ESERCIZI SPIRITUALI Tenuti da p. Max de Longchamp Eremo del Sorriso - Erice 3-9 luglio 2006 L’orazione alla scuola di santa Teresa d’Avila Alcune date… 1515: Nascita ad Avila. Famiglia nobile di 12 fratelli e sorelle. 1535: Entra al Carmelo dell’Incarnazione d’Avila. 1560: Intraprende la fondazione della prima casa riformata, san Giuseppe d’Avila. 1562: Inizio della vita a san Giuseppe. Redatta la sua Autobiografia (che sarà ripresa fino al 1565) e comincia Il Cammino di Perfezione. 1565-1566: Redige le Costituzioni della riforma (saranno rielaborate da Geronimo Graciàn e edite ufficialmente nel 1581) 1567: Fonda il secondo Carmelo riformato a Medina del campo, dove incontra Giovanni della Croce che comincerà la riforma maschile l’anno seguente. Seguirà una dozzina di altre fondazioni femminili fino alla morte di Teresa. 1573: Finisce il Cammino di Perfezione e comincia le Fondazioni, la cui redazione continuerà fino alla sua morte. 1577: Redige Il Castello Interiore (grossi conflitti di giurisdizione che porteranno alla prigionia di Giovanni della Croce a Toledo). 1581: Gli scalzi formano una provincia a parte nel governo del Carmelo. 4 ottobre 1582: Muore a Alba de Tormes. 1588: Prima edizione delle sue opere ad opera di Luis de Leòn 1. Cosa è l’orazione? Chi comincia (l’orazione) deve pensare di cominciare a coltivare, per la gioia del Signore, un giardino in un terreno assai infecondo, pieno di erbacce: Sua maestà strappa le erbe cattive e vi pianta le buone. Ora supponiamo che questo sia già fatto quando un’anima si decide per l’orazione e ha cominciato a praticarla; con l’aiuto di Dio dobbiamo, da buoni giardinieri, procurare che quelle piante crescano e aver cura d’innaffiarle, affinché non muoiano e producano fiori di molta fragranza, per ricreare Nostro Signore, in modo che venga spesso a dilettarsi in questo giardino e a godersi questi fiori di virtù. Il libro della Vita cap. 11,6 1. Nessuno di quelli che hanno cominciato a praticare l’orazione si perda d’animo con il dire: «Se ritorno a essere un peccatore, andare avanti nell’esercizio dell’orazione è peggio»… In questo subii molti assalti da parte del demonio; soffrii tanto da credere che fosse poca umiltà praticare l’orazione, essendo così peccatrice che, come ho già detto, tralasciai di praticarla per un anno e mezzo, o almeno un anno, perché del mezzo non mi ricordo bene. Continuare così non sarebbe stato altro – né altro era – se non mettermi io stessa nell’inferno, senza bisogno di demoni che mi ci facessero andare: Oh, Dio mio che enorme cecità! E come riesce bene il demonio nel suo intento col gravare in questo la mano! Il demonio sa bene che per lui è perduta l’anima perseverante nella pratica dell’orazione, e che tutte le cadute a cui la spinge le sono d’aiuto, per la bontà di Dio, a farle spiccare poi un balzo più alto nel suo servizio; si può ben capire quanto gli importi evitarlo. Oh Gesù mio! Che spettacolo vedere come a un’anima caduta in peccato, tornate a dare la mano sollevandola!Come si rende conto essa allora delle infinite vostra grandezze e misericordie e della propria miseria! …Che grande cecità la mia! Dove potevo credere di trovare rimedio se non in voi? Che follia fuggire dalla luce per andare sempre inciampando! Che umiltà piena di superbia creava in me il demonio nell’allontanarmi dalla colonna e dal bastone che dovevano sostenermi per evitare una così grave caduta! Il libro della Vita cap. 19, 4-5-10 1 Oggi stavo supplicando il Signore di parlare in luogo mio, perché non sapevo cosa dire, né come cominciare ad obbedire al comando che mi è stato imposto, ed ecco quello che mi venne in mente. Mi servirà di fondamento a quanto dirò. Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un sol diamante o di un tersissimo cristallo, nel quale vi siano molte mansioni, come molte ve ne sono in cielo. Del resto, sorelle, se ci pensiamo bene, che cos’è l’anima del giusto se non un paradiso, dove il Signore dice di prendere le sue delizie… 3 Come ho detto, questo castello risulta di molte stanze, alcune poste in alto, altre in basso ed altre ai lati. A1 centro, in mezzo a tutte, vi è la stanza principale, quella dove si svolgono le cose di grande segretezza tra Dio e l’anima… 5 Tornando al nostro incantevole e splendido castello, dobbiamo ora vedere il modo di potervi entrare. Sembra che dica uno sproposito, perché se il castello è la stessa anima, non si ha certo bisogno di entrarvi, perché si è già dentro. Non è forse una sciocchezza dire a uno di entrare in una stanza quando già vi sia? Però dovete sapere che vi è una grande differenza tra un modo di essere e un altro, perché molte anime stanno soltanto nei dintorni, là dove sostano le guardie, senza curarsi di andare più innanzi, né sapere cosa si racchiuda in quella splendida dimora, né chi l’abiti, né quali appartamenti contenga. Se avete letto in qualche libro di orazione consigliare l’anima ad entrare in se stessa, è proprio quello che intendo io. Castello Interiore, prima mansione, cap.1 2. Importanza della perseveranza nell'orazione 8 L’unica brama di chi vuol darsi all’orazione – non dimenticatelo mai, perché è importantissimo – dev’essere di fare di tutto per risolversi e meglio disporsi a conformare la sua volontà a quella di Dio. In questo, come appresso dirò, sta la più grande perfezione che si possa bramare nel cammino di perfezione. Più questa conformità sarà perfetta, maggiori grazie si riceveranno da Dio, e maggiore sarà pure il progresso nel cammino. Non crediate che si tratti di qualche nuova astruseria o di cose mai conosciute ed intese: il nostro bene sta tutto qui. Se sbagliamo fin da principio, volendo che il Signore faccia subito la nostra volontà e ci conduca per dove vogliamo noi, che saldezza potrà avere l’edificio? Procuriamo invece, per quanto è da noi, di evitare qualsiasi contatto con le bestie velenose, perché spesso il Signore permetterà che le aridità e i pensieri cattivi ci perseguitino ed affliggano senza che sappiamo allontanarli. Altre volte poi permetterà che ne rimaniamo morsicati per insegnarci a star più attenti e vedere se ci dispiace di averlo offeso. 9 Perciò, se qualche volta cadete, non dovete così avvilirvi da lasciare d’andare innanzi. Da quella caduta il Signore saprà cavare del bene, come il venditore di triaca, che per far prova della sua efficacia beve prima il veleno. Quando non vi fosse altro mezzo per misurare la nostra miseria e vedere il danno che ci proviene dalle dissipazioni, vi sarebbe sempre la lotta che dobbiamo sostenere per tornare a raccoglierci. Castello Interiore, 2a mansione, cap. 1 3. Orazione vocale, orazione mentale, orazione contemplativa Cos’è l’orazione mentale 1. La differenza fra l’orazione mentale e vocale non consiste nel tener la bocca chiusa o no. Se, pregando vocalmente, sono del tutto consapevole di parlare con Dio, più attenta a lui che alla parole che dico, l’orazione mentale e vocale sono unite. Se poi mi si viene a dire che state parlando con Dio quando, recitando l’Ave Maria, avete il pensiero alle cose del mondo, non posso che tacere… 2. Vorrei alzare la voce, pur essendo quella che sono e discutere con coloro che dicono che non c’è bisogno di orazione mentale. Io sono certa che voi non capite e neppure sapete che cosa sia l’orazione mentale né come bisogna fare quella vocale né che cosa s’intenda per contemplazione, perché se lo sapeste non condannereste da un lato quel che lodate dall’altro. 