leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri http://www.10righedailibri.it S i chiamava Julio César Carrera ed era nato con tutte le carte in regola per essere un vincente. Ma accadde qualcosa (un errore, un’anomalia) che lo allontanò dal suo destino e, dall’infanzia in poi, non fece altro che precipitare. Anche se altezza e colore dei capelli gli garantivano un certo successo con le donne, il tratto malinconico del suo carattere gli impediva di rendersi conto di attrarre soprattutto quelle che si invaghivano di lui per compassione e, non sapendo di suscitare pena, finì per sposare la donna sbagliata: Mirtha Jacubowicz. Mirtha non gli perdonò mai di aver accettato placidamente di vivere nella casa che i genitori gli avevano comprato e intestato, invece di contribuire al matrimonio con un valore proporzionale a quello apportato da lei con la sua mera presenza. Era stata cresciuta come una principessa, aveva sgobbato da figlia unica per tre decenni e ora doveva accontentarsi di quei mobili da quattro soldi, di quel quartiere periferico e di quel destino di seconda mano! Il signor Bernardo Jacubowicz e la signora Perla Puckacz in Jacubowicz si sentivano a loro volta defraudati. «Non so cosa ci abbia visto la piccola in quello shmuck. 11 Daniel Guebel Non parla, non ride, ha la zucca vuota» commentava il signor Bernardo. E la signora Perla: «Secondo me è mezzo scemo.» Carrera aveva conosciuto Mirtha all’inizio della sua carriera di rappresentante di commercio per la Sunbeam, una ditta specializzata nella produzione, distribuzione e vendita di elettrodomestici. Mirtha era stata una delle sue prime clienti e una delle poche ad aver sopportato senza interrompere la tortuosa spiegazione circa i vantaggi di acquistare, in dodici rate, un robot in grado di frullare, montare a neve, tagliare, pelare, sbucciare e grattugiare gli alimenti. Al tempo la rapidità con cui aveva concluso quella vendita (che più tardi si sarebbe rivelata il baratto di un arnese per un marito) lo incitò a persistere in quel mestiere. Ma era molto lontano dall’essere un buon venditore, era sprovvisto di estro. Esattamente il contrario di quanto accadeva alla stella delle vendite, Carlos “potete chiamarmi Cacho” Fracassi, la cui presenza e i cui aneddoti sembravano riempire il mondo intero durante le riunioni aziendali. La maggior parte dei venditori – una platea di sfumature di grigio, a metà tra il bianco sfavillante di Fracassi e l’oscurità di Carrera – non riusciva a capire come potesse essere nata un’amicizia tra quei due. Le menti più sottili insinuavano fosse tutta una mossa perversa di Cacho, che abbracciava Julio César per divertirsi alle sue spalle o per brillare ancora di più. Ma poteva anche trattarsi di una manovra speculare, esercitata dall’altro: Carrera come una sorta di vampiro, per sopperire alle sue carenze energetiche, si alimentava delle energie sprigionate naturalmente da Fracassi. La cosa certa era che, dopo le riunioni, i due passavano molto tempo assieme, spizzicando salame, formaggio e olive dal tavolo degli aperitivi, tempo che Mirtha, una volta saputo di quella di12 Carrera e Fracassi strazione del marito, cominciò a rinfacciargli come sottratto ai doveri coniugali. «Come faccio a sapere che quando dici che ti trovi con quel tuo collega, stai davvero facendo quello che dici di fare?» lo rimbrottava. Carrera si sentiva in dovere di dimostrare l’innocenza di quegli incontri, argomentando sull’utilità di scoprire la varietà di strategie di vendita che Fracassi metteva all’opera e che gli andava rivelando col contagocce. Una volta ritenne pure necessario mostrare lo scontrino delle loro consumazioni come prova. Ma Mirtha smantellò la sua difesa cambiando l’obiettivo delle accuse: «Come osi dirmi che ti vedi con quel tipo per scoprire quello che affermi che stai scoprendo se le tue vendite continuano a essere le peggiori della ditta? È incredibile. Lui vende venti volte tanto e il conto lo paghi tu!» Una notte, dopo un’ennesima discussione, Carrera, colpito dalla violenza del tono di Mirtha, senza minimamente considerare la possibilità che l’enfasi derivasse dalla volontà di mortificarlo, concepì un sospetto classico, quello imbastito da tutti gli infelici dotati di una minima considerazione di loro stessi: È gelosa. Ha paura di quello che potrei fare quando vado in giro. Nemmeno per un istante pensò che in realtà non fosse lui l’oggetto della sua gelosia, ma che questa fosse l’effetto di una sottrazione. Quello che a Mirtha dava fastidio non erano i vari periodi in cui Carrera si assentava da casa – cos’altro si sarebbe potuta aspettare la moglie di un rappresentante di commercio? –, ma che potendo passare del tempo con lei scegliesse di fare altro. Nella sua immaginazione, Fracassi era come la luna e Julio César era come la marea in sua balia. Il vero mistero era un doppio mistero, un mistero composto dai due volti di quella luna che lei non conosceva. Lato A: Qual era il potere di attrazione di Fracassi, 13 Daniel Guebel in grado di sottrarle suo marito in quel modo? Lato B: Per quale motivo Fracassi aveva bisogno di fare comunella con Julio César? Per vanità? Per chiacchierare? Con lui? Ma se suo marito era l’uomo più noioso del mondo! Doveva essere qualcosa di più complicato… Roba da degenerati. Sicuramente parlano di cose sozze: sicuramente Fracassi si fa raccontare di me. Una volta giunta a questa conclusione, Mirtha si sentì tremendamente lusingata e sottilmente solleticata. La delicatezza che, supponeva, Fracassi stava usando nel gestire la cosa, era all’altezza delle aspettative che aveva sempre avuto su come si dovesse cominciare una vera relazione sentimentale. In qualche modo, tutta la sua vita era stata una lunga e varia preparazione, una messe di esperienze (matrimonio incluso) necessaria per accedere, con consapevolezza perfetta, a ciò che le appariva sotto le sembianze di una possibilità squisita. Il fatto che Fracassi non si fosse ancora fatto avanti, aggiungeva solo maggiore eccitazione a tutto il processo. Tuttavia – sognava Mirtha – il suo ritardo non poteva essere infinito. Immaginava già quello che sarebbe successo quando si fossero trovati assieme. Te lo faccio vedere io chi sono, lo minacciava nella sua mente per poi promettere con dolcezza: E vedrai quello che ti farò a letto. Nel frattempo, per rendere più sopportabile l’attesa, continuava a torturare il marito. Voleva tutti i dettagli di quello che lui e Fracassi si dicevano e facevano durante quei momenti sottratti al matrimonio e alla fine Carrera le assicurò che avrebbe abbandonato quelle uscite tra uomini che le davano tanto fastidio. Nel sentire quella promessa Mirtha fu assalita dal sospetto che suo marito fosse molto più astuto di quanto lei supponesse: Julio César aveva scorto la verità del suo amore telepatico e con un’apparente rinuncia di poco 14 Carrera e Fracassi conto voleva trasformarla nella vittima di un sacrificio brutale. Gli si scagliò addosso piangendo, lo colpì con i pugni chiusi: «Sei disgustoso, miserabile e stupido». Mentre schivava i cazzotti e cercava di abbracciare la moglie, Carrera fece un rapido riepilogo della situazione: Mirtha reagiva così perché credeva che lui continuasse a ingannarla. Crede che Fracassi sia una mia invenzione per nascondere un’amante e che ora lo stia “facendo sparire” perché ho trovato il modo di incastrare meglio gli orari. L’unica maniera per tranquillizzarla è dimostrarle che Fracassi esiste, che è una persona reale, pensò e così le disse: «Mirtha, amore… Se dubiti della rispettabilità della mia condotta, lascia che chiami Fracassi per invitarlo a cena in modo che tu possa chiedergli quello che vuoi.» Era una proposta debole, visto che l’unica prova a suo discarico era un testimone che poteva essere suo complice. Per questo a Carrera sembrò più strano che confortante il fatto che Mirtha si fosse calmata immediatamente e gli avesse detto sì, lo voglio, sì. Fracassi non seppe come rifiutare l’offerta di una cena con la coppia. Ricorse a una scusa momentanea, valida per quella sera ed estensibile al fine settimana, e gli costò più di uno sforzo inventarne un’altra, quando il lunedì dopo Carrera insistette. Riuscì a sottrarsi, ma l’assedio continuò. Carrera continuava a rinnovare il suo invito, anche se debolmente, come se si fosse esaurito il desiderio di farlo. Appena se ne rese conto, Fracassi reagì con un misto di delusione e fastidio. Si era abituato alla devozione canina del suo collega di lavoro dandola infine per scontata. In un certo senso, quella devozione era l’unica cosa che lo ripagasse dello sforzo quotidiano di 15 Daniel Guebel parlare con lui, cosa che mai avrebbe fatto se il suo vice capo area Zanone non l’avesse costretto con la promessa di una promozione. «Ascolta una cosa, Cacho: