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S
i chiamava Julio César Carrera ed era nato con tutte le
carte in regola per essere un vincente. Ma accadde qualcosa (un errore, un’anomalia) che lo allontanò dal suo destino e, dall’infanzia in poi, non fece altro che precipitare.
Anche se altezza e colore dei capelli gli garantivano un certo
successo con le donne, il tratto malinconico del suo carattere
gli impediva di rendersi conto di attrarre soprattutto quelle
che si invaghivano di lui per compassione e, non sapendo di
suscitare pena, finì per sposare la donna sbagliata: Mirtha
Jacubowicz.
Mirtha non gli perdonò mai di aver accettato placidamente di vivere nella casa che i genitori gli avevano comprato e intestato, invece di contribuire al matrimonio con
un valore proporzionale a quello apportato da lei con la sua
mera presenza. Era stata cresciuta come una principessa,
aveva sgobbato da figlia unica per tre decenni e ora doveva
accontentarsi di quei mobili da quattro soldi, di quel quartiere periferico e di quel destino di seconda mano!
Il signor Bernardo Jacubowicz e la signora Perla Puckacz
in Jacubowicz si sentivano a loro volta defraudati.
«Non so cosa ci abbia visto la piccola in quello shmuck.
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Daniel Guebel
Non parla, non ride, ha la zucca vuota» commentava il signor Bernardo.
E la signora Perla: «Secondo me è mezzo scemo.»
Carrera aveva conosciuto Mirtha all’inizio della sua carriera di rappresentante di commercio per la Sunbeam, una
ditta specializzata nella produzione, distribuzione e vendita di elettrodomestici. Mirtha era stata una delle sue prime
clienti e una delle poche ad aver sopportato senza interrompere la tortuosa spiegazione circa i vantaggi di acquistare, in
dodici rate, un robot in grado di frullare, montare a neve,
tagliare, pelare, sbucciare e grattugiare gli alimenti. Al tempo la rapidità con cui aveva concluso quella vendita (che più
tardi si sarebbe rivelata il baratto di un arnese per un marito) lo incitò a persistere in quel mestiere. Ma era molto lontano dall’essere un buon venditore, era sprovvisto di estro.
Esattamente il contrario di quanto accadeva alla stella delle
vendite, Carlos “potete chiamarmi Cacho” Fracassi, la cui
presenza e i cui aneddoti sembravano riempire il mondo intero durante le riunioni aziendali.
La maggior parte dei venditori – una platea di sfumature
di grigio, a metà tra il bianco sfavillante di Fracassi e l’oscurità di Carrera – non riusciva a capire come potesse essere
nata un’amicizia tra quei due. Le menti più sottili insinuavano fosse tutta una mossa perversa di Cacho, che abbracciava
Julio César per divertirsi alle sue spalle o per brillare ancora
di più. Ma poteva anche trattarsi di una manovra speculare,
esercitata dall’altro: Carrera come una sorta di vampiro, per
sopperire alle sue carenze energetiche, si alimentava delle
energie sprigionate naturalmente da Fracassi. La cosa certa
era che, dopo le riunioni, i due passavano molto tempo assieme, spizzicando salame, formaggio e olive dal tavolo degli
aperitivi, tempo che Mirtha, una volta saputo di quella di12
Carrera e Fracassi
strazione del marito, cominciò a rinfacciargli come sottratto
ai doveri coniugali.
«Come faccio a sapere che quando dici che ti trovi con
quel tuo collega, stai davvero facendo quello che dici di
fare?» lo rimbrottava.
Carrera si sentiva in dovere di dimostrare l’innocenza di
quegli incontri, argomentando sull’utilità di scoprire la varietà di strategie di vendita che Fracassi metteva all’opera e che
gli andava rivelando col contagocce. Una volta ritenne pure
necessario mostrare lo scontrino delle loro consumazioni
come prova. Ma Mirtha smantellò la sua difesa cambiando
l’obiettivo delle accuse: «Come osi dirmi che ti vedi con quel
tipo per scoprire quello che affermi che stai scoprendo se le
tue vendite continuano a essere le peggiori della ditta? È incredibile. Lui vende venti volte tanto e il conto lo paghi tu!»
Una notte, dopo un’ennesima discussione, Carrera, colpito dalla violenza del tono di Mirtha, senza minimamente
considerare la possibilità che l’enfasi derivasse dalla volontà
di mortificarlo, concepì un sospetto classico, quello imbastito da tutti gli infelici dotati di una minima considerazione
di loro stessi: È gelosa. Ha paura di quello che potrei fare
quando vado in giro. Nemmeno per un istante pensò che in
realtà non fosse lui l’oggetto della sua gelosia, ma che questa
fosse l’effetto di una sottrazione. Quello che a Mirtha dava
fastidio non erano i vari periodi in cui Carrera si assentava
da casa – cos’altro si sarebbe potuta aspettare la moglie di
un rappresentante di commercio? –, ma che potendo passare
del tempo con lei scegliesse di fare altro. Nella sua immaginazione, Fracassi era come la luna e Julio César era come la
marea in sua balia. Il vero mistero era un doppio mistero, un
mistero composto dai due volti di quella luna che lei non conosceva. Lato A: Qual era il potere di attrazione di Fracassi,
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Daniel Guebel
in grado di sottrarle suo marito in quel modo? Lato B: Per
quale motivo Fracassi aveva bisogno di fare comunella con
Julio César? Per vanità? Per chiacchierare? Con lui? Ma se
suo marito era l’uomo più noioso del mondo! Doveva essere
qualcosa di più complicato… Roba da degenerati. Sicuramente parlano di cose sozze: sicuramente Fracassi si fa raccontare di me.
Una volta giunta a questa conclusione, Mirtha si sentì
tremendamente lusingata e sottilmente solleticata. La delicatezza che, supponeva, Fracassi stava usando nel gestire la
cosa, era all’altezza delle aspettative che aveva sempre avuto
su come si dovesse cominciare una vera relazione sentimentale. In qualche modo, tutta la sua vita era stata una lunga
e varia preparazione, una messe di esperienze (matrimonio
incluso) necessaria per accedere, con consapevolezza perfetta, a ciò che le appariva sotto le sembianze di una possibilità
squisita. Il fatto che Fracassi non si fosse ancora fatto avanti, aggiungeva solo maggiore eccitazione a tutto il processo.
Tuttavia – sognava Mirtha – il suo ritardo non poteva essere
infinito. Immaginava già quello che sarebbe successo quando si fossero trovati assieme. Te lo faccio vedere io chi sono,
lo minacciava nella sua mente per poi promettere con dolcezza: E vedrai quello che ti farò a letto.
Nel frattempo, per rendere più sopportabile l’attesa,
continuava a torturare il marito. Voleva tutti i dettagli di
quello che lui e Fracassi si dicevano e facevano durante quei
momenti sottratti al matrimonio e alla fine Carrera le assicurò che avrebbe abbandonato quelle uscite tra uomini che le
davano tanto fastidio. Nel sentire quella promessa Mirtha fu
assalita dal sospetto che suo marito fosse molto più astuto di
quanto lei supponesse: Julio César aveva scorto la verità del
suo amore telepatico e con un’apparente rinuncia di poco
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Carrera e Fracassi
conto voleva trasformarla nella vittima di un sacrificio brutale. Gli si scagliò addosso piangendo, lo colpì con i pugni
chiusi: «Sei disgustoso, miserabile e stupido».
Mentre schivava i cazzotti e cercava di abbracciare la
moglie, Carrera fece un rapido riepilogo della situazione:
Mirtha reagiva così perché credeva che lui continuasse a
ingannarla. Crede che Fracassi sia una mia invenzione per
nascondere un’amante e che ora lo stia “facendo sparire”
perché ho trovato il modo di incastrare meglio gli orari. L’unica maniera per tranquillizzarla è dimostrarle che Fracassi
esiste, che è una persona reale, pensò e così le disse: «Mirtha,
amore… Se dubiti della rispettabilità della mia condotta, lascia che chiami Fracassi per invitarlo a cena in modo che tu
possa chiedergli quello che vuoi.»
Era una proposta debole, visto che l’unica prova a suo
discarico era un testimone che poteva essere suo complice.
Per questo a Carrera sembrò più strano che confortante il
fatto che Mirtha si fosse calmata immediatamente e gli avesse detto sì, lo voglio, sì.
Fracassi non seppe come rifiutare l’offerta di una cena
con la coppia. Ricorse a una scusa momentanea, valida per
quella sera ed estensibile al fine settimana, e gli costò più di
uno sforzo inventarne un’altra, quando il lunedì dopo Carrera
insistette. Riuscì a sottrarsi, ma l’assedio continuò. Carrera
continuava a rinnovare il suo invito, anche se debolmente,
come se si fosse esaurito il desiderio di farlo. Appena se ne
rese conto, Fracassi reagì con un misto di delusione e fastidio.
Si era abituato alla devozione canina del suo collega di lavoro
dandola infine per scontata. In un certo senso, quella devozione era l’unica cosa che lo ripagasse dello sforzo quotidiano di
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Daniel Guebel
parlare con lui, cosa che mai avrebbe fatto se il suo vice capo
area Zanone non l’avesse costretto con la promessa di una
promozione. «Ascolta una cosa, Cacho: se insegni a Carrera
la tecnica dello scampanellamento porta a porta e riesci a far
sì che aumenti la quota delle sue vendite, il giorno che diventerò capo area e ti lascerò il mio posto, non te lo ritroverai
ad abbassare la media della tua squadra.» Fracassi, allora, gli
aveva chiesto: «Ma signor Zanone, per quale motivo invece
di romperci le scatole a formarlo non gli diamo un calcio nel
sedere e prendiamo un venditore esperto?». E Zanone: «Carlitos, Carlitos… Quando arriverai al mio livello di esperienza,
pratica e gerarchia, capirai perché le cose non si fanno così.»