3. Io vi dirò sempre, figlie, ogni volta che me ne ricorderò, di unire l’orazione mentale a quella vocale, e vi raccomando di non intimorirvi a questo riguardo; io so come vanno a finire certi timori, e quindi non vorrei che alcuno vi procurasse qualche turbamento, essendo di gran danno procedere per questo cammino con paura. È molto importante rendersi conto che si è sulla buona strada. Infatti se si dice a un viandante che ha sbagliato, che ha smarrito la strada, lo si costringe ad andare da una parte all’altra stancandosi nella ricerca del cammino che deve percorrere: perde tempo e arriva più tardi. Chi può dire che fate male se, cominciando a recitare le Ore o il Rosario, cominciate anche a pensare con chi state per parlare e chi siete voi che parlate, per vedere come dovete trattare con lui? Ora io vi dico, sorelle, che, se la profonda riflessione richiesta da questi due punti si facesse come conviene, prima di cominciare l’orazione vocale, cioè le Ore e il Rosario, avreste dedicato già molto tempo a quella mentale. Cammino di Perfezione 37, 1-2-3 Dice quanto bene riceva un’anima che fa con perfezione la preghiera vocale, e come avvenga talvolta che Dio la elevi da questa preghiera a favori soprannaturali 1. Mentre state recitando il Pater Noster, se lo recitate bene, può darsi benissimo che il Signore vi elevi a contemplazione perfetta. Sua Maestà fa vedere così che ascolta chi gli parla e gli risponde sospendendogli l’intelletto, arrestandogli l’immaginazione, fermandogli – come si dice – le parole in bocca in modo che, anche se vuole, non può parlare se non a prezzo di grandi sforzi. 2. L’anima capisce che questo divino Maestro opera nella sua anima senza rumore di parole, nella sospensione delle potenze che non operano più. Questa è la contemplazione perfetta. 3. Da ciò capirete la differenza che c’è fra la contemplazione e l’orazione mentale, come avevo detto. La seconda consiste nel pensare e intendere di che cosa parliamo, con chi parliamo e chi siamo noi che osiamo rivolgere la parola a un così gran Signore. Considerare tutto questo e altre cose del genere, come ad esempio, il poco che abbiamo fatto per lui e il molto che siamo obbligate a servirlo, è orazione mentale. Non pensate ad astruserie di altro genere, né vi spaventi il suo nome. Recitare il Pater Noster o ciò che vorrete, è orazione vocale. Ma considerate un po’ che musica stonata sarà senza quella mentale: perfino le parole avranno spesso un suono discordante. In queste due specie di orazione noi possiamo far qualcosa, con l’aiuto di Dio; nella contemplazione di cui ho parlato or ora, nulla: è Dio a far tutto; si tratta di opera sua che supera le nostre umane possibilità. Cammino di Perfezione 41 4. Come cominciare? Indica come raccogliere il pensiero e parla dei mezzi per riuscirvi. È un capitolo assai utile per coloro che cominciano a praticare l’orazione. 1. Ora, ritornando alla nostra orazione vocale, bisogna pregare in modo che, senza rendercene conto, Dio ci conceda insieme l’altra, ma per questo – ripeto – occorre pregare come si deve. L’esame di coscienza, il recitare il Confiteor e il farsi il segno della croce, si sa bene che devono essere la prima cosa. Subito dopo, figlie mie, poiché siete sole, cercate di trovare una compagnia. E quale compagnia migliore di quella dello stesso Maestro che ci ha insegnato la preghiera che state per recitare? Immaginatevi questo nostro Signore vicino a voi e considerate con quale amore e con quanta umiltà vi istruisce; credetemi, fate il possibile per non privarvi di un così buon amico. Se vi abituerete a tenervelo vicino, se egli vedrà che lo fate con amore e che vi adoperate a contentarlo, non potrete, come suol dirsi, togliervelo d’attorno; vi assisterà sempre; vi aiuterà in tutte le vostre difficoltà; l’avrete con voi dappertutto; credete che sia poca cosa aver sempre al fianco un tale amico? 3. Non vi chiedo di concentrare il vostro pensiero su di lui, né di fare molti ragionamenti né profonde e sublimi considerazioni con la vostra mente, vi chiedo solo di guardarlo. E chi può impedirvi di volgere gli occhi della vostra anima, anche solo per un attimo, se non potete di più, a lui? . È forse troppo per voi, tolti gli occhi dell’anima dalle cose esteriori di quaggiù, rivolgerli qualche volta a lui? Badate che egli, come dice alla sposa, non aspetta altro se non un nostro sguardo. Lo troverete sotto l’aspetto in cui lo avrete desiderato. Stima tanto questo sguardo che, per averlo, non trascurerà nulla. 4. Così dicono che si debba comportare una donna con il marito, per essere una buona sposa: mostrarsi triste, se egli è triste, se allegro, allegra, anche quando non lo sia affatto. Ebbene, questo sinceramente, senza alcuna finzione, fa il Signore con voi: si fa vostro servo e vuole che voi siate le padrone, uniformandosi ai vostri desideri. Se vi sentite disposte alla gioia, contemplatelo risuscitato. E solo immaginare come uscì vittorioso dal sepolcro vi riempirà d’allegrezza. In effetti, che splendore, che bellezza, quale maestà, quale trionfo e quale giubilo! Quelli che convengono a chi è uscito con gloria dalla battaglia dove ha conquistato un così gran regno che vuole tutto per voi, insieme con lui. È, dunque, molto che volgiate una volta gli occhi a colui che vi offre tanto bene? 5. Se siete afflitti o tristi, pensatelo legato alla colonna, spasimante di dolori, con tutte le carni a brandelli per il grande amore che vi porta! Perseguitato dagli uni e coperto di sputi dagli altri, rinnegato e abbandonato dai suoi amici, senza che alcuno prenda le sue difese, morto di freddo e ridotto in tale solitudine, che voi potete, accanto a lui, ben consolarvi a vicenda; o quando è abbandonato nell’Orto [degli ulivi] e sotto il peso della croce, non gli era concessa una tregua per respirare. Egli vi guarderà con quei suoi occhi tanto belli, compassionevoli, pieni di lacrime e dimenticherà i suoi dolori per consolare i vostri, solo perché vi rivolgete a lui per essere consolati e volgete la testa dalla sua parte per guardarlo. 