se insegni a Carrera la tecnica dello scampanellamento porta a porta e riesci a far sì che aumenti la quota delle sue vendite, il giorno che diventerò capo area e ti lascerò il mio posto, non te lo ritroverai ad abbassare la media della tua squadra.» Fracassi, allora, gli aveva chiesto: «Ma signor Zanone, per quale motivo invece di romperci le scatole a formarlo non gli diamo un calcio nel sedere e prendiamo un venditore esperto?». E Zanone: «Carlitos, Carlitos… Quando arriverai al mio livello di esperienza, pratica e gerarchia, capirai perché le cose non si fanno così.» Da quella risposta, Fracassi aveva dedotto che Carrera godesse di un qualche tipo di protezione ai piani alti. Era ovvio. Se non avesse avuto un santo in paradiso, quel coglione non sarebbe durato un mese alla Sunbeam. E per questo, per se stesso, era diventato suo amico e sopportava quegli aperitivi terrificanti durante i quali si annoiava a morte, parlando di efficienza delle vendite. Altrimenti non avrebbe mai fatto una cosa del genere. A chi cazzo avrebbe mai potuto vendere un frullatore Carrera? Non sapeva manco sorridere. Certo, era ligio, prestava attenzione, ascoltava, prometteva di cambiare… Era talmente imbecille che credeva che quelle lezioni extra fossero incontri tra amici. Si credeva suo amico! Come lo odiava. Che voglia di dirgli che per colpa sua gli stavano rimandando la promozione. Certe volte Fracassi avrebbe voluto spaccargli la faccia a calci. Si tratteneva solo perché l’altro era protetto. E poi, dover andare a casa sua… Era davvero troppo, considerando anche che Carrera l’aveva invitato senza entusiasmo, come se stesse facendo un favore a qualcuno. A me no di certo! Ma, allora, a chi? Dopotutto, se Carrera aveva ottenuto l’appoggio di un qualche capo, un 16 Carrera e Fracassi direttore o un vicedirettore, doveva avere le mani in pasta o qualcosa di speciale che non dipendeva dalle sue capacità di vendita, ma allora da cosa? Da cosa? E se fosse Carrera a proteggere me? Se fosse il contrario di come penso e fosse lui a impedire che mi facciano le scarpe? In fin dei conti che ne so io di quello che succede di sopra, in direzione? Capace che qualche direttore voglia farmi fuori… No. Non può essere! Sono la stella della ditta. Anche se… Si possono trovare altri venditori bravi, bravi come me, oggi come oggi, nel paese. Venditori ce ne sono a bizzeffe, anche troppi. Non sapendo come gli convenisse comportarsi, Fracassi cercava di non mostrare il fianco, ma comunque non poteva continuare all’infinito a dire di no. Le sue scuse si fecero via via sempre più deboli mentre il mistero sulla sua situazione in ditta aumentava, illuminato dalla luce delle sue incertezze. In cuor suo, Fracassi si sentiva come la Pietra dondolante di Tandil, in bilico sull’orlo del precipizio, quando Carrera diede la spintarella necessaria rinnovando la delicata questione dell’ammirazione personale. «Non dirmi un’altra volta di no. Ho parlato tanto di te a mia moglie che ti vuole conoscere.» «E va bene», rispose Fracassi, «se è per far piacere a tua moglie…» Si misero d’accordo per cenare assieme il venerdì. Mirtha Jacubowicz decise di prepararsi come un soldato pronto all’assalto finale. Passò la settimana a impiastricciarsi di creme idratanti, depilatorie, disinfettanti, astringenti, profumanti, antietà, anticellulite e antirughe, combinandole con quelle a base di cetriolo, latte, aloe vera, cocco, placenta 17 Daniel Guebel (un prodotto condannato dalla Chiesa, ma a lei che importava!). Nella scelta del profumo si orientò verso qualcosa che le conferisse un alone fatale, deciso, suggestivo ed evocativo: voleva un’essenza leggera, un eau de toilette in grado di esaltare la freschezza della sua pelle, ma che allo stesso tempo fosse leggermente citrica, la cui fragranza andasse dalla dolce densità del cocco alla sontuosa marcescenza del melone… Si immaginava come un fiore notturno che si apre per essere penetrato (olfattivamente e visivamente) da un Fracassi travestito da gigantesco insetto pronubo. Per vestirsi rivoltò gli armadi tirando fuori tutto, imbastendo una serie di combinazioni sul letto: sexy, perturbante, raffinata, sobria, troia. Infine, scelse un corsetto di taffetà cangiante, dall’arancione al fucsia, con laccetti sulle spalle che le sfilava i fianchi e le sosteneva il grande seno, da coprire con uno scialle di garza stampato dello stesso tessuto della gonna, trasparente in controluce e perfettamente abbinato al maquillage: palpebre aranciate e zigomi virati al rosa. Siccome si trattava di insinuare e non di consumare, aveva messo da parte il completino di pizzo color crema per l’occasione propizia e quella sera avrebbe indossato un paio di mutandine non proprio comuni, misto di cotone e lycra, che le stavano molto bene. Come tocco finale, decise di mettere un paio di sandali col tacco sottile a punta, che le modellavano le gambe e la obbligavano a contrarre le chiappe mentre camminava. La mattina di venerdì andò da Chez Mario (hairstylist internazionale), dove si fece fare colpi di sole biondo furioso sul color cenere naturale, acconciare i capelli e applicare una cascata di extension scalate. Di ritorno dal parrucchiere chiamò il servizio di catering di Manuca Patz (che la signora Perla le raccomandava da sempre). Ordinò un menù con antipasti freddi: rotolone ripieno di cuori di palma, prosciut18 Carrera e Fracassi to glassato al forno, avocado e salsa golf, vitello tonnato e aspic di pesce con olive, peperoni a dadini, carote e rape rosse tagliate a forma di rosa e galleggianti nella tremolante eternità di una gelatina trasparente. Come portata principale (la carta, popolata di angioletti, riportava: “pièce de résistance: carni bianche”) c’era pollo ripieno con salsa demi-glace. Niente dessert: Fracassi si era offerto di fornirle il dolce e provvedere alle bevande. Dopodiché andò a fare un riposino. Appoggiò delicatamente la testa sul cuscino, tentando di non rovinare la pettinatura e cercando di sognare Fracassi, anche se non ne conosceva l’aspetto. Si svegliò tardi e per passare il tempo si mise a sfogliare una rivista femminile. La lesse dall’inizio alla fine. Si interessò al caso di una bimba nata di 390 grammi e che ora era una felice ballerina di danze tribali. Staccò e conservò con cura l’opuscolo sulla Personalità Positiva e si ripromise di leggere in seguito e con più attenzione le ultime tecniche per allevare pesci tropicali in casa. La lettura proseguiva tranquilla, ma quando arrivò alle pagine della moda diede quasi di matto. Una modella magra, alta e mora indossava il vestito che avrebbe voluto lei. Di colpo, tutto (l’universo, la cena, Fracassi) sbiadì come un vecchio programma televisivo in bianco e nero. Era una questione cabalistica. Senza quel vestito non avrebbe ottenuto nulla. Mirtha controllò le sue finanze, andò di corsa al negozio e lo provò. Era un vestito di seta nera, semplice, dal taglio classico, con una sola bretellina. Miracolosamente le stava bene; faceva di lei un’ebrea alta e disinvolta, un bell’esemplare di donna. Carrera tornò a casa presto, ricevette il carico di cibo, lo mise in frigo e preparò la tavola. Dopodiché andò a lavarsi. 19 Daniel Guebel Indugiò qualche momento a sfregarsi la pancia con una spugna vegetale, per far circolare il sangue. Sotto l’acqua aveva sempre voglia di cantare, ma il suono della sua voce lo deprimeva e siccome non aveva una canzone preferita finiva sempre per farfugliare l’inno nazionale. Uscì dalla doccia e andò in camera. Mirtha era lì, gli dava la schiena mentre metteva il vestito nuovo; aveva le braccia alzate e l’orlo le si era incastrato all’altezza delle spalle. Con un avvitamento sensuale, scosse le anche come potesse aiutarlo a scenderle lungo il corpo. L’attrito tra la pelle lattea e lentigginosa e la seta nera lo turbò. Nell’estasi di quell’istante, sua moglie gli sembrò una dea bianca che si nascondeva sotto un enorme turbante piramidale; così grande che la trasformava in una gigantessa di oltre due metri d’altezza. L’attimo dopo, Mirtha abbassò le braccia e si chinò per sistemare meglio il vestito, rimanendo col busto piegato verso il pavimento. L’effetto del nero fu quello di cancellare metà corpo, dalla cintura in su, e ora era una nana, con le natiche al posto della testa, separate nettamente dalla riga scura delle mutande. Il tutto durò qualche secondo, poi Mirtha si raddrizzò, si voltò e il suo viso emerse dall’apertura superiore del vestito. Aveva la faccia rossa per lo sforzo, come certe – poche – volte nei momenti di passione. Carrera si accorse della sua bellezza. Era amore, senza dubbio. Lei gli disse: «Ah, sei arrivato. Mi sono spettinata?» «No, non mi sembra» rispose lui. «Non sai mai niente tu. Come mi sta?» «Cosa?» «Come cosa?» «L’acconciatura?» «Il vestito!» «Il vestito? Spettacolare.» «Divino, non trovi?» 