Nella Germania del primo Novecento, moderna e industrializzata, l’emancipazione femminile cominciava a essere un fenomeno significativo. Non a caso, mentre in Francia
il suffragio femminile era negato, e in Inghilterra drasticamente limitato, la costituzione democratica della Repubblica di Weimar concesse il voto alle donne senza alcuna riserva. Inoltre, a Berlino e in altre grandi città, pur essendo considerata reato da
una legge prussiana del 1871, l’omosessualità era praticata senza timori e aveva dato
vita a una vivace sottocultura di locali notturni e di cabaret.
Il nazismo si oppose fin dall’inizio al femminismo, che Hitler bollò come un’assurda
e pericolosa innovazione marxista. In un primo tempo, invece, il movimento ebbe un
atteggiamento molto più fluido e ambiguo nei confronti dell’omosessualità. Il nazismo era figlio della guerra e celebrava la comunità eletta di coloro che avevano vissuto insieme l’eccezionale esperienza della trincea; le donne erano a priori escluse da quel
mondo maschile, che si considerava superiore, perché formato da uomini che avevano attraversato le tempeste d’acciaio del conflitto mondiale. Inoltre, col passar del tempo, la propaganda nazista fece ricorso a un uso sempre più frequente del nudo maschile,
considerato come il veicolo privilegiato per trasmettere l’idea della superiorità della razza ariana su tutte le altre. In
questo contesto, non meraviglia
che potesse diffondersi tra le
file naziste – soprattutto tra le
SA di Röhm – un tipo particolare di omosessualità, che disprezzava la donna e ogni soggetto effeminato, ma comunque celebrava l’amicizia virile e la comunità di soli uomini
come le uniche esperienze
affettive veramente degne
del combattente e dell’eroe
tedesco.
Prima del 1930, il numero
delle donne iscritte al partito
di Hitler era assai ridotto:
appena 7625 (pari al 6%).
Di queste, 33 parteciparono al premio Perché sono
entrato nel Partito nazionalsocialista prima del
1933 bandito nel 1936
dal sociologo Theodore
Abel, desideroso di conoscere le ragioni che aveF.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
Il nudo maschile
APPROFONDIMENTO E
Uomini e donne nel movimento nazista
UNITÀ 6
IL SECOLO
DELLE DONNE
1
Manifesto tedesco
del 1936 per
pubblicizzare i voli della
Compagnia di bandiera
del Reich in occasione
delle Olimpiadi
di Berlino. La scelta
del nudo maschile
era ricorrente nella
produzione artistica
della Germania nazista.
Nazismo e identità di genere
Nazismo e identità
di genere
UNITÀ 6
APPROFONDIMENTO E
vano spinto i militanti della prima ora ad avvicinarsi alla NSDAP. Tali donne avevano
un’età compresa tra i 17 e i 33 anni, al tempo della loro conversione, ed erano quasi
tutte di estrazione borghese. Come molti dei loro colleghi di partito maschi, esse
misero l’accento sui terribili anni di guerra, ricordarono il trauma della disfatta
(che attribuivano agli ebrei) e presentarono Hitler come un vero redentore. Come scrisse una di loro, «Adolf Hitler illuminò anche noi come una
rivelazione: lui soltanto è il salvatore della Germania, e così salva l’Europa tutta!»
Alle elezioni del 1930-1932, furono circa due milioni i voti femminili indirizzati al partito di Hitler. Dopo il 1945,
grazie alla cosiddetta storia orale, alcune ricercatrici hanno cercato di entrare nell’universo mentale di queste donne tedesche,
per capire le ragioni della loro scelta elettorale. In molti casi, i fatti ricordati erano
la sconfitta del 1918 («Eravamo un Volk
condannato alla distruzione»), l’inflazione
del 1923 e la crisi economica degli anni
1929-1930 («Niente soldi, niente lavoro,
niente pane»). Molte fra le donne intervistate aderirono con entusiasmo al nuovo
regime, e ricordarono con nostalgia la prosperità degli anni Trenta. Per le donne tedesche che votarono e sostennero Hitler, in
sintesi, probabilmente risultò decisivo lo
stesso desiderio di ordine, di stabilità e di
normalità che caratterizzò milioni di maschi disoccupati o comunque delusi dal
funzionamento del regime parlamentare.
POTENZE IN CRISI: GERMANIA E STATI UNITI TRA LE DUE GUERRE
2
Operaie tedesche salutano la bandiera nazista prima
di iniziare il lavoro. L’adesione delle donne al
movimento di Hitler prima del 1933 non era molto
significativa.
Donne, casa e famiglia
35 milioni di donne
tedesche
Mogli e madri
Negli anni Trenta, la popolazione femminile tedesca ammontava a 35 milioni di individui. Molte di queste donne erano istruite e ben inserite nel mondo del lavoro; in Germania come nel resto d’Europa, inoltre, il numero delle nascite era in declino. Preoccupato della situazione demografica, non appena giunse al potere Hitler prese subito alcuni provvedimenti che andavano nella direzione di riportare le donne al loro ruolo tradizionale di mogli e di madri.
Si pensi, innanzi tutto, ai cosiddetti prestiti matrimoniali, che nel giugno 1933 vennero
concessi senza interessi, fino a 1000 marchi d’importo, alle giovani coppie di sposi, a condizione che la donna non lavorasse oppure rinunciasse alla propria eventuale occupazione. Si trattava, certo, di una misura d’emergenza, dettata dal desiderio di riassorbire almeno una parte dei milioni di disoccupati che la grande crisi del 1930-1932 aveva gettato sul lastrico. Il presupposto, però, era che la donna, sul luogo di lavoro, fosse un’intrusa, l’usurpatrice di un posto e di un’occupazione che invece, di diritto, spettavano al
maschio, perché in ultima analisi il vero ambito femminile era la casa. Nello stesso spirito, e con lo stesso obiettivo (scoraggiare il lavoro femminile), il 28 dicembre 1933 ven-
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
Se il nazionalsocialismo ha dato alla donna una posizione diversa da quella dei partiti liberali e in particolare marxisti, la ragione risiede in una diversa valutazione delle donne. Noi
vediamo nella donna la madre eterna del nostro popolo e la compagna di vita, di lavoro e
anche di lotta dell’uomo. Muovendo da questi due punti di vista risulta l’atteggiamento particolare che assume di fronte alla donna il nazionalsocialismo.