6. Se il vederlo in tale stato vi ha intenerito il cuore al punto che non solo desiderate guardarlo, ma che sentiate la gioia di parlare con lui, non con preghiere studiate, ma con struggenti invocazioni sgorganti dalla pena del vostro cuore, di cui egli fa grandissimo conto, vi verrà quindi spontaneo dirgli: «O Signore del mondo e vero Sposo mio, mio Signore e mio bene, siete proprio così pressato da voler accettare una povera compagnia, e vedo dal vostro aspetto che avete dimenticato le vostre pene nel sentirmi vicina a voi. Ma com’è possibile, Signore, che gli angeli vi lascino solo e che vostro Padre non vi consoli? Se, Signore, è perché voi volete sopportare tutto per me, cosa è mai questo che io soffro? Di che mi lamento? Mi vergogno tanto di avervi visto in tale stato che voglio sopportare tutte le sofferenze che mi possano sopravvenire e stimarle come un gran bene per imitarvi in qualche cosa. Camminiamo insieme, Signore; io devo andare dove andrete voi; dovunque passerete, passerò anch’io». Cammino di Perfezione, cap. 42 2. Ciò che in questo potrà esservi di aiuto è avere un’immagine o un ritratto di questo Signore; non per recarlo nel seno e non guardarlo mai, ma per parlare spesso con lui, il quale vi suggerirà quello che gli dovrete dire. Come parlate con le creature umane, perché vi dovrebbero mancare le parole per parlare con Dio? Non temetelo, almeno io non credo che ciò possa accadere. 3. È pur un grande aiuto prendere un buon libro, in volgare, anche per concentrare il pensiero e pregare bene localmente (dico, come si deve fare): a poco a poco, con queste attrattive e con questi espedienti, abituerete la vostra anima alla meditazione, senza spaventarla. È come se una sposa da molti anni si sia separata dal suo sposo: perché ritorni alla sua dimora occorre far ricorso a molta diplomazia. Così è di noi peccatori: la nostra anima e la nostra mente sono talmente abituate a seguire il proprio piacere, o meglio, la propria afflizione, che la povera anima non si comprende più, e perché torni a nutrire l’amore di stare nella sua casa, è necessario servirsi di molta diplomazia; se non si fa con amore e non si procede per gradi non si riuscirà a nulla. Ma, credetelo: state certe, abituandovi con diligenza a considerare che portate con voi questo Signore e spesso parlando con lui, ne trarrete un tale profitto, quale a me non riesce spiegarvi, e non mi credereste nemmeno. Cammino di perfezione, cap. 43 A me sembra che un giardino si possa innaffiare in quattro modi: o con l’attingere acqua da un pozzo, il che comporta per noi una gran fatica; o con una noria e tubi, tirandola fuori mediante una ruota (io l’ho girata alcune volte), il che è di minor fatica del primo e fa estrarre più acqua; oppure derivandola da un fiume o da un ruscello: con questo sistema si irriga molto meglio, perché la terra resta più impregnata d’acqua, non occorre innaffiarla tanto spesso, e il giardiniere ha molto meno da faticare; oppure a causa di un’abbondante pioggia, in cui è il Signore ad innaffiarla senza alcuna nostra fatica, sistema senza confronto migliore di tutti quelli di cui ho parlato. …Color che cominciano a fare orazione sono coloro che attingono l’acqua dal pozzo, con grande stento, come detto, dovendo affaticarsi a raccogliere i sensi; il che, essendo questi abituati a divagare, costa grande fatica. È necessario che vadano abituandosi a non curarsi minimamente di vedere o udire nulla, mettendo specialmente in pratica questa noncuranza nelle ore di orazione, a starsene in solitudine e, così appartati, pensare alla loro vita passata (anzi, questo, primi e ultimi, lo devono fare tutti spesso), insistendo più o meno in tale pensiero, come dirò in seguito. In principio, inoltre, dà loro pena il non riuscire a capire se si pentono davvero dei propri peccati, ma sì, se ne pentono, se si decidono a servire Dio con tanta sincerità. Devono cercare di meditare sulla vita di Cristo, e in questa meditazione l’intelletto finisce per stancarsi. Fin qui possiamo avvantaggiarci da noi, s’intende con la grazia di Dio, senza la quale si sa che non possiamo avere nemmeno un buon pensiero. Il Libro della Vita, cap. 11, 7-9 Ritornando dunque a ciò di cu parlavo, mettiamoci a meditare su un brano della Passione, per esempio quello della flagellazione del Signore legato alla colonna. L’intelletto deve indagare i motivi, che s’indovinano dei grandi dolori e della pena sofferta da Sua Maestà in quell’abbandono, e molte altre cose che potrà dedurre da questo passo, se il suo intelletto sa ragionare o se è persona dotta. È questo il modo di orazione in cui tutti devono cominciare, proseguire e finire,cammino eccellente e sicuro in sommo grado, fino a che il Signore non ci elevi ad altre cose soprannaturali. Il Libro della Vita, cap.11, 12 Tornando, dunque, a quanto dicevo sulla meditazione della flagellazione di Cristo legato alla colonna, è bene fermarsi un momento a considerare le pene che ivi soffrì, perché le soffrì, chi è colui che le soffrì e l’amore con cui le soffrì, senza mai stancarsi a cercare queste considerazioni, stando soltanto lì con lui e facendo tacere l’intelletto. Se si può, occuparlo nel considerare che egli ci guarda, e fargli compagnia, parlargli, supplicarlo, umiliarci e deliziarci con lui, ricordando che non siamo degni di stare lì. Quando un’anima può far ciò, anche se è al principio della pratica di orazione, ne trarrà gran profitto, perché questo modo di pregare è assai vantaggioso, per lo meno tale è stato per l’anima mia. Il Libro della Vita cap. 13, 22 5. Quando sopraggiunge l’aridità [Questo è cominciare ad attingere acqua dal pozzo. Voglia ancor Dio che possa trovarsene!] Cerchiamo almeno, da parte nostra, di andare ad attingerla e di fare tutto il possibile per innaffiare i fiori. Dio è così buono che anche quando, per motivi che Sua Maestà solo conosce – forse di gran vantaggio per noi – permette che il pozzo sia secco, se noi facciamo ciò che dobbiamo fare da buoni giardinieri, senz’acqua alimenterà i fiori e farà crescere le virtù. Chiamo qui “acqua” le lacrime e, in mancanza di queste, la tenerezza e il sentimento interiore di devozione. Che deve, dunque, fare colui che da molti giorni non vede in sé altro che aridità, noia, ripugnanza, e tale mala voglia di andare ad attingere acqua, che se non ricordasse di far piacere e di rendere sevizio al Signore del giardino e non si adoperasse a non perdere tutto ciò che ha guadagnato con il servigio reso e anche ciò che spera di guadagnare con la grande fatica che costa gettare molte volte il secchio nel pozzo e tirarlo fuori senz’acqua, abbandonerebbe tutto? Gli accadrà spesso di non poter neppure alzare le braccia per far questo, né di avere un buon pensiero, poiché resta inteso che trarre l’acqua dal pozzo equivale a lavorare con l’intelletto. Allora, come dico, che farà in questo caso il giardiniere? Dovrà rallegrarsi, consolarsi e stimare come una grazia straordinaria il poter lavorare nel giardino di così grande imperatore. E poiché sa che con quel lavoro lo accontenta, e il suo intento non deve essere quello di accontentare se stesso, ma Dio, gli renda gran lode per la fiducia che ripone in