Comunicazione presentata al Convegno Un mondo di italiano. Italiano lingua non materna: promozione, insegnamento, ricerca , Università per Stranieri di Perugia, 4­5 maggio 2006 Prof. Luca Serianni Università “La Sapienza” di Roma LA NORMA E LA SCUOLA: PRIMI MATERIALI Il tema della norma linguistica operante in una certa lingua e in una certa epoca offre la possibilità di svolgimenti diversi. Intanto, il campo va delimitato: la norma riguarda solo le strutture fonetiche e morfosintattiche, vale a dire la tradizionale “grammatica” di una lingua o – come io ritengo – deve comprendere anche il lessico, con tutte le sue, talora sottili, deflessioni dall’uso comunemente ricevuto? Quale che sia la strada intrapresa, le mete verso le quali dirigersi sono assai varie. Potremmo tentare di cogliere i tratti in movimento e stilare un bilancio in rapporto al quadro che emergeva vent’anni fa in saggi diventati classici. 1 Oppure indagare la norma descritta da grammatici e linguisti e quella che emerge dalla reattività dei singoli parlanti, per esempio attraverso le lettere ai giornali 2 o, meglio, attraverso indagini campionarie espressamente mirate. O, ancora, soffermarci sulla proliferazione dei mezzi di comunicazione scritta e verificare se le relative sottonorme hanno in qualche misura condizionato la norma effettiva e indiscussa, vale a dire l’italiano abitualmente scritto in contesti formali e rivolto a destinatari generici (un articolo di giornale, una relazione sindacale). Almeno all’ultimo quesito è facile rispondere, visto che sull’italiano scritto mediato dal computer e dal cellulare disponiamo da poco di un’eccellente monografia. 3 Fenomeni tipici dei messaggini o dell’IRC (Internet Relay Chat) come l’imperversare di acronimi su base anglicizzante (LOL= Laughing Out Loud ‘rotolarsi dalle risate’) o i tamponamenti tra “parole vuote” (ce per ‘c’è’ o lo per ‘l’ho’) 4 suscitano grande curiosità nel giornalista che intervista il linguista di turno alla ricerca di scoop («Fra dieci anni l’italiano esisterà ancora?»), ma in realtà non mostrano nessuna vitalità fuori dalla specifica trincea di appartenenza. L’IRC offre però l’interessante conferma di un fenomeno in atto da qualche anno: la ripresa dei dialetti sui quali molti linguisti (compreso chi scrive) trent’anni fa non avrebbero scommesso. 5 All’espressività e al desiderio di marcare l’appartenenza a un gruppo specifico – i due fattori alla base della ben nota vitalità tardo­ novecentesca del dialetto nella poesia e nella musica (rap, reggae) – va ascritta anche l’«inattesa e massiccia presenza» nell’IRC dei dialetti, verosimilmente praticati in base al coefficiente espressivo anche da utenti di altre regioni . 6 1 Alludo in particolare a Francesco Sabatini, Una lingua ritrovata: l’italiano parlato, «Studi latini e italiani», IV 1990, pp. 215­34 e Gaetano Berruto, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Firenze, La Nuova Italia Scientifica, 1987. I tratti salienti dell’italiano “dell’uso medio” sono stati successivamente indagati da Ilaria Bonomi nella lingua dei giornali e nella prosa letteraria: cfr. risp. I giornali e l’italiano dell’uso medio, «Studi di Grammatica Italiana», XV 1993, pp. 181­201 e La narrativa e l’italiano dell’uso medio, ivi, XVI 1994, pp. 321­38. Recentemente Riccardo Tesi ha preso posizione sull’effettiva rappresentatività di molti tratti morfosintattici e topologici compresi in questa categoria, considerandoli «fenomeni opachi» e abituali «in qualsiasi genere testuale dell’italiano contemporaneo» (Storia dell’italiano. La lingua moderna e contemporanea , Bologna, Zanichelli, 2005, p. 229 e n. 70). 2 Qualche spunto in proposito nella mia Prima lezione di grammatica , Roma­Bari, Laterza, 2006, pp. 36­54. 3 Elena Pistolesi, Il parlar spedito. L’italiano di chat, e­mail e SMS, Padova, Esedra, 2004. 4 Op. cit., pp. 32­33, 100 e passim. 5 A differenza, va detto, di molti linguisti stranieri i quali, anche oggi, non cessano di restar colpiti dalla polimorfia dialettale del nostro Paese. L’insigne catalanista Josep M. Nadal, ad esempio, ha raccontato in un suo libro recente (La llengua sobre el paper, Girona, CCG Edicions, 2005, p. 49) che «un 24 de febrer», mentre chiacchierava a Napoli con due colleghi anch’essi catalani, un cameriere si avvicinò al gruppo «per preguntar­nos si érem grecs o genovesos. Per a un napolità – un “italià” –, un genovès – un altre “italià”, en definitiva – podia ser tan estrany, en la seva manera de parlar, com un grec o com un català». 6 Op. cit., pp. 110­14.
1 Converrà in ogni caso tener fermo un punto. Se, lasciando da parte la comunicazione mediata dal computer, mettiamo a confronto due produzioni linguistiche tradizionali a distanza di vent’anni l’una dall’altra (per esempio un giornale), possiamo renderci conto che, nonostante tutto, la lingua cammina più lentamente della tecnologia e che le trasformazioni si concentrano sulla struttura più appariscente ma anche più superficiale, cioè sul lessico. Il 31 dicembre 2005 – una giornata adatta ai bilanci – ho fatto una verifica empirica, fondandomi sui numeri del «Corriere della Sera» e della «Repubblica» apparsi in quel giorno. Ho spogliato i due articoli di fondo, dovuti rispettivamente a un autorevole opinionista («L’ossessione dei poteri forti», di Ernesto Galli della Loggia = EGL) e al direttore Eugenio Scalfari («Perché Berlinguer è di nuovo attuale» = ES); due articoli di taglio polemico­brillante (politica estera: «L’Italia supera gli Usa. In tirchieria», di Gian Antonio Stella = GAS; e costume: «Viva Venezia che vieta i botti», di Francesco Merlo = FM); due articoli di cronaca meteorologica («Roma, un altro clochard ucciso dal gelo», di Virginia Piccolillo = VP e «L’Italia gela, il freddo fa tre vittime», di Teresa Monestiroli = TM). Ho parlato di una verifica «empirica», ma forse avrei dovuto dire «fantascientifica», visto che mi sono chiesto: quale sarebbe stata davanti alle stesse pagine la reazione di un lettore (poniamo) del 1965, prescindendo dai contenuti? In che misura si sarebbe rispecchiato nella lingua di quarant’anni dopo? 7 La risposta è abbastanza prevedibile. Non c’è davvero nulla di nuovo né in fatto di grammatica né di sintassi. Anzi, il periodo può tuttora articolarsi in larghe campate ipotattiche, scandite da una punteggiatura impeccabile, come risulta dai due esempi che seguono: Con un’importante differenza rispetto ad oggi: che 11 anni fa l’attacco partì dal compianto Giuseppe Tatarella, vicepresidente del Consiglio del governo di centrodestra, e fu poi portato avanti da gran parte del suo schieramento appena reduce dalla vittoria elettorale ma già sopraffatto dalla difficoltà di governare; oggi, invece, a prendersela con i poteri forti sono sia gli ambienti vicini al premier (che è sempre quello del ’94) sia però anche molti ambienti vicini all’onorevole Massimo D’Alema, con alcune significative dichiarazioni di D’Alema stesso che vanno senza mezzi termini nella medesima direzione [EGL; siamo agli antipodi, come si vede, dal cosiddetto stile giornalistico inteso come sequenza di frasi brevi tendenzialmente paratattiche. L’unico elemento non certo nuovo, ma sintatticamente marcato, è l’attacco circostanziale risolto in una frase nominale Con … oggi, dal quale dipende una completiva seguita da una coordinata con varie espansioni nominali, opportunamente chiuso dal punto e virgola, che permette di sottolineare la continuità col periodo precedente: 11 anni fa – oggi]. Dunque una legge nazionale contro i botti che, senza penalizzare i colori e le trovate degli artisti delle luminarie, stroncasse il rumore e il vizio nazionale di mimare la guerra; un dispositivo normativo di pubblica decenza contro tutte le sparate sarebbe preferibile ad una delle tante campagne isteriche contro l’aids o ad un’altra scarica mediatica contro il razzismo nel calcio o, ancora, ad una delle solite carovane di retorica antimafia; e sarebbe anche meglio di un botto di amnistia che è un provvedimento da fare sì, ma in silenzio, come si concede un perdono, come si offre una grazia [FM; si noterà, anche qui, la serie di strutture complesse scandite dal punto e virgola e, in generale, la preferenza per la subordinazione (proposizione esclusiva incassata in una relativa consecutiva, in luogo di due relative coordinate: che non penalizzasse … ma stroncasse) e per il verbo, ossia per la suppellettile sintattica più tradizionale (che è un provvedimento da fare in luogo della semplice apposizione nominale: un provvedimento da fare; come si concede un perdono, come si offre una grazia , con elegante variatio del secondo verbo, in luogo del più sbrigativo come si concede un perdono, una grazia ]. E le subordinate possono essere introdotte tuttora da congiunzioni libresche, se non letterarie. Scalfari adopera un affinché finale («affinché non creda d’essere stato il solo e inascoltato mentore di questa triste vicenda») e due poiché, entrambi in causali posposte alla reggente; nella seconda con variatio rispetto a un successivo perché: 7 Va precisato che Scalfari scriveva già nel 1965 e quindi, tenendo conto di una certa viscosità delle abitudini linguistiche individuali contratte nell’infanzia e nella giovinezza, non dovremmo comunque aspettarci grandi novità strutturali dal suo articolo.