Da quella risposta, Fracassi aveva dedotto che Carrera
godesse di un qualche tipo di protezione ai piani alti. Era
ovvio. Se non avesse avuto un santo in paradiso, quel coglione non sarebbe durato un mese alla Sunbeam. E per questo,
per se stesso, era diventato suo amico e sopportava quegli
aperitivi terrificanti durante i quali si annoiava a morte, parlando di efficienza delle vendite. Altrimenti non avrebbe mai
fatto una cosa del genere. A chi cazzo avrebbe mai potuto
vendere un frullatore Carrera? Non sapeva manco sorridere.
Certo, era ligio, prestava attenzione, ascoltava, prometteva
di cambiare… Era talmente imbecille che credeva che quelle
lezioni extra fossero incontri tra amici. Si credeva suo amico! Come lo odiava. Che voglia di dirgli che per colpa sua
gli stavano rimandando la promozione. Certe volte Fracassi
avrebbe voluto spaccargli la faccia a calci. Si tratteneva solo
perché l’altro era protetto. E poi, dover andare a casa sua…
Era davvero troppo, considerando anche che Carrera l’aveva
invitato senza entusiasmo, come se stesse facendo un favore
a qualcuno. A me no di certo! Ma, allora, a chi? Dopotutto,
se Carrera aveva ottenuto l’appoggio di un qualche capo, un
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Carrera e Fracassi
direttore o un vicedirettore, doveva avere le mani in pasta o
qualcosa di speciale che non dipendeva dalle sue capacità di
vendita, ma allora da cosa? Da cosa?
E se fosse Carrera a proteggere me? Se fosse il contrario di come penso e fosse lui a impedire che mi facciano le
scarpe? In fin dei conti che ne so io di quello che succede
di sopra, in direzione? Capace che qualche direttore voglia
farmi fuori… No. Non può essere! Sono la stella della ditta.
Anche se… Si possono trovare altri venditori bravi, bravi
come me, oggi come oggi, nel paese. Venditori ce ne sono a
bizzeffe, anche troppi.
Non sapendo come gli convenisse comportarsi, Fracassi
cercava di non mostrare il fianco, ma comunque non poteva
continuare all’infinito a dire di no. Le sue scuse si fecero via
via sempre più deboli mentre il mistero sulla sua situazione
in ditta aumentava, illuminato dalla luce delle sue incertezze.
In cuor suo, Fracassi si sentiva come la Pietra dondolante di
Tandil, in bilico sull’orlo del precipizio, quando Carrera diede la spintarella necessaria rinnovando la delicata questione
dell’ammirazione personale.
«Non dirmi un’altra volta di no. Ho parlato tanto di te a
mia moglie che ti vuole conoscere.»
«E va bene», rispose Fracassi, «se è per far piacere a tua
moglie…»
Si misero d’accordo per cenare assieme il venerdì.
Mirtha Jacubowicz decise di prepararsi come un soldato
pronto all’assalto finale. Passò la settimana a impiastricciarsi di creme idratanti, depilatorie, disinfettanti, astringenti,
profumanti, antietà, anticellulite e antirughe, combinandole
con quelle a base di cetriolo, latte, aloe vera, cocco, placenta
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Daniel Guebel
(un prodotto condannato dalla Chiesa, ma a lei che importava!). Nella scelta del profumo si orientò verso qualcosa che
le conferisse un alone fatale, deciso, suggestivo ed evocativo:
voleva un’essenza leggera, un eau de toilette in grado di esaltare la freschezza della sua pelle, ma che allo stesso tempo
fosse leggermente citrica, la cui fragranza andasse dalla dolce
densità del cocco alla sontuosa marcescenza del melone…
Si immaginava come un fiore notturno che si apre per essere penetrato (olfattivamente e visivamente) da un Fracassi
travestito da gigantesco insetto pronubo. Per vestirsi rivoltò
gli armadi tirando fuori tutto, imbastendo una serie di combinazioni sul letto: sexy, perturbante, raffinata, sobria, troia.
Infine, scelse un corsetto di taffetà cangiante, dall’arancione
al fucsia, con laccetti sulle spalle che le sfilava i fianchi e le
sosteneva il grande seno, da coprire con uno scialle di garza stampato dello stesso tessuto della gonna, trasparente in
controluce e perfettamente abbinato al maquillage: palpebre
aranciate e zigomi virati al rosa. Siccome si trattava di insinuare e non di consumare, aveva messo da parte il completino di pizzo color crema per l’occasione propizia e quella
sera avrebbe indossato un paio di mutandine non proprio
comuni, misto di cotone e lycra, che le stavano molto bene.
Come tocco finale, decise di mettere un paio di sandali col
tacco sottile a punta, che le modellavano le gambe e la obbligavano a contrarre le chiappe mentre camminava.
La mattina di venerdì andò da Chez Mario (hairstylist
internazionale), dove si fece fare colpi di sole biondo furioso sul color cenere naturale, acconciare i capelli e applicare
una cascata di extension scalate. Di ritorno dal parrucchiere
chiamò il servizio di catering di Manuca Patz (che la signora Perla le raccomandava da sempre). Ordinò un menù con
antipasti freddi: rotolone ripieno di cuori di palma, prosciut18
Carrera e Fracassi
to glassato al forno, avocado e salsa golf, vitello tonnato e
aspic di pesce con olive, peperoni a dadini, carote e rape
rosse tagliate a forma di rosa e galleggianti nella tremolante
eternità di una gelatina trasparente. Come portata principale
(la carta, popolata di angioletti, riportava: “pièce de résistance: carni bianche”) c’era pollo ripieno con salsa demi-glace.
Niente dessert: Fracassi si era offerto di fornirle il dolce e
provvedere alle bevande.
Dopodiché andò a fare un riposino. Appoggiò delicatamente la testa sul cuscino, tentando di non rovinare la pettinatura e cercando di sognare Fracassi, anche se non ne conosceva l’aspetto. Si svegliò tardi e per passare il tempo si mise
a sfogliare una rivista femminile. La lesse dall’inizio alla fine.
Si interessò al caso di una bimba nata di 390 grammi e che
ora era una felice ballerina di danze tribali. Staccò e conservò con cura l’opuscolo sulla Personalità Positiva e si ripromise di leggere in seguito e con più attenzione le ultime tecniche per allevare pesci tropicali in casa. La lettura proseguiva
tranquilla, ma quando arrivò alle pagine della moda diede
quasi di matto. Una modella magra, alta e mora indossava il
vestito che avrebbe voluto lei. Di colpo, tutto (l’universo, la
cena, Fracassi) sbiadì come un vecchio programma televisivo
in bianco e nero. Era una questione cabalistica. Senza quel
vestito non avrebbe ottenuto nulla. Mirtha controllò le sue
finanze, andò di corsa al negozio e lo provò. Era un vestito
di seta nera, semplice, dal taglio classico, con una sola bretellina. Miracolosamente le stava bene; faceva di lei un’ebrea
alta e disinvolta, un bell’esemplare di donna.
Carrera tornò a casa presto, ricevette il carico di cibo, lo
mise in frigo e preparò la tavola. Dopodiché andò a lavarsi.
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Daniel Guebel
Indugiò qualche momento a sfregarsi la pancia con una spugna vegetale, per far circolare il sangue. Sotto l’acqua aveva
sempre voglia di cantare, ma il suono della sua voce lo deprimeva e siccome non aveva una canzone preferita finiva sempre per farfugliare l’inno nazionale. Uscì dalla doccia e andò
in camera. Mirtha era lì, gli dava la schiena mentre metteva il
vestito nuovo; aveva le braccia alzate e l’orlo le si era incastrato all’altezza delle spalle. Con un avvitamento sensuale, scosse
le anche come potesse aiutarlo a scenderle lungo il corpo.
L’attrito tra la pelle lattea e lentigginosa e la seta nera lo turbò. Nell’estasi di quell’istante, sua moglie gli sembrò una dea
bianca che si nascondeva sotto un enorme turbante piramidale; così grande che la trasformava in una gigantessa di oltre
due metri d’altezza. L’attimo dopo, Mirtha abbassò le braccia
e si chinò per sistemare meglio il vestito, rimanendo col busto piegato verso il pavimento. L’effetto del nero fu quello di
cancellare metà corpo, dalla cintura in su, e ora era una nana,
con le natiche al posto della testa, separate nettamente dalla
riga scura delle mutande. Il tutto durò qualche secondo, poi
Mirtha si raddrizzò, si voltò e il suo viso emerse dall’apertura
superiore del vestito. Aveva la faccia rossa per lo sforzo, come
certe – poche – volte nei momenti di passione. Carrera si accorse della sua bellezza. Era amore, senza dubbio.
Lei gli disse: «Ah, sei arrivato. Mi sono spettinata?»
«No, non mi sembra» rispose lui.
«Non sai mai niente tu. Come mi sta?»
«Cosa?»
«Come cosa?»
«L’acconciatura?»
«Il vestito!»
«Il vestito? Spettacolare.»
«Divino, non trovi?»
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Carrera e Fracassi
I Fracassi suonarono il campanello alle nove in punto. In
realtà lo suonò Cacho, con la punta del dito indice destro,
che riuscì a liberare – usando la tecnica del ragazzo che consegna le bottiglie dell’acqua – dal peso del vino bianco di
media qualità.
«Benvenuti» li accolse Carrera.
«Ti piace il brut? Ho portato dello Sciatò Malmonò
brut» disse Fracassi in un affanno fonetico.
«Fantastico. Entrate.»
«Questa è mia moglie.» Fracassi indicò col pollice in basso, dietro di sé, mentre scuoteva le altre due bottiglie come
maracas. «Si chiama Soledad ma io la chiamo Soletta perché
si accompagna a me… Capito? Sola Soletta! Ah ah ah.»