lui, avendo visto che senza alcuna paga fa tanta attenzione a ciò che gli è stato raccomandato, e lo aiuti a portare la croce, pensando che nella croce egli visse sempre. Non cerchi, del resto,quaggiù il suo regno né abbandoni mai l’orazione, deciso, anche se questa aridità debba durargli tutta la vita , a non lasciar cadere Cristo sotto il peso della croce… Sono convinta che il Signore voglia dare alcune volte al principio, e altre alla fine, questi tormenti e le molte e varie specie di tentazioni che si presentano, per mettere alla prova coloro che lo amano e vedere se sapranno bere il suo calice e aiutarlo a portare la croce, prima di arricchirne l’anima con grandi tesori. E credo che per il nostro bene Sua Maestà voglia condurci attraverso queste prove, per farci capire che siamo ben poca cosa. Sono tanto sublimi le grazie che dopo ci concederà, che vuole farci vedere, prima di darcele, le nostre miserie per esperienza diretta, affinché non ci accada ciò che avvenne a Lucifero. Che fate, Signor mio, che non sia per il maggior bene dell’anima che già sapete vostra, e che si sottomette a voi per seguirvi ovunque andiate, fino a morire sulla croce, decisa ad aiutarvi a portarla e a non lasciarvi solo con essa? Se ci si renderà conto di avere in sé questa determinazione, non c’è proprio di che temere, né vi è alcuna ragione di affliggersi, anime spirituali; una volta che ci si ponga in così alto grado com’è quello di voler trattare da sole a solo con Dio e abbandonare i passatempi del mondo, il più è fatto. Ringraziatene Sua Maestà e confidate nella sua bontà, che non è mai venuta meno ai suoi amici. Non vogliate indagare perché conceda tanta devozione a chi lo serve da molti anni. Teniamo per certo che tutto è per il nostro bene. Sua Maestà ci conduca dove voglia; ormai non apparteniamo più a noi stesse, ma a lui. Ci usa una grande misericordia nel permetterci di voler scavare nel suo giardino e star vicino al padrone di esso, che è sempre presso di noi. Se egli vuole che queste piante e questi fiori germoglino, alcuni con l’acqua attinta dal pozzo, altri senza di essa, che importa? Fate, o Signore, ciò che volete, purchè io non abbia più ad offendervi né a perdere le mie virtù, se, unicamente per vostra bontà, me ne abbiate data qualcuna. Io voglio patire, Signore, perchè voi patite; si adempia in me, pertanto la vostra volontà, e non permetta la Maestà Vostra che un tesoro di così grande pregio come il vostro amore sia dato a chi serve solo per averne consolazioni. Si deve notar bene – e lo dico perché lo so per esperienza – che l’anima la quale comincia a inoltrarsi risolutamente in questa via dell’orazione mentale e può riuscire a non far molto caso né delle consolazioni né degli sconforti che prova quando il Signore le concede o le nega questi piaceri e queste tenerezze, ha già percorso gran parte del cammino. Non tema di dover tornare indietro, per quanto possa inciampare, perché ha cominciato a erigere il suo edificio su salde fondamenta. È certo che l’amore di Dio non consiste nel versare lacrime né nel provare questi piaceri e tenerezze – che comunemente desideriamo e con i quali ci consoliamo – ma nel servire Dio con giustizia, con fortezza d’animo e umiltà. Il Libro della Vita cap. 11, 10-11-12-13 6.Dalla meditazione alla contemplazione Commenta le parole: “Sanctificetur nome tuum, adveniat regnum tuum”. Inizia con la spiegazione dell’orazione di quiete 3. Ma vi sono momenti in cui il Signore, vedendoci stanchi del cammino, ci procura un riposo delle potenze e una serenità dell’anima tali da far chiaramente capire, per segni manifesti, quale sia il sapore di ciò che viene dato a coloro che egli introduce nel suo regno; e a quelli di cui esaudisce quaggiù la richiesta dà pegni capaci di alimentare la grande speranza di andare a godere eternamente ciò che qui ci viene dato a sorsi. Cammino di Perfezione, cap. 52 Prosegue nel medesimo argomento e dà alcuni consigli circa il modo di procedere nell’orazione di quiete In questa orazione di raccoglimento e di quiete non mancano di agire le potenze dell’anima; ma l’anima è così appagata di Dio che, mentre dura tale stato, anche se la memoria e l’intelletto si scombussolano, poiché la volontà è unita a Dio non perde la pace e la tranquillità, anzi a poco a poco essa riporta al raccoglimento l’intelletto e la memoria. Infatti benché non sia del tutto immersa in Dio è così occupata a contemplarlo, senza saper come, che le altre due potenze, per quanti sforzi facciano, non possono toglierle il suo appagamento e la sua gioia; tanto più che, senza molta fatica, essa si va adoperando perché questa piccola scintilla di amore di Dio non si spenga. Il Libro della Vita, cap. 15, 1 Supponiamo per meglio intenderci di vedere due fontane i cui bacini si riempiono di acqua:… 3. Dunque, questi due bacini si riempiono di acqua, ma in modo diverso. In uno l’acqua viene da lontano per via di acquedotti e di artificio, mentre l’altro, essendo costruito nella sorgente, si riempie senza rumore. Se la sorgente è abbondante, com’è questa di cui parliamo, non solo riempie il bacino, ma questo, a sua volta, rigurgita in un grosso ruscello continuamente alimentato, senza bisogno di condutture o d’artificio. E in ciò consiste la differenza. L’acqua che viene per i condotti rappresenta, secondo me, i gusti che sgorgano dalla meditazione e che noi ci procuriamo con le nostre riflessioni, meditando sulle creature e stancandoci l’intelletto. Siccome sono frutto di nostra industria, quando devono apportare all’anima qualche vantaggio, lo fanno con rumore. 4 Nell’altro bacino, invece, l’acqua deriva dalla stessa sorgente che è Dio; e quando Sua Maestà si compiace di accordare qualche grazia soprannaturale, l’acqua fluisce nel più profondo dell’anima con pace, dolcezza e tranquillità inesprimibile, senza che si sappia donde e in che modo scaturisca. Si tratta di gioie e di diletti che, sebbene da principio non si facciano sentire nel cuore, come quelli del mondo, in seguito inondano ogni cosa. L’acqua si riversa per ogni mansione e in tutte le potenze, sino a raggiungere il corpo: perciò ho detto che comincia in Dio e finisce in noi. In questo gusto e soavità l’uomo esteriore va tutto immerso, come sa bene chi l’ha provato. 