2 In quei casi un partito politico dovrebbe astenersi da ogni commento, da ogni contatto, da ogni preferenza, poiché il giudizio è delegato al mercato e alle regole che lo presidiano. L’inesperienza ha contribuito ad aggravare l’errore perché i meccanismi del mercato operano con estrema rapidità e non combaciano con i tempi lunghi della risposta politica [corsivi miei]. Ma passiamo dalla sintassi, più condizionata dalla personalità stilistica di uno scrivente professionale, ai fenomeni microlinguistici, che normalmente sfuggono al controllo di chi scrive (e possono semmai essere ortopedizzati da interventi editoriali; ma sappiamo che ciò non avviene, o non avviene più, nelle redazioni dei giornali). E precisamente: a) elisione; b) forme eufoniche (ad/ed); c) apocope vocalica; d) alternanza che/che cosa/cosa nelle interrogative. a) Bene attestata l’elisione di forme grammaticali; 8 non solo articoli, 9 preposizioni articolate, pronome atono lo (un’importante differenza , l’eco, dall’altra parte EGL; dell’Economia , non l’abbiamo GAS; un’autocisterna , un’auto VP; l’iniziativa , un’altrettanto grave inesperienza , un’assai bizzarra proposta 10 ES; un’Italia , dell’intelligenza FM; Un’ondata TM), ma anche, più occasionalmente, in altri casi, in parte frutto di condizionamenti idiomatici: prezzi più cari d’Europa , essere d’accordo (EGL), fichi d’India , M’impegno (GAS), d’un complotto, dev’essere, com’è imprevedibile, d’esser stato, tornate d’attualità , cent’anni (ES). b) Persiste la possibilità di adoperare le forme eufoniche con dentale finale nei monosillabi a , e seguiti da parole comincianti per vocale: possibilità che tende a diventare la regola quando la vocale sia identica (Ed è EGL; ad arrivare GAS; ed Emilia Romagna VP), ma che si mantiene anche in presenza di vocali diverse: ad esser tali ES, ad eludere FM. 11 c) L’apocope vocalica libera è, da molti anni a questa parte, in evidente regresso. Resiste però, non solo in modi idiomatici e in connettivi cristallizzati (sia pur legittimata EGS; senza andar per il sottile, pur di impedirgli, sia pur tardiva ES), ma anche con gl’infiniti (come variante minoritaria); specie, si direbbe, se si tratta di infiniti composti: aver scritto EGL; aver architettato, ad esser tali, aver trasmesso ES. d) Secondo alcuni linguisti cosa starebbe avendo la meglio su che (il quale verrebbe avvertito come meridionale) e su che cosa . La diffusione di cosa è indubbia (mentre la meridionalità di che andrebbe verificata); ma è altrettanto chiara la tenuta di tutte e tre le forme di interrogativo neutro. 12 I tre esempi utili del nostro ridottissimo campione offrono solo che e che cosa (l’assenza di cosa è ovviamente casuale): «Che cosa si rimprovera a questi poteri, ieri come oggi?» (EGL), «che ne sarà mai allora della divisione dei poteri […] e di altre quisquilie del genere?» (EGL), «Non voleva che i comunisti fossero omologati. A che cosa?» (ES). 8 Non ha avuto ulteriori sviluppi, insomma, quella tendenza a mantenere le forme invariate quale che sia il contesto sintattico (non lo abbiamo come non lo vogliamo) – indizio di una lingua sempre più orientata sulla fissità e prevedibilità dello scritto e non sulla meno prevedibile duttilità del parlato – di cui notavo la presenza nella letteratura di consumo di vent’anni fa: cfr. L. Serianni, Il problema della norma linguistica dell’italiano, «Gli Annali della Università per Stranieri [di Perugia]», VII 1986, pp. 47­69, alle pp. 56­57. 9 La tendenza, «negli strati inferiori della letteratura, ad abolire gli apostrofi reintegrando le vocali elise» fu osservata già nel 1937­1940 dal Camilli (cfr. Amerindo Camilli, Pronuncia e grafia dell’italiano, terza ediz. riveduta a cura di Piero Fiorelli, Firenze, Sansoni, 1965, p. 182). Il fenomeno sembra più diffuso con gli articoli indeterminativi: una interpretazione accanto alla variante elisa, spontanea nel parlato veloce, un’interpretazione; decisamente meno comune la mancata elisione con l’articolo determinativo femminile: la interpretazione / l’interpretazione. 10 Questi due ultimi esempi sono ben rappresentativi della vitalità dell’elisione, dal momento che un’eventuale forma piena dell’articolo poteva essere favorita dal distanziamento tra articolo e sostantivo e dunque dall’opportunità di sottolinearne la relazione. 11 Come osservano Ilaria Bonomi ed Elisabetta Mauroni, commentando proprio i dati emersi da un corpus giornalistico, il declino della ­d eufonica è un fenomeno «che in generale si tende a considerare più in evoluzione di quanto generalmente non sia» (L’innovazione grammaticale in testi scritti di fine millennio, in N. Maraschio e T. Poggi Salani [a cura di], Italia linguistica anno Mille. Italia linguistica anno Duemila , Roma, Bulzoni, 2003, pp. 491­519, a p. 498). 12 Cfr. anche Bonomi­Mauroni, L’innovazione, pp. 504 e 509­10 e Massimo Palermo, La lingua in agenzia: aspetti della norma e dell’uso dell’ANSA, in AA. VV., Norma e lingua in Italia: alcune riflessioni fra passato e presente, Milano, Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, 1997, pp. 185­205, p. 198.