La cosiddetta parificazione di diritti della donna, che richiede il marxismo, non è in realtà
una parificazione ma una privazione di diritti della donna, perché trascina la donna su un terreno nel quale essa è destinata inevitabilmente a soccombere, perché porta la donna in situazioni che non consolidano ma indeboliscono la sua posizione, così di fronte all’uomo
come di fronte alla società. [...]
Mi vergognerei di essere un uomo tedesco se in caso di guerra dovesse andare al fronte
anche una donna soltanto. Anche la donna ha il suo campo di battaglia. Essa combatte la
sua battaglia per la nazione con ogni figlio che mette al mondo per la nazione. L’uomo si adopera per il popolo come la donna per la famiglia. La parità di diritti della donna risiede nel fatto
che essa riceva nei campi vitali destinatile dalla natura l’apprezzamento che le è dovuto. [...]
Ai nostri avversari, che dicono: «Voi volete degradare la donna, non attribuendole altro
compito che quello di fare figli,» egli [Hitler, n.d.r.] risponde che non sussiste alcuna degradazione della donna nel diventare madre, ma al contrario si tratta del massimo grado della
sua elevazione. Non vi è più elevata nobiltà per la donna che quella di essere madre dei figli e delle figlie di un popolo. Tutta la gioventù che oggi vediamo così forte e bella nelle piazze,
questi volti raggianti e questi occhi brillanti – dove mai sarebbe se non si continuasse a trovare una donna che abbia dato loro la vita? L’inestinguibilità suprema qui sulla terra consiste nella conservazione del popolo e della razza.
E. COLLOTTI, Nazismo e società tedesca (1933-1945), Loescher, Torino 1982, pp. 162-163
Qual è, per Hitler, il «campo di battaglia» delle donne?
In che cosa consiste, per Hitler, la «parità di diritti della donna»?
ne introdotto il numero chiuso per le ragazze nelle università, che poterono accettare iscrizioni femminili solo a patto che esse non superassero il 10% del totale.
Nel 1938, fu istituita una speciale decorazione (la Croce della madre, in oro, argento
e bronzo, a seconda dei figli generati) per le madri più prolifiche. Non si trattava di
un’invenzione nazista, ma dell’imitazione di un’usanza francese. Su questo terreno, dunque, c’è un’innegabile convergenza sia con il fascismo italiano sia con altre impostazioni conservatrici, come quella cattolica. La centralità dell’elemento razzista, però, spinse ben presto il nazismo ad assumere vari atteggiamenti tipici e peculiari, molto diversi
rispetto alla mentalità tradizionalista classica. Dopo l’approvazione delle leggi di Norimberga, ad esempio, anche se i matrimoni misti celebrati prima del settembre 1935
non furono sciolti d’ufficio, fu esercitato ogni tipo di pressione per spingere a divorziare quanti avevano contratto quelle unioni razzialmente impure. Se un marito o una
moglie ariani avessero voluto rompere l’unione con il rispettivo coniuge, le procedure sarebbero state velocissime e gratuite, senza alcun obbligo serio nei confronti del soggetto ebreo abbandonato. Inoltre, a partire dal 1938, il diritto nazista permise ai co- Distanza dall’etica
niugi che non riuscissero a generare figli di sciogliere il matrimonio e di contrarne uno cattolica
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
APPROFONDIMENTO E
Rovesciando l’impostazione progressista (cioè liberale e socialista) Hitler non ebbe mai dubbi nel
sostenere una rigida separazione dei ruoli di genere. Certo, i toni sono apparentemente lusinghieri, sembrano quelli di un ammiratore delle donne e non hanno nulla di scopertamente misogino; tuttavia, emerge con altrettanta chiarezza che l’unico compito sociale attribuito dal nazismo alle donne è quello di
essere brave mogli e brave madri.
Il testo seguente è tratto dal resoconto del discorso tenuto da Hitler a Norimberga, nel 1935, al congresso del partito nazista.
UNITÀ 6
DOCUMENTI
3
Nazismo e identità di genere
La concezione nazista della donna
APPROFONDIMENTO E
nuovo con un altro partner, nella speranza che il nuovo legame risultasse fecondo. Già
su questo punto è possibile notare una netta differenza rispetto al fascismo, che accettò
di allearsi alla Chiesa, accolse il principio cattolico dell’indissolubilità del matrimonio e, quindi, rinunciò a legiferare in tema di divorzio. Analogamente, per quanto concerne l’aborto, va segnalato che il regime nazista lo punì severamente solo quando a
interrompere la gravidanza era una tedesca ariana, razzialmente pura, capace di generare alla nazione figli sani e forti. Anzi, per evitare che i pregiudizi borghesi delle famiglie e della società spingessero le ragazze madri ariane a interrompere una gravidanza
considerata sana, Himmler nel 1938 assunse il controllo e la direzione del progetto chiamato Fonte della vita (Lebensborn): una rete di cliniche finalizzate ad assicurare assistenza medica e possibilità di parto in assoluta sicurezza e anonimato a donne razzialmente
idonee. Alla vigilia della guerra, funzionavano sei cliniche, per un totale di 263 letti
per le donne e 487 per i bambini.
UNITÀ 6
Politica razziale e repressione
POTENZE IN CRISI: GERMANIA E STATI UNITI TRA LE DUE GUERRE
4
Manifesto tedesco che
raffigura una madre
mentre allatta un
neonato. Ogni nazista
aveva l’obbligo
di scegliere
accuratamente la
propria sposa, che
doveva essere sana e
“ariana”, perché potesse
avere figli forti e sapesse
educarli secondo
i dettami del regime.
L’aborto veniva incentivato dalle autorità in tutti quei casi in cui la donna gravida era considerata un’anormale, cioè una ritardata mentale o una handicappata che inevitabilmente
– secondo la scienza nazista – avrebbe trasmesso i propri difetti alla prole. Pertanto, mentre nella retorica fascista l’istinto materno è sempre lodato e celebrato come il più nobile
dei sentimenti, in Germania fu anche oggetto di una serie di critiche, nella misura in cui
non tutte le vite generate, per i nazisti, erano degne di esistenza. «A proposito del fatto
che “la donna, per le sue caratteristiche fisiche e mentali ”, – scrive Gisela Bock citando
e commentando un opuscolo nazista – mostrasse “una particolare inclinazione verso tutti
gli esseri viventi”, si disse che non poteva esistere “peccato maggiore contro la natura”. I
libri scolastici per le ragazze dedicavano soltanto tre pagine all’esaltazione della maternità
tedesca, ma ben dodici alla possibile necessità di sterilizzare “il proprio amato figlio”,
nonché alla proibizione di sposare ebrei, zingari e altre persone di costituzione ereditaria
“inferiore”».