20 Carrera e Fracassi I Fracassi suonarono il campanello alle nove in punto. In realtà lo suonò Cacho, con la punta del dito indice destro, che riuscì a liberare – usando la tecnica del ragazzo che consegna le bottiglie dell’acqua – dal peso del vino bianco di media qualità. «Benvenuti» li accolse Carrera. «Ti piace il brut? Ho portato dello Sciatò Malmonò brut» disse Fracassi in un affanno fonetico. «Fantastico. Entrate.» «Questa è mia moglie.» Fracassi indicò col pollice in basso, dietro di sé, mentre scuoteva le altre due bottiglie come maracas. «Si chiama Soledad ma io la chiamo Soletta perché si accompagna a me… Capito? Sola Soletta! Ah ah ah.» Soledad non rise e disse: «Piacere» Carrera la guardò negli occhi e rispose: «Piacere mio», afferrando le quattro bottiglie e lasciandoli passare. Sembra una persona triste, pensò. E dopo, siccome quell’idea in qualche modo rendeva colpevole Fracassi, cercò una spiegazione: Però dicono che tutte le magre siano tristi. Come poteva essere triste, Soletta, a fianco del suo amico? Era davvero impossibile. Fracassi era un inno alla gioia di vivere… «Benvenuti!» Mirtha si precipitò in corridoio sistemandosi un ciuffo di capelli ribelle che aveva tentato di domare con la lacca. Fracassi la vide arrivare luminosa come un albero di Natale che promette molti regali. «Tu devi essere Mirtha» disse. «Sì» rispose lei facendo sobbalzare le tette-lampadine. «Mirtha con l’acca o senz’acca?» «Senza, senza» si confuse lei passando quasi sopra Carrera e frenando lo slancio a un centimetro dalle labbra di Fracassi che, siccome ormai aveva le mani libere, la abbracciò. «E io sono Carlos, Carlos Fracassi, dei Fracassi di Udine, 21 Daniel Guebel non quelli del Conservatorio Elmerico Fracassi, eh. Per servirti» le sussurrò all’orecchio. «Ciao, Carlos» Mirtha sussultò al contatto e tremò al pensiero che lui se ne fosse accorto. Fracassi, che aveva tastato meno spirito che carne, aggiunse: «Chiamami Cacho.» Mirtha educatamente fece un passo indietro: «Cacho… Cacho sta per Carlos?» No, sta per il gran pezzo di “cacho” che ho tra le gambe, pensò lui, come sempre sovrastimandosi. «Sì, sta per Carlos. Per cosa dovrebbe stare?» disse seccamente Soledad. «Ah, Mirtha: questa è la mia signora. Si chiama Soledad ma io la chiamo Soletta perché si accompagna a me.» Mirtha rise alla battuta, guardò Soledad e pensò: Secca di merda. Soledad la guardò e pensò: Cicciona puttana. «Piacere» dissero contemporaneamente e si baciarono. «Vi siete dimenticati di me», intervenne Carrera. «Soledad, io sono Julio César Carrera, collega e amico di tuo marito.» «Julio per luglio e César per il generale Cesare» aggiunse Fracassi. «Generale, Cacho? Quale generale?» civettò Mirtha cogliendo l’occasione di nominare Fracassi per la prima volta. «Come quale? Il famoso Ave Cesare, il generale greco!» Mirtha, che conservava ancora qualche rudimento di cultura, si accorse della castroneria ma non disse nulla: l’enfasi di Cacho gli era sembrata imperiale. «Avanti, accomodatevi, non rimaniamo sulla porta» invitò Carrera facendo un cenno con le braccia e dirigendosi vero il salotto, mentre Fracassi lo affiancava. Mirtha osservava le schiene dei due uomini: la tristezza del suo quotidia22 Carrera e Fracassi no era soverchiata dall’irruenza del suo futuro prossimo, da quel dorso ricoperto di muscoli, da quella nuca bestiale. «Spero avrai preparato qualcosa di leggero» disse Soledad, che la studiava di sottecchi. Mirtha pensò di chiarirle le cose vantandosi: Non ho preparato. Ho fatto preparare, ma si limitò a domandare: «Per il caldo?». «Per il colesterolo.» «Hai il colesterolo alto, così snella?» Con snella voleva dire scheletrica, e nonostante l’autocontrollo, la parola le uscì un po’ acuta. «Non io: Cacho. Ha minimo duecentottanta.» «Non è poi così alto.» Mirtha si sentì sollevata. «No, però il rapporto tra colesterolo buono e cattivo è sbilanciato e se mangia schifezze scoppia come un maiale.» «Con quello che ho preparato sarà difficile che accada.» «Hai cucinato poco?» «Molto. Ho passato la giornata ai fornelli.» «Immagino» dubitò Soledad. Proseguirono gomito a gomito per alcuni passi. Nel suo ruolo di anfitrione Mirtha riprese a parlare. «Ah, ma che gentile hai portato il dolce.» Lo disse come se se ne fosse resa conto solo in quel momento. «Lo mettiamo in frigo?» Soledad senza alcuno scrupolo di socialità rispose: «Il gelato nel freezer, il resto va bene anche fuori.» In sala da pranzo, con la generosa facilità di chi per dovere è abituato a elargire complimenti senza valore, Fracassi si rallegrò con i padroni di casa per la qualità e il candore della tovaglia, per l’eleganza dei portatovaglioli, per gli scenari montani dipinti sui piatti di porcellana, per la lucentezza dei 23 Daniel Guebel bicchieri, per il portastuzzichini di peltro, e infine indugiò sui dettagli del rospo di ceramica verde muschio con la bocca aperta. «Scommetto che se ci beviamo più di tre bicchieri di vino a testa, non riuscirai più a centrare la bocca con le olive.» Fracassi fece la sua prima battuta dando leggermente di gomito a Carrera, che si sentì in imbarazzo (ma felice) davanti a quella dimostrazione di confidenza che lo dipingeva (agli occhi delle signore) più mondano di quanto non fosse e così alzò la posta: «Mettimi alla prova e vedrai che ne centrerò quanto te.» «Questo è parlare da vero uomo», gridò Fracassi, facendo l’occhiolino a Mirtha, che eccitata balbettò: «Sediamoci.» D’istinto Carrera cedette il posto a capotavola a Fracassi. Mirtha mise le mani avanti: «Scusate se non abbiamo una donna di servizio, ma né a me né a mio marito piace avere una straniera in giro per casa.» «Ti aiuto io.» Soledad fece il gesto di alzarsi. «Lascia stare. Non ce n’è bisogno» rifiutò Mirtha. «Non è affatto un disturbo» disse Soledad senza muoversi. «Ci mancherebbe» concluse lapidaria Mirtha dirigendosi in cucina. Da diverse angolazioni e in entrambi i casi di sottecchi, Fracassi e Soledad approfittarono per studiarla. Il verdetto fu: “che culo!” e “che cellulite!”. Nel silenzio di quei pensieri si intrufolò la voce di Carrera, che si sfregava le mani: «Vediamo un po’ cosa ha preparato mia moglie.» Mirtha tornò dalla cucina carica di quattro vassoi, i pollici rigidi e arcuati come chele di granchio; il suo primo impulso era stato portarne due con le braccia sollevate, petto in fuori, per dare slancio alla sua silhouette, ma poi aveva deciso di risparmiare le energie. 24 Carrera e Fracassi «Aiutala, Soletta!» disse Fracassi vedendola entrare. «No, ce la faccio da sola» svicolò Mirtha. Posare i primi due vassoi sul tavolo, in una specie di atterraggio verticale, fu un’opera di ingegneria retrattile a carico del dito medio e dell’anulare di ogni mano. Soledad accennò a sostenerle un braccio, senza farlo. Mirtha si allungò dalla sua posizione, alle spalle di Fracassi, senza cambiare traiettoria. Un lieve sfioramento con la base del petto, un primo accoppiamento senotoracico-dorsale. «Ecco fatto. Chi servo per primo?» «Mia moglie» disse Fracassi. «Soledad» disse Carrera. «Tuo marito» disse Soledad. «Te, che sei l’invitato d’onore» disse Mirtha e impugnando il cucchiaio come una pala riempì con aria di sfida il piatto di Fracassi con una tripla razione di vitello tonnato. «Che lusso» esclamò Fracassi. «Se ti mangi tutta quella roba esplodi» gli fece notare serenamente Soledad. «Ma no, cosa mai potranno fare due fettine di carne a un corpaccione del genere» lo difese Mirtha. «Mia moglie dice che sto diventando una balena» spiegò Fracassi a Carrera, che nel tentativo di fare da conciliatore risultò fuori luogo: «Non bisogna esagerare.» «Per me può ingoiare quello che vuole, ma il medico gliel’ha già detto: niente attività violente, niente emozioni forti e niente grassi e fritture.» «Mia moglie vuole che io faccia una vita da monaca» rise Fracassi. «E tu Soledad?» chiese Mirtha. «Io che?» «Ti servo il vitello tonnato?» 