3 Si tratta, è vero, di fenomeni marginali: tali per loro intrinseca natura e tali ancor più oggi in cui fare grammatica significa guardare le cose soprattutto nella prospettiva della linguistica testuale e della pragmatica (e questo vale in una certa misura anche per un grammatico non propriamente rivoluzionario come chi scrive). Però, sono fenomeni che hanno un valore simbolico da non trascurare. In tutti e quattro i casi siamo di fronte a una perdurante interferenza tra lo scritto, con la sua tendenza a potare le alternative e a perseguire il massimo grado di stabilizzazione ortografica, e il parlato, con i ben noti fenomeni di sandhi esterno; se tanta varietà di alternative – una inutile ricchezza che Manzoni considerava un impaccio per raggiungere una lingua «viva e vera» – era normale in una società assai differenziata linguisticamente al suo interno in termini diatopici e diastratici, 13 non è scontato che un discreto margine di oscillazione persista ancora oggi, senza dar vita ad alternative stilisticamente marcate che autorizzino quindi la previsione di un declino dell’eventuale variante letteraria o libresca. 14 Spicca la differenza con le altre grandi lingue romanze (ed europee in genere) in cui tale polimorfia manca: l’elisione nei monosillabi grammaticali è generale in francese e sconosciuta in spagnolo (d’Amérique, de América rispetto all’ital. di America / d’America ), l’apocope vocalica libera è sconosciuta a entrambe le lingue, ed entrambe non hanno incertezze per le forme che corrispondono alla preposizione a (franc. à , spagn. a ) e alla congiunzione e (franc. et, spagn. y/e, con distribuzione complementare), né sul pronome interrogativo con valore neutro (franc. Que veux­tu? , spagn. ¿Qué quieres? , ital. Che / Che cosa / Cosa vuoi? ). Solo il lessico e in parte ridotta la formazione delle parole marcano con evidenza il tempo trascorso. Ma vediamo. I forestierismi non adattati sono meno numerosi di come potevamo aspettarci e soprattutto da tempo acclimati. 15 Nessuno avrebbe fatto troppo caso, già nel 1965, agli anglicismi black­out (1949, ma certo l’impatto mediatico del fenomeno è successivo; GAS), boomerang (ES, in senso figurato; in senso proprio: 1863), establishment (1960; EGL), freezer («in freezer anche i piemontesi»; in senso proprio: 1957), 16 ai francesismi bidonvilles (1963; GAS) e anche clochard (1968; VP e TM), agli ispanismi campesinos (1954; 17 GAS), silos (1923; GAS: «silos di vetroresina che si scioglievano al sole in Sudan»). Tanto meno sarebbero stati notati forestierismi già allora vecchiotti come dossier (1895; GAS), leader (1834; ES), parvenues (sic; ma il femminile è ingiustificato, FM; 1820), premier (1844; EGL), record (1884; VP). Kamikaze era ben noto come termine della seconda guerra mondiale (la prima attestazione italiana risale proprio al 1944), ma non in riferimento al terrorismo islamico né, come si ricava dall’articolo di Merlo, come denominazione di un “botto pirico”. Non erano ancora noti un paio di anglicismi: assist, oggi comunissimo traslato calcistico (debitamente virgolettato in ES: «nonostante l’“assist” fornito dalla vicenda Unipol»; in senso proprio: 1983) e talk show (FM; 1980); né il lusitanismo­ispanismo 18 favelas (1974; GAS). Attestato già dal 1961 come tecnicismo geofisico, il nipponismo tsunami ha raggiunto grande notorietà dopo i drammatici eventi del dicembre 2004: nel nostro corpus lo troviamo riferito a un razzo di spropositata potenza impiegato per i festeggiamenti di fine d’anno, il razzo tsunami (FM), 13 Inutile soffermarsi sulle sacche di analfabetismo e di dialettofonia esclusiva ancora esistenti nel secondo dopoguerra. Possiamo esser certi sia che con m’impegno, ad essere o aver trasmesso uno scrivente non ritenga di usare forme stilisticamente marcate rispetto alle alternative mi impegno, a essere, avere trasmesso, sia che tale percezione possa nascere in un lettore. La marcatezza, nelle due direzioni, potrebbe nascere solo dalla sistematica adozione delle varianti legate ai condizionamenti fonosintattici; potremmo dire, insomma, che mi impegno, a essere, avere trasmesso sono oggi le forme di base dell’italiano e che le varianti sono marcate solo potenzialmente, cioè soltanto se la loro frequenza è relativamente alta. 15 Tranne che non sia diversamente indicato, la data di prima attestazione è ricavata da Tullio De Mauro, Grande dizionario italiano dell’uso (GRADIT), Torino, UTET, 1999, cinque voll. 16 Si aggiunga il calco semantico cancellare ‘disdire’ («cancellati sette voli»; TM); dal 1942 secondo Manlio Cortelazzo – Paolo Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana , Bologna, Zanichelli, 1999 2 , s. v. 17 Cfr. CruzHilda López, América latina: aportes léxicos al italiano contempráneo, Firenze, University Press, 2001, p. 18. 18 Sul quale cfr. op. cit., p. 39.
14 4 ma sarebbe facile incrementare la lista con esempi anche dell’uso figurato, segno indiscusso dell’acclimazione di un tecnicismo nella lingua comune. 19 Più cospicuo il drappello di neologismi derivativi, ottenuti da basi preesistenti e quindi linguisticamente motivati. Alcuni sono effettivamente attestati dopo il 1965: dializzati (1983; VP), flottante in accezione finanziaria (1987, ES), leaderistico (XX sec., dunque potrebbe essere anteriore agli anni Sessanta; EGL), mediatico («scarica mediatica», 1989; FM), plebiscitarismo (1995; EGL), sieropositivi (1986; GAS), sindacalese (1984; GAS), spargisale («mezzi spargi sale», 1970; 20 TM), terzomondismo (1973; GAS). Addirittura simbolo di un’epoca è Tangentopoli («nel ’92, vigilia di Tangentopoli», GAS). Altri a quanto pare esistono solo virtualmente nel sistema linguistico astratto: sono creazioni occasionali, frutto della padronanza linguistica 21 o dell’esuberanza espressiva di scriventi esperti: [un’Italia] gerontrofio (FM), [utopia] panpoliticistica (attestato panpolitico: av. 1937, EGL), pirotecnologia (GRADIT attesta pirotecnica ; FM) [pacchianeria] trimalcionesca (GRADIT attesta trimalcioniano, trimalcionico, trimalchionico; FM). Più difficile datare le unità polirematiche. Non erano moneta corrente, nel 1965, economia di mercato (ES), macchina della giustizia (ES), mutazione genetica (ES) poteri forti (ai «cosiddetti “poteri forti”» è dedicato l’editoriale di Galli della Loggia; si noti il doppio distanziamento, lessicale – con cosiddetti – e grafico, col ricorso alle virgolette), 22 rispetto delle regole (ES), tempi lunghi («i tempi lunghi della risposta politica», ES), tempesta giudiziaria (ES). Anche alcuni modi figurati non avevano la diffusione attuale: è il caso di remare contro (EGL, tra virgolette) e di metafore incardinate sui dolci mangiati di nascosto da bambini: «Lascerei a Berlusconi di sospettare complotti ogni volta che viene sorpreso a mangiare di nascosto la marmellata», ES), «una sinistra che sembra arrivare al potere come un bimbo ghiottone che penetra in una pasticceria con le mani nella crema, con baffi di crema» (FM). 23 Nella composizione si possono segnalare formazioni che incrementano l’ormai tradizionale serie di composti binominali Dto + Dnte: 24 idee­forza (EGL), uomo bersaglio (ES), oltre agli scherzosi banca­bengala e opa­mortaretto di FM; in caro petrolio (GAS) si ha cancellazione di una preposizione. Agli anni Novanta risale il tipo Berlusconi­pensiero (EGL), «uno dei pochi casi di sintagma determinante­determinato di origine autoctona, indipendente da modelli angloamericani». 