Un gruppo di donne partecipa a un corso di cucito
organizzato da un’associazione femminile nazista. Il
matrimonio, i lavori domestici e l’allevamento dei
figli erano i compiti principali delle donne in
Germania durante il regime di Hitler.
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
Mi è stata notificata per iscritto la decisione del 15 maggio 1934 del Tribunale per la salute della stirpe di Offenburg di rendermi sterile. Respingo e mi oppongo a tale decisione per
le seguenti ragioni. Per molto tempo ho sofferto di sovraeccitazione nervosa tanto da essere costretta a sottopormi a cure mediche nell’ospedale psichiatrico di Friburgo. Fui però
dimessa dopo breve tempo, in seguito a miglioramento delle mie condizioni. Ripresi subito
il lavoro nella fabbrica di sigari e da allora ho lavorato senza interruzioni fino a oggi. Sono
tra i lavoratori a più alto salario e i miei datori di lavoro si sono sempre mostrati soddisfatti
delle mie prestazioni. Chiedo che venga sentito il caporeparto X [il nome vero è stato cancellato dallo storico, per motivi di riservatezza, n.d.r.] in relazione alla mia attività in fabbrica.
Sarebbe opportuno anche chiedergli se può dire qualcosa sul mio stato mentale. Ho i nervi
perfettamente a posto e sono normale come qualsiasi altra persona sana. Anche se avrei
tuttora diritto a riscuotere una pensione di invalidità dall’ufficio assicurazioni provinciale del
Baden, vi ho spontaneamente rinunciato essendo perfettamente in grado di lavorare. Non
capisco perché mi si voglia sterilizzare, dato che non ho fatto nulla di male in campo morale o sessuale. Chiunque può soffrire di malattie mentali, che a mio parere sono malattie
Quale atteggiamento
come le altre, e poi guarire. Sarebbe diverso se mi fossi lasciata andare a eccessi sessuali,
teneva, verso
cercando di avere rapporti con uomini, o se volessi sposarmi a tutti i costi. Allora le cose
il regime nazista,
sarebbero diverse, ma sono molto riservata e gli uomini non mi interessano. Non c’è bisola donna che ha
gno che mi si renda sterile, nel mio caso non è necessario. Non ho mai dato adito e mai lo
steso questa
darò a rapporti sessuali per cui possa restare incinta, procreando una progenie sospetta di
lettera?
malattie ereditarie. Ogni persona è diversa dalle altre, ognuna costituisce un caso a sé.
Perché la donna non
Chiedo quindi al Tribunale per la salute della stirpe di abrogare la decisione di sterilizzarmi.
contesta in sé e per
Chiedo anche di essere sottoposta a nuovo esame del mio stato mentale.
sé la legge che
M. BURLEIGH, W. WIPPERMANN, Lo stato razziale. Germania 1933-1945, Rizzoli, Milano 1992,
impone la
pp. 214-215, trad. it. O. FENGHI
sterilizzazione?
Tra il 1933 e il 1945, circa 400 000 persone (equamente divise: 200 000 maschi e
200 000 femmine) furono sterilizzate perché ritenute affette da disturbi ereditari che potevano essere trasmessi alla prole. Molte donne protestarono per questa violenza sul loro
corpo, ma la prassi della sterilizzazione forzata – finalizzata a prevenire la riproduzione
di individui razzialmente inferiori – restò una delle caratteristiche fondamentali del regime
nazionalsocialista, fino al momento della sua caduta.
Sul versante opposto, per tenere pura l’aristocrazia della razza ariana, fin dal 31 dicembre 1931 il comandante in capo delle SS Heinrich Himmler aveva emanato l’Ordinanza
su fidanzamento e matrimonio, che fissava precise norme e disposizioni per tutti i membri del Corpo che volessero sposarsi. Per ottenere il consenso del comando supremo, un
membro delle SS non poteva scegliere una qualsiasi donna tedesca. Prima delle nozze, la
fidanzata del soldato avrebbe dovuto sottoporsi a un lungo processo di analisi del proprio
albero genealogico: un’operazione complessa, che a volte poteva concludersi con qualche
sgradita sorpresa capace di gettare discredito sulla donna e sulla sua famiglia. Ma l’indagine poteva pure risultare alquanto gratificante: nel caso in cui si potesse dimostrare che,
per più di un secolo, la donna aveva solo antenati ariani, essa poteva andar fiera delle
proprie origini e, tramite il matrimonio, entrava essa stessa a far parte delle SS, intese come
comunità di stirpe.
Dopo la notte dei lunghi coltelli e la liquidazione politica delle SA, nel 1935 iniziò la repressione dell’omosessualità. A chi la praticava fu mossa la tradizionale accusa di essere un irriducibile individualista, che rifiutava di sottomettere il proprio io alle superiori esigenze della comunità popolare. La vecchia normativa del 1871 fu recuperata e interF.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
Riferimento
storiografico
1
pag. 8
Riferimento
storiografico
pag. 10
2
APPROFONDIMENTO E
Presentiamo il testo di un ricorso presentato alla Corte d’Appello da una cittadina tedesca. Pur essendo di razza ariana, era stata affetta in passato da turbe nervose. Per questo motivo, nel 1934, un organo apposito, il Tribunale per la salute della stirpe, aveva deciso che doveva essere sterilizzata.
UNITÀ 6
DOCUMENTI
5
Nazismo e identità di genere
La protesta di una donna tedesca
condannata alla sterilizzazione
APPROFONDIMENTO E
UNITÀ 6
POTENZE IN CRISI: GERMANIA E STATI UNITI TRA LE DUE GUERRE
6
15000 omosessuali
in lager
pretata in senso restrittivo. Così, negli anni 1936 e 1937, furono internati, rispettivamente,
4000 e 8000 soggetti. Tra il 1937 e il 1939, vennero comminate circa 50 000 condanne. L’internamento in lager veniva ordinato per soggetti che avevano già scontato una pena,
ma che comunque erano considerati un pericolo per la società. Il numero globale di omosessuali internati potrebbe aggirarsi intorno ai 15 000 individui. Dato che, all’interno dei
campi, la condizione degli omosessuali era particolarmente dura, molti di loro persero la
vita a causa di violenze umilianti e gratuite. Il numero esatto dei morti, tuttavia, resta sconosciuto. Va poi precisato che, a differenza degli ebrei, in linea di massima gli omosessuali non furono ricercati e catturati, durante la guerra, nei territori occupati dall’esercito tedesco. La loro vicenda, quindi, non va tanto paragonata al genocidio degli ebrei o
allo sterminio degli zingari, bensì alla tragica esperienza vissuta in lager dai testimoni di
Geova e dagli oppositori politici tedeschi.