Soledad non rise e disse: «Piacere»
Carrera la guardò negli occhi e rispose: «Piacere mio»,
afferrando le quattro bottiglie e lasciandoli passare. Sembra una persona triste, pensò. E dopo, siccome quell’idea in
qualche modo rendeva colpevole Fracassi, cercò una spiegazione: Però dicono che tutte le magre siano tristi. Come
poteva essere triste, Soletta, a fianco del suo amico? Era davvero impossibile. Fracassi era un inno alla gioia di vivere…
«Benvenuti!» Mirtha si precipitò in corridoio sistemandosi un ciuffo di capelli ribelle che aveva tentato di domare
con la lacca.
Fracassi la vide arrivare luminosa come un albero di Natale che promette molti regali. «Tu devi essere Mirtha» disse.
«Sì» rispose lei facendo sobbalzare le tette-lampadine.
«Mirtha con l’acca o senz’acca?»
«Senza, senza» si confuse lei passando quasi sopra Carrera e frenando lo slancio a un centimetro dalle labbra di
Fracassi che, siccome ormai aveva le mani libere, la abbracciò.
«E io sono Carlos, Carlos Fracassi, dei Fracassi di Udine,
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Daniel Guebel
non quelli del Conservatorio Elmerico Fracassi, eh. Per servirti» le sussurrò all’orecchio.
«Ciao, Carlos» Mirtha sussultò al contatto e tremò al
pensiero che lui se ne fosse accorto. Fracassi, che aveva tastato meno spirito che carne, aggiunse: «Chiamami Cacho.»
Mirtha educatamente fece un passo indietro: «Cacho…
Cacho sta per Carlos?»
No, sta per il gran pezzo di “cacho” che ho tra le gambe,
pensò lui, come sempre sovrastimandosi.
«Sì, sta per Carlos. Per cosa dovrebbe stare?» disse seccamente Soledad.
«Ah, Mirtha: questa è la mia signora. Si chiama Soledad
ma io la chiamo Soletta perché si accompagna a me.»
Mirtha rise alla battuta, guardò Soledad e pensò: Secca
di merda.
Soledad la guardò e pensò: Cicciona puttana.
«Piacere» dissero contemporaneamente e si baciarono.
«Vi siete dimenticati di me», intervenne Carrera. «Soledad, io sono Julio César Carrera, collega e amico di tuo
marito.»
«Julio per luglio e César per il generale Cesare» aggiunse
Fracassi.
«Generale, Cacho? Quale generale?» civettò Mirtha cogliendo l’occasione di nominare Fracassi per la prima volta.
«Come quale? Il famoso Ave Cesare, il generale greco!»
Mirtha, che conservava ancora qualche rudimento di
cultura, si accorse della castroneria ma non disse nulla: l’enfasi di Cacho gli era sembrata imperiale.
«Avanti, accomodatevi, non rimaniamo sulla porta» invitò Carrera facendo un cenno con le braccia e dirigendosi
vero il salotto, mentre Fracassi lo affiancava. Mirtha osservava le schiene dei due uomini: la tristezza del suo quotidia22
Carrera e Fracassi
no era soverchiata dall’irruenza del suo futuro prossimo, da
quel dorso ricoperto di muscoli, da quella nuca bestiale.
«Spero avrai preparato qualcosa di leggero» disse Soledad, che la studiava di sottecchi.
Mirtha pensò di chiarirle le cose vantandosi: Non ho
preparato. Ho fatto preparare, ma si limitò a domandare:
«Per il caldo?».
«Per il colesterolo.»
«Hai il colesterolo alto, così snella?» Con snella voleva
dire scheletrica, e nonostante l’autocontrollo, la parola le
uscì un po’ acuta.
«Non io: Cacho. Ha minimo duecentottanta.»
«Non è poi così alto.» Mirtha si sentì sollevata.
«No, però il rapporto tra colesterolo buono e cattivo è
sbilanciato e se mangia schifezze scoppia come un maiale.»
«Con quello che ho preparato sarà difficile che accada.»
«Hai cucinato poco?»
«Molto. Ho passato la giornata ai fornelli.»
«Immagino» dubitò Soledad.
Proseguirono gomito a gomito per alcuni passi. Nel suo
ruolo di anfitrione Mirtha riprese a parlare. «Ah, ma che
gentile hai portato il dolce.» Lo disse come se se ne fosse
resa conto solo in quel momento. «Lo mettiamo in frigo?»
Soledad senza alcuno scrupolo di socialità rispose: «Il
gelato nel freezer, il resto va bene anche fuori.»
In sala da pranzo, con la generosa facilità di chi per dovere è abituato a elargire complimenti senza valore, Fracassi si
rallegrò con i padroni di casa per la qualità e il candore della tovaglia, per l’eleganza dei portatovaglioli, per gli scenari
montani dipinti sui piatti di porcellana, per la lucentezza dei
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Daniel Guebel
bicchieri, per il portastuzzichini di peltro, e infine indugiò
sui dettagli del rospo di ceramica verde muschio con la bocca
aperta. «Scommetto che se ci beviamo più di tre bicchieri di
vino a testa, non riuscirai più a centrare la bocca con le olive.»
Fracassi fece la sua prima battuta dando leggermente di
gomito a Carrera, che si sentì in imbarazzo (ma felice) davanti a quella dimostrazione di confidenza che lo dipingeva (agli
occhi delle signore) più mondano di quanto non fosse e così
alzò la posta: «Mettimi alla prova e vedrai che ne centrerò
quanto te.»
«Questo è parlare da vero uomo», gridò Fracassi, facendo l’occhiolino a Mirtha, che eccitata balbettò: «Sediamoci.»
D’istinto Carrera cedette il posto a capotavola a Fracassi.
Mirtha mise le mani avanti: «Scusate se non abbiamo una
donna di servizio, ma né a me né a mio marito piace avere
una straniera in giro per casa.»
«Ti aiuto io.» Soledad fece il gesto di alzarsi.
«Lascia stare. Non ce n’è bisogno» rifiutò Mirtha.
«Non è affatto un disturbo» disse Soledad senza muoversi.
«Ci mancherebbe» concluse lapidaria Mirtha dirigendosi in cucina. Da diverse angolazioni e in entrambi i casi di
sottecchi, Fracassi e Soledad approfittarono per studiarla. Il
verdetto fu: “che culo!” e “che cellulite!”.
Nel silenzio di quei pensieri si intrufolò la voce di Carrera, che si sfregava le mani: «Vediamo un po’ cosa ha preparato mia moglie.»
Mirtha tornò dalla cucina carica di quattro vassoi, i pollici rigidi e arcuati come chele di granchio; il suo primo impulso era stato portarne due con le braccia sollevate, petto
in fuori, per dare slancio alla sua silhouette, ma poi aveva
deciso di risparmiare le energie.
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Carrera e Fracassi
«Aiutala, Soletta!» disse Fracassi vedendola entrare.
«No, ce la faccio da sola» svicolò Mirtha.
Posare i primi due vassoi sul tavolo, in una specie di atterraggio verticale, fu un’opera di ingegneria retrattile a carico del dito medio e dell’anulare di ogni mano. Soledad accennò a sostenerle un braccio, senza farlo. Mirtha si allungò
dalla sua posizione, alle spalle di Fracassi, senza cambiare
traiettoria. Un lieve sfioramento con la base del petto, un
primo accoppiamento senotoracico-dorsale.
«Ecco fatto. Chi servo per primo?»
«Mia moglie» disse Fracassi.
«Soledad» disse Carrera.
«Tuo marito» disse Soledad.
«Te, che sei l’invitato d’onore» disse Mirtha e impugnando il cucchiaio come una pala riempì con aria di sfida il piatto di Fracassi con una tripla razione di vitello tonnato.
«Che lusso» esclamò Fracassi.
«Se ti mangi tutta quella roba esplodi» gli fece notare
serenamente Soledad.
«Ma no, cosa mai potranno fare due fettine di carne a un
corpaccione del genere» lo difese Mirtha.
«Mia moglie dice che sto diventando una balena» spiegò
Fracassi a Carrera, che nel tentativo di fare da conciliatore
risultò fuori luogo: «Non bisogna esagerare.»
«Per me può ingoiare quello che vuole, ma il medico
gliel’ha già detto: niente attività violente, niente emozioni
forti e niente grassi e fritture.»
«Mia moglie vuole che io faccia una vita da monaca» rise
Fracassi.
«E tu Soledad?» chiese Mirtha.
«Io che?»
«Ti servo il vitello tonnato?»
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Daniel Guebel
«No, grazie. Io mangio come un uccellino.»
«Be’, allora puoi spizzicare un po’ qua e là. Magari ti
servo una porzione di aspic?»
«Una porzione di cosa?»
«Non ti disturbare, Mirtha. Soletta non sa nulla di cucina. È un’intellettuale, lei» si intromise Fracassi.
«Aspic. Aspic» disse Mirtha in tono paziente indicando
una massa color fango. «Quella gelatina lì.»
«No, grazie.»
«Guarda che è molto leggera.»
«Grazie, non mi invoglia.»
Mirtha si rivolse al marito, mascherando il suo malumore: «E a te cosa servo?»
Soavemente Carrera le rispose: «Quello che vuoi, amore
mio.» Poi si rivolse agli invitati: «Mi piace tutto quello che fa
con le sue mani.»
«Cosa gli farai mai con quelle manine, Mirtha?» Fracassi
rise.
Mirtha restituì la risata in versione aumentata, come fosse una promessa dello stesso piacere moltiplicato. Carrera
arrossì come se l’amico avesse indovinato o proposto qualcosa, non sapeva bene cosa, che però, anche solo per l’allusione, Mirtha si sarebbe incaricata di realizzare in futuro.
Nel dubbio guardò sua moglie per vedere se avesse capito,
ma Mirtha stava ancora ridendo e allora Carrera abbassò la
testa e cominciò a mangiare. Al primo boccone, per dissipare
ogni ambiguità, sollevò la forchetta e approvò: «È davvero
squisito.»
«Questione di gusti» ribatté Soledad allungando la mano
verso il cavatappi. «Vino? Qualcuno ne vuole?»