5 Scrivendo queste righe, ricordo il versetto accennato: Dilatasti cor meum, nel quale si dice che il cuore si è dilatato. Tuttavia, mi pare che questi effetti, invece di nascere dal cuore, provengano da un punto più interno, come da una cosa molto profonda. Penso che debba essere dal centro dell'anima, come più tardi ho inteso, e più avanti dirò… 6 Ritorniamo a quel versetto che mi può servire per far comprendere la dilatazione di cui parlo. Appena l’acqua celeste comincia a sgorgare dalla sua sorgente, vale a dire dal profondo di noi stessi, sembra che il nostro interno si vada dilatando ed ampliando, empiendosi di beni eccellenti ed ineffabili, tanto che la stessa anima non sa comprendere ciò che allora riceve. Sente come una specie di profumo, quasi che nel fondo del nostro interno vi sia un braciere sul quale vengano gettate squisitissime essenze odorose. Il fuoco non si vede, né si sa dove sia, ma il calore e il fumo odoroso penetrano tutta l’anima, arrivando spesso, come ho detto, ad investire anche il corpo. Badate bene d’intendermi! Non si sente né calore, né odore, ma un qualche cosa di più delicato. Se mi servo di questi paragoni, è per farmi capire. Chi non l’ha provato si persuada che è così e che lo si sente assai bene. L’anima lo sente più chiaramente di quanto io mi sappia esprimere. Non è questa una cosa che si possa immaginare di sentire, perché non vi riusciremmo neppure impiegandovi tutte le nostre diligenze. E da ciò si vede che non è opera del nostro metallo, ma dell’oro purissimo della Sapienza divina. Benché le potenze non mi sembrino ancora nell’unione, pure vi si trovano come assorte, rapite di meraviglia innanzi a ciò che succede. …8 Voi forse, figliuole, vorreste aver subito questa specie di orazione, e non ne stupisco, perché l’anima non ha ancora finito di comprendere ciò che Dio accorda in questo stato, né il grande amore con il quale Egli l’avvicina a sé, che subito si sente presa dal desiderio di conoscere come queste grazie si acquistino. Perciò vi voglio dire quello che ho potuto capire. 9 Prescindiamo dal caso in cui il Signore si degni di accordarcele unicamente perché così gli piace. Egli ne sa il motivo, e noi non ci dobbiamo intromettere. Dopo aver fatto ciò che si esige per le mansioni precedenti, si richiede umiltà e ancora umiltà. Questa virtù inclina il Signore ad accondiscendere alle nostre brame. E il primo segno per vedere se ne siete in possesso è credere fermamente che di queste grazie e gusti divini siete indegne, e che mai vi saranno accordati in tutta la vostra vita. Ma voi mi direte: Se non le dobbiamo procurare, in che modo le potremo avere? Rispondo che non vi è modo migliore di quello che ho detto, vale a dire, di non procurarle. Ed eccone le ragioni. La prima, che per ricevere queste grazie è necessario amare il Signore senza alcun interesse. La seconda, che è mancanza di umiltà credere che i nostri meschini servizi possano meritare un tal bene. La terza, che la vera disposizione per noi, che abbiamo tanto offeso il Signore, non è già di aspirare ai gusti spirituali, ma di bramare sinceramente di soffrire e di renderci simili a Lui. La quarta, che se Dio si è obbligato a concedere la gloria a chi osserva i comandamenti, non lo si è affatto quanto a dare queste grazie, perché possiamo salvarci anche senza di esse, ed Egli sa meglio di noi quello che ci conviene, e chi siano i suoi veri amanti. So di alcune persone che camminano per la via dell’amore nel modo che si deve, vale a dire con l’unico desiderio di servire il loro Dio crocifisso; eppure non solo non domandano consolazioni, ma nemmeno le desiderano, sino a supplicare il Signore a non volerle dar loro in questa vita. E questa è la pura verità che io so di preciso, perché sono persone di mia conoscenza. La quinta ragione è che faticheremo inutilmente. Siccome quest’acqua non è condotta per via di canali come la precedente, se la fonte si rifiuta di produrla, ci stancheremo senza alcun risultato. Voglio dire che nonostante le nostre frequenti meditazioni e gli sforzi che facessimo per versar lacrime, l’acqua non verrebbe ugualmente, perché non scaturisce da qui. Dio la concede a chi vuole, e spesso nel momento in cui meno si pensa. 10 Siamo di Dio, sorelle. Egli faccia di noi quello che vuole e ci conduca per dove meglio gli piace! Se ci umiliamo e ci distacchiamo veramente – dico veramente e non già nell’immaginazione che spesso ci inganna – se veramente dunque ci distacchiamo da tutto, il Signore non lascerà di farci queste grazie e molte altre ancora, superiori a ogni nostro desiderio. Sia Egli per sempre lodato e benedetto! Amen. Castello Interiore, 4a mansione, cap. 2 Continua a spiegare che cosa sia l’orazione di quiete. Capitolo molto importante 2 Questa orazione di quiete è già una cosa soprannaturale che non possiamo procurarci da noi, nonostante ogni nostra diligenza possibili. L’anima, infatti, entra ormai nella pace o ve la fa entrare il Signore con la sua divina presenza, come fece con il giusto Simeone. Allora tutte le potenze restano inattive e l’anima si rende conto, per virtù di una consapevolezza del tutto estranea a quella procurata dai sensi esterni, d’essere ormai assai vicina al suo Dio, tanto che, innalzandosi un po’ di più, diverrebbe una cosa sola con lui, mediante l’unione. Mi esprimo così non perché lo veda con gli occhi del corpo o con quelli dell’anima. Nemmeno il giusto Simeone, guardando il glorioso Gesù, vedeva più di un Bambino poverissimo; dai panni che l’avvolgevano e dalle poche persone che l’accompagnavano nella processione, l’avrebbe piuttosto creduto pellegrino, figlio di povera gente che Figlio del Padre Celeste; ma lo stesso Infante divino glielo fece intendere. A questa medesima comprensione l’anima giunge qui, anche se non con uguale chiarezza, non sapendo ancora come riesca a capirlo; vede solo che è nel suo regno, e si sente compresa di tale rispetto da non osare di chiedere nulla. 3. Si è come tramortiti, interiormente ed esteriormente, al punto che l’uomo esteriore (cioè il corpo, perché forse verrà da voi qualche sempliciotta che non sa cosa sia interiore ed esteriore) non vorrebbe muoversi,allo stesso modo di chi, arrivato quasi al termine del cammino, si concede un po’ di riposo, provando grandissimo sollievo nel corpo e grande soddisfazione. L’anima è così felice solo di vedersi vicino alla fonte, che anche prima di bere si sente già sazia. Le sembra che non ci sia altro da desiderare: le potenze sono talmente assopite che non vorrebbero muoversi; tutto le appare d’impedimento ad amare, anche se le potenze non sono così assopite da non percepire chi sia colui presso il quale si trovano, e in grazia di chi possono qualcosa. Il loro pensiero è placido e tranquillo. Desiderano soltanto che il corpo non si muova minimamente per non destare le loro potenze. Esse pensano una sola cosa, non a molte. Dà loro pena il parlare: per dire un solo Pater noster possono impiegare anche un’ora. Sono così prossimi a Dio che s’intendono per segni. Stanno nel palazzo accanto al loro re e capiscono che egli comincia a dar loro fin da questa vita “il suo regno”. Talvolta scendono loro le lacrime, senza afflizioni, ma con molta dolcezza. Tutto il loro desiderio è che venga santificato il suo nome in quel momento. Non hanno l’impressione di stare nel mondo, né vorrebbero vederlo né udirlo, per vedere e udire soltanto il loro Dio. Nulla dà loro pena e nulla sembra possa dargliene. …5. Fate attenzione a questo paragone, suggeritomi dal Signore durante l’orazione, che mi sembra cada a proposito qui: l’anima è come un bambino lattante attaccato al seno della madre, la quale, senza che egli faccia lo sforzo di succhiare , gli spreme il latte in bocca per tenerezza. Così avviene qui dove, senza alcun lavoro dell’intelletto, il Signore s’introduce nell’anima e vuole che ci si renda conto che egli vi è presente e desidera che risucchi il latte da lui offerto. In tutto ciò l’anima deve capire il dono che egli le fa ed il suo amore. Se si mette a lottare con l’intelletto per farlo partecipe del suo stato, trascinandolo con sé, non potrà arrivare a tutto e necessariamente si lascerà cadere il latte dalla bocca, perdendo così quel sostentamento divino. 