Tra questi, naturalmente, vi furono anche numerose donne, che in linea di massima furono internate nel campo femminile di Ravensbrück, a circa 80 chilometri da Berlino. Costruito all’inizio del 1939 da un Kommando di circa 500 detenuti provenienti
da Sachsenhausen, il lager vide l’arrivo delle prime 867 deportate il 13 maggio: erano
tutte tedesche, a eccezione di sette austriache, imprigionate per motivi politici. Arrivarono
poi, col passar del tempo, numerose testimoni di Geova, e poi donne ceche, polacche,
zingare, russe, ebree (soprattutto dall’Ungheria) e italiane. Intorno al 1941, il campo
ospitava almeno 10 000 internate; nel 1943, si arrivò a 18 000, che lavoravano in diverse fabbriche, prima fra tutte lo stabilimento della Siemens, impiantato alla periferia del campo nel 1942.
La repressione del dissenso giovanile
Riferimento
storiografico
Oltre all’omosessualità e all’opposizione pienamente consapevole, il regime nazista perseguitò con estrema severità numerosi altri atteggiamenti che, pur essendo privi di pre3
cise finalità politiche, spingevano gli individui ad allontanarsi sia dal modello comporpag. 11
tamentale che si ispirava alla rispettabilità borghese sia, a maggior ragione, dal modo di
agire presentato come tipicamente ariano. Verso la fine degli anni Trenta, il bersaglio privilegiato della repressione furono i giovani, che in varie regioni della Germania tendevano ad assumere atteggiamenti trasgressivi, inaccettabili per il partito e per le autorità. La prima di tali proteste giovanili spontanee, non legate, cioè, ad alcuna istituzione particolare (chiese, partiti di opposizione o altro) si manifestò nella regione del Reno,
dove sorsero diverse bande che ricevettero il nome collettivo di Pirati dell’Edelweiss (stella alpina). I giovani che aderivano a questi
gruppi erano per lo più di estrazione opeLA SFIDA DEGLI SWINGKIDS ALL’IDEOLOGIA NAZISTA
raia. Rifiutavano, soprattutto, la rigida disciplina paramilitare impartita dalle orgaComportamento
Comportamento
nizzazioni del regime, mostravano aperto e
dei giovani hitleriani
degli Swingkids
pubblico disprezzo per i valori nazisti e spesso affrontavano in vere e proprie risse i membri della Gioventù hitleriana (Hitlerjugend ),
Odiano gli ebrei, disprezzano
Ammirano la musica jazz,
l’organizzazione
del partito a cui dovevano
i neri, amano la musica
anche se sanno che è di
obbligatoriamente iscriversi tutti i ragazzi
tedesca (ad esempio
matrice nera ed è suonata
quella di Richard Wagner)
da musicisti ebrei
tedeschi di età compresa tra i 10 e i 18 anni.
Mantengono il corpo sano
e lo mettono al servizio
della nazione
Fumano, bevono, non
rispettano la morale
sessuale tradizionale
Assumono il modello virile
classico e sono in grado di
controllare i propri impulsi e
dominare le
proprie passioni
Ballano in modo selvaggio
(da «negri») e assumono un
aspetto esteriore assai
distante da quello virile
tradizionale
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
Amburgo e altre grandi città videro invece
la nascita di un movimento di protesta giovanile tipico dei ragazzi di estrazione borghese. Questi giovani si diedero il nome di
Swingkids (giovani swing) per il fatto che si
riunivano in alcuni locali ad ascoltare musica jazz e a ballare (lo swing, appunto) in una
maniera che le relazioni di polizia del tem-
APPROFONDIMENTO E
UNITÀ 6
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
Un locale a Berlino negli
anni Trenta dove alcune
giovani coppie ballano
al ritmo della musica
jazz.
Balli ritenuti
immorali
7
Nazismo e identità di genere
po definiscono «selvaggia» e «indecente». Con il loro modo di fare, gli Swingkids osarono
mettere in discussione alcuni dei più importanti concetti tipici dell’ideologia nazista. Secondo Hitler, infatti, gli ariani si distinguevano dalle altre razze (e soprattutto dai neri) per
il loro autocontrollo, per la loro capacità di dominare i propri sentimenti e le proprie
passioni. Questa convinzione hitleriana era la diretta conseguenza dell’assunzione dello
stereotipo estetico neoclassico; l’ariano ideale, insomma, coincideva con l’essere umano raffigurato dai grandi scultori greci, perfetto nel corpo perché perfetto nello spirito e caratterizzato dal più assoluto dominio delle emozioni.
Il modo di danzare dei giovani swing era indegno di un ariano: era tipicamente «negro»,
cioè smodato, privo di eleganza, di armonia, di equilibrio. Inoltre, poiché il ballo provocava
sia il contatto fisico tra i giovani sia lo svolazzare delle gonne femminili, la loro danza era
considerata immorale, accusata di accendere gli istinti sessuali. All’opposto, secondo la morale tradizionale (nazista, borghese e cristiana) la sessualità andava praticata solo nell’ambito
del matrimonio, al fine di procreare. Persino il loro aspetto fisico era una sfida all’ideologia ufficiale: invece di essere rasati secondo modalità militari, essi si lasciavano crescere i capelli, cercando volutamente di superare la rigida differenziazione dei ruoli sessuali
che occupava un posto centrale nella mentalità nazista. Quanto al corpo, invece di ricercarne
la purezza e la perfezione, gli Swingkids se ne disinteressavano completamente, facendo
ampio ricorso al fumo e all’alcol, che Hitler detestava e considerava dei vizi da estirpare.
Di fronte a una simile sfida, la risposta nazista fu severissima. L’importazione dei dischi
americani fu vietata, i locali che suonavano lo swing furono chiusi, mentre due circolari
del 21 dicembre 1943 e del 28 aprile 1944 istituirono i campi di custodia per la gioventù: per le ragazze venne aperto un centro apposito nei pressi del lager femminile di
Ravensbrück; i maschi, invece, furono inviati a Moringen (presso Göttingen). Quelli giudicati irrecuperabili furono sterilizzati e poi inviati ad altri lager, dopo il compimento del
diciottesimo anno d’età.