25 Insomma: niente di davvero nuovo sotto il sole linguistico. Un lettore del 1965 capirebbe ben poco di un giornale di quarant’anni dopo, questo è certo, ma non perché non riconoscerebbe più la lingua in cui è scritto: perché la fitta serie di ammiccamenti e di presupposizioni rende il giornale pienamente comprensibile solo al lettore del giorno prima. 26 Si dirà che un sondaggio del genere 19 Per esempio: «Gabanelli, in generale che idea si è fatta dello tsunami che sta travolgendo il mondo politico economico?» (da un’intervista di Vittorio Zincone a Milena Gabanelli, «Corriere della Sera – Magazine», 12.1.2006, p. 40); «Uno tsunami mediatico ci travolse nella prima decade di aprile, durante la lunga agonia del papa» (Antonio La Penna, Aforismi e autoschediasmi, «L’immaginazione», n° 217, novembre­dicembre 2005, p. 23). 20 Se l’anno si riferisce alla seconda accezione registrata dal GRADIT. 21 E dunque della capacità di muoversi senza complessi (ci sarà nel dizionario? ) nell’uso perfettamente dominato della propria lingua materna. 22 A quanto pare, di poteri forti si parla almeno dal 1991 (con Rino Formica, dirigente del Partito Socialista Italiano): si veda l’articolo di Gian Antonio Stella, in «Corriere della Sera», 17.5.2006, p. 15. 23 Immagini del genere potrebbero dipendere da modelli anglosassoni: to catch someone with a hand in the cookies’ jar e simili (devo il suggerimento alla collega Paola Giunchi). 24 Nella terminologia adoperata da Maurizio Dardano, La formazione delle parole nell’italiano di oggi, Roma, Bulzoni, 1978, p. 183. 25 Come scrivevo presentando Silverio Novelli – Gabriella Urbani, Parole nuove della seconda e terza repubblica , Roma, Datanews, 1995, p. 10, in cui quel procedimento è ampiamente documentato. Si può aggiungere che negli ultimi anni composti del genere vengono usati sempre più spesso con valore referenziale, senza traccia dell’originaria carica ironica: valga a dimostrarlo il fatto che in un opuscolo propagandistico distribuito in occasione delle elezioni politiche del 2006 dal partito di Forza Italia (La vera storia italiana ) un trafiletto a p. 39 illustra Il Berlusconi pensiero (sottotitolo: «Lo hanno accusato di avere un partito di plastica e invece ha rivoluzionato la politica italiana»). 26 Sul fenomeno, deplorato da Umberto Eco negli anni Settanta, cfr. ora Michele Loporcaro, Cattive notizie. La retorica senza lumi dei mass media italiani, Milano, Feltrinelli, 2005, pp. 13­31.
5 non poteva che dare risultati di questo tipo: la scrittura del giornale è una scrittura controllata ed esperta che offre un alto tasso di invenzione lessicale, ma anche un forte aggancio con le strutture grammaticali portanti, come i modi o i tempi verbali. Che cosa succede nel parlato? Non ho intenzione di rispondere, visto che mi soffermo sulla norma quale è espressa a livello alto (scritto formale o – lo vedremo tra poco – prove scolastiche). Osservo soltanto tre cose: a) per valutare l’evoluzione del parlato in diacronia, occorrerebbe disporre di corpora corrispondenti relativi al passato (confrontare il parlato di oggi con lo scritto di trent’anni fa è evidentemente inaccettabile); b) sondaggi specificamente rivolti alla tenuta di una struttura tipica dello scritto, il congiuntivo – spina dorsale di ogni subordinata che si rispetti – ne hanno mostrato forse un’imprevista diffusione anche in testi orali; 27 lo stesso si dica, stando a una ricerca recente, per i pronomi personali: tra gli atoni loro prevale addirittura sul da tempo legittimato gli in un corpus di testi «narrativi» (cioè non dialogati: narrativa vera e propria, saggistica, memorialistica ecc.) degli anni Novanta e per il femminile singolare le è pressoché generale rispetto a gli nello stesso decennio (301 esempi contro 1), prevale largamente in quotidiani e settimanali (36 esempi contro 3) e persino in televisione (18 contro 6). 28 c) dare per scontato che il parlato sia il polo dell’innovazione e lo scritto quello della conservazione è perlomeno imprudente se pensiamo alla proliferazione di “nuove scritture” che caratterizzano la nostra epoca: semmai sarà vero il contrario. Ma il punto non è questo. Non è affatto detto che, in una qualsiasi dialettica tra innovazione e tradizione, tutte le forze in movimento riescano effettivamente a imporsi: molte regrediranno e riprenderanno vigore componenti tradizionali che sembravano in declino. Del resto basti pensare al lessico, in cui il nuovo che riesca ad affermarsi è infinitamente meno del vecchio che resiste o magari ritorna in auge: un parlante italiano del 1965 avrebbe scommesso sulla vitalità di neologismi dell’epoca come cambiadischi e deflettore (decaduti con i rispettivi designata) o di magata ‘brillante trovata’, decaduto come avviene spesso per i sinonimi espressivi, più esposti a rapida usura. Oggi, parole come queste sono obsolete (e forse non figurano più nemmeno nei grandi dizionari), mentre parole rare e forbite relative a concetti astratti come arguzia , esimere, impreteribile reggono molto meglio gli anni: erano occasionali e sostenute quarant’anni fa e tali sono anche oggi. Se questa capacità di durata vale per il pulviscolo lessicale, a maggior ragione varrà per i fatti grammaticali e sintattici: non è ancora nato l’untorello che possa davvero spopolare i passati remoti o i pronomi soggetto tradizionali egli ed ella . 29 27 Alludo a due saggi fondati sul meritorio Lessico di frequenza dell’italiano parlato realizzato nel 1993 da Tullio De Mauro et alii (Roma, ETASLIBRI). Stefan Schneider (Il congiuntivo tra modalità e subordinazione, Roma, Carocci, 1999) ha documentato come, in un corpus di oltre 3000 subordinate “argomentative” – quasi tutte introdotte da che –, il congiuntivo compaia in circa un quarto dei casi, più frequentemente nei testi raccolti a Firenze e a Milano che non in quelli di Roma e Napoli e nelle trasmissioni radiotelevisive che non nelle telefonate; e come sia rarissimo nelle subordinate di cui il parlante presuppone la veridicità. Edoardo Lombardi Vallauri (Vitalità del congiuntivo nell’italiano parlato, in Italia linguistica anno Mille, cit., pp. 609­34) ha calcolato invece l’incidenza del congiuntivo rispetto all’indicativo di essere e avere nei casi in cui un costrutto ammetta la duplice scelta; i dati da lui elaborati riducono l’importanza del fattore diatopico e confermano la varia distribuzione del congiuntivo, che in alcune subordinate mantiene il suo primato tradizionale (quasi il 90% delle interrogative indirette si conforma al tipo non so cosa voglia da me) e in altri casi continua a essere determinato dal verbo reggente (spero che sia è tuttora l’unica possibilità anche nel parlato). Risultati in gran parte compatibili con questi emergono da un sondaggio compiuto su 355 intervistati in merito alla loro reattività normativa su completive con l’indicativo invece del congiuntivo canonico (risulta però, almeno con determinati verbi reggenti, una maggiore tendenza ad accettare l’indicativo da parte dei più giovani): cfr. Laura Scarpa, Congiuntivo sì, congiuntivo no: indagini sulla percezione del congiuntivo tra parlanti madrelingua , in Sguardo sulla lingua e sulla letteratura italiana all’inizio del terzo millennio, a cura di Sabina Gola e Michel Bastiaensen, Firenze, Cesati, 2004, pp. 147­62. 28 Cfr. Fulvio Leone, I pronomi personali di terza persona. L’evoluzione di un microsistema nell’italiano di fine millennio, Roma, Carocci, 2003, pp. 78­79 e 127­28. 29 Da molto tempo libreschi, questo è vero, ma ancora disponibili nel parlato sostenuto (egli anaforico) e con intento ironico (ella : un esempio giornalistico nella mia Prima lezione di grammatica cit., pp. 17­18).
