UNIVERSITÀ D’ISTRUZIONE PERMANENTE RECANATI (MC) Leopardi in lingua thai e i Canti di Thammatibes, Principe di Tailandia Conferenza di Salvatore Statello Palazzo Venieri 20 aprile 2012 Innanzitutto vorrei narrare i fatti come sono venuto a conoscenza di questo poeta tailandese e, di conseguenza, delle traduzioni di alcune opere di Giacomo Leopardi, tradotte in lingua thai. Ero entrato in contatto col prof. Montri Umavijani, poeta e docente all’Università Silpakorn di Bangkok, grazie alla mia presidenza del concorso internazionale di poesia “Il Faro d’Argento”. Un giorno, con mia grande sorpresa, da parte del prof. Umavijani mi arrivò un opuscolo, contenete una silloge delle Opere di Leopardi tradotte in lingua thai! Grazie alla conoscenza prima, e alla consolidata amicizia poi, con Paola Ciarlantini, ho fatto avere il volumetto al Centro Studi “G. Leopardi”. Successivamente a causa del devastante tsunami della fine del 2004, Montri Umavijani, traendo spunto da La Ginestra di Leopardi, per il suo significato profondo della solidarietà umana di fronte alla violenza della natura, tradusse il lungo canto1. Contemporaneamente, nell’anno 2005, ricorrevano i 250 anni della morte di Thammatibes, principe e poeta tailandese, (seguo la trascrizione dei nomi e delle date fornitemi da Montri Umavijani, poiché troviamo trascritto anche Thammatibet e Dharmmadhibet, e per quanto riguarda la data della sua morte l’anno 1756 e per quella del padre il 1758); Montri Umavijani m’inviò in questa circostanza, un altro opuscolo, in inglese questa volta, chiedendomi di poter tradurre e pubblicare in Italia le poesie di Thammatibes. Grazie alla traduzione di Pinella Puglisi e alla disponibilità del Centro Mondiale della Poesia e della Cultura ‘Giacomo Leopardi’, con in apertura uno scritto dell’on. Franco Foschi, le poesie di Thammatibes hanno visto la luce, per la prima volta, anche in Italia! Prima d’inoltrarmi a parlare del Principe Thammatibes e della sua poesia, è bene chiarire la situazione della famiglia monarchica per capire l’intrigata vicenda umana del nostro poeta. Il re designava il proprio erede, che generalmente era il fratello minore o, in mancanza di un fratello, uno 1 ) In seguito alla traduzione de ‘La Ginestra’ e alla sua pubblicazione, il Governo Italiano, su proposta dell’Ambasciata italiana a Bangkok, il 29 novembre 2005, ha conferito a Montri Umavijani l’Onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana (OSSI) per i meriti culturali e la diffusione della cultura italiana all’estero. 1 dei figli. Morto nel 1733 il re Tai Sa, zio di Thammatibes, sarebbe dovuto succedergli il fratello, padre del nostro principe, Boromakot, già designato. Ma Tai Sa non mantenne la promessa e nominò erede il proprio primogenito. Questi, molto legato allo zio Boromakot, rifiutò l’investitura che, invece, accettò il secondogenito. Boromakot allora scatenò una guerra civile contro il nipote, uccidendo e riducendo in schiavitù gli avversari. Salito al trono, nel 1733, prese per sé la nipote, principessa Sangwal, come terza moglie col titolo di regina, già promessa sposa a Thammatibes. Il regno di Boromakot, dopo la sanguinosa guerra civile per conquistare il trono, è considerato un periodo di grande pace e di benessere, tanto che «fu giudicato uno dei più prosperi dell’età di Ayuttaya; [...Boromakot riavviò] la letteratura e l’arte siamese in genere [...]. I fasti della sua corte furono celebrati dai letterati del tempo; [... il re] fu considerato un monarca magnanimo, [...] un fervente religioso [che] fece costruire e ristrutturare molti templi»2. In questa fioritura del benessere maturò il nostro Thammatibes. L’unico neo, per lui, è stato l’impossibilità di amare Sangwal! Non si sa, però, come dice Montri Umavijani, se i due si siano amati veramente o se Thammatibes crea quasi tutta la sua opera poetica intorno a questo amore consumato o solo immaginato, cantando quindi ciò che sarebbe potuto essere, ma che non fu! Il fatto è, come dice sempre Montri Umavijani, che forse per intrighi di corte, Thammatibes e Sangwal furono accusati di adulterio e