«Certo» Fracassi la anticipò. «Figurati se lasciamo tappato questo Sciatò.» Afferrò il cavatappi, prese la bottiglia
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Carrera e Fracassi
e con tre giri della spirale, un giroscopio di polso e pugno
che a Mirtha sembrò avere qualcosa di sessuale, stappò il
vino accompagnando il rumore del vuoto liberato da uno
schiocco della lingua. Accennò a servire per primo Carrera, che cortese e con cura posò la forchetta per prendere il
bicchiere, ma lo eluse all’ultimo momento dicendo: «Olé!»
Posò il collo della bottiglia sull’orlo del bicchiere di Mirtha e
lo riempì guardandola negli occhi. Persa in quella vertigine,
Mirtha riuscì a malapena tornare in sé prima che la coppa
si rovesciasse. «Basta così, basta, basta» trillò e con l’indice
spinse timidamente la mano di Fracassi, che con un altro
gesto del polso tracciò un arco di centottanta gradi, restando
col palmo rivolto verso l’alto e riempiendo il bicchiere di
Soledad fino a metà. Soledad non fece nulla. Fracassi manovrò di nuovo verso Carrera. «Adesso sì.» E visto che Carrera
non replicò per non essere oggetto di un’altra burla, Fracassi
spiegò: «Era uno scherzo.»
«Hai un marito spiritoso» disse Carrera, con aria complice, a Soledad.
«Come se non lo sapessi» rispose, poi, con la rapidità di
un insetto, scolò il vino in un sorso e ne chiese dell’altro.
«Vecchia ubriachella» la apostrofò Fracassi in tono affettuoso.
«Non cominciare, ciccio» disse Soledad, con il bicchiere
in mano e gli occhi brillanti. «Me lo versi?»
«Uh, guardate quant’è impaziente. Come si vede che le
piace più del biberon!» la denigrò Fracassi. Carrera abbozzò
un sorriso di circostanza, ma la freddezza dell’espressione di
Soledad lo smorzò subito. Fracassi proseguì: «Magra com’è,
si potrebbe pensare che mezzo bicchiere la ribalti, ma no.
Soletta è senza fondo.»
«Potresti stare un po’ zitto? Mi faresti il piacere?»
27
Daniel Guebel
Fracassi sospirò mentre le mesceva il vino. «Eh, già. Che
volete farci. Bisogna tener duro. In fin dei conti non è colpa
sua, ma di come l’hanno cresciuta i suoi. Appena nata l’hanno spedita in un convento di suore. Le Umilissime Adoratrici del Prepuzio del Santo Sacramento o qualcosa del genere.
Dico una bugia, Soletta? No, dimmelo se dico un bugia.»
«Piantala.»
«Non le piace che parli. No, non le piace proprio che
parli. Sono tra amici, per quale motivo non dovrei parlare?
Eh, rispondimi. Cosa dovrebbe mai fare un venditore se non
parlare? Se non parlassimo sarebbe la nostra fine. Sbaglio,
Julio César?»
«E… Sì…» convenne Carrera.
«Chiudi il becco, Cacho» disse Soledad.
«Pio, pio, pio, pio. Non sono un uccello a cui si dice di
chiudere il becco. E mi guadagno da vivere parlando perché
ho studiato all’università della strada!» Fracassi si rivolse a
Mirtha: «Non vuole che parli perché si vergogna di me.»
«Ma no, non è vero…» intervenne Mirtha, che non aveva
la minima idea di quello che stava succedendo.
«Ah, per piacere! Vuole tapparmi la bocca perché non
sono istruito quanto lei.» D’un tratto Fracassi spinse indietro il corpo cadendo quasi di schiena con la sedia e tutto
il resto, ma all’ultimo si raddrizzò, evitando di perdere l’equilibrio e coprendosi il viso con l’avambraccio disse: «Non
guardatemi. Non guardatemi, vi ho detto!»
«Che succede Cachito?» si allarmò Mirtha.
«Non voglio. Non voglio che mi vediate piangere. Dov’è
il bagno?»
«Non lo accompagnate. Fa sempre così» disse Soledad.
«In fondo…» indicò Carrera e nonostante la richiesta di
Fracassi si alzò da tavola e lo accompagnò.
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Carrera e Fracassi
Quando le donne rimasero da sole, Soledad incrociò le
braccia. «Proprio una bella serata, no?»
In corridoio Carrera sostenne Fracassi, che barcollava,
per il braccio. Era strano per lui sostenere qualcuno di molto
più forte e pesante. L’impressione di fragilità che emanava la
figura del suo amico lo scosse. Si sentì in colpa, una colpa retroattiva, per non essersi reso conto di quanto fosse sensibile.
Così sensibile da arrivare a piangere davanti a degli sconosciuti (era la prima volta che vedeva Mirtha) per una risposta un po’ dura di Soledad. E lui, che a volte (compensando
l’eccesso di ammirazione nei suoi confronti) tendeva a considerarlo una bestia! Che complicato che era tutto quanto…
Carrera aprì la porta del bagno e accese la luce. Fracassi
urtò con la spalla lo stipite, entrò e d’istinto si mise di fronte
allo specchio. Uggiolava come un cucciolo, sembrava avesse
la gola grippata: «Iuuuu, iuuuu.»
«Calmati, Cacho» gli disse Carrera. «Per favore, tranquillizzati.»
Fracassi sollevò la faccia e si aprì in una risata. Carrera
non vide nemmeno una lacrima.
«Ci sei cascato pure tu!» Il dito che puntava lo specchio
era indirizzato allo stupore di Carrera.
«Non ti capisco.»
«Neppure io e forse meno ancora di te. Era uno scherzo,
coglione. Cos’è che non capisci? Un po’ di humour, suvvia.»
«Piangevi per scherzo?»
«Piangere io? Non ho pianto nemmeno quando è morta
mia madre.»
«Ma allora perché quella pantomima?»
«Per ridere un po’. Uscire con Soletta è una veglia fune29
Daniel Guebel
bre. Non hai visto che razza di arcigna che è? Non capisce
le battute, se ne sta zitta, non risponde alle domande, non le
interessa niente di niente. Perché pensi che abbia accettato
un lavoro come il nostro?»
«Per…»
«Per scappare, caro mio, per scappare da quella strega
figlia di puttana di mia moglie!»
Fracassi si guardò seriamente allo specchio cercando il
suo profilo migliore e si fece l’occhiolino. Carrera, alle sue
spalle, pensando fosse diretto a lui, ammiccò in risposta.
«Andiamo?» disse Fracassi. «Le ragazze ci aspettano…
E non dirmi che non ti ho animato la serata.»
Quando Carrera e Fracassi tornarono a tavola, i piatti
erano già stati cambiati e sul centrotavola di carta crespata
un enorme pollo a doppio petto aveva subito un trattamento
di agopuntura con spiedini di plastica verdi e gialli a forma
di spada, che infilzavano olive nere e ciliegie candite. In un
momento di avidità allucinatoria, Fracassi confuse il pollo
con un maialino da latte. «Festa!» esclamò allungando il
piatto. «Prima io!»
«Mangerai quella cosa?» domandò Soledad.
«Cos’ha che non va?» chiese Mirtha e si apprestò a tagliare una porzione.
«Cos’ha? Ha le arterie ostruite di grasso.»
«Il pollo ha le arterie?» si stupì Carrera.
«Non il pollo: Cacho. Ha talmente tanto grasso nelle
vene che riesce a malapena a circolargli il sangue.»
«Servi, servi, Mirtha. Almeno muoio felice.»
«Sì, sì, fai il gradasso, ma poi quando ti prende un’altra
crisi quella che deve chiamare di corsa l’ambulanza sono io.»
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Carrera e Fracassi
«Non so cosa fare» disse Mirtha con la coscia sollevata
infilzata nella forchetta.
«Servitela tu» consigliò Soledad.
«Ma cosa gli potrà mai fare? È un pollo di campagna,
allevato naturalmente, sanissimo.»
«Non lo sai che ai polli iniettano degli ormoni nella punta delle ali?»
«Per questo gli sto servendo la coscia che è dall’altra parte del pollo.»
«Ah, e secondo te non esiste la forza di gravità? Al pollo gli ormoni non scendono? Se Cacho mangia quel pollo,
schiatta.»
«Mi stai dando dell’assassina?»
«Cos’è? Hai la coda di paglia per la tua cucina? Io sto
solo difendendo la salute di mio marito.»
«A titolo informativo, compro solo prodotti di qualità.»
«Non mi pare.»
«Per forza, si vede che quello che ti manca in palato ti
abbonda in lingua. Sicuramente trangugi insetti proprio
come una biscia di campagna.»
«Va bene, ragazze, fate pace.» Carrera si ritenne in dovere di mediare.
«Cosa t’intrometti tu? Stiamo parlando tra donne. Non è
così Soletta?» disse Mirtha.
Soledad non rispose, ma Carrera si fidò: «Ah, scusate,
credevo che steste litigando.» E per dissimulare l’imbarazzo
si rivolse a Fracassi, offrendosi di preparargli la summa di
tutta la sua arte culinaria: «Se vuoi ti faccio una bistecchina
alla piastra.»
«La carne rossa è anche peggio: è piena di tossine dell’adrenalina che vengono rilasciate dalla mucca quando viene
assassinata al mattatoio» sentenziò Soledad.
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Daniel Guebel
«Mi stai facendo arrabbiare, Soletta. Riempimi il piatto,
Mirtha, che il pollo mi piace moltissimo» disse Fracassi.
«Non voglio interferire con la tua dieta» rispose Mirtha
servendolo.
«Per lo meno togli la pelle che è la parte più dannosa»
disse Soledad e lasciando perdere la sua crociata allungò il
piatto.
Mirtha fece un grande sorriso e sfoggiando la sua abilità
nell’adoperare il trinciapollo le tagliò e le servì una porzione
fatta per la maggior parte di ossa, interiora e una compagine
galleggiante di cartilagini, il tutto accompagnato da una purea di prugne.