25 Daniel Guebel «No, grazie. Io mangio come un uccellino.» «Be’, allora puoi spizzicare un po’ qua e là. Magari ti servo una porzione di aspic?» «Una porzione di cosa?» «Non ti disturbare, Mirtha. Soletta non sa nulla di cucina. È un’intellettuale, lei» si intromise Fracassi. «Aspic. Aspic» disse Mirtha in tono paziente indicando una massa color fango. «Quella gelatina lì.» «No, grazie.» «Guarda che è molto leggera.» «Grazie, non mi invoglia.» Mirtha si rivolse al marito, mascherando il suo malumore: «E a te cosa servo?» Soavemente Carrera le rispose: «Quello che vuoi, amore mio.» Poi si rivolse agli invitati: «Mi piace tutto quello che fa con le sue mani.» «Cosa gli farai mai con quelle manine, Mirtha?» Fracassi rise. Mirtha restituì la risata in versione aumentata, come fosse una promessa dello stesso piacere moltiplicato. Carrera arrossì come se l’amico avesse indovinato o proposto qualcosa, non sapeva bene cosa, che però, anche solo per l’allusione, Mirtha si sarebbe incaricata di realizzare in futuro. Nel dubbio guardò sua moglie per vedere se avesse capito, ma Mirtha stava ancora ridendo e allora Carrera abbassò la testa e cominciò a mangiare. Al primo boccone, per dissipare ogni ambiguità, sollevò la forchetta e approvò: «È davvero squisito.» «Questione di gusti» ribatté Soledad allungando la mano verso il cavatappi. «Vino? Qualcuno ne vuole?» «Certo» Fracassi la anticipò. «Figurati se lasciamo tappato questo Sciatò.» Afferrò il cavatappi, prese la bottiglia 26 Carrera e Fracassi e con tre giri della spirale, un giroscopio di polso e pugno che a Mirtha sembrò avere qualcosa di sessuale, stappò il vino accompagnando il rumore del vuoto liberato da uno schiocco della lingua. Accennò a servire per primo Carrera, che cortese e con cura posò la forchetta per prendere il bicchiere, ma lo eluse all’ultimo momento dicendo: «Olé!» Posò il collo della bottiglia sull’orlo del bicchiere di Mirtha e lo riempì guardandola negli occhi. Persa in quella vertigine, Mirtha riuscì a malapena tornare in sé prima che la coppa si rovesciasse. «Basta così, basta, basta» trillò e con l’indice spinse timidamente la mano di Fracassi, che con un altro gesto del polso tracciò un arco di centottanta gradi, restando col palmo rivolto verso l’alto e riempiendo il bicchiere di Soledad fino a metà. Soledad non fece nulla. Fracassi manovrò di nuovo verso Carrera. «Adesso sì.» E visto che Carrera non replicò per non essere oggetto di un’altra burla, Fracassi spiegò: «Era uno scherzo.» «Hai un marito spiritoso» disse Carrera, con aria complice, a Soledad. «Come se non lo sapessi» rispose, poi, con la rapidità di un insetto, scolò il vino in un sorso e ne chiese dell’altro. «Vecchia ubriachella» la apostrofò Fracassi in tono affettuoso. «Non cominciare, ciccio» disse Soledad, con il bicchiere in mano e gli occhi brillanti. «Me lo versi?» «Uh, guardate quant’è impaziente. Come si vede che le piace più del biberon!» la denigrò Fracassi. Carrera abbozzò un sorriso di circostanza, ma la freddezza dell’espressione di Soledad lo smorzò subito. Fracassi proseguì: «Magra com’è, si potrebbe pensare che mezzo bicchiere la ribalti, ma no. Soletta è senza fondo.» «Potresti stare un po’ zitto? Mi faresti il piacere?» 27 Daniel Guebel Fracassi sospirò mentre le mesceva il vino. «Eh, già. Che volete farci. Bisogna tener duro. In fin dei conti non è colpa sua, ma di come l’hanno cresciuta i suoi. Appena nata l’hanno spedita in un convento di suore. Le Umilissime Adoratrici del Prepuzio del Santo Sacramento o qualcosa del genere. Dico una bugia, Soletta? No, dimmelo se dico un bugia.» «Piantala.» «Non le piace che parli. No, non le piace proprio che parli. Sono tra amici, per quale motivo non dovrei parlare? Eh, rispondimi. Cosa dovrebbe mai fare un venditore se non parlare? Se non parlassimo sarebbe la nostra fine. Sbaglio, Julio César?» «E… Sì…» convenne Carrera. «Chiudi il becco, Cacho» disse Soledad. «Pio, pio, pio, pio. Non sono un uccello a cui si dice di chiudere il becco. E mi guadagno da vivere parlando perché ho studiato all’università della strada!» Fracassi si rivolse a Mirtha: «Non vuole che parli perché si vergogna di me.» «Ma no, non è vero…» intervenne Mirtha, che non aveva la minima idea di quello che stava succedendo. «Ah, per piacere! Vuole tapparmi la bocca perché non sono istruito quanto lei.» D’un tratto Fracassi spinse indietro il corpo cadendo quasi di schiena con la sedia e tutto il resto, ma all’ultimo si raddrizzò, evitando di perdere l’equilibrio e coprendosi il viso con l’avambraccio disse: «Non guardatemi. Non guardatemi, vi ho detto!» «Che succede Cachito?» si allarmò Mirtha. «Non voglio. Non voglio che mi vediate piangere. Dov’è il bagno?» «Non lo accompagnate. Fa sempre così» disse Soledad. «In fondo…» indicò Carrera e nonostante la richiesta di Fracassi si alzò da tavola e lo accompagnò. 28 Carrera e Fracassi Quando le donne rimasero da sole, Soledad incrociò le braccia. «Proprio una bella serata, no?» In corridoio Carrera sostenne Fracassi, che barcollava, per il braccio. Era strano per lui sostenere qualcuno di molto più forte e pesante. L’impressione di fragilità che emanava la figura del suo amico lo scosse. Si sentì in colpa, una colpa retroattiva, per non essersi reso conto di quanto fosse sensibile. Così sensibile da arrivare a piangere davanti a degli sconosciuti (era la prima volta che vedeva Mirtha) per una risposta un po’ dura di Soledad. E lui, che a volte (compensando l’eccesso di ammirazione nei suoi confronti) tendeva a considerarlo una bestia! Che complicato che era tutto quanto… Carrera aprì la porta del bagno e accese la luce. Fracassi urtò con la spalla lo stipite, entrò e d’istinto si mise di fronte allo specchio. Uggiolava come un cucciolo, sembrava avesse la gola grippata: «Iuuuu, iuuuu.» «Calmati, Cacho» gli disse Carrera. «Per favore, tranquillizzati.» Fracassi sollevò la faccia e si aprì in una risata. Carrera non vide nemmeno una lacrima. «Ci sei cascato pure tu!» Il dito che puntava lo specchio era indirizzato allo stupore di Carrera. «Non ti capisco.» «Neppure io e forse meno ancora di te. Era uno scherzo, coglione. Cos’è che non capisci? Un po’ di humour, suvvia.» «Piangevi per scherzo?» «Piangere io? Non ho pianto nemmeno quando è morta mia madre.» «Ma allora perché quella pantomima?» «Per ridere un po’. Uscire con Soletta è una veglia fune29 Daniel Guebel bre. Non hai visto che razza di arcigna che è? Non capisce le battute, se ne sta zitta, non risponde alle domande, non le interessa niente di niente. Perché pensi che abbia accettato un lavoro come il nostro?» «Per…» «Per scappare, caro mio, per scappare da quella strega figlia di puttana di mia moglie!» Fracassi si guardò seriamente allo specchio cercando il suo profilo migliore e si fece l’occhiolino. Carrera, alle sue spalle, pensando fosse diretto a lui, ammiccò in risposta. «Andiamo?» disse Fracassi. «Le ragazze ci aspettano… E non dirmi che non ti ho animato la serata.» Quando Carrera e Fracassi tornarono a tavola, i piatti erano già stati cambiati e sul centrotavola di carta crespata un enorme pollo a doppio petto aveva subito un trattamento di agopuntura con spiedini di plastica verdi e gialli a forma di spada, che infilzavano olive nere e ciliegie candite. In un momento di avidità allucinatoria, Fracassi confuse il pollo con un maialino da latte. «Festa!» esclamò allungando il piatto. «Prima io!» «Mangerai quella cosa?» domandò Soledad. «Cos’ha che non va?» chiese Mirtha e si apprestò a tagliare una porzione. «Cos’ha? Ha le arterie ostruite di grasso.» «Il pollo ha le arterie?» si stupì Carrera. «Non il pollo: Cacho. Ha talmente tanto grasso nelle vene che riesce a malapena a circolargli il sangue.» «Servi, servi, Mirtha. Almeno muoio felice.» «Sì, sì, fai il gradasso, ma poi quando ti prende un’altra crisi quella che deve chiamare di corsa l’ambulanza sono io.» 30 Carrera e Fracassi «Non so cosa fare» disse Mirtha con la coscia sollevata infilzata nella forchetta. «Servitela tu» consigliò Soledad. «Ma cosa gli potrà mai fare? È un pollo di campagna, allevato naturalmente, sanissimo.» «Non lo sai che ai polli iniettano degli ormoni nella punta delle ali?» «Per questo gli sto servendo la coscia che è dall’altra parte del pollo.» «Ah, e secondo te non esiste la forza di gravità? Al pollo gli ormoni non scendono? Se Cacho mangia quel pollo, schiatta.» «Mi stai dando dell’assassina?» «Cos’è? Hai la coda di paglia per la tua cucina? Io sto solo difendendo la salute di mio marito.» «A titolo informativo, compro solo prodotti di qualità.» «Non mi pare.» «Per forza, si vede che quello che ti manca in palato ti abbonda in lingua. Sicuramente trangugi insetti proprio come una biscia di campagna.» «Va bene, ragazze, fate pace.» Carrera si ritenne in dovere di mediare. «Cosa t’intrometti tu? Stiamo parlando tra donne. Non è così Soletta?» disse Mirtha. Soledad non rispose, ma Carrera si fidò: «Ah, scusate, credevo che steste litigando.» E per dissimulare l’imbarazzo si rivolse a Fracassi, offrendosi di preparargli la summa di tutta la sua arte culinaria: «Se vuoi ti faccio una bistecchina alla piastra.» «La carne rossa è anche peggio: è piena di tossine dell’adrenalina che vengono rilasciate dalla mucca quando viene assassinata al mattatoio» sentenziò Soledad. 