6 Ma in gioco non ci sono solo i tempi lenti dell’evoluzione linguistica. C’è anche la norma trasmessa dalla scuola; è una norma che chiamerei “sommersa”, perché non appare in superficie, come avviene per quel che si legge nei libri o quel che si verifica nell’uso reale della lingua, parlata o scritta: i destinatari si riducono a poche unità, i ragazzi che costituiscono una classe scolastica (una ventina). Però l’impatto che la norma trasmessa dall’insegnante esercita sugli alunni è straordinario: al prestigio della fonte (almeno su questo particolare versante) si accompagna l’effetto della sanzione. In un articolo recente Anna Rosa Cagnazzi 30 ha studiato la presenza e l’uso di alcuni fenomeni linguistici significativi in un corpus di elaborati eseguiti nel triennio di licei e istituti tecnici in Valtellina. Emergono, almeno nei licei, la buona tenuta di egli e persino di ella come pronomi soggetto, la marginalità del che polivalente, la resistenza del passato remoto 31 e del congiuntivo (con percentuali di uso corretto nelle subordinate che lo richiedono pari al 94% nei licei e all’85% negli istituti tecnici). Come annota con garbo la giovane studiosa, dati del genere suggeriscono maggiore prudenza di fronte a diagnosi, stilate da autorevoli linguisti, intorno alla «morte» del pronome ella o alla deriva del che come unico introduttore delle relative. 32 Un paragrafo è dedicato alle correzioni degli insegnanti, che nel complesso risultano scarse e non immuni da interventi legati al gusto individuale, talvolta privi di fondamento grammaticale (per esempio, tra i pronomi soggetto, essa corretto in ella , loro in essi). La Cagnazzi ricorda un significativo precedente della sua ricerca: un articolo di Adriano Colombo 33 fondato su una quarantina di elaborati di alunni bolognesi di scuola media. Colombo reagiva ad alcuni «giudizi molto severi» emessi da «fonti autorevoli» circa il dilagare dell’oralità più sciatta e incontrollata nelle prove scritte, a cominciare dall’imperversare della paratassi. La sua verifica (relativa a indice di subordinazione, uso del congiuntivo, del passato remoto e del passivo) offre risultati diversi: è vero che il livello medio degli elaborati è insoddisfacente, 34 ma solo l’uso del congiuntivo è realmente assai scarso; per il resto – anche se non è detto «che la complessità morfosintattica sia di per sé un indice di migliore competenza linguistica o coincida con una maggiore correttezza grammaticale» –, va osservato che «tre indicatori di complessità morfosintattica su quattro sono convergenti nell’attribuire all’italiano scritto a scuola tratti di complessità morfosintattica, formalità, distinzione dal parlato». Credo che, di là dalle prestazioni offerte dagli alunni, sarebbe molto interessante ricostruire la norma sommersa impartita oggi nella scuola, riprendendo e sviluppando uno spunto offerto molti anni fa da Paola Benincà e altri. 35 È una norma relativamente omogenea o, a parità dell’età degli alunni, cambia a seconda del singolo insegnante, del tipo di scuola, o magari dell’area geografica? In che misura il modello normativo di riferimento cambia a seconda della prova (tema d’introspezione e di immaginazione / saggio letterario / tema d’attualità)? C’è convergenza o divergenza tra norma applicata dagli insegnanti e norma esplicitamente descritta dalle «più autorevoli grammatiche di riferimento», le quali «danno ormai una fotografia dell’uso vivo»? 36 30 Analisi di fenomeni grammaticali in elaborati scolastici del triennio delle superiori (Sondrio – Tirano, a. s. 2000/2002), «ACME», LVIII 2005, pp. 269­302. 31 Del quale già Rosaria Solarino, in un articolo del 1992 (cit. in Cagnazzi, Analisi, p. 281 n. 25), aveva osservato «la notevole frequenza» nei compiti di studenti di Bologna, Milano, Modena e Padova: tutte aree nelle quali l’uso del passato remoto nell’italiano orale non è abituale. Ma su questo punto ritorneremo tra poco. 32 Cfr. Cagnazzi, Analisi, pp. 272 n. 9 e 277 n. 16. 33 Scorretto, ma non semplice, «Italiano e Oltre», IV 1989, pp. 158­61. 34 Dal corpus «emerge tutto un campionario ben noto agli insegnanti, di errori sintattici, improprietà lessicali, insufficienza di punteggiatura, scarti di registro» (p. 161). 35 Cfr. P. Benincà et al., Italiano standard o italiano scolastico? , in Dal dialetto alla lingua, Atti del IX Convegno per gli Studi Dialettali Italiani, Pisa, Pacini, 1974, pp. 19­39. Gli autori, fondandosi su elaborati di alunni di scuola media della «campagna padovana» corretti da quattro insegnanti diversi, giungevano alla conclusione che il modello linguistico proposto, più che l’italiano standard, era «qualcosa di meno definibile, forse etichettabile come “italiano scolastico”»: ossia «un insieme di arcaismi, termini leziosi o paludati, ridondanze o ingiustificate cesure e sintesi» (p. 22). 36 Palermo, La lingua in agenzia , p. 204.
