitica per il diritto di morire con dignità
Tel: 366.4539907 – Fax: 06.5127174 – email: [email protected] – web: www.liberauscita.it
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