«Grazie, ha tutto l’aspetto di essere squisito» disse Soledad ricambiando il sorriso, poi guardò per la prima volta in
tutta la sera il suo anfitrione: «Julio, mi serviresti ancora un
po’ di vino, per cortesia?»
Il pollo era tanto grande quanto duro; le porzioni debordavano dai piatti. Nel loro lavorio, coltelli e forchette stridevano sulla ceramica. Soledad sfoggiò ostinatamente la faccia
da ve l’avevo detto, mentre tagliava in pezzi sempre più piccoli il cibo che non mangiava, fino a disintegrarlo. Mirtha
avrebbe voluto cancellarle quell’espressione a colpi di lama,
ma siccome l’altra era sua ospite doveva sopportarla, così,
mentre si accaniva a sua volta sull’animale con tutta l’eleganza che le era possibile riscattare da quell’ecatombe gastronomica, si consolava contemplando il modo brutalmente
sensuale con cui Fracassi, che aveva scoperto un universo
intero nella combinazione tra dolce e salato, afferrava la bestia e l’azzannava, le succhiava il midollo dalle ossa e leccava
le cartilagini. Che gran pezzo d’uomo! E pure disprezzato!
32
Carrera e Fracassi
Come avrà fatto quella cagna sgraziata, quella mosca morta
e frigida ad accaparrarsi un uomo del genere?
Carrera mangiava in silenzio, non perché non volesse
parlare con la bocca piena, ma perché stava pensando. Il suo
comportamento era un effetto della sua concentrazione: si era
messo a riflettere su quanto gli stava accadendo e in seguito
a questo sforzo era giunto a una conclusione che in realtà era
una pura constatazione: qualcosa era andato storto in quella
cena. Tanto era bastato per ammutolirlo. Ma cosa non aveva
funzionato? La sera era splendida, sua moglie bellissima, il
suo amico di buon umore, Soledad… Be’, era un po’ strana.
Che fosse Soledad a stonare? Era palese che Fracassi la facesse soffrire e che lei si vendicasse trattandolo male in pubblico.
Problemi coniugali. Stupidaggini. No. Era stato forse il bisticcio di prima? No. Soledad e Mirtha non si piacevano. Ma non
era nemmeno quello. Cose da donne. E poi, punto a favore,
la cena era servita a dimostrare a Mirtha che il suo amico
Fracassi esisteva davvero e che non mentiva quando le diceva
che si incontrava con lui per chiacchierare. E allora, per quale
motivo sentiva che le cose stavano volgendo al peggio?
Domandandoselo, accettando quella sensazione, Carrera
le fece spazio e la sensazione se lo divorò. Di colpo, un enorme carico di angoscia gli piombò addosso come una tovaglia
plastificata, separandolo dal resto. Era praticamente cieco,
se non per quello che stava accadendo. Quella distanza, quel
sentimento di sequestro spirituale cominciò a soffocarlo.
La tovaglia che lo imprigionava era spessa, grossa, la regina
dell’opacità, ma nel contempo quasi trasparente, di tulle, e
così nel momento stesso in cui sprofondava nel buio poteva
continuare a guardare Mirtha, Cacho e Soledad attraverso
le stampe a fiori. Erano fiori o ragni? Ora poteva capire le
vedove dei vecchi film, che guardavano tutto attraverso la
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Daniel Guebel
veletta nera. Quelle stampe rigavano il mondo. Erano appiccicate alle facce della gente, erano l’ulcera della realtà. Cosa
mi succede? Da un momento all’altro cado dritto per terra.
Sto diventando matto. Mirtha, Mirtha salvami! Ma no, se
grido, cosa penserà Cacho?
«C’è qualcosa che non va, Julio?» chiese Soledad. «Ti sta
scivolando la faccia di lato.»
«È un tic… Ahi» rispose Mirtha sobbalzando.
«Sembra che anche a Mirtha stia succedendo qualcosa»
aggiunse Fracassi.
«Non so» disse Carrera tra le nuvole, come avesse fatto
uno sforzo massacrante.
«Deve avere un calo di pressione» disse Mirtha, turbata
dall’eccitazione che l’aveva assalita sentendo l’alluce di Fracassi sfiorarla.
Fracassi indossò discretamente il mocassino, andò da
Carrera e gli mise la mano sulla fronte. «Hai la febbre?»
Carrera sollevò il mento e lo guardò negli occhi. Era la
prima volta che lo faceva, mai prima di allora era riuscito a
sostenerne lo sguardo. «No. Lascia stare.»
«Oh, ma che ti succede?» disse Fracassi.
Mirtha si intromise. «Julio! Ti sembra il modo di rispondere al tuo amico?» poi si rivolse a Fracassi: «Non ti preoccupare. Non è nulla.»
«Se non è nulla, forse è il caldo» rifletté Carrera.
Ci fu qualche secondo di silenzio, la quiete prima della
tempesta, della catastrofe di tutto quello sforzo di socialità.
«Passiamo ai dolci?» suggerì Mirtha.
Mirtha non si fece aiutare da nessuno e portò i dolci,
facendo l’equilibrista, dalla cucina. Suo marito fu il primo a
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Carrera e Fracassi
essere servito, in un atto di compensazione innocente. Fracassi fece un ghigno vedendo cosa gli sarebbe toccato: visto
che aveva pagato lui la torta e il gelato Super Luxury (mandorlato bagnato nel cioccolato con una fine copertura di
noci, mandorle e nocciole) si sentiva in diritto di strafogarsi
la maggior parte dell’investimento. Soledad ricevette la sua
parte, ma si limitò a scalfirne la superficie col cucchiaino, in
compenso si riempì il bicchiere di vino lasciando la bottiglia
alla sua destra. Mirtha le sorrise, con la precisa gradazione
di sorriso che il Codice Angelico descrive come: voglio che
tu sappia che so che finirai nel gruppo degli alcolisti anonimi
senza speranza di recupero.
«Se nessuno parla, significa che ci ho azzeccato con i dolci. Allora? Ci ho azzeccato o no con la lemon pie?» chiese
Fracassi.
Intenerita dall’errore linguistico, Mirtha, che aveva frequentato una scuola a tempo pieno, lo corresse: «Non si dice
pie, Cacho: si dice pai. E…»
Sì, correggimi pure la pronuncia, puttana bastarda, che
ti correggo la figa a colpi di cazzo, pensò di dirle Fracassi in
un impulso di voluttuosa aggressività. Ma si limitò a interrompere la spiegazione: «Com’è possibile che si dica pai, se
pai vuol dire padre in brasiliano? È pie, come piè. E lemon,
limone in inglese.»
«Piè? Come piede?» Mirtha trattenne le risate.
«Ovvio!» rispose Fracassi fraintendendo: la svergognata
gli stava facendo capire che le era piaciuto lo sfregamento
sotto il tavolo. Pie. Piè. Piede. E così in un attacco di trionfalismo proseguì: «È pie, perché è quello che sta sotto tutto,
la base. La base è di limone. E per questo il dolce si chiama
lemon pie».
«Ah, ma guarda un po’» disse Mirtha abbandonandosi
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Daniel Guebel
sensualmente per un istante alla fantasia di farsi conquistare
da quell’antropoide, dalla sua forza, nonostante l’errore. Si
ricompose e con la punta della lingua titillò intenzionalmente il bordo del suo cucchiaino. «Che buono questo pie. Me
lo mangerei tutto.»
Fracassi si rilassò. Vincere una disputa, per insignificante
che fosse, lo metteva sempre di buon umore. Era automatico. In realtà aveva scoperto che quella serata che buttava
così male, quella cena a cui aveva partecipato solo per far
contento Zanone, non sarebbe potuta andare meglio. Era
tutto così perfetto, fantastico. Quasi senza faticare, stava fregando la donna a quel mattone di Carrera e senza che lui o
sua moglie se ne accorgessero. Era davvero da schiantarsi.
«Che ti ridi?» volle sapere Soledad.
«Mi stavo ricordando di qualcosa che mi è successo
quando ho cominciato a lavorare per la Sunbeam» disse per
giustificarsi.
«Cosa?» volle sapere Mirtha.
«Non so se è una storia che si possa raccontare a tavola.
È un po’… volgare. Ma se volete…»
E senza aspettare cenni d’assenso, cominciò a raccontare
che anni prima, più o meno dieci, era da poco entrato alla
Sunbeam ed era nel periodo di prova, aveva commissioni di
vendita e provvigioni ma non lo stipendio, perché volevano
vedere come se la sarebbe cavata con le vendite e l’avevano
anche mandato in un posto al confine della provincia. Era il
buco del culo del mondo, un posto turistico solo d’estate. Ci
era andato con l’ordine di vendere almeno tre elettrodomestici in una settimana. Naturalmente sapeva che se ne avesse
venduti meno di cinque ci avrebbe perso, ma accettò ugualmente…
«Ed eri sposato?» chiese Mirtha.
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Carrera e Fracassi
«Grazie a Dio ancora no.»
«Spiritoso» protestò Soledad.
«È così. Se avessi dovuto mantenere Soletta e i suoi,
come faccio ora, non avrei potuto procurarmi il lavoro» spiegò Fracassi.
«Lo dici come fosse un lavoro favoloso» rispose Soledad,
e bevendo fece un cenno al vino, inarcò due volte le sopracciglia.
«Hai delle lamentele?»
«Se non lo sai tu…» disse Soledad e si servì di nuovo.
«Meglio che non ti risponda e vada avanti.»
Fracassi riprese la storia dilungandosi sull’arrivo e sul
percorso in auto che aveva attraversato luoghi di interesse
turistico e commerciale. Cercando un alloggio aveva girovagato per varie locande e alla fine si era sistemato in una che si
trovava un po’ fuori mano, ma che offriva pensione completa.