7 Tentare di rispondere a domande del genere significherebbe rendersi conto di quale sia l’effettivo modello linguistico scritto proposto ai preadolescenti e agli adolescenti, saggiarne la plausibilità e l’efficacia ed evitare di fondare le descrizioni linguistiche su àmbiti che, già a priori, non coincidono con l’italiano scolastico: o perché appartengono alla mobile galassia del parlato o perché si sgranano lungo l’asse, fittamente parametrato, dei vari usi scritti reali (da una lettera privata a un trattato di diritto penale). Naturalmente, impostare una ricerca del genere comporterebbe l’allestimento di un adeguato corpus, rappresentativo per dimensioni e per variabili. È un lavoro che accarezzo per il futuro; per ora mi limito a un sondaggio, che tuttavia non credo privo significato. Ho potuto disporre, per la cortesia di colleghi insegnanti, di un corpus costituito da circa 80 elaborati corretti da almeno otto docenti diversi e appartenenti a una IV media del Canton Ticino e a una prima superiore di Roma (Liceo di Scienze Sociali). Gli elaborati si riferiscono agli anni 2004 e 2005; quello ticinese è una «prova cantonale» unica, 37 quelli romani vertono su argomenti diversi ma in massima parte gravitanti sul vissuto personale degli alunni; 38 tutti gli studenti hanno un’età media di 14 anni. 39 Una considerazione preliminare. Com’è naturale, esistono vari gradi di rigidità e di applicabilità della norma linguistica. Il settore ortografico è quello più stabile e quindi le norme sono fortemente prescrittive: scrivere li ‘lì’, celò ‘ce l’ho’, coppiare, attegiamenti significa incorrere in un errore conclamato da Bellinzona a Lampedusa (al iudicium dell’insegnante è affidato soltanto il peso da assegnare all’inevitabile sanzione). 40 Quello lessicale è invece il più soggetto al vario atteggiarsi del discorso in relazione al tema da svolgere. Una prosa fortemente incardinata sull’io di un quattordicenne, sulle sue emozioni, sulla sua percezione del mondo non può che modellarsi sulla griglia lessicale, fraseologica, semantica della sua personale esperienza linguistica, ovviamente incentrata sull’oralità colloquiale. Si prendano alcuni brani di una “prova cantonale”, correttamente giudicata “buona” dall’insegnante, che però annota: «Cerca di arricchire il tuo lessico»: Dopo tre lunghe ore arrivammo in un ristorante [® giungemmo nei pressi di un ristorante], uscimmo fuori dalla capanna [® all’esterno], Essere con la propria famiglia a vedere [® gustare] quello spettacolo era proprio bello! [® non si poteva chiedere altro], 41 Mentre stavo guardando [® scrutando] il cielo stellato, comparve velocemente una stella cometa! 37 Partendo da un racconto di Calvino (L’avventura di uno sciatore), si invitava a raccoglierne gli spunti narrativi, applicandoli alla propria esperienza personale; riproduciamo solo la prima delle tre tracce proposte: «Un percorso come quello tracciato sulla neve dalla ragazza è diverso da tutti gli altri perché è originale, creativo, autentico. Anche nella vita “essere originali” può significare sia essere diversi dagli altri, sia essere realmente sé stessi. Che ne pensi? Parla della tua esperienza personale». 38 Ad esempio: «Io chi sono, come sono, come vorrei essere», «I primi giorni della nuova scuola: impressioni, timori, aspettative»; qualche altra traccia fa leva sull’invenzione fantastica («Descrivi un personaggio vero o inventato, inserendolo in un contesto ecc.») e solo un tema richiede la rielaborazione di contenuti appresi durante lo studio («Le antiche civiltà fluviali: metti in risalto gli elementi comuni e approfondisci gli aspetti socio­economici e politici di almeno una di esse»). 39 Nell’esemplificazione che segue non distinguerò tra i vari insegnanti e mi limiterò a segnalare se l’elaborato appartiene al corpus ticinese (T) o a quello romano (R); le eventuali correzioni dell’insegnante sono riportate entro parentesi quadre, precedute da una freccetta; se l’insegnante si limita a indicare l’àmbito linguistico di appartenenza, questo è sottolineato (per esempio: lessico); se la forma è segnata, senza che sia esplicitato l’errore, in quanto ritenuto evidente, adopero la formula errato. 40 Qualsiasi insegnante distinguerà tra menda occasionale e isolata (da attribuire a un momento di distrazione o a fretta nella ricopiatura) e menda sistematica (segno di una regola non assimilata; o meglio, trattandosi di ortografia, di un automatismo di scrittura non ancora acquisito). Tra le prime, quelle che meritano ulteriori circostanze attenuanti sono relative al cattivo uso di segni paragrafematici (e in generale l’omissione di un accento è più scusabile dell’accentazione errata: autorita può scriverlo anche un laureato in un momento di distrazione, fù non dovrebbe permetterselo neanche un quattordicenne); mentre incorre in un’aggravante la mancata distinzione dei confini di parola: singole scrizioni come la vevo ‘l’avevo’ e un p’ò ‘un po’ devono essere represse nettamente anche se isolate; se ricorrenti (e non dovute alla scarsa padronanza di un apprendente straniero) potrebbero essere addirittura allarmanti e far sospettare patologie. 41 Qui oltretutto la correzione è sintatticamente incongrua.
8 Le correzioni proposte, in realtà, non “arricchirebbero” il lessico dell’alunna, ma lo renderebbero artificioso, inadeguato al tono di rievocazione familiare che la scrivente intende ricostruire. È indubbiamente importante che un adolescente scolarizzato sappia padroneggiare sinonimi “di seconda scelta” (perché di registro più sostenuto: giungere; o di minore gittata semantica: scrutare), ma quando si vuole andare al ristorante è più naturale arrivarci che non giungerci (e perché poi l’attenuazione nei pressi di un ristorante?); 42 e scrutare implica l’azione di guardare con particolare attenzione per scoprire qualcosa che non appare a prima vista: «scrutò il viso di Anna per sorprenderne le vere intenzioni», «scrutare il cielo» detto di un astronomo o anche di chi voglia prevedere l’avvicinarsi di un temporale (ma non della nostra alunna, al cui sguardo la stella cadente appare come una sorpresa). Interventi di questo tipo sono suggeriti dal desiderio – del tutto condivisibile – di familiarizzare l’alunno con le strutture proprie della lingua scritta, quelle che per l’appunto la scuola ha il dovere di insegnare a maneggiare, a partire dalla precisione terminologica contrapposta alla fisiologica approssimazione propria della lingua orale. Però, finché la prova scritta è di impianto intimistico­autobiografico, deve prevalere l’esigenza di un registro stilisticamente omogeneo, a partire dal lessico adoperato. Si resta dunque un po’ perplessi di fronte alle frequenti correzioni in senso aulicizzante, o comunque in direzione di una lingua inutilmente impettita e libresca. Eccone un campionario: [R]: Sembra che sia passato [® trascorso] già un mese; mi piace molto fare religione [® frequentare le lezioni di]; Quest’anno frequento il I° Superiore [® anno della scuola superiore]; 43 qualcuno fa [® pratica] sport; penso che alla fine dell’anno imparerò moltissime cose [® lessico], il motore si è acceso [® è stata ingranata la marcia], Purtroppo nei temi [® nei compiti scritti] io non riesco a esprimermi come vorrei; [T]: anche se eravamo un po’intimidite, abbiamo fatto [® posto] milioni di domande; Io sono una sportiva, faccio [® lessico] atletica; mio padre ci disse che il giorno dopo [® successivo] ci avrebbe portati in un altro posto per pescare; lo tirai su con le mani [un pesce, ® issai]; Senza neanche togliere l’amo dalla bocca del pesce, corsi a casa e lo feci vedere [® mostrai] a mio padre; io e mia sorella ci guardammo e tutte e due diventammo rosse dalla vergogna [® Entrambe arrossimmo], Quando tornai al mio appartamento [® raggiunsi il]; lei mi ha presentato il suo fratellino che ci ha “rotto le scatole” tutta la giornata [® lessico]; ci pensai su [® dialetto] per tre o quattro giorni. Qualche volta l’alunno stesso cerca, con le modeste risorse a sua disposizione, 44 di attingere livelli libreschi, con risultati involontariamente comici: «dovetti subito cambiare banco e situarmi al banco davanti» [corsivo mio; nessun intervento dell’insegnante] (R); o comunque incongrui e affettati: «i miei compagni di classe non davano alcun cenno di aiuto verso i miei confronti» [come sopra] (R); «A me piace molto il protagonista Riccardo Scamarcio nel ruolo di Step, egli è alto, occhi verdi [® ha gli occhi verdi] e i capelli mori» (R). 45 Ancora al lessico si richiama la lotta alle ripetizioni; lotta meritoria, beninteso, come quella che sottolinea un aspetto caratteristico della lingua scritta: il nitore e la variazione nelle risorse lessicali impiegate. Si tratta, come sempre, di mettere a fuoco la tipologia dei testi (raccontare una cotta adolescenziale non è lo stesso che disquisire sulle cause della rivoluzione francese) e di gerarchizzare le norme. Di fronte al collasso dei requisiti primari di un testo, o per l’incapacità di individuare i costituenti elementari del discorso (mancata divisione delle parole) o per la 42 Giungere è verbo altrettanto o persino più indicato di arrivare in riferimento a concetti astratti e in un ambiente lessicale e sintattico sostenuto (dunque in contesti ben diversi dal nostro): «riuscì a giungere in pochi mesi alla perfetta padronanza della lingua fino ad allora ignorata», «durante guerre e carestie si può giungere a livelli impensabili di abiezione», «giungeva dal salone il suono appena attenuato del pianoforte». 43 Sarebbe stato opportuno piuttosto segnalare una minuzia ortografica: ai numeri romani non si deve apporre la letterina in esponente ( o , a ) che indica l’ordinale: quindi 1° Superiore, ma I Superiore. 44 Magari con la consultazione acritica di un dizionario di sinonimi. 45 Da notare invece l’omessa correzione della virgola dopo Step, che andava sostituita con un segno di pausa medio­ forte (due punti o punto e virgola).