31 Daniel Guebel «Mi stai facendo arrabbiare, Soletta. Riempimi il piatto, Mirtha, che il pollo mi piace moltissimo» disse Fracassi. «Non voglio interferire con la tua dieta» rispose Mirtha servendolo. «Per lo meno togli la pelle che è la parte più dannosa» disse Soledad e lasciando perdere la sua crociata allungò il piatto. Mirtha fece un grande sorriso e sfoggiando la sua abilità nell’adoperare il trinciapollo le tagliò e le servì una porzione fatta per la maggior parte di ossa, interiora e una compagine galleggiante di cartilagini, il tutto accompagnato da una purea di prugne. «Grazie, ha tutto l’aspetto di essere squisito» disse Soledad ricambiando il sorriso, poi guardò per la prima volta in tutta la sera il suo anfitrione: «Julio, mi serviresti ancora un po’ di vino, per cortesia?» Il pollo era tanto grande quanto duro; le porzioni debordavano dai piatti. Nel loro lavorio, coltelli e forchette stridevano sulla ceramica. Soledad sfoggiò ostinatamente la faccia da ve l’avevo detto, mentre tagliava in pezzi sempre più piccoli il cibo che non mangiava, fino a disintegrarlo. Mirtha avrebbe voluto cancellarle quell’espressione a colpi di lama, ma siccome l’altra era sua ospite doveva sopportarla, così, mentre si accaniva a sua volta sull’animale con tutta l’eleganza che le era possibile riscattare da quell’ecatombe gastronomica, si consolava contemplando il modo brutalmente sensuale con cui Fracassi, che aveva scoperto un universo intero nella combinazione tra dolce e salato, afferrava la bestia e l’azzannava, le succhiava il midollo dalle ossa e leccava le cartilagini. Che gran pezzo d’uomo! E pure disprezzato! 32 Carrera e Fracassi Come avrà fatto quella cagna sgraziata, quella mosca morta e frigida ad accaparrarsi un uomo del genere? Carrera mangiava in silenzio, non perché non volesse parlare con la bocca piena, ma perché stava pensando. Il suo comportamento era un effetto della sua concentrazione: si era messo a riflettere su quanto gli stava accadendo e in seguito a questo sforzo era giunto a una conclusione che in realtà era una pura constatazione: qualcosa era andato storto in quella cena. Tanto era bastato per ammutolirlo. Ma cosa non aveva funzionato? La sera era splendida, sua moglie bellissima, il suo amico di buon umore, Soledad… Be’, era un po’ strana. Che fosse Soledad a stonare? Era palese che Fracassi la facesse soffrire e che lei si vendicasse trattandolo male in pubblico. Problemi coniugali. Stupidaggini. No. Era stato forse il bisticcio di prima? No. Soledad e Mirtha non si piacevano. Ma non era nemmeno quello. Cose da donne. E poi, punto a favore, la cena era servita a dimostrare a Mirtha che il suo amico Fracassi esisteva davvero e che non mentiva quando le diceva che si incontrava con lui per chiacchierare. E allora, per quale motivo sentiva che le cose stavano volgendo al peggio? Domandandoselo, accettando quella sensazione, Carrera le fece spazio e la sensazione se lo divorò. Di colpo, un enorme carico di angoscia gli piombò addosso come una tovaglia plastificata, separandolo dal resto. Era praticamente cieco, se non per quello che stava accadendo. Quella distanza, quel sentimento di sequestro spirituale cominciò a soffocarlo. La tovaglia che lo imprigionava era spessa, grossa, la regina dell’opacità, ma nel contempo quasi trasparente, di tulle, e così nel momento stesso in cui sprofondava nel buio poteva continuare a guardare Mirtha, Cacho e Soledad attraverso le stampe a fiori. Erano fiori o ragni? Ora poteva capire le vedove dei vecchi film, che guardavano tutto attraverso la 33 Daniel Guebel veletta nera. Quelle stampe rigavano il mondo. Erano appiccicate alle facce della gente, erano l’ulcera della realtà. Cosa mi succede? Da un momento all’altro cado dritto per terra. Sto diventando matto. Mirtha, Mirtha salvami! Ma no, se grido, cosa penserà Cacho? «C’è qualcosa che non va, Julio?» chiese Soledad. «Ti sta scivolando la faccia di lato.» «È un tic… Ahi» rispose Mirtha sobbalzando. «Sembra che anche a Mirtha stia succedendo qualcosa» aggiunse Fracassi. «Non so» disse Carrera tra le nuvole, come avesse fatto uno sforzo massacrante. «Deve avere un calo di pressione» disse Mirtha, turbata dall’eccitazione che l’aveva assalita sentendo l’alluce di Fracassi sfiorarla. Fracassi indossò discretamente il mocassino, andò da Carrera e gli mise la mano sulla fronte. «Hai la febbre?» Carrera sollevò il mento e lo guardò negli occhi. Era la prima volta che lo faceva, mai prima di allora era riuscito a sostenerne lo sguardo. «No. Lascia stare.» «Oh, ma che ti succede?» disse Fracassi. Mirtha si intromise. «Julio! Ti sembra il modo di rispondere al tuo amico?» poi si rivolse a Fracassi: «Non ti preoccupare. Non è nulla.» «Se non è nulla, forse è il caldo» rifletté Carrera. Ci fu qualche secondo di silenzio, la quiete prima della tempesta, della catastrofe di tutto quello sforzo di socialità. «Passiamo ai dolci?» suggerì Mirtha. Mirtha non si fece aiutare da nessuno e portò i dolci, facendo l’equilibrista, dalla cucina. Suo marito fu il primo a 34 Carrera e Fracassi essere servito, in un atto di compensazione innocente. Fracassi fece un ghigno vedendo cosa gli sarebbe toccato: visto che aveva pagato lui la torta e il gelato Super Luxury (mandorlato bagnato nel cioccolato con una fine copertura di noci, mandorle e nocciole) si sentiva in diritto di strafogarsi la maggior parte dell’investimento. Soledad ricevette la sua parte, ma si limitò a scalfirne la superficie col cucchiaino, in compenso si riempì il bicchiere di vino lasciando la bottiglia alla sua destra. Mirtha le sorrise, con la precisa gradazione di sorriso che il Codice Angelico descrive come: voglio che tu sappia che so che finirai nel gruppo degli alcolisti anonimi senza speranza di recupero. «Se nessuno parla, significa che ci ho azzeccato con i dolci. Allora? Ci ho azzeccato o no con la lemon pie?» chiese Fracassi. Intenerita dall’errore linguistico, Mirtha, che aveva frequentato una scuola a tempo pieno, lo corresse: «Non si dice pie, Cacho: si dice pai. E…» Sì, correggimi pure la pronuncia, puttana bastarda, che ti correggo la figa a colpi di cazzo, pensò di dirle Fracassi in un impulso di voluttuosa aggressività. Ma si limitò a interrompere la spiegazione: «Com’è possibile che si dica pai, se pai vuol dire padre in brasiliano? È pie, come piè. E lemon, limone in inglese.» «Piè? Come piede?» Mirtha trattenne le risate. «Ovvio!» rispose Fracassi fraintendendo: la svergognata gli stava facendo capire che le era piaciuto lo sfregamento sotto il tavolo. Pie. Piè. Piede. E così in un attacco di trionfalismo proseguì: «È pie, perché è quello che sta sotto tutto, la base. La base è di limone. E per questo il dolce si chiama lemon pie». «Ah, ma guarda un po’» disse Mirtha abbandonandosi 35 Daniel Guebel sensualmente per un istante alla fantasia di farsi conquistare da quell’antropoide, dalla sua forza, nonostante l’errore. Si ricompose e con la punta della lingua titillò intenzionalmente il bordo del suo cucchiaino. «Che buono questo pie. Me lo mangerei tutto.» Fracassi si rilassò. Vincere una disputa, per insignificante che fosse, lo metteva sempre di buon umore. Era automatico. In realtà aveva scoperto che quella serata che buttava così male, quella cena a cui aveva partecipato solo per far contento Zanone, non sarebbe potuta andare meglio. Era tutto così perfetto, fantastico. Quasi senza faticare, stava fregando la donna a quel mattone di Carrera e senza che lui o sua moglie se ne accorgessero. Era davvero da schiantarsi. «Che ti ridi?» volle sapere Soledad. «Mi stavo ricordando di qualcosa che mi è successo quando ho cominciato a lavorare per la Sunbeam» disse per giustificarsi. «Cosa?» volle sapere Mirtha. «Non so se è una storia che si possa raccontare a tavola. È un po’… volgare. Ma se volete…» E senza aspettare cenni d’assenso, cominciò a raccontare che anni prima, più o meno dieci, era da poco entrato alla Sunbeam ed era nel periodo di prova, aveva commissioni di vendita e provvigioni ma non lo stipendio, perché volevano vedere come se la sarebbe cavata con le vendite e l’avevano anche mandato in un posto al confine della provincia. Era il buco del culo del mondo, un posto turistico solo d’estate. Ci era andato con l’ordine di vendere almeno tre elettrodomestici in una settimana. Naturalmente sapeva che se ne avesse venduti meno di cinque ci avrebbe perso, ma accettò ugualmente… «Ed eri sposato?» chiese Mirtha. 