APPROFONDIMENTO E
UNITÀ 6
Gli Swingkids di Amburgo
in un rapporto di polizia del febbraio 1940
DOCUMENTI
I rapporti di polizia che descrivono gli Swingkids esprimono a un tempo stupore e disprezzo profondo. Ai funzionari di polizia pare incredibile che ragazzi cresciuti nell’atmosfera del Terzo Reich abbiano assorbito e interiorizzato in profondità una mentalità e uno stile di vita completamente diverso da
quello che era stato insegnato loro.
È stata eseguita soltanto musica inglese e americana. Si ballava e ci si agitava solo ai
ritmi dello swing. All’ingresso della sala c’era un cartello sul quale la scritta «Lo swing è proibito!» era stata trasformata nell’altra «Volete lo swing?». I presenti accompagnavano le danze
e i pezzi musicali cantando tutti insieme i testi in inglese; inoltre nel corso dell’intera serata
tutti cercavano di parlare quasi solo in inglese, ad alcuni tavoli si cercava di parlare addiritQuali segnali
tura in francese.
mettono in evidenza
La vista dei giovani che danzavano era orribile. Nessuna coppia ballava in modo normale,
che i giovani
era tutto un dimenarsi in maniera disgustosa. Coppie di giovani ballavano con una ragazza,
Swingkids
erano,
oppure più coppie formavano un cerchio e, tenendosi stretti, saltellavano girando intorno,
per la maggior
battendo le mani; si dimenavano schiena contro schiena, poi si piegavano in avanti, col buparte, di estrazione
sto abbandonato penzoloni, i lunghi capelli scarmigliati sul viso e fin sulle ginocchia, contiborghese?
nuando ad agitarsi e a ciondolare sulle gambe. Quando l’orchestra ha attaccato una
Individua
nel testo
rumba, i giovani si sono messi a ballare come invasati. Era tutto un saltare selvaggiamente
le
espressioni
che
da una parte e dall’altra, tutti cantavano come potevano il ritornello in inglese. L’orchestra
denotato il
suonava musiche sempre più selvagge. Nessuno degli orchestrali stava più seduto, tutti si
disprezzo del
dimenavano selvaggiamente sul podio. Si vedevano giovanotti ballare insieme, spesso con
funzionario di
due sigarette in bocca, una a ciascun angolo.
polizia verso
D. PEUKERT, Storia sociale del Terzo Reich, Sansoni, Firenze 1989, p. 167, trad. it. F. BASSANI
i giovani Swingkids.
POTENZE IN CRISI: GERMANIA E STATI UNITI TRA LE DUE GUERRE
8
Riferimenti storiografici
1 SS: una
comunità di uomini e donne
Le procedure per potersi sposare erano, nel caso di un milite delle ss, estremamente complesse,
in quanto l’albero genealogico della fidanzata era minuziosamente esaminato dagli esperti del Comando
supremo. L’obiettivo di Himmler era di creare un’aristocrazia razziale, superiore al resto del popolo tedesco e degna di comandarlo.
Per mettere in risalto il carattere elitario delle SS e per circondare con il velo del segreto
la vita interna dell’Ordine e della Comunità di stirpe, era rigorosamente vietato rendere oggetto di pubblico interesse le cerimonie delle SS, tra cui anche le consacrazioni matrimoniali.
Malgrado questo divieto, resoconti di matrimoni di appartenenti alle SS furono spesso pubblicati. Nel Pfaffenhofener Volksblatt del luglio 1936, la cerimonia nuziale del capitano Kaspar Schwarzhuber con la signorina Maria Margarete Fleissner venne così raccontata. [...]
«Il borgomastro Otto Bauer ha officiato la cerimonia civile; qui di seguito riportiamo le sue
parole profondamente radicate nello spirito di uno schietto cameratismo: “Mia diletta coppia di sposi! Voi comparite oggi innanzi a me, borgomastro e ufficiale civile della città di Pfaffenhofen, con l’intenzione di contrarre il vincolo del matrimonio. Il matrimonio è riconosciuto
dalla collettività nazionale. L’amore, la fedeltà e il rispetto reciproci sono i pilastri di questa
comunità di vita. Solo la legge e la morte possono separare questo vincolo. [...] Il vostro sangue, puro e genuino da millenni, sano e resistente, si annunzia in questa ora a una nuova
vita. E qui rivivranno i progenitori, i più vicini che sono ancora qui con noi con gioia orgogliosa, i lontani che non conosciamo più di nome e di aspetto. Tutti però sono di sangue
tedesco – negli occhi e nella fronte tutti portano lo splendore glorioso della loro razza – della
nostra schiatta. Tutti sono qui tra noi in spirito e ci chiedono: “Da dove venite? Dove siete?
Dove andate?” Con fede vittoriosa noi nazionalsocialisti rispondiamo: “Veniamo dal popolo
– Siamo nel nostro popolo – E ritorniamo alla casa del nostro popolo”».
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
Un ufficiale delle SS
e la sua giovane sposa
immortalati nel giorno
del loro matrimonio.
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
APPROFONDIMENTO E
UNITÀ 6
9
Nazismo e identità di genere
Secondo un principio essenziale delle SS, chi non era espressamente incluso restava
fuori. Con la sua adesione alla procedura per il fidanzamento e il matrimonio, lunga e irta di
difficoltà, la futura moglie dimostrava di accettare l’ideologia e la prassi razzista dell’Ordine
delle SS. [...] La rappresentazione di quello che le mogli di SS dovevano fare nell’Ordine della
stirpe e di quale posto vi dovevano assumere, non era altro che una nuova messa in scena
del ruolo tradizionale. Esse dovevano restare subordinate «al patriarcato dell’uomo, come
custode dell’onore della stirpe e del sangue». La relazione era contraddistinta dalla polarità
dei sessi: «Padre e madre sono i portatori del progetto familiare [...]. In ciò all’uomo spetta
per natura l’orientamento spirituale della famiglia; è lui che la fonda, la guida, lotta per lei e
la difende. La donna invece fornisce alla famiglia l’anima, l’atteggiamento interiore; in silenzioso e quasi invisibile adempimento del dovere, conserva ciò che l’uomo ha creato e nell’unione familiare produce il momento del riposo». Le donne dovevano ricevere i figli, possibilmente molti. Come “madri di eroi” dovevano allevare la progenie per l’eroica lotta,
rafforzare mariti e figli nel loro entusiasmo per la guerra, con orgoglio e consapevolezza della
missione mandarli a combattere, curare i combattenti/guerrieri feriti e considerare la morte
eroica dei loro mariti e figli come un dono per la patria. Disponibilità alla maternità e al sacrificio per il popolo e la patria erano gli attributi che furono imposti alle donne come “dovere supremo” e da cui però anche le donne stesse ricavavano il loro valore. Questi permisero loro di sentirsi parte del «movimento di rinnovamento razziale», poiché l’immagine della
donna SS «esigeva fin dal principio ed esplicitamente l’operoso formarsi dell’identità razzista dei membri femminili e quindi la loro disponibilità a aderire alla dottrina della superiorità
della propria “razza” e ad associarsi ad essa [...]. In senso passivo le donne dovevano sottomettersi alla gerarchia naturale dei sessi, in senso attivo dovevano portare avanti la lotta
per la razza » [citazione da un saggio di C. Thuermer-Rohr, pubblicato in Germania nel 1996, Che cosa dimostrava
la fidanzata di un SS,
n.d.r.]. Nella rivista delle SS una donna si ritrasse empaticamente come salvatrice del popolo
nel momento in cui
tedesco: «E questo istinto, che in noi donne è più forte di ogni altra facoltà spirituale, fu riaccettava di
svegliato perché il Führer, uomo tutto d’un pezzo, ha toccato quei lati della nostra femmisottomettere il
nilità il cui suono è racchiuso nei sacri concetti del sacrificio e dell’oblio di sé, perché, per
proprio albero
dirla in breve, desta in noi ciò che è eterno e immutabile nell’immagine della donna tedegenealogico alla più
sca: l’amore eroico, che oltre la vita e la morte è chiamata a salvare la vita immortale del pominuziosa delle
polo tedesco».