9 compromissione della coerenza testuale (incapacità di tradurre in modo limpido il proprio pensiero), una violazione di questo saggio principio retorico deve essere considerata veniale. Due esempi (T; alunni entrambi non madrelingua): Quando ero arrivato sulla pista da sci non cerano nuvole, solo un immeso sole, quando [® ripetizione] notai una ragazza bellissima. La ragazza [® ripetizione] la vevo notata perché era vestita in modo che spiccava. 46 Solo dopo un po’ ho capito perché loro [® cancellato] non avevano visto niente. La mia amica continuava a guardare uno di loro [® un ragazzo] e quelli [® i ragazzi] guardavano [® ripetizione] una ragazza che era un po’ lontana e faccevano i scemi [® errato faccevano, i; scemi ® sciocchi]. 47 Anche alcune correzioni di tipo grammaticale tendono a privilegiare forme libresche, pur in presenza di alternative del tutto acclimate in qualsiasi registro linguistico (ma va detto che i dati che risultano dal mio corpus, specie dalle prove ticinesi, sono più equilibrati rispetto al quadro delle scuole valtellinesi delineato dalla Cagnazzi): Pronomi personali (loro censurato come soggetto): per farsi notare e dimostrare che anche loro [® essi] valgono qualcosa (T); Pronomi dimostrativi (questi in funzione di soggetto maschile singolare): Questo 48 sottomise i Mesopotamici [® Questi] (R); aveva trovato l’uomo giusto e voleva sposarlo, ma questo [® errato] non era affatto contento (R); Pronomi relativi (che invariabile nelle indicazioni temporali): quelle poche volte che [® errato] vado mi diverto (T); Dislocazioni a sinistra: io Roma la conosco abbastanza bene, ma l’Italia l’ho visitata ben poco [® gramm. (pronomi)] (R); Natalia la conoscevo già perché abbiamo frequentato la 5 a elementare insieme [® gramm. (pronomi)] (R); queste persone, io le ammiro molto [® sintassi] (T); Questa professione l’avevo già scelta da circa due o tre anni [® sintassi] (T). L’opportuno desiderio di allenare l’alunno all’ipotassi può comportare (almeno negl’interventi di un insegnante di R) un invito a introdurre un rapporto subordinativo là dove la giustapposizione è pienamente adeguata e persino più efficace (ovviamente con gli opportuni interventi interpuntivi). Si vedano i seguenti esempi: secondo me è stata una gita educativa e molto utile [® congiunzione specifica: perché] a differenza delle medie il professore ci ha fatto fare una relazione sulla gita il che è utile però per noi alunni; 49 sono stata 46 Sono debitamente sottolineati dall’insegnante anche cerano, immeso (che sarà una semplice svista: ma è bene abituare gli alunni all’attenzione e non abbandonarsi all’indulgenza per gli “errori di distrazione”) e la vevo; in margine alla sequenza La ragazza … spiccava una linea ondulata segnala una non accettabilità complessiva, dichiarata dall’aggiunta Frase. In realtà, il difetto dei due quando in successione non è legato alla “ripetizione” della stessa parola, ma semmai alla mancata individuazione dell’elemento circostanziale rispetto all’informazione saliente espressa dalla reggente (avrebbe funzionato un «Quando arrivai sulla pista, notai una ragazza»; oppure, pigiando il pedale della rievocazione di sensazioni ed emozioni: «Arrivai sulla pista: non c’erano nuvole ecc.; a un certo punto / subito / improvvisamente notai» ecc.). Quanto a la ragazza , qui la “ripetizione” è del tutto appropriata; in ogni caso l’alternativa poteva essere rappresentata dalla semplice omissione («L’avevo notata perché» ecc.), non certo dal ricorso a improbabili coesivi. 47 Anche in questo caso i guasti effettivi si situano a livello delle strutture elementari: ortografia (faccevano, per influsso di faccio) e distribuzione degli articoli. La ripetizione di guardavano mi sembra del tutto innocente (e non c’è De Gregori che canta «Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole»…?); in ogni caso non si capisce perché sia censurabile nel caso di guardavano e sia meritoria nel caso di ragazzo­ragazzi, forme introdotte dall’insegnante. Quanto a fare lo scemo, si tratta di un’espressione idiomatica colloquiale che qui vale ‘mettersi in mostra, richiamare l’attenzione con atteggiamenti eccessivi, con l’intento di far colpo sulle ragazze’ e non c’è necessità di sostituirla. 48 Ci si riferisce a Hammurabi (anzi: Hammurabbi). 49 I due punti dopo utile sarebbero stati preferibili (la dimessa quotidianità della frase rende più adeguata una giustapposizione); in ogni caso andava esplicitato il rapporto logico sotteso da però che, in questa versione, è
10 felice di aver seguito il suo consiglio [® congiunzione specifica] lei è stata l’unica professoressa che ha creduto in me e che mi ha sostenuto fino alla fine; ero molto agitato al pensiero di conoscere nuovi compagni e nuovi professori, [® congiunzione specifica: anche se] per fortuna mi ero iscritto insieme ad un mio amico ed insieme a lui iniziammo questa nuova esperienza. 50 Sia chiaro: la presenza di correzioni particolari discutibili non deve compromettere il quadro d’insieme, che nel complesso testimonia una buona capacità di valutazione da parte degl’insegnanti, per le seguenti considerazioni: a) il giudizio d’insieme è generalmente equilibrato e semmai tende a essere fin troppo benevolo per quanto riguarda le carenze ortografiche e interpuntorie, che pure vengono rilevate (sistematicamente le prime, abbastanza largamente le seconde): in nessun caso insomma l’emersione della lingua colloquiale, pur tendenzialmente repressa anche in temi così orientati sul privato, compromette di per sé il risultato finale o mortifica l’alunno; b) il forte tasso d’interventismo ha comunque un suo valore sul piano didattico e pedagogico: da un lato abitua l’alunno a maneggiare con attenzione uno strumento così delicato come la scrittura e a non considerare il tema come una specie di Hyde Park Corner in cui tutto sia lecito e si possa parlare a ruota libera; dall’altro, lo fa sentire al centro dell’attenzione dell’insegnante (si tratti pure di un’attenzione critica) e dunque lo motiva; c) accanto ad alcuni interventi non opportuni, non va trascurata la grande massa di correzioni appropriate: a parte quelle ovvie, che qualsiasi insegnante apporrebbe (tranne che ceda a un momento di distrazione o di noia), va segnalata la prescrizione del passato remoto, un tempo non usuale nel parlato né nel Ticino né a Roma. Il caso è un po’ diverso dalla difesa di certi pronomi o dal rifiuto delle tematizzazioni. Come per il congiuntivo, ben vivo nella lingua sorvegliata, anche il passato remoto è tuttora un tempo che ha corso nella scrittura. In riferimento ad azioni recenti, anche se perfettamente concluse, non si adopera più: allo spagnolo «Ayer fuimos al cine» corrisponde nel parlato degli italiani settentrionali, centrali e in parte anche alto­meridionali solo «Ieri siamo andati al cinema». Però, il passato remoto resta la scelta d’elezione della prosa informativa per richiamare un’azione puntuale avvenuta tempo fa: possiamo ben leggere un romanzo in cui anche per eventi conclusi nel passato si impieghi solo il passato prossimo, ma è più difficile aprire un giornale in cui il passato remoto non ricorra mai. Facciamo una prova, sfogliando il «Corriere della Sera» del 9 aprile 2006 (il giorno in cui sto scrivendo questa pagina; corsivi miei): Gli articoli orientati sull’attualità generalmente evitano il passato remoto, proprio per il declino del suo valore aspettuale in relazione ad eventi recenti: così nell’editoriale di Alberto Ronchey su quello che sarebbe stato il quadro politico post­elettorale (per esempio, in riferimento alla campagna elettorale appena conclusa: «Romano Prodi, sebbene per indole così tranquillo, ha insultato un ministro. Silvio Berlusconi, più che mai esuberante, ha ingiuriato persino i tendenziali elettori della parte avversa»); in un articolo di Stefania Tamburello sul vertice dei governatori delle banche centrali (titolo: «Draghi: segnali di ripresa, l’economia migliora»); nella cronaca del funerale di un bambino assassinato dai rapitori firmata da Marco Imarisio (titolo: «Cinquantamila per l’addio a Tommy / È venuto un orco e l’ha portato via»). Ma il passato remoto compare in relazione a eventi del passato in varie occasioni: per esempio, in un reportage di Ettore Mo sui problemi ecologici del lago Baikal (titolo: «Per l’“ Occhio Azzurro” / la Siberia teme / un nuovo Gengis Khan»: «il baratro – ti spiegano al Museo dell’ecologia di Baikalsk – fu colmato da una massa d’acqua pari a quella “trasportata” da tutti i fiumi della terra durante un intero anno»; «ai primi anni Settanta quando […] venne approvato e realizzato il “faraonico” progetto della ferrovia Baikal­Amur», «Un delitto che suscitò l’indignazione e la rabbia di Grigorij Galazyi»); oppure in articoli della pagina culturale: già nel titolo di un incongruo, non essendoci nessuna implicazione avversativa (manca l’indispensabile anello intermedio: la relazione è noiosa o faticosa, però per noi alunni è utile). 50 Qui – fermo restando che la giustapposizione scandita da un segno d’interpunzione intermedio sarebbe stata più adatta – è oltretutto incongruo il connettivo proposto: la seconda proposizione non introduce una subordinata concessiva, ma semmai una coordinata avversativa (ero agitato, ma per fortuna l’essermi iscritto con un mio amico ha reso le cose più semplici).