36 Carrera e Fracassi «Grazie a Dio ancora no.» «Spiritoso» protestò Soledad. «È così. Se avessi dovuto mantenere Soletta e i suoi, come faccio ora, non avrei potuto procurarmi il lavoro» spiegò Fracassi. «Lo dici come fosse un lavoro favoloso» rispose Soledad, e bevendo fece un cenno al vino, inarcò due volte le sopracciglia. «Hai delle lamentele?» «Se non lo sai tu…» disse Soledad e si servì di nuovo. «Meglio che non ti risponda e vada avanti.» Fracassi riprese la storia dilungandosi sull’arrivo e sul percorso in auto che aveva attraversato luoghi di interesse turistico e commerciale. Cercando un alloggio aveva girovagato per varie locande e alla fine si era sistemato in una che si trovava un po’ fuori mano, ma che offriva pensione completa. Aveva tirato sul prezzo, quindi aveva preso dall’auto aziendale la valigia con dentro il catalogo dei prodotti illustrato a colori, il robot multiuso dimostrativo ed era salito nella sua stanza. La camera era piccolina, pulita, ben ventilata, con vista sulle colline. La cosa strana era il bagno: doccia normale, vasca e specchio normali, ma il water, invece di essere il solito water in porcellana, fatto per cagare seduti, era un buco nel pavimento con un recipiente metallico e una cordicella collegata a un serbatoio d’acqua piuttosto ridotto… «Non ho idea di quale interesse possa rivestire un water nella tua storia» lo interruppe Soledad. «Ma se non sai cosa sto per raccontare, come puoi dire se è interessante o meno?» disse Fracassi e fece l’occhiolino a Carrera. «Le donne, sempre di fretta.» Carrera rispose immediatamente all’occhiolino, per nascondere che non sapeva a cosa si riferisse l’amico. In realtà, 37 Daniel Guebel dal momento del suo soffocamento aveva smesso di prestare attenzione a quello che accadeva a tavola per concentrarsi a esaminare il suo malessere. L’ammiccamento di Fracassi era stato un richiamo alla realtà e la sua risposta, un riflesso derivante dall’abitudine di obbedire, non l’aveva sottratto alla sua assenza introspettiva. Cosa non aveva funzionato? Qualcosa di fisico, per esempio, un particolare nel viso di Soledad? La combinazione della sua pelle bianchissima con i capelli neri, spioventi? Le sue labbra sottili? Le orecchie a punta, da topolino? I suoi occhi brillanti? O no? In realtà era qualcosa nel suo stile, Soledad era una donna attraente. Era una combinazione di… «E poi» proseguì Fracassi «non c’era nemmeno il bidet, che come ben saprete…» Gli dava fastidio la luce? Sarà stato un colpo di luce, una botta sulla retina ad avergli causato quella nausea, quasi un’allucinazione? Dopotutto, a volte, in certi giorni di particolare tensione, gli venivano certi dolori alla cervicale, mal di testa e nausee che sfociavano in una terribile fotofobia… «E accanto al letto, una Bibbia. Quando ho chiesto chiarimenti al proprietario dell’osteria sull’assenza del bidet, mi ha detto: “Vogliamo evitare ogni tentazione al peccato.” Allora mi sono reso conto di essere arrivato in un paesino molto cristiano. Cattolico apostolico e romano. E così il giorno dopo sono andato a fare visita al prete, gli ho promesso un regalino della Sunbeam e gli ho chiesto di usare questo argomento con i fedeli: se Dio ci ha messo sette giorni a fare la terra e il settimo si è riposato, com’è possibile che una donna non si riposi mai, lasciando che del lavoro di pelare, tagliare e frullare i suoi alimenti si occupi il robot multiuso?» «Geniale, hai corrotto un prete con un frullatore!» gridò Mirtha. 38 Carrera e Fracassi «Non proprio. Il prete ha detto che non poteva fare pubblicità durante la messa, ma mi ha dato una lista delle vecchie che andavano in chiesa. In una settimana ho venduto robot multiuso a palate. Ne ho piazzato uno pure alla direzione dell’ufficio del turismo che non aveva manco la corrente elettrica.» «Un miracolo» ironizzò Soledad. «Anch’io credo in Dio, ma non bisogna esagerare» precisò Fracassi, concedendosi una pausa prima di arrivare al cuore del racconto. Cos’era allora? Cos’era che lo preoccupava così tanto? Che lo amareggiava? Mirtha…? Mirtha… sua moglie? Era lei… la sua voce? Perché alle volte Mirtha parlava molto, quasi sempre parlava molto e aveva il tono di voce un po’ acuto… quasi stridulo… Ma no… Non poteva essere lei… La sua micetta… Il suo amore… Amore… La futura madre dei suoi figli… «… All’osteria, il cibo era tutti i giorni lo stesso. Primo piatto: riso in bianco. Secondo: bistecca ben cotta. Dolce: formaggio e budino di patate dolci o riso cotto nel latte. Mai un’insalatina, mai un succo. Non ci badavo però, con quello che stavo vendendo. Una fortuna! Chiamavo la Sunbeam per passare nuovi ordini di vendita e non ci potevano credere.» «Erano invidiosi, di sicuro» lo blandì Mirtha. «Certo. E sorpresi. In ditta nessuno avrebbe scommesso su di me. Non mi conoscevano.» «Una sorpresa.» «Certo» ripeté Fracassi, un po’ infastidito da tante interruzioni. «Ero al settimo cielo, vendevo a destra e a manca. Ma il terzo, quarto giorno, nel bel mezzo di una vendita, di colpo mi sono sentito appesantito, gonfio, come se avessi problemi di circolazione.» 39 Daniel Guebel «La pessima qualità del cibo» commentò Soledad. «E allora…» sbuffò Fracassi e si rivolse a Carrera (l’unico che non lo interrompeva) per poi proseguire, «allora mi sono reso conto di non essere mai andato di corpo in tutti quei giorni.» «Che raffinato!» protestò Soledad. «La verità non offende. Fammi andare avanti. Quando mi sono reso conto che da quando ero arrivato nel paesino non ero andato di corpo neanche una volta, ho pensato: devo andare a cagare di corsa, ora. Ma non potevo. Stavo concludendo una vendita e così stringo le chiappe, resisto e proseguo, mi dimentico. Poi mi riesce un’altra vendita e non mi fermo più. Così, di sera, quando sono arrivato all’osteria, ero talmente sfinito che non mi sono ricordato di andare a cagare.» «Ti sembra il caso, a tavola?» esordì Soledad. Carrera non l’ascoltava più. Seguiva ogni gesto di Mirtha, la sua intensa concentrazione, il suo modo di pendere dalle labbra di Fracassi, le guance arrossate, la voglia di essere partecipe. Vedeva le smorfie di Soledad, che si sentiva a disagio per il racconto del marito, martirizzata, le mani contratte, la destra sul cucchiaino da dolce, vedeva anche – molto più nitidamente – lo scambio di sguardi tra le due donne. Ma su tutto questo si stagliava una certa impressione: al di là delle ore di lavoro condivise e dei momenti persi a conversare al bar; al di là delle risate, degli scherzi, della vanità di Fracassi, stava emergendo qualcosa che Carrera non era riuscito mai a discernere con chiarezza, qualcosa che l’aveva sempre affascinato in Fracassi e che ora lo disgustava. Si trattava della sua stessa essenza, Fracassi era una persona volgare. La sua volgarità gli permetteva di essere un venditore di successo e un maniaco seduttore di donne a caso. La volgarità era il 40 Carrera e Fracassi suo dono e la sua felicità. Gli rendeva tutto più facile. Essere volgare lo rendeva affabile. Era dotato di una simpatia accattivante, ideale per un venditore. Il mondo era fatto su misura per la gente come lui. Ed era proprio per il fatto di essere volgare che Carrera stava cominciando a detestarlo, senza arrivare al disprezzo (era troppo in soggezione nei suoi confronti), ma aveva capito una volta per tutte che quel tipo non era e non sarebbe mai stato suo amico. «Incredibile» disse Mirtha. «Una settimana, te lo giuro. Mirtha, una settimana senza andare in bagno!» «Qualcuno ti ha fatto il malocchio per invidia. Stavi vendendo troppo…» «Credi?» «Sicuro. L’invidia è il contrappasso per il successo.» «L’invidia è il contrappasso per il successo… Ottima definizione, è tua?» «Certo» Mirtha finse di offendersi. «Dai va’ avanti.» «Ok. Era una settimana che ero tappato…» «Il tappo umano» Mirtha trattenne una risata. «Vado avanti o no?» Fracassi aspettò un secondo e proseguì. «Il tappo umano visse una settimana senza andare di corpo, si dice così Soletta? Arrivato il giorno in cui me ne dovevo andare dal paesino, subito dopo aver chiesto all’osteria che mi facessero il conto, mi sono venuti dei crampi che, non vorrei sembrare volgare, ma cosa posso dire? Quasi mi si rompe il culo in quattro. Sono arrivato in bagno carponi, quasi strisciando… Occhio che ora arriva la parte scabrosa…» «Va be’, dai, siamo tra amici» disse Mirtha. «Poi non ditemi che non vi avevo avvisato. Be’, sono arrivato in bagno e appena mi sono calato i pantaloni ho ca41 Daniel Guebel gato uno stronzo duro come un sasso, lungo mezzo metro, a forma di curva, usciva dal buco come un boa constrictor di merda.» «Che schifo!» sbottò Soledad. «Eh, già. Era lunghissimo. E ora silenzio che voglio chiarire una cosa: non è che mi capita sempre qualcosa del genere. Succede che c’è gente che caga più di quello che mangia. Bene, quand’è caduto nel recipiente, lo stronzo ha fatto ploc! cloing! Sul serio, Mirtha non ridere, ha fatto un rumore metallico. E non potete immaginare che dolore. Non finiva più, è stato un parto. Se non mi sono venute le emorroidi quella volta, non mi verranno mai più. Insomma, mi faccio ’sta cagata, mi pulisco e quando tiro la cordicella del serbatoio dell’acqua, niente: vengono giù tre gocce, una, due, tre… Conclusione: lo stronzo non si muove di un millimetro. Rimane lì, bagnato, luccicante di rugiada… Aspetto che si ricarichi il serbatoio, un minuto, due minuti, tre… al quinto minuto, quando