indagini razziali?
Certamente le mogli di SS dovettero sottomettersi ai loro mariti, ma questa accettazione
Quale gratificazione
fu compensata dal fatto che, in quanto parte dell’Ordine delle SS, erano superiori a tutti gli
comportava, per una
uomini tedeschi che non appartenevano alle SS e comunque più che mai “razzialmente” andonna tedesca,
teposte a tutti gli altri uomini, tedeschi e non, definiti “inferiori” ; entro la gerarchia dei sessi
il fatto di essere
ciò implicava la trasformazione razzista dei valori sociali. Secondo la volontà di Himmler, le
riuscita a sposare
mogli di SS dovevano essere le “signore del futuro” e a guerra vinta ricevere dal Reichsfühun SS?
rer delle tenute nei territori orientali, per dominare laggiù con le loro famiglie sulle donne e
Qual era il dovere
sugli uomini “inferiori”.
supremo di una
G. SCHWARZ, Una donna al suo fianco, Il Saggiatore, Milano 2000, pp. 48-50, trad. it. B. MAJ
donna nazista?
APPROFONDIMENTO E
2
Nella Germania nazista, l’omosessualità fu considerata un comportamento socialmente pericoloso,
da reprimere e da punire penalmente. Dopo aver scontato la pena, però, invece di essere messi in
libertà gli omosessuali erano internati in lager, dove erano oggetto di ogni tipo di umiliazioni e violenze.
UNITÀ 6
POTENZE IN CRISI: GERMANIA E STATI UNITI TRA LE DUE GUERRE
10
La persecuzione degli omosessuali tedeschi
Il triangolo rosa,
il simbolo che
contraddistinguevano
gli omosessuali nei lager
tedeschi.
Nessuno dei due Stati tedeschi del dopoguerra riconobbe gli omosessuali come vittime
del nazismo, benché i contrassegnati dal triangolo rosa nei campi di concentramento avessero sofferto un trattamento particolarmente odioso, da parte delle guardie e anche dei compagni di prigionia. Le ragioni [del mancato riconoscimento, n.d.r.] sono molte, a cominciare
dal diffuso pregiudizio contro gli omosessuali e la naturale reticenza delle vittime a pubblicizzare una persecuzione fondata sui loro gusti sessuali. Non va poi dimenticato che l’interpretazione più rigorosa data dai nazisti nel 1935 all’articolo 175 del Codice penale del
1871, che puniva gli «atti di libidine» e i rapporti sessuali tra uomini, rimase in vigore fino al
1969. Il che significa che gli uomini inviati in campo di concentramento per le loro inclinazioni sessuali poterono venire perseguitati in base alla stessa legge dopo il 1945. Nella Germania dell’Est, l’emendamento nazista alla legge venne parzialmente abrogato nel 1950,
mentre l’atto omosessuale tra adulti consenzienti di 18 anni o più venne legalizzato nel 1968.
Tuttavia, anche la Repubblica democratica non incluse gli omosessuali nel numero delle vittime di Hitler. [...]
Nel 1934 erano stati condannati e messi in carcere 766 uomini, nel 1936 la cifra superò
i 4000 e nel 1938 gli 8000. Inoltre, a partire dal 1937, molti dei condannati, dopo aver scontato la normale pena detentiva, furono inviati in campi di concentramento, in conformità al
decreto di Himmler del 14 novembre 1937 sulla «prevenzione della delinquenza» Himmler
illustrò la tesi razziale della sua omofobia [odio per l’omosessualità, n.d.r.] patologica in un
discorso a un raduno di ufficiali delle SS del febbraio 1937 [...]: «Vorrei approfondire un paio
di idee in merito. Alcuni omosessuali hanno idee del tipo: quello che faccio è affare mio,
una questione puramente privata. Tuttavia, qualsiasi cosa accada
nella sfera sessuale non è di competenza solo del singolo individuo, ma riguarda la vita e la morte della nazione, significa dominio del mondo o regressione alla elvetizzazione [una debolezza
politica e militare paragonabile a quella di un piccolo Stato come
la Svizzera, n.d.r.]. Il popolo che produce molti figli pone la propria candidatura al potere e al dominio mondiali. Un popolo di
razza sana con scarsa prole ha un biglietto di sola andata per
la tomba, per una situazione di irrilevanza entro cinquanta o
cento anni, per la sepoltura entro duecentocinquant’anni [...].
Dobbiamo quindi mettere ben in chiaro che il continuare a portare questo fardello senza reagire significa la fine della Germania e del mondo germanico. Purtroppo le cose non sono semplici come per i nostri padri. Gli omosessuali, chiamati Urning,
venivano annegati negli stagni. Gli studiosi che scoprono i
resti di cadaveri nelle torbiere, probabilmente non si rendono conto che in novantanove casi su cento si trovano di
fronte a un omosessuale, annegato in uno stagno coi suoi vestiti e tutto. Non era una punizione, ma semplicemente
l’estinzione di una vita anormale. Bisognava estirparla come si
estirpano le erbacce, se ne fa un mucchio e poi vi si dà fuoco. Non era sentimento di vendetta, ma i segnati dovevano andarsene». [...]