6. La differenza tra questa orazione e quella in cui tutta l’anima è unita a Dio è che in quest’ultima non si ha neanche bisogno d’inghiottire il nutrimento; lo pone il Signore all’interno di noi stessi, senza che sappiamo come. Nell’orazione di quiete invece sembra volere che si lavori un po’, anche se il lavoro si compie con tanta tranquillità che non si avverte. Guardate, è importante! Altrimenti vi sembrerà arabo. Così quando l’anima si trova in questa orazione, sperimenta una felicità dolce e profonda della volontà. Benché non possa precisare in cosa consista, vede tuttavia che è assai diversa da ogni soddisfazione terrena e che non basterebbe essere padroni del mondo con tutti i suoi piaceri per poter sentire in sé quella gioia. Cammino di Perfezione, cap.53 7. Dalla quiete contemplativa all’unione contemplativa Parla dell’orazione di unione, che è il terzo grado di orazione che la Santa paragona modo d’innaffiare un giardino attraverso rivoli di acqua viva tratta da un ruscello o da una fonte Cominciamo ora a parlare della terza acqua con cui si irriga questo giardino, cioè l’acqua di fiume o di fonte. Ciò costa molto minor fatica, benché dia un po’ da fare immettere l’acqua nei canali. A questo punto il Signore vuole aiutare il giardiniere in modo tale da prenderne quasi il posto e far tutto lui. Questa terza orazione è come un sonno delle tre potenze dell’anima, intelletto, memoria e volontà: esse non si perdono del tutto, ma non capiscono in che modo operino. … In un’orazione così sublime l’anima sta godendo con la maggiore gioia esprimibile: mi sembra che non sia altro se non un morire quasi completamente a tutte le cose del mondo e stare già godendo di Dio. Non so quali altri termini usare per dire e spiegare questo; l’anima non sa in tale stato cosa fare, se parlare o tacere, se ridere o piangere: è un glorioso delirio, una celeste follia, da cui si desume la vera sapienza, ed è, per l’anima, un modo di godere deliziosissimo… Qui le potenze non possono far altro che occuparsi completamente di Dio. Sembra che nessuna osi muoversi né potremmo smuoverle noi, a meno che neanche in tal caso potremmo riuscirci. Si dicono molte parole in onore di Dio, ma senza ordine(se il Signore stesso non vi pone ordine, perché l’intelletto qui non serve a nulla); l’anima vorrebbe gridare le sue lodi, e scoppia di gioia; è in preda a un’inquietudine piacevole. I fiori già sbocciano, già cominciano a emanare profumo. L’anima allora vorrebbe che tutti la vedessero e si accorgessero della sua gioia, per lodare Dio e aiutarla a glorificarlo e per renderli partecipi del suo gaudio, incapace di sopportarlo da sola. Il Libro della Vita, cap.16, 1-2-3 La Santa continua a parlare in questo capitolo dell’orazione di unione Tale condizione, benché sembri identica, è differente –in parte – dall’orazione di quiete, di cui ho già parlato perché lì l’anima non vorrebbe muoversi né agitarsi, godendo del santo ozio di Maria, mentre in quest’orazione può fare anche da Marta (così che fa quasi insieme vita attiva e contemplativa), attendere a opere di carità, a faccende convenienti al suo stato, a leggere benché l’intelletto e la memoria non siano del tutto padroni di sé e ben capiscano che la parte migliore dell’anima è all’altro estremo. È come se stessimo parlando con uno, e dall’altra parte ci parlasse un altro; non potremmo intenderci bene né con l’uno né con l’altro. È una cosa che si avverte molto chiaramente e dà molta gioia e soddisfazione quando si prova; serve molto a disporre l’anima, quando ha il tempo di starsene in solitudine, libera da occupazioni, a una profondissima quiete. È lo stesso caso di una persona sazia, che non ha bisogno di mangiare e sente lo stomaco soddisfatto, in modo che non sarebbe disposta a mangiare qualunque cibo; peraltro, non così sazia che, se li vede buoni, tralasci di mangiarli volentieri. Essa non è soddisfatta dei piaceri del mondo, né allora li vorrebbe, perché ha in sé chi più la soddisfa; ha gioie più grandi da Dio, desidera soddisfare i suoi desideri, godere di più, stare con lui: questo è ciò che vuole. Il Libro della Vita cap. 17, 4 8. Il punto d’arrivo In tutta l’orazione, nelle varie forme di essa di cui ho parlato, il giardiniere lavora sempre un po’, benché in questi ultimi gradi il lavoro sia accompagnato da tanta gioia e consolazione che l’anima non vorrebbe mai lasciarlo; pertanto non si sente come una fatica, ma come una gioia. Ma qui non c’è coscienza, c’è solo il godimento, senza sapere di che. Si sente di godere un bene dove si racchiudono, uniti, tutti gli altri bene, ma non si comprende tale bene. Tutti i sensi sono presi da questo godimento, in modo che nessuno resta libero di occuparsi di altre cose, interne o esterne. Prima era loro permesso – ripeto – di manifestare con alcuni segni la grande gioia che sentivano; qui l’anima gode incomparabilmente di più e può manifestare molto meno, perché il corpo rimane senza forza, né l’anima ne ha per poter comunicare quella gioia. In quel momento ogni cosa le sarebbe di grave imbarazzo e tormento, e disturberebbe il suo riposo. Aggiungo che se è unione di tutte le potenze, anche volendolo, l’anima non può occuparsi di nulla, trovandosi in questo stato, e se lo potesse non sarebbe più unione. Il Libro della Vita, cap. 18, 2 Anzitutto un grande oblio di sé, così profondo da farle credere di non esistere più. Si sente trasformata in tal maniera da non riconoscersi più. Non pensa né al cielo che l’attende, né alla vita, né all’onore, ma solo a impiegarsi alla maggior gloria di Dio. Le parole dette a lei dal Signore, cioè, che prendesse cura delle cose di Lui perché Egli si curerebbe delle sue, pare che abbiano prodotto quello che significano, tanto che ella non si preoccupa più di nulla. Non vuol essere nulla in nessuna cosa, eccetto quando vede di poter alquanto contribuire nell’accrescere, anche solo di un punto, l’onore e la gloria di Dio: per questo sacrificherebbe volentieri la vita. 3 Non dovete però credere, figliuole, che trascuri di mangiare e dormire, benché le sia di gran tormento, e nemmeno che lasci di compiere i doveri a cui per il suo stato è obbligata: qui non parliamo che delle disposizioni interiori. Quanto alle opere esterne, vi è ben poco da dire. E questo costituisce la sua pena, per esser costretta a vedere che le sue forze non valgono a nulla. Ma se può qualche cosa, e vede che è di gloria al Signore, nulla al mondo la trattiene. 