Aveva tirato sul prezzo, quindi aveva preso dall’auto aziendale la valigia con dentro il catalogo dei prodotti illustrato a
colori, il robot multiuso dimostrativo ed era salito nella sua
stanza. La camera era piccolina, pulita, ben ventilata, con vista sulle colline. La cosa strana era il bagno: doccia normale,
vasca e specchio normali, ma il water, invece di essere il solito water in porcellana, fatto per cagare seduti, era un buco
nel pavimento con un recipiente metallico e una cordicella
collegata a un serbatoio d’acqua piuttosto ridotto…
«Non ho idea di quale interesse possa rivestire un water
nella tua storia» lo interruppe Soledad.
«Ma se non sai cosa sto per raccontare, come puoi dire
se è interessante o meno?» disse Fracassi e fece l’occhiolino
a Carrera. «Le donne, sempre di fretta.»
Carrera rispose immediatamente all’occhiolino, per nascondere che non sapeva a cosa si riferisse l’amico. In realtà,
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Daniel Guebel
dal momento del suo soffocamento aveva smesso di prestare
attenzione a quello che accadeva a tavola per concentrarsi
a esaminare il suo malessere. L’ammiccamento di Fracassi
era stato un richiamo alla realtà e la sua risposta, un riflesso
derivante dall’abitudine di obbedire, non l’aveva sottratto
alla sua assenza introspettiva. Cosa non aveva funzionato?
Qualcosa di fisico, per esempio, un particolare nel viso di
Soledad? La combinazione della sua pelle bianchissima con
i capelli neri, spioventi? Le sue labbra sottili? Le orecchie a
punta, da topolino? I suoi occhi brillanti? O no? In realtà era
qualcosa nel suo stile, Soledad era una donna attraente. Era
una combinazione di…
«E poi» proseguì Fracassi «non c’era nemmeno il bidet,
che come ben saprete…»
Gli dava fastidio la luce? Sarà stato un colpo di luce,
una botta sulla retina ad avergli causato quella nausea, quasi
un’allucinazione? Dopotutto, a volte, in certi giorni di particolare tensione, gli venivano certi dolori alla cervicale, mal
di testa e nausee che sfociavano in una terribile fotofobia…
«E accanto al letto, una Bibbia. Quando ho chiesto chiarimenti al proprietario dell’osteria sull’assenza del bidet, mi
ha detto: “Vogliamo evitare ogni tentazione al peccato.” Allora mi sono reso conto di essere arrivato in un paesino molto cristiano. Cattolico apostolico e romano. E così il giorno
dopo sono andato a fare visita al prete, gli ho promesso un
regalino della Sunbeam e gli ho chiesto di usare questo argomento con i fedeli: se Dio ci ha messo sette giorni a fare la
terra e il settimo si è riposato, com’è possibile che una donna
non si riposi mai, lasciando che del lavoro di pelare, tagliare
e frullare i suoi alimenti si occupi il robot multiuso?»
«Geniale, hai corrotto un prete con un frullatore!» gridò
Mirtha.
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Carrera e Fracassi
«Non proprio. Il prete ha detto che non poteva fare pubblicità durante la messa, ma mi ha dato una lista delle vecchie
che andavano in chiesa. In una settimana ho venduto robot
multiuso a palate. Ne ho piazzato uno pure alla direzione
dell’ufficio del turismo che non aveva manco la corrente elettrica.»
«Un miracolo» ironizzò Soledad.
«Anch’io credo in Dio, ma non bisogna esagerare» precisò Fracassi, concedendosi una pausa prima di arrivare al
cuore del racconto.
Cos’era allora? Cos’era che lo preoccupava così tanto?
Che lo amareggiava? Mirtha…? Mirtha… sua moglie? Era
lei… la sua voce? Perché alle volte Mirtha parlava molto,
quasi sempre parlava molto e aveva il tono di voce un po’
acuto… quasi stridulo… Ma no… Non poteva essere lei…
La sua micetta… Il suo amore… Amore… La futura madre
dei suoi figli…
«… All’osteria, il cibo era tutti i giorni lo stesso. Primo
piatto: riso in bianco. Secondo: bistecca ben cotta. Dolce:
formaggio e budino di patate dolci o riso cotto nel latte. Mai
un’insalatina, mai un succo. Non ci badavo però, con quello
che stavo vendendo. Una fortuna! Chiamavo la Sunbeam per
passare nuovi ordini di vendita e non ci potevano credere.»
«Erano invidiosi, di sicuro» lo blandì Mirtha.
«Certo. E sorpresi. In ditta nessuno avrebbe scommesso
su di me. Non mi conoscevano.»
«Una sorpresa.»
«Certo» ripeté Fracassi, un po’ infastidito da tante interruzioni. «Ero al settimo cielo, vendevo a destra e a manca.
Ma il terzo, quarto giorno, nel bel mezzo di una vendita,
di colpo mi sono sentito appesantito, gonfio, come se avessi
problemi di circolazione.»
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Daniel Guebel
«La pessima qualità del cibo» commentò Soledad.
«E allora…» sbuffò Fracassi e si rivolse a Carrera (l’unico che non lo interrompeva) per poi proseguire, «allora mi
sono reso conto di non essere mai andato di corpo in tutti
quei giorni.»
«Che raffinato!» protestò Soledad.
«La verità non offende. Fammi andare avanti. Quando
mi sono reso conto che da quando ero arrivato nel paesino non ero andato di corpo neanche una volta, ho pensato:
devo andare a cagare di corsa, ora. Ma non potevo. Stavo
concludendo una vendita e così stringo le chiappe, resisto e
proseguo, mi dimentico. Poi mi riesce un’altra vendita e non
mi fermo più. Così, di sera, quando sono arrivato all’osteria,
ero talmente sfinito che non mi sono ricordato di andare a
cagare.»
«Ti sembra il caso, a tavola?» esordì Soledad.
Carrera non l’ascoltava più. Seguiva ogni gesto di Mirtha,
la sua intensa concentrazione, il suo modo di pendere dalle
labbra di Fracassi, le guance arrossate, la voglia di essere partecipe. Vedeva le smorfie di Soledad, che si sentiva a disagio
per il racconto del marito, martirizzata, le mani contratte,
la destra sul cucchiaino da dolce, vedeva anche – molto più
nitidamente – lo scambio di sguardi tra le due donne. Ma su
tutto questo si stagliava una certa impressione: al di là delle
ore di lavoro condivise e dei momenti persi a conversare al
bar; al di là delle risate, degli scherzi, della vanità di Fracassi,
stava emergendo qualcosa che Carrera non era riuscito mai
a discernere con chiarezza, qualcosa che l’aveva sempre affascinato in Fracassi e che ora lo disgustava. Si trattava della
sua stessa essenza, Fracassi era una persona volgare. La sua
volgarità gli permetteva di essere un venditore di successo
e un maniaco seduttore di donne a caso. La volgarità era il
40
Carrera e Fracassi
suo dono e la sua felicità. Gli rendeva tutto più facile. Essere volgare lo rendeva affabile. Era dotato di una simpatia
accattivante, ideale per un venditore. Il mondo era fatto su
misura per la gente come lui. Ed era proprio per il fatto di
essere volgare che Carrera stava cominciando a detestarlo,
senza arrivare al disprezzo (era troppo in soggezione nei suoi
confronti), ma aveva capito una volta per tutte che quel tipo
non era e non sarebbe mai stato suo amico.
«Incredibile» disse Mirtha.
«Una settimana, te lo giuro. Mirtha, una settimana senza
andare in bagno!»
«Qualcuno ti ha fatto il malocchio per invidia. Stavi vendendo troppo…»
«Credi?»
«Sicuro. L’invidia è il contrappasso per il successo.»
«L’invidia è il contrappasso per il successo… Ottima definizione, è tua?»
«Certo» Mirtha finse di offendersi. «Dai va’ avanti.»
«Ok. Era una settimana che ero tappato…»
«Il tappo umano» Mirtha trattenne una risata.
«Vado avanti o no?» Fracassi aspettò un secondo e proseguì. «Il tappo umano visse una settimana senza andare di
corpo, si dice così Soletta? Arrivato il giorno in cui me ne
dovevo andare dal paesino, subito dopo aver chiesto all’osteria che mi facessero il conto, mi sono venuti dei crampi che,
non vorrei sembrare volgare, ma cosa posso dire? Quasi mi
si rompe il culo in quattro. Sono arrivato in bagno carponi,
quasi strisciando… Occhio che ora arriva la parte scabrosa…»
«Va be’, dai, siamo tra amici» disse Mirtha.
«Poi non ditemi che non vi avevo avvisato. Be’, sono arrivato in bagno e appena mi sono calato i pantaloni ho ca41
Daniel Guebel
gato uno stronzo duro come un sasso, lungo mezzo metro, a
forma di curva, usciva dal buco come un boa constrictor di
merda.»
«Che schifo!» sbottò Soledad.
«Eh, già. Era lunghissimo. E ora silenzio che voglio
chiarire una cosa: non è che mi capita sempre qualcosa del
genere. Succede che c’è gente che caga più di quello che
mangia. Bene, quand’è caduto nel recipiente, lo stronzo
ha fatto ploc! cloing! Sul serio, Mirtha non ridere, ha fatto
un rumore metallico. E non potete immaginare che dolore.
Non finiva più, è stato un parto. Se non mi sono venute le
emorroidi quella volta, non mi verranno mai più. Insomma,
mi faccio ’sta cagata, mi pulisco e quando tiro la cordicella
del serbatoio dell’acqua, niente: vengono giù tre gocce, una,
due, tre… Conclusione: lo stronzo non si muove di un millimetro. Rimane lì, bagnato, luccicante di rugiada… Aspetto
che si ricarichi il serbatoio, un minuto, due minuti, tre… al
quinto minuto, quando il rumore della ricarica dell’acqua è
finito, tiro di nuovo la cordicella. Una goccina, due e basta.
Che faccio? mi domando. Che faccio? Non potevo andarmene dal paese lasciando uno stronzo incastrato nel cesso.