11 articolo di Stefano Bucci («E Tiziano prese in giro il maestro Bellini»; soprattitolo: «Rinascimento ­ Il giovane lanciò la sfida per conquistare il Duca d’Este. Una mostra a Washington»; sottotitolo: «Nel “Baccanale” riprese ironicamente i soggetti del “Festino”») 51 e in un intervento del giurista Michele Taruffo sulla figura di Calamandrei (titolo: «Quel codice non era fascista»: «il fascismo non elaborò mai una specifica ideologia del processo civile», «la vicenda che portò alla redazione del Codice del ’40», «la ragione per cui fu chiamato a lavorare alla redazione del Codice» ecc.). Il passato remoto viene inoltre apprezzabilmente adoperato in contrasto aspettuale col passato prossimo in relazione alla cronaca politica recente in una nota di Massimo Gaggi (titolo: «I danni di un’Italia da operetta»: «Due mesi fa […] il nostro ministro dell’Economia reagì con comprensibile irritazione, ma andò oltre il segno: il suo “se ne torni in Turchia” ha indotto molti economisti stranieri a dare la loro solidarietà a Rubini»). Sic stantibus rebus, è forse bene che la scuola favorisca l’uso del passato remoto anche in un àmbito – quello del racconto di proprie esperienze – in cui l’uso spontaneo prevede il passato prossimo: qui infatti non si crea un uso artificioso, ma si tiene in vita un uso che, in altri contesti (la storia), sarebbe ancora praticato abitualmente. 52 Che l’uso del passato remoto sia arduo anche per studenti madrelingua lo mostrano i frequenti errori degli alunni: muorì, rimanei, sentì ‘sentii’ (R), ci divertemmo, riconoscei, tolsimo (T). Ma preferisco notare, invece, la buona tenuta di questo tempo verbale negli elaborati ticinesi; è un segno evidente di come la scuola sia riuscita a far passare questa struttura nell’orizzonte linguistico dei discenti (qualche volta persino con sovraestensioni ipercorrettive). Alcuni esempi: a) Due anni fa andai in Francia, più precisamente a Marsiglia. Era da tanto tempo che io e mia madre non trascorrevamo una bella vacanza insieme; ma una volta arrivati, il mio istinto di adolescente mi separò da lei; b) Allora quando fu solo gli chiesi se aveva ricevuto tutti i miei messaggi e lui disse di sì. A quel punto lo guardai interrogativamente e gli dissi che lui mi piaceva tanto; c) Una mattina iniziò a piovere, sembrò [® sembrava] una tempesta, quasi grandinava; d) Volevo arrivare al bordo prima di lui, e nuotando in modo così veloce andai a sbattere contro una ragazza, che sentendo la botta alla testa cominciò a farfugliare parole in tedesco! Il ragazzo vedendo la scena fece un sorriso sotto i baffi quasi divertito; di certo non ero passata inosservata! Le prescrizioni sulle quali mi sono soffermato rientrano in quella che ho chiamato la norma sommersa. I linguisti tendono a dare per morte o languenti forme in realtà ancora additate come norma (come i pronomi personali soggetto egli, ella ) o addirittura usate, e abusate, autonomamente dagli stessi alunni (il passato remoto). Il lessico libresco, sul quale ha ironizzato in tante occasioni Tullio De Mauro fin dagli anni Sessanta, è in realtà vivo e vegeto anche in una scuola in cui la distanza reverenziale tra discenti e docenti non esiste più e questi chiamano quelli per nome, 53 badando – ancora prima che a sanzionarne le carenze di preparazione o di applicazione – a non turbare con atteggiamenti repressivi la loro personalità in formazione. Ci si può chiedere quanto di questa norma sommersa sedimenti nella coscienza linguistica degli alunni, una volta diventati adulti. Difficile dirlo. Probabilmente, questo patrimonio sarà dissipato nelle fasce marginali: la fascia bassa di studenti che perderanno ogni contatto con la cultura scritta, andando incontro a fenomeni più o meno accentuati di regressione; e la fascia più alta, che con uso più maturo e consapevole della lingua imparerà a gestirne le varie sfumature e a 51 Questi esempi (azioni compiute da personaggi del passato definiti nella loro storicità) sono gli unici in cui il passato remoto non è virtualmente sostituibile col passato prossimo, ma solo col presente storico. 52 Ciò vale per l’insegnamento dell’italiano a studenti madrelingua o a stranieri scolarizzati in ambiente italofono; per l’insegnamento a stranieri fuori d’Italia, credo che le forme e l’uso del passato remoto non debbano essere tra i primi argomenti da trattare parlando di verbi (a differenza di quel che avverrebbe con l’inglese o lo spagnolo) e, per quanto riguarda alcuni verbi irregolari non di uso comune in quel tempo (cuocere, scindere), nemmeno il secondo o il terzo. Per qualche considerazione in merito mi permetto di rinviare al mio Insegnare l’italiano, oggi, «Nuova Antologia», n° 2227, luglio­settembre 2003, pp. 62­68; interessanti riflessioni applicate alla didattica del passato remoto a italofoni sono in Maria G. Lo Duca, Esperimenti grammaticali, Roma, Carocci, 2004, pp. 137­42. 53 Qualche volta vale persino l’inverso.
12 violare, all’occorrenza, anche certe prescrizioni apprese a scuola. Nel mezzo, c’è una quantità indefinibile di individui ai quali la scuola ha assicurato – magari con qualche eccesso e qualche grettezza – un contatto con la lingua scritta, o almeno con l’immagine deformata che appare nei temi. Non è molto, certo, e non è l’ottimo; ma è qualcosa. Luca Serianni
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Comunicazione presentata al Convegno Un mondo di - E