4 Il secondo effetto è un gran desiderio di patire, ma non in modo d’averne inquietudine, come già per l’innanzi. Sua brama ardentissima non è che di compiere la volontà di Dio, e perciò ritiene come buono tutto quello che il Signore dispone: se Egli vuole che patisca, ciò sia alla buon’ora; se non lo vuole, non s’inquieta come prima. 5 Se viene perseguitata sperimenta nel suo interno una vivissima gioia, e permane in una pace molto più profonda che non negli stati precedenti. Non solo non prova il minimo risentimento per quelli che le fanno o le vogliono fare del male, ma li circonda di maggiori attenzioni; e se li vede in qualche travaglio, ne rimane teneramente afflitta, sino ad essere disposta a far di tutto per sollevarli. Li raccomanda istantaneamente al Signore, e rinuncerebbe volentieri ad alcune delle sue grazie affinché Dio le concedesse a loro, ed essi non l’offendessero più. 6 Ma ecco ciò che più mi sorprende. Avete veduto le angosce e le desolazioni di queste anime per il desiderio di morire e di andare a godere Iddio. Ma ora desiderano tanto di servirlo, di farlo da tutti servire e di affaticarsi anche per il profitto di un’anima, che non solo non sospirano più di morire, ma bramano di vivere a lungo, anche fra gravissimi travagli, pur di ottenere che Dio sia lodato un po’ di più. Non se ne curerebbero nemmeno se fossero sicure di andar subito a Dio appena uscite dal corpo, perché alla gloria dei santi non pensano, né per allora la desiderano. La loro gloria è nell’aiutare il loro Dio crocifisso, specialmente quando vedono fino a che punto sia Egli offeso e come pochi cerchino il suo onore, trascurando tutto il resto. 7 Vero è che talvolta, dimenticandosi di tutto questo, riprendono con i più teneri sospiri a desiderare di godere Iddio e di uscire da questo esilio, specialmente quando considerano il poco che sanno fare per Lui; ma ritornano presto al loro stato, e vedendo che infine lo hanno sempre con sé, se ne contentano e gli offrono l’accettazione della vita come un dono assai caro, il più costoso che gli possano offrire. Non hanno più paura della morte che di un soave rapimento. Castello Interiore settima mansione, cap. 3 Testi complementari 1. L’orazione, venuta di Cristo nell’anima Qual è dunque questa festa alla quale Nostro Signore ci dice di salire e il cui tempo è ad ogni istante? La festa più alta, la più vera,, la festa suprema è la festa della vita eterna , cioè l’eterna felicità dove noi saremo veramente di fronte a Dio. Questa non possiamo averla quaggiù, ma la festa che possiamo avere è un pregustamento di quella, un’esperienza della presenza di Dio nello spirito attraverso il godimento interiore che ce ne da un sentimento tutto intimo. Il tempo che è nostro, è quello di cercare Dio e di seguire il sentimento della sua presenza in tutte le nostre opere, la nostra vita, la nostra volontà e il nostro amore. Così no dobbiamo elevarci al di sopra di noi stessi e di tutto ciò che non è Dio, non volendo e non amando che lui e null’altro, in tutta purezza. Questo tempo è di tutti i momenti. … Dio è sempre là presente, e anche se noi non lo sentiamo, è tuttavia segretamente entrato per la festa. Là dove è Dio, è in verità giorno di festa; egli non può mancare , né astenersi di essere là, dove lo chiama un’intenzioneleale e dove non si crca che lui solo; egli deve necessariamente essere là. Forse egli può essere nascosto, ma c’è. Giovanni Taulero (1300-1361), Sermone XII 2. Sull’orazione di quiete; “orazione acquisita” e “orazione infusa” Non bisogna cercare Dio lontano da noi,… non bisogna cercarlo con sforzo, … attraverso la nostra azione,… né cercare di sentirlo, … non bisogna nemmeno cercarlo, ma occorre persuadersi che egli ci ha trovati. Così invece di occuparci o a cercarlo o a sentirlo o a fare sforzi e atti, … rassegnati tra le sue mani, abbandonati alla sua guida, … affinché egli operi in noi e per noi secondo il suo beneplacito, manteniamo il nostro spirito in questa persuasione e il nostro cuore in questa disposizione; e così rimaniamo costantemente in una profonda pace. Jean Rigoleuc (1595-1658), Giornale, in Opere spirituali, ed. hamon, Parigi, 1931 Io non parlo, qui, Teotimo, del raccoglimento col quale coloro che vogliono pregare si mettono in presenza di Dio, rientrando in se stessi, e ritirando, per così dire, la loro anima dentro il loro cuore per parlare a Dio; perché questo raccoglimento si fa con il comandamento dell’amore, che provocandoci all’orazione, ci fa prendere questo mezzo di farla bene; di modiche no stessi facciamo questo ritiro del nostro spirito: Ma il raccoglimento di cui intendo parlare non si fa per il comandamento dell’amore, ma per l’amore stesso, cioè noi non lo facciamo noi stessi per scelta, dato che non è in nostro potere averlo quando vogliamo e non dipende dalla nostra cura; ma Dio lo fa in noi quando gli piace per la sua santissima grazia. … accade dunque talvolta che nostro Signore spande impercettibilmente nel fondo del cuore una dolce soavità che testimonia l asua presenza, e allora le potenze, perfino quasi i sensi esteriori dell’anima, per un certo segreto consenso, si girano dal lato di questa intima parte dove è l’amabilissimo e carissimo sposo… Come quando si mette un pezzo di calamita in mezzo amolti aghi e si vedono tutte l epunte girarsi attratte dalla calamita, così quando nostro Signore fa sentire in mezzo alla nostra anima la sua deliziosa presenza, tutte le nostre facoltà girano le loro punte verso quella parte per congiungersi a quella incomparabile dolcezza. L’anima essendo così raccolta dentro se stessa in Dio o davanti a Dio, ri rende talvolta così soavemente attenta alla bontà del suo diletto, che le sembra che la sua attenzione non sia quasi attenzione, tanto ella è semplicemente e delicatamente esercitata come accade in certi fiumi che scorrono così dolcemente e costantemente che sembra a coloro che li guardano o navigano in essi, di non vedere e sentire alcun movimento perché nonli si vede ondeggiare né fluttuare. Questo amabile riposo dell’anima è quello che la beata Vergine Teresa di gesù chiama orazione di quiete, non molto diversa da quella che lei stessa chiama sonno delle potenze, se ho capito bene… San Francesco di Sales (1567-1622) Trattato dell’Amor di Dio, Libro VII, cap. 7-8 Buoni o cattivi, pagani o cristiani, Dio è in noi: O meglio noi siamo in lui; noi non possiamo agire se egli non agisse in noi e per noi; egli è in noi prima di tutti i nostri atti e da quando noi siamo. Egli è in noi non come un opuscolo religioso nel fondo di un armadio, ma come il principio vivo di tutta la vita. Egli non vi è come un’idea, in