Stavo cominciando a disperarmi. Scendo. Vado nella cucina
dell’osteria, chiedo un secchio alla cuoca. “A cosa le serve?”,
mi chiede. “Vorrei farmi un bagno e non va la doccia”, le
dico. “Aspetti un attimo che arriva mio marito che si occupa
di aggiustare tutte le cose”, mi risponde. “No”, le dico. “Sto
per partire e vorrei lavarmi ora. Subito.” “Non so dove sia
il secchio, signore, dovrei mettermi a cercare.” “Lo cerchi.”
“Ora non posso, sono molto occupata.” “Signora, se non
mi procura un secchio ora, le giuro che m’insapono le palle
nel lavello dove sciacqua le patate.” “Va bene, va bene, che
caratteraccio, prenda”, mi dice allungando una mano sotto
42
Carrera e Fracassi
il tavolo della cucina e tirando fuori un secchio. Lo afferro
e mi avvio fuori dalla cucina quando sento la stracciaballe
borbottare. “Che c’è?”, le chiedo. “Al mio paese si usa ringraziare”, mi rimprovera. “Ah sì”, le faccio, “si dà il caso che
sia uruguayano.” Salgo, riempio il secchio di acqua e la verso
nel cesso…»
Fracassi fece una pausa, un tentativo di creare suspense,
poco più che un modo di riprendere fiato.
Per la sua credulità, Mirtha lo incitò: «E?»
«E anche dopo che ci ho rovesciato sopra il secchio d’acqua, lo stronzo continuava a starsene lì, l’acqua non l’aveva
smosso per nulla e manco sciolto. Sembrava uno stronzo impermeabile, giuro! Avvilito, sono rimasto a fissarlo. Poi ho riempito di nuovo il secchio, non la farò lunga, non è successo
nulla. Se avessi avuto un coltello, mi sarei messo a tagliarlo a
fette fino a che non fosse passato dallo scarico. Ma non avevo
un coltello e poi l’idea mi faceva un po’ impressione. Più che
schifo, mi veniva un non so che a pensare di sezionare qualcosa che era stato dentro me stesso. È come ferirsi da soli. E
allora a mali estremi, estremi rimedi. Ho cercato un giornale,
l’ho aperto sul pavimento del bagno come fosse un tappeto,
ho afferrato lo stronzo per una punta e l’ho lasciato cadere
al centro delle pagine. L’ho arrotolato per bene, come una
salsiccia rustica e poi l’ho infilato in valigia con il catalogo
dei prodotti della Sunbeam. Ho preso su e chi s’è visto s’è
visto.»
«E lo stronzo?» chiese Mirtha, che senza badare all’avviso di Fracassi, non aveva smesso di ridere. «Mi farai slogare
la mandibola. Cosa ne hai fatto del pezzo di stronzo?»
«Ah, con quello… Appena sono arrivato sulla provinciale, l’ho tolto dalla valigia e l’ho scagliato via.»
Soledad approfittò del secondo di silenzio al termine del
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Daniel Guebel
racconto per dire: «Un aneddoto molto istruttivo. Io il caffè
non lo prendo. Tu Cacho lo vuoi o andiamo subito a casa?»
«Ma che dici, Soletta? Se non è ancora mezzanotte!»
«In questo caso mi servo un altro bicchierino di vino…»
«Quello che non ci hai raccontato è se dopo ti sei lavato
le mani…» intervenne Carrera.
«Ehi, per chi mi hai preso?» protestò Fracassi, nascondendo le mani sotto il tavolo. Rendendosi conto che quel gesto palesava la verità, le sollevò e si grattò la barbetta. «Dimmi una cosa, Mirtha, tornando al tema dell’invidia. Davvero
credi nel malocchio?»
«Ma certo, come non crederci? È scientifico! Come l’astrologia…»
«L’astronomia» la corresse Soledad.
«No, l’astrologia. L’astronomia è la scienza che studia il
movimento dei pianeti nel cosmo…»
«Ma quella non è la cosmetologia?» si confuse Fracassi.
«… Invece l’astrologia, che è tanto scienza quanto l’altra, studia l’influenza dei pianeti sul destino umano» precisò
Mirtha. «Figurati che siamo talmente governati dai pianeti
che anche il malocchio è un effetto dell’influsso planetario.
Perché in fin dei conti, cosa siamo? Di cosa siamo fatti?»
«Novanta e fischia percento d’acqua e il resto carne, ossa,
funghi e microbi» disse Cacho e aggiunse, «tolta la merda.»
«D’accordo, d’accordo. Ma quello che intendo è… di
cosa è fatta la nostra vera essenza…?»
«Intendi l’anima?»
«Materia cosmica. Gli esseri umani hanno la stessa
composizione del Tutto. Siamo polvere di stelle.» Mirtha si
appassionò alla spiegazione che stava imbastendo: aveva lasciato Fracassi a bocca aperta, lo zombi di suo marito si era
risvegliato e pure Soledad la stava ascoltando con rispetto.
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Carrera e Fracassi
«Naturalmente, ci sono diversi gradi di concentrazione di
polvere, diversi modi di aggregazione. Per esempio, la combinazione della polvere della Via Lattea è la stessa degli spermatozoi.»
«Una scopata stellare» si entusiasmò Fracassi.
«E-esattamente. Mettiamola così» sussurrò Mirtha. «E
la pupilla dell’occhio? La pupilla è rotonda e ha la stessa
composizione dei pianeti. Dunque, se i pianeti governano il
destino della gente, quando qualcuno lancia un malocchio a
un’altra persona perché è invidioso, cosa le sta facendo? Le
sta cambiando di posto il pianeta!» Mirtha concluse con un
sussurro intimorente: «Sta cambiando il suo destino.»
«Sul serio?» chiese Fracassi. Anche se si era perso qualche pezzo durante la spiegazione, quello che aveva capito
gli fece venire voglia di saperne di più. La sua incredulità
da macho cinico e uomo di mondo aveva ceduto il passo a
quella repentina visione di sé, una costellazione di Fracassi,
ogni parte del suo corpo, un pezzetto di una fulgida stella.
Era incredibile. «Sul serio?» ripeté. Era spettacolare. Che
panorama! Sullo schermo della sua mente veniva proiettata
un’enormità che si andava formando poco a poco, il megaFracassi si stagliava nell’oscurità cosmica come le astronavi
nei film di fantascienza.
Soledad, che era arrivata fino in fondo alla spiegazione
di Mirtha, sussurrò, la bocca appiccicata al bicchiere di vino:
«E se quello che lancia il malocchio è strabico, non ti dico.»
Il tono di Soledad raggiunse il sogno a occhi aperti di
Fracassi e lo infranse: «Che hai detto?»
«Niente. Traggo le conclusioni logiche del ragionamento
di Mirtha. Se ti prende di mira uno strabico, ti può cambiare
la vita. E poi, se lo strabico guarda male due persone allo
stesso tempo, scambia la vita dell’una con quella dell’altra,
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e la rovina a entrambe» disse Soledad e facendo una faccia
inquietante guardò Carrera con gli occhi incrociati. Dopodiché rise da sola.
Fracassi vide la smorfia ma si limitò a fare un gesto della
mano come se gettasse la spazzatura. Non aveva importanza cosa diceva quella scema, a lui interessava solo una cosa:
«Ma allora quando litigo con qualcuno perché ci siamo guardati storti…»
«Semplice» disse Mirtha «è lo scontro tra due pianeti.»
«È meraviglioso.» Fracassi si arrese definitivamente al
cospetto dell’intelligenza superiore di Mirtha. Qualcosa dentro di lui, una fibra intima, una corda fino a quel momento
inutile, ossidata, si sciolse e cominciò a vibrare. Se solo fosse
riuscito ad appartarsi con Mirtha… Se fosse riuscito a farsela, altro che la Via Lattea, l’avrebbe riempita di tanto latte da
farle dire basta… Eppure, anche quello… non sarebbe stato
altro che chiavare. Trombare era trombare e non c’era nulla
di male. Al contrario, niente di più bello che togliersi certe
voglie. Ma Mirtha (la corda vibrò di nuovo, facendo risuonare una musichetta), Mirtha stava per diventare una donna
importante nella sua vita. Al suo fianco avrebbe imparato
cose nuove. Questo lo spaventò. Scoparsi una tipa e via, una
tipa qualunque… scoparsela e mollarla era il minimo… Ma
se la tipa gli interessava, era sempre stato così, se una tipa gli
interessava, allora tutto si faceva più complicato… Strano…
Come se perdesse la sua libertà di movimento… Come fosse
legato mani e piedi.
Da tanto bestiale che era, Fracassi non sapeva di essere
un sentimentale.
«Che bella spiegazione.» Soledad sorrise. «E dimmi,
Mirtha sai che le meteoriti se ne vanno a spasso per lo spazio,
spinte dalla combustione dei loro stessi gas?»
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Carrera e Fracassi
«Sì» rispose Mirtha, un po’ titubante perché la sua scienza astrologica non si dilungava su quei dettagli tecnici. «Sì,
certo.»
«È per questo che quando qualcuno ha troppo gas si
dice che soffre di meteorismo? Perché spara cagate?»
«Come…?» Mirtha sbatté le palpebre senza leziosità, gelata dalla violenza del commento.
«Lascia perdere… Non ti disturbare a rispondere. E
qual…»
Un pugno colpì il tavolo scuotendolo. Un cucchiaino
colpì un bicchiere, rivelando che l’uno non era di cristallo
e l’altro non era d’argento. La voce di Fracassi suonò altrettanto poco cristallina: «Chiudi il becco, ubriacona. Rovini
sempre tutto.»
Soledad tremò, sembrava sul punto di cadere lunga distesa sul tavolo, poi si alzò e disse: «Voglio andarmene.»
«Non ce ne andremo finché non avrai chiesto scusa a
Mirtha per la tua maleducazione.»
Il raffinato Fracassi, sospirò tra sé Carrera mentre osservava Mirtha che, da diplomatica esperta, simulava l’intenzione di intercedere in favore di Soledad sollevando le mani:
«Per favore, non ce n’è bisogno, non esageriamo.» Per la velocità con cui la concluse, la frase suonò come: non c’entro.