condannati a morte per fustigazione. E i suoi scritti, cioè la sua opera poetica, furono portati come accusa del consumato adulterio. Ai due ‘amanti’ furono negati i riti religiosi, anche se le loro ceneri furono tumulate nel Wat Chai Wattanaram, in due chedi separati, dove riposavano le ceneri di altri membri della famiglia reale. Alcuni storici dicono che Thammatibes fosse un principe dissoluto e che avesse consumato l’adultero addirittura con due concubine paterne e che, quindi, siano stati in tre ad essere condannati alla pena capitale. Venendo meno il primogenito di Boromakot, il re designò come suo successore il terzogenito, non ritenendo capace del governo il secondogenito, che si ritirò in un monastero. Ma nel 1757, alla morte di Boromakot e la salita al trono di Uthumphon, il secondogenito Ekathat rivendicò il diritto al trono e mandò Uthumphon in monastero. Ekathat, così come aveva temuto il padre, incapace a saper regnare, portò il paese alla rovina e all’incapacità di sapersi difendere tanto che, dieci anni dopo, 2 ) Boromakot, da documento on line: it.wikipedia. org/wiki/boromakot, p. 2. 2 nel 1767, fu conquistato dai Birmani, gli antichi nemici di sempre, e Ayutthaya fu completamente saccheggiata e distrutta. Thammatibes si può considerare un Principe del Rinascimento tailandese. Oltre che sommo e fine poeta, che ha saputo sfruttare al massimo le tecniche della poetica orientale, eccelleva nelle scienze naturali, nelle arti e nelle armi; insieme al padre aveva partecipato alla guerra civile contro il cugino. Da mecenate diede impulso allo sviluppo delle arti e alla costruzione di templi. A quanto ha scritto Montri Umavijani, il tempio di Wat Phra Sri Sanpet è stato voluto dal nostro Principe. Tra le sue opere letterarie, oltre a quelle che esamineremo in particolare, ha scritto il poema Phra Malay di carattere didattico-morale. «In Phra Malay molte sono le somiglianze con la Divina Commedia del nostro Dante, anche se il soggetto, in Oriente era già stato trattato sin dall’antichità e ripreso da un monaco buddista di Ceylon, nel XII secolo, in lingua pālī. Thammatibes in questo poema parla di Malay, monaco illuminato, proiezione dello stesso autore, dotato di virtù, tra magia e santità, che fa un viaggio prima all’inferno e poi in paradiso, dove incontra il futuro Budda, che porterà la felicità sulla terra. Ritornato dai viaggi ultraterreni, Malay racconta ai fedeli gli incontri avuti con i dannati, quindi si dedica alla predicazione religiosa»3. Thammatibes scrisse anche alcuni ‘nirat’ (dal sanscrito: separazione), questa «è una composizione che si distingue dalla altre perché è un canto d’amore e di separazione [per un lungo viaggio lontano dalla donna amata o da un oggetto o da un luogo amato], in cui sono incluse anche molte descrizioni del paesaggio attraversato durante il viaggio. Il forte e complesso sentimento di nostalgia, descritto nei ‘nirat’, si può considerare più vicino al concetto della ‘saudade’ portoghese, che alla ‘nostalgia’ degli altri popoli latini. Infatti, pare che i primi ‘nirat’ siano stati composti dopo l’arrivo delle prime delegazioni portoghesi alla corte del Siam, avvenuto nel 1511»4. E il Nirat Tham Sok di Thammatibes è considerato un capolavoro per il perfetto equilibrio tra sogno e realtà. Ma il nostro poeta è soprattutto famoso per il suo vero capolavoro, un gioiello della letteratura tailandese, tanto che Montri Umavijani scrisse che «nella poesia del Principe Thammatibes, la lingua thai si è sviluppata 3 ) ALESSANDRO BAUSANI, La Letteratura del Sud-Est Asiatico, Sansoni, Accademia, Firenze, 1970, p. 136. ) THAMMATIBES il Principe di Thailandia, Canti, Centro Mondiale della Poesia e della Cultura ‘G. Leopardi’, Recanati (MC), 2005, prefazione di Salvatore Statello, p. 3. 