il rumore della ricarica dell’acqua è finito, tiro di nuovo la cordicella. Una goccina, due e basta. Che faccio? mi domando. Che faccio? Non potevo andarmene dal paese lasciando uno stronzo incastrato nel cesso. Stavo cominciando a disperarmi. Scendo. Vado nella cucina dell’osteria, chiedo un secchio alla cuoca. “A cosa le serve?”, mi chiede. “Vorrei farmi un bagno e non va la doccia”, le dico. “Aspetti un attimo che arriva mio marito che si occupa di aggiustare tutte le cose”, mi risponde. “No”, le dico. “Sto per partire e vorrei lavarmi ora. Subito.” “Non so dove sia il secchio, signore, dovrei mettermi a cercare.” “Lo cerchi.” “Ora non posso, sono molto occupata.” “Signora, se non mi procura un secchio ora, le giuro che m’insapono le palle nel lavello dove sciacqua le patate.” “Va bene, va bene, che caratteraccio, prenda”, mi dice allungando una mano sotto 42 Carrera e Fracassi il tavolo della cucina e tirando fuori un secchio. Lo afferro e mi avvio fuori dalla cucina quando sento la stracciaballe borbottare. “Che c’è?”, le chiedo. “Al mio paese si usa ringraziare”, mi rimprovera. “Ah sì”, le faccio, “si dà il caso che sia uruguayano.” Salgo, riempio il secchio di acqua e la verso nel cesso…» Fracassi fece una pausa, un tentativo di creare suspense, poco più che un modo di riprendere fiato. Per la sua credulità, Mirtha lo incitò: «E?» «E anche dopo che ci ho rovesciato sopra il secchio d’acqua, lo stronzo continuava a starsene lì, l’acqua non l’aveva smosso per nulla e manco sciolto. Sembrava uno stronzo impermeabile, giuro! Avvilito, sono rimasto a fissarlo. Poi ho riempito di nuovo il secchio, non la farò lunga, non è successo nulla. Se avessi avuto un coltello, mi sarei messo a tagliarlo a fette fino a che non fosse passato dallo scarico. Ma non avevo un coltello e poi l’idea mi faceva un po’ impressione. Più che schifo, mi veniva un non so che a pensare di sezionare qualcosa che era stato dentro me stesso. È come ferirsi da soli. E allora a mali estremi, estremi rimedi. Ho cercato un giornale, l’ho aperto sul pavimento del bagno come fosse un tappeto, ho afferrato lo stronzo per una punta e l’ho lasciato cadere al centro delle pagine. L’ho arrotolato per bene, come una salsiccia rustica e poi l’ho infilato in valigia con il catalogo dei prodotti della Sunbeam. Ho preso su e chi s’è visto s’è visto.» «E lo stronzo?» chiese Mirtha, che senza badare all’avviso di Fracassi, non aveva smesso di ridere. «Mi farai slogare la mandibola. Cosa ne hai fatto del pezzo di stronzo?» «Ah, con quello… Appena sono arrivato sulla provinciale, l’ho tolto dalla valigia e l’ho scagliato via.» Soledad approfittò del secondo di silenzio al termine del 43 Daniel Guebel racconto per dire: «Un aneddoto molto istruttivo. Io il caffè non lo prendo. Tu Cacho lo vuoi o andiamo subito a casa?» «Ma che dici, Soletta? Se non è ancora mezzanotte!» «In questo caso mi servo un altro bicchierino di vino…» «Quello che non ci hai raccontato è se dopo ti sei lavato le mani…» intervenne Carrera. «Ehi, per chi mi hai preso?» protestò Fracassi, nascondendo le mani sotto il tavolo. Rendendosi conto che quel gesto palesava la verità, le sollevò e si grattò la barbetta. «Dimmi una cosa, Mirtha, tornando al tema dell’invidia. Davvero credi nel malocchio?» «Ma certo, come non crederci? È scientifico! Come l’astrologia…» «L’astronomia» la corresse Soledad. «No, l’astrologia. L’astronomia è la scienza che studia il movimento dei pianeti nel cosmo…» «Ma quella non è la cosmetologia?» si confuse Fracassi. «… Invece l’astrologia, che è tanto scienza quanto l’altra, studia l’influenza dei pianeti sul destino umano» precisò Mirtha. «Figurati che siamo talmente governati dai pianeti che anche il malocchio è un effetto dell’influsso planetario. Perché in fin dei conti, cosa siamo? Di cosa siamo fatti?» «Novanta e fischia percento d’acqua e il resto carne, ossa, funghi e microbi» disse Cacho e aggiunse, «tolta la merda.» «D’accordo, d’accordo. Ma quello che intendo è… di cosa è fatta la nostra vera essenza…?» «Intendi l’anima?» «Materia cosmica. Gli esseri umani hanno la stessa composizione del Tutto. Siamo polvere di stelle.» Mirtha si appassionò alla spiegazione che stava imbastendo: aveva lasciato Fracassi a bocca aperta, lo zombi di suo marito si era risvegliato e pure Soledad la stava ascoltando con rispetto. 44 Carrera e Fracassi «Naturalmente, ci sono diversi gradi di concentrazione di polvere, diversi modi di aggregazione. Per esempio, la combinazione della polvere della Via Lattea è la stessa degli spermatozoi.» «Una scopata stellare» si entusiasmò Fracassi. «E-esattamente. Mettiamola così» sussurrò Mirtha. «E la pupilla dell’occhio? La pupilla è rotonda e ha la stessa composizione dei pianeti. Dunque, se i pianeti governano il destino della gente, quando qualcuno lancia un malocchio a un’altra persona perché è invidioso, cosa le sta facendo? Le sta cambiando di posto il pianeta!» Mirtha concluse con un sussurro intimorente: «Sta cambiando il suo destino.» «Sul serio?» chiese Fracassi. Anche se si era perso qualche pezzo durante la spiegazione, quello che aveva capito gli fece venire voglia di saperne di più. La sua incredulità da macho cinico e uomo di mondo aveva ceduto il passo a quella repentina visione di sé, una costellazione di Fracassi, ogni parte del suo corpo, un pezzetto di una fulgida stella. Era incredibile. «Sul serio?» ripeté. Era spettacolare. Che panorama! Sullo schermo della sua mente veniva proiettata un’enormità che si andava formando poco a poco, il megaFracassi si stagliava nell’oscurità cosmica come le astronavi nei film di fantascienza. Soledad, che era arrivata fino in fondo alla spiegazione di Mirtha, sussurrò, la bocca appiccicata al bicchiere di vino: «E se quello che lancia il malocchio è strabico, non ti dico.» Il tono di Soledad raggiunse il sogno a occhi aperti di Fracassi e lo infranse: «Che hai detto?» «Niente. Traggo le conclusioni logiche del ragionamento di Mirtha. Se ti prende di mira uno strabico, ti può cambiare la vita. E poi, se lo strabico guarda male due persone allo stesso tempo, scambia la vita dell’una con quella dell’altra, 45 Daniel Guebel e la rovina a entrambe» disse Soledad e facendo una faccia inquietante guardò Carrera con gli occhi incrociati. Dopodiché rise da sola. Fracassi vide la smorfia ma si limitò a fare un gesto della mano come se gettasse la spazzatura. Non aveva importanza cosa diceva quella scema, a lui interessava solo una cosa: «Ma allora quando litigo con qualcuno perché ci siamo guardati storti…» «Semplice» disse Mirtha «è lo scontro tra due pianeti.» «È meraviglioso.» Fracassi si arrese definitivamente al cospetto dell’intelligenza superiore di Mirtha. Qualcosa dentro di lui, una fibra intima, una corda fino a quel momento inutile, ossidata, si sciolse e cominciò a vibrare. Se solo fosse riuscito ad appartarsi con Mirtha… Se fosse riuscito a farsela, altro che la Via Lattea, l’avrebbe riempita di tanto latte da farle dire basta… Eppure, anche quello… non sarebbe stato altro che chiavare. Trombare era trombare e non c’era nulla di male. Al contrario, niente di più bello che togliersi certe voglie. Ma Mirtha (la corda vibrò di nuovo, facendo risuonare una musichetta), Mirtha stava per diventare una donna importante nella sua vita. Al suo fianco avrebbe imparato cose nuove. Questo lo spaventò. Scoparsi una tipa e via, una tipa qualunque… scoparsela e mollarla era il minimo… Ma se la tipa gli interessava, era sempre stato così, se una tipa gli interessava, allora tutto si faceva più complicato… Strano… Come se perdesse la sua libertà di movimento… Come fosse legato mani e piedi. Da tanto bestiale che era, Fracassi non sapeva di essere un sentimentale. «Che bella spiegazione.» Soledad sorrise. «E dimmi, Mirtha sai che le meteoriti se ne vanno a spasso per lo spazio, spinte dalla combustione dei loro stessi gas?» 46 Carrera e Fracassi «Sì» rispose Mirtha, un po’ titubante perché la sua scienza astrologica non si dilungava su quei dettagli tecnici. «Sì, certo.» «È per questo che quando qualcuno ha troppo gas si dice che soffre di meteorismo? Perché spara cagate?» «Come…?» Mirtha sbatté le palpebre senza leziosità, gelata dalla violenza del commento. «Lascia perdere… Non ti disturbare a rispondere. E qual…» Un pugno colpì il tavolo scuotendolo. Un cucchiaino colpì un bicchiere, rivelando che l’uno non era di cristallo e l’altro non era d’argento. La voce di Fracassi suonò altrettanto poco cristallina: «Chiudi il becco, ubriacona. Rovini sempre tutto.» Soledad tremò, sembrava sul punto di cadere lunga distesa sul tavolo, poi si alzò e disse: «Voglio andarmene.» «Non ce ne andremo finché non avrai chiesto scusa a Mirtha per la tua maleducazione.» Il raffinato Fracassi, sospirò tra sé Carrera mentre osservava Mirtha che, da diplomatica esperta, simulava l’intenzione di intercedere in favore di Soledad sollevando le mani: «Per favore, non ce n’è bisogno, non esageriamo.» Per la velocità con cui la concluse, la frase suonò come: non c’entro. Fate quello che volete. «Non devo chiedere scusa di nulla» disse Soledad. «Fallo.» «Manco morta.» «Meglio che tu lo faccia…» «No.» La voce di Soledad era sempre più debole. «Non obbligarmi a obbligarti a chiedere scusa perché finirebbe ancor più male.» «Non minacciarmi.» 