Fate quello che volete.
«Non devo chiedere scusa di nulla» disse Soledad.
«Fallo.»
«Manco morta.»
«Meglio che tu lo faccia…»
«No.» La voce di Soledad era sempre più debole.
«Non obbligarmi a obbligarti a chiedere scusa perché finirebbe ancor più male.»
«Non minacciarmi.»
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«Tu sai cosa ti conviene fare.»
«Non puoi farmi questo.» Stava quasi piangendo.
Mirtha si crogiolò nella sua vittoria e, a difesa del decoro
e del buon gusto, posò la mano sul cuscino di peli del braccio di Fracassi. «Cacho, per favore…»
«Va bene, se me lo chiedi tu» disse Fracassi addolcendosi.
Poi, brusco, si rivolse a Soledad: «Non chiedi scusa perché
Mirtha ti perdona. Ora però rimaniamo finché lo dico io.»
Carrera guardò Fracassi, guardò Soledad e per un secondo si sentì come se qualcuno avesse messo nelle sue mani una
sfera di cristallo, brillante e scheggiata; era l’anima di quella
povera donna, tormentata dal marito. La sfera era un bene
prezioso, il più sacro del mondo, ma aveva subìto un danno
letale e sarebbe durata molto poco. Quella sensazione svanì
quasi subito lasciando posto a un’altra, più intensa, ma più
rapida e fugace, talmente rapida che in quel momento non
riuscì a coglierla (più tardi, in un altro presente, Carrera l’avrebbe ricordata con molta precisione, come un’avvisaglia di
quel futuro). Fracassi maltrattava Soledad perché voleva fare
colpo su Mirtha. Dopo quella percezione di un milionesimo
di secondo, Carrera si sentì di nuovo nauseato. Tornò a guardare Fracassi, lo vide sfocato; la faccia gli si deformava di
lato come fosse una maschera di gomma. Il taglio della bocca
si muoveva, aprendo e chiudendo un buco nero. Probabilmente stava parlando. Chi era quel tizio? Perché permetteva
che mangiasse alla sua tavola? Pensandoci ebbe un attacco
di allegria selvaggia. A quello sconosciuto, a quel cretino che
si prendeva gioco della sua stessa moglie, lui non doveva nulla. E non avendo debiti, né ammirazione né gratitudine, si
scaricava di un peso, era libero. Lui, Julio César Carrera, poteva anche essere il peggior venditore della Sunbeam, ma era
solo una fatalità, una disgrazia… In ogni caso a essere senza
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Carrera e Fracassi
rimedio era la sua sfortuna. Doveva accettare il fatto che con
Fracassi non avrebbe imparato nulla. Se Fracassi aveva un
dono, il talento per le vendita, se lo teneva stretto per il suo
tornaconto. Il vero proposito per cui aveva organizzato la
cena – ora l’aveva capito – non era per dimostrare a Mirtha
la sua fedeltà ma per ingraziarsi Fracassi, ricoprirlo col miele
dell’ospitalità… Insomma: leccargli i piedi affinché gli trasmettesse la sua capacità di piazzare elettrodomestici persino
ai morti. E siccome questo proposito era impossibile, la cena
non adempiva più ad alcuna funzione e poteva considerarsi
terminata.
Carrera si schiarì la voce, era già pronto a dire che era tardi e che la mattina dopo si sarebbe dovuto alzare presto, ma
Mirtha lo precedette: «Qualcuno vuole un altro caffettino?»
«Io no» disse Carrera, categorico.
«Sì, lo so che tu non lo vuoi, tesoro» in realtà aveva fatto
l’offerta rivolgendosi a Fracassi. «Se bevi caffè a quest’ora
poi non chiudi occhio. Cacho…?»
«Va bene, Mirtha, già che me lo offri…» accettò Fracassi.
Al momento dei saluti, Mirtha Jacubowicz e suo marito
accompagnarono Carlos Fracassi e la sua signora fino alla
porta. Le donne si salutarono con un bacio immateriale, nessun labbro sfiorò alcuna guancia ma gli schiocchi si sentirono da lontano. Cacho fece la presa dell’orso a Julio César e in
un attacco di timidezza tipico di un novello innamorato sfiorò appena Mirtha. Soledad salutò Carrera dandogli la mano
bene aperta e passando al suo anfitrione un bigliettino che
aveva scritto in bagno e piegato in quattro. Carrera sentì la
carta sfiorarlo e chiuse la mano. Disse ciao e mise il foglietto
in tasca.
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«Ciao. I Fracassi vi salutano» rispose l’aura verdenera di
Cacho, una sagoma larga ritagliata dal lampione della strada.
«Non perdiamoci di vista!» disse Mirtha con secondi fini.
Carrera chiuse la porta. Mirtha lo guardò, valutandolo.
Era tutto quello che aveva a portata di mano. Suo marito:
l’omeopatico diluito per i suoi momenti di passione.
«Che serata» disse e con una parvenza di sguardo sognante si appoggiò alla porta.
«Sì, terribile.» Carrera impallidì. «Ho un bisogno urgente.» E andò di corsa al bagno. Schizzò tutta la tazza del water
di meteoriti nere grandi come chicchi di caffè. Astrologicamente, era più oscuro di una mostra privata di arte espressionista astratta. Nell’agonia, le esplosioni di quell’arte effimera si trasformarono in un liquido bollente, lava in un lago
nero, fluidissima, accompagnata da un rozzo strombettio
che borbottava dalla bocca del vulcano. Il fenomeno si protrasse per qualche minuto e a Carrera parve di aver rotto le
acque, come una donna; quando credeva fosse finita, ci fu
una nuova esplosione. Per pudore, per non farsi udire, tirava
continuamente lo sciacquone. Alla fine, quando sentì di aver
evacuato anche l’anima, allungò la mano destra a tentoni e
incontrò il portarotolo vuoto. Come sempre Mirtha si era
dimenticata di rimettere la carta igienica.
«Pulisciti almeno» disse Fracassi.
«È che non mi sono portata il fazzoletto» blaterò Soledad e rigettò di nuovo. Fracassi guardò schifato il vomito.
Era una pozza di vino, con la puzza di alcol potenziata dai
succhi gastrici. Scostò lo sguardo in direzione della casa dei
Carrera (era appena a mezzo isolato), timoroso che Mirtha
potesse sentire i rumori, uscisse in strada e lo vedesse in
quella situazione imbarazzante.
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Carrera e Fracassi
«Muoio» disse Soledad.
«Pulisciti con la manica della camicia.»
«Non posso» piagnucolò. «È di seta, non assorbe.»
«E che vuoi? Che ti pulisca io?»
«Sei una merda.»
«Chi, io?»
«Sì, che disgrazia, ho sposato uno stronzo.»
«Stronzo, io? Stai attenta a quello che dici che ti spacco
la faccia a calci.»
«Mi hai rovinato la vita, pezzo di merda.»
«Non ce l’avevi neanche una vita prima di conoscermi.
Eri una secchetta più brutta di una larva che nessuno voleva
tirarsi su, neanche pagando.»
«Stronzo.»
«Ricordatelo bene e una volta per tutte, sono io che ti ho
reso una donna.»
«Stronzo.»
«Ubriacona, ubriacona di merda.»
«Guarda come mi hai ridotto.» Soledad cadde in ginocchio a lato della pozza. Si chinò per vomitare ancora.
«Ma che bellezza» disse Fracassi. «Mi fai sempre fare
delle figuracce davanti a tutti. Non ti sopporto più.» Le voltò
le spalle e fece per andarsene.
«Non lasciarmi qui…»
«Ciao. Speriamo che ti piova in testa.»
«Sono tua moglie, figlio di puttana!»
«Trovati un altro sbevazzone come te.»
«Aiutami.»
«Col cazz…» La voce di Fracassi si stava già perdendo.
Soledad cercò un sasso, qualcosa da tirargli. Non trovò
nulla. La nausea continuava. Un altro spasmo. Ebbe tre conati, ma a stomaco vuoto. Così si alzò e andò dietro a suo
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marito. Carrera cercò con lo sguardo un asciugamano, una
camicia o un fazzoletto a portata di mano. Niente. E il bidet,
per scelta estetica di Mirtha, era dall’altro lato del bagno.
Se fosse corso rapidamente e con il culo in su, chissà… No,
avrebbe sporcato il pavimento di porcellana bianca. Si ricordò del bigliettino di Soledad. Lo aprì e lesse: “Quando vuoi
una donna vera, chiamami.”
Soledad. Che donna interessante. Magra, raffinata. Per
quale motivo si sarà sposata con Fracassi? Forse era così ammodo da non rendersi conto dell’animale che aveva accanto. Sì, lo so io com’è. È… esotica. Doveva essere una donna
coraggiosa per avergli passato il foglietto sotto gli occhi del
marito. E Fracassi… Che cornuto! Una donna vera… Cosa
avrà voluto dire? Che Mirtha lo era per finta? Ah, le donne,
sempre in competizione…
Carrera si sentì appagato: un uomo assediato dal sesso
opposto, di cui intuiva immediatamente gli intrighi; un detentore di sapere ed esperienza. Rapito dai suoi pensieri allungò di nuovo la mano alla ricerca della carta igienica. Il
rotolo di cartone girò a vuoto su se stesso. Ipnotico. Carrera
rimase a fissarlo, gli diede un altro colpetto per farlo continuare a girare. Funzionava così: quanto più uno si faceva gli
affari propri, tanto più le donne gli prestavano attenzione.
Il silenzio le uccideva. Per questo Soledad gli aveva lanciato
un amo!
«Ci metterai ancora molto lì dentro?» Mirtha bussò alla
porta del bagno.
«Ora esco.» Quando sentì i passi della moglie allontanarsi, strappò il foglio del messaggio in quarto parti con cura
e lo usò. Poi tirò lo sciacquone e per finire di pulirsi andò
carponi fino al bidet, trascinando i pantaloni.
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