4 3 al massimo della sua pienezza. Nessun altro poeta thai ha scritto più come lui. La sua poesia evoca la grandezza del regno di Ayuttaya. Sotto molti aspetti, essa si può considerare il canto del cigno del regno»5, poiché con la sua scomparsa finì anche lo splendore del regno e della sua stessa dinastia. Questi canti, come dice Alessandro Bausani,6 sono chiamati comunemente «canti dei battellieri», o «he rüö», che secondo la pronuncia di quella lingua, riproduce la parola onomatopeica del rumore dei remi che sbattono contro l’acqua. L’opera completa, col titolo in inglese, Royal Barge Songs, (che noi abbiamo tradotto semplicemente col termine di Canti, anche in omaggio all’opera di Leopardi) è composta di dodici canti, che rievocano e scandiscono i vari momenti del giorno e del viaggio. Ma a noi, nell’opuscolo accennato, ne sono arrivati quattro: il canto dei battelli, il canto dei pesci, il canto dei fiori e quello degli uccelli. Il Bausani, nel darne anche lui un elenco parziale, invece di canti li chiama «lodi» e aggiunge «in lode di Kaki», «alla Nostalgia» e addirittura «in lode del coito»7. Questi canti venivano intonati durante il tragitto sul fiume Chao Phraya per il pellegrinaggio, sui battelli, da Ayutthaya al santuario del Budda di Saraburi. Si potrebbe interpretare che siano «canti di lavoro»,8 cioè solo dei marinai e, quindi, semplici e popolari. Ma abbiamo detto, invece, che si tratta di un’arte molto raffinata. Sono composti, sempre secondo la prosodia orientale in due parti: la prima chiamata kloang, strofa di quattro versi, che introduce l’argomento; la seconda chiamata garp, composta da diverse quartine che sviluppano il tema del kloang, ripetendo talvolta anche qualche verso della strofa introduttiva. Sempre il Bausani dice che i versi sono formati, nella lingua originale, da due «emistichi di lunghezza ineguale, il primo di cinque sillabe, il secondo di due per i primi tre versi e di quattro il quarto. Al primo e al terzo verso, facoltativamente, si possono aggiungere sillabe dette ‘kham soy’, cioè parole eufoniche»,9 che non hanno né alcun senso né alcun significato. «La loro musicalità è resa soprattutto dalla rima che spesso si ripete all’interno del verso, rendendolo facilmente cantabile, come le nostre nenie, pur restando sempre un’arte 5 ) IBIDEM, introduzione di Montri Umavijani, p. 6. ) Cfr. A. BAUSANI, o. c., p. 133. 7 ) Cfr. IBIDEM, p. 136. 8 ) Cfr. IDEM. 9 ) IDEM. 6 4 raffinata»10. Si ricorda che, in Tailandia, anche i canti popolari erano composti da regnanti, principi, monaci e alti funzionari, poiché la conoscenza della scrittura era riservata ad una ristretta élite. Ma in questo caso, abbiamo un canto «aulico» e «raffinato», come lo ha definito Pinella Musmeci.11 Il primo è il Canto dei battelli. Mentre il corteo si prepara a partire o quando è appena avviato. Il Principe seduto sul suo battello regale, Re Kaev, osserva gli altri battelli e di ognuno di essi elogia con dovizia di particolari la bellezza, le caratteristiche, le forme, i colori, i simboli e i pregi. Poiché la partenza dei battelli avviene al mattino, il tutto ha l’atmosfera della festa che inizia senza alcuna ombra di turbamento. «Tutta la corte, su battelli fantasticamente abbelliti e impreziositi da ornamenti animaleschi, presi dalla tradizione o dalla mitologia thai, si muove dietro il Re Kaew e di ogni battello vengono cantati lo splendore ed il significato. Un mondo straordinario e affascinante, rivissuto nella realtà quotidiana come quelle immagini che in un lontano contesto geografico e culturale, il giovane Giacomo Leopardi, nelle lunghe notti insonni, accompagnato dalla solitudine lunare della sua stanza, amava raffigurarsi con la mente dando vita alle ombre sulle pareti».12 Mentre il Canto dei battelli è il canto della magnificenza, della gioia e dell’ostentazione, col Canto dei pesci, verso mezzogiorno, quando ormai il poeta è stordito dalla bellezza, dalla luce e dai colori, come se rientrasse in sé, si rende conto della sua solitudine e quel frastuono esterno non colma il vuoto del suo cuore per l’assenza della donna amata. Lo stupore davanti alla bellezza della Natura e dei suoi elementi porta il poeta al ricordo e lo induce a comparare questa bellezza panica con quella della sua donna, bellezza che è di gran lunga superiore a quella della Natura. Infatti, i pesci, a seconda delle loro qualità, gli ricordano la beltà dell’amata lontana dall’amato. Da qui in poi si ripete spesso, in maniera crescente, il concetto della sua tristezza e della sua solitudine. Segue il Canto dei fiori, la cui svariata fragranza ricorda al Principe i profumi del corpo della sua donna e le ghirlande che lei intrecciava per lui; e la presenza di quei fiori accresce il dolore del nostro poeta sino a diventare disperazione. 