quanto, infusa o acquisita, l’idea di Dio non è Dio. Sia che pensiamo a lui, sia che pensiamo ad un altro oggetto, sia che il nostro spirito dorma, Dio è là. Ciò che lo fa entrare in noi non è questo o quell’atto di devozione; egli è in me senza che io lo ami, prima che io lo ami…, presente a tutto ciò che c’è di più me in me. Presenza oscura insensibile poiché ella precede tutti i nostri atti, anche incoscienti, presenza che non fa di me un essere morale, poiché essa non è stata meritata da alcuna preghiera, da alcuno sforzo. Egli è là che agisce. Egli vi intrattiene, vi forma, vi crea, vi sostiene questa inclinazione ad amarlo, questo bisogno di lui di cui san Francesco di Sales ha così ben parlato. Questa inclinazione costante, sostanziale, è tutto il nostro essere, orientato necessariamente verso Dio presente attraverso Dio presente: inclinazione che, lo ripeto, non dipende in alcun modo dalla volontà e che può non passare mai all’atto… I mistici non sono dei superuomini: La maggior parte di loro non ha estasi, né visioni… Noi siamo tutti mistici in potenza, lo diveniamo di fatto appena prendiamo una certa coscienza di dio in noi; appena in qualche modo sperimentiamo la sua presenza; appena questo contatto, peraltro permanente e necessario tra lui e noi, ci appare sensibile, prende il carattere di un incontro, di una stretta, di una presa di possesso. È possibile del resto e, ne sono quasi persuaso, che nella più debole preghiera, di più, nella minima emozione estetica, si abbozzi una esperienza dello stesso ordine e già mistica, ma impercettibile ed evanescente Henri Brémond (1865-1933), Attorno all’Umanesimo, pp.248-249 3 I segni di un’autentica contemplazione Il primo segno è che ella si accorge di non poter più meditare e discorrere con l’immaginazione, né provar gusto in quest’esercizio, come per il passato; anzi, ora ella trova aridità in ciò su cui aveva l’abitudine di fissare il senso e da cui era solita ricavare gusto.. Essa però non dovrà abbandonare la meditazione, finchè potrà ritrarne frutto e discorrere, a meno che non si stabilisca nella pace e nella quiete delle quali si parlerà al terzo segno. Il secondo si ha quando l’anima si accorge di non avere alcun desiderio di applicare l’immaginazione e il senso a nessun altro oggetto particolare, esteriore o interiore. Con ciò non voglio dire che la fantasia non si sbizzarrisca a suo piacere, perché anche nel più grande raccoglimento essa non cessa di essere libera, ma che l’anima non gode di applicarla di proposito ad altre cose. Il terzo, e più certo, è se l’anima trova soddisfazione a starsene sola con attenzione amorosa in Dio, senza considerazione particolare, e in pace interiore, quiete e riposo, senza atto né esercizio delle sue potenze – intelletto, memoria e volontà – per lo meno senza quello discorsivo, ch consiste nel passare da una cosa ad un’altra; gode invece di rimanere nell’attenzione e conoscenza generale amorosa, di cui ho parlato, facendo a meno di ogni conoscenza particolare e rinunciando a comprendere l’oggetto. San Giovanni della Croce (1542-1591), Salita del Monte Carmelo, II, 13 4. L’equilibrio di una vita invasa da Dio Lì non si trova più alcuna inquietudine, non più sforzi, né desideri, ma una pace profonda, che per esperienza è inalterabile; non si diventa impeccabile, perché sarebbe un’illusione presumerlo, ma si gode della libertà dei figli di Dio con una dolcezza e tranquillità ineffabili. Gli imbarazzi delle occupazioni, le persecuzioni degli uomini, le vessazioni dei demoni, le distrazioni delle creature, le croci, le pene, le malattie, qualsiasi cosa non potrebbe turbare né inquietare questo fondo che è la dimora di Dio, e credo che solo il peccato e l’imperfezione volontaria possano farlo. Beata Maria dell’Incarnazione (1599-1672), in don Claudio Martin, La Vita della Venerabile…, 1677, pp.696s . L’uomo che da questa altezza, è inviato da Dio nel mondo, è pieno di verità e ricco di tutte le virtù; egli non cerca il suo bene ma l’onore di colui che l’ha inviato. Perché egli agisce secondo diritto e verità in tutte le cose; e il suo fondo è ricco e generoso, stabilito sulla ricchezza di Dio. Per questo egli non può non espandersi in tutti coloro che hanno bisogno di lui, perché la sorgente viva dello Spirito santo, è la sua ricchezza, e non la si può fermare. Egli è uno strumento di dio vivo e disponibile, col quale Dio opera ciò che vuole e come vuole e non si attribuisce ciò, ma ne dà a Dio l’onore. Egli resta disponibile e pronto a fare tutto ciò che Dio comanda e forte e valido per patire e sopportare tutto ciò che Dio stabilisce su di lui. Conduce un avita comune perché è egualmente pronto a contemplare e ad agire, in quanto è perfetto in ambedue. Ruusbroec L’Ammirabile (1293-1381), La Pietra Brillante, conclusione 5. La prudenza di san Bernardo Se lo Sposo [= il Figlio] era nel padre, senza che il padre fosse in lui, o se il padre era in lui, senza che lui fosse nel padre, oso dire che la loro unità non sarebbe perfetta, o piuttosto che non vi fosse proprio. Ma poiché egli è nel Padre e il padre è in Lui, non c’è nulla di difettoso nella loro unità, il Padre e Lui sono veramente e perfettamente una stessa cosa. Così l’anima che trova il suo più grande bene nell’attaccarsi a Dio,, non creda di essere unita a Lui se non quando sentirà che luii dimora in lei e lei in Lui. È allora lo stesso, ella è un asola cosa con Dio alla stessa maniera del Padre e del Figlio, anche se, secondo l’Apostolo, chi aderisce a Dio non fa uno stesso spirito con lui (I Cor. VI, 17).Se ho letto ciò in qualche parte, non ho visto ciò in alcun luogo e non solo io che sono solo un niente, io non oserei parlare così, ma non c’è nessuno sulla terra, né nel cielo, a meno che non sia pazzo, che osi usurpare questa parola del Figlio unico di Dio: «Il Padre e io non siamo che una sola cosa (Gv. 10, 30)» …Questa differenza di unità è sottolineata dalle parole “uno e una sola cosa” (unus et unum) Perché il primo non può convenire al padre e al Figlio, né il secondo a Dio e all’uomo… Il termine “un asola cosa” importa una unità di sostanza e di natura e il termine “uno” significa anche l’unità, ma una unità che è ben diversa tra l’essenza di Dio e quella dell’uomo, invece l’essenza del Padre e del Figlio è solo una… Come l’unità [nel senso di unità del padre e del Figlio] si troverebbe laddove c’è pluralità di natura e differenza di sostanza? San Bernardo (1090-1153), Sermone 71 sul Cantico dei Cantici Modellato così a somiglianza del Modellante, l’uomo si unisce a Dio cioè fa con Dio un solo spirito, bello nella Bellezza, buono nella Bontà; questo risultato è proporzionato alla sua propria misura, data dalla forza della fede, dalla luce della sua intelligenza e dalla capacità del suo amore; egli è allora in Dio, per grazia, ciò che Dio è per natura. Guglielmo di Saint-Thierry (1085-1148), sul Cantico § 94