47 Daniel Guebel «Tu sai cosa ti conviene fare.» «Non puoi farmi questo.» Stava quasi piangendo. Mirtha si crogiolò nella sua vittoria e, a difesa del decoro e del buon gusto, posò la mano sul cuscino di peli del braccio di Fracassi. «Cacho, per favore…» «Va bene, se me lo chiedi tu» disse Fracassi addolcendosi. Poi, brusco, si rivolse a Soledad: «Non chiedi scusa perché Mirtha ti perdona. Ora però rimaniamo finché lo dico io.» Carrera guardò Fracassi, guardò Soledad e per un secondo si sentì come se qualcuno avesse messo nelle sue mani una sfera di cristallo, brillante e scheggiata; era l’anima di quella povera donna, tormentata dal marito. La sfera era un bene prezioso, il più sacro del mondo, ma aveva subìto un danno letale e sarebbe durata molto poco. Quella sensazione svanì quasi subito lasciando posto a un’altra, più intensa, ma più rapida e fugace, talmente rapida che in quel momento non riuscì a coglierla (più tardi, in un altro presente, Carrera l’avrebbe ricordata con molta precisione, come un’avvisaglia di quel futuro). Fracassi maltrattava Soledad perché voleva fare colpo su Mirtha. Dopo quella percezione di un milionesimo di secondo, Carrera si sentì di nuovo nauseato. Tornò a guardare Fracassi, lo vide sfocato; la faccia gli si deformava di lato come fosse una maschera di gomma. Il taglio della bocca si muoveva, aprendo e chiudendo un buco nero. Probabilmente stava parlando. Chi era quel tizio? Perché permetteva che mangiasse alla sua tavola? Pensandoci ebbe un attacco di allegria selvaggia. A quello sconosciuto, a quel cretino che si prendeva gioco della sua stessa moglie, lui non doveva nulla. E non avendo debiti, né ammirazione né gratitudine, si scaricava di un peso, era libero. Lui, Julio César Carrera, poteva anche essere il peggior venditore della Sunbeam, ma era solo una fatalità, una disgrazia… In ogni caso a essere senza 48 Carrera e Fracassi rimedio era la sua sfortuna. Doveva accettare il fatto che con Fracassi non avrebbe imparato nulla. Se Fracassi aveva un dono, il talento per le vendita, se lo teneva stretto per il suo tornaconto. Il vero proposito per cui aveva organizzato la cena – ora l’aveva capito – non era per dimostrare a Mirtha la sua fedeltà ma per ingraziarsi Fracassi, ricoprirlo col miele dell’ospitalità… Insomma: leccargli i piedi affinché gli trasmettesse la sua capacità di piazzare elettrodomestici persino ai morti. E siccome questo proposito era impossibile, la cena non adempiva più ad alcuna funzione e poteva considerarsi terminata. Carrera si schiarì la voce, era già pronto a dire che era tardi e che la mattina dopo si sarebbe dovuto alzare presto, ma Mirtha lo precedette: «Qualcuno vuole un altro caffettino?» «Io no» disse Carrera, categorico. «Sì, lo so che tu non lo vuoi, tesoro» in realtà aveva fatto l’offerta rivolgendosi a Fracassi. «Se bevi caffè a quest’ora poi non chiudi occhio. Cacho…?» «Va bene, Mirtha, già che me lo offri…» accettò Fracassi. Al momento dei saluti, Mirtha Jacubowicz e suo marito accompagnarono Carlos Fracassi e la sua signora fino alla porta. Le donne si salutarono con un bacio immateriale, nessun labbro sfiorò alcuna guancia ma gli schiocchi si sentirono da lontano. Cacho fece la presa dell’orso a Julio César e in un attacco di timidezza tipico di un novello innamorato sfiorò appena Mirtha. Soledad salutò Carrera dandogli la mano bene aperta e passando al suo anfitrione un bigliettino che aveva scritto in bagno e piegato in quattro. Carrera sentì la carta sfiorarlo e chiuse la mano. Disse ciao e mise il foglietto in tasca. 49 Daniel Guebel «Ciao. I Fracassi vi salutano» rispose l’aura verdenera di Cacho, una sagoma larga ritagliata dal lampione della strada. «Non perdiamoci di vista!» disse Mirtha con secondi fini. Carrera chiuse la porta. Mirtha lo guardò, valutandolo. Era tutto quello che aveva a portata di mano. Suo marito: l’omeopatico diluito per i suoi momenti di passione. «Che serata» disse e con una parvenza di sguardo sognante si appoggiò alla porta. «Sì, terribile.» Carrera impallidì. «Ho un bisogno urgente.» E andò di corsa al bagno. Schizzò tutta la tazza del water di meteoriti nere grandi come chicchi di caffè. Astrologicamente, era più oscuro di una mostra privata di arte espressionista astratta. Nell’agonia, le esplosioni di quell’arte effimera si trasformarono in un liquido bollente, lava in un lago nero, fluidissima, accompagnata da un rozzo strombettio che borbottava dalla bocca del vulcano. Il fenomeno si protrasse per qualche minuto e a Carrera parve di aver rotto le acque, come una donna; quando credeva fosse finita, ci fu una nuova esplosione. Per pudore, per non farsi udire, tirava continuamente lo sciacquone. Alla fine, quando sentì di aver evacuato anche l’anima, allungò la mano destra a tentoni e incontrò il portarotolo vuoto. Come sempre Mirtha si era dimenticata di rimettere la carta igienica. «Pulisciti almeno» disse Fracassi. «È che non mi sono portata il fazzoletto» blaterò Soledad e rigettò di nuovo. Fracassi guardò schifato il vomito. Era una pozza di vino, con la puzza di alcol potenziata dai succhi gastrici. Scostò lo sguardo in direzione della casa dei Carrera (era appena a mezzo isolato), timoroso che Mirtha potesse sentire i rumori, uscisse in strada e lo vedesse in quella situazione imbarazzante. 50 Carrera e Fracassi «Muoio» disse Soledad. «Pulisciti con la manica della camicia.» «Non posso» piagnucolò. «È di seta, non assorbe.» «E che vuoi? Che ti pulisca io?» «Sei una merda.» «Chi, io?» «Sì, che disgrazia, ho sposato uno stronzo.» «Stronzo, io? Stai attenta a quello che dici che ti spacco la faccia a calci.» «Mi hai rovinato la vita, pezzo di merda.» «Non ce l’avevi neanche una vita prima di conoscermi. Eri una secchetta più brutta di una larva che nessuno voleva tirarsi su, neanche pagando.» «Stronzo.» «Ricordatelo bene e una volta per tutte, sono io che ti ho reso una donna.» «Stronzo.» «Ubriacona, ubriacona di merda.» «Guarda come mi hai ridotto.» Soledad cadde in ginocchio a lato della pozza. Si chinò per vomitare ancora. «Ma che bellezza» disse Fracassi. «Mi fai sempre fare delle figuracce davanti a tutti. Non ti sopporto più.» Le voltò le spalle e fece per andarsene. «Non lasciarmi qui…» «Ciao. Speriamo che ti piova in testa.» «Sono tua moglie, figlio di puttana!» «Trovati un altro sbevazzone come te.» «Aiutami.» «Col cazz…» La voce di Fracassi si stava già perdendo. Soledad cercò un sasso, qualcosa da tirargli. Non trovò nulla. La nausea continuava. Un altro spasmo. Ebbe tre conati, ma a stomaco vuoto. Così si alzò e andò dietro a suo 51 Daniel Guebel marito. Carrera cercò con lo sguardo un asciugamano, una camicia o un fazzoletto a portata di mano. Niente. E il bidet, per scelta estetica di Mirtha, era dall’altro lato del bagno. Se fosse corso rapidamente e con il culo in su, chissà… No, avrebbe sporcato il pavimento di porcellana bianca. Si ricordò del bigliettino di Soledad. Lo aprì e lesse: “Quando vuoi una donna vera, chiamami.” Soledad. Che donna interessante. Magra, raffinata. Per quale motivo si sarà sposata con Fracassi? Forse era così ammodo da non rendersi conto dell’animale che aveva accanto. Sì, lo so io com’è. È… esotica. Doveva essere una donna coraggiosa per avergli passato il foglietto sotto gli occhi del marito. E Fracassi… Che cornuto! Una donna vera… Cosa avrà voluto dire? Che Mirtha lo era per finta? Ah, le donne, sempre in competizione… Carrera si sentì appagato: un uomo assediato dal sesso opposto, di cui intuiva immediatamente gli intrighi; un detentore di sapere ed esperienza. Rapito dai suoi pensieri allungò di nuovo la mano alla ricerca della carta igienica. Il rotolo di cartone girò a vuoto su se stesso. Ipnotico. Carrera rimase a fissarlo, gli diede un altro colpetto per farlo continuare a girare. Funzionava così: quanto più uno si faceva gli affari propri, tanto più le donne gli prestavano attenzione. Il silenzio le uccideva. Per questo Soledad gli aveva lanciato un amo! «Ci metterai ancora molto lì dentro?» Mirtha bussò alla porta del bagno. «Ora esco.» Quando sentì i passi della moglie allontanarsi, strappò il foglio del messaggio in quarto parti con cura e lo usò. Poi tirò lo sciacquone e per finire di pulirsi andò carponi fino al bidet, trascinando i pantaloni. 52