10 ) THAMMATIBES, o. c. p. 3. PINELLA MUSMECI: La poesia universale in Leopardi e nel poeta thailandese Thammatibes, in Memorie e Rendiconti, Serie V – vol. IV, Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti degli Zelanti e Dafnici, Acireale (CT), 2005, p. 143. 12 ) EADEM, p. 142. 11 5 Poiché Thammatibes è anche un fine osservatore della Natura e dei suoi fenomeni, che fa entrare preponderatamente nella sua lirica, ormai al crepuscolo, col Canto degli uccelli, la tristezza e la nostalgia per l’amata diventano ancora più forti. Anche nei poeti dell’estremo Oriente, le tenebre ispirano tristezza e malinconia! Thammatibes osserva gli uccelli che stanno in coppia, e che si puliscono reciprocamente, mentre lui non può stare con la sua donna. Soltanto un uccello, il Kai Fah, è solo come il principe. È facile a questo punto ricordare il Passero solitario del nostro Leopardi. E Pinella Musmeci così scrive a proposito di questo canto finale: «Colpisce in questo Canto di lode la condizione del poeta che si sente vicino spiritualmente ad una parte della natura, l’uccello che canta da solo, anche se partecipa con lo sguardo e con l’udito alla ammirazione per tutta la vita che si muove intorno a lui. Egli si rattrista, ammonito nel suo dolore, sentendo gli altri uccelli cantare all’unisono, poiché gli sembra che il suo stato infelice risuoni da più parti con varie melodie, quasi un rimprovero di quelle creature che si allietano e gioiscono, come è naturale per loro, di tutto quanto la natura offre: l’esistenza, la bellezza dei luoghi e della compagnia, l’appagamento amoroso».13 In appendice al volume abbiamo inserito due brani che ci ha fatto pervenire Montri Umavijani, tratti dal poema Kaki e il Garuda, e un altro: Lamento. A proposito dell’argomento del primo, Bausani dice: «Una volta il ‘re d’oro cioè Krut (sanscrito Garuda, l’uccello cavalcatura di Vishnu [divinità] venne a giocare a dadi col re; innamoratosi di Kākāti la rapì e se la portò a casa sua dove ne godette. Poi il re riuscì a ritrovarla e se la riportò a casa. Kaki è quindi ora, in Siam, simbolo di donna piuttosto civetta e avida di piaceri (forse, pensa qualcuno, proprio per influenza del modo come Thammatibet trattò questo tema nelle sue canzoni). Comunque poche altre composizioni poetiche siamesi esprimono così direttamente il desiderio sensuale come in certe canzoni di Thammatibet».14 (Non è difficile rivedere in questo tema il mito di Elena e di Paride). A questo commento del Bausani aggiungiamo che, nonostante il fluire del tempo, il ricordo della felicità passata è sempre misto al dolore per ciò che non è più, perché il poeta non si appaga di vagheggiare il tempo che fu, quindi la contingente realtà gli rende «il cuore spezzato». Mentre al nostro Leopardi, a quanto ci ricorda Pinella Musmeci, è 13 14 ) IBIDEM. ) A. BAUSANI, o. c. p. 137. 6 sufficiente la visione onirica: «... la rividi pure all’improvviso nel sogno di quella notte e mio vero paradiso fu il parlar con lei ed esserne interrogato con viso ridente e poi domandarle la mano da baciare...» 15 In Lamento, invece, rievoca con toni delicati ed elegiaci la dolcezza dell’amata e l’impossibilità di realizzare quest’amore. E sotto questo aspetto, gli elementi da evidenziare tra il nostro Leopardi e il poeta tailandese sono moltissimi E concludo con quanto scritto Pinella Musmeci: «Thammatibes è considerato uno dei più importanti esponenti della poesia thailandese così come il nostro Leopardi è una delle voci più significative della letteratura italiana; difficilmente possiamo trovare autori così importanti e completi, anche in altre nazioni, dal punto di vista culturale ed artistico»16. 15 16 ) P. MUSMECI, o. c. p. 145. ) EMADEM, o. c. p. 140. 7