Il numero esatto degli omosessuali rinchiusi in campo di concentramento non è mai stato
appurato con esattezza. In genere si parla di una cifra di 10 000, che potrebbe aumentare
fino a 15 000. Secondo i racconti dei sopravvissuti, i portatori del triangolo rosa furono comunque trattati in modo indegno sia dalle guardie sia dai compagni di prigionia. Ecco una
descrizione del trattamento loro riservato a Sachsenhausen: «I portatori del triangolo rosa
dovevano raccogliere con la carriola terra e argilla per erigere un tumulo artificiale che formasse una barriera contro i proiettili del poligono di tiro. Dopo pochi giorni, però, arrivò un
gruppo di SS per esercitarsi al poligono, mentre stavamo ancora ammucchiando la terra delle
nostre carriole. Ovviamente, mentre si sparava, non intendevamo continuare a trasportar
terra al mucchio, col pericolo di prenderci una pallottola. Ma con minacce e botte, kapo e
SS ci costrinsero a continuare il lavoro. Le pallottole fischiavano tra le nostre fila e molti dei
miei compagni di sofferenza caddero, alcuni feriti, altri colpiti mortalmente. Presto scoprimmo
che più che a sparare contro i bersagli, le SS si divertivano a usare noi, piccolo distaccamento
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
APPROFONDIMENTO E
di prigionieri schiavi, come bersaglio e a rincorrere i singoli che arrancavano di qua e di là Nella mentalità
nazista, dove iniziava
spingendo le carriole».
e dove finiva la sfera
Agli omosessuali fu negata anche quella solidarietà di gruppo che tanto contribuì a soprivata in cui gli
stenere il morale dei prigionieri politici e comuni. Come riferì un detenuto di Dachau: «I priindividui potessero
gionieri col triangolo rosa non vissero a lungo; furono prontamente e sistematicamente steragire senza rendere
minati dalle SS». Il numero esatto dei morti resta sconosciuto, ma non ci sono dubbi che il
conto allo Stato del
trattamento inflitto loro nel Terzo Reich non trova paralleli in alcun Stato civile del mondo.
proprio
Furono perseguitati per motivi ideologici e razziali, accusati del deficit in bilancio sessuale
comportamento?
[di non contribuire alla rinascita demografica della Germania dopo i milioni di morti della prima
guerra mondiale, n.d.r.] in quanto sottrattisi al dovere di procreare. E non va dimenticato che Per quale motivo,
dopo la guerra,
quasi metà delle 50 000 condanne per omosessualità nel Terzo Reich furono pronunciate
gli omosessuali
tra il 1937 e il 1939: gli istinti persecutori del regime non ebbero bisogno di essere alimensopravvissuti
tati dalla guerra.
descrissero la loro
M. BURLEIGH, W. WIPPERMANN, Lo stato razziale. Germania 1933-1945, Rizzoli,
esperienza solo
Milano 1992, pp. 164-174, trad. it. O. FENGHI
molto di rado?
3
Hitlerjugend e Swingkids: due modi
di essere giovani nella Germania nazista
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
Manifesto per il
reclutamento delle
ragazze tedesche nella
Gioventù hitleriana.
11
Nazismo e identità di genere
Soprattutto nei primi anni dopo il 1933, l’appartenenza alla HJ [Hitlerjugend – Gioventù hitleriana, n.d.r. ] fu sentita da molti giovani come tutt’altro che una costrizione. In fondo le sue attività si ricollegavano a molte forme di attività giovanili dell’epoca di Weimar, offrivano svariate opportunità per il tempo libero e, non di rado, si svolgevano sotto
la direzione dei capi delle disciolte organizzazioni giovanili, almeno
ai livelli più bassi che, per l’attività quotidiana, erano i più importanti. La divisa della HJ, inoltre, offriva in molti casi al giovane una
copertura per sostenere, con più forza e non di rado con estrema
aggressività, i suoi conflitti con le autorità tradizionali, come l’insegnante, il padre, il padrone di bottega o il parroco. Per certi versi
la HJ ebbe un ruolo in qualche modo anti-autoritario. [...] In provincia, dove prima del 1933 i movimenti giovanili non si erano potuti diffondere, la comparsa della HJ significò spesso per i giovani
la prima esperienza di attività di tempo libero in organizzazioni giovanili, l’occasione di costruire un centro giovanile o un campo
sportivo, la possibilità di fare viaggi, nel fine settimana o durante
le ferie, fuori dall’ambiente abituale.
Ancor più forte fu la spinta che la HJ diede all’emancipazione delle giovani. Proprio contro l’idea del ruolo femminile
propagandata dai nazionalsocialisti, cioè di una donna concentrata sulla famiglia e sulla cura dei bambini, per mezzo del
BDM [Bund Deutscher Mädel – Lega delle giovani tedesche,
n.d.r.] le giovani ebbero modo di sottrarsi ai vincoli familiari. In
quella sede le ragazze poterono praticare attività che, stando
al modello conservatore, erano riservate ai loro coetanei maschi e, soprattutto quando lavoravano come funzionarie del
BDM, si avvicinarono anche al classico tipo maschile dell’organizzatore politico libero da impegni familiari. Questi stimoli
rimasero un fenomeno limitato anche a causa del generale discredito che i nazionalsocialisti riservavano all’emancipazione
femminile. Quello che però nei suoi obiettivi ideologici era indubbiamente reazionario, in molte delle sue forme pratiche
quotidiane ebbe un effetto modernizzante.
Con il consolidarsi della HJ come grande organizzazione
burocratica, col progressivo invecchiamento del suo gruppo
dirigente nel corso degli anni trenta, il suo potere di attrazione
sulla gioventù si affievolì. [...] Alla fine degli anni trenta, furono
UNITÀ 6
Probabilmente non si deve dare eccessivo peso al movimento di protesta giovanile noto con il nome
di Swingkids. La maggior parte dei giovani si adattò ai riti e ai valori della Gioventù hitleriana, che spesso offriva pure la possibilità di opporsi validamente alla forza di altre autorità più tradizionali, come i
genitori, gli insegnanti e i pastori della chiesa di appartenenza.
APPROFONDIMENTO E
UNITÀ 6
POTENZE IN CRISI: GERMANIA E STATI UNITI TRA LE DUE GUERRE
12
Spiega l’affermazione
secondo cui, ai suoi
inizi, «la HJ ebbe un
ruolo in qualche modo
anti-autoritario».
Spiega la seguente
affermazione: «Quello
che però nei suoi
obiettivi ideologici
era indubbiamente
reazionario, in molte
delle sue forme
pratiche quotidiane
ebbe un effetto
modernizzante».
Perché non si può
parlare di una
consapevole
resistenza antinazista,
nel caso dei giovani
del movimento swing?
Quali atteggiamenti
dei giovani swing
destavano il profondo
orrore dei nazisti?
Per quali motivi, agli
occhi dei nazisti,
quella degli swingkids
era un’esistenza
sregolata e immorale?
migliaia i giovani che si allontanarono dalle attività di tempo libero offerte dalla HJ e che trovarono in gruppi spontanei un proprio stile di vita non definito da alcun regolamento. Tali
gruppi difesero questo loro spazio autonomo anche in seguito, quando la sorveglianza delle
pattuglie della HJ e della Gestapo si fece sempre più intensa e pesante. Nel 1942 il Centro
nazionale della gioventù dovette fare la seguente dichiarazione: «Da poco prima della
guerra, ma soprattutto durante la guerra, il fenomeno delle combriccole, ossia dei raggruppamenti giovanili al di fuori della HJ, si è talmente intensificato che si deve parlare di un
serio pericolo di disgregazione politica e morale e di devianza della gioventù». [...]
La condizione sociale permetteva alle swing-girls e agli swing-boys, provvisti di denaro
e di vestiti acconci, di frequentare i locali pubblici del centro; essi avevano inoltre abitazioni
sufficientemente spaziose dove scatenarsi e dimenarsi in assenza dei loro educatori. Possedevano dischi e indossavano abiti ricercati che, secondo loro, erano all’inglese. «I giovani
portavano di preferenza lunghe giacche all’inglese, spesso a quadri, scarpe con grosse suole
di para chiare, sciarpe vistose, cappello Unger-Diplomat, un ombrello al braccio con qualsiasi tempo e, come distintivo all’occhiello, un gemello da polso con pietra colorata. Anche
le ragazze preferivano lunghe capigliature fluenti; si ritoccavano le sopracciglia, si tingevano
le labbra e si davano lo smalto alle unghie. Conformi all’abbigliamento erano le maniere di
atteggiarsi in pubblico». Se già queste innocenti manifestazioni dei giovani fans della musica swing suscitavano l’indignazione dei nazisti difensori dell’ordine, l’attività in ambito privato dei gruppi swing li dovette mandare completamente fuori di sé. Questi giovani suonavano dischi di jazz nella loro stanza, oppure stavano fuori tutta la notte, ballavano e si
comportavano con la tipica disinvoltura inglese. Quel che è peggio, si davano a una sessualità sfrenata. Il fatto di avere una stanza indipendente nell’appartamento di famiglia o di
poter trascorrere la notte fuori di casa offriva molte occasioni di fare esperienze sessuali.
I rapporti delle autorità naziste sui giovani swing sono pieni di episodi sessuali: «rapporti
sessuali tra minorenni», sessualità di gruppo, «perversione», omosessualità, «contaminazione
razziale». Indubbiamente il comportamento sessuale dei giovani swing era più disinvolto di
quanto non permettessero le norme nazionalsocialiste. Altrettanto certo, però, è che i rapporti del servizio di sorveglianza, con la loro attenzione ossessiva per questa straordinaria
attività sessuale, esageravano le cose. Non necessariamente, quindi, tutti questi racconti
si basano su dei fatti, ma vanno semmai presi alla lettera come documenti della fobia sessuale degli estensori. […] In quei rapporti si prendono troppo alla lettera quelle che spesso
erano probabilmente vanterie, si generalizzano singoli episodi. Ciò non toglie, comunque,
che il comportamento sessuale di questi giovani si scostasse nettamente da quello che per
il nazionalsocialismo era la norma. […] E questo può spiegare l’estrema violenza della reazione di Heinrich Himmler, che voleva far prendere a bastonate i «caporioni» del movimento
swing, sottoporli a esercitazioni militari punitive e assegnarli al lavoro coatto per almeno due
o tre anni nei campi di concentramento. [...]
Per la gioventù swing non si può parlare propriamente di antifascismo [antinazismo,
n.d.r.], dato che il suo comportamento era esplicitamente apolitico; si trattava piuttosto di
una profonda indifferenza per i valori e gli slogans sia del nazismo sia del tradizionale nazionalismo borghese. Quei giovani cercavano una loro diversa identità nella cultura, sentita
come moderna e non coercitiva, dei paesi nemici, l’Inghilterra e l’America. Con orrore dei
nazisti, essi accettavano nei loro clubs ebrei e mezzi ebrei [figli nati da unioni miste: un genitore ebreo e uno ariano, n.d.r.] e applaudivano complessi stranieri che venivano dal Belgio o dall’Olanda. Tutto ciò esigeva inevitabilmente misure «educative» e «politiche» da parte
di un sistema come quello nazista, ma questa prevedibile tendenza repressiva del regime
non è sufficiente a spiegare la sconvolta reazione e il profondo disgusto avvertibili nell’intervento di Himmler o nei rapporti della HJ: c’è dell’altro, infatti.
Dai reduci della prima guerra mondiale, agli uomini dei corpi franchi del dopoguerra, fino
ai seguaci di Adolf Hitler, si era sviluppato in tutti costoro un modello di uomo forte e militaresco con accanto una donna piena di sentimento, una casalinga devota e casta. In una
vita fatta di rinunce, di repressione dei propri desideri, soprattutto nella sfera della sessualità, questi uomini si erano costretti nella corazza della disciplina militare, della subordinazione cieca agli ordini del capo in nome di superiori ideali, fino all’estremo limite delle forze.
[...] Chi aveva dettato alla gioventù tedesca le regole del dominio di sé e del proprio corpo,
secondo il motto di Hitler «forte come l’acciaio, tenace come il cuoio e svelto come un levriero», doveva sentire come intollerabile questo nuovo atteggiamento scioperato, la libertà
sessuale, l’individualismo e lo scetticismo nei confronti di tutto, soprattutto dei grandi
princìpi nazionali. Contro questa «esistenza sregolata» non c’era che il bastone, non rimaneva che essere «duri come l’acciaio».
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
D. PEUKERT, Storia sociale del Terzo Reich, Sansoni, Firenze 1989,
pp. 150-153, 170-173, trad. it. F. BASSANI
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Nazismo e identità di genere